Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 1213/2022 R.G.A.C. promossa da SE.GI. (avv. Fr.Sc.) nei confronti di RE. SRL (Avv. Ro.Fr.), avente ad oggetto: impugnativa di licenziamento, osserva quanto segue: - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 23.12.2022, il ricorrente in epigrafe indicato, premesso di essere stato assunto dalla RR. in data 21.9.2018 come impiegato di primo livello del CCNL Turismo/Pubblici Servizi con qualifica di "Restaurant Manager" svolgendo mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita assegnato, dal 21.9.2018 sino al 31.5.2021, da ultimo, dal 1.11.2021 sino al licenziamento, avvenuto il 10 maggio 2022 presso area di servizio sita in Fiano Romano, via (...), nonché di essere stato "promosso" al livello contrattuale "A2" il 30.3.2022, lamentava di aver ricevuto una lettera datata il 21.4.2022, con cui la società resistente, sospendendolo cautelativamente dal servizio, gli aveva contestato tre mancanze disciplinari, nonché una seconda lettera del 2.5.2022 con cui gli aveva contestato ulteriori cinque mancanze disciplinari e che nonostante le sue giustificazioni gli era stato irrogato il licenziamento per giusta causa con comunicazione del 10.5.2022. Agiva in questa sede chiedendo, "piaccia al Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, con sentenza esecutiva, cumulo di interessi e rivalutazione monetaria ed il favore delle spese di giudizio comprensive del contributo forfetario per spese generali del 15%:-a) accertare nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento del 10.5.2022 intimato al ricorrente per i motivi in parte motiva;-b) per l'effetto, condannare la società resistente, in persona del l.r.p.t., a: - reintegrare in servizio il ricorrente ed a versargli tutti gli stipendi dal licenziamento alla reintegra con un massimo di 12 mensilità ex art.3, comma 2 D.Lgs. 23/2015, con consequenziale ricostituzione del rapporto contributivo e previdenziale; - in subordine, in caso di mancata reintegra, a versargli l'indennità risarcitoria art.3, comma 1 D.Lgs. 23/2015 Stat. lav. nella misura massima di 36 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2.902,60 (RAL 34.831,26/12); - c) salvo l'ipotesi di accoglimento della domanda principale di reintegra, previo accertamento dell'insussistenza della giusta causa condannare la società resistente al pagamento anche dell'indennità sostitutiva del preavviso nella misura di Euro 5.342,40 lordi complessivi (= Euro 89,06 x 60 giorni) nonché al pagamento della retribuzione per il periodo di sospensione cautelativa dal 21 aprile all'11 maggio 2022 pari ad Euro 1.959,32 (22 giorni x Euro 89.06) d) in ogni caso, a prescindere dall'esito dell'impugnazione, condannare la società resistente al pagamento degli emolumenti di fine rapporto pari ad Euro 13.705,53 oltre interessi e rivalutazione dalle scadenze al soddisfo.". Instauratosi ritualmente il contraddittorio, la società resistente si costituiva in giudizio deducendo chiedendo di "Rigettare il ricorso perché infondato in fatto ed in diritto e, oltretutto, non provato per la genericità della relativa formulazione e la totale carenza di prova delle richieste formulate, confermando la legittimità dell'intimato licenziamento. Con vittoria di spese, competenze ed onorari e sentenza provvisoriamente". Fallito il tentativo di conciliazione, la causa, istruita con documenti e con l'escussione di testimoni, veniva decisa all'odierna udienza, previo scambio di note conclusive autorizzate e di note contenenti le sole istanze e conclusioni ex art. 127 ter c.p.c. -2- In via preliminare, prima di passare all'esame degli addebiti mossi al ricorrente e posti a fondamento del licenziamento disciplinare, appare opportuno evidenziare come la disciplina del dlgs 23/2015 - pacificamente applicabile al caso di specie ratione temporis - preveda, all'art. 2, la tutela della "reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto" nell'ipotesi di "nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge" e, all'art. 3, per ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa "in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento", disponendo, in generale, che "nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità" e prevedendo una tutela parimenti indennitaria per l'ipotesi in cui "il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300 del 1970" ("il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto". Secondo la predetta disciplina, dunque, l'unica ipotesi che dà luogo alla tutela reintegratoria (richiesta dal ricorrente in via principale), in forza del combinato disposto dell'art. 3, comma 2 e dell'art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, riguarda "esclusivamente" i licenziamenti disciplinari nella fattispecie di "insussistenza del fatto materiale' contestato al lavoratore, purché sussista il requisito dimensionale di cui all'art. 18 commi 8 e 9, L. n. 300/1970. Anche a voler, poi, ampliare la nozione di "fatto" includendovi, oltre al fatto materiale, il carattere della soggettività e della antigiuridicità, così come avvenuto nella interpretazione di una parte della giurisprudenza di legittimità con riferimento, però, alla disciplina di cui alla l. 92/2012, non applicabile a questo giudizio (Cass. 13 ottobre 2015 n.20540, Cass. n. n. 20545 del 13 ottobre 2015, Cass. Sez. Lav. n. 10019 del 16.5.2016) - e a voler, di conseguenza, escludere dal concetto di "fatto sussistente" il fatto neppure minimamente dotato di rilievo disciplinare - è evidente che la disciplina del dlgs 23/2015 abbia compiutamente disciplinato l'ipotesi del licenziamento discriminatorio, l'ipotesi del fatto insussistente e l'ipotesi del licenziamento privo di giustificato motivo soggettivo o giusta causa, sanzionando, quest'ultima, unicamente con una tutela di carattere indennitario, al pari delle ipotesi delle violazioni di carattere procedurale (ciò rendendo senz'altro destituita di fondamento l'affermazione, che si legge in ricorso, secondo la quale "...ogni ipotesi di licenziamento illegittimo, per carenza di giusta causa o di giustificato motivo, come nel caso di specie, sarebbe per ciò solo anche discriminatorio"). -3- Passando, adesso, ad esaminare i motivi di doglianza formulati in ricorso, può innanzitutto escludersi la dedotta illecita modalità di acquisizione dei fatti disciplinarmente rilevanti quale effetto della violazione della disciplina dell'art. 4 della l. 300/1970 che, come pure riferito in ricorso, riguarda gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, i fatti oggetto della contestazione disciplinare non sono stati acquisiti mediante gli impianti audiovisivi in uso presso la sede lavorativa, ma a seguito della conoscenza dell'informativa redatta da una società di assistenza e consulenza alle aziende, la Lo.Se. srl, con cui la resistente aveva concluso un contratto avente ad oggetto la collaborazione "allo scopo di prevenire le differenze inventariali dovute alla mancata emissione degli scontrini fiscali" e la cooperazione nella individuazione degli eventuali responsabili e nella loro segnalazione alla direzione aziendale (così il contratto al doc. n. 6 di parte resistente). Sulla questione, allora, devono innanzitutto richiamarsi - alla stregua degli ormai costanti arresti della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Lav. 4 Aprile 2018 N. 8373, Cass. Lav. 11 Giugno 2018 N. 15094) i seguenti principi di diritto: in ordine alla portata degli artt. 2 e 3 della L. n. 300 del 1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come un'agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica; tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un'agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione; le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l'intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti (non riconducibili al mero inadempimento, cioè all'esecuzione della attività lavorativa in senso stretto) e per l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione; né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro; il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, che possano eventualmente configurare ipotesi penalmente rilevanti (come ad esempio l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi, ovvero il mancato svolgimento di alcuna attività lavorativa in orario di lavoro). Orbene, tanto premesso, deve rilevarsi che, nella specie, l'agenzia Lo.Se.It. s.r.l., (società che presta "attività di consulenza e assistenza alle aziende al dettaglio per la prevenzione la riduzione e controllo delle perdite inventariali a qualsiasi causa dovuta"), era stata incaricata, tra l'altro, dalla odierna resistente di mettere a disposizione il proprio personale e quello delle società associate Lo.Se.No., M.Co. e Lo.Se.Su. "idoneo a compiere sopralluoghi presso i punti vendita indicati di volta in volta" e a segnalare...tutti i fatti che possano dar luogo a sospetti di anomalie nella procedura di incasso e di mancata emissione di scontrini fiscali" (eventualmente chiamato poi a testimoniare davanti all'autorità giudiziaria in caso di irregolarità riscontrate durante lo svolgimento delle loro mansioni), mediante esecuzione di acquisti e consumazione di cibi e bevande (si veda, ancora, il contratto del 16.10.2021 al doc. n. 6 di parte resistente) Non si trattava, dunque, di controlli inerenti alla esecuzione dell'attività lavorativa in senso stretto, né alla qualità delle prestazioni, né al grado di diligenza estrinsecato dal lavoratore, cioè al mero inadempimento dell'obbligazione. Si trattava, invece, di verifiche finalizzate all'accertamento di eventuali condotte irregolari riscontrate nelle procedure di incasso e di emissione degli scontrini fiscali, dovendosi evidentemente ritenere legittimi i controlli delegati ad una agenzia esterna (all'esito dei quali è stato redatto un report i cui contenuti, così come riportati nella lettera di contestazione disciplinare, sono stati anche confermati in sede testimoniale). Va pure esclusa la dedotta illegittimità della contestazione per tardività, in quanto costituisce parimenti principio acquisito in giurisprudenza che l'immediatezza della contestazione sia da ritenersi elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e che lo stesso vada interpretato in senso relativo (ossia con riferimento alle caratteristiche dell'infrazione e alla necessità di un margine temporale per il suo preciso accertamento), senza che però tale "elasticità" nella valutazione possa comportare la vanificazione del diritto alla difesa del lavoratore (si veda in termini Cass. n. 1562/03). Allo stesso modo la giurisprudenza richiede che "ove sia eccepita la tardività della contestazione, spetta al datore di lavoro comprovare le ragioni impeditive di una rapida cognizione del fatto addebitato al dipendente e la tempestiva promozione dell'azione disciplinare, non appena attinta la notizia" (così testualmente, tra le tante, Cass. n. 3318/1986 e Cass. n. 11180/93), in un'ottica di bilanciamento tra le esigenze di speditezza e certezza nell'interesse del lavoratore e quelle di indagine e adeguata ponderazione del datore di lavoro. Tra le ragioni poste a fondamento del principio dell'immediatezza, va, inoltre, considerata l'esigenza di salvaguardia dell'affidamento del lavoratore, il quale potrebbe essere indotto a ritenere, per effetto della prolungata inerzia del datore di lavoro, che quest'ultimo abbia rinunciato, con inequivoco comportamento concludente, alla facoltà di reagire alla mancanza di cui sia venuto a conoscenza. Costituisce, infine, criterio generale alla luce del quale valutare la tempestività dell'esercizio del potere disciplinare il canone del dovere di correttezza e buona fede, quale comportamento generale e costante richiesto alle parti contrattuali nel corso di tutte le estrinsecazioni del rapporto stesso, non essendo il solo elemento costituito dalla notevole dimensione dell'organizzazione aziendale sufficiente a far ritenere legittimo un prolungato ritardo nell'elevazione della contestazione disciplinare nei confronti del lavoratore, in quanto è in ogni caso necessario che il datore di lavoro alleghi e provi le cause che hanno determinato la dilazione tra la comunicazione della contestazione e il momento in cui egli ha avuto conoscenza dei fatti materiali che intende addebitare al dipendente (Cass. Sez. L, Sentenza n. 19115 del 09/08/2013). Tanto premesso in generale, occorre osservare come parte resistente abbia senz'altro dimostrato di aver esercitato tempestivamente l'azione disciplinare, attivandosi entro un termine breve dalla conoscenza dei fatti contestati. Dall'esame del doc.n. 7 di parte resistente si apprende come il report attraverso il quale la stessa era stata informata delle irregolarità legate alle procedure di incasso e di emissione degli scontrini fiscali era stato tramesso alla datrice di lavoro il 14 aprile 2022 e le contestazioni disciplinari risultano mosse al ricorrente con lettera datata il 21 aprile 2022 e con successiva lettera del 2 maggio 2022, entrambe riscontrate dal ricorrente con le sue giustificazioni del 22 aprile e del 6 maggio 2022 (si vedano il doc n.16 di parte ricorrente) e già dalla lettura della lettera di contestazione disciplinare del 2 maggio 2022 si apprende come i fatti indicati ai punti III, IV e V erano stati appresi in occasione di una verifica del 21 aprile 2022; dall'esame delle giustificazioni tempestivamente fornite dal ricorrente si desume come lo stesso fosse stato posto in condizione di conoscere pienamente le tipologie di condotta stigmatizzate e di esercitare pienamente il suo diritto di difesa. Pertanto, anche a voler ritenere che la società resistente potesse essere venuta a conoscenza di alcuni degli episodi contestati prima del mese di aprile 2022 (con riferimento alle questioni riguardanti la tenuta della contabilità) la quasi totalità degli episodi e dei fatti menzionati nella lettera di contestazione possono dirsi essere stati per la prima volta appresi dai responsabili della società resistente solo poco prima dell'esercizio dell'azione disciplinare; in ogni caso, il tempo decorso tra tali fatti ed episodi e la formulazione della contestazione non ha impedito al ricorrente di difendersi compiutamente in sede di procedimento disciplinare e in giudizio. -4- Quanto, allora alla dedotta "manifesta insussistenza dei fatti contestati, anche sotto il profilo della riferibilità oggettiva/soggettiva degli stessi al ricorrente ovvero perché molti degli episodi descritti sono del tutto privi di antigiuridicità", occorre osservare come nella lettera del 21/04/2022 la resistente avesse contestato al ricorrente i seguenti addebiti: 1)"...in data 28 gennaio 2022, alle ore 16:21, Ella, utilizzando la cassa 1 del punto vendita di Fiano Romano, vendeva due "Kinder mezzometro" dal costo di Euro 5,95 ciascuno, riceveva il denaro corrispondente al prezzo di entrambi i prodotti ed emetteva una registrazione fiscale con conseguente rilascio dello scontrino fiscale n. 27 da cui risultava la vendita di uno solo dei suddetti prodotti'; 2) "in data 24 febbraio 2022, alle ore 20:11, Ella, utilizzando la cassa 2 del punto vendita di Fiano Romano, batteva uno scontrino fiscale per Euro 120,00 (num. Trans. 5630) per sei "Gratta e vinci" da 20,00 Euro l'uno, nonostante all'interno del punto vendita non ci fosse alcun cliente che stesse acquistando tali prodotti"; 3) "sempre in data 24 febbraio 2022, alle ore 20:13, Ella, utilizzando la cassa 2 del punto vendita di Fiano Romano, batteva uno scontrino fiscale per Euro 5,0 30) 0 (num. Trans. 5632) per un "Gratta e vinci" da 5,00 Euro, nonostante all'interno del punto vendita non ci fosse alcun cliente che stesse acquistando tale prodotto. Era, invece, presente un cliente che, proprio in quel momento, aveva acquistato due bomboloni pagandoli Euro 5,00". Si legge nella successiva lettera di contestazione del 2 maggio 2022 in data 21 aprile 2022: "in data 8 aprile 2022 alle ore 10:47, ella batteva sul registratore di cassa n. 5 gratta e vinci da 20 euro per un totale transazione di euro 100, nonostante non fosse presente alcun cliente all'interno del punto vendita. Ella, inoltre, procedeva a grattare e convalidare 10 gratta e vinci strappando quelli non vincenti e mettendo da parte 4 biglietti risultanti vincenti; in data 13 aprile 2022 alle ore 11:56 Ella batteva sul registratore di cassa gratta e vinci per un totale di transazione di euro 40 nonostante non fosse presente alcun cliente all'interno del punto vendita. Ella, inoltre, procedeva a grattare e convalidare 9 gratta e vinci strappando quelli non vincenti e mettendo da parte 2 biglietti risultanti vincenti; in data 21 aprile 2022 alle ore 19 circa, il sottoscritto, dopo averle consegnato la contestazione di addebito avente pari data le chiedeva di effettuare l'inventario della cassaforte direzione di cui Ella era l'unico possessore della chiave e verificarne la rispondenza rispetto alla situazione contabile (file Fondo Direzione) presente sul gestionale Sharepoint Fiano Romano da Lei aggiornato alla data del 21 aprile 2022 ore 14.54 dopo la chiusura contabile del giorno 20 aprile 2022 così come risultante dall'ultimo dato inserito sempre per mezzo della sua utenza aziendale (...). La giacenza contabile sul file Fondo Direzione alla data del 21 aprile '22 ore 14.54 da Lei aggiornata è la seguente: Giacenza contante Euro 3.534,56; Gratta & Vinci Euro 7.815.Come da foglio scritto di suo pugno (INVENTARIO CASSAFORTE) e in nostro possesso Ella ha proceduto a rendicontare i valori presenti in cassaforte e presso i registratori di cassa e la rispondenza degli stessi rispetto alla situazione contabile rilevando quando segue: omissis...Dall'analisi delle giacenze fisiche rispetto alla situazione contabile sono risultati i seguenti ammanchi: a) Gratta & Vinci. i. Giacenza contabile al 20 aprile 2022 Euro 7.815. Inventario Gratta & Vinci alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 3.150; Cassetto registratori di cassa Euro 1.433; Vendite Gratta & Vinci del giorno 21 aprile 2021 dalle ore 00:00 alle ore 20.30 Euro 557. Ammanco Euro 7.815 - 3.150 - 1433 - 557= Euro 2.675 a. Contanti. i. Giacenza contabile Euro 3.534.56. Inventario contanti alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 2.620,35; registratore di Cassa 1 Euro 300; Registratore di Cassa 2 Euro 300 (unico registratore utilizzato per la vendita al pubblico); Registratore di Cassa 3 Euro 200. Ammanco Euro 3.534,56 - 2.620,35 - 300 - 300 - 200 = Euro 114,21 Alle ore 19 ca durante la verifica il sottoscritto rilevava che, nonostante fosse aperto al pubblico il self service e la dipendente che svolgeva il servizio al banco aveva eseguito la verifica del fondo cassa del registratore numero 3 dedicato appunto al self service, Lei non permetteva alla addetta al self service di battere i relativi scontrini ed incassare il denaro dalla cassa 3 dirottando le vendite sulla cassa 2 dove Lei operava impedendo, di fatto, la possibilità di rendicontare il dettaglio dei movimenti contabili relativi alle vendita del self service e contravvenendo alle direttive e all'organizzazione del servizio. In assenza di riscontro a tale contestazione, il sottoscritto, preso atto che le vendite venivano eseguite solo sulla cassa 2 e che non ve ne erano sulla cassa 3 dedicata al self service, le chiedeva di eseguire il conteggio della giacenza dei contanti ed altri valori della cassa 2 al fine di verificarne il contenuto rispetto alle vendite eseguite dall'inizio del turno (ore 18). Il totale presente nel cassetto del registratore di cassa 2 è stato pari ad Euro 305 (comprensivo del fondo cassa pari ad Euro 300) oltre a vendite a mezzo carte di credito di Euro 14,60 mentre il venduto alla stessa ora è risultato pari ad Euro 35,68. Dall'analisi le è stato contestato un ammanco di Euro 21,08 tenuto conto del fondo cassa (euro 300). Durante le operazioni di verifica il sottoscritto ha notato che Lei, con fare sospetto, portava il contenitore dei riepiloghi di versamento giornalieri in un locale tecnico e, alla richiesta di riporre tale contenitore nella postazione ufficio, il sottoscritto riscontrava che non erano presenti le chiusure dal 1.mo febbraio 2022 al 20 aprile 2022. A espressa contestazione e richiesta di indicazione dei riepiloghi giornalieri Lei si lamentava che avrebbe dovuto andare via vista l'ora e non ave va modo di verificare in quel momento.". La predetta società, ritenendo che a mezzo delle proprie giustificazioni il ricorrente avesse in parte confermato i fatti contestati e in parte addotto ragioni inidonee a giustificare gli stessi, aveva licenziato il ricorrente per giusta causa invocando la disciplina generale dell'art. 2119 c.c. Dall'esame del materiale istruttorio raccolto in giudizio è risultato provato che il 28 gennaio 2022 il ricorrente avesse venduto alla sig.ra Na. Cinzia, dipendente di M.S srl ("che possiede il 20% delle azioni della Lo."), due Kinder mezzometro, incassando denaro per due Kinder mezzometro, ma battendone sul registratore uno solo creando, quindi, un surplus di cassa di Euro 5,95: la predetta, escussa quale testimone, ha dichiarato che in quella data dopo essersi "recata presso l'autogrill che sta a Fiano Romano ove lavorava il ricorrente insieme ad altre due persone" ("di cui non ricordo il nome, se non sbaglio una si chiamava Fo.Il. o Fo.Ma."), aveva "comprato un Kinder mezzo metro del valore di 5,95 euro e subito dopo rivolgendomi al ricorrente gli ho chiesto di consegnarmene un altro, quindi in totale ho acquistato due kinder mezzo metro. Ne ho pagati due ma lo scontrino che mi è stato consegnato è stato emesso solo per il primo acquisto"; la teste, dopo aver riconosciuto nel doc. n. 7 che le era stato esibito lo scontrino dell'acquisto del primo kinder "perché ivi sono riportati l'orario e la data", ha aggiunto "che mi è stato dato 4,05 euro di differenza di resto, e io ho aggiunto ai 4,05 euro la differenza di 2,90 euro per pagare il secondo kinder di cui ho detto e per cui non mi è stato emesso lo scontrino", in tal modo rendendo una deposizione del tutto attendibile in quanto oggettivamente riscontrabile con le risultanze del report prodotto da parte resistente. Il teste Fo.Ma., dipendente della MS. srl, società associata alla Lo., ha confermato che il 24 febbraio 2022 si era recato presso il punto vendita di Fiano Romano e alle ore 20:13 circa aveva acquistato due bomboloni alla crema, mentre l'operatore aveva battuto un gratta e vinci del valore di 5 euro, precisando che "l'operatore era il ricorrente qui presente che riconosco in aula", nonché di aver notato che l'operatore "... ha battuto sulla cassa l'importo di 120 euro avendo in mano un gratta e vinci del valore di 20 euro", aggiungendo "che all'interno del locale non c'era nessuna persona e che io mi sono recato in cassa per effettuare un acquisto e quando mi stavo avvicinando alla cassa per fare questo acquisto ho visto l'operazione che ho detto. Successivamente è stato riscontrato che questa transazione di 120 euro corrispondeva alla vendita di 6 gratta e vinci di 20 euro ciascuno". Vanno, pertanto, smentite le difese del ricorrente, secondo il quale l'episodio del 28.1.2022 sarebbe consistito "in una mera distrazione di battitura in ordine alla quantità del prodotto effettivamente venduto", risultando, invece, dallo scontino fiscale della transazione delle ore 16:21 (allegato al report al doc. n. 7) la divergenza fiscale tra l'importo pari a 5,95 euro indicato come pagato sullo scontrino e l'importo pagato dalla Na. e corrispondente a quello di due prodotti; quanto all'episodio del 24.2.2022, ore 20.11 e a quello del 24.2.2022, ore 20.13, va parimenti smentito che "quando anche reale, la verifica della corretta registrazione dei biglietti "gratta e vinci " venduti, che molti dipendenti non sapevano fare o non potevano fare per malfunzionamento dei sistemi di convalida, rientrava appieno nella mansioni del Se. (verifica contabile). Pertanto, l'aver emesso scontrino fiscale di Euro 120,00 per sei gratta e vinci da Euro 20,00 non costituisce illecito disciplinare ma semmai regolarizzazione fiscale di un incasso precedentemente non registrato", proprio perché il Fo. ha potuto constatare di persona che era stato il ricorrente (e non altri dipendenti del punto vendita) a battere sulla cassa l'importo di 120 euro avendo in mano un gratta e vinci del valore di 20 euro, mentre all'interno del locale non c'era nessun cliente e a battere sulla cassa un gratta e vinci del valore di 5 euro a fronte dell'acquisto di un bene di natura diversa (dovendo, sempre per quanto dichiarato dal Fo., escludersi che "E' anche possibile che il cliente avesse prima richiesto un "gratta e vinci" battuto dal ricorrente e poi ci abbia ripensato scegliendo altro prodotto ossia il bombolone, rimanendo in memoria di cassa la prima battitura"). Anche in relazione agli episodi dell'8 e 13 aprile 2022 il ricorrente ha dedotto che "anche fossero reali, ... In ordine alla "grattatura", il Se. si limitava unicamente a verificare il codice a barre presente nella zona grigia (che i giocatori non "grattano") per avere la certezza di quali fossero i biglietti vincenti, separandoli da quelli non vincenti, al fine di conservare solo i primi per la successiva annotazione a fine giornata nelle distinte di riepilogo" ma sebbene la teste Na. non abbia confermato di avervi assistito, tale difesa deve dirsi smentita poiché quand'anche i gratta e vinci fossero stati emessi in favore di eventuali clienti presenti nel punto vendita, come evidenziato da parte resistente, non sarebbe stato né possibile né necessario, in tal caso, che il ricorrente procedesse ad una convalida dei gratta e vinci vincenti ("Se il ricorrente è il possesso di un gratta e vinci ricevuto dal cliente significa che lo stesso è risultato già vincente e quindi è già stato convalidato dal pos di Lottomatica e un ulteriore "convalida" a posteriore rispetto alla vincente darebbe esito negativo e verrebbe immediatamente segnalata a Lottomatica perché evidente manomissione"). Quanto, poi, alla parte della lettera di contestazione del 2.5.2022, occorre innanzitutto osservare come il ricorrente non abbia contestato l'esistenza e l'ammontare degli ammanchi contestati, e corrispondenti alla differenza tra la situazione contabile registrata dal ricorrente per il 20 aprile 2022 e le giacenze fisiche della stessa giornata ("a) Gratta & Vinci. i.Giacenza contabile al 20 aprile 2022 Euro 7.815. Inventario Gratta & Vinci alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 3.150; Cassetto registratori di cassa Euro 1.433; Vendite Gratta & Vinci del giorno 21 aprile 2021 dalle ore 00:00 alle ore 20.30 Euro 557. Ammanco Euro 7.815 - 3.150 - 1433 -557= Euro 2.675"). Non è stato neppure contestato, alla prima occasione processuale utile, che, come dedotto in memoria di costituzione, il legale rappresentante della resistente non fosse "in possesso della chiave della cassaforte di direzione e che lo stesso Se. ha proceduto di suo pugno ad annotare ogni valore presente nella stessa in presenza dell'amministratore della società, per cui era lui a dover rilevare eventuali ammanchi o differenze in cassa", ciò, del resto, in coerenza con il proprio ruolo di "Restaurant Manager" svolgente mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita. Quanto, in particolare all'ammanco relativo ai contanti ("a. Contanti. i. Giacenza contabile Euro 3.534.56. Inventario contanti alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 2.620,35; registratore di Cassa 1 Euro 300; Registratore di Cassa 2 Euro 300 (unico registratore utilizzato per la vendita al pubblico); Registratore di Cassa 3 Euro 200. Ammanco Euro 3.534,56 - 2.620,35 - 300 - 300 -200 = Euro 114,21"), è risultata smentita la tesi di parte ricorrente relativa, in sostanza, alla possibile alterazione dei files della contabilità ad opera di altri dipendenti del punto vendita (ovverosia che "il sistema gestionale "Sharepoint", dove vengono inseriti i dati contabili, è gestito da tutti e tutti vi possono entrare senza password, pertanto, i dati inseriti dal Se. possono essere modificati/manipolati da chiunque'): il teste Eu.Ca., dipendente della resistente fino ad aprile del 2022 in qualità di capoarea, ha confermato come il sistema sharepoint fosse visibile alla amministrazione della resistente e che solo il ricorrente con la propria utenza aziendale avrebbe potuto modificare il file della contabilità ("i files di share point erano visibili anche all'amministrazione e potevano essere modificati tramite accesso autorizzato, con password. La password è collegata all'indirizzo e mail dello store manager. La modifica dei files poteva avvenire solo da chi avesse accesso con pw"); l'impiegata dell'amministrazione Mo.An.Pu. escussa quale testimone, ha confermato la circostanza ("share point è costituito da più cartelle dove ci sono alcuni documenti sia del punto vendita che dei vari dipendenti. Vi era poi un file relativo alla cassaforte in dotazione ai direttori, responsabili dei punti vendita. Si tratta della chiave che serve ad aprire la cassaforte. C'è un file dove andavano inserite entrate e uscite della cassaforte che poteva essere visto sia da me e dalla collega della contabilità D.Ma.Ma. sia dal direttore e ogni rettifica su questo che è un file excel può essere vista, attraverso la consultazione della cronologia"), precisando che "L'inserimento dei dati nel file era consentito solo ai direttori perché per accedervi era necessaria una password collegata all'e mail aziendale personale" e che se lei o la collega dell'amministrazione avessero notato delle incongruenze si sarebbero rivolte "al direttore per effettuare le rettifiche, che noi non potevamo effettuare" e, pur precisando "che materialmente io avrei potuto modificare il file se lo avessi voluto con la mia password", ha aggiunto che "Non era in uso che un direttore consentisse l'uso della sua password e il ricorrente non me l'ha mai concessa"; la teste Bi.Pa., addetta alla cucina del punto vendita di parte resistente dal 1.12.2021 al 31.20.2022, premesso " di essere ignorante in materia e che il ricorrente mi ha aiutato a imparare ad usare il computer. Io stavo imparando a fare le chiusure di cassa, posso dire di aver usato con lui lo share point, non credo che vi fosse una password mi ricordo una password iniziale se il pc era spento ma se ci fossero altre password non lo so", ha in ogni caso specificato che quando aveva "avuto accesso al sistema era sempre presente il ricorrente perché io non sarei stata capace di usarlo da sola"; la teste An.Ci.Fl., occupatasi dal 21.11.2021 al 31 ottobre 2022 presso il punto vendita di fiano Romano di "apertura del punto vendita, e anche della cucina... anche di operazioni di cassa", sul punto ha riferito "so che solo il direttore aveva accesso allo share point. Io vedevo solo il direttore accedervi dall'ufficio nelle occasioni in cui io andavo a fare il versamento dell'incasso". Priva di rilevanza deve, allora, considerarsi la circostanza che l'ammanco "di Euro 16.08 riguarda la cassa numero 2 che era gestita il 21.4.2022 unicamente dalla dipendente Em.Ba....", non privando di rilievo disciplinare il fatto che "nonostante fosse aperto al pubblico il self service e la dipendente che svolgeva il servizio al banco aveva eseguito la verifica del fondo cassa del registratore numero 3 dedicato appunto al self servici" il ricorrente non avesse consentito "alla addetta al self service di battere i relativi scontrini ed incassare il denaro dalla cassa 3 dirottando le vendite sulla cassa 2", così "impedendo, di fatto, la possibilità di rendicontare il dettaglio dei movimenti contabili relativi alle vendita del self service e contravvenendo alle direttive e all'organizzazione del servizio". Né tantomeno la rilevanza disciplinare della contravvenzione alle regole sulla corretta contabilità aziendale può ritenersi venuta meno per il fatto che l'ammanco "di Euro 114.21 in realtà non sussiste" poiché "Fermo restando che risultava al ricorrente una giacenza di cassa direzione di Euro 2.622,35 (e non Euro 2.620,35), era stata la stessa società resistente a chiedere al Se. di non inserire sul fondo direzione l'importo di Euro 100,00 (vedi parte in fatto, punto 14 bis) per attestati alimentaristi con la conseguenza che l'ammanco, qualora reale, sarebbe pari a modesti Euro 12.21")", tale circostanza al più indicendo solo sul valore economico di uno dei vari ammanchi registrati, gli altri dei quali di ben più rilevante importo. A tale ultimo proposito (trattandosi di ammanco del valore economico totale di Euro 2.675) è risultato parimenti smentito che l'ammanco relativo ai "gratta e vinci", fosse "con molta probabilità correlata alla mancata validazione dei biglietti da parte del personale dipendente ovvero al fatto che la vendita dei biglietti sia stata associata ad altri prodotti, con la conseguenza che l'incasso non registrato è compensato dalla plusvalenza maturata su altri articoli da banco" o fosse riferibile "alla scarsa formazione del personale dipendente che non contabilizzava correttamente la vendita dei "gratta e vinci": il teste Ca. e la teste Pu. hanno confermato la procedura di cassa descritta dalla resistente secondo la quale "Ad ogni inizio turno ogni operatore/cassiere ha una dotazione iniziale di gratta e vinci numerata e valorizzata (facciamo un'ipotesi giacenza inziale 50 gratta e vinci da 20 euro per un importo totale di 1.000 euro). Ogni volta che avviene la vendita di un "gratta e vinci " il registratore di cassa (e non il POS di Lottomatica) annota quanti ne sono stati venduti durante quel turno e quindi, contando il numero dei gratta e vinci venduti, diminuisce la dotazione inziale per il numero e il valore dei gratta e vinci consegnati ai clienti dietro incasso di denaro (ad esempio 20 gratta e vinci da 20 euro per un importo di 400 euro). A fine turno il cassiere si ritrova 30 gratta e vinci per un valore di 600 euro rispetto ai 1.000 iniziali e 400 euro in cassa a seguito dei gratta e vinci venduti. Inoltre, sempre a fine turno, il report del registratore di cassa evidenzia che sono transitati sul lettore di codice a barre 20 gratta e vinci' (il primo specificando "Posso dire che il cibo non riuscivamo a monitorarlo con un inventario giornaliero mentre per il gratta e vinci c 'è un inventario giornaliero per cui essendo contabilizzati è sempre possibile tracciarne la vendita" e la seconda che "chi lavorava in cassa aveva un modulo cartaceo da compilare in cui venivano indicati quanti erano i gratta e vinci in giacenza all'inizio e alla fine del turno proprio per consentire a noi responsabile di fare i controlli tra i gratta e vinci battuti in cassa e quelli indicati in questo report. In aggiunta qualora i responsabili aggiungessero dei gratta e vinci per riassortimento noi responsabili li consegnavamo al cassiere e questi avrebbe dovuto annotarlo sempre su questo report"). Analogamente, i predetti testi e la teste An.Ci.Fl. hanno confermato: che sin dall'apertura del punto vendita di Fiano Romano ove il ricorrente stava lavorando vi fosse un convalidatore di Gratta e Vinci concesso dalla ex Lottomatica in comodato d'uso avente la funzione di accertare i biglietti vincenti tramite riconoscimento a mezzo lettore ottico e/o inserimento manuale del codice a barre sul terminale; che i "gratta e vinci" provenienti da altri locali gestiti dalla resistente sarebbero stati semplicemente consegnati al cliente che li avesse acquistati previo pagamento e dietro emissione di scontrino fiscale, come da procedura vigente in Autogrill, come ogni altro prodotto da banco, con la possibilità, nel caso di vincita, che il cliente la riscuotesse o presso lo stesso punto vendita o in altro abilitato; che per poter ottenere il denaro vinto, l'esercente avrebbe dovuto inserire sull'apparecchio convalidante concesso da Lottomatica il codice a barre del biglietto vincente, e l'apparecchio avrebbe rilasciato uno scontrino con l'indicazione dell'importo della vincita (come desumibile dal doc. n. 9 di parte ricorrente); che sarebbe stato onere del ricorrente, in quanto direttore del punto vendita, conservare i gratta e vinci vincenti per 3 mesi e di tenere il riepilogo per il controllo della giacenza dei gratta e vinci. Il teste Ca., infatti, ha dichiarato: "Alla data del 21.12.2021 l'apparecchio elettronico di cui al capitolo di cui mi chiede esisteva ed era funzionante. L'apparecchio però aveva la pistola con un cavo rovinato che non consentiva del gratta e vinci. Non ricordo il giorno preciso ma posso dire di aver constatato di persona questo difetto del cavo della pistola e che in pochi giorni ho provveduto alla sostituzione della pistola. Nelle more la convalida dei gratta e vinci sarebbe potuta avvenire con la digitazione del codice a barre sulla cassa", confermato il capitolo 14 della memoria di costituzione ("i "gratta e vinci" erano già autorizzati alla vendita: vanno semplicemente consegnati al cliente che li acquista previo pagamento e dietro emissione di scontrino fiscale, come da procedura vigente in Autogrill, come ogni altro prodotto da banco. Nel caso di vincita il cliente può decidere di riscuotere la vincita o presso lo stesso punto vendita o in altro abilitato. Per poter ottenere il denaro vinto, l'esercente inserisce sull'apparecchio convalidante concesso da Lottomatica, il codice a barre del biglietto vincente, e l'apparecchio rilascia uno scontrino con l'indicazione dell'importo della vincita") e che "era noto a tutti gli store manager di tutti i punti vendita che i gratta e vinci dovessero essere conservati per tre mesi decorrenti dalla loro riscossione in caso di vincita. Si tratta di un uso e di una indicazione sia di Autogrill che di Lottomatica"; la teste Pucino ha riferito "che l'apparecchio di convalida del punto vendita di cui mi chiede esisteva e funzionava perché io mi sono occupata della documentazione per spostare fisicamente questo apparecchio da un precedente punto vendita (Pinetina) a quello di Fiano Romano. Mi sono occupata dei documenti per far sì che lo stesso funzionasse presso il punto vendita di Fiano Romano. Prima e dopo l'apertura di questo punto vendita mi ci sono recata, constatando personalmente che l'apparecchio funzionasse, non so essere precisa sulla data ma era poso dopo la data di apertura", di essersi personalmente "trovata alcune volte a stare in cassa presso il punto vendita di Pinetina per cui sapevo come andavano venduti i gratta a vinci e come andavano convalidate le vincite", che "la regola della conservazione dei gratta e vinci vincenti non è una regola aziendale è una regola indicata da Lottomatica. Il ricorrente ne era a conoscenza e tanto posso dire in quanto quando lavoravamo insieme presso il punto vendita di Pientina i gratta e vinci vincenti venivano conservati per tre mesi e distrutti dopo quattro, e comunque inserivamo la data di distruzione sulla scatola ove riponevamo i gratta e vinci vincenti conservati in una cassaforte. Posso dire che il Cr. ha comunicato a noi responsabili l'esistenza di questa regola, non mi ricordo se con e mail ma nel mio caso posso dire che più di una volta me lo ha comunicato al telefono, per il ricorrente non so dire"; la teste An.Ci.Fl., dopo aver ricordato con qualche esitazione "che all'inizio potevamo vendere i gratta e vinci ma facevamo presente