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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI COSENZA II SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del giudice monocratico, dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...) del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente T R A (...) E C. (...) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti (...) e (...) attore E (...) S.r.l, e per essa il suo procuratore (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) convenuta (...) CONCLUSIONI: (...) Ragioni di fatto e di diritto La società (...) E C. (...) adiva l'intestato Tribunale e, previa sospensione dell'esecutorietà del contratto di mutuo n. (...)/0000, stipulato dal (...) il (...) (rep. (...), racc. (...)), chiedeva: " nel merito in via principale, disattesa e respinta ogni contraria istanza, per le ragioni di cui in narrativa, accogliere la presente domanda e per l'effetto, previa accertamento della mancata erogazione del mutuo, dichiarare l'inesistenza e/o invalidità del credito vantato dalla convenuta; - conseguentemente condannare parte convenuta alla restituzione di tutte le somme medio tempore incassate, in favore della attrice, oltre interessi e rivalutazione monetaria; - condannare, altresì, parte convenuta al risarcimento di tutti i danni cagionati per la illegittima esecuzione intrapresa, per l'illegittima ipoteca iscritta sui beni dei fideiussori terzi datori di ipoteca di gran lunga superiore al credito garantito, per il pignoramento e la violazione del diritto all'immagine della (...) attrice; in via subordinata, nella inverosimile e denegata ipotesi di mancata accoglimento delle precedenti domande, dichiarare l'invalidità e la nullità parziale del contratto di mutuo e conto corrente, particolarmente in relazione alle clausole di pattuizione degli interessi e agli interessi anatocistici ed al tasso ultralegale applicati, e, per l'effetto; a) determinare l'esatto dare avere tra le parti in base ai risultato del ricalcolo che verrà effettuato in sede di CTU tecnico bancaria e sulla base della documentazione in atti; b) condannare la convenuta alla restituzione di tutte le somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre interessi legali in favore dell'istante..." Nello specifico, deduceva che la convenuta aveva notificato atto di pignoramento immobiliare nei confronti dei terzi datori di ipoteca volontaria in ragione dell'asserita esposizione debitoria rinveniente dal contratto di mutuo n. (...)/0000, sottoscritto a mezzo atto pubblico per (...) il (...) (rep. (...), racc. (...)), debito tuttavia non esistente, in ragione della nullità del mutuo fondiario per mancata perfezionamento del contratto derivante dalla mancata consegna o accredito della somma mutuata di Lire 400.000.0000, e contratto sul convincimento che tale importo avrebbe azzerato l'esposizione debitoria emergente dal rapporto di conto corrente, poi transitato a sofferenza il (...), oltre a consentire una provvista di liquidità per la società; che, pertanto, a nulla valeva l'atto di erogazione e quietanza sottoscritto il (...), sottoscritto sulla base dell'errata rappresentazione della realtà che inficiava il valore confessorio del su menzionato atto di quietanza; che, in ragione dei versamenti eseguiti a patire dal 1998, emergeva un credito della società, al netto dei pagamenti da imputarsi al solo rapporto di conto corrente che, assunto il numero a sofferenza n. (...), era transitato nella prativa (...) che, tuttavia, inglobava anche il rapporto a sofferenza n. (...) riferito al mutuo suddetto. Eccepivano, altresì, la nullità degli addebiti a titolo di interessi usurari. Quanto al rapporto di conto corrente, eccepivano la nullità degli interessi ultra legali, l'illegittima capitalizzazione, l'usurarietà degli interessi e spese non pattuite, deducendo, ancora, che i versamenti a titolo di rimborso del mutuo andavano a comporre l'esposizione debitoria maturanda sul conto corrente, determinando l'illegittimo addebito anche degli interessi sull'extrafido calcolato sul captale comprensivo di interessi a titolo di muto e generando con ciò una duplicazione di poste passive a titolo di interessi. Si costituiva in giudizio la (...) S.r.l, che eccepiva la carenza di legittimazione con riguardo alle domande di restituzione, risarcimento e in generale per quelle aventi ad oggetto il rapporto, essendo cessionaria del credito; eccepiva la carenza di legittimazione con riguardo alle censure relative ai contratti di conto corrente, in quanto all'epoca della cessione del credito, avvenuta il (...), il debito ad essi riferito, risultava estinto, in particolare anche quello transitato dapprima nella prativa a sofferenza n. (...), con l'ultimo pagamento eseguito il (...); in ogni caso eccepiva la prescrizione della domanda di restituzione, essendo decorso il decennio dall'ultimo pagamento eseguito il (...). Infine, contestava tutte le doglianze sottese alla domanda di nullità del muto in ragione non solo dell'atto di quietanza, ma del successivo riconoscimento del debito del 8.11.1996 che smentivano in radice la tesi della mancata erogazione delle somme mutuate. Rigettate le richiesta di CTU contabile e prova orale all'udienza del 24.02.2023, le parti concludevano come da note scritte e la causa veniva trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle relative repliche. Per il principio della ragione più liquida, le domande correlate al conto corrente devono essere respinte sulla base della soluzione di una questione assorbente, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare prima tutte le altre secondo l'ordine previsto dall'art. 276 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 8 maggio 2014, n. 9936). Deve ritenersi assorbente, infatti, l'eccepita prescrizione della domanda di restituzione delle somme impiegate per ripianare l'esposizione debitoria rinveniente dai rapporti di conto corrente. Giova precisare che l'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici ovvero altre nullità contrattuali maturate con riguardo ad un conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi ovvero di altra rimessa illegittimamente addebitata, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi o la rimessa non dovuta sono state registrate; ciascun versamento infatti non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens ((...) U, n. 24418 del 02/12/2010). E' stato chiarito anche che l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (cfr. Cass. S.U. n. 15895/2019 e Cass. 19812/2022). Nel caso si specie, considerato che è pacifico che il saldo passivo del conto corrente n. 90 52 426 sia confluito nella pratica n. 4581 unitamente al debito derivante dal mutuo fondiario del 15.10.93, dunque chiuso il (...) dopo essere stato girocontato a sofferenza, anche a ritenere che il saldo della pratica a sofferenza n. (...) sia riconducibile in parte a tale posizione debitoria, perché non estinta con il versamento del 16.03.2001, ma esistente all'epoca della cessione del credito e dunque in titolarità della (...) non risultano provati pagamenti successivi al 17.08.2007. Considerato che il termine di interruzione della prescrizione deve individuarsi all'epoca dell'istanza di mediazione del 17.04.2019, la domanda di restituzione delle somme versate a ripianare il debito maturato anche del contratto di conto corrente deve ritenersi prescritto in 17.08.2017. Non si ritiene valevole ai fini dell'interruzione della prescrizione gli atti di opposizione al pignoramento spiegato da parte dei terzi datori di ipoteca volontaria, in quanto circoscritti a contestare i profili di nullità del solo contratto di mutuo (per vizio genetico e sopravvenuto in relazione alla dedotta usuraietà del tasso), senza alcun riferimento al diverso debito generato dal rapporto di conto corrente oggetto della presente controversia, difettando il requisito della pertinenza rispetto all'azione proposta. Ad analogie conclusioni si perviene anche rispetto al contratto di conto corrente n. (...), in quanto è la stessa parte attrice a dedurre che il detto rapporto risulta "chiuso con saldo 0 come risulta dagli atti" (cfr. all. 6) e nonostante la dedotta incertezza della data di chiusura, va osservato che l'ultimo movimento risale al 31.12.91 che riscontra un debito di Lire1.101.328. Perciò, non solo non viene dedotto nell'atto introduttivo che anche tale rapporto sia stato oggetto di cessione, ma anche ad accedere alle allegazioni contenute nella memora n. 1 ex art 183 c.pc., assume rilievo assorbente la circostanza che non risultano dimostrati pagamenti intervenuti nel decennio antecedente l'istanza di mediazione suddetta. Con riguardo, invece, alle censure sollevate dagli attori rispetto al contratto di mutuo stipulato con la (...) in data (...) per l'importo di Lire 400.000.000, parte attrice eccepisce il mancato perfezionamento del contratto, in difetto di consegna della somma mutuata, avuto riguardo alla documentazione prodotta, specie gli estratti conto, da cui non si riscontra alcun accredito della detta somma. Sul punto, va altresì, osservato che viene dedotto anche l'errore e la violenza in cui la parte sarebbe incorsa in sede di atto di erogazione e quietanza di pagamento del 13.12.1993, vizi che privano di efficacia confessoria il detto documento. La quietanza di pagamento e, quindi, anche quella relativa all'erogazione della somma mutuata, in quanto dichiarazione di fatti sfavorevoli alla parte che la rende diretta alla controparte, ha efficacia confessoria ai sensi del combinato disposto degli artt. 2733 comma 2 e 2735 c.c. e, quindi fa piena prova contro colui che l'ha resa, salva la eventuale revoca per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.). In adesione all'orientamento espresso in proposito dalla S.C. (Cass., n. 5459 del 1998; Cass., n. 9368 del 2000; Cass., n. 15618 del 2004), l'istituto disciplinato dall'art. 2732 c.c. consiste nella invalidazione della confessione, la quale postula la dimostrazione, da parte del confitente, della inveridicità della dichiarazione e che la stessa fu determinata da errore o da violenza. Sul punto, viene dedotto sia l'errore sul fatto che la somma mutuata avrebbe ridotto l'esposizione debitoria nonché la violenza, quale prospettazione di un male ingiusto e notevole che sarebbe derivato dalla revoca di tutti gli affidamenti con ricadute in punto di liquidità. I capitoli di prova formulati non si ritengono utili a comprovare gli assunti di parte attrice, in quanto la circostanza n. 1) (che per comodità di lettura si riporta : (...) è che a fine dell'anno 1993 il direttore della (...) di (...) di (...) e di (...) di (...) della (...) ha chiesto al sig. (...) di rientrare del debito presente sul conto corrente della (...) e C. S.N.C., aperto presso la stessa (...) di (...) della (...) mediante l'erogazione di un mutuo fondiario, altrimenti avrebbe revocato il fido e chiuso i rapporti bancari anche dei familiari del sig. (...)) appare rivolta a dimostrare un vizio del consenso del mutuo e non ad invalidare la confessione. Tra l'altro, la conferma del detto capitolo non fornisce la prova della violenza ex art. 2732 c.c., in quanto la circostanza suddetta non dimostra la minaccia di un male ingiusto, non potendosi ritenere tale la prospettazione dei rimedi negoziali a fronte di una obbiettiva situazione debitoria. Quanto ai capp. 2 - 3 la circostanza è pacifica (quella relativa alla sottoscrizione del mutuo) e si appalesano inammissibili nella parte in cui chiede al teste un giudizio (cap. 2: "temendo la revoca dei fidi") ovvero irrilevante nella parte in cui si chiede di confermare il motivo della stipula (cap. 3. "per evitare che il fido concesso a ..(omissis)... venisse revocato"). Il cap. 4 (cfr. :"(...) che il (...) all'atto della sottoscrizione dell'atto di erogazione e quietanza il sottoscrittore, sulla scorta delle dichiarazioni del direttore, era erroneamente convinto che l'atto avrebbe avuto solo valenza formale essendo finalizzato a compensare il debito con la banca e che non sarebbe seguita una affettiva erogazione, quanto meno parzialmente") è volto a dimostrare un intimo convincimento e non una circostanza deponente nel senso dell'errore; peraltro, la conferma del detto capitolo non fornisce la prova dell'invocato vizio ex art. 2732 c.c., in quanto è indubbio che all'epoca della sottoscrizione del mutuo vi fosse una esposizione debitoria. Quanto al cap. 5) (cfr. "(...) che la somma di (...) 400.000.000 per cui (...) e C. S.N.C. in data (...) ha stipulato mutuo fondiario risulta non accreditata sul conto corrente di questi e mai consegnata dallo sportello dell'(...) per contanti o assegni)", trattasi di una circostanza da provarsi per via documentale ("risulta non accreditata sul conto corrente") che, tuttavia, non risulta, in quanto il primo estratto conto in atti successivo alla detta erogazione e riferito al conto 90 52 426 risale al 31.03.94, sicché non può escludersi che il saldo al 31.12.93 risenta della detta erogazione, in difetto, appunto, di prova contraria ricavabile dall'estratto conto del periodo di interesse. Peraltro, a smentire oltremodo la circostanza della mancata consegna della somma mutuata ("per contanti o assegni"), deve altresì rilevarsi che in data (...) parte attrice riconosceva il debito emergente anche dal contratto di mutuo e i capitoli di prova sopra richiamati non appaiono idonei a superare l'inversione della prova dell'avvenuto consegna del denaro. Il riconoscimento del debito suddetto conferma e rafforza la natura confessoria dell'atto di erogazione e quietanza del sottoscrittore, tanto più che il primo è intervenuto a distanza di quasi tre anni dalla stipula del contratto di mutuo cui esso specificamente si riferisce. Infine, i capitoli 6, 7 e 8 attengono a circostanze da provarsi documentalmente; il capitolo 9 deve ritenersi valutativo; i capitoli 10 e 11 riguardano circostanze riferite ad altri soggetti. Ritenuto, pertanto, di disattendere l'eccepita nullità del mutuo sotto il profilo del mancato perfezionamento del contratto, quanto alla diversa questione del vizio relativo all'usurarietà del tasso deve osservarsi che il contratto di mutuo e l'atto di erogazione e quietanza sono stati sottoscritti rispettivamente in data (...) e 13.12.1993, ovvero in epoca precedente all'entrata in vigore della legge n. 108/1996, non rilevando sul punto la pendenza del rapporto dopo l'entrata in vigore della detta normativa, difatti, ai fini dell'applicazione dell'articolo 644 c.p. e dell'articolo 1815, secondo comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento, per come chiarito dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 394 del 2000 (conv., con modif., nella l. n. 24 del 2001). Parte attrice deduce l'usurarietà sopravvenuta, in ragione della variazione in aumento del tasso debitorio attraverso una illustrazione di calcoli che raffrontano il capitale residuo al netto dei versamenti intervenuti negli anni (da pag. 7 a pag. 23 dell'atto di citazione). Sul punto, appare assorbente il rilievo che qualora il tasso di interessi concordato tra le parti superi, in corso di rapporto, la soglia dell'usura come determinata ai sensi della l. 108/1996, non si verifica nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso di interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della suddetta legge o della clausola stipulata successivamente per tasso non eccedente tale soglia, quale risultante al momento della stipula. Pertanto, alla luce degli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità (S.U. del 19 ottobre 2017, n. 24675), alcuna rilevanza assume l'eventuale superamento dei tassi soglia in fase dinamica del rapporto. Assorbito ogni altro profilo. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M Il Tribunale, definitivamente pronunciando, assorbita e disattesa ogni diversa eccezione, così provvede: 1) Rigetta le domande; 2) condanna parte attrice alla rifusione delle spese di giudizio, in favore della convenuta, che liquida in Euro 5.431,00 per compensi ex DM. 55/2014, oltre rimborso forfettario, spese generali, IVA e (...)

  • TRIBUNALE DI COSENZA SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro nella persona del dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...)/2024 RGAL TRA (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) ricorrente E INAIL, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. (...) resistente Oggetto prestazioni per malattia professionale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente notificato il (...) conveniva in giudizio l'(...) deducendo di svolgere attività lavorativa di autista di mezzi pesanti ed aggiungendo di aver contratto in ragione dell'espletamento di tali mansioni le seguenti patologie: "ernie discali lombari multiple con impegno funzionale marcato e radicolopatia arti inferiori nei territori corrispondenti". Rilevava, quindi, che le patologie contratte determinano un danno biologico per una percentuale indennizzabile nella misura del 12%, esponendo che, proposta domanda di indennizzo all'(...) l'istituto non aveva ritenuto sussistente il nesso eziologico tra l'attività lavorativa e l'insorgenza delle patologie denunciate ("il rischio lavorativo cui è stato esposto non è idoneo a provocare la malattia professionale denunciata"). Il ricorrente ha chiesto, pertanto, una condanna dell'(...) alle prestazioni previste per una menomazione permanente dell'integrità psico - fisica nella suddetta misura o in altra eventualmente risultante da CTU medico - legale. Si è costituito l'(...) chiedendo il rigetto della domanda, riportandosi alle determinazioni assunte in sede amministrativa, rilevando, in ogni caso, l'assenza di ogni prova dell'attività lavorativa dedotta in ricorso e della esposizione a rischio morbigeno. E' stata fissata per la decisione l'udienza del 15.04.2024, sostituita dal deposito di note scritte con decreto comunicato alle parti. La parte ricorrente depositava le note scritte in sostituzione dell'udienza in data del 13.04.2024. La domanda non può trovare accoglimento. Secondo il costante orientamento della Suprema Corte "In tema di riconoscimento di indennità e rendita per infortunio sul lavoro, il principio della piena autonomia tra l'accertamento amministrativo dei presupposti della prestazione e l'azione giudiziaria diretta al riconoscimento del diritto alla stessa, azione rispetto alla quale il predetto procedimento si pone come mera condizione di procedibilità, comporta l'obbligo del giudice di pronunciarsi sulla eccezione dell'(...) circa la mancata dimostrazione della sussistenza del fatto costitutivo della pretesa, a nulla rilevando la circostanza che tale contestazione non sia stata proposta in sede amministrativa" ((...) L. n. 9475/2003). Si è, altresì, affermato: "In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il provvedimento affermativo del diritto all'indennità giornaliera per inabilità temporanea (nel caso in esame neanche riconosciuta) vale esclusivamente ad attribuire il detto beneficio, ma non esprime la volontà dell'istituto assicuratore di vincolarsi al riconoscimento di tutte le possibili prestazioni ricollegabili all'avveramento dell'infortunio, in relazione alle quali la fattispecie di volta in volta considerata esige la ricorrenza di specifici requisiti e l'espletamento di un'apposita procedura amministrativa, strumentale all'accertamento dell'esistenza dell'obbligazione previdenziale e all'adempimento di essa. (Nella specie la sentenza di merito, confermata dalla S.C., che al provvedimento di liquidazione della rendita per inabilità temporanea potesse attribuirsi il valore di ammissione dell'indennizzabilità dell'infortunio valida una volta per sempre e per tutte le prestazioni erogabili e, in particolare, per la rendita per inabilità permanente)" (cfr. Sez. L. n. 6256/99; nello stesso senso (...) L. n. 2849/2017 e (...) L. n. 9040/01, parte motiva). Ancora, con specifico riferimento alle malattie professionali, si è affermato che "Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalità relativo all'origine professionale della malattia non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione; e, se questa può essere data anche in termini di probabilità sulla base delle particolarità della fattispecie essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), è necessario pur sempre che si tratti di "probabilità qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale" (cfr. Sez. L. n. 12909/2000 e n. 8798/2001). Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte di Appello di Catanzaro (cfr. sentenza n. 719 del 27.05.2021, pubblicata il (...), proc. n. 843/2019 R.G., che richiamando, anche, la sentenza della Suprema Corte n. 4782/2019, chiarisce che il principio dell'autonomia tra fase amministrativa e fase giudiziale deve affermarsi "anche per l'ipotesi in cui l'assicurato agisce in giudizio per il conseguimento di un risultato, anche meramente quantitativo, ulteriore rispetto a quello ottenuto in sede amministrativa"; più di recente Corte di Appello di Catanzaro, sentenza n. 1389/2022, pubblicata il (...)). Ebbene, applicando i citati orientamenti al caso di specie, non può che rilevarsi come la parte ricorrente, evidentemente ritenendolo ultroneo, non abbia articolato alcun mezzo di prova (in particolare omettendo di instare per una prova dichiarativa) volto a riscontrare che le dedotte patologie siano da ricondurre all'esercizio della dedotta attività di lavoro (di cui non vengono indicate le specifiche modalità), limitandosi a chiedere una consulenza tecnica d'ufficio, che, com'è ovvio, non può dimostrare altro se non la sussistenza di lesioni, ma non la loro riconducibilità ad un'attività di lavoro rimasta alla stregua di una mera allegazione. In tale situazione, pertanto, non può che concludersi nel senso che la parte attrice non ha assolto l'onere della prova sulla stessa gravante, anche in considerazione del fatto che in merito all'attività lavorativa e all'esposizione al relativo rischio nulla è dato desumere dalla documentazione prodotta (certificazioni mediche - in particolare certificato del 25.05.2022 - da cui appare evidente che l'eziopatogenesi è suggerita dalla stessa parte ricorrente). In difetto di una dichiarazione resa personalmente dalla parte, relativa al possesso di un reddito imponibile non superiore a due volte l'importo previsto dall'art. 76 DPR 115/2002, non può farsi applicazione dell'art. 152 disp. att. c.p.c. Le spese di lite, pertanto, seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in euro 2.000,00, oltre accessori dovuti.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di COSENZA Prima Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice monocratico dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. R.g. 2085/2020, trattenuta in decisione in esito al deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. in data (...), promossa da: (...) con sede in (...) alla Via S. (...) ((...)), in persona del suo Commissario Straordinario e legale rappresentante in carica Dott.ssa (...) rappresentata e difesa, dall'Avv. (...) contro (...) (...) con sede (...)(...) ((...)), in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. (...) in p.l.r.p.t. ((...))), con il patrocinio dell'avv. (...) Avvocatura Regionale Terza chiamata (...) (...) a decreto ingiuntivo prestazioni convenzionate di assistenza sociosanitaria CONCLUSIONI: come in atti (...) ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE L'(...) di (...) ha proposto opposizione avverso il D.I. n. 503/2020 dell'intestato Tribunale con il quale le è stato ingiunto di pagare in favore del ricorrente (...) la somma di euro 116.323,00, oltre interessi, a titolo di mancato saldo di fatture relative alla fornitura, nel periodo 25.07.2008 - 31.12.2011, di prestazioni di assistenza sociosanitaria in favore di soggetti affetti da (...) o patologie correlate, giusta convenzione approvata con decreto regionale n. 4939/2008; l'opponente ha in primo luogo eccepito l'insussistenza di valido rapporto contrattuale quanto alle prestazioni successive al 26.6.2010, data di scadenza della convenzione inter partes (e di cui alle fatture nn.47/2010; 49/2010; 69/2010; 85/2010; 16/2011; 33/2011; 52/2011; 70/2011, per euro 50.107,00 totali); ha poi dedotto che l'assistenza domiciliare ai malati di (...) regolata dalla l. n. 135/90, è finanziata con risorse della (...) e che l'ente, pur avendo riconosciuto l'esistenza del relativo obbligo a suo carico con il citato decreto di approvazione ed atti successivi e nonostante la regolare rendicontazione delle prestazioni, non ha erogato le necessarie risorse, impedendo la liquidazione degli importi dovuti fino al 26.06.2010; ha quindi chiesto "accertare e dichiarare l'assenza di valido ed efficace supporto contrattuale alla pretesa creditoria azionata dall'opposta per il corrispettivo riferito alle prestazioni rese successivamente al 26.06.2010, e dichiarare quindi la inammissibilità del procedimento monitorio per tale pretesa; autorizzare l'opponente (...) di (...) a chiamare in causa la (...) in persona del l.r.p.t. .... al fine di dichiarare l'obbligo della medesima (...) a farsi carico dell'onere finanziario corrispondente ai corrispettivi maturati in favore dell'opposta per le prestazioni rese in favore dell'opponente fino al 26.06.2010 e riferite nel ricorso per ingiunzione, e condannare pertanto il medesimo ente regionale a trasferire all'opponente (...) le necessarie corrispondenti somme; conseguentemente, revocare l'opposta ingiunzione di pagamento; con ogni altra conseguente statuizione in ordine alle spese e competenze di lite". Il ricorrente ha resistito all'opposizione contestandone la fondatezza, in subordine assumendo la sussistenza di credito ex art. 2041 c.c.; ha quindi chiesto, previa concessione della provvisoria esecutività del decreto, "rigettare l'opposizione in quanto infondata in fatto e diritto, con conferma del decreto ingiuntivo opposto n. 503/2020. Dichiarando, pertanto, che gli importi di cui al decreto ingiuntivo emesso sono dovuti in virtù di rapporto contrattuale regolarmente sottoscritto tra le parti. in via subordinata, qualora si dovesse ritenere la convenzione tra le parti valevole sino al 26.06.2010, dichiarare che la somma di euro 66.216,00 è dovuta in virtù del rapporto contrattuale pendente tra le parti e, per l'effetto, condannare l'A.O. di (...) al suo pagamento in favore della opposta, oltre interessi moratori dalla scadenza delle singole fatture sino a soddisfo. Quanto alla somma di euro 50.107,00, relativa alle prestazioni erogate dal 27.06.2010, dichiarare che essa è dovuta a titolo di indennizzo per indebito arricchimento e, per l'effetto, condannare l'AO di (...) al suo pagamento, o al pagamento della maggiore o minore somma che verrà ritenuta, in favore dell'opposta, a titolo di indennizzo, oltre interessi moratori sino a soddisfo". Concessa concessione la provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo opposto, per la somma di euro 66.216,00, è stata autorizzata l'evocazione in causa della (...) Parte opponente ha quindi convenuto in giudizio la (...) chiedendo accertarsi e dichiararsi il dedotto obbligo di finanziamento. Costituitosi, l'ente ha eccepito il difetto di giurisdizione del Tribunale adito nella vertenza in favore del G.A. ex art. 133, comma 1, lett. a) n. 2), d.lg. 2 luglio 2010 n. 104, contestando comunque la fondatezza di ogni avversa pretesa; ha quindi chiesto "dichiarare inammissibile l'avversa chiamata in causa, accertando e dichiarando il difetto di giurisdizione dell'adito Giudice, per essere competente il Giudice Amministrativo; in via gradata, accertata, in ogni caso, la cessazione della convenzione alla data del 26.6.2010, pronunciare l'inammissibilità nonché l'infondatezza di ogni domanda ... dichiarando, comunque, ogni domanda proposta nei confronti della (...) inammissibile, improponibile, ovvero rigettarla in quanto infondata in fatto e diritto, e, comunque, dichiarare che non sussiste alcun diritto di credito relativo alle somme vantate nell'atto di citazione". La causa è stata trattenuta in decisione sulla documentazione offerta in comunicazione. Il credito dell'opposta risulta parzialmente fondato. (...) non ha infatti negato la sussistenza della propria obbligazione di pagamento quanto alle fatture relative alle prestazioni erogate prima del 26.6.2010, data di scadenza prevista del contratto sottoscritto con l'ente assistenziale, per l'ammontare complessivo di euro 66.216,00, circoscrivendo espressamente le proprie contestazioni alle fatture emesse per prestazioni rese successivamente a tale data. Ne discende che il credito per le prestazioni effettuate nella vigenza del contratto è da ritenersi incontroverso. Sul punto non è dato accedere alla sollecitazione, di cui nella nota conclusiva depositata dall'A.O. ex art. 190 c.p.c., al rilievo ufficioso del difetto di legittimazione passiva dell'(...) in quanto spettante alla (...) considerato che a detto rilievo, del tutto contrastante con la difesa svolta nell'atto introduttivo, come detto implicante ricognizione parziale del debito, osta comunque l'univoco tenore della convenzione sottoscritta dalle parti, che agli artt. 8 e 9 pone espressamente a carico dell'A.O. l'obbligo di liquidazione delle rette per le prestazioni assistenziali acquistate, mentre le pronunce giurisprudenziali richiamate nella comparsa conclusionale afferiscono a fattispecie diverse dalla presente. La domanda di pagamento non risulta invece fondata quanto alle ulteriori prestazioni fatturate. Per come esposto, costituisce dato incontroverso e risulta documentato che la convenzione sottoscritta dall'ente opposto e dall'(...) opponente aveva durata triennale e veniva a scadenza in data (...) (art. 11 del contratto, all.n. 2 fasc. parte opposta). La cessazione a tale data e l'inefficacia del contratto per il periodo successivo alla sua convenuta scadenza non sono, di per sé, controverse. (...) opposto, invero, sostiene la legittimità delle prestazioni eseguite e la dovutezza della loro remunerazione sul diverso assunto che le prestazioni in questione sono state erogate nei confronti di due soli pazienti ((...) e (...) su invio effettuato dall'A.O. nella vigenza della convenzione (rispettivamente in data (...) e 22.06.2010), mai revocato, e che la dimissione degli assistiti non poteva essere unilateramente disposta dalla struttura, posto che ai sensi dell'art. 6 del contratto essa doveva "essere concordata preventivamente con il (...) dell'U.O.C. di malattie infettive della stessa (...) o di altro soggetto dallo stesso autorizzato". (...) non è però condivisibile. La perdurante esecuzione della prestazione socio-sanitaria e la disposizione concordata delle dimissioni presupponevano infatti la vigenza del contratto di assistenza, (...) venuta meno alla scadenza del termine di durata; al suo verificarsi le prestazioni poste a carico delle parti contraenti non erano più esigibili e la regolamentazione della cessazione dell'assistenza non era più applicabile. Ciò posto, alla scadenza del contratto ed in assenza di deduzione e riscontro della proroga del rapporto, non può ritenersi la persistenza dei diritti ed obblighi rispettivi aventi ad oggetto l'attività assistenziale e la sua remunerazione. La prosecuzione dell'attività assistenziale è dunque avvenuta a dispetto della prevista cessazione degli effetti del contratto di durata ed in assenza (in quanto mai allegata e provata) di una manifestazione di volontà delle parti specificamente diretta alla prosecuzione del rapporto (al riguardo osservandosi peraltro che il rinnovo del contratto era espressamente subordinato alla autorizzazione della (...). Tanto osservato e considerato che il contratto non prevede e disciplina l'ultrattività delle richieste di prestazioni intervenute nella sua vigenza, la pretesa creditoria basata sul contratto va rigettata. Anche la domanda subordinata proposta dall'opposta ai sensi dell'art. 2041 c.c. (benché ammissibile alla stregua dell'attuale insegnamento di legittimità sulla proponibilità di domande nuove da parte dell' attore sino allo spirare del termine preclusivo imposto dall'art. 183 c.p.c., laddove riferite alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attinenti allo stesso sostanziale bene della vita e connesse per incompatibilità a quella originariamente proposta) va disattesa per le assorbenti ragioni di seguito esposte. Osserva infatti il Tribunale che l'indennità prevista dalla norma invocata va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall'esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (cfr. Cass., Sez. Un., 23385/08). Pertanto, la liquidazione dell'indennità ex art. 2041 c.c. non può mai avvenire in misura corrispondente al prezzo fatturato dei (beni ceduti o dei) servizi resi, comprensivo del guadagno, atteso che non si tratta di determinare un corrispettivo delle prestazioni effettuate in forza del contratto invalido, ma di quantificare una somma, in base alle prove offerte dal richiedente, se ed in quanto vi sia stato vantaggio economico di una parte cui abbia fatto riscontro l'impoverimento dell'altra (cfr. Cass. 2936/17, 20648/11). Nella specie, l'opposta ha commisurato l'indennizzo richiesto al corrispettivo fatturato e non ha fornito alcun elemento, sul piano assertivo e probatorio, che consenta di determinare l'effettiva entità dell'impoverimento da essa subito. Da tutto quanto osservato discende la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'(...) opposta al pagamento della minor somma accertata come dovuta di euro 66.216,00. Su tale minor somma spettano gli interessi moratori ex art. 4 D. Lgs n. 231/02 e s.m.i., per come richiesti e concessi in decreto, in assenza di specifiche ragioni di opposizione sul punto ed in conformità al pronunciamento di legittimità sull'applicabilità di detti accessori (...) ai rapporti de quibus (da ultimo, v. Cass.n. (...)/2023), facendo riferimento, ai fini della decorrenza ex art. 4 del decreto, delle date di ricezione delle fatture riscontrate dalla nota a firma dell'A.O. indirizzata alla (...) e p.c. all'opposta del 7.3.2019 (cfr. doc. all.n. 12 fasc. monitorio). Venendo alla chiamata di terzo, va esaminata ed accolta la sola richiesta di accertamento dell'obbligo dell'ente territoriale di fornire all'(...) le risorse economiche necessarie al pagamento delle somme riconosciute come dovute alla struttura assistenziale in esecuzione della convenzione e ricomprese nella sua efficacia (dunque fino al 26.6.2010), atteso che nell'atto di citazione notificato al terzo chiamato non figura la domanda di condanna della (...) al pagamento della somma finanziata preannunciata nell'atto di opposizione. Sul punto va preliminarmente disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla chiamata in relazione a detta domanda sull'assunto che essa ricada nell'ambito di applicazione dell'art. 133, comma 1, lett. a) n. 2), d.lg. 2 luglio 2010 n. 104, in quanto "controversia relativa ad accordi tra P.A.", atteso che secondo la prospettazione della chiamante l'obbligazione di pagamento della (...) non trova fondamento in una qualche convenzione tra essi enti (che peraltro neppure la (...) identifica) ma nelle disposizioni della (...) n. 135/90 (art.6), cui si sarebbero conformati i successivi atti amministrativi dell'ente territoriale. Quanto alla contestata mancanza di autorizzazione ed accreditamento in capo alla (...) ex L.R. n. 24/2008, si osserva, in via assorbente, che trattasi di eccezione non pertinente alla fattispecie, considerato: che la convenzione oggetto di causa è stata pacificamente stipulata dalla (...) ai sensi della citata legge n. 135/1990, che espressamente consente l'esecuzione di prestazioni di assistenza paradomiciliare dei soggetti affetti da (...) o patologie correlate "presso idonee residenze collettive o case alloggio" per il tramite di "istituzioni di volontariato" od "organizzazioni assistenziali diverse all'uopo convenzionate" ; che nella (...) del (...) dell'(...) di (...) n. 1199 dell'11.12.2007 (con cui veniva approvata la convenzione, all.n. 2 fasc. opposta) veniva richiamata la (...) di (...) n. 7509/1996 con la quale l'(...) era stato autorizzato a mettere a disposizione n. 18 posti letto nella propria struttura socio sanitaria adibita a (...) per l'assistenza dei soggetti affetti da (...) e patologie correlate. Tanto premesso, si osserva che ai sensi dell'art. 1 comma VI della legge regionale 135/90 "al finanziamento degli interventi di cui ...al comma 2 si provvede con quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente, che vengono vincolate allo scopo" e che con il decreto n. 4939/2008 la (...) nell'approvare la delibera dell'A.O. n. 1199/2007 di autorizzazione alla stipula della convenzione oggetto di causa, ha espressamente evidenziato che detta approvazione è intervenuta "al fine di assicurare la continuità assistenziale extraospedaliera ai malati di (...) e di garantire all'(...) i mezzi finanziari finalizzati dalla legge 135/90 per la continuità delle prestazioni socio-sanitarie a favore dei malati di (...) e patologie correlate". Nel merito la (...) ha eccepito soltanto la mancata comunicazione delle fatture senza con ciò negare l'esecuzione delle prestazioni assistenziali dedotte in ricorso, che pertanto va ritenuta (anche tra dette parti) pacifica, e senza dedurre e provare che l'insorgenza dell'obbligazione di finanziamento fosse subordinata alla trasmissione dei documenti contabili. Peraltro l'A.O. ha prodotto le comunicazioni delle fatture indirizzate alla (...) e tale produzione non ha formato oggetto di specifica contestazione. La domanda di accertamento va quindi accolta. Le spese di giudizio tra le parti principali, liquidate come da dispositivo secondo le vigenti tariffe professionali, seguono l'accertata soccombenza, con la richiesta distrazione in favore del procuratore dell'opposta, avv. F. (...) In ragione dell'accoglimento della domanda proposta dall'opponente verso il terzo chiamato quest'ultimo deve essere condannato al pagamento delle relative spese, anch'esse liquidate come da dispositivo secondo le vigenti tariffe professionali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: revocato il decreto ingiuntivo opposto e rigettata la domanda proposta dall'opposta ex art. 2041 c.c., condanna l'(...) di (...) al pagamento in favore dello (...) (...) (...) della minor somma di euro 66.216,00, oltre interessi come in motivazione; dichiara l'obbligo della (...) di farsi carico dell'onere finanziario corrispondente ai corrispettivi maturati in favore dell'opposta per le prestazioni rese in favore dell'opponente fino al 26.06.2010; condanna l'opponente l'(...) di (...) al pagamento in favore dell'opposto dello (...) (...) delle spese di lite, che si liquidano in Euro 8.500,00 per onorari, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e c.p.a., che distrae in favore dell'avv. (...) condanna la terza chiamata (...) al pagamento in favore della chiamante (...) (...) delle spese di lite relative alla chiamata, che si liquidano in Euro 7.100,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e c.p.a. (...) 23 gennaio 2024

