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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CREMONA Il G.O.P di Cremona, Dott.ssa Tiziana Lucini Paioni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile R.G. n. 2381/2021 del Ruolo Gen. Affari Controv. - locazioni promossa da: (...) s.r.l. (p.i.: (...)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore sig. Pa.Pa., con sede in Crema, via (...) - rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Sp. del foro di Cremona INTIMANTE-OPPOSTA CONTRO (...) s.r.l.s (p.i.: (...) con sede in Lecco via (...) - rappresentata e difesa dall'avv. Nicoletta Spagnolo del Foro di Lecco INTIMATA - OPPONENTE OGGETTO: RISOLUZIONE CONTRATTO DI LOCAZIONE AD USO COMMERCIALE La causa veniva posta in decisione all'udienza del 9 marzo 2023, sulle conclusioni formulate dalle parti nelle note scritte depositate per l'odierna udienza che si richiamano integralmente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione la società (...) s.r.l. conveniva in giudizio la società (...) s.r.l.s. al fine di convalidare lo sfratto per morosità relativamente alla porzione immobiliare ad uso capannone artigianale-industriale, situato nel Comune di Bagnolo Cremasco (CR), via (...) n. 11/13, Piano Terra, riportato nel n. C.E.U. del Comune di Bagnolo Cremasco con i seguenti estremi catastali: Fg. (...), cat. C/2, rendita catastale Euro 127,25. L'intimante osservava che: - detto immobile era stato concesso in locazione ad uso non abitativo alla società (...) s.r.l.s. giusto contratto di locazione del 05.06.2019, registrato presso l'Agenzia delle Entrate, ufficio territoriale di Crema in data 05.06.2019 al n. (...) - serie 3T codice identificativo (...), - le parti concordavano una durata del contratto di locazione per la durata di anni (6+6) con la decorrenza dal 05.06.2019 e con la scadenza per il 04.06.2025, nonché il pagamento del canone di locazione nella misura di Euro 6.500,00 annui + IVA come per legge, da corrispondere in favore del locatore mediante n. 12 rate mensili anticipate dell'importo di Euro 542,00 + I.V.A. ciascuna, comprensive di spese condominiali; - in data 27.01.2020 si verificava un incendio presso l'unità immobiliare concessa in locazione ad (...) s.r.l.s. che interessava anche parte del materiale ivi presente ed i n. 2 furgoni posti nel cortile esterno a ridosso del portone, provocando ingentissimi danni ai muri perimetrali del locale, ai lucernai del soffitto e alle finestre, nonché al portone di accesso; - nonostante quanto espressamente previsto nella clausola n. 11 del contratto di locazione la società conduttrice (...) s.r.l.s. si rendeva inadempiente agli obblighi contrattuali stipulati, non avendo mai provveduto a stipulare nessuna polizza assicurativa al riguardo; - nonostante le rassicurazioni ricevute dal sig. (...), legale rappresentante di (...) s.r.l.s., in ordine alla promessa di intervento per la messa in pristino dei locali a proprie spese, la società conduttrice rimaneva del tutto inerte ed inadempiente; - a far data dal mese di agosto 2020 la società conduttrice interrompeva poi il pagamento dei canoni di locazione. La società (...) s.r.l. si dichiarava pertanto creditrice nei confronti della società (...) s.r.l.s dell'importo pari a Euro 36.698,14 di cui: Euro 7.273,64, Iva compresa, a titolo di mancato pagamento dei canoni di locazione mensili dal mese di agosto 2020 ad oggi, oltre Euro 32,50 per mancato versamento della quota di imposta di registro a carico della società conduttrice e dell'importo pari ad Euro 28.692,00 per spese imputabili ai lavori per la messa in pristino dell'immobile, giusta allegata perizia estimativa Geo. (...), oltre Euro 700,00 da imputarsi alle attività necessarie per lo smaltimento del materiale residuo. Con comparsa del 24.09.2021 (...) s.r.l.s. si costituiva in giudizio contestando le pretese avversarie e chiedendo la dichiarazione di risoluzione del contratto di locazione non per morosità della conduttrice, ma per intervenuta impossibilità della prestazione in capo a parte locatrice, a seguito dell'incendio del 27.01.2020, che ha impedito il godimento dell'immobile da parte di (...) e, conseguentemente, l'inesigibilità della controprestazione in termini di pagamento dei canoni di locazione; con consequenziale rigetto di ogni domanda anche in punto di risarcimento di danni non riconducibili a responsabilità contrattuale della conduttrice. L'intimata eccepiva infatti l'assenza di responsabilità della conduttrice ex art. 1588 c.c., in quanto l'evento era di natura dolosa, ad opera di terzi, come si desume dal fascicolo delle indagini della Procura della Repubblica di Cremona - procedimento penale n. 919/20, mod. 21, nei confronti di tale Sig. (...), fascicolo contenente i verbali di intervento dei Carabinieri e dei Vigili del Fuoco di Cremona, oltre a relativo materiale fotografico, da cui si evince la dinamica dolosa dell'incendio ad opera di ignoti che, approfittando delle ore serali, si introducevano nell'immobile, scavalcando/manomettendo la recinzione del cancello e infrangendo il vetro di una delle porte di ingresso del capannone. Esclusa la possibilità di un eventuale cortocircuito, attesa l'assenza di allacciamento di utenza elettrica, parte intimata spiegava altresì domanda riconvenzionale avente ad oggetto la domanda di restituzione dei canoni versati dal mese di febbraio al mese di luglio 2020 pari ad Euro 3.967,44, non dovuti per il mancato godimento dell'immobile, oltre a rivalutazione monetaria e interessi dal dovuto al saldo; nonché domanda di restituzione del deposito cauzionale di cui all'art. 15 del contratto di locazione, pari ad Euro 1.800,00 contestando ogni avversa deduzione e conclusione. All'udienza del 27.09.2021, il Giudice rinviava la causa al 15.11.2021, con termine a parte intimante sino all'10.11.2021 per il deposito di repliche. All'udienza del 15 novembre 2021, il legale di parte intimante dava atto che l'immobile era stato spontaneamente riconsegnato dal conduttore in data 7.9.2021 e il Giudice, ritenuto non sussistere i presupposti per l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio atteso l'avvenuto rilascio spontaneo dell'immobile da parte del conduttore e per l'emissione dell'ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti ed a scadere non essendovi il provvedimento definitivo di convalida dello sfratto e ritenuto che, con decorrenza dal 20.09.2013, per le controversie in materia di locazione, il tentativo di mediazione obbligatoria deve essere esperito a pena di procedibilità della domanda giudiziale, disponeva il mutamento del rito, ai sensi degli artt. 447 bis e 667 c.p.c., sospendendo il giudizio in attesa dell'esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Assegnava, all'uopo, alle parti termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e rinviava la causa all'udienza del 21.04.2022, concedendo termine a parte intimante fino al 25.03.2022 ed a parte intimata fino al 05.04.2022 per integrare i propri atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti. Il tentativo obbligatorio di mediazione sortiva esito negativo, come da verbale agli atti. All'udienza del 28 aprile 2022, nelle forme di trattazione scritta attesa l'emergenza Covid-19, il GOP, lette le memorie integrative depositate dalle parti, disponeva l'acquisizione gli atti del fascicolo di ATP ex art. 696 bis c.p.c. RG 1406/2021-Tribunale di Cremona ed ammetteva la prova per testi ed interpello articolata dalle parti nelle rispettive memorie integrative coi testi ivi indicati e rinviava per l'escussione dei testi all'udienza del 16 giugno 2022. Esaurite le prove, il GOP ritenuta la causa matura per la decisione concedeva alle parti termine per il deposito di note conclusive e rinviava la causa per discussione all'udienza del 24.11.2022. All'udienza del 24.11.2022 il GOP rinviava la causa per lettura del dispositivo all'udienza del 9.3.2023. MOTIVI DELLA DECISIONE Dagli atti di causa (accertamenti compiuti dalla Legione Carabinieri di Crema e dai vigili del fuoco) emerge che l'incendio del 27 gennaio 2020 scoppiato nel capannone di Bagnolo Cremasco locato alla (...) s.r.l.s è di probabile origine dolosa ed è avvenuto ad opera di ignoti che si sono introdotti nel capannone, non protetto da sistemi di allarme e/o sorveglianza. Vi è presso la Procura della Repubblica di Cremona un procedimento penale nei confronti di altro soggetto. In sintesi, le Autorità competenti, chiamate a pronunciarsi sul caso de quo hanno accertato che la causa dell'incendio vada individuata nell'azione dolosa di terzi. Per giurisprudenza costante il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile. In questo senso si pone una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile soltanto con la dimostrazione che la causa dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non sia a lui imputabile. Nel caso in cui la causa resti sconosciuta o dubbia, e comunque in tutti i casi in cui manca la prova, la responsabilità della perdita o del deterioramento resta a carico del conduttore. Non è nemmeno sufficiente che il conduttore non sia stato ritenuto responsabile in sede penale per reati di danneggiamento od incendio, perché ciò non comporta di per sé l'identificazione della causa (ben potendo aversi sentenza di assoluzione ex 530 II comma cpp), ma per la esimente della responsabilità civile del conduttore, occorre che questa sia nota e possa positivamente dirsi non addebitabile al conduttore stesso. Premesso ciò, nel caso di specie, a prescindere dalla sussistenza o meno di colpa in capo al conduttore, è dirimente di ogni questione l'art. 11 del contratto di locazione che così espressamente statuisce: "il conduttore esonera espressamente il locatore da ogni responsabilità per i danni diretti o indiretti che potessero derivargli da terzi o da sua inerzia (...); esonera espressamente il locatore da ogni responsabilità per eventuali danni, per fatto, colpa o provenienza anche di terzi che a seguito di scassi, furti, incendi o allagamenti comunque determinati (...). A tal riguardo il conduttore avrà l'obbligo di stipulare idonei contratti assicurativi per le seguenti garanzie: incendio ed allagamento del fabbricato per il valore a nuovo e ricorso vicini. Tale clausola - peraltro specificatamente approvata per iscritto dal conduttore ex art. 1341 C. C - è da ritenersi a tutti gli effetti valida ed imperante. La legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 79, stabilisce essere nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale o ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con la stessa legge. La norma non esclude invero la validità di qualsivoglia accordo vantaggioso per il locatore, ma solo di quei patti che preventivamente eludono diritti attribuiti al conduttore da norme inderogabili contenute nella stessa legge. Tra questi ultimi patti non rientra quello che imponga al conduttore l'obbligo di stipulare, per tutta la durata del contratto, una assicurazione per il bene preso in locazione dato che per lo stesso ne è il custode. Pertanto, con la sottoscrizione della clausola n. 11 il conduttore (...) srls si è accollato ogni rischio di pericolo e/o danno cagionato da terzi, in particolare da incendio imputabile non solo alla società stessa, ma anche a terzi, impegnandosi a fronte di ciò a stipulare contratto assicurativo a copertura dei danni da incendio. La (...) S.r.l. è stata espressamente esonerata da ogni danno e responsabilità per qualsivoglia fatto di terzi. A nulla pertanto rileva l'assenza di responsabilità in capo al conduttore, il quale ha violato le norme di buona fede e diligenza nella esecuzione del contratto, non adempiendo all'impegno assunto di stipula di polizza assicurativa a copertura da eventuali danni da incendio, pregiudicando in tal modo la posizione ed interesse del locatore-proprietario che ha confidato nella sussistenza della copertura assicurativa e quindi nell'assenza di esposizione a rischio economico - patrimoniale. In forza dell'art. 11 del contratto di locazione, (...) srls era ed è pertanto tenuta a tenere indenne la proprietà da ogni danno da incendio ed al risarcimento di ogni danno riportato dall'immobile locato od in alternativa anche a ripristinare a sue spese il bene e mantenere in tal odo in vita il contratto di locazione. In merito al risarcimento dei danni: in base all'art. 1590 c.c., il conduttore è tenuto a restituire la cosa locata al locatore nello stato medesimo in cui l'ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del contratto. Ne deriva, che (...) srls, in difetto di copertura assicurativa, è tenuta a risarcire il danno riportato dall'immobile conseguentemente all'incendio ed equivalente al costo di ripristino dei locali. Sul punto, decisivo è l'elaborato peritale stilato dal Geom. (...) nel procedimento per ATP RG 1406/2021 promosso avanti il Tribunale di Cremona da (...) S.r.l. acquisito agli atti e che si richiama integralmente, i cui ragionamenti appaiono coerenti. Il CTU nominato, a seguito di compiute verifiche, ha rilevato i seguenti danneggiamenti: evidenti tracce di annerimento da incendio di porzione delle pareti in angolo sud - ovest con sbreccature al pavimento in cemento, estesi segni di bruciatura sul portone d'entrata, rottura di un vetro U - Glass della finestra inferiore e danni al tetto. In base ai conti estimativi, il CTU ha valutato il costo complessivo per il ripristino dell'immobile in Euro 16.561,16. Come si evince dall'elaborato, tale somma ricomprende i costi già sostenuti da (...) S.r.l. per lavori di prima emergenza (quali, prima pulizia delle pareti dell'immobile, sostituzione di lucernai e di porzione di lastre trasparenti danneggiati dall'incendio) eseguiti a fine anno 2020, di cui alla fattura 126 del 2020 di (...) snc. In merito alla debenza dei canoni di locazione: solo la totale distruzione dell'immobile locato a seguito di incendio comporta, secondo i principi generali, l'estinzione della locazione, per la permanente impossibilità per il conduttore di godere del bene, con la conseguente cessazione della sua obbligazione per il corrispettivo, con riferimento al periodo successivo alla perdita dell'immobile, sino alla scadenza del rapporto, quale originariamente stabilita. Nel caso di specie, non vi è stata una totale distruzione dell'immobile locato. In forza dell'art. 11 del contratto di locazione era onere e responsabilità del conduttore ripristinare a proprie spese il bene e mantenere in vita il contratto o in alternativa - dato che il bene non era godibile - chiedere la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, fermo il suo obbligo di risarcire i danni. (...) srls, invero, né ha ripristinato l'immobile locato per potere continuare a goderne (i lavori di ripristino avrebbero richiesto solo 10 giorni lavorativi suddivisi tra le varie opere da eseguirsi anche disgiuntamente come precisato in perizia dal CTU Geom. (...)), né ha chiesto la risoluzione contrattuale, continuando ad occuparlo sino al mese di settembre 2021. Tale condotta non è conforme alle regole della lealtà e buona fede. La società conduttrice con decorrenza dal mese di agosto 2020 ha interrotto il pagamento del canone di locazione, senza però riconsegnare l'immobile a parte locatrice e manifestare le proprie intenzioni, nonostante le reiterate richieste sul punto da parte di (...) S.r.l. agli atti. La società (...) srls ha trattenuto l'immobile privando in tal modo la proprietà della relativa disponibilità per oltre un anno, sino al giorno 7 settembre 2021, data della sua riconsegna, precludendo a quest'ultima di riaffittare il bene. Il rilascio risulta essere avvenuto solo a seguito di invito alla conciliazione formulato in sede di Atp dal G.I. dott. (...). Pertanto, nonostante l'incendio, la locazione è proseguita per volontà di parte conduttrice, con conseguenza debenza del canone di locazione. Ne consegue che parte convenuta era ed è tenuta a corrispondere il canone sino alla data di rilascio dell'immobile. In particolare, parte convenuta va condannata al pagamento della somma Euro 7.588,00 a titolo di canoni maturati dal mese di agosto 2020 al mese di settembre 2021 (data di rilascio dell'immobile), pari a 14 mensilità, oltre IVA ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo ed oltre Euro 32,50 a titolo di tassa di registro contratto locazione. Tale importo assorbe il danno da perdita di chance per mancata possibilità di affittare l'immobile locato. Per l'effetto di quanto sopra esposto la domanda riconvenzionale svolta dall'opponente va rigettata. Il mancato versamento dei canoni con decorrenza dal mese di agosto 2020 integra un grave inadempimento contrattuale per l'inosservanza dell'obbligazione primaria posta a carico del conduttore e giustifica la risoluzione del contratto di locazione per fatto e colpa del conduttore. Accertato il grave inadempimento contrattuale di (...) s.r.l.s che ha interrotto la corresponsione dei canoni locatizi dal mese di agosto 2020 e non ha risarcito il danno da incendio e/o ripristinato i locali locati, il contratto di locazione de quo deve intendersi risolto per fatto e colpa di parte conduttrice. Riepilogando, alla società (...) S.r.l. compete il ristoro dei seguenti importi: - Euro 7.588,00 a titolo di canoni maturati dal mese di agosto 2020 al mese di settembre 2021 (data di rilascio dell'immobile), oltre IVA ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo ed oltre Euro 32,50 per la quota di tassa di registro del contratto locazione; - Euro 16.561,16 per il ripristino dell'immobile così come da conteggi del CTU geom. (...), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal fatto al soddisfo. La restituzione del deposito cauzionale di Euro 1.800,00 è ovviamente subordinata all'integrale pagamento di tutte le somme suesposte da parte di (...) s.r.l.s. ad (...) srl. Data la soccombenza, compete a parte intimante-opposta la rifusione delle spese di giudizio relative anche al procedimento di ATP RG 1406-2021 acquisito agli atti ed al procedimento di mediazione. Le spese dell'accertamento tecnico preventivo devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, e vanno prese in considerazione, nel successivo giudizio di merito ove l'accertamento tecnico sarà acquisito, come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (Cass. n. 14268 del 2017; Cass. n. 15672 del 2005; Cass. n. 1690 del 2000). Così pure le spese e i costi relativi al giudizio di mediazione devono essere liquidati, all'esito del successivo giudizio di merito, secondo le regole stabilite dagli artt. 91 ss. c.p.c.. (...) s.r.l.s va dunque condannata alla rifusione in favore di (...) S.r.l. dei seguenti importi: - le spese di ATP sono così quantificate: Euro 1.481,68 per compensi oltre accessori di legge e spese per Euro 72,53 liquidati dal Tribunale di Cremona - G.I dott. (...) al CTU Geom. (...), Euro 700,00 per compensi oltre accessori di legge del CTP geom. (...) di (...) S.r.l. (v. di cass. 16990/2017 che qualifica le spese di ctp quali spese legali), oltre Euro 1.500,00 per onorari, oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15% e spese vive pari ad Euro 286,00; - i compensi del procedimento di mediazione si liquidano in Euro 450,00 oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15%, - le spese di lite del presente giudizio si liquidano in complessive Euro 4.300,00, oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15% e spese vive pari ad Euro Euro 354,30. P.Q.M. Il G.O.P. definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra diversa istanza, eccezione, deduzione delle parti, così provvede: - accerta e dichiara la risoluzione del contratto di locazione ad uso commerciale stipulato tra le parti in data 05.06.2019, registrato presso l'Agenzia delle Entrate, ufficio territoriale di Crema in data 05.06.2019 al n. (...) - serie 3T codice identificativo (...), avente ad oggetto l'immobile sito in Comune di Bagnolo Cremasco (CR), via (...) n. 11/13, Piano Terra, per fatto e colpa del conduttore, - condanna (...) s.r.l.s al pagamento in favore di (...) S.r.l. della somma di Euro 7.588,00 a titolo di canoni maturati dal mese di agosto 2020 al mese di settembre 2021 (data di rilascio dell'immobile), oltre IVA ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo, oltre Euro 32,50 per la quota di tassa di registro del contratto locazione; - condanna (...) s.r.l.s alla rifusione dei danni patiti dall'immobile locato pari ad Euro 16.561,16, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal fatto al soddisfo; - rigetta la domanda riconvenzionale avanzata dall'opponente; - condanna (...) s.r.l.s alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) S.r.l. così quantificate: - spese di ATP: Euro 1.481,68 per compensi oltre accessori di legge e spese per Euro 72,53 liquidati dal Tribunale di Cremona - G.I. dott. (...) al CTU Geom. (...), Euro 700,00 per compensi oltre accessori di legge del CTP geom. (...) di (...) srl, oltre Euro 1.500,00 per onorari, oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15% e spese vive pari ad Euro 286,00; - Euro 450,00 oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15% per compensi del procedimento di mediazione, - le spese di lite del presente giudizio: Euro 4.300,00, oltre gli accessori di legge e spese forfettarie al 15% e spese vive pari ad Euro Euro 354,30. Così deciso in Cremona il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA SEZIONE CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice Daniele Moro, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. xxxx/2020 promossa da: FIDEIUSSORE 1 con il patrocinio dell'Avv. OMISSIS, FIDEIUSSORE 2 con il patrocinio dell'Avv. OMISSIS, FIDEIUSSORE 3, con il patrocinio dell'Avv. OMISSIS, - parte attrice - nei confronti di: (...), procuratrice di BANCA con il patrocinio dell'avv. Gervasini Matteo, - parte convenuta CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e FIDEIUSSORE 3 proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. xxx/2020, emesso dal Tribunale di Cremona in favore di (...), procuratrice di BANCA., con il quale veniva ingiunto il pagamento della somma di Euro 600.000,00, oltre spese legali, in ragione del negozio fideiussorio datato 10.5.2016 (cfr. doc. n. 7 fascicolo monitorio). Gli attori deducevano: - la mancanza di prova "della legittimazione ad agire di BANCA"; - la "nullità della fideiussione omnibus, per essere quest'ultima strutturata secondo il modello emanato dall'ABI nel luglio del 2003...la fideiussione de qua è affetta da nullità insanabile: la nullità assoluta delle fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, discende dal carattere essenziale delle clausole riportate negli artt. 2, 6 e 8 del detto schema, sicché il vizio delle stesse determina la nullità dell'intero contratto ex art. 1419, comma 1, c.c."; - che "per pacifica opinione della dottrina e della giurisprudenza (per cui, cfr., da ultimo ed ex multis, Cass. 1584/2016), nel contratto di conto corrente bancario l'obbligo di rendiconto, incombente sull'istituto di credito, ex art. 119 TUB, si esplica attraverso l'invio periodico degli estratti conto, ricorrendo altrimenti un'ipotesi di inadempimento, che a sua volta si riflette sull'onus probandi posto dalla legge a carico della banca vocata in ius in sede di opposizione a decreto ingiuntivo (dove essa è attore in senso sostanziale), nonché sul diritto di legittima difesa del correntista e di eventuali terzi garanti. BANCA dovrà, pertanto, fornire prova circa l'effettiva notificazione, quanto meno al 'debitore' principale - in un tempo anteriore alla domanda giudiziale - dei detti estratti conto"; -"l'illegittimo addebito della CIV nel corso del rapporto, per la violazione della normativa sulla trasparenza e per la mancata dimostrazione da parte dell'intermediario dell'effettivo svolgimento di un'attività istruttoria...va rilevato, poi, che un indice presuntivo dell'assenza di un'effettiva attività istruttoria consiste nella molteplicità di addebiti CIV a breve distanza l'uno dall'altro. E proprio questa è, peraltro, la situazione che si è verificata nel caso di specie, rispetto al quale è ragionevolmente improbabile che un'utile attività istruttoria possa essere avvenuta con cadenza corrispondente a quella degli addebiti avutisi a titolo di CIV. Dunque, l'intermediario deve fornire la prova di aver svolto, per ciascuno sconfinamento, una effettiva attività istruttoria, dovendosi concludere, in caso contrario, per l'illegittimità dell'applicazione della CIV...nella fattispecie in esame, l'importo illegittimamente richiesto dalla banca opposta, perché non dovuto, è pari a complessivi Euro 46.780,00"; - che in relazione al contratto di mutuo "sono emerse le seguenti anomalie: 1. indeterminatezza del piano di ammortamento; 2. applicazione del tasso minimo c.d. floor. Sotto il primo profilo, va invero rilevata la mancata specificazione, sia nel contratto di mutuo che nell'allegato piano, della tipologia di ammortamento, il quale non viene indicato nemmeno genericamente (es. francese, italiano, tedesco ecc.)...Di tal che, in sostituzione del tasso dichiarato nullo troverà applicazione il tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro ai sensi dell'art. 117, comma 7, TUB. Il ricalcolo degli interessi al tasso BOT, evidenzia che la differenza tra gli interessi calcolati al tasso BOT e quelli richiesti al cliente, è pari a Euro 4.156,48...in relazione alla clausola floor, si mette in evidenza che la misura del tasso minimo o floor del 5,00% ha trovato applicazione dalla prima all'ultima rata: di fatto il cliente non ha mai goduto di alcuna riduzione dell'Euribor ed è come se avesse sottoscritto un contratto a tasso fisso e non variabile". L'illegittima applicazione del cd. "tasso minimo floor." ha determinato "un indebito aggravio, a titolo di interessi corrispettivi, a carico del correntista, pari a complessivi Euro 189,54". Alla stregua di quanto dedotto, i sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e FIDEIUSSORE 3 chiedevano l'accoglimento delle domande sopraccitate. Si costituiva (...), in qualità "di procuratrice di "BANCA" la quale, argomentato circa la fondatezza delle proprie pretese e l'infondatezza di quelle altrui, chiedeva in via preliminare "di accertare e dichiarare l'incompetenza per materia dell'adito Tribunale di Cremona a conoscere delle domande formulate dai signori FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2, FIDEIUSSORE 3 accreditamento e dichiarazione di nullità della fideiussione" e "nel merito" il rigetto di ogni richiesta ex adverso formulata; in subordine, domandava la condanna degli attori al pagamento della somma che risultasse essere dovuta al termine dell'istruttoria processuale. La convenuta deduceva: - che "in data 1 dicembre 2014 BANCA apriva presso la propria filiale di Crema (CR), il conto corrente n. (...) intestato alla società DEBITRICE PRINCIPALE"; - che "in data 21 giugno 2016 BANCA concedeva a DEBITRICE PRINCIPALE, che lo accettava, il mutuo chirografario n. (...) per l'importo di Euro 75.000,00 da estinguersi in ventiquattro mesi, oltre al periodo di preammortamento, con ventuno rate mensili scadenti la prima il 31 ottobre 2016 e l'ultima il 30 giugno 2018"; - che "in data 10 maggio 2016 gli odierni opponenti, FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2, FIDEIUSSORE 3 si erano costituiti fideiussori della DEBITRICE PRINCIPALE fino concorrenza dell'importo massimo di Euro 600.000,00 per l'adempimento delle obbligazioni verso la banca, dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura già consentite o che fossero state in seguito consentite"; - che "in data 9 gennaio 2020 con sentenza n. (...)/2020 il Tribunale di Milano dichiarava il fallimento di DEBITRICE PRINCIPALE"; - che "in data 18 aprile 2020 BANCA depositava presso il Tribunale di Cremona ricorso per ingiunzione nel quale esponeva che a quell'epoca il credito vantato nei confronti della DEBITRICE PRINCIPALE ammontava ad Euro 798.867,33, oltre agli ulteriori interessi maturati dal 19/7/2019, data di passaggio a sofferenza della posizione. La banca chiedeva però che fosse ingiunto agli odierni opponenti, FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2, FIDEIUSSORE 3, di pagare soltanto la minor somma di Euro 600.000,00 giacché la fideiussione omnibus dagli stessi prestata a garanzia dell'obbligazioni assunte da DEBITRICE PRINCIPALE era limitata a tale importo"; - che "la domanda di nullità del contratto di fideiussione e di risarcimento del danno per violazione del diritto della concorrenza, ai sensi dell'art. comma 2 L. 287/1990, spetta alla competenza funzionale esclusiva ed inderogabile del Tribunale delle imprese di Milano"; - che "appare evidente l'inapplicabilità della disciplina antitrust all'istituto della fideiussione bancaria attiva quando si consideri che: 1) la fideiussione bancaria attiva non è un prodotto né un servizio bancario offerto dall'imprese del settore creditizio alla clientela. 2) le banche non possono essere qualificate come imprese che offrono sul mercato la fideiussione bancaria attiva alla clientela. 3) il fideiussore che si accinge a concedere una fideiussione attiva non è qualificabile come un consumatore che "domanda" al mercato un prodotto o un servizio bancario 4) dopo aver concesso la fideiussione, il fideiussore non può essere; 5) poiché non gli viene offerto né acquista alcunché dalle banche, il fideiussore non ha alcuna facoltà di operare una scelta effettiva tra prodotti o servizi offerti dai diversi istituti di credito.6) la conformazione standardizzata delle condizioni negoziali della fideiussione omnibus non è idonea a menomare il diritto di scelta effettiva del garante tra prodotti in concorrenza dal momento che un siffatto diritto di scelta tra "prodotti in concorrenza non sussiste affatto in capo al fideiussore"; - che "parte opponente non ha in alcun modo allegato né provato di aver subito effettivo e concreto pregiudizio in conseguenza dell'intesa anticoncorrenziale invocata, essendosi limitata a dedurre la violazione dell'art. 2 L. 287/1990 da parte del contratto di fideiussione"; - "l'insussistenza della nullità della fideiussione, quale contratto a valle di un'eventuale intesa anticoncorrenziale a monte"; - di avere "fornito già in sede monitoria tutti gli elementi di prova volti a dimostrare non solo l'ammontare del saldo passivo finale ma anche lo svolgimento del rapporto di conto corrente per tutta la sua durata, avendo prodotto non solo i relativi contratti ma anche tutti gli estratti conti conto dal giorno di apertura, quando il conto presentava "saldo zero"...Gli estratti conto sono stati inviati con cadenza periodica alla debitrice principale, la quale non ha mai mosso alcuna contestazione né in merito al mancato invio degli stessi né tanto meno in merito alle singole operazioni in essi appostate.La banca non era, invece, tenuta ad inviare gli estratti conto ai fideiussori i quali, conseguentemente, non sono legittimati ad eccepire il mancato invio"; - che "i fideiussori, FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2, FIDEIUSSORE 3 sono privi di interesse ad agire con riferimento alla domande (comunque infondate e contestate) di accertamento di illegittima applicazione della CIV, di indeterminatezza della tipologia di ammortamento e di illegittima previsione del tasso floor". Infatti, "il debito della debitrice principale stato conteggiato nel ricorso per ingiunzione in Euro 798.867,33 - l'accoglimento delle eccezioni avversarie determinerebbe comunque una riduzione del debito della debitrice principale di soli Euro 51.126,02 (= Euro 46.780,00 + Euro 4.156,48 + Euro 189,54) - qualora le eccezioni avversarie fossero fondate il credito effettivamente vantato dalla banca nei confronti della debitrice principale si ridurrebbe pertanto ad Euro 747.741,31 (= Euro 798.867,33 - Euro 51.126,02) ossia ad un importo comunque superiore al limite della fideiussione prestata dagli ingiunti pari ad Euro 600.000,00"; - che "la prova della legittimazione di (...) ad agire in qualità di procuratrice di BANCA per il recupero dei crediti in sede stragiudiziale e giudiziale, è fornita dalla procura rilasciata da BANCA con scrittura privata del autenticata dal notaio OMISSIS". L'opposizione è infondata e deve essere rigettata per le ragioni che seguono. Preliminarmente ritiene questo giudice che: 1) BANCA abbia attribuito a (...) il potere di instaurare il presente giudizio, come provato dal documento n. 4 di parte convenuta nella parte in cui si legge "BANCA nomina e costituisce quale procuratrice (...) affinché la medesima, a mezzo dei propri legali rappresentanti pro tempore, dei suoi amministratori, dirigenti, dipendenti e procuratori regolarmente autorizzati, ponga in essere, in nome e per conto della mandante, in qualità di mandataria, tutto quanto necessario, utile e/od opportuno ai fini della gestione stragiudiziale e giudiziale dei crediti affidati alla mandataria" e dalla comunicazione proveniente da BANCA avente ad oggetto "DEBITRICE PRINCIPALE" (cfr. doc. n. 14 di parte convenuta: "con contratto sottoscritto in data 31 maggio 2019 - BANCA, con sede legale in OMISSIS, codice fiscale e numero d'iscrizione presso il Registro delle Imprese della Camera di Commercio OMISSIS, iscritta al R.E.A. di OMISSIS al n. XXXXXX ha conferito a (...) - con l'attività di amministrazione, gestione e il recupero dei propri Crediti, tra i quali il credito r dal rapporto richiamato in oggetto con le relative garanzie accessorie, conferendo a quest'ultima relativa procura"); 2) sia infondata la doglianza attorea riconducibile alla mancanza di prova circa la comunicazione periodica degli estratti conto. Invero, a prescindere dal fatto che gli interessati neppure allegano che l'istituto di credito non abbia adempiuto la predetta obbligazione, limitandosi ad asserire che la circostanza è indimostrata, si rileva che nel ricorso monitorio la convenuta ha depositato in giudizio tutti gli estratti conto del rapporto contrattuale con decorrenza dall'inizio del rapporto e che tali documenti non sono stati oggetto di alcuna contestazione da parte dei sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e FIDEIUSSORE 3. Conseguentemente, è provato che la fallita società DEBITRICE PRINCIPALE abbia maturato un debito nei confronti di BANCA pari a Euro 743.715,06, come risulta dall'ultimo estratto conto del 19.7.2019 (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, sent. n. 23313 del 27/9/2018 secondo cui "la banca che intende far valere un credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l'andamento dello stesso per l'intera durata del suo svolgimento, dall'inizio del rapporto e senza interruzioni"). Differentemente da quanto adombrato dagli attori, l'eventuale omessa comunicazione di alcuni estratti conto in pendenza del rapporto negoziale non incide sulla possibilità dell'istituto di credito di agire in giudizio al fine di ottenere la condanna del correntista alla corresponsione dell'importo dovuto ma si ripercuote sull'aspetto dell'incontestabilità delle poste indicate nel documento; 3) sia irrilevante analizzare le doglianze attoree relative "all'indebito aggravio, a carico del correntista, pari a complessivi Euro 46.780,00, all'indebito aggravio, a carico del mutuatario, pari a Euro 4.156,48 e all'indebito aggravio, a titolo di interessi corrispettivi, a carico del correntista, pari a complessivi Euro 189,54", poiché l'accertamento è inidoneo a procurare una qualsivoglia utilità ai sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e FIDEIUSSORE. 3. Infatti, i predetti con atto datato 10.5.2016 si sono "costituiti fideiussori solidali di DEBITRICRE PRINCIPALE e dei suoi successori o aventi causa sino alla concorrenza dell'importo di Euro 600.000,00 per l'adempimento delle obbligazioni verso codesta banca, dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura". Orbene, considerato che ai fideiussori è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 600.000,00 e che il debito della società garantita derivante dal contratto di conto corrente è pari a Euro 743.715,06, nell'ipotesi in cui le contestazioni attoree fossero fondate, il decreto ingiuntivo non sarebbe revocato, in quanto il debito residuo della società DEBITRICE PRINCIPALE sarebbe comunque superiore all'importo oggetto del negozio fideiussorio; 4) debba essere rigettata l'eccezione sollevata dalla convenuta finalizzata ad ottenere la dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Cremona "a conoscere delle domande formulate dai signori FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2, FIDEIUSSORE 3 di accertamento e dichiarazione di nullità della fideiussione omnibus rilasciata in data 10/5/2016". Sul punto si sottolinea che l'art. 33 L. 287/1990 deve essere interpretato nel senso di ritenere sussistente la competenza del Tribunale indicato nella citata disposizione normativa solamente nell'ipotesi in cui l'azione di nullità sia proposta in via principale. Nel caso di specie gli attori introducono nel giudizio il tema della nullità dell'intesa di cui all'art. 2 L. 287/1990 come eccezione riconvenzionale, diretta a sostenere la tesi della nullità derivata del negozio fideiussorio. La trattazione delle questioni prospettate spetta, pertanto, al Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto. Ciò detto deve essere esaminata l'eccezione attorea di invalidità del negozio fideiussorio e la questione sollevata da questo giudice circa la nullità delle clausole nn. 2, 6 e 9 del predetto negozio, in quanto conformi a quelle predisposte dall'ABI, che costituiscono manifestazione di un illegittimo accordo anticoncorrenziale. Si rileva in primo luogo che FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e FIDEIUSSORE 3, su cui grava l'onere di provare l'esistenza dell'intesa anticoncorrenziale, hanno prodotto in giudizio l'accertamento effettuato dalla Banca d'Italia, che costituisce prova privilegiata in relazione alla sussistenza del fatto accertato. Dall'esame della documentazione prodotta emerge che nei negozi fideiussori stipulati dagli attori sono presenti le clausole nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI, e cioè la cd. "clausola di reviviscenza" secondo la quale il fideiussore è tenuto "a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo", la cd. "clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.". in forza della quale "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1957 cod. civ., che si intende derogato" e la cd. "clausola di sopravvivenza" in base alla quale "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate". L'Autorità amministrativa indipendente ha accertato che l'applicazione "in modo uniforme" delle predette clausole si pone in contrasto con l'articolo 2, c. 2, lettera a), della legge n. 287/1990. La costante applicazione delle clausole anche in epoca successiva all'accertamento effettuato dalla Banca d'Italia è confermata dall'analisi dei documenti attorei denominati "schema fideiussioni omnibus". Le conseguenze derivanti dall'inserimento delle clausole nei negozi fideiussori sono state esaminate dalla Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite, la quale, dopo un'articolata motivazione, ha enunciato il seguente principio di diritto: "i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell'art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti" (cfr. Cass. Civ., Sez. U., sent. n. 41994 del 30/12/2021). Pertanto, nel caso di specie, devono essere dichiarate nulle le clausole dei negozi fideiussori di contenuto analogo a quelle presenti nello schema ABI. Non può essere dichiarata la nullità totale dei negozi fideiussori. Infatti è ragionevole ritenere che le parti, nella circostanza in cui avessero conosciuto la nullità delle pattuizioni, avrebbero comunque concluso l'accordo, poiché lo stesso era finalizzato esclusivamente a incrementare la tutela dell'istituto bancario in rapporto al rischio d'insolvenza della società DEBITRICE PRINCIPALE. In ragione della questione di nullità sollevata da questo giudice, nella memoria depositata ex art. 101 c.p.c., i sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUS SORE 2 e FIDEIUSSORE 3 hanno chiaramente manifestato la volontà di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo opposto sulla base della decorrenza del termine semestrale di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c. Secondo la tesi sostenuta dalla convenuta la disciplina richiamata dagli attori non è applicabile, in quanto l'obbligazione dei fideiussori di corrispondere alla banca l'importo dovuto dal soggetto garantito "a semplice richiesta scritta" (cfr. clausola negoziale n. 7) costituisce "una deroga parziale della disciplina dettata dall'art. 1957 c.c.; deroga parziale limitata alla previsione che una semplice richiesta scritta è sufficiente ad escludere l'estinzione della garanzia, essendo il creditore esonerato dall'ulteriore onere di proporre azione giudiziaria". A dire della convenuta, pertanto, le richieste stragiudiziali di pagamento inviate ai fideiussori e alla società garantita nel mese di giugno 2019 hanno "evitato la decadenza dalla fideiussione e gli opponenti sono rimasti obbligati quali fideiussori di DEBITRICE PRINCIPALE". La pretesa attorea fondata sull'applicazione dell'art. 1957 c.c. è ammissibile, poiché legata alla questione rilavata d'ufficio dal giudice (Cfr. Cass. Civ. Sez. U., sent. n. 26242 del 12/12/2014), ma deve essere rigettata. Sul punto, per quanto di interesse, è opportuno sottolineare che nel caso in cui la fideiussione sia prestata senza il beneficio della preventiva escussione del debitore principale, come nella presente fattispecie, la liberazione del fideiussore ex art. 1957 c.c. si verifica nell'ipotesi in cui il creditore, entro il termine di 6 mesi decorrente dalla scadenza dell'obbligazione garantita, non abbia proposto le sue istanze contro il debitore principale ovvero contro i fideiussori (cfr. Cass. Civ. Sez. 3, ord. n. 24296 del 16/10/2017 secondo cui: "giova considerare, anzitutto, che l'art. 1957 cod. civ., nell'imporre al creditore di proporre la sua "istanza" contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l'adempimento dell'obbligazione garantita dal fideiussore, tende a far si che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa (Sez. 2, Sentenza n. 1724 del 29/01/2016, Rv. 638531). Lo scopo della norma è far sapere al fideiussore se egli sia tenuto o meno alla garanzia. Diversamente, il fideiussore resterebbe incerto, fino alla definitiva prescrizione dell'obbligazione principale, sul fatto se il debitore garantito sia inadempiente oppure no. La ratio dell'art. 1957, primo comma, cod. civ., pertanto, è limitare il periodo di incertezza a sei mesi. Sotto questo profilo, la disposizione in commento prevede un termine di decadenza in senso proprio: una volta intraprese serie iniziative nei confronti del debitore principale, tali da far chiarezza sull'inadempienza dello stesso, i diritti del creditore nei confronti del fideiussore sono fatti salvi e restano soggetti al termine di prescrizione ordinario. La menzionata situazione di incertezza, tuttavia, viene meno anche nel caso in cui il creditore si renda parimenti diligente, agendo direttamente nei confronti del fideiussore. Com'è noto, infatti, il fideiussore è obbligato in solido con il creditore principale, ai sensi dell'art. 1944 cod. civ., a meno che le parti non pattuiscano il beneficio dell'escussione. Pertanto, per il combinato disposto degli artt. 1944 e 1957 cod. civ., deve ritenersi che nel termine semestrale di decadenza previsto dalla seconda norma, il creditore possa, a sua scelta, promuovere le sue "istanze" nei confronti del debitore principale o del fideiussore. Con la conseguenza che, qualora il creditore abbia tempestivamente proposto l'istanza contro il fideiussore, esercitando la facoltà di scelta spettantegli in base ai principi della solidarietà passiva, non è tenuto ad agire, prima della scadenza del suddetto termine, anche nei confronti del debitore principale (Sez. 3, Sentenza n. 19300 del 03/10/2005, Rv. 585159; Sez. 1, Sentenza n. 7345 del 01/07/1995, Rv. 493165; Sez. 2, Sentenza n. 8444 del 20/08/1990, Rv. 468936; Sez. 1, Sentenza n. 4868 del 06/08/1988, Rv. 459687). In sostanza, possono darsi due ipotesi; se le parti hanno pattuito il beneficio di escussione, il creditore deve agire nei confronti del debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione garantita, ai sensi dell'art. 1957, comma primo, cod. civ., se non vuole perdere il diritto nei confronti del fideiussore; se, invece, le parti non hanno stabilito nulla al riguardo (cosiddetta fideiussione solidale), l'istanza giudiziale, da proporre entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale, può essere rivolta, a scelta del creditore, contro l'uno o l'altro dei condebitori solidali. In altri termini, nella fideiussione solidale, entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione garantita, il creditore può chiedere l'adempimento indifferentemente al garante o al debitore principale; in mancanza, perderà l'azione nei confronti del garante e potrà agire unicamente verso il debitore, entro i termini di prescrizione. L'equipollenza fra le "istanze" rivolte nei confronti del debitore principale (testualmente previste dall'art. 1957 cod. civ.) e le analoghe iniziative intraprese direttamente nei confronti del fideiussore discende direttamente dal principio di solidarietà posto dall'art. 1944 cod. civ. Ragionando diversamente, il creditore sarebbe costretto ad escutere il debitore principale - peraltro nel breve termine di sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione garantita - anche se nel frattempo avesse già agito, addirittura in sede giudiziaria, nei confronti del fideiussore. Una tale conclusione non può essere condivisa perché, per un verso, imporrebbe al creditore un onere accessorio che frustrerebbe il principio della solidarietà presuntiva che impronta il regime legale della garanzia fideiussoria, facendo venire meno il diritto del creditore di agire anche solo verso il fideiussore; per altro verso, perché non avrebbe senso logico né giuridico ipotizzare l'esistenza un onere di decadenza in relazione ad una azione giudiziaria già avviata"). Nel caso di specie, la natura dell'istanza che la creditrice doveva rivolgere ai fideiussori è stata prevista dagli interessati, in quanto l'art. 7 del negozio fideiussorio prevede espressamente che "il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio". In estrema sintesi i contraenti hanno stabilito che la finalità di conoscenza evidenziata dalla Suprema Corte di Cassazione doveva essere raggiunta mediante l'invio di una richiesta stragiudiziale di pagamento da parte dell'istituto di credito. Orbene, considerato che l'obbligazione garantita dai sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE e FIDEIUSSORE 3 è scaduta in data 10.6.2019, le richieste di pagamento ricevute dagli stessi in data 25.6.2019 e 14.6.2019 e non oggetto di alcuna contestazione hanno impedito il verificarsi della decadenza di cui all'art. 1957 c.c. (cfr. Cass. Civ., Sez. 3, sent. n. 13078 del 21.5.2008: "va per completezza di disamina rilevato che è senz'altro esatto - come affermato dalla ricorrente mediante il richiamo di Cass. n. 10574/2003 - che l'art. 1957 c.c., comma 1, c.c. pone una regola la cui ratio va individuata nell'esigenza di impedire che il fideiussore, per l'inerzia del creditore, resti incerto in ordine agli effetti ed alla sorte della sua obbligazione, e possa essere pregiudicato per ciò che attiene al suo rapporto col debitore principale. Epperò questa corte ha anche chiarito che la clausola con cui il creditore si impegni a soddisfare il creditore "a semplice richiesta" o entro un tempo predeterminato, può essere interpretata come deroga pattizia alla forma con cui l'onere di avanzare istanza entro il termine di cui all'art. 1957 c.c. deve essere osservato (vale a dire con la proposizione di un'azione giudiziaria), nel senso che l'osservanza dell'onere di cui alla citata disposizione può essere considerato soddisfatto dalla stessa richiesta di pagamento formulata dal creditore al fideiussore, prescindendo dalla proposizione di un'azione giudiziaria (così Cass. n. 7345/95, in motivazione); azione che d'altronde può essere indifferentemente rivolta, a scelta del creditore, contro l'uno o l'altro dei due condebitori solidali, e dunque anche contro il fideiussore, con effetti ugualmente idonei ad impedire l'estinzione della fideiussione (Cass. s,u., n. 5572/79, cui s'è uniformata la giurisprudenza successiva). Tale tesi va senz'altro condivisa. Invero, una volta che il fideiussore tenuto al pagamento a prima o a semplice richiesta sia invitato dal creditore a provvedervi per affermato inadempimento del debitore principale, per un verso è obbligato a farlo secondo il meccanismo proprio del selve et repete, in quanto solo dopo l'avvenuto pagamento può eventualmente agire in ripetizione verso il creditore facendo valere tutti i diritti che competono al debitore nel rapporto principale; e, per altro verso, è reso immediatamente edotto dell'inadempimento del debitore. Se non paga, non solo si rende inadempiente, ma si pone anche volontariamente nella condizione di non potersi immediatamente surrogare ex art. 1949 c.c., dopo aver pagato, nei diritti che il creditore aveva contro il debitore, così dando luogo ad una situazione nella quale risulta fortemente incisa la ragione sopra delineata della tutela assicurata al fideiussore dall'art. 1957 c.c. Sembra dunque giustificata la conclusione che, quante volte il fideiussore sia tenuto al pagamento "a prima o a semplice richiesta", o comunque entro un tempo convenzionalmente determinato, il rispetto dell'art. 1957 c.c. da parte del creditore garantito deve ritenersi soddisfatto con la stessa richiesta rivolta al fideiussore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale (o di due mesi nel caso in cui il fideiussore abbia espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell'obbligazione principale), con la conseguenza che, una volta tempestivamente effettuata la richiesta di pagamento al fideiussore, il creditore non è più tenuto ad agire giudizialmente contro il debitore"). Gli attori si sono obbligati a corrispondere l'importo dovuto da DEBITRICE PRINCIPALE "a semplice richiesta scritta" della banca e non hanno adempiuto la prestazione pattuita nonostante la creditrice abbia correttamente richiesto il pagamento. In applicazione del principio di autoresponsabilità, gli attori, soggetti pienamente consapevoli del debito della società garantita e del dovere di corrispondere la massa monetaria oggetto della fideiussione, non possono giovarsi della propria condotta inadempiente in danno della parte che si è comportata diligentemente. In conclusione, sebbene le clausole esaminate (cd. clausola di reviviscenza, la cd. clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. e la cd. clausola di sopravvivenza) siano nulle, il negozio fideiussorio è valido e la creditrice non è decaduta dalla possibilità di agire nei confronti dei fideiussori ex art. 1957 c.c. Le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sulla scorta del D.M. 37/18 e tenuto conto del valore della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni istanza ed eccezione, così dispone: - rigetta l'opposizione formulata FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 FIDEIUSSORE e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto; - condanna i sig.ri FIDEIUSSORE 1, FIDEIUSSORE 2 e F IDEIUSSORE 3 alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, che si liquidano in Euro 20.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge. Così deciso in Cremona il 18 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Cremona, composto dai seguenti magistrati dott.ssa Alessandra Marucchi - Presidente dott. Giorgio Scarsato - Giudice rel. dott.ssa Cristina Bassi - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA DEFINITIVA nella causa civile iscritta al n. R.G. .. ./2020 fra A.B., nato a R. E. il (...) (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv...., del Foro di Cremona ricorrente e E.B., nata a R. C. il (...) (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv..., del Foro di Cremona resistente e ... e con l'intervento del Pubblico Ministero Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. All'origine della presente causa di divorzio vi stanno i seguenti fatti: 1.1. A.B. e E.B., dopo avere convissuto per circa un anno in un immobile di proprietà del B. sito in C., al V piano di uno stabile al n. civico 44 in Via C., il 7.3.2009 contraevano matrimonio concordatario, in regime di separazione dei beni; 1.2. profondamente diverse erano a quel momento le loro condizioni anagrafiche, personali e lavorative le parti avevano rispettivamente 82 e 39 anni; il B. aveva alle spalle due matrimoni (entrambe le sue precedenti mogli erano decedute) e aveva due figli già adulti; la B. non aveva figli; il B. era già pensionato da tempo, dopo avere lavorato per quasi tutta la sua vita come assicuratore, aveva accumulato un notevole patrimonio, in parte grazie ai proventi della sua professione, in parte in ragione di alcuni lasciti ereditari; la B. era intestataria di alcune quote di terreni siti nel Palermitano, sua regione d'origine; la stessa aveva conseguito il diploma di scuola superiore come educatrice di comunità infantile; nel 1991 era entrata nel mondo del lavoro, con vari impieghi presso varie imprese, a far data dal 2003 era entrata nel mondo della scuola, come insegnante d'asilo, con incarichi a tempo determinato (si veda la certificazione del Centro per l'Impiego al doc. 65 resistente); 1.3. con l'inizio della vita coniugale, la B. cessava di lavorare e si iscriveva ad una facoltà universitaria, poi però non terminando gli studi; la coppia si manteneva grazie alle entrate da locazioni di immobili e alla pensione (oltre che con il patrimonio) del B., tenendo un tenore di vita agiato (il significativo tenore di vita della coppia è ben evincibile dalle dichiarazioni rese in interrogatorio libero dal B. all'udienza del 2.7.2020), senza ricorrere ai servizi di una colf e trascorrendo circa sei mesi l'anno o al mare o sul Lago di Garda, nella località di P., in quanto il B. ivi aveva (ed ha) una casa di sua proprietà; 1.4. durante le vita coniugale, con atti del 2008 e del 2011, il B. donava alla B. un appartamento di sua proprietà sito al IV piano nello stesso stabile dove era sita la casa coniugale (per la precisione, le donava non la piena proprietà dell'intero, ma la nuda proprietà della quota della metà dell'immobile e la piena proprietà della restante quota della metà) e nel 2016 il B. donava alla moglie anche la somma di Euro 100.000,00; 1.5. dall'unione fra le parti non nascevano figli; 1.6. nel 2018 le parti si separavano di fatto, però continuando a vivere molto vicini -la B. nell'appartamento di sua "quasi esclusiva piena proprietà" al IV piano dello stabile di via C., il B. al V piano nello stesso condominio, ossia nella ex casa coniugale- e continuando ad avere contatti ed a farsi regolarmente visita (come si evince chiaramente dal file audio prodotto quale doc. 67 resistente); 1.7. nel 2018 il B. radicava presso questo Tribunale il procedimento di separazione personale dalla B. (proc. R.G. n. .. ./2018), giudizio in cui la B. si costituiva regolarmente: in quel giudizio unico punto del contendere fra le parti era quello del quantum dell' assegno di mantenimento da corrispondersi a favore della B., essendo che il B. non negava la debenza di un assegno alla moglie; con il provvedimento ex art. 708 cod. proc. civ. del 21.2.2019 veniva determinata in Euro 2000,00 la misura provvisoria dell'assegno di mantenimento a favore della B.; 1.8. nel corso del giudizio di separazione, con sentenza parziale del 18.7.2019 veniva adottata la pronuncia parziale sullo status. 2.1. Una volta divenuta irrevocabile la sentenza parziale sullo status, con ricorso depositato il 24.2.2020, ancora in pendenza del loro giudizio di separazione personale, il B. adiva il presente Tribunale per la pronuncia della cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, opponendosi alla debenza di qualunque assegno divorzile a favore della B.. 2.2. La stessa si costituiva anche nel presente giudizio, in primo luogo sollevando la questione della mancanza di una reale volontà in capo al B. di addivenire al divorzio e di una discrepanza fra quanto allegato dal suo patrocinatore negli atti processuali e le dichiarazioni di affetto che il B. ancora faceva ad essa moglie; in secondo luogo chiedendo la corresponsione di un assegno divorzile a proprio favore, da essa quantificato in Euro 3500,00 al mese. 2.3. All'udienza del 2.7.2020 venivano adottati i provvedimenti presidenziali provvisori del caso. 2.4. L'istruttoria di causa inizialmente aveva ad oggetto la prima delle questione sollevate dalla difesa della resistente (cfr. le sue note di trattazione del 30.9. e del 1.10.2020, e le dichiarazioni a verbale d'udienza del 21.10.2020 della B.): le deduzioni della difesa della resistente sul punto non venivano condivise, sicché con sentenza parziale n. 465 del 22.10.2020 veniva pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio fra le parti. 2.5. Essendo che nel frattempo le parti erano giunte ad una definizione consensuale del pendente giudizio di separazione personale -in sintesi concordando che il B. versasse alla B. un assegno di mantenimento di Euro 2000,00 mensili (cfr. la sentenza definitoria del giudizio R.G. n. 2462/2018 n. 627 del 30.11.2020, con cui veniva recepito l'accordo intervenuto, sentenza prodotta quale doc. 26 resistente)-, l'istruttoria del presente giudizio proseguiva cercando di addivenire ad una soluzione concordata anche sulle condizioni del divorzio. In particolare, con ordinanza del 27.4.2021, il G.I. formulava una prima proposta di consensualizzazione nel senso del versamento da parte del B. alla B. di un assegno divorzile di Euro 2000,00 mensili lordi e nel senso di "regolarizzarsi" lo stato di occupazione da parte della resistente dell'appartamento al IV piano di Via C., in modo da garantirle un uso esclusivo gratuito; il G.I. motivava tale sua proposta in considerazione della dinamica della vita matrimoniale; dell'età della resistente e del suo curriculum lavorativo; delle elargizioni dalla stessa già ricevute in costanza di vita matrimoniale e delle ragioni del divorzio (così, espressamente, l'ordinanza del 27.4.2021). La prima proposta del G.I. veniva accettata da parte B. (cfr. la sua deduzione a verbale d'udienza del 20.5.2021 e la nota depositata dalla sua difesa all'udienza del 7.7.2021), mentre non veniva accettata da parte B. (cfr. le sue deduzioni a verbale d'udienza del 20.5.2021). Il G.I. formulava allora una seconda proposta di consensualizzazione, nel senso che l'importo dell'assegno divorzile sarebbe stato pari ad Euro 2000,00 al netto della tassazione di legge (cfr. il verbale dell'udienza del 20.5.2021), proposta questa che però non veniva accettata da parte B. (cfr. il verbale dell'udienza del 7.7.2021). 2.6. A fronte del fallimento del tentativo di consensualizzazione, si dava corso all'ultima parte dell'istruttoria della causa, che si articolava solo nell'assunzione di alcuni testimoni di parte B. e nell'adozione di un ordine di esibizione degli estratti dei propri c/c bancari nei confronti del B., venendo invece revocato il provvedimento inizialmente assunto di indagini patrimoniali mediante Guardia di Finanza riguardo la condizione del ricorrente. 2.7. All'udienza del 16.12.2021 le parti precisavano le conclusioni, come in epigrafe: in sintesi, parte B. chiedeva riconoscersi a parte B. un assegno divorzile "rimettendosi al prudente ed equo apprezzamento del Tribunale", così apparentemente modificando la propria iniziale posizione negatoria di qualunque assegno divorzile; parte B. insisteva nella propria richiesta per la corresponsione di un assegno divorzile a proprio favore, quantificandolo in misura inferiore a quella inizialmente chiesta, per Euro 2.715,75 al mese. 3. La domanda della B. per la corresponsione di un assegno divorzile a proprio favore va accolta, e tale assegno va determinato nella misura di Euro 1800,00 mensili, oltre a rivalutazione istat. Va riconosciuta la debenza di un assegno divorzile a favore della B. anzitutto e principalmente con funzione compensativa-perequativa. E' infatti da ritenersi dato un notevole squilibrio patrimoniale e reddituale fra le parti e questo squilibrio è da ricondursi eziologicamente in parte sia a scelte comuni endofamiliari, sia alla non breve durata del matrimonio fra le parti, sia alla non giovanissima età all'attualità della resistente; in altri termini, è da ritenersi data in capo alla B. una condizione di mancanza di mezzi adeguati per il proprio sostentamento in parte dovuto a ragioni oggettive, perché in parte imputabile a più di uno degli indicatori ex art. 5 c. VI l. div. Altresì, va riconosciuta la debenza di un assegno divorzile a favore della B. con funzione risarcitoria, in considerazione delle "ragioni della decisione", ossia considerando le ragioni per cui il B. ha posto fine all'unione con la moglie. 4. E' data una sperequazione reddituale fra il B. e la B., come del resto ammesso dal ricorrente stesso. 4.1. Come detto, il B. ha oggi 95 anni, sicché è molti anni in pensione. Esso può contare sulle entrate dei suoi redditi da pensione e da locazione di immobili: nel 2017 il suo un reddito medio netto mensile era pari ad Euro 2500,00; nel 2019 era pari ad Euro 2950,00. Lo stesso, come detto, è titolare di un ingente patrimonio immobile e mobiliare. Quanto al primo, degli atti di causa (cfr. il doc. 40 resistente) risulta che il B. sia intestatario: dell'intero condominio di Via C. n. 44 in C. -dove è sito sia l'appartamento in cui esso vive, sia l'appartamento nella "quasi esclusiva piena proprietà" della B.-; di un immobile adibito ad ufficio sito in via R. in C.; di un immobile adibito a civile abitazione sito in Via C. S. in C.; di un immobile adibito a civile abitazione sito in Via B. in C.; di un immobile adibito a civile abitazione sito in M.; di un immobile sito in G. (R.); di un'abitazione in P.D.G. -ove esso e la B. erano soliti trascorrere 6 mesi l'anno-; del diritto di usufrutto di 4 immobili, la cui nuda proprietà è intestata ai figli avuti dalla prima moglie e alla B. (quanto alla metà dell'appartamento al IV piano del condominio di Via C. n. 44: cfr. punto 1.3.). Quanto al suo patrimonio mobiliare, risulta che il B. fosse titolare della somma di Euro 790.000,00 (valore aggiornato alla fine del 2017), giacente sul c/c (...) aperto presso il B.B. (cfr. i docc. 36-39 resistente), liquidità soggetto a periodi prelievi per investimenti (come ammesso dalla sua difesa, a p. 8 della memoria integrativa del 10.7.2020). Il patrimonio mobiliare e immobiliare del ricorrente, come risulta attualità, si è formato sia in ragione dei proventi della sua attività di assicuratore, sia ed in modo preponderante in ragione della vendita della casa ereditata dalla di lui madre, vendita avvenuta nel 2007 e da cui il ricorrente ha ricavato oltre Euro 1000.000,00 (cfr. il doc. 14 ricorrente) Parte resistente ha prodotto delle stime del valore degli immobili del B. fatte servendosi di applicativi Internet (cfr. i suoi doc. 41-44 e 56-61); ha anche avanzato istanza per disporsi delle indagini patrimoniali sul B. mediante Guardia di Finanza. Tali indagini infine non sono state disposte - né è stata disposta la stima degli immobili- perché, ai fini della decisione della presente causa, appare superfluo avere una quantificazione esatta del patrimonio del B., perché è evidente che detto patrimonio, di là dalla sua precisa consistenza, è comunque da ritenersi notevole e ampiamente capiente anche rispetto all'importo chiesto dalla B. quanto a suo assegno divorzile (ed a maggior ragione del minore importo in questa sede disposto, per Euro 1800,00 al mese). Del resto la sua stessa difesa ha ammesso che il B. sia da ritenersi persona benestante (così a p. 4 della memoria integrativa del 10.7.2020). 4.2. Venendo all'attuale situazione patrimoniale e reddituale della B., vale votarsi: essa è titolare della "quasi esclusiva piena proprietà" dell'appartamento al IV piano del condominio in via C. n. 44 in C., come detto (al punto 1.4.), dove vive e per cui non deve sostenere alcun canone di uso; essa è titolare della quota di 1/8 di un immobile e di un terreno siti in M. (P.) nonché di quote infinitesimali (pari a 16/480; 20/480; 30/240; 1/24) di altri terreni, siti sempre in Sicilia (cfr. il doc. 12 resistente); a parte l'assegno di mantenimento-di divorzio provvisorio, l'unica entrata della B. è rappresentata da quota parte del reddito da affitto del terreno in M., redito di modestissimo importo (cfr. il quadro RA1 delle dichiarazioni dei redditi della resistente; cfr. il suo doc. 63); la difesa del ricorrente ha allegato che appare inverosimile che gli altri immobili di cui è comproprietaria la B. in Sicilia non siano messi a reddito, ma nulla ha dimostrato al riguardo. 5. E' dato che all'attualità la B. sia priva di un lavoro e quindi di mezzi adeguati per il proprio mantenimento. Tuttavia, a differenza di quanto sostenuto dalla sua difesa, non si può ritenere che essa versi in una condizione di assoluta impossibilità di trovarsi un impiego: la resistente è infatti affetta da alcune patologie tutt'altro che inabilitanti l'accesso al mondo del lavoro, perché trattasi di una malattia cutanea di natura ginecologica (il lichen scleroatrofico), di un problema alla tiroide e di una gastropatia (cfr. i certificati medici ai docc. 7- 9 resistente). Del resto, la resistente fino al momento del matrimonio lavorava con educatrice d'asilo; stante questa sua professionalità, nonostante essa all'attualità abbia 52 anni, non si può ritenere che le sia precluso l'accesso al mondo del lavoro, ad esempio come baby sitter o colf o badante, per impieghi in linea con la sua precedente professionalità. A fronte di queste considerazioni e di questi dati, appare priva di un concreto rilievo probatorio -nel senso di avvallare la tesi della resistente - la produzione da parte della sua difesa di un'unica prova di una vana iscrizione al centro dell'impiego, risalente al 2020 (cfr. il suo doc. 66). Del pari, pressoché nessuna rilevanza può darsi alla allegazione della resistente, peraltro non suffragata da alcuna prova, di avere vanamente inviato vari curricula per supplenze presso asilo (cfr. il verbale dell'udienza del 15.12.2021). 6. Tuttavia, anche ciò detto, va riconosciuto alla B. un assegno divorzile, in quanto risulta che essa sia rimasta fuori dal mondo del lavoro per 9 anni, ossia per tutta la durata del matrimonio, e l'istruttoria ha offerto un robusto quadro probatorio a suffragio della tesi della resistente nel senso che essa prese le decisioni di uscire dal mondo del lavoro, dimettendosi dal suo ultimo impiego come insegnante d'asilo al momento del matrimonio, e di non lavorare per tutta la durata del matrimonio non in autonomia, come invece sostenuto dal ricorrente, ma quale decisione endofamiliare, in accoglimento di una precisa richiesta del marito in tal senso. 6.1. Già da alcune produzioni documentali fatte dalla resistente si ricavavano forti elementi indiziari in tal senso. In particolare, nel "decalogo dei doveri coniugali" scritto dal B.P.L.B., per "ricordarle" quali fossero i suoi doveri di moglie (prodotto quale doc. 12 resistente, sul quale si tornerà nel prosieguo), il ricorrente indicava fra i doveri della B. anche quello di "essere con me e restare con me a C. - P. - C." (essendo C. ed il C. la località di residenza della coppia; essendo P. la località del L. di G. dove il B. ha una casa e dove la coppia era solita trascorrere 6 mesi l'anno: cfr. quanto detto al punto 1.3.) e altresì quello che "è indispensabile che una coppia di sposi sia sempre unita". Nel file audio prodotto quale doc. 67 resistente è registrata una conversazione avvenuta il 16.2.2020 fra le parti; la sinossi di tale file è riportata a p. 7 della memoria n. 2 di parte resistente; in questa conversazione; al punto 13'12" si sente il B. proporre alla B. di ricominciare la loro vita insieme e dirle perentoriamente, quale regola della nuova vita di coppia assieme che le stava proponendo, "e poi stai con me ... stai a casa finché ci sono io, stai in montagna finché ci sono io, vieni al mare perché ci sono io". A verbale dell'udienza del giudizio di separazione del 2.7.2020 (verbale prodotto quale doc. 52 resistente), il B. dichiarava espressamente "d'estate passavamo 6 mesi fra la mia casa al lago ed al mare", rappresentando una routine della coppia assolutamente coerente con quanto da esso marito prescritto nel predetto "decalogo" e con quanto emerge dal predetto file audio. Quindi, già le produzioni documentali di parte resistente -riproducenti dichiarazioni scritte ed orali del B., mai dallo stesso disconosciute ex art. 214 cod. proc. civ o ex 2712 cod. civ. e rispetto alle quali la sua difesa non è stata in grado di fornire possibili letture alternative-fortemente avallavano la tesi della resistente per cui essa lasciò il proprio lavoro di insegnante d'asilo d'accordo con il marito, in quanto lo stesso esigeva che essa trascorresse tutte le giornate con esso marito, ciò che era incompatibile con qualunque impiego. All'opposto, la tesi della difesa del ricorrente per cui la B. avesse potuto continuare a lavorare come insegnante d'asilo, se avesse voluto, appariva incompatibile con tali produzioni documentali. Del resto il cospicuo patrimonio del resistente rendeva non necessario che la B. continuasse a lavorare, ben potendo provvedere esso marito al suo mantenimento, peraltro con un alto tenore di vita (come dallo stesso ammesso, sempre a verbale dell'udienza del 2.7.2020 del giudizio di separazione). 6.2. Le convergenti emergenze delle produzioni documentali di parte resistente hanno trovato poi definitiva conferma nelle pure convergenti emergenze delle prove testimoniali introdotte da parte B. sulla questione, ossia quella della di lei zia A.C. e quella della sua amica M.L.: la C. ha riferito di avere sentito persino lo stesso B. dichiarare più volte ed espressamente di non volere che E. lavorasse. 6.3. A fronte di questo quadro probatorio univoco, a fronte di questa convergenza fra le emergenze delle prove documentali e quelle delle prove orali, risultano di conseguenza inaccoglibili: l'obiezione della difesa del ricorrente per cui sarebbe data una parzialità delle testimoni -stante il loro legame affettivo con la B.-; la deduzione di questa difesa per cui sarebbe valida e sufficiente prova a contrario rispetto a queste emergenze il fatto che in un'unica occasione in 9 anni di matrimonio, nel 2015, la B. decorò l'interno di un bar in C., venendo retribuita -infatti, che il decorare pareti di locali fosse diventata l'abituale professione per la B. a far data dal 2015, che quella del 2015 non rimase una situazione isolata ed occasionale, come eccepito dalla difesa della resistente, non è stato in alcun modo dimostrato dal ricorrente-; infine, le osservazioni della difesa del ricorrente per cui "negli anni duemila è difficile credere che alcuno possa ritenere sconveniente per una donna lavorare" e per cui il B. avrebbe accettato di buon grado di rinunciare a trascorrere 6 mesi al lago ed in montagna, se la B. avesse voluto continuare a lavorare -trattasi infatti di osservazioni sconfessate dal contenuto del precitato "decalogo dei doveri coniugali" (al doc. 12 resistente), da cui emerge chiaramente una posizione del B. contraria al riconoscere alla B. spazi per sé lontano da esso marito, né per il tempo libero, né per altro. 6.4. Orbene, ritenuto -per tutto quanto sinora osservato- che la circostanza che la B. non lavorò in costanza di matrimonio sia dovuta ad un precisa scelta di carattere endofamiliare, assunta con il marito, scelta che spiegò efficacia per 9 anni, a tale circostanza non può non darsi rilievo nel portare a riconoscere alla resistente un assegno divorzile. Per quanto, come detto (al punto 5.), si debba ritenere che la B. abbia all'attualità uno spazio di accesso nel mondo del lavoro, è evidente che la scelta da essa fatta di uscire dal mondo del lavoro all'età di 39 anni in ottemperanza delle richieste del marito, abbia avuto, abbia ad oggi e avrà in futuro delle ripercussioni negative sulle sue chances lavorative e sulla sua condizione reddituale e patrimoniale. In particolare, tale scelta familiare avrà delle conseguenze significative sul piano previdenziale, perché, non avendo lavorato per 9 anni, la situazione contributiva della B. è oggidì notevolmente deteriore a quella che avrebbe avuto se non avesse cessato di lavorare. Altresì, deve ritenersi che tale scelta abbia inciso negativamente sulle chances lavorative della B., perché è intuitivo che una donna di 52 anni, dopo 9 anni di inattività, abbia delle chances lavorative inferiori e meno proficue di quelle di una donna di 39 anni ed ancora in attività (ossia a quelle che avrebbe avuto la B. se non avesse preso in accordo con il marito la decisione di smettere di lavorare al momento del matrimonio). E' quindi da ritenersi data (cfr. il punto 3.) un'impossibilità della B. a procurarsi un reddito adeguato per il proprio sostentamento in parte per ragioni oggettive, perché in parte imputabile a più di uno degli indicatori ex art. 5 c. VI l. div., ossia a scelte comuni endofamiliari, alla non breve durata del matrimonio fra le parti, alla non giovanissima età all'attualità della resistente. 7. Anche gli ulteriori argomenti dedotti dalla difesa del ricorrente per sostenere l'insussistenza di un diritto della B. ad un assegno divorzile -al pari di quelli ora analizzati e tesi a contestare la corrispondenza al vero della circostanza che la B. rese le sue dimissioni dal suo ultimo posto di lavoro in forza di una precisa scelta endofamiliare- sono del pari inaccoglibili. 7.1. Non è accoglibile l'argomento per cui andrebbe negato un assegno divorzile alla B. perché la stessa non avrebbe fornito alcun contributo alla formazione del cospicuo patrimonio del B., perché trattasi di patrimonio che lo stesso aveva formato prima del matrimonio con la resistente. La circostanza, in fatto, corrisponde al vero, ma vale notarsi come la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte non richieda indefettibilmente, al fine del riconoscimento di un assegno divorzile, che un coniuge abbia contribuito alla formazione del patrimonio dell'altro, ritenendo sufficiente al fine di tale debenza anche solo che sia dato un sacrificio o una compromissione delle possibilità lavorative e quindi delle condizioni reddituali di un coniuge in ragione di scelte endofamiliari assunte, come è dato nel caso di specie. 7.2. Non è accoglibile l'argomento per cui alla B. non spetterebbe un assegno divorzile in quanto, durante la vita coniugale, essa è stata economicamente e in modo molto adeguato mantenuta dal B. ed in quanto il suo contributo economico alla vita matrimoniale sarebbe stato minimo: a parte doversi notare la è provato che la B. abbia contribuito alla vita matrimoniale prendendosi cura del marito e della casa, tanto è vero che in costanza matrimonio la coppia non si serviva di un colf -come emerge chiaramente dal file audio prodotto quale doc. 67 di parte, in cui si sente il B. fare lusinghieri apprezzamenti alla resistente per come essa si prendeva cura di lui, per come cucinava, per come teneva la casa-, vale notarsi come, alla luce del disposto dell'art. 143 c. III cod. civ. ("entrambi i coniugi sono tenuti ciascuno, in proporzione dalle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia") sia da ritenersi fisiologico che, all'interno di una famiglia/di una coppia, vi siano apporti diversi al menage familiare, senza che a tale diversità di apporti si possa attribuire valenza escludente la debenza di un assegno divorzile. 7.3. Non è accoglibile nemmeno l'ulteriore argomento della difesa del ricorrente per cui, avendo ricevuto già in costanza di matrimonio la B. in costanza di matrimonio in donazione la "quasi integrale piena proprietà" dell'appartamento al IV piano dello stabile in Via C. n. 44 e la somma di Euro 100.000,00 (come detto al punto 1.4.), la B. avrebbe ricevuto elargizioni già sufficientemente compensative del suo contributo alla vita matrimoniale e della compromissione delle sue possibilità lavorative e economiche, osservando peraltro che trattasi di elargizioni che sono di importo maggiore di quello che la B. avrebbe potuto accantonare qualora avesse continuato a lavorare. Al riguardo deve riconoscersi che trattasi di donazioni di significativa entità. Tuttavia, la loro entità va relativizzata alla luce delle circostanze del caso. Infatti, se donazioni di questa entità fossero state ricevute da una donna ancora molto giovane, avente un impiego con uno stipendio di buon livello, che non avesse risentito sul piano contributivo delle scelte endofamiliari fatte, questa obiezione della difesa del ricorrente sarebbe accoglibile e non sarebbe riconoscibile alcun assegno divorzile alla moglie. Invece nel caso che ci occupa, come detto, è dato che la B. abbia 52 anni; che la stessa abbia solo delle chances di accesso al mondo del lavoro (non la sicurezza) per profili lavorativi -come badante/baby sitter/colf - che normalmente prevedono una retribuzione media e non certo alta; che essa vede la sua posizione contributiva e pensionistica fortemente compromessa. La somma di Euro 100.000,00 sarà quindi necessaria alla B. sia per mantenersi, soprattutto sino a quando non troverà un lavoro e una volta raggiunta l'età della pensione: stante l'età della B., considerata l'età media che raggiunge una donna in Italia, pari a circa 80 anni, si deve ipotizzare quindi un utilizzo da parte della B. della somma di Euro 100.000,00 "distribuita" nei prossimi suoi 30 anni di vita, sicché l'entrata all'attualità della somma si traduce e si tradurrà in un'entrata media annuale di Euro 3300,00, aggiuntiva rispetto al suo futuro possibile stipendio ed alla futura pensione di vecchiaia della resistente. Pertanto, la somma di Euro 100.000,00 non si può pertanto considerare di per sé sufficiente per compensare sia le sue minori attuali chance di accesso al mondo del lavoro della B. sia le sue prevedibili difficoltà economiche che incontrerà una volta che andrà in pensione. Analoghe considerazioni si devono fare riguardo la "quasi esclusiva proprietà" dell'appartamento in cui vive attualmente la B.: per la particolare conformazione di tale diritto della ricorrente (ed analizzata al punto 1.4.), (di là dalla circostanza che attualmente in via di fatto essa abbia un uso di questo tipo, risulta che la stessa non sia in possesso di un titolo formale ed opponibile al marito o a terzi per vedersi garantito un uso esclusivo e gratuito dell'appartamento. Delle donazioni ricevute dalla B. in costanza di vita matrimoniale si può e si deve tenere conto, ma non ai fini della esclusione di qualunque assegno divorzile a favore della stessa, come vorrebbe la difesa del ricorrente, ma ai fini della quantificazione dell'assegno divorzile (come si osserverà nel prosieguo). 