ai clienti che in caso di vincita i gratta e vinci di vincita si dovevano riscuotere altrove", ha aggiunto "che di questo se ne occupava il ricorrente e non so quale fosse il motivo per cui non potesse avvenire questa riscossione. Ricordo che il direttore si raccomandava con noi dipendenti di stare attenti ai gratta e vinci che andavano contati ad ogni inizio e fine turno e che questa impossibilità della riscossione sia durata per meno di un mese", ma ha ugualmente confermato la procedura descritta al punto 14 della memoria di costituzione e di sapere che "i gratta e vinci vincenti dovessero essere conservati, non se però per quanto tempo, posso solo dire che io li mettevo nel cassetto dell'ufficio che mi era stato indicato dal direttore. Io stessa se ero di turno compilavo una distinta che conteneva l'incasso del mio turno più i gratta e vinci vincenti". Né può pervenirsi a diverse conclusioni avendo riguardo a quanto dichiarato dalla teste Bi., secondo la quale vi sarebbe stato un periodo di circa 15 giorni in cui l'apparecchio per la convalida dei gratta e vinci vincenti non sarebbe stato "attivo" ("ero presente il 1.12.2021 press il punto vendita di Fiano Romano in quanto vi lavoravo come addetta alla cucina, ciò dal 1.12.2021 al 31.20.2022. Circa l'apparecchio di cui mi chiede posso confermare che c 'era e tanto posso dire in quanto lo usavamo. Specifico che è capitato anche a me di stare in cassa e di usarlo. All'inizio quando abbiamo aperto ma per un periodo che direi possa essere stato intorno ai 15 giorni ricordo che il pos di cui mi chiede non era attivo, non ricordo se per problemi di linea o cosa, ma non funzionava. Che io mi ricordi quindi la convalidazione dei gratta e vinci non era possibile, potevamo vendere i gratta e vinci"), sia perché la teste ha aggiunto che in caso di vincita "dovevamo dire ai clienti che se avessero voluto riscuotere la vincita noi non avremmo potuto convalidare il gratta e vinci per cui la riscossione sarebbe dovuta avvenire per forza presso altro punto vendita", sia perché l'eventuale malfunzionamento dell'apparecchio in questione per un periodo non superiore a due settimane dall'apertura del punto vendita non avrebbe comunque potuto giustificare né la mancata tenuta della corretta contabilità dei gratta e vinci (e in particolare di quelli vincenti che sarebbero stati riscossi presso altri punti vendita), né un ammanco così consistente, né tantomeno le condotte del ricorrente consistite nella convalida di gratta e vinci in assenza di acquisto da parte della clientela e nella omessa conservazione dei gratta e vinci vincenti (la teste avendo comunque riferito "posso dire che in un altro punto vendita i gratta e vinci vincenti fossero messi da parte mentre dopo l'apertura del punto vendita di Fiano Romano non sono stati più messi da parte. Non so perché pensavo fosse cambiata la procedura"). In tale contesto istruttorio, pertanto, è evidente che gli ammanchi relativi ai gratta e vinci vincenti (determinando, evidentemente, un esborso di denaro e non un incasso per il punto vendita) fossero ricollegabili direttamente alla cattiva tenuta della contabilità degli stessi da parte del direttore del punto vendita, il quale, oltre ad essere stato personalmente visto convalidare gratta e vinci in assenza di clientela, aveva disatteso le direttive sulla conservazione e sul riepilogo degli esborsi relativi ai gratta e vinci risultati vincenti (ciò smentendo l'ulteriore difesa del ricorrente secondo cui mancasse "un regolamento aziendale dal quale possa evincersi un obbligo del ricorrente di conservazione dei biglietti "gratta e vinci" una volta che gli stessi erano stati correttamente validati e registrati"). Del resto, anche a voler ammettere che, come dedotto in ricorso, il corrispettivo dei biglietti "gratta e vinci" sarebbe stato "spesso incassato dall'operatore di turno ma il biglietto non veniva convalidato" e che il ricorrente si sarebbe dovuto occupare di "equilibrare" la giacenza di cassa con l'effettivo numero venduti, oppure che "i biglietti "gratta e vinci", soprattutto quelli di taglio piccolo da "3 euro" ...venivano dal personale "battuti a mano" con la conseguenza che il biglietto veniva, sì, incassato ma registrato ed associato ad un diverso codice merceologico appartenente a prodotti da banco e questo determinava un ovvio "disallineamento" tra gli incassi rispetto alle effettive giacenze dei biglietti "gratta e vinci", si tratta di circostanze non solo non emerse dall'istruttoria, ma che, in ogni caso, avrebbero dovuto giustificare una opportuna segnalazione al legale rappresentante della resistente e una particolare attenzione e diligenza nella tenuta e nella ricostruzione della contabilità aziendale piuttosto che l'avallo di una prassi dei dipendenti non consona a quella aziendale o l'abitudine di "cestinare" i biglietti vincenti e determinanti un esborso di denaro da parte della società. Quanto alla mancanza delle "chiusure contabili dal 1 febbraio al 20 aprile' il ricorrente ha laconicamente dedotto che "le chiusure di giornata vengono inviate ogni giorno tramite la piattaforma Sharepoint", senza, tuttavia, contestare che, a differenza delle chiusure giornaliere "gestite dalla società entro massimo tre giorni lavorativi' le chiusure contabili mancanti si riferissero esclusivamente ai "gratta e vinci", così come ammesso dallo stesso ricorrente ed emerso nel corso del giudizio. Da quanto emerso, possono ritenersi provate tutte le contestazioni disciplinari poste a fondamento del licenziamento impugnato. -5- Quanto, infine, alla doglianza secondo cui "... le mancanza rientravano, in ipotesi, in una condotta semmai punibile con una mera sanzione conservativa sia perché del tutto sproporzionato in relazione agli addebiti contestati e, comunque, privo della giusta causa, anche in relazione all'assenza assoluta di precedenti disciplinari", basti osservare come in base all' art. 278 del CCNL del settore Turismo Agenzia di Viaggi e Pubblici Esercizi pacificamente applicato dalla resistente dal 01/04/2022 il "Recesso per "giusta causa " (senza preavviso) Si applica nei confronti del Lavoratore che commetta infrazioni che siano talmente gravi da rendere impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro, per avvenuta grave e irreversibile lesione del rapporto fiduciario. A titolo esemplificativo, quando il Lavoratore', tra le altre ipotesi, "f) commetta nei confronti dell'Azienda furto, frode, danneggiamento volontario o altri simili reati, ed anche se ciò avvenga per colpa grave", "g) falsifichi le scritture contabili aziendali, traendone personale beneficio o determinando, comunque, danno rilevante all'azienda", "l) commetta, colposamente, qualsiasi atto che possa compromettere la sicurezza o l'incolumità del personale o del pubblico e/o arrecare grave danneggiamento alle banche dati, attrezzature, impianti o materiali aziendali". Venendo, adesso, alla valutazione della idoneità dei comportamenti risultati provati ad integrare una giusta causa - valutazione che, pure a seguito delle riforme sulle tutela da apprestare in relazione alle varie ipotesi di illegittimità di licenziamento, va fatta alla stregua dei principi, rimasti immodificati nel tempo ed enucleati al riguardo da una giurisprudenza ormai consolidata (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8254 del 29/04/2004, Cass., Sez. L, Sentenza n. 14586 del 22/06/2009, e, più di recente, sotto il vigore della l. 92/2012, Cass. Sez. L -, Sentenza n. 14505 del 28/05/2019 e Cass. Sez. L -, Sentenza n. 12789 del 21/04/2022) e nell'ambito della quale assume ruolo centrale la configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, sia pure escludendosi una efficacia vincolante delle tipizzazioni in essa contenute (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 33811 del 12/11/2021) - occorre osservare come la società resistente sia pervenuta alla decisione di recedere dal rapporto di lavoro con il ricorrente in quanto il ricorrente con le proprie giustificazioni avrebbe in parte confermato i fatti contestati e in parte reso argomentazioni inidonee a giustificarli. Nel caso di specie possono ritenersi integrate condotte riconducibili quantomeno alla frode o al reato di appropriazione indebita (quanto alle condotte relative alla convalida di gratta e vinci in assenza di clientela e alla mancata contabilizzazione dei biglietti gratta e vinci vincenti) e alla non corretta tenuta delle scritture contabili aziendali determinante comunque un danno rilevante all'azienda, condotte costituenti senz'altro gravi infrazioni tali da rendere impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro, per avvenuta grave e irreversibile lesione del rapporto fiduciario. Il rilevante periodo di tempo durante il quale le menzionate condotte si sono verificate (quantomeno dal 28 gennaio al 21 aprile 2022), la pluralità degli aspetti del rapporto che sono risultati violati (e, cioè, l'aspetto economico, l'aspetto relazionale, l'aspetto organizzativo, questi ultimi rivelanti l'inidoneità del direttore del punto vendita ad organizzare efficacemente le risorse umane e materiali poste a disposizione dall'azienda e l'assenza di collaborazione attraverso la segnalazione delle disfunzioni lamentate solo in ricorso), la reiterazione delle condotte, consentono di considerare condivisibile la valutazione di gravità degli inadempimenti fatta dalla datrice di lavoro, tanto più in considerazione del sicuro rilievo della posizione del ricorrente, dal quale, proprio in considerazione del ruolo di impiegato di primo livello con qualifica di "Restaurant Manager" svolgente mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita assegnato, sarebbero stati esigibili comportamenti alternativi e idonei a radicare la fiducia della datrice di lavoro in ordine al futuro corretto adempimento del rapporto. Per tutte le considerazioni che precedono appaiono irrilevanti le doglianze attinenti alla mancata affissione del codice disciplinare e alla mancata previsione di una norma "secondaria" che sanzionasse il comportamento contestato. -6- A diversa conclusione può pervenirsi solo con riferimento alla domanda avente ad oggetto la condanna della società resistente al pagamento degli emolumenti di fine rapporto. Sul punto parte resistente si è limitata a dedurre di essere rimasta debitrice della minor somma di ad Euro 7.758,21 lordi per TFR risultante dalla busta paga di giugno 2022, non contestando il mancato versamento di tale posta patrimoniale, né tantomeno di non aver provveduto al pagamento dei ROL residui, che, effettivamente, come si apprende sulle attestazioni presenti sulle buste paga, ammontavano a 135, 36 ore alla data di cessazione del rapporto. Di conseguenza, in recepimento del conteggio operato da parte ricorrente (ore residue 135,36x15.48), può concludersi che l'importo dovuto a tale titolo sia pari ad euro 2.095,37. Vanno analogamente accolte le richieste riferite ai ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, correttamente utilizzando quale retribuzione di riferimento l'importo di euro 893,11 (ricavato dividendo la retribuzione globale di fatto 2679,33 per 12 e moltiplicandola per il numero 4 di mesi lavorati nel 2022, da gennaio ad aprile): nulla essendo stato riconosciuto a titolo di quattordicesima mensilità, ed essendo stato liquidato nella busta paga di maggio 2022 il minor importo di euro 218,60 a titolo di tredicesima mensilità, può affermarsi che parte ricorrente sia rimasta creditrice della somma di euro 893,11 per quattordicesima mensilità e della residua somma di 675,05 per tredicesima mensilità. Solo in occasione del deposito delle ultime note attraverso il cui scambio ha avuto luogo l'ultima udienza parte ricorrente ha allegato i conteggi posti a fondamento della domanda relativa ad una maggior somma a titolo di TFR. Poiché dal confronto tra le allegazioni di cui al ricorso e le risultanze della busta paga di magio 2022 richiamata a fondamento della propria richiesta può desumersi che la somma di euro 10.042,00 si riferisse, erroneamente, all'imponibile ai fini del calcolo dei contributi, mentre le allegazioni delle note difensive trovano riscontro nella retribuzione riconosciuta come risultante dai documenti nn. 3 e 5 allegati al ricorso (RAL di Euro 30.999, 92 per il periodo dal 21.9.2018 al 30.3.2022 e di Euro 34.831,26 sino all'11 maggio 2022), in recepimento del conteggio correttamente operato da ultimo dal ricorrente può concludersi che la somma di cui è rimasto creditore per TFR sia pari ad euro 8.252,01. Atteso, dunque, quanto dedotto e documentato con le note scritte da parte resistente circa il versamento della somma netta corrispondente a quella lorda di euro 7.758,21 per TFR, può, pertanto, concludersi che parte ricorrente sia rimasta creditrice della complessiva somma lorda di euro 4157,33 (pari alla somma della differenza per TFR lordo di euro 493,8, dell'indennità per ROL residui di euro 2.095,37, della quattordicesima pari ad euro 893,11 e del residuo dovuto per tredicesima pari ad euro 675,05), somma sulla quale andranno calcolati gli interessi e la rivalutazione monetaria come dovuti per legge. 7- In applicazione del principio stabilito dall'art. 92, secondo comma c.p.c., tenuto conto della soccombenza reciproca e dell'accoglimento della domanda relativa ai crediti di fine rapporto in misura inferiore al valore del petitum, le spese di lite possono essere compensate in ragione di metà; parte ricorrente va in questa sede condannata al pagamento del residuo, che, in applicazione del d.m. 55/2014, tenuto conto della natura, del valore della controversia (primo scaglione delle cause di valore indeterminabile) e dell'attività svolta nel giudizio (articolatasi in una prima udienza di trattazione e i n due udienze istruttoria), si liquidano in complessivi euro 4628,50 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15% IVA e CPA. P.Q.M. il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta le domande proposte ai punti a, b e c delle conclusioni del ricorso del 23.12.2022; condanna RE. SRL in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore di SE. GI. degli emolumenti di fine rapporto nei termini di cui alla motivazione; compensa le spese di lite in ragione di metà, ponendo a carico di parte ricorrente il residuo, liquidato in complessivi euro 4628,50 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15% IVA e CPA. Chieti lì 7 novembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di (...) SEZIONE CIVILE In nome del popolo italiano II Tribunale, nella persona del Giudice dott. (...) (...), ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado, iscritta al numero r.g. 120/22, promossa da: (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. (...), elettivamente domiciliati come in atti OPPONENTI nei confronti di (...) S. SRL, (*** ***), in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale in C. (T.), e per essa la (...) SPA (...), in persona del suo legale rappresentante p.t. con sede in M., rappresentata dalla (...) SPA in persona del suo legale rappresentante p.t., con sede in M., rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliata come in atti. OPPOSTA OGGETTO: opposizione agli atti esecutivi. FATTO E PROCESSO 1. In data 14.04.21, la (...) S. SRL - e, per essa, la (...) S.p.a. - notificava a (...) e a (...) - a mezzo Ufficiale Giudiziario e con le modalità di cui all'art. 143 c.p., per ritenuta irreperibilità degli stessi presso l'indirizzo di residenza anagrafica, sito in C., alla via (...) - un atto di precetto per l'importo di Euro 133.200,31 (oltre accessori e spese), quale debito residuo di un mutuo fondiario di originari Euro 200.000,00, a loro concesso dalla (...) SPA, la quale aveva successivamente ceduto il relativo credito alla precettante, nell'ambito di una più ampia cessione in blocco di crediti, operata ex art. 58 del Testo Unico Bancario. 2. In data 21.6.21, la precettante notificava atto di pignoramento immobiliare al (...) e alla (...), a mani proprie, presso la summenzionata residenza anagrafica, con conseguente instaurazione, innanzi al Tribunale di Chieti, della procedura esecutiva immobiliare n. 65/21 (...) 3. Con ricorso, ex art. 617, comma II, c.p.c., del 9.7.21, gli esecutati proponevano opposizione nei confronti dei summenzionati atti di precetto e di pignoramento, chiedendo al Tribunale: "In via preliminare, di sospendere la presente esecuzione iscritta aln. 65/2021 (...) Imm. del Tribunale di Chieti; - Nel merito, di accertare e dichiarare l'inesistenza e/o nullità della notificazione dell'atto di precetto effettuata in data 14.04.2021 ai sensi dell'art. 143 c.p.c.; - In conseguenza dell'accoglimento delle precedenti domande, di accertare e dichiarare la nullità dell'atto di pignoramento immobiliare notificato in data 21.06.2021 e di dichiarare l'estinzione della procedura esecutiva immobiliare n. 65/2021 (...) e la cancellazione del pignoramento ...". A sostegno delle summenzionate domande ed eccezioni, gli opponenti deducevano: - di non avere mai avuto contezza - prima della ricezione - in data 21.6.21 - della notifica dell'atto di pignoramento - dell'atto di precetto, che la controparte aveva proceduto - illegittimamente - a notificare loro in data 16.3.21, nelle forme di cui all'art. 143 c.p.c., sull'erroneo presupposto che gli esponenti fossero irreperibili nell'abitazione di residenza; - la conseguente nullità della notifica del precetto, dalla quale derivava la nullità del successivo pignoramento. In particolare, gli opponenti - al fine di corroborare la denuncia di nullità di tale notifica ex art. 143 c.p.c. - deducevano che: a) l'abitazione di esclusiva proprietà di (...), insistente all'indirizzo di via (...), in C., contrariamente a quanto riportato nella relata di notifica del primo tentativo di notificazione del precetto (in data 16.3.2021), non era affatto in uno stato di abbandono, tale da avallare lo stato di irreperibilità dei destinatari; b) il medesimo immobile, inoltre, ove gli esponenti risiedevano ed abitavano, non era, situato "in un vicolo della strada principale della zona"; c) dalle fotografie prodotte dagli esponenti si evinceva la presenza di diverse proprietà confinanti con l'immobile sito alla via (...), tra i quali i locali locati dallo stesso (...) a P.I., il laboratorio ove il medesimo svolgeva la propria attività, al quale si accedeva da una scalinata vicino l'abitazione, utilizzato anche per l'ingresso dei dipendenti, oltre ad un parcheggio che serviva il predetto laboratorio; si trattava di luoghi e locali dove l'addetto U. avrebbe potuto facilmente chiedere informazioni sui destinatari della notifica; d) inoltre, nel predetto laboratorio, sito in via (...)n. 13, era stata eseguita la notifica dell'atto di pignoramento (come dichiarato dall'addetto U. in una e-mail trasmessa alla creditrice), in contrasto con quanto riportato nella relata di notifica, riportante l'indirizzo di via (...) e) tra l'immobile ove avrebbe dovuto essere notificato l'atto di pignoramento (via (...) n. 235) e il laboratorio del (...) - ove l'ufficiale notificante aveva affermato che fosse avvenuta la notificazione dell'atto di pignoramento (via (...) n. 13) - vi era una distanza di soli 180 metri, o di soli 50 metri, a seconda del percorso per il quale si optava; f) visto lo "stato dei luoghi" descritto, era giocoforza concludere che, né da parte dell'ufficiale giudiziario, né tantomeno dalla creditrice, erano state effettuate suppletive indagini per confermare l'irreperibilità assoluta dei destinatari, tale da giustificare la successiva notifica ex art. 143 c.p.c.; g) ad ulteriore dimostrazione del difetto di diligenza adottato dalla controparte, o in ogni caso dall'addetto U., vi era la circostanza per la quale, senza alcun mutamento dello "stato dei luoghi", in occasione della notifica dell'atto di pignoramento immobiliare del 21.6.21, l'ufficiale incaricato, sebbene avesse dichiarato a posteriori, in successiva e-mail alla creditrice, di aver eseguito la notifica nel laboratorio di via (...), aveva formalmente eseguito la notifica a mani proprie del (...), presso l'indirizzo di via (...), come da relativa relata di notifica, la quale era atto di pubblico ufficiale sorretto da "pubblica fede; h) infine, a riprova della loro reperibilità, gli stessi opponenti avevano regolarmente ricevuto in data prossima (sia antecedente che successiva a quella della notifica ex art. 143 c.p.c.) anche altre notifiche e comunicazioni di vario genere, all'indirizzo di via (...), come da documentazione depositata. 4. La (...) S. SRL e, per essa, la (...) C. (...) SPA - nel costituirsi nel giudizio di opposizione - controdeduceva la legittimità della notifica del precetto eseguita nelle forme di cui all'art. 143 c.p.c., in quanto l'ufficiale Giudiziario - in occasione del proprio accesso presso la abitazione di residenza anagrafica delle controparti - aveva constatato che la stessa appariva in stato di abbandono e che la cassetta postale era priva di nominativi, né era esigibile dal predetto pubblico ufficiale una diligenza diversa da quella dallo stesso nell'occasione tenuta. 5. Con ordinanza del 30.11.21, il (...) a) rigettava (con provvedimento successivamente confermato dal Tribunale, in composizione collegiale, in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.) l'istanza degli opponenti di sospensione cautelare della procedura esecutiva, ritenendo rituale la notifica del precetto avvenuta ai sensi dell'art. 143 c.p.c.; b) condannava gli opponenti al rimborso delle spese di lite di parte opposta; c) fissava il termine di legge per la instaurazione del giudizio di merito. 6. Il (...) e la (...) hanno quindi instaurato - ex art. 617 c.p.c. - il presente giudizio, reiterando le domande ed eccezioni già avanzate innanzi al (...) 7. Parte opposta - nel costituirsi nel processo - ha chiesto il rigetto dell'opposizione, sulla base delle medesime argomentazioni già addotte innanzi al (...) 8. La causa - articolatasi nelle fasi di trattazione e di istruttoria documentale - giunge alla odierna decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 9. (...) è fondata, per le ragioni di seguito esposte. 10. Giova sottolineare preliminarmente - in ordine al tema dell'efficacia sanante che la proposizione di un'opposizione può avere sui vizi di notifica degli atti esecutivi - che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, "a differenza del vizio di notificazione del pignoramento, la nullità della notifica del precetto può essere sanata, ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 3, dalla proposizione dell'opposizione, quale dimostrazione della intervenuta conoscenza dell'atto, solo quando è provato che tale conoscenza si è avuta in tempo utile a prevenire il pignoramento, atteso che la funzione tipica dell'atto di precetto è quella di consentire all'intimato di adempiere spontaneamente all'obbligazione pagina portata dal titolo esecutivo, evitando l'avvio dell'esecuzione forzata contro di lui" (Cass., 16/10/2017, n. 24291, Cass., 15/09/2020,n. 19120; Cass. sez. III, 06/06/2022, n. 18112). Pertanto, "se lo scopo cui è preordinato l'atto di precetto è di consentire all'intimato di prevenire l'attuazione del pignoramento (mediante il pagamento spontaneo o proponendo opposizione con contestuale richiesta di sospensione pre-esecutiva), non potrà aversi sanatoria ex art. 156, terzo comma, cod. proc. civ. del vizio di notifica dell'atto se nel frattempo il pignoramento è stato già eseguito. In simili circostanze non si può ritenere che la nullità della notifica dell'atto di precetto venga sanata dal raggiungimento dello scopo, atteso che la sanatoria potrebbe intervenire solo qualora sia provato che l'opponente abbia avuto comunque conoscenza dell'avvenuta notifica del precetto prima della esecuzione del pignoramento, ovvero in tempo utile per adempiere spontaneamente evitando il pignoramento stesso e le relative spese " (Cass. Sez. 3 -, Sentenzan. 24291 del 16/10/2017; Cass. Sez. 3, 23 giugno 2014,n. 14209, non massimata). 10.1 Da quanto detto consegue che "il vizio di notificazione dell'atto di precetto, della cui esistenza il debitore sia giunto a conoscenza solamente nel momento in cui stato eseguito il pignoramento, non è più sanabile per il raggiungimento dello scopo ..." e che, in presenza di un tale vizio di notifica, "va dichiarata la nullità dell'atto di precetto e del successivo atto di pignoramento" (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 24291 del 16/10/2017; Cass., 15/09/2020,n. 19120). 10.2 Nella specie, posto che gli opponenti hanno denunziato sia la nullità della notifica del precetto - operata ex art. 143 c.p.c. in data 16.3.21 - sia il conseguente fatto di avere avuto contezza di detto precetto soltanto all'atto della ricezione della notifica del successivo pignoramento (avvenuta in data 21.6.21 a mani proprie), ossia in tempo non più utile a prevenire il pignoramento, la decisione della opposizione (la proposizione della quale non può avere - nella specie - alcun effetto sanante dell'asserito vizio di notifica del precetto) passa attraverso la verifica della legittimità o meno del procedimento notificatorio del precetto, eseguito nelle forme di cui all'art. 143 c.p.c.. 11. Venendo all'esame della relata di notifica ex art. 143 c.p.c. del precetto (notifica che l'ufficiale giudiziario aveva tentato presso la abitazione di residenza anagrafica dei precettati, sita in C., Via P. (...) (...)n. 235) si legge in essa: "... lo sottoscritto Ufficiale Giudiziario ... ho notificato copia del suesteso atto di precetto a: (...) - (...) (...), residenti in C., Via P. (...) (...)n. 235: anzi non potuto notificare perché all'indirizzo indicato non ho rinvenuto alcun indizio sulla cassetta postale e sul campanello riferibile al destinatario l'abitazione sembra abbandonata". Al riguardo, è opportuno sottolineare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, " ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario della notifica, ai sensi dell'art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che deve quantomeno consistere nella raccolta, da parte dell'ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell'atto dai residenti interpellati. L'ufficiale giudiziario che, una volta verificata la mancanza del nominativo del notificando sui citofoni e sulle cassette postali, si astenga dal compiere ogni ulteriore ricerca ed indagine viene senz'altro meno al suo dovere di "normale diligenza" nello svolgimento dell'attività notificatoria" (Cass. sez. I, 27/01/2022,n.2530). 11.1 Si è pertanto statuito che, "non sussistendo per legge alcun obbligo, per i soggetti giuridici, di indicare il proprio nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, l'ufficiale giudiziario, ove verifichi, in uno stabile privo di portiere, l'assenza del nominativo del soggetto destinatario della notifica in corrispondenza dell'interno che il richiedente indica quale luogo di residenza, e ove constati la presenza, invece, del nominativo di altri soggetti i quali risultino momentaneamente assenti, deve procedere comunque alla notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c., e non può limitarsi invece - tanto più in un ampio e moderno contesto urbano - a stendere una relazione negativa, neppure ove fondata sulle informazioni negative delle altre "persone del luogo "(Cass. nella sentenza n. 11138/2003; Cass. n. 6761/2004). 11.2 Già Cass. n. 18385 del 2003 (richiamata in senso conforme anche dalla recente Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 40467 del 16/12/2021) aveva statuito che " l'ufficiale giudiziario debba comunque preliminarmente concretamente accedere nel luogo di ultima residenza nota, al fine - fra l'altro - di attingere, anche nell'ipotesi di riscontrata assenza di addetti o incaricati alla ricezione della notifica, comunque eventuali notizie utili in ordine alla residenza attuale del destinatario della notificazione". 11.3 Nella più recente sentenza n. 19012/2017, la Suprema Corte, nel ritenere legittima la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c. ad un destinatario, il cui nominativo non era stato rinvenuto sui citofoni e neppure sulle cassette postali, aveva valorizzato la circostanza che l'ufficiale giudiziario aveva attestato di aver raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell'atto, dai residenti interpellati. 11.4 Nella sentenza n. 8638/2017, la Cassazione, sempre in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., ha enunciato il principio di diritto secondo cui "l'ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione". In particolare, nel caso concreto esaminato dalla predetta sentenza, il giudice di legittimità ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la regolarità di una notifica eseguita ex art. 143 c.p.c. semplicemente sulla base dell'assenza del nominativo della destinataria sul citofono dell'indirizzo di residenza anagrafica, trascurando di rilevare che la dicitura "famiglia" seguita da altro cognome, presente sullo stesso citofono, corrispondeva effettivamente alla residenza della destinataria, essendo quel cognome riferibile al defunto marito. 11.5 Si è così ribadito il principio per cui "il ricorso alle formalità di notificazione previste dall'art. 143 c.p.c. per le persone irreperibili non può essere affidato alle mere risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto" ( Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 40467 del 16/12/2021: nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidità di una notificazione ex art. 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di "vane ricerche eseguite sul posto" dall'ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attività a tal fine compiute). 11.6 Da ultimo la Corte di Cassazione (Cass. sez. I, 27/01/2022,n.2530) - dopo avere richiamato il contenuto delle sentenze sopra menzionate, ha affermato che da esse " emerge in modo inconfutabile che la Suprema Corte non ha mai ritenuto sufficiente, ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario della notifica, ai sensi dell'art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve quantomeno consistere nella raccolta, da parte dell'ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell'atto dai residenti interpellati". Ha quindi affermato il principio per cui "l'ufficiale giudiziario che, una volta verificata la mancanza del nominativo del notificando sui citofoni e sulle cassette postali, si astenga dal compiere ogni ulteriore ricerca ed indagine, quantomeno nei termini sopra illustrati, viene senz'altro meno al suo dovere di "normale diligenza" nello svolgimento dell'attività notificatoria" e - di conseguenza - la notifica è nulla (Cass. n. 17205 del 11/07/2013; Cass. n. 2976 del 10/02/2006; Cass. n. 18385 del 02/12/2003; Cass. Sez. U,n. 6737 del 10/05/2002 tra le varie). 11.7 Va inoltre rammentato che " i presupposti, legittimanti la notificazione a norma dell'art. 143 c.p.c., non sono solo il dato soggettivo dell'ignoranza, da parte del richiedente o dell'ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell'atto, né il mero possesso del certificato anagrafico, dal quale risulti il destinatario stesso trasferito per ignota destinazione, essendo anche richiesto che la condizione di ignoranza non sia superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l'ordinaria diligenza: a tal fine, la relata di notificazione fa fede, fino a querela di falso, circa le attestazioni che riguardano l'attività svolta dall'ufficiale giudiziario procedente e limitatamente ai soli elementi positivi di essa, mentre non sono assistite da pubblica fede le attestazioni negative, come l'ignoranza circa la nuova residenza del destinatario della notificazione" (sez. 3 -, Ordinanza n. 40467 del 16/12/2021; Cass. n. 19012 del 2017). 11.8 Nel caso affrontato da Cass. Sez. 3 - Ordinanza n. 40467 del 16/12/2021, summenzionata, l'indicazione di "vane le ricerche esperite sul posto", al cospetto dell'accertata residenza anagrafica, evidenziava - ad avviso della Suprema Corte - " una carenza del procedimento notificatorio sotto il profilo del requisito della effettività delle ricerche e della specifica indicazione di quali siano state le "effettive" ricerche compiute, rilevante nel caso di specie come requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell'atto (art. 156, comma 2, cod. proc. civ.)". Sottolinea, infatti, la Suprema Corte che, " in mancanza infatti della specifica indicazione delle effettive ricerche compiute, la generica indicazione di "vane le ricerche esperite sul posto" è inidonea ad integrare un fatto di cui l'ufficiale giudiziario dia conto nel processo verbale, per il quale incomba sulla parte interessata l'onere di proporre querelai di falso, ma ha la valenza esclusivamente di una valutazione, non assistita, come è noto, dalla precipua efficacia dell'atto pubblico (in particolare, l'ufficiale giudiziario ha stimato "vane" le ricerche esperite, ma ha omesso di attestare i fatti, che sarebbero avvenuti, corrispondenti alle ricerche eseguite)". Pertanto, " il ricorso alle formalità di notificazione di cui all'art. 143 cod. proc. civ., per le persone irreperibili, non può essere affidato alle mete risultanze di una certificazione anagrafica, ma presuppone sempre e comunque che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l'ufficiale giudiziario dia espresso conto, presupposti questi in assenza dei quali la notifica è nulla" (Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 24107 del 28/11/2016: nella specie, la S.C. ha ritenuto la invalidità di una notificazione ex art. 143 c.p.c. la cui relata recava la mera indicazione di "vane ricerche eseguite sul posto" dall'ufficiale giudiziario, senza la specificazione delle concrete attività a tal fine compiute; cfr. in senso conforme Cass. n. 17205 del 11/07/2013; Cass. n. 2976 del 10/02/2006; Cass. n. 18385 del 02/12/2003; Cass. Sez. U,n. 6737 del 10/05/2002 tra le varie). 11.9 Inoltre, " le condizioni legittimanti la notificazione a norma dell'art. 143 cod. proc. civ. non sono rappresentate dal solo dato soggettivo dell'ignoranza da parte del richiedente o dell'ufficiale giudiziario circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell'atto, ne' dal possesso del solo certificato anagrafico dal quale risulti che il destinatario è trasferito per ignota destinazione. È richiesto anche che la condizione di ignoranza non possa essere superata attraverso le indagini possibili nel caso concreto, che il mittente deve compiere usando l'ordinaria diligenza" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1092 del 03/02/1998: nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto la nullità della notificazione ex art. 143 poiché il creditore procedente era a conoscenza del luogo ove lavorava l'interessato e ove lo stesso era stato raggiunto da altra notificazione). Da quanto detto consegue che " è nulla la notificazione effettuata con le modalità previste dell'art. 143 cod. proc. civ., quando sia noto il luogo di lavoro del destinatario e tale notifica non può essere equiparata a quella eseguita ai sensi dell'alt. 139 cod. proc. civ., nemmeno quando il destinatario abbia come luogo di lavoro la casa comunale nella quale è depositata copia dell'atto ai sensi dell'alt. 143 cod. proc. civ." (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10217 del 10/05/2011; Cass. 23 giugno 2009,n. 14618). 12. Alla luce dei superiori principi di diritto, emerge con evidenza la nullità - da diverse prospettive - della notifica del precetto, operata ai sensi dell'art. 143 c.p.c.. 12.1 In primo luogo, l'ufficiale giudiziario si è limitato a constatare la mancanza di nominativi dei destinatari nella cassetta postale presente al fianco del portone della casa di residenza anagrafica degli stessi e a valutare un non meglio identificato "apparente abbandono" dell'abitazione, senza tuttavia specificare quali fossero nell'occasione gli elementi percepiti dai quali lo stesso aveva dedotto la impressione che si trattasse di una abitazione abbandonata. 12.2 In secondo luogo, è pacifico (in forza di quanto attestato dall'ufficiale Giudiziario nella relata di notifica) che lo stesso nell'occasione non ha compiuto ulteriori attività di ricerca dei destinatari, quali quelle relative, ad esempio, alla acquisizione (ovvero al tentativo di acquisizione) di informazioni in loco da terzi, ciò anche in considerazione del fatto (documentato dalle fotografie in atti) che l'immobile in questione non era in luogo isolato, bensì aveva in adiacenza numerose case di abitazione e uffici. 12.3 In terzo luogo, la circostanza che la abitazione di residenza dei precettati non fosse in stato di abbandono, ma rappresentasse un idoneo luogo di ricezione, da parte degli stessi (ivi reperibili) di comunicazioni e notifiche di atti, è dimostrato dal fatto - di cui gli opponenti hanno fornito prova documentale - che ivi essi ricevettero, immediatamente dopo la data (16.3.21) della "tentata notifica" del precetto, non solo le notifiche e comunicazioni di svariati atti da parte di terzi (notificazione della Agenzia delle Entrate consegnata a (...) (...) in data 17.03.2021; notificazione della Agenzia delle Entrate consegnata a (...) in data 29.04.2021: cfr. la documentazione versata dagli opponenti), ma anche - in data 21.6.21 - la notifica, a mani proprie, dello stesso atto di pignoramento immobiliare preannunciato con il precetto. 12.4 In quarto luogo, l'ulteriore assunto di parte opposta, per cui non si poteva nell'occasione pretendere "dall'ufficiale Giudiziario Sig. (...) (...), in sostituzione del Dott. (...) Di (...) (competente territorialmente) ... le conoscenze di territorio/soggetti dell'area interessata" (cfr. pag. 6 della comparsa di costituzione) è assunto infondato, in quanto pretende di attribuire rilievo processuale (contrariamente a quanto ribadito dalla Suprema Corte, nelle pronunzie sopra richiamate) il dato soggettivo dell'ignoranza, da parte del richiedente o dell'ufficiale giudiziario, circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell'atto. 12.5 In quinto luogo, all'epoca della notifica del precetto secondo il rito degli irreperibili, il luogo di lavoro di (...) (...) era certamente conoscibile con l'ordinaria diligenza, tanto più da un soggetto qualificato, come l'istituto di credito precettante, posto che quello - come da visura camerale in atti - svolgeva da tempo la sua attività imprenditoriale in Chieti, Via (...) snc ed aveva regolare pec; inoltre, il fatto che tale luogo di lavoro non solo fosse agevolmente conoscibile al notificante, ma che in concreto fosse conosciuto anche dall'ufficiale Giudiziario competente per territorio, lo si evince da quanto sottolineato dalla stessa parte opposta - sin dalla comparsa di risposta - in ordine a quanto "lo stesso Ufficiale Giudiziario II Dott. Di (...), ufficiale notificante " - a loro richiesta a mezzo e-mail sulle modalità della predetta notifica - in data 26.11.2021 così rispondeva: "(...) di aver provveduto alla notifica in oggetto, consegnata a mani proprie del sig. (...) (...) presso il laboratorio in via (...) (...) , ove esercita la professione, non avendo rinvenuto il nominativo presso l'indirizzo di Via (...), 235 ove non ho potuto acquisire utili informazioni". Alla luce delle superiori considerazioni, va riconosciuta la nullità della notifica del precetto e - di conseguenza - la nullità del pignoramento che a quella è conseguito, mentre esulano dalla competenza del giudice della opposizione (rientrando in quella del (...) la domanda ulteriore degli opponenti di dichiarare l'estinzione della procedura esecutiva e di disporre la cancellazione del pignoramento (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17367 del 2011). A tale ultimo riguardo, è noto che " la cancellazione della trascrizione del pignoramento, che va certamente disposta quale conseguenza della chiusura anticipata o dell'estinzione in senso tecnico del processo esecutivo, deve essere comunque sempre intesa come subordinata, nella sua effettiva attuazione in concreto, alla definitività del provvedimento che ne costituisce il presupposto" (Cass. sez. III, 07/08/2023, n. 23941). La disciplina delle spese di lite del presente giudizio (di cui gli opponenti hanno chiesto il rimborso: cfr. l'atto di citazione) segue - ex lege - la soccombenza di parte opposta, con liquidazione come da dispositivo, in favore del difensore degli opponenti, dichiaratosi antistatario e secondo i parametri tabellari medi vigenti delle cause di valore corrispondente a quello del precetto opposto. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto aIR.G. n. 120/2022, ogni contraria istanza ed eccezione disattese, così decide: In accoglimento dell'opposizione DICHIARA la nullità della notifica del precetto opposto. Per l'effetto DICHIARA la nullità del pignoramento immobiliare opposto. DICHIARA inammissibili nel presente giudizio di opposizione le altre domande degli opponenti. CONDANNA parte opposta al rimborso delle spese del presente giudizio sostenute dagli opponenti, che liquida - in favore del loro difensore, dichiaratosi antistatario - in Euro 786,00 per esborsi, in Euro 5.077,00 per compensi, oltre il 15% sui compensi per rimborso forfettario delle spese di lite, oltre ulteriori accessori di legge. Alla Cancelleria per quanto di sua competenza. Così deciso in Chieti il 12 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2023.