  • Sentenza n. 914/2023 pubbl. il 23/05/2023 RG n. 3387/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il tribunale di Cosenza, seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Ermanna Grossi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3387/2016 R.G.A.C. vertente TRA Omissis (c.f.: Omissis), rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce all'atto di citazione, dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliato in Cosenza, alla via (...), presso lo studio legale (...); - attore - E (...), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Cosenza, alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende in virtù di procura allegata alla comparsa di risposta. - convenuta - Oggetto: risarcimento danni da responsabilità professionale medica. Conclusioni delle parti: Per l'attore (conclusioni rassegnate nell'atto di citazione): "1) Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, accertare che il danno subito dall'attore è riconducibile alla responsabilità contrattuale (art. 1228 c.c.) e extracontrattuale (art. 2043 c.c.) (...) e per l'effetto condannare quest'ultima al risarcimento del danno subito dall'attore nella misura di Euro 130.000,04, come risultante nella premessa, ovvero nella somma diversa minore o maggiore ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di legge dal dì dell'evento al soddisfo; 2) Voglia, inoltre, il Tribunale adito condannare l'(...) al pagamento delle spese e competenze onorari di giudizio. 3) Voglia, inoltre, emettere ogni altro provvedimento consequenziale e di legge e fare salvo e riservato ogni altro diritto del concludente". Per la convenuta (conclusioni rassegnate nella comparsa di risposta): In via preliminare accertare e dichiarare la nullità dell'atto introduttivo stante l'assoluta genericità dello stesso, con tutte le conseguenti declaratorie di cui all'art. 164 c.p.c.; nel merito rigettare integralmente la formulata domanda, per come proposta dal sig. Omissis in quanto destituita di ogni benché minimo fondamento in fatto ed in diritto, per tutte le ragioni evidenziate nel presente atto e per ogni altro fatto che emergerà nel corso del presente giudizio; condannare l'attore alla rifusione, in favore (...) delle spese e delle competenze di giudizio". Fatto e diritto 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, Omissis ha premesso che dagli esiti di una risonanza magnetica da lui eseguita in data 10/9/2013 presso il laboratorio medico Omissis di Cosenza, eseguita al fine di indagare in ordine alle cause del dolore percepito al rachide lombare con irradiazione al gluteo destro, ha appreso di avere un'ernia del disco L5-S1 a destra con protrusione L3-L4. Per tali ragioni in data 18/10/2013 si ricoverava presso (...) e cure palliative del P.O. (...), con diagnosi di entrata "lombosciatalgia". In data 21/10/2013 veniva sottoposto ad intervento di bagno anestetico Joint sacro-iliaco e L5 bilateralmente e dimesso nella giornata successiva con diagnosi di uscita "affetto da spondilosi lombosacrale ed ernie discoli multipli". Sennonché, già in data 4/11/2013 il Omissis accusava sintomi di malessere lamentando difficoltà nei movimenti che si sono ben presto aggravati tanto che rimaneva bloccato a letto con marcato deficit nella deambulazione e senza riuscire a stare seduto o in piedi a causa del dolore insopportabile. I sanitari del P.O. (...), che il Omissis contattava telefonicamente su consiglio del medico curante, gli suggerivano di aumentare le dosi della terapia prescritta al momento delle dimissioni. Ma a causa del netto peggioramento delle condizioni, che gli hanno perfino impedito di presentarsi alla visita di controllo prescritta al momento delle dimissioni, in data 7/11/2013 il Omissis veniva trasportato in ambulanza al Pronto Soccorso del P.O. (...) e successivamente trasferito nel reparto di Neuroradiologia, dal quale veniva dimesso dopo la visita neurologica. In data 10/11/2013 si recava nuovamente in Pronto Soccorso e veniva sottoposto a risonanza magnetica lombo-sacrale con e senza mezzo di contrasto. In data 13/11/2013 il Omissis veniva nuovamente ricoverato nell'U.O.C. Terapia del Dolore del P.O. Mariano Santo con diagnosi di entrata "lombosciatalgia acuta" e dopo 14 giorni di ricovero veniva dimesso con la diagnosi di uscita "Radicolite da degenerazione del disco intervertebrale". A distanza di appena due giorni dalle dimissioni e precisamente in data 29/11/2013, il Omissis era costretto a recarsi nuovamente in Pronto Soccorso dove i sanitari chiedevano una consulenza ai colleghi del reparto di Malattie Infettive, che pur proponendo il ricovero, anche in ragione dell'innalzamento della temperatura del paziente nonostante la terapia antibiotica, di fatto non lo ricoveravano per mancanza di posti letto. Nella successiva giornata del 30/11/2013 il Omissis accedeva ancora una volta in Pronto Soccorso con diagnosi di "pannicolite dorso lombo sacrale" e veniva ricoverato nel reparto di (...) in attesa della liberazione di posti nel reparto di Malattie Infettive, dove veniva effettivamente ricoverato in data 2/12/2013 con diagnosi di "pannicolite D12S1 - spondilodiscite L5-S1 Calcolosi delle colecisti - infezione batterica non specificata" e dal quale veniva dimesso dopo 19 giorni. L'attore ha riferito di lamentare tuttora dolore a causa del persistente stato irritativo della radice L5-S1 che, provocando la rigidità del tratto lombare, non gli consente più di svolgere alcun lavoro manuale; conseguenze queste riconducibili, dal suo punto di vista, alla condotta omissiva dei sanitari del P.O. (...). Nella prospettiva dell'attore, infatti, è riscontrabile un profilo di colpa in capo ai suddetti sanitari che avrebbero provocato, mediante l'erronea esecuzione dell'intervento di bagno antalgico, la complicazione infettiva del disco intervertebrale. Per tali ragioni ha convenuto in giudizio (...), alla quale fa pacificamente capo il P.O. (...), per sentirla condannare al pagamento in proprio favore della somma di Euro 130.300,04 (di cui Euro 26.510,00 a titolo di invalidità temporanea assoluta per 220 giorni dal 18/10/2013 al 29/5/2014, Euro 7.230,00 per invalidità temporanea relativa per 120 giorni dal 30/5/2014 al 30/9/2014, Euro 63.870,00 a titolo di danno biologico permanente nella misura del 20%, Euro 24.257,03 a titolo di danno morale, Euro 6.136,99 a titolo di danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica ed Euro 2.300,00 a titolo di interessi e rivalutazione), ridotta nelle conclusioni, probabilmente per mero refuso, ad Euro 130.000,04. Si è costituita in giudizio (...) per eccepire in via preliminare la nullità dell'atto di citazione perché estremamente generico. Nel merito ha negato ogni addebito, oltre che la sussistenza del nesso di causalità fra l'intervento subito dal Omissis e l'infezione successivamente diagnosticatagli, da ricondurre - nella prospettiva della convenuta - alle cure farmacologiche notoriamente invasive a cui il Omissis si era sottoposto ancora prima del ricovero nel P.O. (...) a causa della grave lombosciatalgia da cui era affetto. La convenuta ha ulteriormente rimarcato il rigoroso rispetto da parte dei sanitari delle procedure, tanto che uno studio (...) risalente al 2009 ha riportato (...) tra le prime cinque strutture italiane per buone pratiche, buona organizzazione e garanzia di tutte le condizioni di sicurezza per il paziente. Intervenuto lo scambio delle memorie di cui all'art. 183, sesto comma, c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'escussione dei testimoni indicati dall'attrice e l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio medico-legale, che a seguito della revoca del c.t.u. inizialmente nominato per non avere depositato la relazione nei tempi previsti e nonostante i solleciti, è stata eseguita dal collegio composto dal dott. (...) (medico legale) e dal dott. (...) (specialista in Ortopedia e Traumatologia), che ha riconosciuto un rapporto di causalità fra l'operato dei sanitari e i postumi residuati all'attore. All'udienza del 4/11/2022, svoltasi mediante trattazione scritta come da decreto del 4/10/2022 regolarmente comunicato ai difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per lo scambio e il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. 2. Deve essere preliminarmente rigettata l'eccezione di nullità dell'atto di citazione avanzata (...) convenuta. Dalla disamina complessiva dell'atto introduttivo, deve ritenersi che l'attore ha inteso rivendicare il diritto al risarcimento del danno da lui subito a causa dei comportamenti colposi, consistenti nell'omessa predisposizione degli accorgimenti necessari al fine di evitare la complicazione infettiva del disco intervertebrale, addebitabili ai sanitari del P.O. (...) che lo ebbero in cura. Per completezza si rileva che la stessa corposità e analiticità delle difese articolate evidenzia, oltre ogni dubbio, come la convenuta sia stata in grado di comprendere le allegazioni dell'attore e di svolgere tutte le argomentazioni ritenute rilevanti. 3. Nel merito, il giudicante ritiene che, alla luce della documentazione in atti e dei risultati raggiunti dai consulenti tecnici d'ufficio, dottori (...) (medico legale) e dott. (...) (medico specialista in Ortopedia e Traumatologia), debba essere affermata la responsabilità dei sanitari (...) che ebbero in cura l'attore. I consulenti hanno chiarito che la prestazione sanitaria dovuta dalla convenuta non implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà per professionisti specialisti nel settore di competenza e che dalla prestazione sanitaria resa è causalmente derivata l'insorgenza di una spondilodiscite e cioè un'infezione che ha interessato sia il disco intervertebrale che le vertebre. Più precisamente i consulenti hanno spiegato che "la spondiliscite è un'infezione a localizzazione vertebrale (spondilo) e del disco (discite), ovvero un'osteomielite della vertebra con il coinvolgimento del disco intervertebrale. Trattasi di un'infezione a eziologia rara (2%, 1 caso ogni 100.00 circa) con causa di tipo primario (a eziologia spontanea) o secondaria ad intervento chirurgico di origine stafilococcica e streptococcica. Essa assume forme tubercolari nei paesi sottosviluppati mentre, nel mondo industrializzato, le forme aspecifiche delle infezioni spinali sono le più frequenti, con la prevalente localizzazione nei somi del tratto toracico. La caratterizzazione di tale malattia è sempre il mal di schiena, nel 90% dei casi, a insorgenza subdola. Non sempre vi è un evento scatenante (sforzo fisico, contusione...) attraverso il quale si cerca di dare spiegazione a tale sintomo". Hanno aggiunto che "sebbene in una patologia vertebrale, da sforzo o da discopata, il dolore recede con il riposo, nell'osteomielite vertebrale i dolori non diminuiscono neanche con l'immobilità, tant'è vero che in molti casi il decorso è così violento, da impedire una diagnosi clinica sul paziente. Nelle forme definite subacute, in pochi giorni o in poche settimane possono formarsi ascessi caldi paraverebrali con conseguenti dolori da distensione, che cessano all'atto dell'apertura e dello svuotamento dell'ascesso". Hanno pure specificato che "la colonna toracica e lombare rappresentano le localizzazioni più frequenti. La sede della lesione può essere sia il corpo che l'arco della vertebra" e che "Nel decorso della malattia, rapidamente o lentamente, si giunge alla distruzione della spongiosa, con la formazione di un ascesso paravertebrale. Questa è definita "carie osteomielitica", preceduta sempre da una osteite rarefacente; il corpo vertebrale può essere completamente distrutto, fino a fratturarsi. Spesso l'osteomielite raggiunge il disco intervertebrale vicino, nonché altri corpi vertebrali, pertanto negli stadi avanzati, non è escluso che siano colpiti fino a 2-3 corpi vertebrali". Fatta questa premessa sulle caratteristiche e sulle possibili cause della spondilodiscite, i consulenti hanno accertato che, in considerazione delle condizioni cliniche del Omissis nel mese di ottobre 2013, "una terapia antalgica come quella teoricamente effettuata resta fra le alternative terapeutiche da seguire". Tuttavia, pur ritenendo corretta la scelta terapeutica praticata dai sanitari, i consulenti hanno chiarito che la documentazione sanitaria in atti è "a dir poco lacunosa", giacché dalla cartella clinica non risulta la descrizione dell'intervento, né sono stati menzionati i presidi chirurgici utilizzati e le misure igieniche adottate. Di conseguenza, i consulenti sono giunti alla conclusione che la spondilodiscite diagnosticata al Omissis è eziologicamente riconducibile all'intervento di bagno antalgico eseguito presso il P.O. (...). E ciò sia sulla base del criterio cronologico, giacché l'infezione è comparsa subito dopo l'intervento, sia sulla base del criterio topografico, visto che l'infezione è comparsa proprio nel sito dell'inoculazione, oltre che in considerazione del fatto che non risultano altre cause a cui l'infezione potrebbe essere ricondotta. I consulenti hanno, in particolare, concluso che a causa di tale condotta "il periziato ha subito un allungamento del periodo di convalescenza. In altri termini, in conseguenza dell'infezione il periziato ha subito il seguente danno biologico temporaneo: ITT gg. 51, ITP al 75% gg. 20, ITP al 50% gg. 60 e ITP al 25% gg. 100. Infine, rispetto alle condizioni cliniche preesistenti, il soggetto ha subito un aggravamento consistente nella permanente difficoltà nella flessione dorsale del I dito del piede dx. Egli attualmente presenta una spondilodiscoartrosi con limitazione antalgica delle escursioni del rachide lombare di circa ¼ con risentimento sull'arto inferiore dx con sfumato risentimento sulla flessione dorsale dell'alluce. Sotto l'aspetto valutativo ha un danno biologico permanente del 20%, se invece, non fosse rimasto vittima di malpractice medica avrebbe continuato ad avere un danno permanente del 16%. Pertanto il maggior danno da risarcire equivale ad un danno biologico permanente nella misura del QUATTRO 4%". Non vi sono ragioni per discostarsi dalle conclusioni alle quali sono pervenuti i cc.tt.uu., anche in considerazione del fatto che non sono state accertate possibili cause alternative dell'accertata e non contestata spondilodiscite lamentata dall'attore e che non appare possibile ricollegare - per come sostenuto dalla convenuta - alle non meglio specificate terapie farmacologiche a cui il Omissis si sarebbe sottoposto prima dell'intervento. D'altra parte, non può trascurarsi di evidenziare che nel caso di specie la documentazione sanitaria si è rivelata del tutto incompleta. Al riguardo va ricordato che per costante insegnamento della corte di cassazione, nelle ipotesi in cui la cartella clinica presenti omissioni tali da rendere impossibile l'individuazione del nesso di causalità materiale, tali omissioni non conducono automaticamente a ritenere adempiuto l'onere probatorio da parte di chi adduce di essere danneggiato, pur dovendosene tener conto, perché diversamente l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che con inadempimento al proprio obbligo di diligenza tale incompletezza ha creato (cfr. cass. n. 29498/2019). Nella stessa decisione la corte ha altresì puntualizzato che il rilievo della difettosa tenuta della cartella clinica è tale da far ritenere provato il nesso di causalità materiale solo quando proprio l'incompletezza della cartella clinica abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno. L'attenzione va, dunque, focalizzata sulla condotta dei sanitari al fine di verificare se essa abbia avuto una astratta idoneità alla causazione dell'evento dannoso, essendo logicamente il primo elemento da vagliare, in quanto, se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale (cfr. cass. n. 14261/2020). Nel caso di specie non v'è dubbio che, per come accertato dai cc.tt.uu., la spondilodiscite può conseguire ad una infezione batterica di origine stafilococcica e streptococcica a seguito di interventi chirurgici. Di conseguenza, poiché nel caso del Omissis la spondilodiscite è comparsa proprio successivamente all'intervento di bagno antalgico e nello stesso sito in cui è avvenuta l'inoculazione può ragionevolmente ritenersi, sulla base del criterio del più probabile che non e stante la mancanza di informazioni (non contenute nella lacunosa cartella clinica) in ordine all'intervento eseguito, alla strumentazione impiegata e allo scrupoloso rispetto dei protocolli igienico-sanitari, che l'infezione sia attribuibile a negligenza dei sanitari che ebbero in cura l'attore. Non è d'ostacolo a siffatta conclusione il fatto che la causa prima delle lesioni subite dall'attore sia attribuibile alla lombosciatalgia lamentata ancor prima di recarsi nel P.O. Infatti, gli ausiliari del giudice hanno correttamente distinto gli esiti derivati all'attore dalle lesioni subite a causa della pregressa lombosciatalgia, dagli esiti prodotti dall'erronea sterilizzazione del sito dell'intervento che ha provocato la spondilodiscite, individuati nella permanente difficoltà di flessione dorsale del primo dito del piede destro, che con alta probabilità non si sarebbe verificata se il Omissis fosse stato adeguatamente trattato. Tutto questo a completamento della trattazione in punto nesso di causalità tra responsabilità e danno, che dunque può ritenersi provato ai sensi dell'art. 1218 c.c. e dell'art. 1228 c.c. È indubbio, infatti, che (...) convenuta debba essere chiamata a rispondere a titolo contrattuale nei confronti dell'attore. Il che è conforme altresì all'orientamento tradizionale e consolidato, non smentito in verità nemmeno dalla legge n. 189 del 2012 (c.d. riforma Balduzzi) e, da ultimo, chiaramente confermato dall'art. 7, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. legge Gelli), che così testualmente recita: "La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose". 4. Si devono a questo punto liquidare i danni accertati. Cominciando dal danno non patrimoniale, i cc.tt.uu. hanno accertato una invalidità temporanea totale di giorni 51, una invalidità temporanea parziale di giorni 20 al 75%, una invalidità temporanea parziale di giorni 60 al 50%, una invalidità temporanea parziale di giorni 100 al 25% e un danno biologico differenziale iatrogeno pari al 4% su base di 20 punti percentuali. Va ulteriormente precisato che i cc.tt.uu. hanno evidenziato la presenza di un danno iatrogeno che ha comportato una invalidità permanente superiore di 4 punti a quella che sarebbe residuata (pari a 16 punti) se l'operato dei medici fosse stato conforme alle migliori regole della scienza e dell'esperienza attuali. Al riguardo si rammenta che il danno iatrogeno è un pregiudizio alla salute dovuto ad un caso di responsabilità medica. Il danno iatrogeno differenziale si sostanzia, invece, in un peggioramento di una patologia o di una lesione preesistente, a causa di un comportamento colposo di un medico, e rientra nella categoria del danno biologico. In ordine al quantum, il risarcimento da riconoscere è pari all'importo stabilito per la percentuale d'invalidità complessiva, al quale va però sottratto l'importo, indicato dalle tabelle, per la percentuale di invalidità che sarebbe comunque residuata nel paziente anche in caso di intervento ottimale e corretto del medico (cfr., ex pluribus, cass. n. 6341/2014). I termini di calcolo devono essere determinati secondo parametri omogenei e pertanto, nella specie, poiché uno dei termini da raffrontare ossia l'invalidità permanente derivante dalla preesistente patologia (16%) è superiore al 9%, occorre fare riferimento alle Tabelle elaborate dal tribunale di Milano per l'anno 2021, in forza delle quali il danno non patrimoniale di carattere permanente residuato al Omissis, avuto riguardo all'invalidità del 20% ed all'età del soggetto all'epoca del fatto (54 anni), va quantificato nella somma di Euro 65.531,00 secondo i valori attuali. Si ritiene di riconoscere integralmente la percentuale di danno morale in considerazione della sofferenza psichica patita dall'attore derivante dai molteplici interventi eseguiti e delle lunghe convalescenze con peggioramento della sua sintomatologia, per come confermato anche da tutti i testi escussi. Non si ritiene di applicare al danno biologico permanente alcun aumento per personalizzazione, in assenza di allegazioni di parte in ordine a condizioni soggettive dell'attore che fuoriescono dalle conseguenze ordinariamente riconducibili al grado di invalidità accertato. Ciò posto, si osserva che, in assenza dell'errore medico ascrivibile al sanitario convenuto, il Omissis avrebbe patito un danno non patrimoniale permanente liquidabile in Euro 44.486,00, tenuto conto della percentuale di invalidità (16%). Appare dunque corretto, in considerazione dei peculiari connotati dei criteri di liquidazione tabellari sopra richiamati (che garantiscono un incremento del risarcimento in misura più che proporzionale al crescere della gravità dei postumi invalidanti a carattere permanente in concreto accertati), riconoscere al Omissis, a titolo di ristoro del danno non patrimoniale di carattere permanente, la somma di Euro 21.045,00 risultante dalla differenza tra il valore di liquidazione di un'invalidità permanente pari al 20% (in effetti residuata in capo all'attore e quantificata come visto in Euro 65.531,00) ed il valore di liquidazione di un'invalidità permanente pari al 16% (che sarebbe comunque residuata al paziente e quantificata in Euro 44.486,00). Sarebbe, infatti, erroneo - perché non aderente ai postumi effettivamente ascrivibili all'errore medico - calcolare direttamente un danno da postumi permanenti del 4%. Il criterio di calcolo prescelto è infatti quello più idoneo - alla stregua delle peculiari modalità applicative del criterio di liquidazione tabellare indicato - al fine di individuare un valore che restituisca l'equivalente pecuniario della parte del pregiudizio patito dal Omissis effettivamente e concretamente ascrivibile a responsabilità dei sanitari operanti (...) convenuta. All'importo sopra indicato di Euro 21.045,00 va aggiunto quello di Euro 11.979,00, riconosciuto a titolo di invalidità temporanea (sulla base teorica di Euro 99,00 giornaliere), di cui Euro 5.049,00 a titolo di invalidità temporanea assoluta per 51 giorni; Euro 1.485,00 per invalidità temporanea parziale al 75% per 20 giorni; Euro 2.970,00 per invalidità temporanea parziale al 50% per 60 giorni ed Euro 2.475,00 a titolo di invalidità temporanea parziale al 25% per 100 giorni. Gli importi sono di seguito specificatamente individuati: invalidità temporanea totale (Euro 99,00 x 51 giorni): Euro 5.049,00. invalidità temporanea parziale al 75% (Euro 75,25 x 20 giorni): Euro 1.485,00; invalidità temporanea parziale al 50% (Euro 49,50 x 60 giorni): Euro 2.970,00; invalidità temporanea parziale al 25% (Euro 24,75 x 100 giorni): Euro 2.475,00. Il tutto per un valore totale finale di Euro 33.024,00. Devono poi essere applicati gli interessi, al tasso legale, a titolo di danno da lucro cessante, sulla somma così liquidata, devalutata al momento della stabilizzazione dei postumi da individuarsi indicativamente nella data 31/12/2013, e successivamente rivalutata di anno in anno dalla medesima data fino a quella di pubblicazione della presente sentenza (complessivamente pari ad Euro 1.788,00) per un valore finale totale di Euro 34.812,00 (= Euro 33.024,00 + Euro 2.788,00) da liquidarsi in favore di Omissis e a carico (...). Dalla data di pubblicazione della sentenza (che liquida il danno e lo converte in debito di valuta) fino all'effettivo soddisfo, dovranno poi essere calcolati gli interessi legali sulla somma come sopra determinata. Non può essere, invece, accolta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale conseguente alla lesione della capacità lavorativa specifica. Al riguardo è dirimente osservare che i malesseri che hanno impedito all'attore di riprendere il lavoro di trasporto mobili e arredamenti non appaiono ricollegabili all'operato dei sanitari, quanto piuttosto e, per come osservato anche dai cc.tt.uu., alla patologia (lombosciatalgia) da cui era precedentemente affetto, tenuto conto che l'unico danno iatrogeno differenziale attribuibile alla responsabilità dei medici è quello consistente nella permanente difficoltà di flessione dorsale del primo dito del piede destro. 5. Quanto al regolamento delle spese, la obiettiva sproporzione tra la somma richiesta e quella effettivamente attribuita giustifica la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti, integrando una ipotesi di soccombenza reciproca. Le spese relative alla consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto, sono invece poste definitivamente a carico (...). P.Q.M. Il tribunale di Cosenza, definitivamente pronunciando nel contraddittorio tra le parti, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte: - condanna (...), in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore di Omissis, della somma di Euro 34.812,00 in moneta attuale e già comprensiva degli interessi compensativi, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo; - compensa integralmente le spese di giudizio fra le parti; - pone le spese relative alla consulenza tecnica d'ufficio definitivamente a carico (...). Cosenza, 23 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di COSENZA Seconda Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Pietro Sommella ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3990/2018 promossa da: (...) E C. S.A.S., assistito dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliato in (...) PAOLA ATTORI OPPONENTI contro (...) SPA., assistito dall'avv. (...), ed elettivamente domiciliato in VIA (...) COSENZA; CONVENUTA OPPOSTA OGGETTO: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario) CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni del 22.12.2022 Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Si premette che la presente motivazione viene redatta in forma sintetica, in conformità alla riforma degli artt. 132 c.p.c./118 disp Att. c.p.c. di cui alla legge n. 69/2009, direttamente applicabile alla fattispecie. Con atto di citazione notificato il 02.10.2018, (...) E C. S.A.S. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 922/2018 che ha intimato lei il pagamento, in solido con (...), anche essa opponente in proprio, e al sig. (...) della somma di Euro 46.586,51, oltre interessi nonché spese del monitorio, in forza del mancato pagamento di rinveniente dal saldo debitorio di un rapporto di conto corrente, il 36906, stipulato presso la Filiale di Cosenza della (...). A fondamento della richiesta di revoca del monitorio, l'opponente ha dedotto: la inidoneità della certificazione ex art. 50 TUB, la inefficacia, illegittimità e nullità delle fideiussioni personali, anche in ragione della conformità delle stesse allo schema di contratto predisposto dall'ABI, la inesistenza del rapporto di conto corrente in ragione della assenza di un contratto sottoscritto dal correntista, la illegittimità delle somme addebitate a titolo di interessi ultralegali e anatocistici, di CMS e spese privi di giustificazioni causali. 2. Si costituiva in giudizio la Banca contestando la opposizione, rilevando l'infondatezza delle eccezioni proposte. 3. A seguito di rilievo officioso, cui le parti aderivano, veniva dichiarata la incompetenza funzionale della domanda di nullità della fideiussione per violazione dell'art. 2 Co. II lett. a) L. 287/1990 in favore del Tribunale di Catanzaro e la sospensione necessaria ex art. 295 Cpc della opposizione proposta dal fideiussore (...). Concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6, nn. 1, 2 e 3 c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione la causa veniva trattenuta a sentenza per poi essere rimessa sul ruolo data la rilevata necessità di espletare CTU contabile; conferito l'incarico alla dott.ssa (...) e depositato l'elaborato, veniva disposto rinvio per la precisazione delle conclusioni. Delegata la decisione allo scrivente, veniva poi trattenuta in decisione alla udienza del 22.12.2022, con concessione dei termini di cui all'art. 190 cpc. 4. L'opposizione è parzialmente fondata, per i motivi di seguito riportati. Venendo al merito va ribadito, brevemente, che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere della prova - di seguito meglio specificato - spetta all'opposto in quanto attore in senso sostanziale al quale, assumendosi creditore, spetta la dimostrazione circa il fatto costitutivo del credito azionato secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova contenuti nell'art. 2697 c.c., bisogna distinguere le posizioni dei diversi rapporti contrattuali. 4.1 Con riferimento al presunto debito rinveniente dal rapporto di conto corrente, deve rilevarsi, in proposito, che contrariamente a quanto eccepito dalla opponente, parte opposta ha prodotto in giudizio la serie completa degli estratti conto del rapporto e la documentazione contrattuale relativa all'apertura del rapporto. Come già accennato, il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (art. 645, 2 comma, c.p.c.), anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (v. Cassazione, n. 17371/03 e n. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (v. Cassazione, n. 15026/05; n. 15186/03 e n. 6663/02); quindi, il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza - ovvero, persistenza - dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo (v. Cassazione, n. 20613/11). Va, poi, ricordato, applicando i principi generali in materia di adempimento contrattuale e di riparto dei relativi oneri allegatori e probatori, che nell'azione di adempimento - come nel caso di domanda di condanna contenuta in un ricorso monitorio - il creditore (ovvero, l'opposto, già ingiungente) è tenuto a provare soltanto l'esistenza della fonte (negoziale o legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l'adempimento, ma non anche l'inadempimento da parte dell'obbligato, che va meramente allegato, dovendo, infatti, essere quest'ultimo, cioè il debitore convenuto (ovvero l'opponente, nel caso di specie), a provare il fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell'altrui pretesa (v., tra le ultime, Cassazione, n. 8901/13). Venendo allo specifico dei rapporti bancari, principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, in ossequio al corretto riparto dell'onere probatorio è quello secondo cui la Banca che assume essere creditrice di un saldo finale di conto corrente bancario, tra l'altro contestato nel suo ammontare con prova documentale, come nel caso di specie, deve produrre tutti gli estratti conto relativi all'intera durata del rapporto contrattuale. Anche tutte le pronunce più recenti confermano tale orientamento. Recentissima pronuncia della S.C., infatti, testualmente recita: "La banca non può sottrarsi all'onere di provare il preciso ammontare del credito vantato nei confronti di un cliente, e da quest'ultimo contestato in giudizio, invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre i dieci anni dall'ultima registrazione. D'altro canto, il comportamento della banca che si disfa della documentazione afferente a un credito di cui non ha ancora ottenuto soddisfacimento integra una negligenza grave, che viola apertamente il dovere di sana e prudente gestione di cui all'art. 5 del T.U.B. (Cassazione civile, sez. I, 20 Febbraio 2018, n. 4102. Est. Dolmetta). Dello stesso tenore l'Ordinanza 31 maggio - 30 novembre 2017, n. 28819, nonché la sentenza n. 9365 depositata il 16 aprile 2018 affermante che "Come questa Corte ha ripetutamente sottolineato, a tale onere la banca non può sottrarsi neppure invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre i dieci anni (v. Cass. n. 13258-17; Cass. n. 7972-16; Cass. n. 1842-11). In altre parole la banca che si dica creditrice deve produrre gli estratti a partire dall'inizio del rapporto, dando così integrale dimostrazione del credito vantato con riguardo alle afferenti risultanze, esattamente come accade a parti invertite per il correntista ove si tratti di azione di ripetizione da questi avanzata per effetto della dedotta nullità di alcune clausole del contratto di conto (v. da ultimo Cass. n. 28945-17, Cass. 20693-16)". Ed ancora la medesima pronuncia, proprio con riferimento alla erronea pretesa della Banca in merito all'azzeramento del saldo "La banca non può pretendere, sol perché non in grado di produrlo, l'azzeramento di eventuali risultanze del primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare e avere tra le parti, in quanto ciò comporterebbe l'alterazione sostanziale del rapporto di conto corrente bancario. Del resto, altra recente pronuncia afferma che: "Nei rapporti bancari in conto corrente -ontologicamente caratterizzati dall'esplicazione di un servizio di cassa, in relazione alle operazioni di pagamento o di riscossione di somme da effettuarsi, a qualsiasi titolo, per conto del cliente - una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione a carico del correntista di interessi ultralegali, ovvero anatocistici, la banca ha l'onere di produrre gli estratti conto a partire dall'apertura. L'intermediario creditizio non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'inesistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni. Infatti, non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di provare il credito vantato nei confronti del cliente. Pertanto, una volta accertata l'illegittimità della contabilizzazione di interessi anatocistici -laddove la produzione degli estratti conto non sia completa - il giudice non potrà fondarsi sul saldo debitore di apertura del primo degli estratti conto prodotti, dal momento che la ricostruzione dell'andamento contabile risulterebbe inficiata dal computo di interessi che non spettavano alla banca. (Cassazione civile, sez. I 20 gennaio 2017) Sebbene, come visto la più recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, sez. I, 20 Febbraio 2018), ancori il principio sopra descritto alla "contestazione del credito", parimenti soddisfatto può e deve ritenersi il requisito della "prova dell'illegittimità del saldo azionato", potendosi ritenere che anche tale eventuale presupposto sia sussistente, atteso che la documentazione prodotta, in realtà, poteva ritenersi inidonea, con riferimento appunto al rapporto di conto corrente, inidonea anche alla emissione del decreto ingiuntivo. La Banca, come detto, ha prodotto un contratto di apertura del rapporto n. 36906 datato 10.01.2001 il quale, sebbene validi certamente la esistenza del rapporto e la applicazione dell'anatocismo bancario, essendo validamente sottoscritta la clausola di applicazione degli interessi attivi e passivi con pari reciprocità (da cui il rigetto della relativa eccezione di nullità), non reca alcuna indicazione del tasso di intesse debitore. Essendo necessario che "i contratti indichino il tasso d'interesse e ogni albo prezzo e condizione praticati", alla stregua del disposto dell'art. 117 del T.U., oltre che condizionata la validità della pattuizione contenente la determinazione degli interessi anche al rispetto del requisito della forma scritta ed alla fissazione di un saggio di interesse determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati. Qualora la clausola sia nulla, i tassi debitori applicabili, sono nulli laddove abbiano superato la misura legale. Quanto, in particolare, alla validità della clausola di determinazione del tasso d'interesse con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalla banca, va richiamato il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la clausola in parola è nulla in quanto, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 3, che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo, ai fini della sua precisa individuazione, il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (cfr. ex multis Cass. n. 17679/2009; Cass. n. 2317/2007; Cass. n. 4095/2005). Nella fattispecie in esame, non si registra alcuna pattuizione relativa al computo degli interessi in misura superiore a quella legale. Va altresì osservato che la mancata contestazione degli estratti conto, non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi, perché l'unilaterale comunicazione del tasso d'interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto richiesto dall'art. 1284 c.c. (Cass. n. 17679/2009) né può essere considerata equipollente ad un nuovo accordo in ordine alla determinazione degli interessi. Al riguardo, non può neppure essere valorizzato l'omesso esercizio da parte del cliente del diritto di recesso previsto dall'alt 118 T.U. n. 385/1993, da intendersi quale accettazione tacita del tasso debitore, considerato, peraltro, che una nuova pattuizione sugli interessi dovrebbe rivestire la forma prescritta dall'art. 117 T.U. n. 385/1993. È noto, altresì, il generale principio normativo per cui "il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente" (art. 1423 c.c.), onde giammai una variazione unilaterale di una originaria clausola nulla (quella in ipotesi priva di forma scritta ovvero di rinvio all'uso piazza per la determinazione degli interessi ultralegali passivi) avrebbe potuto sanare quella invalidità originaria, così come è parimenti noto che l'esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8993 del 05/06/2003; Cass. N. 11156 del 1994). Inoltre è opportuno ricordare come in tutti i suesposti casi di nullità del tasso di interesse, la conoscenza successiva del saggio applicato (nella specie, attraverso l'invio degli estratti conto) non varrebbe a sanare l'originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l'art. 1346 cod. civ. esige "a priori", al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l'abbia portato a conoscenza dell'altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l'informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci dì assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287). In ragione di quanto sopra va dichiarata la nullità delle somme addebitate a titolo di interessi ultralegali e validata, come si vedrà, l'applicazione del ricalcolo ai sensi dell'art. 117 TUB, fino alla data del 27.03.2012, allorquando veniva sottoscritta una variazione contrattuale indicante la misura percentuale del tasso debitore per le somme oggetto dell'affidamento di Euro 36.000. 