8. Quale ulteriore elemento che depone nel senso della debenza di un assegno divorzile alla B. vi sta la considerazione delle "ragioni della decisione" ex art. 5 c. VI l. div., ossia valutando secondo i criteri di imputabilità e di responsabilità il fallimento del matrimonio fra le parti (che questo sia il significato dell'espressione utilizzata all'art. 5 c. VI l. div. è ben spiegato, ad esempio, in Cass. 5434/2008): in altri termini, va disposto un assegno divorzile a favore della B. anche in funzione risarcitoria, funzione che, per quanto di non comune applicazione, sopravvive nel nostro ordinamento anche a seguito della pronuncia SS.UU. 18287/2018 (come si evince chiaramente in vari punti della motivazione di detta sentenza). Fermo quanto detto nella sentenza parziale di divorzio pronunciata in ordine alla irrilevanza di ogni eventuale riserva mentale del B. nell'addivenire al divorzio dalla B., ossia in ordine alla sopravvivenza di un sentimento di amore dello stesso verso la ex moglie, almeno fino al 2020, nonostante la scelta di radicare il giudizio di divorzio (al riguardo, si rinvia alla motivazione di detta sentenza), in questa sede si deve considerare: che la B., almeno fino all'inizio della presente causa, si sia sempre dichiarata contraria ad addivenire alla fine della unione con il B. (cfr. le sue dichiarazioni a verbale d'udienza del 21.10.2020); come la decisione del B. di addivenire al divorzio si fondi sostanzialmente sul fatto che la B. non rispettasse compiutamente il "decalogo dei doveri coniugali" fissato da esso marito, decalogo cui si è fatto già cenno e prodotto quale doc. 12 resistente -che vi sia questa circostanza alla base di questa decisione del ricorrente di divorziare è stato esplicitamente e ripetutamente riconosciuto dalla sua difesa nei suoi atti: cfr. p. 11 della memoria integrativa del 10.7.2020; cfr. p. 1 della memoria n. 1; cfr. p. 2 della sua memoria n. 2; ciò si ricava inequivocabilmente anche dai file audio prodotti dalla difesa della resistente quali suoi doc. 1, 2, 3, 54 e 67, e mai disconosciuti ex art. 2712 cod. civ. dalla difesa del ricorrente; (la sinossi dei file audio sub doc. 54 e 67 è riportata nella nota della difesa della resistente del 30.9.2020 ed nella sua memoria n. 2)-; come tale "decalogo" comprendesse, fra l'altro, per la B. i seguenti "precetti": di obbedire sempre al marito ("io comando, tu obbedisci"); di dovere esibire al B. gli estratti del proprio c/c; di non usare lo smartphone o il computer; di potere fare passeggiate con il cane solo in un percorso predefinito e di potere fare passeggiate in città o sul lago solo con esso B.; (come già visto) di vivere con esso marito, a C. o a P. o nel C.; di non potere frequentare i suoi amici, perché omosessuali; come il B. fosse giunto anche a dichiararsi disposto sia a porre fine alle cause di separazione e divorzio, sia a riprendere la convivenza more uxorio, nonostante la pronuncia del divorzio, a condizione che la B. tornasse a vivere con lui e si conformasse alle regole di condotta da esso stabilite (ciò si ricava chiaramente dalla sinossi del file audio sub doc. 67); come il B. addirittura avesse ammonito la B. che comunque, qualora essa avesse accettato la sua proposta di riprendere la convivenza more uxorio, in caso di nuova trasgressione dei doveri coniugali da parte di essa moglie, esso marito avrebbe immediatamente e nuovamente posto fine all'unione coniugale (ciò si ricava sempre dalla sinossi del file audio sub doc. 67). All'evidenza, se si è giunti sino a questa fase processuale, è perché la B. non ha accettato queste condizioni del marito e lo stesso si è determinato di conseguenza a proseguire nel giudizio (al riguardo, la difesa della B. ha dedotto che il presente giudizio sarebbe una "rappresaglia dal sapore amaro" del marito al rifiuto della B.). Va quindi attribuito un assegno divorzile alla B. anche in funzione risarcitoria perché appare dato che essa abbia "subìto" la fine del suo matrimonio in ragione del suo rifiuto di accettare richieste del marito di ingiuste limitazioni alla sua libertà individuale e contrarie al principio costituzionale di uguaglianza fra i coniugi. 9. Venendo alla quantificazione dell'assegno divorzile a favore della resistente, la misura dell'assegno va determinata in Euro 1800,00 oltre a rivalutazione istat, dovendosi considerare che comunque, l'attuale condizione della resistente di non avere mezzi adeguati per mantenersi appare ad essa in parte imputabile (cfr. il punto 5.), considerando altresì le donazioni di non modesta entità dalla stessa ricevute in costanza di matrimonio (come sopra osservato, al punto 8.). Peraltro trattasi di importo assolutamente sostenibile per il ricorrente, alla luce del suo ingente patrimonio (come già sopra evidenziato, al punto 4.1.). 10. Non sussistono valide ragioni, ex art. 4 c. XIII L. n. 898 del 1970, per disporre che l'ammontare dell'assegno di divorzio in questa sede stabilito retroagisca al momento della domanda, come chiesto da parte resistente nelle sue conclusioni. 11. Quanto alla regolazione delle spese di lite, essendo che in questo giudizio entrambe le parti sono da ritenersi parzialmente soccombenti -il B., di là dalle "formali" conclusioni formulate, nei propri atti conclusivi ha svolto argomenti ancora nel senso della esclusione della debenza di qualunque assegno alla B.-; essendo altresì che l'assegno divorzile stabilito a favore della B. sia di importo inferiore a quello che essa avrebbe ricevuto se avesse accettato la prima delle proposte di consensualizzazione fatte dal G.I., che contemplava un assegno divorzile per Euro 2000,00, al lordo della tassazione, proposta che pure era stata accettata dal B. (cfr. quanto detto al punto 2.5.); va disposto che le spese di lite siano compensate quanto alle fasi di studio, introduttiva, e per 3/4 della fase istruttoria, mentre vanno poste a carico di parte B. le spese di lite di parte B. per 1/4 della fase istruttoria e per l'intera fase decisoria, in forza del disposto dell'art. 91 c. I cod. proc. civ. seconda parte ("se accoglie la domanda in misura non superiore all'eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta"); vista la nota spese di parte B., i compensi da liquidarsi allo stesso sono pari ad Euro 890,00 per 1/4 della fase istruttoria ed Euro 3409,00 per la fase decisoria, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente decidendo la causa R.G. .../2020, ogni altra domanda, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: - dispone che A.B. versi a favore di E.B. un assegno divorzile della misura di Euro 1800,00, entro il giorno 5 di ogni mese, importo soggetto a rivalutazione secondo gli indici istat; - dichiara compensate le spese di lite fra le parti quanto alla fase di studio, introduttiva e per 3/4 della fase istruttoria; condanna parte E.B. alla rifusione delle spese di lite di parte ricorrente quanto al restante 1/4 della fase istruttoria e alla fase decisoria, spese che si liquidano ad Euro 890,00 per 1/4 della fase istruttoria ed Euro 3409,00 per la fase decisoria, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%. Conclusione Così deciso in Cremona, il 7 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CREMONA PRIMA SEZIONE La Tribunale di Cremona, PRIMA SEZIONE, in persona del Giudice Unico dott.ssa Cristina Bassi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado avverso la sentenza resa dal Giudice di Pace di Cremona n. 92/2020, cron. 1055/2020 resa nel giudizio iscritto al n. di RG 2100/2019 in data 30.06.2020 dep. Cancelleria il 22.07.2020 promossa da (...), (C.F. (...)), in persona del suo socio accomandatario p.t. (...) e di (...), (C.F. (...)), in persona del suo socio accomandatario p.t. Vi.Bo., con l'avv. We.Ma. del Foro di Brescia appellanti contro AVV. (...) del Foro di Brescia, (C.F.: (...) il quale agisce in proprio ex art. 86 c.p.c. appellato RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 92/2020, cron. 1055/2020 resa nel giudizio iscritto al n. di RG 2100/2019, il Giudice di Pace di Cremona ha parzialmente accolto la domanda dell'Attore Avv. (...) ed ha condannato (...) SAS di (...) (di seguito anche la "(...)") e (...) (di seguito anche la "(...)") in solido al pagamento della somma di Euro 900,00 oltre rimborso spese generali, cpa al 4% ed IVA ex lege con interessi dalla data della domanda all'effettivo saldo, oltre alla condanna della parte convenuta a rifondere le spese della parte attrice liquidate in Euro 125,00 per anticipazioni, Euro 600,00 per compensi professionali ed oltre a rimborso spese generali al 15% sull'imponibile, c.p.a. e IVA. In particolare, nell'ambito del giudizio di prime cure, la parte attrice, dedotto l'esercizio di attività professionale in favore del Geom. (...) nell'ambito di una serie di cause di opposizione a decreto ingiuntivo, chiedeva al Giudice - in mancanza di pagamento spontaneo - il pagamento dell'equo compenso maturato ed esposto in sede di citazione nella somma di Euro 1.808,74 in favore delle società odierne appellanti quali risultanti dalla scissione della società (...) SAS di (...). Valga subito osservarsi che i compensi indicati sopra erano stati previamente richiesti in un procedimento ex art. 702bis c.p.c. ed ex art. 14 d. lgs. 150/2011 innanzi al Tribunale di Brescia che con decisione del 28.10.2018 - in parte motiva - affermava "Preliminarmente va dichiarata l'incompetenza del Collegio in relazione alla richiesta di liquidazione dei compensi per la procedura Sivim - Condominio Iris in quanto promossa davanti al Giudice di Pace di Cremona (richiamato il disposto dell'art. 14 comma II D.Lgs. 150/2011) Si rileva, pertanto, l'inconferenza dell'argomento dedotto dalla parte attrice in relazione all'attrazione di tale domanda con le altre promosse in giudizio. Si precisa che non risulta provato il conferimento dell'incarico per la predisposizione dell'atto di appello, di cui la parte attrice ha prodotto in giudizio la bozza e se ne rileva, comunque, l'irrilevanza posto che il giudice dell'appello era il Giudice monocratico del Tribunale di Cremona" (Cfr. pagg. 3 e 4 doc. all. 5 citazione) - il tutto con la precisazione che il procedimento innanzi al Giudice di Pace non risulta introdotto in riassunzione. Le parti convenute sono rimaste contumaci nell'ambito del giudizio di prime cure. Successivamente, con l'atto di citazione introduttivo del presente procedimento le parti appellanti (...) e (...) hanno chiesto l'accoglimento delle conclusioni sopra richiamate deducendo: - che la (...) non riceveva la notificazione della citazione mentre la (...) non si era accorta per mera svista della citazione - (cfr. pag. 2 appello); - che l'appellato non aveva introdotto la negoziazione assistita obbligatoria per legge; - l'incompetenza del Giudice di Pace di Cremona atteso che il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo per il quale sono stati chiesti i compensi aveva visto anche la proposizione dell'appello innanzi al Tribunale di Cremona; - l'improcedibilità della domanda in considerazione della mancata introduzione della stessa mediante ricorso per decreto ingiuntivo ovvero ricorso ex artt. 702bis c.p.c. e 14 d. lgs. 150/2011; - la carenza di legittimazione passiva della (...); - eccepiva l'inadempimento dell'Avv. (...) in ragione degli "(...) evidenziati errori procedurali de difensore, per i quali l'Appellata si riserva in ogni caso azione di responsabilità professionale" e pertanto la richiesta al Giudice d'Appello di rivalutare l'entità del credito; - l'errata decorrenza degli interessi che deve essere individuata con l'ordinanza che conclude il procedimento di liquidazione e non dalla data della domanda. La parte appellata si costituiva in giudizio il 18.03.2021 eccependo - la tardività della produzione documentale effettuata dalla parte appellante in considerazione del fatto che trattasi di documenti di formazione antecedente rispetto all'introduzione del giudizio di primo grado; - la tardività dell'eccezione in ordine al mancato esperimento della negoziazione assistita e l'infondatezza della relativa eccezione; - l'infondatezza dell'eccezione di competenza atteso che la competenza è individuata ex at. 28 L. 794/1942 sulla base del Giudice avanti al quale si è svolto il giudizio per il quale si richiedono in compensi; - l'infondatezza dell'eccezione riguardante il rito atteso che il rito di cui all'art. 702bis c.p.c. non potrebbe trovare applicazione rispetto alle controversie di competenza del Giudice di Pace; - che la notifica nei confronti della (...) e della (...) si è perfezionata come da ricevute pec depositate in atti; - che in ogni caso vi è solidarietà tra le società che risultano dalla scissione ex art. 2506 quater co. 3 c.c.; - che l'eccezione relativa alla riduzione del compenso per improcedibilità della domanda è tardiva; - contesta la ricostruzione della controparte in ordine al dies a quo di decorrenza degli interessi. Il Giudice dell'appello, rigettata l'istanza di sospensione della sentenza di primo grado, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Sulle conclusioni come innanzi precisate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell'art. 190 c.p.c. con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è infondato e non merita accoglimento. 1. In ordine all'affermato vizio della notifica della citazione in primo grado alle parti appellanti (...) e (...). L'eccezione della parte appellante, peraltro neppure chiaramente formulata, è infondata. Dagli atti del fascicolo di prime cure, infatti, emerge che le società (...) e (...) sono state chiamate in causa mediante notifica a mezzo PEC rispetto alla quale è in atti ricevuta di consegna e di accettazione per entrambe le odierne appellati. Non è chiaro cosa significhi che la (...) non ha visto la notifica per "mera svista" e che la (...) non abbia ricevuto la notifica atteso che alcun vizio in ordine al procedimento di notificazione è stato dedotto in modo chiaro e preciso dalla parte appellata. L'eccezione pertanto è inammissibile attesane la genericità e non merita accoglimento. Da quanto sopra, consegue la inammissibilità dei nuovi documenti depositati dalla parte appellante. Attese le conclusioni cui si è pervenuti in ordine al punto che precede, infatti, deve accogliersi l'eccezione di tardività sollevata dalla parte appellata in ordine alla produzione da parte della parti appellanti di nuovi documenti atteso il disposto di cui all'art. 345 co. 3 c.p.c. in forza del quale in sede di giudizio di appello "(...) non sono ammessi nuovi messi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto produrli in proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. (...)". Si osserva, in particolare, che i documenti prodotti in sede di appello sono tutti antecedenti alla causa di primo grado e pertanto la relativa produzione è, ormai, irrimediabilmente tardiva atteso che alcuna ragione giustificativa è stata neppure dedotta. 2. Sul motivo di appello riguardante avente ad oggetto la mancata attivazione della procedura di negoziazione assistita La parte appellante appella la sentenza di prime cure sotto il profilo, inter alia, della mancata attivazione della procedura di negoziazione assistita. Sul punto si osserva che ai sensi dell'art. 3 co. 1 del D.L. 12/09/2014 n. 132, G.U. 10/11/2014 "(...) L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza (...)". La giurisprudenza di merito, anche di recente, ha affermato che "L'omessa attivazione del procedimento di negoziazione assistita può essere eccepita o rilevata d'ufficio non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado e pertanto, se non rilevata dal giudice o eccepita dalla parte entro il detto termine, non può essere dichiarata alcuna improcedibilità della domanda" (Corte appello Milano sez. I, 30/07/2021, n. 2478). Alla luce di quanto sopra, non essendovi alcuna istanza di rimessione in termini rispetto alla relativa eccezione (né essendo stato dedotto alcun motivo giustificativo), il motivo di appello è infondato e non merita accoglimento. 3. Quanto all'eccezione di competenza sollevata dalla parte appellante La parte appellante afferma che il Giudice di Pace non avrebbe competenza per materia atteso che il procedimento rispetto al quale sono richiesti in questa sede i compensi si è concluso innanzi al Tribunale in sede di appello. L'eccezione di competenza è tardiva e non può essere accolta. In particolare, ai sensi dell'art. 38 co. 1 c.p.c. "L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata (...)" continua la norma al co. 3 individuando il limite del potere di rilievo officioso dell'eccezione di incompetenza "L'incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall'articolo 28 sono rilevate d'ufficio non oltre l'udienza di cui all'art. 183" - norme applicabili al procedimento innanzi al Giudice di Pace in virtù del richiamo operato dall'art. 311 c.p.c.. Orbene, la mancata costituzione della parte odierna appellante in sede di primo grado (implicante la mancata costituzione tempestiva delle parti in primo grado convenute) rende la questione relativa alla competenza non più eccepibile né rilevabile d'ufficio dal giudice. Da quanto sopra, consegue la tardività dell'eccezione di competenza sollevata per la prima volta quale motivo di appello e la infondatezza della eccezione. Neppure, sul punto, può essere eccepita una sorta di "riserva di collegialità". Il Giudicante del secondo grado, peraltro, sul punto osserva quanto segue. Le SSUU 4247/2020 in sede motiva hanno avuto modo di esaminare - inter alia - le ripercussioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 65/2014 ove era stato espressamente affrontato il tema della riserva di collegialità. In particolare, la Corte di Cassazione nella sentenza richiamata sopra ha affermato (par. 18 e ss) che, per quel che in questa sede maggiormente importa "(...) Ne consegue che tali statuizioni della Corte costituzionale risultano del tutto compatibili con la competenza per lo speciale procedimento de quo del Giudice di pace, con riguardo alla domanda di liquidazione dei compensi relativi a controversie decise da tale Giudice. Tale competenza, infatti, di deve considerare pacificamente esistente - in analogia con quanto accadeva prima con il Pretore e il Conciliatore - anche in assenza della collegialità, potendosi desumere dalla anzidetta sentenza n. 65 del 2014 della Corte Costituzionale - e, quindi, con un'interpretazione conforme alla Costituzione - che, nel caso del Giudice di pace, non è la "riserva di collegialità" lo strumento previsto per compensare la riduzione dei rimedi e delle garanzie propria del procedimento speciale de quo, perché in questo caso tale obiettivo viene perseguito attraverso la presumibile snellezza della procedura e la semplicità della controversia, caratteristiche che peraltro, per la Corte Costituzionale, sono "identificative" del procedimento speciale." L'eccezione di competenza del Giudice di pace sollevata dalla parte appellante è pertanto infondata e tardiva e non merita accoglimento 4. Quanto all'eccezione relativa al rito Ferma la competenza del Giudice di Pace sulla base delle considerazioni di cui al paragrafo che precede, deve ulteriormente osservarsi che risulta parimenti infondata la eccezione relativa al rito. Secondo la tesi della parte appellata, infatti, il giudizio in primo grado avrebbe dovuto essere proposto nelle forme di cui all'art. 702bis c.p.c. e 14 del d. lgs. 150/2011. Orbene, deve sul punto richiamarsi il disposto dell'art. 4 co. 1 e 2 del d. lgs. 150/2011 in forza del quale "1. Quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza. 2. L'ordinanza prevista dal comma 1 viene pronunciata dal giudice, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti". Alla luce di quanto sopra, pertanto, la soglia di sbarramento sia per l'eccezione di parte che per l'ordinanza decisionale in punto rito è rappresentata dalla prima udienza di comparizione delle parti - cristallizzandosi, pertanto, oltre detta udienza la possibilità di "mutamento" del rito nelle forme speciali. La giurisprudenza ha avuto modo di confermare in via interpretativa quanto risulta - già testualmente - dalla norma citata precisando che "E' evidente dalla lettura del testo normativo che il legislatore abbia previsto un rigido sbarramento per il mutamento di rito, attraverso la fissazione di un termine perentorio coincidente con la prima udienza. (...) Tuttavia, poiché il mutamento del rito non era avvenuto entro la prima udienza di comparizione delle parti, il Tribunale non poteva mutare il rito dopo che le parti avevano precisato le conclusioni e la causa era stata trattenuta in decisione. Conseguentemente, il giudizio avrebbe dovuto svolgersi nelle forme ordinarie e concludersi con sentenza, impugnabile anche per i motivi attinenti al merito, e non con ordinanza collegiale ricorribile per cassazione per violazione di legge" (cfr. Cass. Civ. sez. II 186/2020). Se è vero, pertanto, come afferma la Cassazione nella sentenza citata sopra, che al Giudice del primo grado è preclusa la "mutazione del rito" oltre la prima udienza di comparizione delle parti, a fortiori deve ritenersi detta possibilità preclusa in sede di appello - sia d'ufficio che a seguito del tardivo rilievo della parte (come avvenuto nel caso di specie). L'eccezione è pertanto non meritevole di accoglimento. 5. In ordine all'eccepito difetto di legittimazione passiva della (...) La parte appellante deduce ed eccepisce che essendosi scissa la (...) SAS, "(...) l'attore avrebbe dovuto verificare che gli immobili di Cremona erano tutti confluiti nella sfera di attribuzione della (...) SAS - con patrimonio "abbondantemente capiente (...) - e ciò per specifica assegnazione nell'atto pubblico di scissione". L'eccezione è infondata. In via preliminare si osserva che trattasi di eccezione di merito e non di rito poiché ha riguardo, in particolare, alla fondatezza sostanziale del diritto azionato e non alla riconducibilità della domanda al convenuto-debitore da parte dell'attore. In ogni caso si osserva che ai sensi dell'art. 2506 quater co. 3 c.c. le società risultanti all'esito della scissione sono solidalmente responsabili dei debiti della società scissa, sia pure "nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto". La giurisprudenza più recente ha avuto modo di chiarire che "In tema di scissione societaria, la responsabilità per i debiti della società scissa previsti dagli artt. 2506-bis, comma 2 e 2506-quater, comma 3, c.c., si estende in via solidale e sussidiaria a tutte le società partecipanti all'operazione, ciascuna delle quali risponde, tuttavia, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, il cui ammontare è onere di ciascuna di esse dimostrare in giudizio, quale fatto parzialmente impeditivo della pretesa altrui ed in virtù del principio di vicinanza della prova" (Cass. Civ. sez. VI, 25/11/2021, n. 36690) - con la conseguenza che è onere delle società scisse fornire prova in ordine ai limiti della propria responsabilità. Onere che, nel caso di specie, attesa la contumacia delle appellanti innanzi al Giudice di prime cure non è stato soddisfatto. L'eccezione è pertanto infondata e non merita accoglimento. 6. Nel merito - la richiesta rivalutazione dell'entità del credito La parte appellante eccepisce l'errata liquidazione del compenso da parte del Giudice di Pace in ragione della mancata applicazione dell'art. 9 co. 4 del DM 55/2014 ed in virtù degli errori procedurali in cui sarebbe in corso il difensore odierno appellato. La censura non ha ragione di essere accolta. Si osserva, in particolare, che il giudizio per il quale è stata richiesta in questa sede la condanna al pagamento dei compensi aveva un valore di Euro 4.200 circa - e, pertanto, tenuto conto dei parametri medi di cui al DM 55/2014 la liquidazione (per tutte le fasi del giudizio) si sarebbe aggirata intorno agli Euro 2.430 per compensi oltre ad esborsi, 15% di rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. La richiesta dell'Avv. (...), odierno appellato, in sede di giudizio è di Euro 1.800,00 e la liquidazione del Giudice di Pace è avvenuta per la somma di Euro 900,00 per compensi in sede di sentenza. Orbene, come motivato dal Giudice di Pace in sede di sentenza oggetto di gravame, la liquidazione tiene conto della non particolare difficoltà del caso, del fatto che non era stata svolta alcuna istruttoria e - pertanto - più in generale delle criticità che il giudizio presentava. La motivazione della sentenza del Giudice di Pace e la liquidazione ivi contenuta, pertanto, si ritiene sia pienamente condivisibile in questa sede - il morivo di appello è pertanto infondato e non merita accoglimento. 7. Nel merito - quanto alla decorrenza degli interessi La parte appellante lamenta l'errata applicazione del dies a quo di decorrenza degli interessi stabilita dal giudice di prime cure che lo avrebbe individuato - in particolare - nella data della domanda invece che in quella della intervenuta liquidazione. Orbene, soccorre sul punto la giurisprudenza di legittimità che anche di recentissimo ha affermato che "Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall'esercente la professione forense, gli interessi di cui all'art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento) e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all'esito del procedimento sommario di cui all'art. 14 D.Lgs. n. 150/2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore" (Cass. Civ. n. 8611/2022). La decorrenza degli interessi, pertanto, è stata correttamente stabilita dal Giudice di prime cure nella data della proposizione della domanda. Il motivo di appello è pertanto infondato e non merita accoglimento. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo applicato inter alla l'art. 82 ult. co. c.p.c.. Deve darsi atto, ai sensi dell'art. 13 co 1 quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell'appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il gravame, se dovuto. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, in persona del Giudice Unico dott.ssa Cristina Bassi, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...), e di (...), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore nei confronti dell'Avv. (...) avverso la sentenza del Giudice di Pace di Cremona n. 92/2020, cron. 1055/2020 resa nel giudizio iscritto al n. di RG 2100/2019 in data 30.06.2020 dep. Cancelleria il 22.07.2020 RESPINGE i motivi di appello tutti; CONFERMA, per l'effetto, la sentenza del Giudice di Pace di Cremona n. 92/2020; CONDANNA la parte appellante al pagamento, in favore della parte appellata delle spese di lite che liquida in Euro 900,00 per compensi oltre 15% per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge; DA' ATTO della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, in favore dell'erario di un importo ulteriore, pari a quello del contributo unificato previsto per il gravame, se dovuto. Così deciso in Cremona il 5 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA Prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del GOP dr. Silvestro Binetti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 1072/2019, promossa da: (...) (CF: (...)) in persona del legale rappresentante p.t. - con gli Avv.ti Gu.Br. e Vi.Me.; ATTRICE contro (...) SRL ((...)), in persona del legale rappresentante p.t. - con L'Avv. Ma.Ga., CONVENUTA Fatto e processo Con atto di citazione notificato il 19/04/2019 (...) (di seguito semplicemente (...) Snc) ha convenuto in giudizio (...) Srl per sentirla condannare al pagamento in suo favore della somma di Euro 343.000,00, oltre interessi moratori, corrisposta dalla (...) per l'escussione di una fidejussione prestata dall'attrice in favore della convenuta a seguito della sottoscrizione di un contratto di subappalto stipulato a condizioni eccessivamente svantaggiose a causa della condotta affetta da dolo incidente della seconda in danno della prima. Parte attrice, inoltre, richiedeva anche il risarcimento degli ulteriori danni subiti per effetto dello stato di crisi innestato dal suddetto pagamento e consistenti nella cessazione dell'attività della SNC attrice, da liquidarsi in via equitativa. (...) Srl si costituiva ritualmente con propria comparsa e deposito di fascicolo documentale, contestando in fatto ed in diritto quanto dedotto, eccepito e richiesto da parte attrice, sostenendo la correttezza della condotta di (...) Srl, incentrata sulla mera e legittima esecuzione delle condizioni contrattuali frutto di libere trattative tra le parti, eccependo a sua volta che le condizioni contrattuali fossero solo il frutto dell'imperizia dell'attrice nella conduzione delle trattative nonché la malafede della medesima nel rappresentare i fatti e formulando domanda riconvenzionale per il pagamento dei danni causati dal parziale inadempimento del contratto di subappalto intercorso tra le parti, quantificati in totali Euro 144.000,00. (...) Snc che in data 10.12.2013 tra le parti intercorreva contratto di subappalto per la demolizione delle strutture in ferro esistenti nell'area denominata "(...)" sita in C. alla Via G. e Viale S. (...) di proprietà di (...) Srl, già oggetto di contratto di appalto tra quest'ultima e (...) Srl. Il contratto concedeva al subappaltatore la disponibilità e la custodia delle aree per l'esecuzione delle opere di demolizione delle sole strutture in ferro ivi presenti, ad esclusione quindi degli edifici in cemento armato, con possibilità di recupero del ferro ed obbligo di smaltimento per i materiali di risulta non recuperabili. A fronte della possibilità di recupero del ferro risultante dalla demolizione per la successiva rivendita, il subappaltatore (...) Snc si obbligava a corrispondere a (...) Srl l'importo forfettario di Euro 800.000,00 da corrispondere per Euro 50 mila alla firma del contratto e per il resto con fatture settimanali "a partire dalla data del primo carico per un valore massimo di 250 tonnellate al prezzo minimo di Euro 200,00 a tonnellata". Mentre "il saldo fino alla residua concorrenza" dell'importo pattuito avrebbe dovuto essere corrisposto "in relazione all'ultimo conferimento di ferro. Veniva inoltre previsto che, a garanzia dei pagamenti pattuiti, il subappaltatore consegnasse al committente una fideiussione di Euro 300.000,00, da rilasciarsi dalla (...) e (...) entro il 23.12.2013. Importo che, in caso di mancato rispetto delle condizioni contrattuali, avrebbe dovuto essere corrisposto a (...) "a sua semplice richiesta ed a prima chiamata". Fideiussione che, unitamente alla relazione tecnica descrittiva delle opere da eseguire, era allegata al contratto facendone parte integrante. Il contratto veniva sottoscritto per (...) Srl dall'Arch. (...), legale rappresentante di (...) Srl nonché Amministratore di (...) Srl (proprietaria delle aree di cantiere ed appaltatrice), mentre l'incarico di progettista e direttore dei lavori era conferito all'Ing. (...). (...) Snc iniziava le opere di demolizione nel gennaio del 2014 corrispondendo gli importi fatturati da (...) per il ferro prelevato al prezzo di Euro 200 a tonnellata. Prezzo che, però, a marzo dello stesso anno aumentava su iniziativa di (...) al fine dichiarato di compensare, in esecuzione del punto 6 del contratto, la minore quantità di ferro mediamente prelevata e poter così raggiungere l'importo pattuito di 800.000 Euro. All'esito delle rimostranze di (...) Snc le parti convenivano di effettuare un sopralluogo sul cantiere oggetto del contratto per determinare la quantità di ferro contrattualmente prelevabile. Sopralluogo che veniva eseguito in data 01.04.2014 dal (...) Srl si costituiva confermando l'esistenza del contratto di appalto intercorso tra (...) Spa e (...) Snc avente ad oggetto lo smaltimento delle strutture in ferro presenti nell'Area "Ex Ferriera" di Crema nella disponibilità della convenuta, ed il recupero del metallo in cambio del pagamento della somma di Euro 800.000, determinata in misura forfettaria e non in base alla quantità effettiva di ferro ricavato. La società convenuta, però, sosteneva che tali condizioni contrattuali erano frutto delle lunghe trattative intercorse, precisando come la concessione della fidejussione fosse stata proposta dalla stessa attrice per assicurarsi l'affidamento dell'appalto, ritenuto da (...) Snc troppo "appetibile". Tanto anche all'esito della presa visione dell'area e di sopralluoghi valutativi svolti da (...) per effetto dei quali venivano anche apportate modifiche alla bozza del contratto prima della sottoscrizione del definitivo avvenuta in data 10.12.2013. Nonostante ciò a maggio 2014 (...) Snc sarebbe risultato gravemente inadempiente avendo accumulato arretrati di pagamento per totali Euro 394.000,00. Situazione che determinava la richiesta di pagamento della garanzia prestata e la sua successiva escussione ed il sorgere dei predetti contenziosi civili e penali. Alla prima udienza del 08/10/2019 le parti si costituivano con rituale deposito di fascicoli documentali e venivano concessi i termini istruttori, cui seguiva il deposito di memorie autorizzate ex art. 183, 6 comma c.p.c.. Dopo due rinvii dovuti all'emergenza epidemiologica da Covid19, all'udienza del 10.11.2020 il giudice ammetteva le istanze di prova testimoniale ritenute ammissibili e rilevanti. I testi venivano escussi alle udienze del 16.02.21 e 11.05.21. All'esito veniva fissata dal giudice l'udienza del 18.01.2022 per la precisazione delle conclusioni ove le parti concludevano come sopra indicato ed il giudice tratteneva la causa in decisione concedendo i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di note conclusive e repliche. DIRITTO Diritto La domanda proposta dalla società attrice nei confronti della convenuta va qualificata come azione risarcitoria da dolo incidente ai sensi dell'art. 1440 c.c., non essendo ipotizzata l'invalidità del contratto di appalto concluso bensì la sua stipula a condizioni inique per effetto della condotta contraria a buona fede, in spregio al disposto dell'art. 1337 c.c.. Figura di dolo che attiene alla fase di formazione del contratto e la sua eventuale esistenza non incide sulla possibilità di far valere i diritti sorti dal medesimo e sul suo adempimento, ma comporta che il contraente in mala fede sarà responsabile dei danni provocati dal suo comportamento illecito. Danni che andranno commisurati al minor vantaggio o maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede (Cass. n. 19024/2005; n. 9523/1999). In altri termini la fattispecie di cui all'art. 1440 c.c. è sostanziata da una condotta insidiosa, idonea a trarre in inganno un contraente di normale diligenza, tale da indurlo a concludere un contratto cui altrimenti verosimilmente non avrebbe acceduto o lo avrebbe fatto a condizioni diverse. Tuttavia il comportamento fraudolento non deve rappresentare l'unica o la causa principale del contratto che, pertanto, rimane valido ma la controparte sarà legittimata a richiedere il risarcimento dei danni subiti. Il cd. dolo incidente presenta, pertanto una minore intensità rispetto al dolo di cui all'art. 1439 c.c. che può determinare l'annullamento del contratto per vizio di volontà. Sarà dunque necessario fare riferimento alle concrete circostanze del contratto per verificare se la condotta di uno dei contraenti abbia integrato gli estremi del dolo incidente piuttosto che il cd. "dolus bonus" costituito dall'insieme di accorgimenti finalizzati alla mera esaltazione della bontà delle proprie proposte commerciali per indurre la parte alla conclusione del contratto, frequenti nella pratica negoziale ma che non sostanziano un'attività fraudolenta se mantenuti nei limiti della correttezza e buona fede. A tale proposito la giurisprudenza di legittimità ha oramai pacificamente ammesso che il dolo di cui all'art. 1440 c.c. viene sostanziato anche da un comportamento reticente teso ad occultare un fatto che, se conosciuto dall'altro contraente, ne avrebbe determinato diversamente la volontà (Cass. n. 5762/2016; n. 24795/2008). Pertanto la prova dell'esistenza del raggiro su un elemento non trascurabile del contratto determina una presunzione secondo la quale, senza la presenza della condotta reticente, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e meno inique, ovvero non gravemente sbilanciate a favore della parte in malafede. Alla luce dei principi esposti e che si reputano del tutto condivisibili, per meglio inquadrare l'ambito delle responsabilità nel caso che ci occupa, occorre partire senz'altro dalle circostanze di fatto che hanno portato all'instaurazione del presente giudizio per come accertate all'esito dell'istruttoria documentale e testimoniale. Nulla quaestio sull'esistenza del contratto stipulato in data 10.12.2013 tra (...) Snc, rappresentata dall'Ing. I., e (...) Snc ed avente ad oggetto lo smaltimento delle sole strutture in ferro "a vista" presenti nell'area Ex Ferriera di Crema, a disposizione della prima in quanto concessa in appalto con contratto del 03.12.2013 dalla proprietaria (...) Srl, ed il loro recupero come rottame da parte della società attrice in cambio del pagamento della complessiva somma di Euro 800.000,00, calcolata a forfait ed a priori. Pagamento garantito nella misura di Euro 300.000 da fidejussione pagabile a semplice richiesta ed a prima chiamata della creditrice garantita (...) Srl. Come pure nessuna contestazione è stata sollevata sulla validità del contratto che non viene messa in alcun modo in discussione dalle parti (cfr. doc. n. 10 di p.c.). Contratto che infatti è stato eseguito rimanendo inadempiuto solo nella parte relativa al pagamento di una parte del compenso pattuito poi recuperata quasi totalmente con la riscossione della garanzia prestata (cfr. doc. n. 17 di p.a. dalla fatt. n (...) del 14.03.2014 alla fatt. n. (...) del 24.04.2014). Pure incontestata è l'esistenza della perizia svolta dall'Ing. C.Z. su incarico dell'Arch. I. e la conoscenza da parte di quest'ultimo delle sue risultanze (doc. 04 p.c.). Al riguardo parte convenuta ha sostenuto che la quantità di metallo indicata, con percentuale di errore del 5%, comprendesse anche il ferro presente nei cementi armati, non incluso nel contratto di appalto, e che la distinzione non fosse chiaramente deducibile dal testo della perizia rimessa dall'Ing. C.Z. all'arch. I.; tanto in virtù del carattere empirico del calcolo effettuato dal perito che non consentiva di quantificare con precisione le rispettive percentuali del metallo presente nell'area. (...), nei propri atti ha sostenuto come tale informazione fosse e stata messa a disposizione di (...) durante le trattative e che, pertanto, (...) Snc avrebbe concluso il contratto alle condizioni descritte perché liberamente convinto della vantaggiosità dello stesso a seguito dell'esame di ogni elemento utile svolto sulla base dell'esperienza professionale posseduta e di esaustive e trasparenti trattative. Circostanze, queste, che sarebbero state tutte confermate dal medesimo Ing. C.Z. con la testimonianza resa nell'ambito del processo penale a carico dell'Ing. I.. Processo poi estinto per morte di quest'ultimo. Sul punto all'udienza del 16.02.2021 l'Ing. C.Z., figura centrale della controversia e teste comune ad entrambe le parti, confermava di aver eseguito su incarico dell'Arch. I., nell'ottobre del 2013, quindi prima dell'inizio delle trattative ed addirittura prima che quest'ultimo ricevesse l'appalto dei lavori di demolizione dalla (...) Srl, proprietaria dell'area, una prima stima del metallo presente nel cantiere, quando "tutte le strutture in metallo erano ancora in piedi come pure i due edifici in cemento (un magazzino ed un capannone). Il testimone riferiva di aver quantificato in 2.200-2.500 tonnellate il peso del metallo di cui erano composte le sole strutture in ferro presenti in cantiere e che tale stima era stata contestata dall'Arch. I. che l'avrebbe ritenuta errata per difetto. Stima che però veniva confermata dal perito con una mail, inviata al secondo, in data 29.10.2013 (cfr. doc. n. 04 di p.c.). Nell'ambito della medesima testimonianza l'ing. C.Z. precisava di aver chiaramente quantificato in 2.200-2.500 tonnellate il peso del ferro delle strutture in metallo a vista ed in totali 3.900 tonnellate il peso totale del ferro presente nell'area, comprensivo quindi di quello ricavabile dalle strutture in cemento armato e dai binari interrati (ferro occulto). Testimonianza che confuta quanto sostenuto dalla convenuta e che va ritenuta del tutto attendibile in quanto riferita senza esitazioni e contraddizioni, confermata dai documenti presenti nel fascicolo del presente procedimento e non discordante dalle testimonianze rese dagli altri testi escussi. In particolare la testimonianza resa dall'Ing. C.Z. nel presente giudizio trova piena ed esaustiva conferma anche nella motivazione della decisione che altro giudice di questo tribunale ha reso all'esito del giudizio RG n. 1914/2014, intercorso tra le medesime parti, avente ad oggetto un'istanza di cautela ex art. 700 c.p.c., secondo la quale, l'arch. I. durante le trattative aveva rappresentato alla controparte la presenza nell'area Ex Ferriera di circa 4.000 tonnellate di ferro, senza fare però riferimento alla stima operata dall'Ing. C.Z. e dunque senza riferire della relativa distinzione tra il metallo a vista e quello occulto (doc. n. 3 p.a.). L'Arch. I., quindi, già prima dell'inizio delle trattative era perfettamente a conoscenza che all'interno dell'area Ex Ferriera in Crema, oggetto del contratto, si trovavano circa 3.900 tonnellate di ferro di cui però solo 2.200-2.500 visibili cioè ricavabili dalle strutture in ferro. Per contro l'istruttoria testimoniale espletata fa ritenere verosimile che ai (...) sia stato fatto intendere che all'interno dell'area fossero presenti all'incirca 4.000 tonnellate di ferro ma non sia stato loro specificato che tale quantità comprendeva anche il metallo "occulto", escluso dal contratto. Come del resto sostenuto proprio dalla difesa di (...) Srl. Così lasciando insorgere nel subappaltatore il fatale equivoco sulla quantità effettiva di ferro che avrebbe potuto ricavare. Equivoco che, al netto della conoscenza di tale distinzione, non poteva certo essere confutato sulla base di meri "sopralluoghi" dell'area che per vastità e natura non consentiva di determinare esattamente la quantità di ferro corretta a che anzi si prestava ad una sopravalutazione del dato. La estrema difficoltà di determinazione della quantità di metallo ricavabile ha trovato conferma anche nella circostanza che lo stesso Arch. I. riteneva errata per difetto la quantificazione di circa 2.500 tonnellate effettuata dall'Ing. C.Z., pur all'esito di una approfondita perizia (cfr. testim. del 16.2.21 teste C.Z. e dell'11.5.21 teste C.). Convinzione che ha verosimilmente portato il committente a nascondere al proprio interlocutore il risultato della perizia ma che non gli ha impedito, per altro verso, di ritenere utile il rilascio di una fidejussione (a semplice richiesta ed a prima chiamata) al fine di garantirsi comunque l'importo forfettariamente determinato qualora, invece, la stima fosse risultata corretta (come in realtà è poi successo posto che la quantità effettiva di metallo ricavata dai (...) è risultata inferiore a 2.500 tonn.). Il teste C.Z. ha poi confutato l'ulteriore affermazione di parte convenuta secondo la quale il (...) avesse preso visione e conoscenza della stima per averla appresa dal consulente durante le trattative. Circostanza espressamente e chiaramente smentita dal testimone che ha invece dichiarato di non aver mai partecipato alle trattative per la stipula del contratto, di aver conosciuto i (...) solo dopo la conclusione del contratto e di aver comunicato agli stessi la sua stima solo in occasione del sopralluogo svolto in contraddittorio in data 01.04.2014 (testim. del 16.02.21). Nella medesima udienza anche il teste Paridi confermava come i (...) ritenessero verosimile che dal cantiere si potessero ricavare circa 4.000 tonn. di ferro e che tale convinzione derivasse dal mero esame visivo della zona, molto ampia ed in stato di abbandono. Tanto rende del tutto verosimile che (...) e l'Ing. I. per essa, non abbia comunicato l'importante informazione in suo possesso, ovvero che le quasi 4.000 tonnellate erano sì verosimili, ma solo ove comprendessero anche il ferro "occulto" cioè nascosto nei cementi o interrato e dunque non compreso nel contratto. Informazione che non solo avrebbe dovuto essere messa a diposizione dei (...) ma che avrebbe dovuto fare parte integrante del contratto al fine di garantire la corretta formazione della volontà contrattuale. Pertanto l'arch. I., consapevole della circostanza sin dall'inizio delle trattative, le ha condotte con dolosa malafede al fine di spuntare condizioni contrattuali eccessivamente vantaggiose per lui ad esclusivo danno di (...) Snc. E con il senno di poi, non può certamente essere considerata una mera coincidenza la circostanza che il valore della fideiussione rilasciata dal subappaltatore compensi esattamente la differenza di valore tra il ferro ricavato e quello ricavabile. Fidejussione, dunque, verosimilmente pretesa al solo fine di escludere il rischio di non vedersi corrispondere dal (...) l'intera somma pattuita a fronte della presa di coscienza che la quantità di ferro prelevabile, non solo non avrebbe garantito alcun margine di guadagno ma, anzi, avrebbe potuto rivelarsi fallimentare. Tanto anche in virtù degli accordi presi dal (...) con E.T. Spa per rivendere il ferro recuperato al prezzo di Euro 257 a tonnellata. Nel caso di specie appare pertanto sussistere il dolo incidente in capo alla società convenuta posta la provata consapevolezza dell'arch. I., per aver avuto notizia, ben prima dell'inizio delle trattative, della quantità di ferro ricavabile dal cantiere oggetto del contratto di appalto sottoscritto nel dicembre del 2014 con la società attrice. Sotto tale profilo va dunque richiamato l'obbligo di buona fede sancito dall'art. 1337 c.c. il cui ambito di rilevanza va ben oltre l'ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative, assumendo il valore di una clausola generale il cui contenuto non può essere determinato in maniera precisa. Clausola che implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti, fornendo alla controparte ogni dato conosciuto o anche solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, che sia rilevante ai fini della stipulazione del contratto. L'esame delle norme vigenti al riguardo pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative o di conclusione di un contratto invalido o inefficace (artt. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido e tuttavia gravemente pregiudizievole per la controparte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.). In tal senso la violazione di una regola di comportamento, che nella specie si ravvisa nell'obbligo di dare una particolare informazione, se consapevolmente commessa per incassare un prezzo più elevato, si configura come dolo omissivo. Nel caso che ci occupa, tale violazione si è sostanziata nel precipuo, conseguito, intento di incassare una controprestazione pecuniaria notevolmente più elevata di quella ricavabile dall'applicazione del mero prezzo di mercato, pure contrattualmente indicato. Il (...) doveva essere messo al corrente della corretta informazione in possesso di (...) posto che solo la compiuta conoscenza della quantità di ferro verosimilmente ricavabile dal cantiere avrebbe posto il sub appaltatore nella condizione di condurre una più consapevole trattativa. La circostanza che al (...) non sia stato impedito di effettuare sopralluoghi sul cantiere non può esimere da responsabilità la parte convenuta perché comunque è risultato nel corso del giudizio che la situazione complessiva del cantiere non consentiva di effettuare con precisione ed attendibilità una valutazione a vista del ferro disponibile; situazione che, senza la precisazione omessa, rendeva verosimile la presenza di una quantità di ferro a vista pari a quella indicata. Non si discute, quindi, della libertà di accettazione di qualsivoglia contratto ma del fatto che tale accettazione avvenga all'esito di una trattativa condotta secondo buona fede e trasparenza, durante la quale le parti non abbiano tenute nascoste circostanze determinanti in relazione all'oggetto e delle condizioni economiche del contratto. In particolare, la determinazione a priori e forfettaria del compenso e di un prezzo minimo alla tonnellata pari a quello di mercato ma adeguabile in funzione della (prevedibilmente minore) quantità di ferro raccolta come pure la prestazione della garanzia fideiussoria di natura astratta "a semplice richiesta ed a prima chiamata", non per l'intero importo pattuito ma solo per la (prevedibile) differenza, sono clausole contrattuali del tutto orientate a garantire alla convenuta/committente l'incasso dell'intero importo pattuito anche all'esito della scoperta da parte dell'attrice/subappaltatore della reale situazione e della iniquità dell'accordo concluso. Nessun rilievo possono al riguardo avere le testimonianze rese dai testi di parte convenuta che di fatto nulla tolgono o aggiungono all'accertamento dei fatti come sopra illustrati. Come pure non utilizzabili in quanto non sempre coerenti con le testimonianze assunte nel presente giudizio, sono le testimonianze rese nel giudizio penale estinto. Irrilevante al riguardo è anche la decisione assunta nell'ambito del procedimento RG n. 394/2015, avente ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo richiesto da (...) verso la (...)D. e (...) per ottenere il pagamento delle somme garantite. Il giudice del procedimento di opposizione, instaurato dalla Banca garante, ha confermato l'obbligo di pagamento delle somme garantite ed ordinato il pagamento dopo aver dichiarato inammissibili, perché inopponibili alla banca attrice/opponente e, dunque, irrilevanti nell'ambito del rapporto oggetto del giudizio, i documenti proposti come prova della responsabilità di (...) Snc, parte peraltro estranea al giudizio. Accertata quindi l'esistenza di un comportamento improntato alla malafede e dunque la sussistenza del dolo incidente in capo alla convenuta (...) Srl, va determinato il "quantum debeatur" il quale, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità non si esaurisce nelle diverse condizioni alle quali l'accordo si sarebbe concluso ma va quantificato in relazione ai danni valutati nel loro complesso, che risultino collegati da un rapporto diretto e di stretta consequenzialità con l'attività fraudolenta posta in essere. Nella quantificazione del danno risarcibile si deve, pertanto, avere riguardo alla situazione che si sarebbe creata come se il dolo non ci fosse stato, stante la validità del contratto sottoscritto. Nel caso in esame il danno consiste nel maggior esborso sostenuto dagli attori e non può che essere liquidato in via equitativa tenuto conto delle somme ottenute dalla rivendita del ferro ottenuto al prezzo di Euro 257 alla tonnellata, circostanza provata per documenti e comunque non contestata, delle somme relative al parziale inadempimento di parte attrice, nella misura provata, e infine delle somme addebitate dalla Banca agli attori a titolo di costi per il pagamento della fideiussione. Oltre questo, nessun altro danno può essere liquidato. Non quello richiesto dagli attori in relazione alla cessazione dell'attività di famiglia posto che non è stata fornita alcuna prova del legame diretto e di stretta consequenzialità con l'attività fraudolenta. Parte attrice non ha infatti dimostrato che la cessazione dell'attività della (...) Snc non sia stata il frutto di una mera volontà rinunciataria da parte dei soci che, ove avessero voluto continuare a svolgere l'attività di impresa, avrebbero potuto cercare di attuare azioni utili al riguardo (richiedere finanziamenti garantiti dagli immobili di proprietà, ricorrere a procedure concorsuali alternative al fallimento o ricercare soci finanziatori esterni al nucleo familiare) invece di cessare l'attività e dismettere gli immobili di proprietà dell'impresa. Altrettanto è a dirsi delle istanze di risarcimento danni avanzate dalla convenuta in riconvenzionale. (...) Srl non ha fornito alcuna prova circa la misura del parziale inadempimento di parte attrice, al netto delle somme incassate grazie all'escussione della garanzia prestata. La cifra richiesta di Euro 94.000 è rimasta priva di qualsivoglia riferimento documentale. L'unico documento al riguardo fornito dalla convenuta e non contestato dall'attrice è la nota di messa in mora di (...) Snc e della banca di credito di (...) e (...) inviata con mail PEC del 09.05.2014, cui erano allegate le fatture emesse da (...) Srl a carico di (...) Snc, ed in particolare le fatture n. (...), (...) ed (...) del 2014 (doc. n. 13 di p.c. e 17 di p.a.). Documenti dai quali si evince una richiesta di pagamento di somme non corrisposte nell'ambito del contratto del 10.12.2013 pari ad Euro 323.208 che, al netto della fideiussione incassata risultano, pertanto, pari ad Euro 23.208. Circostanza non contestata da parte attrice che si è limitata ad un laconico "nessun importo è dovuto per nessun titolo o ragione a (...)", assumendo la risoluzione del contratto per fatto e colpa della convenuta. Altrettanto è a dirsi degli ulteriori 50 mila Euro richiesti quale corrispettivo per la mancata esecuzione di opere accessorie quali lo sgombero e la pulizia del cantiere al termine dei lavori di recupero del ferro e smaltimento dei materiali residui. Mancata esecuzione e relativa quantificazione rimaste assolutamente sfornite di prove sia documentali che testimoniali e archiviabili come mere affermazioni indimostrate. Appare pertanto equo liquidare il danno patrimoniale subito dagli attori nella somma di Euro 200.000,00 tenuto conto che (...) Snc ha rivenduto il ferro ricavato dal cantiere oggetto del contratto al prezzo di Euro 257 alla tonnellata ricavandone una somma pari circa ad Euro 580.000, a cui vanno aggiunti i circa ventimila Euro rimasti impagati da (...) al netto delle somme garantite. Per un totale di circa Euro 600.000. Somma che può considerarsi come il valore che il (...) avrebbe verosimilmente ottenuto quale corrispettivo da corrispondere all'esito di trattative eque, trasparenti e consapevoli. Alla società attrice, inoltre, andrà riconosciuto il diritto alla restituzione della ulteriore somma di Euro 43.000 corrisposti alla Banca garante a titolo di spese per il pagamento delle somme garantite ed il successivo recupero a carico della società attrice. In virtù del principio di soccombenza, le spese di lite sostenute dall'attrice nel presente giudizio vanno poste a carico di parte convenuta e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa: 1) Accoglie per quanto di ragione la domanda attorea e per l'effetto condanna parte convenuta (...) Srl al pagamento a titolo di risarcimento dei danni in favore di (...) Snc della somma di Euro 243.000,00, oltre interessi come in motivazione; 2) Condanna parte convenuta alla refusione delle spese processuali sostenute da parte attrice, ove non già anticipate o altrimenti corrisposte, che liquida in Euro 1.214,00 per C.U. ed Euro 21.387,00 per compensi di avvocato, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Cremona il 28 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Cremona, composto dai seguenti magistrati dott.ssa Alessandra Marucchi - Presidente dott. Giorgio Scarsato - Giudice rel. dott.ssa Cristina Bassi - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA DEFINITIVA nella causa civile iscritta n. R.G. .../2019 promossa da: A.C. (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. ... ricorrente contro R.T.D. (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. ... resistente e (...) e con l'intervento del Pubblico Ministero Svolgimento del processo - Motivi della decisione 1. All'origine della presente causa di separazione vi sta il seguente quadro fattuale: le parti hanno contratto matrimonio concordatario in Crema il 18.5.1997; dalla loro unione sono nati F., in C. il (...) e M., il (...): essendo che a M. fu diagnosticato sin dal 2005 un disturbo generalizzato dello sviluppo riconducibile allo spettro dell'autismo; essendo che il D., dopo avere conseguito la laurea in ingegneria, iniziò a lavorare come consulente informatico per la A.C. (dal 2001 A. S.p.a.), impiego che implicava per esso orari di lavoro molto gravosi, nei primi anni della vita coniugale la C. non lavorava e si occupava alla crescita dei figli; solo in un momento successivo, essa iniziò a lavorare nella Pubblica Amministrazione, dapprima part time, quindi a tempo pieno (come è dato a tutt'oggi); la prima casa coniugale fu un immobile sito in via G. in C.; nel 2013, la coppia acquistò un immobile in Via P. n...., sempre in C., intestandolo ad entrambe le parti e contraendo a tal fine un mutuo; in costanza di matrimonio, da quando anche la C. iniziò a lavorare, entrambe le parti accreditavano il loro stipendio sul c/c cointestato n. (...) aperto presso la I.S.; nell'estate 2018 sorgevano vari dissapori e avvenivano numerosi litigi nella coppia; nell'ottobre 2018 le parti si rivolgevano ad un legale per concordare le condizioni della loro separazione personale; il 10.10.2018 il D. inviava una bozza delle possibili condizioni per una separazione consensuale alla C. -si veda tale bozza di accordo prodotto quale doc. 20 ricorrente-, ma dette condizioni non venivano accettate dalla C.; il giorno successivo, l'11.10.2018, il D. lasciava la casa coniugale, andando a vivere in un immobile di proprietà di sua madre, sempre in Crema. 2.1. In questo quadro, con ricorso depositato il 7.3.2019 la C. ha incardinato il presente giudizio di separazione. La ricorrente ha chiesto pronunciarsi l'addebito della separazione al D. per avere avuto una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio e altresì in ragione della condotta -sopra vista- di avere abbandonato la casa coniugale il 11.10.2018. In particolare, la ricorrente ha allegato che, a far data dal 2016, il D. avrebbe iniziato ad assentarsi sempre più spesso da casa nel fine settimana e a farvi rientro la sera sempre più tardi durante la settimana; che inizialmente essa si sarebbe spiegata questa nuova abitudine del marito in ragione dei suoi impegni di lavoro e del suo hobby del parapendio; che invece, nel luglio 2018, essa avrebbe scoperto che in realtà il marito "conduceva una doppia vita", in particolare che il marito avrebbe avuto una relazione extraconiugale da lungo tempo ed avrebbe fatto investimenti intestati esclusivamente a se stesso e sottaciuti ad essa moglie. La ricorrente ha allegato di esser rimasta profondamente ferita da questa scoperta, stante i valori cristiani che la univa al marito ed il fatto che la loro relazione durava da quasi 30 anni (essendo stati fidanzati 10 anni prima di sposarsi). La ricorrente ha chiesto disporsi l'affidamento condiviso dei figli ed il collocamento presso essa madre, pur deducendo che il D., a far data dall'ottobre 2018, sarebbe stato poco attento ai sentimenti ed al dolore dei figli e poco presente nella loro vita. In punto di richieste economiche, la ricorrente ha chiesto la corresponsione a favore di essa e dei figli di un assegno di mantenimento per un importo sostanzialmente in linea con l'importo indicato e proposto dal D. nella sua bozza di condizioni per la separazione del 10.10.2018, ossia per Euro 250,00 a favore di essa moglie e di Euro 800,00 per ciascuno dei figli, oltre al 70% delle spese straordinarie. 2.2. Si è costituito il D., chiedendo il rigetto della domanda di addebito della separazione e proponendo condizioni economiche diverse e di importo inferiore (Euro 700,00 per ciascuno dei figli; Euro 200,00 a favore della C.) rispetto a quelle chieste dalla ricorrente e a quelle da esso stesso resistente proposte solo qualche mese prima (nella predetta bozza di Acc. del 10 ottobre 2018). 3.1. All'udienza presidenziale del 6.6.2019 sono stati adottati i provvedimenti provvisori del caso. Con sentenza parziale n. ../2020 è stata dichiarata la separazione personale delle parti. 3.2. L'istruttoria delle domande di causa si è articolata procedendo all'interrogatorio libero delle parti (all'udienza del 3.10.2019), all'interrogatorio formale del D. (all'udienza del 10.7.2020), all'assunzione di alcuni testimoni per parte (sempre all'udienza del 10.7.2020) e disponendo c.t.u. per accertare la condizione reddituale e patrimoniale del D.: l'incarico è stato affidato al commercialista dott...., il quale ha risposto ai quesiti ad esso posti con relazione del 15.4.2021. All'udienza del 24.6.2021 le parti hanno precisato le conclusioni, come in epigrafe. 4.1. Va accolta la domanda della C. per l'addebito della separazione, sebbene non entrambi i motivi dedotti dalla parte siano accoglibili. 4.2. Vale ricordare come, secondo la giurisprudenza consolidata dalla Suprema Corte, a fronte dell'accertamento di condotte di violazione dei doveri coniugali di fedeltà coniugale e di abbandono del tetto coniugale in via presuntiva sia dato un nesso eziologico fra tali violazioni e la fine della unione spirituale fra i coniugi, salvo che il coniuge cui vengono mossi gli addebiti non dimostri la mancanza di tale nesso eziologico, per essere data una crisi di coppia preesistente (cfr. in tal senso, quanto alla violazione del dovere di fedeltà, Cass. 2059/2012; quanto alla violazione del dovere di coabitazione, Cass. 10719/2013) e comunque fermo restando un potere di rilevare d'ufficio l'assenza di un nesso eziologico, alla luce delle prospettazioni delle parti (cfr. Cass. 20866/2021). 4.3. Quanto al primo motivo di addebito della causa che ci occupa, sono dati plurimi e convergenti riscontri del fatto che, in costanza di vita matrimoniale, il D. abbia avuto una relazione extraconiugale con tale M., che viveva sul..., scoperta dalla C. nel luglio 2018. In tal senso depongono, in via dirimente: il fatto che il D. si sia limitato a fare generiche e quindi irrilevanti (cfr., da ultimo, Cass. 26908/2020) contestazioni a fronte delle specifiche allegazioni della C. sul punto; la registrazione della conversazione avvenuta fra il D. e la C. nel luglio 2018 -registrazione di cui la C. ha prodotto un file audio, mai disconosciuto dal D. nei propri atti, nonché una trascrizione-, in cui si sente chiaramente la C. chiedere al D. "cioè questo mi stai chiedendo ? di andare avanti con un matrimonio di facciata, dove noi facciamo la commedia che andiamo d'accordo, va tutto bene, tu però intanto esci con quella lì del...? questo ?" ed anche fare esclamazioni quali "perché da quando è venuta fuori questa storia, non è che tu hai detto Oddio, ho sbagliato, mi pento, guarda, voglio tornare indietro", e dall'ascolto del file audio si può cogliere che il D. nulla dica né provi a negare la relazione extraconiugale; infine, le dichiarazioni ammissive fatte dal D. in sede di suo interrogatorio formale: "sì, è vero che ho detto a mia moglie che mi intrattenevo con tale M., la vedevo a volte, questa è la traduzione esatta, la vedevo di tanto in tanto. Non ricordo i dettagli, comunque sì, la mia relazione perdurava da cinque anni, non ricordo l'esatto periodo". 4.4. Orbene, a fronte di questo robusto quadro probatorio di una sua relazione extraconiugale durata 5 anni, il D. non ha dedotto alcuna prova per dimostrare -come era suo onere: cfr. la citata Cass. 2059/2012- che, nel 2013, quando esso iniziò la sua relazione con M., il suo matrimonio con la C. fosse in una condizione di crisi irreversibile, ossia per dimostrare la mancanza di un nesso eziologico fra questa sua violazione dei doveri coniugali e la fine del suo matrimonio. A fronte di questo mancato assolvimento del proprio onere della prova da parte del D., sono irrilevanti le allegazioni del resistente per cui l'ammissione da parte di esso alla moglie della sua relazione extraconiugale non sarebbe sufficiente per ritenere chiuso definitivamente un matrimonio, e che si sarebbe trattato di una relazione extraconiugale che non coinvolgeva sentimenti profondi (così la sua memoria del 22.5.2019, p. 3 e così la sua memoria conclusionale di replica, p. 2). Anzi, l'allegazione da parte dello stesso D. che, a seguito di questa "confessione" alla moglie della sua relazione extraconiugale nel luglio 2018, iniziò un periodo di convivenza caratterizzato da continui litigi e discussioni (sempre a p. 3 della sua memoria del 22.5.2019) e la circostanza sopra ricordata ed incontestata per cui, appena finita l'estate 2018, le parti si rivolgevano ad un legale per concordare le condizioni della loro separazione personale, costituiscono forti elementi indiziari nel senso della sussistenza di un nesso eziologico fra la scoperta del tradimento da parte della C. e la fine del loro matrimonio. 4.5. Va invece rigettato il secondo motivo di addebito mosso dalla C. al D.. E' incontestato che l'11.10.2018 il D. lasciò la casa coniugale, per andare a vivere in un immobile sito sempre in C. e di proprietà di sua madre, immobile da esso ancora ad oggi occupato. Il D. ha allegato che la sua decisione di lasciare la ex casa coniugale fu presa d'accordo con la C.. Di là della corrispondenza o meno al vero di questa allegazione del resistente, al riguardo, dalle allegazioni complessive delle parti è chiaramente evincibile - e quindi rilevabile d'ufficio, come ammette la citata Cass. 20866/2021- che tale abbandono della casa coniugale da parte del D. non sia in nesso eziologico con la fine della loro unione coniugale, perché tale unione era già a quel momento finita, dopo che la C. aveva scoperto della lunga relazione extraconiugale intrattenuta dal D. nel luglio 2018, tanto che -come detto- nei giorni precedenti all'uscita di casa del D. le parti si erano già rivolte ad un legale e il giorno prima, 10.10.2018, il D. aveva mandato una bozza di accordo di separazione alla C.. 5. Sulle domande delle parti concernenti l'affido ed il collocamento dei loro figli e la regolamentazione del diritto di visita paterno va dichiarata cessata la materia del contendere, essendo che i figli della coppia sono ormai entrambe maggiorenni (oggidì essi hanno ormai 21 e 19 anni). 6. Va accolta la domanda congiunta delle parti di disporsi l'assegnazione alla C. della ex casa coniugale sita in Via P. n. 33/A in C., immobile cointestato ad entrambe le parti: è infatti incontestato che i figli della coppia non siano economicamente indipendenti, essendo studenti, e vivano ancora nella ex casa coniugale con la C.. 7.1. Venendo alle domande economiche di causa, e partendo dall'analisi della situazione reddituale e patrimoniale della C., la stessa è stata sostanzialmente chiara sin dall'inizio di causa: la C. ha come propria fonte di reddito il proprio stipendio di impiegata comunale, che è pari a circa Euro 1580,00 netti medi mensili; il patrimonio della stessa è costituito da metà del valore della ex casa coniugale, il cui valore complessivo è stato stimato dal c.t.u. dott. Mulattieri in Euro 200.000,00 (cfr. relazione p. 14); dal valore di un libretto di risparmio aperto presso Coop L. per Euro 30.000,00 (come ammesso dalla sua difesa); dalla somma di Euro 45.000,00, che è incontestato che la C. abbia prelevato nel febbraio 2019 dal c/c familiare cointestato n. (...) aperto presso la I.S.. 7.2. Quanto alla situazione economica e patrimoniale del D., il suo compiuto accertamento ha richiesto disporsi una c.t.u. in quanto - a fronte delle allegazioni della C., di cui al suo ricorso, che il marito percepisse dei fringe benefits e che esso avesse fatto investimenti, solo a se intestati ed all'oscuro di essa moglie-, nei propri atti introduttivi il D. si era limitato a produrre le proprie dichiarazioni dei redditi, aveva omesso di chiarire l'entità dei propri investimenti (si vedano le sue memorie introduttive e la sua memoria n. 1, dove esso faceva cenno solo alla componente immobiliare del suo patrimonio) e anche in sede di suo interrogatorio libero aveva fornito limitatissime informazioni al riguardo (dichiarando di avere investimenti a sé intestati solo per un valore pari ad Euro 30.000,00: si veda il verbale dell'udienza del 3.10.2019). Alla luce di quanto accertato dal c.t.u. dott. ... -condividendosi pienamente le conclusioni dello stesso, alla luce del rigore del metodo applicato e delle pertinenti risposte da esso date alle osservazioni della difesa del D.- si può quindi concludere che il D. possa contare su un reddito medio netto mensile pari a circa Euro 4800,00 - a tale valore si giunge rettificando il suo reddito da lavoro come dirigente per la A. con il valore dei suoi fringe benefits e dei dividendi da esso percepiti- (cfr. relazione p. 17); che il resistente abbia un patrimonio del valore di circa Euro 500.000,00, considerando il valore della metà della ex casa coniugale (cfr. relazione p. 14); il valore delle sue motociclette; di valore dei suoi investimenti nel fondo P.P.; il valore dei titoli A. di cui è titolare; il valore di un libretto di risparmio aperto. presso Coop L. (cfr. relazione c.t.u. p. 25); Vale ricordare peraltro che il D. non deve sostenere alcun canone di affitto per la casa in cui vive, essendo immobile ad esso concesso in uso gratuitamente dalla madre, né deve sostenere più la rata del mutuo contratto per l'acquisto della ex casa coniugale, in quanto estinto (come ammesso dallo stesso resistente). 7.3. Alla luce di questa significativa differenza sia reddituale sia patrimoniale fra le parti, considerato che è incontestato che, in costanza di vita matrimoniale il D. versasse circa Euro 3000,00 al mese del suo stipendio per le esigenze della famiglia, appare equo disporsi che il D. contribuisca al mantenimento dei due figli, maggiorenni ma non economicamente indipendenti, versando alla C. la somma mensile di Euro 1400,00 (Euro 700,00 per figlio), entro il giorno 10 di ogni mese, somma soggetta a rivalutazione istat, nonché contribuendo nella misura del 70% alle spese straordinarie per i figli, da intendersi disciplinate come da Protocollo di questo Tribunale del 13.12.2015; contribuisca al mantenimento della C. versando la somma di Euro 250,00 mensili, entro il giorno 10 di ogni mese, importo sempre soggetto a rivalutazione secondo gli indici istat. 7.4. Quanto alla debenza dell'assegno di mantenimento a favore della C., non può essere accolto l'argomento della difesa D. per cui nulla alla stessa andrebbe versato a fronte del prelievo fatto dalla moglie nel febbraio 2019 della somma di Euro 45.000,00 dal c/c familiare cointestato n. 9273157 aperto presso la I.S.: in primo luogo, perché considerare questo prelievo come "compensativo" della corresponsione di un assegno di mantenimento a favore della moglie implicherebbe liquidare un assegno di mantenimento di separazione una tantum a favore della C., ciò che non è ammissibile in sede di separazione giudiziale; in secondo luogo, perché considerare questo prelievo in questa sede sarebbe contradditorio e rischioso, qualora il D. si determinasse in futuro ad agire nelle debite sedi per avere dalla C. la restituzione di quanto da essa prelevato. 8.1. A fronte dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione al D., in forza del principio di causalità, vanno poste a carico dello stesso le spese di lite del presente giudizio di parte C., spese che si liquidano, considerata la media complessità del procedimento, considerati i compensi medi stabiliti dalla tabella 2. del D.M. n. 55 del 2014 per le cause di valore indeterminato in Euro 2025,00 per la fase di studio; Euro 1349,00 per la fase introduttiva; Euro 3560,00 per la fase di trattazione; Euro 3409,00 per la fase decisoria, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%; per esborsi in Euro 126,50. 8.2. Va posto interamente a carico del D. il costo della c.t.u. disposta - liquidata al dott. Mulattieri con decreto del 6.7.2021-: per quanto dalla relazione del c.t.u. emerga, come nel corso dei relativi lavori, il D. sia stato collaborativo, fornendo la documentazione richiesta, depongono nel senso di porre interamente a carico del D. il costo della c.t.u. sia il precitato principio di causalità sia quanto osservato al punto 7.2., ossia della assoluta mancanza di trasparenza e da parte del D. sulla propria condizione patrimoniale, soprattutto quanto ad investimenti; come detto, mai nei propri atti lo stesso dichiarò la reale entità dei propri investimenti -che da quanto calcolato dal c.t.u. ammontano a circa Euro 400.000,00-, limitandosi a dichiarare, all'udienza del 3.10.2019, di avere investimenti del valore di Euro 30.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente decidendo la causa R.G. .../2019, così dispone: - dichiara la separazione addebitabile al marito R.T.D.; - dispone l'assegnazione ex art. 337 sexsies cod. civ. della ex casa coniugale, sita in Via P. n. 33/A in C., a A.C.; - dispone che il R.T.D. contribuisca al mantenimento dei figli F. e M. versando a favore degli stessi la somma complessiva di Euro 1400,00, somma soggetta a rivalutazione istat, entro il 10 di ogni mese, nonché contribuendo nella misura del 70% alle spese straordinarie per i figli, spese disciplinate come da Protocollo di questo Tribunale del 13.12.2015; - dispone che il R.T.D. versi a favore di A.C. un assegno di mantenimento di Euro 250,00 al mese, somma soggetta a rivalutazione istat, entro il 10 di ogni mese; - dichiara cessata la materia del contendere sulle domande delle parti concernenti la responsabilità genitoriale sui loro figli, il loro collocamento e la regolamentazione del diritto di visita paterno; - condanna R.T.D. alla rifusione delle spese di lite a favore di A.C., spese che si liquidano in Euro 2025,00 per la fase di studio; Euro 1349,00 per la fase introduttiva; Euro 3560,00 per la fase di trattazione; Euro 3409,00 per la fase decisoria, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%; per esborsi in Euro 126,50; - pone le spese della c.t.u., liquidate la dott. .. come da decreto del 6.7.2021, nei rapporti interni interamente a carico di parte D.; Conclusione Così deciso in Cremona il 21 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del G.O.P. avv. Nunzia Corini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di (...) Grado iscritta al n. 3069/2013 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2013 promossa da: (...) S.R.L., ora IN FALLIMENTO (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) - ATTORI - contro (...) con il patrocinio dell'avv. (...) (C.F. (...)), ora (...) S.p.A. (C.F. (...)) - CONVENUTA - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) s.r.l., quale debitrice principale, e (...), quale garante, convenivano in giudizio Banca (...) S.p.A. in relazione al c/c n. (...) acceso presso la filiale di (...), e Banca (...) S.p.A. in relazione al c/c ordinario affidato n. (...), nonché ai c/c assistiti da garanzia ipotecaria n. 1704 e n. 2900, nonché a tre contratti derivati a copertura tassi, tutti stipulati con la filiale di (...) di detto istituto. Gli attori lamentavano, con riguardo ai rapporti di conto corrente, l'addebito illegittimo di interessi usurari, anatocistici, ultralegali non concordati, oltre a commissioni e spese non pattuite. Con riguardo ai derivati, affermavano che, lungi dall'avere realizzato la funzione di copertura per la quale erano stati sottoscritti, avevano aggravato la situazione finanziaria della (...), che aveva subito perdite per circa Euro 255.000,00. A supporto della domanda, producevano relazioni redatte dal legale rappresentante dell'attrice inerenti ai rapporti intrattenuti con ciascuna delle convenute, oltre ai conteggi delle perdite generate dai derivati, oltre alla lettera di contestazione inviata dalla correntista a Banca (...) e relativa risposta. In conseguenza delle rilevate nullità incidenti sui rapporti di c/c chiedevano quindi l'accertamento del dare-avere e la restituzione di Euro 63.022,73 a Banca (...) e di Euro 6.295,93 a (...). Relativamente alle asserite violazioni concernenti i contratti derivati (nullità per difetto di causa e mancanza di alea dal lato banca, violazione dell'art. 1322 c.c.; in subordine, annullamento per dolo e violazione degli obblighi comportamentali), chiedevano la condanna di (...) a risarcire il danno patrimoniale della società quantificato in Euro 254.498,09, oltre al danno non patrimoniale subito della società e dal fideiussore per le pressioni esercitate dalla banca onde ottenere la sottoscrizione dei derivati e la lesione della reputazione ed immagine della società stessa. Domandavano inoltre il risarcimento dei danni ex artt. 1337, 1338, 1366 e 1376 c.c., nonché per l'illegittimità della segnalazione alla Centrale Rischi per effetto delle rettifiche dei saldi. Chiedevano inoltre, come conseguenza delle responsabilità evidenziate, che fosse accertata l'inefficacia o nullità delle fideiussioni. Si costituivano in giudizio le convenute, contestando analiticamente le pretese degli attori. In particolare (...), costituitasi per l'incorporata Banca (...) di (...) S.p.A. eccepiva preliminarmente la nullità dell'atto di citazione, per difetto dei requisiti di cui all'art. 163, comma 3, nn. 3 e 4, c.c., relativamente alle domande di accertamento della nullità, annullabilità, inefficacia, inadempimento e condanna al risarcimento danni, in merito alle quali dichiarava di non accettare il contraddittorio. Nel merito, affermava la legittimità della capitalizzazione degli interessi, trattandosi di rapporti accesi tutti successivamente alla delibera CICR 9.2.2000, la pattuizione degli interessi ultralegali e delle altre condizioni economiche, la validità delle commissioni di massimo scoperto. Quanto ai contratti derivati, sosteneva che l'iniziativa per la stipula di detti strumenti era stata del legale rappresentante dell'attrice, il quale nel 2008, allo scopo di coprire il rischio di tasso su operazioni finanziarie/edilizie, aveva contattato la banca richiedendo prodotti specifici che aveva dichiarato di ben conoscere. Nonostante l'esperienza dimostrata dal signor (...), la banca aveva comunque fornito ogni informativa di legge. Sotto il profilo delle istanze istruttorie, si opponeva alla pronuncia dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., poiché la società attrice avrebbe potuto procurarsi la documentazione ai sensi dell'art. 119 T.U.B., anteriormente all'instaurazione del giudizio. Chiedeva pertanto il rigetto delle domande ed inoltre spiegava domanda riconvenzionale per la condanna della (...) s.r.l. al pagamento della complessiva somma di Euro 932.417,91 e del fideiussore (...) nel limite di Euro 450.000,00, a fronte del saldo passivo del c/c n. (...) alla data del 28.2.2014 (euro 173.831,29) oltre interessi di mora dall'1.3.2014, del c/c 1704 alla data del 31.12.2013 (euro 529.897,71) oltre interessi di mora dall'1.1.2014, e del c/c n. (...) alla data del 31.12.2013 (euro 228.688,91) oltre interessi di mora dall'1.1.2014, con compensazione di quanto eventualmente riconosciuto alla società attrice. A fondamento della riconvenzionale, produceva soltanto gli estratti dei tre conti correnti relativi al mese nel quale era stata effettuata la chiusura. Disposta preliminarmente la separazione della causa nei confronti di (...) s.p.a.; inviate le parti in mediazione, che aveva esito negativo; concessi i termini per le memorie di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c.; ammessa la C.T.U. ed ordinata l'esibizione ex art. 210 c.p.c. dei documenti indicati da parte attrice in seconda memoria, che non fossero già stati prodotti; interrotto il giudizio in corso di C.T.U. a causa dell'intervenuto fallimento dell'(...) s.r.l., che veniva tempestivamente riassunto da (...) e nel quale si costituiva anche la Curatela; riprese le operazioni peritali e depositata la C.T.U.; effettuati alcuni rinvii a fini conciliativi; fissata udienza di precisazione delle conclusioni; chiesti nuovamente alcuni rinvii per formalizzare l'accordo già raggiunto, la causa veniva infine trattenuta a sentenza, con la concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - GLI EFFETTI DELL'INTERVENUTO FALLIMENTO DI (...) S.R.L. La riconvenzionale della banca è inammissibile in questa sede, dovendo essere valutata in ambito fallimentare, secondo il disposto dell'art. 52, comma 2, L. F. vigente ratione temporis. La questione è pacifica e nemmeno contestata dalla convenuta, la quale nelle difese ha argomentato l'esistenza del proprio credito con riguardo alla sola posizione del fideiussore (...). Occorre quindi verificare se le contestazioni sollevate dalla correntista hanno fatto emergere, all'esito della C.T.U., un diritto restitutorio in favore del fallimento derivante dal passaggio dei saldi dei tre conti correnti da passivi ad attivi. Quanto alla posizione del fideiussore (...), per il quale non vale lo stesso principio, occorre accertare se l'addizione del saldo dei tre conti correnti è risultata superiore o inferiore al limite massimo della fideiussione prestata, pari ad Euro 450.000,00. 