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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale di Como, sezione prima civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott. Giorgio Previte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5727 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019, vertente TRA (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. Il.To., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Como (CO) - Via (...) -attrice- CONTRO (...) S.R.L. (C.F. e P.IVA (...)), in persona dei legali rappresentanti pro tempore Sig. (...) e (...) S.r.l. (C.F. e P.IVA (...)), in persona della Sig.ra (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ma.Gh. ed Al.Lo., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Milano, via (...) - convenuta- E CONTRO DOTT. (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dagli Avv. Mi.Pi., elettivamente domiciliato in Como, via (...) presso lo studio dell'Avv. Al.Gr. - terzo chiamato- DOTT. (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ma.Re. e Lu.Ga., ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questi ultimi n Varese, via (...) - terzo chiamato- DOTT. (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Pa.Na., ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultima in Varese, via (...) - terzo chiamato- (...) S.P.A., (P. IVA (...)) in persona del legale procuratore dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Fu., ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima in Como, p.za (...) DOTT. ((...)) -terzo chiamato- OGGETTO: risarcimento danno da responsabilità medica SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE (Sulle vicende processuali) Con atto di citazione (...) conveniva in giudizio (...) s.r.l. per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 49.000,00= a titolo di danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati -oltre alle spese di ATP- a seguito di trattamenti odonto-protesici ricevuti presso la lo studio odontoiatrico (...), sito in (...), via M., e asseritamente realizzati non a regola d'arte. Si costituiva parte convenuta (...) s.r.l. che, oltre a chiedere il rigetto della domanda avversaria per infondatezza della stessa, domandava ex art. 106 e 269 c.p.c. l'autorizzazione alla chiamata in causa del Dott. (...) affinché, in ipotesi di accoglimento delle richieste attoree, manlevasse la società in quanto medico responsabile delle terapie protesiche contestate dalla paziente. Questi a sua volta, richiedeva la chiamata dei dottori (...), (...) e (...) ai fini del riconoscimento della loro responsabilità, in propria manleva, nell'ipotesi di accoglimento della domanda principale di parte attrice e di quella di manleva di parte convenuta. Seguivano le costituzione dei dottori (...) e (...), ritualmente notiziati, non anche del dott. (...) a sua volta chiamava in giudizio, a propria manleva, compagnia assicurativa (...) S.p.A.. In prima udienza il Giudice, in considerazione delle richieste presentate dalle parti con note scritte, concedeva i termini ex art. 183 comma VI c.p.c. All'esito dell'esame delle memorie depositate dalle parti, all'udienza del 22.09.2021, veniva formulata proposta transattiva, -contemplante riconoscimento a parte attrice di Euro 10.000 da parte di (...) srl e di Euro 8.000,00 da parte di (...) - che non veniva accettata unicamente da parte attrice, a fronte della disponibilità emersa da parte della convenuta e dei terzi chiamati. Il Giudice, pertanto, fissava udienza per la precisazione delle conclusioni al 12 ottobre 2022 nella quale, ritenuta la causa matura per la decisione, tratteneva la stessa in decisione, concedendo termine di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusionali ed ulteriori 20 giorni per memorie di replica. (sulle difese delle parti) Parte attrice sostiene di essersi rivolta, nel 2015, allo studio odontoiatrico, (...) s.r.l. per la realizzazione di quattro impianti, due nell'arcata superiore e due nell'arcata inferiore, e tuttavia, immediatamente dopo l' installazione della protesi, di aver riscontrato varie problematiche (tra cui difficoltà a chiudere la bocca, mobilità della protesi, tensioni muscolari, difficoltà nel l'eloquio, bruciore nella parte posteriore del palato e diminuzione dell'udito), e conseguente necessità di rifacimento delle protesi. A sostegno della domanda allega il fascicolo del procedimento per accertamento tecnico preventivo, incardinato dalla stessa presso il Tribunale di Como (RG 4562/2017) al fine di determinare le cause, la valutazione e la quantificazione dei danni subiti, e conclusosi con deposito di elaborato peritale da cui emergeva un errore ascrivibile ad imperizia nell'esecuzione della prestazione, causa dei danni occorsi all'attrice. Giova fin d'ora premettere che, in merito ai rimedi esperibili per l'eliminazione delle conseguenze dannose, l'elaborato peritale aveva individuato come necessario il rifacimento completo dell'impianto protesico nell'arcata superiore in normo occlusione ed il rifacimento dell'impianto protesico inferiore, per il recupero della perdita dell'elemento n. 33, quantificandone i costi in Euro.14.400,00, e aveva accertato altresì un danno biologico temporaneo pari al 10% di invalidità per 12 mesi. L'attrice, tuttavia, contestando in parte le conclusioni cui erano pervenuti i CTU incaricati, afferma che i costi necessari per l'esecuzione degli interventi indicati in perizia debbano essere quantificati in Euro 23.665,00, come da preventivo redatto da professionista terzo, cui si è rivolta privatamente, allegato in atti (doc. 5 citazione). Sostiene inoltre di aver subito danni biologici temporanei, oltre a danni permanenti, e danni morali. Complessivamente individua in Euro.49.000,00 l'ammontare dovuto a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti. La difesa di (...) s.r.l. fonda invece in primo luogo sull'asserita contraddittorietà dell'elaborato peritale che, pur affermando l'inidoneità della solo protesi nell'arcata superiore applicata alla sig.ra N., conclude affermando la necessità di rifacimento della protesi anche nell'arcata inferiore. Inoltre, questa volta in consonanza con la ctu in sede di atp, insiste per la riconducibilità di eventuali responsabilità esclusivamente al dott. (...), medico esercente la propria professione in piena autonomia e indipendenza essendo legato alla (...) srl da contratto di collaborazione professionale, in forza del quale quest'ultima si limitava unicamente a fornire i locali ed i materiali necessari per l'esecuzione delle cure, e con il quale il medico si era espressamente impegnato ad esonerare la società da qualsivoglia conseguenza, civile e/o penale per le proprie prestazioni qualora non eseguite a regola d'arte. Infine, la difesa eccepisce il mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte dell'attrice, in merito alla quantificazione dei danni, basata esclusivamente su un preventivo relativo ai costi necessari per il rifacimento degli impianti protesici ritenuto privo di alcun valore di prova, vieppiù a fronte della quantificazione fattane dai CTU, nel procedimento ex art. 696 c.p.c., in Euro 14.400,00 La difesa di (...) eccepisce, ai sensi della legge Gelli Bianco, la preclusione per la struttura odontoiatrica di poter agire in rivalsa contro l'odontoiatra, attesa l'assenza di dolo o colpa grave in capo a quest'ultimo. Rileva inoltre che la responsabilità per i danni occorsi a parte attrice, ove sussistente e provata, sia al più da ripartirsi in parti uguali tra (...) s.r.l. e il medico. Nega altresì il proprio obbligo di tenere indenne e/o manlevare la (...) s.r.l., atteso che le clausole di esonero di responsabilità della struttura (...) s.r.l., contenute nell'accordo di collaborazione, sarebbero nulle ex art. 1229 c.c., per contrarietà all'ordine pubblico. In estremo subordine, richiama la concorrente responsabilità degli altri odontoiatri intervenuti negli interventi di impiantistica effettuati su parte attrice: dottori (...), (...) e (...). Contesta inoltre la quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali per come effettuata da parte attrice, poiché non supportata da alcun elemento probatorio nonchè divergente rispetto all'elaborato peritale svolto nel procedimento RG 4562/2017, rispetto al quale in ogni caso, richiede la rinnovazione, attesa la propria mancata partecipazione. Le difese del dott. (...) e del dott. (...), sovrapponibili, si concentrano (I) sull'evidenza della mancata responsabilità ascrivibile nei loro confronti - il primo avendo eseguito una sola visita, in data 12/11/2015, ed essendosi limitato a predisporre il piano di intervento, nonché ad applicare due protesi provvisorie ed una resina, il secondo avendo provveduto anch'esso a compiere una sola visita, aver avvitato una vite di guarigione sull'impianto allentato, comunque in data anteriore rispetto alla realizzazione della protesi definitiva-, (II) sull'infondatezza e carenza probatoria della quantificazione dei danni patrimoniali operata da parte attrice, (III) nonché sulla genericità ed infondatezza della richiesta dei danni non patrimoniali richiesti. (...) S.p.A., chiamata in manleva da (...), eccepisce la carenza di legittimazione passiva degli odontoiatri chiamati in causa, in particolare del proprio assicurato, ai sensi dell'art. 9 della Legge Gelli Bianco, secondo cui la struttura odontoiatrica avrebbe potuto agire in rivalsa contro il personale sanitario solo dopo l'avvenuto pagamento del risarcimento del danno. Inoltre, tale azione di rivalsa avrebbe potuto essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave, difettanti nel caso di specie. Contesta inoltre la quantificazione dei danni come dedotti da parte attrice, in quanto sfornita di qualsivoglia allegazione probatoria; ed eccepisce l'esclusione dalla copertura di polizza degli interventi effettuati dal dott. (...), e l'esclusione del proprio obbligo di manlevare e/o tenere indenne il dott. (...) dal pagamento delle spese legali, atteso che lo stesso si era rivolto ad un legale non designato dalla (...), come invece previsto dalle condizioni di polizza. Il dott. (...) non risulta costituito, come peraltro in sede di ATP. A riguardo deve osservarsi come la contumacia dello stesso non sia stata dichiarata alla prima udienza utile e non risulti in atto prova del rituale compimento della notifica dell'atto di chiamata di terzo nei suoi confronti da parte del chiamante dott. (...): nonostante con nota del 26.3.2021 la difesa di quest'ultimo affermi di depositare in allegato "stralcio delle notifiche eseguite ai terzi chiamati dopo autorizzazione del giudice" non risulta nessun atto in allegato. Nondimeno si ritiene opportuno non rimettere la causa sul ruolo, in considerazione del rigetto nel merito delle domande svolte nei confronti del terzo chiamato, e dunque senza pregiudizio alcuno dato dalla sua eventuale mancata vocatio in ius nè nei suoi confronti né di quelli della parte che risulterà soccombente, per come verrà acclarata infra. (sulla procedibilità della domanda) Occorre preliminarmente rilevare come la presente causa, avente ad oggetto il risarcimento del danno da responsabilità medica, sia stata introdotta con atto di citazione iscritto a ruolo il 11 dicembre 2019 e quindi notificato antecedentemente a tale data, con la conseguente necessaria applicazione delle norme di carattere processuale introdotte dalla legge Gelli - Bianco. L'art. 8 della L. 8 marzo 2017, n. 24 ha introdotto, quale condizione di procedibilità per la richiesta di risarcimento del danno da responsabilità medica, il preventivo ricorso ex art. 696 bis c.p.c., ovvero in alternativa il procedimento di mediazione di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010. Il ricorso per accertamento tecnico preventivo promosso dall'attrice, RG 4562/2017, il cui fascicolo telematico è stato allegato all'atto di citazione (cfr. doc. 1 parte attrice), deve ricondursi all'ipotesi di ricorso ex art. 696 c.p.c. piuttosto che all'art. 696 bis c.p.c., in quanto volto esclusivamente ad accertare le cause ed i danni cagionati alla sig.ra N., senza alcuna richiesta di tentativo di conciliazione. Il predetto procedimento, altresì, si è concluso con il mero deposito della relazione dei CTU incaricati, senza che questi abbiano tentato alcuna conciliazione. L'attrice dà atto, nel proprio atto introduttivo, di aver esperito il tentativo di mediazione, conclusosi negativamente, senza però produrre alcuna documentazione a prova del deposito di domanda di mediazione, né alcun verbale. Tuttavia, non risulta contestato l'assolvimento di tale onere in capo all'attrice. Inoltre, l'improcedibilità della domanda non è stata sollevata dalle parti, né è stata rilevata dal Giudice entro il termine della prima udienza, pertanto deve essere affermata la procedibilità della domanda giudiziale. La domanda dell'attrice deve trovare accoglimento, seppur in misura inferiore rispetto al richiesto. (sugli oneri probatori nei rapporti con il danneggiato - sulla responsabilità esterna della struttura) Dagli atti di causa, ed in particolare dalle risultanze peritali in sede di atp -valutate complete e immuni da vizi logici- emerge anzitutto la sussistenza di un danno patito da parte attrice, adeguatamente provato e frutto di responsabilità altrui, a prescindere da che essa venga qualificata quale responsabilità contrattuale della struttura sanitaria o quale responsabilità professionale da contatto sociale del medico. D'altra parte risulta indubitabile che il danno si sia verificato a seguito degli interventi odontoiatrici operati sull'attrice presso lo studio (...) - Società (...) s.r.l. Risulta infatti pacifica la conclusione di un contratto, tra l'attrice e lo studio odontoiatrico (...) - Società (...) s.r.l., avente ad oggetto l'applicazione di 4 impianti protesici, di cui 2 nell'arcata superiore e 2 nell'arcata inferiore. Tale circostanza risulta confermata dalla convenuta, (...), e dal diario clinico prodotto dalla stessa (cfr. doc. 2), allegato alla relazione peritale depositata nel procedimento per accertamento tecnico preventivo RG 4562/2017, ed acquisita nel presente procedimento. Tralasciando per il momento l'indagine sulla responsabilità dei sanitari, occorre richiamare i principi di diritto in materia. E' noto che, in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali, è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito, ovvero il contratto o negozio giuridico, il nesso di causalità tra la condotta del debitore- professionista e il danno lamentato, mentre spetta al debitore dimostrare, in alternativa all'esatto adempimento, l'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, provando quindi che l'inesatto adempimento sia stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo (Cass. Civ. 10050, 29.03.2022). Con specifico riferimento alla responsabilità in materia sanitaria e agli oneri allegatori, si richiamano i seguenti principi (richiamati recentemente dalla Suprema Corte, sez.3, Sentenza n. 5128 del 2020): - "ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile" (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392; Cass. 16 gennaio 2009, n. 975; 9 ottobre 2012, n. 17143; 20 ottobre 2015, n. 21177). Più specificamente, nel campo - "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o 'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. ... l'inadempimento rilevante è quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno ... astrattamente efficiente alla produzione del danno" (Cass. Sez. Un. 577/2008); - "Conseguentemente, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata" ( Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27606 del 29/10/2019; Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 3704 del 15/02/2018); Orbene, il procedimento per accertamento tecnico preventivo incardinato da (...) al fine di determinare le cause, la valutazione e la quantificazione dei danni subiti a seguito degli interventi odontoiatrici eseguiti presso (...) s.r.l., si è concluso con il deposito di elaborato peritale che ha accertato un errore contestabile ai sanitari operanti presso la struttura, e consistito nell'aver applicato una protesi in arcata superiore non in normo occlusione per errata registrazione occlusale, errore ascrivibile ad imperizia nell'esecuzione della prestazione, e determinante successivi interventi errati, causa della riscontrata difficoltà masticatoria della sig.ra (...). Né in fatto sono state allegate ricostruzioni alternative volte a ricondurre ad altri eventi la causa dei danni lamentati dall'attrice; né (...) s.r.l., è stata in grado di dimostrare la derivazione dell'inadempimento da causa a sé non imputabile. Deve pertanto individuarsi, nell'ambito della prestazione fornita a (...), un inadempimento rilevante, costituente causa efficiente del danno; e di conseguenza provato -secondo il principio di causalità adeguata- il nesso causale tra i danni subiti dall'attrice e l'inadempimento, addebitato da (...) alla convenuta. Solo incidentalmente giova osservare come a tali conclusioni debba giungersi indipendentemente dalla qualificazione della natura dell'obbligazione sanitaria (del dentista), essendone in giurisprudenza discussa la riconducibilità ad obbligazione di mezzi (Cass. Civ. 10742/2002) ovvero di risultato (Sez. II Civile, sent. n. 2932 del 18/10/1998): in ogni caso, nell'ipotesi in esame, risulta indubitabilmente accertato l'inadempimento. Qualora si ritenesse di qualificare l'obbligazione come di mezzi è sufficiente richiamare la perizia depositata nel prodromico procedimento per accertamento tecnico preventivo, che ha accertato l'imperizia dei sanitari della (...) s.r.l., e quindi l'inadempimento all'obbligazione assunta, secondo i dettami dell'art. 1176 c.c.. Qualora si propendesse per la riconducibilità nell'alveo dell'obbligazione di risultato, risulta bastevole il richiamo alla relazione medica del 01.08.2017, redatta dalla (...), a firma del dott. (...), dalla quale emerge la continua decementazione del lavoro superiore su impianti, nonché una frattura della ceramica, dovuta alla posizione degli abutement ad altezza non adeguata al lavoro protesico, con conseguente necessità di rifacimento del lavoro. Rifacimento di fatto mai eseguito dalla convenuta. Di tal che non risulta conseguito il risultato prefissato. Quanto alla responsabilità in capo alla struttura, essa deriva dal rapporto contrattuale stipulato con la cliente, alla quale veniva offerta una specifica prestazione, supra descritta (cfr. doc. 2 citazione), ed in ogni caso, per consolidato orientamento della Suprema Corte (vds. Sez. 3, Sentenza n. 7768 del 20/04/2016) secondo cui "anche la struttura presso la quale il paziente risulti ricoverato risponde della condotta colposa dei sanitari, a prescindere dall'esistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze della stessa, atteso che la diretta gestione della struttura sanitaria identifica il soggetto titolare del rapporto con il paziente". Per le ragioni che precedono deve imputarsi a (...) srl la responsabilità per i danni patiti da (...), per come infra verranno determinati. (sugli oneri probatori nei rapporti interni tra struttura e sanitario - sull'ammissibilità del regresso) Quanto precede non esclude l'operatività dell'invocata -da parte convenuta- manleva in ragione delle effettive responsabilità sanitarie accertate. La domanda della convenuta di essere tenuta indenne dal dott. (...) in relazione alla condanna alla condanna di pagamento delle somme dovute alla sig.ra (...), merita anzi accoglimento. Principiando, in diritto, dall'ammissibilità della domanda svolta da parte convenuta, deve ritenersi logicamente compatibile la responsabilità esterna della struttura, ex art. 1228 c.c., prevista a miglior tutela dei terzi danneggiati, con l'ammissibilità, nei rapporti interni, del regresso anche per l'intera somma che il responsabile ex art. 1228 c.c. sia stato condannato a pagare, a condizione che venga accertato che il danno fosse riconducibile unicamente alla condotta colposa di un altro obbligato. La regola probatoria individuata sul punto dalla Suprema Corte è che "grava sulla struttura sanitaria la quale agisca nei confronti del chirurgo in regresso e in garanzia impropria per essere tenuta indenne dalle conseguenze della eventuale condanna, l'onere di provare che la causazione del danno sia ascrivibile, in via esclusiva, alla imperizia dell'operatore medico" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 24167 del 27/09/2019). Ciò premesso in diritto, nel caso di specie risulta acclarata la responsabilità integrale del dott. (...). Risulta infatti dagli atti di causa tanto l'integrale responsabilità del sanitario quanto l'assenza di co-responsabilità della struttura. In relazione a quest'ultimo profilo, si sottolinea come né dalla documentazione versata in atti dalle parti, né dai risultati cui è giunto la ctu in sede di atp, siano emerse responsabilità dell'accaduto imputabili a mancanze tecnico-organizzative della struttura. Di converso, la sussistenza di colpa, sotto forma di imperizia, del sanitario nella condotta professionale concernente l'attività compiuta nei confronti dell'attrice, per come acclarata dai consulenti, si rivela con evidenza. Né, d'altra parte, a conclusioni diverse può portare l'esame della documentazione contrattuale, in termini di inquadramento professionale del professionista sanitario. Risulta infatti dagli atti di causa che il dott. (...), con contratto di collaborazione sottoscritto in data 23.05.2015, si sia impegnato ad esercitare l'attività di medico- odontoiatra presso la società (...) s.r.l. come libero professionista e sotto la sua piena responsabilità, con esonero della società da qualsivoglia responsabilità civile o penale. Risulta altresì che il professionista non fosse dipendente, e che non fosse sottoposto a direttive, da parte della struttura, in merito alle modalità di svolgimento della prestazione (cfr. doc. 3 convenuta). Le parti, dunque, hanno concluso un contratto, inserendo tale patto o clausola di manleva, in virtù del quale (...) si è obbligato a tenere indenne la (...) s.r.l. da eventuali pretese patrimoniali avanzate nei confronti di quest'ultima e derivanti da responsabilità civile o penale dello stesso sanitario professionista. Non merita accoglimento, a riguardo, l'eccezione di nullità della predetta clausola sollevata dal terzo chiamato, per paventata contrarietà all'ordine pubblico ex art. 1229 c.c. , Nel contratto stipulato tra il dott. (...) e la (...) s.r.l., non vi è infatti alcun esonero di responsabilità in favore di quest'ultima in merito a propri fatti dolosi o colposi, bensì, diversamente, l'assunzione di obbligo di manleva da parte dell'odontoiatra in ipotesi di condotte dolose o colpose poste in essere dallo stesso. In proposito, occorre precisare che, secondo la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza l'art. 1229 c.c. non è applicabile al patto di manleva, con la conseguenza che quest'ultimo sarebbe valido anche nel caso in cui il mallevadore si fosse obbligato a risarcire il mallevato dalle conseguenze patrimoniali conseguenti al comportamento colposo del mallevato stesso (Cfr. Cass. Civ. Sez. III, 17.12.2001). Dal contratto di collaborazione emerge l'impegno del dott. (...) a tenere indenne la struttura dalle conseguenze civile e penali dovute alle proprie condotte dolose o colpose, e la stessa deve pertanto ritenersi pienamente valida. Non risulta dirimente nemmeno l'eccezione di inopponibilità delle risultanze peritali a (...) per mancata partecipazione dello stesso alle operazioni peritali in sede di atp. In proposito, la giurisprudenza, pur non univoca, ha affermato che il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto, anche prove raccolte in diversi giudizi fra le stesse, o anche altre parti, come qualsiasi produzione delle parti stesse, anche la fine di attribuire loro valore di prova esclusiva, il che vale anche per la Consulenza Tecnica espletata in altre sedi civili o penali (Cass. Civ. 8585/1999; Cass. civ. 28855/2008). Ma anche la giurisprudenza che aderisce al contrario orientamento, il quale esclude l'opponibilità delle risultanze probatorie nei confronti di chi non abbia partecipato al procedimento (Cass. civ., 24981 del 09.11.2020), conferisce a tali risultanze il valore di prova atipica, e può essere valutata dal giudice, quale argomento di prova. Peraltro, occorre rilevare che nei propri atti difensivi, il dott. (...) non ha dedotto né allegato argomenti e prove volte ad escludere la propria responsabilità, limitandosi a dedurre la corresponsabilità della convenuta e dei terzi chiamati. Ne consegue la condanna di (...) a tenere indenne la convenuta (...) s.r.l. dalla condanna al pagamento delle somme dovute a titolo di risarcimento in favore della sig.ra (...). Risulta ovviamente estranea all'ambito di operatività della manleva l'ambito della refusione delle spese di lite, per come si preciserà infra, attesa l'accertata responsabilità contrattuale di (...) s.r.l. nei confronti di (...). (sull'assenza di co-responsabilità in capo ad altri sanitari) Non meritano, invece, accoglimento, le domande svolte da (...) nei confronti dei terzi chiamati, dott. (...), dott. (...) e dott. (...). A riguardo anzitutto difetta l' emersione dagli atti di causa di prove idonee a dimostrare la responsabilità concorsuale di questi; ed inoltre si è in presenza, a contrario, di elementi che logicamente e cronologicamente inducono a collocare indubitabilmente la condotta, decisiva, dell'installazione della protesi definitiva a cura del dott. (...) in data successiva alle visite e agli interventi, limitati, posti in essere dagli altri sanitari (12/11/2015 quanto a (...), 26/07/2016 e 16/08/2016 quanto a (...)): circostanze, si osservi, non confutate da alcuna delle parti, e rispetto alle quali non si rinviene nella documentazione in atti prova contraria. Vieppiù, anche l'attività in concreto compiuta dai due professionisti (quanto a (...): predisposizione piano di intervento, e applicazione di due protesi provvisorie ed una resina; quanto a (...): costruzione di un "porta impronte individuale", avvitamento di una "vite di guarigione" sull'impianto 23 che si era allentato) appare scarsamente impattante in senso modificativo sulla registrazione occlusale e modificazione della stessa, e dunque del tutto scevra dall'essere foriera delle conseguente patite dall'attrice. In merito alla posizione del dott. (...) neppure emergono, dalle risultanze peritali o dalla documentazione versata in atti, elementi potenzialmente esorbitanti rispetto alle conclusioni riportate per i due precedenti sanitari. Per tali motivi si esclude la sussistenza di ipotesi di responsabilità anche in capo al dott. (...) (senza dichiararne espressamente la contumacia pur in difetto di costituzione per le ragioni di cui si è fatto cenno supra). Non devono essere disattese le conclusioni svolte dai periti, nella redazione dell'elaborato peritale depositato in sede di ATP, con le quali hanno escluso la responsabilità degli altri medici odontoiatri intervenuti sulla paziente, atteso il lungo lasso temporale in cui gli interventi sono stati svolti (dal 2015 al 2017), e sulla scorta della presunzione che un normale controllo avrebbe permesso di evidenziare l'errore nella registrazione occlusale. A fronte dell'evidenza di interventi dei predetti medici-odontoiatri in data antecedente all'installazione dell'impianto definitivo, non ve ne è alcuna che accerti il compimento di un controllo, anche solo routinario, successivo. Né può rinvenirsi in capo agli stessi una responsabilità omissiva per non aver effettuato tali controlli, non emergendo dalle risultanze di causa l'assunzione da parte degli altri odontoiatri della struttura di alcuna obbligazione di controllo dei lavori eseguiti da altro professionista o di turnazione completa e massima su ogni paziente. Pertanto, le domande proposte dal dott. (...) nei confronti del dott. (...), del dott. (...) e del dott. (...) devono essere in toto rigettate e, per quanto concerne la posizione di (...), con conseguente assorbimento, nei rapporti con (...) dell'eccezione da questa formulata di inoperatività della polizza di assicurazione n. (...) sottoscritta dal professionista con la compagnia assicurativa. (sull'individuazione delle tipologie di danno risarcibile) In merito alla quantificazione dei danni subiti dall'attrice, la predetta perizia ha identificato gli interventi necessari per l'eliminazione delle conseguenze dannose, ed i relativi costi, determinati in Euro.14.400, ed ha altresì accertato un danno biologico temporaneo pari al 10% di invalidità per 12 mesi. Deve disattendersi l'eccezione di parte convenuta, secondo cui l'elaborato peritale, pur rilevando l'inidoneità del solo impianto protesico inferiore, abbia indicato quale intervento necessario anche il rifacimento della protesi superiore. A riguardo occorre precisare che la consulenza abbia rilevato come gli errori commessi dagli odontoiatri abbiano cagionato anche la perdita del dente n. 33, nel lato superiore, con conseguente necessità di impianto anche relativamente a tale arcata. Inoltre, appare cognizione non di esclusiva competenza dei depositari della scienza medica quella per cui un'errata registrazione concernente una delle due arcate generi scompensi, potenzialmente generatori di malocclusione, anche con riferimento all'altra. Per le ragioni che precedono l'eccezione di parte convenuta risulta inconferente. (sulla quantificazione del danno patrimoniale) In ordine al quantum, deve osservarsi come non risulti provato un danno patrimoniale superiore a quello determinato nell'elaborato peritale, come invece asserito da parte attrice. La stessa, infatti, pur deducendo maggiori costi rispetto a quelli quantificati in sede di accertamento tecnico preventivo, per la realizzazione degli interventi indicati, non ha prodotto prove idonee a dimostrare gli stessi. Non può a riguardo essere considerata prova sufficiente il preventivo allegato da parte attrice, rilasciato da diverso specialista (vds. all. 5 citazione) in quanto estremamente sintetico e privo di adeguata motivazione in ordine al percorso clinico suggerito (id est: spiegazione delle voci indicate), redatto da persona terza ed estranea al processo, e soprattutto non corroborato dal altri elementi, quali, ad esempio, i preventivi redatti da altri professionisti che avrebbero potuto costituire elementi indiziari concordanti. Il riconoscimento del danno patrimoniale, pertanto, trova riscontro nei limiti della quantificazione compiuta in sede di atp (Euro 14.400). In merito alla liquidazione dei danni patrimoniali, occorre precisare che, poiché il risarcimento del danno costituisce, pacificamente, debito di valore, la rivalutazione monetaria e gli interessi ne costituiscono una componente e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio pur se non specificamente richiesti, atteso che devono ritenersi