Tribunale Ordinario di Chieti SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Gianluca Falco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado, iscritta al n. r.g. 1524/2021, promossa da: (...) S.P.A. (C.F./P. IVA (...)), rappresentata e difesa dagli Avv.ti (...) elettivamente domiciliata come in atti. APPELLANTE contro (...) s.n.c. (P.IVA: (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...), elettivamente domiciliata come in atti. APPELLATO nonché nei confronti di (...) CONTUMACE OGGETTO: sinistro stradale - appello a sentenza del Giudice di Pace di Chieti n. 71/2021. CONCLUSIONI All'udienza del 20.3.23, le parti costituite hanno concluso come da relativo verbale: "Oggi 20 marzo 2023, alle ore 10:39, innanzi al dott. Gianluca Falco, sono comparsi: Per parte appellante l'avv. (...) in sostituzione degli avv.ti Hazan e Taurini, il quale contesta gli avversi rilievi concernenti asserite irritualità delle produzioni, si riporta agli atti precedentemente depositati e precisa le conclusioni come da note di trattazione scritta per l'udienza del 14.2.2022 e datate 8.2.2022; senza rinunciare alla istanza di CTU estimativa sul veicolo tg. (...), chiede che la causa venga trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 cpc. Per (...) è presente, in sostituzione dell'Avv. (...), l'Avv. (...), il quale impegna e contesta gli avversi assetti, si riporta alle conclusioni di cui alla comparsa e chiede la concessione dei termini ex art. 190 cpc". FATTO E PROCESSO 1. Con citazione del 14-17.4.2020, la (...) s.n.c. convenne in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Chieti, la sig.ra (...) e la (...) S.P.A., deducendo - in sintesi per quanto d'interesse - che: a) in data 22.11.2019, alle ore 18:00 circa, si era verificato un sinistro stradale, nel quale la sig.ra (...), alla guida del proprio veicolo Ford Fiesta, mentre era ferma nel piazzale della stazione in Chieti Scalo, perché in colonna dietro altre vetture, veniva tamponata da tergo dalla vettura della sig.ra (...) (assicurata per la R.C.A. dalla (...) S.P.A), la quale usciva incautamente in retromarcia da un parcheggio; b) in conseguenza del sinistro, per il quale era stato redatto il "CID", la vettura della (...) riportava danni per Euro 2.340,05, necessitando di riparazioni; c) sempre in conseguenza del sinistro veniva fornita alla (...) (dalla (...) snc) una vettura sostitutiva durante l'esecuzione delle riparazioni, per consentirle di attendere alle proprie necessità lavorative e familiari, al costo complessivo di Euro. 219, 60; d) nelle more, la (...) cedeva alla menzionata Carrozzeria il credito maturato per i danni materiali subiti in conseguenza del sinistro; e) al fine di curare la fase stragiudiziale della controversia, veniva conferito dalla esponente un mandato alla (...) srl, la quale provvedeva ad inviare, in data 19.12.2019, alla (...) S.P.A. una diffida ex art. 148 c.d.a., con contestuale invito ad aderire ad una convenzione di negoziazione assistita per la risoluzione del contenzioso; f) a seguito di detta diffida, la (...) spa provvedeva unicamente al pagamento della somma di Euro 1.050,00, ritenuta dall'esponente insufficiente rispetto ai danni materiali patiti, agli oneri sostenuti per il noleggio di un'auto sostitutiva e alle spese stragiudiziali sostenute, quest'ultime pari ad Euro 550,00; g) la (...), inoltre, non aderiva alla proposta procedura di negoziazione assistita. 2. Tanto premesso, l'attrice concludeva chiedendo al GDP di Chieti di: "A) dichiarare - ed accertare solo se contestata - la responsabilità esclusiva a carico della sig.ra (...) nella causazione del sinistro in oggetto ex art. 2054, 1° e 3° c.c.; B) per l'effetto condannare la (...) Spa ex D.L.vo 209/2005, al risarcimento del danno subito dall'attore - cessionario in conseguenza del sinistro in oggetto pari a complessivi: 1) Euro 2.304,05= per il danno alla vettura; 2) Euro. 219,60=per servizio auto sostitutiva; 3) Euro 550,00 dovuti per la complessiva assistenza stragiudiziale prestata in via stragiudiziale che ha condotto l'offerta (omissis) 4) ed inoltre alla luce della mancata partecipazione alla negoziazione assistita promossa ex art. D.L. 132/2014 art. 4 comma condannare anche al pagamento della somma equitativa di Euro 270,00= in favore dell'attore; e così per un importo complessivo di Euro. 3.379,65= a cui va detratto l'importo di Euro. 1.050,00= e così per un residuo di Euro. 2329,65= salva la diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia all'esito dell'espletanda istruttoria, oltre interessi al tasso legale e rivalutazione ex art. 1224 c.c. dalla data del sinistro fino a quella effettivo soddisfo. Il tutto comunque nei limiti di competenza del Giudice adito e, solo ai fini del pagamento del contributo unificato L. 488/99 nei limiti dello scaglione di Euro 5.142,00=; C) condannare in ogni caso i convenuti alla rifusione, in favore dell'esponente, delle spese, e competenza del presente giudizio in favore del procuratore distrattario. 3. La (...) S.P.A. - nel costituirsi in giudizio - chiedeva preliminarmente la pronunzia di improcedibilità della domanda attorea, per il mancato espletamento della procedura di negoziazione assistita (erroneamente avanzata dalla controparte - a suo dire - nelle more delle fase stragiudiziale), e nel merito, il rigetto delle avverse domande, assumendo che: aa) la somma di Euro 1.050,00, già versata alla controparte, doveva ritenersi adeguata e satisfattiva di tutti i danni subiti dalla (...) a seguito del sinistro; bb) in particolare, dal perito dell'assicurazione risultava che non tutti i lavori eseguiti sull'auto riguardassero danni compatibili con il sinistro occorso; cc) con riguardo alla vettura sostitutiva, la assegnazione di questa si era resa necessaria solo "a partire dal 14.12.2019, ovvero successivamente ad un altro sinistro stradale" patito dalla medesima vettura; dd) sempre con riguardo alla vettura sostitutiva, controparte non aveva dato prova precisa della necessità di usufruire di un veicolo a noleggio; ee) in relazione alle spese stragiudiziali asseritamente sostenute, queste non erano dovute, perché non necessarie ed inutili; ff) parimenti, non poteva ritenersi fondata la richiesta di condanna al pagamento della somma equitativa di Euro 270,00. 4. All'esito del giudizio di prime cure (svoltosi nella contumacia della sig.ra Parisse ed articolatosi nelle fasi di trattazione e di istruttoria orale, nonché nell'espletamento di un CTU volta alla determinazione dell'esatto ammontare dei danni, della congruità e durata del "fermo tecnico"), il Giudice di Pace, con sentenza n. 71/2021, così decideva: "- Condanna in solido tra loro le convenute (...) ASS.NI SPA (...) e la Sig.ra (...) (...)al risarcimento dei danni in favore dell'attrice (...) s.n.c. (...), nella qualità cessionaria del credito vantato dalla sig.ra (...) mediante il pagamento della somma di euro 2.489,60 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del soddisfo decorrenti dalla data dell'evento sino all'effettivo pagamento. - pone definitivamente le spese di CTU per euro 550,00 a carico delle convenute in via solidale che dovranno rimborsare a parte attrice quanto anticipato. -condanna, infine, le medesime convenute al pagamento delle spese giudiziali in favore dell'attrice che liquida complessivamente in Euro 1.330,00 di cui Euro 125,00 per spese ed Euro 1.205,00 per compenso di avvocato oltre IVA, CPA e rimborso forf. al 15% come per legge da distrarsi in favore dell'Avv. (...) che si è dichiarato antistatario avendo fornito la relativa dichiarazione." 5. La (...) S.P.A. ha proposto appello avverso detta sentenza, della quale ha chiesto la riforma integrale, previa rinnovazione della CTU espletata, in quanto erronea, posto che: A) il CTU, disattendendo le specifiche critiche avanzate dal CTP (dott. (...)), aveva basato i propri calcoli, relativi alla quantificazione del danno materiale subito dall'auto incidentata, senza tener conto della fattura emessa dal riparatore, né della perizia di stima della compagnia assicurativa, né, in ogni caso, dei danni ricollegabili al secondo incidente occorso alla (...) successivamente a quello per cui è causa; B) la quantificazione della manodopera risultava errata; C) con riferimento alla prova specifica necessaria per il riconoscimento del fermo tecnico, non erano state allegate circostanze idonee non solo a provare il rapporto di autonoleggio, ma nemmeno a dimostrare il nesso eziologico con l'incidente de quo, né a motivare il noleggio medesimo; D) ulteriormente, risultava eccessivo l'esborso di Euro 219,60, per detto noleggio; E) non erano dovute le spese stragiudiziali asseritamente sostenute dalla controparte (pari ad euro 550,00), difettando del carattere di "necessità" in presenza della pendenza della procedura prevista dall'art. 148 c.d.a.; F) infine, anche alla luce delle precedenti argomentazioni espresse, non sussisteva una responsabilità processuale gravata per la mancata adesione alla negoziazione assistita da parte della compagnia assicurativa. 6. La (...) s.n.c., nel costituirsi in giudizio, ha eccepito - in via preliminare - la inammissibilità dell'appello per difetto di specificità dei motivi di gravame e - nel merito - il rigetto di quest'ultimo, assumendo la piena correttezza della sentenza impugnata. 7. La causa - nella quale la (...) è rimasta contumace - è giunta alla odierna decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 8. L'appello avanzato dalla compagnia assicurativa è ammissibile e parzialmente fondato, per le ragioni di seguito esposte. 9. Innanzitutto, va rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dalla (...). 9.1 Infatti, la (...) ha indicato in modo circostanziato tanto le ragioni di fatto e di diritto poste alla base delle censure mosse alla sentenza impugnata, quanto le consequenziali richieste di riforma della stessa (inattendibilità ed erroneità degli esiti della CTU espletata in I cure, alla luce delle risultanze documentali acquisite e delle note critiche del proprio CTP; difetto di prova della riconducibilità di parte dei danni materiali lamentati dalla controparte al sinistro oggetto di causa; difetto di prova dei presupposti di risarcibilità del costo del noleggio di auto sostitutiva e delle spese di assistenza stragiudiziale; insussistenza dei presupposti della condanna pecuniaria subita per la propria mancata partecipazione alla procedura di negoziazione assistita; conseguenti richieste di rigetto delle avverse domande, con diritto alla restituzione delle somme corrisposte alla controparte - in esecuzione della sentenza impugnata). 9.2 A fronte di tali circostanziate censure alla sentenza di prime cure, la (...) - nell'atto di costituzione nel presente giudizio - ha a sua volta svolto altrettanto circostanziate argomentazioni di segno contrario, volte a corroborare la tesi della piena correttezza del provvedimento censurato; 9.3 Ed è noto che, "essendo l'appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi - previsto dall'art. 342, comma 1, c.p.c. - prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che (come avvenuto nella specie: ndr) al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l'impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell'impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure" (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 2320 del 25/01/2023). 10. Passando all'esame del merito del gravame, giova sottolineare previamente che "il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15300 del 12/07/2011; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15300 del 12/07/2011; Cass. 16-4-2008 n. 9917; 12-9-2003 n. 13430; Cass. 25-91998 n. 9592), "con conseguente impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove ormai assunte, le quali possono giovare o nuocere all'una o all'altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte" (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 15480 del 14/09/2012; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21909 del 25/09/2013). Del resto, è noto che "il giudice di secondo grado, per decidere la controversia sottoposta al suo riesame, può agire con piena libertà senza essere tenuto a seguire criticamente, punto per punto, la sentenza impugnata e quindi egli può, senza essere soggetto ad alcun vincolo, salva l'ipotesi che su taluni punti della controversia la sua indagine sia preclusa per essersi formata la cosa giudicata, non soltanto pervenire a diverse conclusioni in base ad un diverso apprezzamento dei fatti, ma anche giungere alla medesima soluzione in forza di motivi e di considerazioni che il primo giudice aveva trascurato e così sostituire totalmente la propria motivazione a quella della sentenza di primo grado, pur confermandone il contenuto decisorio" (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 1323 del 19/01/2018). 11. Tanto premesso, non meritano accoglimento - per le ragioni di seguito esposte - le censure mosse dalla appellante alla identificazione e quantificazione dei costi di riparazione del veicolo, come operata dal Giudice di Pace, sulla base delle risultanze processuali acquisite e degli esiti delle indagini tecniche espletate dal CTU. Di conseguenza, non è condivisibile la pretesa della impugnante di espletare una nuova CTU sul veicolo incidentato. 11.1 In primo luogo, va sottolineato come, dalla documentazione versata in atti dall'attrice, può acquisirsi la prova della specifica tipologia, della allocazione e della entità dei danni materiali subiti dal veicolo in conseguenza del tamponamento subito ad opera dell'altra vettura (cfr. le fotografie del veicolo incidentato; cfr. il disegno della allocazione dei danni realizzato e confermato dalla conducente del veicolo tamponato, all'atto della sottoscrizione del modulo di contestazione amichevole del sinistro). 11.2 In secondo luogo, la attrice ha indicato (tanto nella fase stragiudiziale ante causam, quanto nell'atto introduttivo del giudizio) e documentato la tipologia ed il costo degli specifici lavori di riparazione operati sul veicolo (cfr. la fattura n. 43/20 di riparazione, contenente l'elencazione circostanziata dei lavori eseguiti sul veicolo). 11.3 In terzo luogo, la effettività della esecuzione dei lavori in oggetto è stata confermata in giudizio, nel contraddittorio delle parti, dal teste (...), dipendente della società attrice ed esecutore materiale dei lavori medesimi, oltre che certificata dalle fotografie dei lavori stessi in officina, nelle varie fasi di esecuzione. 11.4 In quarto luogo, il CTU - previo esame della documentazione, anche fotografica, in atti, ritualmente prodotta dalle parti nei relativi termini processuali - ha confermato la compatibilità dei danni in questione (ivi compreso quello sul "parafango posteriore dx" di cui alla fattura) con la pacifica dinamica del sinistro, quantificando in complessivi Euro. 2500,00 (Iva compresa) il costo di mercato delle relative riparazioni, in coerenza con l'ammontare della fattura in atti (pari ad Euro. 2340,00, Iva compresa). 11.5 In quinto luogo - e contrariamente a quanto dedotto dall'appellante - la correttezza della stima operata dal CTU non è inficiata in alcun modo dalla considerazione del fatto (che - a dire della prima - il secondo avrebbe omesso di compiere) che il veicolo attoreo - nei giorni successivi al sinistro di cui è causa - venne coinvolto (come è pacifico) in altro incidente stradale: infatti, è altrettanto pacifico che detto secondo incidente provocò danni soltanto nella parte anteriore del veicolo, ossia in una parte rispetto a cui le riparazioni oggetto della fattura di cui è processo e delle indagini del CTU è rimasta totalmente estranea. 11.6 In sesto luogo, le ulteriori censure "di merito" mosse in prime cure dal CTP di parte convenuta alla relazione di CTU risultano generiche. In particolare: - in un primo passaggio, il CTP afferma che vi fossero danni pregressi da non conteggiare tra i ricambi dovuti, in quanto ritenuti semplicemente "non compatibili", senza ulteriori specificazioni tecniche; è noto, per contro, che "l'attività di allegazione non può esaurirsi nell'affermazione di un fatto generico, ma comporta l'individuazione di un fatto specifico "(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4392 del 07/04/2000), - in un secondo passaggio, il CTP sostiene che "...la stima tecnica redatta dal CTU non segue le direttive ispirate ai criteri dei manuali di riparazione è completamente errata nella lettura del danno e nella verifica della documentazione prodotta sia dal riparatore che dalla perizia" senza tuttavia specificare a quale diverso risultato sarebbe dovuto pervenire il CTU; - in un ulteriore passaggio, il CTP sostiene che vi sia un errore nel computo dei "tempi", sia con riguardo alla voce nr. 1 (aggregato + parafango + posteriore ddx) indicata dal CTU, che alla nr. 2 (sostituzione fendinebbia), senza indicare, tuttavia, quale debba essere il calcolo corretto nel primo caso, e scontrandosi, nel secondo caso, con le convincenti controdeduzioni della controparte, la quale ha evidenziato che "è evidente che il CTU abbia scomposto l'intervento nella parte posteriore dell'auto, dividendolo tra lo smontaggio e rimontaggio del paraurti e la sostituzione del fendinebbia, essendo esse due operazioni diverse che si aggiungono tra di loro e che richiedono tempistiche diverse"; - infine, il CTP denuncia la mancata indicazione, da parte del CTU, delle banche dati usate per la stima analitica dei danni, nonché del costo orario concesso al riparatore in assenza di indicazioni dei parametri utilizzati, senza tuttavia notare che, a pag. 2 dell'elaborato peritale, il CTU ha indicato proprio quale sia stato il prontuario ufficiale per la disamina e la determina dei tempi di riparazione, oltre che dei tariffari provinciali della manodopera vigenti al momento dell'accaduto (cfr. i documenti allegati alla perizia); dal canto suo, il CTP si è limitato ad allegare una propria stima analitica con riferimento alle direttive dell'accordo Ania/OO.AA. e banca dati DOMUS, ritenendo "arbitrariamente" che i parametri utilizzati fossero i soli da tenere in considerazione per l'espletamento della consulenza tecnica, secondo le regole dell'arte; - da ultimo, in particolare, sarebbe errata, secondo il CTP, l'indicazione dei giorni che sono risultati necessari per le riparazioni (ritenuti pari a 5 dal CTU, ma da rettificare in giorni 2), ma il consulente non rende alcuna argomentazione dimostrativa della riduzione da operare. 11.7 Orbene, la considerazione comparata di tutte le risultanze processuali acquisite sul punto (fattura delle riparazioni; testimonianza del riparatore; fotografie del veicolo incidentato e delle fasi di riparazione; verifiche tecniche dell'Ausiliario del Giudice, etc.; genericità delle ulteriori contestazioni tecniche della parte convenuta) legittima la conclusione della correttezza della decisione di prime cure relativa alla identificazione dei costi di riparazione riconosciuti in risarcimento a parte attrice. 12. Risulta parzialmente fondata, invece, la doglianza della (...) ASS.NI SPA relativa alla quantificazione del costo del noleggio della vettura sostitutiva, che il Giudice di Pace ha quantificato in Euro. 219,60 (IVA compresa) come da fattura prodotta dall'attrice. 12.1 Al riguardo deve rilevarsi, innanzitutto, la infondatezza dell'assunto della appellante per cui la controparte non avrebbe fornito la prova del fatto di avere dovuto noleggiare effettivamente una auto sostitutiva. Infatti: a) la vettura è stata ricoverata (come era inevitabile che fosse) per diversi giorni in officina, per l'esecuzione dei lavori di riparazione della parte posteriore incidentata (circostanza documentale e pacifica): b) il teste (...) ha confermato, nel corso della sua escussione testimoniale, di avere provveduto alla consegna alla (...) dell'auto sostituiva di cui alla fattura di noleggio, precisando che quest'ultima aveva bisogno di detta auto per esigenze lavorative e familiari; c) è stata prodotta la fattura del costo dell'autonoleggio, fattura confermata dal teste da ultimo citato; d) parte convenuta non ha fornito alcuna allegazione né, tanto meno, alcuna prova di segno contrario rispetto alla effettività del noleggio dell'auto operato dalla (...) e alla conseguente "genuinità" della relativa fattura, ovvero per contestare efficacemente il fatto (invero del tutto verosimile, per le comuni massime di esperienza), che quella avesse bisogno di un veicolo sostitutivo, per le dedotte esigenze lavorative e familiari; e) l'ulteriore assunto reso dalla (...) in prime cure (cfr. la comparsa di risposta) per cui "il costo della vettura sostitutiva è da ricollegarsi alle operazioni di ripristino eseguite sulla Ford a seguito del secondo incidente del 2.12.19" non è condivisibile al fine (che quella persegue) di escludere la propria responsabilità risarcitoria per i costi del noleggio: infatti, è pacifico - come detto - che la vettura aveva la necessità di ricevere riparazioni (in officina) della parte posteriore rimasta danneggiata dal primo incidente (quello di cui è causa) e che, per questo, essa rimase ricoverata in officina ed ebbe le riparazioni dei danni in questione (vd. dietro). Il CTU - con motivazione dettagliata - ha inoltre quantificato in cinque giorni lavorativi la durata delle predette riparazioni. Da quanto detto consegue che la sopravvenienza (rispetto al primo incidente) di danni anche alla parte anteriore del veicolo (a causa del secondo incidente) -danni che, del tutto verosimilmente, vennero riparati in occasione del periodo - dal 14.12.19 al 7.1.20 - di ricovero del mezzo in officina - non esclude in alcun modo la risarcibilità dei costi del noleggio, relativi al periodo di effettuazione delle diverse lavorazioni di riparazione dei danni "originari". 12.2 Tuttavia, la circostanza (accertata dal CTU) per cui il lavoro ordinariamente necessario per riparare i danni da ultimi citati è pari a 5 giorni lavorativi, impone una valutazione di eccessività dei costi del nolo di cui alla fattura (quantificati - ancorchè al lordo del periodo natalizio - in 24 giorni e come tali liquidati in primo grado). Pertanto, in parziale riforma della sentenza impugnata, il danno al riguardo risarcibile può quantificarsi (in via equitativa ed anche alla luce sia dei costi di mercato dell'autonoleggio di macchine similari, come indicati dall'appellante nell'atto di gravame e non contestati dalla controparte, sia dei criteri di calcolo di cui alla fattura di noleggio in atti) in Euro. 183,00, Iva compresa (Euro. 30,00 al dì x 5 dì + Iva al 22%). 13. Con un ulteriore motivo di impugnazione, l'appellante ha chiesto la riforma della sentenza nella parte in cui il Giudice ha riconosciuto come dovuta la somma di Euro 550,00 per l'assistenza stragiudiziale prestata alla controparte dalla (...) SRL (Agenzia di recupero di crediti assicurativi). A dire dell'appellante, si sarebbe trattato di spese non giustificate, né necessarie (cfr. pag. 20 e seg. dell'atto di appello). 13.1 Si tratta di doglianza infondata. 13.2 E' bene premettere, per un verso, che "le spese relative all'assistenza tecnica nella fase stragiudiziale della gestione del sinistro costituiscono danno patrimoniale conseguenziale degli illecito secondo il principio della regolarità causale, ex art. 1223 c.c." (Cass. Sezioni Unite, sentenza del 11/11/2008 n. 26973) e, per altro verso, che "In caso di sinistro stradale, qualora il danneggiato abbia fatto ricorso all'assistenza di uno studio di consulenza infortunistica stradale ai fini dell'attività stragiudiziale diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno emergente non può essere esclusa per il fatto che l'intervento del suddetto studio non abbia fatto recedere l'assicuratore dalla posizione assunta in ordine all'aspetto della vicenda che era stata oggetto di discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata considerando, in relazione all'esito della lite su tale aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell'attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento" (cfr. ex multis Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 14444 del 26/05/2021; Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6422 del 13/03/2017). 13.3 Nella specie, le prestazioni rese dalla (...) in favore della danneggiata (prestazioni da ritenersi incontestate, posto che sono state riconosciute e liquidate dal Giudice di Pace e che l'appellante ha censurato in appello soltanto perché "superflue" e "non necessarie") sono consistite: nella "consulenza preliminare con il cliente"; nello "studio della pratica: esame della dinamica del sinistro e verifica della responsabilità dell'evento dannoso"; nella "acquisizione delle prove documentali"; nella "redazione e nell'inoltro della richiesta di risarcimento danni ai sensi del D.Lgs. n. 148/06 del 20.12.19; nella consultazione con il cliente" (cfr. la fattura della (...), cfr. la diffida alla assicurazione). Inoltre, nella "diffida ex art. 148 D.lvo 209/15" del 19.12.19, inviata alla Assicurazione, la (...) SRL: forniva una descrizione dettagliata del sinistro e della relativa responsabilità esclusiva del conducente dell'altra vettura; dava atto della intervenuta cessione del relativo credito risarcitorio dalla danneggiata alla (...); notiziava la assicurazione dell'officina ove la vettura avrebbe potuto essere periziata; diffidava la controparte al ristoro dei danni patiti dalla vettura; forniva, all'uopo, le coordinate bancarie della cessionaria del credito; notiziava la controparte della avvenuta elezione di domicilio presso il proprio studio della (...); invitava la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Nell'ambito del contatto tra le parti, come così mediato dalla (...), in data 23.1.20 la Assicurazione emetteva in favore della (...) un assegno di Euro. 1050,00, dalla stessa ritenuto (erroneamente) satisfattivo rispetto alla entità dei danni effettivi. 13.4 Alla luce di quanto sopra, nonché degli esiti del giudizio (in ordine alla riconosciuta fondatezza delle maggiori pretese risarcitorie della danneggiata), le attività di assistenza stragiudiziale in questione - lungi dall'essere state superflue o inutili - devono ritenersi essere state analitiche, necessarie (anche alla luce del tecnicismo della materia infortunistica) ed utili per la parte assistita; esse, pertanto, come tali, vanno risarcite. 14. Infine, con il quarto ed ultimo motivo di gravame, l'appellante ha censurato la condanna, infertale dal giudice di prime cure, al pagamento, in favore della controparte, della somma di Euro 270,00, a titolo di condanna ex art. 4 del D. L. 132/2014 ("Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile"), in forza del quale "L'invito a stipulare la convenzione deve indicare l'oggetto della controversia e contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96, primo, secondo e terzo comma, e 642, primo comma, del codice di procedura civile" (I comma). A fondamento della doglianza, la parte deduce, nella sostanza, la impossibilità per sé di avanzare alcuna proposta di negoziazione assistita, essendo pendente lo spatium deliberandi di cui all'art. 148 D.Lgs. n. 209/05 e non essendo pendente alcun contenzioso tra le parti. 14.1 In effetti, deve ritenersi che la pendenza (come nella specie) dei termini di cui alla norma da ultimo citata, entro cui "l'impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento, ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta" e nel corso di cui "il danneggiato (...), non può rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alle cose, nei termini di cui al comma 1, o del danno alla persona, da parte dell'impresa. Qualora ciò accada, i termini per l'offerta risarcitoria o per la comunicazione dei motivi per i quali l'impresa non ritiene di fare offerta sono sospesi" (art. 148 cit.), non consenta il decorso dei diversi termini di cui all'art. 4 del D. L. 132/2014. Infatti, è al riguardo sufficiente osservare che, prima della offerta ovvero della "non offerta" risarcitoria della Assicurazione al danneggiato (ex art. 148, D.Lgs. n. 209/05, cit.) non esiste una "controversia" da porre ad oggetto della convenzione di negoziazione assistita (ex art. 4 D. L. 132/2014 cit.). 14.2 Pertanto, non sussistono i presupposti della responsabilità aggravata affermata dal Giudice di Pace, la cui statuizione di condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro. 270,00 va - di conseguenza - revocata. 15. E' d'uopo precisare, tuttavia, che quanto sopra rilevato (in ordine alla insussistenza della responsabilità aggravata della appellante) non inficia la procedibilità della domanda giudiziale di I grado, in quanto affermata dal Giudice di Pace - nel corso del giudizio - con ordinanza del 2.9.20 (mai impugnata) di rigetto della relativa eccezione e ribadita con la sentenza conclusiva del giudizio di I cure. 15.1 E' infatti noto che, "per stabilire se un provvedimento ha carattere di sentenza o di ordinanza, è necessario avere riguardo non alla sua forma esteriore o alla denominazione adottata, bensì al suo contenuto e, conseguentemente, all'effetto giuridico che esso è destinato a produrre, sicché hanno natura di sentenze - soggette agli ordinari mezzi di impugnazione e suscettibili, in mancanza, di passare in giudicato - i provvedimenti che, ai sensi dell'art. 279 cod. proc. civ., contengono una statuizione di natura decisoria (sulla giurisdizione, sulla competenza, ovvero su questioni pregiudiziali del processo o preliminari di merito), anche quando non definiscono il giudizio" (Cass. 23 maggio 2003, n. 8190 Cass. civile sez. II, 19/12/2014, n.27127; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3945 del 19/02/2018; Cass. 20 dicembre 2005, n. 28233; Cass. 22 novembre 2003, n. 17780). Nella specie, è pacifico che la summenzionata ordinanza - la quale ha riconosciuto la procedibilità della domanda - non è mai stata impugnata. 15.2 Inoltre, la appellante - nell'impugnare la sentenza - non ha mai invocato la declaratoria di improcedibilità della domanda attorea di prime cure, bensì ha chiesto la riforma della sentenza per motivi di merito (cfr. le conclusioni di cui all'atto di gravame). 16. Parte appellata va condannata alla restituzione, richiesta dall'appellante, di quanto da quest'ultima pagato in eccesso (rispetto alle odierne statuizioni), in esecuzione della sentenza di I grado, con interessi legali dal di successivo alla pubblicazione della presente sentenza al saldo. 17. Per quel che riguarda la disciplina delle spese di lite (che parte appellante ha parimenti chiesto di riformare), considerato che l'attrice ha agito per il pagamento della somma di Euro.2329,65 (al netto dell'acconto versatole), che la convenuta ha affermato di nulla dovere (eccependo altresì infondatamente la improcedibilità della domanda), che la somma dovuta (all'esito del presente giudizio) è pari ad Euro. 2182,00 (Euro. 2489,6 (riconosciute dal Giudice di Pace) - Euro 37,6 (219,6 - 183,00) - Euro 270,00) e che la appellata ha infondatamente eccepito la improcedibilità dell'appello, le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza della (...) ASS.NI SPA (oltre che, per il I grado, della (...), ivi condannata e non impugnante), previa compensazione di V4 dei compensi (nei rapporti tra la prima e la (...) s.n.c.), in ragione della parziale soccombenza di quest'ultima, in rito e su parte delle pretese pecuniarie; con la precisazione che le spese processuali di questo giudizio (instaurato dalla sola (...) ASS.NI SPA) sostenute dalla (...), si pongono a carico esclusivo della prima, in ragione della contumacia della altra soccombente di I grado, la quale non ha avversato le statuizioni del Giudice di Pace. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa di II grado iscritta al R.G. n. 1524/21, così decide: In parziale riforma della sentenza di I grado: ANNULLA la condanna della (...) SPA al pagamento, in favore della (...) s.n.c., della somma di Euro. 270,00 a titolo di responsabilità aggravata. RIDETERMINA in Euro. 183,00, Iva compresa, la somma dovuta dalla (...) SPA alla (...) s.n.c. a titolo di ristoro dei costi dell'autonoleggio di vettura sostitutiva. DISPONE la compensazione per V4, tra la (...) s.n.c. e la (...) SPA, dei compensi liquidati in favore della prima in I grado, con conseguente condanna della seconda al rimborso in favore di quella dei 1/4 di detti compensi, come ivi liquidati, oltre al rimborso delle spese e degli accessori come ivi liquidati. RIGETTA le altre domande ed eccezioni. CONFERMA per il resto la sentenza impugnata. CONDANNA la (...) s.n.c. alla restituzione, in favore dell'appellante, di quanto da quest'ultima corrispostole in eccesso - rispetto alle odierne statuizioni - in esecuzione della sentenza di I grado, con interessi legali dal dì successivo alla pubblicazione della presente sentenza al saldo. CONDANNA (...) SPA al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore della (...) s.n.c. che - previa compensazione di V4 - liquida nel residuo e quindi in Euro. 1914,00 per compensi, oltre il 15% per rimborso forfettario delle spese di lite ed altri accessori di legge. Alla Cancelleria. Chieti, 6 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2023.
