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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 1213/2022 R.G.A.C. promossa da SE.GI. (avv. Fr.Sc.) nei confronti di RE. SRL (Avv. Ro.Fr.), avente ad oggetto: impugnativa di licenziamento, osserva quanto segue: - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 23.12.2022, il ricorrente in epigrafe indicato, premesso di essere stato assunto dalla RR. in data 21.9.2018 come impiegato di primo livello del CCNL Turismo/Pubblici Servizi con qualifica di "Restaurant Manager" svolgendo mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita assegnato, dal 21.9.2018 sino al 31.5.2021, da ultimo, dal 1.11.2021 sino al licenziamento, avvenuto il 10 maggio 2022 presso area di servizio sita in Fiano Romano, via (...), nonché di essere stato "promosso" al livello contrattuale "A2" il 30.3.2022, lamentava di aver ricevuto una lettera datata il 21.4.2022, con cui la società resistente, sospendendolo cautelativamente dal servizio, gli aveva contestato tre mancanze disciplinari, nonché una seconda lettera del 2.5.2022 con cui gli aveva contestato ulteriori cinque mancanze disciplinari e che nonostante le sue giustificazioni gli era stato irrogato il licenziamento per giusta causa con comunicazione del 10.5.2022. Agiva in questa sede chiedendo, "piaccia al Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, con sentenza esecutiva, cumulo di interessi e rivalutazione monetaria ed il favore delle spese di giudizio comprensive del contributo forfetario per spese generali del 15%:-a) accertare nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento del 10.5.2022 intimato al ricorrente per i motivi in parte motiva;-b) per l'effetto, condannare la società resistente, in persona del l.r.p.t., a: - reintegrare in servizio il ricorrente ed a versargli tutti gli stipendi dal licenziamento alla reintegra con un massimo di 12 mensilità ex art.3, comma 2 D.Lgs. 23/2015, con consequenziale ricostituzione del rapporto contributivo e previdenziale; - in subordine, in caso di mancata reintegra, a versargli l'indennità risarcitoria art.3, comma 1 D.Lgs. 23/2015 Stat. lav. nella misura massima di 36 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2.902,60 (RAL 34.831,26/12); - c) salvo l'ipotesi di accoglimento della domanda principale di reintegra, previo accertamento dell'insussistenza della giusta causa condannare la società resistente al pagamento anche dell'indennità sostitutiva del preavviso nella misura di Euro 5.342,40 lordi complessivi (= Euro 89,06 x 60 giorni) nonché al pagamento della retribuzione per il periodo di sospensione cautelativa dal 21 aprile all'11 maggio 2022 pari ad Euro 1.959,32 (22 giorni x Euro 89.06) d) in ogni caso, a prescindere dall'esito dell'impugnazione, condannare la società resistente al pagamento degli emolumenti di fine rapporto pari ad Euro 13.705,53 oltre interessi e rivalutazione dalle scadenze al soddisfo.". Instauratosi ritualmente il contraddittorio, la società resistente si costituiva in giudizio deducendo chiedendo di "Rigettare il ricorso perché infondato in fatto ed in diritto e, oltretutto, non provato per la genericità della relativa formulazione e la totale carenza di prova delle richieste formulate, confermando la legittimità dell'intimato licenziamento. Con vittoria di spese, competenze ed onorari e sentenza provvisoriamente". Fallito il tentativo di conciliazione, la causa, istruita con documenti e con l'escussione di testimoni, veniva decisa all'odierna udienza, previo scambio di note conclusive autorizzate e di note contenenti le sole istanze e conclusioni ex art. 127 ter c.p.c. -2- In via preliminare, prima di passare all'esame degli addebiti mossi al ricorrente e posti a fondamento del licenziamento disciplinare, appare opportuno evidenziare come la disciplina del dlgs 23/2015 - pacificamente applicabile al caso di specie ratione temporis - preveda, all'art. 2, la tutela della "reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto" nell'ipotesi di "nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge" e, all'art. 3, per ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa "in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento", disponendo, in generale, che "nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità" e prevedendo una tutela parimenti indennitaria per l'ipotesi in cui "il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300 del 1970" ("il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto". Secondo la predetta disciplina, dunque, l'unica ipotesi che dà luogo alla tutela reintegratoria (richiesta dal ricorrente in via principale), in forza del combinato disposto dell'art. 3, comma 2 e dell'art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, riguarda "esclusivamente" i licenziamenti disciplinari nella fattispecie di "insussistenza del fatto materiale' contestato al lavoratore, purché sussista il requisito dimensionale di cui all'art. 18 commi 8 e 9, L. n. 300/1970. Anche a voler, poi, ampliare la nozione di "fatto" includendovi, oltre al fatto materiale, il carattere della soggettività e della antigiuridicità, così come avvenuto nella interpretazione di una parte della giurisprudenza di legittimità con riferimento, però, alla disciplina di cui alla l. 92/2012, non applicabile a questo giudizio (Cass. 13 ottobre 2015 n.20540, Cass. n. n. 20545 del 13 ottobre 2015, Cass. Sez. Lav. n. 10019 del 16.5.2016) - e a voler, di conseguenza, escludere dal concetto di "fatto sussistente" il fatto neppure minimamente dotato di rilievo disciplinare - è evidente che la disciplina del dlgs 23/2015 abbia compiutamente disciplinato l'ipotesi del licenziamento discriminatorio, l'ipotesi del fatto insussistente e l'ipotesi del licenziamento privo di giustificato motivo soggettivo o giusta causa, sanzionando, quest'ultima, unicamente con una tutela di carattere indennitario, al pari delle ipotesi delle violazioni di carattere procedurale (ciò rendendo senz'altro destituita di fondamento l'affermazione, che si legge in ricorso, secondo la quale "...ogni ipotesi di licenziamento illegittimo, per carenza di giusta causa o di giustificato motivo, come nel caso di specie, sarebbe per ciò solo anche discriminatorio"). -3- Passando, adesso, ad esaminare i motivi di doglianza formulati in ricorso, può innanzitutto escludersi la dedotta illecita modalità di acquisizione dei fatti disciplinarmente rilevanti quale effetto della violazione della disciplina dell'art. 4 della l. 300/1970 che, come pure riferito in ricorso, riguarda gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, i fatti oggetto della contestazione disciplinare non sono stati acquisiti mediante gli impianti audiovisivi in uso presso la sede lavorativa, ma a seguito della conoscenza dell'informativa redatta da una società di assistenza e consulenza alle aziende, la Lo.Se. srl, con cui la resistente aveva concluso un contratto avente ad oggetto la collaborazione "allo scopo di prevenire le differenze inventariali dovute alla mancata emissione degli scontrini fiscali" e la cooperazione nella individuazione degli eventuali responsabili e nella loro segnalazione alla direzione aziendale (così il contratto al doc. n. 6 di parte resistente). Sulla questione, allora, devono innanzitutto richiamarsi - alla stregua degli ormai costanti arresti della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Lav. 4 Aprile 2018 N. 8373, Cass. Lav. 11 Giugno 2018 N. 15094) i seguenti principi di diritto: in ordine alla portata degli artt. 2 e 3 della L. n. 300 del 1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3), va premesso che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (come un'agenzia investigativa) diversi dalle guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l'adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica; tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un'agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione; le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l'intervento in questione solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti (non riconducibili al mero inadempimento, cioè all'esecuzione della attività lavorativa in senso stretto) e per l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione; né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d'opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro; il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, che possano eventualmente configurare ipotesi penalmente rilevanti (come ad esempio l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi, ovvero il mancato svolgimento di alcuna attività lavorativa in orario di lavoro). Orbene, tanto premesso, deve rilevarsi che, nella specie, l'agenzia Lo.Se.It. s.r.l., (società che presta "attività di consulenza e assistenza alle aziende al dettaglio per la prevenzione la riduzione e controllo delle perdite inventariali a qualsiasi causa dovuta"), era stata incaricata, tra l'altro, dalla odierna resistente di mettere a disposizione il proprio personale e quello delle società associate Lo.Se.No., M.Co. e Lo.Se.Su. "idoneo a compiere sopralluoghi presso i punti vendita indicati di volta in volta" e a segnalare...tutti i fatti che possano dar luogo a sospetti di anomalie nella procedura di incasso e di mancata emissione di scontrini fiscali" (eventualmente chiamato poi a testimoniare davanti all'autorità giudiziaria in caso di irregolarità riscontrate durante lo svolgimento delle loro mansioni), mediante esecuzione di acquisti e consumazione di cibi e bevande (si veda, ancora, il contratto del 16.10.2021 al doc. n. 6 di parte resistente) Non si trattava, dunque, di controlli inerenti alla esecuzione dell'attività lavorativa in senso stretto, né alla qualità delle prestazioni, né al grado di diligenza estrinsecato dal lavoratore, cioè al mero inadempimento dell'obbligazione. Si trattava, invece, di verifiche finalizzate all'accertamento di eventuali condotte irregolari riscontrate nelle procedure di incasso e di emissione degli scontrini fiscali, dovendosi evidentemente ritenere legittimi i controlli delegati ad una agenzia esterna (all'esito dei quali è stato redatto un report i cui contenuti, così come riportati nella lettera di contestazione disciplinare, sono stati anche confermati in sede testimoniale). Va pure esclusa la dedotta illegittimità della contestazione per tardività, in quanto costituisce parimenti principio acquisito in giurisprudenza che l'immediatezza della contestazione sia da ritenersi elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e che lo stesso vada interpretato in senso relativo (ossia con riferimento alle caratteristiche dell'infrazione e alla necessità di un margine temporale per il suo preciso accertamento), senza che però tale "elasticità" nella valutazione possa comportare la vanificazione del diritto alla difesa del lavoratore (si veda in termini Cass. n. 1562/03). Allo stesso modo la giurisprudenza richiede che "ove sia eccepita la tardività della contestazione, spetta al datore di lavoro comprovare le ragioni impeditive di una rapida cognizione del fatto addebitato al dipendente e la tempestiva promozione dell'azione disciplinare, non appena attinta la notizia" (così testualmente, tra le tante, Cass. n. 3318/1986 e Cass. n. 11180/93), in un'ottica di bilanciamento tra le esigenze di speditezza e certezza nell'interesse del lavoratore e quelle di indagine e adeguata ponderazione del datore di lavoro. Tra le ragioni poste a fondamento del principio dell'immediatezza, va, inoltre, considerata l'esigenza di salvaguardia dell'affidamento del lavoratore, il quale potrebbe essere indotto a ritenere, per effetto della prolungata inerzia del datore di lavoro, che quest'ultimo abbia rinunciato, con inequivoco comportamento concludente, alla facoltà di reagire alla mancanza di cui sia venuto a conoscenza. Costituisce, infine, criterio generale alla luce del quale valutare la tempestività dell'esercizio del potere disciplinare il canone del dovere di correttezza e buona fede, quale comportamento generale e costante richiesto alle parti contrattuali nel corso di tutte le estrinsecazioni del rapporto stesso, non essendo il solo elemento costituito dalla notevole dimensione dell'organizzazione aziendale sufficiente a far ritenere legittimo un prolungato ritardo nell'elevazione della contestazione disciplinare nei confronti del lavoratore, in quanto è in ogni caso necessario che il datore di lavoro alleghi e provi le cause che hanno determinato la dilazione tra la comunicazione della contestazione e il momento in cui egli ha avuto conoscenza dei fatti materiali che intende addebitare al dipendente (Cass. Sez. L, Sentenza n. 19115 del 09/08/2013). Tanto premesso in generale, occorre osservare come parte resistente abbia senz'altro dimostrato di aver esercitato tempestivamente l'azione disciplinare, attivandosi entro un termine breve dalla conoscenza dei fatti contestati. Dall'esame del doc.n. 7 di parte resistente si apprende come il report attraverso il quale la stessa era stata informata delle irregolarità legate alle procedure di incasso e di emissione degli scontrini fiscali era stato tramesso alla datrice di lavoro il 14 aprile 2022 e le contestazioni disciplinari risultano mosse al ricorrente con lettera datata il 21 aprile 2022 e con successiva lettera del 2 maggio 2022, entrambe riscontrate dal ricorrente con le sue giustificazioni del 22 aprile e del 6 maggio 2022 (si vedano il doc n.16 di parte ricorrente) e già dalla lettura della lettera di contestazione disciplinare del 2 maggio 2022 si apprende come i fatti indicati ai punti III, IV e V erano stati appresi in occasione di una verifica del 21 aprile 2022; dall'esame delle giustificazioni tempestivamente fornite dal ricorrente si desume come lo stesso fosse stato posto in condizione di conoscere pienamente le tipologie di condotta stigmatizzate e di esercitare pienamente il suo diritto di difesa. Pertanto, anche a voler ritenere che la società resistente potesse essere venuta a conoscenza di alcuni degli episodi contestati prima del mese di aprile 2022 (con riferimento alle questioni riguardanti la tenuta della contabilità) la quasi totalità degli episodi e dei fatti menzionati nella lettera di contestazione possono dirsi essere stati per la prima volta appresi dai responsabili della società resistente solo poco prima dell'esercizio dell'azione disciplinare; in ogni caso, il tempo decorso tra tali fatti ed episodi e la formulazione della contestazione non ha impedito al ricorrente di difendersi compiutamente in sede di procedimento disciplinare e in giudizio. -4- Quanto, allora alla dedotta "manifesta insussistenza dei fatti contestati, anche sotto il profilo della riferibilità oggettiva/soggettiva degli stessi al ricorrente ovvero perché molti degli episodi descritti sono del tutto privi di antigiuridicità", occorre osservare come nella lettera del 21/04/2022 la resistente avesse contestato al ricorrente i seguenti addebiti: 1)"...in data 28 gennaio 2022, alle ore 16:21, Ella, utilizzando la cassa 1 del punto vendita di Fiano Romano, vendeva due "Kinder mezzometro" dal costo di Euro 5,95 ciascuno, riceveva il denaro corrispondente al prezzo di entrambi i prodotti ed emetteva una registrazione fiscale con conseguente rilascio dello scontrino fiscale n. 27 da cui risultava la vendita di uno solo dei suddetti prodotti'; 2) "in data 24 febbraio 2022, alle ore 20:11, Ella, utilizzando la cassa 2 del punto vendita di Fiano Romano, batteva uno scontrino fiscale per Euro 120,00 (num. Trans. 5630) per sei "Gratta e vinci" da 20,00 Euro l'uno, nonostante all'interno del punto vendita non ci fosse alcun cliente che stesse acquistando tali prodotti"; 3) "sempre in data 24 febbraio 2022, alle ore 20:13, Ella, utilizzando la cassa 2 del punto vendita di Fiano Romano, batteva uno scontrino fiscale per Euro 5,0 30) 0 (num. Trans. 5632) per un "Gratta e vinci" da 5,00 Euro, nonostante all'interno del punto vendita non ci fosse alcun cliente che stesse acquistando tale prodotto. Era, invece, presente un cliente che, proprio in quel momento, aveva acquistato due bomboloni pagandoli Euro 5,00". Si legge nella successiva lettera di contestazione del 2 maggio 2022 in data 21 aprile 2022: "in data 8 aprile 2022 alle ore 10:47, ella batteva sul registratore di cassa n. 5 gratta e vinci da 20 euro per un totale transazione di euro 100, nonostante non fosse presente alcun cliente all'interno del punto vendita. Ella, inoltre, procedeva a grattare e convalidare 10 gratta e vinci strappando quelli non vincenti e mettendo da parte 4 biglietti risultanti vincenti; in data 13 aprile 2022 alle ore 11:56 Ella batteva sul registratore di cassa gratta e vinci per un totale di transazione di euro 40 nonostante non fosse presente alcun cliente all'interno del punto vendita. Ella, inoltre, procedeva a grattare e convalidare 9 gratta e vinci strappando quelli non vincenti e mettendo da parte 2 biglietti risultanti vincenti; in data 21 aprile 2022 alle ore 19 circa, il sottoscritto, dopo averle consegnato la contestazione di addebito avente pari data le chiedeva di effettuare l'inventario della cassaforte direzione di cui Ella era l'unico possessore della chiave e verificarne la rispondenza rispetto alla situazione contabile (file Fondo Direzione) presente sul gestionale Sharepoint Fiano Romano da Lei aggiornato alla data del 21 aprile 2022 ore 14.54 dopo la chiusura contabile del giorno 20 aprile 2022 così come risultante dall'ultimo dato inserito sempre per mezzo della sua utenza aziendale (...). La giacenza contabile sul file Fondo Direzione alla data del 21 aprile '22 ore 14.54 da Lei aggiornata è la seguente: Giacenza contante Euro 3.534,56; Gratta & Vinci Euro 7.815.Come da foglio scritto di suo pugno (INVENTARIO CASSAFORTE) e in nostro possesso Ella ha proceduto a rendicontare i valori presenti in cassaforte e presso i registratori di cassa e la rispondenza degli stessi rispetto alla situazione contabile rilevando quando segue: omissis...Dall'analisi delle giacenze fisiche rispetto alla situazione contabile sono risultati i seguenti ammanchi: a) Gratta & Vinci. i. Giacenza contabile al 20 aprile 2022 Euro 7.815. Inventario Gratta & Vinci alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 3.150; Cassetto registratori di cassa Euro 1.433; Vendite Gratta & Vinci del giorno 21 aprile 2021 dalle ore 00:00 alle ore 20.30 Euro 557. Ammanco Euro 7.815 - 3.150 - 1433 - 557= Euro 2.675 a. Contanti. i. Giacenza contabile Euro 3.534.56. Inventario contanti alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 2.620,35; registratore di Cassa 1 Euro 300; Registratore di Cassa 2 Euro 300 (unico registratore utilizzato per la vendita al pubblico); Registratore di Cassa 3 Euro 200. Ammanco Euro 3.534,56 - 2.620,35 - 300 - 300 - 200 = Euro 114,21 Alle ore 19 ca durante la verifica il sottoscritto rilevava che, nonostante fosse aperto al pubblico il self service e la dipendente che svolgeva il servizio al banco aveva eseguito la verifica del fondo cassa del registratore numero 3 dedicato appunto al self service, Lei non permetteva alla addetta al self service di battere i relativi scontrini ed incassare il denaro dalla cassa 3 dirottando le vendite sulla cassa 2 dove Lei operava impedendo, di fatto, la possibilità di rendicontare il dettaglio dei movimenti contabili relativi alle vendita del self service e contravvenendo alle direttive e all'organizzazione del servizio. In assenza di riscontro a tale contestazione, il sottoscritto, preso atto che le vendite venivano eseguite solo sulla cassa 2 e che non ve ne erano sulla cassa 3 dedicata al self service, le chiedeva di eseguire il conteggio della giacenza dei contanti ed altri valori della cassa 2 al fine di verificarne il contenuto rispetto alle vendite eseguite dall'inizio del turno (ore 18). Il totale presente nel cassetto del registratore di cassa 2 è stato pari ad Euro 305 (comprensivo del fondo cassa pari ad Euro 300) oltre a vendite a mezzo carte di credito di Euro 14,60 mentre il venduto alla stessa ora è risultato pari ad Euro 35,68. Dall'analisi le è stato contestato un ammanco di Euro 21,08 tenuto conto del fondo cassa (euro 300). Durante le operazioni di verifica il sottoscritto ha notato che Lei, con fare sospetto, portava il contenitore dei riepiloghi di versamento giornalieri in un locale tecnico e, alla richiesta di riporre tale contenitore nella postazione ufficio, il sottoscritto riscontrava che non erano presenti le chiusure dal 1.mo febbraio 2022 al 20 aprile 2022. A espressa contestazione e richiesta di indicazione dei riepiloghi giornalieri Lei si lamentava che avrebbe dovuto andare via vista l'ora e non ave va modo di verificare in quel momento.". La predetta società, ritenendo che a mezzo delle proprie giustificazioni il ricorrente avesse in parte confermato i fatti contestati e in parte addotto ragioni inidonee a giustificare gli stessi, aveva licenziato il ricorrente per giusta causa invocando la disciplina generale dell'art. 2119 c.c. Dall'esame del materiale istruttorio raccolto in giudizio è risultato provato che il 28 gennaio 2022 il ricorrente avesse venduto alla sig.ra Na. Cinzia, dipendente di M.S srl ("che possiede il 20% delle azioni della Lo."), due Kinder mezzometro, incassando denaro per due Kinder mezzometro, ma battendone sul registratore uno solo creando, quindi, un surplus di cassa di Euro 5,95: la predetta, escussa quale testimone, ha dichiarato che in quella data dopo essersi "recata presso l'autogrill che sta a Fiano Romano ove lavorava il ricorrente insieme ad altre due persone" ("di cui non ricordo il nome, se non sbaglio una si chiamava Fo.Il. o Fo.Ma."), aveva "comprato un Kinder mezzo metro del valore di 5,95 euro e subito dopo rivolgendomi al ricorrente gli ho chiesto di consegnarmene un altro, quindi in totale ho acquistato due kinder mezzo metro. Ne ho pagati due ma lo scontrino che mi è stato consegnato è stato emesso solo per il primo acquisto"; la teste, dopo aver riconosciuto nel doc. n. 7 che le era stato esibito lo scontrino dell'acquisto del primo kinder "perché ivi sono riportati l'orario e la data", ha aggiunto "che mi è stato dato 4,05 euro di differenza di resto, e io ho aggiunto ai 4,05 euro la differenza di 2,90 euro per pagare il secondo kinder di cui ho detto e per cui non mi è stato emesso lo scontrino", in tal modo rendendo una deposizione del tutto attendibile in quanto oggettivamente riscontrabile con le risultanze del report prodotto da parte resistente. Il teste Fo.Ma., dipendente della MS. srl, società associata alla Lo., ha confermato che il 24 febbraio 2022 si era recato presso il punto vendita di Fiano Romano e alle ore 20:13 circa aveva acquistato due bomboloni alla crema, mentre l'operatore aveva battuto un gratta e vinci del valore di 5 euro, precisando che "l'operatore era il ricorrente qui presente che riconosco in aula", nonché di aver notato che l'operatore "... ha battuto sulla cassa l'importo di 120 euro avendo in mano un gratta e vinci del valore di 20 euro", aggiungendo "che all'interno del locale non c'era nessuna persona e che io mi sono recato in cassa per effettuare un acquisto e quando mi stavo avvicinando alla cassa per fare questo acquisto ho visto l'operazione che ho detto. Successivamente è stato riscontrato che questa transazione di 120 euro corrispondeva alla vendita di 6 gratta e vinci di 20 euro ciascuno". Vanno, pertanto, smentite le difese del ricorrente, secondo il quale l'episodio del 28.1.2022 sarebbe consistito "in una mera distrazione di battitura in ordine alla quantità del prodotto effettivamente venduto", risultando, invece, dallo scontino fiscale della transazione delle ore 16:21 (allegato al report al doc. n. 7) la divergenza fiscale tra l'importo pari a 5,95 euro indicato come pagato sullo scontrino e l'importo pagato dalla Na. e corrispondente a quello di due prodotti; quanto all'episodio del 24.2.2022, ore 20.11 e a quello del 24.2.2022, ore 20.13, va parimenti smentito che "quando anche reale, la verifica della corretta registrazione dei biglietti "gratta e vinci " venduti, che molti dipendenti non sapevano fare o non potevano fare per malfunzionamento dei sistemi di convalida, rientrava appieno nella mansioni del Se. (verifica contabile). Pertanto, l'aver emesso scontrino fiscale di Euro 120,00 per sei gratta e vinci da Euro 20,00 non costituisce illecito disciplinare ma semmai regolarizzazione fiscale di un incasso precedentemente non registrato", proprio perché il Fo. ha potuto constatare di persona che era stato il ricorrente (e non altri dipendenti del punto vendita) a battere sulla cassa l'importo di 120 euro avendo in mano un gratta e vinci del valore di 20 euro, mentre all'interno del locale non c'era nessun cliente e a battere sulla cassa un gratta e vinci del valore di 5 euro a fronte dell'acquisto di un bene di natura diversa (dovendo, sempre per quanto dichiarato dal Fo., escludersi che "E' anche possibile che il cliente avesse prima richiesto un "gratta e vinci" battuto dal ricorrente e poi ci abbia ripensato scegliendo altro prodotto ossia il bombolone, rimanendo in memoria di cassa la prima battitura"). Anche in relazione agli episodi dell'8 e 13 aprile 2022 il ricorrente ha dedotto che "anche fossero reali, ... In ordine alla "grattatura", il Se. si limitava unicamente a verificare il codice a barre presente nella zona grigia (che i giocatori non "grattano") per avere la certezza di quali fossero i biglietti vincenti, separandoli da quelli non vincenti, al fine di conservare solo i primi per la successiva annotazione a fine giornata nelle distinte di riepilogo" ma sebbene la teste Na. non abbia confermato di avervi assistito, tale difesa deve dirsi smentita poiché quand'anche i gratta e vinci fossero stati emessi in favore di eventuali clienti presenti nel punto vendita, come evidenziato da parte resistente, non sarebbe stato né possibile né necessario, in tal caso, che il ricorrente procedesse ad una convalida dei gratta e vinci vincenti ("Se il ricorrente è il possesso di un gratta e vinci ricevuto dal cliente significa che lo stesso è risultato già vincente e quindi è già stato convalidato dal pos di Lottomatica e un ulteriore "convalida" a posteriore rispetto alla vincente darebbe esito negativo e verrebbe immediatamente segnalata a Lottomatica perché evidente manomissione"). Quanto, poi, alla parte della lettera di contestazione del 2.5.2022, occorre innanzitutto osservare come il ricorrente non abbia contestato l'esistenza e l'ammontare degli ammanchi contestati, e corrispondenti alla differenza tra la situazione contabile registrata dal ricorrente per il 20 aprile 2022 e le giacenze fisiche della stessa giornata ("a) Gratta & Vinci. i.Giacenza contabile al 20 aprile 2022 Euro 7.815. Inventario Gratta & Vinci alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 3.150; Cassetto registratori di cassa Euro 1.433; Vendite Gratta & Vinci del giorno 21 aprile 2021 dalle ore 00:00 alle ore 20.30 Euro 557. Ammanco Euro 7.815 - 3.150 - 1433 -557= Euro 2.675"). Non è stato neppure contestato, alla prima occasione processuale utile, che, come dedotto in memoria di costituzione, il legale rappresentante della resistente non fosse "in possesso della chiave della cassaforte di direzione e che lo stesso Se. ha proceduto di suo pugno ad annotare ogni valore presente nella stessa in presenza dell'amministratore della società, per cui era lui a dover rilevare eventuali ammanchi o differenze in cassa", ciò, del resto, in coerenza con il proprio ruolo di "Restaurant Manager" svolgente mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita. Quanto, in particolare all'ammanco relativo ai contanti ("a. Contanti. i. Giacenza contabile Euro 3.534.56. Inventario contanti alla data del 21 aprile '22 ore 20,08: Cassa Direzione Euro 2.620,35; registratore di Cassa 1 Euro 300; Registratore di Cassa 2 Euro 300 (unico registratore utilizzato per la vendita al pubblico); Registratore di Cassa 3 Euro 200. Ammanco Euro 3.534,56 - 2.620,35 - 300 - 300 -200 = Euro 114,21"), è risultata smentita la tesi di parte ricorrente relativa, in sostanza, alla possibile alterazione dei files della contabilità ad opera di altri dipendenti del punto vendita (ovverosia che "il sistema gestionale "Sharepoint", dove vengono inseriti i dati contabili, è gestito da tutti e tutti vi possono entrare senza password, pertanto, i dati inseriti dal Se. possono essere modificati/manipolati da chiunque'): il teste Eu.Ca., dipendente della resistente fino ad aprile del 2022 in qualità di capoarea, ha confermato come il sistema sharepoint fosse visibile alla amministrazione della resistente e che solo il ricorrente con la propria utenza aziendale avrebbe potuto modificare il file della contabilità ("i files di share point erano visibili anche all'amministrazione e potevano essere modificati tramite accesso autorizzato, con password. La password è collegata all'indirizzo e mail dello store manager. La modifica dei files poteva avvenire solo da chi avesse accesso con pw"); l'impiegata dell'amministrazione Mo.An.Pu. escussa quale testimone, ha confermato la circostanza ("share point è costituito da più cartelle dove ci sono alcuni documenti sia del punto vendita che dei vari dipendenti. Vi era poi un file relativo alla cassaforte in dotazione ai direttori, responsabili dei punti vendita. Si tratta della chiave che serve ad aprire la cassaforte. C'è un file dove andavano inserite entrate e uscite della cassaforte che poteva essere visto sia da me e dalla collega della contabilità D.Ma.Ma. sia dal direttore e ogni rettifica su questo che è un file excel può essere vista, attraverso la consultazione della cronologia"), precisando che "L'inserimento dei dati nel file era consentito solo ai direttori perché per accedervi era necessaria una password collegata all'e mail aziendale personale" e che se lei o la collega dell'amministrazione avessero notato delle incongruenze si sarebbero rivolte "al direttore per effettuare le rettifiche, che noi non potevamo effettuare" e, pur precisando "che materialmente io avrei potuto modificare il file se lo avessi voluto con la mia password", ha aggiunto che "Non era in uso che un direttore consentisse l'uso della sua password e il ricorrente non me l'ha mai concessa"; la teste Bi.Pa., addetta alla cucina del punto vendita di parte resistente dal 1.12.2021 al 31.20.2022, premesso " di essere ignorante in materia e che il ricorrente mi ha aiutato a imparare ad usare il computer. Io stavo imparando a fare le chiusure di cassa, posso dire di aver usato con lui lo share point, non credo che vi fosse una password mi ricordo una password iniziale se il pc era spento ma se ci fossero altre password non lo so", ha in ogni caso specificato che quando aveva "avuto accesso al sistema era sempre presente il ricorrente perché io non sarei stata capace di usarlo da sola"; la teste An.Ci.Fl., occupatasi dal 21.11.2021 al 31 ottobre 2022 presso il punto vendita di fiano Romano di "apertura del punto vendita, e anche della cucina... anche di operazioni di cassa", sul punto ha riferito "so che solo il direttore aveva accesso allo share point. Io vedevo solo il direttore accedervi dall'ufficio nelle occasioni in cui io andavo a fare il versamento dell'incasso". Priva di rilevanza deve, allora, considerarsi la circostanza che l'ammanco "di Euro 16.08 riguarda la cassa numero 2 che era gestita il 21.4.2022 unicamente dalla dipendente Em.Ba....", non privando di rilievo disciplinare il fatto che "nonostante fosse aperto al pubblico il self service e la dipendente che svolgeva il servizio al banco aveva eseguito la verifica del fondo cassa del registratore