compresi nell'originario petitum della domanda (Cass. 16.12.2014 n. 26374). Ne consegue il diritto dell'attrice al risarcimento del danno patrimoniale, quantificato in Euro.16.603,20=, oltre interessi dal dì del dovuto al saldo. A tale somma, contrariamente a quanto dedotto da parte attrice, non dovrà essere aggiunta alcuna altra somma a titolo di IVA, posto che la professione dentistica, ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 633 del 1972, è esente da tale imposta: principio ribadito recentemente per le società in ambito odontoiatrico da Cass. 30975 del 2.11.2021. (sulla quantificazione del danno non patrimoniale) Con riferimento al danno non patrimoniale, il danno biologico conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle Assicurazioni private, di cui al D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209. In base alle predette tabelle, pertanto, il danno biologico temporaneo accertato -tenuto conto dell'età di parte attrice al momento dell'evento, della percentuale di invalidità temporanea parziale (10%) deve essere liquidato in Euro 1853,84. A tali conclusioni devesi giungere osservando che, sebbene le norme sostanziali contenute nella legge Gelli-Bianco non abbiano portata retroattiva, e non possano applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, diversamente, quelle che -richiamano gli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005 in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi (Cass. Civ. 28990/2019): "in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno") (sull'assenza di ulteriori voci di danno risarcibile) Non risulta invece dimostrato il danno morale asseritamente subito dalla signora (...). In proposito, l'art. 138 del codice delle Assicurazioni stabilisce che, qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno, possa essere aumentato sino al 30% dal Giudice. La Corte di Cassazione, in merito alla prova del danno morale, precisa che la stessa può essere fornita anche solo attraverso presunzioni, quale unica fonte di convincimento del giudice, pur essendo onere del danneggiato "allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata dei fatti noti, onde consentire di risalire al fatto ignoto (così definitivamente superandosi la concezione del danno in re ipsa, secondo la quale il danno costituirebbe una conseguenza imprescindibile della lesione, tale da rendere sufficiente la dimostrazione di quest'ultima affinché possa ritenersi sussistente il diritto al risarcimento)" (Cass. Civ. 25164/2020). L'attrice, tuttavia, non ha provveduto né ad allegare né a descrivere le sofferenze morali patite, di talché la domanda in proposito formulata deve essere sul punto disattesa. (sulle spese di lite) Le spese di lite -da liquidarsi ex D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 ai medi in ragione dell'effettiva attività difensiva svolta, (anche quella di trattazione -vds. Cass. 28325/2022- ma ai minimi tenuto conto della mancanza di istruttoria)- seguono la soccombenza, e pertanto dovranno essere dovute da (...) srl a parte attrice e da (...) a (...) srl (al netto di quelle relative alla fase decisionale, per le ragioni che seguono). Inoltre sono dovute, ma ai minimi, da (...) nei riguardi dei sanitari che, ritualmente da lui citati, si sono costituiti ((...) e (...)). Trovano invece equa compensazione nei rapporti tra (...) e (...), essendo la chiamata della seconda derivata dal primo, non soccombente, né potendosi imputare a carico di parte soccombente (...) la difesa processuale di parte non chiamata dallo stesso. Nei rapporti tra (...) e (...) srl l'accoglimento parziale della domanda attorea -mancato riconoscimento del danno morale, ammontare del danno complessivamente riconosciuto pari a meno della metà del richiesto- consente di reputare congrua la compensazione nella misura della metà. In punto spese ex art. 91 co. I secondo periodo c.p.c., deve essere valorizzata la mancata adesione di parte attrice alla proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. formulata in data 22.9.2021. Calcolando infatti la sommatoria tra risarcimento proposto ex art. 185 bis c.p.c. (Euro 18.000) e quello oggetto dell'odierna decisione, ma con rivalutazione fino alla data dell'udienza ex art. 186 bis (dunque rivalutato al 22.9.21, con rivalutazione pari a Euro 431,71 e pertanto per complessivi Euro 16.684,00) deve concludersi che la domanda è stata accolta in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa; pertanto il riconoscimento a parte attrice di un importo -seppur di poco- inferiore a quello indicato nella proposta ex art. 185 bis c.p.c., rifiutata determina la condanna di parte attrice alle spese della fase decisoria, liquidabili ai minimi dello scaglione di riferimento (Euro 851,00). (sulla liquidazione e imputazione delle spese in fase di atp) Il medesimo richiamato criterio della compensazione parziale deve trovare applicazione per l'imputazione in via definitiva delle spese di ctu in sede di atp, provvisoriamente poste a carico di parte attrice (per complessivi Euro 2.440,00 iva inclusa: Euro 1.220 dott. (...), Euro 1.220 dott. (...)), nonché quelle relative al compenso professionale di parte attrice per la fase di ATP (in base al D.M. n. 55 del 2014: congrue come da domanda, ma riconoscibili pertanto per 1/2). P.Q.M. Il Tribunale di Como - prima sezione civile - in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione respinta, così provvede: I. Accoglie parzialmente la domanda attorea, nei limiti suindicati, e, preliminarmente accertato l'inadempimento di (...) s.r.l., per l'effetto: II. Condanna la convenuta (...) s.r.l. al risarcimento del danno patrimoniale, e quindi al pagamento della somma di Euro 16.603,20 (sedicimilaseicentotre/20) oltre agli interessi dal dì del dovuto al saldo. III. Condanna la convenuta (...) s.r.l. al risarcimento del danno biologico, e quindi al pagamento della somma di Euro 1.853,84 (milleottocentocinquantatre/84), oltre agli interessi dal dì del dovuto al saldo, in favore di (...); IV. Rigetta le restanti voci di danno richieste da parte attrice. V. Accoglie la domanda di regresso formulata da (...) s.r.l. nei confronti del dott. (...) con riferimento al pagamento delle somme dovute dalla convenuta a parte attrice di cui ai punti II e III, e per l'effetto: VI. Condanna il dott. (...) al pagamento, in favore della (...) s.r.l. della somma di Euro.18.457,04 (diciottomilaquattrocentocinquantasette/04)-sommatoria di cui ai punti II e III -, oltre agli interessi dal dì del dovuto al saldo. VII. Compensa nella misura di 1/2 le spese di lite tra parte attrice (...) e parte convenuta (...) srl. VIII. Condanna - per la residua metà- parte convenuta (...) srl al pagamento in favore di (...) delle spese di lite che liquida in Euro 1.694,00 (milleseicentonovantaquattro/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge (già operata compensazione con Euro 425,50 pari a 1/2 fase decisionale dovute da (...)) IX. Condanna (...) al pagamento: - in favore di (...) s.r.l delle spese di lite che liquida in Euro 2.536,00 (duemilacinquecentrotrentasei/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; - in favore di (...) delle spese di lite che liquida in Euro 1.689,00 (milleseicentottantanove/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; - in favore di (...) delle spese di lite che liquida in Euro 1.689,00 (milleseicentottantanove/00)oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; X. Compensa le spese di lite nei rapporti tra (...) e (...). XI. Condanna ex art. 91 co. I secondo periodo c.p.c. (...) al pagamento: - in favore di (...) delle spese di lite (fase decisionale) che liquida in Euro 851,00 (ottocentocinquantuno/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; - in favore di (...) delle spese di lite (fase decisionale) che liquida in Euro 851,00 (ottocentocinquantuno/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; - in favore di (...) delle spese di lite che liquida in Euro 851,00 (ottocentocinquantuno/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; - in favore di (...) in personale del l.r.p.t delle spese di lite (fase decisionale) che liquida in Euro 851,00 (ottocentocinquantuno/00) oltre rimb. Forf. 15% oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge; XII. Pone in via definitiva le spese dei consulenti in sede di ATP dott. Io. e dott. Ru. in capo, in solido, a parte attrice nella misura di 1/4 e a parte convenuta nella misura di 3/4: pertanto parte convenuta dovrà rifondere Euro 1.830,00 (milleottocentotrenta/00) a parte attrice, anticipataria. XIII. Condanna parte convenuta (...) s.r.l. al pagamento in favore di (...) a titolo di spese di lite per ATP Euro 919,00 (novecentodiciannove/00) per compensi ed Euro 80,98 per spese, oltre C.P.A. e I.V.A. (se dovuta) come per legge. Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite e gli adempimenti di competenza. Così deciso in Como il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale di Como, sezione prima civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott. Giorgio Previte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4879 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018, vertente TRA (...) (C.F. (...)), e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dagli Avv.ti Cl.Be. e Si.Fr., ed elettivamente domiciliati presso lo studio di questi ultimi in Como (CO) - Via (...) -attori- CONTRO (...) (C.F. (...)), e (...) (C.F. (...)) rappresentati e difesi dagli Avv. Ca.Pi., ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultima in Casnate con Bernate (CO), via (...) -convenuti- E CONTRO (...) (C.F. (...)), e (...) (C.F. (...)) rappresentati e difesi dall'Avv. Ol.Pu., ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Como, via (...) -terzi chiamati- OGGETTO: responsabilità extracontrattuale - risarcimento danno ex 2051c.c. - 2058 c.c. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE I - Con atto di citazione (...) e (...) convenivano in giudizio (...) e (...), per sentire accertare la presenza di infiltrazioni nella loro proprietà, provenienti dall'appartamento dei convenuti, accertarne le cause e conseguentemente condannarli ad eseguire le opere necessarie per eliminare tali infiltrazioni, nonché condannarli al risarcimento del danno occorso, previa quantificazione dei costi per le predette opere. I convenuti si costituivano tempestivamente e, alla prima udienza, domandavano l'estensione del contraddittorio nei confronti degli acquirenti dell'appartamento già di proprietà (...): il Giudice disponeva ai sensi degli artt. 107 e 111 c.p.c. l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...) e (...), oltre a concedere termine per l'instaurazione del procedimento di negoziazione assistita, rilevata l'improcedibilità della domanda ex art. 3 d.lgs 2014. Alla concessione dei termini ex art. 183 comma VI c.p.c. seguiva la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti dalle parti, e la disposizione di CTU volta ad accertare "lo stato dei luoghi, la presenza di infiltrazioni come dedotte nell'atto di citazione e la loro natura, causa ed entità, ed in particolare se derivino dalle parti comuni o dalla proprietà soprastante degli intervenuti, quali siano gli interventi necessari per l'eliminazione delle infiltrazioni ed i loro costi". Il consulente tecnico nominato (geom. (...)) provvedeva al deposito del proprio elaborato peritale; tuttavia, verificato, a seguito di convocazione su richiesta di parte convenuta, l'avvenuto utilizzo di materiale fotografico consegnatogli da una delle parti e non depositato unitamente all'elaborato peritale, con ordinanza del 05.05.2021 veniva disposta la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio, con sostituzione del consulente e nomina del Geom. (...). A seguito del deposito di nuova perizia da parte del CTU, e del'esame della stessa nel contraddittorio tra le parti, veniva fissata udienza per tentare la conciliazione, fallita la quale il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza per la precisazione delle conclusioni al 12.10.2022; in tale data la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., nei quali le parti depositavano tempestivamente tanto le comparse conclusionali, quanto le memorie di replica. II - Oggetto della vertenza sono le infiltrazioni verificatesi nell'appartamento (...), sito in (...) (C.), via D. (...) n. 22-24, al piano terreno, e lamentate in prossimità dei sottobalconi e nella camera da letto, punti rispetto ai quali al piano di sopra è collocato l'appartamento di proprietà dei coniugi (...) fino al 14 dicembre 2018 e, successivamente e fino all'attualità, dei coniugi (...) - (...). Premettevano gli attori che fenomeni infiltrativi erano stati già oggetto di precedente procedimento davanti a questo Tribunale (RG 4322/2012) -rispetto al quale, in difetto di citazione, non erano stati parte- con cui l'Autorità Giudicante aveva accertato in accoglimento della domanda di (...) la presenza di infiltrazioni provenienti dalla proprietà C.- (...), dovute a difetti costruttivi e di impermeabilizzazione dei balconi, ed aveva condannato l'impresa costruttrice, il venditore, l'impresa posatrice delle ceramiche, e il direttore dei lavori al risarcimento del danno in favore di C.. A seguito di tale provvedimento erano stati compiuti nel 2017, ad opera dei proprietari del piano superiore ((...)), gli interventi ritenuti idonei all'eliminazione delle infiltrazioni, successivamente ai quali -sempre dalla ricostruzione atttorea- nel luglio 2017 e nel novembre 2017, si verificarono altre infiltrazioni, e più precisamente, nella camera da letto, sul balcone esterno latto EST sul balcone esterno lato OVEST. Ancora, rappresentavano gli attori di aver incardinato per tali ragioni ricorso ex art. 700 c.p.c. (R.G.5659/2017), rigettato per la carenza del periculum, ma non del fumus, avendo il Giudice (vds. decreto del 28.2.2018) riconosciuto la presenza di infiltrazioni d'acqua, i danni cagionati dalle stesse la verosimiglianza di un nesso causale tra le prime ed i secondi. III - Parte attrice nella propria domanda, in verità non del tutto puntualmente formulata, chiede con atto di citazione al Tribunale di "accertare le condizioni dell'immobile ..., individuare le cause delle infiltrazioni - passate e presenti - ed i rimedi necessari per eliminarle" e condannare i sigg.ri (...) e (...) "ad eseguire le opere necessarie per eliminare e infiltrazioni", ancora "quantificare i costi necessari per ripristinare lo stato di proprietà dei coniugi (...) e condanni i sigg.ri (...) e (...) al conseguente risarcimento del danno". A prescindere dalla formulazione lessicale della domanda, farraginosa e priva di qualificazione normativa - peraltro modificata in sede di precisazione delle conclusioni, con evidente inammissibilità in parte qua- la stessa deve essere riqualificata dal Tribunale come ipotesi di responsabilità extra-contrattuale ex art. 2051 c.c. con richiesta di risarcimento del danno, anche sotto forma di reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c. Dal contenuto degli atti attorei traspare infatti una duplice richiesta, da un lato volta al ripristino dello status quo ante, con eliminazione della causa delle infiltrazioni attraverso opere da compiersi nell'appartamento sovrastante, dall'altro volta al risarcimento per i danni subiti nella propria abitazione. IV - La domanda attorea è parzialmente fondata e come tale va accolta, nei limiti appresso indicati. Sussiste la competenza territoriale di questo Tribunale, non contestata e già peraltro accertata nei giudizi richiamati. La competenza per valore pure sussiste, alla luce della domanda, fatte salve le considerazioni che seguiranno. Non sussistono profili di improcedibilità -esperita la procedura di negoziazione assistita- né di inammissibilità della stessa. Alla domanda attorea i convenuti (...) - (...) contrappongono plurime eccezioni. Esse in sintesi attengono: - alla prescrizione del diritto azionato dagli attori, sul presupposto che la domanda proposta fosse una richiesta di risarcimento dei danni in forma specifica ex art. 2058 c.c., soggetta al termine quinquennale di prescrizione ex art. 2947 c.c., e che il dies a quo fosse il 2011, data delle prime infiltrazioni; - alla propria carenza di legittimazione passiva, in quanto in ipotesi di effettivo accertamento delle infiltrazioni lamentate, esse sarebbero state riconducibili alle parti comuni del condominio, e dunque l'eziologia comunque riconducibile a vizi strutturali cui i convenuti sarebbero estranei vieppiù avendo eseguito lavori volti ad eliminare le infiltrazioni e le relative conseguenze dannose; - alla propria carenza di legittimazione passiva avendo trasferito la proprietà dell'immobile ai sig.ri (...) e (...), con atto di compravendita, stipulato in data 14.12.2018; - all'inammissibilità della domanda per modifica della stessa tra quella formulata con atto di citazione e quella in sede di prima memoria ex art. 183 co. VI n.1 c.p.c.. Anche i terzi chiamati, (...) e (...), deducevano in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, per aver acquistato l'immobile in epoca successiva al verificarsi degli eventi dannosi lamentati dagli attori, di tal che nessuna responsabilità poteva essere loro addebitata. Sostenevano inoltre che la previsione di una parziale trasmissione a carico del proprietario degli obblighi già sorti in capo all'alienante concerne , ex art. 63 disp. Att. c.c., solo le spese condominiali, e non sarebbe pertanto applicabile al caso de quo. Da ultimo hanno dedotto ed allegato di aver stipulato, in sede di atto di compravendita, contratto di manleva, in forza del quale veniva costituito deposito fiduciario di Euro.10.000,00=, da parte dei signori (...) e (...), presso il Notaio (...). Alla richiesta di rigetto delle domande attoree, svolta in principalità, seguiva pertanto in via subordinata la richiesta di manleva da (...) e (...) da qualsivoglia loro obbligo venga dichiarato nei confronti degli attori V - Le eccezioni formulate dai convenuti (...) e (...) risultano infondate. V. I - Tale è l'eccezione di intervenuta prescrizione del diritto degli attori al risarcimento del danno. Il dies a quo del termine prescrizionale non può infatti essere ricondotto al 2011, come sostenuto da parte convenuta, bensì deve essere individuato nel 2017, e precisamente nei mesi di luglio e novembre 2017, date di insorgenza delle infiltrazioni. Risulta irrilevante se le stesse si siano verificate a seguito di un evento del tutto indipendente dai pregressi lavori nell'appartamento all'epoca di proprietà di C., o se siano da ricondurre proprio a tali opere, effettuate nel 2017, in seguito alla sentenza emessa dal Tribunale di Como in data 04.04.2016, RG 4322/2013: in ogni caso sono comparse, o ricomparse ,nel 2017, come peraltro accertato anche nel procedimento n. R.G. 5659/2017 che nel giudizio de quo costituisce documento probatorio da cui il Giudice può acquisire argomento di prova. L'avvenuta esecuzione dei lavori nell'appartamento (...) nel 2017 in data antecedente al mese di luglio è dato pacifico, non essendo stato oggetto di contestazione dai convenuti. Quanto precede consente di ritenere non prescritto il diritto rivendicato da parte attrice. In ogni caso si osserva che, come statuito dalla giurisprudenza, (Cass. civ. Sez. VI - 2, Ord., 28-07-2020, n. 16001) , "si configura un illecito permanente in tutti i casi in cui la durata dell'offesa è correlata - sul piano eziologico - al contestuale permanere della condotta colpevole dell'agente". In questi casi la prescrizione decorre dalla cessazione della condotta illecita dell'agente. Risulta evidente che il verificarsi, o comunque il permanere, delle infiltrazioni dedotte dagli attori, anche in epoca successiva alla sentenza del Tribunale di Como del 04.04.2016 -nella quale erano stati indicati gli interventi necessari per l'eliminazione- sia elemento probatorio idoneo ad ascriverne la responsabilità alla condotta permanente dei convenuti, omissiva degli interventi opportuni per l'eliminazione delle stesse. V.II - Anche l'eccezione di carenza di legittimazione passiva dei convenuti, attesa la responsabilità per i fatti di causa asseritamente ascrivibile esclusivamente al condominio, non può trovare accoglimento. Parte convenuta sostiene che gli attori avrebbero dovuto evocare in giudizio il condominio, e non il condomino, in quanto "il proprietario dell'appartamento sovrastante a quello danneggiato dalle infiltrazioni può essere evocato in giudizio a titolo personale solo ove frapponga impedimenti all'esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino". Tuttavia la giurisprudenza citata dai convenuti (pag. 5 comparsa di costituzione, cfr., Cass., 15 luglio 2002 n. 10233 e Cass. 11 settembre 1998, n. 9009) risulta inconferente poiché relativa all'ipotesi di danni provenienti da lastrico solare, pacificamente di proprietà condominiale; è noto, al contrario, che i balconi di un edificio non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell'articolo 1117 del Cc, non essendo necessari per l'esistenza del fabbricato, né essendo destinati all'uso o al servizio di esso. Anche l'ulteriore giurisprudenza richiamata dai convenuti attiene ad ipotesi concernenti danni pacificamente riconducibili alle parti comuni, quali il tetto o la gronda o i pluviali, laddove nel caso di specie, al contrario, le infiltrazioni derivano dai balconi della proprietà sovrastante quella degli attori. Tale circostanza risulta accertata nella relazione peritale dal CTU, geom. (...), che afferma la provenienza delle infiltrazioni dai balconi della proprietà (...) - (...), ora proprietà (...)- (...). V. III - Non risulta inoltre che gli attori con memoria ex art. 183 comma VI n. 1, abbiano mutato la domanda, a pena di inammissibilità. Con essa infatti gli attori hanno specificato la richiesta di risarcimento danni ex art. 2051 c.c./2053 c.c., chiedendo la condanna dei convenuti e poi dei terzi chiamati ad eseguire le opere necessarie ad eliminare la causa delle infiltrazioni, ed a pagare loro la somma di denaro necessaria a ripristinare la loro proprietà. Risulta evidente non essere intervenuta alcuna mutatio libelli. Si richiamano in proposito le precisazioni operate dalla giurisprudenza: "Si ha "mutatio libelli" quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un "petitum" diverso e più ampio oppure una "causa petendi" fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga un nuovo tema d'indagine e si spostino i termini della controversia, con l'effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo" si ha, invece, semplice "emendatio" quando si incida sulla "causa petendi", sicché risulti modificata soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul "petitum", nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n.7524 del 12/04/2005). In ogni caso parte attrice ha in giudizio enunciato in modo sufficientemente chiaro già nell'atto introduttivo situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, perché compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata dagli articoli di cui alla prima memoria ex art. 183 co. VI (vds principio indicato da Cass. N. 14732 del 10/05/2022 per ritenere non nuova la domanda introdotta in appello ex artt. 2050 o 2051 c.c. dopo aver invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell'art. 2043 c.c). V. IV - Da ultimo deve dedursi l'inconferenza dell'eccezione per cui l'intervenuto nelle more trasferimento di proprietà abbia determinato la carenza di legittimazione passiva. Sul punto, oltre alle pertinenti argomentazioni dei terzi (...)-(...) in ordine al principio di cui all'art. 63 disp. Att. c.c. in materia di oneri in capo all'acquirente in caso di trasferimento, e pertanto dell'inoperatività di un'applicazione estensiva della norma ad altre ipotesi non espressamente disciplinate, risulta tranciante il principio espresso dalla Suprema Corte (vds Cass Sez. 2, Sentenza n. 18855 del 07/08/2013), pienamente attagliabile al caso in esame, per cui "l'obbligazione di risarcire il danno immobiliare da infiltrazione, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., non è un'obbligazione "propter rem", che si trasferisce dal venditore al compratore insieme alla proprietà dell'immobile da cui il danno stesso proviene, trattandosi, invece, di un'obbligazione connessa alla qualità di custode dell'immobile nel momento in cui esso ha cagionato il danno". VI - Nessuna responsabilità pertanto può essere imputata ai terzi (...)-(...), pacificamente ed incontestatamente subentrati nella titolarità -oltre che possesso, e dunque custodia- dell'appartamento successivamente alla verificazione del danno, e che dunque all'epoca della verificazione dell'evento dannoso non avevano alcun rapporto di custodia con lo stesso. E' noto infatti che, perché possa affermarsi la responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo ad un soggetto per i danni cagionati dalle cose in custodia, sia necessario un potere di fatto esercitato dal custode sulla res che abbia cagionato i danni, non presente nel caso di specie. Tali conclusioni risultano corroborate anche dall'accertata esclusione di peggioramento delle condizioni successivamente al trasferimento della proprietà: il ctu Geom. (...) (pag. 9 relazione) ha espressamente constatato che "i fenomeni di percolazione non sono aumentati nonostante i copiosi eventi piovosi avvenuti nel luglio 2021, il più piovoso negli ultimi 32 anni"; da ciò deve dedursi il mancato aggravamento delle condizioni neppure nei tre anni antecedenti. In ogni caso non risultano essere versate in atti prove evidenti, o quantomeno indici probatori, in senso contrario. VII - La fattispecie concreta -danno da infiltrazioni- deve essere sussunta all'interno della disciplina di cui all'art. 2051 c.c., e non (anche) in quella di cui all'art. 2053 c.c., che "integra un'ipotesi particolare di danno da cose in custodia, che impedisce l'applicazione dell'art. 2051 cod. civ., per il principio di specialità" (Cass. n. 19975 del 14/10/2005), non ravvisandosi i presupposti specifici previsti dalla disposizione speciale. In ogni caso la Suprema Corte, a Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016), ha precisato come "la responsabilità per danni da infiltrazioni prodotte dal lastrico solare o dal terrazzo di proprietà o di uso esclusivo va attratta all'ambito di operatività dell'art. 2051 cod. civ.". Giova osservare, d'altro canto, come la sussunzione all'interno dell'una o dell'altra normativa non ne muta la disciplina in ordine all'accertamento della responsabilità in quanto in entrambi i casi il proprietario dell'edificio può andare esente solo fornendo la prova che il danno cagionato da ciò che ha in custodia sia dovuto a caso fortuito (e, nel caso dell'art. 2053 c.c., non sia dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione). Vanno a riguardo richiamati i principi enucleati dalla Suprema Corte, secondo cui: - "per la sussistenza di una simile responsabilità è sufficiente la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, mentre non assume rilievo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone, né implica, uno specifico obbligo di custodia analogo a quello previsto per il depositario, responsabilità a chi, di fatto, si trova nella condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa" (Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016) - "Ai fini dell'art. 2051 c.c., rileva esclusivamente la sussistenza del nesso causale tra le dinamiche proprie della cosa custodita e il danno, ed eventualmente l'incidenza di un caso fortuito idoneo in via esclusiva a determinarlo" (Cass. Sez. 6 - 3, Ord. n. 17252 del 2022); La tipologia di responsabilità delineata è pertanto un'ipotesi di "responsabilità oggettiva" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12027 del 16/05/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno; il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'art. 2051 c.c. (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 4476 del 24/02/2011, VIII - Di conseguenza, in punto oneri probatori, il danneggiato ha il solo onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa e il danno, mentre al custode spetta di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato (Cass. Sez. 6 - 3, Ord.n. 17252 del 2022). Il nesso causale sussiste: la riconducibilità dei danni alle infiltrazioni provenienti dal sottobalcone dell'appartamento posto al primo piano è storicamente accertata: - non solo dalla sentenza pronunciata all'esito del giudizio n. 4322/2013, che pur non facendo stato nei riguardi degli attori non essendo state parti di esso, può nondimeno essere liberamente valutata dal Giudice quale argomento di prova (Cass. civ., 24981 del 09.11.2020), risultando pacifico che la stessa sia regolarmente introdotta nel presente procedimento (sull'utilizzabilità, in mancanza di qualsiasi divieto, anche di prove raccolte in diversi giudizi fra le stesse, o anche altre parti, inclusa anche per la Consulenza Tecnica espletata in altre sedi civili o penali vds Cass. Civ. 8585/1999; Cass. civ. 28855/2008); - non solo dal successivo giudizio ex art. 700 c.p.c. -seppur in costanza di cognizione sommaria; - ma anche e soprattutto dagli elaborati peritali in atti. A riguardo, la circostanza è acclarata infatti anzitutto dalla ctu a firma geom. (...), laddove si evidenzia (pag.9) la "presenza di infiltrazioni provenienti dalla pavimentazione dei balconi di proprietà dei Sig.ri (...) - (...) (ex proprietà Sig.ri (...))" pur utilizzando la non felice aggettivazione di "presunte." Ed in ogni caso l'accertamento in ordine alla riconducibilità delle infiltrazioni ai lavori compiuti nell'appartamento superiore era stato già compiuto dal precedente consulente, geom. (...), che ha espressamente fatto riferimento all'esecuzione delle lavorazioni, indicate dal CTU nel procedimento RG 4322/2013 qualificate come "non congrue con quelle definite ,accertati e liquidati" in quella sede (vds. pag. 7). In relazione all'utilizzabilità della ctu a firma del geom. (...) preme precisare come con ordinanza del 5.5.2021 la stessa sia stata oggetto di rinnovazione, e non di declaratoria di nullità: per tali motivi non deve essere considerata tamquam non esset, bensì, seppur in inidonea a fondare da sola il convincimento del Giudice, può essere validamente utilizzata ad integrazione della relazione peritale del geom. (...). A fronte di tali circostanze i convenuti non hanno fornito prova contraria, volta cioè a dimostrare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, comprensivo, oltre al fatto naturale, anche di quello dello stesso danneggiato o di quello del terzo. Deve considerarsi a quest'ultimo riguardo insufficiente la tentata qualificazione di responsabilità in capo al condominio, vuoi per pregressi difetti strutturali, vuoi per la rilevata dal ctu (vds. pag.13 relazione geom. (...)) "difformità termiche nell'intradosso della soletta balcone in prossimità