Tribunale Ordinario di Chieti SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti Magistrati: dott. Gianluca Falco - Presidente estensore dott. Marcello Cozzolino - Giudice dott. Francesco Grassi - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado, iscritta al n. r.g. .../2020, promossa da: S.L.C. (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv...., elettivamente domiciliata come in atti. RICORRENTE nei confronti di D.M.V. (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv...., elettivamente domiciliata come in atti. RICORRENTE PUBBLICO MINISTERO presso questo Tribunale. INTERVENTORE NECESSARIO OGGETTO: separazione coniugale. Svolgimento del processo 1. In data 19.7.09 S.L.C. e D.M.V. hanno contratto matrimonio in ...; dalla unione coniugale sono nati due figli, A. (nel (...)) e A. (nel (...)). 2. Con ricorso depositato telematicamente in data 8.9.20, la S. ha chiesto all'adito Tribunale di: "1)dichiarare la separazione giudiziale tra i coniugi S./D.M. con addebito al marito, per i motivi dedotti in narrativa ed in particolare per violazione dei doveri di assistenza morale e materiale e di contribuzione al mantenimento dei figli minori; 2) affidare i figli minori A. e A.D.M. in via esclusiva alla madre L.C.S., concedendo al padre - laddove il lo ritengo opportuno e nell'interesse dei figli - il diritto di incontrarsi con i minori, in regime di visite protette, nelle modalità e nei tempi da stabilire, il tutto con il necessario ausilio dei Servizi Sociali territorialmente competenti; 3) disporre che venga corrisposto da parte del marito V.D.M. un contributo per il mantenimento della moglie separata non inferiore ad Euro 300,00 mensili (rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT), o comunque nella diversa misura ritenuta di Giustizia, da corrispondersi entro il giorno cinque di ogni mese a mezzo di bonifico bancario intestato alla sig.ra L.C.S.; 4) disporre che venga corrisposto da parte del padre V.D.M. un contributo per il mantenimento dei figli minori A. e A.D.M. quantificato in Euro 300,00 mensili per ciascun minore (e, quindi, nella complessiva somma di Euro 600,00, rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT), o comunque nella diversa misura ritenuta di Giustizia, da corrispondersi entro il giorno cinque di ogni mese a mezzo di bonifico bancario intestato alla sig.ra L.C.S.; 5) disporre che venga corrisposto da parte del sig. V.D.M. il pagamento del 50% delle spese mediche, ludico-ricreative e scolastiche documentate necessarie per i figli minori; 6) al fine di garantire ai minori A. e A.D.M. un ambiente di vita sereno e adeguato alla loro crescita psico-fisica, autorizzare la sig.ra L.C.S. a trasferire la propria residenza e quella dei ragazzi in altro Comune, con adozione di procedura secretata presso i competenti Enti; 7) vittoria di spese e competenze del presente giudizio". A sostegno di tali domande, la ricorrente ha dedotto - in sintesi per quanto d'interesse - che: nel corso della vita matrimoniale, il D.M., spesso abusando di bevande alcoliche e di sostanze stupefacenti, aveva avuto - pressochè quotidianamente - comportamenti di violenza e di minaccia nei suoi confronti, anche davanti ai figli, comportamenti che - dal 2014 - erano diventati sempre più frequenti, tanto da costringerla - nel 2015 - ad abbandonare, unitamente ai figli, la casa coniugale (trovando riparo in una casa rifugio), a presentare una prima denunzia querela nei confronti del marito ed un ricorso per separazione; successivamente, dietro insistenze del coniuge, aveva ritirato la querela, aveva abbandonato la causa di separazione e - al fine di assicurare ai figli una dimora sicura - era tornata con loro a vivere nella casa coniugale; successivamente, tuttavia, i comportamenti del D.M. di minaccia, di aggressività e di violenza ai suoi danni (anche nella sfera sessuale) erano degenerati, tanto da averla costretta, nel 2020, a presentare una nuova denunzia querela nei confronti del marito il quale, di lì a poco, era stato sottoposto dal GIP del Tribunale di Chieti alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (misura successivamente confermata dal Tribunale del Riesame di L'Aquila), per essere successivamente rinviato a giudizio immediato per i reati di cui agli artt. 572, 582, 585, 576 comma I, n. 1, 81/609 bis c.p. commessi ai suoi danni; l'esponente, nel contempo, era stata costretta a trovare ospitalità - per sé e per suoi figli - presso alcuni parenti, allontanandosi così dalla casa coniugale, posto che il marito si era trasferito a vivere nella casa dei suoi genitori (sita al piano superiore del medesimo stabile) e svolgeva l'attività di parrucchiere in un locale adiacente ad esso; sussistevano, pertanto, le condizioni per addebitare la separazione al marito, per affidare a lei in via esclusiva i figli e per accogliere le altre domande di cui al ricorso. 3. Il D.M. - nel costituirsi in giudizio, con comparsa depositata in data 28.1.21 - ha contestato l'avversa domanda e ha chiesto al Tribunale di: "1)pronunziare la separazione personale dei coniugi con addebito esclusivo in capo alla moglie per violazione degli obblighi di fedeltà, di coabitazione, di assistenza morale e materiale, per tutti i motivi in narrativa meglio indicati e che saranno ulteriormente precisati con le Memorie Integrative ; 2) affidare i figli minori A. e A.D.M. congiuntamente ad entrambi i genitori con collocamento preferenziale presso il padre nella casa coniugale in C. alla Via C. n. 75, il quale si farà carico di provvedere ad ogni loro necessità anche con l'aiuto economico, materiale e morale dei genitori D.M.A. e S.C.; 3) Disporre le modalità di visita dei figli minori per la madre stabilendo tempi e permanenza che l'On.le Tribunale riterrà opportuni; 4) ritenere i nonni paterni, la Sig.ra S.C. e D.M.A., figure altrettanto di riferimento per i minori e autorizzare e regolamentare il diritto di visita e di permanenza di A. e A. anche presso di essi nonni paterni; 5) disporre che i minori A. e A. possano frequentare la famiglia paterna, in particolare i nonni paterni, la zia, sorella del D.M., nonché i cugini, senza che la sig.ra S. possa interporre alcun veto; 6) qualora ritenuto opportuno, stante il lungo periodo al quale i minori sono stati privati della figura paterna, prevedere per i primi periodi che gli incontri tra padre e figli si svolgano in ambienti protetti, presso i Servizi Sociali del Comune di ..., con personale specializzato, senza la presenza della madre che condiziona notevolmente la volontà dei minori; 7) invitare i coniugi anche ad un percorso di mediazione genitoriale per ristabilire un sano equilibrio per la crescita dei figli minori e trovare uno spirito collaborativo di entrambi; 8) assegnare al Sig. D.M.V. la casa coniugale in C. alla Via C. n. 75 di proprietà dei genitori del medesimo; 9) dichiarare che il resistente nulla deve alla moglie a titolo di contributo nel suo mantenimento per tutti i motivi in atti meglio specificati; 10) stante la domanda di addebito condannare controparte a rifondere al resistente spese, e competenze del presente giudizio secondo il generale principio di soccombenza". A sostegno di tali pretese, il resistente ha dedotto, in sintesi per quanto d'interesse, che: la disgregazione del rapporto matrimoniale era dipesa non già dai fatti narrati dalla ricorrente, non rispondenti al vero, bensì dalla violazione del dovere di fedeltà coniugale che l'esponente aveva il sospetto che la moglie (da tempo priva di affezione coniugale nei suoi confronti) avesse commesso, oltre che dal progressivo distacco dei figli da lui, che quella aveva voluto da tempo realizzare, come dimostrato dal fatto che egli non vedeva i minori da febbraio 2020; egli si era da sempre occupato della prole dal punto di vista morale e materiale, sicché non sussistevano le condizioni per disporre l'affido esclusivo dalla ricorrente dei figli; egli versava in precarie condizioni economiche, anche in ragione della chiusura prolungata della propria attività di parrucchiere, per effetto della pandemia Covid 19; sussistevano le condizioni per collocare i figli presso di lui, che avrebbe potuto curarne tutte le esigenze, anche con l'ausilio della propria famiglia d'origine. 4. Il Presidente del Tribunale - all'esito della fase presidenziale - ha emesso ordinanza del 6.2.21 con cui ha così statuito: "... Dispone l'affidamento esclusivo dei figli minori, A. (n. (...)) e A. (n. (...)), alla madre L.C.S., con permanenza stabile presso la medesima nella dimora che intenderà fissare; dispone che, allo stato, tenuto conto delle capacità reddituali di entrambi i coniugi, V.D.M. versi a L.C.S. entro il giorno 5 (cinque) di ogni mese (bonifico su conto corrente postale o altra modalità indicata dalla ricorrente): la somma complessiva di Euro.600,00 (Euro.200,00 per ciascuno) quale contributo al mantenimento del coniuge e dei figli A. ed A.; somma da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT sull'andamento dei prezzi dei beni di consumo e a decorrere dal gennaio di ogni anno; che il padre provveda nella misura del 50% alle spese che eccedono l'ordinario mantenimento della prole e non prevedibili, previo accordo, non però necessario per le spese mediche (sufficiente la prescrizione medica) e le spese di istruzione presso istituti e università statali ...". 5. Il giudizio - ritualmente proseguito innanzi al Giudice Istruttore originariamente designato - è pervenuto alla sentenza non definitiva dell'8.6.21, con cui è stata pronunciata, su richiesta congiunta dei coniugi, una immediata pronunzia sullo status. Quindi, la causa - nelle more assegnata al sottoscritto Presidente, quale nuovo Giudice Istruttore - si è articolata nella fase di trattazione e di istruttoria documentale, nella emissione (in data 11.8.22) di una ordinanza di rigetto della istanza con cui la ricorrente aveva chiesto di essere autorizzata a trasferirsi definitivamente in Francia con la prole, nell'espletamento di una CTU, a mezzo della psicologa Dott.ssa F.D.P. (al fine di "accertare: la sussistenza o meno della capacità genitoriale della S.; la sussistenza o meno della capacità genitoriale del D.M.; la "disciplina "migliore", nell'interesse dei minori, relativa all'eventuale diritto di visita del padre verso i figli; le misure ed i programmi eventualmente necessari da intraprendere e/o coltivare ad opera dei genitori e della prole al fine della ricostruzione ovvero del mantenimento di un equilibrato e sano rapporto genitore/i- figlio"), nella audizione diretta dei figli minori da parte del Giudice, con l'ausilio della CTU e nella fissazione della fase decisoria. All'esito, la causa giunge alle determinazioni del Collegio. Motivi della decisione A. L'addebito della separazione al D.M. La domanda della S. di addebito al D.M. delle cause della separazione coniugale è fondata. È stata infatti acquisita la prova del fatto che la rottura del legame coniugale è dipesa dalle frequenti e gravi condotte di minaccia, di violenza, fisica e verbale e di violenza sessuale perpetrate dal marito ai danni della moglie, nel corso della intera vita matrimoniale. Si perviene a tale conclusione in ragione delle considerazioni di seguito esposte. a.1 In primo luogo, la S. aveva da tempo denunciato alla Pubblica Autorità - con querele circostanziate - le summenzionate, gravi condotte delittuose consumate ai suoi danni dal marito, senza soluzione di continuità, nel corso della vita matrimoniale (cfr. le denunzie in atti), tanto da portare l'autorità giudiziaria ad emettere a carico di quello - nel corso del presente procedimento - la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla moglie. a.2 In secondo luogo, nelle more del presente giudizio, il D.M., all'esito delle indagini svolte sulla base delle summenzionate denunzie querele della S., è stato rinviato a giudizio innanzi al Tribunale di Chieti per rispondere dei seguenti reati contestatigli: "1) Del delitto previsto e punito dall'articolo 572 c.p., per avere maltrattato la moglie S.L.C. apostrofandola sistematicamente con ingiurie del tipo "mongoloide, puttana di merda, non capisci un cazzo" minacciandola di morte e, comunque di danni alla persona, giungendo in un'occasione a puntare un coltello da cucina alla pancia, percuotendola con pugni schiaffi e tirandole i capelli in occasione di eccessi di ira immotivati ed aggravati dallo stato di ubriachezza di esso imputato, costringendola a subire rapporti sessuali dalla stessa non voluti meglio descritti nel capo che segue. In ... sino al 17 febbraio 2020". 2) Del il delitto previsto e punito dagli articoli 582 585 c.p. in relazione all'articolo 576 comma I, numero 1 c.p., perché - al fine di commettere il delitto di cui al capo che precede - aggrediva la moglie S.L.C. colpendola con numerosi pugni su tutto il corpo e in particolare alla spalla, così cagionando lesioni personali giudicate guaribili in giorni 10. In ... il 7 settembre 2014. 3) Del delitto previsto e punito dagli articoli 81 e 609 bis c.p., perché costringeva ripetutamente la moglie S.L.C. a subire atti sessuali usandole violenze, segnatamente afferrandola per i capelli stendendola con la forza sul letto, dove la teneva ferma con il peso del proprio corpo, la privava della biancheria intima e la penetrava per via anale e vaginale, utilizzando lo scopo un fallo meccanico. In ... sino a novembre 2019". a.3 All'esito del processo dibattimentale, nel quale la S. si è costituita parte civile, il Tribunale: ha riconosciuto l'imputato responsabile di tutti i reati contestatigli, fornendo al riguardo ampia motivazione e condannandolo - previo riconoscimento della continuazione tra i summenzionati reati - alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; ha dichiarato l'imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale, applicandogli, altresì, le pene accessorie di cui all'art. 609 novies c.p.; ha condannato l'imputato al risarcimento dei danni cagionati alla S., ivi costituitasi parte civile, da liquidarsi in separata sede, riconoscendole una provvisionale di Euro. 10.000,00. a.4 Successivamente, la Corte di Appello di L'Aquila, innanzi a cui il D.M. aveva proposto appello, con sentenza n. 744/2022 ha dichiarato prescritto il reato di cui al capo 2), confermando - per il resto - la sentenza di primo grado e condannando l'imputato alla pena (rimodulata, per effetto della citata prescrizione) di anni sette di reclusione. a.5 Successivamente, tale sentenza di II grado è stata dichiarata definitiva dalla Corte Suprema di Cassazione (con sentenza del 7/12/2022). A ciò è conseguita la sottoposizione del D.M. a carcerazione, presso la Casa Circondariale di Chieti, al fine di scontare la predetta pena detentiva definitiva. a.6 E' noto che "nell'ordinamento processuale vigente, manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova e che il giudice civile può, quindi, legittimamente porre a base del proprio convincimento prove cd. atipiche, tra le quali anche le prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti e pure le risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, ove, come ne caso in esame, della loro utilizzazione il giudice civile abbia fornito adeguata motivazione, si tratti di prove idonee ad offrire sufficienti elementi di giudizio e non siano smentite dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie" (cfr. ex multis Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 2947 del 01/02/2023). a.7 Peraltro, il D.M. non ha fornito, nel presente giudizio, alcuna allegazione né, tanto meno, alcuna prova della sussistenza di circostanze di sorta da cui inferire la erroneità ed ingiustizia della condanna inflittagli - con autorità di giudicato - in sede penale, per i gravi reati commessi, nel corso della vita matrimoniale, ai danni della moglie (per il principio per cui "il potere di allegazione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d'ufficio, perché il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell'onere di allegazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ricostruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giudizio, non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare", cfr. Cass. N. 15142/2003; Cass. Sezioni Unite: N. 1099 del 1998); per il connesso principio per cui "l'attività di allegazione non può esaurirsi nell'affermazione di un fatto generico, ma comporta l'individuazione di un fatto specifico", cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4392 del 07/04/2000); per il corollario per cui", "poiché il giudice non ha un potere di ricerca dei fatti, il rilievo d'ufficio delle questioni presuppone che un fatto sia già stato allegato pur senza invocarne gli effetti e si riferisce alla produzione degli effetti costitutivi, modificativi, estintivi che discendono dal fatto allegato", Cass. N. 4392/2000; Cass. N. 7878/2000). a.8 Inoltre, la circostanza (accertata in sede penale: cfr. le sentenze summenzionate) che il D.M., in frequente stato di ubriachezza, fosse solito usare violenza fisica e verbale ai danni della S. anche alla presenza dei figli, è stata confermata da questi ultimi, nel corso della loro audizione da parte dello scrivente Presidente (cfr. le dichiarazioni rese dai minori al Giudice, alla presenza della CTU, nel corso della udienza del 10.11.22: "... Viene sentita la minore A.D.M.: ... Non voglio bene a mio padre, non lo voglio più vedere e vorrei che andasse in galera per tutto quello che ha fatto in passato a mia mamma, infatti la picchiava frequentemente anche davanti a noi. Io a volte cercavo di fermarlo ma mi allontanava. In queste occasioni io e mio fratello ci rifugiavamo nella nostra camera dentro una casetta di plastica. Mio padre ha picchiato anche mia nonna paterna e lo ha fatto anche in mia presenza e in diverse occasioni, lui tornava sempre ubriaco a casa e picchiava mia mamma. Non lo vedo da circa tre anni e non voglio più vederlo; ho anche cancellato il suo numero dalla rubrica del mio telefono. Non voglio vedere neanche i nonni paterni perché anche il nonno picchiava la nonna e i nonni hanno impedito che la mamma denunciasse papà. Non voglio bene e non ho rapporti neanche con gli zii e le zie e i cugini da parte di papà ...". Viene sentito il minore A.D.M.: "... Sto benissimo con mamma e mia sorella A. a ..., vado bene a scuola ove mi sto ambientando e ove ho instaurato per ora una vera amicizia con un compagno di nome Marco. Non vedo mio padre da circa tre anni e in particolare da quando si sono separati. Non voglio più vederlo, neanche insieme a terze persone o in forma protetta, in quanto - quando vivevamo insieme - ha sempre picchiato la mamma e a volte anche me senza alcun motivo, lo faceva perché stava tutto il giorno al bar e tornava la sera ubriaco e violento. Non lo vediamo da tre anni e lui non ci ha mai cercato. Non voglio più vederlo, anche se lui riconoscesse ora di avere sbagliato, perché anche in passato ogni tanto diceva di essersi pentito di aver alzato le mani ma poi tornava a farlo, ha sempre picchiato la mamma anche quando eravamo piccolini. Non abbiamo nessun rapporto con i nonni, gli zii ed i cugini paterni, né sono interessato ad averli, mentre a ... frequentiamo quotidianamente la nonna, la zia materna e mio cugino M., con i quali abbiamo ottimi rapporti. Abbiamo anche altri parenti dal lato materno a Roma"). Tali circostanze sono state acquisite in conoscenza (nelle audizioni della ricorrente e dei figli) e "verificate" (negli esiti traumatici che ne sono conseguiti a loro carico) anche dalla CTU, nel corso delle operazioni peritali (vd. infra). a.9 Inoltre, anche nel presente processo è stata acquisita la prova del fatto (parimenti denunziato dalla S., anche in sede penale, come una delle cause degli attacchi di ira e di violenza del marito) che quest'ultimo facesse uso di droga (cfr. l'appunto manoscritto - prodotto dalla ricorrente - in cui il D.M. riconosceva, tra l'altro, tale sua dipendenza ed il fatto che sua moglie avesse provato ad aiutarlo). a.10 Orbene, la considerazione comparata delle superiori risultanze processuali impone - per la gravità dei fatti commessi dal marito ai danni della moglie, in costanza di matrimonio - l'addebito al primo della separazione coniugale. E' infatti noto che "le reiterate violenze fisiche e morali inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei" (Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 31351 del 24/10/2022; Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 3925 del 19/02/2018), "restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale" (Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 7388 del 22/03/2017). Inoltre, "In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona" (Cass. Sez. 6 - 1, Sentenza n. 433 del 14/01/2016). B. La disciplina dei rapporti non patrimoniali della separazione b.1 Com'è noto, "in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell'unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore" (Cass. Sez. 6 - 1, Sentenza n. 18817 del 23/09/2015; Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 14728 del 19/07/2016; Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 28244 del 04/11/2019). Pertanto, "la a scelta dell'affidamento dei figli minori ad uno solo dei genitori, da effettuarsi in base al criterio fondamentale rappresentato dall'esclusivo interesse morale e materiale della prole previsto dall'art. 337 quater c.c., deve essere sostenuta non solo dalla verifica della idoneità o inidoneità genitoriale di entrambi i genitori, ma anche e, soprattutto, dalla considerazione delle ricadute che la decisione sull'affidamento avrà nei tempi brevi e medio lunghi, sulla vita dei figli, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo il pregiudizio derivante dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore" (Cass. Sez. 1 -Ordinanza n. 4056 del 09/02/2023; Cass. n. 21425/2022). b.2 Nella specie, la considerazione comparata sia della gravità e della abitualità degli episodi di violenza fisica, di violenza sessuale e di minaccia compiuti, nell'ambiente domestico, dal D.M. ai danni della S., sia dell'attuale stato di carcerazione in cui quello si trova e si troverà per i prossimi anni (per scontare la pena definitiva comminatagli) impone l'affidamento cd. "super esclusivo" dei minori alla madre (ossia, a norma dell'art.337 quater ultimo comma, c.c., con il riconoscimento del diritto della madre di assumere in autonomia anche le decisioni di maggiore interesse per la prole: Cass. n. 29999/2020) e la conferma della loro collocazione stabile presso la stessa, il tutto - peraltro - in coerenza con quanto aveva già disposto la ordinanza emessa all'esito della fase presidenziale. b.3 L'affido super -esclusivo è altresì imposto dalla considerazione del fatto che il D.M. - dall'epoca della separazione di fatto dalla moglie (anno 2020) - non ha versato nulla per il mantenimento dei figli (circostanza tempestivamente dedotta dalla ricorrente e mai avversata dal resistente, con allegazioni o prove di segno contrario), trattenendo finanche gli assegni familiari (cfr. quanto dallo stesso riferito al riguardo alla CTU, nel corso delle operazioni peritali). Del resto, è noto che "in tema di affidamento dei figli minori, la scelta dell'affidamento ad uno solo dei genitori deve essere compiuta in base all'esclusivo interesse morale e materiale della prole, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l'adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, senza che occorra operare un bilanciamento fra questi ultimi e l'interesse superiore del minore" (Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 4056 del 09/02/2023: nella specie, la S.C. ha affermato tale principio confermando la decisione di merito che aveva disposto l'affidamento c.d. "super" esclusivo della figlia alla madre, all'esito dell'accertamento dell'inidoneità genitoriale del padre, desunta anche dalla decisione di quest'ultimo di cambiare cognome, per ragioni legate alla sua riconoscibilità in ambito scientifico, senza alcuna preventiva comunicazione alla madre della minore, così determinando altresì il ritiro del passaporto di quest'ultima). b.4 Successivamente al passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna del D.M. alla pena di anni sette di reclusione ed alla conseguente carcerazione dello stesso, la S. ha reiterato la richiesta di essere autorizzata a trasferirsi definitivamente con i figli in Francia (nel Comune di Drancy), richiesta motivata (anche nel corso dei colloqui da quella avuti con la CTU) dal fatto che lì vive il suo nuovo compagno e che ella ed i suoi figli - anche dopo la condanna e la carcerazione del D.M. - hanno il desiderio di "voltare pagina" definitivamente, rispetto agli anni di violenza e di terrore che quello ha fatto passare loro. b.5 Tale istanza - che nel corso del giudizio non è stata ritenuta accoglibile dal Giudice Istruttore (con motivazione che il Collegio condivide), in quanto all'epoca si è reputato necessario (prima della adozione di provvedimenti provvisori ma profondamente incidenti sull'assetto esistenziale della prole) sia di espletare una CTU per accertare le capacità genitoriali delle parti, i rapporti tra questi ed i loro figli, nonché la disciplina migliore (dalla prospettiva degli interessi di questi ultimi) dei rapporti non patrimoniali della famiglia disgregata, sia di attendere l'esito del processo penale (allora ancora pendente) a carico del resistente - oggi deve ritenersi accoglibile, per le ragioni di seguito esposte. b.6 Giova evidenziare preliminarmente che, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, "il Giudice non ha il potere d'imporre all'uno o all'altro dei coniugi stessi di rinunziare a un progettato trasferimento, che del resto corrisponde a un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, ma non può che prendere atto delle determinazioni al riguardo assunte dell'interessato e regolarsi di conseguenza nella decisione, che gli compete, sull'affido e il collocamento dei figli minori. Nessuna norma, inoltre, impone di privare il coniuge che intenda trasferirsi, per questo solo fatto, dell'affido o del collocamento dei figli presso di sè; la decisione del giudice è discrezionale e deve ispirarsi, al superiore interesse dei figli minori" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9633 del 12/05/2015; Cass. civile sez. I, 14/09/2016, n.18087) In altri termini, "di fronte alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dei coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell'altro coniuge, l'idoneità ad essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario: conseguenza, questa, comunque ineluttabile, sia nel caso di collocamento presso il genitore che si trasferisce, sia nel caso di collocamento presso il genitore che resta" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9633 del 12/05/2015; Cass. civile sez. I, 14/09/2016, n.18087). Pertanto, "il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde perciò l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario" (Cass. civile sez. I, 14/09/2016, n.18087; Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21054 del 01/07/2022) "dovendo il giudice esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò, ineluttabilmente, incida, in negativo, sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario" (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21054 del 01/07/2022: nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto coerente con il regime di affidamento condiviso con collocamento presso la madre del minore, il trasferimento del piccolo insieme alla madre in altra città, nella prospettiva di miglioramento della condizione economica materna, escludendo che tale scelta si atteggiasse ad ostacolo al rapporto padre-figlio, ovvero che pregiudicasse il preminente interesse del minore). b.7 Nella specie, fermo il diritto della S. di trasferirsi in Francia, è certamente "più funzionale al preminente interesse della prole" il collocamento degli stessi con la madre, per una molteplicità di ragioni. In primo luogo (e, di per sé, in modo dirimente), va osservato che il padre è in regime di carcerazione, per scontare la lunga pena definitiva di cui si è detto, per cui - nella specie - non vi sarebbe neppure una "collocazione" dei minori alternativa a quella presso la madre. In secondo luogo, va sottolineato che i figli - sentiti personalmente dal sottoscritto Presidente, quale Giudice Istruttore, nel corso della udienza del 10.11.22 - hanno ribadito (come detto) la loro volontà di non vedere più il padre e di non avere più contatti con la famiglia di origine di quest'ultimo (nonni e zii paterni) e - al contempo - hanno espresso e motivato il loro desiderio di trasferirsi in Francia, per vivere lì insieme alla madre e al suo compagno, con cui hanno dichiarato di avere un ottimo rapporto (cfr. nel verbale della udienza del 10.11.22, la audizione di A.D.M.: "La mamma ha da circa due anni un nuovo compagno di nome R.O., che vediamo quotidianamente insieme alla mamma in videochiamata, che ci è venuto a trovare a ... nell'estate 2021, permanendo un mese e dieci giorni circa e che anche siamo andati a trovare a Parigi, dove vive e dove lavora come ascensorista. Siamo andati anche con lui tutti insieme a conoscere suo padre; io sto benissimo con lui e mi piacerebbe che io, la mamma e mia sorella andassimo a vivere con lui in Francia dove mi troverei bene anche perché a scuola studio il francese. Voglio lasciare l'Italia anche perché qui ho brutti ricordi"; cfr la audizione di A.D.M.: "A domanda del Giudice su quale desiderio ha in ambito familiare, così risponde: "vorrei andare a vivere in Francia con mia mamma, con mio fratello e con il nuovo compagno di mia mamma, anche lui rumeno, che ci vuole bene e che vediamo quotidianamente in videochiamata con la mamma; egli ci è venuto a trovare a ... in estate, con cui siamo andati a Disneyland tutti insieme e una volta anche in Romania"). In terzo luogo, assume centrale rilievo la considerazione del fatto che il desiderio dei minori di continuare a stare con la madre e di trasferirsi con questa in Francia discende (come rilevato e confermato anche dalla CTU) dal loro comprensibile desiderio di allontanarsi da un ambiente ostile, nel quale hanno assistito per anni a deplorevoli comportamenti di violenza del padre contro la loro madre, comportamenti che gli stessi ormai hanno visto "certificati" dalla carcerazione definitiva del padre , come motivatamente evidenziato anche dalla Ausiliaria Dott.ssa D.P. (cfr. la relazione: "... A. e A., i minori, appaiono come due ragazzini molto educati e rispettosi, curati nell'aspetto e disponibili a narrarsi. Spicca durante il colloquio la loro proprietà di linguaggio, in special modo in A., che usa termini appropriati e ricercati insieme ad un accento scevro da inflessioni e cadenze. Colpisce inoltre la lucidità della quale sono connotati i loro racconti, specie quelli relativi al vissuto familiare relativo alle violenze del padre, non indugiano mai ad un contatto emotivo di quanto riportano, quasi ad aver agito uno scollamento (necessario) tra la parte razionale e quella emotiva. Appaiono particolarmente adultizzati, in particolar modo A. evidenzia un atteggiamento di responsabilizzazione a protezione della sorella e della madre. Si rivolgono al proprio padre con il pronome "lui", a voler rimarcare la distanza che ad oggi sentono verso quell'uomo che ha provocato tanta sofferenza alla madre e a loro e che non riconoscono nella funzione di padre. Un padre al quale entrambi ridiedero più volte fiducia, nella speranza che potesse cambiare, ma che ogni volta li tradì, tornando alle modalità violente di prima. Un padre che ad oggi desiderano non rivedere mai più, manifestando una chiusura definitiva verso quell'esperienza traumatica di cui riconoscono la sua responsabilità. Oggi riferiscono di godere di una serenità riconquistata alla quale non hanno intenzione di rinunciare e che vogliono proteggere da ogni rischio, quale potrebbe rappresentare l'incontro con il loro padre. Il veto posto dai minori sulla possibilità anche solo ad incontrare il padre, sembra essere funzionale a preservare un senso di sicurezza da poco e a fatica riconquistato nel nuovo assetto familiare con la loro madre. A tal riguardo, è utile ribadire come la violenza assistita comporta per un minore un trauma molto importante, poiché il bambino si sente impotente di fronte alla minaccia di morte del proprio genitore vittima di violenza per cui sente, in questo modo, minacciata anche la propria sicurezza e la propria vita (Verardo, 2016). Anche laddove infatti non è il minore la vittima diretta della violenza, la possibilità che possa morire il genitore buono diviene una minaccia diretta alla propria esistenza di bambino. Al netto dell'arresto del loro padre (il colloquio con i minori si colloca in data precedente alla sentenza di condanna in Corte di Cassazione e all'arresto di V.), che rende la possibilità di incontrarlo ancora più complicata, si ritiene che la difficoltà maggiore agli incontri padre-figli sia da rintracciare nel gap esistente tra la negazione dei fatti dell'uomo ed il vissuto dei minori: nessun punto di incontro sembra possibile, nessun terreno comune tra padre e figli sul quale eventualmente iniziare a ricostruire un rapporto. Pesa considerevolmente, sulla presente valutazione (con particolare riferimento al terzo quesito del Giudice), l'impossibilità per i minori, per loro stessa e lucida dichiarazione, ad includere, di nuovo, il loro padre nella loro vita, ad oggi serena, laddove una riapertura verso di lui rischierebbe ai loro occhi, inevitabilmente, di incrinare l'equilibrio psichico ed emotivo di oggi, faticosamente riconquistato con l'aiuto della loro madre. L'attuale stato di detenzione di V. dal 9 dicembre 2022, come si diceva, complica ancor più le cose. Saperlo in carcere, come peraltro avevano espresso di desiderare, sancisce agli occhi di A. e A. il ruolo di carnefice del loro padre e li legittima a prenderne le distanze e ad agire nei suoi confronti un rifiuto netto e irreversibile .... l'equilibrio di cui i minori riferiscono di godere oggi è frutto di una rottura necessaria che li allontani, nella mente e nella vita, da simili esperienze passate. A tal proposito è importante ribadire che A. e A. abbiano bisogno di elaborare i traumi passati attraverso un percorso psicoterapico, per evitare che tali vissuti possano compromettere nel futuro un loro sano sviluppo psichico ed emotivo. Dalla letteratura scientifica è noto infatti che la convivenza con un genitore deviante e l'impatto dell'incarcerazione dei genitori possano agire negativamente sullo sviluppo emotivo, comportamentale e cognitivo del bambino ..."). In quarto luogo, dalla espletata CTU si è avuta conferma - sul piano strettamente tecnico - della sussistenza di un forte legale tra madre e figli e della sussistenza - nella prima - di una adeguata capacità genitoriale (cfr. la relazione tecnica: "... Quanto alle competenze genitoriali di L., sebbene i test riportino la presenza di un livello di stress che evidenzia un atteggiamento marcatamente difensivo, il colloquio e l'osservazione clinica evidenziano nella donna buone competenze genitoriali generali, con una spiccata capacità alla protezione dei suoi figli. L. infatti con grande coraggio ha scelto di sottrarre se stessa e i suoi figli dalla violenza vissuta in famiglia, affrontando situazioni non facili pur di tutelare i suoi figli e garantire loro la possibilità di ritrovare la serenità perduta. Sono presenti nella donna le principali competenze della funzione genitoriale: Funzione affettiva, che garantisce ai figli di poter contare su un'offerta affettiva stabile e costante; Funzione normativa, che preserva una gerarchia e di potere all'interno della quale esercitare una funzione di limite Funzione socializzante, che promuove nei figli la conquista di relazioni esterne alla famiglia. Tale funzione ha risentito fino ad oggi della paura di L. per il trascorso traumatico familiare che l'ha portata a limitare per A. e A. una spinta all'autonomia nella frequentazione di contesti relazionali fuori dal suo controllo. Si auspica che la situazione attuale possa abbassare il timore e permettere ai minori maggiori possibilità di strutturare nuove relazioni, soprattutto con i pari. Tra tutte le specifiche competenze genitoriali, spicca in L. la funzione protettiva, ossia la capacità di rispondere adeguatamente ai bisogni primari dei figli e di offrire cure adeguate, insieme alla funzione affettiva, intesa come "sintonizzazione affettiva" ovvero la capacità di sintonizzarsi con la sfera emotiva del figlio e alla funzione riflessiva, ovvero la capacità di saper cogliere e interpretare il comportamento proprio e dei figli, in termini di stati mentali ossia di pensieri, sentimenti, credenze, speranze, aspettative e progetti (V., 2006). Anche i test specifici per la rilevazione delle competenze genitoriali somministrati, restituiscono una buona qualità della relazione madre-figli"). Dalla stessa CTU è invece emerso un significativo deficit di capacità genitoriale in capo al D.M., peraltro già conclamato dai gravi e reiterati comportamenti delittuosi tenuti dallo stesso nell'ambiente domestico, anche alla presenza dei figli, durante la vita coniugale (cfr. la relazione: "... Alla luce della situazione attuale, in cui V. non vede i suoi figli da circa 2 anni e mezzo, suona strano ritenere che la relazione con i minori non rappresenti un elemento di distress significativo. Non ultimo, l'atteggiamento disimpegnato e passivo dell'uomo durante tutto questo tempo nei confronti dei suoi figli, che non ha cercato esostentato economicamente nelle loro necessità, cozza con una visione idealizzata appunto di un buon rapporto con loro. In primis, appare compromessa in V. la funzione protettiva nei confronti dei suoi figli, e a caduta, tutte le altre specifiche competenze genitoriali. ... La recente condanna del D.M. ad una pena detentiva per maltrattamenti in famiglia, compromette in maniera determinante la propria capacità genitoriale. Tutte le competenze genitoriali appaiono carenti e critiche, prima tra tutte la disponibilità a garantire ai figli un ambiente sereno e sicuro, come anche di provvedere alle loro esigenze primarie attraverso un costante e congruo supporto economico"). b.8 Infine, la conclusione della individuazione della collocazione dei figli con la madre (nonostante il preannunziato trasferimento della stessa in Francia) come la disciplina funzionale alla tutela dell'interesse di questi ultimi - nonostante l'allontanamento "geografico" dal luogo ove rimarrà il padre - non è inficiata dalla considerazione del pregiudizio al diritto di frequentazione tra padre e figli, posto che: a) i figli hanno più volte dichiarato - in modo motivato e comprensibile - di non volere vedere più né il padre, né i prossimi congiunti di quest'ultimo; b) lo stato di carcerazione del padre (che perdurerà a lungo, negli anni a venire) esclude, all'attualità ed in proiezione dei prossimi anni, qualsivoglia praticabilità della frequentazione dei figli, tanto più in ambiente carcerario (cfr. la riguardo anche la relazione di CTU: "Allo stato attuale, accertato lo stato di detenzione del Sig. D.M. dal 9 dicembre 2022 con pena pari a 7 anni di reclusione, confermato dalla Corte di Cassazione, non si individua, nell'interesse dei minori A. e A., come opportuna la frequentazione degli stessi con il proprio padre: lo stato detentivo in cui il D.M. si trova attualmente di fatto impedisce la possibilità di promuovere un recupero del rapporto dei minori con il proprio padre, necessario nella situazione in oggetto, in considerazione di quanto avvenuto nel passato e della interruzione dei rapporti tra loro da quasi 3 anni. A ciò si aggiunga che l'eventualità per i minori di incontrare il proprio padre presso il penitenziario dove lo stesso è detenuto, si configura come un rischio lesivo all'equilibrio psichico ed emotivo che i ragazzi, faticosamente e coraggiosamente, hanno ricostruito da quando lasciarono con la propria madre l'abitazione familiare"); del resto, è noto che (anche) "in tema di dichiarazione dello stato di adottabilità, lo stato detentivo di lunga durata dei genitori costituisce una causa di forza maggiore non transitoria che oggettivamente impedisce un adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, incidendo negativamente sul diritto del bambino di vivere in un contesto unito e sereno negli anni più delicati della sua crescita" (Cass. Sez. 1 - Sentenza n. 1431 del 19/01/2018); c) alla luce della situazione attuale, lo stato di reclusione del D.M. preclude la possibilità di prevedere azioni congiunte a supporto del recupero del rapporto padre/figli (cfr. la relazione di CTU); d) il D.M. necessita di intraprendere un percorso psicoterapeutico, qualora previsto dall'Istituto penitenziario in cui è recluso, reputato dalla CTU "necessario e funzionale, nel futuro, alla possibilità di riaprire un dialogo con i propri figli, qualora questi si rendessero disponibili". b.8 Orbene, la considerazione comparata delle superiori risultanze legittima l'accoglimento della richiesta della ricorrente di essere autorizzata a trasferire la residenza in Francia (nel Comune di Drancy), unitamente ai figli. b.9. Nel contempo, come evidenziato e suggerito dalla CTU, "si ritengono auspicabili i seguenti interventi: - Percorso psicoterapeutico per il minori A. e A., ai fini dell'elaborazione del vissuto traumatico passato. - Percorso psicoterapeutico per il Sig. D.M., qualora previsto dall'Istituto penitenziario in cui è recluso. Si ritiene che detto percorso sia necessario e funzionale, nel futuro, alla possibilità di riaprire un dialogo con i propri figli, qualora questi si rendessero disponibili. - Monitoraggio dei Servizi Sociali di competenza, che potranno supportare la madre e i figli nell'andamento e nell'evolversi della situazione, anche in vista del progetto di convivenza, dichiarato da L. come certo, con il suo nuovo compagno". b.10 L'ulteriore richiesta della ricorrente di "contestuale autorizzazione alla ricorrente a richiedere il rilascio, presso i competenti Uffici, di tutti i documenti ad ella ed ai minori necessari per l'espatrio" esula dalla competenza del Tribunale della separazione, rientrando nella competenza del Giudice Tutelare. C. La disciplina dei rapporti patrimoniali della separazione c.1 La disciplina dei rapporti patrimoniali della separazione - come dettata dalla ordinanza presidenziale del 6.2.21 (con la previsione, a carico del resistente, di un assegno di mantenimento di Euro. 200,00 per ciascun figlio e di Euro. 200,00 per la resistente) - disciplina di cui quest'ultima invoca la conferma, deve essere necessariamente modificata, tenendo conto della sopravvenienza - nelle more - della carcerazione del resistente per scontare la lunga pena detentiva definitiva inflittagli. c.2 In particolare, va revocato - con decorrenza all'attualità (in cui viene eseguita la valutazione comparata delle situazioni fattuali esistenti) - l'assegno di mantenimento in favore della ricorrente, in quanto: 1) è venuto meno, per entrambi i coniugi (per effetto della carcerazione dell'obbligato, che svolgeva l'attività di parrucchiere), il tenore di vita coniugale, rispetto alla conservazione del quale avrebbe dovuto essere riconosciuto e parametrato detto assegno in favore della ricorrente; 2) il ricorrente non ha (come è pacifico) la titolarità di cespiti immobiliari dai quali poter comunque ricavare un reddito; 3) la ricorrente ha una età giovane, piena capacità lavorativa, è in procinto di formare una convivenza more uxorio stabile con il nuovo compagno, che raggiungerà in Francia, ove la stessa ha dichiarato di avere anche reperito una attività lavorativa. c.3 Per quel che riguarda il mantenimento dei figli, invece, posto che l'obbligo di mantenimento degli stessi spetta ex lege ad entrambi i genitori (Cass. 1 - , Ordinanza n. 13345 del 16/05/2023), è bene sottolineare che - come in più occasioni affermato dalla Cassazione penale (in tema di presupposti per poter invocare la scriminante dello stato di detenzione, rispetto al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare mediante l'omesso versamento delle somme stabilite dal giudice della separazione per il mantenimento dei figli minori) - il detenuto "deve attivarsi per procurarsi legittimamente dei proventi, presentando all'amministrazione penitenziaria la domanda per essere ammesso al lavoro all'interno o all'esterno del luogo di detenzione", sicché "solo se tale richiesta non è accolta ... considerando che la L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 20, prevede la formazione di apposite graduatorie, non potrà essere addebitata all'obbligato la mancata percezione di guadagni durante il periodo di detenzione" (Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 2381 del 15/12/2017; Cass pen. Sez. 6 - , Sentenza n. 13144 del 01/03/2022). Pertanto, nella specie si reputa equo stabilire, sempre all'attualità, in Euro. 150,00 (oltre rivalutazione annuale Istat a gennaio di ogni anno) l'importo dell'assegno di mantenimento dovuto dal resistente per ciascun figlio, oltre che il concorso dello stesso al 50% nelle spese straordinarie afferenti la prole. D. La disciplina delle spese di lite La disciplina delle spese di lite sostenute dalla ricorrente segue, ex lege, la soccombenza del resistente, con liquidazione dei compensi - come da dispositivo - in favore dello Stato (essendo la ricorrente ammessa al gratuito patrocinio) nei parametri tabellari medi delle cause di valore indeterminato di complessità media (scaglione fino ad Euro. 56.000,00) e con dimidiazione ex D.P.R. n. 115 del 2002. Le spese della CTU (da rifondersi allo stato, che le ha anticipate nel corso del giudizio) si pongono parimenti a carico definitivo del resistente, posto che l'esigenza degli accertamenti tecnici demandati all'Ausiliario Giudiziario è derivata dalle gravi problematiche familiari imputabili allo stesso. Infine, in ragione della presenza, nella motivazione della sentenza, di dati sensibili delle parti, si dispone che, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, venga preclusa l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi delle parti e della loro prole riportati sulla sentenza. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al R.G. nr.... /20, ogni contraria istanza ed eccezione disattese, così decide: - Addebita la separazione al resistente. - Dispone l'affido super esclusivo dei figli minori alla madre (come meglio specificato in motivazione) e conferma la loro collocazione stabile presso il domicilio della madre, con esclusione del diritto del padre di frequentazione dei figli. - Autorizza la ricorrente a trasferirsi - anche con la residenza - unitamente ai figli in Francia - nel Comune di Drancy - unitamente ai figli. - Revoca - dal mese di pubblicazione della presente sentenza - l'assegno di mantenimento a carico del resistente ed in favore della ricorrente. - Riduce - dal mese di pubblicazione della presente sentenza - ad Euro. 150,00 l'importo dell'assegno di mantenimento a carico del resistente per ciascuno dei due figli, oltre rivalutazione annuale Istat a gennaio di ogni anno. - Conferma il concorso paritario di entrambi i genitori nelle spese straordinarie afferenti la prole, come individuate dalle "Linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli nelle cause di diritto familiare", approvate dal Consiglio Nazionale Forense il 29.11.17. Onera la ricorrente ad intraprendere un percorso psicoterapeutico per i minori A. e A., con l'ausilio dei Servizi Sociali di competenza, come indicato dalla CTU nella relazione tecnica espletata e richiamata in motivazione. Invita il resistente ad iniziare e coltivare un percorso psicoterapeutico, qualora previsto dall'Istituto penitenziario in cui è recluso, come indicato dalla CTU nella relazione tecnica espletata e richiamata in motivazione. - Rigetta le altre domande, eccezioni e domande riconvenzionali. - Condanna il resistente al rimborso delle spese di lite sostenute dalla ricorrente che liquida - in favore dello Stato e previa dimidiazione di legge dei compensi - in Euro. 140,00 per esborsi, Euro. 3808,00 per compensi (somma già dimidiata), oltre il 15% sui compensi, per rimborso forfettario delle spese, oltre ulteriori accessori di legge. - Pone le spese della CTU a carico definitivo del resistente, che dovrà rifonderle all'Erario, il quale le ha anticipate nel corso del giudizio. -Dispone, che, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, venga preclusa l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi di tutte le persone indicate in sentenza Così deciso in Chieti, il 4 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 4 agosto 2023.
