Sentenze recenti Tribunale Crotone

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1430/2022 promossa da: (...) e (...), in qualità di genitori esercenti la potestà sul minore MO.RA., rappresentati e difesi dall'avv. PO.SA. e dall'avv. VO.MA. elettivamente domiciliati in VIA (...) B CROTONE presso lo studio dell'avv. PO.SA. ATTORE/I contro AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CROTONE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. LA.GI. e dell'avv. FE.GI. (...) C/O UFFICIO LEGALE AZIENDALE VIA (...) - (...) CROTONE;, elettivamente domiciliato in VIA (...) CENTRO DIREZIONELE IL GRANAIO null. 88900 CROTONE presso il difensore avv. LA.GI. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) hanno convenuto in giudizio l'Asp di Crotone al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'evento occorso. Hanno dedotto, in fatto, di essere stati sottoposti a tampone rinofaringeo, nel marzo 2020, con conseguente accertata positività al Covid-19. Hanno dedotto che, in conseguenza del suddetto evento, è stata diffusa sui circuiti social la lista di soggetti risultati positività. Hanno pertanto ritenuto, in diritto, violata la normativa speciale a tutela della privacy, con conseguente fondatezza della domanda risarcitoria formulata per la sofferenza morale patita in conseguenza dell'evento occorso. Si è costituito in giudizio l'ASP di Crotone contestando quanto ex adverso dedotto in ragione della mancata ascrivibilità del danno-evento all'operato dell'azienda ospedaliera e in ordine al difetto di prova del danno-conseguenza patito. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione della causa disposta con le modalità di cui all'art. 127 ter c.p.c. e con deposito, fino alla data odierna, delle note scritte ad opera delle parti in causa. La domanda di parte attrice è del tutto infondata. Ai fini della risarcibilità del danno ex art. 1223 c.c., in relazione all'art. 1218 c.c. o agli artt. 2043 e 2056 c.c., il creditore o il preteso danneggiato deve infatti allegare, in relazione a specifici fatti concreti di cui deve essere fornita la prova, non solo l'altrui inadempimento ovvero allegare e provare l'altrui fatto illecito, ma in entrambi i casi deve pur sempre allegare e provare l'esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore o del danneggiante: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente o illecita; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/2005). In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno-evento ed escludendo l'ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l'evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/2008). Tale consolidato orientamento trova applicazione anche allorquando il fatto lesivo coincida con la lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti. Ciò appare, del resto, conforme alla funzione che innerva il sistema della responsabilità civile, atteso che il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo "non è riconosciuto dall'ordinamento con finalità meramente punitive ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso ed, al contempo, lo stesso ordinamento non consente l'arricchimento ove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro (nemo locupletari potest cum aliena iactura), anche nelle ipotesi per le quali il danno sia ritenuto in re ipsa e trovi la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dalla controparte la presunzione attiene alla sola possibilità della sussistenza del danno ma non alla sua effettiva sussistenza e, tanto meno, alla sua entità materiale" (C. 16202/2002). In ragione di quanto testé dedotto, l'insegnamento consolidato della Suprema Corte è concorde nell'affermare il principio secondo cui il danno - conseguenza (distino dal c.d. danno-evento) non può mai essere ritenuto in re ipsa ma deve essere oggetto di puntuale allegazione e prova atteso che "il danno non patrimoniale anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di danno evento" (ex multis C. S.U. 26972/2008; C. 8827 e 8828/2003). Tale principio trova applicazione anche in caso di danno non patrimoniale derivante da reato (C. 8421/2011) atteso che il danno risarcibile ai sensi dell'art. 185 c.p. costituisce pur sempre conseguenza del reato e non si identifica con esso. Orbene, nel caso di specie, parte attrice, per quel che concerne il danno non patrimoniale, si è limitata ad allegazioni tese a identificare l'illiceità del fatto ascritto a parte convenuta, senza fornire il benché minimo elemento presuntivo idoneo a poter inferire, secondo un elevato grado di probabilità logica, che i fatti allegati abbiano ingenerato una ripercussione "dolorosa" nella sfera dei soggetti lesi. Ed invero non è chiaro da dove siano concretamente derivate "le gravi sofferenze morali e il patema d'animo" asseritamente patite posto che sono gli stessi ricorrenti a riconoscere la loro derivazione, in primo luogo, dalla stessa constatazione della loro positività al coronavirus. In tale contesto, non appare seriamente e concretamente distinguibile tale suddetto pregiudizio rispetto a quello, altrettanto contestuale, a livello cronologico, "della divulgazione a migliaia di personale della notizia della loro positività", non avendo parte ricorrente fornito elementi distinguibili tra il pregiudizio morale discendente dalla positività e quello invece discendente dall'illecito lamentato nei confronti di parte resistente. Con riferimento alle settimane successive alla diffusione della lista dei positivi, inoltre, non costituisce valido elemento indiziario l'altrettanto generica allegazione circa la presunta emarginazione sociale dei soggetti lesi, in un contesto di forti restrizioni comportamentali e di necessaria adozione di cautele connotate, tra le altre cose, dal distanziamento sociale, proprio nei mesi successivi a Marzo 2020, rilevanti nel caso di specie, non può seriamente inferirsi che la mera osservanza di condotte volte ad evitare contatti fisici di ogni genere sia strettamente derivante dall'illecito lamentato piuttosto che dal grave ed eccezionale stato epidemiologico riscontrabile a livello globale, tale da imporre cautele e restrizioni a prescindere dalla conosciuta positività delle singole persone. Le carenze sul piano assertivo non appaiono neppure sopperite da quadro probatorio in atti atteso che l'articolo di giornale prodotto non reca alcuna divulgazione dei nominativi da cui poter desumere concretamente una lesione morale conseguente alla stessa; inoltre gli stessi soggetti destinatari dei messaggi whatsapp contenenti la lista dei positivi, per come documentato, non rientrano nella cerchia dei soggetti indicati da parte ricorrente, come "amici" o colleghi di lavoro della stessa (...) che avrebbero tenuto i comportamenti indicati da parte ricorrente come causalmente ed eziologicamente riconducibili all'illecito lamentato. Né tantomeno i capitoli di prova si appalesano specifici e quindi ammissibili al fine di provare i fatti denunciati, per come già motivato con ordinanza del 23.02.2023. Ne consegue che anche sul piano probatorio non è dato desumere elementi indiziari gravi precisi e concordanti tali da poter far derivare strettamente e specificamente dalla divulgazione della notizia della positività dei soggetti lesi un comportamento della collettività e, nello specifico, dei soggetti individuati come facenti parte della cerchia dei ricorrenti, teso ad emarginare i ricorrenti stessi. In sostanza, parte attrice non ha allegato alcun elemento concreto realmente idoneo a comprovare non già la mera potenzialità diffusiva astratta della vicenda dedotta ma la sua concreta incidenza nel contesto sociale di riferimento dell'attore. Né tantomeno la lesione morale è evincibile dall'eco mediatica che la presunta vicenda occorsa a parte ricorrente avrebbe avuto, non avendo parte attrice fornito la benché minima prova sul punto, per come sopra osservato. Tale difetto totale di allegazione e prova in punto di causalità tra il pregiudizio asseritamente patito e la condotta di parte convenuta preclude nel modo più assoluto una qualsivoglia liquidazione del danno non patrimoniale in merito alla circostanza che la condotta di parte convenuta abbia profondamente, e nel concreto, alterato la tranquillità di parte ricorrente nel proprio contesto lavorativo e nel contesto sociale crotonese in generale. Inoltre, quanto alla richiesta di liquidazione equitativa, si ribadisce che la riscontrata lacuna in ordine all'allegazione e prova di precisi elementi oggettivi, da cui desumere l'esistenza stessa del danno risarcibile, non può essere colmata ricorrendo all'equità, che infatti non può mai equivalere ad arbitrio da parte del Giudice: l'equità soccorre quando è difficile o impossibile l'esatta monetizzazione del danno, ma presuppone pur sempre la prova, in base a conferente allegazione, degli elementi costitutivi del danno stesso, oltre che dell'altrui responsabilità; quindi l'esistenza e la derivazione causale dei danni integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata da chi la allega (cfr. Cass. 13288/2007; Cass. 10607/2010; Cass. 27447/2011; Cass. 8213/2013; Cass. 20889/2016; Cass. 4534/2017). Ne consegue, alla luce del suddetto consolidato orientamento giurisprudenziale, che la pretesa risarcitoria risulta del tutto carente di allegazione oltre che di prova circa la necessaria verificazione nel caso concreto del danno-conseguenza asseritamente subito dall'odierno attore a fronte del danno-evento dedotto in causa e del nesso di causalità con la condotta di parte convenuta. La liquidazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - Rigetta la domanda proposta da (...) e (...) - Condanna i ricorrenti a rifondere a parte resistente le spese di lite che liquida in Euro 3809,00, oltre rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c.. Così deciso in Crotone il 10 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2023.

  • Repubblica Italiana In nome del Popolo Italiano Tribunale di Crotone Il Tribunale di Crotone, sezione civile, in composizione monocratica, in funzione di giudice d'appello, nella persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1227/2021 r.g. proposta da (...) - (P.IVA (...)) in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Crotone, alla (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura posta a margine dell'atto di citazione in appello; -appellante- contro (...) (cod. fisc. (...)), nato a Cariati il (...), elettivamente domiciliato in Cirò Marina, alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende giusta procura posta in calce all'atto di citazione; - appellato - nonché (...) (...) - appellati contumaci- Oggetto: riforma e/o annullamento della sentenza n. 89/2021 emessa dal Giudice di Pace di Cirò - dott.ssa Carolina Dell'Aquila - depositata in data 18.5.2021 - R.G. n. 463/2021. CONCLUSIONI All'udienza del 14.12.2022 la causa è stata trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. sulle conclusioni rassegnate dai difensori delle parti costituite. MOTIVI I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusto il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riassumersi come segue. I.1.- Con atto di citazione in appello, ritualmente notificato, (...) esponeva: che (...) aveva convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Cirò l'(...), il conducente e la proprietaria del mezzo investitore, chiedendo la condanna al risarcimento dei danni subiti in quanto in data 28.3.2016, alle ore 17,00 circa, il motociclo Piaggio sul quale era terzo trasportato era stato urtato dal veicolo Fiat Stilo il cui conducente non si era fermato al segnale di stop; che con sentenza n. 89/2021 depositata il 18.5.2021 il Giudice di Pace adito aveva condannato i convenuti, in solido, al pagamento della somma di Euro 735,15 a titolo risarcitorio, oltre alle spese di lite; che la sentenza era da riformare in quanto era stata accertata la sussistenza di postumi permanenti, nella misura dell'1%, a seguito di c.t.u., mentre la c.t.p. effettuata in prossimità dell'evento non aveva accertato alcun postumo permanente e, comunque, in via stragiudiziale, l'(...) aveva già corrisposto l'importo di Euro 970,27, accettato dal (...) a titolo di acconto; che la sentenza era errata anche in quanto il convenuto contumace (...) non era stato correttamente evocato in giudizio, in quanto l'atto di citazione era stato notificato presso l'(...) e non presso la sua residenza ma il Santoro era stato condannato ex art. 2054 c.c. essendo stata proposta cumulativamente l'azione diretta ex artt. 144 e 126 cod. ass e l'azione aquiliana ex art. 2054 c.c.. Chiedeva, pertanto, la declaratoria di nullità e improcedibilità dell'atto di citazione in primo grado e dell'azione come promossa, il rigetto della domanda formulata dal (...) in primo grado, la condanna di controparte al pagamento delle spese del doppio grado. 1.2.- Dopo la rinnovazione della notifica, si costituiva in giudizio con propria comparsa (...), deducendo: che non aveva in primo grado esercitato azione diretta contro l'(...) e aquiliana contro i responsabili civili, ma esclusivamente azione diretta contro l'(...), tanto che la notifica dell'atto di citazione al Santoro presso l'(...) doveva ritenersi correttamente compiuta ed idonea a provocare l'instaurazione del contraddittorio ex art. 126 co. 2 lett. c. cod. ass.ni; che correttamente il Giudice di Pace aveva deciso in conformità con le valutazioni compiute dal c.t.u. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado. 1.3.- Gli appellati contumaci non si costituivano, nonostante la regolare notifica dell'atto di appello. 1.4.- In assenza di attività istruttoria, la causa perveniva all'udienza del 14.12.2022 nella quale le parti costituite precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c. II. Deve essere preliminarmente dichiarata la contumacia degli appellati (...) e (...), regolarmente convenuti in giudizio ma non costituitisi. III. Nel merito l'appello è infondato e deve essere rigettato. E' infatti infondato il motivo di appello con il quale l'(...) contesta la sentenza di primo grado in quanto le risultanze della c.t.u., che ha accertato la sussistenza di postumi permanenti, nella misura dell'1%, a carico del (...), sarebbero erronee, poiché in realtà il (...) era stato visitato poco dopo il sinistro mediante perizia di parte ed il consulente non aveva riscontrato la sussistenza di alcuna lesione di tipo permanente. In realtà, la sentenza di primo grado sul punto è congruamente motivata, essendosi fondata sull'accertamento di postumi permanenti compiuto dal c.t.u. nominato, in modo rigoroso e fondato sull'accertamento concreto delle condizioni del danneggiato. In applicazione del principio generale, espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale in materia di risarcimento del danno alla salute, l'esistenza e la derivazione causale di postumi permanenti integrano il fatto costitutivo della pretesa al risarcimento e la loro sussistenza va provata da chi la allega, senza nessuna possibilità per il giudice di ricorrere all'equità, atteso che in via equitativa può determinarsi la misura del risarcimento del danno, non l'esistenza dello stesso (Cass., 4.11.2014, n. 23425), deve rilevarsi che il giudice di primo grado non ha utilizzato un metro equitativo oppure generico nella valutazione del danno, ma ha semplicemente recepito le valutazioni medico legali compiute dal c.t.u. nominato, liquidando una somma a titolo risarcitorio che tenesse conto della valutazione medica compiuta, sottraendo peraltro dall'importo liquidato a titolo risarcitorio le somme già corrisposte dall'(...), prima del giudizio, a titolo di risarcimento. Nessuna censura può pertanto rivolgersi sul punto al giudice di prime cure. E' inoltre infondato il motivo di appello con il quale l'(...) sostiene che in primo grado non era stato correttamente evocato in giudizio il convenuto (...) in quanto la notifica era stata compiuta presso l'(...) e non presso l'indirizzo di residenza. Nei sinistri stradali provocati da soggetti con veicoli immatricolati all'estero, qualora l'attore intenda proporre, oltre all'azione diretta nei confronti dell'(...), anche quella ai sensi dell'art. 2054 c.c. nei confronti del convenuto "straniero", la notifica a quest'ultimo deve essere eseguita ai sensi dell'art. 142 c.p.c. e non nel domicilio eletto ai sensi dell'art. 126 comma 2 lett. b) c. assicur., presso l'ufficio centrale italiano (cfr. Trib. Milano, sez. XI, 27.10.2010, n. 