2 - (...) RAPPORTI DI CONTO CORRENTE E LA DOMANDA DEL FALLIMENTO DI RIPETIZIONE DELL'INDEBITO 2.1 - Premessa Con riguardo al c/c ordinario n. 242449 (poi n. 242449) acceso il 18.11.2005, al contratto di apertura di credito in c/c n. (...) (poi n. 2900) con garanzia ipotecaria del 6.8.2010 e al contratto di apertura di credito in c/c n. (...) con garanzia ipotecaria del 31.1.2011, è stato chiesto al C.T.U.: - di verificare se gli interessi, altri prezzi e condizioni fossero stati debitamente pattuiti in conformità all'art. 4, comma 1, legge n. 154/1992 e al T.U.B., applicando, in caso contrario, l'interesse di cui all'art. 5, comma 1, lett. a) e i compensi di cui alla lett. b) della medesima legge (applicando gli interessi minimi per le operazioni a credito della banca e quelli massimi per quelle a credito del cliente); - di verificare se nel corso del rapporto fosse stato correttamente esercitato lo jus variandi, in relazione alle condizioni di cui all'art. 6, legge n. 154/1992 e art. 118 T.U.B., considerando inefficaci le variazioni non corrispondenti a tali requisiti; - di effettuare il calcolo degli interessi anatocistici applicati dalla banca nel corso del rapporto (riservata in sede di decisione la valutazione della legittimità di tale pratica, anche dopo la delibera CICR 9.2.2000), applicando l'interesse semplice; - di verificare se, al momento della pattuizione o della dazione o al momento di esercizio dello jus variandi, fossero stati pattuiti o applicati interessi o altri corrispettivi usurari, differenziando il conteggio tenendo conto e non tenendo conto dell'effetto anatocistico; senza tenere conto delle c.m.s. fino all'entrata in vigore dell'art. 2 bis, comma 2, D.L. n. 185/2008 testo coordinato, tenendo conto della commissione da tale legge (e dalle successive) prevista per il periodo successivo; con prescrizione, in caso di usura contrattuale, di applicare l'art. 1815 c.c., e in caso di usura sopravvenuta i principi dettati da Cass. n. 602/2013; tenendo conto nel calcolo anche delle eventuali valute fittizie (se riscontrate) e di ogni altro costo del finanziamento (es. assicurazioni, garanzie, ecc.); - di verificare se le c.m.s. fossero state applicate legittimamente o meno, in relazione a Cass. n. 870/2006 e, dopo la sua entrata in vigore, in conformità al D.L. n. 185/2008 e sue variazioni. 2.2 - Le risultanze della C.T.U. Il perito d'ufficio, rispondendo ai quesiti, ha formulato due alternative per ogni rapporto (v. pagg. da 75 a 83), delle quali la più favorevole agli attori è l'opzione ove sono espunti gli interessi anatocistici, ossia l'ipotesi (...). Con riguardo al conto corrente ordinario n. (...) poi 242449, il C.T.U. è pervenuto al saldo applicando i seguenti criteri: "determinazione degli interessi a debito per il correntista in base a quelli pattuiti nella convenzione di conto corrente e nelle lettere di apertura di credito ovvero in base a quelli effettivamente applicati dalla banca se più favorevoli per il correntista con conseguente esclusione di interessi debitori calcolati con tassi non conformi a quelli pattuiti nelle condizioni economiche riportate nel regolamento di conto corrente e nelle lettere di concessione degli affidamenti per complessivi Euro 14.698,88, esclusione di spese elaborazione dell'estratto conto non conformi a quelle pattuite nelle condizioni economiche riportate nel regolamento per complessivi Euro 18,40, esclusione di oneri per corrispettivo di disponibilità creditizia non conformi a quelle pattuite nelle condizioni economiche riportate nelle lettere di concessione degli affidamenti per complessivi Euro 1.153,81, esclusione di commissioni di istruttoria veloce non pattuite per complessivi Euro 800,00, esclusioni di commissioni di massimo scoperto illegittime in relazione a Cass. 870/2006 per complessivi Euro 5.958,45, eliminazione dell'effetto anatocistico dovuto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi quali risultano dagli estratti conto, di maggiori spese e oneri non conformi alle pattuizioni e di CMS illegittime determinato in Euro 27.611,31, imputazione di maggiori interessi attivi calcolati pari a Euro 109,17 operazioni considerate per valuta, nessuna rettifica necessaria per ricondurre gli interessi all'interno dei tassi soglia di cui alla Legge Usura in quanto assorbita dall'eliminazione dei maggiori interessi addebitati per non conformità alle pattuizioni. Il saldo così ricalcolato risulta pari a - Euro 123.463,27 con una differenza di Euro 50.350,02 a favore della correntista". Con riguardo al conto corrente ipotecario n. 1704, il C.T.U. è pervenuto al saldo applicando i seguenti criteri: "determinazione degli interessi a debito per il correntista in base a quelli pattuiti nel contratto di apertura di credito in conto corrente ovvero in base a quelli effettivamente applicati dalla banca se più favorevoli per il correntista con conseguente esclusione di interessi debitori calcolati con tassi non conformi a quelli pattuiti nelle condizioni economiche riportate nel contratto di conto corrente per complessivi Euro 1.969,89, esclusione di commissioni di istruttoria veloce non pattuite per complessivi Euro 300,00, eliminazione dell'effetto anatocistico dovuto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi quali risultano dagli estratti conto e di maggiori oneri non conformi alle pattuizioni determinato in Euro 2.971,05, operazioni ordinate per valuta, nessuna rettifica necessaria per ricondurre gli interessi all'interno dei tassi soglia di cui alla Legge Usura in quanto non rilevato alcun superamento. Il saldo così ricalcolato risulta pari a - Euro 524.656,77 con una differenza di Euro 5.240,94 a favore della correntista". Con riguardo al conto sovvenzione n. 2900 (già conto n. 1362), il C.T.U. è pervenuto al saldo applicando i seguenti criteri: "determinazione degli interessi a debito per il correntista in base ai tassi sostitutivi ex art. 117 comma 7 lett a) del TUB, per i tassi entro-fido e extrafido, e in base al tasso pattuito nell'addendum contrattuale del 06/08/2012 per il tasso di scoperto di conto, con conseguente esclusione di interessi debitori per complessivi Euro 13.401,67, esclusione di oneri per corrispettivo di disponibilità creditizia non pattuiti per complessivi Euro 379,91, esclusione di commissioni di istruttoria veloce non pattuite per complessivi Euro 250,00, eliminazione dell'effetto anatocistico dovuto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi quali risultano dagli estratti conto e di maggiori oneri non conformi alle pattuizioni determinato in Euro 1.758,90, operazioni ordinate per valuta, nessuna rettifica necessaria per ricondurre gli interessi all'interno dei tassi soglia di cui alla Legge Usura in quanto non rilevato alcun superamento. Il saldo così ricalcolato risulta pari a - Euro 212.567,10 con una differenza di Euro 15.790,48 a favore della correntista". Il fatto che per tutti i rapporti esista una "differenza a favore della correntista" non comporta evidentemente il passaggio a credito del saldo, bensì un minor saldo passivo a debito della stessa. Di conseguenza, anche nella più favorevole delle ipotesi, l'attrice risulterebbe a debito di complessivi Euro 860.687,14 (= Euro 123.463,27 + Euro 524.656,77 + Euro 212.567,10). Considerato che il risultato è comunque a debito della società fallita e non dà luogo alla ripetizione di alcuna somma, è superfluo prendere in esame le singole voci sulle quali il C.T.U. ha svolto gli accertamenti demandatigli, anche perché - come si desume dalle difese del Fallimento - le valutazioni tecniche, che hanno condotto alla rettifica dei saldi, non sono state poste in discussione. 3 - (...) CONTRATTI DERIVATI 3.1 - Il quesito Con riguardo ai contratti derivati, il quesito prevedeva: - di verificare, sulla base della documentazione in atti, se il cliente potesse qualificarsi come professionale o qualificato, sia all'epoca della conclusione del contratto quadro, sia in occasione delle operazioni successive, accertando, in caso di risposta negativa, se sia stato effettuato un test di adeguatezza; - di descrivere le caratteristiche dei derivati oggetto di causa, verificando in particolare: - che l'alea non fosse del tutto unilaterale; - che non fossero stati posti costi impliciti a carico del cliente; - che non vi fosse un mark to market negativo all'inizio dell'operazione ovvero (c.c. contratto non par), in caso contrario, la banca avesse compensato tale MTM negativo con un up front in favore del cliente; - che l'alea fosse razionale (tale intendendosi quella in cui gli scenari probabilistici e le relative conseguenze debbono essere chiarite dall'inizio), ben comprensibile al cliente, tramite la chiara esposizione, tra l'altro, del MTM, degli scenari di probabilità e delle modalità di calcolo del mark to market; - di calcolare in ogni caso l'importo complessivo degli addebiti effettuati per differenziali da parte della banca, nell'ipotesi in cui se ne dovesse disporre il rimborso. 3.2 - Premessa teorica Onde fornire una adeguata risposta al quesito, il C.T.U. ha ritenuto opportuno effettuare una breve premessa teorica, spiegando che: - lo swap, appartenente alla categoria dei contratti derivati, è essenzialmente un accordo col quale due contraenti si scambiano flussi finanziari calcolati con un criterio prestabilito a date prefissate; - l'Interest Rate Swap (IRS), è un contratto che contempla lo scambio di interessi calcolati su un determinato ammontare prefissato chiamato nozionale a scadenze prefissate e per un tempo determinato; - il più diffuso e tradizionale contratto di questo tipo (comunemente detto "plain vanilla") è lo swap fisso contro variabile: tale accordo prevede che una delle due parti ceda all'altra un flusso di interessi calcolati sul nozionale con un tasso fisso, in cambio della ricezione degli interessi calcolati secondo un tasso variabile (il tasso variabile può essere rilevato all'inizio o alla fine del periodo di riferimento a seconda della data di fixing stabilita); - esistono numerose varianti rispetto al "plain vanilla" dovute all'inserimento di ulteriori opzioni, come ad esempio l'opzione "barriera", in base alla quale le condizioni contrattuali variano al raggiungimento di predeterminati valori del tasso variabile; - il valore del contratto swap ad una determinata data è il "mark to market" ed è costituito dal valore attuale dei flussi finanziari attesi (o del loro differenziale); a seconda del valore assunto dal "mark to market" alla data di stipula del contratto l'IRS può essere "par" (il "mark to market" ha valore zero) o "non par" (il "mark to market' ha valore negativo per una delle due controparti, poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello dei tassi di mercato); - in generale, i termini finanziari della transazione vengono riequilibrati attraverso il pagamento alla controparte di una somma di denaro, denominata "up front", che dovrebbe essere pari al "mark to market" negativo del contratto; l'eventuale "up front" non esplicitato nel contratto e non corrisposto costituisce una commissione implicita; - il contratto di Interest Rate Swap può essere utilizzato essenzialmente con finalità: - di copertura, che si verifica quando un soggetto che ha una posizione debitoria con tassi di interesse legati ad un parametro variabile, come l'euribor, e vuole tutelarsi contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato, sottoscrive un contratto IRS col quale, a fronte del pagamento di un tasso fisso sul nozionale, andrebbe a ricevere da controparte un tasso variabile collegato alla sua posizione base (in questo caso, l'acquirente che paga fisso e riceve variabile sul capitale nozionale di stipula, guadagnerà in una situazione di rialzo dei tassi, poiché quanto riceve come differenziale a suo favore gli consentirebbe di neutralizzare in tutto o in parte la maggiorazione degli interessi debitori subita nelle posizioni collegate); - speculative quando viene sottoscritto da investitori che, avendo determinate attese sull'andamento dei tassi di interesse, intendono trarre profitto dalle variazioni dei tassi di interesse, senza alcun collegamento con un sottostante. Ciò posto, il C.T.U. ha poi precisato (v. pag. 88) che la documentazione agli atti "... sulla quale fondare l'analisi al fine di fornire risposte alle richieste poste dal quesito circa le caratteristiche dei contratti derivati oggetto di causa è la seguente: - contratto swap denominato barrier swap del 9/9/2008 (doc. 35 fascicolo di parte convenuta) - contratto swap denominato tasso fisso del 6/11/2008 (doc. 36 fascicolo di parte convenuta) - modulo estinzione anticipata contratto swap denominato barrier swap del 9/9/2008 (doc. 37 fascicolo di parte convenuta) - contratto swap denominato tasso fisso IRS del 2/4/2009 (doc. 38 fascicolo di parte convenuta)". Ed ha anticipato (v. sempre pag. 88) che "... la documentazione di cui sopra non fornisce informazioni atte a consentire una risposta a tutte le richieste della parte del quesito in esame. In particolare, non sono stati reperiti documenti che indicano come sia stata ripartita e prospettata l'alea di rischio tra le parti al momento della stipula dei contratti di SWAP, né che espongano chiaramente gli scenari probabilistici e le relative conseguenze, nonché le modalità di calcolo del mark to market". 3.3 - Le risultanze della C.T.U. Il perito ha esaminato i quesiti in senso inverso rispetto a come erano stati formulati, trattando, prima, gli addebiti per differenziali, poi, le caratteristiche dei derivati oggetto di causa, e, infine, se il cliente potesse qualificarsi come professionale o qualificato. Per semplicità, si ritiene opportuno seguire l'ordine del C.T.U. 3.3.1 - Gli addebiti per differenziali Dopo avere individuato tutti gli addebiti e gli accrediti per differenziali contabilizzati negli estratti conto prodotti e riportati a pagg. 84-85, il C.T.U. "... ha ricostruito sulla base dei documenti specifici agli atti e degli addebiti o degli accrediti effettuati sul conto corrente n. (...) (poi (...)) alle scadenze previste dai contratti, il debito generatosi per effetto dei contratti Swap oggetto di causa (contratto "Barrier swap" del 9.9.2008, contratto "Tasso Fisso" del 6.11.2008 e contratto "Tasso fisso IRS" del 2.4.2009) quantificandolo in Euro 185.006,08, pari alla differenza tra addebiti di Euro 187.957,80 e accrediti di Euro 2.951,72", come risultante dalla tabella di pag. 85. Il debito complessivo (pari ad Euro 185.006,08) generatosi per differenziali sui contratti sottoscritti dall'impresa, è suddiviso come segue: - Euro 73.842,28 per il contratto "Barrier swap" del 9.9.2008; - Euro 75.449,12 per il contratto "Tasso Fisso" del 6.11.2008; - Euro 35.714,68 per il contratto "Tasso fisso IRS" del 2.4.2009. 3.3.2 - Le caratteristiche dei derivati oggetto di causa Il contratto denominato Barrier SWAP del 9.9.2008 Nel documento "Proposta n. 4000 del 9.9.2008 relativa a contratto swap denominato "Barrier Swap" (doc. n. 35 della convenuta) sono descritte le caratteristiche dell'operazione. Il C.T.U. ha dato atto che il contratto in questione "... ha durata di 3 anni con data iniziale 11/09/2008 data finale 11/09/2011 e con periodicità trimestrale: scadenze 11 dicembre, 11 marzo, 11 giugno e 11 settembre di ogni anno. Il capitale nozionale è stabilito in Euro 1.000.000. Tale importo è modulato sull 'esposizione debitoria non gestita del cliente, che, nel contratto viene confermata in Euro 1.000.000 di debiti non gestiti con scadenza 11/09/2011. L'accordo tra le parti circa i flussi da scambiare prevede che il cliente si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro cliente - se l'Euribor 3 mesi Act/360 rilevato 2 gg lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo è < 5,10%: tasso fisso pari al 4,50% - se l'Euribor 3 mesi act/360 rilevato 2 gg lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo è > o = 5,10%: Euribor 3 mesi con cap massimo 5,95% mentre la banca si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro banca - se l'Euribor 3 mesi Act/360 rilevato 2 gg lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo è < 5,10%: Euribor 3 mesi - se l'Euribor 3 mesi act/360 rilevato 2 gg lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo è > o = 5,10%: tasso fisso pari al 5,70%. Nel contratto è riportata la seguente dicitura "l'operazione potrà assumere valori di Mark to Market (valore di mercato) la cui entità e segno non sono preventivabili in relazione alle mutevoli condizioni rilevabili sui mercati finanziari, a partire dalla data di negoziazione sino alla scadenza pattuita. In caso di estinzione anticipata l'operazione potrà quindi generare utili o perdite finanziarie per il cliente". Il C.T.U. ha inoltre affermato (v. pagg. 94-95) che, alla data di stipula del derivato, il capitale nozionale del contratto Barrier Swap (euro 1.000.000,00) era proporzionato rispetto alla situazione debitoria complessiva dell'impresa verso la banca (circa Euro 960.000,00), da ciò inferendo che la struttura del derivato era adatta a soddisfare un eventuale bisogno di copertura dal rischio di tasso. Il C.T.U. ha tuttavia chiarito che "la struttura del contratto in esame prevede, per valori del parametro di riferimento (euribor 3 mesi) inferiori al tasso fisso del 4,50% stabilito per il cliente, possibili vantaggi da parte della banca ben maggiori ai possibili vantaggi che il cliente potrebbe avere, unicamente per valori del parametro di riferimento compresi tra il 4,50% e il 5,70%, e comunque mai superiori allo 0,6%". Il C.T.U. ha quindi ricostruito "... al variare del tasso euribor 3 mesi, l'andamento del tasso applicato dalla banca (parametro banca) e di quello applicato del cliente (parametro cliente) in modo da confrontare il possibile profitto di entrambe le parti" ed ha tradotto il risultato nel seguente grafico Immagine Ha poi spiegato che "Nei tratti in cui la curva rossa, che rappresenta il tasso debitore cliente, è al di sopra della curva blu, che rappresenta il tasso debitore banca, si ha un rapporto favorevole alla banca, mentre dove succede il contrario si ha un rapporto favorevole al cliente. Appare evidente come il rapporto sia sbilanciato a sfavore del cliente: la banca ha possibilità di guadagno molto più elevate". Conclusioni del C.T.U.: - "l'alea è unilaterale: il rapporto è sbilanciato a sfavore del cliente e la banca ha maggiori possibilità di guadagno rispetto al cliente"; - "non vengono posti costi impliciti a carico del cliente"; - "il mark to market all'inizio dell'operazione non appare negativo"; - "non risultano documenti agli atti in cui sono evidenziati gli scenari probabilistici e le relative conseguenze in maniera chiara dall'inizio, ben comprensibile al cliente, tramite la chiara esposizione, tra l'altro, del MTM, degli scenari di probabilità e delle modalità di calcolo del mark to market"; - "il rischio di credito assunto dalla banca può essere rappresentato dal differenziale (spread) tra il tasso Euribor (3 mesi) ed il tasso Eonia Swap nel periodo di riferimento di sottoscrizione del contratto (euribor 3 mesi al 9.9.2008 4,96% - Eonia medio di periodo 4,27%)". Il contratto Swap denominato "Tasso Fisso" del 6.11.2008 Nel documento "Proposta n. 5013 del 6.11.2008 relativa a contratto swap denominato "Tasso Fisso" (doc. n. 36 della convenuta) sono descritte le caratteristiche dell'operazione. Il C.T.U. ha dato atto che il contratto in questione "... ha durata di 3 anni con data iniziale 10/11/2008 data finale 10/11/2011 e con periodicità trimestrale: scadenze 11 febbraio, 11 maggio, 11 agosto e 11 novembre di ogni anno. Il capitale nozionale è stabilito in Euro 1.000.000. Tale importo è modulato sull'esposizione debitoria non gestita del cliente, che, nel contratto viene confermata in Euro 1.000.000 di debiti non gestiti con scadenza 11/09/2011. L'accordo tra le parti circa i flussi da scambiare prevede che il cliente si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro cliente - tasso fisso pari al 3,89% mentre la banca si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro banca - l'Euribor 3 mesi Act/360 rilevato 2 gg. lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo. Nel contratto è riportata la seguente dicitura "l'operazione potrà assumere valori di Mark to Market (valore di mercato) la cui entità e segno non sono preventivabili in relazione alle mutevoli condizioni rilevabili sui mercati finanziari, a partire dalla data di negoziazione sino alla scadenza pattuita. In caso di estinzione anticipata l'operazione potrà quindi generare utili o perdite finanziarie per il cliente". Il C.T.U. ha inoltre affermato (v. pagg. 99-100) che, alla data di stipula del derivato, il capitale nozionale del contratto Tasso Fisso (euro 1.000.000,00) era proporzionato rispetto alla situazione debitoria complessiva dell'impresa verso la banca (circa Euro 815.000,00). Ad avviso del C.T.U., il contratto appare "... coerente con la situazione di mercato al momento della stipula da cui consegue l'equa ripartizione delle probabilità di pagare/incassare tra le due controparti. Il sostanziale allineamento del tasso fisso del derivato in esame ai tassi medi scambiati sul mercato degli swap indica che le condizioni dello swap non implicano squilibri a danno alla società". Dal grafico elaborato in perizia, sotto riportato, il C.T.U. ha argomentato che "Nei tratti in cui la curva rossa, che rappresenta il tasso debitore cliente, è al di sopra della curva blu, che rappresenta il tasso debitore banca, si ha un rapporto favorevole alla banca, mentre dove succede il contrario si ha un rapporto favorevole al cliente. Appare evidente come il rapporto sia bilanciato: banca e cliente hanno analoghe possibilità di guadagno". Immagine Conclusioni del C.T.U.: - "l'alea non è unilaterale"; - "non vengono posti costi impliciti a carico del cliente"; - "il mark to market all'inizio dell'operazione non appare negativo"; - "non risultano documenti agli atti in cui sono evidenziati gli scenari probabilistici e le relative conseguenze in maniera chiara dall'inizio, ben comprensibile al cliente, tramite la chiara esposizione, tra l'altro, del MTM, degli scenari di probabilità e delle modalità di calcolo del mark to market"; - "il rischio di credito assunto dalla banca può essere rappresentato dal differenziale (spread) tra il tasso Euribor (3 mesi) ed il tasso Eonia Swap nel periodo di riferimento di sottoscrizione del contratto (euribor 3 mesi al 6.11.2008 4,59% - Eonia (Euro OverNight Index Averedge) medio di periodo 3,150%)". Il contratto Swap denominato "Tasso Fisso IRS" del 2.4.2009 Nel documento "Proposta n. 7099 del 2.4.2009 relativa al contratto swap denominato "Tasso Fisso IRS" (doc. n. 38 della convenuta) sono descritte le caratteristiche dell'operazione. Il C.T.U. ha dato atto che il contratto in questione "... ha durata di 3 anni con data iniziale 6/4/2009 data finale 6/4/2012 e con periodicità trimestrale: scadenze 6 luglio, 6 ottobre, 6 gennaio e 6 aprile di ogni anno. Il capitale nozionale è stabilito in Euro 1.000.000. Tale importo è modulato sull'esposizione debitoria non gestita del cliente, che, nel contratto viene confermata in Euro 1.000.000 di debiti non gestiti con scadenza aprile 2012. L'accordo tra le parti circa i flussi da scambiare prevede che il cliente si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro cliente - tasso fisso pari al 2,26% mentre la banca si impegna a pagare alle scadenze interessi calcolati sul capitale nozionale pari a: parametro banca - l'Euribor 3 mesi Act/360 rilevato 2 gg lavorativi antecedenti la fine di ogni periodo. Nel contratto è riportata la seguente dicitura "l'operazione potrà assumere valori di Mark to Market (valore di mercato) la cui entità e segno non sono preventivabili in relazione alle mutevoli condizioni rilevabili sui mercati finanziari, a partire dalla data di negoziazione sino alla scadenza pattuita. In caso di estinzione anticipata l'operazione potrà quindi generare utili o perdite finanziarie per il cliente". Secondo il C.T.U. (v. pagg. 102-103, valgono per questo contratto le medesime considerazioni svolte con riguardo al contratto del 6.11.2008: i) sostanziale allineamento del tasso fisso negoziato con la cliente con i tassi medi scambiati sul mercato degli swap; ii) capitale nozionale (euro 1.000.000,00) proporzionato rispetto alla situazione debitoria complessiva dell'impresa verso la banca (circa Euro 920.000,00). Anche in questo caso, ad avviso del C.T.U., il derivato appare "... coerente con la situazione di mercato al momento della stipula da cui consegue l'equa ripartizione delle probabilità di pagare/incassare tra le due controparti. Il sostanziale allineamento del tasso fisso dello swap in esame ai tassi medi scambiati sul mercato indica che le condizioni dello swap non implicano squilibri a danno alla società". Dal grafico elaborato in perizia, sotto riportato, il C.T.U. ha argomentato, del tutto analogamente al contratto del 6.11.2008, che "Nei tratti in cui la curva rossa, che rappresenta il tasso debitore cliente, è al di sopra della curva blu, che rappresenta il tasso debitore banca, si ha un rapporto favorevole alla banca, mentre dove succede il contrario si ha un rapporto favorevole al cliente. Appare evidente come il rapporto è bilanciato: banca e cliente hanno analoghe ha possibilità di guadagno". Immagine Conclusioni del C.T.U.: - "l'alea non è unilaterale"; - "non vengono posti costi impliciti a carico del cliente"; - "il mark to market all'inizio dell'operazione non appare negativo"; - "non risultano documenti agli atti in cui sono evidenziati gli scenari probabilistici e le relative conseguenze in maniera chiara dall'inizio, ben comprensibile al cliente, tramite la chiara esposizione, tra l'altro, del MTM, degli scenari di probabilità e delle modalità di calcolo del mark to market"; - "il rischio di credito assunto dalla banca può essere rappresentato dal differenziale (spread) tra il tasso Euribor (3 mesi) ed il tasso Eonia Swap nel periodo di riferimento di sottoscrizione del contratto (euribor 3 mesi al 2.4.2009 1,48% - Eonia (Euro OverNight Index Averedge) medio di periodo 0,84%)". 3.3.3 - La qualifica del cliente Il C.T.U. ha risposto a questa parte del quesito valorizzando alcuni elementi risultanti dai documenti prodotti, ossia: - in allegato al contratto "deposito titoli servizi di investimento" del 19.6.2006 (doc. n. 27 della convenuta), nel quale sono indicate le operazioni su strumenti derivati swaps e specificato l'elevato grado di rischio delle stesse, vi è la scheda finanziaria dell'investitore in cui è barrata l'opzione che l'investitore dichiara di NON voler fornire le informazioni richieste circa esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, situazione finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio; - nel "questionario Mifid Otc" del 14.5.2008 (doc. n. 29 della convenuta) l'investitore ha dichiarato di non aver mai in passato esercitato la propria professione in ambito bancario/finanziario o comunque nell'ambito dei servizi finanziari, di conoscere la differenza tra Euribor e IRS e tra CAP e IRS, di avere già eseguito e di avere dimestichezza con investimenti azionari diretti o tramite fondi/ETF, di aver realizzato nell'ultimo triennio operazioni per la gestione dei rischi finanziari per un volume compreso tra 1 e 2,5 milioni di Euro, che lo scopo delle operazioni finanziarie è la copertura effettiva del rischio predefinendo livelli certi minimi o massimi di tassi; - sebbene nell'accordo quadro per clienti al dettaglio e professionali società di servizi/società di persone/ditte individuali del 15.5.2008 (doc. n. 31 della convenuta), come pure nell'accordo quadro del 9.9.2008 (doc. n. 32 della convenuta) sia precisato al punto "C" delle premesse che al cliente è stata comunicata con la "Lettera di classificazione" la categoria di clientela nella quale è stato classificato e al punto "D" che al cliente è stato illustrato e consegnato uno specifico "Questionario di profilatura" (contenente le informazioni relative alla sua conoscenza ed esperienza degli strumenti finanziari oggetto dell'accordo), tuttavia né la lettera di classificazione né il questionario di profilatura sono allegati ai suddetti accordi. Il C.T.U. ha inoltre rilevato che: i) "la società, in occasione dell'erogazione di finanziamenti da parte della banca, impiega la temporanea liquidità eccedente le proprie necessità sottoscrivendo fondi comuni di investimento a basso rischio (...) con l'obiettivo, si presume, di massimizzarne il rendimento"; ii) che esiste un dossier titoli (n. (...)) collegato al conto n. (...) (poi (...)) sul quale la società opera in acquisto e vendita, percependo dividendi, e che alla data del 31.12.2013 il Profilo Mifid evidenziava che i titoli in portafoglio consistevano in azioni Banco Popolare (quindi a basso rischio). Il C.T.U. conclude quindi: "In base ai riscontri documentali sopra evidenziati, ad avviso dello scrivente, le informazioni contenute nei documenti agli atti non sono sufficienti per valutare con certezza se il cliente potesse qualificarsi come professionale o qualificato, sia all'epoca della conclusione del contratto quadro, sia in occasione delle operazioni successive. Emerge, tuttavia, da parte dell'(...), l'utilizzo frequente di strumenti finanziari e la buona conoscenza delle caratteristiche degli stessi: ci si riferisce in particolare al fatto che la società è stata pronta a cogliere l'opportunità di profitto connessa allo Swap plain vanilla sottoscritto in data 15.5.2008 e estinto in data 12.6.2008 con l'incasso di un controvalore di Euro 10.000,00 e al fatto che la stessa ha impiegato la temporanea eccedenza di liquidità presente sui conti correnti bancari, connessa ai finanziamenti ricevuti, in strumenti finanziari a basso rischio con il presumibile obiettivo di massimizzarne il rendimento". 3.4 - Il mancato rilievo da parte del C.T.U. di aspetti dirimenti A - Quanto alla qualifica del cliente come "professionale" Sul punto, il perito non è giunto ad una conclusione univoca. Tuttavia, alla luce della documentazione agli atti è indubbio che la società attrice non rivestiva le caratteristiche dell'investitore "professionale". Infatti, al momento del primo contatto tra le parti successivo al regolamento Consob n. 16190/2007 (ossia in concomitanza della stipula del derivato in data 15.5.2008 - doc n. 33 della convenuta - non oggetto di causa), la banca ha assunto ulteriori informazioni, anche attraverso il "questionario Mifid Otc del 14.5.2008" (doc. n. 29 della convenuta) e la "scheda cliente relativa alla situazione finanziaria e agli obiettivi di finanziamento del 14.5.2008" (doc. n. 30, così descritto nell'indice delle produzioni di cui alla seconda memoria della convenuta). Il suddetto doc. n. 30 è stato prodotto nuovamente, in allegato alla nota di deposito datata 12.6.2015, come doc. n. 43 con la descrizione "questionario Mifid del 14.5.2008". Il C.T.U. ha tuttavia omesso di considerare che nel doc. n. 30 (identico al doc. n. 43), ove viene chiesto all'investitore "nel perseguire le finalità che lei ha indicato per le operazioni di investimento, scelga fra le tre alternative qui riportate quella che più si avvicina alla filosofia adottata dalla vostra società, impresa individuale o ente in tema di avversione al rischio" è spuntata la risposta "è prioritario evitare perdite di tutto/parte del capitale investito, anche se questo comporta livelli di rendimento modesti". Inoltre, in terza pagina, è espressamente indicato dall'intermediario Omissis Poiché la banca ha classificato la società, ai fini della Mifid, come "cliente al dettaglio", dunque "non professionale" dopo avere assunto tutte le indicazioni fornite dall'(...) nel questionario, è evidente che le risposte riportate nel doc. n. 29 non possono essere lette separatamente e condurre ad una conclusione diversa rispetto a quella di "cliente al dettaglio". Inoltre, del tutto ininfluente è l'illazione del C.T.U. secondo cui "... la società è stata pronta a cogliere l'opportunità di profitto connessa allo Swap plain vanilla sottoscritto in data 15.5.2008 e estinto in data 12.6.2008 con l'incasso di un controvalore di Euro 10.000,00 ...". Infatti, da un lato, la normativa di settore è volta ad una valutazione della qualifica del cliente ex ante (e non certo ex post) onde limitare, nell'interesse del cliente e in base alla sua propensione al rischio, i consigli di investimento dell'intermediario1; dall'altro lato, nella contabile in data 17.6.2008 (doc. n. 34, ultimo foglio, della convenuta), dalla quale il C.T.U. trae la (erronea) conclusione sopra citata, non v'è alcun riferimento al contratto del 15.5.2008 ed inoltre come causale è indicato: "accredito up front IRS"; ciò - considerato che il cosiddetto up front è definito dalla prevalente giurisprudenza come un'anticipazione attualizzata di incassi futuri, corrisposta alla data di negoziazione o di inizio del contratto affinché la differenza attualizzata tra la "gamba fissa" e la "gamba variabile" sia nulla - fa propendere, in difetto di riscontri opposti, per l'estraneità dell'accredito al derivato del 15.5.2008. B - Quanto alle informazioni riguardanti l'alea Il C.T.U. ha risposto che, per tutti i contratti derivati oggetto di causa, la documentazione prodotta "... non fornisce informazioni atte a consentire una risposta a tutte le richieste della parte del quesito in esame. In particolare, non sono stati reperiti documenti che indicano come sia stata ripartita e prospettata l'alea di rischio tra le parti al momento della stipula dei contratti di SWAP, né che espongano chiaramente gli scenari probabilistici e le relative conseguenze, nonché le modalità di calcolo del mark to market". Il C.T.P. della convenuta, in merito alla chiarezza documentale ha osservato che "la documentazione di tutti e tre i contratti per cui è causa conteneva un'analisi esemplificativa degli effetti del contratto per il Cliente (cd. "Schema esemplificativo di funzionamento"). Tale schema esemplificativo - oltre ad evidenziare i meccanismi tecnici di funzionamento del contratto con specifici esempi basati su ipotesi di tasso favorevoli e sfavorevoli per il Cliente - metteva in luce, in modo semplice e trasparente, i vantaggi ed i rischi per il Cliente". Invero, la "Scheda esemplificativa di funzionamento" è allegata soltanto alle proposte del 9.9.2008 per lo swap denominato "Barrier Swap" (doc. n. 35) e del 6.11.2008 per lo swap denominato "Tasso Fisso" (doc. n. 36), mentre manca per la proposta del 2.4.2009 relativa allo swap denominato "Tasso Fisso (IRS)" (doc. n. 38), nonostante (come nelle prime due proposte) sia precisato: La proposta è corredata da una scheda esemplificativa, che ne forma parte integrale, attraverso la quale si esplicitano le caratteristiche del prodotto oggetto di proposte. Il C.T.U. non ha considerato nemmeno che: - all'inizio di ciascuna delle due suddette schede esemplificative di funzionamento è precisato: Parametri di mercato del 10/08/2007 - Le condizioni riportate di seguito hanno la sola funzione di esemplificare la natura e gli obiettivi dell'operazione; tali condizioni fanno riferimento ai valori assunti dai parametri di mercato alla data suindicata e non riproducono le condizioni riscontrabili alla data in cui viene formulata la proposta - nella parte finale delle due schede è sottolineato: L'operazione potrà assumere valori di Mark to Market (valore di mercato) la cui entità e segno non sono preventivabili in relazione alle mutevoli condizioni rilevabili sui mercati finanziari, a partire dalla data di negoziazione sino alla scadenza pattuita. In caso di estinzione anticipata l'operazione potrà quindi generare utili o perdite finanziarie per il cliente". Si tratta, all'evidenza, di dati assolutamente privi di utilità per la finalità di informazione della quale è onerato l'intermediario; infatti: i) i parametri di mercato, risalenti a dati di oltre un anno prima, sono totalmente avulsi da quanto razionalmente ipotizzabile alla data di stipula, dunque totalmente inutili al fine di informare il cliente, anche perché l'informazione che l'intermediario deve fornire non è di tipo generico, dunque non può limitarsi all'esposizione di scenari scolastici o comunque superati; ii) la clausola di chiusura è standardizzata (come tale ritenuta inadeguata dalla giurisprudenza - cfr. Appello Milano 10.4.2018, est. Mi.) e, più che fornire un'informazione, si presenta come un disclaimer. In ogni caso non è esplicitata la formula matematica alla quale le parti intendono fare riferimento per procedere all'attualizzazione dei flussi finanziari futuri attendibili in forza dello scenario esistente. Per il resto, la descrizione degli "effetti contabili dell'operazione" ed i "rischi" sono del tutto inadeguati, poiché riferiti a mere ipotesi astratte, slegate dalla situazione del mercato esistente al momento della stipula. C - Quanto alla finalità dei derivati e alla causa dei contratti Diversamente da quanto indicato nei contratti oggetto di causa ed affermato dal C.T.U., i derivati in questione, pur essendo stati dichiaratamente proposti dall'intermediario a scopo di copertura, in concreto non hanno questa funzione. Conducono a tale conclusione più elementi, che saranno illustrati nel prosieguo. I contratti sono stati conclusi tutti con lo stesso meccanismo: la proposta della banca contenente i dati/parametri caratterizzanti l'operazione da concludere e il contestuale conferimento da parte della società dell'ordine di darvi corso (docc. nn. 35, 36 e 38 della convenuta). La banca dichiara: - "Vi presentiamo una proposta per la gestione del rischio di tasso di interesse riferita alla Vostra esposizione debitoria"; - "L'importo di riferimento della proposta è modulato sulla seguente Vostra esposizione debitoria non gestita con altri prodotti derivati ... Importo debiti non gestiti: 1.000.000 Euro"; - "Scadenza debiti non gestiti: settembre 2011" (per il contratto del 9.9.2008), "novembre 2011" (per il contratto del 6.11.2008), "aprile 2012" (per il contratto del 2.4.2009). Dal prospetto redatto dal C.T.U. (pagg. 84-85) si evince che il 2 contratto non ha sostituito il 1 e che il 3 non ha sostituito il 2. Risulta infatti (v. colonna "rif.") che i differenziali si sono prodotti fino all'inizio di aprile 2009 con riguardo ai primi due contratti; ad aprile 2009 è stato addebitato l'importo di Euro 75.000,00 calcolato per l'estinzione anticipata richiesta dalla cliente con riguardo al 1 contratto; da aprile 2009 ad aprile 2012 sono stati addebitati i differenziali sia del 2, sia del 3 contratto. Ciò significa che l'esposizione, quantificata in Euro 1.000.000,00 in ciascun contratto, è stata in realtà moltiplicata, come se i derivati avessero avuto la finalità di coprire tre diverse esposizioni debitorie di Euro 1.000.000,00, sussistenti alla data di stipula dei singoli derivati. Il C.T.U. ha affermato, con riguardo ad ognuno dei tre contratti, che il nozionale di Euro 1.000.000,00 appariva proporzionato rispetto alla situazione debitoria dell'impresa verso la banca, come risultante dall'indebitamento per finanziamenti a medio-lungo periodo, nonché dagli affidamenti in essere al momento della stipula dei singoli derivati; l'argomento viene trattato nei passi della perizia di seguito riportati. Primo contratto: "l'indebitamento della società per finanziamenti a medio - lungo periodo era approssimativamente (nelle rate di rimborso dei finanziamenti riportate in estratto conto non è specificata quota capitale e quota interessi) di Euro 760.000 ... oltre al riferimento nel contratto IRS all'esposizione debitoria non gestita, il limite dell'esposizione debitoria verso la sola (...) è desumibile dalla ricostruzione dei finanziamenti e degli affidamenti, rilevabili dai documenti prodotti, come di seguito indicato ... in data 11 agosto 2008 veniva confermata l'apertura di credito per Euro 200.000,00 di cui Euro 100.000,00fino a revoca e Euro 100.000,00 con validità sino a scadenza (in Tabella 13 in appendice è riportato il prospetto delle variazioni intervenute negli affidamenti relativi al conto n. (...)). In conclusione, alla data di stipula del contratto derivato in esame, la situazione debitoria dell'impresa verso la banca risulta essere pari a circa Euro 960.000,00". Secondo contratto: "... dall'esame degli addebiti e degli accrediti relativi a mutui e finanziamenti contratti dalla (...), riportati negli estratti del conto corrente ordinario n. (...) (poi (...)) e riepilogati in Tabella 12 in appendice, si evince che, alla data di sottoscrizione del contratto denominato Tasso Fisso, l'indebitamento della società per finanziamenti a medio - lungo periodo era approssimativamente (nelle rate di rimborso dei finanziamenti riportate in estratto conto non è specificata quota capitale e quota interessi) di Euro 615.000 ... oltre al riferimento nel contratto IRS all'esposizione debitoria non gestita, il limite dell'esposizione debitoria verso la sola Banca di, è desumibile dalla ricostruzione dei finanziamenti e degli affidamenti, rilevabili dai documento prodotti, come di seguito indicato. Il fido per apertura di credito a valere sul conto corrente n. (...) (poi n. (...)) a decorrere dall'11 agosto 2008 risulta pari a Euro 200.000,00 di cui Euro 100.000,00 fino a revoca e Euro 100.000,00 con validità sino a scadenza (Tabella 13) ... In conclusione, alla data di stipula del contratto derivato in esame, la situazione debitoria dell'impresa verso la banca risulta essere pari a circa Euro 815.000,00 =". Terzo contratto: "... dall'esame degli addebiti e degli accrediti relativi a mutui e finanziamenti contratti dalla (...), riportati negli estratti del conto corrente ordinario n. (...) (poi (...)) e riepilogati in Tabella 12 in appendice, si evince che, nel periodo di sottoscrizione del contratto denominato Tasso Fisso IRS l'indebitamento della società per finanziamenti a medio - lungo periodo era approssimativamente (nelle rate di rimborso dei finanziamenti riportate in estratto conto non è specificata quota capitale e quota interessi) di Euro 470.000 ... oltre al riferimento nel contratto IRS all'esposizione debitoria non gestita, il limite dell'esposizione debitoria verso la sola Banca di (...) Spa, è desumibile dalla ricostruzione dei finanziamenti e degli affidamenti, rilevabili dai documento prodotti, come di seguito indicato. Il fido per apertura di credito a valere sul conto corrente n. (...) (poi n. (...)) a decorrere dal 19 maggio 2009 risulta pari a Euro 450.000,00 di cui Euro 150.000,00 fino a revoca e Euro 300.000,00 con validità sino a scadenza (Tabella 13) ... In conclusione, alla data di stipula dei contratto derivato in esame, la situazione debitoria dell'impresa verso la banca risulta essere pari a circa Euro 920.000,00 =". Il C.T.U. ha dunque accertato che il debito complessivo dell'attrice (debiti a medio-lungo + debiti per affidamenti) verso la medesima banca ammontava: - a circa Euro 960.000,00 (= circa 760.000,00 + 200.000,00) in data 9.9.2008; - a circa Euro 815.000,00 (= circa 615.000,00 + 200.000,00) in data 6.11.2008; - a circa Euro 920.000,00 (= circa 470.000,00 + 450.000,00) in data 2.4.2009; ciò significa che l'esposizione è sempre stata inferiore ad Euro 1.000.000,00 (tanto più considerando che il debito di Euro 450.000,00, conteggiato per la verifica del 3 derivato, non era ancora venuto ad esistenza alla data del 2.4.2009, posto che il fido per apertura di credito, cui tale importo si riferisce, è stato concesso il 19.5.2009, e quindi il C.T.U. non avrebbe nemmeno dovuto considerarlo). Nonostante tale ricostruzione (sulla quale il C.T.P. della convenuta non ha mosso osservazioni di sorta, ragion per cui se ne trae la conclusione che l'ha condivisa), il C.T.U. ha innanzi tutto errato laddove, al fine di verificare se vi fosse coincidenza tra il nozionale e il sottostante, ha considerato i tre importi di cui sopra come se fossero stati debiti autonomi, mentre l'esposizione è stata estrapolata dal c/c n. (...) (poi n. 242449) e calcolata: - quanto ai debiti a medio-lungo periodo, sulla scorta delle operazioni annotate per tali titoli nelle colonne "dare" e "avere", come riepilogate in ordine cronologico nella tabella 12, ove sono riportati per data i saldi debitori (il C.T.U. ha tenuto conto, arrotondando gli importi, dei saldi risultanti alle date del 28.8.2008, del 20.10.2008 e del 20.1.2009, ossia dei dati immediatamente antecedenti il giorno di conclusione dei tre derivati); - quanto ai debiti per affidamenti, concessi tutti a valere sul c/c n. (...) mediante computo degli importi delle linee di credito, dettagliate nella tabella 13, esistenti alla data di conclusione dei tre derivati (peraltro, come sopra è stato evidenziato, con riguardo all'indebitamento conteggiato per la verifica del 3 derivato, il C.T.U. ha erroneamente incluso l'affidamento di Euro 450.000,00 non ancora esistente e che sarebbe stato concesso soltanto il 19.5.2009). È chiaro che l'esposizione sul c/c n. (...) poteva essere soltanto una, ancorché variabile in relazione ai diversi saldi progressivi del rapporto. Ne consegue che, esaminando la fattispecie sotto questo profilo, non possono avere avuto funzione di copertura i contratti del 6.11.2008 e del 2.4.2009, dal momento che detta finalità (salvo quanto osservato più oltre) era già stata (asseritamente) attuata con il contratto del 9.9.2008. È ininfluente che quest'ultimo sia stato estinto in anticipo e contestualmente alla stipula del contratto in data 2.4.2009, poiché quando è stato concluso il derivato del 6.11.2008 la copertura era già stata pattuita per mezzo del 1 contratto e quindi il secondo non poteva avere questa funzione. La conferma da parte della società attrice (in calce alle tre proposte) circa la propria esposizione debitoria non rileva, in quanto la circostanza è smentita dalle risultanze degli e/c del conto corrente n. (...) Occorre poi tenere conto del fatto che, con la Comunicazione n. DI/99013791 del 26.2.1999, la Consob ha ribadito che "un'operazione può essere considerata "di copertura" quando: a) sia esplicitamente posta in essere per ridurre la rischiosità di base; b) sia elevata la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d'interesse, tipologia etc.) dell'oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine; c) le condizioni di cui ai punti precedenti risultino documentate da evidenze interne degli intermediari e siano approvate, anche in via generale con riguardo ad operazioni aventi caratteristiche ricorrenti, dalla funzione di controllo interno". È sufficiente limitarsi ad esaminare i tre contratti alla luce delle prescrizioni dei punti "a" e "b" per constatare le criticità di tutti i contratti, delle quali non si è avveduto il perito. Come anche ha riconosciuto il C.T.U. (v. premesse teoriche), il derivato è a fini di copertura quando un soggetto che ha una posizione debitoria con tassi di interesse legati ad un parametro variabile, come l'euribor, vuole tutelarsi contro il rischio di aumento del tasso di interesse sul mercato. La conclusione di uno swap su tassi d'interesse è infatti generalmente preceduta da un altro rapporto intercorrente fra le parti (che può anche essere contestuale), per effetto del quale è sorta una situazione debitoria del cliente nei confronti dell'intermediario (tipicamente la banca ha concesso un finanziamento a tasso variabile). Nella specie, dall'esame degli estratti del c/c n. (...) il C.T.U. ha desunto l'esistenza di finanziamenti e mutui che si sono avvicendati nel corso del tempo. Come risulta dalla tabella 12, alla data di stipula del primo derivato, i mutui erano stati estinti anticipatamente ed erano in essere alcuni finanziamenti, a fronte dei quali venivano trimestralmente pagate le rate di ammortamento. Tali contratti (ricondotti dal C.T.U. nella categoria dei debiti a medio-lungo termine) non sono peraltro stati prodotti, per cui non è possibile verificare la pattuizione sulla determinazione degli interessi, ma è comunque certo che i tassi erano stati convenuti in misura variabile, poiché l'ammontare delle rate di rimborso è diverso ad ogni scadenza (che cade trimestralmente il medesimo giorno per tutti i finanziamenti), come risulta dalla tabella 12, alle date del 21.7.2008, 20.10.2008, 20.1.2009, 21.4.2009, etc. È noto che quando viene sottoscritto un derivato a copertura del rischio di tasso di un mutuo o finanziamento: i) il nozionale è decrescente nel tempo e riflette il capitale residuo del prestito; ii) la durata del derivato deve coincidere con quella del prestito. Gli swap oggetto di controversia non rispettano le condizioni di cui sopra, in quanto: i) il nozionale è fisso (euro 1.000.000,00 per ciascuno dei contratti derivati) e l'importo di riferimento non si riduce ogni trimestre in modo da coincidere, a ciascuna scadenza trimestrale dello swap, con il capitale residuo dei finanziamenti (che neppure sono menzionati); ii) non è dato conoscere né l'importo residuo, né la durata contrattuale di ciascun finanziamento esistente alla data di stipula dei singoli derivati; iii) in ogni caso, risulta che in data 15.9.2008, cioè dopo la conclusione del 1 swap, vi è stata l'estinzione anticipata di un finanziamento, con il versamento di Euro 124.726,72 (sì che il saldo a debito si è ridotto da Euro 758.824,04 ad Euro 634.097,32), ed in data 23.12.2008, ossia dopo la stipula del 2 swap, vi è stata l'estinzione anticipata di un altro finanziamento, con il versamento di Euro 113.143,81 (sì che il saldo a debito si è ulteriormente ridotto da Euro 612.114,69 ad Euro 498.970,88). Nonostante la riduzione dell'esposizione debitoria a tasso variabile, il 2 e il 3 derivato hanno continuato a mantenere il nozionale allo stesso importo fisso di Euro 1.000.000,00 ciascuno, oltretutto cumulativo, mentre il C.T.U. stesso ha riconosciuto che l'importo complessivo .... dell'indebitamento a medio-lungo era stato decrescente in corrispondenza dei singoli derivati. Inoltre, il C.T.U. ha tenuto conto anche degli affidamenti in essere alle date di conclusione dei derivati; così, l'indebitamento al 9.9.2008, al 6.11.2008 e al 2.4.2009 si è avvicinato (ma senza uguagliarlo) al nozionale (o, meglio, ai tre distinti nozionali) di Euro 1.000.000,00. Il C.T.U., però, ha inspiegabilmente omesso di considerare (nonostante li avesse elencati specificatamente nella parte di perizia riguardante la risposta ai quesiti in ambito T.U.B.) che i tassi di tutti gli affidamenti concessi e modificati nel corso del rapporto di c/c n. (...) (prodotti dalla convenuta sub docc. nn. 11-22) erano sempre stati fissi (e di entità ben maggiore rispetto al parametro fisso indicato in ciascuno dei tre derivati). Di conseguenza, l'esposizione debitoria riguardante tali linee di credito non era in alcun modo soggetta al rischio di tasso e dunque mancava in radice l'elemento che forma oggetto dell'alea negli swap sui tassi di interesse. Perciò l'ammontare degli affidamenti non avrebbe potuto essere incluso nel debito complessivo al fine di verificarne la correlazione con il nozionale. Alla luce delle evidenze sopra analizzate, si deve concludere che i tre derivati di cui si discute non avevano la finalità di copertura enunciata nei singoli contratti. D - Quanto all'alea definita "non unilaterale" per i due swap fisso contro variabile Fermo restando che per il contratto "Barrier Swap" del 9.9.2008 il C.T.U. ha ritenuto, con motivazione adeguata e convincente (anche in replica alle osservazioni del consulente della banca), che l'alea è unilaterale e a sfavore del cliente, non altrettanto condivisibile è la conclusione opposta cui è giunto con riguardo ai contratti "Tasso Fisso" del 6.11.2008 e "Tasso Fisso IRS" del 2.4.2009. Il C.T.P. della convenuta, nella propria relazione preliminare datata 30.9.2016 (richiesta dal C.T.U. a verbale dell'incontro in data 6.9.2016) ha sostenuto che "... tutti i contratti swap erano coerenti con la situazione di mercato al momento della loro stipula e, conseguentemente, con le aspettative sulla futura evoluzione dei tassi poiché i "prezzi di mercato" (cioè i tassi eurirs) si formano proprio "inglobando" tutte le notizie disponibili e, quindi, anche le future tendenze andamentali generate dagli interventi delle Autorità monetarie", da cui, ad avviso del C.T.P., si "... deduce l'equa ripartizione delle probabilità di pagare/incassare tra le due controparti che esclude un'assunzione di rischio solo da parte della Società". Ciò sul presupposto che "... il mercato dei tassi di interesse, per le sue caratteristiche, è un mercato efficiente assimilabile al mercato di concorrenza perfetta descritto dagli economisti neoclassici per l'omogeneità del "prodotto", l'elevato numero di operatori, la quantità degli scambi, l'elevata accessibilità alle informazioni e la rapidità della loro diffusione". Il C.T.P. ha peraltro sottolineato che "... l'emergere di insolvenze dovute alla crisi dei mutui sub prime e la difficoltà di valutare gli strumenti finanziari legati ai mutui sub prime detenuti dalle banche nei loro portafogli di proprietà avevano determinato l'insorgenza di un grave problema di trasparenza sul reale "stato di salute" delle varie istituzioni finanziarie", aggiungendo che, già al momento della sottoscrizione del primo contratto per cui è causa, "... la grave reciproca crisi di fiducia tra le istituzioni finanziarie riduceva anche l'efficacia dei "tradizionali" meccanismi di trasmissione sul sistema finanziario delle prevedibili politiche monetarie espansive delle banche centrali poiché i loro interventi distensivi incidevano sul rischio di liquidità ma non avevano impatto sul rischio di credito delle controparti bancarie, vale a dire sul livello di reciproca fiducia di stabilità tra istituzioni finanziarie". Tali osservazioni (che il C.T.U. ha ritenuto "in gran parte condivisibili", ma che, ciò nonostante, non hanno inciso sulla sua valutazione in ordine all'unilateralità dell'alea a sfavore del cliente nel contratto del 9.9.2008) non convincono per una serie di ragioni. Dal 9.9.2008 (data del primo contratto, relativamente al quale il C.T.U. ha comunque ritenuto che era stato strutturato in modo da favorire maggiori guadagni per la banca), il parametro variabile utilizzato per tutti i contratti (euribor 3 mesi) ha avuto il seguente andamento: - il 9.9.2008 era pari al 4,958 ed è progressivamente cresciuto fino al 5,393 in data 8.10.2008, mantenendosi a quel livello anche il 9.10.2008; - dal 10.10.2008 ha invertito la tendenza, diminuendo costantemente di giorno in giorno senza mai risalire, si che il 6.11.2008 (data del secondo contratto) era pari a 4,592, il 30.12.2008 era pari a 2,928 ed il 2.4.2009 (data del terzo contratto) era pari all'1,483. In quanto operatore professionale, è pacifico che la banca tenesse monitorato l'andamento quotidiano dei tassi e quindi conoscesse il trend al ribasso dell'euribor, tanto più in quanto la crisi economica originata dal mercato dei mutui sub-prime, iniziata già nel 2007, aveva prodotto e continuava a generare ripercussioni negative a livello mondiale, ragion per cui tutti gli intermediari creditizi erano in stato di allarme e costantemente aggiornati sull'evolversi della situazione in modo da regolarsi per le dinamiche dipendenti. Perciò, quando ha concluso il contratto del 2.4.2009, la banca sapeva perfettamente che, raggiunto il picco dell'8-9.10.2008, l'euribor aveva continuato a scendere e avrebbe mantenuto quella tendenza non per poco tempo (sicuramente più dei tre anni di durata del nuovo derivato), ben sapendo in anticipo (viste le necessarie conoscenze di macroeconomia) che una crisi di portata globale può risolversi soltanto nel "lungo periodo". D'altra parte, quando in data 2.4.2009 ha estinto anticipatamente il contratto del 9.9.2008 ed ha addebitato Euro 75.000,00 (doc. n. 37), sapeva che il differenziale fisso/variabile era a suo totale favore. Uguale argomentazione vale evidentemente anche per il contratto del 6.11.2008, poiché nelle singole 20 giornate lavorative di rilevazione dei tassi successive al picco dell'8-9.10.2008 l'euribor era stato sempre decrescente. In ogni caso, quand'anche il mercato interbancario dei prestiti su cui si formano i tassi euribor fosse stato caratterizzato da tensioni ed incertezze (comunque non oltre l'inversione di tendenza già riscontrabile nella prima parte di ottobre 2008), è indubitabile che gli intermediari, nei rapporti con i clienti (tanto più se retail, come nella specie) avrebbero potuto utilizzare a proprio vantaggio il flusso informativo. Lo sfruttamento dell'asimmetria informativa per sbilanciare l'incertezza che deve gravare su entrambe le parti affinché si verifichi la fattispecie del contratto aleatorio, incide sulla validità del contratto derivato, poiché ne rende immeritevole la causa. 3.5 - La nullità dei tre contratti derivati Va premesso, che lo swap è un contratto atipico, in quanto privo di disciplina legislativa. Lo stesso T.U.F. non definisce i contratti derivati, limitandosi a elencare determinati contratti (cfr. art. 1, comma 2) che, per le loro caratteristiche4, vengono definiti come "derivati" (art. 1, comma 3). Come anche risulta dagli accordi quadro conclusi tra le parti (v. art. 15.1 del doc. n. 31 e art. 16.1 del doc. n. 32 della convenuta), lo swap è senz'altro un contratto aleatorio, nel senso che la prestazione di una delle parti dipende da un evento futuro e incerto quale la fluttuazione, tra la data di conclusione del contratto e la data di esecuzione dello stesso, del/dei parametro/i preso/i in considerazione (cfr. Cass. n. 10598/2005, Cass. n. 17399/2004, Cass. n. 6452/1991, nonché Corte Cost. n. 52/2010, che dà atto del "... carattere intrinsecamente aleatorio ..." dei "... contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati..."). Gli attori hanno chiesto che sia dichiarata la nullità dei tre contratti derivati per "... difetto di causa in forza del combinato disposto degli artt. 1418 e 1325 c.c., data la pressoché totale assenza di alea nei confronti dell'Istituto Bancario rispetto alla natura del contratto ... nonché per violazione dell'art. 1322 c.c. in quanto l'autonomia contrattuale delle parti non può spingersi fino a realizzare contratti non diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico". La formulazione della domanda riflette i due principali orientamenti della giurisprudenza formatisi con riguardo alla causa dei contratti derivati. Da un lato, vi è chi considera la causa come una scommessa che entrambe le parti assumono e scambiano su rischi finanziari. In questo caso l'alea deve essere bilaterale, ossia ragionevolmente ripartita fra i contraenti, nel senso che vi deve essere a monte una componente di rischio apprezzabile in capo ad entrambi, anche se di entità diversa; l'alea così intesa costituisce elemento essenziale della causa, idonea per giudicare meritevole ex art. 1322 c.c. l'operazione atipica posta in essere. Ciò supera la distinzione tra derivato di copertura e speculativo, sebbene sia precisato che l'accertamento dell'alea del derivato di copertura dovrà essere maggiormente rigoroso e considerare anche il collegamento con l'operazione di finanziamento sottostante, l'interesse concreto del cliente al contenimento del rischio e la funzione dell'intermediario, tenuto ad agire nell'interesse dell'investitore. In difetto di questi elementi, il contratto è privo dei requisiti della causa di cui all'art. 1325 c.c., inteso come idoneità dello stesso a soddisfare gli interessi in concreto perseguiti ed esplicitati nello stesso contratto da entrambe le parti. Dall'altro, si ha riguardo alla nozione di causa in concreto, distinguendo i contratti con finalità speculativa da quelli con finalità di copertura. Per questi ultimi, occorre verificare se l'operazione proposta dall'intermediario assolva in concreto alla funzione enunciata, secondo i criteri di cui alla Comunicazione Consob n. DI/99013791 del 26.2.1999 (che si inquadra nell'ambito delle misure di attuazione del T.U.F. e dei Regolamenti Consob tempo per tempo vigenti), al fine della necessaria cura dell'interesse oggettivo del cliente che la normativa primaria e regolamentare inseriscono nell'ambito della generale valutazione di meritevolezza degli interessi prescritta dall'art. 1322 c.c. L'interesse del cliente non può quindi ritenersi soddisfatto, secondo questo orientamento, quando l'operazione effettivamente posta in essere non abbia rispettato in concreto le condizioni della Comunicazione Consob citata (cfr. Cass. n. 19013/2017). I contratti derivati oggetto di contenzioso sono viziati sotto il profilo della causa sia in base al primo orientamento, sia in base al secondo, come si evince dai rilievi svolti al paragrafo 3.45. Tuttavia, si ritiene che la fattispecie concreta presenti elementi di maggior contatto con il secondo orientamento, come di seguito illustrato. La banca ha proposto al cliente tre derivati solo apparentemente di copertura. A tale conclusione, riepilogando quanto evidenziato al punto "C" del paragrafo precedente, si perviene considerando che: - i contratti del 6.11.2008 e del 2.4.2009 palesemente non potevano avere funzione di copertura, poiché non esisteva un'esposizione a tasso variabile della cliente aggiuntiva rispetto a quella dipendente dai finanziamenti già in ammortamento alla data del primo derivato (il 2° e il 3 derivato non rispettano pertanto il punto "a" della Comunicazione Consob n. 9901391); - relativamente al contratto del 9.9.2008 non si riscontra la "elevata correlazione" tra le caratteristiche tecnico finanziarie dell'oggetto della copertura e dello strumento finanziario utilizzato a tal fine (il 1 derivato non rispetta pertanto il punto "b" della citata Comunicazione Consob); infatti: - l'indebitamento a tasso variabile verso la banca era di circa Euro 760.000,00 complessivi e quindi era significativamente inferiore al nozionale, - il nozionale non era decrescente nel tempo e perciò non rifletteva il capitale residuo dei finanziamenti; - le scadenze dei pagamenti del debito (20 luglio, 20 ottobre, 20 gennaio, 20 aprile) divergevano da quelle delle cedole dello swap (11 dicembre, 11 marzo, 11 giugno, 11 settembre); - i tassi variabili applicati sui debiti e la durata dei debiti sono ignoti, essendo mancata la produzione dei contratti di finanziamento, per cui non è possibile comparare i tassi e la durata dedotti nel derivato; l'onere di produrre idonea documentazione a riprova della sostenuta funzione di copertura gravava peraltro sulla banca, che avrebbe dovuto provare l'avvenuto rispetto della normativa primaria e secondaria, nella quale ultima ricade la Comunicazione Consob n. 9901391 del 26.2.1999 sopra citata (cfr. Tribunale Roma n. 4650/2020). È chiaro che la banca non ha perseguito l'interesse del cliente, come invece prescritto dal T.U.F. e dai Regolamenti Consob che si sono susseguiti nel tempo; ciò è tanto più grave in quanto, come già è stato evidenziato più sopra (v. punto "A" del paragrafo 3.4), dopo avere acquisito informazioni in merito alla conoscenza ed esperienza del cliente nel settore, l'intermediario ha classificato la società attrice come "cliente a dettaglio". In base a tale profilo la banca doveva astenersi dal proporre i contratti derivati per cui è causa, poiché il cliente non era in grado di comprendere che: i) il 1 derivato non forniva effettiva copertura rispetto al rischio di innalzamento dei tassi variabili dei sottostanti; ii) il 2 e il 3 derivato erano totalmente inutili. Va quindi accolta la domanda del Fallimento e dichiarata la nullità per immeritevolezza (valutata in base non agli esiti dei tre contratti, bensì al momento della loro conclusione, avuto riguardo alla disciplina normativa e regolamentare ripetutamente citata) della causa in concreto (tale dovendosi ritenere la conseguenza giuridica in caso di giudizio negativo ex art. 1322, comma 2, c.c.) del: - Contratto derivato denominato "Barrier Swap" concluso tramite "Proposta n. 4000 del 09/09/2008 Prodotto: Contratto Swap denominato "Barrier Swap"" e "Modulo di Conferimento Ordine"" in pari data (doc. n. 35 della convenuta); - Contratto derivato denominato "Tasso Fisso" concluso tramite "Proposta n. 5013 del 06/11/08 Prodotto: Contratto Swap denominato "Tasso Fisso"" e "Modulo di Conferimento Ordine" in pari data (doc. n. 36 della convenuta); - Contratto derivato denominato "Tasso Fisso (IRS)" concluso tramite "Proposta n. 7099 del 02/04/2009 Prodotto: Contratto Swap denominato "Tasso Fisso (IRS)"" e "Modulo di Conferimento Ordine"" in pari data (doc. n. 38 della convenuta). La prestazione effettuata da chi è obbligato in forza di un contratto nullo è la prestazione di chi non è obbligato in alcun modo. L'esigenza della restituzione è quindi collegata all'inesistenza dell'obbligo di prestare; l'obbligo di restituzione conseguente all'esecuzione di un contratto nullo si inquadra nella generale disciplina dettata dall'art. 2033 c.c.. Ne consegue che la convenuta va condannata al pagamento in favore del Fallimento (...) s.r.l. della complessiva somma di Euro 185.006,08, quantificata dal C.T.U. (v. paragrafo 3.3.1). L'art. 2033 c.c. prevede inoltre che il soggetto che ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto anche ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (anche stragiudiziale di costituzione in mora, come stabilito da Cass. S.U. n. 15985/2019). Per giurisprudenza pacifica, in tema di indebito oggettivo, la buona fede della parte che ha ricevuto il pagamento non dovuto è presunta per principio generale, sicché grava sul soggetto che ha effettuato il versamento l'onere di dimostrare la mala fede dell'accipiens all'atto della ricezione della somma (cfr. Cass. n. 10815/2013), posto che ai sensi dell'art. 2033 c.c. rileva la nozione in senso soggettivo di buona fede, datane dall'art. 1147, comma 1, c.c. (cfr. Cass. n. 9865/1995, Cass. n. 8587/2004, Cass. n. 12211/2007, Cass. n. 5419/1996). Peraltro, nella specie, la mala fede in capo alla banca convenuta è insita nella grave violazione degli obblighi sanciti dal T.U.F. e dalle disposizioni regolamentari, come ampiamente argomentato; vanno quindi riconosciuti al Fallimento gli interessi legali fino al saldo effettivo, a far tempo dalle date (di valuta) in cui sono stati addebitati in conto i singoli importi, come da prospetto del C.T.U. (pagg. 84-85). 4 - LE PROVE ORALI RICHIESTE DALLA CONVENUTA La banca ha formulato, con riguardo ai derivati, capitoli di prova per testi, la cui ammissione è stata reiterata nelle conclusioni finali. Tali capitoli sono tuttavia influenti, poiché riguardanti circostanze il cui accertamento non inciderebbe sulla ritenuta immeritevolezza della causa dei contratti, che è da ricondurre a valutazioni circa il rispetto di quanto stabilito dalla più volte menzionata Comunicazione Consob n. 9901391 del 26.2.1999. 5 - LA NULLITÀ DELL'OBBLIGAZIONE DI GARANZIA E IL RISARCIMENTO DEI DANNI NON PATRIMONIALI Nella parte espositiva dell'atto di citazione queste domande non sono state in alcun modo trattate, anche se nelle conclusioni sono succintamente indicati i fatti costitutivi delle domande e le norme a sostegno delle stesse. Si ritiene quindi che non vi siano i presupposti per l'accoglimento dell'eccezione avanzata dalla banca di nullità parziale dell'atto di citazione. In ogni caso, con riguardo alla domanda risarcitoria, è mancata ogni prova del pregiudizio lamentato (escludendosi la configurabilità di danni in re ipsa), che pertanto non potrebbe comunque essere liquidato, nemmeno in via equitativa (l'equità soccorre quando è difficile o impossibile l'esatta quantificazione, ma l'esistenza e derivazione causale del danno integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata - cfr., tra le tante, Cass. n. 20889/2016 e Cass. n. 4534/2017). Tali domande vanno quindi respinte. 6 - LA DOMANDA RICONVENZIONALE DELLA CONVENUTA VERSO (...) Anche utilizzando la più favorevole delle opzioni circa i saldi dei c/c calcolati dal C.T.U. (che porta ad un totale a debito di Euro 860.687,14 = 123.463,27 + 524.656,77 + 212.567,10) e scorporando dal saldo del c/c n. (...) gli addebiti relativi ai contratti derivati (quantificati dal C.T.U. in complessivi Euro 185.006,08), si ottiene comunque un importo (euro 675.681,06 = 860.687,14 -185.006,08) superiore al limite massimo della fideiussione (euro 450.000,00), ragion per cui nemmeno laddove potesse essere espressa una pronuncia in merito alle domande riguardanti le illegittimità contestate con l'atto di citazione relativamente ai conti correnti e tale decisione fosse di accoglimento integrale, ciò non sarebbe di alcun giovamento al fideiussore (...), posto che il diritto della banca ad ottenere nei suoi confronti il pagamento di Euro 450.000,00 non sarebbe comunque intaccato. In accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta, (...) va pertanto condannato a pagare l'importo di Euro 450.000,00 quale limite massimo garantito. 7 - LE SPESE DI LITE Sebbene l'intervenuto fallimento della società attrice abbia sterilizzato gli effetti della domanda di ricalcolo del saldo dei conti correnti, tale fatto non incide sulle spese di lite, posto che - in mancanza - il debito sarebbe stato ridotto per effetto dell'accoglimento delle tesi sostenute dall'attrice e comunque la domanda è risultata fondata relativamente ai contratti derivati. L'esito della controversia ha dunque evidenziato la sostanziale soccombenza della convenuta nei confronti di (...) s.r.l.; ne consegue che le spese di C.T.U. vanno poste a carico della convenuta e il difensore dell'attrice, dichiaratosi antistatario, ha diritto al pagamento del compenso e delle spese sostenute ed anticipate, che, in applicazione del D.M. n. 55/2014 e tenendo conto del valore della controversia, pari ad Euro 256.387,52 (= Euro 71.381,44 per differenza dei saldi dei conti correnti, oltre Euro 185.006,08 per differenziali dei derivati), vengono liquidate in complessivi Euro 13.888,00, di cui Euro 458,00 per spese (contributo unificato e marca diritti forfettizzati di copia) ed Euro 13.430,00 per compensi (euro 2.430,00 per la fase di studio, Euro 1.550,00 per la fase introduttiva, Euro 5.400,00 per la fase istruttoria ed Euro 4.050,00 per la fase decisionale), oltre rimborso forfettario ed accessori di legge. Non può invece essere riconosciuto l'aumento del 20% stabilito dall'art. 4, comma 2, in caso di difesa di più parti, stante la soccombenza del fideiussore. Poiché la domanda riconvenzionale della banca è stata accolta nei confronti di (...), quest'ultimo va condannato alla rifusione delle spese legali in favore di (...) s.p.a.; tali spese, in applicazione del D.M. n. 55/2014 e tenendo conto del valore della domanda riconvenzionale (euro 450.000,00) vengono liquidate in complessivi Euro 22.853,00, di cui Euro 1.466,00 per spese ed Euro 21.387,00 per compensi (euro 3.375,00 per la fase di studio, Euro 2.227,00 per la fase introduttiva, Euro 9.915,00 per la fase istruttoria ed Euro 5.870,00 per la fase decisionale), oltre rimborso forfettario ed accessori di legge. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa o assorbita: 1 - dichiara la nullità del: - Contratto derivato denominato "Barrier Swap" concluso da Banca di (...)(...) S.p.A. con (...) s.r.l. tramite "Proposta n. 4000 del 09/09/2008 Prodotto: Contratto Swap denominato "Barrier Swap"" e "Modulo di Conferimento Ordine"" in pari data; - Contratto derivato denominato "Tasso Fisso" concluso da Banca (...) di (...) S.p.A. con (...) s.r.l. tramite "Proposta n. 5013 del 06/11/08 Prodotto: Contratto Swap denominato "Tasso Fisso "" e "Modulo di Conferimento Ordine"" in pari data; - Contratto derivato denominato "Tasso Fisso (IRS)" concluso da Banca (...) di (...) S.p.A. con (...) s.r.l. tramite "Proposta n. 7099 del 02/04/2009 Prodotto: Contratto Swap denominato "Tasso Fisso (IRS) "" e "Modulo di Conferimento Ordine"" in pari data. 2 - per l'effetto condanna (...) S.p.A. già (...), a pagare ex art. 2033 c.c. a (...) s.r.l. in Fallimento la complessiva somma di Euro 185.006,08, oltre agli interessi legali fino al saldo effettivo, a far tempo dalle date di valuta in cui sono stati addebitati nel c/c n. (...) i singoli importi dei differenziali, come da prospetto riportato alle pagg. 84-85 della C.T.U.. 3 - condanna (...), in qualità di fideiussore di (...) s.r.l., a pagare a (...) S.p.A. già (...), la complessiva somma di Euro 450.000,00 quale saldo passivo dei conti correnti n. 242449, n. 1704 e n. 2900 a suo tempo accesi presso la filiale di dell'allora Banca (...) s.p.a.; 4 - condanna (...), già (...), a pagare all'avv. (...), dichiaratosi antistatario, le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 13.888,00, oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge. 5 - condanna (...) a rifondere a (...) S.p.A. già (...), le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 22.853,00, oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge. 6 - pone a carico di (...) S.p.A. già (...), le spese di C.T.U.. Così deciso in Cremona il 29 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 28 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CREMONA in persona del Giudice del Lavoro Giulia Di Marco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N. 268/19 R.G. (cui è stata riunita la N. 270/19 R.G.) promossa da: (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORI e (...) S.A.S. (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ATTORI contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv. (...), (...) CONVENUTO CONCLUSIONI DELLE PARTI Come in atti MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso per ingiunzione iscritto a ruolo l'1.04.2019 la signora (...) ha esposto quanto segue: "1. La ricorrente ha lavorato, in qualità di barista (part time: 90%), dal 17.9.2009 al 27.5.2017 (data per la quale si dimetteva: doc. 1) alle dipendenze della soc. debitrice all'epoca denominata (...). 2. Solo il 12.7.2017 (con atto trascritto il 21.7.2017) e quindi successivamente alle dimissioni della ricorrente, la soc. debitrice mutava forma giuridica (da SNC in SAS) e la propria denominazione da (...) nell'attuale (...) S.A.S. (cfr. doc. 2). 3. Sempre il 12.7.2017 i sig. (...), (...), (...), (...), (...) e (...), sino ad allora soci della (...) cessavano dalla posizione di soci amministratori della soc. stessa e i soli (...) e (...) diventarono rispettivamente socio accomandatario e socia accomandate della (...) 4. I sig.ri (...), (...), (...), (...) e (...), in quanto soci della società in nome collettivo, sin dall'anno 2000 e quindi per l'intera durata del rapporto di lavoro della soc. (...) con la ricorrente, rimangono illimitatamente responsabili delle obbligazioni della soc. datrice di lavoro a favore della ricorrente, unitamente al sig. (...) che, divenuto socio accomandatario della società in accomandita semplice, risponde, anche a tale titolo, di tutte le obbligazioni sociali della soc. debitrice, comprese quelle a favore della ricorrente. 5. Al momento della cessazione del rapporto, la ricorrente non aveva ricevuto il pagamento della quattordicesima e tredicesima del 2016, della retribuzione del mese di maggio 2017 e finali (compreso il TFR) - crediti per i quali le sono stati consegnati i relativi prospetti paga e dei quali ha successivamente ricevuto solo acconti per complessivi euro 1.500,00, mediante accrediti bancari del 4.8. e 1.9.2017 che hanno coperto esclusivamente la quattordicesima 2016 (di euro 902,00 netti; doc. 3) e, in parte, per euro 598,00, la tredicesima 2016 (di originari euro 902,00; doc. 4). 6. Inoltre, la ricorrente, alla cessazione del rapporto, aveva altresì il diritto al compenso delle ore di lavoro straordinario prestato da oltre un anno nella misura di tre ore al giorno dal lunedì al venerdì, che le è stato pagato, a oggi, solo in parte. 7. In questa sede, peraltro, la ricorrente intende agire per ottenere il pagamento dei propri crediti lavorativi che sono documentati e provati per iscritto: il saldo della tredicesima 2016 (pari a euro netti 304,00, = 902,00 - 598,00), le spettanze di maggio 2017 e finali (pari a euro netti 4.237,67; doc. 5) e il TFR (rimasto in azienda) pari a euro netti 1.723,48 (doc. 6). 7. La ricorrente, espressamente, si riserva ogni ulteriore successiva azione per ottenere il pagamento delle spettanze a oggi non documentate (in particolare: per compenso di lavoro straordinario e per il TFR destinato al fondo pensione integrativa cui la soc. datrice di lavoro doveva versare le quote che indicava nei prospetti paga e la cui verifica è in corso). 