4.2 Quanto poi alla CMS, attesa la assenza di pattuizione scritta e data la non determinabilità delle modalità di calcolo della stessa per come emergenti dal contratto di conto corrente e dagli estratti conto, si deve escludere sia che la stessa abbia giustificazione causale e che, soprattutto, abbia i requisiti della determinatezza necessaria. Da cui discende in ogni caso la nullità ex art. 1418 II comma c.c. Negli estratti conto in atti la CMS veniva indicata con una generica percentuale. Giova innanzitutto osservare che il rapporto di conto corrente oggetto di causa è sorto prima delle modifiche normative apportate dal decreto legge del 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2 e che la commissione di massimo scoperto prima del predetto intervento normativo non aveva una definizione legislativa né, comunque, era ben delineata nei contratti e nelle norme uniformi bancarie che la prevedevano. Nell'ambito del dibattito dottrinale e delle diverse interpretazioni della giurisprudenza di merito relative alla natura e determinabilità della CMS è intervenuta la Suprema Corte, chiarendo che tali commissioni possono essere assimilate, per un verso, ad un onere accessorio che si aggiunge agli interessi passivi (come potrebbe inferirsi dall'essere conteggiate, nella prassi bancaria, in una percentuale dell'esposizione debitoria massima raggiunta e, quindi, sulle somme effettivamente utilizzate nel periodo considerato, solitamente trimestrale, come per gli interessi passivi) e, per altro verso, ad un onere remunerativo dell'obbligo della banca di tenere a disposizione dell'accreditato una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (cfr., in proposito, Cass. n. 11772/2002; nonché Cass. n. 870/2006, la quale, nell'avallare la qualificazione dell'istituto da ultimo riportata, ha ribadito che la commissione di massimo scoperto ha la funzione di "remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma", confermandone, pertanto, la validità sotto il profilo causale (così, in termini Tribunale di Paola, G.I. Caroleo, sentenza n. 834/2017). Se pertanto, in astratto può ritenersi che l'obbligazione del cliente di corrispondere alla banca un ulteriore compenso per l'apertura di credito, oltre gli interessi pattuiti, parrebbe sorretta da una causa lecita, in quanto correlata alla remunerazione dell'obbligo assunto dalla banca di tenere sempre a disposizione del cliente il massimo importo affidato o, comunque, correlata al rischio crescente assunto dalla stessa banca in proporzione al massimo ammontare dell'utilizzo del predetto credito da parte del cliente, è stato costantemente affermato che tali clausole devono, in ogni caso, avere un oggetto determinato o, quantomeno determinabile, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 1346 c.c. A tanto consegue che, come nel caso di specie, in assenza di precisi ed univoci criteri di determinazione dell'importo dovuto dal cliente a titolo di commissione di massimo scoperto la relativa pattuizione oltre che inesistente, sarebbe da ritenersi nulla. 4.3. Analogo esito deve avere la eccezione relativa ai plurimi addebiti effettuati a titolo di commissioni e spese varie, non trovando alcuna giustificazione causale nel contratto in atti. 4.4 Sulla base di quanto esposto, viene recepito e fatto proprio dal giudicante il ricalcolo effettuato dal CTU nel quale il saldo degli interessi in dare e avere è stato effettuato epurando ogni forma di interessi ultralegali sino alla data del 27.03.2012, liquidando gli interessi sino a quella data applicando la capitalizzazione trimestrale ed utilizzando da gennaio 2001 fino al 27/03/2012 il tasso di cui all'art. 117 TUB determinato in relazione al tasso nominale minimo o massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei 12 mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione e dal 27/03/2012 al 30/06/2017 i tassi previsti dalla banca ed indicati sugli estratti conto nelle variazioni contrattuali ed espungendo quanto addebitato a titolo di CMS, commissioni e altre spese non pattuite. Sulla base del predetto conteggio, il C.T.U. ha quantificato che le competenze illegittimamente addebitate e che il reale saldo del c/c n. 36906 alla data del 30/06/2017 doveva essere pari ad euro 6.962,37 (seimilanovecentosessantadue/37) in favore della Banca. Per quanto argomentato, quindi, l'opposizione deve essere parzialmente accolta, il decreto ingiuntivo revocato e la correntista opponente condannata al pagamento della somma sopra indicata. 5. In ragione del parziale accoglimento dell'opposizione e della effettiva liquidazione sul conto corrente di interessi illegittimi e CMS, con conseguente reciproca soccombenza, si ritiene doveroso compensare le spese di giudizio tra le parti, ivi comprese le spese di CTU, liquidata con separato decreto. P.Q.M. il Tribunale di Cosenza, nella prefata composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa pendente tra le parti indicate in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattese, così provvede: - accoglie parzialmente l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 922/2018 opposto; - accerta e dichiara che il credito vantato dall'opposta (...) nei confronti della opponente (...) E C. S.A.S è pari a complessivi Euro 6.962,37 (seimilanovecentosessantadue/37) in luogo della somma portata dal decreto ingiuntivo, e, per l'effetto, condanna la predetta opponente (...) E C. S.A.S al pagamento della predetta somma, oltre interessi come da monitorio; - compensa le spese di lite, ivi comprese quelle di CTU. Cosenza, 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Cosenza, sezione seconda civile, in composizione monocratica, in persona del dott. Andrea Palma, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4521 del R.G.A.C. dell'anno 2021, trattenuta in decisione all'udienza del 10.1.23 con assegnazione dei termini ex artt. 281 quinquies e 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusive, vertente TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...); OPPONENTE E (...) SPV s.r.l. e, per essa, (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti (...); OPPOSTA Oggetto: contratti bancari; opposizione a decreto ingiuntivo. Conclusioni: come in atti. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO (...) ha proposto opposizione al decreto n. 1141/21, non esecutivo, emesso dal Tribunale di Cosenza in data 12.10.21, con il quale gli è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 13.406,43, oltre interessi e spese del procedimento, in favore della odierna opposta, che ha dedotto di essere cessionaria del credito derivante da rapporto di conto corrente n. 1000, con apertura di credito, acceso dal (...) in data 20.6.11 presso la filiale di Roggiano Gravina di (...) s.p.a. L'opponente ha dedotto la nullità dei contratti di conto corrente e di apertura di credito perché non recanti la sottoscrizione della Banca, la mancanza di adeguata prova del credito, l'applicazione di commissioni e interessi capitalizzati in violazione della disciplina imperativa di settore. L'opposta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo. La presente controversia, in quanto rientrante in materia di contratti bancari, è soggetta alla disciplina in tema di mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1 -bis, del D.L.vo 28/10. Il comma 4 dell'art. 5 prevede, sub lett. a), che il comma 1 -bis non si applica "nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione". Tale disciplina è strettamente correlata alle peculiarità del procedimento per ingiunzione, caratterizzato da un contraddittorio differito, con il quale è strutturalmente incompatibile il preventivo tentativo di conciliazione che presuppone un processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio fra le parti (in tal senso Corte Cost. 276/00, richiamata nella Relazione illustrativa del D.L.vo 28/10, in merito al tentativo di conciliazione previsto dall'art. 412 bis c.p.c.,), e alla natura lato sensu cautelare dei provvedimenti ex artt. 648 e 649 c.p.c. (per la qualificazione in questi termini cfr., rispettivamente, Corte cost. 306/07 e Cass. 3979/12), che rispondono ad una esigenza di tutela immediata rispetto alla quale il favor per una soluzione alternativa della controversia assume carattere recessivo. Interpretata la disposizione normativa alla luce di tale ratio, reputa il Tribunale che la pronuncia dei provvedimenti ex artt. 648 e 649 non assurga al rango di presupposto della obbligatorietà della mediazione, di per sè ancorata alla pendenza di lite in una delle materie indicate dal comma 1 -bis, avendo il legislatore unicamente inteso delineare una scansione temporale coerente con le peculiarità del procedimento e con la detta esigenza di pronta tutela del creditore (in caso di decreto emesso senza clausola di esecutività) ovvero del debitore ingiunto (in caso di decreto esecutivo ex art. 642 c.p.c.). Pertanto, nell'eventualità, non espressamente contemplata dalla normativa in esame (nel testo ratione temporis rilevante), in cui, non essendosi la parte avvalsa della facoltà di formulare la relativa istanza, il giudice non sia chiamato a pronunciarsi sulla esecutività del decreto ingiuntivo, non vi è ragione per ritenere non operativa la condizione di procedibilità, giustificandosi, piuttosto, la riespansione di quella esigenza, solo temporaneamente compressa, di favorire una soluzione amichevole della controversia che permea l'istituto della mediazione. Diversamente opinando, la obbligatorietà della mediazione sarebbe rimessa, in deroga al principio generale, alla scelta unilaterale della parte legittimata a richiedere la pronuncia dei provvedimenti ex artt. 648/649, con ciò generandosi una disparità di trattamento rispetto a giudizi vertenti nella stessa materia ed introdotti nelle forme ordinarie non più giustificata dalle peculiari caratteristiche del procedimento per ingiunzione e dall'esigenza di pronto accesso alla tutela (lato sensu) cautelare. Nel caso di specie, non essendo stata formulata in prima udienza (10.5.22) - nel corso della quale il giudice deve provvedere sulla provvisoria esecuzione ai sensi dell'art. 648 c.p.c., come modificato dal D.L. 69/13 - la relativa istanza, il Tribunale ha assegnato termine di 15 gg. per l'instaurazione della procedura di mediazione rinviando in prosieguo all'udienza del 18.10.22. Nell'intervallo temporale compreso tra le due udienze la procedura di mediazione non è stata avviata, tant'è che l'opposta, all'udienza del 18.10.22, a fronte della eccezione di improcedibilità formulata dall'opponente, ha avanzato richiesta (non motivata e perciò disattesa) di rimessione in termini. La successiva iniziativa assunta dall'opposta con istanza di mediazione depositata il 4.11.22 (cfr. verbale dell'incontro tenutosi in data 6.12.22 dinanzi all'Organismo adito) è intempestiva. Infatti, sebbene debba escludersi la perentorietà del detto termine di 15 giorni, perché possa ritenersi soddisfatta la condizione di procedibilità è comunque necessario che il primo incontro dinanzi al mediatore si svolga prima dell'udienza di rinvio, con la conseguenza che, ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge (cfr. Cass. 40035/21 che ha enunciato tali principi in tema di mediazione obbligatoria ope iudicis, per la cui applicabilità all'ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege cfr. Cass. 9102/23) Pertanto, considerato che l'onere di promuovere la procedura di mediazione gravava sulla odierna opposta (cfr. Cass., Sez. Un., 19596/20), la domanda dalla stessa proposta deve essere dichiarata improcedibile in accoglimento della eccezione tempestivamente formulata dall'opponente. Ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo. La controvertibilità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, rigettata ogni altra istanza ed eccezione, così decide: - dichiara improcedibile la domanda proposta da (...)n SPV s.r.l. e, per essa, da (...) s.r.l., e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo; - compensa le spese processuali. Cosenza, 29 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COSENZA Seconda Sezione Civile Il Tribunale di Cosenza - sezione seconda civile - in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott.ssa Giusi Ianni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2990 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 e vertente TRA (...) (c.f. (...)), rappresentata e difesa in forza di mandato in calce all'atto introduttivo dall'avv. Ra.Ai. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultima, in Cosenza alla P.zza F. e L. Gullo n. 34 - ATTRICE - CONTRO (...) (cf (...)) rappresentato e difeso giusta procura in calce alla comparsa di costituzione dall'avv. Gi.Br. presso il cui studio in Cosenza, Piazza (...), è elettivamente domiciliato - CONVENUTO - (...) (c.f. (...)), in persona del presidente-legale rappresentante pro tempore S.F., elettivamente domiciliata in Cosenza alla via (...), 132 (Cond. Airone sc. B) presso lo studio dell'avv. Ni.An., da cui è rappresentata e difesa giusta procura a margine della comparsa di costituzione - CONVENUTA - NONCHE' (...) S.P.A. (c.f. (...) e p.i. (...)), in persona del suo procuratore ad negotia dott. E.F., munito dei poteri di rappresentanza legale in forza di procura speciale del (...) a rogito del Notaio dott. T.G. i di B., rep./fasc. n.(...)/ n.(...), elettivamente domiciliata in Cosenza, via (...), presso lo studio dell'avv. Te.Ta., da cui è rappresentata e difesa in forza di mandato a margine della comparsa di costituzione - TERZA CHIAMATA - OGGETTO: risarcimento danni. PREMESSO IN FATTO La domanda introduttiva del giudizio è stata proposta da (...) al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti in data 29 gennaio 2017, quando l'attrice, mentre si trovava sulle piste di sci di Camigliatello Silano gestite dalla Scuola Italiana Sci - Regione Calabria, alle prese della sua prima lezione di sci sotto la guida del maestro (...), riportava un grave trauma all'arto superiore sinistro, a causa dell'incrocio degli sci che ne provocava la caduta per terra. Esponeva, in particolare, l'attrice che il fatto si verificava a causa del comportamento negligente del maestro di sci (...), il quale, al momento della caduta della (...), era impegnato in una conversazione al cellulare ed alcun dispositivo di sicurezza forniva agli allievi principianti, tipo i c.d morselli ferma punta volti ad evitare proprio l'incrocio degli sci, incurante anche delle avverse condizioni metereologiche, stante la fitta nebbia presente in pista. Si costituiva in giudizio (...), precisando, in fatto, di aver fatto delle verifiche prima dell'inizio delle lezioni da parte della (...), al fine di saggiare il livello di esperienza di quest'ultima; poiché, quindi, il maestro si rendeva conto che l'allieva padroneggiava sufficientemente lo strumento sportivo, decideva di far eseguire alla stessa una discesa a bassa velocità, sorvegliandola a distanza di 3/4 metri e sempre pronto ad intervenire per evitare situazioni di pericolo. La prima discesa si concludeva senza intoppi, tanto da indurre l'allieva a prenotare una seconda ora di lezione. Nel corso di tale seconda ora, la caduta dell'attrice, secondo quanto dedotto dal convenuto, si verificava per una sua imprudenza, effettuando la (...) una curva ad una velocità non consona, che la portava a spostare tutto il peso sulla sinistra nel tentativo istintivo di fermarsi. Il convenuto contestava, altresì, di essere stato al cellulare durante la lezione e che quest'ultima si svolgesse in presenza di nebbia fitta. Il (...) della Regione (...) spa, quest'ultima si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea ed eccependo comunque l'esistenza di una franchigia contrattualmente prevista nel contratto di assicurazione posto a base della domanda di garanzia interposta nei suoi confronti. Nel corso del giudizio aveva luogo prova per testi sulle circostanze articolate da parte attrice, nonché CTU per la valutazione dei danni causalmente riconducibili all'incidente del 29.1.2017. In data 23.1.2023 la causa era trattenuta in decisione, previa concessione alla parte costituita del termine di sessanta giorni per il deposito di comparsa conclusionale. RITENUTO IN DIRITTO 1. Sul titolo di responsabilità del convenuto (...) e sulle conseguenze in puntodi oneri probatori. Parte attrice ha invocato l'applicabilità delle regole della responsabilità contrattuale nei confronti del convenuto (...), in ragione del fatto che l'infortunio fonte di danno si verificava - incontestatamente - nel corso di una lezione di sci. L'impostazione è corretta. Il pagamento di un corrispettivo (o anche il solo accordo) ai fini di una lezione, infatti, concretizza la conclusione di un contratto e comporta a carico della scuola o del maestro l'assunzione di obbligazioni di protezione volte a garantirne l'incolumità dell'allievo (Cass. 3612/2014). Ne consegue che al creditore danneggiato spetta solo allegare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre grava sulla controparte provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, ossia l'aver vigilato sulla sicurezza ed incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruiva della prestazione, dimostrando che le lesioni subite siano state conseguenza di circostanze autonome e non imputabili alla scuola o all'istruttore. Tale prova può essere data anche a mezzo di presunzioni e solo se la causa resta ignota il sistema impone che le conseguenze patrimoniali negative restino a carico di chi ha oggettivamente assunto la posizione di inadempiente. 2. Sulla posizione dell'(...). L'attrice ha rivolto le proprie pretese anche nei confronti dell'(...) la quale, tuttavia, nel costituirsi in giudizio, ha versato in atti l'atto costitutivo, da cui si evince la funzione di aggiornamento e tutela dei maestri iscritti, che la assimila effettivamente ad un ordine professionale, che in alcun modo può rispondere dei fatti illeciti dei propri iscritti. Né una responsabilità diretta può evincersi dal fatto che la predetta associazione abbia sottoscritto polizza assicurativa in favore degli associati, non potendo ciò, all'evidenza, valere ad instaurare un rapporto negoziale tra l'associazione e gli allievi dei singoli associati. Va, pertanto, accolta l'eccezione di carenza di legittimazione passiva dell'associazione convenuta. 3. Sull'an debeatur. Ciò posto, parte attrice ha indubbiamente assolto gli oneri probatori su di lei incombenti nel presente giudizio. Incontestata, infatti, è la circostanza che nelle circostanze di tempo e luogo oggetto di citazione, la (...) si trovasse presso le piste di sci di Camigliatello Silano e noleggiasse attrezzatura (scarponi, sci e bastoncini) per prendere delle lezioni dal maestro (...). In particolare, dopo una prima ora di lezione che si svolgeva senza intoppi, le parti concordavano lo svolgimento di una seconda ora di lezione, nell'ambito della quale si verificava la caduta dell'odierna attrice. A fronte della prova del titolo della pretesa da parte della (...), il convenuto (...) alcuna prova offriva di corretto adempimento, posto che dalla deposizione del teste (...), insieme all'attrice al momento del fatto, si evince che la scarsa attenzione del maestro durante la lezione, in quanto egli era impegnato al telefono e seguiva gli allievi - certamente inesperti, in quanto con alle spalle solo una prima ora di lezione - a distanza di circa 15 metri. Il convenuto ha fatto rilevare delle incongruità nelle risposte del teste escusso (peraltro riguardanti circostanze di dettaglio sui fatti oggetto di prova), ma deve in ogni caso osservarsi che, nel riparto degli oneri probatori, sarebbe stato il medesimo convenuto a dimostrare di aver messo la massima diligenza nell'esecuzione del contratto per andare esente da responsabilità, considerandosi la natura intrinsecamente pericolosa dell'attività sciistica e l'inesperienza dell'attrice, che non può essere messa in discussione sulla base di una sola ora di lezione svolta in precedenza o di una verifica preliminare che mostrava una buona attitudine dell'allieva. La prova svolta e la documentazione in atti hanno altresì confermato come per effetto della caduta, la (...) riportasse delle lesioni, immediatamente constatate presso il Pronto Soccorso di Cosenza, dove l'esame radiografico evidenziava una frattura scomposta del III medio dell'onere sinistro. Seguiva, presso l'ospedale di Paola, intervento chirurgico di riduzione della frattura ed osteosintesi con chiodo. Senza dubbio, pertanto, va accolta la domanda risarcitoria dell'attrice. 4. Sul quantum debeatur. In punto di quantum debeatur, la (...) nell'atto introduttivo ha quantificato in Euro 90.000,00 la propria pretesa risarcitoria, quale somma comprensiva di danno patrimoniale e non patrimoniale. In punto di danno non patrimoniale, a fini di valutazione delle lesioni riportate dalla (...) in occasione dei fatti oggetto di causa, è stata disposta consulenza medico-legale. Il CTU, all'esito di visita della perizianda e con valutazione basata su obiettivi parametri scientifici e immune da qualsiasi censura di ordine logico, concludeva per la presenza di postumi invalidanti permanenti, costituenti danno biologico, in quanto oramai inemendabili e consistenti negli " Esiti di frattura scomposta III medio omero di sinistra trattata con intervento chirurgico di riduzione ed osteosintesi con chiodo endomidollare e viti e successivo intervento di rimozione dei mezzi di sintesi". Il danno biologico era, quindi, stimato, sempre con valutazione immune da qualsiasi censura di ordine logico e conforme ai baremes normalmente in uso per la relativa quantificazione, nella misura del 17%, tenuto conto anche del danno estetico (stante la presenza di una cicatrice chirurgica sulla regione laterale a livello della testa omerale a decorso longitudinale, lunga circa 8 cm a margini sfrangiati, di aspetto cheloideo, ipercromica, dolente alla palpazione). Il CTU indicava, altresì, nell'identificazione delle conseguenze del sinistro del 29 gennaio 2017, un periodo di inabilità complessivo di giorni sessanta, così composto: - Inabilità temporanea totale della durata di giorni 30; - Inabilità temporanea parziale al 50% della durata di 80 giorni; Sussistente era ritenuto, sia per il danno biologico da inabilità permanente, sia per il danno da inabilità temporanea, il nesso di causalità con le lesioni refertate nell'immediatezza della caduta, presso il Pronto Soccorso di Cosenza. Quanto alle modalità di liquidazione del danno non patrimoniale, trattandosi di lesioni macropermanenti, ritiene questo giudice, di dover fare applicazione delle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano che, come riconosciuto anche dalla Suprema Corte (Cass. 8532/2020; Cass. 17018/2018) sono munite di efficacia para-normativa in quanto concretizzano il criterio della liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c.. Tenendosi conto, pertanto, dell'età dell'attrice al momento del sinistro (36 anni) e applicandosi la versione più aggiornata delle Tabelle di Milano (agg. 2021), che non congloba danno biologico e danno morale in conformità agli arresti più recenti della giurisprudenza di legittimità, per come si avrà modo di dire infra, il danno può essere così quantificato all'attualità: euro 41.643,00 per danno biologico da inabilità permanente (considerandosi, in relazione ai parametri di riferimento, un punto base di Euro 2.969,18); euro 2.970,00 per invalidità temporanea totale (considerandosi Euro 99,00 per ogni giorno di ITA); euro 3.960,00 per invalidità temporanea parziale al 50%; La somma così ottenuta (euro 48.573,00 sommandosi danno biologico da inabilità permanente e danno da inabilità temporanea) può essere personalizzata, in relazione al caso concreto, fino ad un massimo di Euro 66.063,00. Nel caso di specie, tuttavia, non sono emersi elementi da giustificare un aumento dell'importo risarcitorio indicato, apparendo tale importo congruo rispetto agli elementi emergenti dagli atti e dall'istruttoria condotta e non avendo l'attrice articolato capitoli di prova finalizzati a consentire una personalizzazione dell'ammontare risarcitorio, con riferimento alle ripercussioni del sinistro, ad esempio, sulla vita di relazione o nello svolgimento delle attività quotidiane. Non sussistono, altresì, i presupposti per il riconoscimento di un danno morale. Stando, infatti, ai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che questo giudice ritiene di condividere, va affermata l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma danno morale, da un lato, non è suscettibile di accertamento medico-legale, dall'altro, si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato (cfr. Cass., Sez. Lav., 25614/2020; Cass. civ., 25164/2020). Il danno morale, quindi, non può automaticamente individuarsi in una frazione del danno biologico e deve essere allegato e provato dall'attore nella sua ontologica esistenza anche quando derivante da fatto astrattamente costituente reato, non potendosi ammettere l'esistenza di un danno "in re ipsa" (cfr. Cass. 29206/2019). Nel caso di specie, l'attrice non ha allegato in cosa il danno morale sarebbe consistito, ritenendo riconoscibile il danno morale come frazione del danno biologico. Quanto, infine, al danno esistenziale, deve ribadirsi che la parte che chieda il risarcimento per pregiudizi ulteriori rispetto a quelli già forfettariamente compensati con la liquidazione attraverso i meccanismi tabellari, deve allegarne specificamente la consistenza, indicando circostanze che incidano su aspetti "eccezionali" e non semplicemente quotidiani della vita, tali, per caratteristiche, dimensione od intensità ed in relazione alle proprie particolari condizioni di vita, da porli al di fuori delle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età (Cass. 24155/2018). In difetto, pertanto, di simile allegazione e prova, la pretesa relativa va disattesa. Il danno non patrimoniale sofferto dalla (...) per effetto dell'infortunio del 29.1.2017 va, pertanto, quantificato in Euro 48.573,00. Trattandosi di danno stimato all'attualità, su esso non dovrà computarsi rivalutazione monetaria dalla data dell'illecito, ma andranno riconosciuti gli interessi sulla somma alla data dell'illecito devalutata e annualmente rivalutata fino al momento della presente decisione (cfr. Cass. 24.10.2008, n. 25734; Cass. S.U. 17.02.1995, n. 1712), oltre interessi ulteriori dalla data della presente decisione fino al soddisfo. Quanto al danno patrimoniale, il CTU ha quantificato in Euro 1.098,00 le spese documentate da parte attrice, ritenendole congrue rispetto alle lesioni riportate e causalmente riconducibili al sinistro oggetto di causa. Anche tale voce di danno va, pertanto, riconosciuta in favore dell'attrice. Trattandosi di danno non stimato all'attualità, su tale voce andranno riconosciuti tanto gli interessi dalla data dell'illecito quanto la rivalutazione monetaria fino alla data della presente decisione. Dalla data della presente decisione fino al soddisfo decorreranno invece i soli interessi al tasso legale. Non vi è prova di ulteriori pregiudizi di natura patrimoniale, pure invocati dall'attrice. Il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, infatti, non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica, sicché è onere del danneggiato - per consentire al giudice di procedere ad una liquidazione del danno patrimoniale futuro con criteri presuntivi, e ciò anche nei casi in cui la ricorrenza dello stesso risulti altamente probabile per l'elevata percentuale di invalidità permanente - supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei alla prova del pregresso effettivo svolgimento di attività economica, ovvero del possesso di una qualificazione professionale acquisita e non ancora esercitata (Cass. 14517/2015; Cass. 4673/2016); onere certamente non assolto nel caso specifico. 5. Sulla domanda di garanzia di (...). (...), nel costituirsi tempestivamente in giudizio, ha chiesto, in caso di condanna, di essere manlevato da (...) ass.ni, quale compagnia assicuratrice per la responsabilità civile della (...), di cui il medesimo (...) ha dedotto di fare parte. Non essendovi, pertanto, contestazione sul titolo sotteso alla domanda di garanzia, (...) ass.ni va condannata a mantenere indenne il convenuto dagli esborsi legati alla presente decisione, detratta la franchigia pattuita, destinata a restare a carico dell'assicurato (euro 250,00 a sinistro). 6. Sulle spese del giudizio. Le spese di lite nel rapporto tra l'attrice e il convenuto (...) seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, sulla base del "decisum" e non del "disputatum", avendo la domanda attorea trovato accoglimento in misura inferiore rispetto a quanto richiesto nell'atto introduttivo (Cass., Sez. Un., 19014/2007). Sono ritenuti congrui i medi tabellari, in ragione delle caratteristiche concrete del giudizio. Viene, altresì, disposto il pagamento in favore dell'erario, in ragione dell'ammissione della parte vittoriosa al patrocinio a spese dello Stato (non potendosi tenere conto, in presenza di ammissione al patrocino a spese dello Stato, dell'istanza di distrazione del difensore costituito: Cass., Sez. Un., 8561/2021). Le spese di CTU, come liquidate con decreto emesso in corso di causa, sono poste definitivamente a carico del soccombente (...), con obbligo per quest'ultimo di rifondere all'attrice quanto versato a tale titolo. Anche rispetto alle spese di lite sussiste obbligo di manleva a carico della terza chiamata (...) spa. Le spese seguono, infine, la soccombenza anche nel rapporto tra l'attrice e l'(...), in ragione dell'accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva e dell'ingiustificata partecipazione al giudizio di tale soggetto. La obiettiva peculiarità della vicenda (con riferimento alla qualificazione giuridica dell'associazione, ai fini dell'individuazione di una sua responsabilità in relazione ai fatti denunciati dall'attrice) legittima, tuttavia, la compensazione delle spese in misura di 1/2. P.Q.M. Il Tribunale di Cosenza, sezione seconda civile, in composizione monocratica e nella persona del giudice dott.ssa Giusi Ianni, definitivamente pronunciando nel processo in epigrafe, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: 1. dichiara la responsabilità di (...) in ordine ai fatti descritti nell'atto introduttivo e, per l'effetto, condanna il predetto convenuto al risarcimento del danno in favore di (...), che quantifica in Euro 48.573,00 per danno non patrimoniale oltre interessi da computarsi come indicato in parte motiva ed Euro 1.098,00 per danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria e interessi fino alla data della presente decisione ed interessi successivi fino al soddisfo; 2. condanna il convenuto (...) alla rifusione, in favore di parte attrice, delle spese e competenze del presente giudizio, per un importo complessivo di Euro 7.616,00 per onorari, oltre rimborso forf. spese generali, IVA e CPA come per legge sulle voci imponibili, da corrispondersi in favore dell'erario in ragione dell'ammissione dell'attrice al patrocinio a spese dello Stato; 3. pone definitivamente a carico del convenuto (...) le spese di ctu, come liquidate con decreto emesso in corso di causa, con obbligo di rifondere all'attrice quanto versato a tale titolo; 4. in accoglimento della domanda di garanzia interposta da (...), condanna (...) spa, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a tenere indenne il convenuto di quanto dovessero pagare all'attrice per capitale, interessi e spese in esecuzione della presente sentenza, detratta la franchigia pattuita di Euro 250,00; 5. dichiara, rispetto alla domanda dell'attrice, il difetto di legittimazione passiva dell'(...); 6. condanna l'attrice alla rifusione della metà delle spese e competenze di lite in favore della associazione convenuta, che liquida in Euro 3.808,00 (su Euro 7.616,00) per onorari, oltre rimborso forf. spese generali, IVA e CPA come per legge; 7. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Cosenza il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COSENZA SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Vincenzo Lo Feudo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6701/2022 RGAL TRA (...), rappresentata e difesa dagli avv. GI.RI., WA.MI., NI.ZA., FA.GA. e ID.ME. ricorrente E MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dalle dott.sse SE.RO. e SE.CI. resistente FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente notificato (...), docente precaria, conveniva in giudizio il Ministero dell'Istruzione e del Merito, deducendo di aver lavorato a termine negli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023 (attualmente in servizio presso l'(...) di (...), in provincia di Cosenza) senza tuttavia fruire della carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione dei docenti di ruolo delle istituzioni scolastiche, prevista dall'l'art. 1 comma 121, L. 13 luglio 2015, n. 107, per un importo di Euro 500,00. Rilevava che la "carta docente" è assegnata ai docenti di ruolo a tempo indeterminato delle istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute di cui all'art. 514 del D.Lgs. del 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati, i docenti nelle scuole all'estero, delle scuole militari, con esclusione, pertanto, dei docenti a tempo determinato. Lamentava che la disciplina dettata in materia determina una discriminazione vietata dalla clausola 4 dell'accordo quadro del 18.03.1999 e deduceva il contrasto della normativa con gli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione. Concludeva con una richiesta di condanna del Ministero alla corresponsione dell'importo nominale di Euro 500,00 per ciascuno degli anni scolastici sopra indicati. Il Ministero dell'Istruzione e del Merito si costituiva e prendendo atto dei recenti interventi della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, aderiva alla domanda, chiedendo la compensazione delle spese di lite. All'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa con sentenza contestuale ex art. 429 c.p.c. Rileva il Giudice che il ricorso è fondato e merita di essere accolto per le ragioni indicate dal Tribunale di Vercelli nella sentenza in data 22.09.2022, che qui si richiama integralmente anche ai fini dell'art. 118 disp. att. c.p.c.. L'art. 282 del D.Lgs. n. 297 del 1994 ("Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado") statuisce che "L'aggiornamento è un diritto-dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente. Esso è inteso come adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per singole discipline e nelle connessioni interdisciplinari; come approfondimento della preparazione didattica; come partecipazione alla ricerca e alla innovazione didattico -pedagogica". L'art. 28 del Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto Scuola del 4 agosto 1995 dispone che "la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per i capi di istituto e per il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario, in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle rispettive professionalità, anche in relazione agli istituti di progressione professionale previsti dal presente contratto". L'art. 63 del successivo C.C.N.L. del Comparto Scuola del 27 novembre 2007 ribadisce che "1. La formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane. L'Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio....". L'art. 1, commi 121 - 124, della L. n. 107 del 2015 prevede: "121. Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il MIUR, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile. 122. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il MIUR e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i criteri e le modalità di assegnazione e utilizzo della Carta di cui al comma 121, l'importo da assegnare nell'ambito delle risorse disponibili di cui al comma 123, tenendo conto del sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, nonché le modalità per l'erogazione delle agevolazioni e dei benefici collegati alla Carta medesima. 123. Per le finalità di cui al comma 121 è autorizzata la spesa di Euro 381,137 milioni annui a decorrere dall'anno 2015. 124. Nell'ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell'offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al D.(...) 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del MIUR., sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria." L'art. 2 del D.P.C.M. 23 settembre 2015 (in GU n. 243 del 19.10.2015), recante le "Modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado", ha poi sancito che "1. I docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, hanno diritto all'assegnazione di una Carta, che è nominativa, personale e non trasferibile. ... 4. La Carta è assegnata, nel suo importo massimo complessivo, esclusivamente al personale docente a tempo indeterminato di cui al comma 1. Nel caso in cui il docente sia stato sospeso per motivi disciplinari è vietato l'utilizzo della Carta e l'importo di cui all'art. 3 non può essere assegnato nel corso degli anni scolastici in cui interviene la sospensione. Qualora la sospensione intervenga successivamente all'assegnazione dell'importo, la somma assegnata è recuperata a valere sulle risorse disponibili sulla Carta e, ove non sufficienti,sull'assegnazione dell'anno scolastico successivo. Il MIUR disciplina le modalità di revoca della Carta nel caso di interruzione del rapporto di lavoro nel corso dell'anno scolastico. 5. La Carta deve essere restituita all'atto della cessazione dal servizio." L'art. 2 del D.L. n. 22 del 2020 ha statuito "3. In corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell'emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione, potendo anche disporre per l'acquisto di servizi di connettività delle risorse di cui alla Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di cui all'articolo 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015.". Il contesto normativo dell'Unione rilevante nella specie è rappresentato in primis dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE), in particolare: Clausola 4 dell'Accordo Quadro "Principio di non discriminazione" al punto 1 stabilisce: "per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato a meno che non sussistano ragioni oggettive" Clausola 6 dell'Accordo Quadro "Informazione e possibilità di impiego" al punto 2 prevede: "Nella misura del possibile, i datori di lavoro dovrebbero agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentare le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale". Richiamata la normativa di riferimento va detto che risulta pacifico che la controversia verta su un rapporto di lavoro a tempo determinato comparabile a quello dei lavoratori a tempo indeterminato, essendo controverso tra le parti unicamente se il bonus annuale di Euro 500,00 rientri nelle "condizioni di impiego" ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro. Mentre infatti il Ministero, valorizzando l'originaria dichiarata finalità di aggiornamento e formazione della somma di 500 Euro di cui all'art. 1 comma 121 della L. n. 107 del 2015, propone un'interpretazione letterale e restrittiva della disposizione di cui trattasi, la parte ricorrente fonda la propria domanda su una interpretazione estensiva della disposizione, in quanto la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro mira ad applicare tale principio ai lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti che sono riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (v. in quest'ultimo senso richiama le sentenze del 20 dicembre 2017, V.G. C -158/16, punto 28, e del 21 novembre 2018, de D.P., C -619/17, punto 55). La CGUE, sesta sezione, con ordinanza 18.5.2022 nella causa C-450/2021, ha statuito che "La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero dell'istruzione, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di EUR 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, mediante una carta elettronica che può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, ad altre attività di formazione e per l'acquisto di servizi di connettività al fine di assolvere l'obbligo di effettuare attività professionali a distanza" (vedi punto 48 ordinanza). Alla luce delle argomentazioni svolte a sostegno della statuizione adottata dalla CGUE non può questo Giudice più dubitare della riconducibilità della "Carta Elettronica del docente" alle "condizioni di impiego", di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e conseguentemente "della differenza di trattamento tra docenti a tempo indeterminato e i docenti assunti nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo determinato, in quanto questi ultimi non beneficiano del vantaggio finanziario di cui al procedimento principale" (punto 43, ordinanza citata). Dirimente è quanto argomentato dalla Corte ai punti 33 e ss della ordinanza che qui si riportano testualmente: "33- ... per quanto riguarda la nozione di "condizioni di impiego" ai sensi di tale clausola 4, punto 1, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il criterio decisivo per determinare se una misura rientri in tale nozione è proprio quello dell'impiego, vale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il suo datore di lavoro (sentenza del 20 giugno 2019, (...), C-72/18, punto 25 e giurisprudenza ivi citata). 34- La Corte ha pertanto ritenuto che rientrino in detta nozione, tra l'altro, le indennità triennali per anzianità di servizio (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2010, (...) e (...), C-444/09 e C-456/09, punto 50, e ordinanza del 18 marzo 2011, (...), C-273/10, non pubblicata, punto 32), le indennità sessennali per formazione continua (v., in tal senso, ordinanza del 9 febbraio 2012, (...), C-556/11, non pubblicata, punto 38), la partecipazione a un piano di valutazione professionale e l'incentivo economico che ne consegue in caso di valutazione positiva (ordinanza del 21 settembre 2016, (...), C-631/15, punto 36), nonché la partecipazione a una carriera professionale orizzontale, che dà luogo a un'integrazione salariale (ordinanza del 22 marzo 2018, (...), C-315/17, non pubblicata, punto 47). 35- Nel caso di specie, ... risulta che l'indennità di cui al procedimento principale deve essere considerata come rientrante tra le "condizioni di impiego" ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro. 36- Infatti, conformemente all'articolo 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015, tale indennità è versata al fine di sostenere la formazione continua dei docenti, la quale è obbligatoria tanto per il personale a tempo indeterminato quanto per quello impiegato a tempo determinato presso il Ministero, e di valorizzarne le competenze professionali. Inoltre, dall'adozione del D.L. dell'8 aprile 2020, n. 22, il versamento di detta indennità mira a consentire l'acquisto dei servizi di connettività necessari allo svolgimento, da parte dei docenti impiegati presso il Ministero, dei loro compiti professionali a distanza ..." Ed ancora la Corte ha evidenziato come "38- La circostanza che la carta elettronica possa essere utilizzata anche per l'acquisto di beni e servizi che non siano strettamente correlati alla formazione continua non è quindi determinante ai fini della qualificazione dell'indennità di cui al procedimento principale come "condizione di impiego" (Cfr. in termini CGUE. ordinanza del 9 febbraio 2012, (...) C-556/11, punto 38, e, in senso conforme, CGUE 12 dicembre 2013, C. C-361/12, punto 35, 5 giugno 2018, G.N.F. C-574/16, punto 41, ordinanze del 21 settembre 2016, (...) C-631/15, punto 34, e 22 marzo 2018, (...) C-315/17, punto 45.). Avverso l'attribuzione della "Carta Elettronica del docente" al personale precario non pare possa neppure richiamarsi la sua natura strumentale all'attività di formazione del docente, in quanto tutti gli insegnanti, sia quelli di ruolo che quelli assunti con contratti a termine, svolgono le stesse mansioni e hanno l'obbligo di svolgere la medesima attività di aggiornamento e di qualificazione delle proprie competenze professionali. Al riguardo giova evidenziare come anche il Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 1842/2022 ha riconosciuto che "L'interpretazione di tali commi deve, cioè, tenere conto delle regole in materia di formazione del personale docente dettate dagli artt. 63 e 64 del C.C.N.L. di categoria: regole che pongono a carico dell'Amministrazione l'obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, "strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio" (così il comma 1 dell'art. 63 cit.). E non vi è dubbio che tra tali strumenti debba essere compresa la Carta del docente di tal ché si può per tal via affermare che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato ? sussiste, infatti, un'indiscutibile identità di ratio - la già ricordata necessità di garantire la qualità dell'insegnamento" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VII, n. 1842/2022, annulla il D.P.C.M. n. 32313 del 2015, giusta interpretazione costituzionalmente orientata della L. n. 107 del 2015 con riconoscimento del bonus di 500 anche al personale assunto a tempo determinato, stante la contrarietà di detta esclusione agli artt. 3, 35 e 97 Cost. e con gli artt. 29, 63 e 64 del C.C.N.L. del 29/11/2007, secondo cui l'obbligo formativo grava anche sui docenti precari). La CGUE ha, inoltre, chiarito come "Il diverso trattamento di cui al procedimento principale non potrebbe essere giustificato neppure dall'obiettivo di garantire la stabilità del rapporto dei docenti a tempo indeterminato (punto 44, ordinanza), poiché tale indennità viene erogata anche ai docenti in prova, che conseguono la stabilità solo dopo il superamento di un periodo di prova e come "il riferimento alla mera natura temporanea del lavoro degli impiegati amministrativi a contratto, come la signora C.U., non è conforme a tali requisiti e non può dunque costituire di per sé una ragione oggettiva, ai sensi della clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro. Infatti, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato priverebbe di contenuto gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell'accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza del 20 giugno 2019, (...), C-72/18, EU:C:2019:516, punto 41 e giurisprudenza ivi citata)." Conclusione analoga per il Consiglio di Stato che nel recente pronunciamento ha rimarcato che la mancata attribuzione anche ai lavoratori precari del bonus di Euro 500,00 ingenera una "discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), ... la lesione del principio di buon andamento della P.A.: invero, ... nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l'erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell'insegnamento fornito agli studenti (Cons. Stato, Sez. VII, n. 1842/2022). Va ricordato che le sentenze interpretative della CGUE, precisando il significato e la portata del diritto dell'UE, hanno effetto retroattivo, salvo il limite dei rapporti ormai esauriti, efficacia "erga omnes" nell'ambito dell'Unione ( Cass. Sez. Civ. Ordinanza n. 2468 del 08/02/2016, e in termini: Cass. civ., sez. lav., 15/10/2020, n. 22401, e Cass. civ., sez. lav., 17/05/2019, n. 13425) e sono vincolanti per i giudici nazionali che sono così tenuti a disapplicare la normativa interna contrastante con la normativa eurounitaria (Cfr. CGUE. Grande Sez. 22.2.2022, causa C-430/21, 38 e ss). Non può, pertanto, questo Giudice che disapplicare l'art. 1 della L. n. 107 del 2015 (i D.P.C.M. del 23 settembre 2015 e del 28 novembre 2016, applicativi di tal disposizione, sono stati nelle more della decisione della CGUE annullati dal Consiglio di Stato con l'ordinanza citata) nella parte in cui non riconosce la usufruibilità della "Carta Elettronica del docente" anche dal personale docente assunto con contratto a tempo determinato. Va così dichiarato il diritto della ricorrente "ad usufruire del beneficio economico di Euro 500,00 annui, tramite la "Carta elettronica" per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, di cui all'art. 1 della Legge n. 107/2015", ossia con le medesime modalità con cui è stata attribuita ai docenti a tempo indeterminato, mediante accreditamento della somma di 1.500,00 Euro (Euro 500,00 per ciascun anno) sulla carta elettronica del docente per gli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, non potendosi procedere alla richiesta compensazione, posto che alla adesione alla domanda non è seguito un riconoscimento concreto del diritto azionato. P.Q.M. Accerta il diritto della ricorrente ad usufruire del beneficio economico di Euro 500,00 annui, tramite la "Carta elettronica" per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, di cui all'art. 1 della L. n. 107 del 2015, per gli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023 e, per l'effetto, condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito a provvedere in tal senso. Condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida in Euro 1.030,00, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario, con distrazione. Così deciso in Cosenza il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2023.

  • TRIBUNALE DI COSENZA Seconda Sezione Civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Cosenza, seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott.ssa Giusi Ianni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4656 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021 e vertente TRA (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Acri (CS) alla Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), da cui è rappresentata e difesa giusta procura in calce all'atto introduttivo - ATTRICE - E (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Acri (CS), alla Via (...), presso lo studio dell'avv. (...), da cui è rappresentata e difesa in forza di mandato materialmente congiunto alla comparsa di costituzione - CONVENUTA - OGGETTO: servitù. CONCLUSIONI Come da verbale di udienza del 23.1.2023. PREMESSO IN FATTO Con l'atto introduttivo del giudizio (...), premesso di avere ottenuto nei confronti di (...) e (...) sentenza (n. 1524/2020) che riconosceva l'esistenza in favore della sua proprietà e a carico della proprietà delle controparti di una servitù di passaggio, chiedeva effettuarsi il medesimo accertamento nei confronti di (...), divenuta proprietaria del fondo servente in forza di atto pubblico a rogito notaio (...) del 26.9.2017; ciò sul presupposto dell'inopponibilità all'odierna convenuta della sentenza n. 1524/2020, in ragione della mancata trascrizione della domanda. Si costituiva in giudizio (...), osservando che in forza dell'inopponibilità della sentenza n. 1524/2020, ella aveva acquistato il preteso fondo servente libero da pesi e gravami, non risultando la servitù evocata neppure nell'atto di trasferimento in suo favore. La causa era istruita solo documentalmente - venendo disattese le istanze istruttorie delle parti - e trattenuta in decisione in data 23.1.2023, previa concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. RITENUTO IN DIRITTO 1. La domanda è fondata e va accolta per le ragioni che seguono. 1.1 Pacifico e documentalmente riscontrabile è che nell'ambito di altro contenzioso svoltosi dinanzi a questo Tribunale (n. 5245/2014 Rg) (...) agiva nei confronti di (...) e (...) al fine di sentir accertare e dichiarare l'esistenza di una servitù di passaggio a vantaggio del terreno di sua proprietà - sito in Acri, distinto al catasto al foglio (...), p.lle (...) - e a carico della proprietà dei convenuti, catastalmente identificata al foglio (...), p.lla (...), con condanna dei convenuti medesimi alla cessazione degli impedimenti e turbative all'esercizio di detta servitù oggetto di actio confessarla. Con sentenza del 12.9.2020 (n. 1524/2020) questo Tribunale accoglieva la domanda, ritenendo sostanzialmente non contestata, per quanto qui rileva, l'esistenza della servitù da parte dei convenuti e infondata l'eccezione di prescrizione sollevata da questi ultimi. Pacifico, altresì, è che il fondo servente oggetto dell'actio confessarla servitutis fosse trasferito nel corso del giudizio n. 5245/2017 a (...), con atto di compravendita a rogito notaio (...) del 26.9.2017, trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale (che non aveva luogo). La sentenza emessa a definizione del processo n. 5245/2017 non è, quindi, opponibile a (...), posto che l'art. 111 c.p.c. nel fissare il principio per cui in caso di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso nel corso del processo la sentenza emessa nei confronti del dante causa è opponibile anche al successore, fa salve le norme sull'acquisto in buon fede dei mobili e sulla trascrizione in caso di trasferimenti immobiliari. Di ciò, d'altra parte, sembra essere consapevole la stessa attrice, che chiede effettuarsi un accertamento autonomo dell'esistenza della servitù nei confronti dell'acquirente del fondo servente (accertamento certamente ammissibile, in forza della regola generale di cui all'art. 100 cpc). Va, quindi, osservato che nel nostro ordinamento la costituzione di una servitù può avvenire solo in uno dei modi previsti dalla legge, vale a dire contratto, testamento, usucapione o destinazione del padre di famiglia. Trattandosi poi di diritto autodeterminato, individuati, cioè, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto sì come rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto con conseguente necessità di identificare la "causa petendi" delle relative azioni giudiziarie con i diritti stessi e non con il relativo titolo che ne costituisce la fonte, il giudice può porre a fondamento della decisione anche un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato dall'attore (Cass. 23565/2019 tra le tante). Non è possibile, invece, di fronte alla domanda di accertamento di una servitù volontaria accertare una servitù coattiva, anche in ragione del fatto che quest'ultima postula una domanda contestualmente proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via. Ciò posto, l'attrice ritiene esistente una servitù a favore della sua proprietà in forza di titolo contrattuale (in quanto ella acquistava la proprietà del fondo dominante in forza di donazione da parte di (...), che con separato atto aveva donato a (...) il fondo servente, riservando per sé e per i suoi aventi causa a qualsiasi titolo di passaggio a piedi e con mezzi meccanici sull'esistente strada che attraversa l'appezzamento donato); nonché in ogni caso per destinazione del padre di famiglia, in quanto tanto la proprietà dell'attrice, quanto la proprietà della convenuta erano derivate dall'originaria p.lla (...), in origine di proprietà di (...) che aveva lasciato le cose nello stato di fatto dal quale risulta la servitù. Orbene, si evince dagli atti che con donazione del 13.8.1986 (...) donava a (...) il terreno catastalmente identificato al fg. (...) p.lla (...), confinante (tra l'altro) con restante proprietà del donante, riservando in suo favore e dei suoi aventi causa il diritto di passaggio sia a piedi che con mezzi meccanici "sull'esistente strada che attraversa l'appezzamento donato lungo il confine con (...) e i coniugi (...)". La donazione era trascritta e anche nella nota di trascrizione era riportata la servitù da favore della residua proprietà del donante, sicché va disattesa sul punto ogni difesa di parte convenuta con riferimento al titolo costitutivo della servitù. Con successiva donazione del 13.3.2013, il medesimo (...) donava a (...) l'appezzamento di terreno catastalmente identificato al fg. (...), p.lle (...), nello stato di fatto esistente, inclusivo di ogni servitù. Con contratto del 17.1.2008, (...) trasferiva a (...) e (...) la proprietà della p.lla (...). Non si dava atto, nel predetto contratto, di servitù a carico del predetto fondo, indicato anzi come libero da ogni peso. Infine, (...) e (...) con contratto del 26.9.2017 trasferivano il preteso fondo servente a (...). Anche in questo atto si dava atto che il terreno era libero da gravami e diritti pregiudizievoli, avvertendosi, tuttavia, l'acquirente della pendenza del giudizio n. 5254/2014 Rg dinanzi al Tribunale di Cosenza, per l'accertamento dell'esistenza di una servitù a carico del fondo compravenduto e a favore della proprietà di (...); giudizio del cui esito l'acquirente accettava il rischio, con esonero tuttavia di qualsiasi onere economico che restava a carico dei venditori. Così ricostruita la documentazione in atti, deve osservarsi che la servitù volontariamente costituita, per essere opponibile all'avente causa dell'originario proprietario del fondo servente, deve essere stata trascritta o, in alternativa, espressamente menzionata nell'atto di trasferimento al terzo del fondo medesimo, rimanendo, altrimenti, vincolante solo tra le parti (Cass. 9457/2011; Cass. 21501/2018). In forza, quindi, dell'ambulatorietà delle servitù e del loro carattere prediale, la mancata menzione nell'atto di trasferimento dell'esistenza della servitù non impedisce che essa si trasferisca all'acquirente, purché sia stato trascritto l'originario titolo (ferma poi ogni questione risarcitoria o, eventualmente, di risoluzione contrattuale connessa all'omessa informazione circa l'esistenza della servitù da parte del proprietario del fondo servente, che non è materia del presente giudizio). Se così è, stante la regolare trascrizione del titolo costitutivo della servitù a carico della p.lla (...) (rappresentato dal contratto di donazione tra (...) e (...)), la stessa si è trasferita anche ai successivi aventi causa da (...), inclusa l'odierna convenuta. La domanda degli attori va, conseguentemente accolta, con condanna della convenuta alla cessazione di ogni impedimento e turbativa all'esercizio della servitù riconosciuta esistente con la presente pronuncia. Resta assorbita ogni diversa questione (non potendosi in particolare prendere in esame il profilo della prescrizione della servitù, a cui pure sembra fare riferimento la convenuta nei propri scritti difensivi, stante l'intempestività della costituzione in giudizio ai fini della proposizione di eccezioni di merito non rilevabili d'ufficio). 2. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in relazione al valore della controversia e in applicazione dei medi tabellari che appaiono congrui rispetto alle caratteristiche concrete del processo, salvo per quanto riguarda la fase istruttoria rispetto alla quale appaiono giustificati i minimi, essendo unica attività remunerabile il deposito di memorie ex art. 183 comma 6 cpc. P.Q.M. Il Tribunale di Cosenza, sezione seconda civile, in composizione monocratica e nella persona del giudice dott.ssa Giusi Ianni, definitivamente pronunciando nel processo in epigrafe, ogni contraria istanza, eccezione e difesa disattese, così provvede: 1. Accoglie la domanda di (...) e per l'effetto accerta l'esistenza di una servitù di passaggio a vantaggio del fondo di proprietà della (...) (in Acri, catastalmente identificata al fg. (...), p.lle (...)) e a carico della proprietà di (...) (catastalmente identificata al fg. (...), p.lla (...)), condannando per l'effetto la convenuta alla cessazione di ogni impedimento e turbativa all'esercizio della predetta servitù; 2. Condanna la convenuta alla rifusione in favore dell'attrice delle spese e competenze del giudizio, che si liquidano in euro 277,29 per spese ed euro 4.237,00 per onorari, oltre rimborso forf. spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del difensore costituito dichiaratosi antistatario; 3. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Cosenza, 24 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale ordinario di Cosenza, Prima Sezione Civile, in persona del giudice Marzia Maffei, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 1477/2020 R. G. promossa da (...), c.f. (...) , con il patrocinio dell'Avv. Carla Celebre, nel cui studio in Cosenza, Via V. Bachelet 3 è elettivamente domiciliato giusta procura in atti; parte attrice contro (...), SOCIETE' (...), in p.l.r.p.t.; (...) S.R.L. in p.l.r.p.t., c.f. (...); parte convenuta contumace OGGETTO: vendita beni di consumo-risarcimento del danno prodotto difettoso. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Nei limiti della dovuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in termini succinti ed essenziali (artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att., c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. Con atto di citazione del 16 aprile 2020, ritualmente notificato in data 26 maggio 2020, (...) ha evocato in giudizio innanzi all'intestato Tribunale la società (...) S.r.l., quale venditore del veicolo Peugeot Partner Outdoor 1.6. HDi 115 CV FAP, tg (...), nonchè l'(...), Société A., quale produttore del veicolo suddetto, al fine di: "Sentire accertare e dichiarare che l'incendio, avvenuto in data 28 maggio 2017 in Montalto Uffugo (CS) alla Via (...), ha avuto origine dell'autovettura (...) 1.6. HDi 115 CV FAP, tg (...), di proprietà del Sig. (...), a causa di un difetto di fabbricazione del veicolo medesimo; conseguentemente, accertare e dichiarare che la (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in R. (C.) C.), Via (...) e l'(...), Société A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 7 (...), sono responsabili, solidalmente, dei danni subiti dal Sig. (...) a causa dell'incendio dell'autovettura Peugeot di sua proprietà; -per l'effetto, condannare la (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in R. (C.), Via (...) e l'(...), Société A nonyme, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 7 (...), in solido tra loro, al pagamento in favore del Sig. (...) della somma complessiva di Euro 190.643,74, a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi e rivalutazione monetaria". A sostegno della domanda risarcitoria ha dedotto segnatamente: di aver acquistato, per uso personale, in data 25 giugno 2014 il veicolo Peugeot Partner Outdoor 1.6. HDi 115 CV FAP, tg (...) presso il rivenditore (...); che in data 28 maggio 2017, intorno alle 14:30, l'autovettura regolarmente parcheggiata a motore spento sotto il porticato della propria abitazione in Montalto Uffugo veniva distrutta da un incendio propagatosi dalla parte anteriore del veicolo, interessando altri due mezzi, un autocarro (...) di sua proprietà, nonché la FIAT PUNTO di proprietà di terzo soggetto, parcheggiati in prossimità del veicolo in fiamme; che l'incendio si estendeva al magazzino prospiciente il corpo avanzato utilizzato come deposito per la propria attività commerciale avente ad oggetto la vendita di biancheria, distruggendo la merce in esso contenuta e danneggiando altresì il fabbricato antistante il parcheggio; che i Vigili del Fuoco e i Carabinieri intervenuti sul posto, all'esito delle verifiche effettuate anche mediante acquisizione dei filmati delle telecamere installate lungo il perimetro dello stabile interessato dalle fiamme, escludevano l'ipotesi dolosa dell'incendio; che l'evento incendiario, non potendo essere stato neppure provocato da comportamenti diligenti del proprietario del veicolo, in considerazione della regolarità della manutenzione della vettura, periodicamente eseguita presso la concessionaria autorizzata, doveva essere necessariamente ascritto a vizio di fabbricazione del veicolo. Ha pertanto concluso, previo accertamento del vizio strutturale e funzionale del veicolo, in via contrattuale quale consumatore nei confronti del venditore, ed in via extracontrattuale nei confronti del produttore, per la condanna ai sensi degli artt. 123 e 127 del D.Lgs. n. 206 del 2005, 1490 c.c. e 2043 c.c., al risarcimento dei danni subiti a causa del veicolo difettoso. Vinte le spese di lite. La causa, nella contumacia delle convenute che hanno inteso disertare il dialogo processuale, sebbene ritualmente evocate in giudizio, istruita in via documentale, mediante ordine di esibizione alla (...) srl delle schede di intervento sul mezzo di cui trattasi, prova orale e ctu tesa ad accertare cause del sinistro e quantificare i relativi danni, è stata rinviata per la discussione e decisione per l'udienza del 12 gennaio 2022. In questa sede la scrivente ha invitato parte attrice alla produzione del contratto di acquisto del veicolo, onde verificare l'applicabilità della legislazione consumeristica e rinviato la causa all'udienza del 23 febbraio 2023, riservando all'esito sulla eventuale convocazione a chiarimenti del CTU. All'udienza del 23 febbraio 2023, acquisito il contratto de quo (e depositata autonomamente documentazione attestante le spese necessarie al la custodia dei veicoli di sua proprietà presso l'officina (...) S.r.l.) la causa è stata quindi trattenuta in decisione, previa concessione di termine di giorni 30 per il deposito di memorie conclusionali. Così succintamente ricostruita la vicenda contenziosa, deve in via preliminare essere asseverata la sussumibilità della azione risarcitoria esperita dall'attore nei confronti delle convenute nell'alveo dell'azione risarcitoria di cui al Codice del Consumo. E' infatti noto che "in tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell'art. 1469 bis c.c. (ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con D.Lgs. n. 206 del 2005), la qualifica di consumatore spetta solo alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua del semplice consumatore soltanto allorché concluda un contratto per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio di dette attività; correlativamente devono essere considerate professionisti tanto la persona fisica quanto quella giuridica, sia pubblica sia privata, che utilizzino il contratto non necessariamente nell'esercizio dell'attività propria dell'impresa o della professione, ma per uno scopo connesso all'attività imprenditoriale o professionale"(Cass. 8419/2019). Infatti, "in tema di contratti del consumatore, ai fini della identificazione del soggetto avente diritto alla tutela del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005) non assume rilievo che la persona fisica rivesta la qualità di imprenditore o di professionista, bensì lo scopo perseguito al momento della stipula del contratto, con la conseguenza che anche l'imprenditore individuale o il professionista vaconsiderato "consumatore" allorché concluda un negozio per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale" (Cass. 6578/2021). Nel caso in esame l'attore ha addotto un acquisto di veicolo per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale e la circostanza non è stata smentita da emergenze di segno contrario. Essendo pacifica la riconducibilità alla fattispecie invocata, avente ad oggetto un contratto di compravendita di un bene di consumo (v. art. 128, comma 2, del Codice del Consumo), ossia un'autovettura, concluso tra un consumatore ed un professionista, giova quindi richiamare la disciplina normativa applicabile alla vendita di beni di consumo prevista agli artt. 128 ss. del Codice del Consumo (in passato, disciplinata dagli art. 1519 bis ss. c.c., in attuazione della direttiva europea 1999/44/CE). La normativa in materia distingue la figura del produttore (definito dal D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 115, comma 2 bis) da quella del venditore (v. D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 128, comma 1, lett. b), quest'ultimo individuato nell'ambito della disciplina del contratto di vendita. Il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 131, al primo comma stabilisce che il venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva; al secondo comma stabilisce che il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, può agire, entro un anno dall'esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato. Dalla norma si desume chiaramente che l'obbligato nei confronti del consumatore è il venditore e non il produttore il quale è semplicemente esposto all'azione di regresso nei confronti dei soggetti ivi indicati. Il cliente finale (il consumatore) non può agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (il venditore finale), ultimo anello della catena distributiva e suo dante causa e che è, appunto, il soggetto con il quale ha contrattato. L'art. 131 del codice del consumo, pertanto, recepisce i principi affermati dalla Corte di Cassazione sulle vendite a catena secondo i quali nelle cosiddette vendite "a catena" spettano all'acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l'autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori (restando salva l'azione di rivalsa del rivenditore nei confronti del venditore intermedio); quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell'altrui sfera giuridica (Cass. 11612/2005; Cass. 26514/2009; Cass. 2115/2015). Tuttavia l'art. 133, non deroga ai principi di cui al precedente art. 131, per i quali il cliente finale (il consumatore) non può agire direttamente verso uno (qualsiasi) dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgesi al suo immediato venditore (il venditore finale), ultimo anello della catena distributiva e suo dante causa e che è, appunto, il soggetto con il quale ha contrattato. Al di fuori di queste ipotesi di responsabilità contrattuale residua solo la responsabilità extracontrattuale del produttore ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, artt. 114 e 123. In tema di vendita di un bene di consumo opera in primis la disciplina speciale ex artt.128 e ss. D.Lgs. n. 206 del 2005 mentre le norme civilistiche in materia hanno un ruolo "secondario" e si applicano solo per quanto non previsto dalla disciplina consumeristica, per espressa voluntas legis (art.135/2 Cod. cons. - cfr. Cass.19/14775; Cass.20/13148). L'art. 135, comma 2, del codice del consumo prevede che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano "per quanto non previsto dal presente titolo". L'art. 1469 bis c.c., introdotto dall'art. 