8346). In materia di danni ex art. 2054 c.c., una volta intervenuta la notificazione ai responsabili stranieri secondo le norme del codice di rito e delle convenzioni internazionali, ai fini della domanda di risarcimento del danno, essa esplica tutti i suoi effetti anche ai fini della citazione dei medesimi soggetti quali litisconsorti necessari, a norma dell'art. 143, comma 3 c.p.c. e ciò perché la domiciliazione legale prevista dall'art. 126, comma 2 lett. b) cod. ass. non costituisce eccezione alla piena efficacia delle notificazioni eseguite secondo le norme generali, ma risponde alla ratio di costituire una semplificazione all'esercizio dell'azione diretta cosicché, in tali casi, imporre una doppia notifica ai convenuti stranieri, una secondo le norme generali, per la domanda di risarcimento dei danni ed una presso l'(...) (ufficio Centrale Italiano) quale domiciliatario legale, per la citazione dei litisconsorti necessari nell'azione diretta, finisce col tradire in modo palese la ratio della domiciliazione legale, configurando un'inutile ulteriore formalità. Nel caso di specie, dalla mera disamina dell'atto di citazione in primo grado può evincersi che il danneggiato aveva esercitato azione diretta contro l'(...). Tra l'altro tanto è specificato anche nella comparsa di costituzione depositata dal convenuto (...), che ha esplicato chiaramente che l'azione era stata esercitata ex art. 126 co. 2 lett. c. cod. ass. In ogni caso, sono condivisibili le deduzioni di parte appellata (...) anche in merito alla carenza di interesse dell'(...) alla riforma della sentenza in parte qua o alla declaratoria della nullità della stessa in quanto anche ove si dovesse accertare l'inesistenza della notifica nei confronti del Santoro, in ogni caso - considerato che in caso di cumulo di domande nei confronti dell'(...) e dei responsabili civili trattasi di cause scindibili - la domanda proposta nei confronti dell'(...) sarebbe salva. Ne deriva il complessivo rigetto dell'appello. IV. Al rigetto dell'appello segue la condanna dell'appellante al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti dell'appellato costituito nella misura liquidata in dispositivo. V. Le spese sono liquidate ai sensi del D.M. n. 55/2014, come aggiornato dal D.M. n. 147/2022, con applicazione dei valori medi di tariffa professionale, ridotti del 50% tenuto conto dell'estrema semplicità della questione e dell'assenza della fase istruttoria. VI. Sussistono, peraltro, i presupposti per il versamento da parte dell'appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello già versato. Infatti, l'art. 1 comma 17, L. 24.12.2012, n. 228 (c.d. legge di stabilità) ha introdotto, in seno all'art. 13 del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, il nuovo comma 1quater, in cui è previsto che "quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis". In queste ipotesi, "il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposto di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso" e che le nuove disposizioni "si applicano ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge" (art. 1 comma 18) (procedimenti iniziati dalla data del 31.1.2013). P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, definitivamente pronunciando sull'atto di appello avverso la sentenza n. 89/2021 emessa dal Giudice di Pace di Cirò - dott.ssa Carolina Dell'Aquila - depositata in data 18.5.2021 - R.G. n. 463/2021, proposto da (...) - (P.IVA (...)) in persona del legale rappresentante p.t., contro (...) (cod. fisc. (...)), nato a Cariati il 7(...), (...) e (...), così provvede: - rigetta l'appello proposto; - condanna l'appellante al pagamento in favore di (...) delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 232,00, oltre I.V.A. e C.P.A. e compenso forfettario come per legge; - dà atto della sussistenza dei presupposti, a carico dell'appellante, dell'obbligo di cui all'art. 13 co. 1 quater d.P.R. 115/2002 e manda la cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Crotone, il 22 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.489/2019 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. CA.PI. Ricorrente nei confronti di (...) s.r.l., con l'avv. SA.FE. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente essere rigettata l'eccezione di intervenuta decadenza dall'azione giudiziaria sollevata dalla parte resistente, perché l'art.32, L. n. 183 del 2010 non riguarda i contratti di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (non ravvisandosi nella disposizione in parola alcun elemento che deponga in senso contrario), in relazione ai quali l'ordinamento giuridico non prevede invece alcun termine decadenziale per la loro impugnativa. Tanto premesso e venendo al merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto per le seguenti ragioni. La parte ricorrente ha infatti assolto all'onere ex art.2697 (co.1) c.c. di fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto di credito fatto valere in giudizio, dimostrando di aver prestato attività lavorativa di natura subordinata alle dipendenze della parte resistente con le mansioni, nel periodo, nei giorni e negli orari indicati in ricorso. La parte ricorrente ha in particolare provato la sussistenza degli elementi sintomatici del lavoro subordinato (così smentendo la qualificazione formale del rapporto lavorativo attribuita dal datore di lavoro), come la soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro (vedi, al riguardo, quanto riferito dal teste (...) - all'epoca dei fatti di causa collega della parte ricorrente - nell'udienza del 7/10/2021, il quale ha confermato che (...) e tale (...), in qualità di "Team Leaders", provvedevano alla gestione dei turni del personale, all'assegnazione dei compiti da svolgere quotidianamente e dall'indicazione delle postazioni da occupare per svolgere l'attività di call center,accordando i giorni di permesso e di malattia e pretendendo che venissero loro comunicati eventuali ritardi ed assenze), la continuità della prestazione lavorativa (atteso che dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa in atti emerge che gli stessi si sono susseguiti sostanzialmente senza alcuna soluzione di continuità dal 30/7/2012 al 30/6/2015), l'osservanza di un orario di lavoro prestabilito (dal lunedì al venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 21.00 ed il sabato, dalle ore 11.00 alle ore 18.00: vedi, al riguardo, le dichiarazioni rese dal teste (...) - all'epoca dei fatti di causa collega della parte ricorrente - nell'udienza del 7/10/2021) ed il versamento di una retribuzione a cadenze fisse (vedi contratti di collaborazione coordinata e continuativa in atti). Non vi sono ragioni per dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni (tra l'altro coerenti con quanto narrato dal teste (...) nell'udienza del 5/3/2020), in quanto (...) ha sì riferito di avere instaurato una vertenza lavorativa nei confronti della parte resistente, ma ha altresì aggiunto di avere già stipulato un accordo transattivo per porre fine alla medesima. Appare per contro poco credibile quanto riferito nell'udienza dell'8/10/2020 dal teste (...), il quale ha dichiarato di aver espletato all'epoca dei fatti di causa la mansione di "Team Leader", aggiungendo quanto segue: ?... io mi occupavo della sede, controllavo l'ambiente di lavoro e garantivo l'ordine ed il codice etico, nel senso di non buttare carta per terra etc. .... Trattasi di una ricostruzione degli eventi evidentemente inverosimile, essendo alquanto improbabile che la parte resistente avesse reclutato delle figure qualificate quali quelle dei "Team Leaders" al fine di evitare, ad esempio, che gli operatori buttassero le carte per terra. Questo Giudice ritiene invece più credibile che i "Team Leaders" impartissero delle vere e proprie direttive alla parte ricorrente ed esercitassero altresì un potere disciplinare nei suoi confronti, circostanza narrata dal teste (...) della cui attendibilità non vi sono motivi di dubitare per le ragioni di cui si è detto sopra. Quanto alle dichiarazioni rilasciate da (...) (tra l'altro ancora dipendente della parte resistente, elemento che contribuisce ad inficiare la genuinità della deposizione), trattasi di un testimone che ha riferito di aver lavorato in un ufficio sito al primo piano della sede di lavoro ove era addetta la parte ricorrente, la quale lavorava invece al piano terra, con la conseguenza che il teste in argomento non poteva evidentemente sapere con certezza se ci fosse o meno qualcuno che esercitasse un potere direttivo o disciplinare nei confronti della parte ricorrente o se quest'ultima osservasse un orario di lavoro prestabilito (essendosi limitato a narrare di essere capitato ?nell'"open space" dove lavorava la parte ricorrente, senza tra l'altro precisare con quale cadenza ciò sia accaduto). Per quanto esposto, deve ritenersi dimostrato lo svolgimento di un rapporto lavorativo subordinato ex art.2094 c.c. con le mansioni, nel periodo, nei giorni e negli orari indicati in ricorso, sussistendo nel caso di specie vari indici rivelatori della subordinazione, come la soggezione del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, la continuità della prestazione lavorativa, l'osservanza di un orario di lavoro prestabilito ed il versamento di una retribuzione a cadenze fisse. Su tali basi, è stata disposta CTU con la formulazione del seguente quesito: "Accerti il CTU le differenze retributive (anche a titolo di TFR) eventualmente spettanti alla parte ricorrente per le causali indicate nel ricorso ..., con le seguenti precisazioni: periodo lavorativo dal 30/7/2012 al 30/6/2015; livello di inquadramento: terzo livello del CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione; orario di lavoro: dal lunedì al venerdì (dalle 15.00 alle 21.00) ed il sabato (dalle 11.00 alle 18.00); percepito (come da buste paga prodotte dal lavoratore per i mesi in cui vi sono in atti, come da ricorso e conteggi allegati per i restanti mesi)". Il CTU ha risposto al quesito quantificando in Euro 62.817,54 la somma complessiva spettante alla parte ricorrente per differenze retributive (anche a titolo di TFR): non vi sono motivi per discostarsi da tali conclusioni, che non sono state contraddette da sufficienti deduzioni di segno contrario. Il CTU ha infatti risposto adeguatamente (con argomentazioni integralmente condivise da questo Giudice) alle osservazioni della parte resistente sulla relazione di consulenza tecnica. Da tale importo deve però essere scomputata la somma di Euro 6.178,03 a titolo di indennità sostitutiva di ferie e permessi non goduti, trattandosi di una causale che non è indicata nel ricorso e che, per l'effetto, il CTU non avrebbe dovuto considerare, alla luce del quesito formulato da questo Giudice (come correttamente rilevato dalla parte resistente nelle osservazioni sulla relazione di consulenza tecnica). Ne consegue che l'importo complessivo dovuto in favore della parte ricorrente deve essere ridotto ad Euro 56.639,51. La parte ricorrente ha dunque assolto all'onere di dimostrare i fatti costitutivi del diritto azionato: la parte resistente, per contro, non ha provato la sussistenza di eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi del credito fatto valere in giudizio dalla controparte (non dimostrando, ad esempio, di aver versato in favore della parte ricorrente somme di denaro, a titolo di retribuzione per l'attività lavorativa subordinata svolta, ulteriori rispetto a quelle indicate nei conteggi allegati al ricorso e nelle buste paga sottoscritte dal lavoratore in atti). Ne consegue che la parte resistente deve essere condannata alla corresponsione, in favore della parte ricorrente, della somma complessiva di Euro 56.639,51 a titolo di differenze retributive (di cui Euro 4.119,24 per TFR), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo. È infine infondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte resistente, stante la messa in mora intervenuta con missiva in atti inviata in data 24/7/2015 e la successiva proposizione del ricorso giudiziario intervenuta nel 2019. Dalla condanna discende l'obbligo della parte resistente di procedere alla regolarizzazione della posizione assicurativa della parte ricorrente presso i competenti enti previdenziali. Le spese di lite sono poste a carico della parte resistente (in omaggio al principio della soccombenza) e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. 1) Accerta e dichiara che la parte ricorrente ha lavorato a tempo pieno (con l'orario e con le mansioni indicati in ricorso) alle dipendenze della parte resistente dal 30/7/2012 al 30/6/2015 con inquadramento nel terzo livello del "CCNL per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di telecomunicazione" e, per l'effetto, converte i contratti a progetto indicati in ricorso in contratti di lavoro subordinato. 2) Per l'effetto, condanna la parte resistente alla corresponsione, in favore della parte ricorrente, della somma complessiva di Euro 56.639,51 a titolo di differenze retributive (di cui Euro 4.119,24 per TFR), oltre interessi legali e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo, nonché alla regolarizzazione della posizione previdenziale della parte ricorrente. 3) Condanna la parte resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre contributo unificato (se dovuto e versato), spese generali, IVA e CPA come per legge (con distrazione). 4) Pone definitivamente le spese della CTU (liquidate con separato decreto), nei rapporti interni tra le parti, a carico della parte resistente. Così deciso in Crotone il 13 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1939/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ) rappresentato e difeso dall'avv. CU.DA. elettivamente domiciliato in VIA (...) CASABONA presso lo studio dell'avv. CU.DA. ATTORE/I contro (...) SPA (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. PE.MA.elettivamente domiciliato in VIA (...) (C/O AVV. EL.CO.) 46 REGGIO CALABRIA presso lo studio dell'avv. CO.EL. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 504/2021 con cui il Tribunale di Crotone ha ingiunto in favore di (...) S.p.A. il pagamento della somma di Euro 38859,86, oltre interessi e spese del monitorio. Ha dedotto l'infondatezza del credito ingiunto in ragione della carenza dei requisiti di prova scritta di cui all'art. 633 c.p.c. e dell'indeterminatezza, sul piano probatorio, dell'importo ingiunto,. Ha altresì contestato l'illegittima applicazione degli interessi usurari. Si è costituita in giudizio I. S.p.A. contestando quanto ex adverso dedotto in ragione della completezza della documentazione prodotta e della piena prova del credito ingiunto anche sotto il profilo del quantum. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. L'opposizione è infondata per i motivi di seguito indicati. Con riferimento alla prestazione principale, oggetto del decreto monitorio opposto, occorre innanzitutto rammentare che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, il creditore che agisce in giudizio per l'esatto adempimento di una prestazione contrattuale (come nel caso di specie), deve fornire la prova del titolo costitutivo del suo diritto, limitandosi ad allegare l'inadempimento e/o l'inesatta esecuzione della prestazione ad opera della controparte, su cui incombe l'onere di dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento e/o dall'esatta esecuzione delle prestazione resa (ex multis C. 13533/2001; C. 10261/2000). Nel caso di specie, deve ritenersi formata la prova della sussistenza di un rapporto contrattuale tra le parti, avendo parte opposta prodotto copia del contratto con cui è stato concesso il finanziamento in oggetto e la correlata documentazione (condizioni generali del contratto e documento di sintesi). Sotto questo profilo, deve essere disattesa l'eccezione sollevata da parte opponente in ordine alla inidoneità della documentazione prodotta da parte opposta a supporto del ricorso monitorio al fine di ottenere il decreto ingiuntivo oggi opposto in relazione all'importo di cui al contratto in oggetto. Si evidenzia, infatti, secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidato, che, ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, in caso di contratto di finanziamento, è sufficiente, a tal fine, unitamente al contratto di finanziamento, la produzione del piano di ammortamento o della scheda contabile o di documentazione equivalente (ex multis Tribunale Cassino, 18.07.2018, Tribunale Bari, sez IV, 22.03.2012). Tale documentazione è ritenuta sufficiente in quanto, in caso di estinzione del contratto anteriormente alla sua naturale scadenza, la stessa è ritenuta necessaria e sufficiente ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi (ex multis C. 23972/2010; Tribunale Foggia, 339/2017). Tanto premesso, nel caso di specie, parte opposta, in sede monitoria, ha prodotto, a supporto delle proprie pretese, oltre al contratto di finanziamento anche l'estratto conto della situazione debitoria relativa al finanziamento in oggetto. Ne consegue che la deduzione di parte opponente è destituita di fondamento giuridico. Inoltre l'odierno opponente non ha contestato l'effettiva sussistenza di un rapporto di finanziamento con l'istituto cedente né che quest'ultima abbia effettivamente erogato la somma oggetto di affidamento, così come è incontestato, oltre che documentalmente provato, il versamento parziale dei canoni ad opera dello stesso opponente. Ne consegue che, a prescindere dalla produzione documentale in atti, deve ritenersi formata la prova circa la sussistenza del titolo costitutivo alla base della pretesa in atti e dell'effettiva esecuzione della prestazione posta a carico di parte opposta, non avendo parte opponente in alcun modo allegato deduzioni idonee ad assurgere a fatti estintivi e/o impeditivi dell'inadempimento oggetto del contendere. In tale quadro assertivo e probatorio, è altresì da ritenersi priva di pregio l'eccezione di inosservanza del disposto di cui all'art. 633 c.p.c. a giustificazione dell'emissione del decreto opposto. Occorre infatti rammentare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 20613/11). Orbene, nel caso di specie, la produzione documentale in atti (contratto e documento di sintesi), a cui si aggiunge l'estratto conto prodotto in fase di opposizione, e l'operatività, con riferimenti ai fatti dedotti nel ricorso monitorio, del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., consente di ritenere in ogni caso provato il credito ingiunto all'odierno opponente, di talché è da ritenersi priva di pregio ogni doglianza in punto di legittimità dell'emissione del decreto opposto. In questo contesto, nessun profilo di illiceità per asserita violazione degli obblighi informativi è rilevabile nel caso di specie né tantomeno di nullità. Tali doglianze, infatti, risultano smentite dalla stessa documentazione in atti prodotta dalle parti in causa, attestante la specifica sottoscrizione, da parte dell'odierno opponente, nel contratto in oggetto della clausola con cui lo stesso contraente ha espressamente dichiarato "di aver ritirato copia dell'Informativa ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. n. 196 del 2003, dell'Avviso "Principali Norme di Trasparenza", del Foglio Informativo, del Documento di Sintesi, nonché del Contratto e delle Condizioni Generali di Contratto", nonché "di aver esaminato le "Condizioni Generali di Contratto", che tutte dichiara di accettare" e "di aver letto e di accettare integralmente tutte le clausole delle Condizioni Generali di Contratto ed in particolare, anche ad ogni effetto degli artt. 1341 e 1342 c.c., di approvare espressamente quelle al (...) n. 10 (ritardato o mancato pagamento delle rate relative ai Finanziamenti Specifici), (...) n. 23 (decadenza dal beneficio del termine, interessi di mora e penali); n. 24 (oneri e spese accessorie)" (cfr. p. 1 DOC. 3 fascicolo monitorio). Tali clausole appaiono idonee, da un lato, ad attestare l'assolvimento dei doveri informativi ad opera della compagnia resistente e, dall'altro, a ritenere superata la presunzione di vessatorietà discendente dalla lett. l) dell'art. 33 co. 2 del codice del consumo che prevede che "si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto". Ed invero si rammenta che, secondo l'insegnamento costante della Suprema Corte, Il richiamo, in forza di espresso patto contrattuale, di una disciplina fissata in un distinto documento, sulla premessa della piena conoscenza di tale documento e al fine della integrazione del rapporto negoziale per tutto ciò che non sia diversamente regolamentato, si traduce in una scelta idonea ad assegnare alle singole previsioni di quella disciplina la portata di clausole concordate (ex multis Cass. n. 3479/1997; Cass. n. 7403/2016; Cass. n. 9392/1992). Ed invero l'atto esterno viene fatto proprio dagli stipulanti, con il meccanismo della "relatio perfecta", e messo su un piano di parità rispetto all'atto direttamente compilato e sottoscritto (cfr. Cass. n. 9753 del 26 settembre 1990); ne consegue che il contratto così predisposto non può in alcun modo qualificarsi come contratto per adesione a condizioni predisposte da uno dei contraenti, perché tali non sono qualificabili le condizioni che siano frutto, ancorché con il sistema del rinvio, di una scelta concordata, senza che possa opporsi l'unilateralità della formazione del documento recepito, trattandosi di connotazione che viene meno quando le parti, di comune accordo, si approprino del suo contenuto (Cass. n. 9393/1992). Sulla base di tali principi consolidati, la Suprema Corte ha ritenuto valide le clausole contrattuali laddove, nella polizza di assicurazione, sia inserita la dichiarazione dell'assicurato di aver preso visione delle condizioni generali espressamente richiamate (Cass. n. 3479/1997). La considerazione che le clausole così predisposte siano da considerarsi concordate tra le parti, infatti, consente di farle rientrare nella "possibilità" che la parte contraente debole abbia avuto di conoscerle (secondo la formulazione della lettera l) dell'art. 33 co. 2 c.d.c.). Alla luce di quanto testé dedotto deve ritenersi che, nel caso di specie, come ricavabile dalla documentazione in atti, (...) abbia avuto la possibilità di conoscere tali clausole, atteso che, sono state oggetto di specifica approvazione per iscritto (tramite sottoscrizione) in calce al contratto, e dall'altra, lo stesso opponente ha sottoscritto che tali documenti costituiscono parte integrante del presente rapporto contrattuale. La pluralità di tali elementi consente, pertanto, di ritenere superata la presunzione di vessatorietà di cui alla lettera l). La clausola de qua consente, altresì, come sopra detto, di ritenere correttamente assolti i doveri di informazione a carico della società creditrice atteso che la chiarezza e l'inequivocità del tenore letterale delle clausole specificamente sottoscritte di cui sopra induce, alla stregua dei canoni di cui all'art. 1362 c.c., a ritenere che l'odierno opponente, alla data della sottoscrizione del contratto, avesse effettiva contezza delle condizioni del contratto, o quantomeno fosse stato posto nelle condizioni di effettivamente avere tale contezza mediante richiesta (mai avvenuta nel caso di specie) e conseguente materiale consegna dei modelli in oggetto, in ossequio al dovere di diligenza gravante anche sulla parte contraente debole ai sensi dell'art. 1341 co. 1 c.c. Tanto premesso sotto il profilo formale dell'assolvimento degli oneri di informazione gravanti sulla compagnia assicurativa contraente, si evidenzia che la documentazione in atti (in particolare il fascicolo informativo, le condizioni generali e il documento di sintesi) sia idoneo, anche sotto il profilo sostanziale, a ritenere che l'odierno opponente sia stato adeguatamente informato sugli elementi essenziali del contratto stipulato, sotto tutti i profili lamentati nel presente giudizio. Si rammenta, infatti, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, che l'obbligo di buona fede, da cui discende l'esigenza di una informazione esaustiva, implica che la controparte sia informata su tutte le circostanze relative all'affare (ex multis C. 6526/2012; C. 5297/1998; C. 5920/1985), usando espressioni chiare ed intelligibili (C. 8412/2015). Nel caso di specie, la documentazione in atti, sopra richiamata, con cui l'odierno opposto, per come sopra detto, ha inteso assolvere ai propri obblighi di informazione, appare rispettosa dei canoni suddetti, atteso che risultano espressamente indicate e chiaramente delineate le rate da pagare, il tasso di interessi pattuito nonché le spese correlate alla conclusione ed esecuzione del contratto e le condizioni per l'erogazione delle stesse, oltre che la durata complessiva del contratto. In ogni caso, sotto quest'ultimo profilo, si rammenta che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, "unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile, ove non altrimenti stabilito dalla legge, di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti, la quale può essere fonte di responsabilità" di talché "la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti" (C. 8462/2014). Pertanto, alla luce di tutto quanto testé dedotto, accertata la consegna della documentazione sopra richiamata, alla luce della specifica sottoscrizione apposta dallo stesso contraente alle clausole indicate, deve ritenersi, da un lato, esclusa qualsivoglia nullità discendente dalla presunta vessatorietà delle stesse ex art. 1341 c.c. ed ex art. 33 cod. cons. e, dall'altro lato, esclusa, in assenza di una esplicita previsione normativa, che la violazione dei menzionati doveri di comportamento, abbia determinato, anche a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del contratto o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso. Prive di pregio appaiono altresì le censure in tema di asseriti addebiti illegittimi avanzate da parte opponente, per la genericità delle suddette contestazioni. Sotto questo profilo, in particolare, si rileva che più volte è stato statuito, secondo orientamento consolidato, che "qualora ? il cliente contesta l'illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale, delle commissioni di massimo scoperto, nonché di interessi usurari ? limitandosi ad una generica contestazione di tali modalità di svolgimento del rapporto contrattuale, senza indicare, nemmeno approssimativamente, l'entità delle somme esatte, né producendo documenti idonei a colmare la lacuna, la domanda non può essere accolta" (tra le tante Trib. Monza 20.10.2006). Ed invero, è onere della parte che invoca l'illegittima applicazione interessi indicare i precisi fatti su cui tale deduzione viene formulata, "non essendo sufficiente sollevare l'eccezione con la contestuale richiesta di consulenza tecnica, in quanto quest'ultima avrebbe carattere meramente esplorativo. Né potrà pretendersi che la nullità venga rilevata ex officio dal Giudice, in quanto questi deve limitarsi a rilevare, cioè constatare, ciò che già risulta dagli elementi probatori disponibili e rite et recte acquisiti" (Trib. Monza, Sez. III, 16.04.2008). Nel caso di specie non è stata compiuta nessuna analisi concreta delle clausole contrattuali che consentisse, tramite conteggi analitici, di ritenere specificamente allegata l'asserita illegittimità dei costi sostenuti né tantomeno l'asserito superamento del tasso soglia degli stessi interessi pattuiti, di talché la relativa eccezione risulta sfornita sia di allegazione specifica che di prova in ordine alla sua effettiva verificazione. Ne consegue, per tutte le ragioni sopra esposte, l'infondatezza dell'opposizione proposta. La liquidazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - rigetta l'opposizione proposta da (...) e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 504/2021, di cui dichiara l'esecutorietà - condanna parte opponente a rifondere a parte opposta le spese di lite che liquida in Euro 3.809,00, oltre a rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Crotone il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.60/2022 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. BU.GI. Ricorrente nei confronti di MINISTERO DELL'ISTRUZIONE E DEL MERITO, con la dott.ssa (...) Convenuto CONCLUSIONI DELLE PARTI E MOTIVI DELLA DECISIONE La parte ricorrente, in possesso di diploma di ragioniere e perito commerciale, di tecnico dei servizi turistici e di tecnico delle attività alberghiere, dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche e dei 36 mesi di servizio, avendo presentato domanda di inserimento nelle graduatorie provinciali per le supplenze ((...)) del personale docente ed educativo per il biennio scolastico 2020-2021 e 2021-2022 e nelle graduatorie di istituto del personale docente ed educativo, formulava istanza di inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto, in virtù del valore di abilitazione all'insegnamento che l'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017 attribuirebbe al possesso della laurea (o, per i posti di insegnante tecnico pratico e fino all'anno scolastico 2024/2025, del diploma) e dei 24 CFU o dei 36 mesi di servizio di cui sopra. A seguito del mancato riconoscimento di tale valore abilitante, ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio. Il Ministero dell'Istruzione ha chiesto il rigetto delle avverse pretese, sostenendo che (in assenza di una specifica disposizione legislativa) il possesso della laurea e dei 24 CFU o dei 36 mesi di servizio non sia equiparabile, agli effetti dell'accesso alla prima fascia delle (...) ed alla seconda fascia delle graduatorie di istituto, al possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le seguenti ragioni. A mente dell'art.1 (co.110) L. n. 107 del 2015, "a decorrere dal concorso pubblico di cui al comma 114, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto possono accedere alle procedure concorsuali per titoli ed esami, di cui all'articolo 400 del testo unico di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 113 del presente articolo, esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all'insegnamento ...". Ai sensi dell'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017, "costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di docente di cui all'articolo 3, comma 4, lettera a), il possesso dell'abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea magistrale o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 crediti formativi universitari o accademici, di seguito denominati CFU/CFA, acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche. Costituisce titolo di accesso al concorso relativamente ai posti di insegnante tecnico-pratico, il possesso dell'abilitazione specifica sulla classe di concorso oppure il possesso congiunto di: a) laurea, oppure diploma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di primo livello, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con le classi di concorso vigenti alla data di indizione del concorso; b) 24 CFU/CFA acquisiti in forma curricolare, aggiuntiva o extra-curricolare nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in ciascuno di almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche ...". Dal tenore letterale di tali disposizioni emerge che il possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento è cosa ben diversa dal possesso congiunto della laurea magistrale o a ciclo unico (ovvero del diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica) e dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche: ciò si evince dal termine "oppure" contenuto nell'art.5, D.Lgs. n. 59 del 2017, il quale evidenzia la diversità tra due elementi che sono equiparati dalla normativa in parola solo in relazione ad un profilo (cioè, perché costituiscono entrambi titoli di accesso alle procedure concorsuali, per titoli ed esami, di cui all'art.400, D.Lgs. n. 297 del 1994). Né può ritenersi, in mancanza di una specifica previsione legislativa, che tale equiparazione operi (oltre che ai fini della partecipazione alle predette procedure concorsuali) anche nel senso di consentire l'inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto di un soggetto privo del titolo di abilitazione all'insegnamento (ma in possesso, congiuntamente, della laurea magistrale o a ciclo unico - ovvero del diploma di II livello dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica - e dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche). Ciò in quanto: 1) l'accesso alla prima fascia delle (...) è riservato dall'art.3 dell'ordinanza del Ministero dell'Istruzione n.60/2020 (relativa alle "procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della L. 3 maggio 1999, n. 124 e di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo") esclusivamente ai "soggetti in possesso dello specifico titolo di abilitazione", mentre il possesso dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche rileva soltanto (unitamente alla presenza di ulteriori