numero 3 dedicato appunto al self servici" il ricorrente non avesse consentito "alla addetta al self service di battere i relativi scontrini ed incassare il denaro dalla cassa 3 dirottando le vendite sulla cassa 2", così "impedendo, di fatto, la possibilità di rendicontare il dettaglio dei movimenti contabili relativi alle vendita del self service e contravvenendo alle direttive e all'organizzazione del servizio". Né tantomeno la rilevanza disciplinare della contravvenzione alle regole sulla corretta contabilità aziendale può ritenersi venuta meno per il fatto che l'ammanco "di Euro 114.21 in realtà non sussiste" poiché "Fermo restando che risultava al ricorrente una giacenza di cassa direzione di Euro 2.622,35 (e non Euro 2.620,35), era stata la stessa società resistente a chiedere al Se. di non inserire sul fondo direzione l'importo di Euro 100,00 (vedi parte in fatto, punto 14 bis) per attestati alimentaristi con la conseguenza che l'ammanco, qualora reale, sarebbe pari a modesti Euro 12.21")", tale circostanza al più indicendo solo sul valore economico di uno dei vari ammanchi registrati, gli altri dei quali di ben più rilevante importo. A tale ultimo proposito (trattandosi di ammanco del valore economico totale di Euro 2.675) è risultato parimenti smentito che l'ammanco relativo ai "gratta e vinci", fosse "con molta probabilità correlata alla mancata validazione dei biglietti da parte del personale dipendente ovvero al fatto che la vendita dei biglietti sia stata associata ad altri prodotti, con la conseguenza che l'incasso non registrato è compensato dalla plusvalenza maturata su altri articoli da banco" o fosse riferibile "alla scarsa formazione del personale dipendente che non contabilizzava correttamente la vendita dei "gratta e vinci": il teste Ca. e la teste Pu. hanno confermato la procedura di cassa descritta dalla resistente secondo la quale "Ad ogni inizio turno ogni operatore/cassiere ha una dotazione iniziale di gratta e vinci numerata e valorizzata (facciamo un'ipotesi giacenza inziale 50 gratta e vinci da 20 euro per un importo totale di 1.000 euro). Ogni volta che avviene la vendita di un "gratta e vinci " il registratore di cassa (e non il POS di Lottomatica) annota quanti ne sono stati venduti durante quel turno e quindi, contando il numero dei gratta e vinci venduti, diminuisce la dotazione inziale per il numero e il valore dei gratta e vinci consegnati ai clienti dietro incasso di denaro (ad esempio 20 gratta e vinci da 20 euro per un importo di 400 euro). A fine turno il cassiere si ritrova 30 gratta e vinci per un valore di 600 euro rispetto ai 1.000 iniziali e 400 euro in cassa a seguito dei gratta e vinci venduti. Inoltre, sempre a fine turno, il report del registratore di cassa evidenzia che sono transitati sul lettore di codice a barre 20 gratta e vinci' (il primo specificando "Posso dire che il cibo non riuscivamo a monitorarlo con un inventario giornaliero mentre per il gratta e vinci c 'è un inventario giornaliero per cui essendo contabilizzati è sempre possibile tracciarne la vendita" e la seconda che "chi lavorava in cassa aveva un modulo cartaceo da compilare in cui venivano indicati quanti erano i gratta e vinci in giacenza all'inizio e alla fine del turno proprio per consentire a noi responsabile di fare i controlli tra i gratta e vinci battuti in cassa e quelli indicati in questo report. In aggiunta qualora i responsabili aggiungessero dei gratta e vinci per riassortimento noi responsabili li consegnavamo al cassiere e questi avrebbe dovuto annotarlo sempre su questo report"). Analogamente, i predetti testi e la teste An.Ci.Fl. hanno confermato: che sin dall'apertura del punto vendita di Fiano Romano ove il ricorrente stava lavorando vi fosse un convalidatore di Gratta e Vinci concesso dalla ex Lottomatica in comodato d'uso avente la funzione di accertare i biglietti vincenti tramite riconoscimento a mezzo lettore ottico e/o inserimento manuale del codice a barre sul terminale; che i "gratta e vinci" provenienti da altri locali gestiti dalla resistente sarebbero stati semplicemente consegnati al cliente che li avesse acquistati previo pagamento e dietro emissione di scontrino fiscale, come da procedura vigente in Autogrill, come ogni altro prodotto da banco, con la possibilità, nel caso di vincita, che il cliente la riscuotesse o presso lo stesso punto vendita o in altro abilitato; che per poter ottenere il denaro vinto, l'esercente avrebbe dovuto inserire sull'apparecchio convalidante concesso da Lottomatica il codice a barre del biglietto vincente, e l'apparecchio avrebbe rilasciato uno scontrino con l'indicazione dell'importo della vincita (come desumibile dal doc. n. 9 di parte ricorrente); che sarebbe stato onere del ricorrente, in quanto direttore del punto vendita, conservare i gratta e vinci vincenti per 3 mesi e di tenere il riepilogo per il controllo della giacenza dei gratta e vinci. Il teste Ca., infatti, ha dichiarato: "Alla data del 21.12.2021 l'apparecchio elettronico di cui al capitolo di cui mi chiede esisteva ed era funzionante. L'apparecchio però aveva la pistola con un cavo rovinato che non consentiva del gratta e vinci. Non ricordo il giorno preciso ma posso dire di aver constatato di persona questo difetto del cavo della pistola e che in pochi giorni ho provveduto alla sostituzione della pistola. Nelle more la convalida dei gratta e vinci sarebbe potuta avvenire con la digitazione del codice a barre sulla cassa", confermato il capitolo 14 della memoria di costituzione ("i "gratta e vinci" erano già autorizzati alla vendita: vanno semplicemente consegnati al cliente che li acquista previo pagamento e dietro emissione di scontrino fiscale, come da procedura vigente in Autogrill, come ogni altro prodotto da banco. Nel caso di vincita il cliente può decidere di riscuotere la vincita o presso lo stesso punto vendita o in altro abilitato. Per poter ottenere il denaro vinto, l'esercente inserisce sull'apparecchio convalidante concesso da Lottomatica, il codice a barre del biglietto vincente, e l'apparecchio rilascia uno scontrino con l'indicazione dell'importo della vincita") e che "era noto a tutti gli store manager di tutti i punti vendita che i gratta e vinci dovessero essere conservati per tre mesi decorrenti dalla loro riscossione in caso di vincita. Si tratta di un uso e di una indicazione sia di Autogrill che di Lottomatica"; la teste Pucino ha riferito "che l'apparecchio di convalida del punto vendita di cui mi chiede esisteva e funzionava perché io mi sono occupata della documentazione per spostare fisicamente questo apparecchio da un precedente punto vendita (Pinetina) a quello di Fiano Romano. Mi sono occupata dei documenti per far sì che lo stesso funzionasse presso il punto vendita di Fiano Romano. Prima e dopo l'apertura di questo punto vendita mi ci sono recata, constatando personalmente che l'apparecchio funzionasse, non so essere precisa sulla data ma era poso dopo la data di apertura", di essersi personalmente "trovata alcune volte a stare in cassa presso il punto vendita di Pinetina per cui sapevo come andavano venduti i gratta a vinci e come andavano convalidate le vincite", che "la regola della conservazione dei gratta e vinci vincenti non è una regola aziendale è una regola indicata da Lottomatica. Il ricorrente ne era a conoscenza e tanto posso dire in quanto quando lavoravamo insieme presso il punto vendita di Pientina i gratta e vinci vincenti venivano conservati per tre mesi e distrutti dopo quattro, e comunque inserivamo la data di distruzione sulla scatola ove riponevamo i gratta e vinci vincenti conservati in una cassaforte. Posso dire che il Cr. ha comunicato a noi responsabili l'esistenza di questa regola, non mi ricordo se con e mail ma nel mio caso posso dire che più di una volta me lo ha comunicato al telefono, per il ricorrente non so dire"; la teste An.Ci.Fl., dopo aver ricordato con qualche esitazione "che all'inizio potevamo vendere i gratta e vinci ma facevamo presente ai clienti che in caso di vincita i gratta e vinci di vincita si dovevano riscuotere altrove", ha aggiunto "che di questo se ne occupava il ricorrente e non so quale fosse il motivo per cui non potesse avvenire questa riscossione. Ricordo che il direttore si raccomandava con noi dipendenti di stare attenti ai gratta e vinci che andavano contati ad ogni inizio e fine turno e che questa impossibilità della riscossione sia durata per meno di un mese", ma ha ugualmente confermato la procedura descritta al punto 14 della memoria di costituzione e di sapere che "i gratta e vinci vincenti dovessero essere conservati, non se però per quanto tempo, posso solo dire che io li mettevo nel cassetto dell'ufficio che mi era stato indicato dal direttore. Io stessa se ero di turno compilavo una distinta che conteneva l'incasso del mio turno più i gratta e vinci vincenti". Né può pervenirsi a diverse conclusioni avendo riguardo a quanto dichiarato dalla teste Bi., secondo la quale vi sarebbe stato un periodo di circa 15 giorni in cui l'apparecchio per la convalida dei gratta e vinci vincenti non sarebbe stato "attivo" ("ero presente il 1.12.2021 press il punto vendita di Fiano Romano in quanto vi lavoravo come addetta alla cucina, ciò dal 1.12.2021 al 31.20.2022. Circa l'apparecchio di cui mi chiede posso confermare che c 'era e tanto posso dire in quanto lo usavamo. Specifico che è capitato anche a me di stare in cassa e di usarlo. All'inizio quando abbiamo aperto ma per un periodo che direi possa essere stato intorno ai 15 giorni ricordo che il pos di cui mi chiede non era attivo, non ricordo se per problemi di linea o cosa, ma non funzionava. Che io mi ricordi quindi la convalidazione dei gratta e vinci non era possibile, potevamo vendere i gratta e vinci"), sia perché la teste ha aggiunto che in caso di vincita "dovevamo dire ai clienti che se avessero voluto riscuotere la vincita noi non avremmo potuto convalidare il gratta e vinci per cui la riscossione sarebbe dovuta avvenire per forza presso altro punto vendita", sia perché l'eventuale malfunzionamento dell'apparecchio in questione per un periodo non superiore a due settimane dall'apertura del punto vendita non avrebbe comunque potuto giustificare né la mancata tenuta della corretta contabilità dei gratta e vinci (e in particolare di quelli vincenti che sarebbero stati riscossi presso altri punti vendita), né un ammanco così consistente, né tantomeno le condotte del ricorrente consistite nella convalida di gratta e vinci in assenza di acquisto da parte della clientela e nella omessa conservazione dei gratta e vinci vincenti (la teste avendo comunque riferito "posso dire che in un altro punto vendita i gratta e vinci vincenti fossero messi da parte mentre dopo l'apertura del punto vendita di Fiano Romano non sono stati più messi da parte. Non so perché pensavo fosse cambiata la procedura"). In tale contesto istruttorio, pertanto, è evidente che gli ammanchi relativi ai gratta e vinci vincenti (determinando, evidentemente, un esborso di denaro e non un incasso per il punto vendita) fossero ricollegabili direttamente alla cattiva tenuta della contabilità degli stessi da parte del direttore del punto vendita, il quale, oltre ad essere stato personalmente visto convalidare gratta e vinci in assenza di clientela, aveva disatteso le direttive sulla conservazione e sul riepilogo degli esborsi relativi ai gratta e vinci risultati vincenti (ciò smentendo l'ulteriore difesa del ricorrente secondo cui mancasse "un regolamento aziendale dal quale possa evincersi un obbligo del ricorrente di conservazione dei biglietti "gratta e vinci" una volta che gli stessi erano stati correttamente validati e registrati"). Del resto, anche a voler ammettere che, come dedotto in ricorso, il corrispettivo dei biglietti "gratta e vinci" sarebbe stato "spesso incassato dall'operatore di turno ma il biglietto non veniva convalidato" e che il ricorrente si sarebbe dovuto occupare di "equilibrare" la giacenza di cassa con l'effettivo numero venduti, oppure che "i biglietti "gratta e vinci", soprattutto quelli di taglio piccolo da "3 euro" ...venivano dal personale "battuti a mano" con la conseguenza che il biglietto veniva, sì, incassato ma registrato ed associato ad un diverso codice merceologico appartenente a prodotti da banco e questo determinava un ovvio "disallineamento" tra gli incassi rispetto alle effettive giacenze dei biglietti "gratta e vinci", si tratta di circostanze non solo non emerse dall'istruttoria, ma che, in ogni caso, avrebbero dovuto giustificare una opportuna segnalazione al legale rappresentante della resistente e una particolare attenzione e diligenza nella tenuta e nella ricostruzione della contabilità aziendale piuttosto che l'avallo di una prassi dei dipendenti non consona a quella aziendale o l'abitudine di "cestinare" i biglietti vincenti e determinanti un esborso di denaro da parte della società. Quanto alla mancanza delle "chiusure contabili dal 1 febbraio al 20 aprile' il ricorrente ha laconicamente dedotto che "le chiusure di giornata vengono inviate ogni giorno tramite la piattaforma Sharepoint", senza, tuttavia, contestare che, a differenza delle chiusure giornaliere "gestite dalla società entro massimo tre giorni lavorativi' le chiusure contabili mancanti si riferissero esclusivamente ai "gratta e vinci", così come ammesso dallo stesso ricorrente ed emerso nel corso del giudizio. Da quanto emerso, possono ritenersi provate tutte le contestazioni disciplinari poste a fondamento del licenziamento impugnato. -5- Quanto, infine, alla doglianza secondo cui "... le mancanza rientravano, in ipotesi, in una condotta semmai punibile con una mera sanzione conservativa sia perché del tutto sproporzionato in relazione agli addebiti contestati e, comunque, privo della giusta causa, anche in relazione all'assenza assoluta di precedenti disciplinari", basti osservare come in base all' art. 278 del CCNL del settore Turismo Agenzia di Viaggi e Pubblici Esercizi pacificamente applicato dalla resistente dal 01/04/2022 il "Recesso per "giusta causa " (senza preavviso) Si applica nei confronti del Lavoratore che commetta infrazioni che siano talmente gravi da rendere impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro, per avvenuta grave e irreversibile lesione del rapporto fiduciario. A titolo esemplificativo, quando il Lavoratore', tra le altre ipotesi, "f) commetta nei confronti dell'Azienda furto, frode, danneggiamento volontario o altri simili reati, ed anche se ciò avvenga per colpa grave", "g) falsifichi le scritture contabili aziendali, traendone personale beneficio o determinando, comunque, danno rilevante all'azienda", "l) commetta, colposamente, qualsiasi atto che possa compromettere la sicurezza o l'incolumità del personale o del pubblico e/o arrecare grave danneggiamento alle banche dati, attrezzature, impianti o materiali aziendali". Venendo, adesso, alla valutazione della idoneità dei comportamenti risultati provati ad integrare una giusta causa - valutazione che, pure a seguito delle riforme sulle tutela da apprestare in relazione alle varie ipotesi di illegittimità di licenziamento, va fatta alla stregua dei principi, rimasti immodificati nel tempo ed enucleati al riguardo da una giurisprudenza ormai consolidata (Cass. Sez. L, Sentenza n. 8254 del 29/04/2004, Cass., Sez. L, Sentenza n. 14586 del 22/06/2009, e, più di recente, sotto il vigore della l. 92/2012, Cass. Sez. L -, Sentenza n. 14505 del 28/05/2019 e Cass. Sez. L -, Sentenza n. 12789 del 21/04/2022) e nell'ambito della quale assume ruolo centrale la configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, sia pure escludendosi una efficacia vincolante delle tipizzazioni in essa contenute (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 33811 del 12/11/2021) - occorre osservare come la società resistente sia pervenuta alla decisione di recedere dal rapporto di lavoro con il ricorrente in quanto il ricorrente con le proprie giustificazioni avrebbe in parte confermato i fatti contestati e in parte reso argomentazioni inidonee a giustificarli. Nel caso di specie possono ritenersi integrate condotte riconducibili quantomeno alla frode o al reato di appropriazione indebita (quanto alle condotte relative alla convalida di gratta e vinci in assenza di clientela e alla mancata contabilizzazione dei biglietti gratta e vinci vincenti) e alla non corretta tenuta delle scritture contabili aziendali determinante comunque un danno rilevante all'azienda, condotte costituenti senz'altro gravi infrazioni tali da rendere impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro, per avvenuta grave e irreversibile lesione del rapporto fiduciario. Il rilevante periodo di tempo durante il quale le menzionate condotte si sono verificate (quantomeno dal 28 gennaio al 21 aprile 2022), la pluralità degli aspetti del rapporto che sono risultati violati (e, cioè, l'aspetto economico, l'aspetto relazionale, l'aspetto organizzativo, questi ultimi rivelanti l'inidoneità del direttore del punto vendita ad organizzare efficacemente le risorse umane e materiali poste a disposizione dall'azienda e l'assenza di collaborazione attraverso la segnalazione delle disfunzioni lamentate solo in ricorso), la reiterazione delle condotte, consentono di considerare condivisibile la valutazione di gravità degli inadempimenti fatta dalla datrice di lavoro, tanto più in considerazione del sicuro rilievo della posizione del ricorrente, dal quale, proprio in considerazione del ruolo di impiegato di primo livello con qualifica di "Restaurant Manager" svolgente mansioni di direzione dell'area di servizio/punto vendita assegnato, sarebbero stati esigibili comportamenti alternativi e idonei a radicare la fiducia della datrice di lavoro in ordine al futuro corretto adempimento del rapporto. Per tutte le considerazioni che precedono appaiono irrilevanti le doglianze attinenti alla mancata affissione del codice disciplinare e alla mancata previsione di una norma "secondaria" che sanzionasse il comportamento contestato. -6- A diversa conclusione può pervenirsi solo con riferimento alla domanda avente ad oggetto la condanna della società resistente al pagamento degli emolumenti di fine rapporto. Sul punto parte resistente si è limitata a dedurre di essere rimasta debitrice della minor somma di ad Euro 7.758,21 lordi per TFR risultante dalla busta paga di giugno 2022, non contestando il mancato versamento di tale posta patrimoniale, né tantomeno di non aver provveduto al pagamento dei ROL residui, che, effettivamente, come si apprende sulle attestazioni presenti sulle buste paga, ammontavano a 135, 36 ore alla data di cessazione del rapporto. Di conseguenza, in recepimento del conteggio operato da parte ricorrente (ore residue 135,36x15.48), può concludersi che l'importo dovuto a tale titolo sia pari ad euro 2.095,37. Vanno analogamente accolte le richieste riferite ai ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, correttamente utilizzando quale retribuzione di riferimento l'importo di euro 893,11 (ricavato dividendo la retribuzione globale di fatto 2679,33 per 12 e moltiplicandola per il numero 4 di mesi lavorati nel 2022, da gennaio ad aprile): nulla essendo stato riconosciuto a titolo di quattordicesima mensilità, ed essendo stato liquidato nella busta paga di maggio 2022 il minor importo di euro 218,60 a titolo di tredicesima mensilità, può affermarsi che parte ricorrente sia rimasta creditrice della somma di euro 893,11 per quattordicesima mensilità e della residua somma di 675,05 per tredicesima mensilità. Solo in occasione del deposito delle ultime note attraverso il cui scambio ha avuto luogo l'ultima udienza parte ricorrente ha allegato i conteggi posti a fondamento della domanda relativa ad una maggior somma a titolo di TFR. Poiché dal confronto tra le allegazioni di cui al ricorso e le risultanze della busta paga di magio 2022 richiamata a fondamento della propria richiesta può desumersi che la somma di euro 10.042,00 si riferisse, erroneamente, all'imponibile ai fini del calcolo dei contributi, mentre le allegazioni delle note difensive trovano riscontro nella retribuzione riconosciuta come risultante dai documenti nn. 3 e 5 allegati al ricorso (RAL di Euro 30.999, 92 per il periodo dal 21.9.2018 al 30.3.2022 e di Euro 34.831,26 sino all'11 maggio 2022), in recepimento del conteggio correttamente operato da ultimo dal ricorrente può concludersi che la somma di cui è rimasto creditore per TFR sia pari ad euro 8.252,01. Atteso, dunque, quanto dedotto e documentato con le note scritte da parte resistente circa il versamento della somma netta corrispondente a quella lorda di euro 7.758,21 per TFR, può, pertanto, concludersi che parte ricorrente sia rimasta creditrice della complessiva somma lorda di euro 4157,33 (pari alla somma della differenza per TFR lordo di euro 493,8, dell'indennità per ROL residui di euro 2.095,37, della quattordicesima pari ad euro 893,11 e del residuo dovuto per tredicesima pari ad euro 675,05), somma sulla quale andranno calcolati gli interessi e la rivalutazione monetaria come dovuti per legge. 7- In applicazione del principio stabilito dall'art. 92, secondo comma c.p.c., tenuto conto della soccombenza reciproca e dell'accoglimento della domanda relativa ai crediti di fine rapporto in misura inferiore al valore del petitum, le spese di lite possono essere compensate in ragione di metà; parte ricorrente va in questa sede condannata al pagamento del residuo, che, in applicazione del d.m. 55/2014, tenuto conto della natura, del valore della controversia (primo scaglione delle cause di valore indeterminabile) e dell'attività svolta nel giudizio (articolatasi in una prima udienza di trattazione e i n due udienze istruttoria), si liquidano in complessivi euro 4628,50 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15% IVA e CPA. P.Q.M. il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta le domande proposte ai punti a, b e c delle conclusioni del ricorso del 23.12.2022; condanna RE. SRL in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore di SE. GI. degli emolumenti di fine rapporto nei termini di cui alla motivazione; compensa le spese di lite in ragione di metà, ponendo a carico di parte ricorrente il residuo, liquidato in complessivi euro 4628,50 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15% IVA e CPA. Chieti lì 7 novembre 2023.

  • Repubblica Italiana In nome del popolo italiano Tribunale di Chieti Il G.U., dott. Alessandro Chiauzzi ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1477 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 25 gennaio 2023, con concessione del termine di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e dell'ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica, vertente tra (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), in virtù di delega allegata all'atto di citazione in opposizione, attrice opponente; e (...) S.p.A. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), in virtù di procura generale alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta, convenuta opposta; nonché (...) S.r.l. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, in qualità di mandataria della società (...) S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti (...), in virtù di procura generale alle liti allegata alla comparsa di intervento volontario, interventore volontario; Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo; contratti bancari. Conclusioni delle parti: come da verbale dell'udienza del 25 gennaio 2023. Motivi di fatto e di diritto della decisione L'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 344/21, emesso dal Tribunale di Chieti, con il quale le è stato ingiunto, unitamente a (...) e (...), in qualità di garanti della società (...) S.r.l., di pagare immediatamente, in favore dell'istituto di credito (...) S.p.A., la complessiva somma di Euro 234.782,33, oltre accessori e spese della procedura, è infondata e, conseguentemente, deve essere rigettata per le ragioni di seguito esposte. In primo luogo deve essere valutata l'eccezione di improcedibilità sollevata dalla parte opponente sul presupposto che la parte convenuta opposta non avrebbe adempiuto l'onere, su di essa gravante, di instaurare correttamente il contraddittorio nel procedimento di mediazione. In particolare, la parte opponente ha lamentato che la controparte non ha allegato la ricevuta di spedizione della convocazione né di consegna dell'atto di convocazione alla mediazione, con la conseguenza che la stessa non può considerarsi esperita. Tanto premesso in ordine al tenore dell'eccezione, va osservato che l'art. 8 D.Lgs. n. 28/10 stabilisce al comma 1 che: "All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell'organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari". Pertanto, in ordine alla modalità di instaurazione del contraddittorio, la norma appena riportata stabilisce che la comunicazione, tra le altre cose, della domanda di mediazione e della sede e dell'orario dell'incontro è effettuata dall'organismo con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Ora, nel verbale di mediazione dell'incontro del 25 marzo 2022 (si veda allegato n. 20 del fascicolo di parte convenuta opposta), al quale il procedimento di mediazione è stato rinviato proprio a causa del mancato perfezionamento della comunicazione, il mediatore ha dato della corretta ricezione, da parte della (...), della lettera raccomandata di convocazione, riportando letteralmente: "Convocazione parte a mezzo: o Poste Italiane N. Racc. 618597933926 del 31/01/2022 consegnata il 24/02/2022". Su tale dato la difesa della parte opponente non ha effettuato alcuna specifica contestazione, limitandosi a lamentare genericamente di non aver ricevuto alcuna comunicazione. In ogni caso va osservato che nel caso in esame si tratta di opposizione a decreto ingiuntivo, nell'ambito della quale la mediazione viene disposta quando ormai le parti sono costituite in giudizio mediante procuratori. Ebbene, nella procura rilasciata dall'opponente (...), quest'ultima ha eletto domicilio presso il proprio procuratore, con la conseguenza che la comunicazione effettuata al procuratore domiciliatario può ritenersi idonea a consentire alla parte personalmente di venire a conoscenza della procedura di mediazione e dei suoi dettagli. Sulla base di quanto osservato, l'eccezione di improcedibilità deve essere rigettata. Passando all'esame del merito, la parte opponente non ha mai disconosciuto il titolo della pretesa, ossia il contratto di mutuo stipulato dalla debitrice principale società (...) S.r.l. e la garanzia fideiussoria rilasciata in favore della debitrice, e ha fondato la propria opposizione su una serie di eccezioni in merito alla nullità di tali atti. In particolare, con il primo motivo di opposizione l'opponente (...) ha lamentato la nullità del contratto di mutuo e, per l'effetto, delle fideiussioni prestate in funzione del mutuo per assenza di causa. Più specificamente, ha rappresentato che il mutuo chirografario, concesso in favore della società (...) S.r.l., è stato erogato "a riscadenzatura debiti"; quindi la banca ha erogato il mutuo al solo fine di consentire la copertura di altro finanziamento, concesso precedentemente alla stessa società. Quindi l'opponente ha eccepito la nullità dell'intera operazione per difetto di causa in quanto, nel caso in esame, "con il mutuo del 28 ottobre 2011 si è creata una cd. "obbligazione virtuale" per ottenere delle garanzie" e "la Banca ha utilizzato il contratto di mutuo chirografo de quo non per concedere un finanziamento a favore della società (...) srl, ma per costituirsi delle nuove garanzie per un preesistente debito". Conseguentemente la predetta operazione non avrebbe comportato la disponibilità delle somme mutuate, essendo diretta al soddisfo di crediti verso la banca mutuante con la sostituzione di debito ed ampliamento delle garanzie. Sulla possibilità di stipulare un contratto di mutuo allo scopo di ripianare una precedente situazione debitoria, la giurisprudenza di legittimità, salvo isolate arresti, ha continuamente affermato tale possibilità e l'esistenza di una valida causa, stante l'effettiva erogazione della somma, erogata proprio allo scopo di ripianare debiti pregressi. In punto di diritto lo scrivente giudicante ritiene che per maggiore chiarezza espositiva è opportuno riportare di seguito la parte della motivazione in diritto di una delle più recenti pronunce in materia (Cass. sent. n. 23149/22): "Il mutuo stipulato per ripianare un debito pregresso del mutuatario verso il mutuante non è nullo. Esso infatti non è contrario né a norme di legge (vanamente se ne cercherebbero in tal senso, a meno di assai fantasiose interpretazioni), né all'ordine pubblico, posto che il pagare i propri debiti è - esso sì - principio di ordine pubblico. Non può escludersi in astratto che la concessione d'un mutuo c.d. "solutorio" possa nel singolo caso celare un atto in frode dei creditori o un mezzo anomalo di pagamento: ma in tali casi l'atto sarà nullo o revocabile per questa ragione, e non perché sia stato concesso allo scopo di saldare un debito pregresso. E nel presente giudizio gli opponenti non hanno mai fatto questione né di revocatoria, né di ammissione ad un passivo fallimentare. Del resto, che mutui e finanziamenti persino agevolati od erogati dallo Stato possano essere utilizzati per estinguere debiti pregressi, anche verso lo Stato stesso, è previsto in alcuni casi dalla legge (art. 2 l. 8.8.1977 n. 546; art. 43 d.l. 18.11.1966 n. 976 (convertito dalla l. 23.12.1966 n. 1142); art. 16 r.d.l. 15.4.1926 n. 765), sicché appare arduo predicare la nullità d'una operazione consentita dalla legge. 2.2. Questi princìpi sono pacifici e risalenti nella giurisprudenza di questa Corte. Pacifico è, in particolare, che: -) il mutuo solutorio non è nullo, perché "il ripianamento della passività costituisce in definitiva una possibile modalità di impiego dell'importo mutuato" (Sez. 3 -, Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 - 01); -) deve ritenersi "superato il precedente indirizzo" secondo cui il mutuo solutorio è un contratto simulato oppure illecito; "il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente, che a mezzo degli artt. 182-bis e 182-quater della legge fall." (Sez. 1 -, Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell'inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/10/2010, n. 20576); -) la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto (Sez. 1 - , Ordinanza n. 4694 del 22/02/2021, Rv. 660570 - 01); -) il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che il contratto abbia le caratteristiche del mutuo cd. di scopo, nel quale sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. (Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924 - 01). 2.3. Negli ultimi anni, in verità, è affiorata nella giurisprudenza di questa Corte l'isolata opinione secondo cui, quando l'intero mutuo sia destinato a ripianare un debito pregresso, tale operazione andrebbe qualificata non come un contratto autonomo, ma come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente, o pactum de non petendo che dir si voglia (così Sez. 1 -, Ordinanza n. 20896 del 05/08/2019, Rv. 655022 - 01 e Sez. 1 -, Sentenza n. 1517 del 25/01/2021, Rv. 660370 - 01, ambedue dovute al medesimo estensore): con la conseguenza - comunque non invocata dai ricorrenti nel presente giudizio - che il titolo esecutivo rappresentato dal mutuo solutorio in realtà non sarebbe tale, poiché il credito scaturirebbe dal contratto pregresso, non dal mutuo stipulato per estinguerlo (che, come detto, costituirebbe una pura dilazione di pagamento. 