8. Il suddetto complessivo credito di euro netti 6.265,15 (=304,00 + 4.237,67 + 1.723,48) di cui si chiede in questa sede l'ingiunzione è certo, liquido, esigibile e fondato su idonea prova scritta, costituita dai prodotti prospetti paga." Il Tribunale di Cremona, in accoglimento del ricorso della signora (...), ha emesso il decreto ingiuntivo N. 55/19 con cui ha ingiunto a (...) S.A.S., (...), (...), (...), (...), (...) e (...), in solido tra loro, di pagare a (...) la somma di euro 6.265,15 netti per i titoli indicati nel ricorso oltre accessori e spese del procedimento monitorio. Con ricorso iscritto al N. 268/19 R.G. i signori (...), (...), (...) e (...) hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo N. 55/19. Con ricorso iscritto al N. 270/19 R.G. la (...) S.A.S., la signora (...) e il sig. (...) hanno proposto a loro volta opposizione al decreto ingiuntivo N. 55/19. (...) si è ritualmente costituita in entrambi i giudizi. All'udienza del 7.02.2020 i due giudizi sono stati riuniti. Sui motivi di opposizione svolti da (...) La signora (...) ha eccepito di non essere mai stata socia della (...) e C. e di essere entrata a far parte della compagine sociale, con la qualifica di socia accomandante, soltanto il 12.07.2017 con la trasformazione della s.n.c. in s.a.s.. La signora (...) ha quindi, concluso, di non essere obbligata a versare alcunché alla signora (...), in quanto i crediti retributivi azionati da costei in sede monitoria riguardano un rapporto di lavoro svoltosi alle dipendenze della s.n.c. di cui ella non è mai stata socia. La signora (...), costituendosi in giudizio, ha ammesso di avere chiesto l'ingiunzione di pagamento nei confronti della signora (...) a causa di un mero errore materiale nella redazione del ricorso. L'opposizione della signora (...) è, pertanto, fondata e il decreto ingiuntivo N. 55/19 va revocato. Sui motivi di opposizione svolti da (...), (...), (...) e (...) (ricorso N. 268/19 R.G.) In primo luogo, gli opponenti hanno eccepito che nell'atto di trasformazione della s.n.c. in s.a.s. con contestuale cessione delle quote sociali dagli opponenti a (...) costui si era impegnato a tenere indenni gli opponenti dalle passività sociali che "pur manifestandosi in seguito (alla trasformazione della società e alla cessione delle quote sociali) derivino da atti o fatti anteriori" ossia a tenerli indenni anche da eventuali debiti che la s.n.c. aveva nei confronti della signora (...). Tale pattuizione, tuttavia, vale esclusivamente nei rapporti interni tra gli opponenti e il sig. (...), mentre nei rapporti tra gli opponenti e la signora (...) si applica il disposto dell'art. 2290 c.c. a norma del quale i soci uscenti continuano a essere responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale. Ne deriva che gli opponenti sono tenuti a rispondere nei confronti della signora (...) dei crediti retributivi da essa azionati in sede monitoria, in quanto si tratta di crediti pacificamente sorti in epoca anteriore allo scioglimento del rapporto sociale. In secondo luogo, gli opponenti hanno eccepito che l'art. 2304 c.c. "impone un determinato ordine prescrivendo che il creditore deve prima pretendere il pagamento dalla società e dai suoi soci, e solo in un momento successivo, dopo l'inutile azione a carico dei soggetti cessionari, anche dai soci cedenti." L'eccezione è infondata, in quanto l'art. 2304 c.c. non opera alcuna distinzione tra soci attuali e soci uscenti e, soprattutto, non prescrive ai creditori sociali di rivolgersi in prima battuta ai soci attuali e solo in seconda battuta ai soci uscenti. L'art. 2304 c.c. si limita a prevedere che "i creditori sociali (..) non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale". La norma disciplina il c.d. "beneficium excussionis" a favore dei soci illimitatamente responsabili di una società di persone. Tale beneficio, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, opera solo in sede esecutiva "nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d'agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest'ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito." (in questi termini Cass. n. 22629/2020; in senso conforme vedi ex multis Cass. n. 25378/2018, Cass. n. 279/2017, Cass. n. 1040/2009 e Cass. 15713/2004). Ne deriva che la signora (...) aveva tutto il diritto di chiedere - sia in sede monitoria che in questa sede - la condanna degli opponenti al pagamento dei propri crediti retributivi e che costoro potranno far valere il beneficium excussionis soltanto in sede esecutiva. L'opposizione viene, pertanto, respinta. Sui motivi di opposizione svolti da (...) S.A.S. e (...) (ricorso N. 270/19 R.G.) Gli opponenti hanno eccepito di avere pagato alla signora (...) - dopo la cessazione del rapporto di lavoro avvenuta nel maggio 2017 - tutte le somme da ella richiesta in sede monitoria con le seguenti modalità e tempistiche: a) Euro 1.500,00 pagati con due bonifici bancari in data 4.08.2017 (Euro 1.000,00) e 1.09.2017 (Euro 500,00); b) Euro 4.600,00 pagati con denaro contante mediante tanti piccoli pagamenti effettuati da ottobre 2017 a febbraio 2019 (1); a dimostrazione di tali pagamenti gli opponenti hanno prodotto sub doc. 2 copia di numerose ricevute di pagamento sottoscritte dalla signor (...). Gli opponenti hanno concluso riconoscendosi debitori del solo importo di Euro 165,15 (= Euro 6.265,15 (ingiunti) - Euro 6.100,00 (pagati)) che hanno offerto di pagare banco judicis. Per quanto attiene alla somma di cui al punto a) (Euro 1.500,00 pagati con due bonifici bancari), la signora (...) ha replicato di avere ammesso - già in sede monitoria - di averne ricevuto il pagamento e ha evidenziato di avere già decurtato tale somma dal totale dell'importo richiesto in sede monitoria, di modo che l'importo di Euro 6.265,15 oggetto del D.I. 55/19 è già al netto della somma di Euro 1.500,00 di cui al punto a). La replica della signora (...) è fondata; di seguito si trascrive nuovamente il punto 5 del ricorso monitorio: "5. Al momento della cessazione del rapporto, la ricorrente non aveva ricevuto il pagamento della quattordicesima e tredicesima del 2016, della retribuzione del mese di maggio 2017 e finali (compreso il TFR) - crediti per i quali le sono stati consegnati i relativi prospetti paga e dei quali ha successivamente ricevuto solo acconti per complessivi euro 1.500,00, mediante accrediti bancari del 4.8. e 1.9.2017 che hanno coperto esclusivamente la quattordicesima 2016 (di euro 902,00 netti; doc. 3) e, in parte, per euro 598,00, la tredicesima 2016 (di originari euro 902,00; doc. 4). Ne deriva che l'importo ingiunto con il D.I. 55/19 non va decurtato della somma di cui al punto a). Per quanto attiene alla somma di cui al punto b) (Euro 4.600,00 pagati con denaro contante in più soluzioni) e alle relative ricevute di pagamento, la signora (...) ha preso puntuale posizione alle pag. 3 e 4 della propria memoria di costituzione in giudizio. La signora (...) ha riconosciuto come proprie soltanto alcune delle sottoscrizioni apposte sulle ricevute di pagamento (doc. 2 degli opponenti) ammettendo di avere ricevuto pagamenti in denaro contante per un totale di Euro 3.150,00. La signora (...) ha, tuttavia, precisato che il pagamento della somma di Euro 3.150,00 non avvenne a saldo dei crediti azionati in sede monitoria (il saldo della tredicesima 2016, le spettanze di maggio 2017 e finali, il TFR (rimasto in azienda)), bensì a parziale estinzione dell'ulteriore e più risalente credito retributivo da ella vantato nei confronti della società per il lavoro straordinario prestato da maggio 2016 a maggio 2017. Di seguito si trascrive uno stralcio della memoria di costituzione in giudizio della signora (...). "e) Ma, in effetti, l'opposta, come già dedotto espressamente in ricorso monitorio ("la ricorrente, alla cessazione del rapporto, aveva altresì il diritto al compenso delle ore di lavoro straordinario prestato da oltre un anno nella misura di tre ore al giorno dal lunedì al venerdì, che le è stato pagato, a oggi, solo in parte"), ha ricevuto le somme in contanti dopo le dimissioni a -parziale - copertura del compenso per lavoro straordinario prestato dal maggio 2016; invero: e1) l'opposta, assunta come barista per time (90%; cfr. in docc. e quindi a 39 settimanali per sei giorni settimanali, dall'assunzione sino al mese di aprile 2016 ha sempre lavorato, dal lunedì al sabato compreso, su due turni (dalle 6.30 alle 12,30 - dalle 12,30 alle 20,00) alternandosi con un'altra barista; e2) da maggio 2016 sino alla fine del rapporto con la soc. convenuta in data 27.5.2017, a seguito della cessazione dal lavoro dell'altra barista - sig.ra (...)- l'opposta ha di fatto coperto settimanalmente l'orario di lavoro dalle 6,30 alle 15,00 ogni giorno dal lunedì al sabato compresso (per 8,30 ore); e3) l'opposta inoltre per qualche sera alla settimana ha lavorato anche durante le aperture serali del locale della soc. opponente; e4) l'opposta non ha mia percepito alcunché per tale lavoro oltre l'orario part time contrattuale e, a fronte della sua richiesta di essere retribuita a tale titolo, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, il sig. (...) le prometteva una somma forfettaria di "circa euro 5.000,00" ai quali la stessa ha imputato le somme che, in contanti, in un periodo di circa due anni (dal 2017 al 2019), il sig. (...) le ha versato; e5) in ogni caso, anche a prescindere dalla somma forfettariamente promessa (e che certo non sarà 'confessata' dal sig. (...)), l'opposta ben ha diritto ex art. 2108 cc al compenso per le ore di straordinario lavorate (con la maggiorazione prevista dall'art. 302 CCNL turismo - pubblici esercizi per straordinario diurno: + 30%, da applicarsi sulla retribuzione oraria risultante dai prospetti paga della opposta -euro 8,33401 in doc. 5 e comunque corrispondente al trattamento economico della contrattazione collettiva del settore: docc. B e C); e6) anche a voler considerare esclusivamente le ore giornalmente (per sei giorni alla settimana) prestate dalle 6,30 alle 15,00 risultano due ore di straordinario al giorno che, nell'arco del periodo dal 2.5.2016 al 27.5.2017, computate in base al calendario (310gg), ammontano a complessive ore 620 (= 310 x 2); e7) il compenso per 620 ore di calendario è quindi pari a euro 6.608,74 = 620 x 10,834 (=8,33401+ 30%); e tale importo supera e incorpora senz'altro l'importo di euro 3.150,00 che si può considerare quanto, al massimo, corrisposto in contanti dalla soc. opponente all'opposta dalle dimissioni sino a oggi" In punto di diritto, la signora (...) ha articolato le seguenti domande e difese: "Si chiede al Giudice di accertare incidentalmente (mediante l'acquisizione delle prove testimoniali che si deducono) il diritto dell'opposta al pagamento del compenso per lavoro straordinario in misura non inferiore a euro 3.150,00 e che legittimamente l'opposta imputa, in assenza di una espressa diversa dichiarazione al momento del pagamento, l'intero importo di euro 3.150,00 di cui sopra a quota parte di quanto spettantele a tale titolo, ai sensi dell'art. 1193 secondo comma c.c. Al riguardo, si rileva che euro 3.150,00 sono compensi per lavoro straordinario che coprono prestazioni antecedenti il mese di aprile 2017 e quindi costituiscono per gli opponenti debiti più antichi di quelli azionati nel decreto ingiuntivo opposto: in aprile e maggio 2017, per 50 giorni lavorativi = 26 ad aprile + 24 a maggio, il lavoro straordinario non ha potuto superare le 100 ore e a fronte del relativo compenso (euro 1.083,40 = 100 x 10,834), l'imputazione di euro 3.150,00 ha solo parzialmente coperto la quota per lavoro straordinario del periodo antecedente di euro 520 ore (pari a euro 5.833,68 =520 x 10,834). Si fa rilevare che nessuna domanda riconvenzionale, neppure di accertamento (inammissibile per l'opposto), viene svolta in questa sede ma si chiede invece al Giudice di accertare l'esistenza di un credito dell'opposta che dà ragione della ricezione di importi non considerati nel ricorso monitorio (e ai quali peraltro il ricorso stesso ha fatto esplicito riferimento, indicandone causa e imputazione diverse dai crediti azionati in ricorso). Non si verte quindi in un caso di compensazione giudiziale e neppure di eccezione di compensazione e non sussistono limiti alla possibilità del Giudice di svolgere l'accertamento richiesto, dando ingresso alle prove testimoniali dedotte." Questo Giudice ha ritenuto la piena ammissibilità dell'accertamento incidentale chiesto dalla signora (...) e ha ammesso la prova testimoniale da ella richiesta sulla prestazione di due ore di lavoro straordinario giornaliere (da lunedì a sabato) nel periodo che va da maggio 2016 a maggio 2017. Questo Giudice non ha, invece, ammesso la prova testimoniale chiesta dagli opponenti (avente ad oggetto il pagamento della somma di cui al punto b) (Euro 4.600,00) e la relativa imputazione), in quanto palesemente inammissibile - tenuto conto della qualità delle parti e della natura del rapporto - ai sensi dell'art. 2721 c.c.. I due testimoni esaminati hanno sostanzialmente confermato che la signora (...), a seguito delle dimissioni di (...), modificò il proprio orario di lavoro prestando attività lavorativa dalle 6.30 alle 15.00 dal lunedì al sabato per tutto il periodo da giugno 2016 a maggio 2017, svolgendo 2 ore di lavoro straordinario al giorno. Il contenuto delle testimonianze viene riportato in nota per comodità espositiva (2). Questo Giudice ha, inoltre, acquisito le ultime buste paga relative alla signora (...) dalle quali risulta che la stessa cessò di lavorare alle dipendenze della (...) e C. in data 7.06.2016. Gli opponenti, sui quali gravava il relativo onere probatorio ai sensi dell'art. 2697 c.c., non hanno né allegato né provato di avere pagato alla signora (...) - prima della data della risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta nel maggio del 2017 - il compenso a ella spettante per le ore di lavoro straordinario prestato da giugno 2016 a maggio 2017, compenso che va quantificato in Euro 6.000,00 lordi circa (l'importo si ottiene sottraendo alla somma di Euro 6.608,74 lordi, quantificata dalla (...) per il periodo maggio 2016 - maggio 2017, la somma di Euro 600,00 relativa al lavoro straordinario asseritamente prestato nel mese di maggio 2016 e che, tuttavia, non può ritenersi provato, in quanto nel maggio 2016 la (...) prestava ancora attività lavorativa). Ragion per cui deve ritenersi provato che alla data della risoluzione del rapporto di lavoro (27.05.2017) la signora (...) vantasse nei confronti della datrice di lavoro (...) e C. una pluralità di crediti retributivi per i seguenti titoli: - quattordicesima 2016; - tredicesima 2016; - lavoro straordinario prestato da giugno 2016 a maggio 2017; - retribuzione di maggio 2017; - T.F.R. e ulteriori spettanze di fine rapporto. Deve, altresì, ritenersi provato che successivamente alla risoluzione del rapporto di lavoro (avvenuta il 27.05.2017) la (...) e C. abbia eseguito pagamenti a favore della (...) per complessivi Euro 4.650,00 netti (di cui Euro 1.500,00 versati con due bonifici bancari ed Euro 3.150,00 netti versati in più soluzioni con denaro contante). Non può, invece, ritenersi provato che la società abbia pagato alla (...) con denaro contante l'ulteriore somma di Euro 1.450,00 netti (in più soluzioni), in quanto la signora (...) ha disconosciuto la firma apposta sulle relative ricevute di pagamento e gli opponenti non hanno chiesto la verificazione delle sottoscrizioni disconosciute ai sensi degli artt. 214 ss. c.p.c.. Per quanto attiene all'imputazione dei pagamenti effettuati dalla società, si osserva quanto segue. L'art. 1193 c.c. prevede che: "Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare. In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto. Tra più debiti scaduti, a quello meno garantito, tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra più debiti ugualmente onerosi al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione fatta proporzionalmente ai vari debiti." La società opponente all'atto di eseguire il pagamento della somma di Euro 1.500,00 (con due bonifici bancari) e della somma di Euro 3.150,00 (con denaro contante in più soluzioni) non ha dichiarato quale debito intendeva soddisfare (vedi le contabili di bonifico e le ricevute di pagamento prodotte dagli opponenti sub doc. 2 le quali non specificano nessuna causale o imputazione di pagamento). Ne deriva che l'imputazione dei pagamenti deve avvenire facendo applicazione dei criteri sussidiari di cui all'art. 1193, comma 2, c.c.. Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla signora (...) in sede monitoria, avendo ella imputato il pagamento delle somme di cui sopra (Euro 1.500,00 + Euro 3.150,00) ai debiti più risalenti nel tempo e meno garantiti (quattordicesima 2016, tredicesima 2016 e straordinario prestato da giugno 2016 a maggio 2017). Ne deriva che gli opponenti sono ad oggi debitori nei confronti della signora (...) del saldo della tredicesima 2016, della retribuzione di maggio 2017, del TFR e delle ulteriori spettanze di fine rapporto. Per tutto quanto finora esposto, l'opposizione viene respinta. Condanna Gli opponenti (...) S.A.S., (...), (...), (...), (...) e (...) vengono condannati in solido tra loro a pagare alla signora (...) la somma di Euro 6.265,15 (= 304,00 + 4.237,67 + 1.723,48) per i seguenti titoli: saldo della tredicesima 2016 (pari a euro netti 304,00), spettanze di maggio 2017 e finali (pari a euro netti 4.237,67) e TFR (rimasto in azienda) pari a euro netti 1.723,48. Spese processuali Le spese processuali tra (...) e (...) vengono integralmente compensate. Le spese processuali tra gli altri opponenti e (...) vengono poste a carico degli opponenti in applicazione del principio della soccombenza con le seguenti precisazioni. Le spese del procedimento monitorio, liquidate in Euro 540,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA, e le spese del giudizio di opposizione, liquidate in Euro 3.300,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA, vengono poste per 1/3 a carico di (...), (...), (...) e (...) (in solido tra loro) e per i 2/3 restanti a carico di (...) S.A.S. e (...) (in solido tra loro). Tale ripartizione si giustifica in considerazione delle seguenti circostanze. Gli opponenti (...), (...), (...) e (...) hanno manifestato una concreta disponibilità a conciliare la causa alle condizioni proposte dal Giudice, mentre il sig. (...) ha negato tale disponibilità (vedi i verbali di udienza del 7 febbraio 2020 e del 3 novembre 2020). L'opposizione spiegata dalla (...) S.A.S. e da (...) - opposizione rivelatasi infondata - ha, inoltre, costretto i difensori della signora (...) a svolgere un'attività difensiva qualitativamente e quantitativamente più impegnativa rispetto all'apposizione dei signori (...), (...), (...) e (...). P.Q.M. accoglie l'opposizione proposta da (...) e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo N. 55/19; rigetta l'opposizione proposta da (...), (...), (...) e (...); rigetta l'opposizione proposta da (...) S.A.S. e (...); condanna (...) S.A.S., (...), (...), (...), (...) e (...) in solido tra loro a pagare a (...) la somma di Euro 6.265,15 netti per i titoli specificati in motivazione; compensa le spese processuali tra (...) e (...); pone le spese del procedimento monitorio, liquidate in Euro 540,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA, e le spese del giudizio di opposizione, liquidate in Euro 3.300,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA, a carico di (...), (...), (...) e (...) (in solido tra loro) per 1/3 e a carico di (...) S.A.S. e (...) (in solido tra loro) per i 2/3 restanti. Cremona, 14 aprile 2022 (1) Il dettaglio dei singoli pagamenti è riportato alla pag. 4 del ricorso N. 270/19 R.G.. (2) All'udienza del 20.10.2021 la testimone (...) ha dichiarato: "Ho frequentato il bar in cui lavorava (...); l'ho conosciuta lì nel 2012; io quell'anno non lavoravo, (...) ed io vivevamo insieme nello stesso appartamento; abbiamo vissuto insieme fino al 2014 mi pare, poi io sono partita per gli Stati Uniti e sono stata lì per 6 mesi; nel periodo che va da maggio 2016 a maggio 2017 frequentavo ancora il bar dove lavorava (...); il bar era in via (...) a Crema; (...) ed io siamo ed eravamo molto amiche, quindi andavo al bar a trovarla e a consumare qualcosa praticamente tutti i giorni; andavo anche più volte al giorno; nell'ultimo periodo di lavoro ricordo che (...) iniziava a lavorare alle 6.30 del mattino (usciva di casa alle 6.00, lo so perché ogni tanto andavo a dormire da lei dopo avere cenato insieme) e lavorava fino alle 15.00; io pranzavo al bar spesso, direi 4 volte alla settimana, mangiavo sempre la solita piadina e durante il pranzo c'era (...) (era lei a prepararmi la piadina) e qualcuno dei titolari; ricordo che in una prima fase del rapporto di lavoro (...) si alternava nei turni di lavoro al bar con un'altra ragazza, (...) (...); a un certo punto però (...) ha dato le dimissioni ed (...) ha iniziato a lavorare tutti i giorni (tranne la domenica) dalla mattina fino all'ora di pranzo ossia dalle 6.30 fino alle 15.00. " ADR del Giudice: "Non sono in grado di ricordare con precisione per quanto tempo (...) abbia osservato questo nuovo orario di lavoro; non è stato per poco tempo, ma non so quantificarlo." ADR dell'avv. (...). "(...) ha sempre lavorato per 6 giorni la settimana (tranne la domenica) anche quando si alternava con (...). " All'udienza del 20.10.2021 il testimone (...) ha dichiarato: "Sul capitolo d1: "io ricordo la presenza costante nel bar di (...), tendenzialmente quando andavo a bere il caffè la mattina c'era sempre (...); il lunedì era il mio giorno di riposo dal lavoro; a volte il lunedì andavo a pranzare al bar (...) e ricordo di avere visto, in qualche occasione, al banco una ragazza diversa da (...), in questo momento non ricordo come si chiamasse." Sul capitolo d2. "Ho frequentato il bar al pomeriggio soltanto di lunedì all'ora di pranzo (arrivavo alle 13.30 circa o anche dopo e mangiavo un'insalata o un panino); durante il pranzo normalmente vedevo (...) lavorare, solo in qualche occasione ho visto l'altra ragazza di cui ora ricordo il nome ((...))."

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CREMONA in persona del Giudice del Lavoro Giulia Di Marco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al N. 384/2019 R.G. promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MI.FA. ATTORE Contro (...) S.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GR.AN. CONVENUTA e contro (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GR.AN. CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso iscritto a ruolo il 30.07.2019 il sig. (...) ha convenuto in giudizio la (...) S.R.L. (di seguito (...) per brevità) e la (...) - (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (di seguito (...) per brevità). L'attore ha dedotto di avere lavorato alle dipendenze della (...) dal 3.10.2017 al 31.01.2019 in virtù di un contratto di lavoro a termine e ha formulato nei confronti delle due società una pluralità di domande. Prima di entrare nel merito delle singole domande proposte dall'attore, occorre esaminare l'eccezione preliminare di incompetenza per territorio sollevata dalle due società. Le due società hanno eccepito l'incompetenza per territorio del Tribunale di Cremona in favore del Tribunale di Bergamo sul presupposto che la (...), datore di lavoro dell'attore, ha sede nella circoscrizione del Tribunale di Bergamo e che il rapporto di lavoro è sorto nella circoscrizione del Tribunale di Bergamo. Premesso che per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione la competenza per territorio va individuata sulla base delle allegazioni contenute nel ricorso, l'eccezione sollevata dalle due società è infondata, in quanto l'attore ha convenuto in giudizio anche la (...), società che ha pacificamente sede nella circoscrizione del Tribunale di Cremona, allegando di avere sempre lavorato presso gli uffici della (...), pacificamente situati in provincia di Cremona, la quale sarebbe stata il suo datore di lavoro effettivo. Dunque, va affermata la competenza per territorio del Tribunale di Cremona in applicazione degli artt. 413 e 33 c.p.c.. Per quanto attiene al merito delle singole domande proposte dall'attore si osserva quanto segue. 1. Sulla titolarità del rapporto di lavoro subordinato L'attore ha allegato che il rapporto di lavoro, pur formalmente instaurato alle dipendenze della (...), si svolse alle effettive dipendenze della (...), in quanto: - la sua postazione di lavoro era situata presso gli uffici della (...) di (...); - egli svolgeva la sua prestazione lavorativa coordinandosi con la signora (...) e il sig. (...), entrambi dipendenti della (...); - per effettuare le trasferte di lavoro egli utilizzava una scheda carburante e un (...) entrambi intestati alla (...). La (...) ha recisamente negato di essere stata la datrice di lavoro effettiva dell'attore, ha evidenziato come l'attore, in quanto addetto commerciale, fosse privo di una vera e propria postazione di lavoro presso un qualunque ufficio, ha, infine, giustificato la saltuaria presenza dell'attore presso gli uffici della (...) di (...) con la necessità di avviare la cessione del ramo di azienda dalla (...) alla (...), cessione avvenuta il 13/9/2019. L'onere di provare che il rapporto di lavoro si svolse alle effettive dipendenze della (...), anziché della (...), gravava sull'attore ai sensi dell'articolo 2697 c.c.. A tal fine l'attore avrebbe dovuto dimostrare di essere stato sottoposto al potere gerarchico, direttivo e disciplinare di M.Z., amministratore e legale rappresentante della (...). L'attore non ha, tuttavia, offerto alcun mezzo di prova su tale specifica e decisiva circostanza (le prove testimoniali articolate nel ricorso hanno ad oggetto altre circostanze), ragion per cui la sua domanda diretta a ottenere l'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della (...) va respinta. 2. Sulla trasformazione del contratto di lavoro a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato E' circostanza pacifica e documentale che l'attore e la (...) in data 3.10.2017 stipularono un contratto di lavoro a termine avente scadenza il 31.03.2018 (docc. 1 e 2 dell'attore). È altresì pacifico e documentale che il contratto venne prorogato fino al 30/9/2018 con il consenso dell'attore (docc. 3 e 4 dell'attore e doc. 5 delle società). L'attore sostiene che dopo la scadenza del 30/9/2018 il rapporto di lavoro proseguì tra le parti per fatti concludenti senza che venisse formalizzata alcuna proroga e che in data 6.02.2019, mentre era assente dal lavoro per malattia, ricevette inopinatamente dalla (...) una comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine avvenuta il 31.01.2019; la (...) continuò poi a retribuirlo fino al 31.03.2019. Alla luce di tali circostanze l'attore ha chiesto di accertare la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e di riqualificare la comunicazione della risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine in licenziamento, di dichiarare l'illegittimità del licenziamento e di applicare "la tutela reale attenuata di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015". La (...) si è difesa allegando che in data 3.10.2018 avvenne una seconda proroga del contratto di lavoro a termine fino alla data del 31.03.2019; allo scadere di tale data il rapporto di lavoro non venne più prorogato e il contratto di lavoro cessò di avere efficacia. A fondamento di tale allegazione la (...) ha prodotto sub doc. (...) una comunicazione di proroga datata 3.10.2018 sottoscritta dalla (...), ma priva della sottoscrizione dell'attore. La norma di riferimento è l'articolo 21 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 il quale prevede che: "01. Il contratto a termine può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. In caso di violazione di quanto disposto dal primo e dal secondo periodo, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. I contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. 1. Il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e, comunque, per un massimo di quattro volte nell'arco di ventiquattro mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga". Si tratta del testo vigente dal 12.08.2018. Alla luce di tali previsioni normative la proroga del 3.10.2018 presenta un duplice vizio: - in primo luogo, non si tratta di una proroga, bensì di un rinnovo del contratto a termine, in quanto intervenuto dopo la data di scadenza del contratto (scadenza prorogata al 30.09.2018); ne deriva che il rinnovo del contratto avrebbe dovuto avvenire in presenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81 del 2015, condizioni assenti, in quanto non allegate nella comunicazione del 3.10.2018; - in secondo luogo, non vi è prova che l'attore abbia prestato il proprio consenso all'asserita proroga/rinnovo del contratto fino alla data del 31.03.2019, in quanto la comunicazione del 3.10.2018 è priva della sua sottoscrizione (a differenza della proroga del 31.03.2018 che reca la sottoscrizione dell'attore; si veda il doc. 5 prodotto dalla O.). Ragion per cui va dichiarata la trasformazione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato con effetto dall'1.10.2018. Per quanto attiene alle conseguenze economiche di tale trasformazione, la norma di riferimento è l'art. 28, comma 2, del D.Lgs. n. 81 del 2015 il quale prevede che: "Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della L. n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro." L'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR è pari a Euro 3.637,50 lordi (= Euro 3.117,86 lordi x 14 mensilità : 12). L'art. 8 della L. n. 604 del 1966 prevede quali parametri di calcolo "il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell'impresa, l'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, il comportamento e le condizioni delle parti". Alla data della cessazione del rapporto di lavoro (31.03.2019) la (...) aveva 9 dipendenti, mentre dopo la cessione del ramo di azienda dalla (...) alla (...) (avvenuta nel settembre del 2019) il numero di dipendenti della (...) ha superato le 20 unità (vedi la pag. 6, punto 3, della memoria di costituzione in giudizio della (...) e la visura camerale della (...) prodotta dalla società il 16.12.2021). L'attore ha 57 anni, è coniugato, non ha figli (vedi il certificato di stato di famiglia da egli prodotto il 15.12.2021) e dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la (...) è rimasto ininterrottamente disoccupato (vedi la scheda anagrafica professionale prodotta il 15.12.2021). Alla luce di tali circostanze l'indennità onnicomprensiva spettante all'attore viene determinata in Euro 30.000,00 lordi. Su tale somma spettano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dal maturato al saldo (art. 429, ultimo comma c.c.). 3. Sulle differenze retributive domandate dall'attore L'attore ha chiesto di condannare il datore di lavoro a pagargli la somma di Euro 40.424,97 lordi a titolo di differenze retributive. A fondamento di tale domanda l'attore ha effettuato allegazioni lacunose e insufficienti (pag. 8 del ricorso), rinviando a una pluralità di conteggi prodotti contestualmente al ricorso (docc. 18, 19, 20, 21, 22, 27 e 28). Sennonché la produzione di conteggi non può supplire all'onere di allegare nel ricorso in modo specifico e completo i fatti costitutivi del diritto (nel caso di specie a percepire asserite differenze retributive) vantato nel ricorso. L'attore ha sostanzialmente attribuito a documenti esterni al ricorso il compito di argomentare e fondare le proprie pretese retributive. Si tratta di un'integrazione inammissibile del contenuto del ricorso. Secondo la giurisprudenza di legittimità la causa petendi deve essere compiutamente allegata negli atti difensivi il cui contenuto non può essere integrato dai documenti prodotti, i quali servono soltanto a comprovare la veridicità dei fatti e degli elementi di diritto già dedotti negli atti difensivi. Di seguito si riporta uno stralcio di quanto condivisibilmente affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 27.05.2008, n. 13825: "E' stato, infatti, affermato in giurisprudenza che gli elementi di fatto e di diritto posti a base delle rispettive domande e richieste(anche probatorie) delle parti devono essere specificati nei rispettivi atti iniziali della controversia (cfr. Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353) e costituisce ormai ius receptum che nel rito del lavoro si riscontra una circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova, che richiede la necessità che ai sensi degli artt. 414 e 416 c.p.c., gli elementi di fatto e di diritto posti a base delle diverse domande e/o istanze dell'attore e del convenuto siano compiutamente contenuti nei rispettivi primi atti processuali(ricorso e memoria difensiva) e richiede altresì che risulti individuato in modo chiaro nel ricorso introduttivo quanto richiesto al giudice (petitum), con conseguente impossibilità di dimostrare circostanze non ritualmente e tempestivamente allegate nel ricorso (cfr. al riguardo: Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353 cit., cui adde: Cass. Sez. Un., 20 aprile 2005 n. 8202; Cass. Sez. Un., 23 gennaio 2002 n. 761). 6.2. Orbene, diversamente da quanto assume il ricorrente, i suddetti principi non sono stati osservati nella fattispecie scrutinata, perché il mero deposito di documenti - quali quelli contenenti i conteggi relativi alla spettanze economiche richieste e la contrattazione collettiva di categoria applicabile - anche se avvenuto contestualmente al ricorso introduttivo della lite non può supplire alla carenza della causa petendi e del petitum, risultando la loro completa formulazione in ricorso un passaggio obbligato per la definizione del thema decidendum e per l'individuazione dei fatti da accertare ed eventualmente da provare, se non contestati o ammessi da controparte. In altri termini, l'indicata circolarità degli oneri di allegazione, di contestazione e di prova, per essere espressione di un assetto normativo incentrato sull'oralità, concentrazione ed immediatezza, caratterizzante il rito del lavoro, è funzionalizzato al perseguimento del principio della "ragionevole durata del processo" (art. 111 Cost., comma 2) in quanto la determinazione dell'oggetto della domanda e l'indicazione dei fatti posti a base della domanda stessa ex art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, consentono al convenuto, con il prendere posizione sui fatti di causa, di assolvere agli oneri di contestazione nonché a quelli probatori aventi ad oggetto i fatti ritualmente e tempestivamente allegati in ricorso. Ne consegue che in un siffatto contesto non è consentito supplire alle carenze del ricorso riguardanti l'oggetto della domanda ed i suoi elementi costitutivi tramite una integrazione del ricorso stesso ad opera dei documenti allegati, cui deve assegnarsi solo la funzione probatoria di attestare la veridicità degli assunti riportati nell'atto introduttivo della lite e di mostrarne la fondatezza". Ragion per cui la domanda di pagamento della somma di Euro 40.424,97 va respinta, in quanto insufficientemente argomentata. 4. Sulla domanda di rimborso di "costi chilometrici" e spese varie sostenute L'attore ha chiesto di condannare il datore di lavoro a pagargli la somma di Euro 45.824,50 a titolo di "rimborso chilometrico per l'utilizzo della propria autovettura durante lo svolgimento del rapporto di lavoro" e ha calcolato la somma richiesta utilizzando le tabelle A.. E' circostanza pacifica che l'attore abbia utilizzato un'automobile non aziendale (bensì intestata al proprio padre (...) come risulta dalla visura prodotta dalla (...) sub doc. (...)) per lo svolgimento delle trasferte di lavoro. Così come è pacifico che la società si sia fatta carico delle spese di carburante e pedaggio autostradale mettendo a disposizione dell'attore una tessera carburante e un (...) aziendale. E, infine, pacifico che l'attore utilizzasse la stessa automobile anche per motivi personali e nel fine settimana. A fondamento della propria domanda l'attore ha allegato di avere percorso almeno 100.000 km di cui 27.456 km per coprire il tragitto dalla propria abitazione (situata in A.) al lavoro (uffici di Castel Gabbiano). Per quanto attiene ai chilometri percorsi per raggiungere la sede di lavoro, l'attore non ha indicato il fondamento del proprio diritto a essere rimborsato dei relativi costi ossia la norma del contratto collettivo che prevede il diritto del lavoratore a essere indennizzato dei costi sostenuti per raggiungere la sede di lavoro (tale diritto non è previsto né dalla legge né dal contratto individuale di lavoro sottoscritto dalle parti il 3.10.2017). Per quanto attiene agli ulteriori chilometri percorsi, l'attore non ha formulato nessuna allegazione specifica (non ha indicato dove e quando ha svolto le trasferte di lavoro, quali clienti e uffici ha visitato per conto della datrice di lavoro e con quale frequenza) di modo che l'unica richiesta istruttoria formulata sul punto (richiesta di esibizione dell'estratto conto del dispositivo (...) assegnato all'attore) appariva esplorativa e non è stata ammessa. L'attore ha chiesto di condannare il datore di lavoro a pagargli la somma di Euro 7.380,68 "per riparazione autovettura a seguito di sinistro stradale occorso il giorno 20.12.2018". L'attore non ha, tuttavia, indicato né chiesto di provare i fatti costitutivi del proprio diritto a essere risarcito dal datore di lavoro dei danni conseguenti al sinistro stradale (l'occasione di lavoro, la dinamica del sinistro, la non imputabilità del sinistro a colpa dell'attore; nulla è dato sapere del sinistro in questione) né tantomeno ha provato di avere sostenuto la spesa di Euro 7.380,68 per far riparare la vettura sinistrata, in quanto si è limitato a produrre due preventivi (docc. 24 e 25) e non ha prodotto nessun documento (fattura) comprovante l'effettivo esborso delle somme indicate nei preventivi. L'attore ha, infine, chiesto di condannare il datore di lavoro a pagargli la somma di Euro 479,50 a titolo di rimborso delle spese di vitto e (...) da egli sostenute per l'espletamento di trasferte di lavoro nei mesi di novembre 2017, dicembre 2017, gennaio 2018 e febbraio 2018. Anche in questo caso l'attore si è, tuttavia, limitato a produrre una nota spese da egli redatta e non ha prodotto alcun documento (scontrino fiscale, fattura) comprovante le spese sostenute. Per tutto quanto finora esposto, tutte le domande di rimborso formulate dall'attore vanno respinte. 5. Spese processuali Le spese processuali tra la l'attore e la (...), attesa la reciproca soccombenza, vengono compensate per metà e poste a carico della (...) per la restante metà liquidata nel dispositivo. Le spese processuali tra l'attore e la (...) vengono compensate per intero, attesi i dubbi sussistenti circa l'effettiva titolarità del rapporto di lavoro. P.Q.M. dichiara che il contratto di lavoro a tempo determinato stipulato da (...) e dalla (...) S.R.L. in data 3.10.2017 si è trasformato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall'1.10.2018 e per l'effetto ordina alla (...) S.R.L. di riammettere l'attore in servizio e di pagargli un'indennità onnicomprensiva liquidata in Euro 30.000,00 lordi oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal maturato al saldo; rigetta tutte le ulteriori domande formulate da (...); compensa le spese processuali tra (...) e la (...) - (...) S.R.L. IN LIQUIDAZIONE; compensa le spese processuali tra (...) e la (...) S.R.L. per metà e pone la restante metà - liquidata in Euro 2.500,00 oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e CPA - a carico della (...) S.R.L.. Così deciso in Cremona il 15 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del G.O.P. avv. Nunzia Corini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 3102/2016 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2016 promossa da: (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) - attrice - contro BANCA (...), ora BANCA (...) (C.F. (...)) con il patrocinio degli avv. (...) e (...) - convenuta - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La società agricola (...) s.s., previo esperimento con esito negativo del procedimento di mediazione obbligatoria, conveniva in giudizio Banca (...) in relazione: 1) al contratto di mutuo ipotecario dell'importo di Lire 950.000.000 stipulato l'11.2.2000 con Banca (...) da restituire mediante 156 rate mensili posticipate, comprensive di capitale ed interessi; 2) al contratto di mutuo ipotecario dell'importo di Euro 1.200.000,00 stipulato il 12.9.2003 con Banca (...) da restituire mediante 156 rate mensili costanti e posticipate, comprensive di capitale ed interessi. Con riguardo ad entrambi i contratti, estinti anticipatamente, l'attrice - sulla scorta di distinte perizie di parte - contestava l'usurarietà ab origine degli interessi e l'indeterminatezza delle clausole inerenti il calcolo degli stessi. In particolare, quanto all'usura, sosteneva la tesi secondo la quale ai fini del T.E.G. bisognerebbe inserire tutte le somme addebitate dalla banca per spese, penali, interessi di mora etc.; quindi evidenziava che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento. Dal punto di vista concreto, faceva rilevare che, in base alle perizie di parte, era emerso il superamento delle soglie antiusura per entrambi i contratti (primo mutuo: tasso complessivamente pattuito pari al 14,865%, a fronte di un tasso soglia nel 1 trimestre 2000 pari al 8,010% ovvero pari all'11,160%; secondo mutuo: tasso complessivamente pattuito pari al 9,551%, a fronte di un tasso soglia nel 3 trimestre 2003 pari al 6,795%). Inoltre, l'attrice affermava che anche il tasso di mora (peraltro mai applicato) era da sottoporre alla verifica di rispetto della soglia di usura e che in tal caso il prestito doveva intendersi a titolo gratuito, ovvero senza applicazione di alcun interesse per tutta la durata del rapporto. Di conseguenza, chiedeva lo storno integrale a favore della mutuataria di tutti gli interessi passivi addebitati dalla convenuta sino all'estinzione dei rapporti, ossia Euro 152.950,20 per il primo contratto ed Euro 154.421,81 per il secondo contratto. Con riguardo all'indeterminatezza, affermava la mancata indicazione nei due contratti dei criteri di determinazione dei piani di ammortamento (quote capitale e interessi) stante la pattuizione di tassi variabili, che comporterebbe la possibilità di utilizzare almeno due diverse modalità di calcolo della rata di mutuo e quindi di due diversi piani di ammortamento. Sosteneva inoltre come la modalità di determinazione del tasso non fosse chiara ed univoca, essendo stato indicato soltanto il tasso su base annuale senza specificare il criterio con il quale applicare il tasso secondo la periodicità di rimborso convenuta, da cui la possibilità di utilizzare almeno due diversi criteri per il calcolo del tasso su base mensile. Il che avrebbe variato la misura della rata e dei relativi conguagli legati all'indicizzazione del tasso d'interesse e pertanto la possibilità di operare almeno quattro distinti piani di ammortamento diversi tra loro per la modalità di determinazione del canone e del tasso di interesse. Le clausole dei due mutui non darebbero quindi luogo ad una univoca interpretazione, richiedendo invece la necessità di operare una scelta da un punto di vista tecnico-giuridico, tra più alternative possibili. All'indeterminatezza della clausola conseguirebbe la nullità della stessa ex art. 1419 c.c. e la ricostruzione dei piani di ammortamento con applicazione del tasso legale e quote capitali costanti, con una differenza da rimborsare alla mutuataria per interessi non dovuti di Euro 89.375,25 sino al 11.5.2007 relativamente al primo mutuo e di Euro 60.715,19 sino al 12.5.2007 relativamente al secondo mutuo. L'attrice, inoltre, affermava di avere diritto al risarcimento del danno, sul presupposto che le nullità rilevate erano dipese dalla condotta illecita della Banca, la quale, violando il canone di buona fede nell'esecuzione dei contratti, avrebbe integrato gli estremi dell'inadempimento contrattuale. La convenuta si costituiva rilevando la genericità delle affermazioni e deduzioni dell'atto di citazione e contestando le perizie di parte, siccome strutturate in maniera altrettanto generica e spesso inconferente rispetto alle domande proposte, oltretutto contenenti conteggi astratti e avulsi dalle clausole contrattuali, nonché dai calcoli eseguiti ed applicati in concreto dalla banca. Evidenziava altresì che le consulenze di parte si incentravano sulla questione dell'anatocismo occulto nei piani di ammortamento c.d. alla francese, senza che nell'atto di citazione venisse in alcun modo contestato tale aspetto. Osservavano anche l'irrilevanza dell'argomento addotto dalla difesa attorea in merito ai mancato inserimento dell'I.S.C. nei contratti, posto che entrambi erano stati stipulati prima della delibera CICR 4.3.2003, entrata in vigore l'1.10.2003, che aveva reso obbligatorio l'indicazione di tale dato al fine di aumentare la trasparenza nei rapporti bancari. Quanto alla presunta usura, osservato che la tesi avversaria si fondava principalmente sulla sentenza n. 350/2013 della S.C., precisava che le argomentazioni attoree erano prive di fondamento, atteso che: 1) la società (...) s.s. non aveva mai corrisposto interessi di mora, per avere sempre rispettato con puntualità le scadenze mensili concordate fino all'estinzione anticipata dei finanziamenti nel maggio 2007; 2) era erroneo il criterio di calcolo del T.E.G. effettuato mediante sommatoria dei tassi convenzionali e di quelli moratori; 3) l'applicazione di interessi usurari era comunque da verificare in concreto e non sulla scorta dell'eventuale previsione contrattuale. Con riguardo all'indeterminatezza della clausola relativa agli interessi, contestava la tesi avversaria, argomentando che entrambi i contratti prevedevano il rimborso in 13 anni mediante il pagamento di 156 rate mensili posticipate, tutte comprensive di quota capitale e quota di interessi a tasso variabile, il che si traduceva nella pattuizione della restituzione del dovuto secondo il piano di ammortamento c.d. alla francese. Tale piano non poteva essere affetto da indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto, in quanto ogni singola rata risultava composta da una quota di capitale da restituire e da una quota di interessi calcolata sul debito residuo secondo il metodo del c.d. interesse semplice. Tanto meno era illegittima la stipula di un contratto a tasso variabile, in quanto collegato ad un parametro, specificamente indicato nei due mutui, rappresentativo del costo del denaro sul mercato interbancario. Con specifico riguardo al presunto anatocismo applicato attraverso l'ammortamento alla francese, argomento che ribadiva essere stato trattato solo nella perizia di parte e non nell'atto introduttivo (da cui l'eccezione che, in assenza di una precisa domanda inerente la presunta invalidità, la questione non avrebbe potuto essere oggetto di valutazione da parte del giudice), la convenuta - per mero scrupolo difensivo - osservava che la tipologia di rimborso adottata dalla banca non era in alcun modo viziata da anatocismo, considerato che, dalla documentazione in atti, risultava che la formula applicata per la determinazione degli interessi previsti nelle singole rate era quella dell'interesse semplice secondo la formula (K-I-T)/365 (dove: K= debito in conto capitale come residua al termine del periodo precedente; T= arco temporale preso a riferimento; I= tasso di interesse applicato). Contestava infine anche la domanda di risarcimento dei danni sotto tutti i profili (genericità per omessa indicazione delle violazioni che avrebbero comportato l'inadempimento da parte della convenuta e degli elementi costitutivi delle responsabilità poste a carico della banca; infondatezza ed incongruenza della richiesta di indennizzo per ingiustificato arricchimento, considerato il riferimento in atto di citazione a non meglio precisate "competenze passive" nei rapporti bancari, mentre la presente controversia attiene a due contratti di mutuo; inammissibilità della domanda svolta ai sensi dell'art. 2041 c.c., stante la sua natura esclusivamente sussidiaria). Con riferimento alle richieste di risarcimento danni e all'indennizzo per ingiustificato arricchimento eccepiva altresì la prescrizione (nel primo caso quinquennale, trattandosi di responsabilità di natura extracontrattuale, decorrente dall'estinzione dei due mutui in data 29.5.2007 e in assenza di atti interruttivi prima della raccomandata a.r. del 19.12.2014; nel secondo caso decennale, con decorrenza dal verificarsi dell'arricchimento, ossia dalla data di pagamento di ogni singola rata). La convenuta concludeva chiedendo quindi il rigetto di tutte le domande. Disposta C.T.U. econometrica, all'esito del deposito dell'elaborato, su richiesta delle parti veniva sentito a chiarimenti il perito d'ufficio, in contraddittorio con i C.T.P.. Depositata un'integrazione di perizia in risposta sia ad ulteriore quesito formulato dal giudice, sia alla richiesta di altri chiarimenti, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. e all'udienza fissata per tale incombente trattenuta a sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE 0 - Premessa La presente controversia ha per oggetto la richiesta di restituzione di interessi non dovuti dall'attrice-mutuataria in quanto asseritamente illegittimi per varie ragioni. Preliminarmente va chiarito che nel trattare l'argomento dell'interesse non ci si può limitare ai concetti giuridici, ma occorre tenere conto dei principi sviluppati in ambito matematico, o, meglio, di matematica finanziaria, ossia della branca che si occupa di quelle operazioni di scambio che hanno per oggetto soltanto importi di denaro e pertanto si chiamano finanziarie. E' stato persuasivamente osservato da autorevole e condivisibile dottrina che "Un approccio sistematico alla normativa che disciplina gli interessi, e nel nostro caso al piano di ammortamento che li include, non può prescindere da una visione complessiva ed unitaria delle problematiche di vario ordine, di cui è portatrice la vicenda da regolare, ivi comprese quelle di carattere all'apparenza meramente economico e finanziario. Se, per determinare il numero di rate e per stabilire la loro composizione e la loro entità, fosse possibile ricorrere a diversi sistemi di ammortamento ovvero scegliere tra il regime dell'interesse semplice e quello dell'interesse composto, potrebbe non essere indifferente in sede di interpretazione e qualificazione della fattispecie valutare le diverse alternative che la matematica finanziaria offre ai contraenti". A questo proposito, è da evidenziare che "L'esigenza di una matematica per i calcoli finanziari che non si riduca alla semplice aritmetica nasce nel momento in cui un operatore, a qualunque livello, si trova a dover fare i conti con la dimensione "tempo". ... Il problema fondamentale della Matematica Finanziaria "classica", è dunque quello di determinare la logica in base alla quale è possibile confrontare tra loro somme diverse, disponibili in tempi diversi ...". Poiché "La matematica finanziaria si occupa di misurare il valore monetario degli interessi nel tempo ... le componenti necessarie a descrivere un'operazione finanziaria sono il capitale, gli interessi e il tempo". Ciò posto, per quanto si voglia affrontare la tematica del rimborso di un mutuo tenendo conto del diritto, nel momento in cui si esamina un testo contrattuale nella parte relativa all'obbligazione della parte mutuataria, si deve prendere atto che la pattuizione che congegna la restituzione del prestito (ossia capitale ed interessi in un determinato tempo) implica concetti e principi attinenti alla matematica finanziaria, dei quali pertanto occorre conoscere. 1 - I rapporti contrattuali per cui è causa, la metodologia di ammortamento e il calcolo dell'importo delle rate 1.1 - Il mutuo ipotecario dell'11.2.2000 (doc. n. la dell'attrice; doc. n. 2 della convenuta) Il finanziamento è stato stipulato per una somma capitale di complessive Lire 950.000.000. Le parti hanno convenuto: - un tasso di interesse corrispettivo nominale annuo del 5,75% (art. 1, comma 3); la facoltà per la mutuante di variare il tasso di interesse tenendo conto della media trimestrale dello "Euribor 360 giorni" a 6 mesi (aumentata di 2,50 punti), calcolata al 31 marzo, al 30 giugno, al 30 settembre e al 31 dicembre di ogni anno, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo (art. 1, comma 4), con il vincolo di un tasso minimo pari al 4% annuo (art. 1, comma 5); - il rimborso del prestito in 156 rate mensili posticipate, di valore unitario pari a Lire 8.661.435 al momento della firma del contratto (art. 1, comma 6), ciascuna comprensiva di capitale ed interessi (art. 1, comma 7), da corrispondere di mese in mese a partire dall'11.3.2000 e fino all'11.2.2013 (v. art. 1, comma 8); - la facoltà per la mutuataria, esercitabile non prima del decorso di 18 mesi dalla data di stipula, di estinguere o decurtare in via anticipata il mutuo con il pagamento di una commissione dell'1,00% calcolata sul capitale residuo o anticipatamente rimborsato (v. art. 1, commi 9 e 10); - in caso di mancato o ritardato pagamento, la corresponsione di interessi di mora nella misura del 3% annuo, in aggiunta all'interesse pattuito, oltre agli accessori e spese connesse, con decorrenza dal giorno dell'inadempimento e fino a quello del pagamento (v. art. 2, comma 1); - l'obbligo per la mutuataria di assicurare il complesso immobiliare concesso in garanzia contro danni da incendio, scoppio e fulmine per un valore non inferiore a quello reale del bene, vincolando la relativa polizza a favore della parte mutuante (v. art. 4, comma 1); - a carico della parte mutuataria spese di istruttoria pratica Lire 750.000; spese di quietanza Lire 5.000; imposta erariale 0,25% (v. art. 5, comma 1). Al contratto è allegato un piano di ammortamento sottoscritto. Il mutuo è stato estinto anticipatamente in data 29.5.2007 (v. doc. n. 12 della convenuta), con pagamento di una commissione di Euro 2.583,56. 1.2 - Il mutuo ipotecario del 12.9.2003 (doc. n. 1b dell'attrice; doc. n. 5 della convenuta) Il mutuo è stato stipulato per una somma capitale di complessivi Euro 1.200.000,00. Le parti hanno convenuto: - un tasso di interesse corrispettivo nominale annuo del 3,65% (art. 1, comma 3); la facoltà per la mutuante di variare il tasso di interesse tenendo conto della media mensile dello "Euribor 360 giorni" ad un mese lettera (aumentata di 1,50 punti), calcolata a fine mese ed arrotondata ai cinque centesimi superiori, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo (art. 1, comma 4), con il vincolo di un tasso minimo pari al 3% annuo (art. 1, comma 5); - il rimborso del prestito in 156 rate mensili posticipate, di valore unitario pari ad Euro 9.673,97 al momento della firma del contratto (art. 1, comma 6), ciascuna comprensiva di capitale ed interessi (art. 1, comma 7), da corrispondere di mese in mese a partire dal 12.10.2003 e termine al 12.9.2016 (v. art. 1, comma 8); - la facoltà per la mutuataria, esercitabile non prima del decorso di 18 mesi dalla data di stipula, di estinguere o decurtare in via anticipata il mutuo con il pagamento di una commissione dell'1,00% calcolata sul capitale residuo o anticipatamente rimborsato (v. art. 1, commi 9 e 10); - in caso di mancato o ritardato pagamento, la corresponsione di interessi di mora nella misura del 2% annuo, in aggiunta all'interesse pattuito, oltre agli accessori e spese connesse, con decorrenza dal giorno dell'inadempimento e fino a quello del pagamento (v. art. 2, comma 1); - l'obbligo per la mutuataria di assicurare il complesso immobiliare concesso in garanzia contro danni da incendio, scoppio e fulmine per un valore non inferiore a quello reale del bene, vincolando la relativa polizza a favore della parte mutuante (v. art. 4, comma 1); - a carico della parte mutuataria spese di istruttoria pratica Euro 774,69; spese per l'intervento della banca all'atto di cancellazione dell'ipoteca Euro 51,65; spese di quietanza Euro 2,58; imposta erariale 0,25% (v. art. 5, comma 1). Al contratto è allegato un piano di ammortamento non sottoscritto. Il mutuo è stato estinto anticipatamente in data 29.5.2007 (v. doc. n. 13 della convenuta), con pagamento di una commissione di Euro 9.214,24. 1.3 - La metodologia di ammortamento e il calcolo dell'importo delle rate Sebbene nel testo contrattuale e nei piani allegati non vi sia alcun riferimento alla metodologia con la quale le parti hanno convenuto di rimborsare il debito, sia l'attrice sia la convenuta hanno dato per pacifico che l'ammontare delle rate sia stato calcolato con il metodo c.d. "alla francese". Per quanto nell'atto introduttivo l'attrice non abbia approfondito la questione (riprendendo peraltro l'argomento nella prima memoria), il tema è stato trattato nella perizia allegata allo stesso, in cui si è evidenziato in premessa (v. pag. 4), anticipando il tema oggetto dei capitoli 3 e 4, che "... con riguardo alla determinazione ed allo sviluppo del piano di ammortamento del prestito ..." i mutui "... a canone costante, o comunque a capitale crescente e interessi decrescenti comunemente chiamati "ammortamento alla Francese" sono quelli certamente più diffusi in Italia, tuttavia spesso i canoni sono calcolati utilizzando il metodo della capitalizzazione composta, che porta il locatario a pagare gli interessi sugli interessi ...". La convenuta, che si è difesa estensivamente sin dalla comparsa di costituzione, prendendo in esame la perizia di parte prodotta dall'attrice, ha sostenuto: "Entrambi i contratti prevedono che il rimborso del finanziamento avvenga in 13 anni mediante il pagamento di 156 rate mensili posticipate, tutte comprensive di quota capitale e quota di interessi a tasso variabile. Ovverosia la Banca ha concordato con il cliente un rimborso secondo un piano di ammortamento c.d. alla francese. ... ogni singola rata risulta composta da una quota di capitale da restituire e da una quota di interessi che viene calcolata sul debito residuo secondo il metodo del c.d. interesse semplice" (v. pag. 14). Il C.T.U., subito dopo avere riportato le principali clausole di ciascun mutuo, per entrambi ha affermato senza argomentare: "Il contratto riguarda quindi la concessione di un mutuo con piano di ammortamento alla francese, ovvero con quota capitale crescente ..." (cfr pagg. 10 e 12). Più oltre nella relazione peritale (cfr pag. 16) ha precisato: "Secondo le teorie di matematica finanziaria quando si costruisce un piano di ammortamento alla francese le quote di capitale sono crescenti o meglio le quote capitali crescono in progressione geometrica di ragione (1 + i)". Tale definizione è quantomeno incompleta e richiede sin d'ora una precisazione terminologica, che non è fine a se stessa, ma rileva per la trattazione dei temi oggetto di dibattito nella materia, che saranno sviluppati più oltre. E' stato osservato, che quando si fa riferimento al "mutuo puro", "all'italiana", "alla francese", "all'americana", al "rimborso unico" con eventuale specifica "alla tedesca", si intende la metodologia di ammortamento di un mutuo, che corrisponde alla regola con la quale si procede al rimborso del prestito. Definire la tipologia di ammortamento non è tuttavia sufficiente per calcolare l'importo delle rate; a tal fine occorre che sia esplicitato il regime finanziario, che - in termini semplificati - è la regola con la quale si fanno i calcoli. Più propriamente, il regime finanziario è il principio secondo il quale vanno eseguite le valutazioni finanziarie, che sono operativamente effettuate tramite le leggi finanziarie (ossia gli algoritmi) sottostanti a tale principio. I regimi finanziari principalmente utilizzati (le cui proprietà saranno esaminate nel prosieguo) sono quelli della capitalizzazione composta (CC) e della capitalizzazione semplice (CS). E' stato autorevolmente affermato, dopo avere premesso quanto sopra, che le metodologie di ammortamento e i regimi finanziari si incrociano in tutte le combinazioni possibili, ossia - in linguaggio matematico - secondo un "prodotto cartesiano". Alla luce di queste precisazioni, le convinzioni del C.T.U. che si ricavano dalle frasi citate possono essere tradotte nell'opinione in base alla quale in matematica finanziaria le rate che vengono rimborsate con la metodologia francese sono calcolate in regime finanziario di interesse composto, il che equivale a stabilire un'unica combinazione tra i suddetti metodologia e regime finanziario, sì che, laddove si rinvengano nel testo contrattuale locuzioni quali piano di ammortamento o formula "alla francese" o rata costante o addirittura "formula matematica nota nella tecnica finanziaria come sistema francese", ciò sottenda necessariamente l'applicazione del regime finanziario di capitalizzazione composta, senza quindi che occorra alcuna ulteriore precisazione. L'impostazione del C.T.U. è piuttosto comune tra i consulenti tecnici, e in tale ambito è emblematico il riferimento alle "... formule classiche della matematica finanziaria ..." contenuto nella prima perizia (poi rinnovata con altra consulente) redatta nel giudizio deciso in una recente nota sentenza; è pure diffusa in gran parte della giurisprudenza di merito, laddove viene riportata - per lo più - senza che nelle pronunce traspaia che il giudizio si fonda su una espressa presa di posizione (in punto consapevolezza, si differenzia la sentenza citata in nota 4, nella quale - con riguardo alla "formula matematica nota nella tecnica finanziaria come sistema francese" testualmente riportata nei mutui oggetto di quella controversia - l'estensore afferma che è "generalmente nota e universalmente usata"). In dottrina tra i giuristi, a parte qualche eccezione, la questione sembra non essere stata rilevata, in quanto nella trattazione del tema il regime composto è considerato una caratteristica dell'ammortamento alla francese e da tale punto di partenza si snodano le varie argomentazioni. Tra gli esperti, si registra l'opinione di chi, da un lato, osserva che "Il piano di ammortamento alla francese, inteso specificatamente nella rata costante, può essere sviluppato sia in capitalizzazione semplice che in capitalizzazione composta, anche se i manuali di matematica finanziaria, accompagnando gli usi di mercato, prestano attenzione prevalentemente all'ammortamento a rata costante in capitalizzazione composta dall'altro lato, rappresenta che "... con tale ammortamento i padri storici della scienza finanziaria solevano individuare i piani nei quali ricorrono tre condizioni: I) rata costante; II) ammortamento graduale, in regime finanziario composto; III) interessi della rata calcolati sul debito residuo". Tra i matematici vi è chi, pur dando atto che "... è ipotizzabile una versione dell'ammortamento francese in interesse semplice ...", conclude che "... la versione standard è, invece, in interesse composto". La questione viene trattata in termini più estesi (nell'ambito della letteratura matematica), ad esempio, da: - (...) (il quale evidenzia come, a parità di capitale prestato, tempo del rimborso e tasso di interesse annuo, si può ottenere, applicando regimi finanziari diversi, un corrispondente numero di rate costanti); - (...) (la quale spiega che le forme di rimborso usuali sono: il rimborso del capitale alla scadenza dell'operazione con il pagamento periodico, oppure globale e posticipato, oppure anticipato, degli interessi sia in capitalizzazione composta, sia in capitalizzazione semplice, sia in capitalizzazione ad interessi anticipati; il rimborso graduale del capitale e il pagamento periodico degli interessi, ossia l'ammortamento, "per qualsiasi legge finanziaria"); - (...) et al. (i quali, dando atto dell'esistenza di diversi regimi finanziari e della conseguente differenziazione delle leggi finanziarie sottostanti, nonché della possibilità di combinare metodologie e regimi - v. sopra, frase con nota 6 - hanno dimostrato che il rimborso del prestito con metodologia alla francese può essere costruito in capitalizzazione sia semplice sia composta). Invero, limitando il perimetro di indagine al rimborso di tipo graduale, dall'esame di testi storici della matematica finanziaria, risulta che l'ammontare delle somme (costanti) periodicamente dovute a pagamento di un debito poteva (ed era già noto all'epoca) essere calcolato in regime finanziario sia di interesse semplice, sia di interesse composto. Il matematico inglese (...), ha trattato la materia in A Compendium of Algebra pubblicato a Londra per la prima volta nel 1695, del quale è liberamente reperibile online la seconda edizione stampata nel 1724 Carefully Corrected And Improved with large Additions, throughout the Whole, by the Author. Nella Parte II, il capitolo 2 è dedicato a The Calculation of Questions in Simple Interest, and those of Annuities, &c.; perform'd both by the Pen, and by Logarithms ed il capitolo 3 a The Calculation of Questions in Compound Interest, and Annuities; perform'd by the help of Logarithms. Tralasciando il calcolo in regime finanziario di interesse composto, la cui conoscenza da parte dei matematici dei secoli addietro non interessa ai fini della presente decisione, ci si limita in questa sede a prendere in considerazione la trattazione - nei testi più risalenti - riguardante l'interesse semplice. Premessi a pagina 143 i significati della simbologia utilizzata (U denota la rendita o pensione, vuoi annuale o semestrale o trimestrale; T il tempo durante il quale non è corrisposta, vale a dire il numero di tutti i pagamenti che sono in arretrato; A la somma della rendita e del suo interesse, ossia la somma di tutti gli arretrati dovuti; R il numero reale corrispondente al tasso percentuale), a pagina 145 (...) enuncia la regola per il calcolo della rendita periodica, ossia: "moltiplicare il tempo, il tempo meno 1 e metà del tasso di interesse in forma decimale, tutti e tre insieme; e al loro prodotto aggiungere il tempo (come nella precedente regola), quindi dividere per detto totale l'importo previsto, e il quoziente mostrerà la rendita richiesta". Tale regola può essere tradotta nella seguente formula: (1.a) Omissis che equivale a: (1.b) Omissis e a: (1.c) Omissis Gli stessi principi sono riportati da (...) anche in The Young Mathematician's Guide. Being a Plain and Easie Introduction to the Mathematicks, In Five Parts, pubblicato per la prima volta nel 1707 (del quale è liberamente reperibile online l'edizione stampata nel 1719), "Ad uso e beneficio di quelli che sono totalmente ignoranti dei primissimi rudimenti (o non hanno la minima nozione) della matematica" (grassetto aggiunto), come premette il medesimo autore. Con riguardo a tale lavoro, "E' pacifico che sia stato un popolare libro di testo matematico: come Benjamin Wardhaugh (2015) osserva, il testo è stato stampato non meno di dodici volte solo a Londra, e stima che entro il 1725 ci fossero circa 25.000 copie circolanti. E' stato ristampato a Dublino nel 1731, 1755 e 1769, ed una traduzione francese è stata pubblicata nel 1756; ha continuato ad essere utilizzato come libro di testo fino al diciannovesimo secolo"; inoltre "è stato importato nelle colonie americane, dove è stato adottato per l'uso all'Università di Harvard". La "regola" in regime di interesse semplice espressa a parole a pagina 145 del "Compendio di Algebra" corrisponde alla formula del teorema 2, riportato a pagina 249 della "Guida per il giovane matematico": (2.a) Omissis dove (cfr pag. 248): u = la rendita, pensione o rendita annuale, etc. t = il tempo della sua durata, o mancata corresponsione R = la ratio, o interesse di 1 sterlina per 1 anno, come in precedenza A = il totale della rendita e del suo interesse. E evidente infatti che la suddetta formuula può essere scritta come: (2.b) Omissis ovvero: (2.c) Omissis La medesima formula in interesse semplice (anche se con una simbologia diversa) è riportata da F.B., un altro matematico inglese, in The Doctrine of Interest and Annuities, pubblicato nel 1808 (liberamente reperibile online), il quale nella prefazione dà atto che il primo specifico studio in materia di interessi e rendite che egli è stato in grado di trovare e che aspira a qualche grado di merito è il Clavis Usurae di (...), pubblicato nel 1709, preceduto - ad opera del medesimo autore - da A Compendium of Algebra del 1695 e The Young Mathematician's Guide del 1707. B. premette alle pagine 35 e 36 (52 e 53) che "Rendita è un termine applicato ad ogni entrata periodica che deriva dal prestito di denaro, o case, terre, salari, pensioni, etc., pagabile di volta in volta, sia annualmente, sia ad ogni altro intervallo. Le rendite possono essere divise in certe; dipendenti da eventualità, come il proseguimento di una o più vite, nel qual caso sono chiamate rendite vitalizie. Sono pure divise in rendite in possesso e rendite reversibili: nel primo caso significa che sono già cominciate; nel secondo che non cominceranno finché un particolare evento non si sia verificato o finché un dato periodo di tempo non sia trascorso". "Le principali questioni riguardanti la dottrina delle rendite possono essere suddivise in due parti; ossia quelle relative al Montante e quelle relative al Valore attuale di tali rendite: e queste differiranno evidentemente a seconda dell'utilizzo nei calcoli dell'interesse Semplice o Composto" (sottolineatura aggiunta). La formula presente a pagina 37 del testo di (...) è la seguente: (3) Omissis dove: s = il montante della rendita (A per (...)) a - la rendita (u per (...)) n = il numero di anni, considerando l'anno come unità di tempo (t per (...)) r = il tasso di interesse (R per (...)) Il matematico e accademico italiano (...), in Elementi di Algebra e Geometria (di cui è consultabile online la quarta edizione pubblicata nel 1820), alle pagine 142 e 143, ricava la seguente formula: (4.a) Omissis dove: a è "la rendita, annuità o pensione da pagarsi ogni anno" r è "l'interesse d'una lira in un anno" t è "il tempo dopo di cui saran pagati gl'interessi e gli arretrati" s è "la loro somma" E' di tutta evidenza che tale formula è identica a quella di (...) e (...), potendo essere scritta come: (4.b) Omissis Allo stesso modo, il matematico e accademico italiano (...), in Elementi di Algebra (di cui è consultabile online la seconda edizione pubblicata nel 1845) a pagina 271, dopo avere ricostruito i passaggi algebrici, ottiene la medesima formula per il calcolo in interesse semplice: (5.a) Omissis che è sempre: (5.b) Omissis dove con il simbolo p (anziché a) indica "la rendita o pensione annua" (cfr pag. 271, op. cit.). Quanto a r, precisa (...) - come (...) (v. nota 37) - che "... l'unità di tempo può essere qualunque, purché la quantità r esprima l'interesse dell'unità di moneta ridotto all'unità data di tempo" (cfr pag. 271). Nei testi matematici più recenti, la stessa formula di cui sopra - scritta con diversa simbologia - coincide a quella di calcolo della rata R di ammortamento graduale di un mutuo in regime di interesse semplice (con epoca di equivalenza finale). Per limitarsi agli stessi autori citati in precedenza: (...) (Corso di matematica finanziaria e attuariale del 1964, pag. 242) Omissis (...) (Appunti di Matematica Finanziaria del 1998, pag. 142) Omissis La formula è identica a quella ricavata dal team A.(cfr Ammortamento "alla francese" di mutui in capitalizzazione semplice. La scelta dell'epoca di equivalenza finanziaria: finale oppure iniziale?, in Le Controversie Bancarie, n. 34): Omissis I simboli S, C e D0 indicano tutti la somma mutuata ovvero il capitale iniziale. Il simbolo m di L. sta per il numero delle rate comprese in un anno, mentre nelle formule di (...) e (...) la durata n dell'operazione è espressa in anni. Come precisato dalla stessa (...) in nota 2 a pag. 125 di Appunti di Matematica Finanziaria, "Ovviamente, nel caso di un tasso periodale la durata dell'operazione deve essere espressa come un multiplo o un sottomultiplo di periodi". Ciò chiarito, le formule si equivalgono. Le formule di (...), (...), (...) et al. sono scritte secondo la "regola" enunciata da (...) a pagina 145 di A Compendium of Algebra, ossia ponendo il numero 2 come divisore del denominatore (v. 1.a e 1.b), anziché (ma è identico il risultato) al numeratore della formula (v. 1.c, 2.a, 2.b, 2.c di (...); 3 di B.; 4.a, 4.b di B.; 5.a, 5.b di (...)). Inoltre il numeratore delle formule più recenti indica il montante del capitale (ossia: capitale + interessi generati dal medesimo per la durata definita) e, benché scritto in modo più esteso rispetto ai testi adottati nei secoli precedenti (dove A o s stanno per il totale dato dalla somma della rendita e del suo interesse), ha lo stesso significato, considerato che la somma prestata (produttiva di interesse), dal punto di vista concreto, equivale alla rendita non riscossa dal creditore e perciò rimasta nelle mani del debitore, il quale dovrà pagare l'interesse sugli arretrati (in tal senso sono espressi i problemi/casi pratici ai quali i testi storici danno risposta mediante applicazione delle formule suindicate, se in regime di interesse semplice). Del resto, l'operazione di scambio si configura come "... un'operazione di rendita in senso proprio se si fa riferimento alla parte che effettua l'operazione di investimento, pagando S per ricevere poi le rate della rendita. Dal punto di vista della controparte si tratta, più precisamente, di un'operazione di rimborso, o ammortamento, di un debito S contratto in zero, tramite il pagamento di un numero di rate di importo prefissato. Naturalmente i due punti di vista sono equivalenti, a patti di contabilizzare come positive le entrate e come negative le uscite". Perciò, alla luce di quanto sopra, sebbene nella pratica finanziaria vi sia stato un crescente utilizzo del regime della capitalizzazione composta (ad opera evidentemente dei soggetti nella cui attività di impresa rientra l'impiego di mezzi monetari in operazioni che determinano il sorgere di ricavi), nulla autorizza a concludere che: - la capitalizzazione semplice non sia stata oggetto di trattazione e di studio a livello matematico con riguardo al rimborso rateizzato dei prestiti; - l'ammortamento "alla francese" sia quel tipo di rimborso a rata costante (comprensiva di quota capitale e quota interessi) il cui calcolo venga effettuato in base (soltanto) all'algoritmo sottostante al regime finanziario della capitalizzazione composta. Al contrario, risulta sin dai primi testi di studio e divulgazione della dottrina riguardante gli interessi e le rendite che le varie questioni sono state trattate sotto i regimi della capitalizzazione sia semplice sia composta, mentre non è stato reperito alcun riferimento che consenta di definire come "classica" la formula della rata costante in regime composto. Ragion per cui è errato affermare che esista una "formula matematica nota nella tecnica finanziaria come sistema francese" (poiché la metodologia di rimborso "francese" non si combina esclusivamente con il calcolo in legge finanziaria di interesse composto); perciò, la considerazione che sia "generalmente nota e universalmente usata" non è dirimente e non attribuisce a detta formula valore di default, tanto più laddove il riferimento sia agli usi degli istituti di credito (già invalidati dalla Suprema Corte relativamente ai conti correnti), dal momento che ciò non è in grado di far cadere o escludere i principi assodati in matematica finanziaria e ripetuti anche nei tempi attuali. Il fatto che in taluni recenti testi di matematica finanziaria l'istruzione accademica in tema di rimborso dei prestiti sia stata concentrata sull'interesse composto - senza alcun accenno alla possibilità di stilare un piano di ammortamento in regime finanziario di interesse semplice (e alla spiegazione di come farlo) - costituisce una lacuna che però non giustifica il mancato approfondimento della materia, che è possibile con lo studio del materiale comunque reperibile. 2 - La clausola che regola la modalità di rimborso del debito 2.1 - La domanda dell'attrice e il quesito posto al C.T.U. La discussione tra le parti ha riguardato l'utilizzo del sistema francese per il calcolo delle rate e del piano di ammortamento e le sue conseguenze. Si desume, da quanto dedotto (seppure in modo sintetico e non particolarmente limpido) dall'attrice e dalle valutazioni e tesi sostenute nelle perizie di parte richiamate in atto di citazione (cfr doc. n. 2), che l'effetto anatocistico (generato dalla capitalizzazione composta) insito nell'ammortamento alla francese avrebbe implicazioni a livello di maggior interesse pagato e quindi di usurarietà; inoltre inciderebbe sulle pattuizioni contrattuali sotto il profilo della loro determinatezza. In particolare, nelle consulenze di parte è stato evidenziato: - a pag. 4: "L'errata modalità di calcolo attuata nel finanziamento con ammortamento alla francese, e la relativa capitalizzazione composta, comporta un indubbio innalzamento del tasso effettivamente pagato dal locatario ... e violazione degli artt. 11344,1418,1419,1283,1284 e 1815 c.c., dei diritti del consumatore, e delle Norme di Trasparenza dell'ABI. La nullità della clausola dell'interesse ultralegale determinerebbe, ai sensi dell'art. 1284 c.c., il ricalcolo del rapporto in regime di capitalizzazione semplice in luogo del regime di capitalizzazione composta al tasso legale pro tempore vigente, dal primo all'ultimo canone. Infine, secondo un ulteriore indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, in caso di sviluppo del piano di ammortamento "alla francese", si determina una causa di nullità del contratto in senso assoluto, per cui la violazione dell'art. 1346 c.c., per quanto attiene la determinabilità o determinazione del tasso di interesse e delle pattuizioni ad esso connesse ..."; - a pag. 12: "Tale piano, che risulta il più diffuso, è viziato da una forma di "anatocismo implicito ed occulto" in quanto per la sua costruzione "a monte", viene applicata una formula di interessi finanziari "composti""; - a pag. 13: "... seppur la banca dichiarando e confermando tassi semplici, che prevedrebbero una conversione del tasso in via semplice, calcola invece la quota capitale in regime composto con progressione geometrica, in luogo di una conversione del tasso in regime semplice". Nella prima memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c. l'attrice ha precisato: "Per quanto concerne poi le valutazioni riferite nella perizia in ordine al piano di ammortamento alla francese, si osserva che lo stesso comporti sempre la presenza di un calcolo di interesse in regime "composto" in luogo di quello "semplice" che invece risulta stipulato nel contratto. Tale evenienza viene illustrata con efficace chiarezza nella perizia stessa, e le valutazioni matematiche contenute in essa bene potranno essere confermate in sede di CTU. Ciò confermerà la ricorrenza di anatocismo occulto, da un lato, e di indeterminatezza ai sensi dell'art. 1346 c.c. nel contratto di mutuo, essendo stato indicato un ordine di calcolo dei tassi di interesse (cd. semplice) mentre di fatto, nel corso del rapporto, ne sia stato posto in essere uno differente (cd. composto)". L'inclusione nel thema decidendum della questione inerente l'ammortamento alla francese è dunque pacifica in relazione alla lamentata indeterminatezza (domanda subordinata). Rientra comunque anche nella domanda (formulata in via principale) inerente l'usura, poiché nelle conclusioni, come conseguenza della "... indebita, e/o nulla e/o inefficace corresponsione delle somme ...", viene chiesta la integrale restituzione degli interessi, dovendo essere effettuata la "eliminazione di qualsivoglia interesse che comporti superamento dei tassi soglia di usura, in quanto in ogni caso interessi non previsti dai contratti di finanziamento". Questo profilo secondario della domanda principale, ossia il riferimento "in ogni caso" ad "interessi non previsti", è coerente con la tesi sostenuta nelle perizie di parte allegate all'atto di citazione e in questo richiamate, secondo le quali nel l'ammortamento adottato nella fattispecie vi sarebbe "anatocismo implicito ed occulto", dipendente dall'applicazione di una formula in regime finanziario di interesse composto. I fatti costitutivi della domanda che ha come causa petendi la violazione della normativa in tema di usura, chiariti alla luce delle consulenze di parte e precisati entro il termine di decadenza delle deduzioni assertive (1 memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c.), vanno dunque identificati in ciò che: il regime composto avrebbe generato maggiori interessi per effetto di anatocismo implicito ed occulto e questi interessi "non previsti dai contratti di finanziamento" (come allegato a livello fattuale nelle conclusioni in via principale) sarebbero da considerare al fine della verifica dell'usura. Per tale ragione, è stato formulato il seguente quesito: "1) accerti il C.T.U. se il piano di ammortamento alla francese utilizzi per il calcolo della rata la formula della capitalizzazione composta e se ciò determini anatocismo o comunque in concreto un tasso effettivo superiore rispetto a quello indicato in contratto; 2) dica il C.T.U. se siano stati pattuiti interessi usurari e determini il T.E.G. tenendo conto degli interessi applicati (sulla scorta anche delle risultanze di quanto al punto 1), delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese collegate alla erogazione del credito, escluse quelle per imposte e tasse; in caso di usura originaria non dovrà essere conteggiato alcun interesse e il C.T.U. dovrà indicare l'importo degli interessi corrisposti dalla parte mutuatario". Dopo il deposito del primo elaborato, contestato dall'attrice, il quesito è stato integrato e al C.T.U. è stato chiesto: "sviluppi per entrambi i mutui un piano di ammortamento a rata costante in regime finanziario di interesse semplice a tasso di interesse legale e quantifichi la differenza tra quanto pagato per interessi dall'attrice e l'importo totale degli interessi risultante dal nuovo piano". 