Tribunale di Chieti, sentenza 4 agosto 2023, n. 451 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Chieti Il Tribunale ordinario di Chieti, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Marcello Cozzolino, all'esito dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 18.4.2023, ha trattenuto in decisione la causa iscritta al n. 2009/2021 r.g., concedendo alle parti i termini ex art. 190 c.p.c., decorsi i quali ha pronunciato, ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c., la seguente SENTENZA tra F.F. (c.f. (...)), nata a C. il (...), ivi residente alla Via S. C. D. L. n. 136, rappresentata e difesa dall'avv. (...) del Foro di Chieti attrice e A.L.P. S.R.L. (c.f. (...)), corrente in S. di S. G. T. (C.), alla Via A. M. n. 114, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) del Foro di Chieti convenuta Oggetto: contratto di trasporto di persone Svolgimento del processo - Motivi della decisione La sig.ra F.F., con atto di citazione ritualmente notificato, ha convenuto dinanzi a questo Tribunale la società A.L.P. s.r.l. chiedendo che ne venga accertata la responsabilità per il sinistro occorsole in data 17.3.2021, con condanna a risarcirle i danni subiti (patrimoniali, biologici e morali, per non avere potuto effettuare una importante visita medica, per non avere potuto assistere la sorella malata, e per non avere potuto aiutare il marito in operazioni di trasloco dalla loro abitazione), nella misura di Euro 37.803,50, o in quella ritenuta di giustizia, oltre interessi. L'attrice ha rappresentato di avere atteso l'arrivo del filobus n. 1 (matricola CHLP 301), gestito dalla società convenuta, alla fermata posta di fronte al vecchio ospedale SS. Annunziata di Chieti, in via A. (...). Giunto il mezzo, si è preparata a salirvi, facendo la fila, e, occupata la pedana con il piede destro e tenendosi con la mano destra al passamano posto all'interno del filobus, a causa dell'improvvisa chiusura della porta azionata dal conducente, ne è stata sbalzata violentemente fuori, cadendo rovinosamente a terra. La società A.L.P. s.r.l. si è costituita in giudizio, evidenziando l'infondatezza della domanda proposta dall'attrice e contestandole di non aver dato prova della stipula del contratto di trasporto e quindi del suo diritto ad utilizzare il filobus, eccependo altresì che l'infortunio da lei subito, oltre ad essere avvenuto all'esterno del mezzo, in quanto l'attrice non vi era ancora salita, è stato dovuto ad una sua disattenzione. Ha quindi chiesto il rigetto della domanda con vittoria delle spese di lite, o in subordine la riduzione dell'importo dell'eventuale condanna, commisurandolo all'effettivo danno conseguente ai fatti dedotti, con compensazione delle spese di giudizio. Espletata con esito negativo la procedura di negoziazione assistita, e respinte le istanze istruttorie dell'attrice, le parti hanno precisato le conclusioni all'udienza del 18.4.2023, all'esito della quale sono stati concessi loro i termini ex art. 190 c.p.c.. La domanda è infondata. La sig.ra F. ha fondato la sua pretesa sulla disciplina del contratto di trasporto ed in particolare sulla disposizione ex art. 1681 c.c., che pone a carico del vettore una presunzione di responsabilità per i sinistri occorsi al viaggiatore durante il viaggio. Tale presunzione opera quando è dimostrato il nesso causale tra il sinistro e l'attività svolta in esecuzione del trasporto. In proposito la giurisprudenza di legittimità ha affermato (Cass. Sezione VI-III Civ., ordinanza n. 33449/2019) che "nel contratto di trasporto di persone, il viaggiatore danneggiato ha l'onere di provare, oltre all'esistenza ed all'entità del danno, il nesso esistente tra il trasporto e l'evento dannoso, mentre incombe al vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità posta a suo carico dall'art. 1681, comma 1, c.c., la dimostrazione che l'evento dannoso era imprevedibile e non evitabile usando la normale diligenza, ferma restando la possibilità che l'eventuale condotta colposa del danneggiato assuma rilievo ai sensi dell'art. 1227 c.c. In particolare, la menzionata presunzione opera per i fatti accaduti nel corso del trasporto, dovendo considerarsi avvenuti "durante il viaggio" i sinistri, ad esso direttamente riferibili, che si siano verificati in occasione di operazioni necessarie rispetto alla sua concreta articolazione e prive di soluzione di continuità con il medesimo, fra cui quelle preparatorie o accessorie del trasporto, come la salita e la discesa dei passeggeri dal mezzo al momento delle soste". L'attrice non ha fornito prova alcuna né dell'avvenuta conclusione del contratto di trasporto, né della dinamica dell'evento descritto nell'atto introduttivo, né del nesso causale tra il trasporto e l'evento dannoso, venendo così meno ad un suo preciso e tipico onere. Si aggiunga inoltre che le istanze istruttorie di parte attrice sono state respinte in quanto, oltre a non essere state redatte per capitoli (in violazione di quanto stabilito dall'art. 244 c.p.c.), si mostravano del tutto inconferenti rispetto alla dinamica del sinistro, che allo stato rimane priva di riscontro. Del tutto inutile, dunque, sarebbe stata una c.t.u. medico-legale essendo sconosciuto il fatto causativo dell'evento lamentato. Tale carenza probatoria, per il generale principio stabilito dall'art. 2697 c.c., non può che ripercuotersi ai danni dell'attrice, la cui domanda deve quindi essere respinta. Le spese seguono la soccombenza, e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenendo conto del valore della controversia, e dei valori di liquidazione stabiliti dalla tabella n. 2 allegata al D.M. n. 55 del 2014 (fase di studio Euro 1.701,00, fase introduttiva Euro 1.204,00, fase istruttoria Euro 1.806,00, fase decisionale Euro 2.905,00), ridotti al minimo, in considerazione della semplicità delle questioni di fatto e di diritto affrontate, e del fatto che il rigetto della domanda è conseguito alla carenza di prova della dinamica dell'accaduto, e non ad una acclarata infondatezza della pretesa. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalla sig.ra F.F. nei confronti della società A.L.P. s.r.l., con atto di citazione del 10.12.2021, così decide: - respinge la domanda; - condanna l'attrice a rifondere le spese di lite sostenute dalla convenuta, liquidate in complessivi Euro 3.808,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfettario delle spese generali, c.p.a. ed i.v.a. come per legge Si comunichi. Così deciso in Chieti, il 4 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 4 agosto 2023.
Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Tribunale di Chieti Il G.U., dott. Alessandro Chiauzzi ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1477 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 25 gennaio 2023, con concessione del termine di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e dell'ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica, vertente tra (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), in virtù di delega allegata all'atto di citazione in opposizione, attrice opponente; e (...) S.p.A. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), in virtù di procura generale alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta, convenuta opposta; nonché (...) S.r.l. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, in qualità di mandataria della società (...) S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti (...), in virtù di procura generale alle liti allegata alla comparsa di intervento volontario, interventore volontario; Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo; contratti bancari. Conclusioni delle parti: come da verbale dell'udienza del 25 gennaio 2023. Motivi di fatto e di diritto della decisione L'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 344/21, emesso dal Tribunale di Chieti, con il quale le è stato ingiunto, unitamente a (...) e (...), in qualità di garanti della società (...) S.r.l., di pagare immediatamente, in favore dell'istituto di credito (...) S.p.A., la complessiva somma di Euro 234.782,33, oltre accessori e spese della procedura, è infondata e, conseguentemente, deve essere rigettata per le ragioni di seguito esposte. In primo luogo deve essere valutata l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte opponente sul presupposto che la parte convenuta opposta non avrebbe adempiuto l'onere, su di essa gravante, di instaurare correttamente il contraddittorio nel procedimento di mediazione. In particolare, la parte opponente ha lamentato che la controparte non ha allegato la ricevuta di spedizione della convocazione né di consegna dell'atto di convocazione alla mediazione, con la conseguenza che la stessa non può considerarsi esperita. Tanto premesso in ordine al tenore dell'eccezione, va osservato che l'art. 8 D.Lgs. n. 28/10 stabilisce al comma 1 che: "All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell'organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari". Pertanto, in ordine alla modalità di instaurazione del contraddittorio, la norma appena riportata stabilisce che la comunicazione, tra le altre cose, della domanda di mediazione e della sede e dell'orario dell'incontro è effettuata dall'organismo con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Ora, nel verbale di mediazione dell'incontro del 25 marzo 2022 (si veda allegato n. 20 del fascicolo di parte convenuta opposta), al quale il procedimento di mediazione è stato rinviato proprio a causa del mancato perfezionamento della comunicazione, il mediatore ha dato della corretta ricezione, da parte della (...), della lettera raccomandata di convocazione, riportando letteralmente: "Convocazione parte a mezzo: o Poste Italiane N. Racc. 618597933926 del 31/01/2022 consegnata il 24/02/2022". Su tale dato la difesa della parte opponente non ha effettuato alcuna specifica contestazione, limitandosi a lamentare genericamente di non aver ricevuto alcuna comunicazione. In ogni caso va osservato che nel caso in esame si tratta di opposizione a decreto ingiuntivo, nell'ambito della quale la mediazione viene disposta quando ormai le parti sono costituite in giudizio mediante procuratori. Ebbene, nella procura rilasciata dall'opponente (...), quest'ultima ha eletto domicilio presso il proprio procuratore, con la conseguenza che la comunicazione effettuata al procuratore domiciliatario può ritenersi idonea a consentire alla parte personalmente di venire a conoscenza della procedura di mediazione e dei suoi dettagli. Sulla base di quanto osservato, l'eccezione di improcedibilità deve essere rigettata. Passando all'esame del merito, la parte opponente non ha mai disconosciuto il titolo della pretesa, ossia il contratto di mutuo stipulato dalla debitrice principale società (...) S.r.l. e la garanzia fideiussoria rilasciata in favore della debitrice, e ha fondato la propria opposizione su una serie di eccezioni in merito alla nullità di tali atti. In particolare, con il primo motivo di opposizione l'opponente (...) ha lamentato la nullità del contratto di mutuo e, per l'effetto, delle fideiussioni prestate in funzione del mutuo per assenza di causa. Più specificamente, ha rappresentato che il mutuo chirografario, concesso in favore della società (...) S.r.l., è stato erogato "a riscadenzatura debiti"; quindi la banca ha erogato il mutuo al solo fine di consentire la copertura di altro finanziamento, concesso precedentemente alla stessa società. Quindi l'opponente ha eccepito la nullità dell'intera operazione per difetto di causa in quanto, nel caso in esame, "con il mutuo del 28 ottobre 2011 si è creata una cd. "obbligazione virtuale" per ottenere delle garanzie" e "la Banca ha utilizzato il contratto di mutuo chirografo de quo non per concedere un finanziamento a favore della società (...) srl, ma per costituirsi delle nuove garanzie per un preesistente debito". Conseguentemente la predetta operazione non avrebbe comportato la disponibilità delle somme mutuate, essendo diretta al soddisfo di crediti verso la banca mutuante con la sostituzione di debito ed ampliamento delle garanzie. Sulla possibilità di stipulare un contratto di mutuo allo scopo di ripianare una precedente situazione debitoria, la giurisprudenza di legittimità, salvo isolate arresti, ha continuamente affermato tale possibilità e l'esistenza di una valida causa, stante l'effettiva erogazione della somma, erogata proprio allo scopo di ripianare debiti pregressi. In punto di diritto lo scrivente giudicante ritiene che per maggiore chiarezza espositiva è opportuno riportare di seguito la parte della motivazione in diritto di una delle più recenti pronunce in materia (Cass. sent. n. 23149/22): "Il mutuo stipulato per ripianare un debito pregresso del mutuatario verso il mutuante non è nullo. Esso infatti non è contrario né a norme di legge (vanamente se ne cercherebbero in tal senso, a meno di assai fantasiose interpretazioni), né all'ordine pubblico, posto che il pagare i propri debiti è - esso sì - principio di ordine pubblico. Non può escludersi in astratto che la concessione d'un mutuo c.d. "solutorio" possa nel singolo caso celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento: ma in tali casi l'atto sarà nullo o revocabile per questa ragione, e non perché sia stato concesso allo scopo di saldare un debito pregresso. E nel presente giudizio gli opponenti non hanno mai fatto questione né di revocatoria, né di ammissione ad un passivo fallimentare. Del resto, che mutui e finanziamenti persino agevolati od erogati dallo Stato possano essere utilizzati per estinguere debiti pregressi, anche verso lo Stato stesso, è previsto in alcuni casi dalla legge (art. 2 l. 8.8.1977 n. 546; art. 43 d.l. 18.11.1966 n. 976 (convertito dalla l. 23.12.1966 n. 1142); art. 16 r.d.l. 15.4.1926 n. 765), sicché appare arduo predicare la nullità d'una operazione consentita dalla legge. 2.2. Questi princìpi sono pacifici e risalenti nella giurisprudenza di questa Corte. Pacifico è, in particolare, che: -) il mutuo solutorio non è nullo, perché "il ripianamento della passività costituisce in definitiva una possibile modalità di impiego dell'importo mutuato" (Sez. 3 -, Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 - 01); -) deve ritenersi "superato il precedente indirizzo" secondo cui il mutuo solutorio è un contratto simulato oppure illecito; "il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182-bis e 182-quater della legge fall." (Sez. 1 -, Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell'inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576); -) la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto (Sez. 1 - , Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che il contratto abbia le caratteristiche del mutuo cd. di scopo, nel quale sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. (Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924 - 01). 2.3. Negli ultimi anni, in verità, è affiorata nella giurisprudenza di questa Corte l'isolata opinione secondo cui, quando l'intero mutuo sia destinato a ripianare un debito pregresso, tale operazione andrebbe qualificata non come un contratto autonomo, ma come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente, o pactum de non petendo che dir si voglia (così Sez. 1 -, Ordinanza n. 20896 del 05/08/2019, Rv. 655022 - 01 e Sez. 1 -, Sentenza n. 1517 del 25/01/2021, Rv. 660370 - 01, ambedue dovute al medesimo estensore): con la conseguenza - comunque non invocata dai ricorrenti nel presente giudizio - che il titolo esecutivo rappresentato dal mutuo solutorio in realtà non sarebbe tale, poiché il credito scaturirebbe dal contratto pregresso, non dal mutuo stipulato per estinguerlo (che, come detto, costituirebbe una pura dilazione di pagamento. 2.4. Per quanto la suddetta questione non venga strettamente in rilievo nel presente giudizio, reputa doveroso il Collegio prendere le distanze da tale orientamento. Esso infatti si fonda su un (unico) assunto così riassumibile: il mutuo solutorio costituisce un pactum de non petendo perché in esso "non vi è spostamento di denaro" dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario. Affermazione, questa, non sostenibile per molte ragioni, tanto evidenti quanto inoppugnabili. 2.5. In primo luogo, è principio ricevuto nella giurisprudenza di questa Corte che nel contratto di mutuo la datio rei deve essere giuridica e non fisica, con la conseguenza che anche l'accredito in conto corrente basta a tal fine (ex permultis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924 - 01). 2.6. In secondo luogo, il "patrimonio" di ogni persona si compone di beni materiali, beni immateriali e crediti. E chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio d'una posta negativa: dunque la consistenza del patrimonio del mutuatario cambia, e se cambia è arduo sostenere che non vi è stato "spostamento di denaro". 2.7. In terzo luogo, il pagamento di una somma di euro 285.000 euro (tale era l'importo del mutuo erogato a (...)) non può oggi, e non poteva all'epoca in cui venne erogato (31.1.2008), avvenire in contanti, ma solo per accredito in conto corrente (art. 49, comma primo, D.Lgs. 21.11.2007 n. 231, che all'epoca fissava in euro 5.000 il tetto dei pagamenti consentiti in contante). Negare, quindi, che si sia al cospetto d'un mutuo quando l'accredito al mutuante avvenga in via contabile significa sostenere un'interpretazione contrastante con le norme sull'uso del contante. 2.8. In quarto luogo, sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla "natura tipologica" del contratto di mutuo perché si ridurrebbe ad una "partita contabile" è affermazione che prova troppo: in epoca di moneta elettronica, infatti, qualsiasi solutio si riduce ad una "partita contabile". Anche il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal, a ben riflettere, altro non è che una "annotazione" contabile o una delegatio solvendi, "attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili e tenuto altresì conto che sia la normativa antiriciclaggio che le misure normative tese a limitare l'uso di contante nelle transazioni commerciali hanno accentuato l'utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro" (sono parole di Sez. 1, Sentenza n. 38331 del 3.12.2021). 2.9. In quinto luogo, la tesi del pactum de non petendo svela la sua fragilità quando il credito estinto e il mutuo concesso per estinguerlo fossero soggetti a regole diverse quanto a interessi, accessori e garanzie (anche personali). 2.10. Da ultimo, ma è quel che più rileva, la tesi del pactum non petendo mortifica la libertà negoziale delle parti, negando loro la facoltà di stipulare accordi di ristrutturazione atipici. La novazione oggettiva o la dilazione del pagamento, infatti, sono istituti previsti dall'ordinamento cui le parti potrebbero tranquillamente ricorrere. Se non lo fanno, e preferiscono ricorrere ad un mutuo solutorio, tale scelta costituisce un esercizio di libertà negoziale da tutelare, non un atto da sopprimere sol perché non gradito alle personali convinzioni giuridiche o, peggio, sociologiche o addirittura politiche dell'interprete. Dinanzi ad un mutuo solutorio, in conclusione, il mutuatario resta libero di invocare un vizio del consenso, un approfittamento dello stato di bisogno o un accordo simulatorio: ma se non vi riesce, ebbene ch'egli si rassegni al principio pacta sunt servanda". (cfr Cass. sent. n. 23149/22). Questo giudice, condividendo pienamente le ragioni di diritto della giurisprudenza della Cassazione e facendole proprie, ritiene pertanto che il mutuo in esame sia pienamente valido, con conseguente infondatezza del motivo di opposizione. Con il secondo motivo di opposizione, la (...) ha eccepito la nullità della fideiussione rilasciata in data 28 ottobre 2011 per violazione degli obblighi di buona fede e correttezza da parte dell'istituto di credito, in quanto la (...) S.p.A. avrebbe erogato un nuovo mutuo ed avrebbe richiesto il rilascio delle fideiussioni nell'evidente convinzione dell'ormai acquisita insolvenza della debitrice principale società (...) S.r.l., in una situazione che non lasciava supporre alcuna possibilità di rientro da parte di quest'ultima. In particolare, la contrarietà alle regole di correttezza e buona fede contrattuale, nel caso in esame, emergerebbe dall'analisi della condotta della banca finalizzata ad ottenere, all'atto della sottoscrizione del contratto, il rilascio di garanzie ultronee e non necessarie. Da tali osservazioni deriverebbe la nullità dell'intera operazione (mutuo e garanzie). In buona sostanza l'opponente ha lamentato che l'istituto di credito avrebbe concesso un finanziamento e avrebbe contestualmente richiesto l'emissione di garanzie fideiussorie nella chiara consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza della debitrice principale. Il motivo di opposizione si rivela infondato. Infatti la difesa dell'opponente svolge ampie argomentazioni allo scopo di dimostrare la sussistenza di una consistente situazione debitoria della debitrice principale al momento della stipula del contratto di mutuo, con le relative garanzie fideiussorie. Tuttavia l'elemento rilevante, ai fini della valutazione della violazione della buona fede da parte dell'istituto di credito finanziatore, non è tanto la consapevolezza della situazione debitoria pregressa quanto la consapevolezza della incapacità della debitrice principale di far fronte ai debiti; su tale questione la parte opponente, sulla quale incombeva il relativo onere della prova, non solo non ha dimostrato alcunché, ma, soprattutto, non ha formulato alcuna istanza di prova. Deriva da quanto sopra che il motivo di opposizione va rigettato. Con il terzo motivo di opposizione, la (...) ha eccepito la nullità dell'art. 6 della garanzia fideiussoria, nel quale è prevista una deroga al termine dell'art. 1957 c.c., che viene pattiziamente elevato da sei a trentasei mesi, sul presupposto della sua qualità di consumatore. In particolare, ha rappresentato di essere una donna che ha rilasciato garanzia in favore della società del padre, per cui è di tutta evidenza che si è in presenza di consumatore, secondo la definizione di cui all'art. 3 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 206/05, con la conseguenza che l'istituto di credito avrebbe dovuto svolgere una "specifica trattativa" su questa pattuizione, come sancito dal comma 5 dell'art. 34 D.Lgs. n. 206/05. Ne conseguirebbe la nullità della clausola contenuta nell'art. 6, con conseguente non applicabilità del termine di trentasei mesi e operatività della disciplina generale prevista dall'art. 1957 c.c., da cui deriverebbe la decadenza della banca dalla possibilità di agire nei confronti dei fideiussori, avendo agito nei confronti del debitore principale oltre il termine semestrale di decadenza. Anche questo motivo di opposizione è infondato. Infatti la doglianza dell'opponente si basa esclusivamente sul fatto che ella avrebbe prestato la garanzia fideiussoria con la qualifica di consumatore, quando invece dalla visura della società debitrice principale (si veda allegato n. 3 del fascicolo di parte convenuta) emerge la (...) all'epoca rivestiva diversi ruoli societari nella società (...) S.r.l.. Ne consegue che sicuramente la (...), alla stipula del contratto e al momento del rilascio della garanzia, non poteva essere considerata alla stregua di consumatore. Con il quarto motivo di opposizione la (...) ha eccepito la decadenza dell'istituto bancario, in forza dell'art. 1957 c.c.. In particolare ha eccepito l'intervenuta decadenza della (...) S.p.A. e la conseguente liberazione dei fideiussori, in quanto alla data del 7 marzo 2014 erano scadute n. 4 rate in relazione al finanziamento n. 30497/7928457. Ora considerato che, in base al piano di ammortamento allegato al contratto di mutuo chirografo, la prima delle 4 rate aveva termine di scadenza al 30 aprile 2013, la banca, al fine di non incorrere nelle decadenze previste dall'art. 1957 c.c., avrebbe dovuto agire nei confronti del debitore principale entro trentasei mesi (che andavano a scadere il 30 aprile 2016), mentre la (...) S.p.A. ha avanzato domanda di insinuazione nel fallimento della società (...) S.r.l. soltanto l'11 gennaio 2017, senza mai esperire, prima di tale momento, alcuna azione né nei confronti della debitrice principale né nei confronti dei fideiussori. Anche tale motivo di opposizione è infondato. Il senso della norma contenuta nell'art. 1957 c.c. è quello di non tenere il fideiussore legato alla sua garanzia, qualora il creditore non abbia manifestato la volontà di pretendere il credito dal debitore principale (l'utilizzo, da parte della norma, dell'espressione "proporre le sue istanze" fa riferimento ad una manifestazione della volontà, comunque estrinsecata, di escutere il credito). Nel caso in esame è documentato che, nell'ambito del giudizio instaurato nell'anno 2015 dinanzi al Tribunale di Chieti e successivamente riassunto dinanzi al Tribunale di Roma per ragioni di competenza, l'istituto di credito ha manifestato chiaramente la volontà di voler far valere il proprio credito (il quel giudizio vi erano, tra l'altro, anche i garanti). Ne consegue che il creditore istituto di credito ha avanzato le proprie istanze entro il termine di trentasei mesi, come prolungato nella garanzia. Con l'ultimo motivo di opposizione la (...), nel merito del rapporto di credito, ha lamentato la carenza di prova sulla sussistenza del credito e sul suo esatto ammontare. In particolare ha eccepito l'insufficienza, ai fini della prova del credito, dell'estratto conto ex art. 50 D.Lgs. n. 385/93, allegato al ricorso monitorio, documento che ha disconosciuto, in quanto mai conosciuto e contenente informazioni non rappresentanti la realtà e, comunque, né specifiche né chiare. Ha lamentato, in particolare, che tale documento non contiene "un completo, dettagliato ed analitico resoconto delle partite di dare e avere tale da palesare la sussistenza del credito azionato in monitorio" impedendole, così, di effettuare un controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti e di esercitare in pieno il proprio diritto di difesa. Tale ultimo motivo di opposizione (avente ad oggetto questioni differenti da quelle coperte dal giudicato della sentenza emessa dal Tribunale di Roma e prodotta dalla parte convenuta) è privo di fondamento, in quanto nella fase di opposizione la convenuta opposta ha prodotto copia del contratto di mutuo (si veda documento all'allegato n. 6 del fascicolo di parte convenuta), dal quale emerge chiaramente la prova del titolo della pretesa creditoria, dell'entità del finanziamento e della modalità di rientro. Conseguentemente deve ritenersi pienamente dimostrata la sussistenza del titolo per cui la parte convenuta opposta ha avanzato la sua pretesa creditoria. Da ultimo deve essere disattesa ogni doglianza svolta soltanto nella comparsa conclusionale in merito alla efficacia della cessione del credito, intervenuta nel corso di causa tra la convenuta opposta e la terza intervenuta, ed alla titolarità di quest'ultima ad intervenire in questo giudizio. Infatti a seguito dell'intervento della terza cessionaria in giudizio con memoria depositata in data 6 dicembre 2022, alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni la difesa dell'attrice opponente nulla ha contestato in merito e, per la prima volta, ha sollevato la questione soltanto nella comparsa conclusionale. Il rilievo è con tutta evidenza tardivo, oltre che formulato in un momento processuale riservato ormai non più al rilievo di nuove questioni ma semplicemente al riepilogo delle argomentazioni poste alla base delle proprie domande. Segue dalle osservazioni svolte sopra che l'opposizione proposta da (...) deve essere rigettata. Le spese della presente procedura seguono la soccombenza dell'opponente e si liquidano in dispositivo ai valori medi (tenendo in considerazione l'effettiva attività giudiziaria svolta dal procuratore della banca convenuta - fase di studio e fase introduttiva, in assenza di fase istruttoria - e dell'effettiva attività giudiziaria svolta dal procuratore della società intervenuta - fase decisoria). p.q.m. Il Tribunale di Chieti, definitivamente pronunciando in persona del dott. Alessandro Chiauzzi, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: I) rigetta l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 344/21 emesso dal Tribunale di Chieti; II) condanna parte attrice opponente alla refusione, in favore di parte convenuta opposta, delle spese della presente procedura, che liquida in complessivi Euro 4.180,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, iva e cap, come per legge; III) condanna parte attrice opponente alla refusione, in favore della società intervenuta, delle spese della presente procedura, che liquida in complessivi Euro 4.253,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, iva e cap, come per legge. Chieti, 16 maggio 2023. Depositata in Cancelleri il 17 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il G.U., dott. Alessandro Chiauzzi ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1277 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 25 gennaio 2023, con concessione del termine di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e dell'ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica, vertente tra CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), sito in Chieti (CH), alla via (...), 15 e 17, in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Da.Ga. e Mo.Sc., in virtù di delega allegata all'atto di citazione in opposizione, attore opponente; e (...) S.r.l. (C.F. e P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Sa.Ta., in virtù di delega allegata al ricorso per ingiunzione di pagamento, convenuta opposta; Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni delle parti: come da "note di trattazione scritta" depositate in vista dell'udienza del 25 gennaio 2023, svolta mediante contraddittorio scritto o "cartolare", ai sensi dell'art. 221, comma quarto d.l. n. 34/2020, come prorogato. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto n. 350/2021 del 01.06.2021 questo Tribunale ha ingiunto al Condominio (...) il pagamento, in favore della (...) S.r.l., della somma di Euro 10.569,33, oltre interessi e spese della fase monitoria, per il mancato pagamento, da parte dell'ingiunto, del saldo della fattura n. 2551 del 16.03.2021, emessa dall'ingiungente a titolo di multa penitenziale a fronte del recesso anticipato del Condominio (...) dal contratto, dallo stesso sottoscritto in data 20.05.2013, avente ad oggetto la manutenzione dei propri ascensori. Avverso detto provvedimento il Condominio (...) ha proposto opposizione, lamentando che: il contratto di manutenzione, stipulato per la durata di 5 anni, conterrebbe delle clausole vessatorie, ai sensi dell'art. 33 del D.lgs. 206 del 2005, laddove prevede una multa penitenziale eccessivamente onerosa per il caso di recesso e un termine di disdetta eccessivamente lungo per evitare il rinnovo tacito del contratto; l'amministratore non aveva il potere di concludere detto contratto senza la preventiva autorizzazione dell'Assemblea Condominiale, o la successiva rettifica dello stesso ad opera della medesima, in quanto, contenendo il contratto clausole particolarmente onerose per il Condominio, la sua stipula è da considerarsi quale atto di straordinaria amministrazione che, in quanto tale, necessita dell'approvazione dell'Assemblea Condominiale; la disdetta del contratto operata dal Condominio sarebbe oltremodo legittima in quanto trova fondamento anche nella condotta contrattuale della (...) S.r.l., che non ha diligentemente adempiuto agli obblighi cui la stessa era tenuta in virtù del contratto. Quindi ha chiesto, in via principale, la revoca del decreto opposto e, in via subordinata, volersi accertare la durata annuale del contratto di manutenzione, con conseguente rimodulazione della multa penitenziale, in ogni caso con vittoria delle spese di lite. Si è costituita la (...) S.r.l. ed ha dedotto che: la clausola contrattuale regolante il rinnovo tacito dello stesso e il termine per l'esercizio del diritto di disdetta non è vessatoria ai sensi dell'art. 33 del D.Lgs. 206 del 2005, in quanto non rientra in nessuna delle ipotesi contemplate dalla norma e che, inoltre, il Condominio ha approvato specificamente per iscritto detta clausola; la multa penitenziale di cui all'art. 9 del contratto non viola l'art. 33 del D.Lgs. 206 del 2005, in quanto è pienamente legittima in virtù del disposto di cui all'art. 1373 c.c., il quale consente alle parti la possibilità di prevedere nel contratto la prestazione di un corrispettivo per l'esercizio del diritto di recesso; l'Assemblea Condominiale, approvando i bilanci preventivi e consuntivi contemplanti, fra le spese, anche quelle relative alla manutenzione degli ascensori, ha di fatto ratificato l'operato dell'amministratore; in costanza di contratto il Condominio non ha mai sollevato contestazioni riguardo a presunti inadempimenti della (...) S.r.l.. Ha concluso chiedendo, in via principale, il rigetto dell'opposizione con conferma del decreto opposto e, in via subordinata, la condanna del Condominio al pagamento delle diverse somme che dovessero risultare accertate come dovute nei confronti della (...) S.r.l., con vittoria delle spese di giudizio o, quantomeno, compensazione gradata delle stesse. La causa è stata istruita ammettendo la documentazione prodotta dalle parti; con l'interpello del sig. Ge.As., rappresentate legale della società opposta; con le prove testimoniali, consistite nell'escussione del sig. Nu.Gr., condomino e precedente amministratore del Condominio, e del sig. (...), tecnico ascensorista in servizio presso la (...) S.r.l.. Nel merito, questo Tribunale osserva quanto segue. Analizzando preliminarmente le eccezioni di procedibilità sollevate dall'opponente e dall'opposta, entrambe non meritano accoglimento. Quanto al tentativo obbligatorio di mediazione, la presente controversia non rientra fra quelle per cui detto tentativo è obbligatorio. Riguardo all'asserita nullità dell'atto di citazione per omessa menzione della decadenza di cui all'art. 38 c.p.c., ogni eventuale irregolarità della vocatio in ius è stata sanata con la costituzione dell'opposta, la quale, costituendosi, non ha eccepito l'incompetenza del Tribunale adito. È pacifico, anche tra le parti in causa, che nel contratto in esame mentre la (...) S.r.l. riveste la qualifica di professionista ai sensi del D.Lgs. 206 del 2005, il Condominio (...) è senz'altro da considerarsi consumatore ai sensi del medesimo decreto. Con riguardo alle clausole del contratto di manutenzione regolanti il termine per l'esercizio del diritto di disdetta / recesso e la multa penitenziale, l'asserita vessatorietà delle stesse va valutata alla luce dei diversi Provvedimenti adottati nel corso del 2013 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (nell'esercizio dei poteri alla stessa riconosciuti dall'art. 37-bis del D.Lgs. 206 del 2005 nell'ambito della c.d. "Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie") con riguardo a clausole contrattuali del tutto analoghe a quelle oggetto della presente controversia. Nei Provvedimenti nn. 24540 e 24541 del 09.10.2013, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto vessatorie, ai sensi dell'art. 33, commi 1 e 2, lett. f) del D.Lgs. 206 del 2005, clausole che impongono al consumatore, in caso di inadempimento, una penale di importo manifestamente eccessivo. Nei casi di specie, il tenore letterale delle clausole considerate vessatorie dall'Autorità Garante era il seguente: "9) Risoluzione Anticipata. In caso di risoluzione anticipata su nostra richiesta (leggasi "richiesta del condominio/consumatore "n.d.r.) o per nostra colpa, il canone in vigore Vi sarà corrisposto per intero, a titolo di penale ed in unica e immediata soluzione, per tutta la residua validità dell'impegno" (vedasi il Punto II "LE CLAUSOLE OGGETTO DI VALUTAZIONE" del Provvedimento n. 24540) e "Art. 14 - Risoluzione anticipata: (...) "In caso di recesso anticipato del contratto per le seguenti motivazioni: per fatto e colpa del Committente; per decisione intempestiva del Committente; per l'affidamento a terzi di lavori o modifiche degli impianti; per il mancato riscontro alle segnalazioni della impresa manutentrice di eseguire lavori di adeguamento alle nuove normative, alle prescrizioni degli enti di controllo, o comunque lavori necessari per la sicurezza degli impianti. Il Committente è tenuto al pagamento del canone di manutenzione pattuito e all'osservanza di tutti i suoi obblighi fino al giorno di scadenza del contratto" (vedasi il Punto II "LE CLAUSOLE OGGETTO DI VALUTAZIONE" del Provvedimento n. 24541). L'art. 9 del contratto di cui alla presente controversia (documento allegato 2 del fascicolo di parte opponente), impone all'opponente il versamento di cinque annualità in caso di recesso anticipato del medesimo, senza peraltro considerare gli importi già versati dal Condominio per gli anni 2018 (anno del rinnovo tacito), 2019 e 2020. La clausola di detto articolo, laddove dispone che "... il recedente, al momento dell'esercizio del diritto di recesso, anche quando viene richiesta l'interruzione del servizio, dovrà pagare all'altra parte una somma pari al valore economico del presente contratto aggiornato al momento del recesso, a titolo cd. di multa penitenziale", è palesemente vessatoria e, pertanto, è nulla ex lege ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. 