requisiti), sempre a mente dell'art.3 dell'ordinanza ministeriale di cui sopra, ai fini della collocazione nella seconda fascia delle (...). Né tale ordinanza ministeriale appare in contrasto con la normativa di rango primario di cui al comb. disp. degli artt.1 (co.110) L. n. 107 del 2015 e 5, D.Lgs. n. 59 del 2017, interpretata nei termini di cui si è detto sopra; 2) l'accesso alla seconda fascia delle graduatorie di istituto è riservato dall'art.11 dell'ordinanza del Ministero dell'Istruzione n.60/2020 esclusivamente agli "aspiranti presenti in (...) di prima fascia che presentano il modello di scelta delle sedi per la suddetta fascia contestualmente alla domanda di inserimento nelle (...) ai sensi del comma 4", mentre il possesso dei 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche non rileva ai fini della collocazione nella seconda fascia delle graduatorie di istituto. Né tale ordinanza ministeriale appare in contrasto con la normativa di rango primario di cui al comb. disp. degli artt.1 (co.110) L. n. 107 del 2015 e 5, D.Lgs. n. 59 del 2017, interpretata nei termini di cui si è detto sopra. Ritiene questo Giudice di aderire all'orientamento espresso in materia dalla sentenza n.656/2021 pronunciata dal Tribunale di Crotone, qui richiamata ex art.118 disp. att. c.p.c. e di cui si riporta di seguito uno stralcio: "Merita, quindi, di essere condiviso l'orientamento espresso da questo Tribunale con ordinanza n.7517/2020, come anche da recente giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR Lazio 10945/2019; Tar Lazio n.7152/2019, che ha puntualmente osservato: "Premesso che per l'iscrizione nella II fascia delle citate graduatorie è necessario il conseguimento del titolo abilitativo, per quanto concerne il semplice possesso di laurea ovvero il titolo didottore di ricerca ovvero ancora lo svolgimento di 24 cfu, in conformità all'orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St. n.2264 del 2018), deve ritenersi che non sia equiparabile al titolo di abilitazione all'insegnamento" (nello stesso senso, fra gli altri: Trib. Milano n.466/2020, Trib. Roma n.1755/220; Trib. Taranto n.632/2020)". Tale orientamento è stato recentemente confermato anche dalla Corte di Appello di Catanzaro con la sentenza n.844 del 24/6/2021 (qui richiamata ex art.118 disp. att. c.p.c.), con cui la Corte ha riformato una pronuncia del Tribunale di Crotone, ritenendo non condivisibile la tesi secondo cui "l'individuazione dei c.d. 24 CFU come titolo equipollente all'abilitazione ai fini dell'ammissione al concorso disciplinato dal D.Lgs. n. 59 del 2017 dovrebbe condurre di per sé alla configurazione degli stessi come utili anche per l'inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto e nella prima fascia delle GPS". Alle medesime conclusioni è pervenuto il Tar Lazio con riferimento alla questione dei 36 mesi di servizio, statuendo nei seguenti termini: "Il Tribunale e la prevalente giurisprudenza amministrativa si è costantemente orientata nel senso della non equiparabilità della laurea, dei 24 CFU e dei 36 mesi di esperienza professionale - anche congiuntamente posseduti - al conseguimento del titolo abilitativo" (Tar Lazio, n.9914/2020, sentenza qui richiamata ex art. 118 disp. att. c.p.c.). Deve inoltre rilevarsi che appare manifestamente infondata la questione di incostituzionalità della normativa in discorso sollevata dalla parte ricorrente, atteso che è configurabile una violazione dell'art.3 Cost. solo allorquando il legislatore tratti in maniera diversa situazioni uguali, mentre nella fattispecie in esame non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento tra situazioni identiche. Ciò in quanto l'equiparazione del possesso della laurea e dei 24 CFU al possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, ai soli effetti della partecipazione alle procedure concorsuali, per titoli ed esami, di cui all'art.400, D.Lgs. n. 297 del 1994 (e non anche ai fini dell'inserimento nella prima fascia delle (...) e nella seconda fascia delle graduatorie di istituto), costituisce una disparità di trattamento tra situazioni diverse (e non uguali), con la conseguenza che la differenziazione effettuata dal legislatore non appare in contrasto con la Costituzione. Quanto infine all'asserita incompatibilità delle disposizioni interne con il diritto unionale, questo Giudice condivide i principi di diritto enunciati da Cons. di St., n. 5556/2021 (qui richiamati ex art.118 disp. att. c.p.c.), secondo cui "quanto alla doglianza incentrata sulla violazione del principio di libera circolazione e della direttiva 2005/36/CE, essa è già stata respinta da questa Sezione (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 12 marzo 2018, n.1524). La normativa europea evocata - che ha ad oggetto il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente - è irrilevante rispetto alla disciplina applicabile in questa sede, in cui si tratta della validità da riconoscere in Italia ad un titolo professionale formato per intero nell'ordinamento interno". La mancanza di consolidati orientamenti giurisprudenziali in ordine alle questioni oggetto del presente giudizio giustifica la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Crotone il 9 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Sezione civile Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati: dott.ssa Maria Vittoria Marchianò - Presidente dott.ssa Alessandra Angiuli - Giudice dott.ssa Sofia Nobile de Santis - Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. ..../2021 tra: R.S. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. ...ed ivi domiciliata presso il suo studio in Catanzaro, alla via .. RICORRENTE.... E M.C. (C.F. (...)) RESISTENTE CONTUMACE e con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO. Oggetto: interdizione. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 5.12.2021, R.S. ha chiesto dichiararsi l'interdizione di M.C. rappresentando lo stato di abituale e persistente infermità mentale di quest'ultima, con conseguente incapacità di provvedere in autonomia agli atti quotidiani della vita. Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, svolta l'istruttoria anche attraverso espletamento di CTU, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione all'udienza del 7.12.2022. Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia di M.C., regolarmente evocata in giudizio e non costituita. Nel merito, la domanda di interdizione deve essere rigettata. La disciplina contenuta nella L. n. 6 del 2004, che ha introdotto l'istituto dell'amministrazione di sostegno, affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità. Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all'incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell'inabilitazione o dell'interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, estesa per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l'interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria (Corte Cost. 440/2005). L'interdizione è divenuta, dunque, nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, un provvedimento di portata residuale, occorrendo perseguire, nella individuazione della misura più conforme alle esigenze dell'interessato, l'obiettivo della minore limitazione possibile della sua capacità di agire (cfr. Cass. 4866/2010). In particolare, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Nell'applicazione di tale criterio deve tenersi conto in via prioritaria del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, nel senso che ad un'attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto - vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l'attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell'attività di sostegno nei suoi confronti - corrisponderà l'amministrazione di sostegno, mentre si potrà ricorrere all'interdizione quando si tratta di gestire un'attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l'esterno (cfr. Cass. 22332/11, 13584/06). Nel caso di specie, non emerge dalle allegazioni della ricorrente, né dall'istruttoria espletata, che la convenuta possa trovarsi, a cagione della condizione psico-fisica in cui si trova, in situazioni pericolose per la propria persona, né per il proprio patrimonio (essendo ella percettrice della sola indennità di accompagnamento). Sulla scorta di tali considerazioni, ritiene il Tribunale che non ricorrano i presupposti per l'interdizione, ben potendo la meno invasiva misura dell'amministrazione di sostegno rispondere alle esigenze di cura e di tutela di M.C.. La domanda deve pertanto essere rigettata. Gli atti devono essere trasmessi al giudice tutelare in sede affinché valuti l'opportunità di provvedere alla nomina di amministratore di sostegno in favore di M.C.. Nulla sulle spese (neppure su quelle di c.t.u., dal momento che non è pervenuta domanda di liquidazione nel termine - fissato dall'art. 71, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002 - di cento giorni dal deposito della relazione peritale; in tal senso, Cass., sez. II Civile, sentenza n. 4373/15). P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, nella superiore composizione collegiale, ogni ulteriore istanza, deduzione ed eccezione disattesa e/o assorbita così provvede: - rigetta la domanda di interdizione; - dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare in sede affinché valuti l'opportunità di provvedere alla nomina di amministratore di sostegno in favore di M.C. (C.F. (...)). Conclusione Così deciso in Crotone, nella camera di consiglio del 7 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.2536/2019 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. CA.PI. Ricorrente nei confronti di INPS, con l'avv. CA.MA. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere preliminarmente rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza della parte ricorrente dall'azione giudiziaria, ai sensi dell'art.22, d.L. n. 7 del 1970. Ai sensi dell'art.38 (co.7) d.L. n. 98 del 2011 (nella formulazione applicabile ratione temporis), "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono soppressi gli elenchi nominativi trimestrali di cui all'art. 9 quinquies del d.L. n. 510 del 1996 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 608 del 1996. In caso di riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell'elenco nominativo annuale, l'INPS provvede alla notifica ai lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le modalità telematiche previste dall'art.12 bis, R.D. n. 1949 del 1940, di appositi elenchi nominativi trimestrali di variazione...". A mente dell'art.12 bis, R.D. n. 1949 del 1940, con riferimento alle giornate di occupazione successive al 31/12/2010, dichiarate dai datori di lavoro e dai concedenti dei terreni a compartecipazione familiare ed a piccola colonia e comunicate all'INPS ai sensi dell'art.6 (co.1, 3 e 4) D.Lgs. n. 375 del 1993, per gli operai agricoli a tempo determinato, per i compartecipanti familiari e per i piccoli coloni, gli elenchi nominativi annuali di cui all'art.12 sono notificati ai lavoratori interessati mediante pubblicazione telematica effettuata dall'INPS nel proprio sito internet entro il mese di marzo dell'anno successivo. A mente degli artt.11, D.Lgs. n. 375 del 1993 e 9 sexies, D.L. n. 510 del 1996, contro i provvedimenti adottati in materia di accertamento degli operai agricoli a tempo determinato e indeterminato e dei compartecipanti familiari e piccoli coloni e contro la non iscrizione è data facoltà agli interessati di proporre, entro 30 giorni, ricorso alla commissione provinciale per la manodopera agricola (formazione del silenzio-rigetto dopo 90 giorni); contro le decisioni della commissione l'interessato può proporre, entro 30 giorni, ricorso alla Commissione centrale per l'accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati (formazione del silenzio-rigetto dopo 90 giorni). Ai sensi dell'art.22, D.L. n. 7 del 1970, contro il provvedimento definitivo lesivo di diritti soggettivi è proponibile azione giudiziaria entro 120 giorni dalla notifica o dalla conoscenza del provvedimento. Tanto premesso, deve rilevarsi che nella fattispecie in esame il disconoscimento delle giornate lavorative dal 2009 al 2017 è stato effettuato con la pubblicazione telematica da parte dell'INPS nel proprio sito internet del terzo elenco nominativo trimestrale di variazione del 2018 (pubblicato tra il 15/12/2018 ed il 31/12/2018), mentre il disconoscimento delle giornate lavorative del 2018 è stato effettuato con la pubblicazione telematica da parte dell'INPS nel proprio sito internet del primo elenco nominativo trimestrale di variazione del 2019 (pubblicato tra il 15/6/2019 ed il 15/7/2019). Tali tempistiche di pubblicazione (previste, si badi bene, non direttamente dalla legge ma dalle specifiche tecniche adottate dall'Istituto medesimo: vedi, in tal senso, Corte Cost., n.45/2021) devono però essere considerate inidonee a consentire alla parte ricorrente la conoscenza dell'intervenuto disconoscimento e, per l'effetto, l'esercizio del diritto di difesa ex art.24 Cost. (perché non assicurano tempi ragionevoli per poter acquisire la conoscenza degli elenchi tramite la visione del sito istituzionale). Come statuito da Corte Cost., n.45/2021, "spetta, eventualmente, alla competente sede giudiziaria valutare gli eventuali profili di illegittimità della circolare INPS n.82 del2012 con cui l'Istituto ha definito le specifiche tecniche della peculiare modalità di notifica prevista dalla disposizione censurata". Ne consegue che il disconoscimento delle giornate lavorative oggetto del caso di specie deve ritenersi essere pervenuto nella sfera di conoscenza della parte ricorrente tra il 25 ed il 27 marzo 2019 (intervallo temporale in cui sono state notificate le missive, impugnate nel presente giudizio, di recupero delle prestazioni previdenziali - di disoccupazione e di malattia e maternità - erogate alla parte ricorrente in relazione al periodo dal 2009 al 2018). La parte ricorrente ha poi proposto, davanti alla commissione provinciale, plurimi ricorsi amministrativi (vedi allegato n.6a) al ricorso) in data 29/3/2019 e 15/4/2019 (e, dunque, entro il termine di 30 giorni ex art.11, D.Lgs. n. 375 del 1993); su tali ricorsi amministrativi si è formato il silenzio-rigetto (dopo 90 giorni) e la parte ricorrente, nei 30 giorni successivi (nello specifico, in data 18/7/2019), ha presentato plurimi ricorsi amministrativi (vedi allegato n.6b) al ricorso) davanti alla Commissione centrale per l'accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati; anche su tali ricorsi amministrativi si è formato il silenzio-rigetto (dopo 90 giorni) e, da quel momento, il disconoscimento è quindi divenuto definitivo; il ricorso giudiziario è stato proposto in data 15/11/2019 e, quindi, entro il termine decadenziale di 120 giorni previsto dall'art.22, d.L. n. 7 del 1970. Venendo al merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto per le seguenti ragioni. Come statuito dalla Suprema Corte, "con riferimento ai lavoratori subordinati a tempo determinato nel settore dell'agricoltura, il diritto dei medesimi alle prestazioni previdenziali è condizionato dall'esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dallo svolgimento di un'attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate per ciascun anno di riferimento, che risulti dall'iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940, n. 1949 e successive modifiche, ovvero dal possesso del cosiddetto certificato sostitutivo. Pertanto, sul piano processuale, colui che agisce in giudizio per ottenere le suddette prestazioni ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione negli elenchi nominativi o del possesso del certificato sostitutivo, gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio ... Non vi è dubbio quindi che la iscrizione negli elenchi costituisca presupposto per richiedere la indennità di disoccupazione agricola, di talché se l'interessato non sia già in possesso della documentazione che lo attesta, deve chiedere il riconoscimento del diritto alla iscrizione nel medesimo giudizio promosso per ottenere la prestazione di disoccupazione ... L'assenza del requisito di iscrizione negli elenchi, ossia di uno degli elementi costitutivi per integrare il diritto alla prestazione previdenziale, non può esimere dal rispetto del termine prescritto per la proposizione dell'azione diretta al conseguimento della prestazione previdenziale medesima, essendo sufficiente che la sussistenza