del passaggio di un pluviale", che non consente di concludere per la riconducibilità dell'infiltrazione al pluviale condominiale, rivelandosi sul punto la difesa di parte convenuta carente della prova del fatto impeditivo/estintivo ex art. 2697 c.c. Né infine costituisce circostanza esimente la responsabilità dei convenuti (quanto piuttosto rafforzativa, in ragione dell'intervenuta modifica dei luoghi) il fatto che siano stati compiuti lavori volti a porre rimedio a precedenti infiltrazioni. Sul punto la suprema Corte osserva come "tanto una tubazione idrica, quanto l'acqua in essa contenute, sono "cose" per i fini di cui all'articolo 2051 c.c., ed a tali fini nulla rileva se abbiano arrecato un danno perché guaste per vetustà o perché guastate dall'uomo. Nell'uno, come nell'altro caso, infatti, grava pur sempre sul custode l'onere di vigilare affinché la propria cosa non arrechi danno a terzi" (cit. n. 17252 del 2022), concludendo "in applicazione di questi principi, per l'invocabilità dell'art. 2051 c.c. nei confronti del custode d'un immobile che abbia arrecato danni a terzi in conseguenza dei lavori di restauro su esso eseguiti" (così Sez. 3, Sentenza n. 723 del 27/01/1988). IX - Riscontrata la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, e l'assenza di prova contraria rispetto all'imputabilità dei danni in capo ai proprietari dell'appartamento del primo piano all'epoca dei fatti (2017), deve ora individuarsi lo spettro di estensione delle infiltrazioni, e corrispondentemente dei danni lamentati dagli attori, ai fini della determinazione del quantum. Dalla documentazione in atti, precipuamente dalla relazione del Geom. (...), risultano accertate infiltrazioni circoscritte unicamente in prossimità dei porticati del lato Est e del lato Ovest del complesso immobiliare, peraltro "localizzate in punti specifici". Non sono state riscontrate, invece, infiltrazioni in camera da letto. X - Al circoscritto accertamento in prossimità dei balconi del lato Est e del lato Ovest deve corrispondere la condanna tanto alla reintegrazione in forma specifica, quanto al risarcimento del danno, con esclusivo riferimento a tali due aree, e non anche, come invece richiesto da parte attrice, alla camera da letto "sul soffitto, in corrispondenza dell'armadio" (vds. pag.4 atto di citazione). X. I - La condanna alla reintegrazione in forma specifica consiste nell'onere di facere -in capo agli attuali proprietari dell'appartamento di cui al primo piano, ma a spese e sotto la responsabilità dei precedenti proprietari (...) - e precisamente di compiere gli interventi necessari per eliminare le infiltrazioni. Sul punto, le aree di intervento -adeguatamente specificate- devono intendersi quelle circostanziate dal ctu per rinvio operato (vds. pag. 16, lett. B delle "risposte alle osservazioni del ctp di parte attrice") all'allegato 11, relazione tecnica dell'impresa (...): pertanto i lavori dovranno essere limitati alle aree indicate con cerchi e frecce di pag. 2-3 di tale ultima relazione nonché alle frecce di pagg. 4,5,6 nonché alle aree che, in sede di lavorazione, dovessero emergere come parimenti lesionate, anche parzialmente.. I costi per tali interventi vengono quantificati, dal geom. (...), utilizzando il prezzario informativo dell'edilizia redatto dal Genio Civile, con aggiornamento all' Aprile 2020 e dai prezzi medi di mercato, in Euro. 1840,00= A tali prezzi si ritiene congruo applicare una maggiorazione del 20% (Euro 368,00) in considerazione dell'aumento dei prezzi verificatosi nell'ultimo triennio, e detrarre i costi per l'imbiancatura (quantificati dal ctu in Euro 700, vds. infra), che vengono contestualmente liquidati a titolo di risarcimento del danno. Pertanto, i costi per i predetti interventi vengono determinati in Euro 1.508,00 (millecinquecentotto/00), iva esclusa, con conseguente condanna dei convenuti a provvedere al pagamento degli stessi, o di quelli, inferiori o eventualmente superiori, che dovessero rendersi necessari in sede esecutiva, purchP espressamente riferiti alle aree indicate nel richiamato all.14 e non esorbitanti da esse. I terzi chiamati (...) provvederanno per parte loro a consentire -entro mesi cinque dalla comunicazione del presente provvedimento- la realizzazione di tali interventi nell'immobile di loro proprietà all'impresa che verrà scelta da (...), a spese e sotto la propria responsabilità di questi ultimi. In ogni caso saranno manlevati da eventuali spese tenuto conto dell'accordo giusta scrittura privata del 14.12.2018 (doc.2 comparsa dei terzi). X. II - La condanna alla reintegrazione in forma specifica -con eliminazione delle cause delle infiltrazioni causa dei lamentati danni- non esclude la possibilità di risarcimento del danno direttamente subito da parte attrice. Sul punto tuttavia, stante l'assenza di elementi forniti da parte attrice, i danni patrimoniali accertati vanno ricondotti esclusivamente nei costi necessari per provvedere all'imbiancatura dei balconi, e quantificati in complessivi Euro 1.080,00, IVA esclusa - come da elaborato peritale del geom. (...) (sommatoria tra punto 6 tabella balcone EST pag.14 e punto 16 tabella balcone OVEST pag. 16, oltre a punti 1, 8, 7, 17 - rispettivamente cantiere e pulizia/smaltimento- somma anch'essa rivalutata del 20% in considerazione dell'aumento dei prezzi.: Euro 350 +350 + 100 + 100 + 180). XI - Quanto alle spese di lite, quelle nei rapporti con i terzi chiamati (...)-(...) devono essere poste a carico della parte che ne ha sollecitato impropriamente la chiamata-trattandosi di parte che avrebbe dovuto essere con evidenza tenuta estranea al procedimento, tanto per le esposte ragioni giuridiche quanto fattuali-, e pertanto devono essere poste a carico di parte attrice. Nei rapporti tra parte attrice e parte convenuta, invece, plurime ragioni (soccombenza parziale, imprecisioni nella domanda, erronea individuazione del valore della causa -che avrebbe determinato la sottoposizione davanti al Giudice di Pace) depongono per la compensazione nella misura di 2/3, con condanna nei confronti di parte prevalentemente soccombente (convenuti) per il residuo terzo. Esse vengono liquidate ai medi, ex D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, con applicazione dello scaglione tra Euro 1.101,00 e Euro 5.200, individuato il valore della causa nei limiti dell'importo riconosciuto, rispetto al richiesto scaglione superiore, alla luce del criterio (ribadito da ultimo da Cass. civ. Sez. II, Sent., del 30-10-2019, n. 27789) della proporzionalità ed adeguatezza degli onorari all'attività professionale svolta, tenuto conto anche dell'effettiva decisione del giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa (cfr. Cass. Sez. Un. 11 settembre 2007 n. 19014). Non risultano invece sussistenti i presupposti per la condanna ex art. 91 c.p.c., pure invocata da parte convenuta XII - Deve provvedersi poi alla imputazione in via definitiva dei compensi liquidati ai due ctu, posto con riferimento al Geom. (...) "a carico solidale delle parti", in relazione al geom. (...) "a carico solidale di entrambe le parti". Per le ragioni che precedono i terzi (...) - (...) devono essere tenuti indenni dalle spese, che pertanto vengono posti in via definitiva, in entrambi i casi, a carico solidale di parte attrice (...)-(...) e di parte convenuta (...). P.Q.M. Il Tribunale di Como - prima sezione civile - in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) e (...), ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione respinta, così provvede: A. Accoglie parzialmente la domanda, con riferimento alle infiltrazioni verificatesi sul balcone lato Est e sul balcone lato Ovest dell'immobile sito al piano terra in C., - località (...) in Via don (...) n. 22-24, di proprietà degli attori, e per l'effetto: I. Accerta la responsabilità ex art. 2051 c.c. in capo ai convenuti (...) e (...) (precedenti proprietari dell'appartamento sito al piano primo) per i danni cagionati dalle infiltrazioni verificatesi in corrispondenza del balcone lato Est e del balcone lato Ovest. II. Accerta l'assenza di responsabilità alcuna, in ordine alle infiltrazioni di cui è causa, in capo a (...) e (...), odierni proprietari dell'appartamento sito al piano primo; III. Condanna i terzi chiamati (...) e (...) a porre in essere, entro mesi cinque dalla comunicazione del presente provvedimento, il compimento delle opere necessarie per l'eliminazione delle infiltrazioni per come individuate nella relazione del ctu ed in particolare con riferimento ai punti indicati nell'allegato 11 della relazione peritale redatta dal Geom. (...), per come precisati in parte motiva, a spese e sotto la responsabilità integrale di (...) e (...); e per l'effetto: III.1 Condanna i convenuti (...) e (...) a sostenere i costi dei predetti interventi, quantificati in Euro 1.508,00 (millecinquecentotto/00) o di quelli, inferiori o eventualmente superiori, che dovessero rendersi necessari in sede esecutiva, per come circoscritti in parte motiva; III.2 Dispone che i terzi chiamati (...) e (...) consentano l'esecuzione dei lavori di cui al punto III sui balconi dell'appartamento di loro proprietà, mandandoli indenni da qualsiasi spesa relativa, che sarà sostenuta dai convenuti (...) e (...). IV. Condanna i convenuti (...) e (...) al risarcimento, in favore degli attori (...) e (...), del danno quantificato nella misura di Euro 1.080,00 (milleottanta/00) IVA esclusa, in relazione alle infiltrazioni accertate al punto I. B. Rigetta la domanda attorea in relazione alle ulteriori e diverse infiltrazioni oggetto della domanda. C. Compensa nella misura di 2/3 le spese di lite tra gli attori, (...)-(...), e i convenuti (...) ; D. Condanna, per il residuo terzo, (...) e (...) al pagamento, in solido, delle spese di lite che determina (in relazione al terzo indicato) in Euro 851,00 (ottocentocinquantuno) oltre 15% spese forfettarie, IVA e CPA. E. Condanna (...) e (...) al pagamento, in solido, delle spese di lite in favore dei terzi chiamati (...) e (...), che liquida in Euro 2.552,00 (duemilacinquecentocinquantadue/00). F. Pone in via definitiva le spese delle consulenze tecniche d'ufficio -quantificate in Euro 619,79 oltre accessori di legge, per il consulente geom. (...), ed Euro 3.232,33 omnia (di cui Euro 1.382,52 quali spese ed anticipazioni) per il geom. (...)- in via solidale tra le parti attrici, (...) e (...) e le parti convenute, (...) e (...). Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite nonché ai professionisti Geom. (...) e Geom. (...). Così deciso in Como il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE I CIVILE Il Tribunale, nella persona dei seguenti magistrati: dott.ssa Barbara Cao - Presidente rel. dott.ssa Nicoletta Sommazzi - Giudice dott.ssa Chiara Lastrucci - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1643/2018 R.G. promossa da: (...) (C.F. (...) ) nato in (...) (C.) il (...), con il patrocinio dell'avv. PI.CA., con elezione di domicilio presso e nello studio del difensore; RICORRENTE contro (...) (C.F. (...) ) nato a (...) (C.) il (...), con il patrocinio dell'avv. RA.VA., con elezione di domicilio presso e nello studio del difensore; RESISTENTE e con l'intervento obbligatorio del PUBBLICO MINISTERO, in persona del Sostituto - Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Como (Visto agli atti) - INTERVENUTO- Oggetto: separazione giudiziale Data della decisione: 15.7.2022 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Premesso in fatto che: 1. (...) e (...) hanno contratto matrimonio concordatario in ALBESE CON CASSANO (CO) l'11.9.1989; 2. dal matrimonio sono nati i figli (...) (il (...)) e (...) (il (...)); 3. all'udienza presidenziale del 2.10.2018 il Presidente delegato, dopo aver sentito personalmente e parti, con provvedimento in pari data autorizzava i coniugi a vivere separati e determinava in Euro 800,00 mensili l'assegno di mantenimento a carico del marito, da incrementarsi a 1.500 Euro mensili, rivalutabili annualmente, qualora la resistente avesse rilasciato la casa familiare; 4. con sentenza parziale n. 560/2019 del 9.5.2019 il Tribunale di Como pronunciava la separazione personale dei coniugi; 5. assegnati i termini di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c. ed espletata l'istruttoria ritenuta necessaria, la causa veniva trattenuta una prima volta in decisione all'udienza del 14.12.2021, ma veniva rimessa sul ruolo con ordinanza del 30.05.2022 per acquisire l'ordinanza presidenziale emessa nelle more in sede di divorzio, con successiva precisazione delle conclusioni all'udienza del 13.7.2022 con rinuncia ai termini ex art. 190 c.p.c. e conseguente rimessione al Collegio per la decisione. Ritenuto che: 6. SULLE ISTANZE ISTRUTTORIE Dal punto di vista istruttorio la controversia in oggetto è matura per la decisione, condividendo il Collegio le considerazioni svolte sotto il profilo istruttorio dal GI. In particolare, non appaiono rilevanti ai fini della decisione le richieste istruttorie reiterate anche con le conclusioni in via definitiva dalle parti, risultando i documenti acquisiti in atti e l'istruttoria già espletata elementi sufficientemente idonei a fondare un'adeguata decisione su tutti gli aspetti della controversia. 7. SUL MANTENIMENTO DEI FIGLI (...) e (...), figli delle parti, sono entrambi maggiorenni; la prima, ormai ventisettenne, è autosufficiente e ha un proprio nucleo familiare col quale convive. (...), pur essendo venticinquenne, non risulta economicamente autosufficiente, convive col padre il quale lo mantiene integralmente. Sotto questo profilo le conclusioni delle parti convergono cosicché dovrà essere confermato che il padre provvederà all'integrale mantenimento di (...) fino alla sua autosufficienza economica. 8. Sulla asserita fondatezza della "domanda di addebito". Alla pagina due della comparsa conclusionale della (...) si legge circa la fondatezza della domanda di addebito che però non risulta essere mai stata formulata negli atti di causa, neppure nella memoria di costituzione innanzi all'istruttore, tanto che la stessa non è neppure mai menzionata nelle conclusioni rassegnate. Se ne deve dedurre che il riferimento all'addebito e alla relativa fondatezza sia un mero errore contenuto nella conclusionale, avulso dalle domande oggetto di causa e sul quale non ci si dovrà pertanto pronunciare. 9. CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO DELLA MOGLIE Quanto al mantenimento del coniuge con le conclusioni rassegnate in via definitiva il ricorrente ha chiesto che sia accertato che nulla è dovuto alla moglie quale contributo al mantenimento o, in via subordinata, che lo stesso debba essere contenuto in Euro 200,00 mensili. Il (...) ha in particolare insistito sulla sussistenza di una convivenza tra la resistente e il signor (...) ciò che, sulla base della recente giurisprudenza di legittimità, consentirebbe di escludere ogni contribuzione del coniuge. La moglie ha chiesto, invece, l'assegnazione della casa coniugale e un contributo al mantenimento determinato in Euro 2.000,00. Deve intanto rilevarsi che la prova testimoniale esperita, proprio con esclusivo riferimento alla relazione sentimentale tra la (...) e il (...), non ha dimostrato la convivenza tra i due, ma la mera esistenza di un rapporto affettivo dal 2015 al 2017, con successiva interruzione e una recente ripresa. Non si può dunque sostenere che siano emersi dagli atti degli elementi idonei a dimostrare l'esistenza di una progettualità di vita in comune della coppia né indizi in tal senso possono trarsi dal fatto che gli stessi abbiano trascorso insieme un mese estivo in Croazia (presumibilmente con spese a carico del (...) posto che il (...) è inadempiente da lungo tempo al pagamento del contributo al mantenimento). Escluso dunque che la domanda della (...) possa essere respinta sotto tale profilo si osserva quanto segue. La (...) ha un diploma di estetista che avrebbe utilizzato solo nella fase antecedente al matrimonio e, comunque, alla nascita dei figli, la prima delle quali risalente al 1995. Ha attualmente 56 anni. Avrebbe quindi sostenuto l'impossibilità di entrare nel mondo del lavoro in considerazione della propria età e del lungo tempo di inattività trascorso. Ha insistito durante tutto il giudizio nell'inattendibilità della situazione economica prospettata dalla controparte che era perfettamente in grado di versarle quanto richiesto e, comunque, quanto stabilito dall'A.G. Nella propria ultima autodichiarazione la resistente ha affermato di percepire 500 Euro di reddito di cittadinanza e di continuare ad occupare la casa coniugale, immobile di 250 mq del valore di circa 350.000 Euro, di esclusiva proprietà del (...). Quest'ultimo, socio unico e amministratore della (...) s.r.l., non ha depositato la richiesta autodichiarazione in vista dell'udienza di p.c. Le ultime dichiarazioni dei redditi da questi depositate, relative agli anni 2019, 2020 e 2021, attestano importi risibili (rispettivamente pari a Euro 2922, Euro 1348 ed Euro 1269), del tutto inattendibili (già nella dichiarazione del 2018, anno di introduzione del giudizio di separazione, si registrava un reddito imponibile dell'importo più comprensibile di Euro 37.366. Dall'indagine della G.di F. emergono poi redditi lordi ben più consistenti per gli anni precedenti: Euro 54.625 per il 2014; Euro 75.817 per il 2015; Euro 78297 per il 2016; Euro 38373 per il 2017). Il (...) ha invero acquistato un'altra abitazione (rispetto a quella coniugale) su cui gravano 1200 Euro di mutuo mensili e appare poco credibile, oltre che non provato, che sia quell'importo che ogni ulteriore spesa sia sostenuta dall'attuale compagna, titolare di una stireria (come risultante dalle dichiarazioni rese innanzi al Presidente in sede divorzile). Non è poi comprensibile come la banca, a fronte di una situazione economica così disastrata, avrebbe comunque concesso un mutuo. Anche le indagini richieste alla G. di F. non hanno sortito risultati sensibilmente diversi da quelli ricavabili dall'esame dei documenti acquisiti. Sembrerebbe che sia il (...) personalmente che la società da lui amministrata (che si occupa del commercio di tessuti) abbiano subito negli anni (peculiarmente coincidenti con l'inizio della presente vertenza) una drastica contrazione economica, tanto che sin dall'udienza presidenziale in sede di divorzio del 13.2.2020 il ricorrente ne pronosticava il fallimento. Detto evento non solo non si è prodotto ma dall'ordinanza successivamente emessa in sede presidenziale nel divorzio, e dagli elementi in quella sede acquisiti, pare di intuire che il (...) stia cercando di liberarsi dei propri averi con intestazioni all'attuale compagna e alla figlia. Nell'O.P. del 28 aprile 2021, resa in sede divorzile, si legge infatti: "... considerato, quanto al marito, che lo stesso, all'udienza del 16.2.2021, incalzato dal difensore di controparte che ha versato in atti articoli di stampa in tal senso, ha riferito che la compagna - che di fatto lo starebbe sostanzialmente mantenendo - ha costituito con la figlia e un dipendente una società a responsabilità limitata, dedita a nuovo business, che occupa parte del capannone e delle attrezzature della società (...) srl del ricorrente, che quest'ultimo all'udienza del febbraio 2020 aveva dichiarato prossima al fallimento, mentre a febbraio 2021 ha riferito essere protetta da uno sorta di "scudo" da parte di (...); rilevato che le dichiarazioni del marito, ottenute a seguito di sollecitazione del difensore della moglie, e le notizie di stampa acquisite inducono a temere che l'attività economica sia trasferita alla nuova società, in cui il sig. (...) formalmente non compare, ma in cui appare difficile credere che egli non metta a disposizione la propria competenza e professionalità, tenuto conto che la compagna opera in altro settore e lo starebbe comunque aiutando economicamente, per cui una condivisione di esperienze e proventi sarebbe del tutto naturale; osservato, inoltre, che le drammatiche condizioni economiche riferite dal marito appaiono non coerenti con l'intenzione dello stesso di svendere la casa coniugale alla figlia a 200.000,00 Euro, nel dichiarato intento di aiutarla - lasciando la moglie senza un tetto e senza risorse- nel momento in cui parte ricorrente all'udienza del 16.2.2021 aveva riferito che la casa coniugale "è stata stimata di valore tra 340.000,00 e 360.000,00 Euro, libera da occupazione e sistemata" e all'ultima udienza del 27.4.21 ha precisato che, a seguito di sopralluogo del geom. (...), sono stati calcolati costi di sanatoria di 9.000,00 Euro e di sistemazione per Euro 15.000,00; rilevato che la prospettata vendita della casa coniugale alla figlia e al di lei compagno comporterebbe una perdita di circa 100.000,00 Euro per favorire la figlia, circostanza che, se da un lato appare poco compatibile con la riferita compromessa situazione economica del ricorrente, dall'altro appare chiaramente funzionale a danneggiare la moglie, tenuto conto che la figlia in ricorso è indicata come economicamente autonoma e ha un compagno (e forse è anche socia della nuova società occupante parte degli spazi e delle attrezzature della società del padre), mentre, come detto, la moglie è priva di casa e di redditi e, viste le ripetute inadempienze del marito al pagamento dell'assegno di mantenimento, con la vendita alla figlia della casa coniugale, ossia dell'unico immobile libero rimasto in capo al marito, perderebbe non solo l'abitazione, ma anche ogni garanzia per il pagamento futuro del proprio mantenimento; considerato, infine, sempre in punto condizioni economiche del marito, che la signora (...), all'udienza del 13.2.2020, ha riferito fatti specifici sul tenore di vita del coniuge, che non sono stati specificamente contestati nelle udienze successive ..." Fatte quelle premesse il Presidente delegato, oltre a determinare il contributo al mantenimento della (...), provvedeva anche a concedere il richiesto sequestro ex art. 156 c.c. sull'immobile prima adibito a casa coniugale fino all'importo di Euro 200.000 atteso l'inadempimento del (...). Sempre dalle risultanze della relazione della G. di F. (cui si rimanda) e dai documenti in atti, il ricorrente risulta essere comproprietario di ulteriori mobili e immobili, in misura di 1/6, provenienti dall'eredità paterna e sulla divisione dei quali pende giudizio intentato da una delle sorelle che, a quanto risulta, è ancora in corso. Si ritiene pertanto congruo, allo stato, valutate comparativamente le situazioni economiche complessive ed abitative dei coniugi, ed in particolare l'inattendibilità delle più recenti dichiarazioni dei redditi del ricorrente, confermare nella sostanza le statuizioni adottate in sede di O.P. del 2 ottobre 2018, in parte mitigate dall'ordinanza presidenziale emessa in sede divorzile a fronte dell'attuale percezione del reddito di cittadinanza da parte della (...). Il contributo al mantenimento da porsi a carico del (...) per il mantenimento della moglie sarà dunque di 800 Euro mensili fino alla percezione del reddito di cittadinanza da parte di quest'ultima, data a decorrere dalla quale diventerà di Euro 380 mensili. Le statuizioni riguarderanno peraltro la sola ipotesi di permanenza della (...) nella casa coniugale giacché la stessa vi è rimasta ininterrottamente fino all'udienza presidenziale del 28.4.2021 (in sede divorzile) e le disposizioni della presente pronuncia varranno temporalmente solo fino a tale data. Invero, anche la più recente giurisprudenza conferma che i "redditi adeguati", cui va rapportato ai sensi dell'art. 156 c.c. l'assegno di mantenimento del coniuge "..in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e coabitazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio"(vedi Cass., sez. I, ord. 6.7.2022, n. 21392). Preme comunque sottolineare come ancor oggi, dopo quattro anni di causa, le parti non abbiano in alcun modo preso in considerazione la suggerita possibilità di vendita della casa coniugale e di reperimento per la resistente di una situazione abitativa più consona alla attuale situazione economica e personale descritta (la (...) occupa da sola un'abitazione di oltre 200 metri quadri, risulta essere un'accumulatrice seriale, non pare avere un'occupazione e il (...) è inadempiente al versamento del contributo), ciò che consentirebbe anche di sanare da parte del ricorrente l'ingente debito ormai maturato nei confronti della moglie per assegni pregressi non onorati. 10. SULL'ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE La (...), anche con le conclusioni rassegnate in via definitiva, ha chiesto l'assegnazione della casa coniugale. Come già ampiamente segnalato fin dall'udienza presidenziale il presupposto dell'assegnazione della casa coniugale è la presenza di figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti. Ed invero, l'art. 337 sexies c.c. - peraltro collocato nel capo relativo all'esercizio della responsabilità genitoriale - sancisce che il godimento della casa coniugale è attribuito tenendo preliminarmente conto dell'interesse della prole. Chiara e consolidata risulta sul punto la giurisprudenza di legittimità, che ha più volte sottolineato come l'interesse tutelato dall'ordinamento avuto riguardo all'assegnazione dell'abitazione familiare è quello dei figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, e pertanto non può essere disposta per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali è unicamente destinato l'assegno di divorzio: "sia in sede di separazione che di divorzio - gli artt. 155 quater c.c. (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis) e 6, co. 6, della L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 11 della L. n. 74 del 1987, consentono al giudice di assegnare l'abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull'immobile, solo se a lui risultino affidati figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. Tale 'ratio' protettiva, che tutela l'interesse dei figli a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile, invece, in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza alcuna di spedale protezione (cfr., ex plurimis, Cass. 5857/2002; 25010/2007; 21334/2013). Devesi - per il vero - considerare, in proposito, che l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all'esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro 'habitat' domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d'essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione. (Cass. 6706/2000). (...) Ne discende che, se è vero che la concessione del beneficio ha anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, co. 6, della legge sul divorzio, nondimeno l'assegnazione in questione non può essere disposta al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali è unicamente destinato l'assegno di divorzio (Cass. 13736/2003; 10994/2007; 18440/2013)" (Da ultimo, Cass. Sez. 1 civile 22 luglio 2015, n.15367). La richiesta di assegnazione della casa coniugale deve pertanto essere respinta. 6. SPESE PROCESSUALI Le spese processuali devono essere integralmente compensate in considerazione della reciproca soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle conclusioni assunte, ogni diversa domanda, eccezione, deduzione, istanza anche istruttoria, disattesa così statuisce: 1. PONE a carico di (...) l'obbligo di corrispondere a (...), a titolo di contributo al mantenimento, l'importo di Euro 800 mensili fino alla percezione da parte di quest'ultima del reddito di cittadinanza pari a Euro 500 mensili, data a decorrere dalla quale diventerà di Euro 380,00 mensili; 2. pone integralmente a carico del ricorrente il mantenimento del figlio (...), con lo stesso convivente, in quanto maggiorenne ma non autosufficiente; 3. rigetta la domanda di assegnazione della casa coniugale per le ragioni indicate in parte motiva; 4. Compensa le spese di lite. Così deciso in data 15 luglio 2022 nella Camera di Consiglio della sezione I civile del TRIBUNALE ORDINARIO di Como, tenutasi in videoconferenza, tramite l'applicativo Teams, così come previsto dall'art. 23, comma 9, d.l. 137/2020. Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Como, nella persona del Giudice dott.ssa Chiara Lastrucci ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1467/2021, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n. 516/2020 del Giudice di Pace di Como, promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da procura allegata all'atto di citazione in appello; APPELLANTE contro CONDOMINIO (...) (C.F. (...)), amministrato da (...) S.r.l., in persona dell'amministratore unico sig. (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta; APPELATO CONCLUSIONI All'udienza del 10.11.2021 le parti hanno precisato le seguenti conclusioni. PARTE APPELLANTE: "In via principale, nel merito, accogliere l'appello per i motivi dedotti in atti e, per l'effetto, in riforma della sentenza n.516/2020 emessa dal Giudice di Pace di Como - Dott.ssa Barbara Capotosto, nel giudizio recante R.G. 302/2020, depositata in cancelleria in data 6/10/2020, ritenuta la tempestiva instaurazione del procedimento di mediazione e la conseguente non intervenuta decadenza ex art. 1137 cc da parte del Sig. Bonfanti Alessio, pronunciarsi nel merito accogliendo tutte le conclusioni avanzate in prime cure che qui si riportano: "In via principale nel merito: dichiarare la nullità/annullabilità e/o comunque l'inefficacia della delibera assembleare di cui al punto n. 3) all'O.d.G. assunta in data 2/10/2019 in quanto illegittima per i motivi meglio esplicitati in narrativa e da intendersi integralmente richiamati. In ogni caso: condannare il Condominio (...) rappresentato dalla (...) s.r.l. alla rifusione delle spese di lite, anche alla luce del rifiuto di quest'ultimo a partecipare all'incontro di mediazione dinnanzi all'Organo di Mediazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Como, poiché l'adesione a tale procedimento avrebbe evitato l'instaurazione del presente giudizio consentendo la risoluzione della questione in tale sede; per l'effetto, disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall'appellato dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti negli atti difensivi; In ogni caso: con vittoria di spese e compensi oltre il rimborso forfettario per spese generali oltre IVA e CPA come per legge relativi ad entrambi i gradi di giudizio". PARTE APPELLATA: "In via principale: rigettarsi il gravame e confermarsi l'intervenuta decadenza dall'impugnazione della delibera. In via subordinata: dichiararsi l'inammissibilità della domanda di nullità della delibera, siccome non é contestato che si verta teoricamente in tema di annullabilità, e della domanda di condanna del Condominio, siccome nuova. Nel merito: rigettarsi ogni avversa domanda siccome destituita di fondamento. In ogni caso: con vittoria di spese e competenze di lite, oltre a spese generali, IVA e CPA e condanna dell'attore ex art. 96 cpc". RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) aveva convenuto in giudizio davanti al Giudice di Pace di Como il Condominio (...) chiedendo che fosse dichiarata la nullità/annullabilità e/o comunque l'inefficacia della delibera assembleare di cui al punto n. 3 all'O.d.G. assunta in data 2.10.2019. A sostegno della propria domanda l'attore aveva esposto: - di essere proprietario di un'unità abitativa sita al piano primo del Condominio "(...)"; - che in data 20.9.2019 l'amministratore di condominio (...) srl aveva convocato l'assemblea straordinaria per discutere e deliberare, per quanto qui interessa, sul seguente ordine del giorno: "3) Attività amministrative varie, legali e tecniche straordinarie ad oggi svolte e da svolgersi, stanziamento fondo economico da portarsi a conguaglio.."; - che i condomini presenti all'assemblea avevano deliberato su tale ordine del giorno stanziando un fondo economico di Euro 4.000,00 a disposizione dell'amministratore che avrebbe dovuto documentare l'attività svolta in sede di rendiconto; - che, avendo ricevuto il verbale in data 10-15.10.2019, l'attore aveva impugnato tale delibera in data 6.11.2019 presentando domanda di mediazione obbligatoria presso l'Organismo di mediazione del COA di Como; - che tale delibera sarebbe stata illegittima quanto all'ordine del giorno n. 3, attesa la genericità dei titoli di spesa extra preventivo non riconducibili ad opere straordinarie deliberate; la sproporzione di tale somma parametrata al complessivo bilancio medio di gestione annua del condominio e l'intempestività della delibera stante la prossima scadenza dell'esercizio in corso ed infine; - che inoltre tale delibera sarebbe stata illegittima nella parte relativa alle spese legali, atteso che tali somme sarebbero state utilizzate per la copertura delle spese legali del Condominio nella controversia pendente nei confronti dello stesso Bonfanti. Il Condominio (...) si era costituito in giudizio eccependo preliminarmente la decadenza di controparte, atteso che la domanda di mediazione era stata notificata al Condominio soltanto in data 13.11.2019, dunque oltre il trentesimo giorno dal ricevimento della delibera da parte di (...). Nel merito aveva poi contestato la fondatezza della domanda avversaria, rappresentando che la creazione di un fondo spese si era resa necessaria per porre in essere le attività omesse dallo stesso (...), che aveva rivestito la qualifica di amministratore di condominio fino al luglio 2019. Tale fondo spese non poteva dunque dirsi generico, atteso che le ragioni della sua costituzione erano chiarite al punto 1) dell'ordine del giorno della medesima delibera; né erano fondate le contestazioni in merito alla sua sproporzione e alla circostanza che tale fondo sarebbe stato usato per il pagamento delle spese legali del Condominio nella controversia pendente contro il condomino. A tale ultimo riguardo, infatti, il Condominio, come documentato, era coperto da una polizza assicurativa che si era assunto il carico di tali spese di lite. Il Giudice di Pace di Como, con la sentenza oggetto di impugnazione, accogliendo l'eccezione sollevata da parte convenuta, aveva dichiarato parte attrice decaduta dalla facoltà di impugnare la delibera. Con atto di citazione in appello ritualmente notificato, l'odierno appellante ha impugnato tale sentenza, sostenendo che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ricondurre il momento di instaurazione del procedimento di mediazione a quello di comunicazione della domanda alla controparte, anziché a quello del deposito presso l'organismo di mediazione. Secondo parte appellante, infatti, il giudice di primo grado avrebbe correttamente qualificato la domanda proposta in termini di annullabilità della delibera e fatto decorrere il termine di 30 giorni dal 10.10.2019, data nella quale era stato lasciato l'avviso al destinatario del deposito del plico presso l'ufficio postale, tuttavia, avrebbe errato nel non ritenere tempestivamente introdotto il giudizio di mediazione già con il deposito della domanda, avvenuto il 6.10.2019, atteso che la comunicazione a controparte era avvenuta in data 13.10.2019 soltanto perché era in tale data che l'organismo di mediazione aveva emesso il provvedimento di fissazione del primo incontro e di nomina del mediatore. Conseguentemente, parte appellante, previa riforma della sentenza impugnata in virtù delle argomentazioni sopra richiamate, ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni rassegnate in primo grado. Il Condominio (...) si è costituito nel presente giudizio contestando tale motivo di appello, sostenendo la correttezza della sentenza di primo grado, attesa la ritenuta fondatezza dell'eccezione sollevata, eccependo ad ogni modo l'inammissibilità della domanda di nullità della delibera non avendo parte appellante impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha accertato che i motivi dedotti sarebbero riconducibili a cause di annullabilità e non di nullità e chiedendo la condanna dell'appellante ai sensi dell'art. 96 cpc. Alla prima udienza le parti hanno chiesto la fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni e in data 10.11.2021, previa precisazione delle conclusioni sopra richiamate, la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente occorre osservare che (...) ha impugnato la sentenza n. 516/2020 emessa dal Giudice di Pace di Como con un unico motivo di gravame, contestando l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato l'intervenuta decadenza dell'odierno appellante dall'impugnazione della delibera condominiale. Al contrario, alcuna contestazione è stata mossa alla sentenza di primo grado nella parte in cui ha preliminarmente qualificato i vizi lamentati da (...) quali motivi di annullabilità, anziché di nullità, con la conseguenza che in questa sede detto accertamento, peraltro ritenuto corretto nell'atto introduttivo del presente giudizio dallo stesso appellante, deve ritenersi definitivo (cfr. Cass. Civ. n. 14755/2006). Tanto premesso, l'appello è infondato e deve essere respinto per i motivi di seguito indicati. In virtù del disposto dell'art. 1137, secondo comma, cc, i condomini assenti, dissenzienti o astenuti possono chiedere l'annullamento delle delibere condominiali contrarie alla legge o al regolamento di condominio nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, tale ultimo termine nel caso in cui la comunicazione sia effettuate mediante invio a mezzo raccomandata inizia a decorrere dal momento in cui viene lasciato avviso al destinatario del deposito del plico presso l'ufficio postale e non già dal suo effettivo ritiro, salva la prova dell'impossibilità di esserne venuto incolpevolmente a conoscenza (cfr. Cass. Civ. n. 24399/2018). Per quanto attiene poi alla normativa in materia di mediazione obbligatoria, l'art. 5, comma 6, del Dlgs n. 28/2010 dispone che "dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'art. 11 presso la segreteria dell'organismo". L'art. 8 di tale decreto legislativo stabilisce poi che la domanda di mediazione e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte "con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante". Ebbene, dalla lettura combinata di tali norme si desume chiaramente come l'effetto di impedire la decadenza prevista dall'art. 1137, secondo comma, cc non possa ritenersi prodotto dal momento del deposito della domanda di mediazione, ma soltanto da quello della comunicazione di tale domanda all'altra parte. La tesi sostenuta da parte appellante contrasta con il tenore letterale della norma sopra richiamata e dunque non risulta condivisibile, atteso peraltro che l'art. 8 del Dlgs. 28/2010 attribuisce anche a parte istante il potere di comunicare tempestivamente la domanda di mediazione introdotta al fine di rispettare il termine espressamente previsto come perentorio a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera condominiale. In virtù della formulazione dell'art. 5, comma 6, Dlgs. n. 28/2010 non può dunque dubitarsi che l'onere della comunicazione della presentazione della domanda incomba anche su colui che l'ha presentata, al fine di precludere l'avverarsi delle decadenze normativamente previste. In definitiva, dunque, condividendo l'orientamento maggioritario formatosi nella giurisprudenza di merito e confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che l'effetto di impedire la decadenza prevista dall'art. 1137, secondo comma, cc si verifichi non dal momento del deposito della domanda di mediazione, ma dal momento della relativa comunicazione alla controparte (cfr. Cass. Civ. n. 2273/2019; Corte Appello Palermo n. 1122 del 7.7.2021; Corte Appello Milano n. 253 del 27.1.2020; Trib. Terni n. 762 del 22.9.2021; Trib. Roma n. 9078 del 25.5.2021). Conseguentemente, nel caso di specie, essendo pacifico che tale comunicazione sia stata effettuata in data 13.11.2019 e dunque in un momento successivo allo spirare dei trenta giorni decorrenti, come affermato anche dallo stesso appellante, dal 10.10.2019, l'impugnazione risulta tardiva e l'appello deve essere respinto. Infine, in merito alla domanda proposta da parte appellata di condanna dell'appellante per lite temeraria ex art. 96 cpc, si ritiene che la stessa non sia meritevole di accoglimento. A tal riguardo si condivide l'orientamento giurisprudenziale in virtù del quale tale ipotesi di responsabilità può essere pronunciata nel caso in cui la parte che agisce per il risarcimento abbia fornito la prova sia dell'elemento soggettivo, ossia della malafede o colpa grava, sia dell'elemento oggettivo, ossia dell'entità del danno sofferto. Nel caso di specie parte appellata si è soffermata sulla condotta processuale tenuta da parte appellante, ma non ha fornito prova neppure in via presuntiva del danno subito, pertanto tale domanda deve essere respinta. Occorre tuttavia precisare che il rigetto della domanda accessoria formulata ai sensi dell'art. 96 cpc, a fronte l'integrale accoglimento di quelle di merito proposte dalla stessa parte, per pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr Cass. Civ. n. 11792/2018; Cass. Civ. n. 9532/2017), non configura un'ipotesi di soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione delle spese di lite ex art. 92 cpc. Pertanto, alla soccombenza di parte appellante segue la condanna al pagamento delle spese di lite che si liquidano come da dispositivo in base al DM 55/2014, tenuto conto del valore della controversia (indeterminabile di bassa complessità), del mancato espletamento della fase istruttoria e della nota spese depositata da parte appallata, facendo applicazione di valori compresi tra i minimi ed i medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale. Trattandosi di una impugnazione, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, stante il rigetto integrale dell'appello proposto in via principale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così dispone: 1) Rigetta l'appello avverso la sentenza n. 516/2020 del Giudice di Pace di Como. 2) Condanna (...) al pagamento delle spese di lite in favore del Condominio "(...)", che liquida in Euro 3.000,00, oltre al rimborso spese forfettarie, nella misura del 15%, IVA, e CPA, come per legge. 3) Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, d.p.r. n. 115/2002. Como, 31 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO SEZIONE PREVIA CIVILE Composto dai magistrati Dott. Agostino Abate, Presidente; Dott.ssa Chiara Lastrucci, Giudice; Dott.ssa Claudia Porrini, Giudice Onorario relatore Con ricorso depositato il 25 aprile 2021 (...) depositava rie orco per revoca amministratore ex art. 1129 c.c. adducendo varie e gravi doglianze nella gestione condominiale, da parte del sig. (...) del Supercondominio (...). Si costituiva il sig. (...) che contestava gli addebiti e, all'udienza dell'8 marzo 2022, eccepiva l'inammissibilità della revoca giudiziale dell'amministratore in quanto inoltrata quando lo stesso era in regime di prorogatio imperi. Il Giudice fissava per l'udienza del 15 marzo 2022 per la discussione. La questione sollevata dal resistente circa l'inammissibilità del ricorso non è tardiva in quanto in materia di volontaria giurisdizione non esistono le preclusioni di cui al processo di cognizione (artt. 163 e seguenti c.p.c.). Nella fattispecie il sig. (...) già amministratore del suddetto condominio da svariati anni, era stato confermato amministratore per l'anno 2019 durante l'assemblea del 13.04.2019 e poi, solo con l'assemblea del 24.07.2021 i condomini lo avevano confermato per l'anno passato e cioè per l'anno 2020 e per l'anno in corso 2021. Non vi è dubbio che l'art. 1129 c.c. prevede che l'amministratore dura in carica un anno e s'intende rinnovato per ugual durata (Trib. Milano 7.10.2015 in Arch. locazioni 2018, 6, 680). La durata non può essere derogata neppure dal regolamento di condominio come previsto dall'art. 1138 4 comma c.c.. Pertanto, al fine di ogni anno di gestione l'amministratore decade dal proprio incarico e, fatto salvo il rinnovo automatico dopo il primo anno, in difetto di revoca, si rende necessaria una delibera di conferma o di nomina di altro rappresentante. Ne consegue che, al momento del deposito del riconto (25 aprile 2021) il sig. (...) in mancanza di una delibera di conferma entro il 13 aprile 2020, era in regime di prorogatio imperi e lo era anche nell'ipotesi in cui si volesse considerare la conferma del 13.04.2019 come una nuova nomina e che quindi si considerasse il suo incarico rinnovato per un ulteriore anno e cioè fino al 13 aprile 2021. La questione giuridica da affrontare è la seguente: L'amministratore in regime di prorogatio può' essere giudizialmente revocato? Questo Tribunale ritiene di aderire alla giurisprudenza di merito maggioritaria richiamata dalla recentissima sentenza, n. 19 del 10.01.2022, emessa dalla Corte d'Appello di Lecce secondo cui, alla scadenza del mandato il contratto si estingue per legge e, per ovviare ad una mancata nomina immediata, l'amministratore continua ad esercitare i poteri provvisoriamente. Da qui la conseguenza inevitabile che non si può revocare un amministratore non più in carica ma si può agire indirettamente solo per la nomina giudiziale di un nuovo amministratore. Il ricorso pertanto è inammissibile perché rivolto nei confronti di un amministratore per il quale l'incarico è già scaduto (Trib. Catania 10.02.2014; Trib. Teramo 29 giugno 2016, Trib. Roma 26.11.2018, Trib. Foggia 6 novembre 2020: tutte sentenze richiamate in quella emessa dalla Corte D'appello di Lecce). La Corte afferma anche che nel caso in cui l'assemblea rinomini il precedente amministratore in prorogatio - com'è avvenuto nella presente fattispecie in data 24.07.2021 - il condomino potrà far valere contrattualmente soltanto nuovi inadempimenti cioè quelli commessi a seguito della sua nomina e inerenti alla nuova gestione. Secondo questo Tribunale il ragionamento della Corte di Lecce è logico e condivisibile in quanto il rapporto intercorrente fra il condominio e l'amministratore è di natura contrattuale ed è sempre stato ricondotto al mandato con rappresentanza. Lo stesso articolo 1129 c.c. al comma 15 richiama espressamente l'applicazione delle norme sul mandato laddove afferma che "per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo m del libro IV". La revoca giudiziale pertanto si iscrive fra le domande di risoluzione del contratto di mandato per grave inadempimento ex art. 1453 c.c. Corollario: in assenza di un contratto valido ed efficace non può in nessun caso procedersi alla risoluzione. Questo Tribunale non concorda con pronunce discordanti e minoritarie secondo cui si deve sempre consentire un controllo giudiziale sull'attività anche in regime di prorogatio in quanto non sorrette da riscontri normativi. Ogni altra argomentazione e questione di merito resta assorbita. Le spese di lite vengono dichiarate integralmente compensate perché la questione sull'ammissibilità della revoca dell'amministratore in prorogatio è questione dibattuta nella giurisprudenza di merito ed in particolare perché l'azione è stata determinata dall'inerzia del convenuto che per due esercizi consecutivi ha omesso la convocazione di assemblea. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Como il 4 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di COMO SEZIONE PRIMA CIVILE Composto dai magistrati Dott. Agostino Abate, - Presidente; Dott.ssa Chiara Lastrucci, - Giudice; Dott.ssa Claudia Porrini, - Giudice Onorario relatore FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 67 III comma dis. att. cc. 1105 cc, CI e CDF esponevano che il Condominio 2 sito all'interno e facente parte del Comprensorio M posto in Comune di Cassina Rizzardi Via (...) e facente parte di un supercondominio denominato "(...)" insieme al Condominio 3 "(...)" ed al Condominio 4 "(...)", nonostante convocazione di assemblea ad hoc, non aveva ancora provveduto a designare il proprio rappresentante impedendo la convocazione dell'assemblea supercondominiale ed ogni attività gestoria. Chiedevano pertanto la nomina del Rappresentante per il Condominio 2 "(...)" in seno al Supercondominio CT 2,3e 4 con rifusione di spese. All'udienza del 23 marzo 2022 oltre al legale attoreo era presente anche l'Avv. (...), amministratore del Condominio (...) il quale confermava, come da verbale assembleare, che l'assemblea non aveva raggiunto il quorum per la nomina di un proprio rappresentante. Il Tribunale ritiene ammissibile il ricorso in quanto l'articolo 67 comma terzo disp. att. cc prevede che, nei casi di cui all'art. 1117 bis cc, quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta, ciascun condominio deve designare, con la maggioranza di cui all'articolo 1136 cc, quinto comma del codice, il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell'amministratore. In mancanza, ciascun partecipante può chiedere che l'autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante l'autorità giudiziaria provvede alla nomina su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già nominati, previa diffida a provvedervi entro un congruo termine. Nella fattispecie, è stato documentalmente provato che le ricorrenti, già rappresentanti degli altri due condominii facenti parte del Supercondominio, (più precisamente del Condominio 3 "il terzo" e del Condominio 4 "(...)") hanno inviato in data 10.12.2021 all'amministratore del Condominio A la diffida di cui all'articolo citato. E' altresì documentalmente provato che il Condominio A, convocato per il giorno 18.01.2022, anche per la nomina del proprio rappresentante per il Supercondominio CT non ha potuto deliberare per mancanza di quorum deliberativo. In quella sede molti fra i condomini presenti, non potendo deliberare la nomina per mancanza di quorum, hanno espresso un gradimento per la nomina di una condomina, Dott.ssa (...). Il Tribunale ritiene di condividere questa scelta sia per motivi di economia e di efficienza, sia perché non ritiene validi i motivi di opposizione espressi dal legale dei ricorrenti in sede di udienza in quanto il Tribunale in questa sede non risolve una conflittualità ma, semplicemente, sostituisce la volontà assembleare. Le spese di lite non possono essere rifuse poiché la natura del presente procedimento comporta che esso resta sottratto all'applicabilità delle regole dettate dagli articoli 91 e seguenti cpc in materia di spese processuali, le quali postulano l'identificabilità di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un giudizio di tipo contenzioso (Cass. 10663/2020). Il presente decreto emesso dal Tribunale è atto di giurisdizione volontaria reso all'esito di un giudizio camerale plurilaterale: l'intervento del Giudice è concepito in sostituzione della volontà assembleare e vengono in rilievo contemporaneamente l'interesse dei beni comuni e quelli dei singoli soggetti che compongono il condominio. P.Q.M. Nomina quale rappresentante del Condominio 2 (...) in seno al Supercondominio "(...)" la Dottoressa (...) con studio in M. Via (...). Nulla a deliberare sulle spese. Così deciso in Como il 4 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica in persona del giudice dott. Paolo Bertollini, ha pronunciato ai sensi dell'art. 437 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al R.G. n. 3274/2021 vertente TRA (...) S.R.L. (P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Como, via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Gi., che la rappresenta e difende unitamente all'avv. Pa.Ga., come da procura allegata al ricorso in appello; - Appellante - E COMUNE DI COMO (C.F. (...)), con domicilio eletto in Como, via V. (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma.Ce., Ch.Pi., Ma.Og. e An.Ta., giusta procura allegata alla memoria difensiva; - Appellata - Oggetto: Appello avverso l'ordinanza d'inammissibilità, emessa dal Giudice di Pace di Como nel procedimento n. 1757/21 (R.G.). RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso del 16.07.2021, la (...) s.r.l. proponeva appello avverso l'ordinanza emessa dal Giudice di Pace di Como in data 19.07.2021, nell'ambito del procedimento n. 1757/2021 (R.G.), con cui era stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso ex art. 22 L. n. 689 del 1981, proposta nei confronti di tre avvisi bonari, ricevuti dal Comune di Como e datati rispettivamente 28.05.2021, 31.05.2021 e 31.05.2021 (cfr. all. 1 al ricorso di prime cure), con cui era stato ingiunto l'immediato pagamento delle sanzioni ivi indicate e meglio specificate nell'atto introduttivo del giudizio (cfr. ricorso, pag. 2, 3, 4 e 5). Esponeva, in particolare, la ricorrente che nulla aveva statuito il giudice di prime cure sull'istanza di rimessione in termini da lei avanzata, avendo essa dedotto di non avere potuto impugnare le singole sanzioni amministrative in quanto "il ristorante era chiuso per covid e nessuno presidiava evidentemente i locali" e che comunque "la moglie del legale rappresentante della società (...), decedeva proprio lo scorso anno a causa di aneurisma determinando nel predetto signor (...) vera "anima" della società una situazione di gravissima depressione post traumatica che gli impediva di occuparsi della società con ciò ignorando e dimenticandosi di eventuali notifiche di multe che in una simile situazione passavano in secondo piano" (cfr. ricorso, pag. 16). Aggiungeva, inoltre, che il Giudice di Pace aveva irragionevolmente omesso di istruire la causa, mancando di pronunciarsi sulle istanze istruttorie avanzate dalle parti, in violazione dell'art. 115 c.p.c. Chiedeva, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, di annullare tutti i verbali elevati dal Comune di Como, con vittoria di spese per il doppio grado di giudizio. Fissata l'udienza e notificato il ricorso, si costituiva in giudizio l'amministrazione comunale, eccependo preliminarmente l'inammissibilità dell'opposizione, atteso che tutte le sanzioni amministrative erano state notificate nel periodo febbraio 2019-maggio 2020 e non è, invece, suscettibile di autonoma opposizione l'avviso bonario di pagamento. Concludeva, pertanto, domandando il rigetto dell'appello. Respinta l'istanza di inibitoria della sentenza di primo grado, disattese le richieste istruttorie avanzate dalle parti e fallito il tentativo di conciliazione, la causa veniva rinviata all'odierna udienza per la discussione orale, che si teneva mediante deposito di note di trattazione scritta, ai sensi della vigente disciplina emergenziale. 2. Tanto esposto, va preliminarmente ritenuta l'ammissibilità dell'appello, nonostante il provvedimento impugnato sia privo della forma di sentenza, in violazione dell'art. 7, comma 9, lett. a) D.Lgs. n. 150 del 2011, secondo cui, in caso di inammissibilità del ricorso per violazione del termine di legge, la stessa dovrebbe essere dichiarata con sentenza. Come noto, infatti, nell'individuazione del rimedio esperibile avverso i provvedimenti, occorre fare applicazione del c.d. principio di prevalenza della sostanza sulla forma, secondo il quale "al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, e sia quindi soggetto o meno ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze, occorre aver riguardo, non già alla sua forma esteriore ed alla qualificazione attribuitagli dal giudice che lo ha emesso, ma agli effetti giuridici che esso è destinato a produrre" (cfr. Cass., sez. un., 9 giugno 2004, n. 10946; nello stesso senso, cfr. anche Cass., sez. un., 24 ottobre 2005, n. 20470; Cass., sez. lav., 7 aprile 2006, n. 8174). Posto che, con l'ordinanza dichiarativa di inammissibilità, il Giudice di Pace di Como aveva definito il processo, declinando la propria potestas iudicandi, alcun dubbio può sussistere in ordine alla natura di sentenza del provvedimento impugnato, con la conseguenza che l'appello proposto dalla (...) s.r.l. va senz'altro ritenuto ammissibile (cfr. Cass., sez. VI-2, 11 giugno 2014, n. 13260, con riferimento al procedimento di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di cui all'art. 6 D.Lgs. n. 150 del 2011, secondo cui "in tema di sanzioni amministrative, la tardività dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione, nel regime del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, è dichiarata con sentenza, applicandosi il rito del lavoro, sicché l'impugnazione esperibile è l'appello, non il ricorso per cassazione"). 3. Svolta tale premessa, l'appello va tuttavia respinto. Sul punto, va preliminarmente evidenziato che - come correttamente dedotto dal Comune di Como nei suoi scritti difensivi - l'avviso bonario, avente ad oggetto il pagamento di sanzioni pecuniarie per violazione di norme del codice della strada, non è autonomamente impugnabile per vizi propri, potendosi consentire unicamente la contestazione, con funzione c.d. recuperatoria, della validità degli atti ad esso prodromici (cfr. Cass., sez. II, 21 luglio 2021, n. 20919; nello stesso senso, cfr. anche Cass., sez. III, 25 maggio 2021, n. 14266; Cass., sez. un., 22 settembre 2017, n. 22080), che deve ritenersi possibile soltanto laddove il destinatario della sanzione deduca di non avere ricevuto la notifica del relativo verbale e di non essere stato, pertanto, in condizioni di contestare il merito della sanzione. Nel caso di specie, l'appellante ha effettivamente dedotto vizi relativi alle sanzioni amministrative, poste a fondamento dell'avviso bonario, senza tuttavia contestare di averne ricevuto la notificazione. La (...) s.r.l. ha, tuttavia, chiesto di disporre la rimessione in termini, sul presupposto che i locali commerciali sarebbero stati chiusi, al momento della notifica, in ragione della nota emergenza epidemiologica in atto, legata alla diffusione del virus SarsCov2, e che, in ogni caso, il legale rappresentante della società aveva subito un grave lutto in famiglia, che gli aveva impedito di proporre tempestiva opposizione. 3.1. La predetta istanza, non esaminata dal giudice di prime cure, deve tuttavia essere disattesa. Dalla documentazione in atti, risulta infatti che la maggior parte delle sanzioni amministrative erano state notificate all'appellante in data antecedente allo scatenarsi dell'emergenza epidemiologica; per quanto riguarda, invece, quelle notificate nella piena vigenza dello stato di emergenza, la scelta legislativa è stata quella di disporre la sospensione di tutti i termini (processuali e non), come previsto dal D.L. n. 18 del 2020. Pertanto, non è prospettabile alcuna rimessione in termini, a fronte del mancato rispetto del termine così prorogato. Peraltro, occorre evidenziare che l'istituto della rimessione in termini presuppone che la parte sia incorsa in una decadenza per causa a lei non imputabile, con ciò intendendosi "un evento che presenti il carattere dell'assolutezza - e non già un'impossibilità relativa, né tantomeno una mera difficoltà - e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione" (cfr. tra le tante Cass., sez. I, 23 novembre 2018, n. 30512; nello stesso senso, cfr. anche Cass., sez. un., 12 febbraio 2019, n. 4135). Nulla di tutto ciò è stato dedotto e provato dalla parte istante, la quale si è limitata ad allegare in modo generico l'impossibilità di proporre l'opposizione, senza dare atto della ragione per la quale nessuno potesse presidiare i locali commerciali, durante il periodo emergenziale, per verificare l'eventuale arrivo di notifiche e comunicazioni urgenti. Né tantomeno può giustificarsi l'accoglimento dell'istanza di rimessione in termini, per via del lutto subito dal legale rappresentante della società appellante. Trattasi, infatti, di un evento che senza dubbio determina uno sconvolgimento nello stile di vita dell'individuo, ma che non può però tradursi automaticamente in un'impossibilità assoluta all'esercizio dell'azione. L'istanza di rimessione in termini, così come proposta dall'appellante, deve quindi essere disattesa, con conseguente rigetto del primo motivo di impugnazione, dovendosi ritenere la tardività dell'opposizione proposta dalla (...) s.r.l.. 3.2. Analogamente, non può trovare accoglimento il secondo motivo di appello, consistente nella violazione dell'art. 115 c.p.c., per mancata assunzione delle prove orali richieste dalle parti. Invero, in applicazione del principio desumibile dall'art. 276 c.p.c., secondo cui vanno decise gradatamente dapprima le questioni pregiudiziali di rito e solo dopo il merito della causa, il giudice di prime cure si è limitato a dichiarare inammissibile la domanda senza nulla disporre sulle richieste istruttorie, da considerarsi legittimamente assorbite. Anche tale motivo di appello deve, pertanto, essere respinto, con conseguente conferma del provvedimento gravato. 4. Le spese per procedimento d'appello seguono la soccombenza e devono, pertanto, essere poste a carico dell'appellante; le stesse vanno liquidate facendo applicazione dei parametri minimi di cui al D.M. n. 55 del 2014, stante la semplicità delle difese addotte, per tutte le fasi del procedimento, ad eccezione di quella istruttoria che non si è svolta, tenuto conto del valore della causa (appartenente allo scaglione tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00). Il rigetto dell'appello giustifica, inoltre, l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 circa il pagamento del contributo unificato in misura doppia. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1) Rigetta l'appello proposto dalla (...) s.r.l. nei confronti del Comune di Como, avverso l'ordinanza del Giudice di Pace del 19.07.2021, emessa nell'ambito del procedimento R.G. n. 1757/21; 2) Condanna la (...) s.r.l. a rifondere le spese processuali in favore del Comune di Como, che liquida in Euro 1.618,00, per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge; 3) Dà atto dell'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002; 4) Fissa in giorni sessanta il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in Como il 17 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO Sezione I CIVILE in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Laura Serra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di molo generale 6544/2015, promossa con atto di citazione DA (...) rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) da procura in calce all'atto di citazione PARTE ATTRICE CONTRO (...) rappresentati e difesi (...) come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta COMUNE DI COMO (C.F./P.IVA 80005370137), rappresentato e difeso (...) come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta PARTE CONVENUTA E CON L'INTERVENTO EX ART. 106 C.P.C. DI (...) Rappresentanza generale per l'Italia, rappresentata a difesa (...) procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta; (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) come da procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta PARTE TERZA CHIAMATA OGGETTO: immissioni rumorose - azione inibitoria ex art. 844 c.c.- risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. CONCLUSIONI: all'udienza tenutasi in data 12.12.2018 i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni come di seguito riportate: Per parte attrice: FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI NELL'INTERESSE DEGLI ATTORI Gli attori, senza accettare il contraddittorio su eventuali domande ed eccezioni nuove e/o diverse eventualmente proposte da parte dei convenuti, chiedono l'accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI voglia il Tribunale adito, previe le declaratorie di legge e del caso, rigettata e respinta ogni domanda e/o eccezione delle parti convenute, nel merito: - accertato e dichiarato che la residenza degli attori in Como, in via (...) riceve immissioni acustiche provenienti dalla piazza superiore al limite della "normale tollerabilità" di cui all'art. 844 c.c. nonché ai limiti di cui al DPCM 14 novembre 1997 e al DPCM 1 marzo 1991, connesse agli esercizi di somministrazione alimenti e bevande e intrattenimento ivi presenti; accertato e dichiarato che il convenuto Comune di Como ha illegittimamente concesso l'occupazione del suolo pubblico della piazza (...) alle imprese convenute, in violazione dell'art. 6 della legge n. 447/1995, senza esercitare i poteri di controllo attribuitigli dall'art. 14 della legge n. 447/1995; ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 844 c.c., condannare tutte le parti convenute, in via solidale e/o alternativa e/o esclusiva, a cessare le immissioni acustiche illegittime e illecite e inibire alle stesse qualsivoglia attività (di somministrazione, di intrattenimento o altra) che comporti immissioni acustiche intollerabili a danno degli attori e della loro residenza; ciò, anche ai sensi dell'art. 2058 c.c.. Per l'effetto, ai sensi degli artt. 2043, 2051, 2059 e 1226 c.c., condannare tutte le parti convenute, in via solidale e/o alternativa e/o esclusiva, al risarcimento del conseguente danno non patrimoniale patito dagli attori, connesso alla violazione dei diritti alla salute (art. 32 Cost.) e al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), nella misura di Euro 10.000,00 per ciascuno degli attori, in ragione di ciascuna annualità oggetto del presente giudizio (2012, 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017), per complessivi Euro 240.000,00 ovvero della maggiore o minore somma che sarà determinata dal Giudice. Con rifusione integrale di contributo unificato, spese e competenze di giudizio, oltre CPA e IVA. Per parte convenuta: CONCLUSIONI PER I CONVENUTI Voglia l'Ill.mo tribunale di Como, contrariis rejectis, previe declaratorie di rito, così giudicare: In via principale e nel merito: - rigettare le domande tutte così come formulate in citazione dagli attori, siccome infondate in fatto e in diritto e comunque non provate; In via subordinata: - nella non creduta ipotesi dì accertamento di responsabilità dei convenuti in merito al superamento delle soglie di normale tollerabilità, in base al criterio comparativo sul rumore di fondo e sul rumore residuo, secondo i criteri dettati dall'art. 4 del DPCM 14.11.1997, confermare i provvedimenti adottati con ordinanza in data 21.6.2018, nell'ambito del procedimento cautelare in corso di causa promosso dagli attori, di guisa da contemperare le esigenze della proprietà e con quelle delle attività produttive; - in ogni caso, rigettare le domande di risarcimento del danno formulate dagli attori, siccome infondate e non provate; In via gradatamente subordinata - sul danno: - nella non creduta ipotesi di accertamento dì responsabilità dei convenuti, riconoscere agli attori il risarcimento del danno nei limiti della prova della sua elettiva sussistenza ed entità, ripartendo il risarcimento danni tra ì convenuti la cui responsabilità personale dovesse essere accertata in corso di causa e ciascuno secondo il grado di colpa nella determinazione dell'evento lesivo; Sulla chiamata in causa del Comune di Como In via preliminare: - accertare e dichiarare la improcedibilità della chiamata in causa formulata dal Comune dì Como nei confronti dei convenuti per mancata notifica degli atti nel termine concesso dal G.L.; Nel merito: - ferma restando l'eccezione preliminare dì improcedibilità della chiamata in causa formulata dal Comune di Como nei confronti dei convenuti da ritenersi assorbente ai fini della decisione, rigettare comunque nel merito la richiesta dì condanna formulata dal Comune di Como nei confronti dei convenuti e "insussistenza dì contestazioni in merito all'utilizzo del plateatico sulla Piazza (...). In via istruttoria: - Si chiede che venga disposto un supplemento di CTU al fine di: a) accertare l'eventuale superamento dei limiti di immissioni in base al criterio comparativo sul rumore di fondo e sul rumore residuo, come espressamente previsto al punto 1) del quesito formulato con ordinanza del 12.4.2017, e nel rispetto dei criteri dettati dall'art. 4 del DPCM 14.11.1997 e, da ultimo, dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione II civile, n. 1025 del 17.01.2018, escludendo di volta in volta ogni singolo operatore ed effettuando i rilevamenti nelle medesime condizioni di luogo e di tempo; b) accertare l'eventuale superamento dei limiti di immissioni in base al criterio comparativo sul rumore di fondo e sul rumore residuo, come espressamente previsto al punto 1) del quesito formulato con ordinanza del 12.4.2017, e nel rispetto dei criteri dettati dall'art. 4 del DPCM 14.11.1997 e, da ultimo, dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione II civile, n. 1025 del 17.01.2018, escludendo il plateatico inteso unitariamente ed effettuando i rilevamenti nelle medesime condizioni di luogo e di tempo; c) effettuare le misurazioni del livello di rumore ambientale a finestre chiuse, che se inferiore a 25 dB(A) durante il periodo notturno, non è soggetto al rispetto dei valori differenziali previsti al primo comma (5 dB per il periodo diurno e 3 dB per il periodo notturno", ex art. 4 DPCM 14.11.1997. Con vittoria di spese e competenze di causa. FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI nell'interesse dei COMUNE DI COMO Il Comune di Como, in persona del Sindaco pro-tempore, autorizzato a resistere in giudizio in forza della determinazione dirigenziale R- Sett. n. 21/2016, rappresentato e difeso come da procura in atti (all. 1) dagli Avv.ti (...) e elettivamente domiciliato presso la propria sede in Como, via (...) richiamata in toto l'attività difensiva svolta, comprese le domande, le conclusioni di merito ed istruttorie, le istanze, le eccezioni, le argomentazioni e le produzioni, insiste affinché l'ill.mo Giudice adito, disattesa e respinta ogni contraria istanza Voglia NEL MERITO - in via principale: - dichiarare l'inammissibilità, per la carenza dei presupposti, dell'azione ai sensi dell'art. 844 c.c.; - dichiarare l'inammissibilità, per violazione degli artt. 4 e 5 L. 2248/1865, All. E, della domanda d'accertamento dell'illegittimità dei procedimenti concessori del Comune di Como; - dichiarare, per le ragioni sopra dedotte, la carenza di legittimazione passiva del Comune di Como; - in via subordinata, - rigettare la domanda attorea, siccome infondata sia in fatto che in diritto e non provata; - nella denegata ipotesi in cui il Giudice adito ritenesse diversamente, - condannare in via solidale e/o alternativa e/o esclusiva a cessare le immissioni acustiche illegittime e illecite e inibire ogni attività a (...) titolare dell'impresa individuale con ditta omonima, e, per l'effetto, condannare in via solidale e/o alternativa e/o le medesime imprese ai sensi degli artt. 2043, 2051, 2059 e 1226 c.c. al risarcimento del danno non patrimoniale patito dagli attori; - nella denegata ipotesi di accertamento, in tutto o in parte, della responsabilità del convenuto Comune di Como, dichiarare le terze chiamate (...) già in persona del legale rappresentante p.t., persona del legale rappresentante p.t. tenute a garantire e manlevare il Comune di Como da ogni domanda proposta nei suoi confronti oppure condannarle direttamente al pagamento della somma di Euro 160.000,00=, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal pagamento al saldo effettivo. In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa. Per parte terza chiamata: FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI PER Voglia l'Ill.mo Tribunale di Como adito, respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, cosi giudicare: In via pregiudiziale: Dichiarare la carenza di giurisdizione del G.O. adito in favore del Giudice Amministrativo; In via pregiudiziale subordinata: Dichiarare l'incompetenza dell'Ill.mo Tribunale di Como adito a favore del Giudice di Pace di Como; Nel merito in via principale: Rigettare integralmente tutte le domande svolte dal Comune di Como nei confronti della terza chiamata (...) quanto infondate in fatto e diritto e comunque prescritte ex art. 2952 c.c., per tutte le ragioni esposte ai paragrafri 2, 3, 4 e 5 della comparsa di risposta depositata dalla stessa Compagnia; Nel merito in via subordinata: Nella denegata ipotesi in cui non venga accolta la domanda svolta nel merito in via principale, rigettare comunque la domanda di manleva svolta dal Comune di Como nei confronti dell'esponente Compagnia, come effetto del rigetto delle domande degli attori nei confronti del Comune, per tutti i motivi all'articolati ai paragrafi 6 e 7 della comparsa dì risposta depositata dalla stessa Compagnia; Nel merito in via ulteriormente subordinata: Nella denegatissima ipotesi di mancato accoglimento di entrambe le domande precedenti, delimitato l'importo dovuto dal Comune di Como agli attori nei limiti dì quanto rigorosamente provato ed alla luce dì tutte le eccezioni dì cui al presente atto, contenere l'eventuale condanna di (...) negli stretti limiti del provato e del giusto, con applicazione della decurtazione proporzionale per ritardata denuncia del sinistro (paragrafo 2 della comparsa dì risposta depositata dalla stessa Compagnia), dei massimali, franchigie, clausola (...) (paragrafo 3 della comparsa dì risposta depositata dalla stessa Compagnia) e delle altre limitazioni e/o esclusioni previste dalla polizza e/o dedotte in narrativa. In ogni caso: Con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio a favore del procuratore intestatario. La nel riportarsi a tutti gli scritti difensivi e verbali dì causa, rassegna le seguenti conclusioni: 1. in via pregiudiziale: accertare e dichiarare il difetto dì giurisdizione del Giudice Ordinario, in favore del Giudice Amministrativo competente; 2. accertare e dichiarare la mancanza di copertura della polizza n. (...) stipulata tra il Comune di Como e (...) per i motivi di cui agli atti di causa; 3. nel merito: rigettare ogni avversa domanda perché infondata in fatto e diritto e per di più non provata; 4. dichiarare l'inammissibilità, per violazione degli art. 4 e 5 L. 2248/1865, della domanda d'accertamento dell'illegittimità dei procedimenti concessori del Comune di Como; 5. nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, condannare in via esclusiva, al risarcimento del danno che verrà eventualmente dimostrato, a (...) titolare dell'impresa individuale con ditta omonima, (...) in persona del legale rapp.te p.t., ed (...) in persona del legale rapp.te pt.; 6. nella denegata ipotesi in cui il Giudice adito ritenesse il Comune di Como responsabile dei danni lamentati dagli attori, nonché garantiti dalla sottoscritta polizza, condannare la comparente a manlevare il Comune di Como solo per il danno subito e provato dagli istanti, relativo al periodo di vigenza della predetta polizza e soltanto per il periodo relativo alle concessioni rilasciate, detratto l'importo in franchigia contrattualmente previsto (...) comunque nei limiti di quanto stabilito dal contratto assicurativo. Con condanna, per quanto di ragione, nei confronti degli attori e/o delle altre parti in causa in via esclusiva e/o solidale tra di loro, alla refusione delle spese, diritti ed onorari di giudizio, da attribuirsi al sottoscritto procuratore antistatario. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto dì citazione regolarmente notificato alla controparte hanno il Tribunale di Como esponendo che: - (...) proprietario di un appartamento in (...) quale vive e risiede con la famiglia, composta dalla moglie, (...) è inoltre proprietaria di un altro appartamento nel medesimo immobile. - L'edificio si sviluppa su due piani fuori terra e sottotetto, ed è prospiciente (...) ad ovest e (...) a sud; - L'unità immobiliare è attualmente classificata a livello acustico in area Classe II (area prevalentemente residenziale) mentre la limitrofa (...) compresa in area di Classe in (area di tipo misto); - Da alcuni anni l'abitazione è soggetta ad immissioni acustiche intollerabili, provenienti dagli esercizi commerciali, bar e ristoranti, affacciantisì sulla piazza (...) negli anni destinatari da parte del Comune di Como di provvedimenti di concessione di occupazione di suolo pubblico e vi hanno installato tavoli e sedie destinati al servizio per i clienti; - Nonostante ripetute e numerose segnalazioni effettuate dal proprietario al Comune di Como in relazione al perdurante disagio nel quale si trovano costretti e vivere i residenti, il Comune è rimasto inerte fin dal 2012. E ciò pure a fronte dei rilievi ARPA che hanno confermato l'intollerabilità delle immissioni derivanti dagli esercizi commerciali; - A causa di tale insostenibile situazione, gli attori avevano subito e stavano subendo importanti lesioni del diritto di vivere in un ambiente salubre e nel quale siano assicurati riposo e quiete, esplicazione del diritto alla salute. Tutto ciò premesso, gli attori hanno convenuto in giudizio (...) di (...) reputando provenire da tali esercizi la intollerabile rumorosità subita, nonché il Comune di Como, per aver omesso qualsivoglia forma di controllo e di repressione degli illeciti fenomeni immissivi, al fine di sentire: - accertare che la residenza nella quale vivono è soggetta ad immissioni acustiche intollerabili provenienti dalla (...) connesse agli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e intrattenimento; - accertare e dichiarare che il Comune di Como ha illegittimamente concesso l'occupazione di suolo pubblico di (...) imprese convenute, in violazione dell'art. 6 della l. 447/1995; - ai sensi dell'art. 844 c.c., condannare ì convenuti a cessare le immissioni acustiche illegittime, inibendo le attività che ne costituiscano la fonte; - ai sensi degli art. 2043, 2051, 2059, 1226 c.c., condannare i convenuti al risarcimento del danno non patrimoniale subiti, per la violazione dei diritti alla salute e al rispetto della vita privata e familiare. sono costituiti (...), replicando alle avverse argomentazioni ed in particolare deducendo che: - Il livello delle immissioni lamentate dagli attori non poteva ritenersi correttamente accertato, poiché oggetto di rilievi incompatibili effettuati da soggetti diversi; - La tollerabilità delle immissioni doveva essere valutata nel contemperamento degli interessi dei privati, rispetto a quello prevalente dell'attività produttiva, che veniva del tutto legittimamente esercitata dai gestori dei locali in forza di provvedimenti concessori rilasciati dall'amministrazione comunale; - In ogni caso, le condotte dei singoli esercenti dovevano essere valutate distintamente in quanto ciascuno, oltre ad essere titolare dì autonomo provvedimento concessori o, esercitava sulla piazza (...) una diversa attività, con livelli di intensità rumorosa differenti; - Il danno lamentato degli attori era stato solo apoditticamente affermato e non provato, pertanto la relativa domanda non era suscettibile di accoglimento. Conclusivamente hanno chiesto: - in via preliminare di disporsi l'estensione del contraddittorio nei confronti (...) titolare del (...) nonché dei rappresentanti legali di (...) esercitanti attività affacciantesi sulla (...) - nel merito rigettare la domanda attorea. Si è costituito inoltre il Comune di Como, il quale in via preliminare ha eccepito: - Il difetto di giurisdizione del giudice ordinano in favore del giudice amministrativo, essendo la posizione del privato qualificabile come interesse legittimo; - L'inammissibilità dell'azione ai sensi dell'art. 844 c.c., considerato che al momento della introduzione del giudizio i provvedimenti concessori di occupazione di suolo pubblico nei confronti dei convenuti erano scaduti; L'inammissibilità della domanda di accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti rilasciati dal Comune di Como, riservata al giudice amministrativo; La carenza di legittimazione passiva del Comune di Como, poiché il superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni provenienti dagli esercizi pubblici attiene alla modalità di esercizio dell'attività, che dipende solo ed esclusivamente dai gestori, e non può essere imputato all'Ente che ha agito legittimamente. Nel merito, ha contestato che gli uffici comunali hanno rilasciato in favore dei convenuti i provvedimenti di occupazione di suolo pubblico a conclusione di un procedimento amministrativo che prevedeva la consegna della documentazione dì previsione di impatto acustico. Verificata la completezza della documentazione e la mancanza di ragioni ostative, il Comune dì Como non avrebbe potuto rifiutare gli atti, se non incorrendo in violazione di legge. Inoltre, ha eccepito il concorso di colpa degli attori nella causazione dei danni lamentati, ai sensi dell'art. 1227 c.c., poiché essi avevano omesso di impugnare i provvedimenti di occupazione, procrastinandone l'eventuale effetto lesivo. Conclusivamente ha chiesto: - in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo; - in via preliminare l'autorizzazione a chiamare in causa, da un lato, le compagnie assicurative aventi in essere con il Comune polizze a garanzia del fatto oggetto di causa; d'altro lato, gli stessi convenuti (...) ritenuti gli unici responsabili degli eventualmente provati pregiudizi subiti dagli attori; - sempre in via preliminare di dichiarare la carenza di legittimazione passiva del Comune, l'inammissibilità della domanda ex art. 844 c.c. e della domanda di accertamento dell'illegittimità dei procedimenti concessori del Comune; - nel merito, il rigetto della domanda attorea ed, in caso contrario, la sola condanna di (...) - in via subordinata, nel denegato caso dì condanna, di condannare le compagnie assicurative terze chiamate a tenere indenne e manlevare il Comune dalle domande proposte nei suoi confronti. A seguito di autorizzazione alla chiamata di terzi, si sono costituite le imprese di assicurazioni chiamate dal Comune. eccepito: - la carenza di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo; - il difetto di competenza per materia del tribunale, essendo competente il giudice dì pace ai sensi dell'art. 7 n. 3 c.p.c.; - l'inammissibilità della domanda attorea relativa all'accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti concessori del Comune di occupazione di suolo pubblico per violazione degli artt. 4 e 5 della L. 2248/1865 All. E.; - la perdita del diritto all'indennizzo per la mancata denuncia del sinistro nei trenta giorni successivi ai sensi di polizza e per intervenuta prescrizione ex art. 2952 c.c.; - nel merito, l'esclusione della fattispecie oggetto di causa dal rischio garantito dal contratto assicurativo, nonché in ogni caso la necessità di applicare le franchigie e le limitazioni tutte previste negozialmente; L'assicurazione si è inoltre assodata alle difese tutte del Comune assicurato, contestando altresì il quantum della pretesa attorea. Ha chiesto conclusivamente il rigetto delle domande proposte dagli attori e in ogni caso il rigetto delle domande formulate nei suoi confronti. (...) ha eccepito: - il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, essendo competente il giudice amministrativo; - l'esclusione dalla garanzia assicurativa della fattispecie oggetto del giudizio, nonché la necessità di applicare le franchigie e le limitazioni previste contrattualmente; - la mancata garanzia della polizza per i danni successivi al 31.12.2013, data di scadenza del contratto assicurativo; - l'inammissibilità della domanda attorea relativa all'accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti concessori del Comune di occupazione di suolo pubblico per violazione degli artt. 4 e 5 della L. 2248/1865 All. E.; Nel merito, l'assicurazione si è assodata alle difese svolte dal Comune. Conclusivamente ha quindi insistito per l'accoglimento delle eccezioni preliminari; per il rigetto delle domande attoree nei confronti del Comune ed in ogni caso per il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti. Disposta la comparizione delle parti al fine di verificare la possibilità di comporre bonariamente la vertenza e concesso rinvio su istanza congiunta per valutare la fattibilità delle ipotesi conciliative emerse in tale sede, preso atto dell'impossibilità di addivenire ad un accordo, la controversia è stata istruita mediante espletamento di CTU, volta a verificare in concreto la sussistenza delle immissioni lamentate dagli attori e la tollerabilità delle stesse alla luce dei criteri giurisprudenziali e normativi di riferimento. All'esito e sulla scorta delle risultanze peritali, gli attori hanno depositato ricorso ex art. 700 c.p.c. in corso di causa volto ad ottenere in via di urgenza la cessazione delle immissioni intollerabili percepite nella dì loro abitazione. Accolto il ricorso con ordinanza emessa il 21.6.2018, la causa di merito è stata ritenuta matura per la decisione e rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 12.12.2018, ove è stata trattenuta in decisione previa assegnazione di termini abbreviati per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Devono essere in primo luogo disattese le eccezioni pregiudiziali e preliminari svolte dai convenuti e dalle assicurazioni terze chiamate. Sull'eccezione di carenza di giurisdizione dei giudice ordinario. Tutti i convenuti ed i terzi chiamati hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in favore del GA, sostenendo a vario titolo che la posizione dei privati innanzi all'agire amministrativo sarebbe qualificabile come interesse legittimo; che gli attori non avevano provveduto ad impugnare le concessioni di occupazione di suolo pubblico in favore delle imprese convenute e che ai sensi dell'art. 30 del Codice del Processo Amministrativo, anche l'azione di condanna al risarcimento del danno potrebbe essere proposta innanzi al GA anche in via autonoma. L'eccezione è infondata e non può trovare accoglimento. Va affermato che la posizione giuridica soggettiva di cui gli attori chiedono tutela deve essere qualificata come diritto soggettivo, da identificarsi nel diritto alla salute e al rispetto della vita privata e familiare, diritti inviolabili ed assoluti che non trovano compressioni nell'esercizio del potere pubblico dell'amministrazione. Muovendo da tale prima considerazione si osserva che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza dì legittimità, in fattispecie del tutto analoghe a quella dì specie, sussiste la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria "poiché l'azione, diretta a far cessare il fatto illecito, configurato dalle immissioni intollerabili non investe nessun provvedimento amministrativo, deducendosi a fondamento della duplice pretesa, inibitoria e risarcitoria, la lesione del diritto di pacifico e tranquillo godimento degli immobili di proprietà, nonché del preminente diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost.", richiamando peraltro il principio già affermato in plurime pronunce in materia di immissioni (cfr. ex multis: Cass. Sez. Unite, 06 settembre 2013, n. 20571, riguardante immissioni acustiche provenienti dagli spazi esterni, adibiti a fini ludici, di pertinenza di un edificio scolastico; Cass. Sez. Unite 27 febbraio 2013, n. 4848 relativa ad un caso dì immissioni acustiche provenienti da un'area giochi, realizzata in un parco comunale; Cass. (ord.), Sez. Unite, 13 dicembre 2007, n. 26108, relativa a una fattispecie in cui si lamentavano pregiudizievoli esondazioni su un terreno di acque derivanti da una conduttura collegata al depuratore comunale), secondo cui l'inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella gestione (e manutenzione) dei beni che ad essa appartengono, (delle regole tecniche, ovvero) dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario non solo ove la domanda sia volta a conseguire la condanna della P.A. al risarcimento del danno patrimoniale, ma anche ove miri alla condanna della stessa ad un facere (o ad un non facere), giacché la domanda non investe scelte e atti autoritativi dell'amministrazione, ma attività soggetta ai rispetto del principio del neminem laedere. In particolare è stato affermato da questa Corte che nelle controversie che hanno ad oggetto (come la presente) la tutela del diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost., la P.A. è priva di alcun potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva, sicché la domanda di risarcimento del danno proposta dai privati nei confronti della medesima o dei suoi concessionari è devoluta alla cognizione del giudice ordinario" (Cass. Sez. Unite (ord.) 8 marzo 2006 n. 4908 (Cass. Sez. U, Ordinanza n. 22116 del 20/10/2014 e da ultimo Cass. 14180/2016). Alla luce di tali principi, l'eccezione di carenza di giurisdizione non può trovare accoglimento. Sul difetto di competenza per materia È stato poi eccepito il difetto di competenza del tribunale, sostenendo la competenza per materia del giudice di pace ai sensi dell'art. 7 co. 2 n. 3 c.p.c. Tuttavia, al riguardo è sufficiente rilevare che in materia di immissioni la competenza del giudice di pace è limitata alle cause "relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione". È del tutto evidente che la presente controversia deve essere esclusa dal novero di cui alla citata norma, poiché se nel lato attivo gli attori sono proprietari e detentori di immobile destinato a civile abitazione, dal lato passivo, tuttavia, sono coinvolti imprenditori che utilizzano i locali dai quali provengono le immissioni rumorose per l'esercizio della propria attività commerciale di somministrazione di alimenti e bevande ed intrattenimento. Deve essere pertanto affermata la competenza per materia del tribunale ordinario. Sull'inammissibilità della domanda attorea di accertamento dell'illegittimità dei provvedimenti concessori adottati dal Comune. Il Comune di Como e le assicurazioni chiamate hanno inoltre eccepito l'inammissibilità della domanda attorea diretta a sentir accertare l'illegittimità dei provvedimenti con i quali l'ente convenuto ha concesso ai locali di piazza (...) l'occupazione di suolo pubblico, per violazione degli artt. 4 e 5 della l. 2248/1865 Allegato E. Sennonché, anche questa eccezione è priva di fondamento, poiché gli attori non hanno richiesto l'annullamento dei provvedimenti, ma hanno differentemente domandato - solo in via incidentale - di accertare che il Comune di Como ha illegittimamente concesso l'occupazione del suolo pubblico, al fine di sentirne affermare la responsabilità concorrente della PA con gli altri convenuti. Pertanto, nella presente causa il giudice ordinario non è chiamato a vagliare in via principale la legittimità dei provvedimenti amministrativi, che restano di per sé esistenti e validi, ma a valutarne la disapplicazione, senza per questo contravvenire alle previsioni di cui agli artt. 4 e 5 LAC, nella parte in cui si pongono in contrasto con il diritto soggettivo assoluto ed inviolabile del privato, che il giudice ordinario è chiamato a tutelare. L'oggetto della causa non è infatti la illegittimità dei provvedimenti, ma l'accertamento incidentale in ordine alla corretta azione della PA costituisce mero presupposto per l'affermazione della responsabilità dell'ente, senza che tuttavia gli atti amministrativi subiscano qualsivoglia forma dì caducazione. Sull'eccezione di inammissibilità detrazione promossa dagli attori ai sensi dell'art. 844 c.c. Il Comune dì Como ha ancora eccepito l'inammissibilità dell'azione promossa dagli attori ex art. 844 c.c. per difetto di attualità della lesione lamentata, considerato che al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio le concessioni di occupazione di suolo pubblico in favore dei convenuti erano scadute o stavano per scadere. Sennonché risulta documentato ed anche accertato in sede di CTU che i provvedimenti concessori sono stati ripetutamente rinnovati, tanto da indurre gli attori nell'anno 2018, in vista dell'approssimarsi della stagione estiva, a promuovere ricorso cautelare in corso di causa al fine di ottenere in via d'urgenza la cessazione delle immissioni intollerabili provenienti dal plateatico, di cui era stata nuovamente prorogata 1 'occupazione da parte del Comune. Solo a seguito dell'accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c., il Comune ha affermato di aver dato attuazione alla pronuncia, limitando secondo i dettami del tribunale le concessioni che fino ad allora erano rimaste inalterate e rinnovate di anno in anno. Alla luce dì tali considerazioni, è del tutto evidente l'ammissibilità della domanda proposta originariamente dagli attori, diretta a far cessare le immissioni rumorose ancora all'epoca subite all'interno dell'immobile abitato. Sulla eccezione dì carenza di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Como. Infine, il Comune di Como ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva in relazione alle pretese attoree formulate sia ai sensi dell'art. 844 c.c. sia ex artt. 2043 e ss. c.c. sostenendo di aver legittimamente agito nell'aver concesso l'occupazione del suolo pubblico e di non poter rispondere di danni causati da altri soggetti, derivanti non dal provvedimento concessorio in sé ma dalle modalità di esercizio e gestione dello stesso. Tale linea difensiva non può essere condivisa. Sotto il primo profilo evidenziato, del tutto a prescindere dall'analisi in ordine alla legittimità dei provvedimenti concessori adottati, al fine di superare