206 del 2005. Venendo alla questione afferente alla vessatorietà di una clausola che stabilisca un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta dello stesso, al fine di evitarne la tacita proroga o rinnovazione, nel provvedimento n. 24542 del 09.10.2013 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dopo aver premesso (punto 75 del Provvedimento) che ". un termine per la disdetta di sessanta giorni previsto per i contratti di durata pluriennale - diversamente dai contratti annuali - non risulta vessatorio ai sensi dell'articolo 33, comma 2, lettera i), del Codice del Consumo, in quanto non appare idoneo a determinare un sensibile squilibrio ai danni del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto", ha affermato che (punto 81 del Provvedimento) "un termine di disdetta di novanta giorni in relazione a contratti di durata pluriennale, integra una fattispecie di clausola vessatoria ai sensi dell'articolo 33, commi 1 e 2, lettera i), del Codice del Consumo in quanto idone(o) a determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto". Anche il termine di 90 giorni previsto dall'art. 1 del contratto di cui è causa è vessatorio e, pertanto, nullo ex lege ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. 206 del 2005. Tuttavia, ai fini della presente controversia, tale termine di disdetta non rileva in quanto, per la comunicazione del recesso anticipato in costanza di contratto, il sopracitato articolo 9 prevede il diverso termine di trenta giorni, che è da ritenersi congruo e non vessatorio. Le domande dell'opponente in merito alla rimodulazione annuale del contratto di manutenzione e al presunto inadempimento contrattuale della (...) S.r.l., avanzate dallo stesso con la sola finalità di giustificare la legittimità del proprio recesso, sono assorbite dalle conclusioni che precedono riguardo all'accertata nullità della multa penitenziale. In merito alle richieste dell'opposta, questo Tribunale osserva che a seguito del recesso esercitato dal Condominio nel dicembre 2020 (documento allegato 3 del fascicolo di parte opponente), la (...) S.r.l. aveva diritto a ricevere dall'opponente unicamente il pagamento dei canoni di novembre e dicembre 2020 (per i quali la (...) S.r.l. ha emesso la fattura n. 2250/21 dell'importo di Euro 399,33, documento allegato 7 al fascicolo di parte opponente) e del canone del mese di gennaio 2021 (per i trenta giorni del recesso), per un importo totale di circa Euro 600,00. Dai documenti prodotti emerge che, successivamente al recesso, il Condominio ha versato all'opposta la somma di Euro 1.080,00 (documento allegato 6 del fascicolo di parte opponente), per cui nulla è dovuto dal Condominio alla (...) S.r.l. Alla luce di quanto precede, il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e l'opposta va condannata a rifondere all'opponente le spese di lite, liquidate come in dispositivo P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa: - revoca il decreto ingiuntivo n. 350/2021 emesso dal Tribunale di Chieti; - condanna la società (...) S.r.l. al pagamento delle spese processuali sostenute dal Condominio (...), che vengono liquidate in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali al 15% c.p.a. ed I.V.A. come per legge. Così deciso in Chieti il 12 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 06/04/2023 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di deposito di note scritte, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., nella causa iscritta al n. 562/2022; TRA (...), rappresentato e difeso, come da procura in calce al ricorso, dall'avv. En.Ra.; RICORRENTE E (...) srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, come da procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall'avv. Em.Mi.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 23.06.2022 il ricorrente impugnava il licenziamento comunicato con lettera del 6.12.2021 formulando le seguenti conclusioni: "b) nel merito e in via principale: - dichiarare la nullità del licenziamento perché discriminatorio, per le ragioni illustrate in ricorso; - ordinare al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto; - condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, oltre alla misura non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, con condanna, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; c) nel merito e in via subordinata: - dichiarare l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa; - dichiarare l'insussistenza del fatto addebitato e, di conseguenza, annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, in misura non superiore, comunque, alle dodici mensilità; d) nel merito e in via ulteriormente subordinata: - dichiarare l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa; - dichiarare estinto il rapporto di lavoro e condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per calcolo del trattamento di fine rapporto". A fondamento delle domande proposte il ricorrente deduceva l'insussistenza di fatti integranti una giusta causa di licenziamento ed il difetto di proporzionalità tra fatto contestato e sanzione applicata, evidenziando, in particolare, di essersi legittimamente rifiutato di effettuare le pulizie degli ambienti esterni in quanto attività non riconducibile al suo profilo di inquadramento e, come tale, non esigibile. Il ricorrente allegava, inoltre, di essere stato illegittimamente aggredito dal preposto aziendale dopo il rifiuto di eseguire l'ordine impartito e di avere comunque continuato a lavorare fino all'arrivo dell'ambulanza. La società resistente, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto. Disposta la sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigetto per le ragioni di seguito esposte. Il ricorrente è stato assunto a tempo determinato alle dipendenze della società resistente il 6.6.2016, con qualifica di operaio comune ed inquadramento nel livello 9 del CCNL Grafici-Confapi (doc. 2 ric.). Il contratto è tempo determinato è stato successivamente convertito in contratto a tempo indeterminato. Con lettera del 19/11/2021 la società resistente ha inviato al ricorrente una contestazione disciplinare del seguente tenore: "Con la presente, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 300 del 1970, del CCNL Comunicazione - Grafici Confapi e del Codice Disciplinare adottato in azienda, Le contestiamo il comportamento da Lei tenuto in violazione delle regole disciplinari e degli obblighi lavorativi, di seguito specificato. Nel giorno 5 novembre 2021, alle ore 11.00 circa il Sig. (...) ha comunicato di effettuare la pulizia della vasca spoglio telai; a fronte di ciò, Lei si è alterato, non ha eseguito l'ordine ricevuto e si è lamentato sostenendo di non volere svolgere anche altre mansioni inerenti l'attività aziendale. Dinanzi a tale Suo comportamento, il Sig. (...) ha detto: "se stai male, vai a casa" e Lei, mostrandosi ancora più irritato da tale affermazione, ha scritto appunti sul calendario pubblico affisso in azienda. A quel punto, il Sig. (...) ha rimosso il suddetto foglio da Lei annotato e, dopo averlo gettato, si è chinato per raccoglierlo da terra; in quel mentre, Lei si è affiancato al sig. (...) e, cercando di recuperare per primo il foglietto, si è buttato a terra addossando la colpa della caduta al sig. (...). Subito dopo, Lei si è allontanato ed ha ripreso a lavorare. Tale comportamento, oltre ad essere totalmente irrispettoso dei vertici aziendali, configura grave violazione delle regole disciplinari e degli obblighi lavorativi. Pertanto, ai sensi di legge, La invitiamo a far pervenire giustificazioni relative al comportamento contestato e sopra specificato entro cinque giorni dal ricevimento della presente, riservandoci l'adozione delle opportune sanzioni disciplinari all'esito delle giustificazioni rese o in loro difetto" (doc. 4 ric.) Con lettera del 6.12.2021 la società resistente ha intimato il licenziamento per giusta causa (doc. 5 ric.). L'art. 2119 c.c. prevede che il contratto di lavoro a tempo indeterminato possa essere risolto unilateralmente e senza preavviso, qualora si verifichi una causa che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la giusta causa di licenziamento, tradizionalmente ricondotta alla tipologia della clausole generali, in tutti quei comportamenti che, valutati con riferimento agli aspetti concreti della vicenda sotto il profilo oggettivo e soggettivo (natura e qualità del singolo rapporto, grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, motivi, intensità del dolo e della colpa), si concretano in una negazione degli elementi del rapporto di lavoro di gravità tale da far venir meno la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav. sent. n. 3865/08; Cass. civ., sez. lavoro sent. n. 22798/12). Si è, in particolare, affermato che "in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore deve essere valutata nel suo contenuto obbiettivo, con specifico riferimento alla natura e alla qualità del rapporto, al particolare vincolo di fiducia che esso implica per la posizione rivestita nel suo ambito dal prestatore di lavoro, al grado di affidamento richiesto per le mansioni ricoperte, nonché nella sua portata soggettiva in relazione alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi che l'hanno determinato e alla intensità dell'elemento volitivo, che deve essere riferito anche all'ambito della relazione lavorativa e non solo ai profili meramente interiori" (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 8641 del 12/04/2010). Si è, inoltre, ritenuto che "in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza", precisandosi, altresì, che "spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed alla sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia" (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 14586 del 22/06/2009). Si è, inoltre, affermato che "l'onere della prova della giusta causa del licenziamento - che spetta al datore di lavoro, ai sensi dell'art. 5 della L. n. 604 del 1966 - deve riguardare la sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, con riferimento agli aspetti concreti di esso, afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nella organizzazione dell'impresa, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità del fatto volitivo" (cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 9590/2001). Ciò premesso, deve rilevarsi come nel caso di specie la società resistente abbia dato piena prova dei fatti oggetto di contestazione disciplinare e dell'idoneità degli stessi ad integrare una giusta causa di licenziamento. Al ricorrente è stato in primo luogo contestato di essersi rifiutato di eseguire la prestazione lavorativa consistente nell'attività di pulizia della vasca spoglio telai. La circostanza è stata integralmente confermata dal testimone (...), il quale ha dichiarato: "... io ho chiesto al ricorrente di pulire una vasca di lavaggio che si trova nel reparto in cui lui lavorava e dove eravamo in quel momento; il ricorrente si è rifiutato di eseguire la disposizione che gli avevo dato". Il fatto contestato, peraltro, non è mai stato negato dal ricorrente, il quale ha dedotto la legittimità del rifiuto per essere tale attività estranea al suo profilo di inquadramento. L'assunto del ricorrente non può ritenersi fondato atteso che, secondo le declaratorie contrattuali, sono inquadrati nel livello 9 i lavoratori che "svolgono mansioni per le quali è richiesto un normale grado di qualificazione" e tra tali mansioni ben possono ricomprendersi anche quelle di pulizia. In ogni caso, deve rilevarsi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "l'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod. civ., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 del cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte. Conseguentemente, costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 25313/2017; n. 12696/2012; n. 24118/2018). Parimenti provato deve ritenersi anche l'altro comportamento contestato al ricorrente, ossia l'aver falsamente incolpato il sig. (...) della sua caduta a terra. L'istruttoria svolta ha consentito di appurare che il ricorrente è scivolato ed è caduto nel tentativo di recuperare il foglio che il sig. (...) aveva strappato e buttato a terra. Tanto è stato riferito sia dal testimone (...) che dal testimone (...), le cui dichiarazioni devono ritenersi attendibili in quanto coerenti e lineari. Di nessuna rilevanza è il rinvio a giudizio del sig. (...), di cui ha dato atto il ricorrente con il documento allegato alle note difensive autorizzate, sia per l'autonomia tra giudizio civile e giudizio penale, sia perché il rinvio a giudizio non contiene alcun accertamento e alcuna affermazione di colpevolezza del (...). E' dunque escluso, stando alle risultanze istruttorie di questo giudizio, che sia stato il sig. (...) a spingere il ricorrente e a farlo cadere a terra. Anche tale falsa incolpazione deve ritenersi comportamento di particolare gravità, in quanto sintomatico di una mancanza di correttezza nei rapporti con i colleghi di lavoro. Ebbene, i comportamenti posti in essere dal ricorrente e pienamente provati nel presente giudizio (grave insubordinazione e falsa incolpazione di aggressione) sono di indubbia gravità, in quanto denotano una scarsa diligenza nell'esecuzione della prestazione lavorativa e nell'attuazione di direttive ed istruzioni aziendali ed un atteggiamento scorretto ed irrispettoso nei confronti di colleghi di lavoro. La gravità e l'idoneità degli episodi a ledere il vincolo fiduciario, deriva anche dalla irrogazione di precedenti sanzioni disciplinari per fatti analoghi a quelli posti a base del recesso (atteggiamenti irrispettosi nei confronti dei colleghi, introduzione di materiale di consumo in azienda senza autorizzazione, insubordinazione, omessa comunicazione di assenza dal lavoro-cfr. doc. 7-10 ric.). Il fatto che tali precedenti disciplinari non siano stati richiamati nella contestazione disciplinare, non impedisce di tenerne conto ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, "il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 1145/2011; n. 14453/2017; n. 8803/2020). In definitiva, i fatti posti a base del recesso, valutati unitamente a quelli che hanno portato all'applicazione di sanzioni disciplinari conservative, integrano la giusta causa di licenziamento in quanto espressione di comportamenti scorretti e poco inclini al rispetto delle direttive e delle esigenze aziendali. Il licenziamento è, dunque, senza dubbio legittimo, con conseguente rigetto di tutte le domande proposte in ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo secondo le previsioni del D.M. n. 55 del 2014 (cause di lavoro-scaglione da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00 in considerazione del valore indeterminabile della causa-riduzione del 50% per ciascuna fase). P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso in favore della parte resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 4.628,50, per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, iva e cpa come per legge. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 6 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO "Trattazione scritta" disposta per l'udienza del 21.03.2023 Sentenza con motivazione contestuale Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 65/2022 R.G.A.C. promossa da (...), D.L., (...), (...), (...), (...) e (...) (Avv. Avv.ti Ma.Sa. e Ol.Gi.) contro MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE MIUR- oggi MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO (Avvocatura Distrettuale dello Stato), avente ad oggetto: impugnativa del provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in attuazione al D.L. n. 172 del 2021, osserva quanto segue: FATTO E DIRITTO - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 29.01.2022, le ricorrenti in epigrafe indicate, premesso di essere insegnanti presso Istituti scolastici pubblici aventi tutti sede nella Provincia di Chieti, lamentavano che i dirigenti scolastici di ciascuna delle scuole presso le quali essi prestano servizio avevano comunicato loro un provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, avente efficacia di 6 mesi, dichiarandoli assenti ingiustificati, in attuazione al D.L. n. 172 del 2021. Agivano in questa sede chiedendo "2. In via principale di merito Previo accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato di sospensione per la mancata esecuzione dell'obbligo di tentare il ricollocamento dei ricorrenti, prima di procedere con la loro sospensione, revocarsi il medesimo, ordinando la reintegrazione in servizio dei ricorrenti, eventualmente anche in diverse mansioni idonee a evitare il contagio da SARS-Cov-2 e la corresponsione a loro favore di tutti gli stipendi dovuti alla parte ricorrente dalla sospensione dal lavoro, comprensivi degli oneri previdenziali e di ogni accessorio dovuto. 3. In via principale di merito ulteriore 1) Previo accertamento che le persone vaccinate contagiano e sono contagiate dal virus SARSCoV- 2 e contraggono la malattia COVID-19 fino a possibili esiti mortali e, pertanto, la vaccinazione non solo non garantisce la sicurezza del luogo di lavoro in cui opera la parte ricorrente, ma, anzi, per le modalità attuative, come analiticamente descritte nella narrativa, amplifica a dismisura e senza alcun possibile controllo, la circolazione del medesimo; 2) previo accertamento che la tecnologia in vitreo tampone antigienico e/o Rt PCR consente una diagnosi precisa della presenza o meno del virus SARS-CoV-2 e, quindi, rappresenta un sistema diagnostico preventivo idoneo a garantire che ciascun lavoratore entri in un luogo di lavoro sicuro e che vi permanga costantemente, salvaguardando quest'ultimo dalla possibilità di divenire un ambiente favorevole alla circolazione del virus SARS-CoV-2; 3) ordinare alla parte resistente di effettuare la diagnostica con tamponi a ciascun lavoratore al momento dell'ingresso nel luogo di lavoro, assumendosi il costo dei medesimi, in quanto strumento indispensabile di garanzia di sicurezza ai sensi del coordinato disposto di cui agli artt. 17 e 28 D.Lgs. n. 81 del 2008;4) disapplicare l'art. 2 del D.L. n. 172 del 2021, nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 perché non imponendo al datore di lavoro l'effettuazione ai vaccinati dei tamponi all'ingresso del luogo di lavoro, determina la gravissima insicurezza di quest'ultimo ed espone tutti i lavoratori alla diffusione del virus SARS-CoV-2 in violazione del principio di precauzione ed in contrasto insanabile con le fonti di diritto europeo di grado superiore analiticamente prospettate, annullando conseguentemente il provvedimento impugnato in quanto illegittimo; 5) previo accertamento che la vaccinazione non determina alcuna variazione migliorativa del luogo di lavoro che, invece, è garantita integralmente dalla tecnologia in vitreo dei tamponi antigienici o molecolari, che può essere svolta sia da vaccinati che da noi vaccinati; 6) previo accertamento che i lavoratori vaccinati e non vaccinati, qualora si sottopongano alla diagnosi con tamponi antigienici o molecolari, garantiscono, nella medesima massima misura possibile, sulla base delle evidenze scientifiche ad oggi disponibili, la sicurezza del luogo di lavoro; 7) dichiarare illegittima la sperequazione di trattamento tra vaccinati e non vaccinati sui luoghi di lavoro in quanto essa non realizza l'interesse pubblico della sicurezza del luogo di lavoro che la possa giustificare tra lavoratori in posizioni similari; 8) disapplicare l'art. 2 del (...) nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 perché in contrasto con le norme di diritto europeo richiamate in narrativa, annullando il provvedimento impugnato; 9) previo accertamento che il provvedimento impugnato viola i principi in materia di proporzionalità espressi dalla giurisprudenza della Corte dei Diritti dell'Uomo; 10) disapplicare l'art.2 del D.L. n. 172 del 2021 nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 annullando il provvedimento impugnato. 4. In tutte le ipotesi 1) Dichiarare che la parte ricorrente è assente giustificata dal luogo di lavoro ai sensi dell'art. 44 D.Lgs. n. 81 del 2008 in quanto, sino all'applicazione della richiesta misura di effettuazione di tampone antigienico o molecolare a tutti i lavoratori indistintamente, esso presenta rischi gravissimi di contaminazione dal virus SARS-CoV-2 e di possibile contrazione della malattia COVID-19, dovuta alla presenza di lavoratori vaccinati non tamponati, per cui deve trovare applicazione l'ipotesi prevista espressamente di legittimo allontanamento dal luogo di lavoro che presenti rischi di danno alla salute; 2) ordinare alla resistente l'immediata riassunzione delle parti ricorrenti nei rispettivi posti di lavoro e nelle mansioni svolte e l'accesso delle medesime ai luoghi di lavoro con contestuale svolgimento della diagnostica da attuarsi con tecnologia in vitreo tamponi antigienici e/o molecolari; 3) condannare la parte resistente alla corresponsione delle retribuzioni a favore della parte ricorrente dalla data di sospensione alla data di effettiva riassunzione, oltre gli oneri previdenziali e di ogni accessorio dovuto; 4) condannare la parte resistente al pagamento del danno non patrimoniale per l'ingiusta discriminazione attuata nei confronti della parte ricorrente da liquidarsi in via equitativa nella misura di Euro 15.000 o di quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia. 5. In via subordinata Condannarsi controparte al pagamento ex art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957 dell'assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre agli assegni per carichi di famiglia. In tutte le ipotesi, condannarsi controparte al pagamento delle spese di lite e dei compensi professionali di cui si chiede la liquidazione ex D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i..". L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione, deduceva che "le docenti ricorrenti (...), (...) e (...) erano state destinatarie di provvedimenti di reintegrazione in servizio ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3, D.L. n. 44 del 2021, convertito dalla L. n. 76 del 2021, con effetto immediato a decorrere, la seconda, dal 25.1.2022 - dunque, in data antecedente alla proposizione del ricorso di che trattasi -, la terza, dal 1.2.2022, la prima dal 7.2.2022" e concludeva chiedendo "1) in primis, dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario in favore del Giudice Amministrativo, con ogni consequenziale statuizione; 2) comunque, dichiarare inammissibile la domanda avanzata dalle ricorrenti sigg.re (...), (...) e (...) ovvero dichiarare cessata la materia del contendere con riferimento alle posizioni delle medesime, per le ragioni meglio esposte in narrativa; 4) in ogni caso, rigettare ogni e qualsivoglia pretesa - cautelare e di merito -, siccome inammissibile ovvero infondata. Con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite.". Matura per la decisione allo stato degli atti, la causa, istruita con la sola produzione dei documenti offerti in comunicazione dalle parti, veniva alfine decisa mediante adozione fuori udienza della presente sentenza con motivazione contestuale, previo deposito in telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni ex art. 127 ter c.p.c. da parte delle sole ricorrenti. -2- Va in primo luogo rilevata la mancata contestazione che le docenti D., (...) e (...) siano state reintegrate in servizio con le decorrenze indicate dal Ministero resistente, ciò determinando la cessazione della materia del contendere limitatamente alla domanda di "reintegrazione in servizio dei ricorrenti" di cui al punto 2, a quella avente ad oggetto l'ordinare "alla parte resistente di effettuare la diagnostica con tamponi a ciascun lavoratore al momento dell'ingresso nel luogo di lavoro" di cui al punto 3, e a quelle di cui ai punti da 7 a 9 (dovendo ritenersi provato che le predette ricorrenti abbiano fatto ingresso nel luogo di lavoro senza dover sottoporsi alla prassi diagnostica invocata quale alternativa al vaccino). Le stesse conclusioni, per la verità, sembrano poter essere riferite anche alle restanti parti ricorrenti, atteso che, stando a quanto richiesto e dedotto nelle note scritte depositate in data 10.3.2023 in cui "si insiste per l'accoglimento delle domande già formulate nel ricorso introduttivo, con declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla domanda di reintegra in servizio" e nulla viene dedotto sulle modalità e sui tempi di avvenuta reintegrazione delle varie parti ricorrenti. -3- L'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito sollevata da parte resistente va rigettata, in quanto l'oggetto del giudizio è costituito dalla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione quali atti di gestione del rapporto di lavoro e dall'accertamento delle sussistenza di un eventuale trattamento discriminatorio e della relative conseguenze, e non atti costituenti estrinsecazione di poteri amministrativi a fronte dei quali si configurano situazioni qualificabili alla stregua di interessi legittimi. -4- Nel merito il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte. Le ricorrenti prospettano da un lato vari profili di illegittimità delle norme che hanno introdotto la vaccinazione SARS-CoV-2 come requisito essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa (con conseguente provvedimento di sospensione in caso di mancata vaccinazione) e d'altro lato contestano le valutazioni e i presupposti scientifici e di opportunità politica che hanno indotto il legislatore ad introdurre la citata normativa (testualmente, le doglianze di cui ai punti da 3 a 8 del ricorso si riferiscono, infatti, ai dati di carattere scientifico e statistico posti a fondamento delle scelte di politica legislativa adottate nel corso della fase emergenziale della pandemia, mentre solo nei punti successivi si affrontano le tematiche del contrasto con la normativa dell'Unione Europea, con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e con alcune norme di diritto interno come l'art. 44 del D.Lgs. n. 81 del 2008 e l'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957). Quanto, in particolare, a tutte le deduzioni relative alla validità scientifica dei presupposti che hanno determinato l'introduzione della normativa di cui si chiede la disapplicazione (art. 2 D.L. n. 172 del 2021 e art. 1 del D.L. n. 1 del 2022), come pure alle valutazioni di opportunità politica per l'introduzione della vaccinazione come requisito essenziale per lo svolgimento di determinate attività lavorative, ritiene questo giudice - come autorevolmente sostenuto in una recente pronuncia della Corte d'Appello di Torino (RG 432 /2022) - che l'unico strumento per contestarne la validità e l'efficacia non possa che essere quello di prospettare eventuali profili di contrasto con i principi costituzionali, ma che non appare ammissibile l'operazione richiesta in questa sede al giudice ordinario, vale a dire una valutazione (anche scientifica) che si sovrapponga (e si sostituisca) a quella effettuata in sede parlamentare. Del resto, la quasi totalità delle argomentazioni in questione risulta ormai condivisibilmente superata a seguito dei recenti pronunciamenti della Corte Costituzionale, adita con ordinanze di rimessione rese dalla giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa. Come si legge nella sentenza n. 15/2013 della Corte costituzionale (pronunciata con riferimento specifico all'obbligo vaccinale imposto al personale della sanità, ma estensibile anche al personale scolastico sui lo stesso obbligo è stato esteso) "Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il contemperamento del diritto alla salute del singolo (comprensivo del profilo negativo di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con l'interesse della collettività costituisce il contenuto proprio dell'art. 32 Cost. (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) e rappresenta una specifica concretizzazione dei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., nella quale si manifesta "la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente" (sentenza n. 75 del 1992). E la sentenza n. 218 del 1994 ha avuto modo di affermare che la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari". 10.3.1.- Le misure approntate dal legislatore non possono, nel caso di specie, non essere valutate tenendo conto della situazione determinata da "un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari" (sentenza n. 37 del 2021). Peculiarità, si deve sottolineare, risultante anche e soprattutto dalle indicazioni formulate dai competenti organismi internazionali. Invero, l'OMS, con la dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l'epidemia da COVID-19 come un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Successivamente, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale, con la dichiarazione dell'11 marzo 2020, l'OMS ha valutato la situazione sanitaria come "pandemia". L'OMS, la Commissione europea ed altri organismi internazionali si sono impegnati da subito per il coordinamento della ricerca scientifica e la successiva somministrazione del vaccino. Già il 20 aprile 2020 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione volta a consentire che gli Stati agissero in modo unito e coordinato contro la pandemia, auspicando un rafforzamento della cooperazione internazionale finalizzata in particolare alla ricerca di trattamenti farmacologici specifici. Il 19 maggio 2020 l'Assemblea dell'OMS ha invitato gli Stati membri a promuovere attività di ricerca volte alla scoperta di un vaccino da rendere disponibile alle popolazioni di tutti gli Stati. La Commissione europea, quindi, ha elaborato una strategia comune per l'impiego dei vaccini attraverso le Comunicazioni del 17 giugno 2020 (Strategia dell'Unione europea per i vaccini contro la Covid-19) e del 15 ottobre 2020 (Preparazione per le strategie di vaccinazione e la diffusione di vaccini contro la COVID-19). Il Consiglio d'Europa ha poi approvato la risoluzione n. 2361/2021 del 27 gennaio 2021, relativa alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini, sottolineando la necessità della massima collaborazione fra gli Stati per assicurare una campagna vaccinale efficiente. In Italia, il Consiglio dei ministri, con deliberazione del 31 gennaio 2020, ha dichiarato, unicamente ai sensi e per gli effetti dell'art. 7, comma 1, lettera c), e dell'art. 24, comma 1, del D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), lo stato di emergenza sanitaria sul territorio nazionale, per sei mesi, proprio in relazione al rischio connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Lo stato di emergenza è stato poi prorogato con diversi provvedimenti fino al 31 marzo 2022, e solo con il D.L. n. 24 del 2022, come convertito, ne è stata disposta la cessazione. Proprio per effetto dell'intervento pubblico e del sostegno dato alla ricerca scientifica, sono stati approntati - in tempi particolarmente rapidi - vari vaccini finalizzati a contrastare la diffusione del virus. Una volta che questi sono divenuti disponibili, si è quindi proceduto alla predisposizione di uno specifico piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2 (decreti del Ministro della salute 2 gennaio e 12 marzo 2021, adottati ai sensi dell'art. 1, comma 457, della L. n. 178 del 2020) e, solo nell'aprile del 2021, è stato introdotto l'obbligo vaccinale qui in discussione. È importante sottolineare sin d'ora che l'obbligo di vaccinazione è stato gradualmente introdotto dal legislatore solo dopo alcuni mesi dall'avvio della campagna vaccinale di cui al citato piano, tenendo conto, evidentemente, della non completa adesione allo stesso nell'ambito delle categorie interessate. Il legislatore ha quindi reputato necessaria l'imposizione dell'obbligo "al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza" (art. 4, comma 1, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito) ... .Il fatto che il legislatore abbia operato le proprie scelte sulla base di valutazioni e di dati di natura medico-scientifica, tuttavia, non vale a sottrarre quelle scelte al sindacato di questa Corte, ma comporta che lo stesso dovrà avere ad oggetto l'accertamento della non irragionevolezza e della proporzionalità della disciplina rispetto al dato scientifico posto a disposizione. Già la sentenza n. 114 del 1998, infatti, ha chiarito che quando la scelta legislativa si fonda su riferimenti scientifici, "perché si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice"." Più in particolare, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che "che gli interventi normativi finalizzati alla riduzione della circolazione del virus dovessero essere calibrati rispetto all'andamento della situazione sanitaria e delle acquisizioni scientifiche" e che nel tempo, e sulla base dell'andamento dell'evoluzione della pandemia, nonché di scelte conseguenti alle determinazioni circa la frequenza delle scuole in presenza, la durata dell'obbligo era stata più volte modificata, sempre in base all'andamento dei contagi e all'evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipata, com'è noto, al 1 novembre 2022, ha condivisibilmente affermato come i dati esposti nei rapporti dell'ISS "lungi dall'evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, l'efficacia del vaccino - intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati - sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l'infezione da SARSCoV-2, quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale. "In presenza di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque (sentenza n.127 del 2022)", la decisione del legislatore di introdurre l'obbligo vaccinale in esame (nei limiti soggettivi e temporali di cui si è detto) non può, dunque, reputarsi irragionevole, in quanto è sorretta dalle indicazioni delle competenti Autorità nazionali e sovranazionali alla luce della gravità della situazione che tale vaccinazione era destinata ad affrontare. La scelta si è rivelata, altresì, ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini. La stessa circostanza, evidenziata dal rimettente, che il Ministero della salute abbia dichiarato "tassativamente falsa l'affermazione secondo cui se ho fatto il vaccino contro SARS-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l'infezione agli altri", non vale ad inficiare la scelta operata dal legislatore di prescrivere, per le diverse categorie degli operatori sanitari, l'obbligo vaccinale, ma solo a rendere consapevoli i soggetti vaccinati della inevitabile impossibilità di restare del tutto immuni dalla malattia e, ancora prima, dal contagio. Invero, l'affermazione che un vaccino sia efficace solo se esso produca una immunizzazione pari al 100 per cento delle somministrazioni, da un lato, non può ritenersi sorretta da un'adeguata dimostrazione scientifica; dall'altro, non esclude affatto che, in una situazione caratterizzata da una rapidissima circolazione del virus, i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione, con ricadute tanto più apprezzabili in ambienti o in luoghi destinati ad ospitare persone fragili o, comunque, bisognose di assistenza. Come osservato dall'ISS, "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al 100 per cento (come del resto per tutti gli altri vaccini), l'elevata circolazione del virus SARS CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile mediante la somministrazione dei vaccini" (sul punto, e più in generale sui dati medico-scientifici a disposizione del legislatore, si veda anche la sentenza n. 14 del 2023, punti 10 e seguenti). In base a tali considerazioni, l'imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l'espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico. 11.2.