di quell'elemento costitutivo venga chiesta e dimostrata nel giudizio avente ad oggetto la prestazione, che però deve essere intentato nel termine di legge" (Cass., sez. lav., n.14994/2005). Tanto premesso, nella fattispecie in esame (in cui il lavoratore agricolo è stato cancellato dagli elenchi di cui all'art.12, R.D. n. 1949 del 1940) la parte ricorrente ha chiesto il riconoscimento del diritto all'iscrizione nel presente giudizio promosso per ottenere l'accertamento dell'insussistenza degli indebiti previdenziali rivendicati dall'INPS (in ossequio a quanto statuito da Cass., sez. lav., n.14994/2005), assolvendo inoltre all'onere di dimostrare i fatti costitutivi delle prestazioni previdenziali (di disoccupazione e di malattia e maternità) oggetto di recupero: trattasi, nello specifico, dello svolgimento di un'attività di lavoro agricolo subordinato a titolo oneroso per n.102 giornate annue nel periodo dal 2009 al 2018 circostanza confermata dal teste M.F. escusso nell'udienza del 5/3/2021, il quale ha riferito che la parte ricorrente ha svolto attività lavorativa agricola ("potatura, cimature, pulitura erbacce e vendemmia" "nei vigneti" e "pulitura erbacce e piante" e "raccolta" di "pomodori, peperoni, cavolfiori e finocchi") alle dipendenze della ditta ("(...)") indicata in ricorso, sui fondi ("siti in località (...)"), per il numero di giornate (102 annue) e nel periodo (dal 2009 al 2018) di cui al ricorso. Non vi sono ragioni per dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni, non smentite da prove contrarie e che, anzi, trovano un riscontro nelle dichiarazioni rilasciate dagli altri testi escussi nel corso del giudizio. Quanto alle valutazioni degli ispettori poste a base dell'intervenuto disconoscimento, deve evidenziarsi che il verbale ispettivo dell'INPS, costituendo un atto pubblico ex art.2699 c.c., fa piena prova (fino a querela di falso) della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti (ma non della loro veridicità) e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, ai sensi dell'art.2700 c.c.: le valutazioni effettuate dagli ispettori costituiscono invece, per giurisprudenza costante, dei meri indizi liberamente valutabili dal giudice unitamente alle ulteriori risultanze istruttorie del processo. Tanto premesso e tornando al caso di specie, deve rilevarsi che le conclusioni degli ispettori (che si fondano principalmente su valutazioni di stima circa la congruità della manodopera denunciata/delle giornate denunciate rispetto all'estensione dei terreni utilizzati) sono ritenute da questo Giudice probatoriamente insufficienti, trattandosi di meri indizi che non trovano riscontro nelle ulteriori risultanze istruttorie del processo (che anzi le hanno smentite): è certamente possibile che l'azienda in questione abbia denunciato manodopera e/o giornate in eccesso, ma non vi sono elementi in atti che consentano di ritenere che ciò sia avvenuto nella fattispecie in esame. Per tali motivi, gli esiti del verbale di accertamento, valutati insieme alle altre risultanze istruttorie del processo, non offrono elementi sufficienti per ritenere l'insussistenza del rapporto lavorativo. Ne consegue l'accertamento del diritto della parte ricorrente all'iscrizione negli elenchi di cui all'art.12, R.D. n. 1949 del 1940 del Comune di Cirò Marina per n.102 giornate annue in relazione al periodo dal 2009 al 2018 (con condanna dell'Istituto agli adempimenti conseguenti). Dall'accoglimento di tale domanda giudiziale discende, come logico corollario, l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo della parte ricorrente di restituire le prestazioni previdenziali (di disoccupazione e di malattia e maternità) recuperate dall'INPS con le missive impugnate nel presente giudizio, atteso che il recupero di tali prestazioni è stato effettuato dall'Istituto esclusivamente in conseguenza del disconoscimento (ritenuto illegittimo da questo Giudice per le ragioni di cui si è già detto sopra) delle giornate lavorative dal 2009 al 2018. Per quanto esposto, il ricorso è fondato e deve essere accolto. Le spese di lite sono integralmente poste a carico dell'INPS (in omaggio al principio della soccombenza) e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Accerta e dichiara il diritto della parte ricorrente all'iscrizione negli elenchi di cui all'art.12, R.D. n. 1949 del 1940 del Comune di Cirò Marina per n.102 giornate annue in relazione al periodo dal 2009 al 2018 e, per l'effetto, condanna l'Istituto agli adempimenti conseguenti. Accerta e dichiara l'insussistenza dell'obbligo della parte ricorrente di restituire le prestazioni previdenziali (di disoccupazione e di malattia e maternità) recuperate dall'INPS con le missive impugnate nel presente giudizio. Condanna l'Istituto al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge (con distrazione). Così deciso in Crotone il 4 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CROTONE sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Alessandra Angiuli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1945/2021 r.g., avente ad oggetto risarcimento danni da acquisto carburante sporco tra (...), nato a C. il (...), cod. fisc. (...), e (...), nato a C. il (...), cod. fisc. (...), elettivamente domiciliati in Cotronei, alla via (...), presso lo studio dell'avv. An.Gr. (pec: (...)), che li rappresenta e difende giusta mandato in calce all'atto di citazione; - attori - e (...), in persona del legale rappresentante p.t.; E. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.; - convenuti contumaci- MOTIVI I.- Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusta il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riassumersi come segue. I.1. - Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) e (...) esponevano: di essere comproprietari di un'autovettura Wolkswagen T-Rock tg. (...), immatricolata il 28.8.2020; che in data 14.6.2021, alle ore 11,46, effettuavano un rifornimento di carburante diesel presso il distributore (...) in C., sulla SS 106, km 247, rifornendo l'autovettura di 36 litri di carburante con addebito dell'importo di Euro 54,58, pagati con carta (...) (riferimenti in atti); che dopo pochi chilometri, l'autovettura si fermava improvvisamente e doveva essere condotta presso l'officina autorizzata (...) di Catanzaro a mezzo carro attrezzi; che il personale dell'officina constatava che la causa del guasto al circuito di alimentazione era da imputare alla presenza di carburante non conforme; che denunciavano il difetto di conformità del carburante alla stazione di servizio (...) ed al produttore (...) s.p.a. con raccomandata del 19.6.2021, inviando anche il preventivo per le riparazioni ma, dopo un'interlocuzione con il rappresentante legale di (...) station di C., non avevano più alcuna notizia; che, avviata senza esito la negoziazione assistita, comunicando anche il preventivo di spesa di Euro 6.450,01, instauravano il presente giudizio. Chiedevano, pertanto, l'accertamento della responsabilità solidale del produttore e del distributore convenuti per il danno subito dalla loro autovettura la condanna al pagamento della somma complessiva di Euro 7.704,59 (di cui Euro 6.450,01 per la riparazione, Euro 54,58 per il costo del carburante, Euro 250,00 per il danno da fermo tecnico, Euro 950,00 per le spese legali in sede stragiudiziale) o di quella di giustizia. I.2. - I convenuti non si costituivano, nonostante la regolare notifica dell'atto di citazione. I.3. - Era espletata la chiesta prova orale, in corso di causa. 1.4.- All'udienza del 17.10.2022 la causa è stata trattenuta in decisione, senza i termini di cui all'art. 190 c.p.c. su espressa rinuncia di parte attrice. II. La domanda attorea è fondata e deve essere accolta. Alla fattispecie in esame deve trovare applicazione il costante orientamento della Suprema Corte, a mente del quale il creditore che agisca in giudizio per l'inadempimento del debitore deve solo fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, posto che incombe sul debitore convenuto l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento dell'obbligazione (Cassazione civile sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533; cfr. altresì Cassazione civile sez. III, 28 gennaio 2002, n. 982; Cassazione civile sez. lav., 16 luglio 1999, n. 7553; Cassazione civile sez. I, 15 ottobre 1999, n. 11629; Cassazione civile sez. II, 5 dicembre 1994, n. 10446; Cassazione civile, sez. II, 17 agosto 1990 n. 8336; Cassazione civile, sez. II, 31 marzo 1987 n. 3099). Va premesso, inoltre, che la fattispecie in esame va inquadrata nell'alveo dei vizi della cosa venduta ex artt. 1470 c.c. e ss. In tema del riparto dell'onere probatorio in relazione alla fattispecie specifica del c.d. danno da carburante sporco, si è pronunciata la Suprema Corte, la quale, richiamando i principi enucleati dalle SS.UU. n. 13533/2001, ha affermato che "erroneamente il giudice di merito ha ritenuto che competesse all'attore fornire la prova che il gasolio acquistato era frammisto ad acqua e che l'acqua trovata nel serbatoio degli automezzi di esso attore provenisse proprio dai rifornimenti di carburante effettuati presso la convenuta. All'attore competeva solo provare che aveva acquistato gasolio presso la stazione di servizio della convenuta e che tale gasolio era stato immesso nei due automezzi interessati dai lavori di riparazione per la rimozione dell'acqua frammista al carburante" (cfr. Cass. n. 3373/2010). Tale principio deve contemperarsi con la disciplina dettata per i vizi della vendita, ove l'art. 1494 c.c. dispone che "1. In ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. 2. Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa", stabilendo, pertanto, una prova liberatoria in capo al venditore. Sul punto, secondo condivisibile giurisprudenza di legittimità, il rivenditore è responsabile nei confronti del compratore del danno a lui cagionato dal prodotto difettoso, se non fornisce la prova di aver attuato un idoneo comportamento positivo tendente a verificare lo stato e qualità della merce e l'assenza di vizi, anche alla stregua della destinazione della stessa, giacché i doveri professionali del rivenditore impongono, secondo l'uso della normale diligenza, controlli periodici o su campione, al fine di evitare che notevoli quantitativi di merce presentino gravi vizi di composizione (cfr. Cass. n. 15824/2014). La Suprema Corte citata è chiara nell'affermare che l'attore non deve fornire la prova del vizio del carburante, né provare che il carburante sporco trovato nel serbatoio della propria vettura provenga proprio dal rifornimento di carburante, giacché egli deve solo provare di aver acquistato il carburante presso la stazione di servizio della convenuta e che tale carburante è stato immesso nella vettura poi oggetto di riparazioni. Premesso tutto ciò in diritto, è pacifico in atti, poiché non contestato ex adverso, che gli attori hanno effettuato in data 14.6.2021 il rifornimento presso la stazione di servizio (...) (cfr. docc. allegati all'atto di citazione), che la vettura si è arrestata poche ore, che è stato necessario condurla presso un'officina autorizzata Wolkswagen con il carro attrezzi e che l'avaria è stata ricondotta alla presenza di impurità nel gasolio (si veda documentazione allegata da parte attrice). La riconducibilità del danno subito dall'autovettura all'immissione di carburante sporco (in particolare, "annacquato") è emersa dalla valutazione fatta dall'autofficina autorizzata, come peraltro confermato dal teste sentito, (...), responsabile del concessionario (...) di Catanzaro, che ha confermato che l'autovettura T-Rock di proprietà degli attori è stata condotta con il carro attrezzi presso l'autofficina, che il guasto riscontrato sul circuito di alimentazione del veicolo era da imputare alla presenza di carburante non conforme e che, per le riparazioni resesi necessarie, come dettagliate nel preventivo esibito in atti, gli attori hanno corrisposto la somma di Euro 6.450,01. Gli attori hanno pertanto fornito ampia prova dei propri assunti. Dal canto loro, i convenuti non hanno fornito alcuna prova non essendosi costituiti. Ciò posto, venendo alla quantificazione del risarcimento del danno, la parte attrice ha allegato di aver sostenuto, a causa dei danni riportati dal motore dell'autovettura di sua proprietà, danni per complessivi Euro 6.450,01, consistenti nelle somme spese per la riparazione dell'autovettura (per materiale e manodopera). Quanto alle altre voci di danno richieste dagli attori, deve considerarsi quanto segue. Il danno da c.d. "fermo tecnico", come richiesto (Euro 250,00), può essere considerato congruo. Secondo la giurisprudenza, al fine di quantificare il fermo tecnico non è necessaria una prova specifica, così come ormai pacificamente e costantemente affermato dalla Suprema Corte in più occasioni, potendo, dunque, lo stesso essere quantificato equitativamente in Euro 70/80 giornalieri, pari ad otto ore di lavoro, e ciò a prescindere dall'uso effettivo cui è destinato il pericolo e considerando altresì un veicolo sostitutivo di cortesia avente chilometraggio illimitato e le coperture assicurative per danni e furti e senza guida esclusiva come potrebbe essere un veicolo utilizzato in famiglia (Cass., 30.1.2014, n. 2070; Cass., ord. 4.10.2013, n. 22687; Cass., 8.5.2012, n. 6907; Cass., 27.1.2010, n. 1688; Cass., 9.11.2006, n. 23916; Cass., 13.7.2004, n. 12908; Cass., n. 17963 del 14.12.2002). Pertanto, appare congrua la somma di Euro 250,00 richiesta a titolo di risarcimento per fermo tecnico, potendo quantificare il tempo necessario per porre in essere i lavori di riparazione in circa 3-4 gg. Dev'essere corrisposta, come richiesta, anche la somma di Euro 54.58 corrispondente a quella pagata per l'acquisto del carburante risultato non conforme, che si configura quale ripetizione di indebito. Sono dovute altresì, in quanto richieste, le spese sostenute per la fase stragiudiziale a titolo di compensi di avvocato. Com'è noto, "nell'ambito delle spese legali stragiudiziali in caso di sinistro stradale, il loro rimborso rappresenta una ordinaria ipotesi di danno emergente di cui all'art. 1223 c.c.; pertanto come qualsiasi altra voce di danno sarà soggetta alle regole generali: e dunque non sarà dovuto il risarcimento per le spese che la vittima avrebbe potuto evitare con l'ordinaria diligenza (art. 1227, comma 1, c.c.); non sarà dovuto il risarcimento per le spese che, pur necessarie, sono state sostenute in misura esagerata (art. 1227, comma 2, c.c.) non sarà dovuto il risarcimento per le spese non legate da un nesso di causa rispetto al fatto" (cfr. Cass. n. 2644 del 2.2.2018 e, da ultimo, Cass. n. 24481/2020). Anche l'art. 92 comma 1 c.p.c. consente al Giudice di escludere la ripetizione delle spese, sostenute dalla parte vincitrice, ritenute eccessive o superflue. Nella fattispecie in esame le spese sono dovute come richieste (rientrando nell'ambito dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 per la fase stragiudiziale), considerato che la controversia avrebbe potuto essere risolta anche in via stragiudiziale. Il risarcimento, come complessivamente quantificato in Euro 7.704,59, deve essere, poi, rivalutato alla data della presente decisione, integrando un credito di valore, come tale sottratto all'applicazione del principio nominalistico sancito dall'art. 1277 c.c.. Ciò posto, poiché il diritto al conseguimento del controvalore economico del danno patito è sorto in capo al soggetto danneggiato il giorno del fatto illecito (14.7.2021), va pure risarcito, sempre in via equitativa, il danno riconducibile al decorso del tempo intervenuto tra quel giorno e il giorno dell'avvenuta liquidazione del danno. A tale scopo, in conformità all'orientamento accolto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1712/95, si può utilizzare il meccanismo dei c.d. "interessi compensativi", che vanno applicati alla suddetta somma, devalutata alla data dell'evento lesivo (luglio 2021) e rivalutata per un anno, sulla base di un saggio d'interesse che, nel caso di specie, il Tribunale ritiene di dovere individuare nel tasso legale in vigore nel periodo sopra indicato. Su tale somma sono, poi, dovuti gli interessi al saggio legale dalla data della presente decisione fino all'effettivo pagamento, in virtù della conversione del credito di valore in credito di valuta operata dalla presente pronuncia. III. - Le spese seguono la soccombenza e sono calcolate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, in applicazione della disposizione transitoria dell'art. 6 del D.M. n. 147 del 2022, che ha introdotto i nuovi parametri di liquidazione, che dispone che "le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore" e tenendo conto della circostanza che l'ultima "prestazione professionale" è consistita nella partecipazione del difensore all'udienza del 17.10.2022, mentre le nuove tariffe sono entrate in vigore il 23.10.2022. Il calcolo è effettuato secondo i valori medi, tenuto conto del valore della controversia (Euro 7.704,59), e con opportuna riduzione, valutata la semplicità delle questioni controverse. P.Q.M. Il Tribunale di Crotone, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), nato a C. il (...), cod. fisc. (...), e (...), nato a C. il (...), cod. fisc. (...) contro (...), in persona del legale rappresentante p.t., ed (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. (R.G. n. 1945/2021), provvede come segue: 1) in accoglimento delle domande proposte da (...) e (...) nei confronti di (...) ed (...) s.p.a., condanna le convenute, in solido, al pagamento in favore degli attori, a titolo di risarcimento del danno, della complessiva somma di Euro 7.704,59, oltre rivalutazione ed interessi al tasso legale dalla data della presente statuizione fino al soddisfo; 2) condanna le convenute (...) ed (...) s.p.a. a rifondere gli attori delle spese sostenute nel presente giudizio, che liquida in Euro 264,00 per esborsi ed Euro 2.738,00 per compensi professionali, oltre compenso forfettario del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, da corrispondersi direttamente in favore dell'avv. An.Gr., dichiaratosi anticipatario. Così deciso in Crotone il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.9/2020 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. ME.FR. Ricorrente nei confronti di ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI CROTONE, con la dott.ssa (...) Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione è infondata e deve essere rigettata per le seguenti ragioni. L'ordinanza-ingiunzione n.159/2017-16 in atti fu emessa dall'ITL di Crotone sulla base del Verbale Unico di Accertamento e Notificazione n.(...) del 19/10/2016 in atti, in cui la parte ricorrente (proprietaria del vigneto teatro dell'accesso ispettivo) fu ritenuta responsabile di aver impiegato i lavoratori subordinati (...), (...), (...), (...) e (...) (senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro) per lo svolgimento dell'attività di raccolta dell'uva. Ciò in quanto: i predetti lavoratori furono trovati, in occasione dell'accesso ispettivo del 27/9/2016, intenti a raccogliere l'uva nel vigneto della parte ricorrente, la quale non fornì alcuna prova documentale della regolare assunzione dei lavoratori in questione (i quali, sentiti dagli ispettori, dichiararono di essere stati chiamati dalla parte ricorrente per raccogliere l'uva del suo vigneto e di aver pattuito con la parte ricorrente una paga giornaliera di Euro 25,00, senza aver mai firmato alcun contratto di lavoro); nel caso di specie non sarebbero configurabili delle prestazioni occasionali di tipo accessorio, perché le comunicazioni (cd. "voucher") relative ai suddetti lavoratori esibite dalla parte ricorrente il 4/10/2016 agli ispettori furono trasmesse in data 27/9/2016 tra le 18.46 e le 19.19 e, dunque, solo dopo l'accesso ispettivo. La parte ricorrente ha contestato la ricostruzione dei fatti contenuta nel Verbale Unico di Accertamento e Notificazione di cui sopra, deducendo che: le comunicazioni (cd. "voucher") inerenti ai predetti lavoratori esibite il 4/10/2016 agli ispettori furono trasmesse prima dell'accesso ispettivo; l'ITL di Crotone non avrebbe dimostrato il loro inoltro in data 27/9/2016 tra le 18.46 e le 19.19; l'art.1 (co.1, lett.b) D.Lgs. n. 185 del 2016, che ha sostituito l'art. 49 (co. 3) D.Lgs. n. 81 del 2015, consentirebbe al committente imprenditore agricolo "di comunicare i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore occasionale, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni". Tanto premesso, deve rilevarsi che dal verbale ispettivo posto a base dell'ordinanza ingiunzione impugnata nel presente giudizio emerge che le comunicazioni (cd."voucher") relative ai suddetti lavoratori esibite dalla parte ricorrente il 4/10/2016agli ispettori furono trasmesse in data 27/9/2016 tra le 18.46 e le 19.19 e, quindi,solo dopo l'accesso ispettivo (avvenuto il 27/9/2016 alle 9.45). È infatti del tutto irrilevante (contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente) che negli atti di causa manchi un documento (ulteriore rispetto al verbale ispettivo) attestante l'orario dell'inoltro dei cd. "voucher", trattandosi di un fatto non opinabile accertato dagli ispettori senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, in relazione al quale il verbale ispettivo fa piena prova fino a querela di falso (non proposta nella fattispecie in esame), né la parte ricorrente ha prodotto documentazione da cui risulti l'invio dei cd. "voucher" in data antecedente all'accesso ispettivo. Invero, come statuito dalla Suprema Corte,"i verbali ispettivi ...: a) fanno piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fanno fede fino a prova contraria, ammissibile qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l'eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, costituiscono comunque argomento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell'opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall'ufficiale giudiziario" (Cass., n. 166/2014). Quanto alla modifica introdotta dall'art.1 (co. 1, lett. b) D.Lgs. n. 185 del 2016, in disparte la considerazione che tale disposizione non è applicabile al caso di specie in omaggio al principio di irretroattività di cui all'art.11 delle preleggi ed all'art.1, L. n. 689 del 1981 (atteso che l'illecito amministrativo oggetto del presente giudizio è stato commesso il 27/9/2016, mentre la modifica normativa è entrata in vigore in data 8/10/2016), deve rilevarsi che la norma in argomento dispone quanto segue: "I committenti imprenditori non agricoli o professionisti che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione, a comunicare alla sede territoriale competente dell'Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì, il luogo, il giorno e l'ora di inizio e di fine della prestazione. I committenti imprenditori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità di cui al primo periodo, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali possono essere individuate modalità applicative della disposizione di cui al primo periodo nonché ulteriori modalità di comunicazione in funzione dello sviluppo delle tecnologie. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente comma si applica la sanzione amministrativa da Euro 400 ad Euro 2.400 in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Non si applica la procedura di diffida di cui all'articolo 13 del D.Lgs. 23 aprile 2004, n. 124". Ne discende che, anche volendo ritenere applicabile alla fattispecie in esame la modifica introdotta dall'art. 1 (co. 1, lett. b) D.Lgs. n. 185 del 2016, la parte ricorrente avrebbe dovuto trasmettere i cd. "voucher" almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione lavorativa e non entro tre giorni dal suo inizio, perché la dicitura "con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni"si riferisce alla durata massima della prestazione lavorativa e non al termine per l'inoltro dei cd."voucher" (che deve invece avvenire nello stesso termine di cui al primo periodo dell'art.49, co. 3, D.Lgs. n. 81 del 2015, così come sostituito dall'art. 1, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 185 del 2016, cioè almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione lavorativa, termine non rispettato nel caso di specie). Per quanto esposto, l'opposizione è infondata e deve essere rigettata. Nulla sulle spese, in omaggio a quanto statuito da Cass., n. 9900/2021, secondo cui "l'autorità amministrativa che ha emesso il provvedimento sanzionatorio, quando sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (come è consentito dall'art.23, comma 4, della L. 24 novembre 1981, n. 689), non può ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, difettando le relative qualità nel funzionario amministrativo che sta in giudizio, per cui sono, in tal caso, liquidabili in favore dell'ente le spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente affrontato in quel giudizio e purché risultino da apposita nota". P.Q.M. Rigetta l'opposizione. Nulla sulle spese. Così deciso in Crotone il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.1669/2020 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. FA.GI. Ricorrente nei confronti di COMUNE DI CIRO' MARINA, con l'avv. MA.NI. Convenuto CONCLUSIONI DELLE PARTI E MOTIVI DELLA DECISIONE (...) (dipendente a tempo indeterminato del Comune di Cirò Marina con posizione economica B2 e dirigente sindacale RSU: vedi anche buste paga in atti), con ricorso depositato in data 21/9/2020, conveniva nel presente giudizio il Comune di Cirò Marina, deducendo: di essere stato nominato responsabile del procedimento in relazione all'Ufficio Acquedotto con determina dell'Area Tecnica del Comune di Cirò Marina n.175 del 18/4/2012 in atti; di non aver mai percepito la relativa indennità di specifica responsabilità; di essere stato (a suo dire illegittimamente) trasferito dall'Ufficio Acquedotto all'Ufficio Protocollo con disposizione di servizio del 5/3/2020 in atti (trasferimento che, secondo la prospettazione della parte ricorrente, avrebbe sminuito la sua professionalità e non sarebbe stato sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive). Chiedeva dunque l'accertamento dell'intervenuto demansionamento e, per l'effetto, la condanna del Comune di Cirò Marina alla cessazione della condotta illecita (ritenuta tra l'altro antisindacale perché violativa dell'art.22 della L. n. 300 del 1970, disposizione che vieta il trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali senza il previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza), alla rimozione degli effetti già prodotti dal demansionamento ed all'astensione da future condotte demansionanti, oltre che al risarcimento del danno da demansionamento ed, in ogni caso, al pagamento dell'indennità di specifica responsabilità inerente all'attività di responsabile del procedimento svolta nell'Ufficio Acquedotto. Il Comune di Cirò Marina, con memoria difensiva depositata in data 12/3/2021, si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle avverse pretese e deducendo che: il trasferimento della parte ricorrente dall'Ufficio Acquedotto all'Ufficio Protocollo sarebbe stato giustificato dalla necessità di riorganizzazione dell'Ufficio Acquedotto, al fine "di por rimedio alla cronica, generalizzata e pressoché sistematica inadempienza da parte del Comune di Cirò Marina, quale gestore del servizio idrico integrato, agli stringenti obblighi che la normativa di settore impone appunto ai gestori anche a garanzia dell'interesse degli utenti a poter fruire al giusto prezzo di un servizio al tempo stesso efficace ed efficiente"; che il predetto trasferimento non avrebbe determinato alcun demansionamento, essendo stato disposto in omaggio al "principio di rotazione all'interno degli uffici", oltre che per l'esigenza riorganizzativa di cui si è detto sopra; che alla fattispecie in esame non si applicherebbe l'art.22 della L. n. 300 del 1970, perché tale norma vieta il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali senza il previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza, mentre nel caso di specie la parte ricorrente era stata spostata da un ufficio ad un altro ubicato sempre all'interno del medesimo stabile (trattasi della casa comunale di Cirò Marina); che alla parte ricorrente sarebbero state corrisposte le somme di Euro 700 (a titolo di "specifiche resp. 2013": vedi busta paga di luglio 2015 in atti), 500 (a titolo di "produttività 2015": vedi busta paga di agosto 2018 in atti), 500 (a titolo di "produttività 2016": vedi busta paga di dicembre 2018 in atti) e 500 (a titolo di "produttività 2017": vedi busta paga di ottobre 2019 in atti); che l'indennità di specifica responsabilità relativa all'anno 2012 sarebbe ormai prescritta, mentre quella inerente all'anno 2014 non sarebbe dovuta in quanto non prevista dalla contrattazione decentrata integrativa. Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto entro i seguenti limiti. Deve preliminarmente evidenziarsi che nel presente giudizio non è stata proposta alcuna domanda ex art.28 della L. n. 300 del 1970 (come precisato dalla stessa parte ricorrente nell'udienza del 25/3/2021), con la conseguenza che tutte le doglianze concernenti la presunta antisindacalità della condotta datoriale non saranno esaminate da questo Giudice (anche in ragione del fatto che nella fattispecie in esame non opera l'art.22 della L. n. 300 del 1970, perché tale norma vieta il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali senza il previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza, mentre nel caso di specie la parte ricorrente era stata spostata da un ufficio ad un altro ubicato sempre all'interno del medesimo stabile: trattasi della casa comunale di Cirò Marina). Quanto alle domande riguardanti il presunto demansionamento della parte ricorrente, deve rilevarsi che, a mente dell'art.52 (co.1) D.Lgs. n. 165 del 2001, "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a) ...". Come statuito dalla Suprema Corte, "il D.Lgs. n. 165 del 2001 disciplina interamente la materia delle mansioni all'art.52 (rendendo così inapplicabile quella generale dell'art.2103 c.c.) ... sul concetto di equivalenza, nel settore privato è il giudice a valutare se determinate mansioni possono essere, in concreto, ritenute equivalenti, sulla base del bagaglio professionale necessario per svolgerle. La lettera del citato art.52, co.1, invece, specifica un concetto di equivalenza "formale", ancorato cioè ad una valutazione demandata ai contratti collettivi, e non sindacabile da parte del giudice. Ne segue che, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all'aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico" (Cass., sez. lav., n.18283/2010). Tanto premesso e tornando alla fattispecie in esame, la parte ricorrente ha dedotto genericamente che le mansioni attualmente espletate nell'Ufficio Protocollo sarebbero inferiori rispetto a quelle svolte nell'Ufficio Acquedotto prima del 2020 (circostanza specificatamente contestata dal Comune di Cirò Marina), ma non ha specificato quali sono le mansioni espletate nell'Ufficio Protocollo e per quali ragioni sarebbero inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte nell'Ufficio Acquedotto, né ha formulato specifiche richieste istruttorie volte a dimostrare tali circostanze l'unico capitolo di prova testimoniale concernente l'attività espletata nell'Ufficio Protocollo ("è vero che alla data odierna il sig. (...) lavora presso l'ufficio protocollo del Comune di Cirò Marina") non è infatti ammissibile perché evidentemente generico oltre che non contestato. Deve inoltre rilevarsi che è irrilevante ai fini della valutazione della sussistenza del demansionamento il fatto che la parte ricorrente prima del 2020 esercitasse le funzioni di responsabile del procedimento, in quanto nel pubblico impiego l'accertamento dell'eventuale demansionamento deve essere effettuato (in omaggio a quanto statuito da Cass., sez. lav., n.18283/2010) in base al criterio dell'equivalenza formale delle mansioni e sulla scorta delle previsioni della contrattazione collettiva, prescindendo da ulteriori elementi accessori quali l'eventuale attribuzione delle funzioni di responsabile del procedimento (motivo per il quale non sono ammissibili le circostanze di prova testimoniale n.9), 10), 11), 12) e 13) indicate in ricorso, che costituiscono tra l'altro la pedissequa riproduzione del contenuto dell'art.6 della L. n. 241 del 1990 disciplinante i compiti del responsabile del procedimento amministrativo). Parimenti irrilevante ai fini del presente giudizio è la verifica in ordine alla ricorrenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive giustificative del trasferimento, proprio perché (come si è già detto sopra) l'assegnazione della parte ricorrente all'Ufficio Protocollo non è qualificabile come trasferimento daun'unità produttiva ad