3 - Le risultanze dell'accertamento peritale 3.1 - La posizione del C.T.U. Il perito ha affermato nella prima relazione: "Secondo le teorie di matematica finanziaria quando si costruisce un piano di ammortamento alla francese le quote di capitale sono crescenti o meglio le quote capitali crescono in progressione geometrica di ragione (1+i). Dato che la rata è costante e che le quote interessi decrescono di "i-Ct" di altrettanto devono crescere le corrispondenti quote capitale". Con riguardo ad entrambi i mutui ha verificato "... l'eventuale applicazione della formula di capitalizzazione composta addivenendo alla medesima conclusione: la formula della capitalizzazione composta è stata impiegata al fine di determinare l'importo della rata costante del piano di ammortamento. Tuttavia non si è determinato anatocismo in quanto gli interessi sono stati calcolati sul debito residuo via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata. Pertanto non vi è mai stata applicazione di alcun anatocismo; infatti, ogni rata si compone di quota capitale e quota interessi e quest'ultima è determinata esclusivamente sul debito capitale residuo, senza tener conto di altri interessi capitalizzati" (cfr pag. 16). "Una delle fonti di confusione è data dal modello matematico-finanziario attraverso il quale viene calcolata la rata costante dell'ammortamento alla francese. La rata viene determinata in modo che soddisfi un principio finanziario basilare, ovvero che la sommatoria dei valori attuali delle rate debba essere esattamente pari al capitale finanziato. Il regime finanziario in cui viene impostata questa operazione è, correttamente, quello dell'interesse composto, che prevede l'attualizzazione dei flussi finanziari sulla base di una funzione matematica esponenziale. Questo non comporta di per sé la capitalizzazione degli interessi e quindi l'anatocismo. Il calcolo degli interessi, qualsiasi sia la durata complessiva del piano e la cadenza periodica dei pagamenti, è sempre e comunque effettuato sul debito residuo, ovvero sul capitale che rimane da restituire al finanziatore. In tal modo, l'interesse non è mai produttivo di altro interesse, ovvero non viene accumulato al capitale ma, tramite pagamenti periodici, viene, per così dire, "staccato" dal capitale, capitale che invece è, per sua natura, produttivo di interessi. ... Una volta che l'interesse (insieme naturalmente alla quota capitale) viene corrisposto, il capitale torna ad evolvere depurato da qualsiasi accumulazione anatocistica, nonché ridotto per effetto della restituzione di una parte dello stesso tramite la quota capitale. Con questo meccanismo, la generazione di interessi su interessi, e quindi l'anatocismo, è del tutto preclusa" (cfr pag. 17). Preliminarmente, il C.T.U. aveva fatto notare (cfr pag. 15) che: "secondo le teorie di matematica finanziaria quando si costruisce un piano di ammortamento si parte sempre da un tempo uguale a zero il quale rappresenta il momento in cui la somma contrattualizzata viene erogata al mutuatario, solo dopo il pagamento della prima rata la componente di capitale della rata pagata viene decurtata dal debito iniziale (uguale alla somma erogata) e si trova in tal modo il debito residuo". "All'interno di ogni rata si distingue una quota di interessi 1, che costituisce il pagamento degli interessi per il periodo t e una quota capitale C, che riduce il debito: la somma di tutti i pagamenti in conto capitale deve esaurire il debito. Quest'uguaglianza è detta condizione di chiusura elementare in quanto si allude al fatto che essa sancisce l'esaurirsi dell'ammortamento. La quota di interesse It, è costituita dagli interessi relativi al periodo t, cioè sul debito Dt-1 (t= 1, 2, ...,n; D0 = S, dove S indica la somma erogata)". "L'ammortamento, ovvero la metodologia di pagamento del debito contratto, consiste nello scambio tra l'importo S in 0 e le rate Rt pagate in t = 1,2,... n. vi deve essere un'equivalenza finanziaria tale per cui il valore attuale della sommatoria delle rate nei vari periodi è uguale all'importo del debito contratto, quest'uguaglianza è chiamala condizione di chiusura iniziale, e stabilisce anch'essa l'esaurirsi dell'ammortamento". "L'equivalenza finanziaria tra S e le R, si può anche impostare al termine dell'ammortamento: moltiplicando sia S che la sommatoria delle Rt per (1+i)": Omissis che è detta condizione di chiusura finale". "Le tre condizioni di chiusura (elementare, iniziale e finale) suddette sono equivalenti soltanto quando si utilizzi una formula esponenziale". Il perito ha comunque effettuato il calcolo della rata costante con l'utilizzo della legge di interesse semplice (con un risultato di Euro 4.219,51 per il primo mutuo e di Euro 9.411,34 per il secondo mutuo). Tuttavia ha affermato che "In entrambi gli sviluppi si evince che il debito non verrebbe interamente rimborsato al termine delle rate previste. Questo effetto distorsivo deriva dal fatto che il regime dell'interesse semplice risulta in equilibrio finanziario solamente nell'istante t0 e non nei periodi intermedi. Al fine di ottenere lo sviluppo di un piano di ammortamento a rata costante determinata impiegando la formula dell'interesse semplice che comporti equivalenza finanziaria e l'integrale rimborso del capitale erogato al termine delle rate previste è necessario ricorrere alla formula inversa per il calcolo di ciascuna quota capitale (Cs) e ciascuna quota interessi (Is) partendo dai calcolo della rata come sopra illustrata". Nel secondo elaborato, il perito ha specificato che a tal fine "... è necessario calcolare il fattore di sconto: il valore attuale del Capitale è il prodotto del capitale disponibile al tempo "t" per il fattore di sconto 1/(1 +it)". Ha quindi calcolato per ogni contratto la rata costante in regime di interesse semplice con due varianti: mantenendo fisso il tasso di interesse legale vigente alla data della stipula ed utilizzando il tasso di interesse legale tempo per tempo vigente. Il C.T.U. ha calcolato che la differenza tra gli interessi pagati e gli interessi legali in tal modo determinati ha prodotto il seguente risultato a credito della mutuataria: - primo mutuo Euro 92.212,53 con tasso legale fisso (allegato 3) ed Euro 85.405,66 con tasso tempo per tempo vigente (allegato 4); - secondo mutuo Euro 53.743,76 con tasso legale fisso (allegato 5) ed Euro 68.198,89 con tasso tempo per tempo vigente (allegato 6). Le affermazioni del C.T.U. sono per lo più errate; sebbene alcune siano (parzialmente) corrette, sono sbagliate le conseguenze che ne sono fatte discendere. Non sono corretti nemmeno i criteri adottati per quantificare gli interessi derivanti dall'applicazione del regime semplice. 3.2 - Il potere del giudice con riguardo ai risultati dell'accertamento peritale In giurisprudenza è condiviso il principio secondo il quale il giudice ha sempre il compito di valutare criticamente l'operato del perito cui si è affidato, rivestendo il ruolo di peritus peritorum, in virtù del quale non è vincolato alle conclusioni del consulente d'ufficio. E' però pacifico che, laddove decida di disattendere le risultanze della C.T.U., il giudice è tenuto a specificare, attraverso congrua e logica motivazione (in caso contrario censurabile in sede di legittimità), le ragioni per le quali ritenga di discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio (cfr Cass. n. 24630/2015, Cass. n. 5548/2012). Inoltre, quando si tratta di questioni rimesse a C.T.U. percipiente, occorre che il giudice fornisca adeguata dimostrazione di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (cfr Cass. n. 5148/2011), in ogni caso argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche (cfr Cass. n. 200/2021). In merito a quanto sopra, valga quanto argomentato nei paragrafi successivi, con la precisazione che non sarà trattata la questione dell'asserito anatocismo generato dal calcolo della rata in regime finanziario di interesse composto, dal momento che tale profilo di illegittimità, quantunque elaborato nelle perizie allegate all'atto di citazione, non è stato recepito nell'atto introduttivo, né è stato inserito nelle conclusioni da ultimo precisate. 3.3 - Le ragioni per le quali la Consulenza Tecnica d'Ufficio va disattesa A) La rata calcolata dal C.T.U. è di importo diverso rispetto a quella indicata in contratto Nel mutuo dell'11.2.2000, tenendo conto della somma mutuata (Lit. 950.000.000 = Euro 490.634,05), del tempo di restituzione (156 rate mensili posticipate) e del tasso nominale annuo (5,75%), la rata alla data del contratto è indicata in Lire 8.661.435 (pari ad Euro 4.473,26 arrotondando al secondo decimale). Nel mutuo del 12.9.2003, tenendo conto della somma mutuata (Euro 1.200.000,00), del tempo di restituzione (156 rate mensili posticipate) e del tasso nominale annuo (3,65%), la rata alla data del contratto è indicata in Euro 9.673,97. Il C.T.U. calcola invece la rata del primo mutuo in Euro 4.472,86 (allegato 8) e del secondo mutuo in Euro 9.672,57 (allegato 9), quindi in misura diversa da quella riportata nei contratti. Il C.T.U., peraltro, non fornisce alcuna spiegazione riguardo a tale differenza, che evidentemente non è da ricondurre ad arrotondamenti dei decimali (v. oltre 4), per cui - sulla scorta della perizia - non si comprende quale tra i due importi (rata originaria in contratto e rata C.T.U.) sia corretto in base agli elementi indicati in ciascuno dei due contratti di mutuo. B) Il C.T.U. omette di spiegare per quale ragione i piani di ammortamento allegati ai due contratti non sono coerenti con i propri enunciati consistenti nell'affermazione che: 1) "... quando si costruisce un piano di ammortamento alla francese ... Dato che la rata è costante e che le duole interessi decrescono di "i-Ct" di altrettanto devono crescere le corrispondenti quote capitale" (cfr pag. 16); 2) "il calcolo degli interessi n. d.r. della quota interessi delle singole rate al tasso pattuito in contratto ... e effettuato "... sul solo capitale complessivo ancora da rimborsare al netto delle rate già scadute" (cfr pag. 18) - Quanto al punto sub (...) I piani di ammortamento allegati ai contratti presentano un andamento delle quote capitale ed interessi che non corrisponde a quelli predisposti dal C.T.U. (allegati 8 e 9), ossia: le quote capitale non sono crescenti e le quote interessi non sono decrescenti. Di seguito si riportano, a titolo esemplificativo, le prime dieci rate dei piani di ammortamento calcolati dal C.T.U. e di quelli allegati ai contratti. Mutuo 11.2.2000 (T.A.N. = 5,75%) a)piano del C.T.U. (allegato 8) Omissis b)piano da contratto Omissis Si può osservare che la quota interessi della 2, 4, 6 e 9 rata e superiore alla quota interessi della rata che la precede, quindi l'andamento non è decrescente; parimenti, la quota capitale della 2, 4, 6 e 9 rata è inferiore alla quota capitale della rata che la precede, quindi l'andamento non è crescente. Alla luce di ciò, non può essere verificato l'assunto del C.T.U.. - Quanto al punto sub 2 Considerando il capitale iniziale di Lire 950.000.000 e tenendo presente che il tasso di interesse periodale (calcolato dal C.T.U. come mensile costante)/è 0,0047916667 (= 5,75: 12), la quota interessi della prima rata, secondo il criterio del C.T.U., dovrebbe essere pari a Lire 4.552.083,365 (= 0,0047916667 - 950.000.000), mentre nel piano allegato al contratto è Lire 4.340.069. Poiché di scadenza in scadenza il debito residuo diminuisce in ragione della quota capitale contenuta in ogni rata e la quota capitale è determinata dal C.T.U. per differenza tra la rata e la quota interessi, ne consegue che la divergenza tra il dato in contratto e quello elaborato dal C.T.U. si ripercuote in tutto lo sviluppo del piano. Sarebbe peraltro un mero esercizio privo di utilità verificare le restanti componenti (rata, quota interessi, quota capitale e debito residuo), tanto più in quanto già la rata in contratto (Lit. 8.661.435 pari ad Euro 4.473,26) e quella calcolata dal C.T.U. (Euro 4.472,86) sono di importo diverso. Mutuo 12.9.2003 (T.A.N. = 3,65%) c)piano del C.T.U. (allegato 9) Omissis d)piano da contratto Omissis - Quanto al punto sub (...) Con riguardo a questo mutuo, si può constatare che la quota interessi della 2, 4, 7 e 9 rata è superiore alla quota interessi della rata che la precede, quindi l'andamento non è decrescente; parimenti, la quota capitale della 2, 4, 7 e 9 rata è inferiore alla quota capitale della rata che la precede, quindi l'andamento non è crescente. Vale quanto già osservato in merito all'impossibilità di verificare l'assunto del C.T.U.. - Quanto al punto sub (...) E' confermata la non corrispondenza dei dati presenti nel piano di ammortamento rispetto a quelli ricavati applicando il metodo del C.T.U.. Considerando il capitale iniziale di Euro 1.200.000 e tenendo presente che il tasso di interesse periodale (calcolato dal C.T.U. come mensile costante) i è 0,0030416667 (= 3,65: 12), la quota interessi della prima rata, secondo il criterio del C.T.U., dovrebbe essere pari a Euro 3.650 (= 0,0030416667 x 1.200.000), mentre nel piano allegato al contratto è Euro 3.600,01. Valgono le stesse considerazioni già illustrate con riguardo al primo mutuo. C) Secondo il C.T.U. con la metodologia di ammortamento alla francese "... Il calcolo degli interessi ... è sempre e comunque effettuato sul debito residuo, ovvero sul capitale che rimane da restituire al finanziatore" (cfr pag. 17) Ciò è vero soltanto se il calcolo delle rate è effettuato in regime finanziario di interesse composto, che - come si è illustrato al 1.3 - non è "LA" regola caratterizzante l'ammortamento alla francese, bensì "UNA" tra quelle conosciute, tutte abbinabili con tale metodologia di rimborso del debito (e altresì con le altre). Già la (...) aveva evidenziato (e dimostrato con un esempio che qui per brevità non si riporta, rimandando al testo in nota) che è un "errore grossolano" applicare per il calcolo della quota di interesse "... la diffusa quanto errata regola ... che consiste nel moltiplicare il debito residuo della scadenza precedente per il tasso contrattuale, qualunque possa essere la legge finanziaria che regola la condizione di chiusura imposta". L'affermazione del C.T.U. non è quindi vera quando per il calcolo delle rate si utilizza, per quanto interessa ai fini della presente decisione, il regime finanziario dell'interesse semplice. D) Secondo il C.T.U. "... la formula della capitalizzazione composta è stata impiegata al fine di determinare l'importo della rata costante del piano di ammortamento ..." (cfr pag. 16) tuttavia "... il piano di ammortamento alla francese n. d.r stilato in regime finanziario di interesse composto non comporta di per sé alcuna forma indebita di anatocismo, in quanto la rata ingloba interessi semplici e non composti, calcolati al tasso nominale sul residuo capitale da restituire" (cfr pag. 17) "... tra un pagamento ed un altro, sul capitale di debito matura un interesse ... ma questo interesse viene separato in maniera netta dal capitale in quanto esso viene calcolato esclusivamente sul debito residuo. Una volta che l'interesse (insieme naturalmente alla quota capitale) viene corrisposto, il capitale torna ad evolvere depurato da qualsiasi accumulazione anatocistica, nonché ridotto per effetto della restituzione di una parte dello stesso tramite la quota capitale. Con questo meccanismo, la generazione di interessi su interessi, e quindi l'anatocismo, è del tutto preclusa" (cfr pag. 17) L'affermazione del C.T.U. si trova diffusamente ripetuta nelle sentenze di merito, che si limitano a recepire acriticamente le conclusioni dei periti d'ufficio, oppure, addirittura, ritenendo superfluo rimettere l'accertamento ad un tecnico, si omologano all'orientamento giurisprudenziale la cui sintesi consiste in ciò che, quantunque la rata di un piano di ammortamento (con metodologia) alla francese (in regime finanziario di interesse composto) sia calcolata in capitalizzazione composta, la quota interessi è invece calcolata in interesse semplice e dunque non vi è composizione degli interessi. Sebbene si verta in una materia connotata da un elevato grado di tecnicismo, la non coerenza di tale ragionamento è percepibile anche sulla base di un procedimento del pensiero di livello non particolarmente elaborato e senza una conoscenza approfondita della matematica finanziaria. Dato che, con tale metodologia e regime finanziario: per definizione, la rata di rimborso di un prestito viene calcolata con "la formula della capitalizzazione composta"; ogni rata è formata da una quota di capitale e una quota di interessi; la quota di capitale della prima rata viene sottratta al capitale iniziale e poi, per le rate successive, al residuo capitale della scadenza precedente; la quota interessi della prima rata è calcolata sul capitale iniziale, quella delle rate successive sul residuo capitale della scadenza precedente; a ciò consegue che la quota interessi è influenzata dalla quota capitale (poiché il capitale residuo ad ogni scadenza dipende dalla quota capitale che di tempo in tempo gli viene sottratta), che a propria volta dipende dall'importo della rata calcolata in regime composto. Tra l'altro, anche la quota capitale può essere determinata in regime composto, conoscendo soltanto le specifiche contrattuali (importo finanziato, tasso di interesse e numero di rate). Perciò, data tale concatenazione, è illogico concludere che la quota interessi delle singole rate non risente degli effetti della capitalizzazione composta. L'illogicità della tesi fatta propria dal C.T.U., già intuibile a livello di "persona media", è stata evidenziata in ambito accademico, laddove si è fatto notare che: - "Non è algebricamente ammissibile che, nella stesura dello stesso piano di ammortamento, possano convivere gli algoritmi di due diversi regimi finanziari, tranne che in casi estremamente particolari (esempio: caso di ammortamento a tasso nullo)"; - "La locuzione "le quote interessi sono calcolate in capitalizzazione semplice" (in talune occasioni accompagnata dalla inconciliabile precisazione "anche se le rate di ammortamento sono calcolate in capitalizzazione composta") presente in molteplici sentenze ... o CTU o CTP, in forma di congettura, quindi senza alcuna dimostrazione, costituisce un palese errore di logica matematica, che potrebbe essere adeguatamente sanato mediante la lettura del classico testo "A system of logic" (1843 - E.H. 1882) del filosofo ed economista britannico (...) ...". - "Quando si afferma che nell'ammortamento francese non esiste il fenomeno del calcolo dell'interesse sugli interessi già maturati e che in ciascun periodo la quota interessi è calcolata sul debito residuo dell'anno precedente, argomentando che di fatto si "pagano" gli interessi solo sul capitale ancora da restituire ed escludendo la possibilità di calcolo degli interessi sulla componente di interessi già corrisposta, si ignorano ... il fatto che il debito residuo è funzione della quota capitale che, a sua volta, dipende dal calcolo della rata costante, che ricordiamo è calcolata nel regime finanziario della capitalizzazione composta". E' pacifico che, dalla conoscenza della rata R, è possibile costruire "in forma ricorsiva" il piano di ammortamento in CC, calcolando progressivamente (per k = 1, 2,..., n): - le quote interessi Ik = i Dk-1 - le quote capitali Ck = R - Ik - i debiti residui Dk = Dk-1 - Ck = Dk-1 - R + Ik = Dk-1 (1 + i) - R, Dn = 0 Infatti, "E' noto che nel caso di ammortamento di un mutuo "alla francese", fissato il regime finanziario e definita la rata di ammortamento, la conoscenza delle quote capitali oppure dei debiti residui (dal debito iniziale, fino al debito finale nullo) permette di costruire in modo univoco il piano di ammortamento e, in particolare, le quote interessi, come differenze tra ciascuna rata e la corrispondente quota capitale ...". Anche (...) (alle pagine 135-136 dello scritto in nota 52) hanno evidenziato lo stesso effetto: "La relazione di aggiornamento del debito residuo di un qualsiasi piano di ammortamento è la seguente: (5) Omissis Tale relazione, nota come equazione ricorrente del debito residuo, prevede che il debito iniziale di importo pari a = C(0) sia man mano aggiornato fino all'epoca finale in cui ci si aspetta l'azzeramento del debito residuo, cioè C(n) - 0. Il significato finanziario dell'equazione (5) basterebbe da solo a spiegare quello che nel prosieguo di questa nota si cerca di dimostrare con una rigorosa formalizzazione analitica e un inequivocabile esempio numerico. L'aggiornamento del debito residuo ad ogni scadenza prevede che gli interessi maturati sul debito residuo dei periodo precedente vengano incorporati nel debito, che di fatto si aggiorna ai valore C(t-1) (1 + i), coerentemente al tipico schema della capitalizzazione composta". Per comprendere ancora più facilmente il legame esistente tra le grandezze del piano, è utile mostrare in una tabella il piano di ammortamento alla francese in CC, costruito a partire dalla determinazione del valore della rata costante R rimborsata posticipatamente al tempo tk (con k = 1, 2, ..., n) di scadenza di ogni rata, corrispondente ad un capitale erogato al tempo t0 e regolato da un tasso di interesse i stabilito rispetto a una certa scala temporale di riferimento". Anche qui i singoli termini del piano vengono calcolati sulla base di una procedura ricorsiva che prevede di imputare, per ogni k = 1, 2, ...., n rata, una quota capitale pari alla differenza tra il valore della rata R e la quota interessi ottenuta moltiplicando il tasso di interesse i per il debito residuo all'istante precedente al rimborso", con la precisazione che, in caso di rimborso infra annuale, si dovrà utilizzare il tasso di periodo equivalente nel regime di interessi utilizzato. Omissis "Si nota, immediatamente, che già in t2 l'interesse agisce componendosi sull'interesse del periodo precedente ...", presente nella formula del debito residuo di quest'ultimo periodo. In corrispondenza della seconda rata (ossia con k = 2) la quota interessi è infatti data dal tasso di interesse (i) moltiplicato per il debito residuo in k = 1, ossia (C (1 + i) - R): Omissis come si può constatare, l'interesse moltiplica l'interesse. Che gli interessi non siano calcolati in regime semplice si ricava anche partendo dalla formula indicata a pag. 15 della 1 C.T.U. Omissis La formula offerta dalla C.T.U. è ad impostazione finale, e può essere riscritta, per la regola della sommatoria delle potenze, nel modo seguente: Omissis Ovvero, il montante rata si ottiene moltiplicando la rata per la rendita unitaria, calcolata in capitalizzazione composta. Dividendo a destra e sinistra per tale rendita si ricava la formula della rata: Omissis Questo risultato si ottiene se si sviluppano i passaggi considerando il rapporto tra il capitale erogato e il valore attuale, calcolato in regime composto (impostazione iniziale), per cui si può scrivere: Omissis La formula riportata dal C.T.U. significa che il montante del debito (posto a sinistra dell'uguale) è uguale al montante rata (posta a destra dell'uguale), espresso come sommatoria degli interessi composti, calcolati in capitalizzazione composta sull'importo della rata. Pertanto, il meccanismo di maturazione degli interessi sugli interessi, deriva dalla sottrazione al debito residuo delle quote capitali. Infatti, sviluppando la formula del debito residuo, si può verificare che l'interesse soggiace al medesimo regime (composto) in virtù delle leggi matematiche che presiedono al calcolo della rata. La formula ricavata a partire da quella della rata, mostra chiaramente come la quota di interesse sia in composto, poiché data dalla differenza tra la rata R e la quota capitale, entrambe le componenti calcolate in regime composto. Si evince quindi che, se si adotta il regime composto nella determinazione della rata, tutte le componenti del piano di ammortamento seguono il calcolo composto o esponenziale. D'altra parte sarebbe inconcepibile ritenere che la convivenza di più regimi finanziari all'interno dello stesso piano e pretendere che poi chiuda con l'ultimo pagamento. Si comprende sin d'ora che la remunerazione del capitale segue una legge esponenziale. E) Secondo il C.T.U., "Le tre condizioni di chiusura (elementare, iniziale e finale) suddette sono equivalenti soltanto quando si utilizzi una formula esponenziale" (pag. 15); con l'ammortamento alla francese "La rata viene determinata in modo che soddisfi un principio finanziario basilare, ovvero che la sommatoria dei valori attuali delle rate debba essere esattamente pari al capitale finanziato. Il regime finanziario in cui viene impostata questa operazione è, correttamente, quello dell'interesse composto, che prevede l'attualizzazione dei flussi finanziari sulla base di una funzione matematica esponenziale" (cfr pag. 17), mentre con l'utilizzo del regime di interesse semplice "... il debito non verrebbe interamente rimborsato al termine delle rate previste. Questo effetto distorsivo deriva dal fatto che il regime dell'interesse semplice risulta in equilibrio finanziario solamente nell'istante t0 e non nei periodi intermedi (cfr pag. 20) L'equivalenza della chiusura elementare, iniziale e finale è dovuta dalla legge della scindibilità, che governa il regime finanziario della capitalizzazione composta e non anche il regime finanziario della capitalizzazione semplice. Però, ad avviso del C.T.U., un piano di ammortamento redatto in regime di interesse semplice non è in equilibrio finanziario perché non garantisce le tre citate condizioni di chiusura e non risponde alla legge di scindibilità ("... equilibrio finanziario ... non nei periodi intermedi"). Tale conclusione non è corretta, poiché l'ammortamento in capitalizzazione semplice ha come condizioni di chiusura l'elementare e la finale; inoltre soltanto la legge di capitalizzazione composta è scindibile (v. nota 63). D'altra parte, come dovrebbe essere ovvio, differenti regimi di capitalizzazione sono caratterizzati da differenti proprietà, altrimenti non sarebbero - appunto - differenti tra loro. Per smentire gli argomenti del C.T.U., si riportano - sinteticamente - gli insegnamenti della (...) (si tratta peraltro di principi pacifici in ambito accademico), omettendo le parti con le dimostrazioni matematiche, delle quali si dà per assodata la correttezza. Va premesso che, per la condizione di chiusura elementare (che riguarda il modello aritmetico dell'ammortamento, nel quale non viene fatto alcun riferimento alle quote di interesse), "la somma di tulle le quote capitale deve ricostruire il capitale mutuato". Per tener conto di una "logica di tipo finanziario ... occorre fissare dei vincoli, altre condizioni di chiusura, che impongono l'equivalenza finanziaria ad una determinata scadenza tra il debito contratto e l'insieme delle prestazioni a carico del debitore: in altri termini l'ammontare del debito valutato ad una certa scadenza deve essere uguale al valore, calcolato a quella stessa scadenza, di tutte le rate che il debitore deve ancora corrispondere. L'equivalenza finanziaria in genere viene posta all'inizio o alla fine dell'operazione, dando origine, se la legge finanziaria usata non è scindibile, a valori di rate, quote di capitale, quote di interesse e debito residuo diversi". Ciò posto, si deve tenere conto che "... la condizione di chiusura elementare vale per definizione di ammortamento, mentre le condizioni di chiusura iniziale e finale sono vincoli che devono essere posti, in via alternativa, per l'impostazione finanziaria. Dunque, lo studio di un qualsiasi ammortamento può essere condotto imponendo una delle condizioni di chiusura iniziale o finale e avvalendosi della condizione di chiusura elementare (che, ripetiamo, vale in qualunque caso, proprio per definizione di ammortamento). La non equivalenza delle condizioni dell'impostazione finanziaria comporta piani di ammortamento diversi. ... l'equivalenza finanziaria implica la condizione di chiusura elementare, ossia che imponendo la condizione di chiusura iniziale o la condizione di chiusura finale resta verificata anche la condizione di chiusura elementare. ... Dunque la condizione di chiusura iniziale è soddisfatta se lo è anche la condizione di chiusura elementare. Ovviamente non vale il viceversa. Infatti, analoghe considerazioni possono farsi a proposito della condizione di chiusura finale e pertanto segue che la condizione di chiusura finale è soddisfatta se lo è anche la condizione di chiusura elementare; se valesse il viceversa, le due condizioni di chiusura iniziale e finale si implicherebbero, mentre, com'è noto, non sono in generale equivalenti" (grassetto e sottolineatura aggiunti). Applicando tali nozioni ai (soli, per quanto qui interessa) regimi finanziari di c.c. e CS, si ottiene che: "La scindibilità della legge di capitalizzazione composta consente di ottenere gli stessi vincoli sulle rate e dunque lo stesso piano di ammortamento - qualunque possa essere la condizione di chiusura imposta. Da ciò consegue che uno stesso insieme di rate soddisfa sia la condizione di chiusura iniziale che quella finale e nel caso di rate costanti esiste un solo insieme di rate che ammortizza il debito"; "La caratteristica della capitalizzazione semplice è che gli interessi si rendono disponibili solo alla fine del periodo di impiego e pertanto essa sembra inquadrarsi nella logica della condizione di chiusura finale". Pertanto la conclusione del perito si conferma errata. Al fine di porre le basi per la comprensione del successivo punto "F", va a questo punto aggiunto che la scindibilità propria del regime composto degli interessi rende questo regime indifferente dall'epoca rispetto alla quale si impone il principio di equità finanziaria, diversamente da quanto vale per il regime semplice. Per il principio di equità finanziaria, un'operazione di scambio è in equilibrio quando il valore delle somme incassate è uguale al valore delle somme pagate. "Tale principio fondamentale, in matematica applicata all'economia, indica il criterio per valutare se due somme di denaro, nominalmente diverse, poiché riferite a istanti di tempo diversi, possano invece tra loro essere considerate equivalenti se riferite ad uno stesso istante temporale". Con riguardo alla data nella quale può essere valutato il principio di equità, "essendo molteplici le scadenze sia delle prestazioni che delle controprestazioni, bisognerà fissare anche un'epoca di riferimento e intendere che tra le prestazioni e le controprestazioni debba sussistere il vincolo che, riportandole, con la legge di interesse o sconto prescelta, all'epoca di riferimento pure prefissata, il valore delle prime eguagli il valore delle seconde". "In particolare, l'impostazione del principio di equità alla data to di origine dell'operazione di scambio, è nota come impostazione iniziale del principio di equità finanziaria. Inoltre, volendo valutare l'equità dell'operazione di scambio alla sua data di chiusura tn si parlerà di impostazione finale del principio di equità finanziaria. Infine, è possibile generalizzare il principio di equità finanziaria con impostazione in un'epoca qualunque, ossia in un qualsiasi altro generico istante temporale tm compreso tra t0 e tn (cioè, con (...))". In virtù della proprietà della scindibilità, "... nel caso del regime composto degli interessi, le due impostazioni, iniziale e finale, del principio di equità sono perfettamente equivalenti e i due complessi di prestazioni equivalenti a una data epoca, lo sono a qualunque altra epoca". Mentre l'adozione del regime finanziario della CC, grazie alla scindibilità delle sue leggi, non presenta particolari problemi, al contrario, nel caso di adozione del regime della CS occorre affrontare la questione consistente nella scelta dell'epoca di equivalenza finanziaria dell'intera operazione, poiché tale regime non è indifferente all'epoca tk (con k = 1,2, ..., n) rispetto alla quale si impone il principio di equità finanziaria. A tale scopo, occorre ricordare che "Un'operazione si svolge in regime di capitalizzazione semplice quando l'interesse è disponibile solamente alla fine del periodo di impiego", da cui "... segue che nelle valutazioni delle operazioni che si svolgono in regime di capitalizzazione semplice il principio di equivalenza finanziaria deve essere applicato prendendo come tempo di valutazione la scadenza dell'operazione, scadenza stabilita quando è sorta l'operazione". Il regime di CS va dunque inquadrato nella logica dell'equivalenza finale (CS.f), mentre la condizione di equivalenza iniziale (CS.i) è coerente con il regime finanziario della capitalizzazione ad interessi anticipati. Infatti, l'abbinamento CS.i ... anche se ammissibile dal punto di vista puramente algebrico, non risulta accettabile dal punto di vista finanziario, economico e contabile, in quanto concettualmente richiederebbe la disponibilità anticipata degli interessi all'inizio del periodo di impiego e non già alla fine del periodo stesso". A diverse conclusioni non si perviene sulla scorta della tesi che ha posto in risalto l'analogia esistente tra la scelta dell'epoca iniziale di equivalenza (in CS) per la stesura di un piano di ammortamento "alla francese" e il tempo della pattuizione (ossia stipula del contratto). Come è stato evidenziato da autorevole dottrina matematica "Si tratta di due aspetti, per loro natura, differenti: - nella pattuizione del contratto, l'epoca iniziale è quella in cui si fissano i parametri, le caratteristiche e le regole e a tale epoca al contratto si allega, facendone parte integrante, il piano di ammortamento, - nella stesura del piano di ammortamento in capitalizzazione semplice, l'epoca di equivalenza o condizione di chiusura (rif. (...)) è il tempo (iniziale o finale o, in teoria, qualsiasi altro tempo meno usuale) nel quale la lesse finanziaria di capitalizzazione, utilizzata per calcolare le grandezze del piano di ammortamento, deve soddisfare le condizioni di tipo finanziario che riguardano la formazione degli interessi. Nota: tale condizione finanziaria non va confusa con la condizione elementare o aritmetica (che esula dall'aspetto finanziario della legge di capitalizzazione), secondo cui la somma delle quote capitale deve restituire il debito iniziale. Si tratta di due aspetti, rispettivamente giuridico e matematico, profondamente differenti tra loro, che devono coesistere nel rispetto delle loro peculiarità: il tempo iniziale di stipula è il tempo (giuridico) in cui i contratti vengono concordati, anche quando si tratti di contratti a termine (es. "Future"), oppure contratti in cui alcune grandezze sono aleatorie (es. "tasso variabile"). Altra cosa è il tempo (finanziario) di equivalenza, che è l'epoca, nel quale la legge di capitalizzazione scelta ha il tempo di riferimento per la determinazione (e quindi l'equilibrio) delle sue grandezze: una volta fissato tale tempo, qualunque esso sia, il piano di ammortamento in capitalizzazione semplice risulta determinato e unico". Proseguono i medesimi autori indicando le formule per il calcolo della rata costante in capitalizzazione semplice, con differente scelta del tempo di equilibrio (finale: freccia verso destra; iniziale: freccia verso sinistra): Omissis e le rispettive formule per il calcolo della quota interessi: Omissis E' opportuno evidenziare fin d'ora che il sottoscritto giudice aderisce alla tesi secondo la quale il regime di CS va inquadrato nella logica dell'equivalenza finale (CS.f), ritenendo convincenti gli argomenti addotti a supporto. In questo senso è la giurisprudenza di merito che ha affrontato in termini matematici il tema dell'ammortamento alla francese (cfr Tribunale Massa Tribunale di Massa, giudice dott. Provenzano, sentenze n. 90 del 4.2.2020 e n. 383 del 5.8.2020). F) Secondo il C.T.U.. "In entrambi gli sviluppi n. d.r.: in regime di interesse semplice si evince che il debito non verrebbe interamente rimborsato al termine delle rate previste. Questo effetto distorsivo deriva dal fatto che il regime dell'interesse semplice risulta in equilibrio finanziario solamente nell'istante t0 e non nei periodi intermedi. Al fine di ottenere lo sviluppo di un piano di ammortamento a rata costante determinata impiegando la formula dell'interesse semplice che comporti equivalenza finanziaria e l'integrale rimborso del capitale erogato al termine delle rate previste è necessario ricorrere alla formula inversa per il calcolo di ciascuna quota capitale (Cs) e ciascuna quota interessi (Is) partendo dal calcolo della rata come sopra illustrata" (pag. 20), ossia calcolando "... il fattore di sconto: il valore attuale del Capitale è il prodotto del capitale disponibile al tempo "t" per il fattore di sconto 1/(1 + it)" (pag. 6 secondo elaborato) Le affermazioni del perito d'ufficio presentano più incongruenze. Si osserva innanzitutto che il C.T.U. sconfessa se stesso, dal momento che - contrariamente all'affermazione secondo la quale con l'utilizzo del regime di interesse semplice "... il debito non verrebbe interamente rimborsato al termine delle rate previste" (v. lett. "E") - ammette la possibilità di costruire un piano di ammortamento a rata costante in regime di interesse semplice, che "comporti equivalenza finanziaria e l'integrale rimborso del capitale erogato al termine delle rate previste", dunque che sia in equilibrio finanziario. Tuttavia il perito aggiunge - come ad insinuare che l'operazione non sia corretta, ed in effetti, così come costruita, non è corretta - che "è necessario ricorrere alla formula inversa per il calcolo di ciascuna quota capitale (Cs) e ciascuna quota interessi (Is) partendo dal calcolo della rata come sopra illustrata". Il C.T.U. non fornisce alcun altra spiegazione, limitandosi a riportare la formula utilizzata per il calcolo della rata costante in regime di interesse semplice, ossia Omissis dove: R = rata A = somma mutuata i = tasso periodale s - numero rate da n. 1 a n Il perito non ha neppure chiarito per quale ragione, nei prospetti di calcolo allegati al primo elaborato (all. 10 e 12 per il 1 mutuo, all. 11 e 13 per il 2 mutuo), in corrispondenza di t = 1 abbia indicato la rata n. 156, di t = 2 la rata n. 155, di t = 3 la rata n. 154 e così via fino a t = 156 in cui la rata è la n. 1. Facendo uno sforzo interpretativo, dovrebbe evincersi che, nella formula del fattore di sconto, abbia dato a t il valore di 156 per la prima rata, 155 per la seconda rata, 154 per la terza, ..., 1 per la centocinquantaseiesima e che in ciò si concretizzi la "inversione" (dell'asse temporale). Ciò che è certo è che con la formula sopra riportata, il C.T.U. ha ottenuto una rata costante in CS (pari ad Euro 4.219,51 per il 1 mutuo e ad Euro 9.411,34 per il 2 mutuo) che però ha sviluppato in modo diverso tra loro nei piani di ammortamento riportati negli allegati 10 e 12 (1 mutuo) e nei piani di ammortamento riportati negli allegati 11 e 13 (2 mutuo). In sostanza, con riferimento ai piani di cui agli allegati 10 e 11 ha evidenziato che "il debito non verrebbe interamente rimborsato al termine delle rate previste"), mentre con riguardo ai piani di cui agli allegati 12 e 13 ha precisato che sempre "partendo dal calcolo della rata come sopra illustrata", per ottenere "equivalenza finanziaria e l'integrale rimborso del capitale erogato al termine delle rate previste" ha dovuto "ricorrere alla formula inversa per il calcolo di ciascuna quota capitale (Cs) e ciascuna quota interessi (Is )" (1 elaborato), calcolando "... il fattore di sconto: il valore attuale dei Capitale è il prodotto del capitale disponibile al tempo "t" per il fattore di sconto 1/(1 +it)" (2 elaborato). Il perito, dunque, sulla base dei medesimi valori di capitale, rate, tasso di interesse, utilizzando una determinata formula e ottenendo (evidentemente) un'unica rata, ha costruito per ciascun mutuo (del tutto inconcepibilmente) due diversi piani di ammortamento, il secondo dei quali - a suo avviso - in equilibrio finanziario. Soltanto questo sarà analizzato (per ciascuno dei due mutui), essendo palese che non ha senso anche solo elaborare un piano che non "chiude". Preliminarmente è necessario stendere i piani di ammortamento dei due mutui per cui è causa secondo la formula per il calcolo della rata adottata dal C.T.U., che corrisponde a quella in regime finanziario di interesse semplice con epoca di equivalenza iniziale, di cui al punto "E" che precede (scritta come in nota 78), per poi confrontarli con quelli elaborati dal perito (all. nn. 12 e 13). In dottrina matematica, l'operazione viene così inquadrata: le quote interessi risultano pari al prodotto di tre fattori: il debito residuo precedente e il tasso di interesse (come nel caso di adozione del regime finanziario della capitalizzazione composta) e il fattore di attualizzazione, in capitalizzazione semplice, per l'intervallo di tempo intercorrente tra il tempo 1 e l'epoca di pagamento della rata; la formula, ottenuta per via algebrica, risulta caratteristica del regime finanziario della capitalizzazione semplice con epoca di equivalenza iniziale (rif. (...) - pag. 140) Omissis i debiti residui, pari al valore attuale delle rate ancora da pagare, sono caratterizzati dalla relazione ricorrente Omissis la quota capitale di ogni rata sarà ricavata sottraendo all'importo della rata la quota interessi ottenuta come sopra indicato. Mutuo dell'11.2.2000 Omissis Omissis Le condizioni di chiusura sono rispettate: la somma di tutte le quote capitali è esattamente pari al capitale mutuato; il valore attualizzato (al tempo iniziale di erogazione) di tutte le rate è esattamente uguale al capitale mutuato. Il piano che segue è quello riportato nell'allegato 12 alla C.T.U. Omissis Rispetto alla tabella redatta dal sottoscritto G.O.P. con l'utilizzo delle formule riportate a pagg. 30-31, i calcoli del C.T.U. hanno condotto ad un importo conforme della rata e del monte interessi; non è tuttavia corretta, per ogni rata, la distribuzione all'interno di tale importo delle quote interessi e capitale. Di fatto, pare che il C.T.U., partendo dalla rata e attribuendo a k valore inverso rispetto a quello della corrispondente rata (ossia 156 (...) 1, anziché 1 (...) 156), abbia calcolato la quota capitale di ogni scadenza Omissis e l'abbia poi utilizzata per ottenere la quota interessi (per sottrazione dalla rata) Omissis e il debito residuo (per sottrazione dal debito, prima iniziale, poi della scadenza precedente) Omissis L'importo della quota capitale della 1 rata (dove k = 156), indicato dal C.T.U. in Euro 2.414,60, è il risultato di 4.219,51 - (1/1 + (0,0047916667 - 156)) la quota interessi della 1 rata, indicata dal C.T.U. in Euro 1.804,91, è = 4.219,51 - 2.414,60 il debito residuo dopo il pagamento della 1 rata, indicato dal C.T.U. in Euro 488.219,45, è = 490.634,05 - 2.414,60. Per la 2 rata (dove k = 155) si ottiene: quota capitale = 2.421,24 = 4.219,51 - (1/1 + (0,0047916667 - 155)) quota interessi = 1.798,27 = 4.219,51 - 2.421,24 debito residuo dopo il pagamento della 2 rata = 485.798,21 = 488.219,45 - 2.421,24 Per la 3 rata (dove k = 154) si ottiene: quota capitale = 2.427,91 = 4.219,51 -(1/1 +(0,0047916667 - 154)) quota interessi = 1.791,60 = 4.219,51 - 2.427,91 debito residuo dopo il pagamento della 3 rata = 483.370,30 = 485.798,21 - 2.427,91 E così via fino alla 156 rata (dove k = 1): quota capitale = 4.199,39 = 4.219,51 - (1 / 1 + (0,0047916667 - 1)) quota interessi = 20,12 = 4.219,51 - 4.199,39 debito residuo dopo il pagamento della 156 rata = 0 = 4.199,39 - 4.199,39 Si verifica quindi che le quote interessi non sono pari al prodotto tra il tasso di interesse e il debito residuo precedente (che è la caratteristica essenziale del regime finanziario della capitalizzazione semplice con epoca di equivalenza iniziale - rif. (...) pag. 140); le singole quote interessi sono invece calcolate sulle corrispondenti quote capitali in scadenza Quote interessi (...) Omissis Infatti, effettuando la prova esemplificativamente sempre sulle rate 1, 2, 3 e 156, risulta che le rispettive quote interessi sono state ottenute con la formula testé riportata: per la 1 rata (dove k = 156): (4.219,51 - 0.0047916667 - 156)/(1 + 0,0047916667 - 156) = 1.804,91 per la 2 rata (dove k = 155): (4.219,51 - 0,0047916667 - 155)/(1 + 0,0047916667 - 155) = 1.798,27 per la 3 rata (dove k = 154): (4.219,51 - 0.0047916667 - 154)/(1 +0,0047916667 - 154) = 1.791,60 per la 156 rata (dove k = 1): (4.219,51 - 0,0047916667 - 1) / (1 + 0,0047916667 - 1) = 20,12 Tale metodo (nel quale gli interessi sono calcolati sulle quote capitale, la condizione di chiusura iniziale è verificata, ma non è soddisfatta la condizione di chiusura finale), è definito dalla (...) "Una forma ingenua di estinzione di un debito", che "non è un ammortamento in quanto ogni rata estingue parte del debito complessivo ma non paga gli interessi maturati dalla parte rimanente di debito" (grassetto e sottolineatura aggiunti). Si riporta ora il piano di ammortamento del secondo mutuo, calcolato da questo giudice con le formule indicate a pagg. 30-31, e di seguito quello elaborato dal C.T.U. (allegato n. 13). Mutuo del 12.9.2003 capitale erogato (A) Euro 1.200.000,00 rate (k, oppure s oppure n) 156 tasso di interesse (i) 3,65% (periodale 0,00304166666666667) Omissis 127,505738757497 rata in CS.i Euro 9.411,34 Omissis Anche qui le condizioni di chiusura sono rispettate: la somma di tutte le quote capitali è esattamente pari al capitale mutuato; il valore attualizzato (al tempo iniziale di erogazione) di tutte le rate è esattamente uguale al capitale mutuato. Il piano che segue è quello elaborato dal C.T.U. nell'allegato 13 Omissis Valgono le stesse considerazioni critiche esposte relativamente al piano di ammortamento in CS costruito dal C.T.U. con riguardo al primo mutuo: le singole quote interessi sono erroneamente calcolate sulle corrispondenti quote capitali in scadenza e non sono pari al prodotto tra il tasso di interesse e il debito residuo precedente (che è la caratteristica essenziale del regime finanziario della capitalizzazione semplice con epoca di equivalenza iniziale). Infatti, prendendo in esame esemplificativamente le rate 1, 2, 3 e 156, risulta che le rispettive quote interessi sono state ottenute con la seguente formula: Quote interessi (...) Omissis per la 1 rata (dove k = 156): (9.411,34 - 0,0030416667 - 156)/(1 + 0,0030416667 - 156) = 3.028,61 per la 2 rata (dove k = 155): (9.411,34 - 0,0030416667 - 155)/(1 + 0,0030416667 - 155) = 3.015,41 per la 3 rata (dove k = 154): (9.411,34 - 0,0030416667 - 154)/(1 + 0,0030416667 - 154) = 3.002,16 per la 156 rata (dove k = 1): (9.411,34 - 0,0030416667 - 1) / (1 + 0,0030416667 - 1) = 28,54 Anche in questo caso si ricade in "Una forma ingenua di estinzione di un debito", che "non è un ammortamento in quanto ogni rata estingue parte del debito complessivo ma non paga gli interessi maturati dalla parte rimanente di debito". 4 - Caratteristiche e differenze (in breve) delle leggi finanziarie in capitalizzazione composta e semplice Si è anticipato al 1 che le componenti necessarie a descrivere un'operazione finanziaria sono il capitale, gli interessi e il tempo. Dovrebbe essere ormai chiaro, da quanto illustrato ai 1.3 e 3.3. (in particolare punti C, E, F), che "Conoscere però solo queste componenti non è sufficiente a definire matematicamente un'operazione finanziaria. Infatti, poiché gli interessi vengono calcolati come parte percentuale (data dal tasso d'interesse) del capitale rispetto a una durata temporale, è necessario specificare "in che modo" gli interessi vengono calcolati sul capitale rispetto al tempo. Difatti, esistono due modalità principali di applicazione degli interessi su un capitale, comunemente note come regime semplice e composto degli interessi. Nel regime semplice degli interessi la maggiorazione per interesse non contribuisce a formare gli interessi per gli istanti di tempo successivi e, quindi, non prevede la capitalizzazione degli interessi. In tal caso, cioè, l'interesse è calcolato solamente sul capitale investito e proporzionalmente al capitale stesso e al tempo d'impiego. Nel regime composto degli interessi la maggiorazione per interesse contribuisce, invece, alla formazione dell'interesse per gli istanti di tempo successivi e, quindi, prevede la capitalizzazione degli interessi". Tale definizione dei due regimi è nota in letteratura (si vedano, ad esempio: P. (...), Matematica Finanziaria, Le Monnier, Firenze, 1954; L. E., Corso di Matematica Finanziaria, La Goliardica, Milano, 1959; Ottaviani G., Lezioni di Matematica Finanziaria, Veschi, Roma, 1988; Moriconi F., Matematica Finanziaria, il Mulino, Bologna, 1994). Si tratta peraltro di concetti risalenti: già (...) nel 1695 in A Compendium of Algebra (citato al 1.3) aveva precisato a pag. 133 che "Tutti i calcoli in interesse semplice sono basati su una serie di termini in progressione aritmetica" (aggiungendo poi in The Young Mathematician's Guide, a pag. 246, che "L'interesse semplice è ciò che è pagato per il prestito di qualsiasi capitale o somma di denaro, prestati per un certo tempo, ad un determinato tasso percentuale") ed aveva definito a pag. 159 l'interesse composto "in ciò che è prodotto da ogni capitale e dal suo interesse messi assieme, non appena l'interesse di quel capitale diventa dovuto: cioè, ad ogni pagamento, o piuttosto nei tempi in cui i pagamenti diventano dovuti, viene ancora creato un nuovo capitale dall'incremento dell'interesse che matura; e perciò è chiamato interesse su interesse o interesse composto: il quale è basato su una serie di proporzioni geometriche continue". Le differenze tra i piani di ammortamento in capitalizzazione composta (d'ora in avanti CC) e in capitalizzazione semplice (d'ora in avanti CS, ricordando, laddove non precisato, che ci si riferisce alla CS con epoca di equivalenza finale, come indicato al 3.3 punto F), a parte l'utilizzazione delle formule relative ai due regimi, riguardano: - l'epoca di verifica dell'equità dell'operazione finanziaria: il tempo iniziale o quello finale (o qualsiasi altro), nel caso di adozione del regime finanziario della CC; necessariamente il tempo finale n. nel caso di adozione del regime finanziario della CS, - il calcolo in CS delle quote interesse in forma attualizzata (valore attuale per l'intervallo di tempo intercorrente tra l'epoca di pagamento della rata e il tempo finale). Sostanzialmente in entrambi i regimi finanziari (CC e CS) le quote interessi si calcolano, effettuando il prodotto tra il debito residuo relativo al termine del periodo precedente e il tasso di interesse periodale, la differenza risiede nel tempo di loro pagamento: - nel regime c.c. il pagamento di ciascuna quota interessi deve essere effettuato contestuale al suo calcolo, in corrispondenza temporale alla scadenza di ciascuna rata, - nel regime CS il pagamento delle varie quote interessi dovrebbe essere, al contrario, effettuato al tempo finale dell'operazione finanziaria, oppure, in corrispondenza alla scadenza di ciascuna rata, in termini finanziariamente equivalenti, effettuando la giusta attualizzazione (ovviamente, nel regime CS): è questo il motivo della presenza del fattore di attualizzazione nella formula della quota interesse nell'ammortamento stilato nel regime CS. I risultati dei calcoli effettuati con le distinte leggi di c.c. e CS hanno quindi un diverso impatto in termini patrimoniali sull'operazione di scambio, che è da ricondurre al principio di equità (o equivalenza), del quale è stata anticipata una sintetica trattazione al 3.3 punto E. "In matematica finanziaria, è noto che l'operazione di attualizzazione può essere effettuata in regime composto o in regime semplice degli interessi. Pertanto, anche il principio di equità potrà essere applicato in regime composto degli interessi, oppure, in regime semplice degli interessi comportando, a parità di tasso, di durata e di somma prestata (cioè a parità di condizioni), due risultati differenti dello scambio", uno dei quali (quello in CC) più favorevole alla parte che presta, dato che "... il pagamento della quota interessi al tempo di scadenza della rata permette l'impiego di tale importo fino alla scadenza naturale del mutuo, generando la sua capitalizzazione...". Perciò, ferma restando la contabilizzazione delle quote interesse alle scadenze delle rate, in regime di c.c. il pagamento delle quote interessi alle singole scadenze equivale finanziariamente al pagamento del loro montante alla scadenza finale del mutuo, per cui pagare contestualmente vuol dire capitalizzare; mentre in regime di capitalizzazione semplice il pagamento delle quote interessi alla scadenza del mutuo equivale finanziariamente al loro pagamento in forma attualizzata alle singole scadenze (pagare alla fine, ossia pagare contestualmente in forma attualizzata, vuol dire non capitalizzare). Ciò posto, è fondamentale osservare che "il valor attuale, all'istante iniziale del prestito, di tutte le annualità previste dal piano di ammortamento, calcolato nel regime dell'interesse composto e in base al tasso i di remunerazione del prestito, coincide con l'ammontare C del capitale prestato" (da cui segue che "... se il debitore riesce ad impiegare al tasso i il capitale C avuto in prestito, egli ritrae dall'investimento esattamente quanto gli serve per onorare il piano di ammortamento, e chiude l'operazione in pareggio"). Dal momento che le rate attualizzate devono coincidere con il capitale finanziato, ne consegue che la rata costante da pagare per estinguere il debito nel termine pattuito e con la periodicità concordata è pari al rapporto tra il capitale mutuato e il valore attuale. Il C.T.U. ha riconosciuto che nei due contratti oggetto di causa "... la formula della capitalizzazione composta è stata impiegata al fine di determinare l'importo della rata costante del piano di ammortamento" (v. pag. 16). In base ai dati contenuti nelle pattuizioni contrattuali (importo finanziato, tasso di interesse e tempo di restituzione) di entrambi i mutui, la rata calcolata in c.c. ammonta precisamente a Lire 8.661.434,898 (in contratto arrotondata a Lire 8.661.435) per il primo mutuo e ad Euro 9.673,964 (in contratto arrotondata ad Euro 9.673,97) per il secondo mutuo. Infatti: - applicando la formula per cui l'importo della rata è dato dal rapporto tra la somma mutuata e il valore attuale di una rendita unitaria posticipata Omissis - e tenendo presente che, in mancanza di una day-count convention, si deve avere riguardo ai giorni effettivi e all'anno solare, per cui il tasso periodale varia a seconda del numero dei giorni tra una scadenza e l'altra, essendo pari 1 mutuo Omissis 2 mutuo Omissis la condizione di equità è rispettata se si ottiene l'importo finanziato S moltiplicando la rata per il valore attuale, che, in questo caso, è calcolato sommando i valori attuali risultanti dalla produttoria dei tassi e precisamente in base alla seguente formula: Omissis I valori attuali dei due mutui sono dunque i seguenti: per il 1 mutuo 109,681595627793 (v. più oltre tabella A parte 1): per il 2 mutuo 124,044287891117 (v. più oltre tabella C parte 1), per cui le rate risultano: R1mutuo = 950.000.000 / 109,681595627793 = 8.661.434,90 (arrot. al 2 decimale) R2mutuo = 1 200.000,00 / 124,044287891117 = 9.673,96 (arrot. al 2 decimale) La rata calcolata in CS.f è pari a Lire 7.760.086,48 per il primo mutuo e ad Euro 9.178,64 per il secondo. Infatti, applicando la formula Omissis che è sempre pari al risultato del rapporto tra la somma mutuata e il valore attuale (del montante) di una rendita unitaria posticipata, dove il valore attuale è dato da Omissis e nella specie per il 1 mutuo è pari a Omissis R1mutuo = 950.000.000 / 122,421316032 = 7.760.086,48 (arrot. al 2 decimale) R2mutuo = 1.200.000,00 / 130,738385894 = 9.178,64 (arrot. al 2 decimale) Posto che per la condizione di chiusura elementare (v. 3.3. punto E) il piano c.d. alla francese deve consentire il pagamento di tutto il capitale mutuato, qualunque sia la legge finanziaria adoperata (quindi la somma di tutte le quote capitale deve restituire il capitale mutuato, ossia Lire 950.000.000 ed Euro 1.200.000,00), ne discende che la differenza in termini economici dei due distinti piani risiede nel diverso ammontare degli interessi, per cui è evidente che (a parità di somma prestata, tasso di interesse e durata dell'operazione) il piano redatto in base alla rata calcolata in c.c. è più oneroso di quello costruito con una rata determinata in CS, poiché gli interessi complessivi ammontano a Lit 401,183.844,03 (1 mutuo) ed Euro 309.138,41 (2 mutuo) in c.c. e a Lire 260.573.490,32 (1 mutuo) ed Euro 231.867,15 (2 mutuo) in CS.f., come emerge dalle pedisseque tabelle (le tabelle A e C sono state divise in due parti per ragioni di spazio). Mutuo 11.2.2000 - piano di ammortamento in capitalizzazione composta (tabella A - parte 1) Omissis Mutuo 11.2.2000 - piano di ammortamento in capitalizzazione composta (tabella A - parte 2) Omissis Mutuo 11.2.2000 - piano di ammortamento in capitalizzazione semplice equilibrio finale (tabella B) Omissis Mutuo 12.9.2003 - piano di ammortamento in capitalizzazione composta (tabella C - parte 1) Omissis Mutuo 12.9.2003 - piano di ammortamento in capitalizzazione composta (tabella C - parte 2) Omissis Mutuo 12.9.2003 - piano di ammortamento in capitalizzazione semplice equilibrio finale (tabella D) Omissis Le rate calcolate in c.c. hanno dunque un costo superiore per interessi rispetto a quelle ottenute applicando il regime finanziario di CS: Omissis 5 - L'onere occulto rilevante al fine del calcolo del TEG E' stato dimostrato al paragrafo precedente che, in concreto, il regime composto, utilizzato nella specie per il calcolo delle rate costanti dei due mutui, genera per la parte mutuataria un significativo maggior onere, in termini di interessi, rispetto a quello semplice. Da ciò la questione, sollevata in dottrina già da alcuni tempi, se l'incremento del monte interessi determinato dall'impiego del regime composto per il calcolo della rata sia da considerare tra i costi del mutuo rilevanti ai fini del calcolo del T.E.G.. In una recente sentenza del Tribunale di Roma, è stato ritenuto - in adesione alla seconda C.T.U. esperita in quel giudizio - che "... alla stregua di una corretta interpretazione della norma di cui all'art. 644, IV co., c.p., ... tra i costi, le commissioni e le spese direttamente collegate all'erogazione del finanziamento vada incluso anche il costo occulto a carico del mutuatario, insito nel regime di capitalizzazione composta nella redazione del piano di ammortamento (alla francese) ...". A tale conclusione il giudice è pervenuto nonostante abbia rilevato "il problema della necessità di un'espressa approvazione, da parte del mutuatario, del regime finanziario composto in sostituzione di quello semplice, ovvero se tale regime possa ritenersi tacitamente approvato dal mutuatario una volta conosciuto l'importo delle rate costanti attraverso le quali dovrà avvenire il rimborso graduale dei capitale e degli interessi corrispettivi". Tale questione è stata infatti risolta nel senso che si prescinde "... dall'accettazione, esplicita o implicita, del regime di capitalizzazione composta degli interessi da parte dei mutuatario, posto comunque a conoscenza dell'ammontare complessivo delle rate da pagare per il rimborso graduale del finanziamento", poiché "... anche in caso di accettazione da parte del mutuatario del regime finanziario di capitalizzazione composta, il predetto costo implicito andrebbe comunque computato ai fini del calcolo del tasso effettivo globale annuo (TEG), al pari di tutti gli altri costi, spese e remunerazioni collegate al finanziamento, incluso il vero e proprio effetto anatocistico di cui all'art. 1283 c.c.". La rilevanza al fine della determinazione del T.E.G. dell'onere occulto generato dal regime finanziario composto di calcolo delle rate era stata in precedenza già riconosciuta, con dovizia di argomentazioni, dal Tribunale di Massa. Anche la Corte d'Appello di Bari ha evidenziato che la previsione contrattuale relativa al tasso di interesse, espresso dal T.A.N., è "... insufficiente a determinare il monte interessi (espressione del prezzo effettivo del finanziamento) in caso di adozione - non dichiarata in contratto - del regime di capitalizzazione composta", aggiungendo la rilevanza dei costi occulti, costituiti "... in difetto di pattuizione scritta del regime finanziario adottato per il calcolo degli interessi, il "differenziale di costo" implicato dall'impiego della capitalizzazione composta in luogo di quella semplice". In sostanza, l'applicazione del T.A.N. indicato in un contratto senza alcuna specificazione del regime finanziario adottato determina una sottostima dell'onere posto a carico del cliente, per il quale è impossibile percepire la diversa ed effettiva dimensione dell'ammontare complessivo degli interessi che viene generato dall'utilizzo del regime composto rispetto al regime in semplice. Anzi, il mutuatario medio, non è nemmeno a conoscenza della possibilità di ottenere una rata di diverso importo a seconda del regime finanziario, poiché tale informazione gli viene sottaciuta. Quindi, l'ammontare della rata e il piano di ammortamento dal quale ricavare gli interessi non sono coerenti con gli elementi della pattuizione e di conseguenza non possono costituire un'integrazione della volontà contrattuale, la quale - relativamente al tasso - si fonda unicamente sul T.A.N. che però (in caso di progettazione dell'ammortamento in regime composto) fornisce una misura sottodimensionata del costo dell'operazione. Ma quand'anche dovesse ritenersi che l'enunciazione in contratto dell'importo della rata comporti l'accettazione, anche solo implicita, del regime finanziario dell'interesse composto (il che evidentemente non può essere in mancanza di informativa circa regimi alternativi ed effetti degli stessi sul costo del mutuo), ciò non avrebbe alcun rilievo, posto che la pattuizione non può essere uno strumento per aggirare la norma imperativa di cui all'art. 644 c.p., tanto più in quanto sia il T.E.G.M. sia il tasso soglia per il periodo interessato sono noti alla banca perché pubblicati anticipatamente in Gazzetta Ufficiale. Chiarito ciò, occorre ora determinare in concreto l'incidenza sul T.E.G. dell'onere implicito relativo al differenziale di regime finanziario. Una volta effettuata la stesura dei due piani di ammortamento nel regime della capitalizzazione composta e nel regime della capitalizzazione semplice (v. 4) e tenuto conto della formula proposta dalla Banca d'Italia per il calcolo del T.E.G., occorre calcolare l'onere implicito relativo al differenziale di regime tra capitalizzazione composta e semplice (CCCS), pari al valore attuale della rata calcolato in capitalizzazione composta, moltiplicato per la rata semplice, così da ottenere l'importo, al quale è già stato sottratto l'onere implicito e occulto, derivante dalla capitalizzazione composta, ovvero moltiplicando la differenza della rata per il valore attuale, calcolato in regime composto, così da ottenere l'importo dell'onere occulto e implicito. Mutuo dell'11.2.2000 La differenza tra il valore della rata in c.c. di tabella A (Lit. 8.661.434,90) e quello della rata in CS.f di tabella B (Lit. 7.760.086,48) è pari a Lire 901.348,42. Poiché il valore attuale in c.c. è pari a 109,681595627793 (v. tabella A), l'onere occulto ammonta a Lire 98.861.332,9221901 (= differenza tra la rata in c.c. e la rata in CS.f moltiplicata per il valore attuale in CC). Considerato l'onere occulto (Lit. 98.861.332,92), le spese di istruttoria (Lit. 750.000) e le spese di incasso rata (Lit. 5.000 - 156 = 780.000), si ottiene un erogato netto di Lire 849.608.667,08 dal quale ricavare il tasso che rende in equivalenza finanziaria i flussi (erogato e rate a rimborso). Poiché i tassi periodali variano in ragione del numero effettivo di giorni tra una scadenza e l'altra, dunque non vi è un valore costante, per il calcolo del tasso ricercato occorre ricorrere alla funzione "TIR.X" presente in comuni programmi di calcolo (LibreOffice Calc; Microsoft Excel), che - utilizzando una tecnica matematica iterativa - restituisce il tasso di rendimento interno di una serie di pagamenti (ad es. le rate di un mutuo), qualora nel calcolo del valore attuale si usi il divisore giorni/365, così da ottenere la somma erogata, ponendo di dover risolvere l'attualizzazione in regime composto. Il metodo iterativo è necessitato dal fatto che non è possibile ottenere una soluzione algebrica per equazioni superiori al quarto grado per il teorema di Abel Ruffini. Gli argomenti della sintassi della funzione TIR.X sono i seguenti: - valori obbligatorio: serie di flussi di cassa che corrispondono a scadenze di pagamento. Il primo pagamento è facoltativo e corrisponde a un costo o a un pagamento che avviene all'inizio dell'investimento. Se il primo valore è un costo o un pagamento, questo dovrà essere un valore negativo. Tutti i pagamenti successivi vengono scontati secondo una base annua di 365 giorni. E' necessario che la serie di valori contenga almeno un valore positivo e uno negativo. - date pagam obbligatorio: scadenze di pagamento che corrispondono ai pagamenti dei flussi di cassa. Le date possono essere in qualsiasi ordine. Le date devono essere immesse usando la funzione DATA o devono essere il risultato di altre formule o funzioni. Quanto alla formula, l'help di excel indica la seguente: Omissis dove: - di = i-esima, o ultima, data di pagamento. - d1 = 0-esima data di pagamento. - Pi = i-esimo, o ultimo, pagamento. Omissis Il tasso che ne risulta è pari a 8,03478692209241% e dunque è superiore alla soglia di usura, indicata dal C.T.U. nell'8,01% (v. pag. 14 e allegato 6). Mutuo del 12.9.2003 La differenza tra il valore della rata in c.c. di tabella C (Euro 9.673,96) e quello della rata in CS.f di tabella D (Euro 9.178,64) è pari a Euro 495,32. Poiché il valore attuale in c.c. è pari a 124,044287891117 (v. tabella C), l'onere occulto ammonta a Euro 61.441,616678228 (= differenza tra la rata in c.c. e la rata in CS.f moltiplicata per il valore attuale in CC). Considerato l'onere occulto (Euro 61.441,616678228), le spese di istruttoria (Euro 744,69) e le spese di incasso rata (Euro 2,58 - 156 = 402,48), si ottiene un erogato netto di Euro 1.137.411,21332177. Utilizzando la funzione TIR.X si ottiene un tasso pari a 4,6461823193503%, inferiore alla soglia di usura, indicata dal C.T.U. nel 6,795% (v. pag. 14 e allegato 7). Omissis 6 - L'indeterminatezza dell'oggetto del contratto relativamente alla pattuizione dei criteri per il rimborso del debito Il contratto di mutuo del 12.9.2003, risultato non usurario, va esaminato sotto il profilo della (in)determinatezza, come da domanda dell'attrice. In nessuna delle pattuizioni contrattuali è precisata la regola di calcolo della rata (ossia il regime finanziario) e, in difetto di tale indicazione, è arbitraria e unilaterale la decisione della banca (che rimane occulta nonostante l'esplicitazione dell'importo della rata) di utilizzare il regime finanziario composto, che genera un incremento esponenziale degli interessi, senza che ciò sia stato convenuto. Precisa il L. : "E' evidente che la semplice indicazione del tasso non basta per calcolare l'interesse complessivo, o il montante. Occorre anche dire come il tasso debba essere utilizzato, cioè indicare il procedimento in base al quale eseguire il calcolo. Esistono diversi procedimenti per il calcolo del montante e si dice che ciascun procedimento di calcolo del montante costituisce un regime d'interesse. Nella pratica finanziaria sono particolarmente importanti a) il regime dell'interesse semplice, b) il regime dell'interesse composto". Nella specie, a parità di importo erogato, numero di rate e T.A.N. (3,65%), l'utilizzo del regime di c.c. ha determinato una rata costante di Euro 9.673,96, mentre in CS.f l'importo della rata è di Euro 9.178,64. E' quindi pacifico che se con lo stesso tasso si ottengono rate di importo diverso (superiore nel regime di CC), per avere la medesima rata nei due regimi sarà necessario applicare tassi diversi (superiore nel regime di CS). Tuttavia non è mai stato oggetto di accordo che le rate (sia la prima il cui tasso era già noto, sia le successive indicizzate come da contratto) fossero da determinare secondo un metodo il cui risultato è quello di aumentare l'importo degli interessi e quindi di far emergere un tasso annuo effettivo superiore a quello risultante dalle clausole contrattuali, né che l'interesse dovesse essere calcolato sul debito residuo, condizione essenziale della CC. D'altra parte, il piano di ammortamento allegato al contratto di mutuo non risulta essere stato sottoscritto dalle parti, sicché non occorre nemmeno argomentare circa l'irrilevanza dello stesso ad integrare la volontà contrattuale. In dottrina è stato affermato che "... il monte interessi, corrispondente all'effettivo esborso, è dipendente, oltre che dal TAN, dal regime impiegato; questo peculiare aspetto rimane facilmente sottratto all'attenzione dell'operatore retail che associa al TAN la misura del prezzo". Poiché gli interessi prodotti dall'utilizzo dell'ammortamento alla francese sono superiori (in quanto risentono della capitalizzazione insita nella formula strutturata sulla produzione di interessi in misura esponenziale), sarebbe sufficiente, ai fini della determinatezza, che fosse indicata in contratto l'aliquota (più alta) corrispondente agli interessi espressi in regime semplice, che chiarirebbe qual è l'effettivo prezzo (limitatamente al tasso) del contratto. In sostanza, un T.A.N. in regime composto e l'equivalente T.A.N. in regime semplice "conduce al medesimo risultato economico, ma solo quest'ultimo costituisce l'effettivo prezzo, espressione economica del costo in ragione d'anno al quale va incontro il mutuatario". Di fatto, l'applicazione del tasso nominale annuo convenuto in contratto senza alcuna specificazione del regime di calcolo dell'interesse determina una sottostima dell'onere posto a carico del mutuatario, al quale, come è stato aggiunto dalla medesima dottrina, "... per lo più sfugge la dinamica esponenziale del tasso composto: intuitivamente non è così facile, anche per soggetti culturalmente emancipati ma non specializzati nella materia, percepire e acquisire consapevolezza della diversa dimensione del monte interessi che si viene a creare in un finanziamento a tasso composto rispetto ad un finanziamento a tasso semplice. D'altra parte, come accennato, il prezzo del finanziamento, più che dal tasso, è propriamente espresso dall'ammontare degli interessi corrisposti e questi ultimi dipendono anche dal regime finanziario adottato, congiuntamente alla frequenza temporale dei termini di pagamento". In dottrina è stato anche osservato che "... il monte interessi maggiorato, riveniente dalla rata costante determinata in regime composto, è indipendente dal criterio di imputazione (a capitale e interessi) della rata, in quanto nel regime composto è il montante ad ogni scadenza, dedotto l'importo della rata, ad essere produttivo di interessi" (in tal modo gli interessi risultano pagati anticipatamente rispetto alla scadenza del capitale e al tempo stesso il monte interessi permane maggiorato nel valore esponenziale della capitalizzazione composta). E' perciò consequenziale ritenere che le clausole inerenti il calcolo degli interessi nel contratto in questione non siano determinate, posto che ad un medesimo T.A.N. possono corrispondere monti interessi di diversa entità a seconda del regime finanziario adottato. Poiché per un medesimo tasso espresso dal TAN, l'ammontare degli interessi varia apprezzabilmente in funzione dei patti che regolano le modalità di produzione e pagamento, il prezzo del finanziamento può risultare, per l'operatore economico, formalmente inespresso e indeterminato. La legge matematica che regola la determinazione dell'oggetto del contratto rimane celata nell'implicito calcolo della rata, ponendo per altro un problema di rispetto dell'art. 1284 c.c. Se il medesimo TAN può dare luogo a due distinte e diverse prestazioni, senza l'esatta identificazione del regime finanziario adottato che consenta di "eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto", viene meno il requisito di determinabilità imposto dall'art. 1284 c.c. (sulla validità della clausola determinativa degli interessi corrispettivi stipulata ex art. 1284 c.c., cfr Cass. n. 25205/2014; conf. Cass. n. 8028/2018). Di recente la S.C. (sentenza n. 12889/2021) ha evidenziato l'importanza della trasparenza riguardante i termini economici dell'operazione, poiché una sua opacità non consentirebbe all'utilizzatore di conoscerne l'effettivo costo (trasparente è solo il contratto corredato di clausole la cui giustificazione economica risulti comprensibile, per cui l'opacità riguarda il costo totale del credito, da cui l'incidenza sull'equilibrio economico del contratto). La volontà viene formata sul tasso indicato in contratto (mero T.A.N.), ma non è oggetto di accordo che le rate siano da determinare secondo un metodo il cui risultato è quello di aumentare l'importo degli interessi e quindi di far emergere un tasso annuo effettivo superiore a quello risultante dalle clausole contrattuali. Secondo Cass. n. 8028/2018 (relativa ad un caso di regime ante L. n. 154 del 1992), perché una clausola di determinazione degli interessi corrispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia valida ex art. 1346 c.c., è sufficiente che contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso; il tasso deve essere desumibile dal contratto con l'ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o discrezionalità in capo alla mutuante. Cass. n. 17110/2019, sebbene ammetta che il tasso può essere determinato per relationem (escluso il rinvio agli usi), precisa che però in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dall'istituto; chiarisce inoltre che al caso della mancata pattuizione va equiparato quello in cui il tasso sia indicato in contratto ma porti ad un ammontare del costo dell'operazione che varia in funzione dei patti che regolano le modalità di pagamento, sì da ritenere che il prezzo dell'operazione risulti nella sostanza inespresso e indeterminato oltre che non corrispondente a quello sul quale si è formata la volontà del cliente. Da quanto sopra discende la violazione dell'art. 1284, comma 3, c.c., perché non può affermarsi la conformità a detta norma del criterio di determinazione degli interessi (nella specie ultralegali) indicato in contratto, che produce effetti invalidanti anche sulla volontà contrattuale del mutuatario in merito alla relativa clausola, poiché - come espresso dalla S.C. - se le difficoltà di calcolo non rilevano, i criteri di calcolo devono però essere riportati con esattezza in contratto. Perciò la clausola relativa al tasso di interesse contenuta nel mutuo, da un punto di vista giuridico, non soddisfa il requisito della determinatezza o determinabilità del suo oggetto, richiesto a pena di nullità dalla disciplina dei contratti ex artt. 1418, 1346 c.c., come costantemente affermato, in materia di mutuo, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, ad esempio, Cass. n. 12276/2010, secondo la quale "affinché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1284, terzo comma, cod. civ., che è norma imperativa, deve avere forma scritta ed un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse"). 7 - Conseguenze delle illegittimità accertate 7.1 Mutuo dell'11.2.2000 All'usurarietà consegue la gratuità del mutuo ex art. 1815 c.c. e l'obbligo per la convenuta di restituire quanto ha percepito per interessi illegittimi, dunque non dovuti. Tale importo ammonta a complessivi Euro 152.781,24, come risulta dalla somma delle quote interessi delle rate corrisposte dalla mutuataria riportate nel doc. n. 14 prodotto dalla difesa della banca (importo confermato tra l'altro dal C.T.U. nei conteggi contenuti nell'allegato 3 all'integrazione di perizia). L'art. 2033 c.c. prevede inoltre che il soggetto che ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto anche ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (anche stragiudiziale di costituzione in mora, come stabilito da Cass. S.U. n. 15985/2019). Per giurisprudenza pacifica, in tema di indebito oggettivo, la buona fede della parte che ha ricevuto il pagamento non dovuto è presunta per principio generale, sicché grava sul soggetto che ha effettuato il versamento l'onere di dimostrare la mala fede dell'accipiens all'atto della ricezione della somma (cfr. Cass. n. 10815/2013), posto che ai sensi dell'art. 2033 c.c. rileva la nozione in senso soggettivo di buona fede, datane dall'art. 1147, comma 1, c.c. (cfr. Cass. n. 9865/1995, Cass. n. 8587/2004, Cass. n. 12211/2007, Cass. n. 5419/1996). Peraltro, nella specie, non si rinviene mala fede in capo alla banca convenuta, né la difesa dell'attrice ha argomentato sul punto. Gli interessi legali su Euro 152.781,24 decorrono quindi dalla data della costituzione in mora, effettuata con raccomandata del 19.12.2014 (v. doc. n. 3 prodotto dall'attrice). 7.2 Mutuo del 12.9.2003 Quanto alle conseguenze dell'indeterminatezza, è stato affermato da Cass. n. 1189/2003: "E' giurisprudenza costante di legittimità che l'estensione all'intero contratto della nullità delle singole clausole o del singolo patto, secondo la previsione dell'art. 1419 c.c., ha carattere eccezionale perché deroga al principio della conservazione del contratto e può essere dichiarata dal giudice solo in presenza di un'eccezione della parte che vi abbia interesse, perché senza quella clausola non avrebbe stipulato il contratto (Cass. 3 febbraio 1995 n. 1306)". Cass. n. 16017/2008, sulla stessa linea, ha precisato: "Questa Corte ha ritenuto che l'effetto estensivo della nullità della singola clausola o del singolo patto all'intero contratto, avendo carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione, non può essere dichiarato d'ufficio dal giudice ed è onere della parte che assume l'anzidetto estensione di allegare tempestivamente, e di provare con ogni mezzo idoneo, l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dal patto inficiato da nullità (Cass. 11.8.1980, n. 4921)". In nessun punto delle difese dell'attrice si eccepisce che senza la clausola, affermata e poi risultata nulla, la mutuataria non avrebbe stipulato il contratto; di conseguenza opera la sostituzione delle clausole nulle ai sensi dell'art. 1419, comma 2, c.c., e quindi - ai sensi del terzo comma dell'art. 1284 c.c. - l'applicazione del tasso di interesse legale in luogo di quello ultralegale. Peraltro, in difetto di specificazione del regime finanziario, dovrà applicarsi quello in CS, essendo l'unico in linea con il disposto dell'art. 821 c.c.. Sul punto, si veda quanto ampiamente spiegato da (...), (...), (...), (...), (...), PROVENZANO (...) (a cura di), Anatocismo ed usura nei mutui - Profili civilistici: alla ricerca di un linguaggio comune tra matematica e diritto, pagg. 10 e segg., su www.ilcaso.it.: "... è la proprietà di proporzionalità a distinguere il regime dell'interesse semplice ... Tate criterio di proporzionalità, si trova specificato nell'art.821 del codice civile: "I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto" ed è stato più volte richiamato nelle sentenze di Cassazione Civile del 27/01/1964 n. 191, di Cassazione Civile del 25/10/1972 n. 3224, di Cassazione Civile del 23/11/1974 n. 3797 e di Cassazione Civile Sez. Tributaria del 07/10/2011 n. 20600, che presentano, tutte, stessa massima: "trova applicazione il principio generale in base al quale, ove occorra determinare, sulla base di un saggio di interesse stabilito in ragione di anno, l'importo degli interessi per un periodo inferiore, bisogna dividere l'ammontare degli interessi annuali per il numero di giorni che compongono l'anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare (art. 821 terzo comma cod civ)". In questo senso, il fatto che l'ammontare degli interessi per un periodo infrannuale sia direttamente proporzionale al numero di giorni da considerare rispetto ai giorni dell'anno, dà la certezza che il regime a cui si riferiscono le sentenze è quello semplice e non può essere quello composto. Infatti, solo nel regime semplice questo criterio di diretta proporzionalità è garantito, mentre nel regime composto ciò non avviene". Elementi per il calcolo della rata in CS.f: importo mutuato: 1.200.000,00 n. rate: 156 - tasso legale (1.1.2002-31.12.2003): 3% tasso periodale: 0,0025 s(ni) = 156 - (1 + 0,0025 -(156 - 1)/2) = 186,225 a(ni) = 186,225 /(1 + 156 - 0,0025) = 133,974820144 rata fino a dicembre 2003 = 1.200.000 / 133,974820144 = 8.956,90696738 arrot. 8.956,91 - tasso legale (1.1.2004-31.12.2007): 2,5% tasso periodale: 0,00208 s(ni)= 156 - (1 +0,00208 - (156 - 1)/2) = 181,1472 a(ni) = 181,1472/(1 + 156 - 0,00208)= 136,768543126359 rata fino a maggio 2007 = 1.200.000 / 136,768543126359 = 8.773,94737539415 arrot. 