l'eccezione sollevata dal Comune è sufficiente osservare che l'ente locale convenuto è il proprietario di piazza (...) di cui ha concesso ai gestori dei locali l'occupazione della sola parte centrale del suolo, corrispondente al dehor. Tuttavia, il CTU ha rilevato, come si avrà modo di approfondire anche in seguito, che le fonti disturbanti riscontrate nella piazza sono varie e solo riconducibili parzialmente alla clientela seduta ai tavoli dei bar e ristoranti, mentre in altra consistente parte derivanti dall'ingente numero di avventori che staziona sulla piazza (dunque non in corrispondenza del plateatico) non solo negli orari dì apertura e fruizione delle aree esterne, ma anche oltre la chiusura del dehor, nonché dall'utilizzo sconsiderato da parte dì veicoli a motore che passano e parcheggiano selvaggiamente sulla piazza, nonostante l'interdizione al transito e alla sosta. Ebbene, tali ultimi due fenomeni, sebbene riconnessi pur sempre alla presenza dei locali che attraggono un elevato numero di persone, ricadono altresì sotto la responsabilità del Comune e proprio dall'ente deve esserne curata l'inibizione. Ed infatti non può che essere quest'ultimo, in qualità di custode, ad avere il potere ed il dovere di evitare assembramenti di persone all'esterno dei locali, nelle aree di sua pertinenza, e di impedire che i corselli tra gli ingressi dei locali ed il dehor siano utilizzati per il transito ed il parcheggio (vietati) di veicoli a motore, al fine di tutelare la quiete pubblica, oltre che il diritto al riposo dei residenti. Anche in relazione alla domanda risarcitoria formulata dagli attori il Comune è titolare del rapporto giuridico dedotto in giudizio, consistendo la sua responsabilità nell'aver colpevolmente omesso qualsivoglia iniziativa di prevenzione o di repressione dei pur noti fenomeni di inquinamento acustico presenti costantemente segnalati da (...) nel corso degli anni. Tale responsabilità, pertanto, viene accertata in base al principio del neminem laedere, secondo i parametri della negligenza e della imprudenza, nel non aver previsto le dovute misure idonee a contenere le immissioni intollerabili di rumore, ma anzi provvedendo nel tempo ad ampliare il contenuto delle concessioni di suolo pubblico, aumentando posti a sedere ed orari di apertura delle aree esterne negli anni 2013, 2014, 2015 (come da rappresentazione grafica assai esplicativa elaborata dal ctu all'allegato 2, p. 81), per poi ridurli solo in termini del tutto marginali e non sufficienti negli anni 2016 e 2017. Ciò peraltro nella consapevolezza che l'area oggetto del contendere è classificata "come di notevole pregio ambientale e a vocazione turistico pedonale" e che l'immobile attoreo rientra nella classe acustica n (prevalentemente residenziale) e preesiste rispetto al dehor "inaugurato" nel solo anno 2013. Nel merito Tanto premesso, nel merito si osserva che le propagazioni dì rumore che superino la soglia della normale tollerabilità costituiscono un fatto illecito tale da giustificare, in via cumulativa, l'adozione sia della tutela inibitoria prevista ai sensi dell'art. 844 c.c., avente carattere reale e natura negatoria, sia di quella apprestata dalla clausola generale dì cui all'art. 2043 c.c., consistente nel risarcimento del danno cagionato dalle immissioni. I presupposti per l'applicazione delle due norme sono, tuttavia, differenti: - quanto alla prima, rileva esclusivamente l'elemento oggettivo consistente nell'immissione di rumore che superi la normale tollerabilità; - la seconda, invece, presuppone l'accertamento dell'elemento oggettivo dell'illecito, consistente nella materialità della condotta attiva o omissiva, dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, del danno in conseguenza derivante da tale condotta. Nel caso di specie, la domanda attorea deve essere accolta nei confronti di tutti i convenuti sotto entrambi i riportati profili. Sull'azione inibitoria ex art. 844 c.c. 1) relativamente all'azione inibitoria, richiamando quanto già affermato con ordinanza del 21.6.2018, deve chiarirsi in linea di principio che il codice civile detta in materia di immissioni l'art. 844 c.c. che, segnando il limite della "normale tollerabilità", lascia al giudice il potere discrezionale di "contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà", tenendo altresì conto della "priorità di un determinato uso". Nell'operare tale valutazione il giudice non può fare a meno di verificare l'esistenza dì norme specifiche antinquinamento, che facciano salve le immissioni in ragioni del preminente interesse pubblico. E ciò in quanto "è consolidato il principio che differenzia - quanto ad oggetto, finalità e sfera di applicazione - la disciplina contenuta nel codice civile dalla normativa di diritto pubblico: l'una posta a presidio del diritto di proprietà e volta a disciplinare i rapporti dì natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini; l'altra diretta - con riferimento ai rapporti tra i privati e la p.a. - alla tutela igienico-sanitaria delle persone o comunità esposte" (Corte Cost. ord. 103/2011). Al contrario, il potere discrezionale dell'autorità giudiziaria sì esaurisce laddove le immissioni eccedano non solo i livelli sanciti secondo il criterio della normale tollerabilità giurisprudenziale, ma anche quelli della cosiddetta accettabilità amministrativa, ovvero dei limiti posti da normative dì settore a tutela della collettività stessa. Come affermato dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, "mentre è senz'altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità, l'eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all'art. 844 c.c., tenendo presente, fra l'altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni" (da ultimo Cass. 939/2011). Ne deriva, in altri termini, che se all'interprete non è di certo consentito superare il limite legale imposto dalla normativa di settore, che sì assume tenere in adeguato conto gli interessi pubblicistici della produzione a fronte dì quelli privatistici della proprietà, allo stesso è invece rimesso un margine dì discrezione di valutazione unicamente ove, sempre nel rispetto dei limiti normativi di riferimento, l'immissione lamentata produca comunque in concreto conseguenze pregiudizievoli che si pongono in contrasto con la normale tollerabilità dì cui all'art. 844 c.c. Ed infatti, ì parametri fissati dalle norme speciali a tutela dell'ambiente forniscono un minimum di tutela, costituiscono cioè criteri minimali di partenza al fine di stabilire l'intollerabilità delle immissioni che li eccedano, sicché da essi il giudice può discostarsi solo per assicurare una tutela più estesa al privato, ove pervenga cioè ad un giudizio dì intollerabilità ex art. 844 c.c. in presenza di immissioni che, pur in quanto contenute nei limiti di legge, risultino nel caso concreto e per la particolarità della situazione atti ad arrecare un sensibile pregiudizio al privato (così in termini Cass. 17281/05). Del resto, la ratio sottesa a tale principio è del tutto evidente e condivisibile, presupponendo che nel necessario bilanciamento di interessi in gioco - privatistico a tutela della proprietà - e pubblicistico - a tutela delle ragioni di produzione, l'interprete non possa spengersi a legittimare una situazione contra legem, rimanendo invece salvo il suo potere discrezionale solo all'interno dell'alveo applicativo della norma di settore. Sicché nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà occorre tener conto che il limite della tutela della salute è da ritenersi ormai intrinseco nell'attività di produzione oltre che nei rapporti di vicinato, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata, dovendo considerarsi prevalente rispetto alle esigenze della produzione il soddisfacimento aduna normale qualità della vita. Ne consegue che le immissioni acustiche determinate da un'attività produttiva che superino i normali limiti di tollerabilità fissati nel pubblico interesse, da leggi o regolamenti (...) sono da reputarsi illecite" (così Cass. 5564/10). Orbene, sulla scorta di tali principi, deve allora considerarsi che dalla CTU espletata in corso dì causa, le cui argomentazioni e conclusioni vengono integralmente condivise da questo giudice, è emerso che le attività recettive che godono dell'occupazione del dehor nella (...) complessivamente considerate, producono all'interno dell'abitazione attorea il palese superamento non solo del limite dì tollerabilità giurisprudenziale, ma anche di quello di accettabilità amministrativa. Il CTU ha rilevato in particolare che le immissioni di rumore percepite all'interno dell'abitazione attorea risultano inequivocabilmente connesse agli esercizi di somministrazione alimenti e bevande presenti sulla piazza e superano di 5,5 dB il limite assoluto notturno di immissione di cui all'art. 3 del d.p.c.m. 14 novembre 1997, individuato in 55 dB sulla base della classe di riferimento prevista per la (...) (classe IV aree di intensa attività umana"). Tale dato non è stato contestato da alcuno dei consulenti di parte, che hanno convenuto sulla violazione del predetto limite (cfr. pagina 15 delle "Controdeduzioni alle Osservazioni delle Parti" dell'11 aprile 2018). L'ausiliario dell'ufficio ha peraltro fatto significativamente notare che il limite di riferimento è stato ricavato dalla più penalizzante classe acustica IV (area di intensa attività umana) nella quale risulta inquadrata (...) nonostante la limitrofa abitazione dei ricorrenti rientri invece nella classe n (Aree destinate ad uso prevalentemente residenziale), con diversi e ben inferiori limiti di accettabilità. Al riguardo il consulente ha chiarito, da un lato, che il "salto" tra due classi che differiscano di oltre 5 dB tra di loro, assegnate a zone contigue, non è conforme ai criteri generali (come anche riconosciuto nell'ambito della Relazione Tecnica a corredo del vigente Piano di azzonamento acustico); d'altro lato, che l'area di (...) per la tipologia di insediamenti produttivi e di attività - non si attaglia ad essere classificata entro la classe IV caratterizzata da limiti fonometrici più alti rispetto alle precedenti. Ed in ogni caso, pur eseguendo i rilievi sulla scorta dei parametri previsti dalla non congrua classe IV, i limiti dì accettabilità amministrativa sono risultati comunque superati, avendo il CTU constatato che "è da tenere nella debita considerazione che il supero riscontrato (per la classe IV), eccede i limiti dei "valori di attenzione" che segnalano la presenza di un potenziale rischio per la salute umana o per l'ambiente. Ciò si verifica, sia procedendo alla valutazione nel complessivo tempo di riferimento notturno, sia analizzando l'intervallo temporale dì un'ora con l'attribuzione del prescritto aumento di 5 dB". Il consulente ha provveduto a descrivere analiticamente la percezione delle immissioni negli ambienti interni di proprietà attorea, qualificandola come vero e proprio "fragore", in relazione al quale "non sono necessari sofisticati strumenti per individuare la sorgente del rumore e l'entità dei livelli. Attraverso i semplici organi sensoriali di una persona normodotata si percepisce inequivocabilmente il vocio degli avventori che stazionano sul plateatico, che si sviluppa senza interruzione della continuità, e nel quale si innestano il tramestio di stoviglie, grida, risate ed il rumore dei veicoli". Ha pertanto specificato che "nell'abitazione degli attori si verificano immissioni di rumore che risultano essere particolarmente gravose nei locali che si affacciano sulla (...). Ciò si verifica nella condizione in cui sono aperte le finestre e nella circostanza in cui si manifestano fenomeni direttamente o indirettamente riconducibili alle attività degli esercizi pubblici delle convenute. È importante evidenziare che il fragore legato alla presenza dei plateatici e degli avventori in (...) percepibile immediatamente ed inequivocabilmente nell'abitazione attorea. L'imponenza del livello acustico correlato alle attività che si svolgono nel plateatico, e la sua capacità di mascherare il contributo dovuto al traffico locale e alle attività che si svolgono all'interno dei pubblici esercizi, sono dimostrati dai livelli minimi i quali, senza interruzione di continuità, si mantengono significativamente elevati". Sulla scorta della documentazione depositata in atti dagli attori, relativa a pregressi rilievi fonometrici effettuati dall'ARPA negli anni dal 2012 al 2017, il CTU ha inoltre rilevato che "alla luce dei dati disponibili si può affermare che dal 2012 ad oggi, nell'area (...) nelle giornate dei fine settimana, nel tempo di riferimento notturno, si è verificato un cospicuo supero del valore limite assoluto e dei limiti dei valori di attenzione che segnalano la presenza di un potenziale rischio per la salute umana o per l'ambiente". Non vi sono infatti ragioni, né sono state offerte prove in tal senso, che nei frangenti temporali in relazione ai quali non siano state svolte misurazioni acustiche la situazione acustica sia digerente rispetto a quella costantemente riscontrata ad ogni rilievo. Rimandando alla consulenza peritale relativamente ai dettagli delle rilevazioni fonometriche effettuate, da intendersi in questa sede integralmente richiamate, va detto pertanto che in tutte le misurazioni effettuate dal soggiorno dell'abitazione attorea è stato riscontrato un importante e costante supero dei limiti di accettabilità amministrativa e di tollerabilità giurisprudenziale per il periodo considerato, dalle ore 22 fino a tarda notte, che ne determinano tout court l'illegittimità, senza che possa esserne discrezionalmente valutata la tollerabilità in concreto da parte del giudice. È pertanto il caso di aggiungere che, nella specie, risulta inconferente il richiamo effettuato dai convenuti alla novella introdotta dalla legge di stabilità per il 2019, che con l'art. 1, comma 746, ha inserito il comma 1-bis nell'art. 6-ter del D.L. n. 208/2008. Il novellato art. 6-ter del D.L. n. 208/2008, intitolato "Normale tollerabilità delle immissioni acustiche", prevede che "Nell'accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso. 1-bis. Ai fini dell'attuazione del comma 1, si applicano i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla legge 26 ottobre 1995, n. 447, e alle relative norme di attuazione". Al di là della disquisizione ermeneutica in ordine al preteso superamento da parte del legislatore del criterio della "normale tollerabilità", di origine giurisprudenziale, va detto che nel caso di specie sono stati applicati e considerati proprio i livelli di accettabilità previsti dalla legge 447/1995, sicché il superamento degli stessi non lascia equivoci in ordine alla illegittimità delle immissioni subite dagli attori, anche a fronte della citata modifica normativa. Tanto chiarito, va osservato che a fronte delle inequivoche e chiare risultanze peritali, tutti i convenuti hanno sollevato obiezioni e critiche all'operato del perito, dolendosi in particolare: 1) dello scorretto calcolo del rumore di fondo, non determinato nelle stesse condizioni spazio-temporali, in assenza della fonte rumorosa identificata, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità; 2) della non idonea computazione del plateatico come un unicum, senza provvedere all'isolamento delle singole fonti disturbanti, che solo avrebbe potuto condurre all'affermazione della responsabilità di uno o più convenuti; 3) della incompletezza dei rilievi in quanto effettuati unicamente in un unico ambiente (soggiorno dell'immobile attoreo), e solamente a finestre aperte. Tuttavia, le censure mosse all'operato del CTU non vengono in alcun modo condivise, reputandosi l'accertamento svolto completo, esaustivo sotto ogni profilo, anche in replica ai rilievi delle parti, e frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato. In particolare: - quanto alla prima contestazione, il perito nominato dall'ufficio ha rammentato che le fonti di rumore percepibili all'interno dell'abitazione attorea sono varie e inscindibilmente connesse a fattori imponderabili legati alle condotte antropiche. L'ing. (...) ha, dunque chiarito che i fenomeni acustici connessi alle attività nella (...) ed all'operatività dei pubblici esercizi ben si differenziano da un macchinario del quale è possibile valutare la rumorosità attraverso semplici verifiche nelle condizioni di "acceso" e "spento". Nel caso di specie è fuorviante affidarsi ad una logica binaria che prescinde dalla complessità delle molteplici variabili condizionate da imponderabili ed incostanti comportamenti antropici". Inoltre, "sospendere l'attività di ristorazione sul plateatico in maniera estemporanea condurrebbe ad ingigantire i gravosi fenomeni acustici correlati alla clientela delle convenute che staziona nell'area ove è causa", inevitabilmente conducendo a falsare i risultati delle indagini. Pertanto, "sono stati eseguiti specifici rilievi nell'assenza del servizio di ristorazione sul platealico .... si sottolinea che il rumore residuo e di fondo assunto si riferisce alla condizione con plateatico sgombro da commensali ma con presenza di persone (clienti dei pubblici esercizi) che stazionano nell'area circostante al plateatico, le cui voci si intersecano con il traffico veicolare diventato intenso dopo le ore 24:00. Si osserva che il rumore residuo e di fondo assunto è comprensivo del significativo rumore delle motorette circolanti ad alta velocità e con i propulsori ad alto regime. È quindi evidente che tutte le valutazioni sono state eseguite in maniera estremamente prudenziale e tutt'altro che penalizzante per le Convenute. Ciò in considerazione del fatto che il rumore residuo e di fondo assunto è comunque comprensivo di fenomeni antropici riconducibili ai pubblici esercizi delle convenute, nonché del traffico diventato intenso dopo le ore 24:00". Al riguardo, il consulente ha precisato che "i rilievi fonometrici eseguiti consentono comparazioni del rumore immesso/ambientale e del rumore di fondo/residuo in intervalli temporali assolutamente coerenti e confrontabili". Come confermato in sede di chiarimenti, il CTU ha utilizzato in altri termini il criterio del "punto analogo", procedimento rinvenibile nella norma UNI 10855/99, ed abitualmente utilizzato dagli operatori di settore, che consente di individuare il rumore residuo sulla base di un situs equivalente a quello dal quale proviene la fonte disturbante. Il perito, agendo in modo prudenziale, ha misurato il rumore di fondo tramite l'affaccio dell'abitazione attorea che guarda sempre su viale (...) parte opposta (...) rispetto a (...) in orario analogo rispetto a quello delle misurazioni effettuate sulla piazza, e peraltro durante il periodo di esercizio delle attività, alternando le misure (schede 13 A e 12 A). Anche in tali condizioni, evidentemente penalizzanti per gli attori (stante comunque l'inevitabile contaminazione prodotta dagli esercizi sul rumore residuo), i risultati hanno comunque confermato il superamento dei limiti di tollerabilità immissiva, sia sotto il profilo normativo, sia giurisprudenziale. È inoltre dirimente l'osservazione resa in sede di chiarimenti dal CTU, il quale ha rilevato che anche rieseguendo tutti i calcoli del rumore differenziale, sostituendo al valore del rumore di fondo da lui rilevato quello dagli stessi esercenti comunicato al Comune nell'ambito della valutazione di impatto acustico prodromica al rilascio delle concessioni, realizzata quando le attività esterne del plateatico erano già in corso, i risultati sarebbero rimasti comunque invariati, poiché "emergono significativi superi sia del criterio di accettabilità che di normale tollerabilità giurisprudenziale". - quanto alla seconda si osserva in primo luogo che, come rilevato anche dal consulente, il deh or fruito dai locali costituisce un unico "centro di interesse", ed è stato oggetto di provvedimenti concessori da parte del Comune che hanno interessato contestualmente ed analogamente tutti i locali interessati, in relazione ai quali vigono gli stessi limiti di fruizione temporale. Inoltre, da un lato, va considerato che la situazione di vero e proprio frastuono riscontrata nell'abitazione attorea e ricondotta agli esercizi che utilizzano il plateatico è verosimilmente ed assai probabilmente di tale imponente entità proprio a causa della contemporanea presenza e fruizione dell'area esterna da parte di una pluralità di locali e del complessivo ingente numero di posti a sedere previsto nelle concessioni comunali. D'altro lato, come già precedentemente rappresentato in tema di isolamento della fonte sonora, le misurazioni effettuate disponendo la chiusura dei locali, o a maggior ragione prevedendo a turno l'apertura di uno di essi e la chiusura degli altri al fine di individuare l'effettivo contributo causale di ciascuno nella provocazione dei rumori sarebbe non solo metodologicamente fuorviante, in grado di falsare i risultati delle indagini (come rappresentato dal CTU) ma anche neppure rispondente alla situazione concretamente in essere. A ciò si aggiunga che, come è stato ripetutamente messo in luce dal perito, la fonte rumorosa disturbante non si identifica solo con la clientela occupante i posti a sedere esterni dei singoli esercizi (cui si aggiunge il rumore delle stoviglie, dello spostamento delle sedie e dei tavoli al momento del riordino), ma riguarda altresì la significativa presenza dì avventori nell'area antistante i locali, che si trattengono all'esterno anche quando il servizio dì ristorazione sul plateatico è cessato, nonché il traffico veicolare, particolarmente intenso dopo le ore 24.00 (in corrispondenza con la cessazione della limitazione degli accesso ZTL) che insiste anche sulla (...) nonostante la perpetua interdizione alla sosta e al transito dell'area, al contrario utilizzata di fatto come "parcheggio selvaggio" da parte degli avventori dei locali. Tali ultimi due fattori dipendono evidentemente dal fatto che, proprio per la varietà e il numero dei locali che sì affacciano sulla (...) la zona è divenuta un polo di attrazione per la "movida" cittadina. Alla luce di tali considerazioni, è "più probabile che non" che ciascuno degli esercenti convenuti, così come il Comune, contribuiscano causalmente alla produzione dei rumori intollerabili subiti dagli attori. Ne consegue che tutti i convenuti sono tenuti a porre in essere le misure ritenute idonee per contenere le immissioni entro i limiti di tollerabilità e a risarcire i danni subiti dagli attori. - infine, i convenuti sì dolgono della incompletezza delle misurazioni in quanto effettuate unicamente nel soggiorno dell'abitazione attorea e solo a finestre aperte. Tuttavia, al riguardo è sufficiente rilevare che i rilievi sono stati correttamente eseguiti nella condizione maggiormente gravosa per gli attori e che è stato scelto il soggiorno non solo in quanto direttamente affacciantesi sulla (...) ma anche in quanto tale ambiente costituisce il luogo ove si svolge notoriamente la vita familiare condivisa in orario serale. Pare quasi scontato rilevare che i risultati sarebbero stati i medesimi se i rilievi fossero stati effettuati nelle finestre del corridoio che tutte affacciano sulla (...) evidenziando che dal detto corridoio si accede alle camere da letto dell'abitazione attorea, sebbene aventi allaccio interno. Né del resto si può pretendere che gli attori vivano, soprattutto nella stagione estiva, con le finestre serrate, in quanto tale condizione sia risulta pregiudizievole per la salubrità dell'ambiente, non risultando consentito il ricircolo dell'aria neppure mediante l'impianto di condizionamento in dotazione, sia costituisce indebita limitazione della libertà di godere ed usufruire dell'immobile di proprietà. Per tutte le suesposte ragioni, deve essere affermata l'intollerabilità delle immissioni subite dagli attori all'interno dell'immobile di loro proprietà, con conseguente diritto di questi ultimi ad ottenerne la cessazione. Quanto alle misure da adottare al fine di far cessare l'illecito, si reputa di confermare integralmente quelle già determinate con ordinanza cautelare che vengono di seguito riportate e che si fondano sulla soluzione a breve termine indicata dal CTU. Al riguardo, pare opportuno rilevare che, da un lato, la soluzione proposta dal consulente di parte dei convenuti, atta a realizzare nella piazza (...) una impalcatura chiusa finalizzata al contenimento delle immissioni, è stata ritenuta insoddisfacente dal perito dell'ufficio il quale ha rilevato che il confinamento dell'area del plateatico, con la realizzazione di dehors chiusi, si tradurrebbe in un mero ampliamento delle superfici e dei volumi dei pubblici esercizi con il conseguente effetto di estendere l'area alla base del negativo fenomeno immissivo". Inoltre, la fattibilità tecnica del progetto sotto il profilo amministrativo e paesaggistico rimarrebbe di esclusiva competenza della PA ed esulante dai poteri di valutazione del giudice ordinario. Analogamente è a dirsi in relazione alle soluzioni a medio e a lungo termine prospettate dall'ausiliario dell'ufficio, le quali prevedono tra l'altro la "revisione del Piano di Azzonamento Acustico finalizzato al riposizionamento dell'area di (...) nella classe in, la cui declaratoria (v. precedente capitolo 5) è coerente con le caratteristiche del territorio comunale in relazione agli usi, alle attività, ed alle previsioni urbanistiche"; nonché la "riqualificazione urbana di tutto il territorio sul quale è causa, finalizzata alla massima valorizzazione del percorso pedonale turistico di alto valore paesaggistico/ambientale che potrebbe essere sviluppata attraverso un Concorso di Idee espletato mediante procedura aperta ai sensi dell'art. 156 del D.Lgs. 18/04/2016 n. 50". Tali interventi rientrano nella discrezionalità amministrativa e non possono essere oggetto di condanna da parte del giudice ordinario. Tuttavia, non può farsi a meno di notare che la tipologia e l'entità delle soluzioni prospettate ben evidenziano il ruolo di responsabilità del Comune, nell'aver sottovalutato la problematica derivante dall'inquinamento acustico di un'area di "notevole pregio ambientale", come quella oggetto di causa, evitando per anni di adottare misure atte a contenere il fenomeno immissivo. Pertanto, rimandando alle argomentazioni già esplicate con ordinanza datata 21.6.2018, gli interventi che gli esercenti convenuti ed il Comune devono obbligarsi ad attuare, tra loro in sinergia, e con conseguente disapplicazione dei provvedimenti concessori limitatamente alle parti con essi contrastanti, sono così individuati: A) l'uso del plateatico esterno sia interdetto con effetto immediato a decorrere dalle ore 23:00 dì ciascun giorno della settimana; B) il personale degli esercenti adotti la massima cautela nell'attività dì sparecchiamento e nel ritiro di sedie e tavoli; C) siano interdetti l'installazione di diffusori acustici nell'area esterna e la previsione di intrattenimenti musicali e/o conviviali che comportino affollamento del plateatico, senza previo ottenimento dell'autorizzazione da parte del Comune, ai sensi dell'art. 7 del Regolamento applicativo del piano di azzonamento acustico in vigore; D) gli esercenti resistenti predispongano, entro dieci giorni dalla emissione del presente provvedimento, un servizio d'ordine con personale a ciò specificamente preposto, durante tutto il periodo di apertura di locali, che disciplini la presenza delle persone nelle rispettive aree di pertinenza esterna e nei corselli di passaggio, al fine di evitare affollamenti e di controllare gli atteggiamenti comportamentali degli avventori che utilizzano le aree, onde prevenire l'insorgere di schiamazzi e l'incremento del disturbo acustico; E) il Comune di Como sia onerato di vigilare rigorosamente sul rispetto delle prescrizioni assunte dall'ente stesso nei provvedimenti concessori rilasciati agli esercenti resistenti, dirette ad evitare affollamenti di persone all'esterno dei locali; F) il Comune di Como sia onerato di incrementare il controllo e la vigilanza su (...) in orario notturno, in modo da rendere effettivo il divieto di sosta e transito veicolare già attualmente vigente nelle aree corrispondenti ai corselli tra il plateatico e i circostanti edifici (con eccezione del dovuto accesso ai frontisti aventi diritto); G) il Comune di Como sia onerato di predisporre direttamente tramite i propri uffici tecnici interni o eventualmente - ove ritenuto - tramite ARPA, a predisporre in loco presso la (...) sistema di monitoraggio acustico prolungato, finalizzato a valutare l'andamento dei fenomeni rumorosi e il contenimento degli stessi entro il limite assoluto e contemporaneamente a tenere sotto controllo il rispetto delle prescrizioni contenute nel presente provvedimento da parte dei gestori. A fronte della predisposizione misure, che risultano già in vigore dalla passata stagione estiva per pacifica ammissione delle parti, parte attrice ha richiesto che la chiusura dello spazio esterno dei locali venisse anticipata alle ore 22.00, rappresentando che la normativa di settore prevede quale orario di riposo notturno dalle ore 22.00 alle ore 6.00. Sennonché, al riguardo si reputa di confermare la prescrizione già assunta relativamente agli orari di finizione del plateatico, considerando che le misure previste - se correttamente attuate - paiono idonee a garantire il rispetto dei limiti di tollerabilità immissiva in tutto l'orario serale e notturno, anche in concomitanza con l'utilizzo dei dehor. Ed infatti, come già si era evidenziato nell'ordinanza cautelare, dall'esame della consulenza tecnica emerge che fin dalle ore 22.00 il plateatico risulta solo parzialmente occupato a livello di sedute. Ciò nonostante risultano percepibili nitidamente dall'abitazione attorea il vociare e gli schiamazzi, tanto da far supporre che gli stessi provengano per la maggior parte, non dalla clientela seduta ai tavoli, ma dagli avventori che sostano in piedi affollando le aree esterne ai locali. Così anche secondo il giudizio del consulente, il quale ha rimarcato che "i commensali che stazionano sul plateatico costituiscono una sorgente acustica che, per quanto rilevante, non è Punica sorgente alla base delle negative immissioni. Gli esercizi commerciali costituiscono un polo di aggregazione che genera una situazione "al contorno" meritevole di attente valutazioni. Ih tale ottica è emersa una marcata criticità di tutta l'area circostante il plateatico con particolare riferimento al corsello posto tra i locali ed il plateatico ed al corsello sul lato di via (...) (come rappresentato dalle fotografe in atti). Pertanto, fermo restando che i dipendenti degli esercenti debbano adottare la massima cautela nello sparecchiare e nel ritirare tavoli e sedie, si ritiene che il limite di tollerabilità possa risultare rispettato pur mantenendo inalterato l'orario di fruizione del plateatico fino alle ore 23.00, ma dando invece attuazione cogente a quanto già previsto dal provvedimento concessorio comunale, di "evitare affollamenti di persone nelle aree esterne di pertinenza del locale oltre il numero di posti a sedere consentito", mediante gli interventi disposti ai punti C-D-E-F. Sull'azione di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. Esaurito l'esame della domanda svolta dagli attori ex art. 844 c.c., deve altresì essere accolta nei confronti di tutti i convenuti la domanda risarcitoria ex art. 2043 - 2059 c.c. sussistendo tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, sia in capo agli imprenditori che utilizzano il dehor, sia in capo al Comune di Como. Si è già argomentato in ordine alla illiceità delle immissioni (che costituisce l'elemento oggettivo della responsabilità aquiliana) e in relazione alla riconducibilità causale delle stesse congiuntamente alla fruizione del plateatico nonché all'utilizzo di tutte le aree circostanti come luogo di ritrovo della movida serale cittadina. Sotto il profilo soggettivo, inoltre, è chiaro che tali fenomeni devono essere imputati alla condotta colpevole dei gestori dei locali, così come del Comune. I primi hanno infatti profittato, quantomeno con negligenza, dei provvedimenti concessori comunali, utilizzando in modo non appropriato (né conforme ai dettami imposti dalla PA) il dehor ed acconsentendo agli schiamazzi e al vociare notturno senza introdurre alcuna misura dì contenimento. Il Comune, dal suo canto, pur essendo soggetto deputato al rispetto della quiete pubblica, ha omesso qualsivoglia forma di controllo sulla piazza, lasciando che anche l'area pubblica - di sua proprietà e non interessata dai provvedimenti concessori e dunque soggetta al suo diretto controllo - fosse utilizzata come punto di ritrovo serale cittadino, pur a fronte dei molteplici e costanti solleciti da parte dei residenti, ripetuti negli anni, in relazione all'intollerabilità della situazione, poi effettivamente confermata dal punto di vista tecnico. In tal modo anche il Comune ha una sua propria responsabilità, per carenza di diligenza, ravvisabile nel permettere i rumori illeciti sia provenienti da fenomeni antropici, non adeguatamente controllati, sia derivanti dal traffico veicolare, pur in quanto vietato. Pertanto, non può essere accolta la domanda del Comune di Como diretta a sentir accertare la responsabilità esclusiva degli altri convenuti nella causazione delle immissioni lamentate, considerato che anche l'Ente ha contribuito causalmente al determinarsi del danno sofferto e deve essere considerato corresponsabile ai sensi dell'art. 2055 c.c. Deve essere pertanto affermato il diritto degli attori ad ottenere da parte di tutti i convenuti, in via tra loro solidale, il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto. Al riguardo, occorre aggiungere che i convenuti hanno chiesto di ripartire tra loro la misura della responsabilità da ascrivere a ciascuno. Premettendo che tale ripartizione non ha effetto nei confronti degli attori, verso i quali tutti i convenuti sono responsabili solidalmente ai sensi dell'art. 2055 c.c., si ritiene che la responsabilità delle immissioni intollerabili debba essere ripartita: per l'anno 2012 esclusivamente nella misura del 50% ciascuno tra (...) e il Comune di Como. Dai rilievi effettuati a tale epoca, in cui non era ancora stata concessa la finizione del dehor esterno, risulta che le immissioni intollerabili provenivano dal solo locale citato, nonché - va aggiunto - dall'omesso controllo dell'ente locale. - per gli anni successivi, dal 2013 al 2017, alla luce delle considerazioni già svolte in ordine al presumibile contributo di ciascuno dei locali nella causazione delle lamentate immissioni, in ragione dell'utilizzo del dehor esterno e all'impossibilità oggettiva di isolare la singola fonte disturbante senza falsare le indagini tecniche fonometriche, si reputa di suddividere in pari misura la responsabilità di (...) Comune di Como, suddivisa pertanto nella percentuale del 20% ciascuno. Relativamente alla risarcibilità del pregiudizio subito a seguito delle immissioni intollerabili, trova applicazione il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità ed in tutto condiviso da questo giudice, secondo cui il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi a seguito della cd. "comunitarizzazione" della Cedu (Cass. SS. UU. 2611/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20927 del 16/10/2015). La Corte di Cassazione ha altresì specificato che l'accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili determina una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26889 del 19/12/2014, nella specie, analoga alla presente, le immissioni sonore - costituite da musica ad alto volume e altri schiamazzi "clamorosamente eccedenti la normale tollerabilità" in orario serale e notturno -avevano determinato una lesione, non futile, al diritto al riposo notturno per un periodo di almeno tre anni). Orbene, nel caso di specie, si ritiene configurata una significativa ed apprezzabile lesione del bene della vita menzionato, passibile pertanto di tutela risarcitoria, ritenendosi dimostrato in via presuntiva che il superamento dei limiti di tollerabilità ai sensi dell'art. 844 c.c. abbia cagionato alla famiglia una compromissione del godimento della propria abitazione ed un persistente disagio sopportato nell'esplicazione della propria quotidianità a causa di una condotta illecita posta in essere dal danneggiante. Il palese superamento dei limiti di immissione previsto dalla legge (che il ctu definisce oltre i livelli di attenzione in relazione al rischio per la salute), la vicinanza dell'abitazione degli attori alla piazza, l'affaccio di diverse finestre sull'area - quelle del soggiorno e quelle del corridoio che dà ingresso alle camere da letto - sono infatti tutti indici dai quali si può ragionevolmente presumere la lamentata impossibilità degli attori di godere del riposo e di attendere serenamente alle proprie attività quotidiane in orario serale (conversazione, studio, lettura, visione di programmi televisivi). Peraltro, tale conclusione è rafforzata dal tenore delle numerose comunicazioni inoltrate dall'attore (...) nell'interesse suo e della sua famiglia, nei confronti del Comune, che seppur provenienti dalla medesima parte, sono tuttavia idonei a comprovare lo stato di esasperazione nel quale versava il soggetto danneggiato. In merito al criterio di liquidazione di un simile danno, è legittima l'adozione del criterio equitativo, considerati da un lato la certezza del fatto generatore del pregiudizio nella sua entità oggettiva e d'altra parte l'impossibilità di provare il preciso ammontare del danno stesso (in questo senso Cass. 4848/2013). Pertanto, tenuto conto della rilevanza delle immissioni di gran lunga eccedenti i limiti imposti dalla legge; della frequenza delle stesse, principalmente dal giovedì alla domenica in orario serale e notturno nel periodo compreso tra maggio e ottobre; della durata temporale del subito pregiudizio, reputandosi provata l'intollerabilità delle immissioni dal 2012 al 2017; del fatto che tale molestia è stata sopportata anche nei periodi festivi e negli orali fisiologicamente deputati al riposo; della giovane età dei minori, i quali stanno vivendo un periodo della vita in cui la concentrazione assume particolare rilevanza sotto il profilo del rendimento scolastico, si stima equo un risarcimento di euro 15.000,00 per ciascun componente della famiglia, somma già espressa in moneta attuale (riconoscendo equitativamente circa 40 euro a testa per ogni sera nella quale siano state subite le immissioni, valutando quale periodo di riferimento dal 2012 al 2017, mediamente 4 sere alla settimana - giovedì, venerdì, sabato, domenica per i mesi da metà maggio, giugno, luglio, agosto e metà settembre, escluse 2 settimane nelle quali è presumibile che la famiglia (...) si sia recata fuori città per le vacanze estive). Non può invece essere tenuto conto, nella quantificazione del danno non patrimoniale sofferto, delle dedotte ingenti spese che gli attori hanno dovuto sostenere per contrastare, mediante rilievi tecnici e plurime istanze al Comune, il fenomeno immissivo subito. Trattasi all'evidenza di componente di danno patrimoniale, che avrebbe dovuto essere come tale compiutamente dimostrata sotto tale profilo, al fine di trovare riconoscimento in questa sede, mentre è rimasta priva di qualsivoglia riscontro probatorio. In definitiva deve essere riconosciuta nei confronti degli attori la somma complessiva di euro 60.000,00, che secondo i suindicati criteri di riparto della responsabilità, devono essere così suddivisi: (...) Comune di Como devono essere condannati a pagare nei confronti degli attori in via tra loro solidale la somma di euro 10.000,00 (pari al risarcimento dovuto per l'anno 2012); - mentre (...) Comune di Como devono essere condannati a pagare in via tra loro solidale la somma di euro 50.000,00 (pari al risarcimento dovuto per i successivi anni dal 2013 al 2017). Sulle somme riconosciute sono inoltre dovuti gli interessi compensativi al tasso legale per la ritardata corresponsione dell'equivalente pecuniario del danno. Va considerato che, nelle obbligazioni di valore, il debitore è in mora dal momento della produzione dell'evento dì danno e che nel caso di specie il danno è aumentato di anno in anno, in corrispondenza di ogni stagione estiva. Pertanto, avuto riguardo ai principi enunciati dalla sentenza n. 1712/1995 delle SS.UU. della Corte di Cassazione, al fine di evitare un lucro ingiustificato per il creditore, e per meglio rispettare la funzione compensativa dell'interesse legale riconosciuto sulla somma rivalutata, gli interessi devono essere calcolati non sulla somma rivalutata (o espressa in moneta attuale) al momento della liquidazione, né sulla somma originaria, ma debbono essere computati sulla somma originaria che via via si incrementa, a partire dal livello iniziale fino a quello finale, nei singoli periodi trascorsi. Dalla data della sentenza sono dovuti gli interessi al tasso legale sull'importo liquidato, corrispondente al capitale già rivalutato. Sulla domanda di manleva svolta dal Comune di Como nei confronti di (...). Infine, non può trovare accoglimento la domanda di manleva svolta dal Comune di Como nei confronti delle proprie compagnie assicurative (...). Senza necessità di considerare singolarmente le eccezioni preliminari svolte da entrambe le terze chiamate, pronunciando secondo il principio della ragione più liquida, si osserva che l'argomentazione difensiva secondo cui la fattispecie produttiva del danno che costituisce oggetto di liquidazione esula dall'oggetto di entrambe le polizze è fondata. I contratti prevedono, in via del tutto analoga, che le imprese assicurative si obbligano a tenere indenne l'assicurato Comune di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi dì legge, a titolo di risarcimento dì danni involontariamente cagionati a terzi "per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose" (Art. 1 sezione 3 (...) Art. 1 sezione 3 (...)) Tuttavia, il danno subito dagli attori non deriva da "lesione personale". Tale locuzione si riferisce inequivocabilmente ad un danno riferito alla persona intesa sotto il profilo biologico (come malattia del corpo e/o della mente), che non risulta provato in capo agli attori, ai quali diversamente è stato riconosciuto un pregiudizio riferito a valori costituzionalmente garantiti diversi dalla salute, quali il diritto al normale svolgimento della vita familiare e alla piena e libera esplicazione delle proprie abitudini di vita. La domanda di manleva, pertanto, non può trovare accoglimento. Sulle spese Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e pertanto: - quelle sostenute dagli attori vengono poste a carico di tutti i convenuti, in via tra loro solidale; - quelle sostenute da (...) vengono poste a carico del Comune di Como, a fronte del rigetto della domanda di manleva svolta dal convenuto nei confronti delle compagnie assicurative; - vengono inoltre compensate le spese sostenute dai convenuti (...) e il Comune di Como, poiché sebbene la domanda formulata da quest'ultimo, diretta a sentir affermare l'esclusiva responsabilità degli altri convenuti sia stata rigettata (in ragione dell'affermazione della responsabilità propria del Comune), l'opporsi ad essa non ha comportato per i convenuti alcuna attività difensiva ulteriore rispetto a quella già svolta per contrastare la pretesa attorea. Le spese vengono liquidate direttamente in dispositivo, secondo i parametri indicati dal DM 55/2014, tenuto conto del valore della controversia, quantificato sulla base della somma complessivamente riconosciuta in favore degli attori all'esito del giudizio a titolo risarcitorio, del complessità delle questioni giuridiche trattate, dell'attività difensiva svolta e dunque facendo applicazione degli importi medi di riferimento per le fasi di esame, introduttiva, istruttoria e decisionale, con singolo aumento relativamente alla posizione degli attori del 30% in ragione della pluralità dei soggetti vittoriosi difesi da unico difensore. Agli attori devono essere altresì riconosciute le spese sostenute per il procedimento cautelare svolto in corso di causa, avente esito a loro favorevole, riconosciute sempre negli importi medi per lo scaglione di riferimento indeterminabile di media complessità, con esclusione della fase istruttoria (svolta unicamente nel merito) e con aumento del 30% per la pluralità di soggetti difesi. Le spese di CTU devono essere definitivamente posti a carico dei convenuti, in via tra loro solidale, rimasti soccombenti in relazione alla domanda attorea. P.Q.M. Pronunciando in via definitiva, ogni contraria istanza, eccezione, domanda rigettata, così provvede: 1) accerta l'intollerabilità delle immissioni rumorose subite dagli attori all'interno dell'abitazione sita in via (...), Como; 2) accerta la responsabilità concorrente di (...) Comune Como nella causazione delle immissioni illecite e per l'effetto; 3) condanna (...) Comune di Como a far cessare le immissioni rumorose all'interno dell'abitazione attorea, mediante l'adozione delle seguenti misure, a conferma dell'ordinanza assunta in data 21.6.2018: A) l'uso del plateatico esterno sia interdetto con effetto immediato a decorrere dalle ore 23:00 di ciascun giorno della settimana; B) il personale degli esercenti adotti la massima cautela nell'attività di sparecchiamento e nel ritiro di sedie e tavoli; C) siano interdetti l'installazione di diffusori acustici nell'area esterna e la previsione dì intrattenimenti musicali e/o conviviali che comportino affollamento del plateatico, senza previo ottenimento dell'autorizzazione da parte del Comune, ai sensi dell'art. 7 del Regolamento applicativo del piano dì azzonamento acustico in vigore; D) gli esercenti resistenti predispongano, entro dieci giorni dalla emissione del presente provvedimento, un servizio d'ordine con personale a ciò specificamente preposto, durante tutto il periodo di apertura dei locali, che disciplini la presenza delle persone nelle rispettive aree di pertinenza esterna e nei corselli di passaggio, al fine di evitare affollamenti e di controllare gli atteggiamenti comportamentali degli avventori che utilizzano le aree, onde prevenire l'insorgere di schiamazzi e l'incremento del disturbo acustico; E) il Comune di Como sia onerato di vigilare rigorosamente sul rispetto delle prescrizioni assunte dall'ente stesso nel provvedimenti concessori rilasciati agli esercenti resistenti, dirette ad evitare affollamenti di persone all'esterno dei locali; F) il Comune di Como sia onerato di incrementare il controllo e la vigilanza su (...) in orario notturno, in modo da rendere effettivo il divieto di sosta e transito veicolare già attualmente vigente nelle aree corrispondenti ai corselli tra il plateatico e i circostanti edifici (con eccezione del dovuto accesso ai frontisti aventi diritto); G) il Comune di Como sia onerato entro trenta giorni dalla emanazione della presente ordinanza di predisporre direttamente tramite i propri uffici tecnici interni o eventualmente - ove ritenuto - tramite ARPA, a predisporre in loco presso (...) sistema di monitoraggio acustico prolungato, finalizzato a valutare l'andamento dei fenomeni rumorosi e il contenimento degli stessi entro il limite assoluto e contemporaneamente a tenere sotto controllo il rispetto delle prescrizioni contenute nel presente provvedimento da parte dei gestori resistenti. 4) condanna (...) e Comune di Como a pagare agli attori la somma di euro 10.000,00 oltre interessi compensativi e legali come specificati in parte motiva; Comune di Como a pagare agli attori la somma di euro 50.000,00, oltre interessi compensativi e legali come specificati in parte motiva; 6) rigetta le domande di manleva svolte dal Comune di Como nei confronti di (...) 7) pone definitivamente a carico di (...) Comune di Como le spese di C.T.U., come liquidate in corso di causa; 8) condanna (...) e Comune di Como al pagamento in favore degli attori delle spese processuali che liquida in Euro 862,76 per spese, ed in Euro 23.249,20 per compensi, oltre al 15% dei suddetti compensi per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A.; 8) condanna Comune di Como al pagamento in favore di (...) delle spese processuali che liquida in Euro 13.430,00 per compensi, oltre al 15% dei suddetti compensi per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A., somma da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario; 9) condanna Comune di Como al pagamento in favore di (...) delle spese processuali che liquida in Euro 13.430,00 per compensi, oltre al 15% dei suddetti compensi per rimborso forfettario spese generali, I.V.A. (se non recuperabile in virtù del regime fiscale della parte) e C.P.A., somma da versarsi direttamente in favore del difensore, dichiaratosi antistatario ai sensi dell'art. 93 c.p.c. Sentenza per legge esecutiva. Così deciso in Como, l'11 marzo 2019. Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE SECONDA Il Tribunale, in persona del giudice del lavoro dr. Giovanni Luca Ortore, ha pronunciato la seguente contestuale SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. r.g. 311/2018 promossa da: GI.CA. (...), con il patrocinio dell'avv. BA.PA., elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. BA.PA. RICORRENTE contro PO. (...), con il patrocinio dell'avv. TI.LI., elettivamente domiciliata in VIA (...) 22100 COMO presso il difensore avv. TI.LI. RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso telematico pervenuto il 29/3/2018, Gi.Ca. conveniva in giudizio la Po., per ottenere la restituzione dell'indennità di mancato preavviso delle dimissioni del 30/10/2017, trattenuta ingiustamente dalla società, essendosi dimesso per giusta causa, con la conseguente condanna della società al pagamento di detta indennità. Deduceva al riguardo che le dimissioni - successive alla contestazione disciplinare del 23/10/2017, comunque tardiva e infondata - erano giustificate perché la società, che svolgeva consulenze in materia di sicurezza e prevenzione incendi, consentiva che Fa.Lu., iscritto all'albo dei periti industriali di Como, provvedesse sistematicamente alla sottoscrizione dei certificati e asseverazioni previsti dagli art. 4 e 5 D.M. 7 agosto 2012, per le pratiche che gli erano state assegnate, sebbene fosse privo della qualifica abilitativa di "professionista antincendio" richiesta dall'art. 16 D. Lgs. 139/2006, per cui in base all'art. 23 del codice deontologico dell'ordine professionale dei Periti industriali, di cui anch'egli faceva parte, non poteva più prestarsi a favorire e legittimare il lavoro professionale abusivo o collaborare con chi esercitava abusivamente la professione. Si costituiva la Po. e contestava che il ricorrente aveva rassegnato le dimissioni solo dopo la contestazione disciplinare del 23/10/2017, evidentemente per evitare di essere licenziato per giusta causa, in quanto se i fatti da lui denunciati fossero stati realmente gravi, avrebbe dovuto rassegnarle immediatamente, per cui avendo proseguito il proprio lavoro per oltre un anno, significava che li aveva ritenuti accettabili. All'udienza odierna la causa veniva discussa e decisa con lettura della presente sentenza. Il ricorso non appare fondato e dev'essere pertanto respinto. Il ricorrente rivendica la giusta causa del recesso, deciso il 30/10/2017 per l'ostinato rifiuto di Fa. di dare ascolto ai suoi reiterati inviti a seguire i corsi necessari all'aggiornamento professionale, per poter mantenere l'iscrizione negli elenchi dei "professionisti antincendio" tenuti dal Ministero dell'interno. Cavallini non ha però indicato il fatto nuovo, prossimo alle dimissioni, che l'aveva indotto a rassegnarle proprio il 30/10/2017 e non prima, sebbene, stando alla sua versione, già più volte in passato avesse chiesto al suo datore di lavoro di attivarsi per il necessario aggiornamento professionale, ma senza ottenere alcun risultato. Né ha spiegato per quale ragione solo a ottobre 2017 avesse finalmente compreso che Fa. (che non risulta avergli in qualche modo fatto intendere che si sarebbe attivato entro una certa data) non avrebbe mai aderito al suo consiglio, se quest'ultimo già in precedenza, l'aveva sempre immancabilmente rifiutato, ogniqualvolta gliel'aveva rivolto. Il fatto nuovo che in effetti, sembra aver indotto Cavallini alle dimissioni è proprio la contestazione disciplinare del 23/10/2017 che tuttavia, non è neppure menzionata nella lettera di dimissioni, in cui viene addotta dal ricorrente come unica giustificazione ricevendone, solo la contrarietà ai principi deontologici del proprio ordine professionale, del favorire l'attività professionale di un soggetto, come Fa., privo dei requisiti richiesti dalla legge, carenza di cui però, si era già accorto dopo la sua assunzione, risalente a oltre un anno prima. Deve pertanto escludersi che la ragione delle dimissioni sia riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 2119 cc, che richiede la prossimità temporale del recesso a un fatto che impedisca la prosecuzione, anche solo temporanea, del rapporto di lavoro. Non essendo il fatto dedotto dal ricorrente idoneo a legittimare il suo recesso ex art. 2119 cc, ne consegue che questo avrebbe avuto effetto solo al termine del dovuto preavviso, per cui non avendo invece, Cavallini più lavorato, risulta legittima la relativa trattenuta, operata dalla società resistente sulla retribuzione dell'ultimo mese. Considerata comunque, la ragione delle dimissioni e la particolarità della questione esaminata, appare corretto compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. 1. respinge il ricorso, 2. compensa le spese di giudizio. Così deciso in Como il 4 dicembre 2018. Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE SECONDA Il Tribunale, in persona del giudice del lavoro dr. Giovanni Luca Ortore, ha pronunciato la seguente contestuale SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. r.g. 343/2018 promossa da: An.De. (...), con il patrocinio degli avv.ti SO.GI., FR.CO. e BE.AL., elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. SO.GI. RICORRENTE contro Do. S.r.l. (...), con il patrocinio dell'avv. BR.AN., elettivamente domiciliata in VIALE (...) CESARE 28 22100 COMO presso il difensore avv. BR.AN. RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso telematico pervenuto il 9/4/2018, An.DE. impugnava il licenziamento intimatogli il 1/9/2017 dalla Do. s.r.l. per mancato superamento del periodo di prova, del tutto inesistente in quanto era stato assunto il 12/6/2017, con un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, per cui chiedeva di dichiarare l'invalidità, la nullità o comunque l'illegittimità del licenziamento, con la condanna della società resistente al pagamento dell'indennità risarcitoria di Euro 4.078,06, pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr, o la diversa somma ritenuta di giustizia, e dell'indennità sostituiva del preavviso, corrispondente a Euro 3.074,48. La Do. s.r.l. si costituiva tardivamente all'odierna udienza, deduceva che il licenziamento era stato intimato perché le società, clienti dei servizi di consulenza svolti tramite il ricorrente, erano rimaste insoddisfatte del suo lavoro e contestava l'entità delle somme richieste, negando che De. avesse comunque messo a disposizione la propria prestazione lavorativa. All'odierna udienza la causa veniva decisa con lettura della presente sentenza. Il ricorso è fondato e dev'essere accolto. Il ricorrente è stato licenziato il 1/9/2017 per mancato superamento del periodo di prova (doc 3 ricorso). In base all'art. 2096 c.c. "l'assunzione. .. per un periodo di prova deve risultare da atto scritto". La giurisprudenza richiede inoltre, "anche la specifica indicazione della mansione da espletarsi, la cui mancanza costituisce motivo di nullità del patto (con automatica conversione dell'assunzione in definitiva sin dall'inizio) ..." (Cass. 21698/2006). Il contratto di lavoro di De. del 12/6/2017 invece, non prevedeva né un periodo di periodo di prova né di conseguenza, quale contenuto questa dovesse avere, per il semplice fatto che si trattava già di un'assunzione a tempo indeterminato (doc 2 ricorso). Ne conseguente pertanto, l'illegittimità del licenziamento, intimato per il mancato superamento di un periodo di prova, non previsto dal contratto di assunzione. Per quanto concerne le conseguenze sanzionatorie, è applicabile il D Lgs 23/2015. Nello specifico caso in esame l'art. 9, in quanto Do. s.r.l. aveva solo 9 dipendenti (doc 1 ricorso), per cui non è utilizzabile l'art. 3 co 2, che regola le "ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore". Di conseguenza, non essendo possibile la reintegra, è del tutto irrilevante che De., dopo il licenziamento, non abbia poi messo a disposizione della società la propria prestazione lavorativa, come contestato dalla Do. s.r.l. E' quindi applicabile l'art. 3 co. 1, ma con dimezzamento dell'indennità risarcitoria ivi prevista, nel testo vigente all'epoca del licenziamento, cioè prima delle modifiche introdotte dall'art. 3 co. 1 d.l. 87/2018, conv. in l. 96/2018, in quanto il licenziamento, come qualsiasi negozio giuridico, rimane soggettato alla disciplina di legge vigente al tempo in cui viene a esistenza (vd. Cass. 18833/2005). Recentemente però, la Corte costituzionale con sentenza 194/2018, ha comunque dichiarato l'illegittimità costituzionale dall'art. 3 co. 1, sia nel testo originario sia nel testo modificato dall'art. 3 co. 1 d.l. 87/2018 cit., limitatamente alle parole "di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio", in quanto la previsione di un'indennità crescente, in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore, è stata ritenuta contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli artt. 4 e 35 cost. Di conseguenza, attualmente l'indennità non è più ancorata ad alcun rigido parametro di quantificazione, anche se dev'essere comunque calcolata nel rispetto "dei limiti, minimo e massimo, dell'intervallo in cui va quantificata l'indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato - e quindi - innanzi tutto dell'anzianità di servizio - criterio che è prescritto dall'art. 1, comma 7, lett. c) della legge n. 183 del 2014 e che ispira il disegno riformatore del D.Lgs. n. 23 del 2015 - nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell'attività economica, comportamento e condizioni delle parti)" (C. Cost. cit.). Tuttavia, non avendo il ricorrente dedotto né tantomeno dimostrato quale pregiudizio abbia in concreto subito dal licenziamento, è liquidabile l'indennità minima di due mensilità, già dimezzata ex art. 9 cit., come espressamente richiesto, pari a 6 4.078,06. Al ricorrente spetta infine, anche l'indennità sostitutiva del mancato preavviso lavorato, corrisponde a 30 giorni di retribuzione, come previsto per un dipendente inquadrato nel 3 livello dall'art. 234 del ccnl di riferimento, quantificabile, in base all'ultima busta paga prodotta di settembre 2017 (comprensiva però dei ratei di 13a e 14a mensilità) in Euro 3.000,00. Gli importi dovuti devono essere incrementati di rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza della resistente. P.Q.M. 1. annulla il licenziamento intimato il 1/9/2017 dalla Do. s.r.l. ad An.De. per difetto della giusta causa addotta e conseguentemente, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla scadenza del preavviso; 2. condanna la Do. s.r.l. al pagamento in favore di An.De. dell'indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di Euro 4.078,06 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo; 3. condanna la Do. s.r.l. al pagamento in favore di Angelo Antonio De. di Euro 3.000,00 per l'indennità sostitutiva del mancato preavviso lavorato, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo, 4. condanna la Do. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 3.500,00 per onorari, oltre il 15% per rimborso spese forfettarie, IVA e CPA come per legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c. Così deciso in Como il 29 novembre 2018. Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE SECONDA Il Tribunale, in persona del giudice del lavoro dr. Giovanni Luca Ortore, ha pronunciato la seguente contestuale SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. r.g. 645/2018 promossa da: DA.SG. (...), AL.LO. (...), AL.MA. (...), FA.PA. (...), AL.SP. (...) e LO.TA. (...), con il patrocinio degli avv.ti BO.FA., GU.LU. e MA.FA., elettivamente domiciliati in Via (...) 