2.4. Per quanto la suddetta questione non venga strettamente in rilievo nel presente giudizio, reputa doveroso il Collegio prendere le distanze da tale orientamento. Esso infatti si fonda su un (unico) assunto così riassumibile: il mutuo solutorio costituisce un pactum de non petendo perché in esso "non vi è spostamento di denaro" dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario. Affermazione, questa, non sostenibile per molte ragioni, tanto evidenti quanto inoppugnabili. 2.5. In primo luogo, è principio ricevuto nella giurisprudenza di questa Corte che nel contratto di mutuo la datio rei deve essere giuridica e non fisica, con la conseguenza che anche l'accredito in conto corrente basta a tal fine (ex permultis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 1945 del 08/03/1999, Rv. 523924 - 01). 2.6. In secondo luogo, il "patrimonio" di ogni persona si compone di beni materiali, beni immateriali e crediti. E chi usa il denaro ricevuto a mutuo per estinguere un debito verso il mutuante purga il proprio patrimonio d'una posta negativa: dunque la consistenza del patrimonio del mutuatario cambia, e se cambia è arduo sostenere che non vi è stato "spostamento di denaro". 2.7. In terzo luogo, il pagamento di una somma di euro 285.000 euro (tale era l'importo del mutuo erogato a (...)) non può oggi, e non poteva all'epoca in cui venne erogato (31.1.2008), avvenire in contanti, ma solo per accredito in conto corrente (art. 49, comma primo, D.Lgs. 21.11.2007 n. 231, che all'epoca fissava in euro 5.000 il tetto dei pagamenti consentiti in contante). Negare, quindi, che si sia al cospetto d'un mutuo quando l'accredito al mutuante avvenga in via contabile significa sostenere un'interpretazione contrastante con le norme sull'uso del contante. 2.8. In quarto luogo, sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla "natura tipologica" del contratto di mutuo perché si ridurrebbe ad una "partita contabile" è affermazione che prova troppo: in epoca di moneta elettronica, infatti, qualsiasi solutio si riduce ad una "partita contabile". Anche il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal, a ben riflettere, altro non è che una "annotazione" contabile o una delegatio solvendi, "attesa la progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e la loro sostituzione con annotazioni contabili e tenuto altresì conto che sia la normativa antiriciclaggio che le misure normative tese a limitare l'uso di contante nelle transazioni commerciali hanno accentuato l'utilizzo di strumenti alternativi al trasferimento di danaro" (sono parole di Sez. 1, Sentenza n. 38331 del 3.12.2021). 2.9. In quinto luogo, la tesi del pactum de non petendo svela la sua fragilità quando il credito estinto e il mutuo concesso per estinguerlo fossero soggetti a regole diverse quanto a interessi, accessori e garanzie (anche personali). 2.10. Da ultimo, ma è quel che più rileva, la tesi del pactum non petendo mortifica la libertà negoziale delle parti, negando loro la facoltà di stipulare accordi di ristrutturazione atipici. La novazione oggettiva o la dilazione del pagamento, infatti, sono istituti previsti dall'ordinamento cui le parti potrebbero tranquillamente ricorrere. Se non lo fanno, e preferiscono ricorrere ad un mutuo solutorio, tale scelta costituisce un esercizio di libertà negoziale da tutelare, non un atto da sopprimere sol perché non gradito alle personali convinzioni giuridiche o, peggio, sociologiche o addirittura politiche dell'interprete. Dinanzi ad un mutuo solutorio, in conclusione, il mutuatario resta libero di invocare un vizio del consenso, un approfittamento dello stato di bisogno o un accordo simulatorio: ma se non vi riesce, ebbene ch'egli si rassegni al principio pacta sunt servanda". (cfr Cass. sent. n. 23149/22). Questo giudice, condividendo pienamente le ragioni di diritto della giurisprudenza della Cassazione e facendole proprie, ritiene pertanto che il mutuo in esame sia pienamente valido, con conseguente infondatezza del motivo di opposizione. Con il secondo motivo di opposizione, la (...) ha eccepito la nullità della fideiussione rilasciata in data 28 ottobre 2011 per violazione degli obblighi di buona fede e correttezza da parte dell'istituto di credito, in quanto la (...) S.p.A. avrebbe erogato un nuovo mutuo ed avrebbe richiesto il rilascio delle fideiussioni nell'evidente convinzione dell'ormai acquisita insolvenza della debitrice principale società (...) S.r.l., in una situazione che non lasciava supporre alcuna possibilità di rientro da parte di quest'ultima. In particolare, la contrarietà alle regole di correttezza e buona fede contrattuale, nel caso in esame, emergerebbe dall'analisi della condotta della banca finalizzata ad ottenere, all'atto della sottoscrizione del contratto, il rilascio di garanzie ultronee e non necessarie. Da tali osservazioni deriverebbe la nullità dell'intera operazione (mutuo e garanzie). In buona sostanza l'opponente ha lamentato che l'istituto di credito avrebbe concesso un finanziamento e avrebbe contestualmente richiesto l'emissione di garanzie fideiussorie nella chiara consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza della debitrice principale. Il motivo di opposizione si rivela infondato. Infatti la difesa dell'opponente svolge ampie argomentazioni allo scopo di dimostrare la sussistenza di una consistente situazione debitoria della debitrice principale al momento della stipula del contratto di mutuo, con le relative garanzie fideiussorie. Tuttavia l'elemento rilevante, ai fini della valutazione della violazione della buona fede da parte dell'istituto di credito finanziatore, non è tanto la consapevolezza della situazione debitoria pregressa quanto la consapevolezza della incapacità della debitrice principale di far fronte ai debiti; su tale questione la parte opponente, sulla quale incombeva il relativo onere della prova, non solo non ha dimostrato alcunché, ma, soprattutto, non ha formulato alcuna istanza di prova. Deriva da quanto sopra che il motivo di opposizione va rigettato. Con il terzo motivo di opposizione, la (...) ha eccepito la nullità dell'art. 6 della garanzia fideiussoria, nel quale è prevista una deroga al termine dell'art. 1957 c.c., che viene pattiziamente elevato da sei a trentasei mesi, sul presupposto della sua qualità di consumatore. In particolare, ha rappresentato di essere una donna che ha rilasciato garanzia in favore della società del padre, per cui è di tutta evidenza che si è in presenza di consumatore, secondo la definizione di cui all'art. 3 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 206/05, con la conseguenza che l'istituto di credito avrebbe dovuto svolgere una "specifica trattativa" su questa pattuizione, come sancito dal comma 5 dell'art. 34 D.Lgs. n. 206/05. Ne conseguirebbe la nullità della clausola contenuta nell'art. 6, con conseguente non applicabilità del termine di trentasei mesi e operatività della disciplina generale prevista dall'art. 1957 c.c., da cui deriverebbe la decadenza della banca dalla possibilità di agire nei confronti dei fideiussori, avendo agito nei confronti del debitore principale oltre il termine semestrale di decadenza. Anche questo motivo di opposizione è infondato. Infatti la doglianza dell'opponente si basa esclusivamente sul fatto che ella avrebbe prestato la garanzia fideiussoria con la qualifica di consumatore, quando invece dalla visura della società debitrice principale (si veda allegato n. 3 del fascicolo di parte convenuta) emerge la (...) all'epoca rivestiva diversi ruoli societari nella società (...) S.r.l.. Ne consegue che sicuramente la (...), alla stipula del contratto e al momento del rilascio della garanzia, non poteva essere considerata alla stregua di consumatore. Con il quarto motivo di opposizione la (...) ha eccepito la decadenza dell'istituto bancario, in forza dell'art. 1957 c.c.. In particolare ha eccepito l'intervenuta decadenza della (...) S.p.A. e la conseguente liberazione dei fideiussori, in quanto alla data del 7 marzo 2014 erano scadute n. 4 rate in relazione al finanziamento n. 30497/7928457. Ora considerato che, in base al piano di ammortamento allegato al contratto di mutuo chirografo, la prima delle 4 rate aveva termine di scadenza al 30 aprile 2013, la banca, al fine di non incorrere nelle decadenze previste dall'art. 1957 c.c., avrebbe dovuto agire nei confronti del debitore principale entro trentasei mesi (che andavano a scadere il 30 aprile 2016), mentre la (...) S.p.A. ha avanzato domanda di insinuazione nel fallimento della società (...) S.r.l. soltanto l'11 gennaio 2017, senza mai esperire, prima di tale momento, alcuna azione né nei confronti della debitrice principale né nei confronti dei fideiussori. Anche tale motivo di opposizione è infondato. Il senso della norma contenuta nell'art. 1957 c.c. è quello di non tenere il fideiussore legato alla sua garanzia, qualora il creditore non abbia manifestato la volontà di pretendere il credito dal debitore principale (l'utilizzo, da parte della norma, dell'espressione "proporre le sue istanze" fa riferimento ad una manifestazione della volontà, comunque estrinsecata, di escutere il credito). Nel caso in esame è documentato che, nell'ambito del giudizio instaurato nell'anno 2015 dinanzi al Tribunale di Chieti e successivamente riassunto dinanzi al Tribunale di Roma per ragioni di competenza, l'istituto di credito ha manifestato chiaramente la volontà di voler far valere il proprio credito (il quel giudizio vi erano, tra l'altro, anche i garanti). Ne consegue che il creditore istituto di credito ha avanzato le proprie istanze entro il termine di trentasei mesi, come prolungato nella garanzia. Con l'ultimo motivo di opposizione la (...), nel merito del rapporto di credito, ha lamentato la carenza di prova sulla sussistenza del credito e sul suo esatto ammontare. In particolare ha eccepito l'insufficienza, ai fini della prova del credito, dell'estratto conto ex art. 50 D.Lgs. n. 385/93, allegato al ricorso monitorio, documento che ha disconosciuto, in quanto mai conosciuto e contenente informazioni non rappresentanti la realtà e, comunque, né specifiche né chiare. Ha lamentato, in particolare, che tale documento non contiene "un completo, dettagliato ed analitico resoconto delle partite di dare e avere tale da palesare la sussistenza del credito azionato in monitorio" impedendole, così, di effettuare un controllo in ordine alle poste considerate e ai conteggi compiuti e di esercitare in pieno il proprio diritto di difesa. Tale ultimo motivo di opposizione (avente ad oggetto questioni differenti da quelle coperte dal giudicato della sentenza emessa dal Tribunale di Roma e prodotta dalla parte convenuta) è privo di fondamento, in quanto nella fase di opposizione la convenuta opposta ha prodotto copia del contratto di mutuo (si veda documento all'allegato n. 6 del fascicolo di parte convenuta), dal quale emerge chiaramente la prova del titolo della pretesa creditoria, dell'entità del finanziamento e della modalità di rientro. Conseguentemente deve ritenersi pienamente dimostrata la sussistenza del titolo per cui la parte convenuta opposta ha avanzato la sua pretesa creditoria. Da ultimo deve essere disattesa ogni doglianza svolta soltanto nella comparsa conclusionale in merito alla efficacia della cessione del credito, intervenuta nel corso di causa tra la convenuta opposta e la terza intervenuta, ed alla titolarità di quest'ultima ad intervenire in questo giudizio. Infatti a seguito dell'intervento della terza cessionaria in giudizio con memoria depositata in data 6 dicembre 2022, alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni la difesa dell'attrice opponente nulla ha contestato in merito e, per la prima volta, ha sollevato la questione soltanto nella comparsa conclusionale. Il rilievo è con tutta evidenza tardivo, oltre che formulato in un momento processuale riservato ormai non più al rilievo di nuove questioni ma semplicemente al riepilogo delle argomentazioni poste alla base delle proprie domande. Segue dalle osservazioni svolte sopra che l'opposizione proposta da (...) deve essere rigettata. Le spese della presente procedura seguono la soccombenza dell'opponente e si liquidano in dispositivo ai valori medi (tenendo in considerazione l'effettiva attività giudiziaria svolta dal procuratore della banca convenuta - fase di studio e fase introduttiva, in assenza di fase istruttoria - e dell'effettiva attività giudiziaria svolta dal procuratore della società intervenuta - fase decisoria). p.q.m. Il Tribunale di Chieti, definitivamente pronunciando in persona del dott. Alessandro Chiauzzi, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: I) rigetta l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 344/21 emesso dal Tribunale di Chieti; II) condanna parte attrice opponente alla refusione, in favore di parte convenuta opposta, delle spese della presente procedura, che liquida in complessivi Euro 4.180,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, iva e cap, come per legge; III) condanna parte attrice opponente alla refusione, in favore della società intervenuta, delle spese della presente procedura, che liquida in complessivi Euro 4.253,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, iva e cap, come per legge. Chieti, 16 maggio 2023. Depositata in Cancelleri il 17 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il G.U., dott. Alessandro Chiauzzi ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1277 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 25 gennaio 2023, con concessione del termine di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e dell'ulteriore termine di 20 giorni per il deposito di memorie di replica, vertente tra CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), sito in Chieti (CH), alla via (...), 15 e 17, in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Da.Ga. e Mo.Sc., in virtù di delega allegata all'atto di citazione in opposizione, attore opponente; e (...) S.r.l. (C.F. e P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Sa.Ta., in virtù di delega allegata al ricorso per ingiunzione di pagamento, convenuta opposta; Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni delle parti: come da "note di trattazione scritta" depositate in vista dell'udienza del 25 gennaio 2023, svolta mediante contraddittorio scritto o "cartolare", ai sensi dell'art. 221, comma quarto d.l. n. 34/2020, come prorogato. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto n. 350/2021 del 01.06.2021 questo Tribunale ha ingiunto al Condominio (...) il pagamento, in favore della (...) S.r.l., della somma di Euro 10.569,33, oltre interessi e spese della fase monitoria, per il mancato pagamento, da parte dell'ingiunto, del saldo della fattura n. 2551 del 16.03.2021, emessa dall'ingiungente a titolo di multa penitenziale a fronte del recesso anticipato del Condominio (...) dal contratto, dallo stesso sottoscritto in data 20.05.2013, avente ad oggetto la manutenzione dei propri ascensori. Avverso detto provvedimento il Condominio (...) ha proposto opposizione, lamentando che: il contratto di manutenzione, stipulato per la durata di 5 anni, conterrebbe delle clausole vessatorie, ai sensi dell'art. 33 del D.lgs. 206 del 2005, laddove prevede una multa penitenziale eccessivamente onerosa per il caso di recesso e un termine di disdetta eccessivamente lungo per evitare il rinnovo tacito del contratto; l'amministratore non aveva il potere di concludere detto contratto senza la preventiva autorizzazione dell'Assemblea Condominiale, o la successiva rettifica dello stesso ad opera della medesima, in quanto, contenendo il contratto clausole particolarmente onerose per il Condominio, la sua stipula è da considerarsi quale atto di straordinaria amministrazione che, in quanto tale, necessita dell'approvazione dell'Assemblea Condominiale; la disdetta del contratto operata dal Condominio sarebbe oltremodo legittima in quanto trova fondamento anche nella condotta contrattuale della (...) S.r.l., che non ha diligentemente adempiuto agli obblighi cui la stessa era tenuta in virtù del contratto. Quindi ha chiesto, in via principale, la revoca del decreto opposto e, in via subordinata, volersi accertare la durata annuale del contratto di manutenzione, con conseguente rimodulazione della multa penitenziale, in ogni caso con vittoria delle spese di lite. Si è costituita la (...) S.r.l. ed ha dedotto che: la clausola contrattuale regolante il rinnovo tacito dello stesso e il termine per l'esercizio del diritto di disdetta non è vessatoria ai sensi dell'art. 33 del D.Lgs. 206 del 2005, in quanto non rientra in nessuna delle ipotesi contemplate dalla norma e che, inoltre, il Condominio ha approvato specificamente per iscritto detta clausola; la multa penitenziale di cui all'art. 9 del contratto non viola l'art. 33 del D.Lgs. 206 del 2005, in quanto è pienamente legittima in virtù del disposto di cui all'art. 1373 c.c., il quale consente alle parti la possibilità di prevedere nel contratto la prestazione di un corrispettivo per l'esercizio del diritto di recesso; l'Assemblea Condominiale, approvando i bilanci preventivi e consuntivi contemplanti, fra le spese, anche quelle relative alla manutenzione degli ascensori, ha di fatto ratificato l'operato dell'amministratore; in costanza di contratto il Condominio non ha mai sollevato contestazioni riguardo a presunti inadempimenti della (...) S.r.l.. Ha concluso chiedendo, in via principale, il rigetto dell'opposizione con conferma del decreto opposto e, in via subordinata, la condanna del Condominio al pagamento delle diverse somme che dovessero risultare accertate come dovute nei confronti della (...) S.r.l., con vittoria delle spese di giudizio o, quantomeno, compensazione gradata delle stesse. La causa è stata istruita ammettendo la documentazione prodotta dalle parti; con l'interpello del sig. Ge.As., rappresentate legale della società opposta; con le prove testimoniali, consistite nell'escussione del sig. Nu.Gr., condomino e precedente amministratore del Condominio, e del sig. (...), tecnico ascensorista in servizio presso la (...) S.r.l.. Nel merito, questo Tribunale osserva quanto segue. Analizzando preliminarmente le eccezioni di procedibilità sollevate dall'opponente e dall'opposta, entrambe non meritano accoglimento. Quanto al tentativo obbligatorio di mediazione, la presente controversia non rientra fra quelle per cui detto tentativo è obbligatorio. Riguardo all'asserita nullità dell'atto di citazione per omessa menzione della decadenza di cui all'art. 38 c.p.c., ogni eventuale irregolarità della vocatio in ius è stata sanata con la costituzione dell'opposta, la quale, costituendosi, non ha eccepito l'incompetenza del Tribunale adito. È pacifico, anche tra le parti in causa, che nel contratto in esame mentre la (...) S.r.l. riveste la qualifica di professionista ai sensi del D.Lgs. 206 del 2005, il Condominio (...) è senz'altro da considerarsi consumatore ai sensi del medesimo decreto. Con riguardo alle clausole del contratto di manutenzione regolanti il termine per l'esercizio del diritto di disdetta / recesso e la multa penitenziale, l'asserita vessatorietà delle stesse va valutata alla luce dei diversi Provvedimenti adottati nel corso del 2013 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (nell'esercizio dei poteri alla stessa riconosciuti dall'art. 37-bis del D.Lgs. 206 del 2005 nell'ambito della c.d. "Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie") con riguardo a clausole contrattuali del tutto analoghe a quelle oggetto della presente controversia. Nei Provvedimenti nn. 24540 e 24541 del 09.10.2013, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto vessatorie, ai sensi dell'art. 33, commi 1 e 2, lett. f) del D.Lgs. 206 del 2005, clausole che impongono al consumatore, in caso di inadempimento, una penale di importo manifestamente eccessivo. Nei casi di specie, il tenore letterale delle clausole considerate vessatorie dall'Autorità Garante era il seguente: "9) Risoluzione Anticipata. In caso di risoluzione anticipata su nostra richiesta (leggasi "richiesta del condominio/consumatore "n.d.r.) o per nostra colpa, il canone in vigore Vi sarà corrisposto per intero, a titolo di penale ed in unica e immediata soluzione, per tutta la residua validità dell'impegno" (vedasi il Punto II "LE CLAUSOLE OGGETTO DI VALUTAZIONE" del Provvedimento n. 24540) e "Art. 14 - Risoluzione anticipata: (...) "In caso di recesso anticipato del contratto per le seguenti motivazioni: per fatto e colpa del Committente; per decisione intempestiva del Committente; per l'affidamento a terzi di lavori o modifiche degli impianti; per il mancato riscontro alle segnalazioni della impresa manutentrice di eseguire lavori di adeguamento alle nuove normative, alle prescrizioni degli enti di controllo, o comunque lavori necessari per la sicurezza degli impianti. Il Committente è tenuto al pagamento del canone di manutenzione pattuito e all'osservanza di tutti i suoi obblighi fino al giorno di scadenza del contratto" (vedasi il Punto II "LE CLAUSOLE OGGETTO DI VALUTAZIONE" del Provvedimento n. 24541). L'art. 9 del contratto di cui alla presente controversia (documento allegato 2 del fascicolo di parte opponente), impone all'opponente il versamento di cinque annualità in caso di recesso anticipato del medesimo, senza peraltro considerare gli importi già versati dal Condominio per gli anni 2018 (anno del rinnovo tacito), 2019 e 2020. La clausola di detto articolo, laddove dispone che "... il recedente, al momento dell'esercizio del diritto di recesso, anche quando viene richiesta l'interruzione del servizio, dovrà pagare all'altra parte una somma pari al valore economico del presente contratto aggiornato al momento del recesso, a titolo cd. di multa penitenziale", è palesemente vessatoria e, pertanto, è nulla ex lege ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. 206 del 2005. Venendo alla questione afferente alla vessatorietà di una clausola che stabilisca un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta dello stesso, al fine di evitarne la tacita proroga o rinnovazione, nel provvedimento n. 24542 del 09.10.2013 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dopo aver premesso (punto 75 del Provvedimento) che ". un termine per la disdetta di sessanta giorni previsto per i contratti di durata pluriennale - diversamente dai contratti annuali - non risulta vessatorio ai sensi dell'articolo 33, comma 2, lettera i), del Codice del Consumo, in quanto non appare idoneo a determinare un sensibile squilibrio ai danni del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto", ha affermato che (punto 81 del Provvedimento) "un termine di disdetta di novanta giorni in relazione a contratti di durata pluriennale, integra una fattispecie di clausola vessatoria ai sensi dell'articolo 33, commi 1 e 2, lettera i), del Codice del Consumo in quanto idone(o) a determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto". Anche il termine di 90 giorni previsto dall'art. 1 del contratto di cui è causa è vessatorio e, pertanto, nullo ex lege ai sensi dell'art. 36 del D.Lgs. 206 del 2005. Tuttavia, ai fini della presente controversia, tale termine di disdetta non rileva in quanto, per la comunicazione del recesso anticipato in costanza di contratto, il sopracitato articolo 9 prevede il diverso termine di trenta giorni, che è da ritenersi congruo e non vessatorio. Le domande dell'opponente in merito alla rimodulazione annuale del contratto di manutenzione e al presunto inadempimento contrattuale della (...) S.r.l., avanzate dallo stesso con la sola finalità di giustificare la legittimità del proprio recesso, sono assorbite dalle conclusioni che precedono riguardo all'accertata nullità della multa penitenziale. In merito alle richieste dell'opposta, questo Tribunale osserva che a seguito del recesso esercitato dal Condominio nel dicembre 2020 (documento allegato 3 del fascicolo di parte opponente), la (...) S.r.l. aveva diritto a ricevere dall'opponente unicamente il pagamento dei canoni di novembre e dicembre 2020 (per i quali la (...) S.r.l. ha emesso la fattura n. 2250/21 dell'importo di Euro 399,33, documento allegato 7 al fascicolo di parte opponente) e del canone del mese di gennaio 2021 (per i trenta giorni del recesso), per un importo totale di circa Euro 600,00. Dai documenti prodotti emerge che, successivamente al recesso, il Condominio ha versato all'opposta la somma di Euro 1.080,00 (documento allegato 6 del fascicolo di parte opponente), per cui nulla è dovuto dal Condominio alla (...) S.r.l. Alla luce di quanto precede, il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e l'opposta va condannata a rifondere all'opponente le spese di lite, liquidate come in dispositivo P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa: - revoca il decreto ingiuntivo n. 350/2021 emesso dal Tribunale di Chieti; - condanna la società (...) S.r.l. al pagamento delle spese processuali sostenute dal Condominio (...), che vengono liquidate in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario delle spese generali al 15% c.p.a. ed I.V.A. come per legge. Così deciso in Chieti il 12 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 06/04/2023 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di deposito di note scritte, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., nella causa iscritta al n. 562/2022; TRA (...), rappresentato e difeso, come da procura in calce al ricorso, dall'avv. En.Ra.; RICORRENTE E (...) srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, come da procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall'avv. Em.Mi.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 23.06.2022 il ricorrente impugnava il licenziamento comunicato con lettera del 6.12.2021 formulando le seguenti conclusioni: "b) nel merito e in via principale: - dichiarare la nullità del licenziamento perché discriminatorio, per le ragioni illustrate in ricorso; - ordinare al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto; - condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, oltre alla misura non inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, con condanna, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali; c) nel merito e in via subordinata: - dichiarare l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa; - dichiarare l'insussistenza del fatto addebitato e, di conseguenza, annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, in misura non superiore, comunque, alle dodici mensilità; d) nel merito e in via ulteriormente subordinata: - dichiarare l'illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa; - dichiarare estinto il rapporto di lavoro e condannare il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per calcolo del trattamento di fine rapporto". A fondamento delle domande proposte il ricorrente deduceva l'insussistenza di fatti integranti una giusta causa di licenziamento ed il difetto di proporzionalità tra fatto contestato e sanzione applicata, evidenziando, in particolare, di essersi legittimamente rifiutato di effettuare le pulizie degli ambienti esterni in quanto attività non riconducibile al suo profilo di inquadramento e, come tale, non esigibile. Il ricorrente allegava, inoltre, di essere stato illegittimamente aggredito dal preposto aziendale dopo il rifiuto di eseguire l'ordine impartito e di avere comunque continuato a lavorare fino all'arrivo dell'ambulanza. La società resistente, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto. Disposta la sostituzione dell'udienza di discussione con il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigetto per le ragioni di seguito esposte. Il ricorrente è stato assunto a tempo determinato alle dipendenze della società resistente il 6.6.2016, con qualifica di operaio comune ed inquadramento nel livello 9 del CCNL Grafici-Confapi (doc. 2 ric.). Il contratto è tempo determinato è stato successivamente convertito in contratto a tempo indeterminato. Con lettera del 19/11/2021 la società resistente ha inviato al ricorrente una contestazione disciplinare del seguente tenore: "Con la presente, ai sensi dell'art. 7 della L. n. 300 del 1970, del CCNL Comunicazione - Grafici Confapi e del Codice Disciplinare adottato in azienda, Le contestiamo il comportamento da Lei tenuto in violazione delle regole disciplinari e degli obblighi lavorativi, di seguito specificato. Nel giorno 5 novembre 2021, alle ore 11.00 circa il Sig. (...) ha comunicato di effettuare la pulizia della vasca spoglio telai; a fronte di ciò, Lei si è alterato, non ha eseguito l'ordine ricevuto e si è lamentato sostenendo di non volere svolgere anche altre mansioni inerenti l'attività aziendale. Dinanzi a tale Suo comportamento, il Sig. (...) ha detto: "se stai male, vai a casa" e Lei, mostrandosi ancora più irritato da tale affermazione, ha scritto appunti sul calendario pubblico affisso in azienda. A quel punto, il Sig. (...) ha rimosso il suddetto foglio da Lei annotato e, dopo averlo gettato, si è chinato per raccoglierlo da terra; in quel mentre, Lei si è affiancato al sig. (...) e, cercando di recuperare per primo il foglietto, si è buttato a terra addossando la colpa della caduta al sig. (...). Subito dopo, Lei si è allontanato ed ha ripreso a lavorare. Tale comportamento, oltre ad essere totalmente irrispettoso dei vertici aziendali, configura grave violazione delle regole disciplinari e degli obblighi lavorativi. Pertanto, ai sensi di legge, La invitiamo a far pervenire giustificazioni relative al comportamento contestato e sopra specificato entro cinque giorni dal ricevimento della presente, riservandoci l'adozione delle opportune sanzioni disciplinari all'esito delle giustificazioni rese o in loro difetto" (doc. 4 ric.) Con lettera del 6.12.2021 la società resistente ha intimato il licenziamento per giusta causa (doc. 5 ric.). L'art. 2119 c.c. prevede che il contratto di lavoro a tempo indeterminato possa essere risolto unilateralmente e senza preavviso, qualora si verifichi una causa che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto. La giurisprudenza di legittimità ha ravvisato la giusta causa di licenziamento, tradizionalmente ricondotta alla tipologia della clausole generali, in tutti quei comportamenti che, valutati con riferimento agli aspetti concreti della vicenda sotto il profilo oggettivo e soggettivo (natura e qualità del singolo rapporto, grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, motivi, intensità del dolo e della colpa), si concretano in una negazione degli elementi del rapporto di lavoro di gravità tale da far venir meno la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel lavoratore (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav. sent. n. 3865/08; Cass. civ., sez. lavoro sent. n. 22798/12). Si è, in particolare, affermato che "in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore deve essere valutata nel suo contenuto obbiettivo, con specifico riferimento alla natura e alla qualità del rapporto, al particolare vincolo di fiducia che esso implica per la posizione rivestita nel suo ambito dal prestatore di lavoro, al grado di affidamento richiesto per le mansioni ricoperte, nonché nella sua portata soggettiva in relazione alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi che l'hanno determinato e alla intensità dell'elemento volitivo, che deve essere riferito anche all'ambito della relazione lavorativa e non solo ai profili meramente interiori" (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 8641 del 12/04/2010). Si è, inoltre, ritenuto che "in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza", precisandosi, altresì, che "spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed alla sua durata ed all'assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia" (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 14586 del 22/06/2009). Si è, inoltre, affermato che "l'onere della prova della giusta causa del licenziamento - che spetta al datore di lavoro, ai sensi dell'art. 5 della L. n. 604 del 1966 - deve riguardare la sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, con riferimento agli aspetti concreti di esso, afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nella organizzazione dell'impresa, nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità del fatto volitivo" (cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 9590/2001). Ciò premesso, deve rilevarsi come nel caso di specie la società resistente abbia dato piena prova dei fatti oggetto di contestazione disciplinare e dell'idoneità degli stessi ad integrare una giusta causa di licenziamento. Al ricorrente è stato in primo luogo contestato di essersi rifiutato di eseguire la prestazione lavorativa consistente nell'attività di pulizia della vasca spoglio telai. La circostanza è stata integralmente confermata dal testimone (...), il quale ha dichiarato: "... io ho chiesto al ricorrente di pulire una vasca di lavaggio che si trova nel reparto in cui lui lavorava e dove eravamo in quel momento; il ricorrente si è rifiutato di eseguire la disposizione che gli avevo dato". Il fatto contestato, peraltro, non è mai stato negato dal ricorrente, il quale ha dedotto la legittimità del rifiuto per essere tale attività estranea al suo profilo di inquadramento. L'assunto del ricorrente non può ritenersi fondato atteso che, secondo le declaratorie contrattuali, sono inquadrati nel livello 9 i lavoratori che "svolgono mansioni per le quali è richiesto un normale grado di qualificazione" e tra tali mansioni ben possono ricomprendersi anche quelle di pulizia. In ogni caso, deve rilevarsi che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "l'eventuale adibizione a mansioni non rispondenti alla qualifica rivestita può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 cod. civ., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 del cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte. Conseguentemente, costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 25313/2017; n. 12696/2012; n. 24118/2018). Parimenti provato deve ritenersi anche l'altro comportamento contestato al ricorrente, ossia l'aver falsamente incolpato il sig. (...) della sua caduta a terra. L'istruttoria svolta ha consentito di appurare che il ricorrente è scivolato ed è caduto nel tentativo di recuperare il foglio che il sig. (...) aveva strappato e buttato a terra. Tanto è stato riferito sia dal testimone (...) che dal testimone (...), le cui dichiarazioni devono ritenersi attendibili in quanto coerenti e lineari. Di nessuna rilevanza è il rinvio a giudizio del sig. (...), di cui ha dato atto il ricorrente con il documento allegato alle note difensive autorizzate, sia per l'autonomia tra giudizio civile e giudizio penale, sia perché il rinvio a giudizio non contiene alcun accertamento e alcuna affermazione di colpevolezza del (...). E' dunque escluso, stando alle risultanze istruttorie di questo giudizio, che sia stato il sig. (...) a spingere il ricorrente e a farlo cadere a terra. Anche tale falsa incolpazione deve ritenersi comportamento di particolare gravità, in quanto sintomatico di una mancanza di correttezza nei rapporti con i colleghi di lavoro. Ebbene, i comportamenti posti in essere dal ricorrente e pienamente provati nel presente giudizio (grave insubordinazione e falsa incolpazione di aggressione) sono di indubbia gravità, in quanto denotano una scarsa diligenza nell'esecuzione della prestazione lavorativa e nell'attuazione di direttive ed istruzioni aziendali ed un atteggiamento scorretto ed irrispettoso nei confronti di colleghi di lavoro. La gravità e l'idoneità degli episodi a ledere il vincolo fiduciario, deriva anche dalla irrogazione di precedenti sanzioni disciplinari per fatti analoghi a quelli posti a base del recesso (atteggiamenti irrispettosi nei confronti dei colleghi, introduzione di materiale di consumo in azienda senza autorizzazione, insubordinazione, omessa comunicazione di assenza dal lavoro-cfr. doc. 7-10 ric.). Il fatto che tali precedenti disciplinari non siano stati richiamati nella contestazione disciplinare, non impedisce di tenerne conto ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, "il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello statuto lavoratori preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 1145/2011; n. 14453/2017; n. 8803/2020). In definitiva, i fatti posti a base del recesso, valutati unitamente a quelli che hanno portato all'applicazione di sanzioni disciplinari conservative, integrano la giusta causa di licenziamento in quanto espressione di comportamenti scorretti e poco inclini al rispetto delle direttive e delle esigenze aziendali. Il licenziamento è, dunque, senza dubbio legittimo, con conseguente rigetto di tutte le domande proposte in ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo secondo le previsioni del D.M. n. 55 del 2014 (cause di lavoro-scaglione da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00 in considerazione del valore indeterminabile della causa-riduzione del 50% per ciascuna fase). P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso in favore della parte resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 4.628,50, per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, iva e cpa come per legge. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 6 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO "Trattazione scritta" disposta per l'udienza del 21.03.2023 Sentenza con motivazione contestuale Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 65/2022 R.G.A.C. promossa da (...), D.L., (...), (...), (...), (...) e (...) (Avv. Avv.ti Ma.Sa. e Ol.Gi.) contro MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE MIUR- oggi MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO (Avvocatura Distrettuale dello Stato), avente ad oggetto: impugnativa del provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in attuazione al D.L. n. 172 del 2021, osserva quanto segue: FATTO E DIRITTO - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 29.01.2022, le ricorrenti in epigrafe indicate, premesso di essere insegnanti presso Istituti scolastici pubblici aventi tutti sede nella Provincia di Chieti, lamentavano che i dirigenti scolastici di ciascuna delle scuole presso le quali essi prestano servizio avevano comunicato loro un provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, avente efficacia di 6 mesi, dichiarandoli assenti ingiustificati, in attuazione al D.L. n. 172 del 2021. Agivano in questa sede chiedendo "2. In via principale di merito Previo accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato di sospensione per la mancata esecuzione dell'obbligo di tentare il ricollocamento dei ricorrenti, prima di procedere con la loro sospensione, revocarsi il medesimo, ordinando la reintegrazione in servizio dei ricorrenti, eventualmente anche in diverse mansioni idonee a evitare il contagio da SARS-Cov-2 e la corresponsione a loro favore di tutti gli stipendi dovuti alla parte ricorrente dalla sospensione dal lavoro, comprensivi degli oneri previdenziali e di ogni accessorio dovuto. 3. In via principale di merito ulteriore 1) Previo accertamento che le persone vaccinate contagiano e sono contagiate dal virus SARSCoV- 2 e contraggono la malattia COVID-19 fino a possibili esiti mortali e, pertanto, la vaccinazione non solo non garantisce la sicurezza del luogo di lavoro in cui opera la parte ricorrente, ma, anzi, per le modalità attuative, come analiticamente descritte nella narrativa, amplifica a dismisura e senza alcun possibile controllo, la circolazione del medesimo; 2) previo accertamento che la tecnologia in vitreo tampone antigienico e/o Rt PCR consente una diagnosi precisa della presenza o meno del virus SARS-CoV-2 e, quindi, rappresenta un sistema diagnostico preventivo idoneo a garantire che ciascun lavoratore entri in un luogo di lavoro sicuro e che vi permanga costantemente, salvaguardando quest'ultimo dalla possibilità di divenire un ambiente favorevole alla circolazione del virus SARS-CoV-2; 3) ordinare alla parte resistente di effettuare la diagnostica con tamponi a ciascun lavoratore al momento dell'ingresso nel luogo di lavoro, assumendosi il costo dei medesimi, in quanto strumento indispensabile di garanzia di sicurezza ai sensi del coordinato disposto di cui agli artt. 17 e 28 D.Lgs. n. 81 del 2008;4) disapplicare l'art. 2 del D.L. n. 172 del 2021, nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 perché non imponendo al datore di lavoro l'effettuazione ai vaccinati dei tamponi all'ingresso del luogo di lavoro, determina la gravissima insicurezza di quest'ultimo ed espone tutti i lavoratori alla diffusione del virus SARS-CoV-2 in violazione del principio di precauzione ed in contrasto insanabile con le fonti di diritto europeo di grado superiore analiticamente prospettate, annullando conseguentemente il provvedimento impugnato in quanto illegittimo; 5) previo accertamento che la vaccinazione non determina alcuna variazione migliorativa del luogo di lavoro che, invece, è garantita integralmente dalla tecnologia in vitreo dei tamponi antigienici o molecolari, che può essere svolta sia da vaccinati che da noi vaccinati; 6) previo accertamento che i lavoratori vaccinati e non vaccinati, qualora si sottopongano alla diagnosi con tamponi antigienici o molecolari, garantiscono, nella medesima massima misura possibile, sulla base delle evidenze scientifiche ad oggi disponibili, la sicurezza del luogo di lavoro; 7) dichiarare illegittima la sperequazione di trattamento tra vaccinati e non vaccinati sui luoghi di lavoro in quanto essa non realizza l'interesse pubblico della sicurezza del luogo di lavoro che la possa giustificare tra lavoratori in posizioni similari; 8) disapplicare l'art. 2 del (...) nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 perché in contrasto con le norme di diritto europeo richiamate in narrativa, annullando il provvedimento impugnato; 9) previo accertamento che il provvedimento impugnato viola i principi in materia di proporzionalità espressi dalla giurisprudenza della Corte dei Diritti dell'Uomo; 10) disapplicare l'art.2 del D.L. n. 172 del 2021 nonché l'art. 1 del D.L. n. 1 del 2022 annullando il provvedimento impugnato. 4. In tutte le ipotesi 1) Dichiarare che la parte ricorrente è assente giustificata dal luogo di lavoro ai sensi dell'art. 44 D.Lgs. n. 81 del 2008 in quanto, sino all'applicazione della richiesta misura di effettuazione di tampone antigienico o molecolare a tutti i lavoratori indistintamente, esso presenta rischi gravissimi di contaminazione dal virus SARS-CoV-2 e di possibile contrazione della malattia COVID-19, dovuta alla presenza di lavoratori vaccinati non tamponati, per cui deve trovare applicazione l'ipotesi prevista espressamente di legittimo allontanamento dal luogo di lavoro che presenti rischi di danno alla salute; 2) ordinare alla resistente l'immediata riassunzione delle parti ricorrenti nei rispettivi posti di lavoro e nelle mansioni svolte e l'accesso delle medesime ai luoghi di lavoro con contestuale svolgimento della diagnostica da attuarsi con tecnologia in vitreo tamponi antigienici e/o molecolari; 3) condannare la parte resistente alla corresponsione delle retribuzioni a favore della parte ricorrente dalla data di sospensione alla data di effettiva riassunzione, oltre gli oneri previdenziali e di ogni accessorio dovuto; 4) condannare la parte resistente al pagamento del danno non patrimoniale per l'ingiusta discriminazione attuata nei confronti della parte ricorrente da liquidarsi in via equitativa nella misura di Euro 15.000 o di quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia. 5. In via subordinata Condannarsi controparte al pagamento ex art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957 dell'assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre agli assegni per carichi di famiglia. In tutte le ipotesi, condannarsi controparte al pagamento delle spese di lite e dei compensi professionali di cui si chiede la liquidazione ex D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i..". L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione, deduceva che "le docenti ricorrenti (...), (...) e (...) erano state destinatarie di provvedimenti di reintegrazione in servizio ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3, D.L. n. 44 del 2021, convertito dalla L. n. 76 del 2021, con effetto immediato a decorrere, la seconda, dal 25.1.2022 - dunque, in data antecedente alla proposizione del ricorso di che trattasi -, la terza, dal 1.2.2022, la prima dal 7.2.2022" e concludeva chiedendo "1) in primis, dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario in favore del Giudice Amministrativo, con ogni consequenziale statuizione; 2) comunque, dichiarare inammissibile la domanda avanzata dalle ricorrenti sigg.re (...), (...) e (...) ovvero dichiarare cessata la materia del contendere con riferimento alle posizioni delle medesime, per le ragioni meglio esposte in narrativa; 4) in ogni caso, rigettare ogni e qualsivoglia pretesa - cautelare e di merito -, siccome inammissibile ovvero infondata. Con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite.". Matura per la decisione allo stato degli atti, la causa, istruita con la sola produzione dei documenti offerti in comunicazione dalle parti, veniva alfine decisa mediante adozione fuori udienza della presente sentenza con motivazione contestuale, previo deposito in telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni ex art. 127 ter c.p.c. da parte delle sole ricorrenti. -2- Va in primo luogo rilevata la mancata contestazione che le docenti D., (...) e (...) siano state reintegrate in servizio con le decorrenze indicate dal Ministero resistente, ciò determinando la cessazione della materia del contendere limitatamente alla domanda di "reintegrazione in servizio dei ricorrenti" di cui al punto 2, a quella avente ad oggetto l'ordinare "alla parte resistente di effettuare la diagnostica con tamponi a ciascun lavoratore al momento dell'ingresso nel luogo di lavoro" di cui al punto 3, e a quelle di cui ai punti da 7 a 9 (dovendo ritenersi provato che le predette ricorrenti abbiano fatto ingresso nel luogo di lavoro senza dover sottoporsi alla prassi diagnostica invocata quale alternativa al vaccino). Le stesse conclusioni, per la verità, sembrano poter essere riferite anche alle restanti parti ricorrenti, atteso che, stando a quanto richiesto e dedotto nelle note scritte depositate in data 10.3.2023 in cui "si insiste per l'accoglimento delle domande già formulate nel ricorso introduttivo, con declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse in relazione alla domanda di reintegra in servizio" e nulla viene dedotto sulle modalità e sui tempi di avvenuta reintegrazione delle varie parti ricorrenti. -3- L'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito sollevata da parte resistente va rigettata, in quanto l'oggetto del giudizio è costituito dalla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione quali atti di gestione del rapporto di lavoro e dall'accertamento delle sussistenza di un eventuale trattamento discriminatorio e della relative conseguenze, e non atti costituenti estrinsecazione di poteri amministrativi a fronte dei quali si configurano situazioni qualificabili alla stregua di interessi legittimi. -4- Nel merito il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte. Le ricorrenti prospettano da un lato vari profili di illegittimità delle norme che hanno introdotto la vaccinazione SARS-CoV-2 come requisito essenziale per lo svolgimento dell'attività lavorativa (con conseguente provvedimento di sospensione in caso di mancata vaccinazione) e d'altro lato contestano le valutazioni e i presupposti scientifici e di opportunità politica che hanno indotto il legislatore ad introdurre la citata normativa (testualmente, le doglianze di cui ai punti da 3 a 8 del ricorso si riferiscono, infatti, ai dati di carattere scientifico e statistico posti a fondamento delle scelte di politica legislativa adottate nel corso della fase emergenziale della pandemia, mentre solo nei punti successivi si affrontano le tematiche del contrasto con la normativa dell'Unione Europea, con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e con alcune norme di diritto interno come l'art. 44 del D.Lgs. n. 81 del 2008 e l'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957). Quanto, in particolare, a tutte le deduzioni relative alla validità scientifica dei presupposti che hanno determinato l'introduzione della normativa di cui si chiede la disapplicazione (art. 2 D.L. n. 172 del 2021 e art. 1 del D.L. n. 1 del 2022), come pure alle valutazioni di opportunità politica per l'introduzione della vaccinazione come requisito essenziale per lo svolgimento di determinate attività lavorative, ritiene questo giudice - come autorevolmente sostenuto in una recente pronuncia della Corte d'Appello di Torino (RG 432 /2022) - che l'unico strumento per contestarne la validità e l'efficacia non possa che essere quello di prospettare eventuali profili di contrasto con i principi costituzionali, ma che non appare ammissibile l'operazione richiesta in questa sede al giudice ordinario, vale a dire una valutazione (anche scientifica) che si sovrapponga (e si sostituisca) a quella effettuata in sede parlamentare. Del resto, la quasi totalità delle argomentazioni in questione risulta ormai condivisibilmente superata a seguito dei recenti pronunciamenti della Corte Costituzionale, adita con ordinanze di rimessione rese dalla giurisprudenza sia ordinaria che amministrativa. Come si legge nella sentenza n. 15/2013 della Corte costituzionale (pronunciata con riferimento specifico all'obbligo vaccinale imposto al personale della sanità, ma estensibile anche al personale scolastico sui lo stesso obbligo è stato esteso) "Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il contemperamento del diritto alla salute del singolo (comprensivo del profilo negativo di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati) con l'interesse della collettività costituisce il contenuto proprio dell'art. 32 Cost. (sentenze n. 5 del 2018, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990) e rappresenta una specifica concretizzazione dei doveri di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., nella quale si manifesta "la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente" (sentenza n. 75 del 1992). E la sentenza n. 218 del 1994 ha avuto modo di affermare che la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari". 10.3.1.- Le misure approntate dal legislatore non possono, nel caso di specie, non essere valutate tenendo conto della situazione determinata da "un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari" (sentenza n. 37 del 2021). Peculiarità, si deve sottolineare, risultante anche e soprattutto dalle indicazioni formulate dai competenti organismi internazionali. Invero, l'OMS, con la dichiarazione del 30 gennaio 2020, ha valutato l'epidemia da COVID-19 come un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. Successivamente, in considerazione dei livelli di diffusività e gravità raggiunti a livello globale, con la dichiarazione dell'11 marzo 2020, l'OMS ha valutato la situazione sanitaria come "pandemia". L'OMS, la Commissione europea ed altri organismi internazionali si sono impegnati da subito per il coordinamento della ricerca scientifica e la successiva somministrazione del vaccino. Già il 20 aprile 2020 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione volta a consentire che gli Stati agissero in modo unito e coordinato contro la pandemia, auspicando un rafforzamento della cooperazione internazionale finalizzata in particolare alla ricerca di trattamenti farmacologici specifici. Il 19 maggio 2020 l'Assemblea dell'OMS ha invitato gli Stati membri a promuovere attività di ricerca volte alla scoperta di un vaccino da rendere disponibile alle popolazioni di tutti gli Stati. La Commissione europea, quindi, ha elaborato una strategia comune per l'impiego dei vaccini attraverso le Comunicazioni del 17 giugno 2020 (Strategia dell'Unione europea per i vaccini contro la Covid-19) e del 15 ottobre 2020 (Preparazione per le strategie di vaccinazione e la diffusione di vaccini contro la COVID-19). Il Consiglio d'Europa ha poi approvato la risoluzione n. 2361/2021 del 27 gennaio 2021, relativa alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini, sottolineando la necessità della massima collaborazione fra gli Stati per assicurare una campagna vaccinale efficiente. In Italia, il Consiglio dei ministri, con deliberazione del 31 gennaio 2020, ha dichiarato, unicamente ai sensi e per gli effetti dell'art. 7, comma 1, lettera c), e dell'art. 24, comma 1, del D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), lo stato di emergenza sanitaria sul territorio nazionale, per sei mesi, proprio in relazione al rischio connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Lo stato di emergenza è stato poi prorogato con diversi provvedimenti fino al 31 marzo 2022, e solo con il D.L. n. 24 del 2022, come convertito, ne è stata disposta la cessazione. Proprio per effetto dell'intervento pubblico e del sostegno dato alla ricerca scientifica, sono stati approntati - in tempi particolarmente rapidi - vari vaccini finalizzati a contrastare la diffusione del virus. Una volta che questi sono divenuti disponibili, si è quindi proceduto alla predisposizione di uno specifico piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2 (decreti del Ministro della salute 2 gennaio e 12 marzo 2021, adottati ai sensi dell'art. 1, comma 457, della L. n. 178 del 2020) e, solo nell'aprile del 2021, è stato introdotto l'obbligo vaccinale qui in discussione. È importante sottolineare sin d'ora che l'obbligo di vaccinazione è stato gradualmente introdotto dal legislatore solo dopo alcuni mesi dall'avvio della campagna vaccinale di cui al citato piano, tenendo conto, evidentemente, della non completa adesione allo stesso nell'ambito delle categorie interessate. Il legislatore ha quindi reputato necessaria l'imposizione dell'obbligo "al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza" (art. 4, comma 1, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito) ... .Il fatto che il legislatore abbia operato le proprie scelte sulla base di valutazioni e di dati di natura medico-scientifica, tuttavia, non vale a sottrarre quelle scelte al sindacato di questa Corte, ma comporta che lo stesso dovrà avere ad oggetto l'accertamento della non irragionevolezza e della proporzionalità della disciplina rispetto al dato scientifico posto a disposizione. Già la sentenza n. 114 del 1998, infatti, ha chiarito che quando la scelta legislativa si fonda su riferimenti scientifici, "perché si possa pervenire ad una declaratoria di illegittimità costituzionale occorre che i dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei o raggiungano un tale livello di indeterminatezza da non consentire in alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte del giudice"." Più in particolare, la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che "che gli interventi normativi finalizzati alla riduzione della circolazione del virus dovessero essere calibrati rispetto all'andamento della situazione sanitaria e delle acquisizioni scientifiche" e che nel tempo, e sulla base dell'andamento dell'evoluzione della pandemia, nonché di scelte conseguenti alle determinazioni circa la frequenza delle scuole in presenza, la durata dell'obbligo era stata più volte modificata, sempre in base all'andamento dei contagi e all'evoluzione della pandemia, subendo diverse proroghe fino al 31 dicembre 2022, per poi essere infine anticipata, com'è noto, al 1 novembre 2022, ha condivisibilmente affermato come i dati esposti nei rapporti dell'ISS "lungi dall'evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, l'efficacia del vaccino - intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati - sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l'infezione da SARSCoV-2, quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale. "In presenza di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque (sentenza n.127 del 2022)", la decisione del legislatore di introdurre l'obbligo vaccinale in esame (nei limiti soggettivi e temporali di cui si è detto) non può, dunque, reputarsi irragionevole, in quanto è sorretta dalle indicazioni delle competenti Autorità nazionali e sovranazionali alla luce della gravità della situazione che tale vaccinazione era destinata ad affrontare. La scelta si è rivelata, altresì, ragionevolmente correlata al fine perseguito di ridurre la circolazione del virus attraverso la somministrazione dei vaccini. La stessa circostanza, evidenziata dal rimettente, che il Ministero della salute abbia dichiarato "tassativamente falsa l'affermazione secondo cui se ho fatto il vaccino contro SARS-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l'infezione agli altri", non vale ad inficiare la scelta operata dal legislatore di prescrivere, per le diverse categorie degli operatori sanitari, l'obbligo vaccinale, ma solo a rendere consapevoli i soggetti vaccinati della inevitabile impossibilità di restare del tutto immuni dalla malattia e, ancora prima, dal contagio. Invero, l'affermazione che un vaccino sia efficace solo se esso produca una immunizzazione pari al 100 per cento delle somministrazioni, da un lato, non può ritenersi sorretta da un'adeguata dimostrazione scientifica; dall'altro, non esclude affatto che, in una situazione caratterizzata da una rapidissima circolazione del virus, i vaccini fossero idonei a determinare una significativa riduzione di quella circolazione, con ricadute tanto più apprezzabili in ambienti o in luoghi destinati ad ospitare persone fragili o, comunque, bisognose di assistenza. Come osservato dall'ISS, "anche se l'efficacia vaccinale non è pari al 100 per cento (come del resto per tutti gli altri vaccini), l'elevata circolazione del virus SARS CoV-2 rende comunque rilevante la quota di casi prevenibile mediante la somministrazione dei vaccini" (sul punto, e più in generale sui dati medico-scientifici a disposizione del legislatore, si veda anche la sentenza n. 14 del 2023, punti 10 e seguenti). In base a tali considerazioni, l'imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l'espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico. 11.2.- Può quindi affermarsi che le disposizioni qui censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività". In questa sede si può solo aggiungere che l'obbligo vaccinale introdotto anche per il personale scolastico, quotidianamente a contatto con la comunità degli studenti, ha avuto anche in questo caso lo scopo di perseguire la tutela della salute individuale pubblica (compresa quella di studenti ed insegnati che eventualmente si siano trovati in condizione di fragilità, non trovando, invece, alcun riscontro probatorio l'affermazione, contenuta nelle note difensive, secondo cui "i giovani alunni erano notoriamente i soggetti meno a rischio di contrarre il SARS-CoV-2 e subire un caso grave della malattia COVID-19") e, dunque, "il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l'interruzione di servizi essenziali per la collettività" (qual è senz'altro il servizio della pubblica istruzione). Anche con riferimento al comparto scuola non può certamente ritenersi che la previsione dell'obbligo di sottoporsi a test diagnostici dell'infezione da SARS-CoV-2 con una elevata frequenza, anziché al vaccino, "costituisca un'alternativa idonea ad evidenziare la irragionevolezza o la non proporzionalità della soluzione prescelta dal legislatore", sia in quanto la soluzione alternativa "sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere" il regolare funzionamento del servizio scolastico, sia perché "l'effettuazione periodica di test antigenici con una cadenza particolarmente ravvicinata" avrebbe avuto elevati costi insostenibili e uno sforzo difficilmente tollerabile per un'amministrazione pubblica quale quella resistente. Anche con riferimento al personale del settore scolastico "La decisione del legislatore risulta altresì non sproporzionata. La conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo è rappresentata dalla sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, che è destinata a venire meno in caso di adempimento dell'obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica" e il correlato sacrificio del diritto del lavoratore "non ha la natura e gli effetti di una sanzione", né eccede "quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, è stato costantemente modulato in base all'andamento della situazione sanitaria e si rivela altresì idoneo e necessario a questo stesso fine". Quanto, in particolare, alle argomentazioni attinenti alla mancata esecuzione dell'obbligo di tentare il ricollocamento dei ricorrenti prima di procedere con la loro sospensione, al diritto alla retribuzione o in subordine a percepire l'assegno alimentare ex art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957, altrettanto condivisibilmente è stato affermato: che "All'inosservanza dell'obbligo vaccinale, la legge impositiva dello stesso attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero" il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2; che "Essendo la vaccinazione elevata dalla legge a requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati, il datore di lavoro, messo a conoscenza della accertata inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte del lavoratore, è stato tenuto ad adottare i provvedimenti di sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale, ovvero fino al completamento del piano vaccinale nazionale o comunque fino al termine stabilito dalla stessa legge"; che "la sospensione del lavoratore non vaccinato, prevista dalla disposizione censurata, è in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 del codice civile e dall'art. 18 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della L. 