8.773,95 La somma complessivamente pagata dall'attrice risulta dal doc. n. 15 prodotto dalla convenuta. Alla data di estinzione anticipata (29.7.2007) l'attrice ha corrisposto complessivi Euro 923.741,53, di cui Euro 2.317,44 per interessi ed Euro 921.424,09 per capitale residuo. Tuttavia, in base al nuovo piano di ammortamento, il capitale residuo dopo il pagamento della rata del 12.5.2007 ammontava ad Euro 889.405,81 (e non Euro 921.424,09), per cui l'attrice al momento dell'estinzione anticipata ha versato il maggior importo di Euro 34.335,72 oltre Euro 2.317,44 per interessi, dunque complessivi Euro 36.653,16 non dovuti. Omissis In totale, quindi, all'attrice vanno restituiti Euro 82.670,14 relativamente al secondo mutuo. Su detta somma sono dovuti gli interessi legali con decorrenza dalla data della costituzione in mora, effettuata con raccomandata del 19.12.2014 (v. doc. n. 4 prodotto dall'attrice). 8 - Le spese di lite Parte attrice deve ritenersi totalmente vittoriosa, in conseguenza dell'accoglimento per un mutuo della domanda principale e per l'altro mutuo della domanda subordinata. Il valore della controversia ammonta ad Euro 235.451,38 (= Euro 152.781,24 per il contratto dell'11.2.2000 + Euro 82.670,14 per il contratto del 12.9.2003). Stante la soccombenza e in virtù del principio di causalità, la convenuta dovrà quindi pagare al procuratore dell'attrice, dichiaratosi antistatario (v. conclusionale), le spese di lite, che - in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e tenuto conto che il valore della controversia secondo il criterio del decisum (cfr. Cass. n. 3903/2016) ammonta ad Euro 235.451,38 - vengono liquidate in complessivi Euro 14.671,00, di cui Euro 1.241,00 per contributo unificato e marca per diritti forfettizzati di copia, nonché Euro 13.430,00 per compensi (Euro 2.430,00 per la fase di studio, Euro 1.550,00 per la fase introduttiva, Euro 5.400,00 per la fase istruttoria ed Euro 4.050,00 per la fase decisionale), oltre al rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge. Nulla a titolo di rimborso delle spese delle perizie allegate all'atto di citazione, in quanto i numeri identificativi dei rapporti periziati indicati nella fattura doc. n. 6 non corrispondono a quelli oggetto del presente giudizio. Pone a carico della convenuta le spese di C.T.U. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa o assorbita: 1) dichiara la nullità per pattuizione di interessi superiori al tasso soglia di usura nel contratto di mutuo ipotecario in data (...) a rogito del Notaio (...) rep. n. (...) racc. n. (...) stipulato da (...) con Banca (...) L. e per l'effetto condanna Banca (...), già Banca (...) (...) al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 152.781,24 ex art. 1815, comma 2, c.c. a titolo di restituzione degli interessi pagati e non dovuti; oltre agli interessi legali su detta somma dal 19.12.2014 al saldo effettivo; 2) dichiara la nullità ex art. 1284, comma 3, c.c., per indeterminatezza della pattuizione inerente il calcolo degli interessi contenuta nel contratto di mutuo fondiario in data (...) a rogito del Notaio (...) rep. n. (...) racc. n. (...) stipulato da (...) con Banca (...) e per l'effetto condanna Banca (...) già Banca (...) al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 82.670,14 a titolo di restituzione degli interessi pagati in eccesso; oltre agli interessi legali su detta somma dal 19.12.2014 al saldo effettivo; 3) condanna Banca (...), già Banca (...), a pagare all'avv. (...) dichiaratosi le spese legali della presente causa, liquidate in complessivi Euro 14.671,00, oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge; 4) pone a carico di Banca (...), già Banca (...), le spese di C.T.U. Così deciso in Cremona l'8 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CREMONA Il G.O.P di Cremona, dott.ssa Tiziana Lucini Paioni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile R.G. n. 277/2019 del Ruolo Gen. Affari Controv - locazioni promossa da: (...) S.r.l. di Cremona con sede legale in Cremona via (...) n. 20 Codice Fiscale (...), rappresentata e difesa dall'avv. Pi.Lo. INTIMANTE - OPPOSTO (...) S.r.l. P.IVA (...) con sede in Soresina via (...) 8 - rappresentata e difesa dall'avv. Nu.Co. INTIMATA - OPPONENTE CON LA CHIAMATA DEL TERZO (...) IN FALLIMENTO PIVA (...) con sede in Soresina via (...) - rappresentata e difesa dall'avv. Sa.Te. OGGETTO: RISOLUZIONE DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE ad uso commerciale La causa veniva posta in decisione all'udienza del 1 luglio 2021, sulle conclusioni formulate dalle parti nelle note conclusive depositate che si richiamano integralmente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione del 28/08/2018 l'Istituto (...) S.r.l. di Cremona intimava sfratto per morosità relativamente all'immobile sito in Soresina (CR) via (...), 6, condotto in locazione per uso diverso dall'abitazione dalla società (...) S.r.l. e per l'effetto citava la società conduttrice innanzi al Tribunale di Cremona per l'udienza del 22.10.2018, per ivi sentir convalidare lo sfratto per morosità e, in caso di opposizione, sentir emettere ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c.. La società (...) S.r.l. si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta, opponendosi alla convalida dello sfratto per morosità e svolgendo domanda riconvenzionale. La convenuta contestava la sussistenza della legittimazione attiva del custode giudiziario, stante il fatto che concedente nella locazione fosse una procedura concorsuale di fallimento; sosteneva la infondatezza della domanda e denunciava la pericolosità del tetto dell'edificio locato per la presenza di amianto friabile e la sussistenza di infiltrazioni d'acqua piovana a causa di vizi nella copertura vizi costituente grave inadempienza della parte locatrice capaci di giustificare il mancato pagamento del canone. Il Giudice, con ordinanza riservata del 7/2/2019, disattendeva l'eccezione di difetto di legittimazione di (...) sollevata dall'opponente e contestualmente emetteva ordinanza provvisoria di rilascio fissando per l'esecuzione la data del 30/4/2019 e disponendo il mutamento di rito ex art. 447 bis e 667 bis c.p.c., assegnando alle parti il termine di 15 giorni per l'avvio della procedura di mediazione obbligatoria e rinviava la causa alla udienza del 6 giugno 2019 con termine per la integrazione di atti e documenti, fino al 20 aprile 2019 per l'intimante, fino al 20 maggio per l'intimato. Esperito il procedimento di mediazione obbligatoria con esito negativo, con memoria integrativa l'(...) S.r.l. chiedeva convalidarsi lo sfratto per morosità con vittoria di spese; dichiarare inammissibili, anche per mancato esperimento della mediazione, le domande riconvenzionali della controparte, e comunque respingerle in quanto infondate in fatto e in diritto. (...) S.r.l. con memoria integrativa 18.04.2019, formulava domande riconvenzionali di condanna dell'attrice ad eseguire opere di manutenzione all'immobile, a risarcire danni per Euro 20.000,00 per danni alla merce depositata nell'immobile "de quo" e di Euro 62.400,00 per mancato godimento dell'immobile; chiedeva altresì di accertare che i canoni non erano dovuti, per carenze dell'immobile; formulava infine domanda di autorizzazione alla chiamata in causa del Fallimento "(...)", affinché fosse condannato in solido con l'(...) S.r.l. a tutte le prestazioni oggetto di domande riconvenzionali. Autorizzata la chiamata del terzo, il rapporto processuale veniva esteso alla Curatela del fallimento "(...)", la quale si costituiva in giudizio con memoria depositata il 26.09.2019. Nel frattempo, in data 16.07.2019 aveva avuto luogo il rilascio spontaneo dell'immobile da parte del Sig. (...), legale rappresentante della società convenuta opponente, a mani dell'(...) Srl, custode giudiziario. Con ordinanza riservata del 23.12.2019 il GOP dichiara decaduto il terzo costituitosi FALLIMENTO (...) dalla domanda riconvenzionale proposta in assenza di richiesta di fissazione di nuova udienza ex art. l'art. 418 I co c.p.c. e rigettava l'eccezione dell'opponente di difetto di mediazione ritenuto che nel procedimento di cui al D.Lgs. 28/2010 "volto alla valorizzazione della possibilità delle parti di decidere del proprio conflitto, è da ritenersi valida la notifica della comunicazione di avvio mediazione effettuata direttamente al domicilio della controparte anziché al difensore. Il D.lgs. 28/2010, infatti, non prevede in alcuna sua parte la possibilità di notificare la domanda al procuratore costituito, essendo necessario che l'atto sia portato a conoscenza della parte. Il Giudice, dichiarata l'inammissibilità di domanda riconvenzionale (riconventio riconventionis) del terzo chiamato, ammetteva alcune delle prove orali dedotte da convenuto e terzo chiamato, procedeva all'assunzione dei testi dedotti ed ammessi e ad istruttoria esaurita rinviava per discussione all'udienza del 1 luglio 2021, con termine alle parti per il deposito di note conclusive. MOTIVI DELLA DECISIONE In via preliminare, infondata è l'eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo a (...) S.r.l. sollevata dall'opponente. Infatti, il custode dei beni pignorati è investito della titolarità di un ufficio al quale la legge attribuisce la funzione di conservare e amministrare i beni, fine per il quale può esercitare le situazioni soggettive di cui sono titolari i debitori in relazione al bene pignorato, assumendo la qualità di parte. Rientra pertanto nel potere del custode - titolare dell'ufficio pubblico preposto all'amministrazione del bene pignorato - agire in giudizio per il pagamento dei canoni per il rilascio, per la liberazione del bene occupato abusivamente o senza titolo, per la convalida di sfratto per morosità o per finita locazione. Sussiste in capo al custode ((...)) ed al curatore fallimentare (dott. (...)) una concorrente legittimazione attiva a proporre intimazione di sfratto, tant'è che all'udienza tenutasi in data 12.3.2018 nella causa di esecuzione immobiliare RGE n. 258/15, avanti il GE dotto Valla, il Curatore fallimentare dott. (...) non si opponeva alla procedura di sfratto e che l'incarico fosse conferito al custode dei beni pignorati (...) e per l'effetto il Giudice dell'esecuzione autorizzava il custode (...) ad incaricare un legale di propria fiducia per porre in essere la procedura di sfratto per morosità nei confronti del locatore inadempiente (...) SRL. Per quanto concerne il merito della vertenza, incontestata è la morosità in capo ad (...) SRL. Il conduttore (...) S.r.l. imputa il mancato pagamento dei canoni locatizi alla presenza di gravi vizi che hanno impedito l'utilizzo dell'immobile locato per inidoneità strutturale, facendo venir meno il sinallagma contrattuale. In particolare, (...) S.r.l. lamenta il verificarsi di gravi e sistematici fenomeni infiltrativi d'acqua piovana dal tetto dell'edifico che hanno danneggiato macchinari, merci, mobili ed attrezzature per un ammontare complessivo di Euro 20 mila ed hanno provocato l'arresto di energia elettrica dei locali locati con sistematica interruzione delle attività aziendale e reso l'ambiente insalubre per la persistenza di umidità ambientale. Parte convenuta eccepisce altresì la presenza di amianto sia nell'area di magazzino che nella zona adibita ad ufficio che ha pregiudicato il corretto godimento dell'immobile, integrando la fattispecie di inadempimento contrattuale del locatore tale da giustificare l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 C.C.. Dalla documentazione agli atti e dalle risultanze istruttorie emerge: a) la contestazione in merito alle sistematiche infiltrazioni di acqua piovana dal tetto risulta alquanto generica e non circostanziata. Parte opponente non ha fornito indicazione delle date in cui si sono verificate le lamentate sistematiche infiltrazioni, non ha prodotto lettere di lamentela di tali infiltrazioni inviate nel corso del rapporto locatizio, né la prova dei danni subiti dai macchinari, attrezzature e merci. Difetta in ogni caso la prova della sistematicità delle infiltrazioni tale da impedire l'esercizio dell'attività ed il godimento dell'immobile. Anzi, ai solleciti di pagamento inviati da (...) via pec in data 23.1.2018 e 29.1.2018, (...) S.r.l. riconosceva il proprio debito, impegnandosi a sanare la morosità e nulla lamentava in merito ai pretesi vizi eccepiti in questa sede; b) in merito alla presenza di amianto: dall'escussione del teste di parte opponente Arch. (...) risulta che a seguito sopralluoghi ed analisi compiute il tecnico ha accertato la presenza nel fibrocemento del tetto dell'immobile locato di amianto "compatto", non sgretolato, e quindi non offensivo, ma da tener monitorato a cura della proprietà. Secondo la giurisprudenza consolidata, in tema di locazione," il conduttore non può astenersi dal versare il canone per aver il locatore celato la copertura in amianto del fabbricato nonché per non aver posto in essere gli interventi necessari a far cessare le infiltrazioni di acqua piovana, atteso che la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore (Corte di Cassazione Sez. Terza civile Sentenza n. 2099 del 29.01.2013). Infatti, la presenza di amianto nella struttura di un manufatto, di per sé stessa, non costituisce un vizio della cosa. Va infatti tenuto presente che - pur essendo la bonifica il rimedio più radicale - la normativa non vieta in assoluto la presenza di detto materiale in manufatti di realizzazione antecedente alla data di entrata in vigore della legge 257/92, ma si limita ad imporne, ove ricorrano i presupposti (quelli previsti dai decreti legislativi 277/91 e ora il decreto legislativo 257/2006), la valutazione costante del rischio e la gestione al punto di evitarne l'offensività o di contenerla, nei limiti accettabili previsti dal legislatore (in pratica il monitoraggio quando le condizioni dei manufatti in amianto sono buone o l'applicazione in altri casi di materiali quali solanti/vernici tali da impedire la dispersione di fibre nell'ambiente). Nel caso in esame, dalla documentazione agli atti e dalla testimonianza resa dal teste di parte opponente Arch. (...) non si ravvisa la pericolosità delle parti in amianto sotto l'aspetto del possibile rilascio di fibre, risultando l'amianto compatto e non sgretolato e quindi in questo caso la presenza di amianto non è certamente da qualificarsi come vizio sanzionabile con la risoluzione del contratto e con profili risarcitori importanti alla luce della carenza di offensività per la salute umana. La presenza di amianto in stato da non rappresentare un pericolo per la salute di chi utilizza l'immobile non può definirsi come un vizio della cosa locata, dunque anche se taciuto non fa scattare la corrispondente tutela in materia di vizi .e l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c._. Nel caso in esame non si ravvisa alcuna proporzionalità tra gli inadempimenti rispettivamente del conduttore e del locatore ed appare non conforme a lealtà e buona fede la condotta della conduttrice che ha sospeso il pagamento integrale dei canoni. Di tal guisa, nella condotta del conduttore di sospensione totale ed integrale del pagamento dei canoni non si ravvisa principio di correttezza e buona fede oggettiva ex artt. 1175e 1375 c.c.. E' evidente che detti criteri di buona fede e proporzionalità sinallagmatica che concretano il funzionamento dell'istituto di cui all'art. 1460 c.c. risultano traditi in assenza di pretesi inadempimenti del locatore, tali da non escludere un rilevante e serio godimento dell'immobile. La sospensione integrale del pagamento dei canoni da parte della soc. (...) S.r.l. costituisce quindi un grave inadempimento contrattuale tale da giustificare la risoluzione contrattuale per inadempimento del conduttore con conferma dell'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. del 7.2.2019. Del resto, come da verbale di restituzione dell'immobile prodotto agli atti, compiutamente sottoscritto dalle parti, risulta che in data 16.07.2019 è avvenuto il rilascio spontaneo dell'immobile da parte del Sig. (...), legale rappresentante della società convenuta opponente, a mani dell'(...) Srl, custode giudiziario. Nella relativa scrittura privata, parte conduttrice dava oltretutto atto di ritenere risolto il contratto di locazione relativo all'immobile. Pertanto, deve intendersi risolto tra le parti, il contratto di locazione ad uso commerciale stipulato tra (...) IN FALLIMENTO (parte locatrice) e (...) S.r.l. (parte conduttrice) in data 3.5.2013, registrato presso l'agenzia delle Entrate di Cremona U.T. Soresina al n. 000572 - serie 3 - Anno 2013. Risultando l'opposizione destituita di fondamento, per l'effetto le domande riconvenzionali di contenuto risarcitorio e diretta all'esecuzione in forma specifica degli obblighi di fare spiegate da (...) S.r.l. vanno rigettate, osservando peraltro che risultano inammissibili per mancato esperimento sul punto della relativa mediazione. Le spese seguono la soccombenza. Nella condotta processuale tenuta dall'opponente non si ravvisano i presupposti per la condanna del medesimo per lite temeraria ex art. 96 comma 3 c.p.c.. Pertanto, (...) va condannata alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) S.r.l. di Cremona che si liquidano, sia per la fase di sfratto che per la fase di conversione del rito, in complessive Euro 3.918,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese forfettarie al 15% e spese vive sostenute pari ad Euro 180.50 ed alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) IN FALLIMENTO che si liquidano in complessive Euro 2.738,00 per onorari, oltre iva, cpa e spese forfettarie al 15%. P.Q.M. Il G.O.P. definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra diversa istanza, eccezione, deduzione delle parti, così provvede: - accerta e dichiara la risoluzione del contratto di locazione ad uso commerciale stipulato tra (...) IN FALLIMENTO (parte locatrice) e (...) S.r.l. (parte conduttrice) in data 3.5.2013, registrato presso l'agenzia delle Entrate di Cremona (...) al n. 000572 - serie 3 - Anno 2013, per fatto e colpa di parte conduttrice (...) S.r.l. e per l'effetto conferma l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. del 7.2.2019, - condanna (...) S.r.l. alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) S.r.l. di Cremona che si liquidano, sia per la fase di sfratto che per la fase di conversione del rito, in complessive Euro 3.918,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese forfettarie al 15% e spese vive sostenute pari ad Euro 180.50; - condanna (...) S.r.l. alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) IN FALLIMENTO che si liquidano in complessive Euro 2.738,00 per onorari, oltre iva, cpa e spese forfettarie al 15%; - rigetta ogni ulteriore domanda delle parti. Deposito sentenza entro 30 giorni. Così deciso in Cremona l'1 luglio 2021. Depositata in Cancelleria il 22 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Andrea Milesi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1943/2018, cui è riunita la n. r.g. 39/2019, promossa da: ER.CA., C.F. (...) E GI.CA., C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. GE.EL. ATTORI contro (...) DI CREMA, C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. LE.MA. FR.Sa., C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. CI.CE. CONVENUTI e Ma.Re. CONVENUTA CONTUMACE nonché contro As., C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. LO.LO. TERZI CHIAMATI IN FATTO E DIRITTO - 1) Breve riassunto delle difese delle parti - Gli attori Ca.Gi. e Ca.Er. hanno agito in giudizio chiedendo la condanna di (...) di Crema, Sa.Fr. e Re.Ma. al risarcimento dei danni derivanti dal decesso di Ma.Ca., allegando l'esistenza di un precedente giudizio (passato in giudicato) con cui l'Azienda ospedaliera ed i medici erano già stati condannati per i danni provocati alla stessa ed agli odierni attori (marito e figlia della vittima principale) per avere determinato nel 2002 in quest'ultima, per malpractice medica, uno stato di coma e poi uno stato vegetativo cronico e tetraparesi spastica, terminati solo con il decesso della stessa avvenuto in data 7.06.2017. In particolare, gli attori hanno allegato la differente natura e derivazione eziologica dei danni (iure proprio) rispetto a quanto già liquidato nel primo giudizio intrapreso contro gli stessi convenuti odierni, poiché in quel giudizio i danni derivavano dalle lesioni inferte alla paziente e dal conseguente suo stato vegetativo, mentre in questa sede essi vengono fatti derivare dall'evento morte della stretta congiunta degli attori. Costituendosi, l'Azienda Ospedaliera convenuta ha sostenuto, in primo luogo, che il diritto al risarcimento dell'ulteriore danno così come ex adverso richiesto sarebbe prescritto, oltre a negare l'esistenza di un nesso di causa tra l'evento qui valorizzato (decesso della propria familiare) e la condotta che nel precedente giudizio civile è stata riconosciuta come eziologicamente riconducibile all'evento lesivo patito dalla paziente. Quanto alle singole voci di danno richieste in atto di citazione, la difesa dell'(...) di Crema ha sottolineato come, nell'originaria sentenza valorizzata dagli attori per sostenere la responsabilità degli odierni convenuti, il danno da lesione del rapporto parentale sia stato già liquidato espressamente dal Giudice di quel giudizio, con conseguente impossibilità di riottenere una seconda volta la liquidazione del medesimo pregiudizio. Infine, in caso di accoglimento anche solo parziale della domanda attorea, l'Azienda ospedaliera ha chiesto di poter chiamare in causa l'impresa di Assicurazione Ll., Rappresentanza Generale per l'Italia, per essere dalla stessa garantita. In ragione del mancato rispetto dei requisiti formali dell'istanza di citazione del terzo, in prima battuta è stata rigettata la relativa richiesta; a seguito, peraltro, dell'instaurazione di separato giudizio da parte dell'Azienda Sanitaria nei confronti dei Ll. di Londra proprio per sentir dichiarare il proprio diritto di vedersi garantita in caso di condanna nella presente controversia (iscritto al R.G. n. 39/2019), è stata disposta la riunione dei due giudizi, così che le difese sul punto di entrambe le parti possono essere trattate in questa sede contestualmente alle domande degli attori principali. In particolare, gli Assicuratori dei Ll. hanno eccepito l'inoperatività della polizza (per essere la richiesta di risarcimento pervenuta all'assicurato fuori dall'arco temporale di sua validità), la prescrizione del diritto dell'assicurato e l'inammissibilità, improcedibilità e comunque l'infondatezza delle domande risarcitone formulate dagli attori nei confronti dell'azienda ospedaliera propria assicurata, in ragione delle statuizioni contenute nelle sentenze emesse all'esito del precedente giudizio civile tra le stesse parti. Si è costituito in giudizio autonomamente anche Sa.Fr., negando che i precedenti giudizi di merito possano determinare in questa sede l'automatico accertamento della sussistenza del nesso di causa tra la condotta dei sanitari e l'evento morte da cui gli attori fanno discendere le domande di risarcimento del danno qui proposte, nonché chiedendo una diversa valutazione circa le responsabilità per il sinistro rispetto al precedente giudizio (specie in punto di individuazione di tutti i medici responsabili dell'originario evento lesivo), ed infine contestando la risarcibilità dei danni così come allegati in atto di citazione, ritenuti dalla difesa del convenuto già liquidati nel precedente giudizio. Non si è invece costituita in giudizio l'ulteriore convenuta, Re.Ma., onde all'udienza del 11.04.2019 ne è stata dichiarata la contumacia, previa verifica della regolare notifica dell'atto di citazione. - 2) Sull'eccezione di prescrizione In primo luogo, va rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa dell'(...) di Crema, bastando all'uopo richiamare il consolidato principio giurisprudenziale in forza del quale "In materia di diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, in presenza di illecito che determini, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria per il danno inerente ad esse decorre dal loro verificarsi, purché sia ravvisabile una lesione nuova ed autonoma rispetto a quella manifestatasi con l'esaurimento della condotta del responsabile" (cfr. Cass. n. 7139/2013) ed accanto ad esso considerare come un indirizzo contrario (che sancisca, cioè, la decorrenza dal momento del percepimento in capo al danneggiato della mera possibilità che la condotta illecita altrui possa determinare un particolare effetto dannoso nella propria sfera giuridica) determinerebbe la possibilità (evidentemente da evitare per ragioni di tutela del danneggiato e di diritto all'azione) che, in caso di morte o altro danno avveratasi oltre 10 anni dopo la condotta lesiva, il danneggiato quale vittima secondaria ovvero il titolare stesso della posizione giuridica tutelata si trovino nell'impossibilità di agire per il solo fatto di avere atteso la verificazione dell'evento per cui chiedono tutela, senza peraltro che gli stessi potessero agire prima di allora, non essendosi verificato il fatto dannoso per cui chiedono il ristoro; inoltre l'adesione al contrario indirizzo sarebbe in contrasto con l'altro pacifico asserto in forza del quale è dal momento della manifestazione e del concreto percepimento del danno che deve decorrere il termine entro cui il danneggiato può agire. - 3) Sul nesso di causa tra condotta originaria e decesso Passando ora alla contestazione, sollevata dalla difesa di tutti i convenuti e terzi chiamati, circa l'assenza di prova in ordine alla sussistenza di un nesso di causa tra l'originaria condotta dei medici già condannati per le lesioni generate in capo a Ma.Ca. ed il decesso di quest'ultima, anch'essa non merita accoglimento. È infatti da considerare ormai pacifico che il giudice civile possa "utilizzare come fonte del proprio convincimento gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale riguardante gli stessi fatti ed in primo luogo le risultanze di relazioni tecniche acquisite in tale giudizio, tanto più quando la relazione abbia avuto ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi" (cfr., tra le altre, Cass. n. 15714/2010), tanto più che, in generale, "se la relativa documentazione viene ritualmente acquisita al processo civile, le parti di quest'ultimo possono farne oggetto di valutazione critica e stimolare la valutazione giudiziale su di essa" (cfr. Cass. n. 28855/2008). Nel caso che ci occupa, peraltro, la sussistenza del nesso di causa tra l'originaria condotta degli imputati nel processo penale apertosi a seguito del decesso della Ma. e tale ultimo evento nefasto è emersa da una consulenza medico legale1 in un procedimento penale in cui erano imputati i due convenuti persone fisiche oggi partecipi anche del presente giudizio, e nella quale i consulenti del P.M. hanno debitamente tenuto conto (così come espressamente richiesto nel quesito) della possibilità che altri fattori causali autonomi potessero determinare la morte della Ma., ed hanno perentoriamente e chiaramente escluso tale possibilità. Ben può affermarsi, dunque, anche per l'assenza di altri dati di stampo contrario di eguale forza probatoria, che sia "più probabile che non" che il decesso di Ma.Ca. sia stato la conseguenza delle condotte colpose dei medici già condannati (assieme alla struttura ospedaliera in cui erano operanti) nell'ambito del precedente giudizio civile celebrato tra le stesse parti. - 4) Sui danni liquidabili in favore degli attori - Passando ora al tema dei danni liquidabili in favore degli attori, occorre partire dalla considerazione, sotto un certo punto di vista dirimente, che in questo giudizio viene chiesto il danno quale conseguenza dell'evento - morte, danno mai richiesto in precedenza dagli attori, dato che, ovviamente, tale evento non si era ancora verificato nel momento in cui era stato instaurato, nel 2002, il giudizio conclusosi con l'accertamento della responsabilità dei tre odierni convenuti e la loro condanna al risarcimento dei danni "diretti" in favore della paziente gravemente lesa dalla condotta colpevole degli stessi e di quelli "indiretti" in favore dei suoi prossimi congiunti, sub specie di "danno morale" e "lesione parentale". Dunque, da un punto di vista della possibilità di richiedere un nuovo risarcimento, il Tribunale ritiene sussistente tale possibilità, trattandosi, per l'appunto, di un danno "nuovo", non coperto dal precedente giudicato anche perché all'epoca non "deducibile". Se non consentono, quindi, di escludere il diritto al risarcimento in favore degli odierni attori, le considerazioni espresse nelle due sentenze che già hanno liquidato importanti somme in relazione al drammatico sinistro che ha coinvolto la famiglia della defunta Ma.Ca. sono utili per ridurre considerevolmente la quantificazione concreta (cioè la monetizzazione) del danno non patrimoniale qui richiesto: è evidente, infatti, che lo sconvolgimento maggiore, sia da un punto di vista della sofferenza interiore che da quello della forzata ed improvvisa modificazione delle abitudini di vita e delle relazioni interpersonali nell'ambito del sodalizio famigliare, sia stato patito da marito e figlia della vittima principale non al momento della morte di quest'ultima, ma al momento del passaggio della stessa da uno stato cosciente ad uno stato vegetativo. È da allora (nel 2002) che i prossimi congiunti della Ma. non hanno più potuto proseguire nella loro normale vita, svolgere le attività sino ad allora coltivate, avere il conforto della presenza effettiva ed attiva della propria moglie e madre; il decesso di quest'ultima (avvenuto 15 anni dopo l'evento che ha creato questo iato, questa rottura irreversibile) ha certamente provocato una nuova forma di sofferenza morale, ma certamente non può essere considerato sconvolgente al pari di quanto accaduto nel 2002, specie sotto il profilo (da considerarsi in maniera preminente nella concreta liquidazione del danno "parentale") della forzata ed improvvisa modificazione delle abitudini di vita, se è vero, come espressamente allegato dalla stessa difesa degli attori, che l'assistenza alla madre e moglie invalida ed in stato vegetativo ha impegnato i due prossimi congiunti in maniera molto marcata e profonda nel corso degli ultimi 15 anni. Anche la natura non inaspettata dell'evento infausto (rispetto invece a quanto accaduto nel 2002, quando la Ma. si era sottoposta ad un intervento non particolarmente pericoloso e invasivo) non può non essere adeguatamente valorizzata nella liquidazione concreta del danno non patrimoniale in scrutinio, rischiando altrimenti una indebita locupletazione in favore dei danneggiati. Tutto quanto sin qui detto porta il Tribunale a ritenere equo il riconoscimento della somma di Euro 30.000,00 per ciascuno degli attori, somma già rivalutata all'attualità. Ca.Er. ha inoltre chiesto il riconoscimento e la liquidazione del danno biologico derivante, secondo la prospettazione attorea, dalla malattia psichica conseguente causalmente alla morte della madre, ma che a seguito della CTU espletata nel corso del giudizio ha subito un notevole ridimensionamento, dato che il consulente d'ufficio, dott. Spinogatti, pur riconoscendo la sussistenza di una sindrome psichica ricollegabile all'evento per cui si agisce in questa sede, l'ha qualificata come "lieve" e "temporanea", quantificandola in misura pari al 5% di invalidità per un tempo complessivo di 6 mesi. L'importo corrispondente liquidabile in favore dell'attrice Ca.Er. è, quindi, pari ad Euro 900,00 ( Euro 5/die X 180 giorni), somma anch'essa da ritenersi già attualizzata. Passando ora al danno patrimoniale che l'attore Ca.Gi. richiede in relazione alle spese funerarie sostenute a seguito del decesso della moglie, la stessa va ritenuta ammissibile nonostante l'espressa richiesta non fosse contenuta in atto di citazione, applicando il noto principio sancito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite n. 12310/2015 secondo cui "La modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali"; essa è inoltre fondata in quanto dimostrata attraverso la documentazione prodotta dalla difesa degli attori e, nell'ammontare richiesto, non espressamente contestata dalla difesa dei convenuti. Dunque questi ultimi vanno condannati altresì al pagamento, in favore di Ca.Gi., della somma di Euro 11.850,00 oltre rivalutazione ed interessi (sulla somma via via annualmente rivalutata) a decorrere dal 13.06.2017 e sino alla data di pubblicazione della presente sentenza, e poi sulla somma rivalutata da quest'ultima data sino al saldo effettivo. - 5) Sulla richiesta di nuova valutazione delle responsabilità per il sinistro In comparsa di costituzione, e poi anche negli atti difensivi successivi, la difesa di Sa.Fr. (medico chirurgo che raccolse l'anamnesi della paziente prima del programmato intervento) ha cercato di fornire una diversa ricostruzione fattuale della vicenda che portò alla condanna sua, dell'anestesista dott.ssa Re. e dell'Ospedale di Crema al risarcimento dei danni provocati alla Ma. ed ai suoi prossimi congiunti, sostenendo che, se meglio indagati i fatti, si sarebbe giunti sin da allora ad una diversa valutazione dell'incidenza della condotta del proprio assistito sul determinismo causale dell'evento. Tale tentativo si scontra, però, con il giudicato che è sceso sul dedotto e sul deducibile, rispetto all'accertamento della sussistenza delle responsabilità per il danno-evento che poi ha portato alla finale conseguenza nefasta così come allegata in questo giudizio, accertamento che costituisce un presupposto logico-giuridico della domanda quivi formulata che, proprio perché già effettuato in un diverso giudizio passato in cosa giudicata, non può più essere posto in discussione in questa fase. - 6) Sulla domanda di condanna dei Ll. a titolo di garanzia Con la chiamata di terzo (respinta per ragioni processuali) e poi con l'autonoma instaurazione di un diverso giudizio (quello rubricato al n. 39/2019 R.G.) successivamente riunito al presente, l'(...) di Crema ha inteso riversare le (eventuali) conseguenze sfavorevole del giudizio in corso sui propri assicuratori, di cui quindi a chiesto la condanna richiamando l'esistenza della polizza n. (...). Gli Assicuratori dei Ll. hanno eccepito, sin dalla comparsa di costituzione e risposta, l'inoperatività della polizza, sia perché si tratterebbe di un nuovo sinistro accaduto fuori dalla vigenza della copertura, sia data la sua natura di assicurazione "claims made" e dunque ancorata non tanto al momento della condotta colposa che avrebbe determinato il danno da risarcire, quanto al momento in cui perviene all'assicurato la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato. Inoltre, i terzi chiamati hanno anche eccepito l'inammissibilità della chiamata per carenza dell'interesse ad agire: questa eccezione è però infondata, se solo si pensi che l'interesse ad agire è una condizione dell'azione e non un presupposto processuale, e come tale non deve sussistere al momento della proposizione della domanda, quanto al momento della pronuncia della decisione. Venendo quindi al merito della questione afferente il rapporto assicurativo, ribadito quanto sopra detto in ordine alla "novità" dell'evento dannoso denunciato rispetto a quanto già risarcito in relazione alla condotta tenuta nel 2002 dai medici convenuti, è noto come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono recentemente intervenute per ben due volte3 in materia di validità ed efficacia delle clausole "claims made" nei contratti di assicurazione, giungendo a definire, secondo l'interpretazione che questo Tribunale ha inteso accogliere, i seguenti principi fondamentali: - conformità all'ordinamento giuridico italiano ed esclusione della natura vessatoria (in quanto non determinante una limitazione di responsabilità ma una delimitazione dell'oggetto dell'assicurazione) del modello astratto rappresentato dall'assicurazione con clausola claims made basis; - necessaria valutazione, da effettuarsi caso per caso, non tanto della "meritevolezza degli interessi" ex art. 1322, comma 2, c.c. in relazione ad uno schema negoziale atipico (come avevano affermato inizialmente le SSUU del 2016), quanto del "rispetto dei limiti imposti dalla legge" in relazione al complessivo assetto degli interessi sottesi alla stipula del contratto di assicurazione, potenzialmente oggetto di squilibri quale conseguenza dell'inserimento, nel disposto contrattuale, della clausola limitativa della responsabilità oggetto di scrutinio, ricondotta dal supremo consesso alla tematica della causa in concreto. Ora, tra gli elementi che la Cassazione indica quali indici di verifica della validità della clausola in termini di "equilibrio contrattuale", adeguatezza del contratto e sussistenza della causa concreta dello stesso vi sono: il tipo di rischio assicurato, il rapporto tra copertura e premio, la natura soggettiva dei contraenti, il rischio di "buchi di copertura" ed anche, secondo chi scrive, la finalità ultima della copertura assunta dall'assicuratore, nel senso che differenti valutazioni potrebbero farsi tra assicurazioni che tutelano esclusivamente interessi privati ed assicurazioni (quali quelle obbligatorie) che abbiano un più ampio respiro sociale. Nel caso di specie ritiene il Tribunale che la durata complessiva della vigenza della copertura (tre anni e mezzo di durata in senso stretto, tre di retroattività della copertura e tre di ultrattività della clausola claims made5, per un totale di nove anni e mezzo di copertura temporale), un premio pari ad Euro 880.000,00 per tre anni e mezzo di durata della vigenza della polizza6 (quindi circa 250.000 all'anno, che per un ospedale delle dimensioni quale quello di Crema non pare certo spropositato o determinante significativi squilibri del sinallagma contrattuale, anche considerando quanto appena detto sulla complessiva entità della copertura temporale, tenendo conto della retroattività e della ultrattività della stessa), la natura altamente specializzata del contraente (che lascia presumere sia una valutazione di adeguatezza della copertura sufficientemente ponderata, sia l'inesistenza del rischio di "buchi di copertura" grazie ad un'attenta - e necessaria - gestione temporale delle polizze assicurative via via stipulate dal nosocomio), ed infine il fatto che l'ospedale possiede, comunque, capacità economica e patrimoniale tale da garantire i terzi danneggiati in caso mancato intervento in garanzia da parte delle assicurazioni via via a ciò contrattualmente obbligate, determini un giudizio di meritevolezza e dunque di validità della clausola in scrutinio, secondo i canoni sopra ricordati. Naturalmente chi scrive è al corrente del tentativo, proposto da alcune recenti pronunce della terza sezione della Corte di Cassazione (tra cui l'ordinanza n. 8694/2020), di ripensare la materia e di ridurre nuovamente i margini di operatività e validità delle clausole di tal fatta, ma ritiene di aderire al più ragionato ed equilibrato orientamento espresso dalle due sentenze delle Sezioni Unite sopra citate. Dunque va dichiarata fondata l'eccezione d'inoperatività della copertura assicurativa, con conseguente rigetto della domanda di manleva/garanzia proposta dall'(...) convenuta nei confronti degli Assicuratori terzi chiamati. - 7) Conclusioni e regolamentazione delle spese di lite In conclusione, deve accogliersi - nei limiti sopra specificati - la domanda svolta dagli attori nei confronti dei convenuti, mentre va rigettata la domanda avanzata da (...) di Crema nei confronti dei Ll., per le ragioni appena enunciate. Le somme liquidate in favore di Ca.Gi. sono quindi, riassuntivamente, pari ad Euro 41.850,00, a cui aggiungere la rivalutazione con riguardo alle spese funerarie e gli interessi dalla pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo, mentre quelle riconosciute in favore di Ca.Er. sono pari ad Euro 30.900,00, oltre i soli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo, applicando lo scaglione corrispondente all'effettiva entità della condanna, aumentando l'importo in ragione dell'avvenuta difesa contro più parti, ed operando una parziale compensazione (in misura pari al 30%) nel rapporto tra attori e convenuti, tenendo conto dell'evidente divario tra il petitum (oltre 300.000 Euro richiesti per ciascun attore sino alla fine del giudizio) ed il concreto decisum, nonché del forte ridimensionamento circa la gravità e durata del danno biologico allegato in capo a Ca.Er.. Nel rapporto tra (...) e Ll., invece, le stesse seguono pedissequamente il principio della soccombenza. Anche le spese di CTU debbono subire gli effetti della parziale compensazione, onde rimarranno a carico degli attori per il 30% ed a carico dei convenuti per il restante 70%. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza eccezione o deduzione disattesa: - condanna (...), Sa.Fr. e Re.Ma., in solido, al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, delle seguenti somme: - Euro 41.850,00 in favore di Ca.Gi., oltre rivalutazione ed interessi come in motivazione; - Euro 30.900,00 in favore di Ca.Er., oltre interessi come in motivazione; - rigetta la domanda di garanzia svolta da (...) nei confronti dei gli Assicuratori dei Ll. che hanno assunto il rischio di cui al certificato n. (...); - condanna (...), Sa.Fr. e Re.Ma., in solido, a rifondere a Ca.Gi. e Ca.Er. le spese di giudizio che, già operata la parziale compensazione in misura pari al 30%, liquida in Euro 1.230,32 per spese vive ed Euro 12.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali (15%), I.V.A., se dovuta, C.P.A. e successive occorrende; - condanna (...) a rifondere agli Assicuratori dei Ll. che hanno assunto il rischio di cui al certificato n. (...) le spese di giudizio, liquidate in Euro 8.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali (15%), I.V.A., se dovuta, C.P.A. e successive occorrende; - pone definitivamente a carico di parte attrice per il 30% e dei convenuti (...), Sa.Fr. e Re.Ma., in solido, per il restante 70% l'importo liquidato in corso di giudizio in favore del CTU, dott. Fr.Sp.. Così deciso in Cremona il 25 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Cremona, Sezione Prima Civile, in composizione collegiale, composto dai sigg.ri Giudici dott.ssa Alessandra Marucchi Presidente dott. Giorgio Scarsato Giudice rel. dott.ssa Cristina Bassi Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA DEFINITIVA nella causa civile iscritta n. R.G. 225/2016 promossa da: Sa.In. (c.f. (...)) con il patrocinio dell'avv. Li.La., del Foro di Cremona ricorrente contro Si.Be. (cf. (...)) con il patrocinio dell'avv. Ma.Ga., del Foro di Cremona resistente e e con l'intervento del Pubblico Ministero in cui le parti hanno concluso parte ricorrente: come da folio depositato a p.c.t. il 11.5.2020; parte resistente: come da folio depositato a p.c.t. il 11.5.2020. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO 1. Breve storia familiare Dopo 7 anni di fidanzamento, Si.Be. e Sa.In. hanno contratto matrimonio concordatario in Soresina (CR) il 18.9.2005; la In. è affetta dalla nascita dalla sindrome di Rokitansky, un'anomalia congenita dell'apparato riproduttivo che le impedisce di avere figli; per questo, nel 2007, le parti decidevano di presentare domanda di adozione internazionale di un bambino etiope, pratica che si concludeva nel 2010 con l'adozione e l'arrivo di He., nato il (...) nel 2012/2013, notando alcune criticità nella crescita del minore, attraverso alcuni approfondimenti diagnostici, le parti scoprivano che He. era affetto da un disturbo dello spettro dell'autismo, da un disturbo evolutivo del linguaggio e da un disturbo cognitivo; nel 2012 la coppia presentava una seconda domanda per adozione internazionale ed era ritenuta idonea dal Tribunale per i Minorenni; dopo avere fino a quel momento vissuto in un immobile sito in Soresina in Via (...) n. 5, in comproprietà fra di essi, con atto del 8.5.2015, il Be. vendeva la sua quota del 50% di detto immobile alla In. e contemporaneamente, in pari data, il Be. acquistava un altro immobile, più grande, sito sempre in Soresina, in Via (...) n. 16, ma intestato solo ad esso, con accollo del relativo mutuo; il 23.11.2015 il Be. lasciava la casa coniugale, così definitivamente venendo meno l'unione coniugale e si interrompeva l'iter per l'adozione internazionale di un altro minore straniero. 2. I fatti di causa e lo svolgimento del processo 2.1. Il presente giudizio di separazione personale è stato introdotto dalla In. con ricorso depositato il 29.1.2016, cui è seguita la regolare costituzione del Be.. Unici punti di causa rispetto a cui le parti hanno avanzato richieste concordi sono stati quelli relativi all'affido e al collocamento di He.- entrambe chiedendo disporsi il suo affido condiviso e il suo collocamento presso la In. - e all'assegnazione alla madre della ex casa coniugale in Soresina, Via (...) n. 5. Le parti hanno invece assunto posizioni fortemente contrapposte: in punto di addebitabilità della separazione avanzando, reciproca domanda di addebito, chiedendo altresì la condanna di controparte al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla violazione dei doveri coniugali-; in punto di debenza o meno di un assegno di mantenimento a favore della In.; in punto di quantum dell'assegno di mantenimento a favore di He. e a carico del Be.. 2.2. L'udienza presidenziale si è tenuta il 18.4.2016; con ordinanza ex art. 708 cod. proc. civ. di pari data è stata accolta la richiesta concorde delle parti sull'affido ed il collocamento di He. (nonché sull'assegnazione della ex casa coniugale); è stato disciplinata il diritto di visita paterno, è stato posto a carico del Be. un assegno di mantenimento provvisorio a favore della In. pari ad Euro 1500,00 al mese e a favore di He. per Euro 1000,00 mensili; è stato previsto la suddivisione delle spese straordinarie con quota del 70% a carico del padre. 2.3. La domanda sullo status è stata decisa con sentenza parziale (sentenza n. 825/2018). 2.4. L'istruttoria delle domande di addebito della separazione si è articolata nell'assunzione di numerosi testimoni. 2.5. Per accertare le effettive condizioni reddituali del Be., è stato conferito incarico per c.t.u. al commercialista dott. Ma.Pa. (cfr. la sua relazione del 6.11.2018). 2.6. Stante le particolari condizioni cliniche di He., è stato conferito incarico allo psicologo dott. Ma.Ra. per valutare la capacità genitoriale delle parti, le esigenze terapeutiche di He., nonché la compliance dei genitori con tali esigenze: nella sua relazione del 30.3.2017, il c.t.u. ha dettato anche delle "linee programmatiche" per un valido esercizio della genitorialità, a fronte delle condizioni di He. (a fronte della separazione dei suoi genitori) e ha dettato un più dettagliato programma per il diritto di visita paterno, indicando le condizioni a cui lo stesso può avvenire (sempre in ragione delle patologie di He.). 2.7. La causa è stata caratterizzata da una conflittualità crescente fra le parti. 2.8. Parte In. ha dovuto depositare alcune istanze ex art. 709ter cod. proc. civ., lamentando inadempimenti da parte del Be. rispetto alle statuizioni economiche provvisorie presidenziali: essendo poi divenuto l'inadempimento del Be. conclamato, è stato adottato infine un ordine di distrazione ex art. 156 cod. civ. verso la società di cui il Be. è amministratore. 2.8. Parte In. ha dovuto depositare altre istanze ex art. 709ter cod. civ. per "richiedere" l'osservanza, da parte del Be., delle "linee programmatiche" generali e della disciplina e della condizioni del suo diritto di visita verso He., così come individuate dal c.t.u., per chiedere un intervento giudiziale a fronte della mancanza di collaborazione del padre nell'assumere alcune decisioni di maggiore interesse per il figlio: in particolare, molto dibattuta e complessa è stata la questione della individuazione di una nuova terapista per He., questione che ha reso necessario richiedere al c.t.u. dott. (...) una integrazione alla sua prima c.t.u. (con relazione del 15.3.2018) nonché celebrare numerose udienze di "mediazione" fra le parti rectius di "persuasione" del padre, finché si è giunti, nel 2019, ad individuare un nuovo terapista per il minore. 2.9. In corso di causa si è anche proposta alle parti la nomina di un "coordinatore familiare" e di dare avvio ad un percorso di mediazione familiare, per cercare di mitigare la conflittualità fra di esse ed avviarle ad un esercizio consapevole della bigenitorialità (per prevenire il ripetersi di quanto occorso sulla questione della individuazione di un nuova terapista per He.), ma invano: parte Be. ha rifiutato la prima proposta e non ha preso parte al secondo. Il G.I. ha anche tentato di fare giungere le parti ad un accordo sulle condizioni della separazione, ma invano: anzi, parte Be., in corso di trattative, ha depositato presso la Sacra Rota un libello per ottenere l'annullamento del matrimonio dalla In., per sua incapacità psichica a contrarre matrimonio e sua incapacità copulativa (tale libello è stato prodotto da parte In. all'udienza del 11.12.2019), facendo così naufragare ogni chance di conciliazione. 2.10. All'udienza dell'11.5.2020 le parti hanno precisato le conclusioni, come in epigrafe. 3. Sulle domande di addebito della separazione reciprocamente avanzate dalle parti 3.1. La domanda per l'addebito della separazione di parte In. si fonda sull' "imputazione" a parte Be. di una serie condotte che, secondo la In., sarebbero in nesso di causa con la fine dell'unione coniugale, in particolare: di avere abbandonato la casa coniugale il 23.11.2015; di avere intrapreso, a far data dell'estate-autunno 2015, una relazione extraconiugale con tale Si.Ra., ragazza più giovane di essa ricorrente, conosciuta dal Be. frequentando il bar dove la ragazza lavora/lavorava come barista (e che l'abbandono della casa coniugale del 23.11.2015 sarebbe stato determinato dalla volontà del Be. di vivere liberamente la propria nuova relazione sentimentale); di avere tenuto una condotta di disattenzione verso He. successivamente a questo momento. 3.2. Parte Be. ha negato di avere intrapreso una relazione extraconiugale con la Ra. (così la sua memoria di costituzione del 11.4.2016) - salvo poi ammettere, nella propria memoria integrativa del 4.7.2016, di essere andato a vivere con la stessa, una volta uscito di casa -, e ha contestato la tesi della resistente per cui esso avrebbe lasciato di propria spontanea volontà la casa coniugale il 23.11.2015, sostenendo che, invece, sarebbe stato cacciato di casa dalla In.. Lo stesso ha dedotto che, anche volendo ritenere provati i fatti alla base della domanda di addebito dedotti dalla In., comunque non sarebbe dato un nesso di causa fra questi fatti e la fine dell'unione coniugale, essendo che sarebbe stata data fra esso e la In. una crisi coniugale preesistente, crisi determinata e causata dalla In., "imputando" alla stessa: di avere sottaciuto ad esso marito la propria impossibilità di avere figli, a causa della sindrome di Rokitansky da cui è affetta; di essere andata incontro essa moglie ad un momento di difficoltà personale a seguito della scoperta delle patologie da cui è affetto He., ciò che avrebbe reso necessario per la stessa ricorrere al supporto di una psicologa e che avrebbe minato la vita di coppia; che, sempre a causa della patologia da cui la In. è affetta, nella coppia non vi era più da tempo un'appagante intesa sessuale. Sulla base di queste circostanze -nonché sulla allegazione di essere stato cacciato da casa dalla In. il 23.11.2015-, il Be. ha proposto a propria volta domanda di addebito della separazione alla In.. 3.3. All'esito dell'istruttoria, la domanda di parte In. di addebito della separazione va accolta, essendo risultati dimostrati -nella quasi totalità - i fatti dedotti a suo fondamento, mentre va rigettata le reciproca domanda di addebito proposta dal Be.. 3.4.1. Iniziando dai motivi di addebito "mossi contro" il Be., è da ritenersi provato - sia in forza del "principio di non contestazione", sia in ragione della contraddittorietà della prova offerta dal Be. della propria opposta tesi per cui sarebbe stata la In. a cacciarlo di casa-, il primo motivo di addebito avanzato dalla In., ossia che il marito, il 23.11.2015 abbia abbandonato di sua spontanea volontà (e "senza giusta causa", come si osserverà nel prosieguo) la casa coniugale. In particolare, in primo luogo, sul piano allegatorio, a fronte della chiara allegazione della In. al riguardo, è dato che parte Be. abbia mosso contestazioni contraddittorie, sicché, si deve ritenere che esso non abbia efficacemente contestato le allegazioni di controparte. Infatti, è dato che, inizialmente, nella propria comparsa di costituzione del 11.4.2016, parte Be. nulla avesse contestato in ordine alla deduzione della ricorrente che si trattò di un abbandono spontaneo e di iniziativa di esso resistente della casa coniugale; anzi, nella propria comparsa di costituzione, il resistente aveva fatto allegazioni nel senso di offrire una spiegazione a tale proprio agito (ossia la preesistente crisi coniugale: cfr. p. 5 della comparsa di costituzione del Be., dove si può leggere "sostiene la difesa della sig.ra In. che, prima che il sig. Be. si decidesse ad abbandonare il tetto coniugale, il rapporto di coppia era solido e tranquillo: al contrario, la realtà (della condizione della coppia: n. d.r.) era ben diversa"). Poi, invece, in un "momento successivo", nella propria memoria integrativa del 4.7.2016 (a p. 6), parte Be. ha allegato per la prima volta, una "seconda versione", ossia che sarebbe stata la In. a cacciarlo di casa (deducendo "in secondo luogo, occorre ritornare a descrivere il contesto in cui il sig. Be. maturava la decisione di abbandonare la casa coniugale ... occorre rimarcare che è stata proprio la ricorrente a cacciare di casa il marito"). In secondo luogo, sul piano probatorio, si deve osservare come il Be. abbia offerto una prova tutt'altro che coerente e sufficiente della propria "seconda versione" in ordine alla natura non spontanea della sua uscita di casa. A p. 6 della stessa memoria integrativa del 4.7.2016, lo stesso allegava: "a novembre 2015, la In. pedinava il marito fino al locale dove l'attuale compagna del resistente (la Ra.: n. d.r.) lavora come cameriera; nell'occasione ... la In. si faceva avanti e scambiava pure qualche parola con la rivale. La ricorrente non si abbandonava a scene di isteria, ma, di lì a poco, intimava al marito di lasciare l'abitazione, dicendogli che le valigie erano già pronte". Il resistente deduceva un capitolo di prova e chiamava a testimoniare proprio la Ra. in ordine alla propria "seconda versione". Orbene, la stessa, in sede di sua testimonianza, ha fornito una versione dell'accaduto non coerente con la "seconda versione" del fatto allegata da parte resistente: la Ra. ha infatti testimoniato8 che, quella sera, al bar dove lei lavorava, sarebbe avvenuto un dialogo duro e diretto fra lei e la In. -e non semplice uno scambio di poche parole, come allegato dal Be. - e che la In. avrebbe fatto una scenata davanti a tutti gli avventori del locale -scenata che invece era stata espressamente negata dal Be., in via di allegazione-; la teste ha infatti riferito "la sig.ra In. è entrata ed ha detto davanti a tutti che gli faceva le valigie e doveva andare via di casa". All'evidenza, la testimonianza della Ra. concretizza una "terza" differente "versione" in ordine alla natura non spontanea della uscita di casa del Be.. A questa contraddittorietà, tanto sul piano della contestazione, tanto sul piano probatorio, di parte Be. della prova contraria del fatto addebitato, non può che farsi derivare la conferma della tesi della ricorrente che per cui trattò di un abbandono spontaneo della casa coniugale da parte di esso Be.. 3.4.2. E' da ritenersi provato anche il secondo motivo di addebito mosso dalla In. (e che può essere ritenuto il motivo "principale" di addebito, apparendo questo motivo alla base dell'agito del Be. di abbandono della casa coniugale in data 23.11.2015), ossia che il Be., dall'estate- autunno 2015, avesse iniziato una relazione extraconiugale con la Ra.. Già le emergenze delle indagini svolte dall'investigatore privato assunto dalla In., tale Da.Ro. (confluite nel presente giudizio mediante la produzione della sua relazione investigativa, al doc. 4 In.), così come confermate dallo stesso in udienza e come suffragate altresì dalle testimonianze introdotte dalla In. di numerosi amici di essa ricorrente o della coppia (tali Ci.Co., El.Pr., Ma.Ca. e Ad.Ti.), tratteggiavano un quadro fortemente indiziario nel senso della esistenza di tale relazione extraconiugale in costanza di matrimonio della coppia. Infatti, tutti i testi ora indicati, concordemente, hanno riferito che, fra il 18.12.2015 e il 10.1.2016, essi videro il Be. e la Ra. andare assieme al cinema o andare a cena in ristoranti o a fare visita al fratello del Be.; l'investigatore privato poteva peraltro verificare che il Be. si fermava talvolta a dormire dalla Ra.. Essendo che solo poche settimane prima, il 23.11.2015, il Be. aveva abbandonato la casa coniugale (come sopra detto), appariva alquanto improbabile che la relazione fra esso e la Ra. fosse iniziata solo dopo il 23.11.2015, apparendo invece più che verosimile la allegazione della ricorrente per cui la relazione fra di essi fosse in essere da tempo, e che la nuova coppia si sentì legittimata a mostrarsi in pubblico proprio solo dopo che il Be. decideva di uscire di casa. Il quadro indiziario emergente dai testi suddetti e la bontà della tesi della ricorrente è risultata infine pienamente confermata dalla testimonianza resa da due amici del Be., i quali hanno riferito di confidenze ricevute dallo stesso che tolgono ogni dubbio in ordine all'effettiva sussistenza di una relazione extraconiugale fra il Be. e la Ra. già in costanza di matrimonio fra le parti. Em.Gi., amico di lunga data del Be., ha testimoniato che un sabato mattina di ottobre/novembre (2015: n. d.r.), esso ricevette una telefonata del Be., in cui questi gli confessava di frequentare un'altra persona; che dopo pochi giorni - quando il Be. aveva già lasciato la casa coniugale - esso ed il Be. si videro per parlare più diffusamente della scioccante rivelazione fatta dal Be. al telefono; il teste ha riferito che in questa occasione si sentì di invitare il Be. a riflettere su quello che stava facendo, anche considerato che esso e la In. avevano in corso l'adozione di un secondo bambino e per questo avevano anche acquistato una nuova abitazione. Anche un altro amico del Be., nonché suo testimone di nozze, tale Ma.Ti., ha testimoniato di avere ricevuto direttamente dal Be., in un momento antecedente al dicembre 2015, la confessione che esso aveva iniziato una relazione extraconiugale con un'altra donna; anche il Ti. ha riferito che esso si sentì di consigliare al Be. di riflettere su quello che stava facendo. Le testimonianze del Giacobbi e del Ti. appaiono così genuine -i testi non hanno confermato "indefessamente" ogni circostanza dedotta nei capitoli sui quali erano chiamati a rispondere, sapendo ammettere di non sapere, per non averlo chiesto al Be., forse per pudore, dettagli sulla sua relazione extraconiugale, quali il nome della sua nuova donna-; così coerenti -è più che verosimile che un uomo, nel momento in cui sta tradendo la propria moglie, in cui abbia dubbi sul proprio agire, si confronti e chieda consiglio a propri amici di lunga data sul da farsi-; così lineari, che non possono sorgere dubbi in ordine della loro attendibilità. Del resto, in nessuno dei proprio atti, parte Be. ha saputo dedurre ragioni di rancore per cui i predetti testimoni avrebbero avuto motivo di testimoniare "contro" di esso: anzi, nella propria comparsa conclusionale, il Be. ha omesso qualunque cenno di commento alle emergenze di queste testimonianze. Parte Be. ha solo saputo eccepire -sul piano processuale - che queste testimonianze sarebbero da ritenersi inutilizzabili perché de relato actoris, tesi assolutamente non condivisibile, dal momento che i testi non sono stati chiamati a riferire circostanze favorevoli ma sfavorevoli rispetto alla parte da cui hanno ricevuto le dichiarazioni che hanno riferito -il Be.-, sicché la loro testimonianza si concretizza, sebbene non in una vera e propria confessione stragiudiziale, ex art. 2735 cod. civ. del Be. (in quanto nel contenzioso famiglia, quando vengono in gioco diritti non disponibili, non è configurabile una confessione: cfr. Cass. 7998/2014), comunque costituisce una prova liberamente valutabile (cfr. la precitata Cass. 7994/2014 e chiarissima, Cass. 8358/2007, in parte motiva). Parte Be. ha cercato di provare, ma vanamente -alla luce del complessivo quadro probatorio ora esposto - che quando esso fu visto presso un cinema con la Ra. era accaduto che essi si incontrarono lì per caso (cfr. testimonianza della cognata - Da.Fo. - e del fratello del Be. -Gi.Be.-). Nessun fondamento ha nemmeno la deduzione di parte Be. per cui la In. non avrebbe adeguatamente contestato la sua versione dei fatti, sicché gli stessi sarebbero da ritenersi provati: secondo la giurisprudenza della Corte infatti "la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell'atto introduttivo del giudizio non ribalta sull'attore l'onere di "contestare l'altrui contestazione", dal momento che egli ha già esposto la propria posizione al riguardo" (così Cass. 6183/2018). 3.4.3. Solo il terzo motivo di addebito mosso dalla In. al Be. - ossia che esso, a far data dalla sua uscita di casa, avrebbe trascorso tutto il proprio tempo con la Ra., trascurando i propri doveri verso He.; non avrebbe rispettato le scadenze di pagamento dell'assegno di mantenimento ordinario stabilito in fase presidenziale; avrebbe omesso il versamento del dovuto a titolo di spese straordinarie14 - è rimasto improvato: la prova sul punto non è stata correttamente ammessa dal G.I., in quanto, se anche fosse stato provato quanto allegato dalla In., ciò non concretizzava un motivo di addebito ex art. 151 cod. civ.. 3.4.4. La prova dei fatti di addebito ora esposti implica già di per sé la prova (con presunzione iuris tantum) del nesso di causa fra tali fatti e la fine della unione coniugale: secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, "in tema di separazione personale dei coniugi, l'abbandono della casa familiare, di per sè costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto" (cfr. Cass. 17056/2007, conforme Cass. 648/2020); "In tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale" (cfr. Cass. 8512/2006; conformi Cass. 13592/2006; Cass. 25618/2007; Cass. 16859/2015). 3.5.1. Come detto, a fronte degli "addebiti" ad esso mossi, la linea difensiva del Be. è consistita nell'allegare una serie di circostanze dimostrative della sussistenza di una crisi di coppia preesistente (e di una "giusta causa", ex art. 146 cod. civ., quanto all'addebito ad esso di abbandono della casa coniugale), da un lato, al fine di vedere rigettata della domanda di addebito contro di esso resistente avanzata, per difetto del nesso di causalità fra i fatti ad esso addebitati e la fine della unione coniugale - per il caso fossero risultati provati i fatti alla base della domanda di addebito contro di esso avanzata -; dall'altro lato, al fine di ottenere la dichiarazione dell'addebito della separazione alla In., sostenendo che detta crisi coniugale preesistente fosse addebitabile alla In.. All'esito dell'istruttoria, quasi nessuna delle circostanze dedotte dal Be. è risultata dimostrata, sicché, da un lato, non è risultata dimostrata la preesistenza di una crisi coniugale, nei termini in cui è ritenuta rilevante dalla giurisprudenza consolidata, per ritenere interrotto il nesso di causa fra la fine dell'unione coniugale e i fatti addebitabili ad un coniuge (e provati) e, dall'altro lato, va rigettata la domanda di addebito della separazione proposta dal Be.. 3.5.2. La prima circostanza dedotta dal Be. a sostegno della sua linea difensiva è che la In. avrebbe ad esso marito taciuto che, per effetto della sindrome di Rokitansky da cui è affetta, essa non può avere figli - allegazione questa fortemente contestata dalla In. -. Già sul piano allegatorio, la linea difensiva del Be. (anche) su questa circostanza si caratterizzava per una certa contraddittorietà. Infatti, dapprima, nella propria comparsa di costituzione del 11.4.2016, il Be. allegava che la In. avrebbe ad esso taciuto perfino di essere affetta da detta sindrome; poi, successivamente, nella propria memoria integrativa del 4.7.2016 -a fronte della produzione da parte In. della relazione dei Servizi Sociali incaricati di redigere la relazione psico-sociale finalizzata all'adozione di un secondo minore straniero da parte della coppia (che non giunse mai a completamento), il Be. faceva invece la diversa allegazione che la In. avrebbe si ad esso rivelato di essere affetta da detta sindrome, ma che la stessa lo avrebbe tenuto all'oscuro delle sue gravi conseguenze sul piano procreativo. Poi, sul piano probatorio - ciò che è più rilevante -, è risultata completamente smentita qualunque delle due versioni offerte dal Be. della circostanza. Già sul piano documentale, le versioni del Be. erano smentite dalla relazione psico-sociale dei Servizi Sociali incaricati dell'istruttoria della seconda domanda di adozione internazionale (prodotta quale doc. 18 In.), in cui i Servizi, dopo avere fatto vari colloqui di routine con la coppia, relazionavano: "i coniugi si sono conosciuti nel 1998 ... La signora Sa. (la In..n.d.r.) aveva 21 anni e non appena è stato chiaro il sentimento che li stava legando ha parlato al futuro marito del suo problema: è stato di grande conforto per lei l'accettazione senza riserve che ha sentito da parte di lui"; peraltro, era poi chiamata come testimone la dott.ssa An.La., psicologa dei Servizi Sociali che aveva redatto quella relazione, e la stessa confermava le più che chiare emergenze della stessa. Quindi, attraverso i testi sentiti, è emerso il quadro probatorio di una coppia che aveva esternato in più occasioni sia della sindrome da cui era affetta la In. sia della sua impossibilità di avere figli (mostrando così una matura accettazione della situazione, vale notarsi). Così hanno testimoniato: don Luigi Parmigiani, il sacerdote che seguì la coppia nel corso prematrimoniale, nel 2002/2003 ("fui messo al corrente dalla sig.ra In. della situazione e ho spiegato ai sigg. Be. e In. durante il corso prematrimoniale che questa sindrome della futura moglie, che non le avrebbe permesso di avere figli, non era motivo invalidante il matrimonio"); Ch.Ta., che con il fidanzato aveva frequentato lo stesso corso prematrimoniale della coppia e per questo aveva cominciato a frequentarla; alcuni amici storici del Be. e/o della coppia, come i già nominati Em.Gi., Ad.Ti. e Ma.Ti.; nonché i familiari della In.. In via dirimente, vale notarsi come anche da testi e documenti introdotti dallo stesso Be. si ricavi la smentita della allegazione di esso resistente: la madre del Be., pur se chiamata a testimoniare a prova contraria sulla circostanza, ha pacificamente ammesso "preciso che mio figlio era a conoscenza che la moglie non poteva avere figli"; altresì, nel libello del Be. introduttivo del giudizio di annullamento del matrimonio davanti alla Sacra Rota20, si può leggere che il Be. a quel Tribunale dichiarava, con uno scritto a proprio pugno, "quasi subito, all'incirca dopo tre o quattro mesi dall'inizio della nostra frequentazione, Sa. mi ha confidato di non potere avere figli". A fronte di questo quadro probatorio univoco, a nulla valgono le deduzioni difensive del Be. tese (vanamente) a scalfirlo (quali, ad esempio, le allegazioni che esso e la In. avrebbero "bluffato" con i Servizi Sociali incaricati della pratica di adozione; o che don Parmigiani non è medico, sicché la sua testimonianza sarebbe da ritenersi non attendibile). 3.5.3. La seconda circostanza dedotta dal Be. a sostegno della sua linea difensiva è che esso avrebbe lasciato la casa coniugale non di propria spontanea volontà, ma in quanto cacciato dalla In.. La circostanza è risultata improvata: al riguardo, si rinvia a quanto sopra detto (al punto 3.2.1.) in ordine al fatto che, in realtà, è risultato che fu il Be. ad andarsene spontaneamente da casa. 3.5.4. La terza circostanza dedotta dal Be. a sostegno della sua linea difensiva è che la In. sarebbe andata incontro ad un momento di crisi personale quando si scoprirono le patologie da cui è affetto He., nel 2012/2013, tanto da ricorrere al supporto di una psicologa, la dott.ssa Da.. Allega il Be. che "va da sé che questa circostanza comportava un ulteriore effetto destabilizzante per la coppia" (cfr. comparsa conclusionale Be., p. 9). La rilevanza della circostanza -per altro di per sé contestata dalla Inzani24 - è rimasta improvata, sia ai fini della dimostrazione della sussistenza di una preesistente crisi, sia ai fini della addebitabilità della separazione alla In.. Invero, il Be. ha dedotto solo un capitolo di prova (il n. 2 della sua memoria n. 2) per dimostrare la circostanza in sé, ma il capitolo non è stato ammesso perché, così come formulato (" vero che la sig.ra In., una volta, che si manifestavano i primi sintomi della disabilità del figlio, ... decideva di affidarsi alle cure della psicologa Sa. Della Noce per curare il profondo disagio psicologico derivante dalla mancata accettazione della malattia di He."), il capitolo nulla avrebbe dimostrato in ordine al fatto che questo asserito momento di crisi personale della In. avesse concretamente inciso sulla sua unione con il Be.. Infatti, a differenza di quanto dedotto da parte Be., non è un fatto notorio né si può ritenere provato secondo l'id quod plerumque accidit (il Be., come detto, aveva dedotto "va da sé che questa circostanza ...") che, dal fatto che la propria moglie segua un percorso psicologico, ne segua una crisi nella coppia, potendo essere che un momento personale difficile di un coniuge porti la coppia ad unirsi ancora di più, con solidarietà e spirito di compartecipazione nelle difficoltà; era parte Be. onerata dal dimostrare che, al contrario, questo (asserito) momento di difficoltà personale della In. avesse profondamento inciso sulla loro unione spirituale (ciò che esso, deducendo il sopra visto capitolo, nemmeno si è offerto di provare). 3.5.5. La quarta circostanza dedotta dal Be. a sostegno della sua linea difensiva è che, in ragione della sindrome di Rokitansky da cui è affetta, la In. non avrebbe potuto raggiungere l'orgasmo, ciò che avrebbe determinato un'insoddisfacente vita sessuale per esso resistente. La circostanza è da ritenersi provata in forza del "principio di non contestazione": infatti, a fronte della allegazione sul punto da parte Be. nella sua comparsa di costituzione del 11.4.2016, la In. non ha mai contestato la circostanza (se non tardivamente, deducendo una prova contraria nella propria memoria n. 3). Tuttavia, anche se questa (quarta) circostanza delle linea difensiva di parte Be. è risultata provata, non per questo può essere provata la sussistenza di una crisi preesistente "rilevante" fra esso e la In., né può essere accolta la domanda di addebito avanzata dal Be.. 3.5.6. Infatti, in primo luogo, vale notarsi come la giurisprudenza specifichi che la condizione di crisi di una coppia, per assumere che assume rilevanza e avere l'effetto anche giuridico di elidere il nesso di causalità fra dei fatti di addebito e la fine della unione coniugale, non può consistere in una generica situazione di crisi e di incomprensioni, ma deve consistere in una condizione di intollerabilità della convivenza (cfr., da ultimo, Cass. 648/2020), di separazione di fatto dei coniugi e loro convivenza formale (cfr. Cass. 25966/2016; Cass. 16859/2015), di irreversibile e grave crisi della coppia (cfr. Cass. 16719/2013), non apparendo rilevante e "scriminante l'addebito" una situazione di crisi e di incomprensioni fra i coniugi cui non sia associato il venir meno della comunione spirituale (cfr. Cass. 13426/2012, in parte motiva). Orbene, parte Be. non ha mai allegato che l'asserita crisi fra esso e la In. fosse di tale livello: nei propri atti esso parla di sussistenza di una profonda crisi di coppia, di opprimente clima di tensione (cfr. la sua memoria integrativa del 4.7.2016; cfr. il suo capitolo di prova n. 828), ma non ha tratteggiato il quadro di unione coniugale fra di esso e la In. irrimediabilmente compromessa, di una loro convivenza solo formale -e ciò, vale notarsi, assume rilevanza dirimente non solo in relazione alla quarta circostanza della linea difensiva del Be., qui in esame, ma anche in relazione a tutte le altre circostanze dedotte dal Be. a sostegno della sua linea difensiva, anche qualora fossero risultate dimostrate -. Anzi, al riguardo, si deve osservare siano date almeno due circostanze di fatto che dimostrano come l'unione coniugale fra le parti, fino a quando il Be. incontrò la Ra., iniziando una relazione extraconiugale con la stessa e quindi abbandonando la casa coniugale, fosse ancora salda: è provato che, a far data dal 2012 e ancora al momento in cui intervenne la fine ex abrupto della loro unione coniugale (per colpa del Be.), era in essere l'iter per un'altra adozione internazionale da parte della coppia - cfr. i docc. 5 e 6, 18 In. -; orbene, se nella coppia di causa fosse stata data una profonda e grave crisi, quale quella richiesta dalla giurisprudenza, la coppia non avrebbe dato portato avanti un iter notoriamente impegnativo, sul piano psicologico ed economico, quale quello di un'adozione internazionale (parte Be., per la prima volta nella sua memoria conclusionale di replica del 1.9.2020, ha dedotto che esso fosse stato scettico riguardo questa adozione); è provato che l'8.5.2015 il Be. abbia acquistato un nuovo immobile in Soresina, in Via (...) n. 16 (cfr. doc. 7 In.), accollandosi il mutuo da cui era gravato, per Euro 260.000,00, mentre fino a quel momento la coppia aveva vissuto nell'immobile sito in Via (...) n. 5, che in pari data era venduto pro quota alla In. (cfr. doc. 8 In.); l'allegazione dell'In. dell'essere l'immobile in Via (...) n. 16 destinato ad essere la nuova casa familiare, e che fosse stato acquistato questo immobile più grande in previsione di un allargamento della famiglia con l'arrivo del secondo bambino adottato, è pienamente ed eloquentemente dimostrata dal fatto che, non appena avviato il presente giudizio di separazione, dopo solo 1 anno dal suo acquisto, il 2.5.2016, il Be. abbia dato subito mandato ad un'agenzia per la vendita dell'immobile in Via (...) n. 16 (cfr. all 6 c.t.u. dott. Pa.: dato temporale che rende priva di qualunque credibilità la tesi di parte Be. per cui questo immobile fu acquistato solo per fare un vantaggioso affare), nonché dal fatto che nel 2016 il Be. si sia trasferito a vivere dalla Ra. (come ammesso dallo stesso: cfr. la nota 3 della memoria integrativa del 4.7.2016). Orbene, se un marito -il Be. - compra una nuova casa più grande, accollandosi l'oneroso mutuo su di esso gravante, è impossibile predicare essere in presenza di una convivenza solo formale e di una separazione di fatto nella coppia. 3.5.7. Infine, vale altresì notarsi come non in ragione del fatto che nella coppia fosse data un'insoddisfacente intesa sessuale (per parte Be.), a causa della impossibilità della In. di raggiungere l'orgasmo, può per può addebitarsi la separazione alla In.: vale infatti ricordare come la giurisprudenza dia rilievo, ai fini dell'addebito della separazione, solo a comportamenti coscienti e volontari di un coniuge (cfr. Cass. 12383/2005); proprio stando alle allegazioni di parte Be. (e dimostrate in forza del "principio di non contestazione"), la In. non raggiungeva l'orgasmo non volontariamente, ma quale conseguenza naturale e involontaria della sindrome di Rokitansky. 3.6. In sintesi, dalle allegazioni delle parti, dalle risultanze probatorie, è dato un quadro probatorio complessivo di una coppia che, di là da qualche elemento critico (per esempio sul piano della intesa sessuale e forse, in passato, per le iniziali difficoltà di accettazione della malattia di He. da parte della In.), comunque vi era ancora un'unione spirituale e fisica, in cui era data una progettualità di coppia -quella di adottare un altro bambino e di andare a vivere in una casa più grande-. In questo quadro, ex abrupto, è intervenuta la storia d'amore iniziata dal Be. con la Ra., con il conseguente abbandono del tetto coniugale da parte del marito, ciò che ha determinato la fine del matrimonio. 4. Sulle domande di risarcimento del danno non patrimoniale avanzate dalle parti. 