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo "Dei contratti in generale" "si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore". Esiste, dunque, nell'attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo "sussidiario" assegnato alla disciplina codicistica nel senso che trova applicazione innanzitutto la disciplina del codice del consumo (artt. 128 e segg.) mentre trova applicazione la disciplina in materia di compravendita solo per quanto non previsto dalla normativa speciale, attesa la chiara preferenza del legislatore per la normativa speciale ed il conseguente ruolo "sussidiario" assegnato alla disciplina codicistica (ex multis Cass. 14775/2019). Alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 c.c. e segg., in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono quindi, in una prospettiva di maggior tutela del contraente debole, gli strumenti predisposti dal codice del consumo. Orbene la responsabilità del venditore per inesatto adempimento postula che il cliente provi il fatto da cui possa desumersi il difetto di conformità presente ab origine, al momento della consegna (allo scopo di vincere il meccanismo presuntivo iuris tantum delineato dall'art.129/2 cod. cons.), le cause dello stesso e l'imputazione all'alienante (ex multis, Cass. 18/29828; Cass. 20/13148; Cass. 22/3695; Cass. 22/21084). Il consumatore che intende far valere la garanzia legale di conformità del bene acquistato devepertanto allegare e dimostrare lo specifico vizio asseritamente manifestato oltre i sei mesi dalla consegna (ma comunque entro i due anni) e deve denunciarlo al venditore entro due mesi dalla scoperta, a mente di quanto prescritto dall'art.132 cod. cons. vigente ratione temporis. Dal combinato disposto degli artt. 129 e segg. del summenzionato codice si desume dunque una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna. A questo proposito occorre rammentare che il Codice del Consumo all'art. 132 stabilisce che "salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data". Pertanto, la responsabilità dovrà ricadere sul "rivenditore" il quale, prima di consegnare l'autovettura, ha sempre l'obbligo di effettuare gli adeguati controlli sulla stessa affinché sia conforme a quanto riportato nel contratto di vendita, costituita da quanto ivi contenuto, ma anche da quanto pubblicizzato, dichiarato in presenza di testimoni e dalla ragionevole aspettativa del consumatore. A riguardo, la Direttiva EU 99/44/CE, introducendo una disciplina uniforme a tutela dei consumatori, stabilisce inoltre l'inversione dell'onere della prova dell'esistenza del difetto se questo si manifesta nei primi sei mesi dalla consegna. In ragione di ciò, non spetterà al compratore provare che il bene è difettoso, bensì al venditore dimostrare che il bene sia esente da vizi. La giurisprudenza di legittimità è ormai orientata ad attribuire alla responsabilità da prodotto difettoso natura non già oggettiva bensì presunta, in quanto prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Ed invero, ai sensi dell'art. 120 D.Lgs. n. 206 del 2005, incombe al soggetto danneggiato dare la prova del collegamento causale, non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno: solo una volta fornita tale prova, a norma dell'art. 118 dello stesso codice incombe sul produttore fornire la c.d. prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (da ultimo Cass. 11317/2022). Lo sforzo probatorio richiesto all'utilizzatore danneggiato è calibrato sulla definizione di "prodotto difettoso", fornita dall'art. 117, D.Lgs. n. 206 del 2005, a mente del quale "un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze...", (ed, in particolare, del modo con cui è stato messo in circolazione, della sua presentazione, delle sue caratteristiche palesi, delle istruzioni e delle avvertenze fornite; dell'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato; dei comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione). Ne discende che, una volta che il danneggiato abbia dimostrato che il prodotto ha evidenziato il difetto durante l'uso, che ha subito un danno e che quest'ultimo è in connessione causale con detto difetto, è il produttore che ha l'onere di provare che il difetto non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione. Il difetto, tuttavia, non si identifica "con la mancanza di una assoluta certezza o di una oggettiva condizione di innocuità dello stesso, ma con la mancanza dei requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze specificamente indicate dall'art. 5 o da altri elementi in concreto valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali, ovviamente, possono e debbono farsi rientrare gli standards di sicurezza eventualmente imposti dalle norme in materia" ..."In altre parole, può dirsi che il danno non prova indirettamente, di per sé, la pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego ma solo una più indefinita pericolosità del prodotto di per sé insufficiente per istituire la responsabilità del produttore se non sia anche in concreto accertato che quella specifica condizione di insicurezza del prodotto si pone al di sotto del livello di garanzia di affidabilità richiesto dalla utenza o dalle leggi in materia" (Cass. 25116/2010). Con impegno di sintesi, il nesso causale che l'attore è tenuto a provare non intercorre quindi tra il prodotto (o la sua utilizzazione) ed il danno che si è prodotto, bensì piuttosto tra il difetto ed il danno. E' bene rammentare che l'attore è gravato dall'onere di provare la sussistenza del vizio, sia se il caso sia inquadrato, sul piano sistematico, nell'alveo della vendita di beni di consumo, come nel caso di specie, che in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all'art. 1490 c.c. (Cass. 1218/2022; 34636/ 2021). Dunque, il difetto di conformità deve essere allegato e dimostrato. Secondo la Cassazione, la prova della difettosità può essere basata anche su presunzioni semplici, (purché siano gravi, precisi e concordanti, raggiungendo quindi una prova fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto) con l'avvertenza che "non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall'utilizzatore di un prodotto sia inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest'ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un'attitudine a produrre danno,tragga la certezza dell'esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all'utilizzazione del prodotto stesso (Cass. 25110/2017). Attingendo dalle suesposte coordinate ermeneutiche, la domanda attorea si profila infondata. Deve in via preliminare rilevarsi che l'asserito difetto di conformità del veicolo non solo non è stato mai denunciato alla venditrice (alla quale sono state soltanto inviate nel giugno 2017 e nell'aprile 2019 due missive contenenti richieste delle schede di intervento sul mezzo, rimaste inevase ma prive di alcun riferimento al sinistro de quo) ma si è pacificamente manifestato decorsi ampiamente i due anni dalla consegna (termine entro il quale la legge sancisce la responsabilità del venditore), non potendo quindi conseguentemente neppure applicarsi la presunzione di preesistenza della difettosità ex art. 132 del D.Lgs. n. 206 del 2005. Ciò premesso, non risulta che il consumatore abbia allegato e dimostrato uno specifico vizio da cui era affetta l'autovettura imputabile al venditore o al produttore. La peculiarità della fattispecie all'attenzione del Tribunale è invero che l'incendio dell'auto è un dato puramente effettuale, l'evento lesivo finale, indotto, potenzialmente ascrivibile, sia a vizi o difetti di conformità del bene, sia a cause estranee (Cass. 21084/2022). Deve pertanto accertarsi se, avuto riguardo alla piattaforma probatoria offerta dall'attore che, si ribadisce, non ha specificato il vizio di produzione, l'incendio occorso all'auto, per le modalità con le quali si è sviluppato, sia stato causato da un difetto di fabbrica del veicolo e a fattori esterni, quali fatto doloso del terzo o negligenza dell'acquirente. Invero, se le prove costituite (rapporti di intervento delle autorità intervenute sul posto) e quelle costituende (prova testi) hanno confermato l'evento incendiario nelle circostanze di tempo e di luogo indicate dal (...), costui ha affidato ad un quadro probatorio meramente indiziario la valutazione delle reali cause dell'incendio e dell''esistenza di eventuali responsabilità in capo alle società convenute, inferite "per esclusione" dalla natura non dolosa dell'incendio e dalla regolarità dei controlli sull'auto (in realtà sono stati acquisiti solo due rapporti di intervento e un tagliando, effettuati a febbraio e novembre 2016). E' stata quindi espletata ctu tesa a verificare la riconducibilità dell'incendio ad un difetto di conformità del veicolo. Orbene il ctu nominato ha individuato in un possibile innesco elettrico in un tratto di circuito direttamente alimentato dalla batteria la causa più probabile dell'evento incendiario. Tuttavia anche il corto circuito costituisce un evento indotto e non un difetto di conformità del bene. E l'ausiliario ha asseverato sul punto che "Non è possibile, allo stato, conoscere il punto di circuito esatto e le cause per cui questo si sia verificato", concludendo genericamente che la causa dell'incendio è "un'anomalia singola-episodica a carico dell'impianto elettrico". Il perito, premessa la difficoltà se non addirittura l'impossibilità, atteso il lungo lasso di tempo intercorso tra il sinistro e lo svolgimento delle indagini peritali, di riuscire a individuare tracce più o meno attendibili sulla generazione e cinematica iniziali dell'incendio in un contesto di analisi, quale quello relativo ai casi d'incendio su autoveicoli, già di per sé particolarmente complesso, relativamente al difetto di fabbricazione, quale possibile causa del sinistro, si è limitato in termini negativi e probabilistici, a "non poterlo escludere, relativamente allo specifico evento per cui è causa, considerato altresì che, nel corso di ricerche effettuate su statistiche di incendi relativi ad autovetture simili nell'ultimo decennio, non è stato possibile rilevare cause di frequenza superiori alle medie che avrebbero potuto avvalorare un difetto "di serie". Sicché, sulla scorta delle emergenze acquisite, la pur probabile verificazione di un corto circuito non può essere necessariamente attribuita ad un difetto di fabbricazione dell'autovettura, che non è stato escluso, ma nemmeno asseverato, anche in considerazione del fatto che parte attrice non ha mai fornito alcun riscontro sul punto, come - ad esempio - l'esistenza di un'eventuale azione di richiamo da parte della casa automobilistica Peugeot. Irrilevante è peraltro la circostanza, de relato, non solo mai dedotta negli scritti difensivi, ma riferita soltanto all'ausiliario durante le operazioni peritali, che il veicolo non aveva mai palesato problemi di alcuna entità "fatta eccezione per un "rumore" come generato da un attrito derivante dallo strisciamento di una parte rotante contro qualcosa, proveniente dal vano motore e notato durante la marcia" qualche tempo prima del sinistro. Trattasi invero di circostanza neutra non approfondita né dal (...) prima del sinistro, né appurata scientificamente dall'ausiliario. A ciò si aggiunga che nè le risultanze dell'accertamento effettuato dai Vigili del Fuoco - che non sono riusciti ad asseverare le presumibili cause del sinistro - né quelle dei carabinieri, i quali, sulla scorta dei filmati della videosorveglianza si sono limitati ad affermare che l'incendio "aveva verosimilmente avuto origine nella zona di porticato dove era parcheggiata l'autovettura Peugeot", escludendone la natura dolosa, hanno avuto un peso decisivo nella ricostruzione della causa dell'incendio. Sicché, quand'anche si stimi, aderendo alla prospettazione attorea, che l'incendio si sia sviluppato quale conseguenza di un corto circuito relativo all'impianto elettrico dell'autovettura, tale circostanza non è comunque necessariamente riconducibile ad un vizio o a un difetto di conformità del mezzo, in mancanza di alcuna allegazione e dimostrazione della sua ascrizione a simili causali. L'assoluta mancanza di prova in ordine al difetto del prodotto, rimasta sconosciuta anche all'esito di espletamento di perizia, d'altra parte, è idonea ad escludere anche la forma di responsabilità contrattuale fatta valere dall'attore nei confronti della venditrice (già preclusa perché esercitata dopo quasi tre anni dalla vendita del veicolo) atteso che, in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, l'onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la sussistenza della denunciata inadempienza (v. Cass. n. 18125/2013; Cass. n. 8963/1998) piuttosto che a cause estranee. In presenza di tale scarno quadro probatorio, deve escludersi che il consumatore abbia fornito quei riscontri idonei a dimostrare, anche in via indiziaria, che il corto circuito - evento indotto (e non un difetto di conformità) - sia dipeso certamente da un guasto o malfunzionamento intrinseco dell'autovettura piuttosto che da altre cause non ascrivibili al venditore e/o al produttore. Ne consegue il rigetto delle domande, con assorbimento di ogni ulteriore questione dedotta. Non deve statuirsi sulle spese attesa la contumacia delle convenute vittoriose. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunziando nella causa in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, cosi provvede: rigetta le domande attoree; nulla per le spese in favore delle convenute contumaci. Così deciso in Cosenza il 18 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Cosenza, Sezione I Civile, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Filomena De Sanzo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3383 del R.G.A.C. dell'anno 2015 vertente TRA CONDOMINIO (...) 3000 con il patrocinio dell'avvocato MARCO BOSCO ATTORE E (...) S.R.L, in persona del l.r.p.t., con il patrocinio dell'avvocato NI.MA. CONVENUTO Oggetto: appalto: altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c. (ivi compresa l'azione ex art. 1669 c.c.). RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato in data 10 agosto 2015 il "Condominio (...) 3000 ", in persona dell'Amministratore e l.r.p.t., ha chiamato in giudizio la società "(...) s.r.l.", in persona del suo legale rappresentante p.t., ing. (...), per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti a causa dei difetti di costruzione dello stabile condominiale da parte della società convenuta. L'attore, premesso che l'immobile condominiale era stato realizzato da (...) srl dall'anno 2006 all'anno 2009 e che lo stesso (sito in (...) alla Via (...), numeri 71/73) comprende due scale (scala A e B con sei piani ciascuna ed unità a destinazione abitativa ed uffici), un piano seminterrato destinato a garage, un piano terra a destinazione commerciale ed una corte condominiale esterna destinata, contemporaneamente, al parcheggio delle autovetture ed alla copertura dei corridoi interni che conducono sia ai locali condominiali in cui sono collegate le cisterne dell'acqua e sia ai vari garage di proprietà dei condomini, ha dedotto: che dall'anno 2009, dopo aver completato i lavori di costruzioni, la società (...) s.r.l. aveva venduto e consegnato i vari appartamenti ai singoli proprietari; che nel mese di settembre del 2014, con le prime piogge, si erano verificate copiose infiltrazioni d'acqua piovana in varie parti del solaio e del terrazzo posto a copertura del piano interrato e dei corridoi interni che conducono ai garage e in vari box auto di alcuni condomini; che le infiltrazioni erano dovute ad un evidente errore di posa in opera del pavimento esterno della corte condominiale nonché della copertura del locale seminterrato e alla carente impermeabilizzazione e/o coibentazione della corte del piano interrato, oltre al carente sistema di deflusso delle acque meteoriche nel medesimo spazio; che i problemi evidenziati stavano provocando ulteriori danni sia al pavimento che al tetto e ai corridoi che conducono ai garage e cisterne; che dopo varie richieste era intervenuta la società (...) s.r.l. riconoscendo la propria responsabilità ed eseguendo alcuni interventi di riparazioni; che neanche questi lavori non erano stati eseguiti a regola d'arte poiché il pavimento esterno si era spostato e non era stato impermeabilizzato correttamente provocando nuovi danni sul terrazzo esterno, sulla corte condominiale e sugli altri due corridoi; che in data 21 marzo 2015 era stata inviata alla società una raccomandata A/R con l'invito ad eliminare i vizi e richiesta, in difetto, di risarcimento di tuti i danni subiti e subendi; che la società non aveva dato alcun riscontro. Il condominio, in difetto di collaborazione della convenuta, ha pertanto chiesto al Tribunale di "accertare e dichiarare l'esistenza dei vizi e difetti meglio indicati in premessa e che gli stessi siano ascrivibili ad un difetto di costruzione del fabbricato; accertare e dichiarare anche che gli altri interventi di riparazione e ripristino, svolti dalla parte in cui vi sono le entrante n. 71 e 73, non sono stati eseguiti a regola d'arte; accertare e dichiarare, quindi, che le infiltrazioni d'acqua sono determinate dai predetti vizi e difetti, meglio indicati in premessa, ed il Condominio "S. 3000 " ha diritto al pagamento della somma necessaria all'eliminazione degli stessi; "conseguentemente, condannare la società (...) s.r.l. (P. Iva (...)) in personadell'amministratore unico e legale rappresentante pro tempero ing. (...), al pagamento in favore dell'attore, per i fatti indicati in premessa ed in base all'art. 1669 c.c. della somma di Euro 112.900,00 oltre interessi e rivalutazioni come per legge, ovvero della maggiore o minore somma che sarà riconosciuta in corso di causa e/o ritenuta di giustizia; in subordine, accertare e dichiarare la negligenza e/o imperizia nell'esecuzione dei lavori di costruzione e di ripristino anzidetti, e condannare la società convenuta al pagamento della somma di Euro 112.900,00, oltre interessi e rivalutazioni, ovvero della maggiore o minore somma che sarà riconosciuta in corso di causa, ex art. 2043 c.c. a titolo di risarcimento per tutti i danni subiti dal condominio attore". La società (...) s.r.l., costituitasi nei termini, ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva deducendo di non avere essa eseguito i lavori di costruzione dell'edificio condominiale ma di averne solo, quale proprietaria, curato la vendita. Ha inoltre, sempre in via preliminare, chiesto di dichiarare la decadenza dall'azione ex art. 1669, comma 1, cod. civ. ovvero la prescrizione ex art. 1669, comma 2, cod. civ., con conseguente inammissibilità e/o improcedibilità della domanda proposta. La convenuta ha, infatti, eccepito che i vizi lamentati dall'attore erano stati denunciati per la prima volta nel 2012 con conseguente tardività dell'azione poiché intrapresa solo nel 2015, allegando, altresì, che, al contrario di quanto sostenuto dalla controparte, essa non aveva mai riconosciuto i difetti lamentati dal Condominio. La società ha, inoltre, genericamente resistito nel merito alla domanda. Concessi i chiesti termini istruttori, (...) srl, nella memoria ex art. 183 comma VI n. 1, senza ulteriormente precisare le difese, ha ribadito "a sostegno della posizione processuale addotta, tutto quanto dedotto, prodotto ed eccepito nella comparsa costitutiva" ed ha insistito "per il rigetto della domanda attorea così come formulata", riportandosi alle conclusioni all'uopo consegnate. La causa è stata istruita con l'escussione di testimoni introdotti dalle parti e l'espletamento di CTU a cui sono stati demandati i seguenti accertamenti: "1. descrivere, previo sopralluogo e mediante riproduzione fotografica, le condizioni del fabbricato condominiale con specifico riferimento alla copertura della corte condominiale, alla copertura del locale seminterrato in cui sono situati i garage ed i corridoi di accesso; 2. precisare se sussistono o vi siano state infiltrazioni di acqua, le cause che le hanno originate e se le stesse siano riconducibili ad errori nella posa del pavimento esterno e/o alla carente impermeabilizzazione della corte e/o al sistema di deflusso delle acque; 3. indicare gli interventi necessari per eliminare le cause delle infiltrazioni e i costi". Acquisite le risultanze peritali, come integrate a seguito dei chiarimenti offerti dal perito nel contraddittorio tra le parti, la causa è stata, infine, trattenuta in decisione con assegnazione dei chiesti termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. Va preliminarmente disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dalla (...) s.r.l. La società convenuta ha sul punto, in particolare, dedotto di non avere essa costruito l'immobile condominiale essendosi piuttosto limitata, quale proprietaria del bene, solo alla vendita delle singole unità abitative e che lo stabile sarebbe stato, invece, realizzato, a seguito di contratto di appalto, dalla società (...) srl. Dell'assunto, tuttavia, (...) srl non ha fornito alcuna prova. La convenuta ha infatti solo prodotto una pec del 31.03.2015 con cui, in risposta alle contestazioni del Condominio (...) 3000 circa i danni di cui oggi l'attore ha chiesto il ristoro, ha rappresentato di avere "demandato alla società (...) s.r.l. molto tempo addietro la costruzione dell'intero stabile con apposito contratto di appalto". Tale contratto non è stato, tuttavia, depositato. L'assunto è peraltro smentito per tabulas. Il CTU nell'espletamento del suo mandato ha infatti acquisito presso gli uffici del Comune di Cosenza e presso il Dipartimento LL.PP. - Servizio Tecnico Regionale di Cosenza (ex Genio Civile) una serie di documenti (tra cui gli allegati F2 "D.I.A.: VARIAZIONI DISTRUBUZIONE INTERNA", F3 "VARIANTE ESECUTIVA AL PROGETTO DI EDIFICIO A DESTINAZIONE RESIDENZIALE & COMMERCIALE- PERMESSO N. 66 DEL 31.05.2005, E1 "VARIANTE ESECUTIVA AL PROGETTO DI EDIFICIO A DESTINAZIONE RESIDENZIALE & COMMERCIALE- PERMESSO N. 66 DEL 31.05.2005) che riportano, quale committente, la società (...) e quale direttore dei lavori l'ing. (...), suo legale rappresentante. Il Condominio ha, inoltre, prodotto in sede di citazione copia dell'atto notarile di compravendita di un appartamento condominiale stipulato in data 05.03.2009 tra la convenuta, nella qualità di proprietaria venditrice, e la condòmina (...). Ebbene, all'art. 3 del contratto la società venditrice Società (...) srl dà atto e "dichiara che il fabbricato di cui fa parte la porzione immobiliare" oggetto della vendita "è stato da essa costruito". Nessun dubbio, quindi, può sussistere sulla legittimazione passiva della convenuta. Quanto alle eccezioni di decadenza dall'azione e prescrizione formulate dalla convenuta ai sensi dell'art. 1669 c.c., si osserva preliminarmente quanto segue. Il Condominio attore, come visto, ha fondato la sua richiesta risarcitoria invocando l'applicazione della norma di cui all'art. 1669 c.c. ed in subordine la disciplina dell'art. 2043 c.c. Ebbene, nella fattispecie concreta, i vizi lamentati devono senz'altro ricondursi nell'alveo dell'art. 1669 c.c.: gli stessi, infatti, riguardano difetti afferenti la pavimentazione posta a copertura della corte condominiale, la copertura del locale seminterrato in cui sono situati i garage ed i corridoi di accesso, la posa del pavimento esterno e la carente impermeabilizzazione della corte e/o al sistema di deflusso delle acque. Si tratta di allegazioni fattuali che consentono di sussumere la domanda nella fattispecie di cui all'art. 1669 c.c. invocata in via principale dall'attore. Ed infatti, secondo l'uniforme e condiviso orientamento della Suprema Corte, "configurano gravi difetti dell'edificio, a norma dell'art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell'opera - da intendere altresì quale singola unità abitativa - che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l'abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera (quali i rivestimenti o la pavimentazione), purché tali da incidere negativamente ed in modo considerevole sul suo godimento e da comprometterne la normale utilità, e per questo eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici" (cfr. Cass. n. 8140/2004; Cass. n. 11740/2003). Nella specie, i difetti lamentati dal Condominio riguardano, come detto, la pavimentazione e copertura della corte condominiale sotto la quale sono allocati i garage ed i locali tecnici, oltre che il sistema di impermeabilizzazione e deflusso delle acque e sono stati prospettati come di gravità tale da compromettere la normale utilità incidendo negativamente ed in odo considerevole sul godimento dei beni che ne sono affetti, ditalchè rientra la fattispecie odierna perfettamente nei parametri indicati dalla (...), come sintetizzati dalla pronuncia sopra riportata. Ciò posto, vanno analizzate le eccezioni di decadenza e prescrizione dell'azione ex art. 1669 c.c. formulate, come detto, dalla convenuta società. Osserva, sul punto, il Tribunale che il termine di decadenza annuale previsto dall'articolo 1669, primo comma cod. civ., decorre dal giorno in cui il committente consegua la sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause e, quando di un contratto di appalto sia committente un condominio, il termine per la denuncia dei vizi e delle difformità delle opere (ai fini delle garanzie e della responsabilità di cui agli articoli 1667 e 1669 codice civile) decorre soltanto dal momento in cui l'amministratore, in rappresentanza dell'intero condominio, abbia acquisito un'apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall' imperfetta esecuzione delle opere (cfr., tra le altre, Cass. civ., Sez. II, 16/01/2020, n. 777). La società convenuta ha, nella specie, eccepito la tardività della denuncia per essere stati i vizi da cui il Condominio fa derivare i danni di cui chiede qui il ristoro ad essa denunciati nel 2012 e nel 2013. Ha anche evidenziato la società convenuta che il Condominio era stato evocato in giudizio davanti al Giudice di Pace di Cosenza dai due condòmini (...) e (...) che avevano ad esso chiesto il risarcimento dei danni causati da infiltrazioni presenti nel loro box garage posto sotto la corte condominiale e che, in quella sede, l'attore si era difeso rappresentando che l'ex amministratore (lo stesso condòmino (...)) aveva denunciato i vizi di costruzione dell'immobile ad essa società con due missive del 2012 e del 2013 ed aveva addebitato al Carbone (n.q. di amministratore p.t.) la responsabilità di non avere agito in giudizio contro (...) nei termini di legge. Il Condominio, non contestando il contenuto delle missive che di qui a poco si analizzerà né quanto asserito dalla convenuta in ordine al giudizio davanti al Giudice di Pace di Cosenza, si è difeso allegando che i vizi denunciati nelle due anzidette lettere e davanti al Giudice di Pace erano altri e diversi da quelli oggetto del presente procedimento i quali si sarebbero, invece, manifestati solo in epoca successiva, vale a dire da settembre 2014. L'assunto è tuttavia privo di pregio. Dalla lettura delle due missive del 2012 e del 2013, entrambe prodotte da (...) srl e non contestate dall'attore, emerge che i danni lamentati coincidono con quelli denunciati dallo stesso Condominio a (...) srl con la missiva del 21 marzo 2015 a cui è seguita l'odierna azione giudiziaria. Nelle tre lettere di messa in mora il Condominio lamenta, infatti, sempre la presenza di infiltrazioni negli spazi condominiali e alle singole unità box esistenti sotto il piano strada condominiale. Nella missiva del 10.08.2012 si fa anche riferimento, e si denuncia, che "le infiltrazioni hanno provocato un cedimento, con abbassamento di livello e sconnessione del piano carrabile della strada condominiale posta al lato sud del fabbricato", determinando "gravi danni ai garages privati sottostanti". Analogamente, nella lettera del 5 giugno 2013 il Condominio riferisce alla convenuta di "gravi e copiose infiltrazioni d'acqua dalla copertura sovrastante i garages", estese anche a singole unità abitative; e nella lettera del 21 marzo 2015 si reiterano le doglianze relative a "copiose infiltrazioni di acqua piovana sia in parti private sia in varie parti del solaio e del terrazzo posto a copertura del piano interrato adibito a garage e sia in vari box auto di alcuni condomini", addebitando nuovamente i danni all' "errore di posa in opera del pavimento condominiale esterno posto a copertura dei garage" nonché alla "carente impermeabilizzazione dello stesso piano interrato", oltre che ad "una ridotta canalizzazione di raccolta delle acque piovane nel medesimo spazio". Come ben si vede, dunque, i danni sono sempre gli stessi. Ne discende che deve ritenersi che il Condominio fosse a conoscenza delle problematiche costruttive dell'immobile sin dal 2012 ma si è attivato in giudizio solo nel 2015, oltre dunque lo spirare del termine decadenziale, e quindi prescrizionale, dell'azione ex art. 1669 c.c. Come osservato dalla convenuta, peraltro, di tanto il Condominio era consapevole avendo rappresentato, nel difendersi davanti al Giudice di Pace nel giudizio di cui si è detto, l'inerzia dell'amministratore pro tempore (...) che, "anziché procedere nei termini di legge con la causa nell'interesse di tutti i condòmini" aveva "terminato l'incarico di amministratore ed aveva "preferito agire in giudizio nei confronti del condominio solo ed esclusivamente per tutelare i propri diritti personali" (v. atto di citazione per chiamata di terzo del Condominio (...) 3000 srl, allegato al fascicolo della convenuta). Nelle memorie ex art. 183, comma 1 c.p.c., a fronte delle specifiche difese della società convenuta, come qui analizzate, il condominio ha sostenuto che i danni manifestatisi nel settembre 2014 riguardano "la parte laterale e posteriore dell'immobile". Tuttavia l'assunto è generico non avendo il condominio nemmeno elencato quali siano tali danni riguardanti tale altra parte dell'immobile. Né dalla CTU emergono danni diversi da quelli di cui sono oggetto i garage interrati e la pavimentazione di copertura sovrastante, dovuti ai difetti di impermeabilizzazione e canalizzazione delle acque meteoriche già denunciati espressamente con le missive del 2012, 2013 e nell'ambito del giudizio davanti al Giudice di Pace. In citazione, oltre ai danni anzidetti, l'attore denuncia anche danni da infiltrazioni relativi "alle pareti dei locali condominiali in cui sono posizionate le cisterne dell'acqua" ma, per come di evince dalla descrizione che dell'immobile fa il perito, tali locali cisterne si trovano nel seminterrato accanto ai box auto. E' dunque evidente che anche queste infiltrazioni si ricollegano alle denunce per vizi già effettuate con le missive del 2012, 2013 e in sede di giudizio davanti al Giudice di Pace. Ne discende l'accoglimento delle eccezioni con conseguente declaratoria di inammissibilità dell'azione esperita dal Condominio ai sensi dell'art. 1669 c.c. L'attore ha dedotto l'intervenuto riconoscimento dei vizi da part della società costruttrice che avrebbe fatto eseguire dalla società (...) srl lavori di ristrutturazione della corte soprastante i box ed i garage. Ciò al fine di superare la decadenza eccepita dal convenuto. L'assunto è infondato. Pacifico che i lavori di ripristino ci sono stati e sono stati eseguiti dalla predetta società (...) srl, si rileva che l'attore non ha fornito prova che la stessa abbia avuto mandato da parte della convenuta ditalchè non può ritenersi effettuato alcun riconoscimento (neppure implicito) dei difetti da parte dell'impresa costruttrice. Peraltro, si fa osservare che il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell'opera da parte dell'appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l'assunzione in capo all'appaltatore dell'obbligo di emendare l'opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto (cfr., tra le altre, Cass. civ. n. 19343/2022). L'attore ha in subordine formulato domanda di risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. Ritiene preliminarmente il Tribunale ammissibile la subordinata. Secondo l'ormai consolidato orientamento della S.c., la responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c., nonostante sia collocata nell'ambito del contratto di appalto, configura un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini, essendo riconducibile ad una violazione di regole primarie (di ordine pubblico), stabilite per garantire l'interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell'attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l'incolumità delle persone. Ciò posto, quanto al rapporto tra la disciplina di cui all'art. 1669 c.c. e quella dell'art.2043 c.c., si è affermato che l'art. 1669 c.c.reca una norma speciale rispetto a quella contenuta nell'art. 2043 c.c., risultando la seconda applicabile quante volte la prima non lo sia in concreto. Al riguardo è sufficiente ricordare che la natura di norma speciale dell'art. 1669 c.c. rispetto all'art. 2043 c.c. presuppone l'astratta applicabilità delle due norme, onde, una volta che la norma speciale non possa essere in concreto applicata, permane l'applicabilità della norma generale, in virtù di una tesi coerente con le ragioni della qualificazione della responsabilità ex art. 1669 c.c. come extracontrattuale, consistenti nell'esigenza di offrire ai danneggiati dalla rovina o dai gravi difetti di un edificio una più ampia tutela. Infatti, "da detta configurazione si desume che l'art. 1669 c.c. non è norma di favore diretta a limitare la responsabilità del costruttore ma mira a garantire una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale. Il legislatore ha con essa stabilito un più rigoroso regime di responsabilità rispetto a quello previsto dall'art. 2043 c.c., caratterizzato dalla presunzione juris tantum di responsabilità dell'appaltatore, che è stata tuttavia limitata nel tempo, in virtù di un bilanciamento tra le contrapposte esigenze di rafforzare la tutela di un interesse generale e di evitare che detta presunzione si protragga per un tempo irragionevolmente lungo. Pertanto, se la ratio dell'art. 1669 c.c. è quella di introdurre una più incisiva tutela, è coerente con la medesima l'applicabilità dell'art. 2043 c.c. nel caso in cui non sussistano le condizioni previste dalla prima norma, essendo in generale ammissibile la coesistenza di due azioni diversificate quanto al regime probatorio e potendo la parte agire non avvalendosi delle facilitazioni probatorie stabilite per una di esse. Una diversa soluzione va respinta, in quanto comporta una indebita restrizione dell'area di tutela stabilità dalla norma fondamentale in materia di responsabilità extracontrattuale e, in palese contrasto con l'armonia del sistema e con le ragioni alla base della previsione della disciplina speciale, conduce all'irragionevole risultato di creare un regime di responsabilità più favorevole per i costruttori di edifici, perché esclude ogni forma di responsabilità in situazioni che potrebbero ricadere nell'ambito - in linea di principio illimitato - dell'art. 2043 c.c. L'azione ex art. 2043 c.c. è, dunque, proponibile quando in concreto non sia esperibile quella dell'art. 1669 c.c., perciò anche nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera. Nell'ipotesi di esperimento dell'azione disciplinata dall'art. 2043 c.c. non opera, ovviamente, il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore, che lo onera di una non agevole prova liberatoria. Pertanto, in tal caso, spetta a colui il quale agisce provare tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 c.c e, in particolare, anche la colpa del costruttore" (Cass. civ., Sezioni Unite n. 2284/2014 in un caso proprio di dichiarata decadenza dall'azione ex art. 1669 c.c. per decorso del termine annuale di denuncia dei vizi) Nel merito la domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. è fondata. I danni lamentati dall'attore hanno trovato riscontro nelle testimonianze dei condomini, a diretta conoscenza dei fatti, i quali hanno riferito della presenza di infiltrazioni d'acqua nelle singole unità condominiali oltre che nelle zone comuni come la corte condominiale e i corridoi che conducono al garage. I testi hanno specificato che infiltrazioni nei locali comuni e nei locali garage hanno prodotto umidità e distacco di alcuni calcinacci del tetto oltre che delle pareti dei corridoi ubicati nel piano seminterrato e sotto la corte condominiale. Il Condominio ha anche prodotto documentazione fotografica in cui sono ritratte le infiltrazioni ai locali anzidetti Le problematiche rappresentate dall'attore, confermate dai testi e documentate per tabulas dal Condominio sono state inoltre accertate dalla CTU. Il perito, architetto (...), nel corso di numerosi sopralluoghi effettuati anche in occasione di piogge per verificare la tenuta e l'efficienza del sistema di impermabilizzazione della pavimentazione della corte e di scarico delle acque meteoriche, ha accertato l'esistenza delle problematiche denunciate dal Condominio, tutte descritte dettagliatamente nell'elaborato peritale che qui si richiama integralmente, dando atto, in particolare, delle seguenti: alterazione cromatica con parziale svuotamento delle fughe e spostamenti dei masselli sia nei corpi scala che nel livello superiore della corte; punti di raccolta delle acque meteoriche, soprattutto lungo le sedute addossate al muro di cinta sud e nord, intasati; rampa carrabile nord e punto di raccolta acque meteoriche con evidenti segni di infiltrazioni e muffa; marciapiedi antistanti il fabbricato sgretolati e in parte rotti; ristagni d'acqua in corrispondenza dell'area cortilizia carrabile; livello superiore corte - terrazza pedonale con evidente cedimento e abbassamento delle mattonelle, in parte anche rotte; corpo scala nord, di raccordo fra i due livelli della corte, e antistante pianerottolo, con mattonelle e parte del pianerottolo completamente rotti; evidenti segni di infiltrazioni con muffe sulle pareti e distacco di calcinacci e/o intonaco nell'ingresso del garage e nei corridoi che collegano i vari box auto. Il CTU ha ancora accertato la presenza: nel piano seminterrato del fabbricato sottostante i livelli della corte infiltrazioni di acqua sia pregresse che ancora in atto; nella zona destinata a corsie di manovra la presenza diffusa di vistose macchie di umidità sull'intradosso dei solai; sulle travi e sulla sommità delle pareti contigue umidità, in prossimità delle quali, in parte, corrono a vista alcune condotte di scarico condominiali. Il perito ha inoltre constatato in corrispondenza dell'intradosso dei solai, al tatto, che la superficie era bagnata e presentava depositi di sostanze biancastre, di consistenza in parte polverulenta, nonché parziale rigonfiamento e distacco degli strati di finitura con affioramento localizzato di pignatte in laterizio. Ed ha accertato, in alcune campate, anche lo sgocciolamento di acqua con infiltrazioni nei vari garage. Quanto riferito dal perito è documentato dal fascicolo fotografico che l'architetto (...) ha allegato al suo elaborato in cui è possibile vedere, nel dettaglio, le varie zone dell'edificio e della corte condominiale, i locali interrato, gli spazi di manovra degli autoveicoli e le infiltrazioni in essi insistenti. Dalla perizia è inoltre emerso che le gravi problematiche riscontrate sono riconducibili principalmente "ad umidità da infiltrazioni di acqua piovana, scaricata sulle superfici sovrastanti o entrata in contatto con le murature che le lambiscono, e all'instabilità del sistema aria acqua-manufatto, cioè dalla quantità e velocità con cui i materiali scambiano l'acqua con l'ambiente in base alle loro caratteristiche di porosità e igroscopicità, e solo in parte ad altre cause (umidità di risalita, umidità contro terra e per perdite localizzate di tubature private e condominiali)". Il perito ha specificato poi, alle pp. 14-16 della relazione depositata l'8 luglio 2021, che le infiltrazioni di acqua piovana, sono attribuibili: 1. Alla compromissione della funzionalità e durabilità del sistema di copertura incorrispondenza della corte carrabile. Ha sul punto spiegato il CTU che tale compromissione è riconducibile: a) alla tipologia di pavimentazione utilizzata, solitamente indicata più per una posa su sottofondo in terreno naturale compattato ma sconsigliata su sottofondi rigidi (solai), proprio per il rischio di efflorescenze, e da evitare soprattutto se gli stessi sono sottoposti al transito veicolare; b) all'inadeguato sistema di convogliamento e scarico delle acque meteoriche dovuto all'ubicazione e alla modalità esecutiva dei punti di raccolta e/o dei canali grigliati nonché degli innesti dei tubi di scarico, alla parziale ostruzione della sezione dei tubi prodotta dalle scossaline e dalla pavimentazione, all'assenza e/o inadeguata impermeabilizzazione e/o protezione dei canali, che risultano in parte anche sgretolati, nonché degli imbocchi dei tubi, che risultano sprovvisti di bocchettoni di scarico angolari flangiati (messicani) e di filtri parafoglie, all'assenza di cassetta di scarico ispezionabile con fissaggio a parete, interposta tra l'uscita del tubo di convogliamento dell'acqua ed il pluviale ubicato nei garage e/o di idonei raccordi atti a garantire la tenuta soprattutto in presenza di piogge forti o continue con raffiche di vento che facilitano il trasporto, lo scivolamento e la sedimentazione di foglie e detriti all'interno delle griglie e/o dei tubi che ostacolano il regolare deflusso delle acque favorendone il ristagno e l'infiltrazione in corrispondenza dei punti critici della pavimentazione, il tutto aggravato dalla mancanza di periodica manutenzione; c) all'inefficacia dello strato di tenuta conseguente: al deterioramento subito per l'assenza di strati (di protezione filtrante e di separazione) interposti tra lo stesso e la sabbia e, verosimilmente, per l'inadeguata conformazione e protezione dei giunti e dei punti critici a livello dello strato impermeabile; alle azioni esterne, ovvero dell'infiltrazione di acqua dalle superfici sovrastanti e al ristagno della stessa sulla superficie, alle sollecitazioni indotte da naturali assestamenti, alla trasmissione di sollecitazioni meccaniche che si sviluppano sulla superficie carrabile che sono notevolmente più gravose di quelle che si generano nelle terrazze pedonabili e di diversa natura giacchè non solo la sollecitazione a compressione è più elevata, ma sono presenti anche forze ad azione orizzontale che sollecitano il manto a trazione; all'assenza e/o inadeguato rinforzo e risvolto sugli elementi verticali (muri, sedute, parapetti, cordolo) disposti in parte lungo la linea di massima pendenza. 