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), con valenza integrativa del contenuto sinallagmatico del contratto individuale di lavoro. Avendo riguardo alla posizione dei lavoratori, la vaccinazione anti SARS-CoV-2 ha, a sua volta, ampliato il novero degli obblighi di cura della salute e di sicurezza prescritti dall'art. 20 del D.Lgs. n. 81 del 2008, nonché degli obblighi di prevenzione e controllo stabiliti dal successivo art. 279 per i lavoratori addetti a particolari attività"; che "Il diritto fondamentale al lavoro, garantito nei principi enunciati dagli artt. 4 e 35 Cost., avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all'obbligo vaccinale, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l'attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica"; che "L'effetto stabilito dalle norme censurate, secondo cui al lavoratore che decida di non sottoporsi alla vaccinazione non sono dovuti, nel periodo di sospensione, "la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati", giustifica, pertanto, anche la non erogazione al lavoratore sospeso di un assegno alimentare (in misura non superiore alla metà dello stipendio, come, ad esempio, previsto per gli impiegati civili dello Stato dall'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957, e in altri casi dalla contrattazione collettiva), considerando che il lavoratore decide di non vaccinarsi per una libera scelta, in ogni momento rivedibile"; che, in sostanza, poiché nel periodo di sospensione del dipendente non vaccinato, pur essendo formalmente in essere il rapporto, è carente medio tempore la sussistenza del sinallagma funzionale del contratto, la negazione del diritto all'erogazione di un assegno alimentare in favore del lavoratore inadempiente all'obbligo vaccinale "si giustifica quale conseguenza del principio generale di corrispettività, essendo il diritto alla retribuzione, come ad ogni altro compenso o emolumento, comunque collegato alla prestazione lavorativa, eccetto i casi in cui, mancando la prestazione lavorativa in conseguenza di un illegittimo rifiuto del datore di lavoro, l'obbligazione retributiva sia comunque da quest'ultimo dovuta"; che sussiste una oggettiva differenza tra il lavoratore non vaccinato e il lavoratore del quale sia stata disposta la sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare, in base all'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957 o al sopravvenuto contratto collettivo di comparto, come stabilito dall'art. 59 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421) e poi dall'art. 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche); che tali ultime normative configurano "la sospensione come misura provvisoria, priva di carattere sanzionatorio e piuttosto disposta cautelarmente nell'interesse pubblico (ordinanze n. 541 e n. 258 del 1988), destinata ad essere travolta dall'esaurimento dei paralleli procedimenti, il che rende improponibile la comparazione. Invero, la scelta del legislatore di equiparare quei determinati periodi di inattività lavorativa alla prestazione effettiva trova lì giustificazione nella esigenza sociale di sostegno temporaneo del lavoratore per il tempo occorrente alla definizione dei relativi giudizi e alla verifica della sua effettiva responsabilità, ancora non accertata. Se, quindi, in tali casi, il riconoscimento dell'assegno alimentare si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile"; che, quanto alla prospettata natura non retributiva, ma assistenziale dell'assegno in questione, anche a voler considerare l'assegno alimentare in favore dell'impiegato sospeso un diritto soggettivo di automatica applicazione, nonostante la temporanea interruzione del termine sinallagmatico dello svolgimento della prestazione da parte del lavoratore, "rimane smentita la conclusione che configuri quale soluzione costituzionalmente obbligata l'accollo al datore di lavoro della erogazione solidaristica, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia perciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa, di una provvidenza di natura assistenziale, esulante dai diritti di lavoro, atta a garantire la soddisfazione delle esigenze di vita del dipendente e della sua famiglia. Posto cioè che l'erogazione dell'assegno alimentare rappresenta per il datore di lavoro un costo netto, senza corrispettivo, non è irragionevole che il legislatore ne faccia a lui carico quando l'evento impeditivo della prestazione lavorativa abbia carattere oggettivo, e non anche quando l'evento stesso rifletta invece una scelta - pur legittima - del prestatore d'opera". Quanto, infine, alla questione attinente alla illegittimità della sospensione per mancata adibizione delle ricorrenti allo svolgimento di mansioni, ove possibile, diverse (evidentemente al solo fine di ottenere la declaratoria del diritto al pagamento degli stipendi non corrisposti dal momento della sospensione fino a quello della riammissione in servizio) occorre osservare come in mancanza di più compiute deduzioni delle parti ricorrenti, alla luce del confronto tra le deduzioni degli atti introduttivi del giudizio, possa argomentarsi che la sospensione senza tentativo di ricollocamento in mansioni differenti abbia avuto le seguenti caratteristiche: la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 05/01/2022 fino al 7.2.2022; la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 05/01/2022 al 25/01/2022; la ricorrente (...) sarebbe rimasta sospesa dal 27/12/2021 al 1/02/2022;delle restanti parti ricorrente si conosce, invece, solo la data di decorrenza iniziale della sospensione (D.L. 29/12/2021, (...) 03/01/2022, (...) 27/12/2021, (...) 21/12/2021) ed è certo che le stesse siano state reintegrate in servizio alla data del deposito delle note conclusive. Pur prescindendo da tale carenza di allegazioni (che impediscono di ritenere, ad esempio, quanto sia stato esteso il preteso inadempimento dell'amministrazione resistente e se lo stesso sia risultato, eventualmente, successivo anche alla data di adozione del D.L. n. 24 del 2022 sopravvenuto in corso di causa), deve ritenersi pacifico che per effetto del D.L. n. 172 del 2021 nei periodi in questione e fino al 25.3.2022 fosse venuto meno il dovere datoriale di repêchage a mansioni disponibili non comportanti un rischio di contagio (se non per i soggetti esentati dalla vaccinazione per motivi di salute), mentre per effetto del menzionato D.L. n. 24 del 2022 e con effetto dal 25.3.2022 (data di entrata in vigore del D.L. n. 24 del 2022) "L'atto di accertamento dell'inadempimento impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica". Come dedotto dalle parti ricorrenti nell'ambito delle note difensive il Ministero resistente avrebbe, infine, adottato, il documento interpretativo dei contenuti del D.L. n. 24 del 2022, in cui era stato precisato che "il trattamento applicabile al docente inidoneo è analogo a quello previsto dal CCNI per i casi di inidoneità temporanea dovuta a motivi di salute (art. 2 e 3 del CCNI)". Tanto premesso, deve, allora osservarsi come le deduzioni secondo le quali "l'obbligo di tentare il ricollocamento della dipendente sussisteva anche prima dell'emanazione del D.L. n. 24 del 2022" non appaiono condivisibili. Va, innanzitutto, premesso che la disciplina dettata dal D.L. n. 24 del 2022 risulti adottata, come pure testualmente indicato "Considerato l'evolversi della situazione epidemiologica" e "Considerata l'esigenza di superare lo stato di emergenza dettando le disposizioni necessarie alla progressiva ripresa di tutte le attività in via ordinaria" e, dunque, sulla base di una situazione epidemiologica evidentemente diversa ed evoluta rispetto a quella relativa al periodo di entrata in vigore del D.L. n. 172 del 2021, essendo unicamente previsto, fino al 25.3.2022, che la vaccinazione costituisse requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati, con l'eccezione dei soli lavoratori non vaccinati in quanto dotati di un certificato medico di esenzione o differimento per motivi di salute ufficialmente attestati. Se ne deduce che in data antecedente all'entrata in vigore del D.L. n. 24 del 2022 alcun obbligo vi fosse, a carico dell'amministrazione resistente, di tentare di adibire i lavoratori volontariamente sottrattisi all'obbligo vaccinale ad altra collocazione lavorativa. Né può ritenersi, come sostenuto in ricorso, che l'esistenza di un obbligo in tal senso potesse argomentarsi sulla base della "qualificazione del personale scolastico non vaccinato quale temporaneamente inidoneo per motivi di salute", dal momento che i provvedimenti legislativi succedutisi al 25.3.2022 non hanno affatto "qualificato" il personale non vaccinato per scelta inidoneo, limitandosi, semplicemente a prevedere una "applicazione" "per quanto compatibile", del regime stabilito per i docenti dichiarati temporaneamente inidonei alle proprie funzioni ai docenti, espressamente qualificati "inadempienti". Fatta tale precisazione terminologica, neppure può ritenersi che la situazione di questi ultimi potesse essere assimilata a quella del "personale scolastico temporaneamente inidoneo" ai sensi della contrattazione collettiva o ai sensi dell'art. 42 D.Lgs. n. 81 del 2008 (riguardanti accertate situazioni di salute del lavoratore di carattere oggettivo e indipendenti da ogni scelta in ordine all'assoggettamento a misure di prevenzione) o alle situazioni presupposte dall'invocato "obbligo generale del datore di lavoro". Va, infatti, ricordato che il principio generale da ultimo menzionato è stato affermato dalla giurisprudenza consolidata in relazione ad una fattispecie, quella del licenziamento, in cui si pone la questione, non pertinente al caso di specie (in cui la normativa ha sempre previsto la conservazione del posto di lavoro e l'assenza del rilievo disciplinare della mancata sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria), di evitare la perdita del posto di lavoro, per la evidente finalità di evitare un esercizio del diritto di recesso dal rapporto di lavoro comunque giustificato, ma non conforme alle esigenze del bilanciamento degli interessi costituzionalmente tutelati, costituiti, com'è noto, da quelli attinenti alla tutela della salute individuale del lavoratore (artt. 4, 32, 36 Cost.) e dalla la libertà di iniziativa economica dell'imprenditore, garantita dall'art. 41 della Carta fondamentale (come si legge nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. del 7 agosto 1998, n. 7755 "La Corte costituzionale ha più volte osservato come il nucleo essenziale di questo diritto di libertà, pur limitato dalla necessità di salvaguardia della sicurezza, libertà e dignità degli individui, stia nell'autodeterminazione circa il dimensionamento e la scelta del personale da impiegare nell'azienda ed il conseguente profilo dell'organizzazione interna della medesima (già sent. n. 78 del 1958 e ultima m. n. 356 del 1993) soprattutto in modo che ne vengano preservati gli equilibri finanziari (sent. n. 316 del 1990). Il turbamento di questi ultimi al fine di tutelare singoli lavoratori, del resto, potrebbe pregiudicare il diritto al lavoro degli altri e potrebbe altresì tradursi in prestazioni assistenziali imposte, vietate dall'art. 23 se non previste dalla legge. Tutto ciò sta a significare che l'assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo all'attuale attività, ad attività diverse e riconducibili alla stessa mansione, o ad altra mansione equivalente, o anche a mansione inferiore, può essere rifiutata legittimamente dall'imprenditore se comporti aggravi organizzativi e in particolare il trasferimento di singoli colleghi dell'invalido"). Si tratta di un principio affermato con riferimento ad una condizione soggettiva del lavoratore, la "sopravvenuta inidoneità fisica permanente del lavoratore all'esecuzione della prestazione dovuta", che è diversa da quella del caso di specie, in cui le parti ricorrenti, senza neppure dedurre di trovarsi in condizione tale da dover omettere o ritardare l'adempimento all'obbligo vaccinale per ragioni mediche oggettivamente accertate, hanno ammesso di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale per effetto di una scelta, che, come pure dedotto, sarebbe stata possibile di ripensamento (si legge in ricorso "La diversità di trattamento appare giustificata dal fatto che tali soggetti potrebbero, volendo, accedere in ogni momento alla vaccinazione, così facendo venir meno il periodo di sospensione"). Tali circostanze inducono ad escludere la possibilità di argomentare la sussistenza di una situazione di inadempimento non imputabile al lavoratore idonea a fondare il diritto ad essere assegnato ad attività diverse da quella già svolta o ad argomentare l'esistenza di una situazione di mora credendi per il datore di lavoro che abbia rifiutato la prestazione del lavoratore, ponendosi tale rifiuto quale inabitabile risvolto di un inadempimento volontario del lavoratore coincidente con "la carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario" per lo svolgimento di qualsiasi prestazione in condizioni di sicurezza per la collettività. Le considerazioni che precedono inducono ad escludere la sussistenza di tutti i profili di illegittimità lamentati in ricorso. L'assoluta novità delle questioni e l'esistenza di precedenti di merito favorevoli alla tesi sostenuta dalle ricorrenti inducono a compensare integralmente le spese di lite. P.Q.M. il giudice del lavoro, letti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Chieti il 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Trattazione scritta disposta per l'udienza del 23 gennaio 2023 Sentenza con motivazione contestuale Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 257/2021 R.G.A.C. promossa da (...) (Avv. La.Pa.) contro "(...) Società a responsabilità limitata semplificata" (contumace) avente ad oggetto: crediti da lavoro subordinato osserva quanto segue - 1 - Con atto di ricorso, depositato il 25.3.2021, il ricorrente in epigrafe indicato agiva in questa sede chiedendo di "accertare e dichiarare il diritto del Signor (...) al riconoscimento della qualifica di cuoco unico di III livello del CCNL Pubblici Esercizi con decorrenza dal 18 maggio 2019 nonché lo svolgimento della propria attività lavorativa (full time) con le modalità ed i tempi indicati nel ricorso e, per l'effetto, - condannare la "(...) Società a responsabilità limitata semplificata", con sede in V. (C.) alla C.da (...) snc., con insegna "(...)", in forza del CCNL Pubblici Esercizi vigente durante il rapporto di lavoro per cui causa, a corrispondere a favore del ricorrente le differenze retributive relative al riconoscimento della qualifica di cuoco unico di III livello, con decorrenza dal 18 maggio 2019, oltre alle retribuzioni integralmente ancora dovute, nonché agli ulteriori importi maturati per le causali tutte di cui al presente atto per la complessiva somma di Euro 9.128,01, (di cui Euro 375,37 a titolo di TFR) - importi che sono stati più specificamente indicati nel presente ricorso - o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia, ai sensi degli art. 36 Cost. e 2099 c.c.., oltre al risarcimento del maggior danno conseguente alla svalutazione monetaria intervenuta medio tempore ed agli interessi relativi, a norma dell'art. 429/3 c.p.c..; - condannare, infine, la convenuta alla regolarizzazione della posizione contributiva del ricorrente presso i competenti istituti previdenziali". A sostegno delle sue domande lo stesso in sintesi esponeva: di aver lavorato alle dipendenze di parte convenuta dal 18 maggio 2019 al 16 luglio 2019 con la qualifica di aiuto cuoco di ristorante V livello del CCNL Turismo Pubblici Esercizi, con contratto a tempo determinato part time di 24 ore settimanali; di aver in realtà lavorato prestando la propria prestazione professionale per almeno 40 ore settimanali, lavorando come unico cuoco (III livello CCNL Turismo Pubblici Esercizi), dalle 10.00 alle 15.00 e dalle 18.00 all'una di notte, dal martedì al sabato e la domenica dalle 18.00 all'una; di aver sempre svolto attività full time per almeno 40 ore settimanali, sin dal 18 maggio 2019; di non aver ricevuto il pagamento di alcuna mensilità, e di essere stato costretto a dimettersi per giusta causa. Nonostante la rituale notifica del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell'udienza, la società convenuta non si costituiva in giudizio, ragion per cui ne veniva dichiarata la contumacia. La causa, istruita con la produzione di documenti e con l'escussione di un teste indotto da parte ricorrente (non essendosi parte convenuta presentata per prendere l'interrogatorio formale ammesso), veniva discussa e decisa all'odierna udienza, mediante deposito della presente sentenza con motivazione contestuale a seguito di svolgimento dell'udienza di discussione con "trattazione scritta" ex art. 127 ter c.p.c. - 2 - La domanda del ricorrente è risultata fondata e deve essere accolta sulla base delle considerazioni che seguono. In via generale appare in primo luogo opportuno ricordare che il procedimento logico richiesto dalla normativa dell'art. 2103 c.c. - che attribuisce al lavoratore utilizzato per un certo tempo dal datore di lavoro in compiti diversi e maggiormente qualificanti rispetto a quelli propri della categoria di appartenenza il diritto non solo al trattamento economico previsto per l'attività in concreto svolta, ma anche all'assegnazione definitiva a tale attività ed alla relativa qualifica - si articola in tre fasi tra loro interdipendenti: innanzi tutto il giudice deve individuare i criteri generali ed astratti per l'inquadramento delle singole categorie e qualifiche posti dalla legge oppure dalla contrattazione collettiva; deve poi accertare le caratteristiche di fatto delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore; deve infine comparare le mansioni così accertate con i suddetti criteri generali al fine di verificare la riconducibilità delle mansioni del lavoratore alla qualifica rivendicata (in questo senso si veda Cass. civ., 22 ottobre 1986, n. 6212). Tanto premesso, si osservi che, nell'indagine sulla fondatezza della domanda di tutela apprestata ex art. 2103 c.c., occorre tener presente che la graduazione delle qualifiche implica anche un differente tipo di collaborazione con il datore di lavoro, ragion per cui la sola condizione da verificare è che l'assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato "l'assunzione della responsabilità e l'esercizio dell'autonomia proprie della corrispondente superiore qualifica" (in questo senso si vedano Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 1996, n. 1433, in Orient. Giur. Lav., 1996, 819; Riv. Critica Dir. Lav., 1996, 994, nonché Cass. civ., sez. lav., 27 aprile 1992, n. 5005, in Lav. e Prev. Oggi, 1993, 604), non essendo sufficiente far soltanto riferimento al complesso delle operazioni materiali in cui si siano concretizzate le prestazioni del lavoratore medesimo. Alla luce delle suesposte considerazioni di ordine generale, si deve in primo luogo osservare che, nel caso di specie, la contrattazione collettiva del settore Pubblici Esercizi (solo indirettamente applicabile al rapporto di lavoro in questione, non essendo stato prodotto alcun atto, come il contratto di assunzione, dal quale far discendere il riferimento diretto alla disciplina di una contrattazione collettiva), in questa sede utilizzabile quale parametro per la determinazione della "giusta retribuzione" ex art. 36 Cost., riconduce al 3 livello della classificazione del personale lo svolgimento di "mansioni di concetto o prevalentemente tali che comportano particolari conoscenze tecniche ed adeguata esperienza", i "lavoratori specializzati provetti che, in condizioni di autonomia operativa nell'ambito delle proprie mansioni, svolgono lavori che comportano una specifica ed adeguata capacità professionale acquisita mediante approfondita preparazione teorica e/o tecnico pratica" e i "lavoratori che, in possesso delle caratteristiche professionali di cui ai punti precedenti, hanno anche del le responsabilità di coordinamento tecnico-funzionale di altri lavoratori"; tra le qualifiche esemplificative rientra quella del "cuoco unico". Appartengono al 4 livello "i lavoratori che, in condizioni di autonomia esecutiva, anche preposti a gruppi operativi, svolgono mansioni specifiche di natura amministrativa, tecnico-pratica o di vendita e relative operazioni complementari, che richiedono il possesso di conoscenze specialistiche comunque acquisite", tra i quali rientra la figura esemplificativa del " cuoco capo partita" e del "cuoco di cucina non organizzata in partite, intendendosi per tale colui che indipendentemente dalla circostanza che operi in una o più partite assicura il servizio di cucina", mentre appartengono al 5 livello "i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze e capacità tecnico-pratiche svolgono compiti esecutivi che richiedono preparazione e pratica di lavoro", in cui pure rientrano le qualifiche di "- secondo cuoco mensa aziendale, intendendosi per tale colui che, in subordine ad un cuoco e/o in sua assenza, procede all'approntamento dei pasti sulla base del lavoro già predisposto". Quanto, in secondo luogo, alle caratteristiche di fatto delle mansioni in concreto svolte dal ricorrente, dall'escussione dell'unica testimone esaminata è emerso con chiarezza che il ricorrente abbia lavorato presso la "(...) Srls", con insegna "(...)" svolgendo sempre le mansioni di cuoco unico, ovverosia "di preparazione dei cibi e pietanze per i clienti del ristorante"(si legga la deposizione della teste C.A.L., aiuto cuoco del ricorrente e sua assistente dal 21.5.2019 al 24 giugno 2019), mansioni riconducibili al III livello del CCNL del settore Pubblici Esercizi. La teste C. ha confermato che il ricorrente "prestava la propria attività dalle 10.00 alle 15.00 e dalle 18.00 all'una di notte, dal martedì al sabato e la domenica dalle 18.00 all'una di notte" e che lo stesso "ha lavorato continuativamente per tutto il periodo senza godere di alcun giorno di ferie" (specificando "Per quanto mi consta lavoravamo continuativamente, con un solo giorno di riposo; il sig. C. la domenica lavorava solo per la sera"). A fronte di tale quadro istruttorio sarebbe stato onere della parte convenuta dimostrare di aver versato al ricorrente la retribuzione dei mesi di maggio, giugno e luglio 2019, oltre alla 13, alla maggiorazione per il lavoro svolto dalle ore dalle ore 22.00 all'una di notte dal martedì alla domenica, ai ROL non goduti, all'indennità per ferie e festività non godute ed al TFR. Peraltro, all'interno del suesposto contesto probatorio, non può non valorizzarsi la circostanza che parte convenuta non si è costituita in giudizio e non è neppure comparsa per rendere l'interrogatorio formale ammesso. Tale complessivo comportamento processuale pertanto, non fa che dimostrare la mancanza di interesse per contrastare la pretesa di parte ricorrente e, valutato nel complesso degli altri elementi di prova sopra citati secondo i principi stabiliti dagli artt. 116 e 232 c.p.c., consente di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio e conforta nella decisione di accoglimento della domanda. - 3 - Quanto adesso alle effettive spettanze del ricorrente per l'attività di lavoro subordinato svolta alle dipendenze della società convenuta nel periodo sopra indicato, le stesse sono state correttamente calcolate nei conteggi analitici allegati al proprio fascicolo (doc. n.3), che ben possono essere posti a fondamento dell'odierna decisione essendo risultati privi di vizi logici o di calcolo ed avendo gli stessi tenuto in debito conto il C.C.N.L. di riferimento (Turismo e Pubblici Esercizi), le mansioni svolte (che, per quanto prima esposto, possono essere ricondotte all'invocato 3 ° livello retributivo, in cui rientra la qualifica di cuoco unico), e gli orari di lavoro osservati. Va, tuttavia precisato che, essendo la quattordicesima mensilità un istituto previsto dalla contrattazione collettiva, - che, come premesso, nel caso di specie nel caso di specie non può essere applicato in via diretta, ma solo quale parametro per la determinazione del concetto di "equa retribuzione" ex art. 36 Cost., - dalle somme calcolate nel conteggio vanno espunte quelle di 266,52 e di 133,26 Euro calcolate per tale titolo nelle mensilità di giugno e luglio 2019. Di conseguenza, l'odierno ricorrente risulta ancora creditore della complessiva somma di Euro 8728,23 (di cui Euro 375,37 a titolo di TFR). Al pagamento della complessiva somma sopra indicata, dunque, deve essere in questa sede condannata la società convenuta. Su tali somme, in applicazione del disposto dell'art. 429, comma 3 c.p.c., devono essere poi calcolati sia gli interessi al tasso legale che la rivalutazione monetaria, con la sola precisazione che gli interessi legali devono essere calcolati sulla somma rivalutata anno per anno dalla data di maturazione dei singoli crediti (mese per mese quanto ai crediti per differenze retributive per il lavoro ordinario estraordinario, anno peranno quanto a quelli per 13 mensilità, dalla fine del rapporto quanto a quelli per indennità per ferie e permessi non goduti e T.F.R.), fino al momento dell'effettivo soddisfo, e non invece sulla somma interamente rivalutata al momento del saldo (così per tutte Cass. S.U. 29.1.2001, n. 38, nonché Cass. 16392/2002). Quanto, infine, alla domanda di condanna della convenuta al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali omessi e dovuti in conseguenza dell'accertamento in questa sede svolto, non si ritiene di poter provvedere in merito, risolvendosi una eventuale condanna nei confronti degli Enti previdenziali in una inammissibile pronuncia di condanna in favore di terzi estranei al presente giudizio, e potendo l'accertamento raggiunto in questa sede essere utilizzato per la proposizione di istanze di regolarizzazione contributiva nelle previste sedi amministrative. - 4 - In applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., parte convenuta va infine condannata anche al rimborso delle spese processuali che, tenuto conto del valore e della natura della controversia, dell'importanza e del numero delle questioni trattate, e con speciale riferimento all'attività svolta innanzi al giudice (D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 147 del 2022), in considerazione della intervenuta ammissione della parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato si liquidano in complessivi Euro 2695,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da liquidarsi in favore dello Stato. P.Q.M. Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione e in accoglimento del ricorso del 25.3.2021, così provvede: dichiara che (...) ha lavorato alle dipendenze di "(...) Società a responsabilità limitata semplificata come cuoco unico di III livello del CCNL Pubblici Esercizi con decorrenza dal 18 maggio 2019 full time, per l'effetto, condanna la predetta società, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in suo favore della complessiva somma di Euro 8728,23, oltre ad interessi legali sulle somme rivalutate anno per anno secondo gli indici I.S.T.A.T. dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai dell'industria dalle date di scadenza dei singoli crediti (puntualmente indicate in motivazione) al saldo, nonché al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 2695,00 00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario delle spese al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da liquidarsi in favore dello Stato. Così deciso in Chieti il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 15/09/2022 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 1085/2021; TRA (...), A.S. e C.M., rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso introduttivo, dall'avv. An.Ta.; RICORRENTI E (...) srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, per procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dall'avv. Ar.Fi.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 30.12.2021 i ricorrenti, dipendenti della società resistente con mansioni di operatore di esercizio, deducevano l'illegittimità della disdetta unilaterale degli accordi aziendali comunicata dalla società resistente in data 15/06/2020 e della conseguente eliminazione dal trattamento retributivo in godimento delle indennità previste dagli accordi disdettati e chiedevano di "accertare e dichiarare l'immediato ripristino e la conservazione di tutti gli emolumenti retributivi soppressi a seguito del recesso del 15/06/2020 con cui l'(...) S.r.l. ha disdettato unilateralmente ad nutum tutti gli Accordi Aziendali vigenti in Azienda, con condanna al pagamento di quanto non corrisposto nel periodo dal 01/11/2020 sino al saldo effettivo, previo accertamento e declaratoria della nullità e/o inefficacia del recesso unilaterale ad nutum del 15/06/2020". La resistente, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza del ricorso chiedendone l'integrale rigetto. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte. I ricorrenti, dipendenti della società resistente con mansioni di operatori di esercizio, hanno goduto fino al 31.10.2020 di una serie di indennità tra cui: indennità di funzione personale viaggiante, indennità di produttività, indennità evitati sinistri; indennità di presenza, indennità agente unico, indennità servizi accessori, indennità domenicale e indennità tempi sosta. Tali indennità erano state introdotte da diversi accordi aziendali succedutisi dal 1985 fino al 10 maggio 2013, allorché la società resistente ha stipulato con le organizzazioni sindacali un accordo integrativo aziendale, con il quale sono stati confermati tutti i trattamenti economici aggiuntivi riconosciuti da precedenti accordi aziendali, trattamenti individuati, in particolare, nei seguenti: "1. Indennità di funzione officina; 2. Indennità di funzione impiegati; 3. Indennità di funzione personale viaggiante; 4. Indennità di reperibilità feriale; 5. Indennità reperibilità festivo; 6. Incentivo di produttività; 7. Indennità di produttività; 8. Indennità di pulizia; 9. Indennità evitati sinistri; 10. Indennità di presenza; 11. Indennità agente unico auto; 12. Indennità agente unico filobus; 13. Straordinario feriale; 14. Indennità agente di movimento; 15. Premio evitare sinistri; 16. Indennità spostato riposo; 17.Indennità servizi accessori; 18. Indennità domenicale; 19. Premio presenza annuale; 20. Premio di risultato agente di movimento" (doc. 5 ric.). Il 15/06/2020 la società resistente ha comunicato la disdetta di tutti gli accordi aziendali vigenti, con decorrenza dal 31/10/2020 (doc. 6 ric.). Dall'1.11.2020, pertanto, non sono più state corrisposte le indennità previste dagli accordi aziendali e sopra menzionate. I ricorrenti hanno dedotto la nullità/inefficacia del recesso unilaterale del 15/06/2020, invocando il proprio diritto al ripristino delle indennità soppresse. Secondo gli assunti dei ricorrenti, tali indennità avrebbero natura retributiva e costituirebbero diritti quesiti intangibili, con la conseguenza che non potrebbero essere soppresse per effetto di una decisione assunta unilateralmente dalla società resistente. La tesi non è condivisibile. Giova premettere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare -nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto - la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione" (cfr. Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 18548del 20/08/2009; nello stesso senso Cass. civ. sez. lavoro, sent. n.19351 del 18/09/2007; Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 21234 del 10/10/2007). Costituisce, inoltre, principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale "le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti quesiti, intendendosi per tali solo le situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come i corrispettivi di prestazioni già rese, e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. 