22100 Como presso il difensore avv. BO.FA. RICORRENTI contro GI.AV. (...), contumace RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso telematico pervenuto il 3/7/2018, Da.Sg., Al.Lo., Al.Ma., Fa.Pa., Al.Sp. e Lo.Ta., già dipendenti di Ne. s.r.l. da questa passati alle dipendenze di Fi. s.r.l. a seguito di contratto di affitto di ramo d'azienda e quindi retrocessi il 1/5/2013 Ne. s.r.l., da cui si erano dimessi nel luglio 2013 per il mancato pagamento della retribuzione e di cui avevano poi chiesto il fallimento, dichiarato con sentenza del 2/12/2013 di questo Tribunale che, ex art. 102 RD 267/1942, non aveva disposto l'accertamento del passivo, per l'insufficienza dell'attivo, ragione per cui era stata poi respinta dall'Inps la loro domanda di accesso al fondo di garanzia, convenivano in giudizio Gi.Av., quale socio unico di Ne. s.r.l. per l'accertamento dei propri crediti con la sua condanna al pagamento dei relativi importi. Gi.Av. restava contumace e all'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa con lettura della presente sentenza. Solo la domanda di accertamento svolta nel ricorso è fondata e dev'essere conseguentemente accolta. Secondo Cass. SU. 6070/2013 la cancellazione di una società dal registro delle imprese, pur determinando la sua estinzione, non può provocare anche l'estinzione dei debiti insoddisfatti, anche per non violare il diritto di difesa tutelato dall'art. 24 cost., per cui "si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale... l'obbligazione della società non si estingue,. .., ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali". In base a tale principio, legittimati passivi sulla domanda del creditore di una società ormai estinta per l'accertamento del proprio credito sono comunque i soci che eventualmente ne rispondono, seppur nei limiti di quanto ottenuto al termine della liquidazione oppure per l'intero, se illimitatamente responsabili (vd Corte di appello Brescia n 179/2017). Nel caso in esame per stessa ammissione dei ricorrenti, il fallimento di Ne. s.r.l. si è chiuso per insufficienza dell'attivo, per cui hanno citato in giudizio il socio unico, Av., al principale fine di ottenere l'accertamento del proprio credito e quindi munirsi del titolo giudiziale necessario per poter chiedere l'intervento del fondo di garanzia gestito dall'Inps. Sulla base della documentazione prodotta (CUD, buste paga e conteggi) ovviamente non contestata dal convenuto, rimasto contumace, risulta provato il credito di: - Sg. per Euro 413,07 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 810,59 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 844,31 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.824,72 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 133,90) ed Euro 1.581,19 a titolo di T.F.R.; - Lo. per Euro 1.661,35 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.052,97 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 129,74) ed Euro 9.791,01 a titolo di T.F.R.; - Ma. per Euro 1.624,70 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.161,22 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.209,53 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.513,45 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 191,81) ed Euro 3.616,52 a titolo di T.F.R.; - Pa. per Euro 1.522,05 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.466,57 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 324,37) ed Euro 11.644,49 a titolo di T.F.R.; - Sp. per Euro 1.356,17 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 879,95 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 324,37) ed Euro 7.170,40 a titolo di T.F.R.; - Ta. di Euro 1.493,99 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.144,20 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.191,82 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.288,37 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari ad Euro 126,00) ed Euro 3.095,66 a titolo di T.F.R.; oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo. La domanda di condanna dev'essere invece respinta, non avendo Av. ottenuto ovviamente alcunché dal fallimento della sua società, che come già detto, è stato anticipatamente chiuso per insufficienza dell'attivo. Poiché i ricorrenti dovevano comunque procurarsi un titolo giudiziale per far valere il proprio credito nei confronti dell'I.N.P.S. e il resistente, restando contumace, ha agevolato il relativo accertamento, appare corretto compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. 1. accerta il credito nei confronti di Ne. s.r.l. di: - Da.Sg. per Euro 413,07 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 810,59 a titolo di retribuzione di maggio 2013, 6 844,31 a titolo di retribuzione di giugno 2013, 6 1.824,72 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 133,90) ed Euro 1.581,19 a titolo di T.F.R.; - Al.Lo. per Euro 1.661,35 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.052,97 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 129,74) ed Euro 9.791,01 a titolo di T.F.R.; - Al.Ma. per Euro 1.624,70 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.161,22 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.209,53 a titolo di retribuzione di giugno 2013, e 1.513,45 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a Euro 191,81) ed Euro 3.616,52 a titolo di T.F.R.; - Fa.Pa. per Euro 1.522,05 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.466,57 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a e 324,37) ed Euro 11.644,49 a titolo di T.F.R.; - Al.Sp. per Euro 1.356,17 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.178,29 a titolo di retribuzione di maggio 2013, 6 1.227,28 a titolo di retribuzione di giugno 2013, 6 879,95 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari a 6 324,37) ed Euro 7.170,40 a titolo di T.F.R.; - Lo.Ta. di Euro 1.493,99 a titolo di retribuzione di ottobre 2012, Euro 1.144,20 a titolo di retribuzione di maggio 2013, Euro 1.191,82 a titolo di retribuzione di giugno 2013, Euro 1.288,37 a titolo di competenze di fine rapporto e retribuzione di luglio 2013 (quest'ultima pari ad Euro 126,00) ed Euro 3.095,66 a titolo di T.F.R.; oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo; 2. respinge la domanda di condanna di Gi.Av. al pagamento dei suddetti importi; 3. compensa le spese di giudizio. Così deciso in Como il 28 novembre 2018. Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE SECONDA Il Tribunale, in persona del giudice del lavoro dr. Giovanni Luca Ortore, ha pronunciato la seguente contestuale SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. r.g. 851/2017 promossa da: SA.GA. (...), con il patrocinio dell'avv. FI.RO. e dell'avv. PR.LU., elettivamente domiciliata in Indirizzo Telematico presso il difensore avv. FI.RO. RICORRENTE contro fallimento AS. S.r.l. contumace RESISTENTE CONCLUSIONI come in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso telematico ex art. 1 co 47 1. 92/2012 pervenuto il 2/10/2017, Sa.Ga. - dipendente di As. srl, assente dal lavoro dal settembre al dicembre 2016 per malattia dovuta allo stress conseguente all'eccessivo carico di lavoro - impugnava il licenziamento per giustificato motivo intimatole il 14/2/2017, per un imprecisato "processo di riorganizzazione aziendale", che comportava soltanto la soppressione della sua posizione lavorativa, contestando la mancata attivazione della procedura prevista dall'art. 1 co. 40 l. 92/2012, l'insussistenza delle ragioni addotte a sostegno del licenziamento e la violazione dell'obbligo di repechage. Si costituiva la As. S.r.l. che eccepiva l'inammissibilità del ricorso, non avendo mai avuto un numero di dipendenti superiore a 15, con la conseguente decadenza della sua impugnazione ex art. 6 co 2 1. 604/1966 e ribadiva la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto le ultime mansioni svolte dalla ricorrente all'ufficio marketing, dove procedeva all'inserimento di dati statistici relativi alle vendite e alla stampa delle relative reportistiche, erano divenute superflue a seguito dei miglioramenti apportati al software gestionale denominato Apollo, che avevano consentito ai promotori e agli incaricati alle vendite di inserire direttamente dai propri devices (tablet, pc,.. .) i dati relativi alle vendite. Sosteneva infine, l'impossibilità di ricollocare utilmente in azienda la ricorrente, in quanto le posizioni di natura amministrativa erano già tutte stabilmente occupate da altri lavoratori che peraltro, svolgevano mansioni (contabilità, paghe, gestione finanziaria, grafica) per le quali Ga. era priva di ogni competenza e precisava pure di essersi comunque attivata presso la società di logistica, Cooperativa As., che aveva manifestato la disponibilità di sottoscrivere un contratto di lavoro part time con la ricorrente che però, aveva rifiutato l'offerta. All'udienza del 10/7/2018 il processo veniva interrotto a seguito del fallimento della società resistente, che veniva poi citato in riassunzione per l'udienza 26/9/2018, dove restava contumace. Con ordinanza del 1/10/2018 veniva disposta la trasformazione del rito speciale in quello ordinario e all'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa con lettura della presente sentenza. Se il lavoratore impugna il licenziamento prima della dichiarazione di fallimento della società datrice di lavoro davanti al giudice del lavoro, questo, anche dopo la riassunzione del processo, rimane competente a decidere non soltanto le "domande del lavoratore di impugnazione del licenziamento e di condanna del datore alla reintegrazione nel posto di lavoro, in quanto dirette ad ottenere una pronuncia costitutiva, ma anche su quella di condanna generica al risarcimento dei danni mediante il pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione" (Cass 19308/2016). In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, previsto dall'art. 3 l. 604/1966, il datore di lavoro deve provare: "a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali - insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati - diretti ad incidere sulla struttura e sull'organizzazione dell'impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati aduna migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l'impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore" (Cass 24882/2017). Ciò premesso, nel caso in cui l'interruzione sia avvenuta per la morte o la perdita di capacità di una delle parti e la riassunzione del giudizio sia stata perfezionata con la notificazione al successore, se questo non si costituisce, per "apparire" per la prima volta nel processo, viene dichiarato contumace ex art. 303 co. 4 c.p.c. La mancata comparizione nel giudizio riassunto dopo l'interruzione, non determina tuttavia, l'inefficacia degli atti precedenti all'interruzione, compiuti dalla parte in tutto il periodo durante il quale ha regolarmente partecipato al giudizio. Di conseguenza, la mancata costituzione di una parte nella fase di riassunzione non comporta che le domande proposte con l'atto di citazione o in via riconvenzionale, debbano ritenersi rinunciate o abbandonate (Cass. 26372/2014). Tuttavia, dovendosi applicare le disposizioni sul procedimento in contumacia, che non consentono alla parte di svolgere attività istruttoria, non è possibile ammettere le prove richieste nella precedente fase, essendo necessario che la parte si costituisca per esprimere almeno la volontà di conservare le richieste contenute nei propri atti. Pertanto, poiché il fallimento As. S.r.l. non si è costituito ed è rimasto contumace, le istanze istruttorie svolte nella memoria di costituzione della società non possono essere accolte, perché non è consentito alla parte contumace, e quindi "assente" dal processo, di parteciparvi citando e poi esaminando i propri testi. Ne consegue, in difetto della prova della legittimità del licenziamento da parte del datore di lavoro, stante un numero di dipendenti inferiore a 15, come emerge dalla documentazione prodotta dalla società, l'inapplicabilità dell'art. 7 l. 604/1966 e la tutela di cui all'art. 8 l. 604/1966. Avendo Ga. maturato un'anzianità di quattro anni, può esserle liquidata un'indennità solo di poco superiore a quella minima prevista, quantificabile in 3,5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ( Euro 2.441,63), pari a Euro 8.545,70 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo nell'ipotesi (astratta) in cui il fallimento non proceda alla sua reintegrazione nel termine di tre giorni. Poiché il fallimento, non costituendosi, ha rinunciato a contrastare la domanda della ricorrente, comunque onerata dell'impugnativa del licenziamento, risultato illegittimo, appare corretto compensare per metà le spese di giudizio, la restante metà, liquidata in dispositivo, segue la soccombenza della parte resistente. P.Q.M. 1. annulla il licenziamento intimato il 14/2/2017 e condanna il fallimento As. S.r.l. alla reintegrazione di Sa.Ga. nel suo posto di lavoro entro tre giorni o in alternativa, al pagamento dell'indennità di Euro 8.545,70 oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal licenziamento al saldo; 2. compensa per metà le spese di giudizio e condanna il fallimento As. S.r.l. al pagamento della residua metà, da distrarre in favore di difensori della ricorrente, che hanno dichiarato di averle anticipate, liquidate in Euro 1.500,00 per onorari, oltre 15% per rimborso spese forfettarie, IVA e CPA Sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 431 c.p.c. Così deciso in Como il 14 novembre 2018. Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE II Il Tribunale, in persona del giudice del lavoro dr. Giovanni Luca Ortore, ha pronunciato la seguente contestuale SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al n. r.g. 1091/2016 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato presso il difensore avv. (...) RICORRENTE contro (...), contumace RESISTENTE CONCLUSIONI come in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso telematico pervenuto il 31/10/2016, (...) conveniva in giudizio (...), titolare dell'omonima ditta di (...), per far accertare che dal 2/10/2006 al 30/12/2014 aveva lavorato a tempo pieno ed indeterminato alle sue dipendenze, con diritto all'inquadramento nel 4° livello del C.C.N.L. Tessile Artigianato, svolgendo lavoro straordinario diurno feriale dal lunedì al sabato, lavoro straordinario notturno feriale e lavoro straordinario domenicale, con la conseguente condanna del resistente al pagamento degli importi dovuti, quantificati in complessivi 6 86.201,49. (...) restava contumace e, terminata l'istruttoria, all'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa con lettura della presente sentenza. Il ricorso è fondato e dev'essere conseguentemente accolto. La teste Maria Aquila (udienza 2/5/2018), ha riferito che, quando nel luglio 2007 aveva iniziato a lavorare per la ditta di (...) ad (...), aveva constatato che ""(...) già lavorava per luì. ...si occupava di tagliare a mano (con il solo ausilio di forbici e taglierine) sotto la costante supervisione e controllo da parte dei sig.ri (...), le diverse bobine di tessuto . . . utilizzate per la produzione di vari accessori di abbigliamento ... si occupava inoltre, della misurazione e ritaglio, utilizzando la sagoma, sempre a mano, delle diverse strisce di tessuto create al fine di realizzare i prodotti finali ... si occupava anche del taglio dei tessuti "a caldo" mediante apposita macchina taglierina. .. lavorava su tutti i tipi di tessuto che venivano utilizzati in ditta". Risulta pertanto dimostrato che il ricorrente abbia iniziato a lavorare come sarto, ben prima che (...), il 15/1/2010, avvalendosi della procedura di emersione del lavoro irregolare (doc. 4), lo assumesse formalmente come lavoratore domestico/badante per il padre, contratto poi rinnovato nel gennaio 2012 (doc. 6) e quindi, comunicato all'Inps solo nell'ottobre 2013 (doc. 7). Sul punto la stessa (...) ha ricordato che "all'inizio (...) non era stato messo in regola, perché non aveva il permesso di soggiorno oltre ai documenti. In seguito, con la sanatoria, è stato assunto come badante per il padre di (...)". E' quindi del tutto logico retrodatare l'inizio del rapporto di lavoro di (...) all'ottobre 2006, come indicato nel ricorso. L'attività di sarto, svolta da (...) all'interno dell'impresa di confezioni tessili del ricorrente, è stata confermata anche per il periodo successivo dai testi (...) (ud. 5/12/2017). Quest'ultima e (...) hanno anche precisato che era il titolare, (...) a "controllare l'operato di tutti i dipendenti e quindi, anche di (...)". Sussistono pertanto, gli indici tipici della subordinazione, ravvisati dalla giurisprudenza principalmente nella cd. eterodirezione, cioè nell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro e alle relative esigenze aziendali (Cass. 2728/2010), a cui si aggiungono quelli ulteriori tra cui il rispetto di un orario, la continuità della prestazione e l'assenza di un rischio d'impresa. Risulta quindi provato che il ricorrente ha prestato attività di lavoro dipendente nell'impresa individuale di (...), svolgendo le mansioni di sarto, previste al 4° livello settore Confezioni (tab. B) del CCNL Tessili Artigianato, in cui sono inquadrati i "lavoratori addetti a mansioni di particolare complessità e variabilità, la cui esecuzione richiede buone capacità tecnico pratiche, acquisite tramite una consistente esperienza di lavoro e/o adeguato tirocinio " in particolare nella figura di "addetto a taglio e confezione del prototipo; taglio con capacità di predeterminare i consumi (sviluppo taglie e/o disegno e preparazione sagome e cartoni)". Il resistente, restando contumace, non ha logicamente dimostrato di aver pagato le differenze retributive dovute al ricorrente né tantomeno contestato la correttezza dei conteggi svolti. Ne consegue il diritto di (...) a ottenere, dal 2/10/2006 al 30/12/2014, la retribuzione dovuta a un lavoratore subordinato, a tempo pieno, con inquadramento nel 4° livello del CCNL Tessili Artigianato, pari all'importo complessivo di Euro 32.767,68 (di cui Euro 14.800,09 per TFR), già al netto delle somme da lui percepite nel corso del rapporto. Risulta provato anche lo svolgimento di lavoro straordinario. La teste Aquila ha dichiarato che (...) all'inizio della giornata lavorativa "no" era puntuale, anche se poi recuperava a fine giornata, perché io con gli altri dipendenti andavamo via tra le 16/18.00 in base alle esigenze di lavoro e lui invece, restava a lavorare. Mi diceva che si fermava fino a tardi, oltre l'orario di cena. ... Il sabato si lavorava quando ci veniva chiesto (soprattutto giugno/luglio) e quindi non sempre". Un'altra teste (...), moglie del ricorrente (ud. 4/7/2018), che per due mesi nel 2014 aveva lavorato anch'essa in nero per (...), ha precisato che entrambi lavoravano al sabato pure nel pomeriggio, oltre che la mattina. Anche a me è capitato lavorare la serafino alle 23.00 o le 24.00 sempre in caso di molto lavoro. A mio marito ciò è capitato con maggior frequenza perché si fermava regolarmente a lavorare per tre sere ogni settimana dalle 20.00 alle ore 23.00, solitamente al lunedì, martedì e giovedì. Mio marito lavorava anche due domeniche ogni mese, dalle ore 15.00 alle ore 18.00" Al ricorrente (...) spetta pertanto il pagamento della retribuzione per lavoro straordinario svolto nel periodo dal gennaio 2010 al 30/12/2014 pari a: - Euro 8.706,36 per le tre ore di lavoro straordinario notturno settimanale, svolto dalle ore 22.00 alle ore 23.00 nelle giornate di lunedì, martedì e giovedì; - Euro 10.060,96 per le prime 4 ore di lavoro straordinario diurno settimanale, svolto dalle ore 20.00 alle ore 22.00 nelle giornate di lunedì e martedì; - Euro 5.215,60 per le ulteriori 2 ore di lavoro straordinario diurno settimanale svolte dalle ore 20.00 alle ore 22.00 nella giornata di giovedì, per un importo complessivo di Euro 23.982,92. Ne consegue la condanna di (...) al pagamento di Euro 32.767,68 per differenze retributive e di Euro 23.982,92 per il lavoro straordinario, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza del resistente. PQM 1. condanna (...) al pagamento di Euro 32.767,68 per differenze retributive e di Euro 23.982,92 per il lavoro straordinario, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal dovuto al saldo; 2. condanna (...) al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 per onorari, oltre il 15% per rimborso spese generali, IVA e CPA. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex art. 431 cpc. Così deciso in Como, il 6 novembre 2018. Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COMO SEZIONE SECONDA Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. Nicoletta Sommazzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 5398/2016 R.G. promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORE contro (...) con il patrocinio degli avv. BE.ST. e FR.GI.; CONVENUTO MOTIVI DELLA DECISIONE Parte attrice ha instaurato la presente causa deducendo di aver pagato indebitamente l'importo complessivo di Euro 8.305,88 per premi assicurativi, senza aver mai sottoscritto alcun contratto assicurativo. Ha chiesto, pertanto, la condanna di controparte alla restituzione dell'importo indebitamente incassato. Parte convenuta ha prodotto il contratto recante l'apparente sottoscrizione dell'attore, che quest'ultimo ha formalmente disconosciuto. Ge. S.p.A. ha proposto istanza di verificazione della sottoscrizione. La ctu calligrafica disposta in corso di causa ha confermato l'autenticità delle sottoscrizioni riferibili all'attore. La difesa attorea all'odierna udienza ha precisato le conclusioni rinunciando alla domanda proposta e chiedendo la compensazione delle spese. Parte convenuta si è opposta a tale soluzione e ha chiesto il rigetto della domanda attorea, con condanna alle spese legali e di ctu. Non vi è dubbio che le produzioni documentali di Ge. S.p.A. unitamente alla ctu calligrafica disposta convincono dell'infondatezza della domanda attorea. Il pagamento dei premi assicurativi di cui l'attore chiede la restituzione è stato eseguito non sine causa, ma in forza dei contratti regolarmente sottoscritti dallo stesso e prodotti in causa da parte convenuta. Quanto alla rinuncia alla domanda formulata dalla difesa attorea in sede di precisazione delle conclusioni deve osservarsi quanto segue. Parte attrice ha dichiarato di rinunciare alla domanda di cui all'atto di citazione e non di rinunciare agli atti ex art. 306 c.p.c. Come noto, la rinuncia agli atti deve essere formulata dalla parte o da un suo procuratore speciale e deve essere accettata dalla parte che ha invece interesse alla prosecuzione del giudizio. L'effetto dell'estinzione del giudizio ex art. 306 c.p.c. non preclude l'instaurazione di nuovo giudizio avente ad oggetto la medesima domanda. Le spese di lite restano a carico della parte rinunciante e sono liquidate dal giudice, salvo diverso accordo tra le parti. Non è possibile la compensazione delle spese. Infatti qualora le parti scelgano di far dichiarare l'estinzione del giudizio ex art. 306 c..p.c., per effetto di rinunci agli atti e relativa accettazione, l'unica decisione che il giudice può adottare in punto spese è la liquidazione delle stesse a favore della parte non rinunciante. Non può, invece, emettere un provvedimento di compensazione totale o parziale delle spese, perché tale provvedimento fuoriesce dal paradigma di cui all'art. 306 c.p.c., tanto che se il giudice, errando, adotta una pronuncia di compensazione delle spese, tale statuizione perde natura di ordinanza e acquisisce quella di sentenza, emessa nel contrasto tra le parti. Mentre l'ordinanza di liquidazione ex art. 306 c.p.c. è non impugnabile, l'eventuale pronuncia di compensazione, esorbitando dalla previsione di cui all'art. 306 c.p.c., ha natura di sentenza ed è impugnabile o con un'apposita "actio nullitatis" o con l'appello (Cass. 26210/2009; 21707/06). Nel caso di specie parte attrice non ha rinunciato agli atti, ma alla domanda, rinuncia che comporterebbe l'impossibilità di riproporre la medesima domanda in altro giudizio. La rinuncia ad una domanda, nel caso in cui in un giudizio ne siamo proposte diverse, rientra tra i poteri del difensore di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate e non richiede l'osservanza di forme rigorose (Cass. 21848/2013, 3734/98; 1439/02). Viceversa, allorquando, come nel caso di specie, intervenga una rinuncia all'intera pretesa azionata dall'attore nei confronti del convenuto, tale rinuncia integra un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore un mandato ad hoc, senza che sia sufficiente a tal fine il mandato ad litem, in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell'originaria domanda, che rientra nei poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e conclusioni precedentemente formulate (Cass. 28146/2013; 28848/13). Nel caso di specie il procuratore di parte attrice non risulta fornito del potere di rinunciare all'unica domanda proposta, ma solo di rinunciare agli atti del giudizio. Deve, dunque, pervenirsi al rigetto nel merito della domanda attorea, con condanna dell'attore, in quanto soccombente, al pagamento delle spese legali e di ctu. In ogni caso deve evidenziarsi che la rinuncia all'azione - che diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l'accettazione della controparte ed estingue l'azione - determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l'efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta, in ogni caso, che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunciante (Cass. 18255/04). In sostanza sia nel caso di rinuncia agli atti, che in quello di rinuncia alla domanda, le spese di lite restano a carico della parte rinunciante. Né si ravvisano i presupposti per una compensazione delle spese di lite, dal momento che l'attore non poteva non sapere di aver personalmente sottoscritto il contratto assicurativo, del quale ha disconosciuto la sottoscrizione. La causa è decisa non su questioni tecniche, magari poco intellegibili per la parte, ma su un fatto storico di cui (...) non poteva non avere cognizione, trattandosi della sottoscrizione da parte del medesimo del contratto prodotto dalla convenuta. Le spese di lite e di ctu sono, dunque, poste a carico di parte attrice. Le spese di causa sostenute da parte convenuta sono liquidate direttamente in dispositivo, tenuto conto dei parametri di cui al dm 55/15, del valore della lite, della non complessità della stessa e della rinuncia alla domanda da parte dell'attore, che ha, comunque, ridotto la discussione finale alla sola questione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, così provvede: 1) rigetta la domanda attorea; 2) condanna (...) a pagare a (...), a titolo di rimborso delle spese di lite, la somma di Euro 3.000,00, per compenso professionale, oltre il 15% di rimborso spese forfetario ex dm 55/14 ed oltre tributi e contributi come per legge; 3) pone le spese di ctu a carico di parte attrice. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c. Così deciso in Como il 27 giugno 2018. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2018.

  • IL TRIBUNALE ORDINARIO DI COMO prima sezione civile, composto dai Magistrati: Dr.ssa Anna Introini - Presidente Dr. Marco Mancini - Giudice Dr. Alessandro Petronzi - Giudice rel. est. sciogliendo la riserva assunta a verbale d'udienza del 06.02.2017; rilevato che la società Gu. S.r.l. con sede legale in Colverde (CO), (...), con decreto del 27.04.2016 veniva ammessa alla procedura di concordato preventivo; osservato che la proposta di concordato, in quanto strutturata attraverso il meccanismo dell'affitto di azienda finalizzato alla successiva cessione alla affittuaria, attraverso la individuazione di due soggetti interessati all'acquisto dei rispettivi rami di azienda, veniva dal Tribunale qualificato come concordato puramente liquidatorio, in ossequio ad un orientamento giurisprudenziale e dottrinario, diffusamente richiamato ed argomentato nell'originario decreto di ammissione alla procedura concorsuale; ritenuto che, ad avviso del Collegio, l'originaria impostazione debba essere rivisitata in una prospettiva de jure condendo, che deve tenere in debita considerazione la intenzione del legislatore chiaramente rivelatrice di un netto favor nei confronti della continuità aziendale, anche in forma indiretta, che oggi si desume sintomaticamente dalla recente approvazione alla Camera dei Deputati del c.d. disegno di legge Rordorf (disegno di legge C. 3671-0/5-A) che. all'art. 2 del D.D.L. in maniera chiara e tranciarne, prevede due principi cardine cui l'esercizio della delega dovrà attenersi: al punto g); "dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un'idonea soluzione alternativa"; al punto 1) "riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i princìpi stabiliti dalla presente legge"; considerato che in una prospettiva futura, sebbene allo stato non certa nella tempistica, perché non si conosce l'iter legislativo del DDL, ma comunque sufficientemente delineata ed abbozzata nei cardini fondamentali, l'orientamento giurisprudenziale e dottrinario restrittivo, cui il Collegio aveva inizialmente ritenuto di dare continuità, è destinato ad essere superato per espressa voluntas legis, la quale si è fatta portatrice di un concetto allargato di continuità aziendale, già postulato da una parte della giurisprudenza di merito, come ampiamente argomentato nell'originario decreto di ammissione alla procedura; ritenuto che, proprio nella proprio nella manifesta, e meritoria, preoccupazione del legislatore di sancire in termini di diritto positivo la compatibilità dell'affitto d'azienda con la continuità aziendale, quale emerge dai chiari ed inequivocabili Principi Generali sopra menzionati, cui il Governo dovrà attenersi nell'esercizio della delega, alligna a contrario, la correttezza formale e sostanziale di tutte le argomentazioni che nell'attuale panorama normativo, ove l'art. 186 bis l. f. di certo non brilla per chiarezza, sono idonee a sostenere la teoria della incompatibilità dell'affitto di azienda finalizzato alla cessione con la continuità aziendale, di cui si è fatto ampio cenno nell'originario decreto di ammissione alla procedura concorsuale; preso atto che lo stesso Commissario Giudiziale nella propria relazione evidenzia in maniera chiara che la alternativa fallimentare comporterebbe con grande probabilità un trattamento deteriore per i creditori chirografari rispetto alla procedura di concordato preventivo, che quindi, in una ottica di superamento dello stato di crisi, costituisce la alternativa preferibile; evidenziato peraltro che la diversa qualificazione, come in continuità della proposta di concordato, determina la liberazione di risorse monetaria oggi in prededuzione (quali gli esborsi necessari per il compenso del liquidatore giudiziale) a tutto beneficio del ceto chirografario; richiamato quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che la valutazione di ammissibilità che il Tribunale è chiamato a formulare è la medesima in tutte le fasi della procedura concordataria (ammissibilità, revoca, omologa), non risultando precluso un riesame in ciascuna delle citate fasi (arg. ex pluribus, Cass. Sez. Un. 1521/2013; Cass. 21901/2013); ritenuto conclusivamente che melius re perpensa, è opinione del Tribunale quello di mutare, sulla scorta di tutte le superiori considerazioni, la primigenia valutazione sulla natura giuridica del concordato proposto, ritenendolo in continuità aziendale indiretta, e lasciando ai creditori affinché si esprimano sulla convenienza economica della proposta in seno all'adunanza dei creditori; P.Q.M. Il Tribunale così provvede: - visto l'art. 173 l. f., conferma l'ammissione della società Gu. S.r.l., con sede legale in Colverde (CO), (...) alla procedura di concordato preventivo; - ordina la convocazione dei creditori avanti al G.D. dott. Al.Pe. al quarto piano del Palazzo di Giustizia (stanza 407) per l'udienza del 08.05.2017 alle ore 13.00; - fissa il termine di giorni 10 (dieci) per la comunicazione di questo provvedimento ai creditori stessi; - rimette gli atti al Commissario Giudiziale affinché dia corso agli incomenti di cui all'art. 172 l. f. Si comunichi alle parti, anche istanti il fallimento, ed al Commissario Giudiziale. Così deciso in Como il 6 febbraio 2017. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2017.

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