2. Alla compromissione della funzionalità e durabilità del sistema di copertura incorrispondenza della terrazza pedonale conseguente in corrispondenza del pianerottolo conseguente: a) alla non corretta esecuzione dei giunti, ovvero assenza e/o non corrispondenza dei giunti del massetto con quelli della pavimentazione il ché non ha consentito di assorbire i movimenti di dilatazione e contrazione causati dall'escursione termica; all'inefficacia dello stato di tenuta (impermeabilizzante) dovuta ad un'impropria applicazione; b) al deterioramento subito per effetto dell'azione dell'acqua piovana infiltratasi dagli strati sovrastanti nonché, verosimilmente , all'assenza e/o inadeguata conformazione e protezione dei giunti e dei punti critici a livello dello strato impermeabile; c) all'inadeguato sistema di convogliamento e scarico delle acque meteoriche, dovuto ad un'impropria pendenza in direzione dei punti di raccolta, all'ubicazione e alla modalità esecutiva degli stessi e dei raccordi con i tubi di scarico; d) all'assenza e/o inadeguata impermeabilizzazione e/o protezione degli stessi e all'assenza di bocchettoni di scarico e di filtri parafoglie, che favorisce l'infiltrazione dell'acqua piovana negli strati sottostanti che è maggiormente accentuata in presenza di ristagni che si generano durante piogge forti con raffiche di vento che facilitano il trasporto, lo scivolamento e la sedimentazione di foglie e detriti al loro interno che ostacolano il regolare deflusso delle acque e per la mancanza di una periodica manutenzione; 3. Alla compromissione delle funzionalità e durabilità del sistema di copertura incorrispondenza del pianerottolo antistante il corpo scala nord conseguente: a) all'assenza di giunti della pavimentazione e verosimilmente del massetto; b) all'inefficacia dello strato di tenuta dovuta ad impropria applicazione e al deterioramento subito per effetto dell'azione dell'acqua piovana infiltratasi in corrispondenza dei punti critici della pavimentazione; 4. All'inadeguata protezione dei corpi scala che raccordano i due livelli di corte e degli elementi murari che le delimitano ovvero al parziale rivestimento delle alzate:all'assenza di elementi battiscopa che lasciano scoperte le porzioni delle pareti contigue le alzate e parte delle pedate, all'impropria posa dei gradi, all'assenza e/o inefficacia dello strato di tenuta e, in minima parte, all'assenza e/o inadeguata protezione delle teste degli elementi murari che le delimitano; 5. Al parziale danneggiamento del sistema di copertura in corrispondenza delle rampe carrabili e soprattutto di quella ubicata a nord sovrastante il locale in cui è ubicata la cisterna dell'acqua - autoclave, conseguente: - all'assenza di giunti di frazionamento; - assenza e/o inefficacia dello strato impermeabilizzante conseguente al deterioramento subito dallo stesso per effetto delle azioni esterne, ovvero dell'infiltrazione di acqua piovana sia dalla sovrastante pavimentazione che, lateralmente, dalle pareti che la lambiscono, in parte lesionate e non adeguatamente protette in corrispondenza della testa e del basamento, nonché verosimilmente delle sollecitazioni indotte da assestamenti e dagli automezzi in accelerazione e decelerazione. A seguito delle osservazioni delle parti, il perito, in sede di interazione del suo elaborato, ha anche evidenziato "un' ulteriore concausa" dei fenomeni infiltrativi "dovuti (anche) alla sottostima del sistema di pompe che potrebbero non essere sufficienti a captare l'acqua, sia del sottosuolo che quella meteorica convogliata nei garage durante i forti temporali, tanto più se si considerano la consistente estensione superficiale delle aree oggetto di causa, l'irregolarità delle superfici asservite, la forma ad u della corsia di manovra dei garage e la distanza di circa 100m fra gli estremi opposti, l'ubicazione e il numero delle pompe indicate nel corso delle operazioni peritali (non corrispondente a quanto espressamente riportato nello Studio geologico e geotecnico allegato ai Progetti depositati presso il Dipartimento LL.PP. Servizio Tecnico Regionale) nonché la circostanza che, dalla data di realizzazione del complesso edilizio (2006-2009) si è registrato un aumento delle piovosità e la falda" acquifera presente in prossimità dei luoghi in cui sorge l'immobile "potrebbe aver subito variazioni anche in ragione delle oscillazioni legate ai periodi di maggiore e minore piovosità". Scrive il perito che "a riprova di quanto sostenuto dalla scrivente, potrebbe essere proprio il fatto che il maggior degrado è proprio in corrispondenza del corridoio sud, posto all'estremo opposto della U rispetto all'ubicazione delle pompe rinvenute in sito dove, inoltre, i punti di captazione risultano costituiti da semplici tubi in pvc, tagliati in parte a fischietto e sprovvisti di griglie, che rappresentano chiaramente una soluzione progettuale a dir poco discutibile atteso che andavano, quanto meno, realizzati degli antistanti pozzetti con griglia, a cui andavano allacciati i tubi ciò al fine di facilitare la pulizia e preservare da eventuale occlusioni prodotte sia dall'accumulo di sporcizia e/o detriti di ogni genere, trasportati dal vento e dalle acque meteoriche, che dal passaggio di animali (topi)". Sempre in risposta alle osservazioni delle pari, l'architetto (...) ha precisato: 1) che la mancanza di pulizia periodica delle griglie e/o dei tubi di convogliamento delle acque meteoriche ha costituito "solo un aggravante rispetto ad una situazione già di per sé compromessa a causa degli svariati errori costruttivi rinvenuti in sito afferenti sia all'intera stratigrafia sovrastante le porzioni di solaio ad suo pedonale e carrabile (massetto pendenze, impermeabilizzante e pavimentazione) che all'intero sistema di raccolta, convogliamento smaltimento e regimentazione di tutte le acque presenti in sito (meteoriche, falda a pochi metri di profondità dal piano di campagna ed acque provenienti dagli altri complessi idrogeologici)" (si vedano le pagine 14-15-16 della relazione e le le pagine 7-8-9-10 delle controdeduzioni in cui tali errori sono dettagliatamente enucleati dal perito). Il CTU ha sul punto, inoltre, precisato che "una corretta esecuzione a regola d'arte avrebbe sicuramente determinato una periodicità di interventi manutentivi decisamente molto più dilazionata nel tempo"; 2) quanto alla complessità geologica del sito dovuta alla presenza di falda a pochi metri di profondità dal piano di campagna e di acque provenienti dagli altri complessi idrogeologici, che all'epoca della realizzazione del manufatto proprio la presenza e la considerazione di tale falda (ai cui movimenti e mutamenti geomorfologici parte convenuta addebita le infiltrazioni) aveva indotto "il geologo a raccomandare una serie di interventi in modo tale da non alterare le caratteristiche geotecniche dei terreni di fondazione, oltre che evitare l'infiltrazione di acqua negli eventuali locali interrati" ma che tali interventi sono stati eseguiti, per come accertato dal perito, solo in parte. Il Ctu ha, inoltre, verificato che nemmeno sono state rispettate le prescrizioni dello geologo relativamente alla necessità di "creare le pendenze idonee a favorire il corretto deflusso delle acque in direzione dei punti di scolo" che avrebbe implicato un incremento degli spessore dei massetti e conseguentemente un incremento dei carichi agenti sui solai. Relativamente al sistema di raccolta e scarico delle acque meteoriche dei due livelli principali della corte, il CTU ha rappresentato che dall'accesso agli atti a corredo dei titoli edilizi rilasciati dal Comune di Cosenza non è stata rinvenuta alcuna relazione e/o schema di dettaglio progettuale. Inoltre dalle informazioni acquisite dalle parti e da quanto è stato possibile vedere in sito, anche a mezzo degli scavi effettuati dall'ausiliario autorizzato dal G.I., è emerso che: lungo il confine ovest della terrazza superiore sono presenti cinque punti di raccolta, ricavati direttamente sul piano calpestabile previa demolizione di piccole porzioni di pavimento e dei cordoli, che convogliano l'acqua in tubi in p.v.c. rigido color arancione in parte incamiciati ed interrati nella fascia contigua di terreno; che il tratto di rete in direzione ovest-est si arresta in corrispondenza della risega della terrazza in prossimità del corpo scala sud e presenta la testa avvolta in un tessuto; che il tratto in direzione sud-nord scarica nel pozzetto ubicato nel pianerottolo rialzato contiguo il corpo scala nord e da qui nel tratto di rete ubicato nella fascia di terreno incolto lungo il confine nord del lotto; che il tubo in p.v.c. collocato nello spigolo nord-ovest della terrazza si raccorda ad un tubo interrato inclinato ma nelle immediate vicinanze non è stato rilevato alcun pozzetto. Come ben si vede da quanto esposto (e rimandando per ulteriori dettagli tecnici in ordine ai danni ed alle problematiche riscontate al corpo dell'elaborato peritale che qui è da intendersi integralmente richiamato e trascritto), le infiltrazioni, che hanno causato i danni presenti negli spazi condominiali come descritti in perizia e qui sintetizzati, sono state determinate dalla esecuzione dei lavori di costruzione non a regola d'arte sia per l'utilizzo di materiali inadeguati, anche allo stato dei luoghi, sia per la mancata predisposizione delle opere, indicate dallo geologo in fase di progettazione, per far fronte alle problematiche derivanti dalla vicina presenza di falda acquifera, sia all'erronea realizzazione dell'impianto di canalizzazione e scolo delle acque meteroriche. Nessun dubbio può, quindi, sussistere circa l'addebitabilità dei fenomeni infiltrativi che hanno provocato i danni accertati alla negligenza ed imperizia con cui sono stati eseguiti i lavori di costruzione dell'immobile e dunque alla colpa della società costruttrice, secondo il paradigma di cui alla generale azione di responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c.. Quanto ai lavori di ripristino, il CTU, in questo concordando con il CTP di parte attrice, ha ritenuto necessario l'esecuzione dei lavori elencati alle pp. 17-23 della relazione depositata l'8 luglio 2021, a cui integralmente si rimanda e che devono intendersi qui integralmente richiamati e trascritti. Relativamente a detti lavori, il perito ha reiteratamente sottolineato la necessità che, prima di procedere alla realizzazione degli interventi di ripristino, "si effettui la verifica di compatibilità dell'intero sistema con i carichi permanenti previsti in fase progettuale ovvero una qualificazione della resistenza dei materiali e una quantificazione delle sezioni delle armature e del c.a.". L'ausiliare ha sul punto messo in evidenza l'importanza di tali verifiche sia ai fini della buona riuscita dei lavori che al fine di garantire la stabilità e sicurezza dell'intero immobile. Si tratta di rilievo che il Tribunale intende fare proprio ribadendo ancora una volta la necessità delle verifiche prospettate dal CTU anche e soprattutto per garantire le condizioni di stabilità e sicurezza dell'edificio all'esito delle lavorazioni. Con riferimento ai costi degli interventi indicati, il CTU, all'esito dei chiarimenti forniti sempre all'udienza del 15 marzo 2022, ha depositato in data 5 aprile 2022 una "Relazione di stima dei lavori", specificando in modo chiaro e puntuale per ogni singola voce di lavorazione i costi necessari alla sua esecuzione "considerando le quantità, rilevate in sito in contraddittorio con le parti o indirettamente dagli elaborati progettuali, e i prezzi standardizzati, per categorie specifiche, dedotti dal Prezziario tipologico della Regione Calabria, ad oggi vigente, nonché i prezzi correnti generalmente applicati da operatori specializzati operanti sul territorio per quanto attiene le lavorazioni non espressamente contemplate nel suddetto prezziario". Sulla base delle risultanze peritali, che il Tribunale intende fare proprie in ragione della completezza delle analisi eseguite ed anche alla luce degli esaustivi chiarimenti resi dall'ausiliare sia nel contraddittorio tra le parti ed i loro CTP che in sede di integrazioni scritte, risulta accertato un costo dei lavori per il ripristino dell'immobile condominiale (invero all'attualità, essendo stato utilizzato dal perito i prezzi correnti per la stima) superiore al petitum (euro 423.403,28, esclusi i costi, pure quantificati dal perito, relativi ai danni che hanno interessato le singole unità adibite a box poiché di pertinenza di singoli condomini, pari ad Euro 34.749,40). In questa sede va, tuttavia, liquidata la somma di Euro 112.900,00 richiesta in citazione non essendo state fatte proprie in sede di precisazione delle conclusioni le stime dei costi operate dal perito. Nelle note di trattazione scritta del 5 dicembre 2022, l'attore ha, infatti, concluso "riportandosi alle conclusioni rassegnate con il proprio atto di citazione ed a tutte le conclusioni rassegnate in atti, da intendersi qui integralmente trascritte e riportate". Non si rinvengono ulteriori conclusioni in atti, se non quelle di cui alla citazione e quelle di cui alle predette note scritte. Ebbene, ha chiarito in tema di precisazione delle conclusioni la Suprema Corte che la formula "somma maggiore o minore ritenuta dovuta" o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo, non costituisce una clausola meramente di stile quando vi sia una ragionevole incertezza sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, mentre tale principio non si applica se, all'esito dell'istruttoria, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l'atto introduttivo e la formula ivi riprodotta, perché l'omessa indicazione del maggiore importo accertato evidenzia la natura meramente di stile dell'espressione utilizzata (cfr., tra le tante, Cass. civ., ordinanza n. 35302/2022). Pertanto, in carenza di iniziative della parte di adeguamento della domanda ai più favorevoli esiti della consulenza, la società (...) srl va condannata, come detto, al pagamento, in favore di parte attrice, della somma di Euro 112.900,00, oltre rivalutazione monetaria (dovuta trattandosi di debito di valore e non di valuta) dalla data del fatto (2012, anno in cui si sono manifestati le infiltrazioni e i conseguenti danni) ed interessi compensativi, nella misura del saggio legale, da applicare al capitale rivalutato anno per anno. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo (valore della causa compreso tra Euro 52.001,00 ed Euro 260.000,00 a tariffa compresa tra minimo e medio in ragione della complessità delle questioni trattate; fase di studio Euro 1.500,00, fase introduttiva Euro 1.000,00, fase istruttoria Euro 3.500,00, fase decisoria Euro 3.000,00). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, rigettata ogni altra istanza ed eccezione, così decide: - accoglie la domanda di risarcimento danni formulata ai sensi dell'art. 2043 c.c. e, per l'effetto, condanna la società convenuta pagamento, in favore del Condominio (...) 3000 , della somma di Euro 112.900,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi da calcolarsi come in parte motiva; - condanna, inoltre, la convenuta alla rifusione delle spese legali sostenute da parte attrice che liquida in Euro 786,00 per esborsi ed Euro 9.000,00 per onorari professionali, oltre rimborso forfettario, Cap ed Iva come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario; - pone definitivamente a carico della convenuta le spese della espletata CTU, liquidate con separato decreto. Così deciso in Cosenza il 14 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COSENZA SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Vincenzo Lo Feudo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 3102/2020 RGAL TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. AN.PO. ricorrente E AZIENDA OSPEDALIERA DI COSENZA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. VI.LA. resistente Oggetto: risarcimento danni FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio l'Azienda (...) e, premesso di lavorare dal 1980, con mansioni di infermiere professionale (livello D CCNL di settore) alle dipendenze dell'amministrazione convenuta, in servizio presso l'U.O.C. Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, deduceva che in data 22.07.2015, durante il turno diurno, alle ore 8:15, a causa della presenza di un nastro di imballaggio nell'area antistante il Centro Emotrasfusionale del P.O di Cosenza, poneva in corrispondenza di tale nastro il piede in fallo perdendo l'equilibrio e cadendo a terra. Esponeva che l'infortunio sul lavoro gli aveva cagionato lesioni diagnosticate come "la frattura del capitello radiale, una duplice infrazione coinvolgente il collo chirurgico del capitello radiale e dell'epitroclea e una infrazione dello scafoide carpale destro" e che, presentata denuncia all'INAIL gli era stato riconosciuto un danno biologico del 7%, con conseguente corresponsione di un indennizzo in capitale pari ad Euro 4.906,82 (importo poi aumentato di Euro 1.873,79 a seguito di un riconosciuto aggravamento, per un danno biologico complessivo del 9% ed un indennizzo definitivo di Euro 6.780,61). Deduceva, ancora, che a causa dell'infortunio era residuata una riduzione permanente dell'integrità psico - fisica del 14/15% non interamente coperta dall'indennizzo corrisposto dall'INAIL. Affermava la sussistenza di un nesso eziologico tra l'insorgenza delle infermità e le condizioni di lavoro, da ricondurre ad una responsabilità dell'AZIENDA (...), per violazione in particolare dell'art. 2087 c.c., non avendo l'amministrazione adottato le necessarie misure cautelari idonee a preservare la sua integrità fisica. In particolare deduceva l'inosservanza del documento unico sulla valutazione dei rischi adottato dall'Azienda ove sono disciplinate le procedure volte a prevenire disciplinato il rischio inciampo, lo scivolamento, l'urto, la caduta e le compressioni e che prevede di mantenere i luoghi di lavoro - tra cui sono annoverati anche i cortili interni - puliti ordinati e con la raccomandazione di rimozione dei materiali non utilizzati. Aggiungeva che lo stesso Documento prevede che i passaggi devono essere liberi da merci, attrezzi, imballi o altro, allo scopo, appunto, di consentire che il passaggio sia attraversato in sicurezza. Lamentava, inoltre, proprio con specifico riferimento alla presenza del nastro di imballaggio davanti al Centro Emotrasfusionale il giorno del sinistro, che tale presenza non si giustificava alla luce delle previsioni del Documento che detta la procedura per lo smaltimento, la raccolta e l'allontanamento dei rifiuti sanitari. Concludeva con una richiesta di condanna dell'Azienda (...) al risarcimento del danno biologico differenziale, quantificato in misura non inferiore ad Euro 55.000,00 per il danno biologico ed in Euro 13.916,00 per i danni complementari. Si costituiva l'amministrazione convenuta e deduceva l'infondatezza del ricorso, negando di aver mai tenuto una condotta produttiva dei danni lamentati ed escludendo comunque la sussistenza di un nesso eziologico tra l'asserita condotta illecita e l'insorgenza delle patologie. Concludeva, quindi, per il rigetto del ricorso. In corso di causa si procedeva all'escussione dei testi indicati dalla parte ricorrente e all'esito di una consulenza medico - legale. La causa veniva rinviata per la discussione all'udienza del 12.04.2023, sostituita ex art. 127 ter c.p.c., con provvedimento comunicato alle parti il 16.03.2023, con il deposito di note contenenti sole istanze e conclusione, con termine perentorio fino al giorno 07.04.2023 La parte ricorrente ha depositato le note di trattazione scritta il 04.04.2023; la parte convenuta in data 11.04.2023 e, dunque, tardivamente. La domanda è fondata e merita accoglimento per quanto di ragione. Entrambi i testi escussi, (...) e (...) hanno riferito che nella circostanza per cui è causa, trovandosi entrambi presso l'Ospedale di Cosenza, hanno dichiarato di aver visto il ricorrente cadere a terra essendo lo stesso inciampato in un nastro di imballaggio (il teste (...) ha assistito alla caduta, avvicinandosi e ha verificato la presenza del nastro intorno alle scarpe che il lavoratore indossava, nastro che poi il teste (...) ha personalmente provveduto a rimuovere. Non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità dei testi, la cui presenza sul luogo dell'infortunio non è revocabile in dubbio, non essendo emersi dati che consentano di ritenere il contrario; né, si osserva, la parte convenuta ha dedotto alcunché in proposito. Ebbene, deve condividersi la deduzione relativa alla violazione da parte del datore di lavoro dei Documenti dallo stesso predisposti proprio al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori e dell'utenza. Dal documento Unico sulla valutazione dei rischi adottato dall'Azienda (...) ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. n. 81 del 2008 e s.m.i. si evincono i seguenti obblighi: "Rischio inciampo, scivolamento, urto, caduta e compressioni"Non si può escludere un potenziale rischio di caduta, scivolamento, urto ed inciampo in tutti i luoghi di lavoro. Occorre prestare particolare attenzione nei locali tecnici, nelle officine, nelle sale operatorie (rischio di cavi sul pavimento, apparecchiature elettromedicali che rendono difficoltoso il transito e che hanno cavi di collegamento con il paziente) e nei luoghi più a rischio (ad esempio i bagni, i locali o le zone in cui è in corso il lavaggio o si è in attesa di asciugatura, ecc), nel percorrere le scale o le rampe, nei cortili interni e nelle aree comuni. Oltre alle indicazioni fornite nell'allegato b), al fine di evitare o ridurre al minimo i rischi, occorre seguire quanto di seguito indicato: ... mantenere i luoghi di lavoro puliti e ordinati e rimuovere i materiali non utilizzati ...". L'allegato B al suddetto documento prevede che i passaggi debbano essere lasciati da merci, attrezzi, imballi o altro materiale. Ancora il Documento che detta la procedura per lo smaltimento, la raccolta e l'allontanamento dei rifiuti sanitari prevede per gli imballaggi misti (contenitori in cartoni di farmaci con materiale plastico, plastica per imballaggio, contenitori di pellicole radiografiche) che gli stessi debbano essere raccolti in bustoni da litri 208, forniti dalla ditta preposta alla raccolta e che debbano essere prelevati direttamente nelle UU.OO. E' fuor di dubbio, pertanto, che la presenza nel cortile adiacente il Centro Emotrasfusionale del nastro di imballaggio nel quale il ricorrente è inciampato e che ne ha determinato la caduta debba ricondursi ad una responsabilità datoriale, per omessa osservanza delle disposizioni interne che la stessa Azienda (...) ha predisposto per prevenire rischi ai lavoratori e all'utenza. Il datore di lavoro, infatti, non è riuscito in alcun modo ad assolvere l'onere della prova su di esso gravante di aver adottato misure idonee a prevenire rischi relativi all'integrità fisica del lavoratore (non basta evidentemente che vengano predisposti regolamenti interni, occorre che le relative disposizioni siano rispettate e che siano previsti controlli in ordine alla loro osservanza). Posto, allora, che le emergenze istruttorie hanno confermato le circostanze di fatto dedotte in ricorso e l'inadempimento contrattuale, si osserva che la controversia, in ragione della domanda, pone la questione della possibile interferenza delle regole che presiedono il sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nei giudizi promossi dal lavoratore per il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti in conseguenza di inadempimenti del datore di lavoro connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. Si richiama in tal senso la recente pronuncia n. 9166 del 10.04.2017, con cui la Sezione Lavoro della Suprema Corte ha fissato una serie di principi che regolano la materia: "Ai sensi dell'art. 10, co. 1, del D.P.R. n. 1124 del 1965, nella formulazione tuttora vigente: "L'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro". La norma è applicabile anche agli eventi di malattia professionale in ragione del generale rinvio contenuto nell'art. 131 dello stesso Testo Unico. Dal disposto chiaramente si ricava che, ex lege, per tutti i danni coperti dall'assicurazione obbligatoria il datore di lavoro non può essere chiamato a rispondere civilmente. Letta in positivo la regola è che l'esonero del datore di lavoro sussiste solo nei limiti in cui il danno sia indennizzabile. La Corte Costituzionale, nella pur progressiva espansione delle tutele del lavoratore, ha illustrato che "l'istituto dell'esonero, ... , è strettamente inserito nel vigente sistema previdenziale-assicurativo, come uno degli aspetti del complesso rapporto tra oggetto dell'assicurazione, erogazione dei contributi, prestazioni assicurative. Esso costituisce una garanzia per la quale -nell'ambito dei rischi coperti da assicurazione, ed in relazione ai quali il datore di lavoro eroga contributi - egli non è tenuto al risarcimento del danno ... L'esonero opera pertanto all'interno e nell'ambito dell'oggetto dell'assicurazione, cosi come delimitata dai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di quei presupposti, non opera l'esonero: e pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità è disciplinata dal codice civile, senza i limiti posti dall'art. 10 del T.U. del 1965. Come è stato affermato in sintesi in dottrina, se non si fa luogo alla prestazione previdenziale, non vi è assicurazione: mancando l'assicurazione, cade l'esonero" (Corte cost. n. 356 del 1991; v. poi Corte cost. n. 405 del 1999; principi ribaditi anche da questa Corte: Cass. n. 1114 del 2002; Cass. n. 16250 del 2003; Cass. n. 8386 del 2006; Cass. n. 10834 del 2010). Ne consegue che ove l'assicurazione obbligatoria, notoriamente selettiva, non operi, per ragioni soggettive od oggettive, di esonero del datore di lavoro non è dato parlare. In tali casi vigono per il debitore le regole generali del diritto comune per il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. Per comodità espositiva tali tipologie di danni possano sinteticamente definirsi, come convenzionalmente accade, "danni complementari", nel senso di danni non coperti dall'assicurazione obbligatoria. Se l'esonero opera esclusivamente in relazione alle conseguenze dannose derivanti da infortuni o malattie professionali che rientrano nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria è indispensabile individuare quali siano gli eventi indennizzabili secondo le regole vigenti tempo per tempo. Vuole dirsi che, per come è strutturata la disciplina, all'ampliamento ovvero al restringimento dei limiti soggettivi ed oggettivi dell'assicurazione obbligatoria corrisponde una dilatazione o un ridimensionamento della responsabilità del datore di lavoro. Tale fenomeno si è reso particolarmente evidente proprio in relazione al danno biologico, originariamente non coperto dall'INAIL, per cui costituiva danno complementare sottratto alla regola dell'esonero ed il datore di lavoro poteva sempre essere chiamato a rispondere con azione diretta del lavoratore danneggiato, secondo i comuni presupposti della responsabilità civile (cfr. Corte cost. n. 87 del 1991); successivamente l'art. 13 del D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 38, ha esteso la tutela INAIL al danno biologico definito come "la lesione all'integrità psico-fisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona", al cui ristoro vengono destinate "prestazioni ... determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato" e secondo una tabella di calcolo dell'indennizzo che sia "comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali". In sintesi la nuova disciplina -applicabile alla fattispecie che ci occupa- così delimita i danni coperti dall'assicurazione obbligatoria: le menomazioni permanenti comprese tra il 6% ed il 15%, danno luogo ad un indennizzo in somma capitale, rapportato al grado della menomazione; le menomazioni pari o superiori al 16%, danno luogo ad una rendita ripartita in due quote: la prima quota è determinata in base al grado della menomazione, cioè al danno biologico subito dall'infortunato, la seconda tiene conto delle conseguenze di natura patrimoniale della lesione. Per i danni di natura biologica inferiori al 6% o temporanei non vi è copertura assicurativa. L'INAIL è esclusivo debitore limitatamente alle prestazioni di tipo indennitario predeterminate in base alla legge. Tutto ciò che non è riconducibile a menomazioni che, per natura o grado, non costituiscono danno biologico -inteso secondo il D.Lgs. n. 38 del 2000 - superiore al 6% ovvero danno patrimoniale pari o superiore al 16% non è coperto dall'assicurazione obbligatoria e, quindi, è escluso dalla disciplina dell'esonero. Tuttavia anche per gli eventi ed i danni riconducibili all'assicurazione obbligatoria i commi successivi al primo dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 prevedono un meccanismo in relazione al quale permane la responsabilità del datore di lavoro. Il secondo comma dell'articolo citato stabilisce che l'esonero viene meno "a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato". In seguito a plurimi interventi della Corte costituzionale, stante l'autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale, non è più necessaria una condanna penale perché operi il meccanismo per il quale viene meno la salvaguardia dell'esonero; è sufficiente che in sede civile venga accertato "che i fatti da cui deriva l'infortunio costituiscano reato sotto il profilo dell'elemento soggettivo ed oggettivo" (Corte Cost. n. 102 del 1981). Nel caso, dunque, di responsabilità penale del datore di lavoro, "non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell'indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto" (comma 6); ma, "per la parte che eccede le indennità liquidate", il risarcimento "è dovuto" dal datore di lavoro (comma 7). Di qui la nozione di "danno differenziale", rettamente inteso come quella parte di risarcimento che eccede l'importo dell'indennizzo dovuto in base all'assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio. Esso è quello che rientra nel tipo già considerato dall'assicurazione obbligatoria, ma che, in ragione del carattere indennitario di questa, può presentare delle differenze dei valori monetari rispetto al danno civilistico, primariamente sia per la diversa valutazione del grado di inabilità in sede INAIL in confronto al diritto comune (dove il grado di invalidità permanente viene determinato con criteri non imposti dalla legge ma elaborati dalla scienza medico legale), sia per il diverso valore del punto di inabilità. Parallelamente l'art. 11 dello stesso decreto consente all'INAIL di agire in regresso nei confronti del datore di lavoro penalmente responsabile "per le somme pagate a titolo di indennità". L'INAIL ha inoltre azione surrogatoria contro soggetti diversi responsabili del fatto da cui è derivato l'infortunio (art. 1916 c.c.) e può agire contro l'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, se l'infortunio deriva dal fatto che dà luogo a responsabilità da circolazione stradale (art. 28 L. n. 990 del 1969). Pertanto l'esonero cade nell'ipotesi in cui l'infortunio o la malattia professionale siano conseguenza di una condotta datoriale integrante gli estremi di una fattispecie di reato perseguibile d'ufficio ed il datore si trova esposto sia all'azione di regresso dell'istituto assicuratore per le somme versate all'assicurato sia all'azione di risarcimento da parte del lavoratore, seppur limitatamente al ristoro del danno differenziale. Dal punto di vista del lavoratore danneggiato da infortunio sul lavoro o da malattia professionale si presenta un primo e più immediato ambito di tutela da far valere nei confronti dell'INAIL, caratterizzato dall'irrilevanza della componente soggettiva, in quanto l'indennizzo viene erogato a prescindere da ogni valutazione di responsabilità, e