3082/14; nello stesso senso, Cass. ord. n. 36228/21; 36708/21; 14578/22). Nel caso di specie gli accordi sindacali disdettati, così come confluiti nell'accordo integrativo del 10 maggio 2013, non avevano alcun termine di durata, sicché pienamente legittimo deve ritenersi il recesso unilaterale comunicato dalla resistente il 15/06/2020, non potendo quest'ultima ritenersi vincolata a tempo indeterminato ad accordi che potrebbero non essere più rispondenti al mutato contesto socio-economico. La circostanza che le indennità soppresse abbiano natura retributiva non ne impedisce la loro soppressione. Non risulta, infatti, che le disposizioni della contrattazione collettiva che hanno istituito le indennità siano state incorporate o inserite nel contratto individuale dei ricorrenti, sicché non può ritenersi operante il principio della irriducibilità della retribuzione, riferito ai soli trattamenti retributivi riconosciuti personalmente al lavoratore al momento dell'assunzione o successivamente, per effetto di una libera trattativa tra lavoratore e datore di lavoro. Peraltro, il suddetto principio si applica alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni svolte, ma non a quelle componenti estrinseche della retribuzione, che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, come sembra essere per le indennità di cui si discorre nel presente giudizio. Occorre, inoltre, precisare che nel caso di specie non è invocabile neppure la previsione dell'art. 36 Cost. in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione "i trattamenti retributivi, come la retribuzione di risultato e più in generale i trattamenti accessori non rientrano nella sfera di garanzia dettata dall'art. 36 Cost., comprendendo la tutela costituzionale, non tutto il complessivo trattamento contrattuale, bensì solo quello che è stato definito il c.d. minimo costituzionale"(Cass. n. 14578 del 9/5/2022; Cass. n. 944 del 2021, Cass. n. 20922 del 2018, Cass. n. 27138 del 2013, Cass. n. 162 del 2009, Cass. n. 15148 del 2008, Cass. n. 10465 del 2000, Cass. n. 3362 del 1992). Deve, infine, escludersi che i trattamenti soppressi costituiscano dei diritti quesiti. Questi ultimi, infatti, sono soltanto i diritti perfetti, già entrati definitivamente nella sfera patrimoniale del lavoratore, come il corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita. Nel caso di specie, il recesso unilaterale della società resistente non ha inciso sulle indennità già maturate dai dipendenti per prestazioni svolte prima della disdetta ma unicamente sui trattamenti retributivi potenzialmente maturabili per il futuro, per effetto dello svolgimento dell'attività lavorativa. E' evidente, quindi, che non ci si trova in presenza di utilità definitivamente acquisite al patrimonio dei lavoratori, ma solo di utilità economiche cui il dipendente aspira per il futuro, sulla base di una precedente regolamentazione a lui più favorevole. Conclusivamente, deve affermarsi la legittimità e validità della disdetta unilaterale degli accordi aziendali comunicata dalla società resistente il 15/06/2020 e della conseguente soppressione di tutte le indennità istituite dai suddetti accordi. Le considerazioni che precedono portano al rigetto del ricorso. Le spese di lite si compensano integralmente, considerata la peculiarità e l'assoluta novità delle questioni giuridiche trattate. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 15 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 1202/2020 R.G.A.C. promossa da (...) (avv. Ga.Sa.) contro il Comune di Chieti (avv. Ma.Mo. e Pa.Tr.) avente ad oggetto: diritto all'assunzione per procedimento di mobilità e risarcimento del danno, osserva quanto segue: - 1 - Con atto di ricorso depositato il 29.12.2020, la ricorrente in epigrafe indicata, premesso di essere dipendente a tempo indeterminato della (...) S.r.l, vincitrice del concorso pubblico per titoli e colloquio "per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di una unità con profilo di istruttore amministrativo Area Fiscale-contenzioso tributario e procedure concorsuali" bandito con provvedimento del 23/12/2008, deduceva: che la (...) S.r.l., possedendone tutti i requisiti, era una "società di capitali in house providing per l'esercizio di pubblici servizi' del Comune di Chieti; di aver con domanda del 25/11/2020 chiesto al Comune di Chieti di essere ammessa a partecipare alla procedura di mobilità esterna volontaria, ex art. 30, D. Lgs. n. 165/2011, indetta con provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, del Dirigente ad interim del III Settore - Gestione Risorse Umane - Dott.ssa Paola De Rossi, relativamente alla copertura di n. 5 posti di cat. C posizione economica C1 - Istruttore amministrativo/contabile; di non essere stata ammessa alla predetta procedura di mobilità in quanto non inquadrata nei ruoli di una Pubblica Amministrazione di cui all'art. 1 c. 2 del D. Lgs. 165/2001; che l'art. 2 del D. Lgs. 19/08/2016 n. 175 si era limitato a ribadire che per "amministrazioni pubbliche" si devono intendere "le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale"; che alle "società in house", prima dell'entrata in vigore del citato D. Lgs. 175/2016, era stato ritenuto applicabile il 1 comma dell'art. 18 del D.L. 25/06/2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008; che il secondo comma dell'art. 19 del D. Lgs. 175/2006, aveva ribadito per tutte la società a controllo pubblico e, quindi, non solo per le società in house, l'obbligo del rispetto "dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165";che le società in house avevano solo la forma esteriore delle società, ma costituivano in realtà articolazioni in senso sostanziale della pubblica amministrazione; che la fattispecie prevista dall'art. 19, n. 8, del D. Lgs. 175/2016 era procedura di mobilità speciale e la fattispecie in esame non riguardava la "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati"; che, possedendo tutti i requisiti previsti dalla procedura di mobilità, aveva maturato il diritto soggettivo al perfezionamento della procedura di mobilità volontaria al fine di consentirle di prestare la propria attività lavorativa presso il Comune di Chieti. Agiva in questa sede chiedendo "previo annullamento e/o disapplicazione degli atti impugnati, limitatamente alla mancata inclusione della ricorrente nella graduatoria definitiva della procedura di mobilità volontaria per cui è causa, anche ai sensi dell'art. 63 D. Lvo n. 165/2001, 1) accertare e dichiarare che il diritto della sig.ra (...) ad essere inserita nella graduatoria definitiva della predetta procedura esterna di mobilità volontaria indetta, ex art. 30 del D. Lgs. n. 165/2011, dal Comune di Chieti con provvedimento del Dirigente ad interim del III Settore - Gestione Risorse Umane - Dott.ssa Paola De Rossi 26/10/2020, prot. n. 69939, relativamente alla copertura di n. 5 posti di cat. C posizione economica C1-Istruttore amministrativo/contabile, possedendone tutti i requisiti, con ogni consequenziale provvedimento, 2) accertare e dichiarare il diritto soggettivo della ricorrente al perfezionamento della procedura di mobilità volontaria, con modificazione soggettiva del rapporto di lavoro a tempo indeterminato della ricorrente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 30 del D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 16, comma 1, della L. n. 246 del 2005, mediante cessione del relativo contratto di lavoro, ex art. 1406 e segg. c.c., dalla (...) S.r.l. al Comune di Chieti, intimando al Comune di procedere alla conclusione del predetto procedimento di mobilità volontaria; e, per l'effetto, 3) condannare il Comune di Chieti, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., a porre in essere tutti gli atti necessari alla conclusione della procedura di mobilità volontaria relativamente alla ricorrente; 4) condannare il Comune di Chieti, in persona del Sindaco e legale rappresentante p.t., al pagamento delle spese di lite". Si costituiva in giudizio il Comune di Chieti, chiedendo di "respingere il ricorso, siccome inammissibile e/o improcedibile per carenza di interesse ad agire e/o, comunque, integralmente infondato in fatto ed in diritto, con ogni consequenziale statuizione, anche in ordine alle spese di lite, comprese quelle della fase cautelare", deducendo in ordine alla carenza di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo alla parte ricorrente e alla infondatezza, nel merito, degli assunti di cui al ricorso. Rigettato il ricorso proposto contestualmente in via cautelare, la causa, istruita con la produzione dei documenti offerti in comunicazione dalle parti, veniva alfine decisa mediante adozione fuori udienza della presente sentenza con motivazione contestuale, previo deposito di note conclusive autorizzate e deposito in telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni ex art. 221 comma 4 della legge 77/2020. - 2 - Le domande proposte con il ricorso non appaiono fondate e meritevoli di accoglimento per le ragioni che vanno ad esporsi. La prospettazione di parte ricorrente secondo la quale le caratteristiche delle società in house - in particolare, la loro assimilabilità ad "articolazioni in senso sostanziale della pubblica amministrazione" - possano costituire i fatti costitutivi del diritto alla partecipazione alla procedura di mobilità volontana indetta dal Comune di Chieti con provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, non appare condivisibile. Premesso che la fattispecie della mobilità individuale ex art. 30 D.Lgs. n. 165/2001, sostanziandosi in una cessione del contratto (tra le più recenti, Cass. Sez. L-, Ordinanza n. 86 del 07/01/2021), non comporta una nuova assunzione da parte dell'amministrazione che indice la procedura e che nel caso di specie, come si desume dalla lettura del bando (doc. n. 6 di parte ricorrente), tra i requisiti per proporre la domanda di partecipazione alla procedura, è espressamente previsto quello dell'inquadramento a tempo pieno e indeterminato presso una pubblica amministrazione di cui all'art. 1 comma 2 del dlgs 165/2001 ("tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300"), mentre la diversa "definizione" di "amministrazioni pubbliche" che compare all'art. 2 del dlgs 175/2016 ("le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale") è espressamente prevista dalla legge "Ai fini del decreto", regolante "la costituzione di società da parte di amministrazioni pubbliche, nonché l'acquisto, il mantenimento e la gestione di partecipazioni da parte di tali amministrazioni, in società a totale o parziale partecipazione pubblica, diretta o indiretta", ritiene questo giudice che le ragioni dirimenti ad escludere la configurabilità del diritto di parte ricorrente, dipendente a tempo indeterminato di una società in house totalmente partecipata dal Comune di Chieti, a partecipare alla procedura di mobilità volontaria indetta da quest'ultimo siano rappresentate dai principi ricavabili dall'art. 97 della Costituzione, così come costantemente declinati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Consentire, infatti, il passaggio diretto del personale di una società partecipata - sia pure equiparabile, ad alcuni fini, ad una articolazione della stessa amministrazione che su di essa eserciti un controllo analogo a quello esercitabile su un proprio organo - ad un ente pubblico qual è il Comune di Chieti, infatti, realizzerebbe un'ipotesi di "inquadramento riservato senza concorso", ciò anche nel caso - sussistente nella fattispecie in esame - in cui tale personale risulti essere stato assunto all'esito dell'espletamento di una procedura selettiva equiparabile ad un concorso pubblico, in quanto tali circostanze non possono prevalere sui principi, di rango costituzionale, dell'esclusivo accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, della riserva di legge per le eccezioni a tale regola e dell'imparzialità nelle pubbliche amministrazioni (che può essere garantita solo regolando l'accesso dall'esterno con procedure selettive reclutamento. Tali principi sono stati di recente ribaditi dalla Corte costituzionale che, nello scrutinio sull'art. 24 della legge reg. Basilicata n. 38 del 2018, nella sentenza 28 gennaio 2020, n. 5, ha affermato: "Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, "la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle" (sentenza n. 40 del 2018; fra le tante, sentenze n. 110 del 2017, n. 7 del 2015 e n. 134 del 2014) e, comunque, sempre che siano previsti "adeguati accorgimenti per assicurare (...) che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell'incarico" (sentenza n. 225 del 2010). Infatti, "la necessità del concorso per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal rispetto del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche dalla necessità di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni pubbliche, in base all'art. 51 Cost." (sentenza n. 225 del 2010). Anche nel caso di specie si ritiene che non sussistano le condizioni che giustificherebbero la deroga al principio del pubblico concorso, da un lato per la mancanza di una norma di legge che disciplini il passaggio di dipendenti di una società in house ad una pubblica amministrazione, dall'altro per non aver, parte ricorrente, neppure dedotto in ordine ad eventuali "necessità funzionali dell'amministrazione", o a "peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico" che sarebbero state idonee a derogare alle regole di cui ai citati artt. 97 Cost. e 51 Cost. Come, poi, condivisibilmente affermato nel parere n. 56/2017 del 19.04.2017 della Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti per la Campania citato dall'amministrazione resistente, viene in rilievo la diversa identità di settore e il differente ambito operativo della disciplina della mobilità per il personale pubblico all'interno della Pubblica amministrazione recato dall'art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001 e del D.Lgs. n. 175/2016 ("Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica"), in quanto la differente collocazione sistematica della disciplina della mobilità di cui all'art. 19, comma 8, del dlgs da ultimo citato (ipotesi della "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati, affidati alle società" e del "riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione", mediante l'utilizzo delle procedure di mobilità di cui all'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e nel rispetto dei vincoli in materia di finanza pubblica e contenimento delle spese 5 di personale) costituisce un argomento testuale per escludere l'applicazione della procedura di mobilità ex art. 30 dlgs 165/2001 in maniera generalizzata al settore del personale delle società a partecipazione pubblica. Anche in questo caso trova conferma la regola della riserva di legge per le ipotesi, costituenti eccezione, di deroga al principio di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, in quanto il dlgs 175/2016, proprio per la partecipazione alle procedure di mobilità, ne ha previsto l'operatività, con riferimento al personale delle società in house, "solo nei ristretti ambiti soggettivi e oggettivi, legislativamente consentiti, di "reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati "e di "riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione". L'assenza di una norma di legge regolante, in via generalizzata, il passaggio dei dipendenti delle società in house alle pubbliche amministrazioni, la preminenza dei principi costituzionali sopra richiamati e l'assenza di ragioni idonee a giustificare la deroga agli stessi inducono a ritenere corretto l'operato del Comune resistente di escludere la parte ricorrente dalla partecipazione alla procedura di mobilità volontaria indetta n provvedimento del 26/10/2020, prot. n. 69939, riservandone la partecipazione ai soli dipendenti assunti a tempo indeterminato alle amministrazioni di cui al - più limitato - ambito di cui all'art. 1 comma 2 del dlgs 165/2001. - 3 - L'assoluta novità della questione oggetto del giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il giudice del lavoro, visto l'art. 429 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, rigetta le domande proposte da (...) contro il Comune di Chieti con il ricorso del 29.12.2020 e compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Chieti il 23 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CHIETI SEZIONE DISTACCATA DI ORTONA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Grassi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 363/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. FE.PA., elettivamente domiciliato in VIA (...) CHIETI presso il difensore avv. FE.PA. ATTORE contro CONDOMINIO LIDO DI (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SA.LU. (c.f.: (...)) elettivamente domiciliato in VIA (...) FRANCAVILLA AL MARE presso il difensore avv. SA.LU. CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato, (...) Dino ha impugnato la delibera assembleare del 13.1.2018 del condominio "Lido (...)", sito in Francavilla al Mare, viale (...) 135, in relazione al punto 1 dell'o.d.g., riguardante il consuntivo dell'esercizio 1/7/2016 - 30/6/2017, con relativo piano di riparto. Secondo la prospettazione attorea, in particolare, il consuntivo allegato alla convocazione dell'assemblea riporterebbe una cifra inferiore rispetto a quella del piano di riparto, in quanto il totale del consuntivo ammonta ad Euro 52.295,18, mentre la somma riportata dal piano di riparto è pari ad Euro 72.743,29. Rileva inoltre l'impugnante che la delibera avrebbe provveduto a distribuire anche somme relative a lavori di messa in sicurezza approvati con delibera del 28.11.2015 (impugnata davanti a questo tribunale nel giudizio di cui al r.g. 576/2016); tuttavia, tale delibera avrebbe approvato lavori relativi ai balconi, che però sarebbero di proprietà individuale. L'attore inoltre lamenta la violazione dell'art. 1130 bis c.c., in quanto non vi sarebbe sufficiente indicazione in relazione alle spese effettuate; in particolare vi sono alcune voci riferite ad un fornitore generico. Il (...) contesta anche alcune specifiche voci di spesa, in particolare quelle relative all'accensione di luci esterne, all'installazione di estintori, in quanto tali spese non sarebbero state preventivamente approvate dall'assemblea. Inoltre, vengono contestati i criteri di riparto di alcune spese, in particolare quelle relative alla pulizia delle aree comuni e delle scale, quelle relative all'illuminazione dell'edificio e quelle relative all'ascensore. Infine l'attore chiede il risarcimento della somma di Euro 9.873,07, per l'attività illegittima relativa ai balconi. Si è costituito il condominio, deducendo preliminarmente la decadenza per tardività dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 c.c.. Nel merito, contesta i motivi di impugnazione, sostenendo che il piano di riparto non riguardava solo le spese del consuntivo dell'esercizio 2016 - 2017, ma anche alcune spese relative a periodi precedenti. Contesta inoltre la sussistenza della violazione ex art. 1130 bis c.c., essendo tutte le voci di spesa riportate analiticamente nel consuntivo. Respinge inoltre le censure relative al riparto delle spese, che sarebbe avvenuto conformemente alle tabelle millesimali. Preliminarmente, va rigettata l'eccezione di decadenza sollevata dal condominio ai sensi dell'art. 1137 c.c.. Infatti è pacifico e non contestato che, entro il termine decadenziale, l'attore ha proposto istanza di mediazione; tale procedura si è conclusa con verbale di mancata mediazione del 19/6/2020, e la citazione è stata notificata al condominio il 17/7/2021. Ne consegue che il termine decadenziale ex art. 1137 c.c. è stato pienamente rispettato dall'attore, in virtù dell'art. 5 comma 6 D. Lgs. 28/2010, il quale prevede che "dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo". Non si può accedere alla lettura della normativa proposta dal condominio, in quanto il termine di 3 mesi previsto dall'art. 6 D. Lgs. 28/2010 si riferisce esclusivamente alla condizione di procedibilità; inoltre, tale interpretazione porterebbe a conseguenze paradossali, in quanto il condomino sarebbe tenuto ad avviare l'azione davanti al tribunale prima della chiusura del procedimento di mediazione, frustrando così gli scopi conciliativi. Si deve inoltre rilevare che deve essere seguito l'orientamento in virtù del quale "in tema di impugnazione di delibera assembleare, il termine decadenziale di trenta giorni interrotto a seguito della comunicazione di convocazione innanzi all'organismo di mediazione, riprende nuovamente a decorrere, per un ulteriore termine di trenta giorni, a far data dal deposito del verbale presso la segreteria dell'organismo di mediazione" (cfr. Corte d'Appello di Palermo, sent. n. 1245/2017). Tale orientamento deve infatti ritenersi preferibile a quello secondo cui la presentazione della domanda di mediazione si limita a sospendere il termine decadenziale, con la conseguenza che, dopo il fallimento della conciliazione, la citazione si dovrebbe notificare entro il termine residuo rispetto a quello già decorso prima dell'avvio della procedura; infatti la tesi a cui qui si presta adesione, da un lato, consente una lettera della normativa in senso costituzionalmente orientato, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., in modo che il ricorso alla mediazione non ostacoli o vanifichi la tutela dei diritti dei cittadini nella naturale sede giurisdizionale, e, dall'altro, tiene conto della normativa comunitaria, in particolare dell'art. 8 direttiva 2008/52/CE, intitolato "effetto della mediazione sui termini di prescrizione e decadenza", laddove dispone che gli Stati membri provvedano affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti termini di prescrizione o decadenza. L'eccezione di decadenza non può quindi trovare accoglimento. Sempre in via preliminare va dichiarata l'inammissibilità della documentazione depositata in data 8/10/2021, posto che la stessa, pur essendosi formata dopo il termine della seconda memoria istruttoria, ben si sarebbe potuta allegare alle note conclusive (in quanto l'assemblea si è tenuta il 26/8/2021). Venendo al merito dell'impugnazione, si rileva che le doglianze su cui la presente impugnativa è stata fondata non meritano di essere condivise. Preliminarmente, occorre rilevare che nel giudizio di impugnazione di delibere dell'assemblea di condominio ex art. 1137 c.c., l'onere della prova, relativamente alle cause di invalidità dedotte, spetta al condomino impugnante (cfr., ex plurimis, Cass. sent. n. 2658/1987, sent. n. 1600/1988). Inoltre, per ciò che concerne l'impugnazione delle delibere che approvano il consuntivo, va richiamato il principio giurisprudenziale secondo il quale "la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità" (cfr. Cass. sent. n. 5254/2011). Detto ciò, si osserva che deve essere respinto il primo motivo di impugnazione, con il quale la delibera viene contestata in virtù della difformità tra la somma indicata nel consuntivo allegato alla convocazione, e l'importo totale indicato nel piano di riparto. È chiaro infatti che tale circostanza non può, di per sé sola, determinare l'invalidità della delibera impugnata, in quanto tale differenza ben può essere spiegata con il fatto che sono state incluse nel piano di riparto anche spese relative a precedenti esercizi di gestione, che non erano state tenute in considerazione dalle precedenti amministrazioni condominiali. Quindi la semplice deduzione, da parte dell'attore, di tale difformità, non è sufficiente ad assolvere l'onere probatorio su di lui incombente. Anche il secondo motivo, relativo alla violazione dei criteri di cui all'art. 1130 bis c.c., non può trovare accoglimento. Si deve infatti rilevare che il rendiconto allegato alla convocazione (cfr. all. 2 alla comparsa di costituzione del convenuto, pagine 10 - 31), e poi al verbale della delibera impugnata, riporta analiticamente le singole voci di spesa sostenute dal condominio. I riferimenti, in alcuni punti, ad un "fornitore generico", sono poi integrati dalla specifica destinazione della spesa, con la conseguenza che non sussiste la lamentata genericità invocata dall'impugnante. Risulta, quindi, evidente, la piena opponibilità all'istante del rendiconto consuntivo, dal momento che egli è stato messo in condizione di essere edotto sia del contenuto del rendiconto consuntivo, sia della assemblea in cui si sarebbe deliberato sullo stesso. Inoltre, il ricorrente avrebbe ben potuto richiedere in qualsiasi momento l'esibizione dei documenti contabili. Infatti, come è pacificamente ritenuto dalla Corte di Cassazione (sent. n. 15996/2020), "gli artt. 1129, comma 2, c.c. e 1130-bis c.c., come novellati dalla L. n. 220 del 2012, prevedono la facoltà dei condomini di ottenere l'esibizione di registri e documenti contabili condominiali in qualsiasi tempo, non necessariamente in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, sempreché l'esercizio del diritto di accesso non si risolva in un intralcio all'amministrazione, ponendosi in contrasto con il principio della correttezza ex art. 1175 c.c.; al condomino istante - il quale non è tenuto a specificare le ragioni della richiesta - fa capo l'onere di dimostrare che l'amministratore non gli abbia consentito l'esercizio della facoltà in parola". Nel caso di specie, l'amministratore ha fornito al ricorrente le fatture richieste, depositandole anche in questa sede (cfr. documentazione allegata alla seconda memoria istruttoria di parte convenuta). Le contestazioni relative al merito di tali spese non possono in alcun modo inficiare la validità dell'approvazione, posto che l'opportunità di approvare o meno una certa spesa rientra nella discrezionalità dell'assemblea, e non può in alcun modo essere sindacata dal giudice. Del tutto prive di pregio sono poi le eccezioni relative alle spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza dei balconi. Infatti la delibera che ha approvato tali lavori non è quella impugnata in questa sede, ma quella del 28/11/2015, oggetto di un separato giudizio (di cui al r.g. 576/2016). In quest'ultimo processo non è intervenuta alcuna sospensione di questa delibera, con la conseguenza che, in mancanza di una sospensione o di un accertamento definitivo sulla sua validità, il condominio ha legittimamente approvato le spese relative a tali interventi. Di conseguenza anche la richiesta risarcitoria (peraltro priva di qualsiasi allegazione in punto di danno conseguenza e dei criteri con i quali è stata determinata la somma richiesta), non può essere accolta in questa sede, in quanto i supposti danni non derivano dalla delibera impugnata in questa sede, ma da quella del 28/11/2015, oggetto dell'altro giudizio (al quale, peraltro, partecipa anche l'odierno attore). Del tutto infondate, poi si rivelano le doglianze relative al pagamento dei compensi del precedente amministratore, dott. (...), revocato in forza dell'annullamento della delibera di nomina, con una sentenza di questo tribunale. Infatti non vi è dubbio che il condominio abbia comunque l'obbligo di retribuire l'attività svolta dall'amministratore fino al momento della revoca, nonché per l'attività successiva svolta in regime di prorogatio, ai sensi dell'art. 1129 comma 8 c.c., fino alla nomina del nuovo amministratore. In ogni caso, come correttamente osservato dal condominio, il rendiconto si limita a prendere atto dell'erogazione della spesa, per cui ogni questione relativa ai rapporti tra il condominio ed il dott. (...) dovrà essere affrontata in un'eventuale giudizio tra questi, e non può certamente incidere sulla validità del rendiconto. Venendo ora alle censure relative alle spese relative agli estintori ed all'accensione delle luci esterne, si rileva che anche queste non sono meritevoli di accoglimento. Infatti è chiaro che la mancata approvazione preventiva di tali spese da parte dell'assemblea, è da ritenersi superata dall'approvazione del rendiconto contenente queste voci, che rappresenta una ratifica dell'operato dell'amministratore sul punto. Per ciò che concerne le censure relative ai criteri di riparto delle spese per la pulizia delle aree comuni e delle scale, nonché quelle dell'ascensore e dell'illuminazione dell'edificio, si rileva che le stesse sono del tutto generiche, e, pertanto, non idonee ad assolvere all'onere probatorio incombente sull'attore impugnante. Difatti i motivi di censura indicano in modo del tutto generico le ragioni del dissenso rispetto al criterio di riparto, ma non specificano i diversi criteri che si sarebbero dovuti applicare, né le somme che si sarebbero dovute porre a carico del ricorrente in base a tali criteri di riparto. In particolare, in relazione alle pulizie delle aree comuni, l'attore lamenta la mancata applicazione di un criterio di riparto stabilito da una delibera assembleare del 2002; tuttavia è chiaro che l'assemblea del gennaio 2018, approvando il rendiconto, ha manifestato la volontà di modificare la precedente delibera del 2002, con la conseguenza che nessuna censura può essere sollevata sul punto in questa sede. Per quanto riguarda l'illuminazione, è chiaro che la mera rappresentazione delle diverse superfici dei palazzi non è certamente idonea a dare conto del criterio che si sarebbe dovuto utilizzare secondo l'attore; anche qui, infatti, non vi è alcuna indicazione della minor somma che sarebbe dovuta dallo stesso. Inoltre, non è stata dimostrata la presenza di contatori separati per i vari edifici, che avrebbero potuto attestare l'effettiva differenza di consumi. Le stesse problematiche di genericità affliggono le censure relative ai criteri di riparto della spesa relativa all'ascensore; anche qui infatti, non si allegano in modo specifico i diversi criteri che si sarebbero dovuti seguire. In conclusione, tutte le censure di parte attrice devono essere rigettate. Le spese seguono la soccombenza e quindi si liquidano come da dispositivo, in base ai parametri medi previsti dal DM 55/2014 per le controversie di valore indeterminato a complessità bassa, per le 3 fasi (esclusa quella istruttoria). P.Q.M. Il tribunale, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così definitivamente provvede: 1. rigetta tutte le domande proposte da parte attrice; 2. condanna parte attrice al pagamento in favore del Condominio "Lido (...)" in persona dell'amministratore p.t., delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 5.534,00 per compensi, oltre IVA, c.p.a. e 15% per spese generali. Sentenza resa in base al combinato disposto degli artt. 281 sexies c.p.c. e 221 comma 4 D.L. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020, in assenza di discussione orale e lettura alle parti. Così deciso in Ortona l'11 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 29/09/2021 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 1206/2020; TRA (...), rappresentata e difesa da sé medesima; RICORRENTE E I.N.P.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, giusta procura generale alle liti per Notaio Ca. del 21.07.2015, dagli avv.ti Ma.Ca., Em.Ca. e Cr.Gr.; RESISTENTE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 29.12.2020 la ricorrente, premesso di aver presentato il 13 luglio 2020 senza esito domanda amministrativa al fine di ottenere il bonus per i servizi di baby-sitting di cui all'art. 23, comma 8, del decreto-legge n. 18/2020, chiedeva la condanna dell'I.N.P.S. all'acquisizione del suddetto bonus. A sostegno della domanda la ricorrente deduceva di essere libero professionista iscritta alla Cassa Forense e di essere madre di due figli minori, di otto e dieci anni. L'INPS, costituitosi in giudizio, evidenziava che la prestazione non era stata erogata a causa di una rinuncia tacita della ricorrente, la quale aveva omesso di provvedere all'appropriazione telematica del bonus tramite il libretto di famiglia entro il termine di decadenza di 15 giorni, termine decorrente dalla comunicazione dell'accoglimento della domanda amministrativa, avvenuta a mezzo pec il 23.07.2020 all'indirizzo (...). Tanto dedotto, l'I.N.P.S. chiedeva il rigetto della domanda. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte. E' pacifico che la ricorrente, avvocato iscritto alla Cassa Forense e madre di due figli minori di 8 e 10 anni, il 13.07.2020 abbia presentato domanda di erogazione del bonus per l'acquisto di servizi baby-sitting. Altrettanto pacifico è che la domanda sia stata accolta dall'INPS con provvedimento del 23.07.2020. Il bonus in questione è stato introdotto dall'art. 23 del D.L. n. 18/2020 che, al comma 8, così dispone: "A decorrere dall'entrata in vigore della presente disposizione, in alternativa alla prestazione di cui ai commi 1, 3 e 5 e per i medesimi lavoratori beneficiari, è prevista la possibilità di scegliere la corresponsione di uno o più bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, da utilizzare per prestazioni effettuate nel periodo di cui al comma 1. Il bonus viene erogato mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96". La prestazione spetta ai lavoratori dipendenti e ai lavoratori autonomi iscritti all'INPS o ad altre casse previdenziali per i figli minori di anni 12. Nel caso di specie è pacifico che sussistano tutti i presupposti per l'erogazione della prestazione, tanto che la domanda è stata accolta dall'INPS con provvedimento del 23.07.2020. L'Istituto Previdenziale ha dedotto che la ricorrente non avrebbe diritto all'erogazione del bonus per avervi tacitamente rinunciato. In particolare, secondo gli assunti della parte resistente, la ricorrente non avrebbe effettuato la c.d. appropriazione telematica del bonus tramite libretto di famiglia nel termine di 15 giorni dalla comunicazione di accoglimento della domanda. La tesi non può condividersi. In primo luogo, deve rilevarsi come non via alcuna prova dell'avvenuta comunicazione alla ricorrente dell'accoglimento della domanda amministrativa, in quanto tra i gli allegati prodotti dall'INPS non vi sono le ricevute di avvenuta consegna ed accettazione, unici documenti che possono comprovare l'effettiva conoscenza da parte della ricorrente del provvedimento di accoglimento. In secondo luogo, l'art. 23 del d.l. n. 18/2020 non prevede alcun termine per la c.d. appropriazione del bonus, né contempla una rinuncia tacita o decadenza per la mancata appropriazione, rinuncia e decadenza introdotte dall'INPS con la circolare n. 44/2020. Le circolari, tuttavia, orientano l'azione della pubblica amministrazione ma non hanno alcun valore normativo vincolante per il giudice. Il mancato rispetto del termine di 15 giorni può, eventualmente, giustificare il ritardo nell'erogazione della prestazione ma non può mai comportare la perdita del beneficio. Essendo pacifica la sussistenza di tutti i presupposti per beneficiare della prestazione, ivi compreso il rispetto del tetto di spesa, il ricorso va accolto e l'I.N.P.S. va condannato all'erogazione del bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50. L'assoluta novità della questione giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, così provvede: accoglie il ricorso e per l'effetto condanna l'I.N.P.S. all'erogazione del bonus per l'acquisto di servizi di baby-sitting nel limite massimo complessivo di 1200 Euro, mediante il libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50; compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Così deciso in Chieti il 29 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CHIETI SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Gianluca Falco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado, iscritta al n. r.g. 182/2020, promossa da: (...) (CF: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. An.Po., elettivamente domiciliato come in atti. ATTORE contro PROVINCIA DI CHIETI (C.F. (...) - P.IVA (...)), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ma.Ce. e Si.Ca., elettivamente domiciliata come in atti. CONVENUTA OGGETTO: azione di responsabilità civile. FATTO E PROCESSO 1. Con l'atto introduttivo del presente giudizio, (...) ha agito nei confronti della PROVINCIA DI CHIETI e - dopo aver premesso che, alle ore 13.20 circa dell'11.12.16, egli, mentre percorreva a piedi Piazza dello S., sita nella località M. di P., munito di abbigliamento sportivo da montagna, era improvvisamente scivolato a terra, nei pressi del ristorante "(...)", a causa di uno strato di ghiaccio presente sul manto stradale, non visibile e non segnalato - ha chiesto la condanna della convenuta, ex art. 2051 c.c., a risarcirgli i danni alla salute e patrimoniali subiti, quantificati in circa Euro 100.000,00 complessivi. 2. La PROVINCIA DI CHIETI, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda dell'attore, da un lato eccependo la genericità della descrizione del luogo e delle modalità del sinistro da quello operata, dall'altro lato assumendo il difetto di prova della riconducibilità dell'infortunio della controparte alla presenza di una lastra di ghiaccio, la quale, quand'anche presente, doveva ritenersi prevedibile, trattandosi di località sciistica di montagna, con conseguente ascrivibilità delle cause dell'evento dannoso a colpa del pedone. 3. Il processo - articolatosi nella fase di trattazione - giunge alla odierna decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 4. La domanda risarcitoria di parte attrice è infondata, per le ragioni di seguito esposte. 5. E' noto che, in tema di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. (come in caso di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), il danneggiato è tenuto a fornire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e il danno che egli ha subito (oltre che, in relazione all'art. 2051 c.c., dell'esistenza del rapporto di custodia), e solo dopo che egli abbia offerto una tale prova il convenuto deve dimostrare il caso fortuito, cioè l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale, escludendo la sua responsabilità (Cass. civ. Sez. 2, 29 novembre 2006 n. 25243; Cass. civ. Sez. 3, 13 luglio 2011 n. 15389). La prova del nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada e simili), ma richieda (come nella specie) che al modo di essere della cosa si unisca l'agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sè statica e inerte (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2660 del 05/02/2013; Cass. civ. 29 novembre 2006 n. 25243). 6. Nella specie, deve osservarsi, in primo luogo, come l'attore - tanto nella fase processuale deputata alla fissazione del thema decidendum, quanto nel carteggio ante causam avuto con la Provincia - ha fornito una indicazione assolutamente generica sia dello stato dei luoghi esistente al momento del sinistro, sia - in quest'ambito - delle caratteristiche della lastra di ghiaccio su cui lo stesso sarebbe scivolato, sia della precisa allocazione della stessa, sia delle modalità concrete della dinamica del sinistro, sia del contesto ambientale montano esistente nella zona al momento del sinistro. 6.1 In particolare, nel carteggio ante causam, l'attore ha denunciato di essere scivolato "a causa di uno strato di neve e ghiaccio presente sul manto stradale dinanzi alla Piazza dello Sciatore nei pressi della omonima Baia dello Sciatore" (doc. 42 delle produzioni attoree). Nell'atto di citazione e nella 1 memoria ex art. 183 c.p.c. (ossia nel thema decidendum), l'attore - nel fornire la descrizione processuale del fatto - ha ribadito di essere scivolato rovinosamente a terra "a causa di uno strato di ghiaccio presente sul manto stradale ... nei pressi della omonima ''(...)''; ha quindi aggiunto che "la nevicata era iniziata il giorno precedente per cui era prevedibile che anche la strada dinanzi alla baita potesse ghiacciarsi e divenire fonte di pericolo per gli utenti lasciati liberi di accedervi (cfr. l'atto di citazione; cfr. la 1 memoria ex art. 183 c.p.c.). 6.2 Tuttavia, in alcuno dei propri atti processuali, l'attore ha fornito alcuna ulteriore indicazione sul punto specifico (all'interno della Piazza dello Sciatore) ove si trovava la lastra di ghiaccio, nè sulle dimensioni, sulla forma, sulle caratteristiche, anche cromatiche, di detta lastra di ghiaccio, né tanto meno sullo stato dei luoghi sia immediatamente adiacenti ad essa, che di quelli della località montana sciistica (Passo Lanciano) ove egli si trovava. In particolare, (anche) con riferimento allo stato del manto stradale di Piazza dello Sciatore, l'attore non ha mai indicato - per quanto qui interessa - se l'intera piazza fosse o meno parimenti connotata dalla presenza di altre lastre di ghiaccio, ovvero fosse coperta o meno dalla neve. 6.3 Una tale lacunosità e genericità nella descrizione delle circostanze fattuali centrali ai fini della ricostruzione del fatto storico e - in quest'ambito- delle caratteristiche di visibilità o meno della lastra di ghiaccio e - simmetricamente - per la valutazione della sussistenza o meno di un nesso causale, giuridicamente rilevante, tra la res in custodia della PROVINCIA e l'evento dannoso, è, nella specie, tanto più rilevante se si tiene conto del fatto che l'attore non ha prodotto alcuna fotografia né dello stato dei luoghi (coevo o successivo al sinistro) in cui si consumò la sua caduta, né - di conseguenza - della lastra /strato di ghiaccio su cui lo stesso sarebbe scivolato, né - più in generale - delle condizioni in cui si trovava il più ampio contesto ambientale montano del giorno dell'infortunio. 6.4 E' noto, al riguardo, sia che il potere di allegazione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d'ufficio, perché il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell'onere di allegazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ricostruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giudizio, non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare (Cass. N. 15142/2003; Cass. Sezioni Unite: N. 1099 del 1998), sia che l'attività di allegazione non può esaurirsi nell'affermazione di un fatto generico, ma comporta l'individuazione di un fatto specifico (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4392 del 07/04/2000), 6.5 In coerenza con i superiori principi, la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare - in un caso analogo a quello di specie - che deve essere respinta la domanda di risarcimento avanzata da un pedone per le lesioni subite a seguito della caduta verificatasi a causa della irregolarità della pavimentazione costituita da un grigliato di cemento non correttamente livellato con il terriccio, in uno dei fori del quale era rimasto incastrato un tacco della calzatura, allorché non sia stato indicato esattamente il punto in cui l'evento è accaduto (Cass., sez. III, 15/07/2016, n. 14425). 7. Dalla rilevata assoluta incertezza in ordine tanto al punto - all'interno della Piazza dello Sciatore (di cui si ignora l'estensione), nei (non meglio identificati o documentati) "pressi" della (...)" - in cui si trovava lo strato/lastra di ghiaccio asseritamente responsabile della caduta del (...), quanto alle dimensioni ed alle ulteriori caratteristiche morfologiche e cromatiche di essa, quanto dello stato del manto stradale del resto della summenzionata Piazza (così come delle strade e dei marciapiedi limitrofi, interni al luogo montano ove in quel giorno si trovava l'attore), discende, in diritto, una simmetrica incertezza sulle cause della caduta e - con essa - della effettiva derivazione causale dell'infortunio da un modo d'essere pericoloso, ovvero prevedibile da parte del pedone, della res (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7106 del 30/07/1997: nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata secondo la quale il danneggiato, scivolato su un tratto di asfalto innevato, adiacente alla sua abitazione, non poteva invocare la responsabilità "de qua" perché non aveva dimostrato se era caduto sulla parte visibile della griglia del chiusino, prevedibilmente scivolosa, ovvero sulla parte di essa coperta di neve, il che però rendeva irrilevante la sconnessione della pavimentazione perché egli non vi era inciampato). Ed è parimenti noto che "l'onere del convenuto di dimostrare l'inefficacia dei fatti invocati dalla controparte sorge esclusivamente dopo che l'attore ha dimostrato la esistenza "dei fatti che costituiscono il fondamento" del diritto fatto valere in giudizio" (cfr. ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13390 del 08/06/2007). 8. Un tale deficit di indicazione e di prova di fatti centrali ai fini di causa non avrebbe potuto essere efficacemente surrogato dalle prove orali richieste dall'attore con la 2 memoria istruttoria. 8.1 E' noto, infatti, che ciò che non è versato tempestivamente nel "thema decidendum" non può essere dedotto (allegato) solo in sede di "thema probandum" (cfr. ex multis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19453 del 06/10/2005). 8.2 Inoltre (ed in ogni caso), anche le istanze di prova orale avanzate dal M. con la 2 memoria ex art. 183 comma VI c.p.c., in ordine alla dinamica del sinistro, sono state formulate in modo generico, per mancanza di indicazione (nelle circostanze capitolate) degli stessi elementi fattuali non indicati nel thema decidendum (punto specifico - all'interno della Piazza (...) - ove si trovava lo strato di ghiaccio; dimensioni, forma, caratteristiche, anche cromatiche, di detta lastra di ghiaccio; stato dei luoghi sia immediatamente adiacenti ad essa, che di quelli della località montana di P. L., ove l'attore si trovava; cfr. i relativi capitoli di prova: cap. 1 : "Vero che in data 11.12.2016, alle ore 13:20 circa, in località montana "Passolanciano" (Comune di Pretoro), in particolare nei pressi della "(...)" (senza ulteriori specificazioni: ndr), il sig. (...), dotato di idoneo abbigliamento sportivo da montagna e in particolare anche di scarpe da trekking antiscivolo, una volta sceso dalla propria vettura insieme ad altre persone, si è avviato con attenzione verso la Baita ma, all'improvviso, è finito rovinosamente a terra? (in un punto non meglio precisato: ndr)" cap. 4: "Vero che la caduta cui hanno assistito numerosi testimoni è avvenuta solo a causa di una insidia e/o pericolo all'incolumità altrui costituito da una lastra di ghiaccio (non meglio descritta, nelle caratteristiche e nella allocazione: ndr) non segnalata dalla Provincia di Chieti, Responsabile soprattutto durante la stagione invernale del piano pulizia neve della strada e del parcheggio situato dinanzi alla (...), trattandosi di località montana accorsata da numerosi amanti della neve?"). 9. Ma anche a voler prescindere dal segnalato mancato assolvimento, da parte dell'attore, dell'onere (sullo stesso gravante: vd. supra) di allegazione e di prova degli elementi costituitivi della responsabilità invocata a carico della controparte, le ulteriori emergenze processuali fanno ritenere che la presenza di ghiaccio sulle strade e sulle piazze (in quel particolare contesto ambientale e temporale) fosse altamente prevedibile da parte dell'accorto pedone, sicché la caduta a terra del (...), quand'anche avvenuta su una lastra di ghiaccio, debba imputarsi giuridicamente ad un difetto della prudenza e della attenzione esigibili nell'occasione. 9.1 E' bene premettere che, "ai fini di cui all'art. 2051 c.c., il caso fortuito può essere dunque integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa - specie se nota o comunque facilmente rilevabile dal soggetto che entra in contatto con la stessa, impone un obbligo massimo di cautela, proprio poiché il pericolo è altamente prevedibile. E tale prevedibilità con l'ordinaria diligenza è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell'art. 2051 c.c." (Cass. Cassazione civile, sez. VI, 06/07/2015, n. 13930). Infatti, "quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata mediante l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto e l'evento dannoso" " (v. Cass., 01/02/2018, n. 2477; Cass., 01/02/2018, n. 2478; Cass., 01/02/2018, n. 2479; Cass., 01/02/2018, n. 2480; Cass., 01/02/2018, n. 2481; Cass., 01/02/2018, n. 2482). Inoltre, la visibilità della buca - per la coeva luminosità naturale dello stato dei luoghi - può far degradare la buca medesima a semplice occasione dell'evento, da imputarsi causalmente al distratto pedone (cfr. Cass. Cassazione civile, sez. VI, 16/03/2017, n. 6833). 9.2 Al riguardo, deve infatti osservarsi come il sinistro avvenne l'11 dicembre del 2016 in una piazza sita in una località montana sciistica (Passolanciano), in pieno giorno (alle ore 13.20 circa) e, dunque, in un contesto di piena luminosità naturale (come è notorio, come è stato dedotto dalla convenuta sin dalla comparsa di risposta e come non è mai stato contestato dall'attore). Inoltre, dalle allegazioni fattuali rese nel processo dallo stesso (...), detta comunità montana era interessata, sin dal giorno precedente il sinistro, da continue precipitazioni nevose e da basse temperature, come peraltro è normale, in quei luoghi, nei mesi invernali (cfr. l'atto di citazione: "... è pacifico che la nevicata era iniziata il giorno precedente per cui era prevedibile che anche la strada dinanzi alla baita potesse ghiacciarsi e divenire fonte di pericolo per gli utenti lasciati liberi di accedervi ..."). 9.3 Ora, come affermato anche dalla Corte di appello L'Aquila (sent., 15/01/2020, n. 75, in Guida al diritto 2020, 40, 92, nonché in Banca Dati De jure), in un caso analogo a quello di specie, "il contesto ambientale e temporale in cui avvenne l'incidente era tale da rendere certa, se non altamente probabile, la presenza di ghiaccio e, quindi, ad indurre qualunque persona di normale diligenza e prudenza ad usare la massima attenzione nel transitare a piedi sulla stessa". Infatti - come osservato dalla Suprema Corte - in determinati contesti spazio - temporali, la presenza di "ghiaccio e neve caduta" costituisce "una situazione non solo prevedibile, date le circostanze di tempo e di luogo del sinistro, ma anche tale da imporre una cautela adeguata alla situazione di rischio" (Cass., sez. VI, 06/07/2021, n. 19094: nella specie, è stata esclusa la responsabilità del condominio per la caduta occorso a causa della neve e del ghiaccio che ricoprivano la pavimentazione del cortile dello stabile, atteso che nella specie l'evento era da imputarsi esclusivamente alla scarsa attenzione del danneggiato). Inoltre, la Suprema Corte (2256/2017), sempre in un caso analogo (caduta su ghiaccio), ha osservato che "ai sensi dell'art. 2051 c.c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito" (Cass. n. 12895/2016; in termini, ex multis, anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 999 del 20/01/2014, la quale, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto che il comportamento del soggetto danneggiato - transitato a piedi in una strada talmente dissestata da obbligare i pedoni a procedere in fila indiana - avrebbe dovuto essere improntato ad un onere di massima prudenza in quanto la situazione di pericolo di caduta era altamente prevedibile, ritenendo, pertanto, che l'evento lesivo in concreto verificatasi, conseguente all'inciampo in un tombino malfermo e mobile, fosse da ricondurre alla esclusiva responsabilità del soggetto danneggiato). 10. Alla luce della considerazione comparata delle summenzionate risultanze, deve pertanto concludersi per il rigetto della domanda dell'attore. 11. Sussistono giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di lite, rappresentati dalla necessità di istruire la causa per una esatta ricostruzione processuale della vicenda. P.Q.M. il Tribunale di Chieti, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al R.G. n. 182/20, ogni contraria istanza ed eccezione disattese, così decide: RIGETTA le domande di parte attrice. COMPENSA tra le parti le spese del giudizio. Alla Cancelleria per quanto di sua competenza. Così deciso in Chieti l'8 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Ilaria Prozzo, all'udienza del 17/06/2021 ha pronunziato la seguente SENTENZA a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. 976/2020; TRA (...), rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso in opposizione, dall'avv. (...); OPPONENTI E (...), rappresentata e difesa, per procura a margine della memoria difensiva di costituzione, dall'avv. (...); OPPOSTA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 19.10.2020 i ricorrenti proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 202/2020, emesso dal Tribunale di Chieti-Sezione Lavoro in data 12.08.2020, con il quale veniva intimato il pagamento di Euro 3.158,10, a titolo di saldo della retribuzione di settembre 2018, retribuzione di ottobre e novembre 2018, indennità sostituiva di ferie, permessi e festività non godute, ratei di tredicesima mensilità 2018 e trattamento di fine rapporto. A sostegno dell'opposizione (...) deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva, in considerazione del ruolo di socio accomandante della (...) S.A.S., e come tale, non responsabile per i debiti della predetta società. (...) deduceva l'insussistenza del diritto della (...) di precostituirsi un ulteriore titolo esecutivo nei confronti del socio accomandatario, stante la possibilità di agire esecutivamente sulla base del titolo già ottenuto nei confronti della (...) S.A.S. Entrambi i ricorrenti deducevano, inoltre, di aver corrisposto alla ricorrente la retribuzione di ottobre 2018 ed un ulteriore acconto di Euro 70,00 sulle ulteriori somme dovute e contestavano il conteggio delle spettanze retributive effettuato al lordo invece che al netto. Tanto dedotto, i ricorrenti formulavano le seguenti conclusioni: "dichiarare nullo e/o revocare il Decreto Ingiuntivo n. 202/2020, reso dal Tribunale di Chieti - Sezione Lavoro - in data 12.8.2020 nell'ambito del proc. n. 770/2020 R.G., emesso nei confronti della socia accomandante (...) nata a Lanciano il (...), per difetto di legittimazione ovvero per non essere legittimo proporlo nei confronti della stessa in quanto mero socio accomandante; dappoi dichiararlo parimenti nullo nei confronti del socio accomandatario Sig. (...), per tutte le motivazioni in narrativa precisate; - IN VIA SUBORDINATA: accertare e/o dichiarare, previa revoca del Decreto Ingiuntivo n. 770/2020, come dovuta la minor somma che verrà accertata in corso di causa. - Condannare la Sig.ra (...) al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio". L'opposta, costituitasi in giudizio, deduceva l'infondatezza dell'opposizione chiedendone il rigetto. Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell'art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. L'opposizione proposta da (...) è fondata e va accolta per le ragioni di seguito esposte. (...) ha lavorato alle dipendenze della società (...) S.A.S dal 13.3.2018 al 13.11.2018 e dopo la cessazione del rapporto di lavoro ha chiesto ed ottenuto nei confronti della predetta società il decreto ingiuntivo n. 30/2019 dell'importo di Euro 3.158,10. Non essendo riuscita ad ottenere il pagamento dell'importo ingiunto da parte della società, la (...) ha chiesto in via monitoria di ingiungere a (...), quale socio accomandatario della (...) S.A.S., e a (...), quale socio accomandante, il pagamento della somma di Euro 3.158,10 a titolo di saldo della retribuzione di settembre 2018, retribuzione di ottobre e novembre 2018, indennità sostituiva di ferie, permessi e festività non godute, ratei di tredicesima mensilità 2018 e trattamento di fine rapporto. La (...) ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e tale eccezione deve ritenersi pienamente fondata. "L'art. 2313 cod. civ. nello stabilire la responsabilità illimitata e solidale dei soci accomandatari per le obbligazioni sociali, ma quella dell'accomandante limitata alla quota conferita, non autorizza i creditori sociali, incluso l'erario, ad agire direttamente nei confronti dell'accomandante; essa si limita a fissare la responsabilità dell'accomandante nei confronti della società, a regolare cioè i rapporti interni alla compagine sociale. Tale interpretazione, che trova il conforto della dottrina maggioritaria e più recente, è confermata dalle deroghe a tale regola che pure il codice contempla: l'art. 2314 cod. civ., che prevede la responsabilità illimitata di fronte ai terzi del socio accomandante che consenta all'inserimento del proprio nome nella ragione sociale; l'art. 2320 cod. civ., che tale illimitata e solidale responsabilità fa derivare dalla violazione del divieto di immistione da parte dell'accomandante; l'art. 2324 cod. civ., che consente ai creditori di far valere i propri crediti nei confronti dei soci accomandanti in sede di liquidazione" (Cass. civ., sent. n. 13565 del 19/05/2021). Al di fuori delle predette eccezioni, la cui ricorrenza non è stata nella specie neppure dedotta, il socio accomandante non risponde, neppure nei limiti della quota conferita, dei debiti della società verso terzi. Ciò porta ad affermate la fondatezza dell'opposizione proposta da (...), con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. E' invece infondata l'opposizione proposta da (...). E' pacifico che il Fattore sia socio accomandatario della (...) S.A.S. e che sia, pertanto, responsabile del debito che la predetta società ha nei confronti della lavoratrice (...). Deve escludersi la nullità del decreto ingiuntivo per la sussistenza di altro titolo esecutivo nei confronti della società. Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il creditore che sia munito di un titolo esecutivo nei confronti di una società di persone può avere interesse a dotarsi di un secondo titolo esecutivo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, al fine di poter iscrivere ipoteca giudiziale sui beni immobili personali di questi ultimi, non potendo a tal fine avvalersi del titolo ottenuto nei confronti della società" (Cass. civ., sez. 3, ord. n. 21768/2019; Cass. civ., sez. 3, sent. n. 25378/2018). Del tutto ammissibile è, dunque, la domanda di condanna proposta nei confronti di (...). Tale domanda deve ritenersi anche fondata, non essendovi alcuna prova del pagamento delle somme rivendicate dall'opposta. Il (...) ha eccepito l'avvenuto pagamento della retribuzione di ottobre 2018 ma non ha offerto alcuna prova documentale del suddetto pagamento. Non essendovi alcuna specifica contestazione sulla quantificazione della somma rivendicata dall'opposta, (...) va condannato al pagamento in favore di (...) di Euro 3.158,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma periodicamente rivalutata dalle singole scadenze al saldo ex art. 429 c.p.c. La somma è stata correttamente quantificata ed è dovuta al lordo di ritenute fiscali e previdenziali. Per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, le pronunce giudiziali relative a crediti di lavoro devono avere ad oggetto le somme dovute al lordo delle trattenute fiscali e previdenziali, le quali vengono operate al momento del pagamento finale da parte del datore di lavoro nel suo ruolo di sostituto di imposta. In altre parole, il meccanismo della sostituzione di imposta attiene solo alle modalità di adempimento del debito fiscale e non può modificare la consistenza dell'originario credito retributivo. Il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, è stato anche di recente ribadito dalla Corte di Cassazione affermandosi che "l'accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo sia delle ritenute fiscali, sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore, atteso che la determinazione delle prime attiene non al rapporto civilistico tra datore e lavoratore, ma a quello tributario tra contribuente ed erario, e devono essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che il lavoratore abbia effettivamente percepito il pagamento delle differenze retributive dovutegli, mentre, quanto alle seconde, il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 19 della l. n. 218 del 1952, può procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo" (Cass. civ., sez. lavoro, sent. n. 18044/2015). Si è, inoltre, ritenuto che "in tema di contributi previdenziali, quando il datore di lavoro corrisponde tempestivamente i crediti retributivi può legittimamente operare la trattenuta dei contributi da versare all'ente previdenziale, non può farlo, invece, in caso di intempestività, da valutarsi con riferimento al momento di maturazione dei crediti e non a quello di accertamento giudiziale degli stessi, sicché in detta ipotesi il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico" (Cass. civ. sez. lavoro, sent. n. 18897/2019). Il parziale accoglimento dell'opposizione concreta la fattispecie della reciproca soccombenza e giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: accoglie parzialmente l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 202/2020; condanna (...) al pagamento in favore di (...) di Euro 3.158,10, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma periodicamente rivalutata dalle singole scadenze al saldo ex art. 429 c.p.c.; compensa integralmente le spese di lite. Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Chieti, 17 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CHIETI in composizione monocratica, costituito dal Giudice, dott. Enrico Colagreco, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 49 R.G. Cont. anno 2018 TRA (...) (C.F.(...