4.1. Parte In. ha avanzato domanda per il risarcimento del danno non patrimoniale da essa sofferto in ragione dei "fatti"/"motivi" di addebito subiti dal marito, in particolare in ragione della sua infedeltà e del suo abbandono del tetto coniugale, senza giusta causa; la ricorrente ha quantificato detto danno in Euro 50.000,00. A differenza di quanto controdedotto parte Be., sono dati tutti i presupposti per l'accoglimento di questa sua domanda, sebbene con il riconoscimento alla In. di un quantum inferiore a quello da essa richiesto. Secondo la giurisprudenza "nel vigente diritto di famiglia, contrassegnato dal diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell'altro, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile all'art. 2 Cost., ciascun coniuge può legittimamente far cessare il proprio obbligo di fedeltà proponendo domanda di separazione ovvero, ove ne sussistano i presupposti, direttamente di divorzio. Con il matrimonio, infatti, secondo la concezione normativamente sancita del legislatore, i coniugi non si concedono un irrevocabile, reciproco ed esclusivo "ius in corpus" - da intendersi come comprensivo della correlativa sfera affettiva - valevole per tutta la vita, al quale possa corrispondere un "diritto inviolabile" di ognuno nei confronti dell'altro, potendo far cessare ciascuno i doveri relativi in ogni momento con un atto unilaterale di volontà espresso nelle forme di legge. Nell'ottica di tale assetto normativo, se l'obbligo di fedeltà viene violato in costanza di convivenza matrimoniale, la sanzione tipica prevista dall'ordinamento è costituita dall'addebito con le relative conseguenze giuridiche, ove la relativa violazione si ponga come causa determinante della separazione fra i coniugi, non essendo detta violazione idonea e sufficiente di per sè a integrare una responsabilità risarcitoria del coniuge che l'abbia compiuta, ne' tanto meno del terzo, che al su detto obbligo è del tutto estraneo. In particolare, quanto alla responsabilità per danni non patrimoniali ..., perché possa sussistere una responsabilità risarcitoria, accertata la violazione del dovere di fedeltà, al di fuori dell'ipotesi di reato dovrà accertarsi anche la lesione, in conseguenza di detta violazione:, di un diritto costituzionalmente protetto. Sarà inoltre necessaria la prova del nesso di causalità fra detta violazione ed il danno, che per essere a detto fine rilevante non può consistere nella sola sofferenza psichica causata dall'infedeltà e dalla percezione dell'offesa che ne deriva - obbiettivamente insita nella violazione dell'obbligo di fedeltà - di per sé non risarcibile costituendo pregiudizio derivante da violazione di legge ordinaria, ma deve concretizzarsi nella compromissione di un interesse costituzionalmente protetto. Evenienza che può verificarsi in casi e contesti del tutto particolari, ove si dimostri che l'infedeltà, per le sue modalità e in relazione alla specificità della fattispecie, abbia dato luogo a lesione della salute del coniuge (lesione che dovrà essere dimostrata anche sotto il profilo del nesso di causalità). Ovvero ove l'infedeltà per le sue modalità abbia trasmodato in comportamenti che, oltrepassando i limiti dell'offesa di per sè insita nella violazione dell'obbligo in questione, si siano concretizzati in atti specificamente lesivi della dignità della persona, costituente bene costituzionalmente protetto" (così Cass. 18853/2011, fra le tante) Alla luce delle SS.UU. "(...)" del 2018, la giurisprudenza ha poi specificato che il coniuge che richiede il risarcimento del danno non patrimoniale in ragione di fatti di addebito deve dimostrare il danno conseguenza ad esso conseguito dai fatti di addebito, ossia dimostrare la sussistenza di una danno circostanziato e parametrato sulla persona di esso coniuge (così Cass. 4470/2018). Orbene, nel caso di specie, sussistono entrambe le condizioni cui la giurisprudenza ora citata subordina il riconoscimento del danno non patrimoniale conseguente ad un fatto di addebito, essendo provato un danno conseguenza circostanziato in capo alla In. quale effetto delle condotte (di addebito) del Be.. Da un lato, è provato che, a seguito della scoperta della relazione extraconiugale del marito, la In. sia andata incontro ad un repentino dimagrimento, sicché la relazione extraconiugale del Be. ha inciso sulla salute della In.. Tutti i testi sentiti sul punto -fra cui, oltre ai già nominati Em.Gi., Ma.Ca., Ad.Ti., Ma.Ti., Ci.Co., El.Pr., anche altri conoscenti della coppia, quale (...) - in modo concorde hanno infatti riferito che, alla fine del 2015, nell'arco di un mese, la In. aveva visibilmente perso molto peso, che qualche teste ha quantificato in 10 kg, con una forma di dimagrimento espressiva e chiaramente indicatrice di una sofferenza personale molto forte. In tal senso ha testimoniato anche (...), gestore di una palestra dove la In. era iscritta, il quale ha riferito: "mi ricordo molto bene della sig.ra In., è stata da noi un mese; il mese di ottobre ... poi l'abbiamo rivista a gennaio; non aveva bisogno di dimagrire al momento della iscrizione; quando si è ripresentata a gennaio non l'avevo riconosciuta tanto era dimagrita e mia figlia, cui avevo chiesto spiegazioni, mi aveva detto che aveva avuto problemi familiari"). Logicamente questo "innaturale dimagrimento" della In. era dovuto al fatto che il marito aveva lasciato la casa coniugale e al fatto che ad essa veniva riferito che il marito era visto frequentare la Ra. in luoghi pubblici. Il Be. ha tentato di dedurre che tale "innaturale dimagrimento" della In. non fosse dovuto che ad un'intensa attività di palestra dalla stessa svolta, nell'obiettivo di perdere peso: orbene, persino il teste chiamato da parte Be. a dare conferma a tale sua deduzione, il precitato (...), l'ha decisamente negata, rendendo le dichiarazioni di cui si è detto. Dall'altro lato, è provato che la relazione extraconiugale del Be. si sia svolta con modalità profondamente lesive della dignità della In.: come sopra detto32, è dato che il Be., già poco dopo l'uscita da casa, quando esso era ancora "ufficialmente sposato" con la In., cominciò ad accompagnarsi con la Ra., ragazza come detto, più giovane della In., in luoghi pubblici, come cinema e ristoranti, da cui la intuizione o l'interrogarsi di tutti i conoscenti della coppia che li videro (sentiti come testimoni) sulla natura di tale frequentazione e sul fatto che la In. fosse una moglie "tradita". Il danno non patrimoniale a favore della In. va quantificato nella misura di Euro 30.000,00, considerata altresì una circostanza: per effetto delle scelte personali del Be., la In. non solo ha subito il dolore e l'onta di un tradimento, con una ragazza più giovane di essa; non solo ha visto andare in fumo una relazione durata 17 anni (il matrimonio della coppia era stato preceduto da 7 anni di fidanzamento), ma la stessa (come dallo stesso allegato: cfr. il suo ricorso p. 5) ha provato anche il dolore del fatto che, a causa delle nuove scelte di vita del Be., essa si vedeva pregiudicata la possibilità di portare a termine la seconda adozione internazionale il cui iter, come detto, era in corso. Trattandosi di obbligazione di valore, anche d'ufficio, possono essere liquidati interessi legali ed interessi legali cd compensativi da cd danno da ritardo: va pertanto disposto che sull'importo di Euro 30.000,00 spettino interessi legali, dalla data della presente sentenza sino al soddisfo, nonché interessi legali (cd danno da ritardo) da calcolarsi sulla somma di Euro 30.000,00, prima devalutata dalla data della presente sentenza sino all'ottobre 2015 (momento in cui è certo, sulla base di quanto riferito dei testi, che fosse in essere la relazione del Be. con la Ra.: cfr. testimonianza di Em.Gi.) e poi rivalutata anno per anno da detta data sino alla data della presente sentenza, secondo gli indici istat (costo della vita). 4.2. Quanto alla reciproca domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dal Be., a fronte della mancata dimostrazione delle circostanze dedotte a sostegno della sua domanda di addebito della separazione alla In., detta domanda va logicamente rigetta. 5. Sull'affido di He., sul diritto di visita genitoriale, sull'assegnazione della casa coniugale Ai fini della decisione di queste domande di causa, è apparso utile, sin da una fase precoce del processo, accertare la capacità genitoriale delle parti, le esigenze terapeutiche di He. nonché la compliance dei genitori con tali esigenze: a tal fine, veniva dato incarico di c.t.u. al dott. Ma.Ra.; all'esito dei propri lavori, il c.t.u. depositava il 30.3.2017 una prima relazione. 5.1.1. Come detto, He. è affetto dalla nascita da un disturbo dello spettro dell'autismo, da un disturbo evolutivo del linguaggio e da un disturbo cognitivo. 5.1.2. All'esito del suo incarico, il c.t.u. dott. (...) rilevava che, per queste gravi patologie, la psiche di He. va incontro ad una dinamica molto complessa, sicché ogni cambiamento/novità nella sua routine deve essere opportunamente preparato, altrimenti determinandosi una risposta nel minore di disagio acuto, sia a livello psicofisico, che a livello comportamentale, disagio che magari può non manifestarsi nell'immediatezza, ma può manifestarsi a distanza di tempo, e ciò anche se il cambiamento/novità introdotto è rappresentato da un evento in sé positivo e piacevole (come, ad esempio, fare una gita o andare al cinema). Alla luce di questa dinamica psichica in He., secondo il c.t.u., i "tre punti fermi" per l'approccio relazionale, anche per i genitori, con il minore dovevano essere quelli della "continuità - stabilità-anticipazione/preparazione delle esperienze" (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 17, 24, 32). 5.1.3. Nella sua prima relazione, il c.t.u. poteva accertare che "care giver principale" e vero e proprio "pilastro familiare" di He. era senza ombra di dubbio sua madre, la In. (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 28). 5.1.4. Sempre nella predetta relazione del 30.3.2017, il c.t.u. accertava che, attorno ad He. fosse stata costruita dai genitori, negli anni, "una rete terapeutica" molto valida, composta dal personale della Scuola paritaria che frequentava/frequenta, dalla terapista privata domiciliare, nonché dal Centro di psicomotricità in Lodi, soggetti che il c.t.u. definiva i "pilastri extrafamiliari" di He.; secondo il c.t.u., in particolare, asse portante del progetto terapeutico/riabilitativo e della "rete terapeutica" di He. era la terapia domiciliare; al momento in cui il c.t.u. svolgeva il proprio primo incarico, detta terapia domiciliare era svolta dalla dott.ssa (...), rispetto alla quale il c.t.u. spendeva aperti elogi (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 2834). 5.1.5. Quanto alla valutazione della capacità relazionale di ciascuno dei genitori rispetto ad He. ed all'impegno di ciascuno di essi nel seguire il percorso terapeutico del minore, il c.t.u non poteva non rilevare l'essere data una significativa conflittualità della coppia, ma nonostante ciò - sebbene, sia notorio che la conflittualità genitoriale non favorisce il benessere di un bambino-bambino - il c.t.u. rilevava come entrambe le parti fossero da ritenersi dei buoni genitori, anche per avere costruito una valida "rete terapeutica" attorno e per He. e come il Be. nutrisse un sincero affetto per il figlio, affetto peraltro ricambiato (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 25 e 41). Il c.t.u. rilevava tuttavia come diverse fossero le capacità riflessive e di comprensione dei genitori rispetto alle patologie e alle esigenze terapeutiche di He.: nella In. era data una solida consapevolezza delle patologie del figlio e dell'importanza di seguire i predetti "tre punti fermi" nella sua gestione; nel Be. era invece dato invece un "pensiero interiorizzato di He." che corrispondeva ad visione "molto personale" del profilo personologico, dei bisogni esistenziali e delle necessità terapeutiche del minore; il Be., infatti, mostrava una visione sottostimata delle necessità/bisogni di He. rispetto a cambiamenti, relazionali o ambientali; il Be. - osservava il c.t.u.-sapeva vedere solo il "qui ed ora" di He.; nelle uscite con il figlio era capace di cogliere solo la positività dell'esperienza in quanto tale e per come si sviluppava; mancava del tutto nel padre la "visione del dopo", cioè del percorso di elaborazione emotiva e psicologica successiva che He. attivava/attiva ad ogni esperienza nuova, ossia del fatto che, se l'esperienza non è adeguatamente preparata, secondo i predetti "tre punti fermi", He. metteva/mette in atto degli stati di agitazione ed emotivi; osservava il c.t.u. che fosse come se il Be. non sapesse vedere e prevedere che "dopo una partita a tennis, segue la stanchezza", che "ad un pasto impegnativo, segue una digestione difficile" (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 25); sul punto peraltro, il c.t.u. non veniva smentito dalle c.t.p. della stessa parte Be. (nelle loro osservazioni ex art. 195 cod. proc. civ.). Il c.t.u. rilevava altresì come diverso fosse il livello di "investimento" dei genitori nel seguire He. nel suo percorso terapeutico e di collaborazione e compliance con la sua "rete terapeutica": nella In. era dato un approccio "over size" e di diretta partecipazione al percorso terapeutico di He.; nel Be. era dato un approccio "under size" di partecipazione al percorso terapeutico, forse in ragione della scarsa interiorizzazione da parte di esso padre della centralità di detto percorso per il benessere di figlio (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 25). 5.2.1. Sempre nella sua relazione, il c.t.u. indicava anche delle "linee programmatiche" generali da seguirsi da parte dei genitori per un valido esercizio della genitorialità nella loro (nuova) condizione di genitori separati (di He.), soprattutto da seguirsi da parte del Be., ai fini di un costruttivo e non pregiudizievole esercizio del suo diritto di visita verso He.: essendo che esso padre non avrebbe più frequentato He. in presenza del "care giver principale", la In., He. doveva essere adeguatamente preparato a frequentarlo in una nuova dimensione. Le "linee programmatiche" generali individuate dal c.t.u. erano: nella relazione del Be. con la In., era da richiedersi al primo una condotta di sostegno psico-socio-esistenziale della In., come era stato dato in costanza di matrimonio, perché la stessa "potesse tenere" nel suo ruolo di "care giver principale", stante il fatto che He., in ragione delle patologie da cui è affetto, rappresentava/rappresenta una "sfida quotidiana ardua" (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 25 e 43); nella relazione della In. con il Be., era da richiedersi una maggiore accettazione da parte della madre di un modello relazionale diverso dal proprio, ma comunque importante per la crescita del figlio (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 43); nella relazione di entrambi i genitori con He., vi era la necessità che entrambi seguissero i predetti "tre punti fermi" ("continuità-stabilità - anticipazione/preparazione delle esperienze"); pertanto, per fare vivere a He. nuove esperienze o per effettuare dei cambiamenti nella routine del minore, i genitori erano tenuti a fare un importate percorso terapeutico di anticipazione-preparazione alla nuova esperienza/ cambiamento (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 32 e 36); infine, per il benessere di He., secondo il c.t.u. vi era la necessità di collaborazione da parte di entrambi i genitori con la "rete terapeutica" del minore; attraverso questa collaborazione, da un lato, si sarebbe permesso il consolidamento delle tecniche insegnate dai terapisti al minore per contenere e sapere gestire le proprie dinamiche emotive patologiche, dall'altro lato, i genitori avrebbero potuto apprendere come attuare i predetti "tre punti fermi" nella gestione del tempo con il minore e nell'organizzare le esperienze con lo stesso; in particolare, il c.t.u. "indicava" al Be. l'importanza di passare da un investimento "under size" con la "rete terapeutica" ad una partecipazione maggiore, prendendo parte e dando avvio a delle sedute terapeutiche per e con He. con la sua terapista dott.ssa (...) presso la sua nuova sistemazione abitativa; la partecipazione a queste sedute non solo era necessaria al fine di fare abituare il minore al nuovo assetto di vita del padre, ma era essenziale, al fine di introdurre anche il pernotto di He. presso esso padre, forma di esercizio del suo diritto di visita fortemente richiesta dal Be. (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 33, 35, 41, 42). 5.2.2. Sempre nella predetta relazione del 30.3.2017, oltre a dettare le predette "linee programmatiche" generali, il c.t.u. formulava una più dettagliata proposta di frequenza del diritto di visita paterno, indicando riguardo le condizioni cui lo stesso doveva avvenire, e specificando che, a quel momento, se non vi fosse stata un'adeguata preparazione terapeutica del minore, non appariva confacente al suo benessere l'introduzione del suo pernotto presso il padre e la sua frequentazione della Ra. (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2021, p. 37 e ss.). 5.2.3. I c.t.p. di parte Be., nelle loro osservazioni ex art. 195 cod. proc. civ., non contestavano in alcun modo la validità delle "linee programmatiche" generali individuate dal c.t.u., né le sue valutazione del quadro familiare (anzi, a p. 31 delle loro osservazioni, aderivano esplicitamente al giudizio del c.t.u. che il Be. avrebbe dovuto seguire i predetti "tre punti fermi" nella gestione di He.), ma contestavano la valutazione del c.t.u. dell'insussistenza, a quel momento, delle condizioni per l'introduzione del pernotto presso il padre e della frequentazione della (...). 5.3. Ai fini della statuizione sulle domande di causa qui in esame, vale sin da ora osservarsi come, nel lungo sviluppo della presente causa, e nonostante, all'inizio della stessa, fosse data una più che valida "rete terapeutica" attorno ad He., vi sono stati dei momenti in cui particolarmente gravi ed acute sono state le manifestazione di disagio da parte di He.. Un primo momento critico iniziò alla fine del 2015 ed è proseguito fino alla primavera del 2016 (cfr., in tal senso, le relazioni a firma dott.ssa Da., della Scuola frequentata da He., del Centro di psicomotricità di Lodi, riportate nella relazione del dott. (...) del 30.3.2017, a p. 17-21); il c.t.u. (...), al riguardo, ha concordato con i professionisti che hanno stilato le predette relazioni nel senso che, alla base delle reazioni patologiche di He., vi era la fine della relazione fra i suoi genitori e l'abbandono della casa coniugale da parte del Be.; si era trattato, infatti, di un cambiamento cui He. non era pronto, per cui non si era potuta applicare la regola terapeutica dei "tre punti fermi" (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017 p. 24); al riguardo, si deve notare come parte Be., nel costituirsi nel presente giudizio, inspiegabilmente, avesse negato che, fino a quel momento, He. avesse attraversato un periodo difficile (cfr. la sua memoria integrativa del 4.7.2016, p. 14). Una seconda fase critica di He. ha avuto inizio a marzo del 2018 ed è durata particolarmente a lungo, fino al marzo 2019 (cfr. relazione a firma dott.ssa (...) allegata da parte In. a verbale d'udienza del 21.12.2018; cfr. le relazioni della Scuola frequentata da He. e del Centro DSA di Cremona, depositate il 2.7.2019); la gravità dei comportamenti manifestati da He. in quel periodo fu tale che, nel gennaio 2019, il neuropsichiatra di He. invitava i genitori a valutare la possibilità di somministrare degli psicofarmaci al minore (cfr. istanza ex art. 709ter di parte In. del 5.2.2019); fortunatamente, essendo che questa fase critica rientrò di lì a poco, non si rese necessario approfondire questa ipotesi terapeutica (cfr. ordinanza del 25.3.2019). 5.4.1. Alla luce di tutto quanto sinora premesso, e venendo, più nello specifico, alle domande di causa, va confermato l'attuale collocamento di He. presso la In.: nonostante la conflittualità che ha caratterizzato e caratterizza la sua relazione con il Be., mai il padre ha avanzato richiesta di una diversa collocazione del minore, (forse) così riconoscendo l'insostituibile ruolo della In., da sempre, di "care giver principale" di He.. 5.4.2. Alla stessa va quindi assegnata la ex casa coniugale, peraltro di sua proprietà, in Via (...) n. 5 in Soresina. 5.5. Quanto al diritto di visita paterno verso He., non si può allo stato che "ratificare" la frequenza attuale a cui questo diritto avviene, ossia che il Be. possa tenere con sé He. tutti i martedì ed i giovedì, dalle 18.00 alle 21.00, nonché a fine settimana alterni, dalle 9.30 del sabato alle 21:00 di domenica, quindi con pernotto e senza alcuna limitazione in ordine al fatto che He. frequenti la Ra. (e il di lei figlio). Va disposto altresì che il Be. potrà tenere He. con sé per 15 gg durante le vacanze estive, per metà delle vacanze natalizie, per metà delle vacanze pasquali, in modo da alternare le Festività di anno in anno con la In.. Come si osserverà nel prosieguo, a tale frequenza del diritto di visita paterno si è giunti dopo un laborioso "percorso fattuale", cui He. si è infine "adattato" (cfr. la dichiarazione di parte In. all'udienza del 11.12.2019: "He. sta bene"), e non applicando i predetti "tre punti fermi" terapeutico-educativi di He.. Va disattesa la richiesta formulata da parte Be. di un ampliamento dell'attuale diritto di visita paterno con maggiori pernotti: pur comprendendo il desiderio di esso padre di tenere con sé il proprio figlio per più tempo, solo ove sarà documentato dal Centro DSA, che He. sta frequentando, che il minore è pronto e sia stato adeguatamente preparato ad un ampliamento del numero dei pernotti presso il padre, si potrà valutare la richiesta dello stesso. Riguardo l'ulteriore richiesta/precisazione di parte Be. a che esso possa vedere il minore "quando crede, previo preavviso, tutti i mercoledì ...", la stessa è inaccoglibile, perché, nella parte in cui presuppone una possibile discontinuità del diritto di visita paterno, si pone in contrasto con i predetti "tre punti fermi" terapeutico-educativi per He.: si invita (come più volte fatto in corso di causa, ma vanamente) il Be. a rispettare la calendarizzazione in questa sede prevista. Va disattesa la richiesta di parte In. a che sia lei a scegliere il luogo dove il padre trascorrerà le vacanze con il minore, apparendo la richiesta eccessivamente condizionante la libertà del padre. 5.6. In punto di affido di He., entrambe le parti hanno chiesto mantenersi il suo affido condiviso, come disposto in fase presidenziale. Ricordato come, in materia, la giurisprudenza della Suprema Corte affermi come non sia vigente il principio della domanda, sicché il Tribunale può non adeguarsi alla richiesta delle parti (cfr. Cass. 11218/201339); ricordato come, sempre secondo la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, l'alta conflittualità fra le parti non sia di per sé sufficiente per derogarsi al regime ordinario dell'affido condiviso (e nel caso di specie è dato che la conflittualità fra le parti sia cresciuta progressivamente durante il giudizio: cfr. relazione dott. (...) del 15.3.2018, p. 9); comunque, la richiesta congiunta delle parti riguardo l'affido di He. non può essere accolta totalmente: infatti, nel caso di specie è dato, che nel lungo corso della causa, il Be. abbia posto in essere varie condotte di pressoché totale non osservanza delle "linee programmatiche" generali indicate da parte del c.t.u., abbia esercitato il proprio diritto di visita in modo non responsabile, perché non coerente con le esigenze terapeutiche di He. e, soprattutto, è dato che il Be. abbia posto in essere alcune condotte che si sono rilevate concretamente pregiudizievoli per He., che non possono che portare a rivedere il primo giudizio formulato dal c.t.u. di buone capacità genitoriali in capo allo stesso (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017, p. 41), condotte queste che rivelano una sua non piena capacità genitoriale -nonostante sia indiscusso che il Be. provi un grande affetto per il minore - e che giustificano una deroga parziale al regime dell'affido condiviso. 5.6.1. Anzitutto, il Be. ha posto in essere varie condotte di inadempimento dei propri obblighi economici verso la In., non versandole la quota delle spese straordinarie a proprio carico, rifiutandosi completamente di contribuire ad alcune spese straordinarie, non versando tempestivamente l'assegno di mantenimento provvisorio e giungendo infine ad un inadempimento parziale nel pagamento di tale assegno: queste condotte verranno analizzate più specificamente nel prosieguo. Per quanto sia vero quanto osserva la difesa del padre Be. - ossia che il Be., nonostante queste proprie condotte, comunque non abbia lasciato nelle indigenze la In. ed Henok41 - non si può non replicare a tale osservazione come il c.t.u. dott. (...), sin nella sua relazione del 30.3.2017 (a p. 29), avesse chiaramente indicato che il Be. avesse un importante compito di sostegno anche psicologico della In. come "care giver principale" di He., stante il notevole impegno che la sua crescita implica: le condotte oppositive (e di vero e proprio inadempimento) al pagamento del dovuto da parte del padre non hanno certo facilitato e non sono state certo di sostegno psicologico al difficile compito educativo della In. (non avendo essa risparmi propri e potendo contare solo sull'entrata dell'assegno di mantenimento disposto, come si osserverà nel prosieguo). 5.6.2. Ancora: il Be., nonostante il ripetuto richiamo del c.t.u. all'importanza dei predetti "tre punti fermi" dell'approccio relazionale con He., non si è attenuto ai "punti fermi" della "continuità" e della "stabilità", mostrando un'ostinata resistenza alla interiorizzazione delle indicazioni del c.t.u.. In ordinanza presidenziale era stato stabilito che il Be. portasse a scuola He. il martedì ed il giovedì mattina; la In., in varie sue istanze ex art. 709ter cod. proc. civ. (quelle del 13.2.2017, del 20.11.2018 e del 5.12.2019), evidenziava come il padre non mantenesse fede a tale suo impegno, e produceva prova di questa condotta del padre (cfr. gli sms di disdetta inviati dal Be., prodotti quale all. 12 della istanza 709ter del 5.12.2019); il Be., infine, ammetteva questa sua condotta, giustificandola in ragione dei propri impegni lavorativi (cfr. la sua nota del 6.12.2018, p. 5), tanto che infine, prendendo atto della situazione, le parti chiedevano concordemente che fosse formalmente escluso questo momento di accompagnamento a scuola del figlio da parte del padre (cfr. verbale udienza del 17.10.2019) e le parti hanno mantenuto ferma questa "decisione concorde" in sede di precisazione delle conclusioni. 5.6.3. Altresì, sempre riguardo i predetti "tre punti fermi" dell'approccio relazionale con He., il Be. non si è attenuto neanche al "punto fermo" della "anticipazione/preparazione delle esperienze", in particolare in relazione alle modalità di esercizio del suo diritto di visita verso He.. Come detto, nella sua relazione del 30.3.2017, il c.t.u. dott. (...) aveva evidenziato come a quel momento non apparissero date le condizioni per prevedere un pernotto di He. presso il padre né a che, quando era presso di lui, il Be. facesse frequentare ad He. la Ra. e il di lei figlio; secondo il c.t.u., solo dopo un'adeguata preparazione di He. e lo svolgimento di terapia domiciliare presso la abitazione del Be., solo verificando la "tenuta psicologica" di He. a questi cambiamenti, si sarebbero potuti introdurre gli stessi stabilmente (cfr. relazione dott. (...) p. 33 e 41; si noti come del resto, anche gli professionisti della "rete terapeutica" di He. si fossero espressi in questo senso: cfr. le loro relazioni, risportate a p. 18 e ss. della relazione dott. (...) dela 30.3.2017). Accadeva tuttavia che, ancora a lavori della c.t.u. in corso (dopo che il c.t.u. aveva inviato la bozza della sua relazione ai c.t.p. delle parti), facendo leva sulla difforme opinione dei propri c.t.p. al riguardo42, la sera del 19.3.2017 il Be. decideva spontaneamente di fare sperimentare il pernotto presso di sé ad He., peraltro dichiarando al c.t.u. che la In. fosse stata d'accordo (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017, p. 33). Il c.t.u., nella sua replica alle osservazioni dei c.t.p. di parte Be., pur osservando come in realtà tale pernotto fosse stata un'iniziativa esclusiva di esso padre, mostrava apertura all'ipotesi del pernotto del minore presso il padre -nonostante la precedente terapista che seguiva He., la dott.ssa (...), avesse espresso parere negativo al riguardo (cfr. la email fra il Be. e la dott.ssa del 23.2.2017, allegata alle osservazioni dei c.t.p. di parte Be. alla relazione del c.t.u. del 30.3.2017)-; il c.t.u. però ribadiva come ciò dovesse avvenisse solo previa un'adeguata preparazione del minore, stabilizzando con un adeguato lavoro terapeutico quello che era accaduto la sera del 19.3.2017, e ribadiva altresì come non fosse opportuno introdurre ulteriori cambiamenti nella vita del minore, quale quello di fargli incontrare la Ra. (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017, p. 35-41 e le sue note di replica alle osservazioni dei c.t.p. di parte Be.). La In., tuttavia, già al giugno 2017 (quindi già pochi mesi dopo il deposito della c.t.u.) inviava varie email al Be., lamentando come esso continuasse a fare frequentare He. con la Ra., invitando il Be. ad attenersi alle indicazioni del c.t.u. (cfr. email prodotte all'udienza del 13.6.2017) e in data 7.11.2017 depositava istanza ex art. 709ter cod. proc. civ., chiedendo vietarsi che proseguisse questa frequentazione; il Be., con la sua nota del 6.12.2017, non negava la corrispondenza al vero di quanto lamentato dalla In.. Veniva così chiesta al c.t.u. una nuova valutazione della condizione del minore (l'incarico era dato principalmente per risolvere la grave situazione della interruzione della terapia domiciliare a favore di He., punto che si affronterà nel prosieguo, ma il c.t.u. non poteva che compiere una nuova valutazione globale della condizione del minore). All'esito dei suoi accertamenti supplementari, nella sua relazione del 15.3.2018, il c.t.u. non poteva come prendere atto come fosse ormai una "realtà attualizzata" quella che He. incontrasse regolarmente la Ra. e il di lei figlio (cfr. relazione del 15.3.2018, p. 5); osservava come sarebbe stato opportuno che tale frequentazione fosse introdotta con maggiore prudenza e oculatezza (cfr. p. 11); richiamava fortemente l'importanza dei predetti "tre punti fermi" nell'approccio relazionale con He. anche da parte del padre (p. 9); stabiliva in modo preciso 3 livelli di ampliamento delle frequentazioni di He., indicando con precisione a quali condizioni potessero avvenire: il cd livello 1 corrispondeva al consumare i pasti presso i nonni paterni; per questo ampliamento terapeutico, secondo il c.t.u., non costituiva condicio sine qua non che il Be. facesse una terapia di preparazione con e per He.; il cd livello 2 corrispondeva al fare frequentare He. con la Ra.; per questo ampliamento, era condicio sine qua non una preparazione di He. con terapia, da farsi anche con il padre e la Ra.; il cd livello 3 corrispondeva al pernotto di He. presso il padre; anche per questo ampliamento era condicio sine qua non una preparazione di He. con terapia, sempre da farsi anche con il padre e la Ra. (cfr. relazione (...) del 15.3.2018). Successivamente al deposito della relazione del c.t.u. del 15.3.2018, e fino alla fine della presente causa, nonostante il formale richiamo ad esso fatto dal G.I. di attenervi scrupolosamente (cfr. ordinanza a verbale d'udienza del 22.3.2018), il Be. ha continuato a non seguire le indicazioni terapeutiche date dal c.t.u. nelle sue relazioni del 30.3.2017 (con le predette "linee programmatiche" generali) e ribadite nella sua relazione del 15.3.2018 (con l'individuazione dei cd 3 livelli di ampliamento e della condicio sine qua non a cui avrebbero potuto avvenire); il Be. non ha sostanzialmente fatto quella terapia domiciliare indicata dal c.t.u. come condicio sine qua non perché preparatoria ai cd livelli 2 e 3 (anche perché in quel momento si interrompeva qualunque sua alleanza terapeutica con la dott.ssa (...), come si osserverà meglio nel prosieguo) e, nonostante ciò, continuava a fare frequentare He. alla Ra. e introduceva di fatto e sempre più frequentemente il pernotto di He. presso di sé (come dallo stesso ammesso già all'udienza del 16.5.2018). Chiesto dal G.I. delle ragioni di tale sua condotta, non conforme alla indicazioni terapeutiche per He., il Be. dava la seguente (invero disarmante) spiegazione "è vero che il c.t.u. aveva ritenuto che questo fosse possibile dopo che io e la mia compagna ci fossimo impegnati in un percorso di apprendimento delle tecniche di gestione di He. e ciò non è avvenuto (ci sono stati solo 4 incontri con la (...))" ma "lo faccio perché il dott. (...) aveva ritenuto che dopo un certo lasso di tempo avrei potuto introdurre la mia compagna nella vita di He." (cfr. verbale udienza del 11.12.2019). 5.6.4. Riguardo le condotte sin qui esposte tenute dal Be., è vero che ormai il pernotto di He. presso il Be. e la frequentazione del minore con la Ra. siano entrati nella realtà quotidiana di He. e anche la In. ha formulato delle conclusioni nel senso di prevedere tale pernotto, come sopra visto (vedendo che He. comunque sta bene: cfr. verbale udienza del 11.12.2019); altresì, è vero ed è indubitabile che dietro queste condotte del Be. non vi sia stata una sua volontà di nuocere al figlio, ma il desiderio del Be. di passare sempre più tempo con il minore, con la stessa frequenza con cui i padri non collocatori normalmente vedono i propri figli, non affetti da patologie come He.; è vero anche che la leggerezza del Be. nel tenere fede al suo impegno di portare He. a scuola il martedì ed il giovedì è stata dovuta ad impegni lavorativi di esso padre (che è amministratore di una società); tuttavia, non si può non notare come queste condotte di non osservanza delle "linee programmatiche" indicate da parte del c.t.u. e dei "tre punti fermi" nella relazione con He. appaiano espressive di una certa "irresponsabilità" e "leggerezza" del Be., perché non conformi e coerenti con le esigenze terapeutiche del minore. 5.6.5. A tutto voler concedere, comunque, il Be., oltre e di là dalle condotte fino a questo punto descritte, ha posto in essere due condotte molto gravi, che si sono tradotte in un effettivo e serio pregiudizio per He., e che giustificano una parziale ablazione della sua responsabilità genitoriale. 5.6.6. La prima grave condotta posta in essere dal Be. è consistita non nell'avere non solo in alcun modo posto in essere la compliance con la "rete terapeutica" di He. e, in particolare con la terapia domiciliare indicata dal c.t.u. come una delle "linee programmatiche" generali della relazione con He., ma nell'avere tenuto un inaccettabile atteggiamento di non collaborazione con la In. nell'individuare un nuovo terapista di He., nonostante il c.t.u. avesse indicato nella terapia domiciliare "l'asse portante" della "rete terapeutica" del minore (cfr. punto 5.1.4.). E' accaduto infatti che, a fronte delle critiche ad esso rivolte dalla dott.ssa (...) perché esso padre non partecipava con la dovuta assiduità alle sedute terapeutiche presso l'abitazione di esso Be. (quella terapia che, secondo la relazione del c.t.u. del 30.3.2017, costituiva una condizione imprescindibile per introdurre il pernotto di He. presso esso padre, come sopra visto43), a fronte del fatto che la dott.sa (...) avesse espresso parere negativo in ordine all'introduzione del pernotto del minore presso esso padre, nel febbraio-marzo 2017 nel Be. facesse venire meno l'appoggio e la fiducia fino a quel momento data alla dott.ssa (...), interrompendo qualunque sua collaborazione con la stessa (cfr. la email della dott.ssa (...), prodotta in allegato alle osservazioni ex art. 195 cod. proc. civ. dei c.t.p. di parte Be. alla relazione del c.t.u. del 30.3.2017). Stante l'importanza del lavoro della terapista per He., anche attraverso la mediazione del c.t.u., il G.I. cercava di intervenire per ricucire il rapporto fra il Be. e la dott.ssa (...) (si veda al riguardo l'ordinanza del 12.12.2017 per le "motivazioni" di questo intervento); all'esito dell'intervento del G.I., le parti concordavano che, comunque, la dott.ssa (...) sarebbe rimasta la terapista di He., facendo terapia con lo stesso solo presso la casa della madre (cfr. verbale udienza del 22.6.2017). Accadeva tuttavia che il Be., nonostante il formale assenso espresso all'udienza del 22.6.2017 a che la dott.ssa (...) continuasse ad essere la terpista di He., arrivò "di fatto" ad impedire che la dott.ssa (...) potesse svolgere la funzione di terapista di He., almeno presso la casa della madre, negando i nulla osta necessari alla dott.ssa nel relazionarsi con l'altro soggetto della "rete terapeutica" di He., ossia la sua Scuola (cfr., in tal senso, l'all. 1 alla istanza ex art. 709ter cod. proc. civ. di parte In. del 27.11.2017). Per questo il 21.11.2017 la dott.ssa (...) rassegnava le dimissioni dal proprio incarico (cfr. il documento ora citato). Per quattro mesi He. rimaneva così senza terapista. In data 24.2 ,18.4 e 26.4.2018 la In. mandava delle missive al Be., proponendo il nome di un nuovo terapista (cfr. all. 5, 6, 7 e 12 istanza ex art. 709ter cod. proc. civ. del 4.5.2018: si noti come in alcune di tali missive la In. avesse anche proposto un terapista del Centro (...) di Milano, un istituto di eccellenza nel campo dell'autismo); il Be. non rispondeva a nessuna di tali missive; il c.t.u., nella sua relazione del 15.3.2018, evidenziava come, a fronte di questa stasi nella (importantissima) terapia domiciliare per He., il Be. stesse tenendo un atteggiamento di "silenziosa attesa" (cfr. p. 13). Il G.I. teneva quindi varie udienze per "sbloccare" la situazione ed aiutare le parti ad individuare un nuovo terapista per He. (cfr. verbali udienze del 7.2., del 16.2., del 22.3., del 16.5.2018): il Be. cambiava infine il proprio atteggiamento e tornava collaborante, dapprima dando, all'udienza del 7.2.2018, il consenso a che la dott.sa (...) continuasse ad essere la terapista di He., poi, all'udienza del 16.5.201, dando il consenso che nuova terapista di He. fosse tale dott.ssa An., rispetto a cui la dott.ssa (...) avrebbe fatto da supervisore. Nel luglio - settembre 2018 la dott.ssa (...), a seguito di un'incomprensione con la Inzani44, rassegnava nuovamente e definitivamente le proprie dimissioni (cfr. all. 15 istanza 709ter cod. proc. civ. del 20.11.2018): il Be., mostrando nuovamente fiducia nella dott.ssa (...), tentava di convincerla a ritornare sulla sua decisione, ma invano. Si ripeteva quindi, nuovamente, la situazione che era accaduta fra il novembre 2017 ed il febbraio-marzo 2018: He. a settembre-ottobre 2018 era privo di un terapista; nuovamente la In. inviava varie missive al Be., indicando dei nomi di possibili terapisti (cfr. le missive del 3.9, del 10.10, del 10.11, del 12.11.2018), ma il Be., o non rispondeva alle missive, o vi rispondeva con insulti o non si presentava agli incontri fissati dalla In. per fare conoscere al Be. i terapisti che aveva individuato (cfr. all. 16, 17, 18, 19 istanza ex art. 709ter cod. proc. civ. del 20.11.2018). Ancora una volta si rendeva necessario l'intervento mediatore del G.I. che teneva numerose udienze a tal fine (cfr. udienze del 7.12, del 14.12, del 21.12.2018) finché, infine, all'udienza del 21.12.2018, il Be. dava il consenso a che He. iniziasse la terapia presso il Centro DSA di Cremona, centro che sta He. frequentando a tutt'oggi. 5.6.7. La seconda grave condotta tenuta dal Be. è consistita nel non avere dato la necessaria collaborazione alla In. quando si è trattato di decidere se avviare He. ad una terapia farmacologica. E' accaduto infatti che, a fine 2018, i "comportamenti problema" di He. siano divenuti di tale gravità che il neuropsichiatra che ha in cura He. profilasse alla In. l'evenienza di dovere dare avvio ad una terapia farmacologica per il minore. Anche in questo caso, a fronte della comunicazione da parte della In. del problema (direttamente all'udienza del 21.12.2018, dove il Be. era presente personalmente) e dell'invito ad esso rivolto di contattare con urgenza detto neuropsichiatra, per prendere contezza del problema, per 40 gg il Be. non vi provvedeva, tanto che la In. depositava un'ulteriore istanza ex art. 709ter cod. proc. civ. in data 5.2.2019. Fortunatamente, e nonostante la mancanza di collaborazione del Be. su questa istanza si dichiarava cessata la materia del contendere, essendo che il neuropsichiatria rivalutava la necessità di somministrare una terapia farmacologica ad He. (cfr. ordinanza del 25.3.2019). 5.6.8. Concludendo: se sono "in qualche modo" giustificabili i comportamenti del Be. sopra visti (e descritti ai punti 5.6.1., 5.6.2., 5.6.3.) come espressivi di una certa "irresponsabilità" e "leggerezza" dello stesso, pur se non conformi e coerenti con le esigenze terapeutiche del minore - perché non vi è evidenza che questi comportamenti abbiano determinato concretamente un pregiudizio per He.; perché queste condotte appaiono essere state dettate esclusivamente dalla difficoltà del Be. di accettare la realtà che He. sia un bambino con gravi patologie (quella che il c.t.u. dott. (...), nella sua relazione del 30.3.2017, definiva "la visione molto personale (del Be.)del profilo personologico, dei bisogni esistenziali e delle necessità terapeutiche del minore"); anche richiamato quanto detto al punto 5.6.4.; per riconoscendo che il Be. abbia pure tenuto dei comportamenti di "ravvedimento operoso" e di "collaborazione ad alternanza" (ad esempio prestando il consenso a che la dott.ssa (...) continuasse ad essere la terapista di He.), è comunque indubbia la gravità delle condotte del Be. ora esposte di non collaborazione e "oppositività" verso la terapista di He., verso la In., nella individuazione di una nuova terapista per He., e nel non presentarsi al consulto per la terapia farmacologica per He.. Infatti, queste condotte appaiono già di per sé gravi perché non appaiono dettate solo e tanto dalla difficoltà del Be. di "metabolizzare" la malattia di He. ma, principalmente dall'incapacità dello stesso di sapere anteporre le esigenze di benessere del figlio alle ragioni del proprio personale risentimento con la terapista del minore - risentimento dovuto al fatto che la dott.ssa (...) avesse criticato il suo scarso impegno nella terapia e non avesse appoggiato la richiesta di esso padre di introduzione del pernotto di He. durante i lavori della prima c.t.u., ragioni che quindi nulla avevano a che vedere con le sue capacità professionali - e alla sua conflittualità con la In. - conflittualità forse dettata anche dal sentimento di "mancata accettazione" del dovere versarle un assegno di mantenimento provvisorio (come si osserverà nel prosieguo)-. Le giustificazioni/spiegazioni per tali sue condotte di mancanza di collaborazione con la In. nella individuazione di un terapista per He., dedotte da parte Be. nella sua memoria conclusionale di replica - ossia che esso si sarebbe limitato a rivendicare il proprio diritto di avere voce in capitolo rispetto le scelte di vita che riguardano il figlio, ritenendo che ogni decisione debba essere condivisa e non già unilateralmente decisa dalla In. (cfr. p.5) - appaiono reggersi su una lettura da parte del Be. dei propri agiti così parziale che rende dette giustificazioni/spiegazioni implausibili e finisce per dare elementi di conferma alla tesi ora esposta delle reali ragioni alla base della condotta di non collaborazione di esso padre: infatti, paradossalmente, proprio invitando il Be. a contattare i candidati ad essere nuovo terapista di He., la In. dava al Be. quel diritto di avere voce sulle questioni del figlio che esso fortemente rivendicava; ma, in ragione della sua conflittualità con la In. e, forse in ragione dell'insofferenza del doverle versare un assegno di mantenimento provvisorio (come si osserverà), esso Be. ha saputo per anni leggere e tutt'oggi legge questo attivismo della In. per il benessere del figlio, inspiegabilmente, come forma di prevaricazione della stessa sui diritti di esso padre. Già di per sé simili condotte di gratuita "non collaborazione" di un genitore con l'altro quando si tratta di questioni concernenti la salute del proprio figlio, devono condurre ad un giudizio molto negativo di insufficiente capacità genitoriale del genitore "non collaborante". Ma tali già in sé gravi condotte del padre appaiono ancora più gravi se calate nel caso di specie, considerando che è dal 2017, da quando il c.t.u. dott. (...) ha depositato la sua prima relazione, che al Be. era evidenziata la centralità della terapia per il benessere del figlio (cfr. punto 5.1.4.) e, nonostante ciò, il Be. ha proseguito a tenere la propria condotta di rifiuto di dare risposta a qualunque proposta della In., ciò che ha determinato "di fatto" l'interruzione della terapia per due periodi, di cui uno particolarmente lungo (dalla novembre 2017 alla primavera del 2018 e da settembre-ottobre 2018 a dicembre 2018). Tali già in sé gravi condotte del padre appaiono ancora più gravi se si considera che, nel caso di specie, è provato che He. abbia profondamente e concretamente risentito dell'effetto della stasi della terapia determinato dalle condotte del padre, essendo che, come detto, He. ha attraversato un periodo molto critico proprio dal marzo 2018 sino al marzo 2019 (cfr. punto 5.3.), quindi nel periodo in cui, principalmente per colpa del Be., si è interrotta la sua terapia, e le manifestazioni di disagio del minore sono state così acute che, agli inizi del 2019, si è giunti ad ipotizzare l'introduzione di una terapia farmacologica per esso. 5.6.9. Mentre, a fronte della gravità delle condotte tenute dal Be. in costanza di giudizio, al suo esito non può essere confermato quel giudizio di buona capacità genitoriale di esso padre espresso dal c.t.u. in principio di causa (cfr. punto 5.1.5.), in questa sede si deve confermare il giudizio di buone capacità genitoriali in capo alla In.: la stessa ha sempre seguito le "linee programmatiche" generali indicate dal c.t.u.; la stessa ha quasi sempre collaborato con la "reta terapeutica" di He.; non risultano circostanze in cui la stessa non si attenuta ai più volte citati "tre punti fermi" nella relazione con He.; la stessa ha mostrato e tenuto fermo (nonostante gli inadempimenti e le condotte del Be.) il ruolo di "care giver principale" di He.; al riguardo basta richiamare quanto esposto al punto 5.6.6., in ordine al fatto che, a fronte del venir meno della dott.ssa (...) nella "rete terapeutica" di He., sia stata principalmente la In. ad attivarsi a cercare un nuovo terapista per il figlio, e sia stato grazie alla stessa che, infine, è stato individuato il Centro DSA di He., che, fortunatamente, sta lavorando bene su e per He.. Solo in una occasione la In. ha tenuto una condotta in cui è parso che la stessa abbia anteposto dei propri sentimenti personali al benessere di He.: ciò è accaduto nel luglio -settembre 2018, quando sono sorte incomprensioni fra essa madre e la dott.ssa (...), che nulla avevano a che vedere con la professionalità della dott.ssa (parte Be. ha dedotto che, alla base di questo dissapore, vi fosse stato il rancore della In. verso la dott.ssa perché la stessa aveva acconsentito a tenere terapia domiciliare con He. alla presenza dalla Ra.), ciò che ha spinto la professionista, definitivamente, a rinunciare all'incarico. Tuttavia, non solo per 1 solo comportamento "non collaborante" tenuto dalla In. (a fronte dei numerosi tenuti da parte del Be.), può rivedersi il giudizio di buone capacità genitoriali in capo alla stessa formulato dal c.t.u.. 5.6.10. Alla luce tutto quanto sinora esposto, come consente l'art. 337 quater c. III cod. civ. (nella parte in cui prevede che "salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggior interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori"), va disposto l'affido cd superesclusivo di He. alla madre per le questioni mediche concernenti He. e per la individuazione del suo terapista (qualora in futuro venga meno il rapporto con il Centro DSA di Cremona); la madre potrà assumere in autonomia decisioni in questo campo, senza necessità del consenso (e quindi "della firma") del Be.. Non appare plausibile che in futuro si verifichino stasi nelle decisioni in questi campi queste decisioni, determinate dall'atteggiamento di non collaborazione o dalla conflittualità del Be. verso la madre, come quelle verificatesi nel corso della presente causa. Come prevede l'articolo citato, al Be. va riconosciuto il diritto di vigilare sulle decisioni della madre in questi campi e di ricorrere al giudice qualora ritenga che siano assunte decisioni pregiudizievoli dell'interesse del minore: per rendere concretamente operativo questo meccanismo di vigilanza, si dispone che, salvo casi di urgenza, parte In. sia tenuta a comunicare in anticipo le decisioni in campo medico o concernenti la terapia di He. che intenderà assumere al Be. almeno 15 gg. prima, per permettere allo stesso di valutare con adeguato tempo la conformità di dette decisioni all'interesse del minore, e quindi valutare se ricorrere al Tribunale. Invece, per le "altre decisioni" di maggiore interesse per He. (diverse da quelle concernenti la sua salute e la sua terapia) può essere mantenuto l'affido condiviso di He. ai genitori, non essendo dato che ad oggi la conflittualità fra i genitori abbia sino ad oggi condizionato l'assunzione di queste "altre decisioni" (ad esempio l'iscrizione di He. ad una scuola privata è da anni accettata dal Be.); queste "altre decisioni" di maggiore interesse per He. dovranno essere prese concordemente dai genitori. 6. Sulla condizione reddituale e patrimoniale delle parti; sulle entrate della famiglia; sulla domanda per un assegno di mantenimento avanzata da parte In.; sulla misura del contributo del Be. al mantenimento di He.. 6.1. Al fine della decisione sulle domande a contenuto economico di causa, appare utile tratteggiare la condizione reddituale e patrimoniale delle parti. La condizione reddituale e patrimoniale della In. è estremamente lineare: la stessa ha conseguito una laurea triennale in chimica e tecnologie farmaceutiche; è incontestato47 e documentale48 che, in costanza di matrimonio, essa abbia lavorato come responsabile di laboratorio e direttore di produzione in varie imprese e, per un breve periodo, come commessa in un negozio di proprietà del fratello del Be.; è altresì incontestato che essa abbia cessato di lavorare con l'arrivo di He., nel 2010 - quanto essa aveva 33 anni: all'attualità ne ha 44 -. L'unico cespite patrimoniale della In. è rappresentato dalla ex casa coniugale, sita in Soresina in Via (...) n. 5, di cui metà da sempre di proprietà di essa ricorrente, mentre la restante metà è stata da essa ricevuta da parte dal Be., con atto di compravendita del 8.5.2015 (cfr. doc. 7 In.), come detto49: sebbene la In. abbia intrapreso un autonomo giudizio per vedere accertato che non si trattò effettivamente di una vendita da parte da parte del Be. della quota di sua proprietà dell'immobile, ma di una donazione (simulata), la relativa domanda è stata rigettata (cfr. sentenza n. 619/2018 Trib. Cremona). Attualmente la In. è priva di redditi propri, percependo e vivendo solo con l'assegno di mantenimento provvisorio. L'unico suo "flusso reddituale futuro" è rappresentato dal ricavato dalla vendita dell'immobile in Via (...), ma trattasi di flusso reddituale ipotetico, dal momento che questo immobile è l'unico immobile di proprietà della In., in cui la stessa vive con He.. 6.2.1. Il Be. è socio al 40% e amministratore della Eu. S.r.l., nonché socio al 50% della Ei. S.r.l.. L'unico suo reddito da lavoro "in senso stretto" è rappresentato dal suo compenso di amministratore della Eu.. Per vagliare la fondatezza delle allegazioni di parte In. in ordine alla sussistenza di possibilità reddituali maggiori ulteriori rispetto al suo compenso da amministratore in capo al Be. o di entrate "non documentate" dello stesso; per accertare l'effettiva capacità reddituale del resistente -avendo la In. allegato che la famiglia poteva contare su un'entrata pari ad Euro 12.000,00-15.000,00 al mese - è stato conferito incarico per c.t.u. al commercialista dott. Ma.Pa.. Con la sua relazione del 6.11.2018 -le cui conclusioni, nonostante le contestazioni del c.t.p. di parte In., sono fatte proprie da questo Tribunale, stante l'analiticità, la condivisibilità e la correttezza del metodo applicato nello svolgimento dell'incarico-, questo c.t.u. ha concluso: che il reddito medio netto mensile del Be. da compensi di amministratore della Eu. (e dichiarato fiscalmente come reddito da lavoro) è pari a circa Euro 5000,00 mensili; che il Be. percepisce altresì, quale amministratore della Eu., a titolo di rimborso spese per costi vari connessi al suo incarico (fra cui la spese di benzina), una somma mensile di circa Euro 2000,00 (somma non da dichiararsi ai fini fiscali), somma che tuttavia, dai calcoli effettuati, risulta maggiore dei costi effettivamente sostenuti ed accertabili (cfr. relazione dott. Pa. p. 6); che non è data evidenza della deduzione di parte In. della percezione da parte del Be. di entrate "non ufficiali" (cfr. relazione dott. Pa., p. 13); ......, che, nel flusso reddituale ordinario del Be., si deve considerare altresì che esso percepisce annualmente una somma pari a circa Euro 70.000,00 a titolo di distribuzione di utili, quale socio della Eu. e della Ei. (cfr. relazione dott. Pa. p. 16 e 17); sul punto, non sono condivisibili la deduzioni difensive di parte Be. per cui gli utili non dovrebbero essere considerati nella valutazione della condizione reddituale di una persona; la deduzione per cui gli utili non dovrebbero essere considerati in quanto entrata meramente eventuale non è condivisile, in quanto la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte afferma che, ai fini della determinazione dell'ammontare dell'assegno di mantenimento, deve darsi considerazione a qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica - così Cass. 4543/1998; Cass. 19291/2005; Cass. 6712/2005; Cass. 9718/2010; Cass. 26197/2010; Cass. 223/2016-, sicché la capacità economica di ciascun genitore va determinata facendo riferimento al complesso patrimoniale e reddituale ad esso riferibile, costituito oltre, che dai redditi da lavoro subordinato o autonomo, da ogni altra forma di reddito o utilità, quali il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione sociale, i proventi di qualsiasi natura percepiti, l'importo di crediti - così Cass. 6872/1999 -; non sono nemmeno condivisibili le ulteriori deduzioni difensive di parte Be. per cui gli utili della Eu. non sarebbero stati distribuiti, stante l'esposizione bancaria della società - in quanto circostanza che non ha trovato alcun riscontro negli accertamenti del c.t.u. - e che sarebbe data una crisi della Eu. e della Ei., per cui per gli anni a venire, ossia per gli anni successivi al deposito della c.t.u., esso potrebbe non percepire o potrebbero non essere distribuiti utili -trattasi di deduzione solo allegata e non dimostrata (deducendo prove sopravvenute al deposito della c.t.u.) -. Dalle emergenze della c.t.u. è risultata quindi largamente confermata la deduzione della In. per cui il reddito effettivo del Be. (e di cui viveva la famiglia) non fosse rappresentato solo dal suo reddito come amministratore della Eu. perché, sommandosi a tale suo reddito + la differenza fra la somma ricevuta a titolo di rimborso spese e i costi effettivamente sostenuti + gli utili percepiti ogni anno (e divisi sui dodici mesi), il flusso reddituale medio mensile del Be. è stimabile in circa Euro 11.000,00 al mese (a questo importo si giunge dividendo per 12 gli importi indicati alla voce "flusso reddituale rettificato" dello schema: cfr. p. 19 relazione dott. Pa.). 6.2.1. Quanto alla condizione patrimoniale del Be., come detto, lo stesso è attualmente proprietario dell'immobile sito in Via (...) n. 16 in Soresina, acquistato l'8.5.2015 e messo in vendita nel maggio 2016; il resistente vanta nel proprio patrimonio anche le precitate partecipazioni societarie nella Eu. e nella Ei. S.r.l. Come correttamente concluso del c.t.u., tali elementi patrimoniali vanno considerati altresì come generatori di flusso reddituale "futuro", per il caso di loro futura vendita, flusso stimabile in Euro 30.100,00 quanto all'immobile (considerato il mutuo da cui l'immobile è gravato: cfr. relazione dott. Pa. p. 8), e in Euro 290.000,00 quanto alle partecipazioni sociali (cfr. relazione dott. Pa. p. 17 e 20). 6.3. Il tenore di vita della famiglia è stato alto: così ha allegato la In. (cfr. ricorso p. 9 "la famiglia Be. - In. ha sempre condotto una vita molto agiata: scuola privata per He.; medici specialisti privati; iscrizione del figlio a corsi di psicomotricità e logopedia e di terapia; domestica; vacanze estive di tre settimane; vacanze invernali di una settimana; abiti firmati per tutta la famiglia; cene in costosi ristoranti; vini pregiati; regali preziosi"), senza che nulla abbia mai contestato il Be.. Del resto, secondo la giurisprudenza, il tenore di vita può essere ricavato, in via induttiva, dai redditi percepiti da una famiglia (cfr. Cass. 15486/2013) e, come visto, il flusso reddituale medio mensile del Be. era ed è di importo molto significativo. 6.4. Ai fini della decisione delle domande economiche di causa, devono notarsi anche alcune circostanze riguardanti He.: in ragione delle patologie da cui è affetto, esso percepisce una pensione di invalidità del valore di circa Euro 512,00 mensili, ed è incontestato che i genitori siano stati d'accordo nell'accantonare questa somma: sempre in ragione delle sue patologie, da anni, come già detto, He. sta frequentando e seguendo vari percorsi terapeutici; in particolare, dal 2015 un corso di psicomotricità presso il Centro di psicomotricità di Lodi, con una spesa mensile media pari a circa Euro 240,00; dal 2016 un corso di terapia presso la piscina di Soncino, con una spesa mensile media pari a circa Euro 150,00; dal 2019, una terapia presso il Centro DSA di Cremona, per una spesa mensile media pari a circa Euro 400,00; infine, come He. abbia sempre frequentato scuole private, ed attualmente la spese per retta è pari ad Euro 200,00 al mese (quanto all'allegazione e alla documentazione di tutte queste spese per He., all'attualità, la cfr. la nota di parte In. del 11.5.2020 e i documenti allegati). 6.5. Ai fini della decisione sulle domande economiche di causa, vale infine notarsi come siano dati degli inadempimenti delle parti nei propri obblighi economici, o nascenti da precedenti contratti fra di esse intercorsi, o nascenti dai provvedimenti economici provvisori adottati nel presente giudizio. 6.5.1. Quanto alla In., a seguito del rigetto della sua azione da parte di questo Tribunale (cfr. punto 6.1.), la stessa risulta ancora ad oggi debitrice verso il Be. del pagamento del prezzo della quota della metà della ex casa coniugale in Via (...) n. 5 a Soresina, per un importo pari a circa Euro 45.000,00 (come da essa ammesso all'udienza del 11.12.2019); per questo suo credito, il Be., già dal 2017, ha pignorato i c/c della In.. 6.5.2. Quanto al Be., in corso di causa, lo stesso ripetutamente non ha versato tempestivamente la quota a proprio carico delle spese straordinarie e delle terapie (sopra viste) per He.. Tale condotta del Be. era "denunciata" dalla In. già nella sua istanza ex art. 709ter cod. proc. civ. del 13.2.2017; a fronte di questa istanza, si rendeva necessario da parte del G.I. stabilire un termine entro cui il Be. era tenuto alla rifusione della quota di sua spettanza delle spese straordinarie (cfr. ordinanza a verbale d'udienza del 24.2.2017); nonostante l'ordinanza, la In. doveva nuovamente "denunciare" questa condotta del Be. (con l'istanza ex art. 709ter cod proc. civ. del 5.12.2019); il Be. mai ha contestato l'essere data (nuovamente) tale sua condotta ma, anzi, l'ha ammessa, cercando di giustificarla con il fatto di sostenere a propria volta delle spese straordinarie per He. e, soprattutto, adducendo un suo diritto di compensare la quota delle spese per il figlio a proprio carico con il suo diritto di credito per Euro 45.000,00 verso la In. (cfr. email del Be. all. 10 istanza 709ter In. del 5.12.2019; cfr. verbale udienza del 11.12.2019). In alcune occasioni, il Be. si è del tutto rifiutato di contribuire al pagamento di una quota di una spesa straordinaria per He. (come quella della frequenza del minore di un centro estivo), tanto che si è reso necessario un provvedimento formale che sancisse tale suo obbligo (cfr. ordinanza del 14.9.2017), provvedimento che il Be. ha anche reclamato, per vedere riconosciuta la legittimità del proprio rifiuto, ma vanamente (cfr. decreto C. Appello Brescia dell'8.5.2018, in atti). Ancora, il Be., sin dalla pronuncia dell'ordinanza presidenziale, ha mostrato una certa "riluttanza" ad effettuare il pagamento dell'assegno di mantenimento provvisorio stabilito in fase presidenziale a favore alla In. (all'udienza del 11.12.2019 esso ha dichiarato espressamente "io ritengo di non dovere nulla alla sig.ra In."; nella sua comparsa conclusionale, il Be. esplicitamente dichiara di avere provato un "sommo fastidio" per tale pagamento). Lo stesso, nonostante il pignoramento da esso stesso effettuato del c/c della In. (come sopra detto), per molte volte, a far data dall'adozione del provvedimento presidenziale, ha effettuato il pagamento del dovuto (comunque in modo parziale o in ritardo) con bonifico su detto c/c, ciò che rendeva la somma versata sostanzialmente non percepibile dalla In. (appunto perché pagamento effettuato su c/c pignorato), tanto che si rendeva necessaria un'ordinanza del G.I. che stabilisse formalmente che il pagamento andasse fatto mediante assegno (cfr. ordinanza del 24.2.2017); nonostante questa ordinanza, il Be. ancora successivamente effettuava alcuni pagamenti con bonifico (cfr. all. 23 istanza ex art. 709ter di parte In. del 20.11.2018). Il Be. ha effettuato molti pagamenti con modalità ingiuriose, accompagnando il pagamento con l'invio del messaggio di "mantenuta" alla In. (cfr. l'all. 12 istanza ex art. 709ter di parte In. del 5.12.2019). Il Be. ha frequentemente effettuato il versamento dell'assegno alla In. con ritardo, come risulta documentalmente (cfr. doc. 27, 28, 29 In.; cfr. all. 5 istanza 709ter del 5.12.2019; cfr. all. 24-25 istanza 709ter del 20.11.2018) e, come dallo stesso ammesso (con giustificazioni implausibili: cfr. nota di parte Be. del 6.12.2018, p. 5 in cui lo stesso allega che la modalità di pagamento con assegno determinava necessariamente maggior tempo, "dimenticando" così il Be. che tale modalità di pagamento era stata determinata dalla scelta di esso stesso di pignorare i c/c della In.), atteggiamento questo del Be. che ha portato parte In. a depositare più istanze ex art. 709ter cod. proc. civ., richiedendo puntualità nei pagamenti (cfr. istanze del 13.2.2017, del 20.11.2018, del 5.12.2019). 6.5.3. Infine, l'atteggiamento di "riluttanza" del Be. al pagamento del dovuto si è tradotto in un vero e proprio inadempimento, essendo che esso, a far data dalla seconda metà del 2019, ha cominciato a fare un'indebita compensazione fra quanto da esso dovuto a titolo di assegno di mantenimento, e quando a lui dovuto (per il credito di Euro 45.000,00) dalla In., versando un assegno di mantenimento di importo inferiore a quello stabilito (cfr. l'ammissione di parte Be. di tale sua condotta, all'udienza del 11.12.2019); per questo, con ordinanza del 23.7.2020, è stato adottato un ordine di distrazione, ex art. 156 cod. civ., verso la Eu.; da quanto allegato da parte In., la Eu., non sta ottemperando all'ordine (essendo che il Be. ne è l'amministratore). 6.5.4. Sulla rilevanza di queste inadempimenti quale espressione della capacità genitoriale del Be., si rimanda a quanto sopra già osservato. 6.6.1. Venendo così al merito delle domande economiche di causa, alla luce del quadro ora esposto, va anzitutto affrontata la questione della debenza o meno di un assegno di mantenimento a favore della In.. In punto di diritto, parte Be. ha ripetutamente sostenuto che sarebbe orientamento consolidato della giurisprudenza della Suprema Corte il principio affermato nella sentenza Cass. 6886/2018, secondo cui non è dovuto un assegno di mantenimento se è accertato che il coniuge richiedente l'assegno, pur potendo, non si sia attivato doverosamente per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini. In punto di fatto, parte Be. ha dedotto che non sarebbe dovuto un assegno di mantenimento alla In. in quanto la In. avrebbe cessato di lavorare con l'arrivo di He. (come sopra detto, al punto 6.1.), per sua una scelta personale, non condivisa da esso marito, che essa sarebbe in grado di ritornare a lavorare e in quanto, a far data dall'inizio della presente causa, essa non si sarebbe fattivamente attivata per cercare un lavoro. Questo Tribunale ritiene non condivisibili gli argomenti né in diritto né in fatto dedotti da parte Be. per negare la debenza di un assegno di mantenimento a favore della In.. In punto di diritto, vale osservare come la sentenza invocata dal resistente appaia un unicum isolato. Risulta invece che, in passato, la giurisprudenza della Suprema Corte abbia affermato il principio per cui "agli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, se prima della separazione i coniugi hanno concordato, o, quanto meno, accettato (sia pure soltanto per facta concludentia) che uno di essi non lavorasse, l'efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché la separazione instaura un regime che - a differenza del divorzio ... - tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il "tipo" di vita di ciascuno dei coniugi" (così Cass. 7437/1994, conformi Cass. 3291/2001; Cass. 5555/2004). Più recentemente, la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato invece il diverso principio per cui la teorica possibilità del coniuge richiedente l'assegno di trovarsi un lavoro, emergente da elementi quali la sua giovane età, le sue ottime condizioni di salute, l'avere un titolo spendibile, l'assenza di impegni familiari, giustifichi al più il solo contenimento dell'ammontare dell'assegno, ma non sia sufficiente per escluderlo in toto, comunque dovendosi dare rilevanza anche alla circostanza se l'inattività lavorativa del coniuge richiedente sia stata concordata o accettata per facta concludentia dall'altro coniuge (come affermato dall'orientamento "passato" ora esposto); solo qualora sia riscontrata un'effettiva possibilità di svolgimento di lavoro da parte del coniuge richiedente, solo se sia accertato il rifiuto, da parte del coniuge richiedente, di concrete ed effettive possibilità di lavoro, si può giungere ad annullare l'obbligo dell'altro coniuge di versare un assegno di mantenimento (cfr. chiarissima Cass. 12121/2004, in parte motiva; conformi Cass. 18547/2006; Cass. 3502/2013; Cass. 5817/2018). In punto di fatto, applicando questi principi al caso di specie, vale notarsi come sussistano i presupposti per il riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore della In.. Volendo dare continuità all'orientamento in questa sede definito come "passato", vale notarsi come sia dato un robusto quadro probatorio nel senso che, di là da quanto allegato dal Be., fra esso e la In. vi fosse un accordo nel senso che essa, una volta arrivato He., avrebbe cessato di lavorare: così è stato dichiarato dai coniugi, a distanza di anni, ai Servizi Sociali in occasione degli incontri conoscitivi prodromici alle pratiche di adozione intraprese (cfr. la relazione psico-sociale dei Servizi Sociali redatta in occasione della adozione di He., del 4.8.2008, prodotta quale doc. 36 In., dove si può leggere "Il sig. Be. ha ricordato la limitata presenza della madre accanto a sé a causa degli impegni di lavoro, che la trattenevano molte ore fuori casa e ha osservato il suo desiderio di garantire al figlio una presenza genitoriale più costante"; cfr. la relazione psico-sociale dei Servizi Sociali redatta in occasione della seconda pratica adozione intrapresa dalla coppia, poi non andata a buon fine, del 6.9.2012, prodotta quale doc. 18 In., dove si può leggere "(i coniugi) condividono un'impostazione tradizionale della vita familiare. Infatti la sig.ra Sa., pur avendo un titolo di studio e avendo svolto in precedenza un lavoro di responsabilità che la assorbiva, ha scelto in questa fase della sua vita di fare solo la mamma e dedicarsi completamente ad He. ... Tale scelta ... è stata condivisa dal marito, che, a sua volta, desiderava molto dare al figlio l'opportunità di avere vicino una mamma tutta per sé ... diversamente dalla sua esperienza di bambino"); così non solo i familiari della In., ma tutti gli amici della coppia, sentiti come testimoni, hanno riferito in modo univoco che il Be. avesse sempre esternato il desiderio che la In. smettesse di lavorare, per dedicarsi unicamente ai figli che sarebbero arrivati con le pratiche d'adozione (così hanno riferito i precitati testi Em.Gi.; Ma.Ca.; Ad.Ti.; Ma.Ti.; Cl.Fa.). Invece, volendo dare continuità all'orientamento in questa sede definito come "più recente", vale notarsi come parte Be. abbia solo allegato ed ipotizzato teoriche possibilità di lavoro della In., non allegando né provando (come era suo onere) che essa abbia ricevuto concrete offerte di lavoro, e che la stessa le abbia rifiutate. Peraltro, è condivisibile la deduzione difensiva di parte In. per cui viste le condizioni di He., viste il percorso terapeutico che si rende per esso necessario, in più sedi e in più giorni (cfr. punto 6.4.), il suo accesso al mondo del lavoro risulta estremamente difficile: è dato che la In. sia ormai fuori dal mondo del lavoro dal 2010; è dato che He. debba essere accompagnato da Soresina (dove vive con la In.) per 1-2 volte la settimana a Lodi, per la terapia in essere; tutti i lunedì o tutti i sabati a Soncino (per la terapia in acqua); per 1-2 volte la settimana a Cremona, per la terapia presso il Centro DSA; è solo la In. che si occupa, da sempre, di portare He. a questi appuntamenti terapeutici, essendo che il Be. si è sempre rifiutato di farlo, principalmente in ragione dei suoi impegni lavorativi (così ha allegato la ricorrente, senza ricevere contestazioni sul punto dal Be., tanto che la In., nella sua memoria integrativa del 27.5.2016, avanzava specifica richiesta di condanna a che fosse il Be. ad accompagnare He. ai suoi appuntamenti); la In. potrebbe quindi cercare al più un impegno part time, o comunque la stessa dovrebbe cercare un datore di lavoro disponibile ad accettare sin dall'inizio il fatto che la stessa beneficerebbe della L. 104/1992, ciò che è oggettivamente estremamente difficile, anche considerata l'età della In.. Al riguardo vale ricordare come anche il c.t.u. dott. (...) abbia evidenziato la gravosità dell'impegno di crescere He., a causa delle patologie da cui è affetto, scrivendo "crescere He. è un impegno, o se si vuole, una sfida quotidiana estremamente alta" (cfr. relazione dott. (...) del 30.3.2017, p. 29). 6.6.2. Venendo alla quantificazione dell'assegno di mantenimento per la In., per il principio della domanda dell'assegno va quantificato nella misura da essa ricorrente infine richiesta in sede di precisazione delle conclusioni, ossia per l'importo di Euro 1625,00 al mese, somma soggetta a rivalutazione istat.: trattasi di importo assolutamente sostenibile per parte Be., ed appena adeguato a garantire alla In. il medesimo tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio. 6.7.1. Quanto all'assegno di mantenimento ordinario a favore di He., evidenziato come il Be. abbia dichiarato "sono disposto a dare tutto quello che serve per He."(cfr. verbale d'udienza del 11.12.2019), ricordato come secondo la giurisprudenza, anche per la determinazione dell'assegno di mantenimento a favore di un minore, non valga il principio della domanda (cfr. Cass. 17043/2007), l'importo di questo assegno va quantificato nella somma di Euro 2000,00 al mese, somma soggetta a rivalutazione istat, importo da ritenersi comprensivo delle spese per i percorsi terapici e per la retta scolastica, sopra esposte (al punto 6.4.). Sono date due ragioni per forfettizzare queste spese ed includerle nell'assegno di mantenimento ordinario per He.. In punto di diritto, se per giurisprudenza consolidata le spese straordinarie sono quelle aventi carattere di occasionalità, non preventivabilità e non di lieve entità rispetto al tenore di vita (cfr. Cass. 6201/1999; Cass. 9372/2012; Cass. 13504/2015; Cass. 11894/2015), allora si deve osservare come le spese per percorsi terapeutici e frequenza scolastica qui non esame non siano occasionali perché in essere da anni (dal doc. 22 In. risulta che la frequenza del Centro di Lodi sia in essere dal 2015; il corso di terapia in acqua sia in essere almeno da inizio causa, e quindi almeno dal 2016; dagli estratti c/c al doc. 14 In. risulta che è da quando va all'asilo, dal 2013, che He. sta frequentando una scuola privata; dal doc. 17 In. risulta che sin dal 2014 He. è seguito da una professionista privata per terapia -allora la dott.ssa Da., poi sostituita dalla dott.ssa (...), ora sostituita dal Centro DSA di Cremona-). Altresì, si deve osservare come l'importo complessivo mensile di tale spese (pari ad Euro 1000,00- Euro 1100,00 al mese) sia di lieve entità rispetto al flusso reddituale medio mensile del Be., che, come detto, è pari ad Euro 11.000,00. In punto di fatto, si deve osservare come la inclusione di queste spese nell'ammontare dell'assegno di mantenimento ordinario di He. sia funzionale a garantire alla In. la provvista per potervi fare fronte, stante i già analizzati ritardi nel pagamento del dovuto da parte del Be. (e della "autocompensazione" che lo stesso sta indebitamente praticando, di cui sopra): si pensi, in ipotesi, che il Be. continui a versare la somma di Euro 2000,00 al mese (come è in essere attualmente), che la Eu. continui a non ottemperare all'ordine ex art. 156 cod. civ. e che il Be. non provveda tempestivamente alla rifusione della quota a suo carico delle spese straordinarie (come spesso accaduto in passato); potrebbe così darsi che, un mese, la In. con tale somma di Euro 2000,00 debba fare fronte al mantenimento di sé e di He. e anticipare Euro 1000,00 - Euro 1100,00 per spese per terapia e frequenza scolastica, ciò che non appare accettabile. L'importo di Euro 2000,00 tiene in considerazione anche i costi per benzina e manutenzione auto che la In. deve sostenere per portare He. alle varie terapie che frequenta. 6.7.2. Quanto alle spese straordinarie "in senso proprio" per He. - cioè quelle prive del carattere di occasionalità, non preventivabili e non di lieve entità - va disposto che queste siano sopportate nella misura del 100% dal Be.: in tal senso conduce la enorme sproporzione fra i redditi delle parti -la In. potendo contare su un assegno di mantenimento ordinario per l'esiguo importo chiesto di Euro 1650,00 al mese, il Be. potendo contare su un'entrata di Euro 7350,00 al mese (pari ad Euro 11.000,00, "suo flusso reddituale medio mensile" - Euro 1650,00 per assegno di mantenimento per la In. - Euro 2000,00 assegno di mantenimento ordinario per He.); in tal senso conduce anche la considerazione che, allo stato, non appaiono prevedibili significative od eccessive spese straordinarie per He. (così, nonostante le sue gravi patologie, non risulta che per esso si siano resi necessari interventi medici non forniti dal SSN). Le spese straordinarie vanno regolate secondo il Protocollo stipulato fra questo Tribunale e l'AIAF del 13.12.2015: ciò implica che comunque per alcune spese straordinarie, indicate dal Protocollo, la In., per ottenere la rifusione (nel 100%) della spesa da parte del Be., debba ottenere il suo consenso esplicito (o implicito, secondo il "meccanismo" delineato nel Protocollo), ciò che potrà scongiurare rischi di abusi derivanti dall'essere le spese straordinarie a carico totalmente del Be.. La regolamentazione qui dettata delle spese straordinarie conduce al rigetta della specifica richiesta della In. concernente le spese per le vacanze di He., di cui alla lettera K del suo folio di precisazione delle conclusioni. 7. Sulle altre domande di causa Va dichiarata cessata la materia del contendere: sulla domanda n. 9 di parte In. di cui al suo ricorso introduttivo di assegnazione dell'uso a sé di un'autovettura di proprietà del Be., con spese di manutenzione e rate di finanziamento a carico dello stesso; sulla domanda n. 8 di parte In. di cui al suo ricorso introduttivo di corresponsione a sé del 50% degli utili delle società di cui il Be. è socio; sulle domande n. 4 e 5 di parte In. cui alla sua memoria integrativa del 27.5.2016 di parte In., di disporre che fosse il padre ad accompagnare He. ad alcune terapie; sulle domande n. 7 e 8 di parte In. di cui alla sua memoria integrativa del 27.5.2016 di porre a carico di parte Be. le spese straordinarie e ordinarie di manutenzione della ex casa coniugale; sulla domanda n. 7 di parte Be. di cui alla sua memoria integrativa del 4.7.2016, concernente la concessione in uso di un'autovettura a parte In.. A parte ogni valutazione sul merito e sul fondamento di tali domande, comunque, le parti non hanno coltivato le stesse in corso di giudizio, e non le ha riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, sicché vanno ritenute abbandonate. 8. A fronte dell'ammissione da parte Be. del perseverare della sua condotta di mancato versamento nell'interezza dell'assegno di mantenimento provvisorio disposto in fase presidenziale, nonostante l'ordine ex art. 156 cod. civ. adottato il 23.7.2020 (cfr. la memoria conclusionale di replica di parte Be. del 1.9.2020, p. 5, dove lo stesso ammette di continuare a versare Euro 2030,00 anziché Euro 2500,00), va confermato anche in questa sede detto ordine di distrazione, rispetto alle somme in questa sede determinate a titolo di assegno di mantenimento ordinario a favore della In. e di He.; in tal senso, si richiamando le motivazioni di cui a detta ordinanza. 9. Come detto, parte In. ha avanzato varie istanze ex art. 709ter cod. proc. civ.; in particolare in quelle datate 4.5.2018 e 20.11.2018 ha chiesto condannarsi il Be. al risarcimento del danno per mancata collaborazione nelle individuazione di una nuova terapista per He. e, a fronte della riserva del G.I. su dette istanze, le ha reiterate nella propria comparsa conclusionale (a p. 17). In questa sede va quindi data risposta a dette istanze. Rilevato, come sopra detto, che tale condotta del Be. è ampliamente provata e risulta che si sia tradotta in un pregiudizio per He. (come richiede, in alternativa, l'art. 709ter cod,. proc. civ. al comma II), le istanze ex art. 709 ter cod. proc. civ. vanno accolte, e parte Be. va condannato al risarcimento del danno subito dal figlio, quantificabile forfettariamente in Euro 5000,00. 10.1. A fronte dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione al Be., si deve ritenere che sia esso che abbia dato causa, in ultima battuta, al presente giudizio (l'abbandono da parte di esso Be. della casa coniugale è avvenuto il 23.11.2015; la In. ha depositato il ricorso introduttivo del presente giudizio il 29.11.2016, quindi quasi subito dopo): pertanto, in forza del principio di causalità nella regolazione delle spese del giudizio, parte Be. va condannato alla rifusione delle spese di lite a parte In. nell'interezza -oltre a doversi considerare, sempre alla luce di detto principio di causalità, che è a parte Be. che si deve imputare il prolungarsi e la complessità del presente giudizio perché esso, con le proprie condotte di inadempimento alle statuizioni economiche provvisorie e concernenti l'esercizio della sua generalità, ha reso necessario per parte In. depositare numerose istanze ex art. 709ter cod. proc., per lo più fondate nei fatti a loro fondamento, e ha reso necessario tenersi numerose udienze per svolgere funzioni di "mediazione" fra esso e la In., ossia di "persuasione" del Be. a prendere posizione sulle proposte di parte In.-. A favore di parte In. sono liquidabili compensi in misura media (rispetto al D.M. 55/2014, quanto alle cause di valore interminato) rispetto alle fasi di studio e di introduzione del giudizio, mentre va operato un aumento del 100% quanto alla fase istruttoria e del 50% quanto alla fase decisoria, stante la complessità della prima, in cui si è reso necessario assumere numerosi testi, discutere numerose istanze ex art. 709ter cod. proc. civ., tenere numerose udienze di mediazione fra il Be. e la In., stante la complessità degli atti conclusionali da redigere per le numerose questioni da trattarsi. I compensi si liquidano pertanto in Euro 2025,00 per la fase di studio; Euro 1348,50 per la fase introduttiva; Euro 10.800,00 per la fase istruttoria; Euro 6075,00 per la fase decisoria, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; Gli esborsi documentati da parte ricorrente da rifonderle sono: Euro 98,00 per contributo unificato; Euro 7,70 per notifica del ricorso; Euro 2950,00 per compenso del proprio c.t.p. nominato in relazione alla c.t.u. affidata dott. (...); Euro 8310,64 per compenso del proprio c.t.p. in relazione alla c.t.u. affidata al dott. Pa.; tali esborsi per c.t.p. vanno rifusi a parte In. in forza della pacifica giurisprudenza della Suprema Corte in materia (cfr. Cass. 4537/2003; Cass. 84/2013; Cass. 3380/2015), avendo parte ricorrente debitamente chiesto la rifusione e documentato tali esborsi in sede di precisazione delle conclusioni. 10.2. Le spese delle espletate c.t.u., liquidate al dott. Ma.Ra. con decreto del 17.11.2017 quanto alla c.t.u. conclusasi con relazione del 30.3.2017, e liquidate al dott. Ma.Pa. con decreto del 5.3.2019, essendosi trattato di accertamenti posti in essere nell'interesse di entrambe le parti, vanno poste definitivamente a carico di entrambe, nei rapporti interni in misura uguale, in solido verso i c.t.u.. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente decidendo la causa R.G. 225/2016, ogni altra domanda, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: - dichiara la separazione addebitabile a parte Al.Be.; - condanna Al.Be. alla rifusione del danno non patrimoniale conseguito a Sa.In. per le violazioni dei doveri coniugali dallo stesso poste in essere, danno che si quantifica in Euro 30.000,00; sull'importo di Euro 30.000,00 spettano interessi legali, dalla data della presente sentenza sino al soddisfo, nonché interessi legali (cd danno da ritardo) da calcolarsi sulla somma di Euro 30.000,00, prima devalutata dalla data della presente sentenza sino all'ottobre 2015 e poi rivalutata anno per anno da detta data sino alla data della presente sentenza, secondo gli indici istat (costo della vita); - dispone il collocamento del figlio della coppia, He. Be., nato in Etiopia il 19.10.2009 presso la madre Sa.In.; - dispone l'assegnazione della ex casa coniugale, sita in Soresina, Via (...) n. 5 - ed indentificata al fg. (...) mapp. (...) graffato con i mapp. (...), sub 501, e (...), fg. (...) mapp. (...) - con i relativi arredi, alla madre Sa.In.; - dispone l'affido cd superesclusivo del figlio He. alla madre Sa.In. solo quanto alle decisioni di maggiore interesse del minore concernenti il campo medico e concernenti la individuazione e i rapporti con la sua terapista; la madre potrà assumere le decisioni in questi campi da sola, senza il consenso e la firma del padre Al.Be.; al padre è dato il diritto di vigilare sulle scelte fatte dalla madre in questi campi e il potere di ricorrere al Giudice, qualora ritenga siano assunte dalla madre decisioni pregiudizievoli per l'interesse del figlio; salvo casi di urgenza, la madre sarà tenuta a preannunciare le decisioni che essa intenderà assumere in questi campi almeno 15 gg prima al Be.; quanto alle altre decisioni di maggiore interesse per He., permane il suo affido condiviso ai genitori, e pertanto tali decisioni saranno assunte di comune accordo fra gli stessi; - dispone, che allo stato, il padre, possa tenere con sé He. tutti i martedì ed i giovedì, dalle 18.00 alle 21.00, nonché a fine settimana alterni, dalle 9.30 del sabato alle 21:00 della domenica; per 15 gg durante le vacanze estive, per metà delle vacanze natalizie, per metà delle vacanze pasquali, in modo da alternare le Festività di anno in anno con la madre; - dispone che Al.Be. contribuisca al mantenimento della moglie Sa.In. con un assegno di mantenimento di Euro 1650,00 al mese, somma soggetta a rivalutazione istat (costo della vita); - dispone che il padre contribuisca al mantenimento ordinario del figlio He. con un assegno di Euro 2000,00 al mese, importo comprensivo dei costi per percorsi terapeutici e per retta scolastica (come in motivazione), importo soggetto a rivalutazione istat (costo della vita), nonché contribuisca nella misura del 100% alle spese straordinarie per il figlio, spese così come indicate e regolate dal Protocollo Tribunale di Cremona - A.I.A.F. del 13.12.2015; - dispone che gli importi dell'assegno di mantenimento ora esposti non siano versati agli aventi diritto direttamente dal Be. ma dalla società di cui esso è amministratore, ex art. 156 cod. civ.; pertanto ordina alla (...) S.r.l. (p.iva. (...)) di versare mensilmente a Sa.In. l'importo di Euro 3650,00, somma soggetta ad adeguamento istat (costo della vita), mediante assegno circolare o bancario, entro il 10 di ogni mese, trattenendo tale importo dai futuri compensi di Si.Be. quale amministratore della società, a decorrere dal primo emolumento maturato successivamente alla notifica del presente provvedimento; - in accoglimento delle istanze ex art. 709ter cod. proc. civ. avanzate da parte In. in data 4.5.2018 e 20.11.2018, condanna parte Be. al risarcimento del danno a favore del figlio He., danno che si quantifica in Euro 5000,00; - rigetta la domanda di addebito avanzata da parte Be.; - rigetta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata da parte Be.; - dichiara cessata la materia del contendere sulle altre domande delle parti; - condanna parte Be. alla rifusione nell'interezza le spese di lite del presente giudizio a parte In., spese che si liquidano per compensi in Euro 2025,00 per la fase di studio; Euro 1348,50 per la fase introduttiva; Euro 10.800,00 per la fase istruttoria; Euro 6075,00 per la fase decisoria, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; per esborsi documentati in Euro 11.366,34; - pone le spese delle espletate c.t.u., liquidate al dott. Ma.Ra. con decreto del 17.11.2017 e al dott. Ma.Pa. con decreto del 5.3.2019, definitivamente a carico di entrambe le parti, nei rapporti interni in misura uguale, in solido verso i c.t.u.. Così deciso in Cremona il 15 marzo 2021. Depositata in cancelleria l'8 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CREMONA in persona del giudice dr. Silvestro Binetti, pronuncia la seguente sentenza nella causa per opposizione ad ordinanza ingiunzione vertente tra: (...) ((...)), con l'Avv. Lu.Cr.; (...) ((...)), con l'Avv. Lu.Cr.; (...) ((...)), con l'Avv. Lu.Cr.; AZIENDA AGRICOLA (...) S.S. ((...)) in persona del legale rappresentante p.t., con l'Avv. Lu.Cr.; ATTORI/RICORRENTI e (...) ((...)), con l'Avv. Fa.Fa. CONVENUTA/RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Svolgimento della causa Con ricorso depositato in data 23/12/2019, ritualmente notificato unitamente al decreto di fissazione di udienza all'(...) ((...)) in data 06/02/2020, l'Az. Agr. (...) SS, in persona del legale rappresentante p.t., (...), (...) e (...), proponevano impugnazione avverso l'ordinanza-ingiunzione n. 139/2019 VET, prot. n. (...), emessa dall'(...) in data 26/11/2019 e notificata ai ricorrenti in data 2-3/12/2019, con la quale veniva ingiunto il pagamento di Euro 3.094,40, di cui Euro 3.000,00 per sanzione amministrativa ed Euro 94,40 per spese di procedimento e notifica. Tanto a seguito di processo verbale di accertamento e contestazione n. (...) del 26.11.2015 (prot. (...)) redatto da personale veterinario di vigilanza del Distretto Veterinario di (...) appartenente alla ex (...) di C. a carico dei ricorrenti, per la violazione dell'art. 3 Reg. CE n. 1/2005 in combinato disposto con l'art. 7, co. 6, del D.Lgs. n. 151 del 2007. Il processo verbale indicato scaturiva dall'esito di un controllo eseguito in data 15.09.2015 dalla Polizia Stradale di (...) su un veicolo per il trasporto di animali vivi di proprietà della (...) Sas di (...) all'interno del quale venivano rinvenuti tre bovini di cui uno in posizione quadrupedale e le altre due, separate dalla prima con una paratia, in decubito sternale, di cui una, identificata con l'auricolare (...), proveniente dall'allevamento di proprietà dei ricorrenti, rinvenuta in gravi condizioni di salute e pertanto ritenuta inidonea al trasporto tanto da essere sottoposta a macellazione d'urgenza per evitarle ulteriori, inutili, sofferenze. Con il provvedimento impugnato si imputa ai ricorrenti, proprietari del bovino identificato con l'auricolare n. (...), di aver avviato l'animale al trasporto nonostante la sua inidoneità a causa delle gravi condizioni di salute in cui versava, esponendola a sofferenze inutili e lesioni e, tanto, in violazione dell'art. 3 del Reg. CE n. 1/2205 in combinato disposto con l'art. 7 del D.Lgs. n. 151 del 2007. Condotta punita con la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal co. 6 pari nel minimo ad Euro 3.000,00 e nel massimo ad Euro 15.000,00. I ricorrenti fondavano l'opposizione e la conseguente richiesta di annullamento dell'atto a motivo del "difetto assoluto dell'elemento oggettivo e soggettivo dell'illecito sanzionato", avanzando istanza di ammissione di prove testimoniali. Costituendosi l'(...) sosteneva la fondatezza del provvedimento sanzionatorio posta la sussistenza della legittimazione passiva in capo ai ricorrenti e degli elementi oggettivi di illegittimità della condotta, come descritti e contestati in maniera corretta ed esaustiva, anche in virtù della particolare efficacia probatoria degli atti prodromici ed endoprocedimentali redatti da funzionari di P.G. nell'esercizio delle loro specifiche funzioni. Dopo due rinvii determinati da esigenze di tutela sanitaria legate all'emergenza epidemiologica da COVID-19, all'udienza del 08/09/2020, le parti comparivano ribadendo e confermando ogni eccezione, argomentazione e contestazione riportata in atti. Con ordinanza fuori udienza il giudice ammetteva la prova per testi richiesta da parte ricorrente e rinviava per l'incombente all'udienza del 01.12.2020. All'esito, con ordinanza fuori udienza del 19.12.2020 il giudice, ritenendo la causa sufficientemente istruita, rinviava all'udienza odierna per la discussione orale e la decisione ai sensi dell'art. 429 Cpc, con concessione di termine alle parti fino a 30 giorni prima dell'udienza per deposito di note finali. Dopo la discussione le parti hanno concluso come in atti e da verbale di udienza. All'esito il giudice si è ritirato in camera di consiglio, rinviando alle ore 15:00 per la lettura del dispositivo della sentenza. Diritto Il proposto ricorso non appare meritevole di accoglimento e va rigettato per quanto di seguito. Con l'unico motivo di impugnazione i ricorrenti hanno eccepito la mancanza dell'elemento oggettivo e soggettivo dell'illecito in capo ad essi in quanto, secondo la ricostruzione fornita, non solo la condotta illecita non sussisterebbe ma, quand'anche lo fosse stata, non sarebbe ad essi imputabile. I ricorrenti hanno, infatti, sostenuto che non essendoci prove sia sulle effettive ulteriori sofferenze patite dall'animale a causa del trasporto, posto che lo stesso è stato di breve durata, sia sull'inidoneità dell'animale al trasporto, posto che le patologie sono state riscontrate solo dopo l'abbattimento dell'animale, la condotta loro imputata non avrebbe nemmeno sostanziato quella descritta dalla norma violata. Inoltre, quand'anche la violazione contestata si fosse sostanziata, non avrebbe potuto essere loro imputata sia perché la bovina al momento del carico non avrebbe presentato patologie o lesioni evidenti e sarebbe salita sull'automezzo della (...) autonomamente e senza forzature di alcun genere. Sia, ancora perché il bovino al momento del carico, non era più di proprietà dell'azienda agricola (...). L'animale, infatti, sarebbe stato venduto nella stessa giornata del 15.09.2015, in momento antecedente al carico, alla (...) che si sarebbe poi occupata del carico dell'animale sull'automezzo con proprio personale e del suo trasporto. Al riguardo i ricorrenti hanno esibito la fattura di vendita n. (...) del 30/09/2015 intestata a (...) Sas di (...) che richiama tre documenti di trasporto tra cui il n. (...) del 15/09/2015 (doc. 2 di parte ricorrente). Documento di trasporto che, pur non essendo stato esibito dai ricorrenti in giudizio, risulta comunque riferibile alla bovina con auricolare (...) dalla relazione di servizio redatta dagli agenti della polizia stradale che avevano effettuato il fermo dell'automezzo della (...), allegata come doc 3 da parte della (...) opposta. Inoltre, sulle descritte circostanze, i ricorrenti hanno richiesto l'ammissione di prova testimoniale. Testimonianza ammessa e resa all'udienza del 01.12.2020. La ricostruzione proposta, però, all'esito dell'esame dei documenti depositati dall'autorità sanitaria resistente e della testimonianza resa dal teste (...), dipendente della Azienda Agricola (...), viene del tutto confutata, comprovando sia la sussistenza della condotta illecita che la sua imputabilità in capo ai ricorrenti. Sulla sussistenza della condotta. L'art. 7 del D.Lgs. n. 151 del 2007, regola e punisce il trasporto di "animali in violazione dei requisiti di idoneità di cui all'allegato 1 al presente decreto", il quale allegato al punto 1 dispone che "non può essere trasportato nessun animale che non sia idoneo al viaggio" e al punto 2 che non vanno ritenuti idonei al trasporto animali che presentino patologie o problemi fisiologici e che non siano in grado di spostarsi autonomamente senza sofferenza o di deambulare senza aiuto. Inoltre, la norma aggiunge che "le condizioni di trasporto non possono essere tali da esporre l'animale a lesioni o sofferenze inutili". Il successivo comma 6 del medesimo articolo, punisce con la sanzione amministrativa indicata nella medesima norma "chiunque, durante le operazioni di trasporto, usa violenza sull'animale ovvero causa all'animale sofferenze inutili o lesioni (...)". Nel caso de quo non pare revocabile in dubbio che la condotta posta in atto dai ricorrenti abbia sostanziato la fattispecie astratta prevista dalla norma, né tanto risulta in alcun modo confutato dalle esposte difese. Al riguardo va rilevato che i fatti descritti negli atti come verificatesi alla presenza di un pubblico ufficiale hanno fede privilegiata e sono fonte di prova mentre, per contro, non appare condivisibile, al fine di escludere la sussistenza della condotta imputata, la sottile differenza semantica tra "esporre" e "causare" all'animale sofferenze inutili proposta dalla difesa dei ricorrenti. Deve premettersi che il Regolamento CE n. 1/2005 estende le responsabilità in materia di benessere degli animali a tutti gli operatori che intervengono nelle procedure di trasporto di animali, comprese le operazioni che lo precedono e lo seguono e dunque anche quelle di carico che sono sicuramente avvenute presso l'azienda agricola ricorrente. Circostanza questa non contestata e dunque da ritenersi del tutto provata anche in virtù della pacifica provenienza del bovino marchiato con l'auricolare (...). In particolare nel caso de quo non risulta in alcun modo confutato, né contestato che in data 15.09.2015 agenti della polizia stradale di (...) hanno fermato per un controllo di routine un camion tg. (...) di proprietà della (...) di (...) Sas al cui interno è stata, tra l'altro, rinvenuto un bovino marchiato con l'auricolare predetto caricata presso l'Az. Agr. (...), coricata in decubito sternale e per la quale gli agenti accertavano l'impossibilità ad alzarsi. Giudizio confermato dal veterinario dr. (...), inviato sul posto dalla competente (...) a seguito di apposita richiesta di intervento dagli agenti accertatori. Veterinario che, accertata l'impossibilità da parte dell'animale di alzarsi e deambulare autonomamente, disponeva la deviazione del trasporto presso il mattatoio (...)P. per poter accertare, con i veterinari presenti sul posto, l'eventuale necessità di abbattimento con procedura di urgenza (doc. 3 dell'(...) opposta). Ed infatti entrambi i veterinari presenti presso il mattatoio di destinazione, constatato che l'animale non riusciva, nemmeno stimolato, a riprendere la posizione quadrupedale, al fine di evitargli ulteriori sofferenze, ne disponevano l'abbattimento previo stordimento sullo stesso automezzo e l'avvio alla macellazione; con ciò confermando il giudizio di non idoneità al trasporto dell'animale, giusta la scheda di ispezione allegata quale doc. 4 del fascicolo dell'(...) opposta. Giudizio ulteriormente e definitivamente suffragato dal referto anatomo-patologico redatto in data 17.09.2015 dai medesimi veterinari, dr. (...) e (...), all'esito della visita post-mortem eseguita sulla carcassa della bovina. Referto che ha evidenziato come la stessa fosse affetta da "ematoma superficiale nella faccia volare della spalla destra soprastante processo olecranico ed esteso ematoma a carico dell'articolazione coxofemorale destra" e che, per l'appunto, si conclude confermando il giudizio di impossibilità di deambulazione e di inidoneità al traporto dell'animale (doc. 5 (...)). Esito riportato nella relazione del 13.11.2015, prot. n. (...), dell'(...) di C. che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti è stata regolarmente notificata all'Az. Agr. (...) in data 16.11.2015 (doc. 6 (...)). Nessun dubbio può esserci, né tanto è oggetto di contestazione, che il verbale redatto dagli agenti della polizia stradale di Cremona e la scheda di ispezione redatta dal veterinario intervenuto, redatti in data 15.09.2015, così come l'esito del referto anatomo-patologico del 17.09.2015 ed il conseguente atto di contestazione n. (...) del 26.11.2015 (prot. n. (...)), anche questo regolarmente notificato in data 04.12.2015 a tutti i ricorrenti (doc. 1 (...) opposta), siano atti provenienti da pubblici ufficiali e redatti nell'esercizio delle loro specifiche funzioni e che, perciò, hanno piena efficacia probatoria. Sul punto è del tutto pacifico e consolidato l'orientamento della giurisprudenza sia di legittimità che di merito che vuole che: "In tema di sanzioni amministrative, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione è ammessa la contestazione e la prova, da parte dell'opponente, delle sole circostanze di fatto che non siano attestate nel verbale di accertamento sì come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale, ovvero rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata a causa di una sua intrinseca, oggettiva e irredimibile contraddittorietà, (...) (Cass. civ. Sez. Unite Sent., n. 17355/2009). Ed ancora: "Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale, o rispetto alle quali l'atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva." Fede privilegiata che può e deve essere messa in discussione in presenza di erronee attestazioni del pubblico ufficiale ma solo attraverso lo strumento della querela di falso. (Cass. Civ. n. 1069/12). Nel corso del giudizio è dunque rimasto inconfutato che uno dei due bovini rinvenuti all'interno del camion di proprietà di (...) Sas in decubito sternale fosse stato caricata presso l'Az. Agr. (...) e che è risultata affetto da patologie talmente gravi da non consentirgli, non solo di spostarsi autonomamente, ma nemmeno di alzarsi. Bovino per il quale tutti i veterinari intervenuti hanno espresso un chiaro ed inequivocabile giudizio di inidoneità al trasporto. Appare, pertanto, davvero poco credibile la ricostruzione fornita dai ricorrenti secondo cui l'animale sia salito sul camion autonomamente al momento del carico e che si sia ridotto in quelle condizioni durante il (breve) trasporto. Per altro verso, invece, è apparso del tutto verosimile la sussistenza della condotta imputata ai ricorrenti e sanzionata dal provvedimento impugnato. Condotta che inizia a sostanziarsi già con la mancata valutazione delle pessime condizioni di salute di un bovino, tali da renderlo inidoneo al trasporto su gomma e che si perfeziona con l'avvio del medesimo animale al trasporto pur se non capace di deambulare e di stare in piedi autonomamente, così esponendolo, anzi infliggendogli, inutili sofferenze. Sofferenze che avrebbero potuto essergli evitate sottoponendo il bovino, prima del carico, all'abbattimento immediato ed al dissanguamento. Il veterinario dell'(...), nella scheda di ispezione versata in atti relativa al bovino rinvenuto in posizione di decubito laterale nell'automezzo di proprietà della (...) e condotto dal Sig. (...), ha descritto il bovino in pessime condizioni di salute tanto da risultare non in grado di riprendere la stazione quadrupedale, anche se aiutato o stimolato in quanto afflitto da gravi e dolorose patologie. Condizioni tali da imporre l'applicazione della procedura di macellazione d'urgenza al fine di interromperne le sofferenze. Circostanze queste che fanno verosimilmente e fondatamente presumere che il bovino non si sia coricato sul fianco durante il trasporto, come sostenuto, ma che, invece, non abbia potuto salire sul camion adibito al suo trasporto in maniera autonoma ed abbia fatto l'intero tragitto in posizione di decubito laterale in quanto, in realtà, del tutto incapace di stare in piedi e di deambulare autonomamente stante le sue pessime condizioni di salute già al momento del carico. Quanto premesso, porta ad escludere del tutto la possibilità di esprimere in favore dei ricorrenti un giudizio di buona fede. Infatti i ricorrenti sono operatori professionali che operano nel settore dell'allevamento, del commercio degli animali da molti anni e che dunque sono e devono essere dotati di esperienza e preparazione specifica nel settore e di una profonda conoscenza delle norme e regole che ne disciplinano l'attività e che, per ciò solo non possono non essersi avveduti delle pessime condizioni di salute del loro animale delle sofferenze che stava patento e della sua inidoneità al trasporto. Ciò nonostante la loro difesa sostiene che l'animale al momento del carico non presentava alcun segno di malessere ed era perfettamente in grado di deambulare autonomamente. Giudizio che risulta del tutto incompatibile con le risultanze degli atti versati in causa e rimasti inconfutati. Sulla imputabilità della condotta all'azienda agricola (...) Soc. Sempl.. Come già evidenziato il Regolamento CE n. 1/2005 estende le responsabilità in materia di benessere degli animali a tutti gli operatori che intervengono nelle procedure di trasporto di animali, comprese le operazioni che lo precedono e lo seguono, dunque anche quelle di carico. Da ciò consegue che, legittimamente, l'Az. Agr. (...), proprietaria del bovino marchiato con l'auricolare (...), è stata fatta destinataria del provvedimento impugnato unitamente ai titolari dell'azienda posto che l'animale è stato caricato sull'automezzo della (...) a cura del personale dell'azienda agricola cedente nonostante fosse inidoneo al trasporto perché in condizioni tali da non poter stare in piedi autonomamente e dunque di deambulare. E che tanto sia vero è risultato evidente anche all'esito della testimonianza richiesta dalla stessa azienda agricola ricorrente e resa all'udienza del 01/12/2020 dal Sig. (...), ex dipendente della ricorrente addetto, tra l'altro, proprio alla mungitura e cura dei bovini di proprietà dell'azienda agricola. Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, il teste, confermando che all'epoca dei fatti di causa lavorava ancora per l'Az. Agr. (...), ha riferito senza ombra di dubbio che il carico dei bovini sui mezzi di trasporto per il loro trasferimento avveniva sempre e comunque a cura dei dipendenti dell'azienda agricola e che gli autisti non potevano partecipare alle operazioni di carico tranne nei casi in cui l'animale doveva essere abbattuto alla presenza del veterinario perché impossibilitato a recarsi autonomamente sull'automezzo. Con ciò confermando, dunque, che i bovini per poter essere avviati al trasporto su gomma dovevano essere in grado di salire sul mezzo autonomamente e che, in caso contrario, prima del carico dovevano essere abbattuti. Cosa che nel caso di specie non è stato fatto. Sconfessata è dunque risultata la circostanza, pure sostenuta dalla difesa ricorrente, che sia stato l'acquirente (...) ad occuparsi del carico con mezzi e personale proprio; come pure è rimasto non provato che l'animale al momento del carico sia stato in grado di salire autonomamente sul mezzo. Al proposito il teste sentito all'udienza del 01.12.2020, si è limitato ad affermare che, per via dell'elevata frequenza dei carichi che si susseguivano presso l'azienda agricola "circa due, tre volte al mese", nulla ricordava in particolare del carico del 15.09.2015. Infine non provato è rimasto anche che l'animale si sia procurato le gravi patologie di cui era affetto durante il breve tragitto. Circostanza, quest'ultima, risultata poco credibile e che trova ulteriore indizio a sfavore nella disposizione del carico che ha visto i due bovini rinvenuti in decubito sternale debitamente separati da un paratia metallica dall'unico altro animale presente sul camion rinvenuto, invece, in posizione eretta ed in buone condizioni di salute. Alla luce di quanto sopra appare, dunque, del tutto irrilevante che il bovino sia stato venduto in pari data alla LBC posto che, comunque, l'azienda agricola cedente non solo non ha impedito il trasporto di un animale inidoneo a tale scopo esponendolo alle sofferenze conseguenti, ma, occupandosi con proprio personale di effettuarne il carico sul camion, lo ha sottoposto ad ulteriori sofferenze così pienamente sostanziando la condotta prevista e punita dalla norma richiamata dal provvedimento impugnato. Alla luce di quanto sopra, risultando provata l'effettiva sussistenza ed imputabilità della violazione del disposto dell'art. 7, co. 6 del D.Lgs. n. 151 del 2007, il ricorso non può trovare accoglimento con conseguente conferma dell'impugnata ordinanza-ingiunzione e della relativa sanzione, applicata nella misura minima. Al riguardo appare assolutamente non pertinente la domanda subordinata di riduzione della sanzione al minimo edittale. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, nella persona del GOP Silvestro Binetti, definitivamente pronunciando, respinta ogni altra domanda o eccezione: 1) Rigetta l'opposizione e conferma l'Ordinanza - ingiunzione n. 139/2019 VET, prot. n. (...), emessa dall'(...) in data 26/11/2019 e notificata ai ricorrenti in data 2-3/12/2019; 2) Condanna in solido i ricorrenti (...), (...), (...) e Az. Agr. (...) Soc. Sempl., alla rifusione delle spese di lite all'(...) che si liquidano in Euro 2.400,00 per compenso professionale, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Così deciso in Cremona il 23 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CREMONA SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale, nella persona del G.O.P. avv. Nunzia Conni ha pronunciato la seguente SENTENZA EX ART. 281 SEXIES C.P.C. nella causa civile di I Grado iscritta al n. (...) del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno promossa da: (...) S.r.l. ora FALLIMENTO S.r.l. (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. - attori - contro (...) S.p.A. (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) - convenuta - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) s.r.l. conveniva in giudizio (...) S.p.A. (già (...)) con la cui Filiale di (...) aveva in essere il conto corrente con affidamento n. (...); la causa veniva promossa anche da (...),(...) e (...), in qualità di fideiussori delle obbligazioni assunte dalla titolare del rapporto. Gli attori, sulla scorta di perizia di parte riguardante il periodo dal 2 trimestre 1999 al 3 trimestre 2014, lamentavano: a) l'addebito illegittimo di interessi ultralegali, spese, commissioni di massimo scoperto o messa a disposizione fondi non pattuiti ed unilateralmente variati, nonché di interessi anatocistici, di interessi superiori al tasso soglia di usura (in alcuni trimestri) e superiori al T.E.G.M. (in altri); b) l'illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi della Banca d'Italia. Precisavano inoltre la legittimazione dei fideiussori a sollevare l'exceptio doli et nullitatis. Chiedevano quindi il ricalcolo del saldo del conto corrente, con ripetizione di quanto indebitamente corrisposto alla banca, oltre alla cancellazione di tutte le segnalazioni a sofferenza effettuate alla Centrale Rischi con riguardo a tutti gli attori, nonché oltre al risarcimento del danno - relativamente all'usura - per la violazione di norme imperative e penali. In via subordinata chiedevano la compensazione tra il saldo passivo e quanto indebitamente pagato alla banca da (...) s.r.l.. Avanzavano istanza per l'emissione dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. con riguardo sia dei contratti di apertura del conto corrente e di concessione degli affidamenti, sia delle fideiussioni, per il caso di mancata evasione da parte della banca della richiesta stragiudiziale del 26.2.2015. La convenuta si costituiva eccependo innanzi tutto il difetto di legittimazione attiva dei fideiussori; l'inammissibilità dell'azione di ripetizione per essere il rapporto di conto corrente in corso al momento della proposizione della domanda; l'intervenuta prescrizione relativamente al periodo antecedente il 4.3.2005 di tutte le competenze passive, poiché pagate dalle rimesse solutorie (come da prospetto analitico redatto dal proprio C.T.P.); la pressoché assoluta mancanza di concrete allegazioni in ordine ai fatti costitutivi della pretesa risarcitoria; l'omessa puntuale allegazione dei singoli addebiti contestati. Nel merito, precisato che l'onere della prova gravava sugli attori e contestato il valore della perizia prodotta dagli stessi, affermava che il rapporto di c/c era stato acceso in data 28.4.1999 in forza di contratto scritto (che produceva) nel quale erano state pattuite tutte le clausole e le condizioni, anche economiche, ed inoltre che dal 27.8.2009 era stato assistito da linee di credito (di cui pure produceva le lettere di concessione/variazione). Precisava che, alla data della propria costituzione in giudizio, il rapporto era ancora in corso e presentava un saldo passivo di Euro 36.422,66 con valuta al 30.4.2015. Quanto all'usura oggettiva, sosteneva che la c.m.s., per il periodo ante 2009, non dovesse essere computata nella verifica per ragioni di omogeneità e che comunque la sanzione di cui all'art. 1815, comma 2, c.c. fosse inapplicabile all'usura sopravvenuta; quanto all'usura soggettiva, evidenziava il difetto di allegazione e prova in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie (in particolare, la situazione di difficoltà economica/finanziaria del correntista o l'approfittamento da parte della banca). Relativamente all'anatocismo, rilevava come l'assenza di articolate motivazioni rendesse impossibile una adeguata difesa e che comunque ogni contestazione fosse superata con decorrenza dal secondo trimestre del 2000, stante l'adeguamento dell'istituto alla delibera CICR 9.2.2000. Con riguardo agli interessi ultralegali, alle spese e alle commissioni di massimo scoperto non pattuite, la convenuta sosteneva innanzitutto l'infondatezza dell'addebito alla luce delle condizioni economiche pattuite, sostenendo di essere esonerata da più approfondite argomentazioni sulla validità dei tassi, delle c.m.s., etc.. Sulla domanda di cancellazione delle segnalazioni "a sofferenza" presso la Centrale Rischi della Banca d'Italia, faceva rilevare come non vi fosse alcun elemento a dimostrazione dell'effettiva segnalazione di tutti o alcuni degli attori e che in ogni caso la segnalazione presuppone il concetto di "sofferenza bancaria" e quindi la revoca degli affidamenti e la chiusura del rapporto, che però nella specie era ancora in essere. Contestava l'ammissibilità della C.T.U. per non essere "un mezzo di soccorso volto a sopperire all'inerzia delle parti" (nell'acquisizione di documentazione necessaria) e dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., posto che la banca, con comunicazione del 28.5.2015, aveva "... messo a disposizione ... copia del contratto originario, delle fideiussioni e delle lettere di concessione fidi degli ultimi 10 anni ..." e la documentazione era poi stata consegnata il 3.6.2015. Concludeva chiedendo che fosse dichiarato il difetto di legittimazione attiva e/o di interesse ad agire dei presunti fideiussori e comunque, anche in caso di prova di detta qualità, con riguardo alle domande di risarcimento e restituzione somme. Chiedeva il rigetto delle domande per inammissibilità ed improcedibilità dell'azione, essendo il rapporto ancora aperto e in ogni caso per difetto di allegazione circa l'usura soggettiva e circa i singoli addebiti contestati. Formulava eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie per il periodo anteriore ai dieci anni antecedenti la notifica dell'atto di citazione, nonché della domanda di risarcimento per supposti illeciti precedenti i cinque anni dalla notifica. Nella narrativa dell'atto chiedeva che fosse operata la compensazione dei saldi attivi e passivi. Depositato il verbale negativo del procedimento intrapreso nelle more e concessi i termini per le memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., veniva ordinata alla convenuta l'esibizione del contratto originario di apertura di credito (che in seguito al convenuta dichiarava di non avere reperito) ed era disposta C.T.U.. contabile. Dichiarata l'interruzione del giudizio per intervenuto fallimento di (...) s.r.l., riassunto dagli attori il processo e costituitosi il Fallimento, rinviata la causa su istanza della convenuta anche al fine di valutare un'ipotesi transattiva, veniva poi disposta la ripresa delle operazioni peritali. Ordinata ex art. 210 c.p.c., su nota del C.T.U. e richiesta di proroga, l'esibizione degli estratti conto e scalari dal 31.3.2005 al 31.12.2008, poiché incompleti quelli agli atti, che venivano depositati dalla banca in due riprese, il C.T.U. in seguito chiariva che soltanto a titolo esemplificativo nella precedente comunicazione aveva indicato il periodo dal 31.3.2005 al 31.12.2008 come incompleto, ma che le lacune documentali riguardavano tutto il periodo post 2008; veniva quindi fissata udienza per esaminare la questione in contraddittorio con le parti e poi ordinato alla banca di esibire, poiché parziali quelli depositati, gli estratti conto e scalari dall'1.1.2009 all'estinzione del rapporto e modificato il quesito in punto usura e prescrizione. Verificato che, nonostante risultasse agli atti la documentazione completa dal 30.4.2008 all'estinzione, il C.T.U. aveva omesso l'indagine per il suddetto periodo, il sottoscritto G.O.P. disponeva la redazione di una nuova perizia, fissando già l'udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale della causa ex art. 281 sexies c.p.c.. All'esito del deposito del nuovo elaborato, si rendeva peraltro necessaria la convocazione a chiarimenti del C.T.U., cui venivano sottoposte richieste specifiche formulate dal giudice. Alla luce dei chiarimenti resi, veniva revocava l'udienza ex art. 281 sexies c.p.c. e disposta una nuova integrazione peritale, con fissazione dell'udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c., da tenersi con la modalità "cartolare". MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - L'eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione È infondata la tesi della convenuta, secondo la quale, per chiedere la restituzione di pagamenti non dovuti, il conto corrente dovrebbe essere chiuso. Infatti, secondo la regola dettata da Cass. S.U. n. 24418/2010 - mai messa in discussione - la prescrizione di ogni rimessa avente natura di pagamento decorre non dalla chiusura del conto corrente, bensì dall'atto solutorio, ragion per cui è dal pagamento di una posta non dovuta che sorge il diritto del correntista di agire per la ripetizione. Da ciò discende che è del tutto fisiologica l'azione di ripetizione proposta in costanza di rapporto. D'altra parte, neppure incontra limiti la domanda - proposta prima della chiusura del conto - con la quale si chiede di accertare la nullità/illegittimità di competenza addebitate e conseguentemente ricalcolare l'entità del saldo con l'eliminazione delle appostazioni che non potevano avere luogo; ciò in quanto, come ha affermato Cass. n. 21646/2018 (rifacendosi a Cass. S.U. n. 24418/2010) vi è un interesse del correntista che "... rileva, sul piano pratico, almeno in tre direzioni: quella della esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime; quella del ripristino, da parte del correntista, di una maggiore estensione dell'affidamento a lui concesso, siccome eroso da addebiti contra legem; quella della riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere a seguito della cessazione del rapporto (allorquando, cioè, dovranno regolarsi tra le parti le contrapposte partite di debito e credito). Sotto questi tre profili la domanda di accertamento di cui si dibatte prospetta, dunque, per il soggetto che la propone, un sicuro interesse, in quanto è volta al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile, che non può attingersi senza la pronuncia del giudice. Come lucidamente osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell'annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell'illegittimità dell'addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass. 15 gennaio 2013, n. 798)". L'eccezione formulata dalla convenuta è da respingere. 2 - La legittimazione attiva dei fideiussori Provata la qualità di fideiussori in capo a (...), (...) e (...) s.r.l. (v. docc. nn. 7-9 attorei), è evidente innanzi tutto che - in virtù della garanzia prestata in favore della convenuta per obbligazioni della debitrice principale - gli stessi hanno interesse a partecipare al giudizio instaurato per l'accertamento di nullità afferenti il rapporto garantito (nullità della pattuizione di interessi usurari, nullità degli interessi anatocistici, ultralegali e delle commissioni di massimo scoperto), dal cui esito dipende la possibilità di una loro escussione da parte della banca (tanto più considerando che, alla data di instaurazione della controversia, il conto era passivo, come evidenziato dalla convenuta in comparsa di costituzione). In secondo luogo, i fideiussori hanno domandato "... la cancellazione di tutte le segnalazioni "a sofferenza" illegittimamente effettuate dalla banca convenuta, presso la Centrale Rischi della Banca d'Italia, a carico degli attori'. È chiara pertanto la legittimazione anche dei garanti, a prescindere dalla fondatezza della richiesta. 3 - Il petitum con riguardo al termine finale dell'accertamento Gli attori hanno chiesto, senza limitare la domanda ad una particolare data, di accertare l'annotazione in conto da parte della banca di una serie di addebiti illegittimi e quindi di "... ordinare il ricalcolo sull'intero rapporto secondo legge ...", condannando la convenuta "... alla restituzione di tutto quanto indebitamente sottratto alla società attrice correntista a titolo di interessi debitori e spese applicate sul conto corrente nonché a titolo di interessi anatocistici, ultralegali, usurari e commissione di massimo scoperto ...". In tale contesto, è meramente indicativo il riferimento alla "perizia 28.01.2015 (doc. 1)", assumendo rilievo preminente la volontà della parte di colpire ogni addebito riconducibile a quelli contestati. Da ciò discende che non vi è alcun limite temporale all'accertamento, che può essere effettuato per tutto il periodo di durata del rapporto (anche successivo all'atto di citazione), laddove la documentazione lo consenta. Una diversa conclusione, oltre a disattendere il fine ultimo della domanda, si porrebbe comunque in contrasto con quanto deciso dalle Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze n. 12310/2015 e n. 22404/2018. Il principio che è stato enunciato nella prima e confermato dalla seconda è quello di un'economia processuale ottenuta privilegiando la soluzione che consenta al processo di recepire la vicenda sostanziale nella sua completezza e di evitare la reiterazione dei giudizi in ordine alla medesima lite. Anche in questa ottica, è evidente che il petitum non può essere circoscritto ad un periodo limitato del rapporto, laddove questo sia documentato per l'intera sua durata. 4 - La C.T.U. e l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. La convenuta, contestato qualsivoglia valore probatorio alla consulenza di parte prodotta dagli attori con l'atto di citazione, sostiene che non avrebbe potuto essere disposta C.T.U. e neppure pronunciato alcun ordine di esibizione nei confronti della banca; nelle precisate conclusioni ha quindi chiesto che siano dichiarate inutilizzabili le risultanze della C.T.U. e le acquisizioni ex art. 210 c.p.c.. Quanto alla C.T.U., occorre considerare che la consulenza tecnica è ammissibile in quanto unico strumento utilizzabile, dato l'elevato grado tecnico dell'accertamento, per calcolare l'addebito da parte della banca di interessi e altri costi non dovuti, considerato che è indubitabile l'applicazione di oneri illegittimi, anche solo considerando che il contratto, risalente al 28.4.1999 (v. doc. n. 15 attori e doc. n. 2 convenuta), contiene clausole che comportano l'applicazione di illegittimi interessi anatocistici, data la previsione di capitalizzazione trimestrale per quelli debitori. Inoltre, con riguardo all'usura contrattuale, la banca nella comparsa di costituzione ha contestato la perizia di parte poiché "frutto dell'applicazione di criteri non corretti", motivando la propria difesa con la necessità "che il TEG ed il TEGM debbano essere conteggiati secondo il medesimo criterio" e quindi che la commissione di massimo scoperto non possa essere considerata ai fini della verifica dell'usura. Sotto questo profilo, la critica alle risultanze della perizia di parte (che, sebbene non assuma valore insindacabile, costituisce una base per valutare la serietà dell'iniziativa attorea, ancorché da vagliare alla luce della normativa in materia e dei principi espressi dalla giurisprudenza) dipendeva da una diversa posizione sul quel punto specifico, che - all'epoca - era oggetto di significativi contrasti in giurisprudenza (per comporre i quali si sono infine pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 16303/2018); di conseguenza non si sarebbe giustificata l'esclusione di un accertamento mediante C.T.U.. Quanto all'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., il sottoscritto G.O.P. ha emesso l'ordinanza in un primo momento relativamente al contratto originario di apertura di credito (non evasa dalla convenuta); successivamente, in momenti differenti, ha ordinato l'esibizione degli estratti conto e scalari dal 31.3.2005 al 31.12.2008 e degli estratti conto e scalari dall'1.1.2009 all'estinzione del rapporto (depositati dalla banca), a fronte di distinte istanze del C.T.U., il quale aveva riscontrato l'incompletezza (nel senso di mancanza di alcuni trimestri o alcuni fogli degli scalari) della documentazione prodotta dagli attori (comprendente il periodo dal 31.5.1999 al 30.9.2014). L'esibizione dei documenti non è dunque stata chiesta dagli attori a fini esplorativi. In ogni caso, il termine decennale è stato rispettato, poiché l'atto di citazione in cui è contenuta l'istanza di emissione dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. è stato notificato il 4.3.2015 e il primo documento richiesto su istanza del C.T.U. (estratto conto e scalare del 31.3.2005) rientra nel periodo contemplato dall'art. 119 T.U.B.. L'ammissibilità dell'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. va confermata alla luce della più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ritiene che possa essere pronunciato su richiesta formulata entro i termini preclusivi di cui all'art. 184 c.p.c. e anche laddove la parte (diversamente da quanto avvenuto nel caso di specie) non si sia avvalsa della facoltà insita nell'art. 119 T.U.B. di chiedere alla banca la documentazione afferente al rapporto bancario. In tema di interpretazione dell'art. 119 T.U.B. la Cassazione ha ritenuto ripetutamente che "il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi del D. Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell'esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all'art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante" (cfr. ord. n. 3875/2019, ord. n. 13277/2018, sent. n. 11554/2017). Dunque, a conferma di un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi dell'art. 119, comma 4, T.U.B., anche in corso di causa ed attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo. Di recente, è intervenuta anche Cass. n. 25158/2020, la quale, richiamando precedente giurisprudenza, ha "... ricordato, prima di tutto, che il diritto del cliente ad avere copia della documentazione ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configura come situazione giuridica "finale", e non puramente strumentale. Non trovano pertanto applicazione, nella fattispecie, i principi elaborati dalla giurisprudenza in ordine di esibizione dei documenti ex art. 210 c.p.c. e, dunque, non può pertanto negarsi il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione richiesta, adducendo a ragione e in linea di principio la natura meramente esplorativa dell'istanza in tal senso presentata (Cass. n. 11004/2006)". Nella medesima pronuncia si è rilevato inoltre che "... la norma dell'art. 119, comma 4 T.U.B. non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito ...", rimarcandosi che detta disposizione "... viene a porsi tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente riconosca ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari. Appare così chiaro come non possa risultare corretta una soluzione che limiti l'esercizio di questo potere alla fase anteriore all'avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto". Tale pronuncia precisa altresì che l'esercizio di questo potere non è subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; "... né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Difatti, simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell'esercizio del potere del cliente, non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell'istituto". Alla luce di quanto sopra, va confermata la decisione di disporre la C.T.U. e ordinare ex art. 210 c.p.c. l'esibizione di documenti inerenti il rapporto di conto corrente. 5 - Le condizioni contrattuali a) Interessi e altri oneri Gli attori hanno contestato l'indebita applicazione, anche per effetto di variazioni non concordate, di interessi ultralegali, spese, commissioni ed oneri. Sotto questo profilo, il C.T.U., nell'effettuare il ricalcolo del saldo, ha considerato gli interessi ed oneri contenuti nelle pattuizioni agli atti (contratto di conto corrente, concessioni/variazioni di linee di credito, modifiche bilaterali delle condizioni economiche) e nelle comunicazioni di modifica unilaterale conformi all'art. 118 T.U.B., nel testo tempo per tempo vigente. Con riguardo alle condizioni variate unilateralmente, il C.T.P. della banca ha osservato criticamente, in riferimento alla bozza della 2A C.T.U., che vi sono "... numerose Comunicazioni ex art. 118 TUB effettuate in uno con gli estratti di conto corrente ..." e a titolo esemplificativo riporta richiama "... il Doc. 26, e, specificamente, gli estratti di conto corrente 30.04.2002, 31.05.2002, 31.07.2002, ove si reperiscono le comunicazioni in parola alle pagg. 2, 5, 12-13", nonché "... il Doc. 28, e, specificamente, gli estratti di conto corrente 28.02.2003, 31.03.2003, 31.07.2003, 30.09.2003, 30.11.2003, 31.12.2003, ove si reperiscono le comunicazioni in parola alle pagg. 9, 13, 30, 36, 48, 50". Nell'elaborato definitivo (2a C.T.U.), il perito d'ufficio ha così risposto: "Lo scrivente puntualizza che ha tenuto conto della facoltà dell'Istituto di Credito, di cui all'art. 30 del contratto del 12.05.1999, di variare le condizioni economiche applicate al rapporto e infatti fino al decreto-legge del 4 luglio 2006 numero 223 sono state ammesse tutte le variazioni poste dalla banca. Successivamente l'articolo 10 del suddetto decreto è intervenuto sulla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali stabilendo la sostituzione del testo dell'articolo 118 nel seguente: "Art. 118. - (Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali). - 1. Nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le 25altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 1341, secondo comma, del codice civile. 2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: "Proposta di modifica unilaterale del contratto, con preavviso minimo di trenta giorni, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro sessanta giorni. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni precedentemente praticate. 3. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente. 4. Le variazioni dei tassi di interesse conseguenti a decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente". In ragione di ciò, con riferimento agli estratti conto citati dal Dott. (...), per quanto su detto, si chiarisce e conferma che in tali periodi (2002-2003) le variazioni delle condizioni economiche praticate dalla banca sono state tutte ammesse, a far data dal 12/08/2006 (data di entrata in vigore del suddetto D.L. n. 223) si è invece proceduto a verificare l'applicazione conforme dell'art. 118 TUB sulle modifiche delle condizioni contrattuali e a disconoscere le variazioni in peius per cui il disposto dell'art. 118 TUB è stato disatteso". Nei chiarimenti scritti, il C.T.U. ha ribadito che "tutte le comunicazioni di variazione delle condizioni economiche successive alla data del 12.08.2006 sono state prese in considerazione senza alcuna eccezione e sono state applicate le variazioni di condizioni in esse contenute, non sono state ammesse invece (e sono state quindi disconosciute) tutte le variazioni in peius prive di adeguata e precedente comunicazione ex art. 118 TUB quali le Proposte di modifica unilaterale (quindi tutte le variazioni per cui il disposto dell'art. 118 TUB non è stato soddisfatto (è stato appunto disatteso), per intenderci tutte le variazioni in peius rilevate dalla sola e semplice lettura degli estratti conto". L'operato del C.T.U. è dunque corretto, essendo state escluse le variazioni post 12.8.2006 effettuate senza previa comunicazione conforme all'art. 118 T.U.B. nel testo (più volte) modificato (in senso maggiormente rigoroso). Nelle osservazioni al 3a elaborato, il C.T.P. della convenuta ha reiterato le stesse osservazioni in punto variazioni unilaterali, senza replicare alla risposta fornita dal C.T.U. nel precedente elaborato, che non è stato toccato dalle integrazioni richieste dal giudice. Pertanto il C.T.P. avrebbe dovuto avanzare ulteriori critiche sul punto, senza limitarsi ad indicare "A mero titolo esemplificativo", come in precedenza, i documenti a suo avviso non considerati dal C.T.U.. In difetto, occorre dedurre che in realtà non vi siano ulteriori contestazioni sul punto. Il C.T.U., nel rielaborare il saldo del c/c ha quindi considerato il tasso convenzionale in conformità alla verifica dell'esercizio dello jus variandi. b) Commissione di massimo scoperto Gli attori hanno sostenuto l'illegittimità della c.m.s. per inesistenza della causa, secondo la tesi per cui la remunerazione dell'utilizzazione della somma messa a disposizione dalla banca consiste negli interessi corrispettivi e tali interessi devono essere calcolati - nella misura convenuta - sulla somma concretamente utilizzata e per tutto il periodo di tempo in cui la somma è stata utilizzata, non sul picco massimo di scoperto. Sotto il profilo della carenza di causa, benché il sottoscritto giudice non sia convinto della decisione delle Sezioni Unite intervenute sul punto (Cass. n. 16303/2018), non può che prendersi atto che la S.C. ha escluso il carattere interpretativo (e retroattivo) dell'art. 2 bis d.l. n. 185/2008, così avallando la legittimità sotto il profilo causale della c.m.s. praticata anteriormente alla citata norma. Il C.T.U., in merito all'eventuale adeguamento alle disposizioni del d.l. n. 185/2008 convertito nella legge n. 2/2009, ha precisato "... che a livello contrattuale in data 27/05/2012 è stata pattuita la commissione disponibilità fondi e in data 10/09/2012 è stata introdotta la CIV, pertanto tali clausole ex novo sono assolutamente valide (in quanto sottoscritte in un debito contratto) e quindi si può affermare un corretto adeguamento alla L. n. 2/2009". Gli importi addebitati a titolo di c.m.s. non sono stati pertanto espunti, poiché validi. c) Anatocismo Il comma 2 dell'art. 7 della lettera di apertura del conto corrente oggetto di indagine stabilisce: "I conti che risultino anche saltuariamente debitori vengono chiusi contabilmente con la periodicità indicata nella Sezione IV - Condizioni economiche relative al conto corrente, applicando agli interessi dovuti dal Correntista ed alle spese e commissioni previsti dal comma precedente - e addebitati in conto - valuta data di regolamento". Nella Sezione IV è previsto che la periodicità di capitalizzazione degli interessi debitori sia trimestrale e quella degli interessi creditori annuale. Tale pattuizione, in quanto prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, è palesemente illegittima (anche ove riguardante rapporti instaurati anteriormente al 1999 - cfr. Cass. n. 21095/2004) alla luce della nota e consolidata giurisprudenza di legittimità (che esclude la validità di qualunque capitalizzazione - cfr. Cass. n. 24418/2010, Cass. n. 602/2013, Cass. n. 15135/2014), cui questo giudice ritiene di prestare adesione e che non può seriamente essere messa ormai in dubbio. La convenuta, in comparsa di costituzione si è difesa sostenendo "... come ogni contestazione in punto anatocismo deve ritenersi superata a partire dal secondo trimestre del 2000, avendo la Banca puntualmente e tempestivamente recepito quanto disposto dall'art. 2 della Delibera CICR del 9.2.2000". L'eventuale applicazione senza accordo scritto non vale, mancando comunque i requisiti prescritti dalla suddetta delibera CICR, così come sarebbe irrilevante la prova (comunque non offerta) dell'adeguamento unilaterale mediante pubblicazione in G.U. (cfr. Cass. n. 26779/2019; Cass. n. 7105/2020; Cass. n. 9140/2020; Cass. n. 23852/2020 punto 2.3 parte motiva). Negli accordi concernenti le linee di credito (docc. nn. 4, 5, 6, 11 e 12 della convenuta) e in quelli di modifica consensuale delle condizioni economiche, con introduzione di nuovi oneri o tassi (docc. nn. 7 e 8 della convenuta) non sono presenti clausole inerenti la capitalizzazione. Il richiamo alle condizioni del contratto di conto corrente contenuto nel doc. n. 6 non fa che confermare l'illegittimità della capitalizzazione operata sino a tale data (7.11.2011 come da comunicazione in ultima pagina al fine della data certa). Nel documento di sintesi dell'11.8.2009 (doc. n. 3 della convenuta) riferito ad un'A.P.C. di Euro 75.000,00 che non trova riscontro in altri documenti, poiché non corrispondente (sono diversi i tassi) a quella in data 17.7.2009 di cui al doc. n. 4, vi è l'art. 1 che prevede la liquidazione trimestrale degli interessi "a fine marzo, giugno, settembre e dicembre, unitamente alla chiusura contabile del conto corrente ordinario indicato in contrattosi riferisce ai soli interessi debitori, non essendo menzionati quelli creditori in alcuna parte del documento, che quindi è irrilevante al fine di validare l'anatocismo". Parimenti irrilevante è l'accordo in data 10.9.2012 (doc. n. 9 della convenuta) con il quale sono state modificate le condizioni economiche regolanti l'apertura di credito (in particolare il tasso a debito in caso di utilizzo oltre fido e la C.I.V.), sebbene all'art. 2 sia prevista l'identica periodicità (trimestrale) degli interessi relativi a conti creditori e debitori, in quanto manca l'indicazione dei tassi a credito (e non potrebbe essere diversamente, poiché l'accordo riguarda soltanto l'apertura di credito), richiesta invece dalla delibera CICR 9.2.2000. Identica sorte tocca all'accordo in data 20.6.2013 (doc. n. 10 della convenuta) con il quale sono state modificate una serie di condizioni economiche applicate al rapporto di conto corrente. In particolare, per quanto qui interessa, è stato pattuito con decorrenza 23.1.2012 un tasso a credito nella misura del 2,58%. A prescindere dal dubbio che questa modifica possa innestarsi sull'accordo del 10.9.2012 (posto che quest'ultimo riguarda espressamente la "Concessione di aperture di credito in conto corrente"), resta il fatto che non vi è l'indicazione del tasso effettivo, prescritta dalla delibera CICR 9.2.2000 per la validità della capitalizzazione degli interessi. In difetto di pattuizioni conforme ai requisiti prescritti dalla citata delibera, il conto va quindi rielaborato escludendo per tutta la sua durata l'effetto anatocistico sugli interessi e sulle altre competenze addebitate dalla banca. d) Usura Il C.T.U. ha determinato il T.E.G. in base alle istruzioni della Banca D'Italia (tempo per tempo vigenti) e successivamente comparando i tassi così elaborati con il tasso soglia del periodo, accertando che non vi è stata usura contrattuale, ad esclusione del T.A.E. "oltre fido" pattuito il 17.7.2009 per l'apertura di credito in conto corrente e per l'apertura di credito a tasso differenziato a fronte di presentazione portafoglio del 17.7.2009, nonché ad esclusione del T.A.E. "oltre fido" (tasso di mora) pattuito il 20.9.2013 per lo smobilizzo di portafoglio commerciale. Il C.T.P. degli attori, al punto 2 delle proprie osservazioni ha chiesto "... l'implementazione peritale provvedendo all'azzeramento degli interessi extra-fido praticati nei periodi di applicazione dei contratti in cui risulta usuraio il tasso extrafido pattuito". Il C.T.U. ha così risposto: "... si fa presente che nelle ipotesi A e C elaborate, dal 2009 al 2011 il conto corrente ricalcolato non va mai oltre fido. Nell'Ipotesi B invece, ad un controllo più approfondito, il saldo per valuta alla data del 31/01/2011 si rivela in extra fido per 3 giorni e quindi il conteggio è stato corretto e la differenza rispetto alla rielaborazione precedente è di Euro 34,69". In sostanza, l'usura contrattuale non ha comportato la necessità di rettifiche, poiché rielaborando i conti con i criteri di cui alle varianti "A" e "C" non si sono mai verificate le condizioni per l'applicazione del tasso "oltre fido" pattuito in misura superiore alla soglia di usura; mentre nella variante "B" il C.T.U., verificato che il conto ha sforato dal fido per tre giorni, ha provveduto alla rettifica (pari ad Euro 34,69). Nei chiarimenti scritti, il C.T.U. ha precisato: "In merito alla richiesta di precisare se, nella verifica dell'usura, si è tenuto conto dei criteri indicati dalla Cass. S.U. n. 16303/2018 e quindi se le rilevazioni di superamento del T.S.U. di cui all'elaborato vengono confermate, si conferma che l'indagine usura è stata fatta nel rispetto delle Istruzioni Banca d'Italia, le quali prevedono una verifica dell'usura basata sul TEG senza l'inclusione della CMS, la quale è oggetto di controllo a sé stante, tutto ciò assolutamente in linea con i criteri indicati da Cass. S.U. n. 16303/2018. Per maggiore chiarezza, si riporta il dettaglio della verifica svolta in relazione alla CMS soglia (cfr. Allegato A) che non ha assunto carattere usuraio in alcun trimestre". Inoltre, tenuto conto che nelle proprie domande parte attrice ha dato priorità all'accertamento dell'usura e che è stata accertata l'esistenza di usura originaria, oltre che sopravvenuta, è stato chiesto al C.T.U. di spiegare "se, dando rilievo in primo luogo all'eliminazione degli effetti dell'usura (non soltanto nei casi in cui già è stata riscontrata, ma anche considerando l'ipotetico superamento del tasso soglia conseguente alle modifiche unilaterali), il saldo finale del conto corrente sarebbe diverso ..." in tutte le tre ipotesi formulate per individuare l'incidenza delle rimesse solutorie. Il perito ha chiarito che "... le casistiche verificabili sono infinite, considerando che alla determinazione del TEG e, di conseguenza, al verificarsi dell'eventuale usura incidono sia gli interessi sia gli oneri applicati al rapporto di conto corrente. Ciò premesso, nel caso di specie: - nelle Ipotesi di ricalcolo A e C il conto risulta attivo dal 2008 mentre l'usura originaria è rilevata dal 2009 e quella sopravvenuta dal 2011, quindi i risultati non varierebbero; - nella Ipotesi B, invece, il risultato sarebbe differente, tuttavia c'è da considerare il fatto che le condizioni utilizzate nel ricalcolo non sono quelle originariamente applicate dalla banca poiché sono state disconosciute le variazioni in peius non debitamente comunicate secondo quanto stabilito dall'art. 118 TUB, pertanto si può ritenere che effettuare il riconteggio rideterminando gli interessi al tasso soglia determinerebbe un risultato probabilmente peggiorativo, seppur di poco, per il correntista". Di conseguenza, restano confermati i saldi rielaborati. Con riferimento all'usura sopravvenuta, il C.T.U. ha evidenziato "... un solo superamento dei tassi applicati oltre il limite usura stabilito dalla L. 108/96 riguardante il IV trim 1999 per la linea di Apertura di credito (Cfr. Allegato 1)", tuttavia "... il ricalcolo ha riguardato solo le competenze riferite al periodo a partire dal 01/01/2000 (per mancanza di documentazione completa fino a tale data) e quindi l'usura rilevata non ha determinato alcun effetto sul ricalcolo del conto corrente". Sebbene il perito abbia quantificato in Euro 581,74 l'eccedenza addebitata dalla banca per usura sopravvenuta, ha precisato che "... tale eccedenza è indicativa perché il ricalcolo è stato effettuato partendo da condizioni differenti rispetto a quanto applicato dalla banca (precisamente al tasso previsto in contratto e ai tassi variati conformemente all'art. 118 TUB) quindi nel riconteggio tale addebito in eccesso è stato "superato"". Al punto 5 di pag. 23, in risposta alle osservazioni del C.T.P. degli attori, il C.T.U. ha precisato: "L'eccedenza calcolata pari a Euro 581,74 è assolutamente corretta. Nella precisazione inserita in relazione il sottoscritto intendeva semplicemente far presente che tale eccedenza rappresenta un conteggio a sé stante rispetto alla rielaborazione dell'estratto conto, in quanto in sede di rielaborazione si è proceduto al riconteggio del saldo finale del conto corrente applicando i tassi previsti nel contratto e quelli della banca variati conformemente all'articolo 118 tub e non i tassi fissi banca". Quanto al verificarsi di usura soggettiva, l'assunto degli attori non può essere preso in esame, stante la totale assenza di elementi probatori, che assume carattere assorbente rispetto all'insufficienza delle argomentazioni addotte nell'atto di citazione. 6 - La prescrizione La convenuta ha eccepito la prescrizione della domanda di ripetizione riguardante le rimesse aventi carattere solutorio effettuate anteriormente ai dieci anni precedenti la notifica dell'atto di citazione, avvenuta in data 4.3.2015. Secondo il C.T.P. della banca (v. relazione allegata alla comparsa di costituzione), le rimesse solutorie ante 4.3.2005 (quantificate in complessivi Euro 1.395.399,02, come da prospetto redatto dal medesimo consulente) hanno pagato le competenze passive riferite al medesimo periodo (quantificate in complessivi Euro 71.690,41), che quindi sono interamente irripetibili. Prima di affrontare la questione inerente il criterio di verifica da utilizzare per l'accertamento dell'incidenza solutoria delle rimesse, occorre prima esaminare i problemi dell'esistenza del fido anteriormente alla prima formalizzazione esistente agli atti (del 17.7.2009) e del passaggio a credito del saldo. Quanto al fido, si rileva innanzitutto che nel doc. n. 4 della convenuta, che riguarda la delibera di "ulteriori" aperture di credito, vi è la revoca delle aperture di credito continuative definite "apertura di credito in conto corrente di Euro 20.000,00" e "apertura di credito in conto corrente a tasso differenziato a fronte di presentazione di portafoglio con limite di utilizzo variabile in relazione al saldo del conto infruttifero bloccato di Euro 100.000,00". Ciò significa che già anteriormente esistevano dette due aperture di credito. Peraltro, la documentazione comprovante la concessione di affidamenti è necessaria soltanto nel caso in cui una delle parti intenda dimostrare la correttezza o meno delle condizioni economiche applicate; questo giudice non la ritiene invece imprescindibile per determinare l'esistenza e il limite del fido, dal momento che a tale scopo - in difetto di documento ad hoc - fanno fede le scritture contabili della banca, che nei confronti della stessa hanno quantomeno valore confessorio. Ne è riprova il fatto che lo stesso C.T.P. della convenuta, nella propria relazione preliminare (doc. n. 14) ha considerato (seppure a livello di ipotesi) "l'esistenza di affidamenti come teoricamente presumibili dalle annotazioni riportate in calce agli estratti conto bancari', di cui ha indicato anche l'importo nel prospetto allegato sub 1 (v. doc. n. 15). Invero, non si tratta di ipotetici affidamenti, presumibili a livello teorico, dal momento che la banca ha applicato specifici tassi a debito (si vedano gli scalari) per utilizzi che devono ritenersi entro fido, poiché diversi da quelli indicati nelle condizioni economiche del contratto di apertura del conto corrente per "sconfinamenti oltre il fido, scoperti in assenza di fido e tasso di mora". Inoltre, l'esistenza di affidamenti sin dall'inizio del rapporto emerge dalla constatazione che la correntista ha operato per lo più a debito (il saldo iniziale al 31.5.1999 è passivo di Lire 87.743.460), il che - se non vi fosse la corrispondente concessione di un affidamento-affidamento - sarebbe contrastante con il principio del bonus argentarius, cui deve conformarsi la condotta degli istituti di credito. Si desume altresì dal fatto che è stata pattuita la commissione di massimo scoperto: infatti tale onere secondo la S.C. (cfr. Cass. n. 870/2003, in parte motiva) ha la funzione di "remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del correntista indipendentemente dall'effettivo prelevamento della somma" e, secondo l'accezione data dalla Banca D'Italia, costituisce il corrispettivo per una prestazione effettuata dalla banca erogatrice del credito, consistente nel tenere a disposizione del cliente una certa giacenza liquida per potergli permettere in qualsiasi momento l'intero utilizzo del fido, per cui questo impegno si tradurrebbe in maggiori costi della gestione della tesoreria. L'esistenza del fido si desume, come osservato dal C.T.P. della banca, anche dall'art. 6 del Contratto di conto corrente 28.4.1999, che prevede espressamente la regolamentazione delle aperture di credito in conto corrente, le cui condizioni economiche sono pattuite nella Sezione IV del medesimo contratto. Si deve quindi concludere che l'assenza di documentazione comprovante la concessione di aperture di credito non esclude l'esistenza dell'affidamento (che non è necessariamente un fido di fatto), la cui entità e durata (sulle quali non sono sorti contrasti in sede di C.T.U.) va debitamente tenuta in considerazione al fine della verifica della prescrizione delle rimesse solutorie. Quanto al passaggio a credito del saldo, il C.T.P. della banca a pag. 7 delle proprie osservazioni alla 2 C.T.U. ha sostenuto la tesi che "... se il saldo del conto corrente, nel corso del periodo investigato, diviene a credito del cliente, a partire da quella data ogni rimessa annotata in conto ha carattere solutorio (essendo il saldo a credito del Cliente immediatamente liquido ed esigibile) e, come tale, deve considerarsi prescritta decorsi dieci anni dall'annotazione in conto, laddove posta a copertura di addebiti asseritamente illegittimi". Tale rilievo non è condivisibile, perché si basa sull'assunto (comunque non dimostrato nella specie) che in precedenza il conto fosse scoperto per un importo superiore al fido e che in seguito siano stati effettuati versamenti che abbiano superato la somma tra lo scoperto e il fido, portando il conto in attivo. Si tratta quindi di un argomento che non ha rilevanza autonoma, ma poggia sempre sulla verifica in concreto dell'esistenza di rimesse aventi natura di pagamento. Sul punto, non è superfluo osservare che se un conto è in attivo non significa per ciò solo che in precedenza la correntista abbia operato fuori fido e quindi che abbia effettuato rimesse solutorie, ben potendo darsi che sia sempre rimasta nei limiti del fido e pertanto che i versamenti eseguiti siano serviti solo a ripristinare la provvista, fino addirittura a portare il conto in attivo. Si torna quindi a richiamare quanto argomentato in merito al riconoscimento del fido di fatto e alla coincidenza dell'utilizzato con il limite del fido, quindi all'assenza di rimesse aventi natura di pagamento. Nel quesito, con riguardo all'eccezione di prescrizione, è stato chiesto al C.T.U. di verificare l'incidenza solutoria delle rimesse in base a tre criteri alternativi, ossia: "I) utilizzando i numeri banca (nel qual caso scomputi le eventuali rimesse solutorie dalle competenze addebitate dalla banca nel suddetto periodo); II) utilizzando i numeri rettificati; III) utilizzando il seguente metodo: 1) ordini l'estratto conto, determinando per ciascuna operazione la data disponibile secondo gli ordinari criteri previsti per la revocatoria delle rimesse bancarie; 2) ricostruisca il saldo capitale (pagamenti/rimesse ed interessi a credito), tenendo separati gli interessi passivi e le altre competenze addebitate dalla banca; 3) determini il saldo capitale rettificato, emendando di volta in volta, in un processo iterativo, il saldo capitale delle rimesse, che, assumendo la veste di pagamento (saldo in extra fido), dovranno essere prioritariamente rivolte a ripianare gli interessi, debitamente ricalcolati sull'extra fido rettificato, nonché le spese e gli altri oneri regolarmente contrattualizzati". Il C.T.U. ha eseguito i relativi calcoli per il periodo intercorrente tra l'1.12.1999 (data dalla quale "... le Schede movimento degli estratti conto presentano carattere di continuità" - v. punto 1 dei chiarimenti) e il 4.3.2005. Il tema su quali siano le modalità tecniche di accertamento delle rimesse solutorie è ancora oggetto di dibattito, a molti anni di distanza da Cass. S.U. n. 24418/2010. In sostanza si discute se debba aversi riguardo ai numeri banca (ossia quelli ricavabili direttamente dalle elaborazioni contenute negli scalari) o ai numeri rettificati (cioè quelli ottenuti a seguito dell'eliminazione degli addebiti illegittimi). Le obiezioni che vengono mosse verso questo secondo criterio fanno leva sull'art. 1194 c.c., in base al quale i pagamenti devono essere imputati prima agli interessi, nonché sull'art. 1422 c.c. che, nel sancire l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, fa salvi gli effetti della prescrizione delle azioni di ripetizione. Di recente Cass. n. 9141/2020 ha apportato chiarimenti sostanziali su tali due aspetti. In proposito la S.C. ha stabilito: "È evidente che per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all'esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest'ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento. L'eventuale prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato non influisce sulla individuazione delle rimesse solutorie, ma solo sulla possibilità di ottenere la restituzione di quei pagamenti coperti da prescrizione". Inoltre ha definito "del tutto infondata ... l'affermazione dell'istituto di credito ... secondo cui gli interessi intrafido sarebbero esigibili "alle scadenze pattuite (nella specie trimestralmente)"", poiché "Non vi è dubbio che il debito per interessi, quale accessorio, debba seguire il regime del debito principale, salvo una diversa pattuizione tra le parti che dovrebbe, tuttavia, specificare una modalità di calcolo degli interessi (intrafido) idonea a scongiurare in radice il meccanismo dell'anatocismo". La pronuncia in questione stabilisce che il saldo da utilizzare per la verifica dell'incidenza solutoria delle rimesse è quello depurato delle indebite annotazioni ed altresì che l'ambito di operatività delle rimesse è limitato esclusivamente agli interessi riferiti all'extrafido. Quest'ultimo effetto si ricava dall'interpretazione dell'art. 1194 c.c. già delineata da Cass. n. 10941/2016, secondo la quale il principio per cui ogni pagamento deve essere imputato prima al capitale e successivamente agli interessi, salvo il diverso accordo con il creditore, "... postula che il credito sia liquido ed esigibile, dato che questo, per la sua natura, produce gli interessi, ex art. 1282 c.c. Come infatti ritenuto nelle pronunce 6022/2003, 20904/2005, 9510/2007 e 16448/2009, la disposizione dell'art. 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili'. La Corte d'Appello di Milano in una recente sentenza (n. 176/2020) si pone sulla medesima linea di Cass. n. 9141/2020, avendo dato rilevanza, al fine di distinguere la rimessa solutoria da quella ripristinatoria, al capitale erogato oltre il fido, che è liquido ed esigibile unitamente ai relativi interessi maturati e scaduti: "Al di fuori dell'ammontare corrispondente al capitale liquido ed esigibile, e delle pertinenze ad esso riferite e pretese, la rimessa non assume natura solutoria. Ogni altro spostamento che risultasse dal sistema di contabilizzazione adottato dalla Banca, risulterebbe solo apparente, privo di efficacia traslativa, ossia dovrebbe riguardarsi come un mero deposito effettuato dal cliente sul proprio conto e a proprio favore". Aggiunge inoltre che, "data la commistione in conto del capitale di credito, posto a disposizione e utilizzato dal correntista, con gli interessi non ancora divenuti capitale e con gli illegittimi interessi anatocistici", bisogna "... distinguere e separare le diverse annotazioni, per ricostruire il corretto rapporto di conto ...", ma per compiere tale accertamento "... non ci si può affidare alla contabilità della Banca e alle sue periodiche risultanze finali, in quanto queste sono spesso soltanto apparenti e virtuali, controvertendosi innanzi tutto sulla validità di clausole contrattuali ..." Si deve "... prima effettuare una ricostruzione contabile del conto corrente bancario, depurandolo dalle conseguenze contabili di clausole e prassi nulle e inefficaci, con le quali la Banca ha appesantito indebitamente il passivo e/o lo scoperto di conto corrente del cliente e soltanto dopo potrà stabilirsi, in relazione al limite dell'affidamento accordato dalla Banca, se i singoli versamenti eseguiti abbiano avuto una reale ed effettiva natura solutoria (in presenza di uno scoperto ultrafido) ovvero ripristinatoria (in presenza di un passivo intrafido)". Le decisioni della Cassazione e della Corte d'Appello testé citate, avvalorano l'opinione di autorevole dottrina, la quale da tempo ha svolto un approfondito esame della questione di cui si riportano alcuni stralci: "Nel sistema di contabilizzazione adottato dalla banca, la rimessa che interviene in extra fido, per la parte solutoria, dopo aver pagato gli interessi relativi a quest'ultimo, dovrà essere rivolta al capitale in extra fido e per l'eventuale parte residua assume una natura ripristinatoria delle disponibilità del fido concesso: per l'inapplicabilità dell'art. 1194 c.c., si ritiene che nessuna rimessa, senza specifica indicazione, possa essere rivolta al pagamento degli interessi che, seppur liquidi ed esigibili, sono riferiti al capitale affidato" ... "In via del tutto analoga, rispetto agli interessi relativi al fido, non può che privilegiarsi la ricostituzione del margine di fido disponibile anche in presenza di rimesse che intervengono oltre il fido: tale rimesse, dopo aver pagato il capitale liquido ed esigibile (extra fido) e prima ancora di questo i relativi interessi (ex art. 1194 c.c.), per la parte residua andranno a ricostituire il margine di fido" ... "Considerando separatamente capitale (saldo credito/debito) ed interessi via via maturati, senza commistione fra le due categorie di appostazioni, le rimesse che intervengono in presenza di extrafido, vengono a costituire, secondo i dettami della Suprema Corte, effettivi pagamenti. Tali pagamenti, impiegati prioritariamente a ripianare gli interessi esigibili relativi all'extra-fido, per tale componente non contravvengono al rispetto dell'art. 1283 c.c. e, se legittimamente calcolati, non determinano alcun diritto a refusione di indebito soggetto a prescrizione decennale" ... "In una corretta e separata rappresentazione di capitale di credito e dei relativi interessi, il conto risulterebbe in extra-fido esattamente per il credito liquido ed esigibile e la rimessa risulterebbe solutoria esattamente per l'ammontare delle poste (capitale e interessi) congiuntamente liquide ed esigibili. Nell'opaco sistema di contabilizzazione impiegato dalle banche, il conto rifluisce spesso in extra fido per le annotazioni degli interessi maturati e scaduti, ma in tali circostanze il saldo risultante esprime una quota (capitale) illiquida ed inesigibile ed una quota (interessi, oneri e spese) liquida ed esigibile, ma che tuttavia non consente di considerare solutoria una successiva rimessa" ... "La prescrizione decennale degli interessi illegittimi non può che riguardare gli interessi relativi all'extra-fido, non risultando consentito estendere l'applicazione dell'art. 1194 c.c. indifferentemente agli interessi extra-fido e intra-fido" ... "... gli interessi relativi all'apertura di credito, ancorché liquidi ed esigibili, rimangono una mera annotazione sino alla scadenza o revoca del rapporto, a partire dalla quale si rende applicabile l'art. 1194 c.c.". Esclusa quindi la validità della verifica effettuata sui numeri banca (criterio "i" del quesito e ipotesi "B" del C.T.U.), è evidente che, alla luce di quanto sopra argomentato, tra altre due varianti indicate quella più aderente ai principi espressi dalla Suprema Corte e dalla più accorta giurisprudenza di merito nelle decisioni più sopra citate è la sub "III", corrispondente all'ipotesi "C" del C.T.U. I consulenti di parte non hanno sollevato obiezioni con riguardo ai limiti del fido e agli sforamenti considerati dal C.T.U., né relativamente alla tipologia delle linee di credito sulle quali è stata effettuata la verifica. II C.T.P. della banca ha formulato obiezioni di natura giuridica che sono confutate da quanto sin qui motivato. 7 - Il saldo del conto corrente ricalcolato Con valuta 30.9.2016 (data operazione 20.10.2016) il rapporto di conto corrente è stato estinto per azzeramento del saldo passivo ad opera della correntista. In seguito ai conteggi effettuati dal C.T.U., il quale ha tenuto conto delle indicazioni fornite dal giudice, che rispecchiano le illegittimità riconosciute per applicazione di interessi/spese/oneri non concordati (in tale espressione ricomprendendosi quelli unilateralmente variati in difformità rispetto all'art. 118 T.U.B.), nonché interessi anatocistici, il saldo al 20.10.2016 - in base all'opzione "C" in tema di prescrizione - è risultato attivo di 30.368,03, con una differenza in favore della correntista di Euro 76.067,66, in quanto il saldo banca alla stessa data era pari ad euro - 45.699,63, al netto del movimento di pari importo annotato in conto il 20.10.2016, con valuta 30.9.2016, effettuato dalla correntista ad azzeramento del saldo per estinzione (allegati 26-28 e pagg. 5 e 6 dell'elaborato depositato il 20.11.2020. Pertanto la convenuta va condannata a pagare l'importo di Euro 76.067,66 (euro 30.368,03 saldo effettivo a credito + 45.699,63 versamento non dovuto per ripianamento saldo banca negativo) in favore del Fallimento (...) s.r.l.. Gli interessi su tale somma non potranno riconoscersi con decorrenza dalla domanda, in quanto al momento dell'introduzione del giudizio (4.3.2015) il saldo del c/c era passivo ed è stato appianato il 30.9.2016. Poiché il C.T.U. ha conteggiato gli interessi (convenzionali) a credito della correntista sino al 20.10.2016, è dal giorno successivo che maturano gli ulteriori interessi al tasso legale. 8 - La cancellazione della segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi La domanda non può essere accolta, mancando la prova dell'effettiva segnalazione a sofferenza degli attori alla Centrale Rischi della Banca d'Italia. 9 - Le spese di lite Stante la prevalente soccombenza della convenuta e in virtù del principio di causalità, la banca dovrà pagare al procuratore degli attori, dichiaratosi antistatario, il 90% delle spese di lite, compensato il restante 10%. In applicazione del D.M. n. 55/2014 e tenuto conto che il valore della controversia secondo il criterio del decisum (cfr. Cass. n. 3903/2016) ammonta ad Euro 76.067,66 - tali spese vengono liquidate per l'intero in complessivi Euro 13.975,00, di cui Euro 545,00 per spese ed Euro 13.430,00 per compensi (euro 2.430,00 per la fase di studio, Euro 1.550,00 per la fase introduttiva, Euro 5.400,00 per la fase istruttoria ed Euro 4.050,00 per la fase decisionale), oltre al rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge. Sulla convenuta gravano inoltre, nella misura del 90%, i compensi liquidati al C.T.U.. P.Q.M. Il Tribunale di Cremona, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesa o assorbita: 1) accerta in Euro 30.368,03 a credito della correntista il saldo al 20.10.2016 del conto corrente n. (...) da (...) s.r.l. presso la Filiale di (...) dell'allora (...), poi (...) S.p.A. e dichiara non dovuto dalla correntista l'importo di Euro 45.699,63 dalla stessa versato, contabilizzato il 20.10.2016 con valuta 30.9.2016; 2) conseguentemente condanna (...) S.p.A. a pagare al Fallimento (...) s.r.l. la complessiva somma di Euro 76.067,66, oltre agli interessi legali su tale somma dal 21.10.2016 al saldo effettivo; 3) condanna (...) S.p.A. a pagare all'avv. (...), dichiaratosi antistatario, le spese legali della presente causa, nella misura del 90%, pari ad Euro 12.577,50, oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge; 4) pone a carico di (...) S.p.A. nella misura del 90%, le spese di C.T.U. Così deciso in Cremona il 28 dicembre 2020. Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2020.

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