dall'automaticità delle prestazioni, le quali spettano anche se il datore di lavoro non sia adempiente ai suoi obblighi assicurativi; inoltre, dal punto di vista quantitativo, le prestazioni assicurative, svincolate dalla personalizzazione del danno, sono erogate sulla base di criteri predeterminati stabiliti dalla legge. Con tale tutela può concorrere, pur restando autonoma, quella azionabile nei confronti del datore di lavoro che resta civilmente responsabile per i danni che abbiamo definito complementari e differenziali, basati su diversi presupposti e condizioni, ma che hanno la caratteristica di non essere quantitativamente determinabili a priori; essi prefigurano un ammontare composito potenzialmente più esteso rispetto a quello conseguibile con la mera garanzia assicurativa, sicché quest'ultima non necessariamente lo contiene. I confini posti al concorso di tutele sono quelli fissati, ad un estremo, dal divieto di occulte duplicazioni o indebite locupletazioni risarcitorie in favore del danneggiato, ma, all'estremo opposto, dalla necessità di garantire al lavoratore l'integrale risarcimento, tanto più quando vengano coinvolti beni primari della persona, in particolare il nucleo irriducibile del diritto fondamentale alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana (Corte cost. n. 309 del 1999)? In definitiva, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, innanzitutto dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124 del 1965 (sul punto v. Cass. n. 23146 del 2016; per l'assunto secondo cui per le malattie non tabellate i fattori di rischio comprendono anche quelle situazioni di dannosità che, seppure ricorrenti anche per attività non lavorative, costituiscono un rischio specifico cd. improprio v. Cass. n. 3227 del 2011; entrambe in motivazione). In tal caso potrà procedere alla verifica di applicabilità dell'art. 10 del decreto citato nell'intero del suo articolato meccanismo, anche ex officio ed indipendentemente da una richiesta di parte in quanto si tratta dell'applicazione di norme di legge al cui rispetto il giudice è tenuto (in tal senso, circa i criteri di liquidazione del danno differenziale, v. Cass. n. 20807/2016 cit.). Prima individuando i danni richiesti dal lavoratore che non siano riconducibili alla copertura assicurativa e che abbiamo definito, per comodità di sintesi, complementari; per essi non opera l'esonero del datore di lavoro di cui al primo comma dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e quindi gli stessi andranno risarciti secondo le comuni regole della responsabilità civile, anche in punto di presunzione di colpa. Indi, ove siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, attuato il giudizio di sussunzione e di qualificazione giuridica che compete al giudice, questi potrà accertare in via incidentale autonoma la sussistenza dell'illecito penale e, in caso di esito positivo circa tale accertamento, procedere alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, secondo le regole dettate dai successivi commi dell'art. 10 più volte citato. Valuterà, cioè, il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, e da esso detrarrà quanto indennizzabile dall'INAIL, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale (come già sancito da Cass. n. 20807/2016 cit.). Reputa il Collegio che anche tale operazione di scomputo vada effettuata ex officio ed anche se l'INAIL non abbia tri concreto provveduto all'indennizzo, come accaduto nella fattispecie che ci occupa. Depone per tale soluzione il tenore letterale dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 cit. compatibile anche col caso del difetto di un già intervenuto indennizzo. Infatti, i commi 6, 7 ed 8 della disposizione parlano di indennità o rendita "liquidata a norma" del decreto. Dunque non dicono "che è stata liquidata", né "pagata", ma parlano di mera "liquidazione", che è operazione contabile astratta che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale. Di contro l'art. 11 dello stesso decreto n. 1124/65, in materia di regresso, usa la ben diversa espressione di "somme pagate", certamente presupponendo il reale ed effettivo pagamento degli importi. Quindi, l'indennizzo può essere anche un termine di raffronto solo virtuale, cioè astrattamente liquidabile secondo un puro criterio tabellare. Altrimenti ragionando, il lavoratore locupleterebbe somme che il datore di lavoro comunque non sarebbe tenuto a pagare né al dipendente (perché il risarcimento al lavoratore, anche in casi di responsabilità penale, è dovuto solo per l'eccedenza), né all'INAIL (che può agire in regresso solo per le somme versate e, quindi, senza indennizzo non vi sarebbe regresso). Inoltre la mancata liquidazione dell'indennizzo potrebbe essere dovuta allo stesso comportamento del lavoratore, che, ad esempio, non ha denunciato l'infortunio o la malattia ovvero ha lasciato prescrivere l'azione; detta condotta non può determinare una maggiore esposizione del datore ed il lavoratore non può incidere, con una sua scelta, sull'esonero parziale da responsabilità civile inderogabilmente prescritto dall'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965". Applicando, allora, i suddetti principi al caso di specie, rileva il Tribunale che i danni subiti dal ricorrente a cagione della condotta datoriale sicuramente rientrano nella copertura assicurativa garantita dall'INAIL e che nei fatti accertati sono astrattamente ravvisabili gli estremi del reato di lesioni personali colpose procedibili d'ufficio perché cagionate "con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale" (art. 590, u.c., c.p.); tanto in ragione del fatto che anche la sola violazione delle regole di cui all'art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale (Corte cost. n. 74 del 1981 e Cass., Sez. L., n. 1579 del 2000). Sulla base di tali dati si è quindi ritenuto di procedere ad una consulenza d'ufficio volta ad accertare, nel contraddittorio tra le parti, la sussistenza della patologia dedotta. L'ausiliare del Giudice, quindi, svolte le necessarie indagini e sulla base della documentazione in atti, ha diagnosticato che il ricorrente è affetto da postumi permanenti riconducibili all'infortunio e, in particolare: "esiti di frattura del capitello radiale e dell'epitroclea al gomito destro, trattate conservativamente, consistenti in limitazione funzionale dell'articolazione e dolorabilità alla digitopressione sul focolaio fratturativo; esiti di infrazione dello scafoide alla mano destra consistenti in limitazione funzionale del polso, lieve deficit di forza nella presa a pinza e nei movimenti di opposizione fra pollice ed indice e dolorabilità alla digitopressione sull'eminenza tenar". Il CTU ha, quindi, verificato che le medesime patologie, in applicazione dei criteri dettati dal D.M. 12 luglio 2000 ai fini della determinazione dell'indennizzo INAIL, danno luogo ad una percentuale di danno indennizzabile nella misura del 9% (come in effetti riconosciuto) mentre in applicazione delle tabelle in uso in ambito civilistico danno luogo ad un danno biologico del 10%. Tale diagnosi, tenuto conto degli esiti della compiuta istruttoria, non può che essere condivisa. Ora, nella giurisprudenza della Suprema Corte è pacifico il principio per cui i pagamenti effettuati dall'assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l'indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito (Cass. Sez. Un. n. 12566/2018). Ne discende che il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (il danno differenziale, appunto) andrà determinato col criterio c.d. "per poste" (o "voci") omogenee di danno, ossia sottraendo l'indennizzo INAIL dal credito risarcitorio solo quando l'uno e l'altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici. Venendo allora alla liquidazione del danno subito dal ricorrente si osserva che la menomazione dell'integrità psicofisica, in sé considerata, generalmente si liquida equitativamente, come voce ontologicamente unitaria; tale lesione integra il c.d. "danno biologico", dotato, secondo la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità, di un significato così totalizzante da far rifluire in esso numerose figure di danno, in passato considerate autonome, quali il danno estetico, il danno alla vita di relazione etc. A tanto si aggiunga che, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza, il risarcimento ipotizzato deve essere parametrato all'età dell'infortunato atteso che occorre ristorare il pregiudizio subito non solo nel suo profilo statico (corrispondente alla lesione fisiologica in sé considerata), ma anche dinamico (e proiettato negli anni di effettiva sopravvivenza) in quanto e se incidente sulle utilità della vita e sulle corrispondenti occupazioni quotidiane. Occorre a questo punto, quanto alla ricostruzione giuridica del danno biologico, dare atto del recente mutamento di indirizzo della Corte di legittimità. La Cassazione ha stabilito che la nuova lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., che svincola il danno morale dalla ricorrenza di un reato (vedi Corte Cost. 233/2003) consente oggi una tutela risarcitoria della persona ricondotta ad un sistema bipolare (e non più tripolare) costituito dal danno patrimoniale e dal danno non patrimoniale; quest'ultimo a sua volta ricomprende in sé sia il danno biologico in senso stretto (compromissione del bene salute sotto il profilo statico, prima ricondotto nell'art. 2043 c.c.), sia il danno morale soggettivo (il pretium doloris) sia il danno conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti (generalmente definito danno esistenziale). La Corte ha affermato in particolare che "il danno non patrimoniale è comprensivo del danno biologico (in senso stretto) , del danno morale e della lesione di interessi costituzionalmente protetti; nel vigente assetto dell'ordinamento nel quale assume posizione preminente la Costituzione che all'art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, che non si esaurisca nel danno morale e che non sia correlato alla qualifica di reato del fatto illecito ex art. 185 c.p.; unica possibile forma di liquidazione del danno privo delle caratteristiche della patrimonialità e quella equitativa sicchè la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale ma comprensiva di un pregiudizio non economico " vedi Cass. 2004, n. 10157; note "sentenze gemelle" 2003, n. 8827; 2003, n. 8828). In altri termini oggi anche il danno biologico rientra nell'alveo del danno non patrimoniale, accanto al danno morale, esistenziale, professionale che non sono però voci autonome di danno. L'art. 2059 c.c. è diventato il perno del sistema del risarcimento del danno alla persona (salva la separata risarcibilità del danno patrimoniale) ed è divenuta ampia la nozione di danno non patrimoniale nel quale rientrano in definitiva tutti i danni che possano essere qualificati come l'ingiusta lesione di un interesse inerente la persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica e tali valori devono aver nel nostro ordinamento un rilievo ed una tutela di portata costituzionale. Tale tipo di danno va inteso, quindi, quale danno conseguenza, allegato in giudizio dall'istante e liquidato equitativamente sulla base delle risultanze istruttorie e della comune esperienza. Logico corollario di tale nuova impostazione è addirittura la possibilità di procedere ad una compensazione monetaria cumulativa, nel senso che possono essere inclusi nel medesimo importo il danno biologico in senso stretto (lesione in sé considerata sotto il profilo statico), il danno morale soggettivo ed il ristoro degli ulteriori pregiudizi diversi dalla mera sofferenza psichica. Le sezioni unite 2008, n. 26972, nel risolvere il contrasto in punto di esistenza del danno esistenziale (risolto negativamente nel senso dell'inesistenza del danno esistenziale inteso quale autonoma categoria di danno), e nell'approfondire la nozione di danno non patrimoniale, hanno sostanzialmente confermato il contenuto delle sentenze gemelle del 2003, nn. 8827 e 8828 completandole e chiarendole nei termini che seguono. In particolare la Corte ha esposto che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge; tali casi si dividono in due grandi categorie: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); e quelle in cui la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione. La decisione, esaminando il contenuto della nozione di danno non patrimoniale, ha stabilito che quest'ultimo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. Non è conforme, dunque, al dettato normativo pretendere di distinguere il c.d. "danno morale soggettivo", inteso quale sofferenza psichica transeunte, dagli altri danni non patrimoniali: la sofferenza morale non è che uno dei molteplici aspetti di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione dell'unico ed unitario danno non patrimoniale, e non un pregiudizio a sé stante. Da questo principio è stato tratto il corollario che non è ammissibile nel nostro ordinamento la concepibilità d'un danno definito "esistenziale", inteso quale la perdita del fare areddituale della persona. Una simile perdita, ove causata da un fatto illecito lesivo di un diritto della persona costituzionalmente garantito, costituisce un ordinario danno non patrimoniale, di per sé risarcibile ex art. 2059 c.c., che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato. Quando, per contro, un pregiudizio del tipo definito in dottrina "esistenziale" sia causato da condotte che non siano lesive di specifici diritti della persona costituzionalmente garantiti, esso sarà irrisarcibile, giusta la limitazione di cui all'art. 2059 c.c.. Da ciò le SS.UU. hanno tratto spunto per negare la risarcibilità dei danni non patrimoniali cc.dd. "bagatellari", ossia quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità, ed hanno al riguardo avvertito che la liquidazione (specie nei giudizi decisi dal giudice di pace secondo equità quale quello in lite) di danni non patrimoniali non gravi o causati da offese non serie, è censurabile in sede di gravame per violazione di un principio informatore della materia. La sentenza è completata da tre importanti precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, liquidazione e prova del danno. Con riferimento alla responsabilità contrattuale, le SS.UU. hanno precisato che anche dall'inadempimento di una obbligazione contrattuale può derivare un danno non patrimoniale, risarcibile nei limiti ed alle condizioni già viste (e quindi o nei casi espressamente previsti dalla legge, ovvero quando l'inadempimento abbia leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione). Per quanto attiene, invece, alla liquidazione del danno ed alle modalità di tale liquidazione, le SS.UU. hanno precisato che il danno non patrimoniale va risarcito integralmente, ma senza duplicazioni: deve, pertanto, ritenersi non corretta la prassi di liquidare in caso di lesioni della persona sia il danno morale sia quello biologico; come pure quella di liquidare nel caso di morte di un familiare sia il danno morale, sia quello da perdita del rapporto parentale: gli uni e gli altri, per quanto detto, costituiscono infatti pregiudizi del medesimo tipo. Resta per il giudice solo la possibilità di adeguare il complessivo risarcimento alle peculiarità del caso esaminato. Infine, per quanto attiene la prova del danno, le SS.UU., premessa la necessità di adeguata allegazione e prova del danno in linea generale, hanno ammesso che essa possa fornirsi anche per presunzioni semplici, fermo restando però l'onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio. Certamente, infatti, il pregiudizio attiene ad un bene immateriale e si verte nell'ambito della prova di stati soggettivi rispetto ai quali la prova diretta è difficile; è vero, tuttavia, che per l'operatività della presunzione e, quindi, per poter risalire al fatto ignoto (danno) attraverso l'esame dei fatti noti, è sempre necessario che tali ultimi fatti vengano allegati in relazione alla fattispecie concreta e non facendo richiamo a circostanze e formule del tutto astratte e, quindi, di stile. Ebbene, nel caso di specie la parte ricorrente ha genericamente allegato che la condotta datoriale ha dato luogo anche ad una lesione della sua personalità morale, ma non ha chiarito gli specifici aspetti della personalità che assume essere stati lesi, né ha chiarito in che modo il comportamento del datore di lavoro abbia inciso sulle sua esistenza, modificandola negativamente. Non può, infatti, ritenersi probante il certificato medico in data 07.07.2020, da cui risulta soltanto che il ricorrente "è affetto da sindrome ansioso depressiva in soggetto con esiti di frattura scomposta del capitello e dell'epicondolo dell'epitroclea con limitazioni nella funzione dell'arto dx", posto che le patologie sono diagnosticate come concomitanti, senza alcuna indicazione dell'eziologia della sindrome ansioso depressiva. Non ritiene, quindi, questo Giudice che il danno non patrimoniale di cui si chiede il risarcimento, possa comprendere ulteriori profili oltre a quello accertato dal CTU. Ciò posto si osserva che la parte ricorrente ha riscontrato che l'INAIL, in relazione al danno biologico riconosciuto nella misura definitiva del 9%, ha corrisposto la somma complessiva di Euro 6.159,91 (cfr. l'Attestazione INAIL in data 29.03.2023, da cui risulta anche l'indennizzo dell'inabilità temporanea assoluta, che, pertanto, può essere riconosciuta in questa sede solo nella parte eccedente). Tale tipo di danno deve essere liquidato con un'attenta valutazione della patologia sofferta e delle condizioni soggettive dell'infortunato (natura ed entità delle lesioni, durata della malattia, sussistenza e rilevanza degli esiti carattere permanente, età del soggetto). In particolare, per quanto riguarda la gravità della patologia, non vi è dubbio che l'incidenza dei postumi sulla vita del soggetto (in tutte le sue esplicazioni, lavorative, ricreative, socio-culturali, ecc.) cresce in progressione geometrica, e non solo aritmetica, rispetto al grado di invalidità permanente (in sostanza, ogni punto aggiuntivo di invalidità provoca una compromissione sempre maggiore dell'integrità psico-fisica). Al fine di assicurare la necessaria parità di trattamento e tenuto conto delle elaborazioni emerse in sede giudiziaria e medico - legale, questo Giudice ha quindi ritenuto di dover procedere alla quantificazione monetaria del danno accertato riconoscendo un importo di Euro 10.023,09 (16.183,00 - 6.159,92) per l'invalidità permanente, attribuendo ad ogni punto di invalidità permanente un valore progressivamente decrescente, con applicazione di un coefficiente di riduzione in funzione dell'età del danneggiato (57 alla data dell'infortunio); tale somma costituisce quindi l'entità del risarcimento spettante alla ricorrente per il danno non patrimoniale ascrivibile alla responsabilità del datore di lavoro. Trattandosi di debito di valore, deve essere accolta la richiesta di rivalutazione monetaria determinata secondo gli indici ISTAT, mirante a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era prima del fatto che ha generato il danno. Considerato che la somma così attribuita rappresenta il valore del bene perduto dal danneggiato, va riconosciuto anche il pregiudizio provocato dal ritardato pagamento facendo ricorso, al riguardo, a criteri presuntivi ed equitativi (cfr. Cass. S.U. n. 1712/95) in misura pari agli interessi legali maturati sul capitale via via rivalutato, previa progressiva devalutazione della somma all'epoca dei fatti (nel caso di specie il 22.07.2015) ed a quelli ulteriori dalla data della sentenza e fino al soddisfo. Quanto, infine all'inabilità temporanea assoluta, considerato che l'INAIL ha già corrisposto la somma di Euro 6.038,82, l'importo dovuto dal datore di lavoro è pari ad Euro 8.514,18 (euro 14.553,00 - 6.038,82). Le spese di CTU e di lite, queste ultime compensate al 40%, atteso l'esito del giudizio, seguono la soccombenza. P.Q.M. In parziale accoglimento del ricorso condanna l'Azienda (...), in persona del legale rappresentante p.t., a corrispondere al ricorrente, a titolo di risarcimento del danno biologico differenziale, la somma di Euro 10.023,09, oltre interessi legali maturati sul capitale via via rivalutato, previa devalutazione alla data del 22.07.2015 ed ulteriori interessi legali dalla data della sentenza fino al soddisfo e, a titolo di inabilità temporanea assolta la somma di Euro 8.514,18, oltre accessori. Condanna l'Azienda (...), in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione delle spese di CTU, liquidate con separato decreto e delle spese di lite, che liquida, compensate al 40% in Euro 4.019,40, oltre IVA e CPA e rimborso spese forfetarie come per legge per competenze ed in Euro 786,00 per esborsi. Così deciso in Cosenza il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il tribunale di Cosenza, seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Ermanna Grossi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 400/2018 R.G.A.C. vertente TRA (...) (c.f.: (...)), in proprio e nella qualità di erede di (...), e (...) (c.f.: (...)), nella qualità di erede di (...), entrambi rappresentati e difesi, in virtù di separate procure allegate l'una a margine dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo e l'altra alla comparsa di costituzione depositata in data 10/12/2018 nell'interesse di (...), a seguito della morte della originaria attrice (...), dagli avvocati Ka.Li. e Gi.De., ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Cosenza, alla via (...); -ATTORI/OPPONENTI- E (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura allegata all'atto di costituzione di nuovo difensore depositato in data 26/10/2022, dall'avv. Ma.Pe.. -CONVENUTA/OPPOSTA- Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. 1717/2017 del tribunale di Cosenza. FATTO E DIRITTO 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1717/2017, emesso dal tribunale di Cosenza in data 6/12/2017, con il quale è stato intimato loro il pagamento, in favore di (...) s.p.a., della somma di Euro 67.653,33, oltre interessi come richiesti in ricorso ed oltre alle spese legali, a titolo di restituzione delle somme residue dovute in virtù dei seguenti contratti di finanziamento: 1) Euro 11.634,24 per il contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) (quest'ultima in qualità di coobbligata) con (...) s.r.l. per l'importo di Euro 16.524,00 da restituirsi in 84 rate mensili (ciascuna pari ad Euro 306,00); 2) Euro 16.958,52 per il contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) (quest'ultima in qualità di coobbligata) con (...) s.p.a. per l'importo di Euro 26.384,00 da restituirsi in 84 rate mensili (ciascuna pari ad Euro 456,00); 3) Euro 39.060,57 per il contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) (quest'ultima in qualità di coobbligata) con (...) s.p.a. per l'importo di Euro 50.500,00 da restituirsi in 120 rate mensili (ciascuna pari ad Euro 685,93). A sostegno dell'opposizione, gli attori hanno preliminarmente eccepito l'inesistenza della procura alle liti rilasciata dalla società opposta al suo originario difensore nell'ambito del giudizio monitorio, non rinvenendosi alcuna certificazione della autenticità della firma digitale apparentemente rilasciata dal procuratore della società. (...) inoltre eccepito la carenza di legittimazione attiva della società opposta non risultando prova della regolare cessione dei crediti a (...) s.p.a. dalle società finanziarie con cui sono stati stipulati i contratti di finanziamento posti alla base del ricorso per decreto ingiuntivo. (...) ancora eccepito l'insussistenza dei presupposti per la valida emissione del decreto, anche in ragione della asserita inesigibilità dei crediti reclamati in mancanza di una valida comunicazione agli ingiunti della decadenza dal beneficio del termine. (...) pure dedotto l'assenza di prova dei crediti reclamati, mancando la comunicazione dell'accettazione espressa della richiesta di finanziamento formulata dal cliente nei confronti di (...) s.r.l. e di (...) s.p.a. e comunque non risultando dimostrato l'accredito delle somme. Nel merito hanno eccepito la decadenza della società opposta ai sensi dell'art. 1957 c.c. dal diritto di pretendere la garanzia nei confronti di (...), che avrebbe prestato fideiussione, la nullità dei contratti di finanziamento per mancanza di forma scritta, la nullità della clausola con cui sono stati pattuiti gli interessi per mancanza di forma scritta, l'applicazione di interessi usurari o comunque anatocistici, oltre alla mancata corrispondenza del T.A.E.G. indicato nei contratti rispetto a quello effettivo. Con comparsa di risposta depositata in data 2/5/2018 si è costituita in giudizio (...) s.p.a. col patrocinio degli avvocati Leopoldo Conti ed (...), per chiedere il rigetto dell'opposizione sul presupposto di aver fornito la prova dell'esistenza della procura alle liti rilasciata al difensore, della intervenuta prova della cessione dei crediti, del regolare perfezionamento dei tre contratti. Ha inoltre stigmatizzato la circostanza che la controparte, lungi dal contestare di aver effettivamente sottoscritto i contratti, non ha fornito la prova del pagamento dei ratei di finanziamento rimasti insoluti, né della applicazione di interessi usurari o anatocistici, evidenziando altresì l'inconferente richiamo alla disciplina di cui all'art. 1957 c.c., per essere (...) intervenuta nel contratto in qualità di coobbligata e non di garante. Con provvedimento reso in data 1/6/2018, il tribunale ha rigettato la richiesta di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ed ha assegnato i termini per l'espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione che ha avuto esito negativo per come si evince dal verbale depositato. Nelle more del giudizio è deceduta (...), per come dichiarato dai suoi difensori nella comparsa depositata in data 10/12/2018, attraverso la quale si sono costituiti in giudizio (...) ed (...), entrambi nella qualità di eredi di (...), insistendo per l'accoglimento di tutte le richieste avanzate nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo. Intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, sesto comma, c.p.c., il tribunale ha disposto una c.t.u. tecnico contabile, conferendo il relativo incarico al dott. (...), che ha depositato l'elaborato definitivo in data 13/7/2020. Successivamente la causa è pervenuta sul ruolo della scrivente quale nuovo giudice titolare, che dopo alcuni rinvii accordati al fine di favorire, su richiesta delle parti, la soluzione conciliativa della controversia, ha rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 23/9/2022, svoltasi mediante trattazione scritta, come da decreto emesso in data 19/8/2022, regolarmente comunicato ai difensori delle parti, e all'esito ha trattenuto la causa in decisione, previa assegnazione dei termini per il deposito degli scritti conclusivi. Con atto di costituzione di nuovo difensore depositato in data 26/10/2022, si è costituito in giudizio l'avv. (...), nella qualità di nuovo difensore della società opposta, in sostituzione degli altri precedentemente nominati. 2. Va preliminarmente esaminata l'eccezione di nullità e/o inesistenza della procura alle liti rilasciata dalla società opposta all'avv. (...) ai fini della proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo. L'eccezione è infondata. E invero, la procura in questione risulta rilasciata da (...), nella qualità di procuratore di (...) s.p.a. (per come risulta dall'atto pubblico per notar (...) di (...) - (...) del 5/5/2017, rep. n. (...)), e da lui sottoscritta con firma digitale la cui validità deve ritenersi confermata dal documento allegato sub (...) alla comparsa di risposta. Non può, peraltro, trascurarsi di evidenziare che, per costante insegnamento della corte di cassazione, nel giudizio di opposizione il giudice deve accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e non già stabilire se l'ingiunzione fu emessa validamente, restando irrilevanti ai fini di questo accertamento eventuali vizi della procedura monitoria, anche sotto il profilo della procura alle liti rilasciata al difensore, che non comportino l'insussistenza del diritto fatto valere con il procedimento monitorio e che possono dispiegare rilevanza solo sul regolamento delle spese (cfr. cass. n. 20613/2011 secondo cui "il giudice che dichiari nullo il decreto per nullità della procura ed emetta una sentenza di condanna non incorre in alcuno dei vizi di cui all'art. 112 c.p.c., non configurando l'opposizione un'impugnazione del decreto"). 3. Per le stesse ragioni non possono essere favorevolmente considerate le eccezioni relative alla dedotta insussistenza dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo. E ciò in quanto l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Pertanto l'eventuale carenza dei requisiti probatori per la concessione del provvedimento monitorio può rilevare solo ai fini del regolamento delle spese processuali e la sentenza non può essere impugnata solo per accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (cfr. cass. n. 16767/2014). Ai fini dell'accertamento della pretesa creditoria dell'opposta, deve dunque aversi riguardo all'intero materiale probatorio offerto dalla parte opposta anche in sede di opposizione, non potendo il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio. 4. Va ulteriormente osservato che, a fronte delle contestazioni formulate dagli opponenti in ordine alla carenza di legittimazione attiva, la società opposta ha dimostrato di essersi resa cessionaria dei crediti derivanti da tutti i contratti di finanziamento. E invero, risulta prodotto l'accordo di cessione stipulato da (...) s.p.a. con (...) s.p.a. datato 15/11/2012 a cui risulta allegato l'elenco dei crediti ceduti, fra cui figurano, oltre agli altri debitamente omissati, quello relativo al contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) con (...) s.r.l. (successivamente fusa per incorporazione in (...) s.p.a. per come si evince dalla visura storica di tale ultima società, pag. 109, allegata alla seconda memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. depositata dalla società opposta) e quello relativo al contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) con (...) s.p.a. Allo stesso modo, con riferimento al credito derivante dal contratto di finanziamento stipulato da (...) e da (...) con (...) s.p.a., la società opposta ha depositato non solo l'atto per notar (...) dell'11/5/2015 (rep. n. (...) - racc. n. (...)) di fusione per incorporazione di (...) s.p.a. in (...) s.p.a., ma anche l'accordo di cessione stipulato da tale ultima società con (...) s.p.a. datato 22/6/2015 a cui risulta allegato l'elenco dei crediti ceduti, fra cui figura, oltre agli altri debitamente omissati, quello relativo al contratto di finanziamento n. (...) stipulato da (...) e da (...) con (...) s.p.a. 5. Tanto premesso va evidenziato che, a fronte delle contestazioni sollevate dagli attori in ordine alla mancanza di prova del credito fatto valere dalla società opposta, quest'ultima ha assolto ai propri oneri probatori. (...) s.p.a. agisce infatti per il credito nascente dai tre contratti di finanziamento puntualmente indicati al punto 1 della presente sentenza. La società ha depositato la copia dei contratti, oltre ai piani di ammortamento. La contestazione relativa alla effettiva erogazione del credito per ciascuno dei contratti di finanziamento, benché sollevata dagli opponenti a pag. 5 dell'atto di citazione (e non tardivamente nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. per come sostenuto dalla società convenuta), non può essere favorevolmente considerata. E invero, se si considera che i tre contratti risultano tutti puntualmente sottoscritti da (...) e da (...), che la società opposta ha richiesto il pagamento non di tutti i ratei concordati, ma solo di alcuni, assumendo pertanto che in parte sono stati pagati dagli obbligati e alla luce dei documenti denominati "stampa dati messaggio" relativi ai contratti stipulati con (...) s.r.l. e (...) s.p.a. e "prova di erogazione pratica (...) (...)" relativi al contratto stipulato con (...) s.p.a., sussistono elementi gravi, precisi e concordanti per ritenere che le somme richieste in prestito siano state regolarmente erogate. 6. L'eccezione di nullità della fideiussione prestata da (...) è parimenti del tutto infondata, in considerazione del fatto che nessuna fideiussione risulta rilasciata dalla (...) a garanzia dei debiti del (...). La (...) è infatti intervenuta in tutti e tre i contratti nella qualità di coobligata e non di garante. È vero che la figura del "coobligato", dal punto di vista del nomen juris, non riceve una propria autonoma e compiuta disciplina nel codice civile. Tuttavia essa appare certamente riconducibile all'ipotesi della solidarietà passiva di cui all'articolo 1294 c.c., dovendosi qualificare il "coobbligato" come un condebitore tenuto ad adempiere all'obbligo restitutorio insieme al mutuatario, in un'ottica di rafforzamento ed attuazione del diritto di credito della parte mutuante: è noto, peraltro, che la funzione tipica della solidarietà passiva consiste nella moltiplicazione dei debitori coobbligati nei cui confronti il creditore può agire per ottenere l'adempimento dell'obbligazione e, dunque, nella moltiplicazione dei patrimoni che il creditore comune può aggredire in forza della regola della responsabilità patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. (cfr. trib. Salerno, 15 luglio 2022; trib. Santa Maria Capua Vetere, n. 2321/2020 secondo cui "l'aver utilizzato in un contratto di prestito al consumo l'espressione "coobbligato", è circostanza di per sé sufficiente a qualificare l'obbligazione assunta come solidale in quanto anche se tale espressione non trova rispondenza in alcun istituto, questa deve ritenersi certamente riferita alla qualità di debitore solidale ai sensi degli artt. 1292 c.c."). Pertanto, essendo la (...) coobbligata in solido con il (...) per l'obbligazione restitutoria della sorte capitale finanziata e degli accessori della stessa, quale parte contrattuale dei finanziamenti medesimi, ne consegue che ad essa (e ora ai suoi eredi) non si applica la disciplina relativa al contratto di fideiussione. 7. Non può trovare accoglimento nemmeno l'eccezione di nullità dei contratti per mancanza di forma scritta richiesta ab substantiam dall'art. 117 t.u.b. La società opposta ha infatti depositato le copie dei tre contratti di finanziamento e le condizioni economiche ad essi applicate (ricomprendenti la misura degli interessi corrispettivi e di mora) che risultano sottoscritte da (...) e da (...). Deve osservarsi al riguardo che la previsione della forma scritta ad substantiam nei contratti bancari è stata prevista a tutela del cliente, ritenuto dal legislatore parte debole nel rapporto contrattuale con le banche o le società finanziarie. Ne consegue che la firma che deve essere presente nel corpo del documento contenente il regolamento contrattuale deve essere quella del cliente e non già quella della banca (o della società finanziaria), soprattutto laddove il contenuto del contratto è stato, come nel caso in esame, predisposto unilateralmente da quest'ultima, su documento intestato alla stessa (cfr. cass. n. 22640/2019). 8. Va disattesa anche l'eccezione degli attori secondo cui la pattuizione concernente gli interessi convenzionali dovrebbe ritenersi invalida, perché contenuta in moduli predisposti unilateralmente dalle società finanziatrici e non approvata specificamente con apposita sottoscrizione pur non avendo formato oggetto di trattativa tra le parti. La tesi non è fondata, poiché, per costante insegnamento della corte di cassazione, le clausole con cui viene stabilito in misura extralegale il tasso degli interessi non possono essere incluse, neppure in via di interpretazione estensiva, tra quelle vessatorie, non sussistendo in questa ipotesi l'esigenza di tutelare il contraente per adesione in una situazione per lui particolarmente sfavorevole (cfr., ex multis, cass. n. 14912/2001; cass. n. 9646/2006; cass. n. 16124/2009). 