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Le.; elettivamente domiciliata come in atti; ATTORE/OPPONENTE E (...) (C.F.:(...)), (...) (C.F.: (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Pimpini; elettivamente domiciliati come in atti; CONVENUTI/OPPOSTI (...), (...), (...), (...), (...) S.P.A. in persona del legale rapp.te pro tempore, CONDOMINIO "PALAZZO (...)", in persona dell'amministratore pro-tempore; CONVENUTI/CONTUMACI OGGETTO opposizione all'esecuzione; MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione in opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. ritualmente notificato, (...), ha introdotto il giudizio di merito dell'opposizione successiva all'esecuzione a seguito, per l'appunto, di ricorso in opposizione all'esecuzione presentato da (...) e (...), debitori esecutati nella procedura 54/2014 (cui era riunita la n. 104/2014). A sostegno della domanda (...) ha premesso in fatto: che in forza di titolo esecutivo costituito dalla sentenza n. 574/2013 del Tribunale Civile di Chieti "sostanzialmente confermata" dalla sentenza n. 1031/2015 della Corte di Appello di L'Aquila - divenuta irrevocabile per mancata impugnazione - ha promosso nei confronti dei debitori solidali (...) e (...) la procedura espropriativa immobiliare R.G.E. 104/2014 (riunita alla n. R.G.E. 54/2014 promossa da altro creditore), per la complessiva somma di Euro 162.162,26; che, a seguito di ricorso in data del 24.10.2016, gli esecutati hanno proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. "nei confronti di tutti i creditori procedenti e intervenuti, deducendo per ciascuno di essi distinte ragioni di opposizione, ed istando per la sospensione della procedura espropriativa (anche per opportunità in ragione dell'avvenuto deposito di istanze di esdebitazione ex L. n. 3 del 2012 - nello specifico e per entrambi c.d. piano del consumatore)"; che " relativamente alla posizione della creditrice - esponente (...) le ragioni di opposizione si sono sostanziate nella esclusiva asserzione di un presunto credito risarcitorio vantato dagli opponenti vantato nei confronti della stessa (nonché nei confronti di altri soggetti - quindi da considerarsi in proporzione di quote condominiali) per la complessiva somma di Euro 136.271,72 come portata dal decreto ingiuntivo n. 624/2016 del Tribunale di Chieti e quindi in ragione di intervenuta e accertanda compensazione tra le rispettive ragioni di credito e così per intervenuta e dichiaranda estinzione del credito della sig.ra (...)"; che "definita la fase incidentale, nel contraddittorio tra le parti, con l'ordinanza del 7.12.2017 del G.E. sospensiva della radicata complessiva procedura espropriativa, disposta la revoca del provvedimento di sospensione con decreto del Tribunale in composizione collegiale del 10.4.2018 a seguito di introdotto reclamo, con atto di citazione dell'8.1.2018 (nelle more della definizione del procedimento incidentale in fase di gravame) è stato necessariamente introdotto il presente giudizio di merito, ad istanza della sig.ra (...), al fine di dedurre e far accertare l'infondatezza e l'insussistenza delle ragioni di opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. spese nei propri confronti dagli opponenti C. e (...)". (...), ha, quindi, dedotto in diritto: 1) "l'irrilevanza" e/o "inammissibilità" delle depositate istanze di esdebitazione ex L. n. 3 del 2012 (nella specie piani del consumatore); 2) l'esistenza di un credito vantato da (...) comunque superiore a quello asseritamente ritenuto esistente e portato in compensazione da (...) e L.; 3) l'inoperabilità della invocata compensazione ex art. 1243 cod. civ. tra un credito certo, liquido ed esigibile siccome portato da accertamento giudiziale irrevocabile (quello vantato dall'odierna attrice) ed il controcredito eccepito in compensazione da (...) E L. non avente gli stessi requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità in quanto ancora oggetto di accertamento giudiziale dinanzi il Tribunale Civile di Chieti "in ordine sia all'an che al quantum"; 4) l'inammissibilità della richiesta compensazione per preesistenza delle ragioni creditorie di (...) e L. a quella di credito di (...). (...) ha, quindi chiesto: "disattesa e rigettata ogni contraria prospettazione, eccezione, domanda e conclusione in via principale rigettare in quanto assolutamente inammissibile nonché infondato, per i motivi tutti esposti, il ricorso in opposizione sensi e per gli effetti dell'art. 615 c.p.c, nel contesto del procedimento espropriativo immobiliare riunito ai numeri 54/2014 e 104/2014 pendente dinanzi il Tribunale di Chieti proposto con atto del 24.10.2016 da (...) e (...) nei confronti di (...), o comunque, in via subordinata, rigettare lo stesso in quanto per lo meno sussistente e persistente un credito di Euro 30.482,04 o comunque per diversa somma di giustizia accertata, da parte di (...) nei confronti di (...) e (...) tale da legittimare il promovimento e la prosecuzione del procedimento espropriativo immobiliare iscritto al n. r.g.e. 104/2014. Con vittoria nelle spese e competenze del presente giudizio." Hanno resistito (...) e (...) i quali hanno eccepito: 1) l'inammissibilità della domanda, stante, per l'appunto, l'eccepita compensazione con credito il credito vantato da (...) e (...), portato "dal decreto ingiuntivo oggetto di opposizione dinanzi al medesimo Tribunale oggi adito (RGC 2275/16 RGC). Al riguardo, da un verso, giova evidenziare che ogni questione relativa al predetto titolo dovrà essere scrutinata nella sede naturale, cioè dinanzi al Giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo e non dinanzi al Giudice ex art. 616 c.p.c., che non può certamente svolgere valutazioni e decidere una controversia trattata da altro giudice"; 2) l'inammissibilità delle "eccezioni di non omogeneità dei crediti e della necessità diportare in compensazione solo crediti sorti successivamente al credito principale, siccome non dedotti al momento della costituzione in sede cautelare, della quale la presente fase è la naturale prosecuzione, per cui non possono essere allegate circostanze non sollevate precedentemente"; hanno, inoltre, dedotto: 3) sospensione della presente procedura per instaurazione di procedura di "esdebitazione"; 4) l' operabilità della compensazione. (...), (...), (...), (...), (...) S.P.A. in persona del legale rapp.te pro tempore, CONDOMINIO "PALAZZO (...)", in persona dell'amministratore pro-tempore, ritualmente citati, non so sono costituiti in giudizio, talché devono essere dichiarati contumaci. Instaurato il contraddittorio, esaurite le fasi di trattazione ed istruttoria, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione. 1. - La domanda attorea è fondata. 2. - Deve premettersi che nella specie in applicazione del principio cd. della ragione più liquida, la causa va sin d'ora decisa nel merito in punto di inoperabilità, allo stato, della dedotta compensazione tra crediti sollevata da (...) e (...). 2.1. Al riguardo, è noto che il principio della "ragione più liquida", imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all'art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata - senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. Sez. - L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014). In applicazione del principio processuale della "ragione più liquida" - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, nel caso di specie l'inoperabilità dell'eccepita compensazione, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale. (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9936 del 08/05/2014) 3. Ciò detto, si rileva che il credito vantato da (...) e (...) posto a fondamento della dedotta compensazione trova fondamento nel decreto ingiuntivo n. 624/2016 r.g. emesso dal Tribunale di Chieti nei confronti di (...) ed altri; avverso il predetto provvedimento monitorio è stata proposta opposizione (iscritta ai numeri riuniti R.G. 2275/2016 - 2276/2016 e 109/2017 R.G.) ; è incontestato tra le parti che tale giudizio sia ancora pendente in I grado. 3.1. Ora, la cornice teorica di riferimento in punto di compensazione tra crediti è la seguente. In base ai consolidati e condivisi indirizzi della Suprema Corte (da ultimo Sez. U., n. 23225 del 15/11/2016) poiché l'art. 1246 c.c. si limita a prevedere che la compensazione si verifica quali che siano i titoli da cui nascano i contrapposti crediti e debiti senza espressamente restringerne l'applicabilità all'ipotesi di pluralità di rapporti; pertanto, ai fini della configurabilità della compensazione in senso tecnico di cui all'art. 1241 c.c., non rileva la pluralità o unicità dei rapporti posti a base delle reciproche obbligazioni, essendo invece necessario solo che le suddette obbligazioni, quale che sia il rapporto (o i rapporti) da cui esse prendono origine, siano "autonome", ovvero "non legate da nesso di sinallagmaticità" (Cass. 9 maggio 2006, n. 10629 cit.), mentre in mancanza della suddetta autonomia è configurabile soltanto la cosiddetta compensazione impropria o atecnica, in base alla quale la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza (vedi, per tutte: Cass. 17 aprile 2004, n. 7337; Cass. 2 marzo 2009, n. 5024). La compensazione propria - che non è rilevabile d'ufficio - può essere legale o giudiziale, nel primo caso la presenza di due crediti contrapposti liquidi ed esigibili è anteriore al giudizio, mentre nel secondo caso il credito opposto in compensazione non è liquido, ma viene liquidato dal giudice nel processo, perché reputato di "pronta e facile liquidazione". Invece, alla compensazione impropria sono inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni, poiché in tal caso la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un semplice accertamento contabile di dare ed avere, al quale il giudice può procedere anche d'ufficio, in assenza di apposita eccezione di parte o della proposizione di domanda riconvenzionale (Cass. 26 maggio 2014, n. 11729; Cass. 29 agosto 2012, n. 14688; Cass. 10 novembre 2011, n. 23539; Cass. 19 aprile 2011, n. 8971; Cass. 5 dicembre 2008,n. 28855; Cass. 8 agosto 2007, n. 17390; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass. 29 marzo 2004, n.6214). La compensazione è applicabile anche in presenza di ragioni debitorie derivanti dalla commissione di un fatto illecito, pertanto sono da ritenere compensabili i crediti nascenti dal comportamento illecito di un dipendente e le somme cui il datore stesso è tenuto a titolo di TFR a favore di quest'ultimo (Cass. 5 dicembre 2008, n. 28855; Cass. 17 aprile 2004, n. 7337). La peculiarità della compensazione atecnica consiste nel fatto di rendere possibile la compensazione tra crediti che non siano tra loro autonomi, ma deve pur sempre trattarsi di crediti per i quali ricorrano i requisiti di cui all'art. 1243 c.c. (arg. ex Cass. 9 maggio 2006, n. 10629), cioè crediti certi, liquidi ed esigibili o di facile e pronta liquidazione. Inoltre, com'è noto, i crediti si definiscono liquidi quando siano esattamente determinati nel loro ammontare; sono esigibili ogniqualvolta il creditore sia legittimato a pretendere immediatamente l'adempimento. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, recentemente intervenute sui predetti requisiti, hanno statuito che "in tema di compensazione dei crediti, se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l'esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest'ultima, ex art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, resta pertanto esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, ed è parimenti preclusa l'invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall'art. 295 c.p.c. o dall'art. 337, comma 2, c.p.c, in considerazione della prevalenza della disciplina speciale dell'art. 1243 c.c.." (Sez. U - , n. 23225 del 15/11/2016). 3.2. Nel caso di specie, il giudizio di opposizione che accerta l'esistenza del controcredito vantato dai convenuti (...) e (...) (ed opposto in compensazione) non è definitiva, talché l'invocata compensazione non opera. 4. Per inciso, quanto alla procedura di esdebitazione esula dalla cognizione di questo giudice ogni decisione in ordine alla legittimità e fondatezza della relativa procedura, demandata ex lege alla cognizione del giudice competente; si rileva, in ogni caso, che le proposte procedure di esdebitazione ex L. n. 3 del 2012 siano state dichiarate inammissibili dal Tribunale di Chieti con decreti del 17.7.2018 (docc. 17/18 fascicolo parte opponente). 5. In conclusione, l'odierna opposizione va accolta. 6. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con riferimento ai compensi medi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, deduzione o eccezione disattesa così provvede: 1) accoglie l'opposizione e, per l'effetto, accerta e dichiara, allo stato, non opponibile a (...), l'eccepita compensazione da parte di (...) e (...) del credito portato dal decreto ingiuntivo n. 624/2016; 2) condanna i convenuti, in solido tra di loro, a rifondere a parte attrice le spese del giudizio, liquidate in Euro 13.430,00 per compensi, oltre rimborsi (15%), IVA e CAP come per legge. Così deciso in Chieti il 3 giugno 2021. Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI rito civile monocratico IL GIUDICE - dott. Nicola Valletta - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1892/'19 R.G.A.C.C., promossa con citazione e vertente tra "(...)" s.p.a. - legale r.nte - con sede in M. ed in V. elettivamente domiciliata alla (...), presso lo studio dell'avv. Gi.FE. del Foro di Verona, che la rappresenta e difende in forza di procura in atti; - ATTORE - e (...) residente a (...) (C.) e (...) residente a M. (P.); in proprio e quali titolari della responsabilità genitoriale sui minori (...) (17/8/13) e (...) (23/3/15); entrambi elettivamente domiciliati in Pescara alla via (...), presso lo studio dell'avv. Sa.CI. del Foro di Pescara, che li rappresenta e difende in forza di procura in atti; - CONVENUTO - OGGETTO: azione revocatoria. CENNI SUL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Parte attorea espone essere creditore di (...) per Euro 234.782,33 (al giorno 11/3/19) in forza di garanzia personale prestata in relazione a mutuo chirografario del 18/10/11 concesso a ente societario di capitali. Con sentenza in data 22/8/18 il tribunale di Roma ha respinto (anche) domanda della (...) relativa alla sua posizione debitoria. Il credito verso il mutuatario è stato anche ammesso a passivo fallimentare. In data 7/3/14 la (...) è stata messa in mora dal creditore Con rogito in data 12/11/'14 (trascritto il 13/11/14; n. 16789 RG e n. 13244 RP) la (...) ha reso atto ex art. 2645 ter cod. civ. in relazione a unico suo immobile in proprietà, sito a S. G. teatino (C.), in N.C.E.U. al fg. (...) part. (...) sub (...). Argomentando su "eventus damni" e "scientia damni", chiede parte attorea dichiararsi inefficace, nei propri confronti, l'atto dispositivo suddetto, a titolo di azione revocatoria; con ristoro delle spese. Parte convenuta ha eccepito prescrizione del diritto di agire in revocatoria, indicando termine quinquennale scaduto il 13/11/19 (invoca a tal fine Cass. 11578/18 e Cass. 11815/14) con notifiche espletate rispettivamente il 14 e il 15 novembre 2019. Nega la rilevanza della sentenza del tribunale di Roma invocata da controparte. Contrasta nel merito la sussistenza dei presupposti e chiede che la domanda sia respinta, con ristoro delle spese. Con ordinanza del 5/8/2020 sono state ammesse prove orali e documentali. Osserva il decidente quanto segue. L'eccezione di prescrizione va respinta. "In tema di azione revocatoria, la norma dell'art. 2903 cod. civ. va coordinata con quella prevista dall'art. 2935 cod. civ., secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Ne consegue che, nel caso in cui sia esercitata un'azione ex art. 2901 cod. civ. per la revoca di un atto di trasferimento di un immobile, la prescrizione inizia a decorrere non già dalla data di stipulazione ma da quella di trascrizione dell'atto, necessaria affinché il trasferimento sia reso pubblico, conoscibile ai terzi ed a loro opponibile" (Cass. 11815/14; nessuna successiva difforme) Nel caso di specie, la trascrizione dell'atto si è perfezionata in data 13/11/14 e il termine quinquennale di prescrizione è maturato in data 13/11/19. Va però rilevato che: "La regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall'atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l'atto perviene all'indirizzo del destinatario" (Cass. S.U. 24822/15; nessuna successiva difforme). Nel caso di specie, gli adempimenti a carico del notificante sono stati espletati tutti entro il termine di cui sopra. Passando al merito della questione, come è noto le condizioni di legge (art. 2901 cod. civ.) per la revocatoria cd. ordinaria sono: - che vi sia pregiudizio -nella disposizione- alle ragioni creditorie ("eventus damni"); - che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore ("scientia damni"); - (per i soli atti a titolo oneroso; ciò che non ricorre nel caso di specie) che il terzo sia consapevole del pregiudizio ("consilium fraudis"). Va certamente rammentato che l'azione revocatoria ordinaria tutela non solo l'interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche l'interesse all'assicurazione di uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell'azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia; sicchè il riconoscimento dell'esistenza dell' "eventus damni" non presuppone una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostrazione da parte di quest'ultimo della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore. E' ben vero poi che in tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una variazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell'atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti dell'azione revocatoria, provare che il proprio patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. Quanto alla "scientia damni" è ben vero che (Cass. 23913/'19) è sufficiente la semplice consapevolezza del debitore di arrecare pregiudizio, ossia la previsione di un mero danno potenziale. Tuttavia la prognosi di detta consapevolezza è formulabile nel caso di specie, stante la scansione temporale degli eventi. E invero la parte attorea indica un contratto di fideiussione risalente al 26/10/'11 e il mutuo garantito è stato risolto con missiva in data 7/3/'14; in pari data distinta missiva ha costituito in mora il fideiussore (doc. 13 di parte attorea). Detta scansione temporale e dette circostanze danno prova quindi dell'esistenza della "scientia damni" alla data (12/11/'14) del negozio di cui è chiesta revocatoria. Nel caso di specie però l'atto oggetto di revocatoria si concreta in destinazione di cespiti immobiliari ai sensi dell'art. 2645 ter cod. civ. Osserva il decidente che nessun intento fraudolento può affermarsi nella manifestazione unilaterale di volontà della (...), che ha reso il negozio "de quo" certamente per destinare l'immobile ai bisogni della prole, ben documentati e emersi anche nettamente in sede di assunzione della prova per testi ammessa. Tuttavia, la tesi secondo la quale va affermata la preminenza dell'interesse sotteso all'istituto ex art. 2645 ter cod. civ. (ove genuino: e tale è nel caso di specie, come già detto) sull'interesse sotteso dalle disposizioni dell'art. 2901 cod. civ. ha trovato smentita in Cass. 3697/2020, che ha ricondotto il negozio "de quo" nell'alveo delle disposizioni negoziali unilaterali gratuite, "sic et simpliciter" scrutinabili ex art. 2901 cod. civ. In tale contesto, la domanda trova ragioni di fondamento, non essendo rilevante la permanente litigiosità del credito verso il garantito. La domanda va quindi accolta ma sussistono ragioni di compensazione delle spese, stante orientamento giurisprudenziali emerso solo successivamente alla citazione. P.Q.M. il Giudice unico del Tribunale di Chieti definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti, nella causa civile iscritta al n. 1892/19 R.G.A.C.C., così decide: - accoglie la domanda e dichiara l'inefficacia, nei confronti di pèarte attorea, del rogito reso in data 12/11/'14 (trascritto il 13/11/'14; n. 16789 RG e n. 13244 RP) e relativo a immobile in proprietà di (...), sito a S. G. teatino (C.), in N.C.E.U. al fg. (...) part. (...) sub (...); - compensa le spese. Così deciso in Chieti il 25 maggio 2021. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CHIETI SEZIONE LAVORO Il giudice del lavoro, dott.ssa Laura Ciarcia, pronunciando nella causa n. 253/2020 R.G.A.C. promossa da De.Ci. (Avv. St.Co.), e contro l'I.N.P.S. di Chieti (avv. M.Ca. e C.Gr.), avente ad oggetto :diritto al congedo di paternità, osserva quanto segue: - 1 - Con ricorso del 29.2.2020, il ricorrente in epigrafe indicato, premesso di essere dipendente in servizio presso la società (...) S.r.l. Italia e di essere coniugato con la sig.ra (...), lavoratrice autonoma iscritta all'ENPAP, deduceva: che con decreto del 15.04.2019 il Tribunale per i Minorenni di L'Aquila aveva disposto il collocamento preadottivo provvisorio, in vista di futura adozione della piccola (...) (già (...)); che il 16.04.2019, in ossequio a quanto previsto dal suddetto decreto, la piccola (...) era entrata nella sua famiglia; di aver in data 06.05.2019, presentato all'Inps ed al proprio datore di lavoro apposita domanda per usufruire del congedo di paternità, allegando alla stessa anche la dichiarazione a firma della moglie sig.ra (...), attestante la di lei volontà di non usufruire del congedo di maternità; di aver iniziato ad usufruire del predetto congedo di paternità; che con provvedimento del 18.07.2019, l'I.N.P.S. - Sede Prov.le di Chieti gli aveva comunicato il rigetto della propria domanda, in quanto: "la madre, lavoratrice autonoma, non può rinunciare al congedo di maternità in quanto non ha diritto al congedo di maternità ma solamente all'indennità di maternità''. Agiva in questa sede all'esito del rigetto della sua richiesta di riesame del provvedimento di reiezione della domanda di congedo paternità INPS.2300.06/05/2019.0088277, lamentando che il datore di lavoro aveva dovuto attivare il recupero delle somme anticipategli, chiedendo di "1) - accertare e dichiarare la sussistenza, in capo al ricorrente, del diritto al congedo di paternità per un periodo di cinque mesi, che va computato nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti di legge (compresi quelli relativi alla tredicesima e quattordicesima mensilità, ferie, TFR, ecc.); 2) - conseguentemente, condannare l'I.N.P.S. al riconoscimento del predetto diritto e all'erogazione della relativa indennità, in misura della quota a suo carico, corrispondente all'80% della retribuzione del ricorrente, così come previsto dal CCNL; con ogni conseguenza di legge, anche in ordine agli adempimenti contributivi del datore di lavoro. Con vittoria di spese e competenze di giudizio". Si costituiva tempestivamente in giudizio l'Inps, deducendo: che il congedo di paternità spetta al lavoratore dipendente o autonomo in alcuni casi specifici e tassativi elencati dalla norma e precisamente morte o grave infermità della madre, abbandono, affidamento esclusivo del figlio e "anche in caso di madre lavoratrice autonoma"; che il ricorrente non si trovava nelle condizioni di cui all'art. 28 del dlgs 151/2001 e non ricorrevano le condizioni tassative previste dal predetto articolo, oltre al fatto che la moglie non poteva "essere ritenuta una lavoratrice autonoma ma è una libera professionista"; che il padre adottivo o affidatario, diversamente da quanto previsto per il padre naturale, "potrà usufruire del congedo di paternità non solo nei casi di affidamento esclusivo, morte, grave infermità, o abbandono della madre ma anche in caso di rinuncia della madre adottiva lavoratrice subordinata"; che non si era "in presenza di un diritto autonomo da parte del padre ma di un diritto dipendente dal diritto che compete alla madre, la quale è solo e soltanto una lavoratrice subordinata"; che nel caso di una lavoratrice libero professionista non era previsto che la stessa potesse effettuare validamente una rinuncia al congedo di maternità in favore del coniuge. Chiedeva: "nel merito rigettare l'avverso ricorso, in quanto del tutto infondato in fatto e diritto nonché inammissibile perché sfornito di prova. Con vittoria di spese, diritti ed onorari' La causa, matura per la decisione allo stato degli atti, la causa è stata decisa mediante adozione fuori udienza della presente sentenza con motivazione contestuale, previo deposito di note conclusive autorizzate e deposito in telematico di note scritte contenenti le istanze e conclusioni ex art. 221 comma 4 della legge 77/2020. - 2 - La normativa invocata da parte ricorrente e destinata a regolare l'ipotesi dell'affidamento adottivo si colloca in un quadro, delineato dal legislatore (italiano e comunitario) e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, tendente a superare la tradizionale prospettiva di tutela della maternità intesa come prerogativa esclusiva della donna a favore di una concezione, maggiormente adeguata all'evoluzione sociale, in base alla quale ambedue i genitori sono chiamati paritariamente alla cura del figlio nei suoi primi mesi di vita. Per delineare più specificamente tale evoluzione è utile richiamare l'Accordo quadro sul congedo parentale fatto proprio dalla direttiva 96/34/CE, recepita nel nostro ordinamento dalla L. n. 53/2000 e dal successivo D. Lgs. n. 151/2001. Tale Accordo individua l'obiettivo di conciliare le esigenze familiari con quelle professionali, in conformità con quanto prevede il punto 16 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, al fine di stimolare la partecipazione alla vita attiva e lavorativa della donna e correlativamente l'impegno familiare del padre. Obiettivo, questo, perseguito dal nostro legislatore proprio con il D. Lgs n. 151/2001. Il fine perseguito dalla normativa comunitaria è, dunque, quello di porre su di una posizione paritaria il padre e la madre nella cura del nascituro e dell'adottando, in modo che essa sia assicurata da entrambi i genitori. Anche la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare, nella sentenza n. 385/2005 che, come si evince dalla ratio sottesa a tali interventi normativi, gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino, il quale va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità (sentenza n. 179 del 1993). Nella sentenza n. 179/1993 la Corte afferma: "... pur permanendo la coscienza della funzione sociale della maternità, si è andato sempre più valorizzando il prevalente interesse del bambino e - superandosi una rigida concezione della diversità dei ruoli dei due genitori e dell'assoluta priorità della madre - si sono riconosciuti paritetici diritti-doveri di entrambi i coniugi e la reciproca integrazione di essi alla cura dello sviluppo fisico e psichico del loro figlio..."; "...la svolta veniva avvertita e favorita da questa Corte con la sentenza 14 gennaio 1987, n. 1, 10 marzo 1988, n. 276, 11 marzo 1988, n. 332, 19 ottobre 1988, n. 972, 8febbraio 1991, n. 61 e 15 luglio 1991, n. 341."; "... queste sentenze, infatti, oltre a riconfermare e potenziare i diritti della madre-lavoratrice, elevano ancor più la posizione del bambino quale autonomo titolare di interessi da salvaguardare nell'ambito della legislazione protettiva, e sottolineano che il figlio va tutelato, "non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità". In questo contesto, "anche il padre è idoneo - e quindi tenuto - a prestare assistenza materiale e supporto affettivo al minore"; e lo stesso dicasi riguardo alla paternità e maternità legali". E' vero che la sentenza n. 385/2005 della Corte si riferisce al diverso caso della spettanza al padre dell'indennità di maternità in alternativa alla madre - attribuita dalla normativa solo a quest'ultima - ma è significativo che la Corte, dopo aver richiamato il principio per cui è il figlio il principale soggetto cui è rivolta la tutela delle norme sulla maternità, abbia affermato che". Occorre garantire un'effettiva parità di trattamento fra i genitori - nel preminente interesse del minore - che risulterebbe gravemente compromessa ed incompleta se essi non avessero la possibilità di accordarsi per un'organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole...". Tanto premesso in generale, si ritiene che occorra dare alla norme regolanti il caso di specie (artt. 26 e 31 del D. Lgs. 151/2001) un'interpretazione coerente con tale quadro, o, in altre parole, costituzionalmente orientata. L'interpretazione adeguatrice delle norme citate costituisce soluzione obbligata che rende inappropriata e indebita ogni ipotesi di sottoposizione della norma al vaglio della Corte Costituzionale, essendo il giudice obbligato, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale, a verificare la presenza di un'interpretazione conforme a Costituzione (cfr. Corte cost., ordin. n. 452/2005, 361/2005, 283/2005, 433/2004; sent. n. 198/2003, 107/2003, 316/2001, 113/2000). L'interpretazione costituzionalmente adeguatrice implica necessariamente una operazione estensiva o riduttiva rispetto al tenore letterale della norma. Nel caso in esame si tratta di un intervento che, per applicare la norma in modo compatibile con la Costituzione e, più in generale, con il quadro dei principi generali soprarichiamati, implica l'estensione del tenore letterale della norma, dovendosi essa riferire non solo alle madri ma anche ai padri. Più in particolare, l'art. 26, comma 2, del D. Lgs. 151/2001, così come modificato dalla Legge n. 244/2007 riconosce, in caso di adozione nazionale, alle lavoratrici madri che abbiano adottato un minore, il congedo di maternità, che deve essere fruito durante i primi cinque mesi successivi all'effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice; l'art. 31 del D. Lgs. n. 151/2001, così come novellato dal comma 454 dell'art. 2 della L. 244/2007, prevede che il congedo di maternità per adozioni e affidamenti che non sia stato chiesto dalla lavoratrice, spetti per tutta la durata o per la parte residua, alle medesime condizioni, al padre lavoratore dipendente (inoltre, l'art. 6 del D. Lgs. 80/2015, modificando l'art. 31 del D. Lgs. 151/2001, ha stabilito che il padre abbia diritto di astenersi dal lavoro anche qualora la madre non sia lavoratrice); l'art. 28 del D. Lgs. n. 151/2001prevede che i padre lavoratore abbia diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, "in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché' in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre"; il successivo comma 1 - bis del art. 28 aggiunge che "le disposizioni di cui al comma I si applicano anche qualora la madre sia lavoratrice autonoma avente diritto all'indennità di cui all'articolo 66...". Il fatto che la madre libera professionista abbia diritto all'indennità da ultimo menzionata indipendentemente dall'astensione obbligatoria dal lavoro conferma che la ratio della norma non vada ravvisata nell'esigenza di tutela della salute della donna, bensì in quella di assicurare la migliore cura del nascituro/adottando. In questo senso, quindi, la migliore cura non può che essere assicurata da entrambi i genitori, i quali, come affermato dalla Corte Costituzionale, sono i migliori interpreti delle esigenze familiari e devono quindi poter scegliere se e come assentarsi dal lavoro nel modo più adeguato alla cura del loro figlio. È pacifico che nel caso di specie la moglie del ricorrente, lavoratrice autonoma (psicologa iscritta alla propria Cassa previdenziale di appartenenza) avrebbe avuto diritto all'indennità di maternità per un periodo di cinque mesi e non è contestato che la stessa abbia comunicato al proprio ente previdenziale ed all'Inps la propria rinuncia a godere della predetta indennità (vi veda il doc. 5 di parte ricorrente), proprio al fine di consentire al marito, lavoratore dipendente, di godere del congedo di paternità, e di evitare che entrambi i coniugi godessero di benefici analoghi (indennità di maternità e congedo di paternità), in relazione allo stesso evento (l'adozione della piccola (...)). II fatto che il menzionato art. 31 preveda la spettanza del congedo di cui all'art. 26, commi 1, 2 e 3, - che non sia stato chiesto dalla lavoratrice - "alle medesime condizioni, al lavoratore" induce a ritenere che il padre lavoratore dipendente sia titolare di un diritto proprio al congedo di paternità anche nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, ma una lavoratrice autonoma, tanto più che, nel caso di specie, la moglie del ricorrente neppure risulta aver fruito dell'indennità di maternità. Il riconoscimento al padre lavoratore dipendente, coniugato con lavoratrice autonoma, di un autonomo diritto a fruire del congedo di paternità nell'ipotesi di rinuncia della predetta lavoratrice a fruire dell'unica forma di tutela riconosciuta dalla legge (indennità di maternità) costituisce l'unico modo per assicurare il raggiungimento della finalità, sottesa alla normativa nazionale ed internazionale, di garantire ad entrambi i genitori, in posizione di parità, "la possibilità di accordarsi per un'organizzazione familiare e lavorativa meglio rispondente alle esigenze di tutela della prole". Deve, pertanto, concludersi che il ricorrente abbia il diritto a fruire del congedo di paternità per un periodo di cinque mesi dalla data di ingresso della propria figlia minore nel suo nucleo familiare ad ogni effetto di legge e che l'I.N.P.S. debba essere condannato al riconoscimento del predetto diritto e all'erogazione della relativa indennità, in misura della quota a suo carico, corrispondente all'80% della retribuzione del ricorrente, così come previsto dal CCNL, con ogni conseguenza di legge, anche in ordine agli adempimenti contributivi del datore di lavoro. - 3 - L'assoluta novità della questione giustifica la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il giudice del lavoro, visti gli artt. 429 e 442 c.p.c., definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede: dichiara il diritto di De.Ci. a fruire, ad ogni effetto di legge, del congedo di paternità di cui alla domanda del 06.05.2019 e per l'effetto, condanna l'I.N.P.S. al riconoscimento del predetto diritto e all'erogazione della relativa indennità, in misura della quota a suo carico, corrispondente all'80% della retribuzione del ricorrente, così come previsto dal CCNL con ogni conseguenza di legge, anche in ordine agli adempimenti contributivi del datore di lavoro; compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Chieti il 31 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2021.

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