- Può quindi affermarsi che le disposizioni qui censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività". In questa sede si può solo aggiungere che l'obbligo vaccinale introdotto anche per il personale scolastico, quotidianamente a contatto con la comunità degli studenti, ha avuto anche in questo caso lo scopo di perseguire la tutela della salute individuale pubblica (compresa quella di studenti ed insegnati che eventualmente si siano trovati in condizione di fragilità, non trovando, invece, alcun riscontro probatorio l'affermazione, contenuta nelle note difensive, secondo cui "i giovani alunni erano notoriamente i soggetti meno a rischio di contrarre il SARS-CoV-2 e subire un caso grave della malattia COVID-19") e, dunque, "il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione di servizi essenziali per la collettività" (qual è senz'altro il servizio della pubblica istruzione). Anche con riferimento al comparto scuola non può certamente ritenersi che la previsione dell'obbligo di sottoporsi a test diagnostici dell'infezione da SARS-CoV-2 con una elevata frequenza, anziché al vaccino, "costituisca un'alternativa idonea ad evidenziare la irragionevolezza o la non proporzionalità della soluzione prescelta dal legislatore", sia in quanto la soluzione alternativa "sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere" il regolare funzionamento del servizio scolastico, sia perché "l'effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata" avrebbe avuto elevati costi insostenibili e uno sforzo difficilmente tollerabile per un'amministrazione pubblica quale quella resistente. Anche con riferimento al personale del settore scolastico "La decisione del legislatore risulta altresì non sproporzionata. La conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo è rappresentata dalla sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, che è destinata a venire meno in caso di adempimento dell'obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica" e il correlato sacrificio del diritto del lavoratore "non ha la natura e gli effetti di una sanzione", né eccede "quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria e si rivela altresì idoneo e necessario a questo stesso fine". Quanto, in particolare, alle argomentazioni attinenti alla mancata esecuzione dell'obbligo di tentare il ricollocamento dei ricorrenti prima di procedere con la loro sospensione, al diritto alla retribuzione o in subordine a percepire l'assegno alimentare ex art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957, altrettanto condivisibilmente è stato affermato: che "All'inosservanza dell'obbligo vaccinale, la legge impositiva dello stesso attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero" il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2; che "Essendo la vaccinazione elevata dalla legge a requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, il datore di lavoro, messo a conoscenza della accertata inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge"; che "la sospensione del lavoratore non vaccinato, prevista dalla disposizione censurata, è in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 del codice civile e dall'art. 18 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della L. 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), con valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro. Avendo riguardo alla posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 ha, a sua volta, ampliato il novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall'art. 20 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività"; che "Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost., avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all'obbligo vaccinale, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l'attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica"; che "L'effetto stabilito dalle norme censurate, secondo cui al lavoratore che decida di non sottoporsi alla vaccinazione non sono dovuti, nel periodo di sospensione, "la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati", giustifica, pertanto, anche la non erogazione al lavoratore sospeso di un assegno alimentare (in misura non superiore alla metà dello stipendio, come, ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello Stato dall'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957, e in altri casi dalla contrattazione collettiva), considerando che il lavoratore decide di non vaccinarsi per una libera scelta, in ogni momento rivedibile"; che, in sostanza, poiché nel periodo di sospensione del dipendente non vaccinato, pur essendo formalmente in essere il rapporto, è carente medio tempore la sussistenza del sinallagma funzionale del contratto, la negazione del diritto all'erogazione di un assegno alimentare in favore del lavoratore inadempiente all'obbligo vaccinale "si giustifica quale conseguenza del principio generale di corrispettività, essendo il diritto alla retribuzione, come ad ogni altro compenso o emolumento, comunque collegato alla prestazione lavorativa, eccetto i casi in cui, mancando la prestazione lavorativa in conseguenza di un illegittimo rifiuto del datore di lavoro, l'obbligazione retributiva sia comunque da quest'ultimo dovuta"; che sussiste una oggettiva differenza tra il lavoratore non vaccinato e il lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, in base all'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957 o al sopravvenuto contratto collettivo di comparto, come stabilito dall'art. 59 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421) e poi dall'art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); che tali ultime normative configurano "la sospensione come misura provvisoria, priva di carattere sanzionatorio e piuttosto disposta cautelarmente nell'interesse pubblico (ordinanze n. 541 e n. 258 del 1988), destinata ad essere travolta dall'esaurimento dei paralleli procedimenti, il che rende improponibile la comparazione. Invero, la scelta del legislatore di equiparare quei determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva trova lì giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo del lavoratore per il tempo occorrente alla definizione dei relativi giudizi e alla verifica della sua effettiva responsabilità, ancora non accertata. Se, quindi, in tali casi, il riconoscimento dell'assegno alimentare si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile"; che, quanto alla prospettata natura non retributiva, ma assistenziale dell'assegno in questione, anche a voler considerare l'assegno alimentare in favore dell'impiegato sospeso un diritto soggettivo di automatica applicazione, nonostante la temporanea interruzione del termine sinallagmatico dello svolgimento della prestazione da parte del lavoratore, "rimane smentita la conclusione che configuri quale soluzione costituzionalmente obbligata l'accollo al datore di lavoro della erogazione solidaristica, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia perciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa, di una provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti di lavoro, atta a garantire la soddisfazione delle esigenze di vita del dipendente e della sua famiglia. Posto cioè che l'erogazione dell'assegno alimentare rappresenta per il datore di lavoro un costo netto, senza corrispettivo, non è irragionevole che il legislatore ne faccia a lui carico quando l'evento impeditivo della prestazione lavorativa abbia carattere oggettivo, e non anche quando l'evento stesso rifletta invece una scelta - pur legittima - del prestatore d'opera". Quanto, infine, alla questione attinente alla illegittimità della sospensione per mancata adibizione delle ricorrenti allo svolgimento di mansioni, ove possibile, diverse (evidentemente al solo fine di ottenere la declaratoria del diritto al pagamento degli stipendi non corrisposti dal momento della sospensione fino a quello della riammissione in servizio) occorre osservare come in mancanza di più compiute deduzioni delle parti ricorrenti, alla luce del confronto tra le deduzioni degli atti introduttivi del giudizio, possa argomentarsi che la sospensione senza tentativo di ricollocamento in mansioni differenti abbia avuto le seguenti caratteristiche: la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 05/01/2022 fino al 7.2.2022; la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 05/01/2022 al 25/01/2022; la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 27/12/2021 al 1/02/2022;delle restanti parti ricorrente si conosce, invece, solo la data di decorrenza iniziale della sospensione (D.L. 29/12/2021, (...) 03/01/2022, (...) 27/12/2021, (...) 21/12/2021) ed è certo che le stesse siano state reintegrate in servizio alla data del deposito delle note conclusive. Pur prescindendo da tale carenza di allegazioni (che impediscono di ritenere, ad esempio, quanto sia stato esteso il preteso inadempimento dell'amministrazione resistente e se lo stesso sia risultato, eventualmente, successivo anche alla data di adozione del D.L. n. 24 del 2022 sopravvenuto in corso di causa), deve ritenersi pacifico che per effetto del D.L. n. 172 del 2021 nei periodi in questione e fino al 25.3.2022 fosse venuto meno il dovere datoriale di repêchage a mansioni disponibili non comportanti un rischio di contagio (se non per i soggetti esentati dalla vaccinazione per motivi di salute), mentre per effetto del menzionato D.L. n. 24 del 2022 e con effetto dal 25.3.2022 (data di entrata in vigore del D.L. n. 24 del 2022) "L'atto di accertamento dell'inadempimento impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica". Come dedotto dalle parti ricorrenti nell'ambito delle note difensive il Ministero resistente avrebbe, infine, adottato, il documento interpretativo dei contenuti del D.L. n. 24 del 2022, in cui era stato precisato che "il trattamento applicabile al docente inidoneo è analogo a quello previsto dal CCNI per i casi di inidoneità temporanea dovuta a motivi di salute (art. 2 e 3 del CCNI)". Tanto premesso, deve, allora osservarsi come le deduzioni secondo le quali "l'obbligo di tentare il ricollocamento della dipendente sussisteva anche prima dell'emanazione del D.L. n. 24 del 2022" non appaiono condivisibili. Va, innanzitutto, premesso che la disciplina dettata dal D.L. n. 24 del 2022 risulti adottata, come pure testualmente indicato "Considerato l'evolversi della situazione epidemiologica" e "Considerata l'esigenza di superare lo stato di emergenza dettando le disposizioni necessarie alla progressiva ripresa di tutte le attività in via ordinaria" e, dunque, sulla base di una situazione epidemiologica evidentemente diversa ed evoluta rispetto a quella relativa al periodo di entrata in vigore del D.L. n. 172 del 2021, essendo unicamente previsto, fino al 25.3.2022, che la vaccinazione costituisse requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati, con l'eccezione dei soli lavoratori non vaccinati in quanto dotati di un certificato medico di esenzione o differimento per motivi di salute ufficialmente attestati. Se ne deduce che in data antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 24 del 2022 alcun obbligo vi fosse, a carico dell'amministrazione resistente, di tentare di adibire i lavoratori volontariamente sottrattisi all'obbligo vaccinale ad altra collocazione lavorativa. Né può ritenersi, come sostenuto in ricorso, che l'esistenza di un obbligo in tal senso potesse argomentarsi sulla base della "qualificazione del personale scolastico non vaccinato quale temporaneamente inidoneo per motivi di salute", dal momento che i provvedimenti legislativi succedutisi al 25.3.2022 non hanno affatto "qualificato" il personale non vaccinato per scelta inidoneo, limitandosi, semplicemente a prevedere una "applicazione" "per quanto compatibile", del regime stabilito per i docenti dichiarati temporaneamente inidonei alle proprie funzioni ai docenti, espressamente qualificati "inadempienti". Fatta tale precisazione terminologica, neppure può ritenersi che la situazione di questi ultimi potesse essere assimilata a quella del "personale scolastico temporaneamente inidoneo" ai sensi della contrattazione collettiva o ai sensi dell'art. 42 D.Lgs. n. 81 del 2008 (riguardanti accertate situazioni di salute del lavoratore di carattere oggettivo e indipendenti da ogni scelta in ordine all'assoggettamento a misure di prevenzione) o alle situazioni presupposte dall'invocato "obbligo generale del datore di lavoro". Va, infatti, ricordato che il principio generale da ultimo menzionato è stato affermato dalla giurisprudenza consolidata in relazione ad una fattispecie, quella del licenziamento, in cui si pone la questione, non pertinente al caso di specie (in cui la normativa ha sempre previsto la conservazione del posto di lavoro e l'assenza del rilievo disciplinare della mancata sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria), di evitare la perdita del posto di lavoro, per la evidente finalità di evitare un esercizio del diritto di recesso dal rapporto di lavoro comunque giustificato, ma non conforme alle esigenze del bilanciamento degli interessi costituzionalmente tutelati, costituiti, com'è noto, da quelli attinenti alla tutela della salute individuale del lavoratore (artt. 4, 32, 36 Cost.) e dalla la libertà di iniziativa economica dell'imprenditore, garantita dall'art. 41 della Carta fondamentale (come si legge nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. del 7 agosto 1998, n. 7755 "La Corte costituzionale ha più volte osservato come il nucleo essenziale di questo diritto di libertà, pur limitato dalla necessità di salvaguardia della sicurezza, libertà e dignità degli individui, stia nell'autodeterminazione circa il dimensionamento e la scelta del personale da impiegare nell'azienda ed il conseguente profilo dell'organizzazione interna della medesima (già sent. n. 78 del 1958 e ultima m. n. 356 del 1993) soprattutto in modo che ne vengano preservati gli equilibri finanziari (sent. n. 316 del 1990). Il turbamento di questi ultimi al fine di tutelare singoli lavoratori, del resto, potrebbe pregiudicare il diritto al lavoro degli altri e potrebbe altresì tradursi in prestazioni assistenziali imposte, vietate dall'art. 23 se non previste dalla legge. Tutto ciò sta a significare che l'assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo all'attuale attività, ad attività diverse e riconducibili alla stessa mansione, o ad altra mansione equivalente, o anche a mansione inferiore, può essere rifiutata legittimamente dall'imprenditore se comporti aggravi organizzativi e in particolare il trasferimento di singoli colleghi dell'invalido"). Si tratta di un principio affermato con riferimento ad una condizione soggettiva del lavoratore, la "sopravvenuta inidoneità fisica permanente del lavoratore all'esecuzione della prestazione dovuta", che è diversa da quella del caso di specie, in cui le parti ricorrenti, senza neppure dedurre di trovarsi in condizione tale da dover omettere o ritardare l'adempimento all'obbligo vaccinale per ragioni mediche oggettivamente accertate, hanno ammesso di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale per effetto di una scelta, che, come pure dedotto, sarebbe stata possibile di ripensamento (si legge in ricorso "La diversità di trattamento appare giustificata dal fatto che tali soggetti potrebbero, volendo, accedere in ogni momento alla vaccinazione, così facendo venir meno il periodo di sospensione"). Tali circostanze inducono ad escludere la possibilità di argomentare la sussistenza di una situazione di inadempimento non imputabile al lavoratore idonea a fondare il diritto ad essere assegnato ad attività diverse da quella già svolta o ad argomentare l'esistenza di una situazione di mora credendi per il datore di lavoro che abbia rifiutato la prestazione del lavoratore, ponendosi tale rifiuto quale inabitabile risvolto di un inadempimento volontario del lavoratore coincidente con "la carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario" per lo svolgimento di qualsiasi prestazione in condizioni di sicurezza per la collettività. Le considerazioni che precedono inducono ad escludere la sussistenza di tutti i profili di illegittimità lamentati in ricorso. L'assoluta novità delle questioni e l'esistenza di precedenti di merito favorevoli alla tesi sostenuta dalle ricorrenti inducono a compensare integralmente le spese di lite. P.Q.M. il giudice del lavoro, letti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Chieti il 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Trattazione scritta disposta per l'udienza del 23 gennaio 2023 Sentenza con motivazione contestuale Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 257/2021 R.G.A.C. promossa da (...) (Avv. La.Pa.) contro "(...) Società a responsabilità limitata semplificata" (contumace) avente ad oggetto: crediti da lavoro subordinato osserva quanto segue - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 25.3.2021, il ricorrente in epigrafe indicato agiva in questa sede chiedendo di "accertare e dichiarare il diritto del Signor (...) al riconoscimento della qualifica di cuoco unico di III livello del CCNL Pubblici Esercizi con decorrenza dal 18 maggio 2019 nonché lo svolgimento della propria attività lavorativa (full time) con le modalità ed i tempi indicati nel ricorso e, per l'effetto, - condannare la "(...) Società a responsabilità limitata semplificata", con sede in V. (C.) alla C.da (...) snc., con insegna "(...)", in forza del CCNL Pubblici Esercizi vigente durante il rapporto di lavoro per cui causa, a corrispondere a favore del ricorrente le differenze retributive relative al riconoscimento della qualifica di cuoco unico di III livello, con decorrenza dal 18 maggio 2019, oltre alle retribuzioni integralmente ancora dovute, nonché agli ulteriori importi maturati per le causali tutte di cui al presente atto per la complessiva somma di Euro 9.128,01, (di cui Euro 375,37 a titolo di TFR) - importi che sono stati più specificamente indicati nel presente ricorso - o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia, ai sensi degli art. 36 Cost. e 2099 c.c.., oltre al risarcimento del maggior danno conseguente alla svalutazione monetaria intervenuta medio tempore ed agli interessi relativi, a norma dell'art. 429/3 c.p.c..; - condannare, infine, la convenuta alla regolarizzazione della posizione contributiva del ricorrente presso i competenti istituti previdenziali". A sostegno delle sue domande lo stesso in sintesi esponeva: di aver lavorato alle dipendenze di parte convenuta dal 18 maggio 2019 al 16 luglio 2019 con la qualifica di aiuto cuoco di ristorante V livello del CCNL Turismo Pubblici Esercizi, con contratto a tempo determinato part time di 24 ore settimanali; di aver in realtà lavorato prestando la propria prestazione professionale per almeno 40 ore settimanali, lavorando come unico cuoco (III livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi), dalle 10.00 alle 15.00 e dalle 18.00 all'una di notte, dal martedì al sabato e la domenica dalle 18.00 all'una; di aver sempre svolto attività full time per almeno 40 ore settimanali, sin dal 18 maggio 2019; di non aver ricevuto il pagamento di alcuna mensilità, e di essere stato costretto a dimettersi per giusta causa. Nonostante la rituale notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza, la società convenuta non si costituiva in giudizio, ragion per cui ne veniva dichiarata la contumacia. La causa, istruita con la produzione di documenti e con l'escussione di un teste indotto da parte ricorrente (non essendosi parte convenuta presentata per prendere l'interrogatorio formale ammesso), veniva discussa e decisa all'odierna udienza, mediante deposito della presente sentenza con motivazione contestuale a seguito di svolgimento dell'udienza di discussione con "trattazione scritta" ex art. 127 ter c.p.c. - 2 - La domanda del ricorrente è risultata fondata e deve essere accolta sulla base delle considerazioni che seguono. In via generale appare in primo luogo opportuno ricordare che il procedimento logico richiesto dalla normativa dell'art. 2103 c.c. - che attribuisce al lavoratore utilizzato per un certo tempo dal datore di lavoro in compiti diversi e maggiormente qualificanti rispetto a quelli propri della categoria di appartenenza il diritto non solo al trattamento economico previsto per l'attività in concreto svolta, ma anche all'assegnazione definitiva a tale attività ed alla relativa qualifica - si articola in tre fasi tra loro interdipendenti: innanzi tutto il giudice deve individuare i criteri generali ed astratti per l'inquadramento delle singole categorie e qualifiche posti dalla legge oppure dalla contrattazione collettiva; deve poi accertare le caratteristiche di fatto delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore; deve infine comparare le mansioni così accertate con i suddetti criteri generali al fine di verificare la riconducibilità delle mansioni del lavoratore alla qualifica rivendicata (in questo senso si veda Cass. civ., 22 ottobre 1986, n. 6212). Tanto premesso, si osservi che, nell'indagine sulla fondatezza della domanda di tutela apprestata ex art. 2103 c.c., occorre tener presente che la graduazione delle qualifiche implica anche un differente tipo di collaborazione con il datore di lavoro, ragion per cui la sola condizione da verificare è che l'assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato "l'assunzione della responsabilità e l'esercizio dell'autonomia proprie della corrispondente superiore qualifica" (in questo senso si vedano Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 1996, n. 1433, in Orient. Giur. Lav., 1996, 819; Riv. Critica Dir. Lav., 1996, 994, nonché Cass. civ., sez. lav., 27 aprile 1992, n. 5005, in Lav. e Prev. Oggi, 1993, 604), non essendo sufficiente far soltanto riferimento al complesso delle operazioni materiali in cui si siano concretizzate le prestazioni del lavoratore medesimo. Alla luce delle suesposte considerazioni di ordine generale, si deve in primo luogo osservare che, nel caso di specie, la contrattazione collettiva del settore Pubblici Esercizi (solo indirettamente applicabile al rapporto di lavoro in questione, non essendo stato prodotto alcun atto, come il contratto di assunzione, dal quale far discendere il riferimento diretto alla disciplina di una contrattazione collettiva), in questa sede utilizzabile quale parametro per la determinazione della "giusta retribuzione" ex art. 36 Cost., riconduce al 3 livello della classificazione del personale lo svolgimento di "mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportano particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza", i "lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e/o tecnico pratica" e i "lavoratori che, in possesso delle caratteristiche professionali di cui ai punti precedenti, hanno anche del le responsabilità di coordinamento tecnico-funzionale di altri lavoratori"; tra le qualifiche esemplificative rientra quella del "cuoco unico". Appartengono al 4 livello "i lavoratori che, in condizioni di autonomia esecutiva, anche preposti a gruppi operativi, svolgono mansioni specifiche di natura amministrativa, tecnico-pratica o di vendita e relative operazioni complementari, che richiedono il possesso di conoscenze specialistiche comunque acquisite", tra i quali rientra la figura esemplificativa del " cuoco capo partita" e del "cuoco di cucina non organizzata in partite, intendendosi per tale colui che indipendentemente dalla circostanza che operi in una o più partite assicura il servizio di cucina", mentre appartengono al 5 livello "i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze e capacità tecnico-pratiche svolgono compiti esecutivi che richiedono preparazione e pratica di lavoro", in cui pure rientrano le qualifiche di "- secondo cuoco mensa aziendale, intendendosi per tale colui che, in subordine ad un cuoco e/o in sua assenza, procede all'approntamento dei pasti sulla base del lavoro già predisposto". Quanto, in secondo luogo, alle caratteristiche di fatto delle mansioni in concreto svolte dal ricorrente, dall'escussione dell'unica testimone esaminata è emerso con chiarezza che il ricorrente abbia lavorato presso la "(...) Srls", con insegna "(...)" svolgendo sempre le mansioni di cuoco unico, ovverosia "di preparazione dei cibi e pietanze per i clienti del ristorante"(si legga la deposizione della teste C.A.L., aiuto cuoco del ricorrente e sua assistente dal 21.5.2019 al 24 giugno 2019), mansioni riconducibili al III livello del CCNL del settore Pubblici Esercizi. La teste C. ha confermato che il ricorrente "prestava la propria attività dalle 10.00 alle 15.00 e dalle 18.00 all'una di notte, dal martedì al sabato e la domenica dalle 18.00 all'una di notte" e che lo stesso "ha lavorato continuativamente per tutto il periodo senza godere di alcun giorno di ferie" (specificando "Per quanto mi consta lavoravamo continuativamente, con un solo giorno di riposo; il sig. C. la domenica lavorava solo per la sera"). A fronte di tale quadro istruttorio sarebbe stato onere della parte convenuta dimostrare di aver versato al ricorrente la retribuzione dei mesi di maggio, giugno e luglio 2019, oltre alla 13, alla maggiorazione per il lavoro svolto dalle ore dalle ore 22.00 all'una di notte dal martedì alla domenica, ai ROL non goduti, all'indennità per ferie e festività non godute ed al TFR. Peraltro, all'interno del suesposto contesto probatorio, non può non valorizzarsi la circostanza che parte convenuta non si è costituita in giudizio e non è neppure comparsa per rendere l'interrogatorio formale ammesso. Tale complessivo comportamento processuale pertanto, non fa che dimostrare la mancanza di interesse per contrastare la pretesa di parte ricorrente e, valutato nel complesso degli altri elementi di prova sopra citati secondo i principi stabiliti dagli artt. 116 e 232 c.p.c., consente di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio e conforta nella decisione di accoglimento della domanda. - 3 - Quanto adesso alle effettive spettanze del ricorrente per l'attività di lavoro subordinato svolta alle dipendenze della società convenuta nel periodo sopra indicato, le stesse sono state correttamente calcolate nei conteggi analitici allegati al proprio fascicolo (doc. n.3), che ben possono essere posti a fondamento dell'odierna decisione essendo risultati privi di vizi logici o di calcolo ed avendo gli stessi tenuto in debito conto il C.C.N.L. di riferimento (Turismo e Pubblici Esercizi), le mansioni svolte (che, per quanto prima esposto, possono essere ricondotte all'invocato 3 ° livello retributivo, in cui rientra la qualifica di cuoco unico), e gli orari di lavoro osservati. Va, tuttavia precisato che, essendo la quattordicesima mensilità un istituto previsto dalla contrattazione collettiva, - che, come premesso, nel caso di specie nel caso di specie non può essere applicato in via diretta, ma solo quale parametro per la determinazione del concetto di "equa retribuzione" ex art. 36 Cost., - dalle somme calcolate nel conteggio vanno espunte quelle di 266,52 e di 133,26 Euro calcolate per tale titolo nelle mensilità di giugno e luglio 2019. Di conseguenza, l'odierno ricorrente risulta ancora creditore della complessiva somma di Euro 8728,23 (di cui Euro 375,37 a titolo di TFR). Al pagamento della complessiva somma sopra indicata, dunque, deve essere in questa sede condannata la società convenuta. Su tali somme, in applicazione del disposto dell'art. 429, comma 3 c.p.c., devono essere poi calcolati sia gli interessi al tasso legale che la rivalutazione monetaria, con la sola precisazione che gli interessi legali devono essere calcolati sulla somma rivalutata anno per anno dalla data di maturazione dei singoli crediti (mese per mese quanto ai crediti per differenze retributive per il lavoro ordinario estraordinario, anno peranno quanto a quelli per 13 mensilità, dalla fine del rapporto quanto a quelli per indennità per ferie e permessi non goduti e T.F.R.), fino al momento dell'effettivo soddisfo, e non invece sulla somma interamente rivalutata al momento del saldo (così per tutte Cass. S.U. 29.1.2001, n. 38, nonché Cass. 16392/2002). Quanto, infine, alla domanda di condanna della convenuta al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali omessi e dovuti in conseguenza dell'accertamento in questa sede svolto, non si ritiene di poter provvedere in merito, risolvendosi una eventuale condanna nei confronti degli Enti previdenziali in una inammissibile pronuncia di condanna in favore di terzi estranei al presente giudizio, e potendo l'accertamento raggiunto in questa sede essere utilizzato per la proposizione di istanze di regolarizzazione contributiva nelle previste sedi amministrative. - 4 - In applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., parte convenuta va infine condannata anche al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto del valore e della natura della controversia, dell'importanza e del numero delle questioni trattate, e con speciale riferimento all'attività svolta innanzi al giudice (D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 147 del 2022), in considerazione della intervenuta ammissione della parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato si liquidano in complessivi Euro 2695,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da liquidarsi in favore dello Stato. P.Q.M. Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione e in accoglimento del ricorso del 25.3.2021, così provvede: dichiara che (...) ha lavorato alle dipendenze di "(...) Società a responsabilità limitata semplificata come cuoco unico di III livello del CCNL Pubblici Esercizi con decorrenza dal 18 maggio 2019 full time, per l'effetto, condanna la predetta società, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in suo favore della complessiva somma di Euro 8728,23, oltre ad interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno secondo gli indici I.S.T.A.T. dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai dell'industria dalle date di scadenza dei singoli crediti (puntualmente indicate in motivazione) al saldo, nonché al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 2695,00 00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da liquidarsi in favore dello Stato. Così deciso in Chieti il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 15/09/2022 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 1085/2021; TRA (...), A.S. e C.M., rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso introduttivo, dall'avv. An.Ta.; RICORRENTI E (...) srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, per procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall'avv. Ar.Fi.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 30.12.2021 i ricorrenti, dipendenti della società resistente con mansioni di operatore di esercizio, deducevano l'illegittimità della disdetta unilaterale degli accordi aziendali comunicata dalla società resistente in data 15/06/2020 e della conseguente eliminazione dal trattamento retributivo in godimento delle indennità previste dagli accordi disdettati e chiedevano di "accertare e dichiarare l'immediato ripristino e la conservazione di tutti gli emolumenti retributivi soppressi a seguito del recesso del 15/06/2020 con cui l'(...) S.r.l. ha disdettato unilateralmente ad nutum tutti gli Accordi Aziendali vigenti in Azienda, con condanna al pagamento di quanto non corrisposto nel periodo dal 01/11/2020 sino al saldo effettivo, previo accertamento e declaratoria della nullità e/o inefficacia del recesso unilaterale ad nutum del 15/06/2020". La resistente, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone l'integrale rigetto. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte. I ricorrenti, dipendenti della società resistente con mansioni di operatori di esercizio, hanno goduto fino al 31.10.2020 di una serie di indennità tra cui: indennità di funzione personale viaggiante, indennità di produttività, indennità evitati sinistri; indennità di presenza, indennità agente unico, indennità servizi accessori, indennità domenicale e indennità tempi sosta. Tali indennità erano state introdotte da diversi accordi aziendali succedutisi dal 1985 fino al 10 maggio 2013, allorché la società resistente ha stipulato con le organizzazioni sindacali un accordo integrativo aziendale, con il quale sono stati confermati tutti i trattamenti economici aggiuntivi riconosciuti da precedenti accordi aziendali, trattamenti individuati, in particolare, nei seguenti: "1. Indennità di funzione officina; 2. Indennità di funzione impiegati; 3. Indennità di funzione personale viaggiante; 4. Indennità di reperibilità feriale; 5. Indennità reperibilità festivo; 6. Incentivo di produttività; 7. Indennità di produttività; 8. Indennità di pulizia; 9. Indennità evitati sinistri; 10. Indennità di presenza; 11. Indennità agente unico auto; 12. Indennità agente unico filobus; 13. Straordinario feriale; 14. Indennità agente di movimento; 15. Premio evitare sinistri; 16. Indennità spostato riposo; 17.Indennità servizi accessori; 18. Indennità domenicale; 19. Premio presenza annuale; 20. Premio di risultato agente di movimento" (doc. 5 ric.). Il 15/06/2020 la società resistente ha comunicato la disdetta di tutti gli accordi aziendali vigenti, con decorrenza dal 31/10/2020 (doc. 6 ric.). Dall'1.11.2020, pertanto, non sono più state corrisposte le indennità previste dagli accordi aziendali e sopra menzionate. I ricorrenti hanno dedotto la nullità/inefficacia del recesso unilaterale del 15/06/2020, invocando il proprio diritto al ripristino delle indennità soppresse. Secondo gli assunti dei ricorrenti, tali indennità avrebbero natura retributiva e costituirebbero diritti quesiti intangibili, con la conseguenza che non potrebbero essere soppresse per effetto di una decisione assunta unilateralmente dalla società resistente. La tesi non è condivisibile. Giova premettere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare -nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto - la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione" (cfr. Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 18548del 20/08/2009; nello stesso senso Cass. civ. sez. lavoro, sent. n.19351 del 18/09/2007; Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 21234 del 10/10/2007). Costituisce, inoltre, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale "le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, intendendosi per tali solo le situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come i corrispettivi di prestazioni già rese, e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. 3082/14; nello stesso senso, Cass. ord. n. 36228/21; 36708/21; 14578/22). Nel caso di specie gli accordi sindacali disdettati, così come confluiti nell'accordo integrativo del 10 maggio 2013, non avevano alcun termine di durata, sicché pienamente legittimo deve ritenersi il recesso unilaterale comunicato dalla resistente il 15/06/2020, non potendo quest'ultima ritenersi vincolata a tempo indeterminato ad accordi che potrebbero non essere più rispondenti al mutato contesto socio-economico. La circostanza che le indennità soppresse abbiano natura retributiva non ne impedisce la loro soppressione. Non risulta, infatti, che le disposizioni della contrattazione collettiva che hanno istituito le indennità siano state incorporate o inserite nel contratto individuale dei ricorrenti, sicché non può ritenersi operante il principio della irriducibilità della retribuzione, riferito ai soli trattamenti retributivi riconosciuti personalmente al lavoratore al momento dell'assunzione o successivamente, per effetto di una libera trattativa tra lavoratore e datore di lavoro. Peraltro, il suddetto principio si applica alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni svolte, ma non a quelle componenti estrinseche della retribuzione, che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, come sembra essere per le indennità di cui si discorre nel presente giudizio. Occorre, inoltre, precisare che nel caso di specie non è invocabile neppure la previsione dell'art. 36 Cost. in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione "i trattamenti retributivi, come la retribuzione di risultato e più in generale i trattamenti accessori non rientrano nella sfera di garanzia dettata dall'art. 36 Cost., comprendendo la tutela costituzionale, non tutto il complessivo trattamento contrattuale, bensì solo quello che è stato definito il c.d. minimo costituzionale"(Cass. n. 14578 del 9/5/2022; Cass. n. 944 del 2021, Cass. n. 20922 del 2018, Cass. n. 27138 del 2013, Cass. n. 162 del 2009, Cass. n. 15148 del 2008, Cass. n. 10465 del 2000, Cass. n. 3362 del 1992). Deve, infine, escludersi che i trattamenti soppressi costituiscano dei diritti quesiti. Questi ultimi, infatti, sono soltanto i diritti perfetti, già entrati definitivamente nella sfera patrimoniale del lavoratore, come il corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita. Nel caso di specie, il recesso unilaterale della società resistente non ha inciso sulle indennità già maturate dai dipendenti per prestazioni svolte prima della disdetta ma unicamente sui trattamenti retributivi potenzialmente maturabili per il futuro, per effetto dello svolgimento dell'attività lavorativa. E' evidente, quindi, che non ci si trova in presenza di utilità definitivamente acquisite al patrimonio dei lavoratori, ma solo di utilità economiche cui il dipendente aspira per il futuro, sulla base di una precedente regolamentazione a lui più favorevole. Conclusivamente, deve affermarsi la legittimità e validità della disdetta unilaterale degli accordi aziendali comunicata dalla società resistente il 15/06/2020 e della conseguente soppressione di tutte le indennità istituite dai suddetti accordi. Le considerazioni che precedono portano al rigetto del ricorso. Le spese di lite si compensano integralmente, considerata la peculiarità e l'assoluta novità delle questioni giuridiche trattate. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 15 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 1202/2020 R.G.A.C. promossa da (...) (avv. Ga.Sa.) contro il Comune di Chieti (avv. Ma.Mo. e Pa.Tr.) avente ad oggetto: diritto all'assunzione per procedimento di mobilità e risarcimento del danno, osserva quanto segue: - 1 - Con atto di ricorso depositato il 29.12.2020, la ricorrente in epigrafe indicata, premesso di essere dipendente a tempo indeterminato della (...) S.r.l, vincitrice del concorso pubblico per titoli e colloquio "per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di una unità con profilo di istruttore amministrativo Area Fiscale-contenzioso tributario e procedure concorsuali" bandito con provvedimento del 23/12/2008, deduceva: che la (...) S.r.l., possedendone tutti i requisiti, era una "società di capitali in house providing per l'esercizio di pubblici servizi' del Comune di Chieti; di aver con domanda del 25/11/2020 chiesto al Comune di Chieti di essere ammessa a partecipare alla procedura di mobilità esterna volontaria, ex art. 30, D. Lgs. n. 165/2011, indetta con provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, del Dirigente ad interim del III Settore - Gestione Risorse Umane - Dott.ssa Paola De Rossi, relativamente alla copertura di n. 5 posti di cat. C posizione economica C1 - Istruttore amministrativo/contabile; di non essere stata ammessa alla predetta procedura di mobilità in quanto non inquadrata nei ruoli di una Pubblica Amministrazione di cui all'art. 1 c. 2 del D. Lgs. 165/2001; che l'art. 2 del D. Lgs. 19/08/2016 n. 175 si era limitato a ribadire che per "amministrazioni pubbliche" si devono intendere "le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale"; che alle "società in house", prima dell'entrata in vigore del citato D. Lgs. 175/2016, era stato ritenuto applicabile il 1 comma dell'art. 18 del D.L. 25/06/2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008; che il secondo comma dell'art. 19 del D. Lgs. 175/2006, aveva ribadito per tutte la società a controllo pubblico e, quindi, non solo per le società in house, l'obbligo del rispetto "dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165";che le società in house avevano solo la forma esteriore delle società, ma costituivano in realtà articolazioni in senso sostanziale della pubblica amministrazione; che la fattispecie prevista dall'art. 19, n. 8, del D. Lgs. 175/2016 era procedura di mobilità speciale e la fattispecie in esame non riguardava la "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati"; che, possedendo tutti i requisiti previsti dalla procedura di mobilità, aveva maturato il diritto soggettivo al perfezionamento della procedura di mobilità volontaria al fine di consentirle di prestare la propria attività lavorativa presso il Comune di Chieti. Agiva in questa sede chiedendo "previo annullamento e/o disapplicazione degli atti impugnati, limitatamente alla mancata inclusione della ricorrente nella graduatoria definitiva della procedura di mobilità volontaria per cui è causa, anche ai sensi dell'art. 63 D. Lvo n. 165/2001, 1) accertare e dichiarare che il diritto della sig.ra (...) ad essere inserita nella graduatoria definitiva della predetta procedura esterna di mobilità volontaria indetta, ex art. 30 del D. Lgs. n. 165/2011, dal Comune di Chieti con provvedimento del Dirigente ad interim del III Settore - Gestione Risorse Umane - Dott.ssa Paola De Rossi 26/10/2020, prot. n. 69939, relativamente alla copertura di n. 5 posti di cat. C posizione economica C1-Istruttore amministrativo/contabile, possedendone tutti i requisiti, con ogni consequenziale provvedimento, 2) accertare e dichiarare il diritto soggettivo della ricorrente al perfezionamento della procedura di mobilità volontaria, con modificazione soggettiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato della ricorrente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 16, comma 1, della L. n. 246 del 2005, mediante cessione del relativo contratto di lavoro, ex art. 1406 e segg. c.c., dalla (...) S.r.l. al Comune di Chieti, intimando al Comune di procedere alla conclusione del predetto procedimento di mobilità volontaria; e, per l'effetto, 3) condannare il Comune di Chieti, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., a porre in essere tutti gli atti necessari alla conclusione della procedura di mobilità volontaria relativamente alla ricorrente; 4) condannare il Comune di Chieti, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese di lite". Si costituiva in giudizio il Comune di Chieti, chiedendo di "respingere il ricorso, siccome inammissibile e/o improcedibile per carenza di interesse ad agire e/o, comunque, integralmente infondato in fatto ed in diritto, con ogni consequenziale statuizione, anche in ordine alle spese di lite, comprese quelle della fase cautelare", deducendo in ordine alla carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo alla parte ricorrente e alla infondatezza, nel merito, degli assunti di cui al ricorso. Rigettato il ricorso proposto contestualmente in via cautelare, la causa, istruita con la produzione dei documenti offerti in comunicazione dalle parti, veniva alfine decisa mediante adozione fuori udienza della presente sentenza con motivazione contestuale, previo deposito di note conclusive autorizzate e deposito in telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni ex art. 221 comma 4 della legge 77/2020. - 2 - Le domande proposte con il ricorso non appaiono fondate e meritevoli di accoglimento per le ragioni che vanno ad esporsi. La prospettazione di parte ricorrente secondo la quale le caratteristiche delle società in house - in particolare, la loro assimilabilità ad "articolazioni in senso sostanziale della pubblica amministrazione" - possano costituire i fatti costitutivi del diritto alla partecipazione alla procedura di mobilità volontana indetta dal Comune di Chieti con provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, non appare condivisibile. Premesso che la fattispecie della mobilità individuale ex art. 30 D.Lgs. n. 165/2001, sostanziandosi in una cessione del contratto (tra le più recenti, Cass. Sez. L-, Ordinanza n. 86 del 07/01/2021), non comporta una nuova assunzione da parte dell'amministrazione che indice la procedura e che nel caso di specie, come si desume dalla lettura del bando (doc. n. 6 di parte ricorrente), tra i requisiti per proporre la domanda di partecipazione alla procedura, è espressamente previsto quello dell'inquadramento a tempo pieno e indeterminato presso una pubblica amministrazione di cui all'art. 1 comma 2 del dlgs 165/2001 ("tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300"), mentre la diversa "definizione" di "amministrazioni pubbliche" che compare all'art. 2 del dlgs 175/2016 ("le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale") è espressamente prevista dalla legge "Ai fini del decreto", regolante "la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta", ritiene questo giudice che le ragioni dirimenti ad escludere la configurabilità del diritto di parte ricorrente, dipendente a tempo indeterminato di una società in house totalmente partecipata dal Comune di Chieti, a partecipare alla procedura di mobilità volontaria indetta da quest'ultimo siano rappresentate dai principi ricavabili dall'art. 97 della Costituzione, così come costantemente declinati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Consentire, infatti, il passaggio diretto del personale di una società partecipata - sia pure equiparabile, ad alcuni fini, ad una articolazione della stessa amministrazione che su di essa eserciti un controllo analogo a quello esercitabile su un proprio organo - ad un ente pubblico qual è il Comune di Chieti, infatti, realizzerebbe un'ipotesi di "inquadramento riservato senza concorso", ciò anche nel caso - sussistente nella fattispecie in esame - in cui tale personale risulti essere stato assunto all'esito dell'espletamento di una procedura selettiva equiparabile ad un concorso pubblico, in quanto tali circostanze non possono prevalere sui principi, di rango costituzionale, dell'esclusivo accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, della riserva di legge per le eccezioni a tale regola e dell'imparzialità nelle pubbliche amministrazioni (che può essere garantita solo regolando l'accesso dall'esterno con procedure selettive reclutamento. Tali principi sono stati di recente ribaditi dalla Corte costituzionale che, nello scrutinio sull'art. 24 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella sentenza 28 gennaio 2020, n. 5, ha affermato: "Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, "la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle" (sentenza n. 40 del 2018; fra le tante, sentenze n. 110 del 2017, n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti "adeguati accorgimenti per assicurare (...) che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell'incarico" (sentenza n. 225 del 2010). Infatti, "la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni pubbliche, in base all'art. 51 Cost." (sentenza n. 225 del 2010). Anche nel caso di specie si ritiene che non sussistano le condizioni che giustificherebbero la deroga al principio del pubblico concorso, da un lato per la mancanza di una norma di legge che disciplini il passaggio di dipendenti di una società in house ad una pubblica amministrazione, dall'altro per non aver, parte ricorrente, neppure dedotto in ordine ad eventuali "necessità funzionali dell'amministrazione", o a "peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico" che sarebbero state idonee a derogare alle regole di cui ai citati artt. 97 Cost. e 51 Cost. Come, poi, condivisibilmente affermato nel parere n. 56/2017 del 19.04.2017 della Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti per la Campania citato dall'amministrazione resistente, viene in rilievo la diversa identità di settore e il differente ambito operativo della disciplina della mobilità per il personale pubblico all'interno della Pubblica amministrazione recato dall'art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001 e del D.Lgs. n. 175/2016 ("Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica"), in quanto la differente collocazione sistematica della disciplina della mobilità di cui all'art. 19, comma 8, del dlgs da ultimo citato (ipotesi della "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati, affidati alle società" e del "riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione", mediante l'utilizzo delle procedure di mobilità di cui all'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e nel rispetto dei vincoli in materia di finanza pubblica e contenimento delle spese 5 di personale) costituisce un argomento testuale per escludere l'applicazione della procedura di mobilità ex art. 30 dlgs 165/2001 in maniera generalizzata al settore del personale delle società a partecipazione pubblica. Anche in questo caso trova conferma la regola della riserva di legge per le ipotesi, costituenti eccezione, di deroga al principio di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, in quanto il dlgs 175/2016, proprio per la partecipazione alle procedure di mobilità, ne ha previsto l'operatività, con riferimento al personale delle società in house, "solo nei ristretti ambiti soggettivi e oggettivi, legislativamente consentiti, di "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati "e di "riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione". L'assenza di una norma di legge regolante, in via generalizzata, il passaggio dei dipendenti delle società in house alle pubbliche amministrazioni, la preminenza dei principi costituzionali sopra richiamati e l'assenza di ragioni idonee a giustificare la deroga agli stessi inducono a ritenere corretto l'operato del Comune resistente di escludere la parte ricorrente dalla partecipazione alla procedura di mobilità volontaria indetta n provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, riservandone la partecipazione ai soli dipendenti assunti a tempo indeterminato alle amministrazioni di cui al - più limitato - ambito di cui all'art. 1 comma 2 del dlgs 165/2001. - 3 - L'assoluta novità della questione oggetto del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il giudice del lavoro, visto l'art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta le domande proposte da (...) contro il Comune di Chieti con il ricorso del 29.12.2020 e compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Chieti il 23 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2021.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CHIETI SEZIONE DISTACCATA DI ORTONA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Grassi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 363/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FE.PA., elettivamente domiciliato in VIA (...) CHIETI presso il difensore avv. FE.PA. ATTORE contro CONDOMINIO LIDO DI (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SA.LU. (c.f.: (...)) elettivamente domiciliato in VIA (...) FRANCAVILLA AL MARE presso il difensore avv. SA.LU. CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato, (...) Dino ha impugnato la delibera assembleare del 13.1.2018 del condominio "Lido (...)", sito in Francavilla al Mare, viale (...) 135, in relazione al punto 1 dell'o.d.g., riguardante il consuntivo dell'esercizio 1/7/2016 - 30/6/2017, con relativo piano di riparto. Secondo la prospettazione attorea, in particolare, il consuntivo allegato alla convocazione dell'assemblea riporterebbe una cifra inferiore rispetto a quella del piano di riparto, in quanto il totale del consuntivo ammonta ad Euro 52.295,18, mentre la somma riportata dal piano di riparto è pari ad Euro 72.743,29. Rileva inoltre l'impugnante che la delibera avrebbe provveduto a distribuire anche somme relative a lavori di messa in sicurezza approvati con delibera del 28.11.2015 (impugnata davanti a questo tribunale nel giudizio di cui al r.g. 576/2016); tuttavia, tale delibera avrebbe approvato lavori relativi ai balconi, che però sarebbero di proprietà individuale. L'attore inoltre lamenta la violazione dell'art. 1130 bis c.c., in quanto non vi sarebbe sufficiente indicazione in relazione alle spese effettuate; in particolare vi sono alcune voci riferite ad un fornitore generico. Il (...) contesta anche alcune specifiche voci di spesa, in particolare quelle relative all'accensione di luci esterne, all'installazione di estintori, in quanto tali spese non sarebbero state preventivamente approvate dall'assemblea. Inoltre, vengono contestati i criteri di riparto di alcune spese, in particolare quelle relative alla pulizia delle aree comuni e delle scale, quelle relative all'illuminazione dell'edificio e quelle relative all'ascensore. Infine l'attore chiede il risarcimento della somma di Euro 9.873,07, per l'attività illegittima relativa ai balconi. Si è costituito il condominio, deducendo preliminarmente la decadenza per tardività dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 c.c.. Nel merito, contesta i motivi di impugnazione, sostenendo che il piano di riparto non riguardava solo le spese del consuntivo dell'esercizio 2016 - 2017, ma anche alcune spese relative a periodi precedenti. Contesta inoltre la sussistenza della violazione ex art. 1130 bis c.c., essendo tutte le voci di spesa riportate analiticamente nel consuntivo. Respinge inoltre le censure relative al riparto delle spese, che sarebbe avvenuto conformemente alle tabelle millesimali. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di decadenza sollevata dal condominio ai sensi dell'art. 1137 c.c.. Infatti è pacifico e non contestato che, entro il termine decadenziale, l'attore ha proposto istanza di mediazione; tale procedura si è conclusa con verbale di mancata mediazione del 19/6/2020, e la citazione è stata notificata al condominio il 17/7/2021. Ne consegue che il termine decadenziale ex art. 1137 c.c. è stato pienamente rispettato dall'attore, in virtù dell'art. 5 comma 6 D. Lgs. 28/2010, il quale prevede che "dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo". Non si può accedere alla lettura della normativa proposta dal condominio, in quanto il termine di 3 mesi previsto dall'art. 6 D. Lgs. 28/2010 si riferisce esclusivamente alla condizione di procedibilità; inoltre, tale interpretazione porterebbe a conseguenze paradossali, in quanto il condomino sarebbe tenuto ad avviare l'azione davanti al tribunale prima della chiusura del procedimento di mediazione, frustrando così gli scopi conciliativi. Si deve inoltre rilevare che deve essere seguito l'orientamento in virtù del quale "in tema di impugnazione di delibera assembleare, il termine decadenziale di trenta giorni interrotto a seguito della comunicazione di convocazione innanzi all'organismo di mediazione, riprende nuovamente a decorrere, per un ulteriore termine di trenta giorni, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione" (cfr. Corte d'Appello di Palermo, sent. n. 1245/2017). Tale orientamento deve infatti ritenersi preferibile a quello secondo cui la presentazione della domanda di mediazione si limita a sospendere il termine decadenziale, con la conseguenza che, dopo il fallimento della conciliazione, la citazione si dovrebbe notificare entro il termine residuo rispetto a quello già decorso prima dell'avvio della procedura; infatti la tesi a cui qui si presta adesione, da un lato, consente una lettera della normativa in senso costituzionalmente orientato, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., in modo che il ricorso alla mediazione non ostacoli o vanifichi la tutela dei diritti dei cittadini nella naturale sede giurisdizionale, e, dall'altro, tiene conto della normativa comunitaria, in particolare dell'art. 8 direttiva 2008/52/CE, intitolato "effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza", laddove dispone che gli Stati membri provvedano affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti termini di prescrizione o decadenza. L'eccezione di decadenza non può quindi trovare accoglimento. Sempre in via preliminare va dichiarata l'inammissibilità della documentazione depositata in data 8/10/2021, posto che la stessa, pur essendosi formata dopo il termine della seconda memoria istruttoria, ben si sarebbe potuta allegare alle note conclusive (in quanto l'assemblea si è tenuta il 26/8/2021). Venendo al merito dell'impugnazione, si rileva che le doglianze su cui la presente impugnativa è stata fondata non meritano di essere condivise. Preliminarmente, occorre rilevare che nel giudizio di impugnazione di delibere dell'assemblea di condominio ex art. 1137 c.c., l'onere della prova, relativamente alle cause di invalidità dedotte, spetta al condomino impugnante (cfr., ex plurimis, Cass. sent. n. 2658/1987, sent. n. 1600/1988). Inoltre, per ciò che concerne l'impugnazione delle delibere che approvano il consuntivo, va richiamato il principio giurisprudenziale secondo il quale "la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità" (cfr. Cass. sent. n. 5254/2011). Detto ciò, si osserva che deve essere respinto il primo motivo di impugnazione, con il quale la delibera viene contestata in virtù della difformità tra la somma indicata nel consuntivo allegato alla convocazione, e l'importo totale indicato nel piano di riparto. È chiaro infatti che tale circostanza non può, di per sé sola, determinare l'invalidità della delibera impugnata, in quanto tale differenza ben può essere spiegata con il fatto che sono state incluse nel piano di riparto anche spese relative a precedenti esercizi di gestione, che non erano state tenute in considerazione dalle precedenti amministrazioni condominiali. Quindi la semplice deduzione, da parte dell'attore, di tale difformità, non è sufficiente ad assolvere l'onere probatorio su di lui incombente. Anche il secondo motivo, relativo alla violazione dei criteri di cui all'art. 1130 bis c.c., non può trovare accoglimento. Si deve infatti rilevare che il rendiconto allegato alla convocazione (cfr. all. 2 alla comparsa di costituzione del convenuto, pagine 10 - 31), e poi al verbale della delibera impugnata, riporta analiticamente le singole voci di spesa sostenute dal condominio. I riferimenti, in alcuni punti, ad un "fornitore generico", sono poi integrati dalla specifica destinazione della spesa, con la conseguenza che non sussiste la lamentata genericità invocata dall'impugnante. Risulta, quindi, evidente, la piena opponibilità all'istante del rendiconto consuntivo, dal momento che egli è stato messo in condizione di essere edotto sia del contenuto del rendiconto consuntivo, sia della assemblea in cui si sarebbe deliberato sullo stesso. Inoltre, il ricorrente avrebbe ben potuto richiedere in qualsiasi momento l'esibizione dei documenti contabili. Infatti, come è pacificamente ritenuto dalla Corte di Cassazione (sent. n. 15996/2020), "gli artt. 1129, comma 2, c.c. e 1130-bis c.c., come novellati dalla L. n. 220 del 2012, prevedono la facoltà dei condomini di ottenere l'esibizione di registri e documenti contabili condominiali in qualsiasi tempo, non necessariamente in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, sempreché l'esercizio del diritto di accesso non si risolva in un intralcio all'amministrazione, ponendosi in contrasto con il principio della correttezza ex art. 1175 c.c.; al condomino istante - il quale non è tenuto a specificare le ragioni della richiesta - fa capo l'onere di dimostrare che l'amministratore non gli abbia consentito l'esercizio della facoltà in parola". Nel caso di specie, l'amministratore ha fornito al ricorrente le fatture richieste, depositandole anche in questa sede (cfr. documentazione allegata alla seconda memoria istruttoria di parte convenuta). Le contestazioni relative al merito di tali spese non possono in alcun modo inficiare la validità dell'approvazione, posto che l'opportunità di approvare o meno una certa spesa rientra nella discrezionalità dell'assemblea, e non può in alcun modo essere sindacata dal giudice. Del tutto prive di pregio sono poi le eccezioni relative alle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza dei balconi. Infatti la delibera che ha approvato tali lavori non è quella impugnata in questa sede, ma quella del 28/11/2015, oggetto di un separato giudizio (di cui al r.g. 576/2016). In quest'ultimo processo non è intervenuta alcuna sospensione di questa delibera, con la conseguenza che, in mancanza di una sospensione o di un accertamento definitivo sulla sua validità, il condominio ha legittimamente approvato le spese relative a tali interventi. Di conseguenza anche la richiesta risarcitoria (peraltro priva di qualsiasi allegazione in punto di danno conseguenza e dei criteri con i quali è stata determinata la somma richiesta), non può essere accolta in questa sede, in quanto i supposti danni non derivano dalla delibera impugnata in questa sede, ma da quella del 28/11/2015, oggetto dell'altro giudizio (al quale, peraltro, partecipa anche l'odierno attore). Del tutto infondate, poi si rivelano le doglianze relative al pagamento dei compensi del precedente amministratore, dott. (...), revocato in forza dell'annullamento della delibera di nomina, con una sentenza di questo tribunale. Infatti non vi è dubbio che il condominio abbia comunque l'obbligo di retribuire l'attività svolta dall'amministratore fino al momento della revoca, nonché per l'attività successiva svolta in regime di prorogatio, ai sensi dell'art. 1129 comma 8 c.c., fino alla nomina del nuovo amministratore. In ogni caso, come correttamente osservato dal condominio, il rendiconto si limita a prendere atto dell'erogazione della spesa, per cui ogni questione relativa ai rapporti tra il condominio ed il dott. (...) dovrà essere affrontata in un'eventuale giudizio tra questi, e non può certamente incidere sulla validità del rendiconto. Venendo ora alle censure relative alle spese relative agli estintori ed all'accensione delle luci esterne, si rileva che anche queste non sono meritevoli di accoglimento. Infatti è chiaro che la mancata approvazione preventiva di tali spese da parte dell'assemblea, è da ritenersi superata dall'approvazione del rendiconto contenente queste voci, che rappresenta una ratifica dell'operato dell'amministratore sul punto. Per ciò che concerne le censure relative ai criteri di riparto delle spese per la pulizia delle aree comuni e delle scale, nonché quelle dell'ascensore e dell'illuminazione dell'edificio, si rileva che le stesse sono del tutto generiche, e, pertanto, non idonee ad assolvere all'onere probatorio incombente sull'attore impugnante. Difatti i motivi di censura indicano in modo del tutto generico le ragioni del dissenso rispetto al criterio di riparto, ma non specificano i diversi criteri che si sarebbero dovuti applicare, né le somme che si sarebbero dovute porre a carico del ricorrente in base a tali criteri di riparto. In particolare, in relazione alle pulizie delle aree comuni, l'attore lamenta la mancata applicazione di un criterio di riparto stabilito da una delibera assembleare del 2002; tuttavia è chiaro che l'assemblea del gennaio 2018, approvando il rendiconto, ha manifestato la volontà di modificare la precedente delibera del 2002, con la conseguenza che nessuna censura può essere sollevata sul punto in questa sede. Per quanto riguarda l'illuminazione, è chiaro che la mera rappresentazione delle diverse superfici dei palazzi non è certamente idonea a dare conto del criterio che si sarebbe dovuto utilizzare secondo l'attore; anche qui, infatti, non vi è alcuna indicazione della minor somma che sarebbe dovuta dallo stesso. Inoltre, non è stata dimostrata la presenza di contatori separati per i vari edifici, che avrebbero potuto attestare l'effettiva differenza di consumi. Le stesse problematiche di genericità affliggono le censure relative ai criteri di riparto della spesa relativa all'ascensore; anche qui infatti, non si allegano in modo specifico i diversi criteri che si sarebbero dovuti seguire. In conclusione, tutte le censure di parte attrice devono essere rigettate. Le spese seguono la soccombenza e quindi si liquidano come da dispositivo, in base ai parametri medi previsti dal DM 55/2014 per le controversie di valore indeterminato a complessità bassa, per le 3 fasi (esclusa quella istruttoria). P.Q.M. Il tribunale, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così definitivamente provvede: 1. rigetta tutte le domande proposte da parte attrice; 2. condanna parte attrice al pagamento in favore del Condominio "Lido (...)" in persona dell'amministratore p.t., delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi, oltre IVA, c.p.a. e 15% per spese generali. Sentenza resa in base al combinato disposto degli artt. 281 sexies c.p.c. e 221 comma 4 D.L. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020, in assenza di discussione orale e lettura alle parti. Così deciso in Ortona l'11 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2021.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 29/09/2021 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 1206/2020; TRA (...), rappresentata e difesa da sé medesima; RICORRENTE E I.N.P.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, giusta procura generale alle liti per Notaio Ca. del 21.07.2015, dagli avv.ti Ma.Ca., Em.Ca. e Cr.Gr.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 29.12.2020 la ricorrente, premesso di aver presentato il 13 luglio 2020 senza esito domanda amministrativa al fine di ottenere il bonus per i servizi di baby-sitting di cui all'art. 23, comma 8, del decreto-legge n. 18/2020, chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. all'acquisizione del suddetto bonus. A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di essere libero professionista iscritta alla Cassa Forense e di essere madre di due figli minori, di otto e dieci anni. L'INPS, costituitosi in giudizio, evidenziava che la prestazione non era stata erogata a causa di una rinuncia tacita della ricorrente, la quale aveva omesso di provvedere all'appropriazione telematica del bonus tramite il libretto di famiglia entro il termine di decadenza di 15 giorni, termine decorrente dalla comunicazione dell'accoglimento della domanda amministrativa, avvenuta a mezzo pec il 23.07.2020 all'indirizzo (...). Tanto dedotto, l'I.N.P.S. chiedeva il rigetto della domanda. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte. E' pacifico che la ricorrente, avvocato iscritto alla Cassa Forense e madre di due figli minori di 8 e 10 anni, il 13.07.2020 abbia presentato domanda di erogazione del bonus per l'acquisto di servizi baby-sitting. Altrettanto pacifico è che la domanda sia stata accolta dall'INPS con provvedimento del 23.07.2020. Il bonus in questione è stato introdotto dall'art. 23 del D.L. n. 18/2020 che, al comma 8, così dispone: "A decorrere dall'entrata in vigore della presente disposizione, in alternativa alla prestazione di cui ai commi 1, 3 e 5 e per i medesimi lavoratori beneficiari, è prevista la possibilità di scegliere la corresponsione di uno o più bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, da utilizzare per prestazioni effettuate nel periodo di cui al comma 1. Il bonus viene erogato mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96". La prestazione spetta ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori autonomi iscritti all'INPS o ad altre casse previdenziali per i figli minori di anni 12. Nel caso di specie è pacifico che sussistano tutti i presupposti per l'erogazione della prestazione, tanto che la domanda è stata accolta dall'INPS con provvedimento del 23.07.2020. L'Istituto Previdenziale ha dedotto che la ricorrente non avrebbe diritto all'erogazione del bonus per avervi tacitamente rinunciato. In particolare, secondo gli assunti della parte resistente, la ricorrente non avrebbe effettuato la c.d. appropriazione telematica del bonus tramite libretto di famiglia nel termine di 15 giorni dalla comunicazione di accoglimento della domanda. La tesi non può condividersi. In primo luogo, deve rilevarsi come non via alcuna prova dell'avvenuta comunicazione alla ricorrente dell'accoglimento della domanda amministrativa, in quanto tra i gli allegati prodotti dall'INPS non vi sono le ricevute di avvenuta consegna ed accettazione, unici documenti che possono comprovare l'effettiva conoscenza da parte della ricorrente del provvedimento di accoglimento. In secondo luogo, l'art. 23 del d.l. n. 18/2020 non prevede alcun termine per la c.d. appropriazione del bonus, né contempla una rinuncia tacita o decadenza per la mancata appropriazione, rinuncia e decadenza introdotte dall'INPS con la circolare n. 44/2020. Le circolari, tuttavia, orientano l'azione della pubblica amministrazione ma non hanno alcun valore normativo vincolante per il giudice. Il mancato rispetto del termine di 15 giorni può, eventualmente, giustificare il ritardo nell'erogazione della prestazione ma non può mai comportare la perdita del beneficio. Essendo pacifica la sussistenza di tutti i presupposti per beneficiare della prestazione, ivi compreso il rispetto del tetto di spesa, il ricorso va accolto e l'I.N.P.S. va condannato all'erogazione del bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. L'assoluta novità della questione giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, così provvede: accoglie il ricorso e per l'effetto condanna l'I.N.P.S. all'erogazione del bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50; compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 29 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2021.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 17/06/2021 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 976/2020; TRA (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso in opposizione, dall'avv. (...); OPPONENTI E (...), rappresentata e difesa, per procura a margine della memoria difensiva di costituzione, dall'avv. (...); OPPOSTA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 19.10.2020 i ricorrenti proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 202/2020, emesso dal Tribunale di Chieti-Sezione Lavoro in data 12.08.2020, con il quale veniva intimato il pagamento di Euro 3.158,10, a titolo di saldo della retribuzione di settembre 2018, retribuzione di ottobre e novembre 2018, indennità sostituiva di ferie, permessi e festività non godute, ratei di tredicesima mensilità 2018 e trattamento di fine rapporto. A sostegno dell'opposizione (...) deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva, in considerazione del ruolo di socio accomandante della (...) S.A.S., e come tale, non responsabile per i debiti della predetta società. (...) deduceva l'insussistenza del diritto della (...) di precostituirsi un ulteriore titolo esecutivo nei confronti del socio accomandatario, stante la possibilità di agire esecutivamente sulla base del titolo già ottenuto nei confronti della (...) S.A.S. Entrambi i ricorrenti deducevano, inoltre, di aver corrisposto alla ricorrente la retribuzione di ottobre 2018 ed un ulteriore acconto di Euro 70,00 sulle ulteriori somme dovute e contestavano il conteggio delle spettanze retributive effettuato al lordo invece che al netto. Tanto dedotto, i ricorrenti formulavano le seguenti conclusioni: "dichiarare nullo e/o revocare il Decreto Ingiuntivo n. 202/2020, reso dal Tribunale di Chieti - Sezione Lavoro - in data 12.8.2020 nell'ambito del proc. n. 770/2020 R.G., emesso nei confronti della socia accomandante (...) nata a Lanciano il (...), per difetto di legittimazione ovvero per non essere legittimo proporlo nei confronti della stessa in quanto mero socio accomandante; dappoi dichiararlo parimenti nullo nei confronti del socio accomandatario Sig. (...), per tutte le motivazioni in narrativa precisate; - IN VIA SUBORDINATA: accertare e/o dichiarare, previa revoca del Decreto Ingiuntivo n. 770/2020, come dovuta la minor somma che verrà accertata in corso di causa. - Condannare la Sig.ra (...) al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio". L'opposta, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza dell'opposizione chiedendone il rigetto. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. L'opposizione proposta da (...) è fondata e va accolta per le ragioni di seguito esposte. (...) ha lavorato alle dipendenze della società (...) S.A.S dal 13.3.2018 al 13.11.2018 e dopo la cessazione del rapporto di lavoro ha chiesto ed ottenuto nei confronti della predetta società il decreto ingiuntivo n. 30/2019 dell'importo di Euro 3.158,10. Non essendo riuscita ad ottenere il pagamento dell'importo ingiunto da parte della società, la (...) ha chiesto in via monitoria di ingiungere a (...), quale socio accomandatario della (...) S.A.S., e a (...), quale socio accomandante, il pagamento della somma di Euro 3.158,10 a titolo di saldo della retribuzione di settembre 2018, retribuzione di ottobre e novembre 2018, indennità sostituiva di ferie, permessi e festività non godute, ratei di tredicesima mensilità 2018 e trattamento di fine rapporto. La (...) ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e tale eccezione deve ritenersi pienamente fondata. "L'art. 2313 cod. civ. nello stabilire la responsabilità illimitata e solidale dei soci accomandatari per le obbligazioni sociali, ma quella dell'accomandante limitata alla quota conferita, non autorizza i creditori sociali, incluso l'erario, ad agire direttamente nei confronti dell'accomandante; essa si limita a fissare la responsabilità dell'accomandante nei confronti della società, a regolare cioè i rapporti interni alla compagine sociale. Tale interpretazione, che trova il conforto della dottrina maggioritaria e più recente, è confermata dalle deroghe a tale regola che pure il codice contempla: l'art. 2314 cod. civ., che prevede la responsabilità illimitata di fronte ai terzi del socio accomandante che consenta all'inserimento del proprio nome nella ragione sociale; l'art. 2320 cod. civ., che tale illimitata e solidale responsabilità fa derivare dalla violazione del divieto di immistione da parte dell'accomandante; l'art. 2324 cod. civ., che consente ai creditori di far valere i propri crediti nei confronti dei soci accomandanti in sede di liquidazione" (Cass. civ., sent. n. 13565 del 19/05/2021). Al di fuori delle predette eccezioni, la cui ricorrenza non è stata nella specie neppure dedotta, il socio accomandante non risponde, neppure nei limiti della quota conferita, dei debiti della società verso terzi. Ciò porta ad affermate la fondatezza dell'opposizione proposta da (...), con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. E' invece infondata l'opposizione proposta da (...). E' pacifico che il Fattore sia socio accomandatario della (...) S.A.S. e che sia, pertanto, responsabile del debito che la predetta società ha nei confronti della lavoratrice (...). Deve escludersi la nullità del decreto ingiuntivo per la sussistenza di altro titolo esecutivo nei confronti della società. Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il creditore che sia munito di un titolo esecutivo nei confronti di una società di persone può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, al fine di poter iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili personali di questi ultimi, non potendo a tal fine avvalersi del titolo ottenuto nei confronti della società" (Cass. civ., sez. 3, ord. n. 21768/2019; Cass. civ., sez. 3, sent. n. 25378/2018). Del tutto ammissibile è, dunque, la domanda di condanna proposta nei confronti di (...). Tale domanda deve ritenersi anche fondata, non essendovi alcuna prova del pagamento delle somme rivendicate dall'opposta. Il (...) ha eccepito l'avvenuto pagamento della retribuzione di ottobre 2018 ma non ha offerto alcuna prova documentale del suddetto pagamento. Non essendovi alcuna specifica contestazione sulla quantificazione della somma rivendicata dall'opposta, (...) va condannato al pagamento in favore di (...) di Euro 3.158,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma periodicamente rivalutata dalle singole scadenze al saldo ex art. 429 c.p.c. La somma è stata correttamente quantificata ed è dovuta al lordo di ritenute fiscali e previdenziali. Per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, le pronunce giudiziali relative a crediti di lavoro devono avere ad oggetto le somme dovute al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, le quali vengono operate al momento del pagamento finale da parte del datore di lavoro nel suo ruolo di sostituto di imposta. In altre parole, il meccanismo della sostituzione di imposta attiene solo alle modalità di adempimento del debito fiscale e non può modificare la consistenza dell'originario credito retributivo. Il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, è stato anche di recente ribadito dalla Corte di Cassazione affermandosi che "l'accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo sia delle ritenute fiscali, sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore, atteso che la determinazione delle prime attiene non al rapporto civilistico tra datore e lavoratore, ma a quello tributario tra contribuente ed erario, e devono essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che il lavoratore abbia effettivamente percepito il pagamento delle differenze retributive dovutegli, mentre, quanto alle seconde, il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 19 della l. n. 218 del 1952, può procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 18044/2015). Si è, inoltre, ritenuto che "in tema di contributi previdenziali, quando il datore di lavoro corrisponde tempestivamente i crediti retributivi può legittimamente operare la trattenuta dei contributi da versare all'ente previdenziale, non può farlo, invece, in caso di intempestività, da valutarsi con riferimento al momento di maturazione dei crediti e non a quello di accertamento giudiziale degli stessi, sicché in detta ipotesi il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 18897/2019). Il parziale accoglimento dell'opposizione concreta la fattispecie della reciproca soccombenza e giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: accoglie parzialmente l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 202/2020; condanna (...) al pagamento in favore di (...) di Euro 3.158,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma periodicamente rivalutata dalle singole scadenze al saldo ex art. 429 c.p.c.; compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Chieti, 17 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2021.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.