9. Giova, infine, sottolineare che, alla luce della perizia econometrica prodotta, gli attori hanno fatto riferimento anche al fenomeno dell'anatocismo occulto nel piano di ammortamento alla francese quale ulteriore aspetto critico dei tre contratti di finanziamento stipulati. La censura non coglie nel segno, in considerazione del fatto che il piano di ammortamento c.d. alla francese non implica automaticamente anatocismo, in quanto il sistema matematico di formazione delle rate risulta di regola predisposto in modo che in relazione a ciascuna rata la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull'intero importo finanziato, bensì di volta in volta con riferimento alla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, escludendosi in tal modo che gli interessi di fatto vadano determinati almeno in parte su se stessi, producendo l'effetto anatocistico contestato. Il fatto che, nel piano di ammortamento alla francese, il tasso in concreto applicato risulti superiore al tasso pattuito dipende esclusivamente dal diverso periodo di computo dei suddetti tassi, posto che il tasso di interesse pattuito è calcolato su base annua, mentre il tasso in concreto applicato è conteggiato su intervalli temporali minori, come previsto dal piano di rimborso delle rate. 10. Passando alla trattazione del merito, occorre preliminarmente esaminare la censura relativa alla usurarietà degli interessi pattuiti relativamente ai contratti stipulati con (...) s.r.l. e con (...) s.p.a. Al riguardo va ricordato che l'art. 644 c.p., che punisce "chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643 si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se' o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari", al suo terzo comma, rimette ad una fonte esterna la concreta individuazione del c.d. tasso soglia di usura, che della fattispecie è l'elemento imprescindibile. Essa è infatti rimessa alle rilevazioni trimestrali della (...) di cui all'art. 2, commi 1 e 4, della L. n. 108 del 1996. Nel sistema fissato dalla legge citata, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dalla rilevazione pubblicata relativa alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, con l'aumento stabilito per il trimestre di riferimento. Al quarto comma l'art. 644 c.p. prevede che "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito". Nel caso di specie, trattandosi di un finanziamento, il tasso soglia al quale va comparato il tasso di interesse corrispettivo previsto in contratto, va individuato in quello previsto al momento della stipula, rilevando solo l'usura cd. originaria (cfr. cass., sez. un., n. 24675/2017). Con riferimento poi alle voci di costo da ricomprendere ai fini di individuare il tasso applicato da confrontarsi con il tasso soglia tempo per tempo vigente, esse vanno individuate conformemente a quanto previsto dalle Istruzioni della (...) applicabili nel periodo di riferimento. Al riguardo, va però precisato che, ai fini del calcolo del tasso usurario non rileva il T.A.E.G. (il quale comprende tutte le spese e gli oneri da pagare, cioè i costi accessori obbligatori di un prestito, quali le spese di istruttoria, i costi di apertura e chiusura pratica, le spese di incasso delle rate ed i costi delle polizze assicurative obbligatorie). E invero, le istruzioni della (...) ed i decreti ministeriali trimestrali che definiscono i fondamentali tassi soglia, non fanno riferimento al T.A.E.G. (Tasso Annuo Effettivo Globale), bensì al T.E.G. (Tasso Effettivo Globale). Quindi è il T.E.G. e non il T.A.E.G. ad essere impiegato per le verifiche di usurarietà delle operazioni di credito praticate da banche ed altri intermediari finanziari. La (...) ogni tre mesi utilizza il T.E.G. per determinare i tassi usurari, per calcolare i quali utilizza il T.E.(...) ottenuto dalla media dei tassi effettivi che vengono applicati sui finanziamenti, aumentato di un quarto. Rientrano nel calcolo del T.E.G. le commissioni e le spese accessorie che gli istituti bancari addebitano al cliente, oltre al tasso nominale, e l'aumento del T.E.(...) di un quarto, con un margine aggiuntivo del 4%, definisce il limite oltre il quale gli interessi si ritengono usurari. Quindi per non superare il tasso soglia, la differenza tra il limite e il tasso effettivo medio globale non deve superare gli 8 punti percentuali. Per tali ragioni, l'eccezione di usurarietà dei tassi applicati ai due contratti sopra menzionati non può trovare accoglimento, non avendone gli attori fornito la prova, non potendosi tenere conto, a tal fine, delle conclusioni raggiunte dal c.t.p. degli attori per avere lo stesso impiegato il T.A.E.G. ai fini della verifica di usurarietà anziché il T.E.G. È opportuno evidenziare che lo stesso errore metodologico risulta compiuto dal c.t.u., che ha pure fatto riferimento al T.A.E.G. ai fini della verifica della usurarietà, benché nel quesito il tribunale avesse espressamente richiesto di compiere la verifica con riferimento al T.E.G. pattuito o successivamente modificato ai sensi dell'art. 118 t.u.b. Ciononostante il giudicante non ritiene di dover rimettere la causa sul ruolo per procedere alla rinnovazione della c.t.u., che si rivelerebbe del tutto esplorativa, tenuto conto che la censura di usurarietà è stata formulata dagli attori mediante il ricorso a un parametro notoriamente erroneo. 11. Sempre con riguardo ai contratti stipulati con (...) s.r.l. e con (...) s.p.a. gli attori hanno lamentato la difformità del T.A.E.G. concretamente applicato che determinerebbe la declaratoria di nullità della relative clausole contrattuali ai sensi dell'art. 125-bis del D.Lgs. n. 385 del 1993 (di seguito t.u.b.) sul presupposto che, ai fini del calcolo del T.A.E.G. andrebbero inclusi i costi relativi alle polizze assicurative sottoscritte a copertura del credito, da ritenersi obbligatorie e non meramente facoltative. (...) quindi chiesto la rimodulazione del piano di ammortamento con sostituzione del medesimo con il tasso B.O.T. ai sensi dell'art. 117, comma 7, t.u.b. e conseguente rideterminazione dell'eventuale somma ancora dovuta. Al riguardo, si osserva che nell'ambito dei contratti di credito al consumo, l'art. 125-bis t.u.b., introdotto dall'art. 1 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, al comma 6 stabilisce che "Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124". Ciò significa che per i contratti di credito al consumo stipulati dopo l'entrata in vigore del citato decreto legislativo, la mancata o erronea indicazione nel contratto del T.A.E.G. costituisce causa di nullità della relativa clausola, con conseguente diritto per il cliente consumatore di ottenere il ricalcolo del piano di ammortamento mediante applicazione dell'interesse al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nella specie, i contratti di finanziamento stipulati da (...) e da (...) con (...) s.r.l. e (...) s.p.a. benché pacificamente riconducibili alla categoria dei rapporti di credito ai consumatori, risultano sottoscritti l'uno (quello stipulato con (...) s.r.l.) in data 30/1/2009 e l'altro (quello stipulato con (...) s.p.a.) in data 26/8/2008 e dunque antecedentemente all'entrata in vigore del menzionato art. 125-bis t.u.b., avvenuta in data 19/9/2010. Ne consegue che, trovando applicazione l'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire e non ha efficacia retroattiva, la normativa sopra richiamata non può trovare applicazione al caso di specie e, conseguentemente, non può darsi luogo ad alcun ricalcolo del tasso di interesse a norma dell'art. 117, comma 7, t.u.b. D'altra parte, l'erronea indicazione del T.A.E.G. in contratto non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto, piuttosto, un'erronea rappresentazione del suo costo complessivo. Il T.A.E.G., infatti, ha finalità prettamente informativa del contraente - avendo lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo o il finanziamento - e non è oggetto di autonoma pattuizione tra le parti, né rientra nella nozione di "tassi d'interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticate" che devono essere correttamente indicati nel contratto per la validità delle corrispondenti clausole, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 117, comma 4, t.u.b. Ne consegue che la sua eventuale errata indicazione - in un contesto normativo in cui non esisteva ancora l'art. 125-bis o fuori dal campo di applicazione di esso - non incide sugli elementi strutturali del contratto e non è, conseguentemente, suscettibile di determinarne la nullità, anche parziale, potendo al più determinare una violazione degli obblighi di trasparenza e informazione legislativamente imposti all'operatore bancario a tutela del contraente debole e, quindi, un'eventuale tutela risarcitoria ove si dimostri che il contratto non sarebbe stato stipulato ove si fosse conosciuto il costo effettivo del credito erogato (fattispecie estranea alla causa petendi della domanda degli attori, fondata esclusivamente sulla nullità parziale della clausola configurante il T.A.E.G. e sulla necessità di applicare il tasso sostitutivo di cui all'art. 117, comma 7, t.u.b.). In mancanza della relativa domanda risarcitoria, non occorre procedere alla disamina della natura obbligatoria o facoltativa delle polizze assicurative che accedono ai due contratti in questione. 12. Con riguardo al contratto stipulato da (...) e (...) con (...) s.p.a., va anche in questo caso premesso che, trattandosi di contratto concluso in data 22/4/2009, non trova applicazione rispetto ad esso la disciplina di cui all'art. 125-bis, comma 7, t.u.b. Va però osservato che, con riguardo a tale contratto, il c.t.u., pur escludendo l'applicazione di interessi usurari, ha provveduto a riformulare il conteggio degli interessi in applicazione del tasso sostitutivo di cui all'art. 117, comma 4, t.u.b. sul presupposto della indeterminatezza del regime finanziario applicato per avere accertato che i ratei mensilmente dovuti, per come risultanti dal piano di ammortamento, sarebbero di importo superiore a quelli derivanti dalla applicazione delle condizioni contrattuali: infatti, nella prospettazione del c.t.u., non si spiega in che modo, a fronte di un capitale finanziato pari ad Euro 50.500,00, i ratei mensili siano stati stabiliti nella misura di Euro 685,93, anziché in Euro 680,00, posto che i ratei per come determinati inducono a ritenere che l'importo finanziato sia pari ad Euro 50.939,77 e non ad Euro 50.500,00 per come indicato in contratto. Le conclusioni del c.t.u. possono essere condivise in parte qua, non avendo la società convenuta adeguatamente specificato i motivi della rilevata difformità, né sviluppato un conteggio alternativo idoneo a convincere il giudicante della validità della tesi proposta. Di conseguenza, in applicazione del tasso sostitutivo stabilito dall'art. 117, comma 7, t.u.b. cui ha fatto riferimento il c.t.u. nella relazione depositata, la somma ancora dovuta dagli attori alla società opposta è pari al minore importo di Euro 32.738,22 alla data del 31/10/2012 a cui risale la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, per come si evince dall'estratto conto certificato allegato sub doc. 21 al fascicolo relativo alla fase monitoria. 13. Conclusivamente, in parziale accoglimento dell'opposizione proposta, il decreto ingiuntivo n. 1717/2017 va revocato e (...) ed (...) condannati al pagamento in favore di (...) s.p.a. della somma complessiva di Euro 61.330,98 (di cui Euro 11.634,24 relativamente al contratto n. (...) stipulato con (...) s.r.l., Euro 16.958,52 relativamente al contratto n. (...) stipulato con (...) s.p.a. ed Euro 32.738,22 relativamente al contratto n. (...) stipulato con (...) s.p.a.), oltre agli interessi convenzionali di mora dalla data della domanda (da individuarsi per il contratto n. (...) nel 3/5/2016, per il contratto n. (...) nel 18/4/2013 e per il contratto n. (...) nel 14/9/2018, date corrispondenti a quelle in cui (...) ha ricevuto le note di diffida ad adempiere da parte di (...) s.p.a. successivamente all'acquisto dei relativi crediti da parte di quest'ultima) fino al soddisfo. 14. Il parziale accoglimento dell'opposizione giustifica la compensazione per un terzo delle spese di lite, che seguono, per la restante parte, la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in favore della società opposta, sulla base dei valori medi di cui alla tabella n. 2 allegata al D.M. n. 55 del 2014, per lo scaglione corrispondente al valore della presente causa (da determinarsi con riguardo all'importo del credito effettivamente riconosciuto), diminuiti fino al 50% per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale, in ragione del grado di difficoltà della controversia. Le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto, sono poste definitivamente a carico di entrambe le parti in solido. P.Q.M. Il tribunale di Cosenza, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e difesa respinte: - accoglie parzialmente l'opposizione proposta e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 1717/2017 emesso dal tribunale di Cosenza; - condanna (...) ed (...) al pagamento, in solido, in favore di (...) s.p.a., della somma complessiva di Euro 61.330,98, oltre agli interessi convenzionali di mora dal dì della domanda, per come individuato in motivazione per ciascuno dei tre contratti di finanziamento oggetto del presente giudizio, fino al soddisfo; - condanna (...) ed (...) al pagamento, in solido, in favore di (...) s.p.a., dei due terzi delle spese relative al presente giudizio che liquida, complessivamente e per l'intero, nella somma di Euro 7.052,00, oltre a rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, compensando fra le parti il restante terzo; - pone le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto, definitivamente a carico di entrambe le parti in solido. Così deciso in Cosenza il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI COSENZA SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Vincenzo Lo Feudo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 177/2021 RGAL TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. CA.PA. ricorrente E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. FR.MI. resistente Oggetto: competenze di lavoro FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente notificato (...) conveniva davanti a questo Giudice la società (...) a r.l. deducendo: - di aver lavorato alle dipendenze della società convenuta, dal 14.07.2009 al 30.04.2017, con mansioni di autista V Livello del CCNL di categoria; - di essere stato assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato per 40 ore settimanali, ma di aver eseguito le prestazioni lavorative per tutti i giorni della settimana, esclusa la domenica, dal lunedì al venerdì dalle ore 06.00 alle 18.00 con un'ora di pausa pranzo ed il sabato dalle 06.00 alle 13.00, eccedendo, dunque, l'orario di lavoro contrattualmente pattuito; - di avere svolto mansioni inquadrabili nel livello IV del CCNL; - di non avere goduto di ferie, festività soppresse, riposo settimanale, tredicesima mensilità e del TFR maturato relativamente al livello superiore che si assume essere stato svolto. Tanto premesso, il ricorrente chiedeva, quindi, una condanna della società convenuta alla corresponsione della complessiva somma di Euro 98.508,08, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Si costituiva la società convenuta eccependo, in via preliminare, la parziale prescrizione dei crediti azionati dal ricorrente e nel merito deduceva l'infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto. In particolare, esponeva, il Sig. (...) non aveva mai svolto mansioni diverse da quelle indicate nel contratto di assunzione, né disimpegnato le proprie prestazioni per un orario di lavoro eccedente le quaranta ore settimanali. Veniva fissata per la discussione l'udienza del 12.04.2023, sostituita dal deposito di note scritte con decreto comunicato alle parti il 16.03.2023. La parte convenuta depositava le note di trattazione scritta in data 07.04.2023. E' infondata l'eccezione di parziale prescrizione degli asseriti crediti retributivi, atteso che, in difetto di ogni allegazione e tempestive richieste istruttorie sul numero dei dipendenti occupati dalla società convenuta, il decorso del termine prescrizionale non può che farsi coincidere con la riferita cessazione del rapporto di lavoro subordinato (30.04.2017), con la conseguenza che al momento della notifica dell'atto di messa in mora, effettuata il 12.05.2020, il termine di prescrizione (poi nuovamente interrotto con la notifica del ricorso nel 2021) non era decorso. Si osserva, inoltre, che sul regime della prescrizione dei crediti retributivi ha notoriamente inciso la modifica apportata dalla L. n. 92 del 2012 all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il Tribunale richiama e fa proprio l'orientamento espresso dalla Corte di Appello di Catanzaro (sentenza n. 47/21 del 19.01.2021), secondo cui: "?Il quadro normativo, rispetto alle citate pronunce della Consulta, è radicalmente mutato a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, che ha riformato l'art. 18 L. n. 300 del 1970, approntando un articolato sistema sanzionatorio nel quale la reintegrazione è stata fortemente ridimensionata, riservata ad ipotesi residuali, che fungono da eccezione rispetto alla tutela indennitaria. Il testo attualmente vigente dell'art. 18 L. n. 300 del 1970, a differenza di quello originario, prevede infatti la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (commi 1, 4, 7), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (commi 5 e 6); ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale.È pertanto ravvisabile - e nell'attuale quadro normativo è dunque ancor più ravvisabile - la sussistenza di quella condizione di metus che, in base ai consolidati principi dettati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, esclude il decorso del termine prescrizionale in costanza di rapporto di lavoro. A supporto di questa soluzione va richiamato, altresì, l'orientamento giurisprudenziale che valorizza l'effettiva condizione del prestatore di lavorosubordinato, precisando che la decorrenza o meno della prescrizione nel corso del rapporto di lavoro va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione all'effettiva esistenza di una situazione psicologica di "metus" del lavoratore, e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse sorto fin dall'inizio con le modalità e la disciplina che il giudice, con un giudizio necessariamente "ex post", riconosce applicabili (Cass. sez. un. 4942/12; Cass. 10.4.2000 n. 4520; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. 23.1.2009 n. 1717; Cass. 4.6.2014 n. 12553). Il Collegio, alla stregua di tali condivisibili principi, ritiene che, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012 all'art. 18 L. n. 300 del 1970, la prescrizione dei crediti retributivi non decorra in costanza di rapporto di lavoro, anche ove a questo sia applicabile l'art. 18 novellato?". Nel merito, ritiene il Tribunale che la domanda non sia meritevole di accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono. Occorre evidenziare che, come è noto, spetta alla parte che avanza una domanda giudiziale l'onere di provare i fatti costitutivi della domanda stessa; tanto in base al principio generale fissato all'art. 2697 c.c. secondo il quale "chi vuol far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento". In applicazione di tale principio, nelle controversie di lavoro, spetta al lavoratore l'onere di provare la quantità e la qualità della attività lavorativa prestata, mentre compete al datore di lavoro dimostrare di avere retribuito detta attività nella misura dovuta in base alla legge ed al contratto di lavoro. Tale onere probatorio assume maggior rigore in materia di lavoro straordinario ove grava sul lavoratore che ricorra al giudice di provare il lavoro prestato oltre l'orario normale nel suo preciso ammontare di tempo e di esecuzione (cfr Cass. 11876/91, Cass. 3537/93, Cass. 3549/94; più di recente "Sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell'onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice"; Cass. Sez. L. n. 16150 del 2018). Ebbene si osserva che tale onere probatorio non è stato assolto dal ricorrente, né attraverso la prova per testi, né attraverso la produzione documentale. Le dichiarazioni rese dai due testi indicati dalla parte ricorrente escussi nel corso dell'istruttoria non consentono di ritenere fondato l'assunto attoreo in ordine alle mansioni svolte dal (...), così come dedotte in ricorso, e neanche in merito all'asserito lavoro straordinario prestato. (...) escusso all'udienza del 19.01.2022 ha riferito di avere un contenzioso in atto con la società convenuta e tanto rende la sua testimonianza influenzata dalla pendenza di tale controversia e, quindi, non serena rispetto al datore del lavoro. (...), invece, escusso all'udienza del 21.12.2022, si è limitato a riferire circostanze che delineano solo una prassi aziendale e, dunque, non sono direttamente e certamente riconducibili alla persona del ricorrente. Per completezza espositiva si riportano le dichiarazioni rese da teste "Il ricorrente iniziava a lavorare intorno alle ore 06.00/06.30 del mattino e non era previsto un orario di cessazione dell'attività lavorativa. Si finiva quando terminavano di scaricare le merci, ossia verso le 07.00/07.30. Poteva andare bene e allora si cessava l'attività lavorativa alle ore 16.00/16.30. Ogni quattro ore di guida eravamo tenuti a fare 45 minuti di pausa. Preciso che il sabato al massimo si lavorava fino alle 14.00". Appare del tutto evidente l'inidoneità di tali dichiarazioni rispetto alla posizione specifica del ricorrente. Anche per ciò che riguarda le mansioni che il ricorrente assume di avere svolto, inquadrabili nel livello superiore (IV) del CCNL di categoria, l'assunto non è stato provato dalle prove dichiarative né dalla documentazione allegata. Il CCNL, infatti, prevede che appartenga al IV livello l'autotrenista conducente di automezzi pesanti. Il ricorrente deduce, in ricorso e nelle note autorizzate, di essere in possesso della patente C e di avere guidato "veicoli di grandi dimensioni dotati di tachigrafi" per i quali tale tipo patente è richiesta, ma non offre alcuna prova a sostegno di tale affermazione. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto, anche senza tener conto delle dichiarazioni rese dai testi indicati dalla convenuta che hanno confermato i relativi assunti. Le spese come di norma seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna (...) al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 6.699,00, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge, con distrazione. Così deciso in Cosenza il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • TRIBUNALE DI COSENZA SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona del dott. Vincenzo Lo Feudo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2276/2021 RGAL (...) TRA (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) ricorrente E (...) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. (...) resistente oggetto: risarcimento danni FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio la società (...) persona legale rappresentante p.t., e, premesso di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 23.09.1997, con mansioni dal 2012 di responsabile di negozio, fino al 17.06.2016, quando era stata licenziata per superamento del periodo di comporto, chiedeva una condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni biologico e morale, che deduceva essere diretta conseguenza di una condotta mobbizzante, realizzata attraverso una serie di atti di gestione del rapporto di lavoro posti in essere con intento vessatorio. In particolare esponeva che in ragione della suddetta condotta era stata costretta ad un surplus lavorativo e segnatamente esponeva: che nella qualità di Store Manager, dal 18.12.2012 aveva doveva recarsi a cadenza mensile alle riunioni di area, mentre, successivamente - in particolare negli ultimi 18 mesi del rapporto - era stata continuativamente chiamata a recarsi fuori sede (Lecce, Napoli, Bari, Salerno, Milano e Lamezia Terme) permanendovi per periodi medio/lunghi (da tre a sei giorni) e lavorando fino a 14 ore al giorno, dalle h. 5.00/6.00 del mattino, sia per l'allestimento di nuovi punti vendita, sia per la formazione dei nuovi store manager, ovvero per effettuare inventari in orario di chiusura dei negozi e quindi in orario notturno; che anche presso il negozio di Rende aveva effettuato lavoro straordinario non riconosciuto, in quanto il capo area le aveva imposto di sostituirlo per sue esigenze personali, obbligandola ad anticipare il turno di almeno due ore per raccogliere, in sua vece, i dati dei punti vendita del centro sud e di relazionare alla società; che aveva lavorato in negozio per sei giorni alla settimana, dalle h. 8.00 alle h. 22.00, senza pausa pranzo, consumando pasti da asporto veloce; che l'orario previsto in contratto era, per contro, di otto ore giornaliere per cinque giorni la settimana; che al fine di assecondare le esigenze datoriali la ricorrente non riusciva a dedicarsi al marito e alla figlia di 9 anni, tanto da doverla trasferire presso i nonni, in un paese del circondario; che a causa delle modalità di svolgimento della prestazione aveva iniziato a soffrire di violenti attacchi di panico e dall'ottobre 2015 era già in cura presso una psicologa per il trattamento della "sindrome ansiosa/reattiva, verosimilmente causata da forte stress lavorativo" e che a causa di ciò in data 27 novembre 2015, mentre si stava recando al lavoro, aveva un incidente automobilistico, riportando danni alla persona, dovendo, inoltre, continuare a lavorare sin dal giorno successivo all'incidente e con turni particolarmente intensi; che analoghi comportamenti erano stati tenuti dal datore di lavoro fino al licenziamento (applicazione pretestuosa di una sanzione disciplinare, ingiurie a lei rivolte dal Capo Area). Dedotta la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., per averla costretta a svolgere attività incompatibile con il proprio stato di salute (sindrome ansioso depressiva reattiva) di cui era a conoscenza, lamentava una lesione dell'integrità psico fisica corrispondente ad un danno biologico del 20%. Concludeva come sopra indicato, chiedendo una condanna al risarcimento dei danni quantificati in euro 92.345,00. Si costituiva la società convenuta, contestando l'assunto attoreo e chiedendo il rigetto della domanda per infondatezza. Veniva fissata per la discussione l'udienza del 29.03.2023, poi sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. con provvedimento comunicato alle parti il 28.02.2023; le parti depositavano le note di trattazione scritta rispettivamente nelle date del 20.03.2023 e del 01.03.2023. Si premette che la cessione del ramo di azienda nel quale la ricorrente è stata occupata fino al 17.06.2016 (cessione avvenuta nel 2021) non giustifica la richiesta di una interruzione del giudizio (con eventuale riassunzione, come suggerito dalla società convenuta) non sussistendo in capo alla cessionaria alcun obbligo nei confronti della ricorrente. Come da tempo chiarito dalla Suprema Corte (cfr., ex multis n. 12899/1997) il nuovo testo dell'art. 2112 c.c., così come sostituito dalla legge n. 428 del 1990 ("legge comunitaria per il 1990", correlata alla legge 9 marzo 1989 n. 86, recante le norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari) deve essere interpretato alla luce della lettera e della "ratio" della direttiva CEE attuata (n. 77/187) e della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea formatasi sulla direttiva stessa, alla cui interpretazione il giudice nazionale deve uniformarsi, "posto che soprattutto sul piano ermeneutico - come pure è stato affermato dalla Corte Costituzionale - V ordinamento comunitario manifesta la sua prevalenza su quello nazionale, nel senso che, tra i molteplici possibili significati che possa presentare la norma statale interna, V interprete è tenuto ad adeguarsi al significato che risulti più conforme al diritto comunitario". Nello stesso senso, più di recente. "L'art. 2112, secondo comma, cod. civ., che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, presuppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d'azienda, sicché non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 2560 cod. civ. che contempla, in generale la responsabilità dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori. (Nella specie, i lavoratori erano stati licenziati dalla cedente in assenza di contestazione, attesa la chiusura dell'esercizio, poi riaperto, dopo alcuni mesi, a seguito di ristrutturazione ed assunzione di altro personale)" (Cass., Sez. L. n. 4598/2015). In questa prospettiva ai fini di una corretta interpretazione dell'attuale testo dell'art. 2112 cod. civ., è necessario muovere dalle disposizioni della citata direttiva comunitaria ed in particolare dal disposto dell'art. 3, punto 1 prima parte, il quale prevede che, nel caso di trasferimento d'azienda ad un nuovo soggetto imprenditore, siano trasferiti al cessionario obblighi (o diritti) del cedente derivanti dai rapporti di lavoro sussistenti alla data del trasferimento stesso (testualmente la direttiva sul punto recita: "I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento... sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario"). Tale previsione chiaramente esclude che a carico del cessionario possano ritenersi trasferiti obblighi o diritti derivanti da rapporti di lavoro che, pur se già intercorsi con il cedente, non siano più esistenti, perché cessati per una delle varie cause di risoluzione, nel momento in cui il cessionario subentra nella titolarità dell'azienda. Ciò premesso, ritiene il Tribunale che il ricorso non possa trovare accoglimento. Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito con il termine mobbing ci si riferisce a una situazione di aggressione, di esclusione, di emarginazione di un lavoratore da parte dei suoi colleghi o dei suoi superiori, che si manifesta attraverso una serie coordinata e sistematica di azioni con cui l'aggressore (mobber) intenzionalmente mette in atto strategie comportamentali volte alla distruzione psicologica, sociale e professionale della vittima (mobbizzato). L'accertamento dell'illecito comporta dunque il riscontro di una condotta sistematica e dolosa di soprusi finalizzati a danneggiare il lavoratore e del nesso causale esistente tra il pregiudizio lamentato e detto comportamento. La Suprema Corte ha più volte affermato che "Ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè V intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi" (ex multis, Sez. L. n. 17698 del 06.08.2014). Ebbene, nel caso di specie non può che evidenziarsi come la ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio abbia in modo estremamente generico allegato che dalla asserita condotta vessatoria sia derivata l'insorgenza di uno stato di profondo malessere psico - fisico (con sintomi particolarmente gravi) senza tuttavia senza offrire idonei riscontri in ordine alla sussistenza della condotta datoriale e del necessario nesso eziologico tra le patologie stesse e la condotta stessa. La ricorrente ha infatti chiesto di provare attraverso la prova per testi il comportamento vessatorio del datore di lavoro ed ha chiesto, altresì, al giudice di disporre una CTU che accerti e quantifichi la sussistenza delle lesioni all'integrità fisica. Ebbene, premesso che l'eccezione di giudicato sollevata dalla società resistente deve ritenersi infondata, posto che il Tribunale di Cosenza si è pronunciato sulla vicenda lavorativa della ricorrente, ma solo al fine di valutare, escludendolo, l'eccepito intento ritorsivo del licenziamento, si osserva che, come correttamente dedotto dalla convenuta, non vi sono elementi per affermare la sussistenza di una condotta mobbizzante e soprattutto il necessario nesso eziologico tra tale asserita condotta e l'insorgenza della patologia. La società ha documetalmente provato: che durante tutto il rapporto di lavoro - ed ancor di più negli ultimi 18 mesi - la ricorrente ha sempre fruito del giorno di riposo settimanale di ferie, di permessi e di ROL; che per tutto l'anno 2015 la ricorrente ha sempre fruito di giornate di ferie; che lo straordinario è stato sempre retribuito; che nell'anno 2016, al netto delle assenze per malattie seguite agli infortuni, di riposi settimanali e di altre assenze, la ricorrente ha lavorato solo per 24 giorni; che nel corso del 2015 la ricorrente ha percepito una serie di premi mensili per un importo complessivo di Euro 1.490,00 lordi; che nel mese di febbraio 2016 la lavoratrice è stata premiata come Store Manager del miglior scontrino medio 2015 del Centro Sud; che con la busta paga del mese di aprile alla ricorrente è stato riconosciuto il cosiddetto premio "Shop Profit" per un importo pari ad Euro 2.464,11 lordi, sebbene fosse assente da oltre due mesi; che, prima del licenziamento, la lavoratrice non ha mai censurato la condotta del Capo Area né ha denunciato surplus lavorativo. Si aggiunga che la ricorrente lamenta di aver svolto lavoro straordinario non retribuito, ma non agisce per ottenerne il ristoro, né ha mai impugnato la sanzione conservativa applicatale, che pure definisce ingiusta. Ma ciò che non è davvero sostenibile nel caso di specie è proprio il nesso di causalità tra l'asserita condotta datoriale e l'insorgenza della grave patologia denunciata. Si osserva che secondo il pacifico e costante orientamento della Suprema Corte "In relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d'ufficio, che è quella di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, il suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere uri indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (cfr. ex multis, n. 2887/2003) nel caso di specie non può che rilevarsi come, in difetto di idonei riscontri documentali, la richiesta consulenza avrebbe avuto la suddetta inammissibile finalità di verificare circostanze non provate. Considerato, infatti, che nell'anno 2016 la ricorrente ha lavorato solo per 24 giorni e che, quindi, la condotta asseritamente vessatoria che si assume all'origine delle lamentate patologie deve necessariamente collocarsi negli anni precedenti, osserva il Tribunale che la documentazione medica in atti non consente in alcun modo, già prima facie, di ritenere che la sindrome depressiva ansiosa reattiva diagnosticata possa ricondursi a dinamiche lavorative. Prescindendo da tutta la certificazione successiva al licenziamento, si osserva che il certificato in data 04.05.2016 (documento allegato n.15) riferisce la patologia "verosimilmente a stress lavorativo". Dal certificato in data 10.06.2016 (documento allegato n. 17) risulta che "dalla raccolta dei dati anamnestici si registra una condizione disadattiva in seno al contesto lavorativo". Il certificato in data 15.09.2016 non indica alcuna "possibile o verosimile" origine della patologia. Ebbene, da tale documentazione nulla può ricavarsi quanto al dedotto nesso eziologico tra la sindrome depressiva ansiosa reattiva e la condotta datoriale denunciata, atteso che il riferimento (in soli due certificati) all'ambiente lavorativo è stato chiaramente riferito dalla stessa ricorrente nel corso delle visite mediche. Quanto alla certificazione contestata dalla società (non prodotta nel pregresso giudizio e non menzionata nella relazione di parte redatta nel 2021) non può che rilevarsi che anche tale documento è inidoneo allo scopo, posto che in esso si legge, ancora una volta, che la ricorrente è stata sottoposta ad un trattamento psicoterapeutico dal 05.10.2016 al 5.02.2016 per "sindrome depressiva ansiosa reattiva, verosimilmente causata da forte stress lavorativo". Lo "stress lavorativo" anche questa volta è definito "verosimile", perché tale è la causa riferita dalla ricorrente. Dalla stessa relazione in data 11.01.2021 si ricava che è la ricorrente ha suggerire l'origine lavorativa della patologia, in modo particolare alle dinamiche che hanno portato al licenziamento. Inoltre nessuno dei capitoli della prova per testi articolata in ricorso risulta finalizzato a provare la sussistenza dei pregiudizi di cui si chiede il ristoro (se non con un generico richiamo alla documentazione esaminata), essendo sostanzialmente tutti volti alla sola ricostruzione dell'iter lavorativo della ricorrente. In tale situazione non può che trovare applicazione, allora, il noto e costante orientamento della Suprema Corte la quale, in rigorosa coerenza ai principi in materia di onere della prova, più volte ha statuito in tema di risarcimento danni asseritamente cagionati dal datore di lavoro: "Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto.. .deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art. 2697 cod. civ.. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito sul punto in quanto il giudice, invece di verificare se il prestatore di lavoro aveva nella specie provato, conformemente all'onere probatorio da cui era gravato, il danno ed il nesso di causalita1 con l'inadempimento datoriale, aveva affermato che al demansionamento professionale andava riconosciuta una indubbia dimensione patrimoniale, suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, pur in mancanza della dimostrazione di un effettivo pregiudizio" Cass., n. 10361 del 28.5.2004, n. 7905/1998 e 8904/2003; più di recente n. 29047/2017). La domanda non può, dunque, trovare accoglimento. Le spese di lite come di norma seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 5.360,00, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettarie come per legge. Cosenza, 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2023.

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