un'altra (che invece avrebbe richiesto, ai sensi dell'art.2103 c.c., la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive). Per quanto esposto, tutte le domande riguardanti il presunto demansionamento della parte ricorrente sono infondate e devono essere rigettate. Deve infine essere accolta la domanda di corresponsione dell'indennità di specifica responsabilità ex art.17 (co. 2, lett. f) del CCNL dell'1/4/1999 inerente all'attività di responsabile del procedimento svolta dalla parte ricorrente nell'Ufficio Acquedotto, considerato che l'espletamento dell'attività in parola non è stato specificatamente contestato dal Comune di Cirò Marina (che anzi lo ha sostanzialmente ammesso), il quale si è limitato a sostenere di aver erogato alla parte ricorrente le somme di Euro 700 (a titolo di "specifiche resp. 2013"), 500 (a titolo di "produttività 2015"), 500 (a titolo di "produttività 2016") e 500 (a titolo di "produttività 2017"). Orbene, in disparte l'anno 2013 (in relazione al quale il pagamento dell'indennità di specifica responsabilità risulta essere stato correttamente eseguito, come si evince dall'esame della busta paga di luglio 2015), dal 2015 al 2017 le suddette somme non sono state corrisposte a titolo di indennità di specifica responsabilità, ma a titolo di "produttività" (con la conseguenza che il Comune di Cirò Marina non ha assolto all'onere di provare l'esatta esecuzione della prestazione economica rivendicata dalla parte ricorrente, essendo possibile che le predette somme fossero dovute in aggiunta all'indennità di specifica responsabilità-di cui non vi è invece traccia dell'intervenuto pagamento-). Deve però ritenersi prescritta l'indennità di specifica responsabilità relativa all'anno 2012 (atteso che nel caso di specie opera il termine quinquennale di prescrizione di cui all'art.2948 c.c. e dagli atti di causa emerge che la prima richiesta di pagamento è datata 25/3/2020), mentre quella inerente all'anno 2014 deve ritenersi non dovuta in quanto non prevista dalla contrattazione decentrata integrativa (circostanza non specificatamente contestata dalla parte ricorrente e, quindi, da porre a fondamento della decisione a mente dell'art. 115 c.p.c.). Ne consegue che la condanna all'erogazione dell'indennità di specifica responsabilità deve essere limitata al periodo dal 2015 al 2020 (fino all'assegnazione della parte ricorrente all'Ufficio Protocollo). La soccombenza reciproca giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Condanna il Comune di Cirò Marina a corrispondere a (...) l'indennità di specifica responsabilità ex art. 17 (co. 2, lett. f) del CCNL dell'1/4/1999 inerente all'attività di responsabile del procedimento svolta nell'Ufficio Acquedotto nel periodo dal 2015 al 2020 (fino all'assegnazione all'Ufficio Protocollo). Rigetta per il resto il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Crotone il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE Prima CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 349/2021 promossa da: CONDOMINIO VIA (...) 2 - CROTONE (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. PA.GA. elettivamente domiciliato in VIA (...) CROTONE presso lo studio dell'avv. PA.GA. ATTORE/I contro (...) SOCIETÀ A RESPONSABILITA' LIMITATA (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. DE.LU. elettivamente domiciliato in VIA (...) n. 10 BOLOGNA presso lo studio dell'avv. DE.LU. CONVENUTO/I CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, il Condominio di Via (...) 2 ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 31/2021 con cui il Tribunale di Crotone ha ingiunto, in favore di (...) s.r.l., il pagamento della somma di Euro 15.157,46, oltre interessi e spese del monitorio. Ha eccepito in via pregiudiziale il proprio difetto di legittimazione passiva in forza della clausola di esonero pattuita tra le parti ai sensi dell'art. 9 del contratto in atti e contestato il quantum preteso alla luce dei versamenti effettuati. Si è costituita in giudizio (...) s.r.l. contestando quanto ex adverso dedotto in ragione della corretta interpretazione della clausola in questione e della sua conseguente inefficacia nella parte in cui escluderebbe la titolarità passiva del condominio secondo la prospettazione di parte opponente. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.. L'opposizione è infondata. In via pregiudiziale, è da ritenersi del tutto infondata l'eccezione di legittimazione passiva sollevata dal condominio opponente in forza del richiamato disposto di cui all'art. 9, alla stregua del quale, secondo la prospettazione di parte opponente, sarebbe preclusa una titolarità passiva dello stesso nell'ambito del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Sul punto occorre preliminarmente rammentare che il procedimento ermeneutico da seguire nell'interpretazione di un contratto deve muovere, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, dal combinato disposto degli artt. 1362 co. 1 c.c. e 1363 c.c. che individuano, come criterio interpretativo primario, il tenore letterale delle pattuizioni contrattuali, per poi prevedere, quale criterio sussidiario, quello di cui all'art. 1362 c.c. comma 2, che invita ad identificare il significato dell'atto dal comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto Ciò posto, dovendo analizzare, in via primaria, il tenore letterale, occorre ribadire che la volontà delle parti espressa nel contratto deve essere accertata interpretando le clausole del contratto "le une per mezzo delle altre" ai sensi dell'art. 1363 c.c. ed infatti "nell'interpretazione del contratto......(...).. il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell'interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico - sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti" (Cass. 13595/2020 in motivazione). Tanto premesso, nel caso di specie, sotto il profilo sistematico, la clausola de qua si inserisce nell'ambito di una pattuizione più ampia che, al primo comma, disciplina le modalità di pagamento, prevedendo il versamento di un acconto da parte della "Committente" (ovverossia il Condominio indicato in contratto appunto come Committente), gli ulteriori pagamenti in corso d'opera, a stati di avanzamento, ed il pagamento dell'ultima rata dopo l'approvazione del collaudo sempre da parte della Committente, con ciò assumendosi il condominio l'obbligazione per il pagamento del corrispettivo dei lavori. Tali essendo le intese cui sono pervenute le parti in contratto, deve ritenersi espressamente pattuito l'obbligo del condominio di pagamento del corrispettivo stabilito al primo comma, con conseguente sua legittimazione passiva nell'ambito dei rapporti sostanziali dedotto in giudizio. Tale lettura trova, oltretutto, il conforto nello stesso comportamento tenuto da parte opponente in esecuzione del suddetto accordo, avendo espressamente ammesso e riconosciuto di aver versato, egli stesso, già gran parte del corrispettivo preteso. Alla luce di ciò appare evidente, anche sotto il profilo teleologico, che la pattuizione di cui al secondo comma, nell'escludere la responsabilità solidale del Condominio, non fa altro che evidenziare la responsabilità di natura parziaria dei singoli condomini, richiamando il contenuto dell'art. 63 comma 2 disp. att. C.c. che prevede che il creditore agisca in via esecutiva nei confronti dei condomini che non siano in regola con i pagamenti. Secondo l'insegnamento della Suprema Corte (Corte di Cass. a SS.UU. n. 9148/2008), invero, tale disposizione, nel prevedere una responsabilità sussidiaria dei condomini non morosi, stante il beneficium excussionis previsto in loro favore, esclude la solidarietà nel condominio (posto che la solidarietà passiva presuppone oltre alla pluralità dei debitori e la identica causa della obbligazione altresì la indivisibilità della prestazione) ed evidenzia la funzione di rappresentanza del condominio stesso, quale ente di gestione, posizione questa che non incide sulla singola titolarità dei diritti e delle obbligazioni e rispetto al quale non sorge questione di solidarietà o meno dell'obbligazione. La questione circa la natura solidale ovvero parziaria dell'obbligazione attiene infatti alla responsabilità dei condomini, responsabilità che - come si indica anche nella clausola invocata da parte opponente che esclude la solidarietà - è di natura parziaria, rispondendo i singoli condomini solo per la rispettiva quota (cfr. Cass. 22856/2017) cosicché il contratto stipulato dal condominio in forza del mandato di rappresentanza conferito all'amministratore, vincola i singoli condomini in ragione della loro quota. Posto che con riferimento al condominio, pertanto, non si configura una responsabilità di natura solidale, la previsione dell'esonero da responsabilità dei condomini adempienti non esclude la legittimazione passiva del condominio, che, in quanto parte contrattuale si è impegnato ed ha assunto la responsabilità del pagamento del corrispettivo secondo quanto stabilito al primo comma dell'art. 9 del contratto, bensì attiene al successivo momento della esecuzione del titolo, quando, in caso di morosità di singoli condomini, l'appaltatore agirà in forza del titolo ottenuto nei confronti di questi ultimi. Le parti, con la clausola in contestazione, non hanno inteso escludere la legittimazione passiva del condominio, che è parte contrattuale e pertanto correttamente investita della domanda di adempimento del contratto, bensì hanno inteso ribadire in sede contrattuale quanto ritenuto dalla giurisprudenza, a partire dal 2008 in poi, in ordine alla esclusione della solidarietà nelle obbligazioni a carico dei condomini, prevedendo poi, secondo quanto previsto ai sensi dell'art. 63 comma 2 disp. att. C.c. l'escussione del credito in sede esecutiva nei confronti dei singoli condomini morosi, ma stabilendo in sede contrattuale di sollevare nel contempo gli altri condomini adempienti da ogni responsabilità derogando quindi sul punto alla previsione di cui all'art. 63 comma 2 disp. att. C.c. della responsabilità sussidiaria dei condomini virtuosi. Deve pertanto concludersi per l'infondatezza della eccezione del difetto di legittimazione passiva del condominio e di improcedibilità della domanda di pagamento formulata in sede monitoria nei confronti del Condominio. Sotto il profilo del quantum, è da ritenersi priva di pregio l'eccezione di pagamento sollevata in relazione alle medesime fatture in atti. Sul punto occorre primariamente rammentare che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, l'onere del debitore di dimostrare l'efficacia estintiva del versamento può ritenersi assolto solo fornendo prova dell'esistenza di un pagamento "puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito" (C. 28779/2018), ossia "eseguito con riferimento a quel determinato credito azionato" (ex multis C. 1041/1998; C. 1571/2000; C. 14741/2005). Nel caso di specie, parte opponente non ha assolto al suddetto onere probatorio, non avendo dato prova di qualsivoglia pagamento concretamente effettuato per le medesime prestazioni, essendo a tal fine del tutto irrilevanti, per i motivi sopra esposti, la mera elencazione dei bonifici asseritamente effettuati in favore di parte opposta. Parte opponente, invero, non produce i singoli bonifici, da cui si evincerebbe l'effettivo e concreto versamento di tali somme e le causali relative; oltretutto asserisce che dalla suddetta documentazione sarebbe evincibile il versamento dell'importo complessivo di Euro 86504,00, quando invece, anche escludendo i bonifici inseriti in favore di soggetti terzi estranei al presente giudizio, non risulta, da una semplice sommatoria della lista dei movimenti indicata, che l'importo suddetto sia corrispondente a quanto versato. Ne consegue che, tenuto conto dei versamenti ammessi da parte opposta, anche intervenuti nelle more del giudizio, è da ritenersi fondata la pretesa creditoria nei limiti di Euro 7.957,46. Tanto ritenuto, l'opposizione al decreto ingiuntivo in quanto infondata, deve essere rigettata, non essendo, nel merito, in alcun modo contestata neppure l'effettiva esecuzione della prestazione dedotta in causa e la congruità dell'importo preteso a fronte del contratto sottoscritto tra le parti. La liquidazione delle spese segue la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: - Rigetta l'opposizione proposta da Condominio di Via (...) 2 e, in revoca del decreto ingiuntivo n. 31/2021, condanna parte opponente al pagamento, in favore di parte opposta della somma di Euro 7.957,46, oltre interessi al tasso di legge dalla data di costituzione in mora fino al soddisfo; - Condanna parte opponente a rifondere a parte opposta le spese di lite che liquida in Euro 2540,00, oltre a rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Crotone il 26 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 26 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.1247/2021 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. SG.LU. Ricorrente nei confronti di (...) SPA, con l'avv. LI.GA. Convenuto e COMUNE DI CROTONE, con l'avv. SI.VI. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE Deve preliminarmente essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Comune di Crotone: invero, nonostante il ricorso sia stato notificato anche nei suoi riguardi, nessuna delle domande giudiziali è rivolta contro il Comune di Crotone (che costituisce un soggetto giuridico distinto dalla (...) s.p.a., società "in house" datrice di lavoro della parte ricorrente ed unica destinataria delle domande proposte nel presente giudizio - come si evince dal tenore letterale delle conclusioni del ricorso - ). Solo con le note scritte depositate telematicamente in data 22/9/2022 la parte ricorrente ha chiesto espressamente anche la condanna solidale del Comune di Crotone (in virtù della sua relazione interorganica con l'(...) s.p.a.): tale modificazione (sul piano soggettivo) della domanda originariamente proposta (anche volendola ritenere una mera emendatio libelli) è dunque inammissibile (perché non effettuata nella prima udienza, non autorizzata dal giudice e non giustificata da gravi motivi e, quindi, violativa dell'art. 420 c.p.c.). In ogni caso, non bisogna dimenticare (contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente nelle note scritte depositate telematicamente in data 22/9/2022) che le società "in house" (e, più in generale, le società pubbliche) costituiscono dei soggetti giuridici (con veste privatistica) autonomi e distinti dalle pubbliche amministrazioni partecipanti cui si applicano, a mente dell'art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 175 del 2016, le disposizioni societarie previste dal codice civile e delle norme generali di diritto privato, per quanto non derogato dalle disposizioni del D.Lgs. n. 175 del 2016 (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica), non potendo quindi ritenersi che delle eventuali obbligazioni della (...) s.p.a. debba rispondere anche il Comune di Crotone, mancando una norma che lo preveda espressamente. Come statuito da Cass., n. 5346/2019, "con specifico riferimento agli affidamenti in house ... il cd. "controllo analogo" esercitato dall'amministrazione sulla società partecipata serve a consentire all'azionista pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica; e tuttavia questa relazione interorganica non incide affatto sull'alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti dell'amministrazione pubblica, dovendosi mantenere infine pur sempre separati i due enti - quello pubblico e quello privato societario - sul piano giuridico-formale, in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante". Questione affatto diversa è quella del danno erariale arrecato alla società "in house" per effetto della condotta dei componenti dei relativi organi di amministrazione e controllo: secondo la Suprema Corte, nonostante la società "in house" sia un ente formalmente privatistico, il danno inferto al suo patrimonio costituisce danno erariale ex art.13, R.D. n. 1214 del 1934 (approdo giurisprudenziale oggi codificato dall'art.12, D.Lgs. n. 175 del 2016). Da tale equiparazione giurisprudenziale e legislativa delle società "in house" alle pubbliche amministrazioni, equiparazione posta in essere ai limitati fini dell'estensione dell'applicabilità dello statuto pubblicistico in materia di danno erariale, non può tuttavia discendere, come corollario, la responsabilità solidale delle pubbliche amministrazioni partecipanti alla società "in house" per le obbligazioni di quest'ultima, mancando una disposizione che lo preveda espressamente. Sono infine inconferenti rispetto alla fattispecie in esame l'art.2049 c.c. (che, prevedendo la responsabilità dei padroni e dei committenti per i fatti illeciti dei loro domestici e commessi, è del tutto inidoneo a fondare una responsabilità dell'amministrazione pubblica per i fatti illeciti eventualmente commessi dalla società "in house" partecipata), l'art.29, D.Lgs. n. 276 del 2003 (norma operante in presenza di un contratto di appalto, assente nel caso di specie, in cui il servizio svolto dalla (...) s.p.a. le è stato direttamente affidato dal Comune di Crotone, che ha sostanzialmente deciso di "internalizzare" il suddetto servizio) e l'art.2359 c.c. (che disciplina il rapporto di coordinamento/collegamento tra due società e non tra una società ed una pubblica amministrazione partecipante). Tanto premesso e venendo al merito, il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le ragioni che seguono. Deve innanzitutto essere rigettata la domanda relativa alle differenze retributive (tra l'altro, neanche specificatamente quantificate nelle conclusioni del ricorso) rivendicate dalla parte ricorrente (assunta dalla (...) s.p.a. a far data dall'1/8/2016) a titolo di mancata corresponsione del trattamento retributivo previsto per il personale inquadrato nel livello 4A del CCNL dei servizi ambientali in atti (trattamento economico da erogare al lavoratore dopo 36 mesi dall'assunzione, come da contratto di lavoro in atti): il datore di lavoro ha infatti dedotto nella memoria difensiva di aver regolarmente provveduto al pagamento di tali importi a far data dall'agosto 2019 (cioè, dopo 36 mesi dall'assunzione della parte ricorrente), circostanza non specificatamente contestata dalla controparte e che si evince, in ogni caso, dalle buste paga in atti (considerato che il minimo tabellare indicato nella busta paga di agosto 2019 e nelle successive - pari ad Euro 2.024,33 - corrisponde a quello previsto per il personale inquadrato nel livello 4A del CCNL dei servizi ambientali). Avendo dunque l'(...) s.p.a. assolto all'onere ex art.2697 (co.2) c.c. di dimostrare l'estinzione (per intervenuto pagamento) del diritto di credito azionato dalla parte ricorrente, la domanda giudiziale di cui sopra è infondata e deve essere rigettata. È poi infondata e deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno da "straining", in quanto la parte ricorrente non ha formulato alcuna richiesta istruttoria volta a provare la sussistenza delle condotte asseritamente illecite (non potendo inoltre ritenersi sufficienti a tal fine la denuncia-querela del 12/10/2021 e le missive del 2/8/2021, 5/9/2021 e 12/9/2021 in atti, trattandosi di atti formati dalla stessa parte ricorrente), né ha dimostrato di aver patito un danno da "straining" (mancando in atti delle certificazioni mediche rappresentative del suo stato di salute). Come statuito dalla Suprema Corte, "vero è che, ai sensi dell'art.2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (cd. "straining"), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno ...; tuttavia, nella specie è stata ritenuta carente proprio una compiuta deduzione di circostanze rilevanti anche ai più limitati fini della integrazione della condotta di straining, dovendo ex art.2087 c.c., ritenersi che incomba al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno" (Cass., sez. lav., n.24883/2019). Orbene, venendo alla fattispecie in esame, questo Giudice ritiene che le condotte lamentate dalla parte ricorrente (perlopiù consistenti in una non equa ripartizione tra i dipendenti dell'(...) s.p.a. del lavoro notturno, con conseguente impossibilità per la parte ricorrente di svolgere le maggiori ore di lavoro notturno espletate dai suoi colleghi-e di beneficiare delle relative maggiorazioni retributive-) non siano neanche astrattamente qualificabili come "straining", rientrando nella discrezionalità del datore di lavoro la scelta in ordine alla ripartizione tra i propri dipendenti dei turni di lavoro notturno (potendo al più astrattamente costituire un'ipotesi di "straining" l'adibizione del dipendente ad un numero di ore di lavoro notturno maggiore di quello dei propri colleghi, trattandosi in questo caso di condotta datoriale foriera di condizioni lavorative maggiormente stressogene per il dipendente). Quanto poi agli episodi della consegna del vestiario aziendale con taglia sbagliata (circostanza tra l'altro negata dalla (...) s.p.a. e non provata dalla parte ricorrente) e dei cambi di turno con ridotto preavviso (intervenuti, tra l'altro, solo in alcune occasioni), trattasi parimenti di vicende astrattamente inidonee ad integrare gli estremi dello "straining" (atteso che la consegna del vestiario aziendale con taglia sbagliata può anche dipendere da una svista del datore di lavoro, mentre saltuari cambi di turno con ridotto preavviso possono anche essere necessitati dall'esigenza di sopperire ad improvvise ed imprevedibili carenze di organico - purché chiaramente non si configuri un abuso di tale strumento, non ravvisabile nel caso di specie, considerato che la parte ricorrente ha indicato solo alcune occasioni in cui si sono verificati tali cambi di turno - ). Per quanto concerne, infine, l'episodio del danneggiamento dell'armadietto aziendale della parte ricorrente e dell'apposizione sullo stesso di minacce e ingiurie indirizzate nei suoi confronti (circostanza evincibile dalle rappresentazioni fotografiche in atti ed ammessa anche dalla (...) s.p.a.), la parte ricorrente ha dedotto che il presidente della (...) s.p.a. le avrebbe negato un appuntamento finalizzato a notiziare il datore di lavoro della predetta vicenda (circostanza tra l'altro negata dalla (...) s.p.a. - che ha anzi allegato di aver "sentito" i colleghi della parte ricorrente, senza però essere riuscita ad individuare gli autori del danneggiamento - e non dimostrata dalla parte ricorrente), senza tuttavia aver dedotto e provato il danno che le sarebbe stato provocato da tale negato appuntamento (che non avrebbe evidentemente potuto rimuovere gli effetti di un danneggiamento già provocato da altri). Per quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Il tenore della pronuncia giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Dichiara il difetto di legittimazione passiva del Comune di Crotone. Rigetta il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Crotone il 6 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CROTONE Il giudice del lavoro dr. Salvatore Marinò ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa iscritta al n.981/2021 del Registro Generale e promossa da (...), con l'avv. VA.MA. Ricorrente nei confronti di PROVINCIA DI CROTONE, con gli avv.ti TA.SI. e CI.MA. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e deve essere rigettato per le seguenti ragioni. Muovendo dalla domanda di condanna della Provincia di Crotone al pagamento delle retribuzioni (non corrisposte) vantate dalla parte ricorrente nei confronti della "(...) s.p.a.", deve rilevarsene l'infondatezza in quanto nel caso di specie l'unico soggetto obbligato al pagamento delle predette retribuzioni deve ritenersi il datore di lavoro (cioè la "(...) s.p.a.", società "in house" totalmente partecipata dalla Provincia di Crotone: vedi statuto societario in atti). Né può sostenersi (contrariamente a quanto dedotto dal lavoratore nel ricorso) che l'effettivo datore di lavoro fosse la Provincia di Crotone, perché è stata la stessa parte ricorrente a smentire tale assunto, avendo dichiarato nel ricorso di aver chiesto ed ottenuto l'ammissione al passivo fallimentare della "(...) s.p.a."(circostanza evidentemente inconciliabile con la tesi secondo cui l'effettivo datore di lavoro della parte ricorrente sarebbe stato la Provincia di Crotone,ragione per la quale questo Giudice non ha accolto le richieste di prova per testi volte a dimostrare tale prospettazione). Non bisogna inoltre dimenticare che le società "in house" (e, più in generale, le società pubbliche) costituiscono dei soggetti giuridici (con veste privatistica) autonomi e distinti dalle pubbliche amministrazioni partecipanti cui si applicano, a mente dell'art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 175 del 2016, le disposizioni societarie previste dal codice civile e delle norme generali di diritto privato, per quanto non derogato dalle disposizioni del D.Lgs. n. 175 del 2016 (Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica), non potendo quindi ritenersi che delle obbligazioni della "(...) s.p.a." debba rispondere anche la Provincia di Crotone, mancando una norma che lo preveda espressamente (tra l'altro, neanche individuata dalla parte ricorrente). È infine inconferente rispetto alla fattispecie in esame la sentenza della Cassazione n.26283/2013 (richiamata nel ricorso), che riguarda la questione affatto diversa del danno erariale arrecato alla società "in house" per effetto della condotta dei componenti dei relativi organi di amministrazione e controllo: secondo la Suprema Corte, nonostante la società "in house" sia un ente formalmente privatistico, il danno inferto al suo patrimonio costituisce danno erariale ex art.13, R.D. n. 1214 del 1934 (approdo giurisprudenziale oggi codificato dall'art.12, D.Lgs. n. 175 del 2016). Da tale equiparazione giurisprudenziale e legislativa delle società "in house" alle pubbliche amministrazioni, equiparazione posta in essere ai limitati fini dell'estensione dell'applicabilità dello statuto pubblicistico in materia di danno erariale, non può tuttavia discendere, come corollario, la responsabilità solidale delle pubbliche amministrazioni partecipanti alla società "in house" per le obbligazioni contratte da quest'ultima, mancando una disposizione che lo preveda espressamente (tra l'altro, neanche individuata dalla parte ricorrente). Come statuito da Cass., n.5346/2019, "con specifico riferimento agli affidamenti in house ... il cd. "controllo analogo" esercitato dall'amministrazione sulla società partecipata serve a consentire all'azionista pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica; e tuttavia questa relazione interorganica non incide affatto sull'alterità soggettiva dell'ente societario nei confronti dell'amministrazione pubblica, dovendosi mantenere infine pur sempre separati i due enti - quello pubblico e quello privato societario - sul piano giuridico-formale,in quanto la società in house rappresenta pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall'ente partecipante". Da quanto precede consegue, come logico corollario, il rigetto sia della domanda risarcitoria ex art.1175 e 1375 c.c. (il cui accoglimento richiederebbe necessariamente la dimostrazione della sussistenza di un pregresso rapporto contrattuale tra le parti, non ricorrente nel caso di specie per le ragioni di cui si è già detto sopra), sia della domanda di condanna della Provincia di Crotone al pagamento delle retribuzioni (non corrisposte) ai sensi dell'art.1676 c.c. (norma operante in presenza di un contratto di appalto, assente nella fattispecie in esame, in cui il servizio svolto dalla "(...) s.p.a." le è stato direttamente affidato dalla Provincia di Crotone, che ha sostanzialmente deciso di "internalizzare" il suddetto servizio) e dell'art.30, co.5, D.Lgs. n. 50 del 2016 (inapplicabile agli affidamenti "in house" a mente dell'art.5, D.Lgs. n. 50 del 2016). Deve poi essere rigettata la domanda risarcitoria ex art.2043 c.c., il cui accoglimento presupporrebbe l'assolvimento di un rigoroso onere assertivo e probatorio da parte del lavoratore, mancante nel caso di specie. Invero, ai sensi del comb. disp. degli art.2043 e 2697 (co.1) c.c., l'onere di provare la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno da responsabilità aquiliana grava sul danneggiato, il quale deve dedurre e dimostrare la sussistenza della condotta antigiuridica del danneggiante, del danno-evento, del nesso di causalità tra i predetti elementi, della colpevolezza del danneggiante e, infine, del danno-conseguenza. Tanto premesso e tornando alla fattispecie in esame, la parte ricorrente ha allegato che la condotta illecita della Provincia di Crotone sarebbe consistita sostanzialmente nella mancata ottemperanza all'obbligo di ricapitalizzazione della "(...) s.p.a." al fine di ripianare le relative perdite di esercizio dell'anno 2013 (vedi verbale assembleare della società "in house" del 19/9/2014 in atti): anche volendo ritenere provata tale circostanza, ciò non basterebbe a dimostrare altresì la colpevolezza della Provincia di Crotone (perché la mancata ricapitalizzazione potrebbe essere dipesa da causa non imputabile alla Provincia di Crotone), non essendovi inoltre prova che, in assenza di tale condotta, i crediti retributivi vantati dalla parte ricorrente nei confronti della "(...) s.p.a." (tra l'altro, maturati a far data dal giugno 2016 e, dunque, riferibili ad un periodo successivo a quello dell'omessa ricapitalizzazione) sarebbero stati integralmente soddisfatti, anche in ragione della presenza di numerosi ulteriori creditori della società "in house" (mancando dunque la dimostrazione del nesso di causalità). Deve infine essere rigettata la domanda di ingiustificato arricchimento, in quanto la parte ricorrente non ha dedotto e provato la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto all'indennizzo ex art.2041 c.c.: l'arricchimento di un soggetto con correlativa diminuzione patrimoniale di un altro soggetto; l'unicità del fatto causativo dell'arricchimento e dell'impoverimento; l'assenza di una causa giustificativa dello spostamento patrimoniale. La parte ricorrente si è infatti limitata a sostenere nell'atto introduttivo del giudizio "che la Provincia di Crotone abbia lucrato un indebito arricchimento per effetto della prestazione lavorativa resa dal ricorrente per fini istituzionali propri dell'Ente e secondo le esigenze dell'Ente medesimo. Pertanto il ricorrente ha diritto, ai sensi dell'art.2041 c.c., ad essere indennizzato della diminuzione patrimoniale correlativamente subita e corrispondente alle mancate retribuzioni per la somma di Euro 49.618,44". Trattasi di allegazioni generiche che non consentono, in particolare, di comprendere quale sia l'arricchimento conseguito dalla Provincia di Crotone (e soprattutto quale ne sia la misura, elemento imprescindibile per la quantificazione dell'indennizzo, che non può mai eccedere i limiti dell'arricchimento), né quale sia l'unico fatto causativo di tale presunto arricchimento e del correlativo depauperamento patrimoniale del lavoratore. Per quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Il tenore della pronuncia giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Spese compensate. Così deciso in Crotone il 6 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di CROTONE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Caterina Neri, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 252/2021 promossa da: V.C. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in ...presso il difensore avv. PARTE RICORRENTE contro ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA SOCIALE (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv.., elettivamente domiciliato presso l'avvocatura Inps di Crotone. PARTE RESISTENTE Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso iscritto in data 16.2.2021 il ricorrente, avendo presentato domanda di assegno sociale in data 19.11.2020 respinta il 20.11.2020 in ragione della mancata allegazione del verbale di separazione con gli accordi presi chiedeva accertare e dichiarare il diritto all'assegno sociale condannando l'Inps al pagamento dei relativi ratei, con vittoria delle spese di lite. Sosteneva di aver allegato l'accordo di separazione al ricorso amministrativo avverso il provvedimento di diniego del 3.2.2021. Si costituiva tempestivamente l'Inps contestando la spettanza del diritto all'assegno sociale attesa la natura sussidiaria della prestazione assistenziale, che spetta solo in mancanza di altre concrete e possibili fonti di reddito, nel caso di specie oggetto di rinuncia, come si evince dall'accordo di separazione in cui non era stato previsto alcun assegno di mantenimento a suo favore, con conseguente simulazione di un disagio economico "autoprocurato" ed insussistenza dello stato di bisogno. Concludeva dunque per il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite. La causa, di natura documentale, è così decisa. Il ricorso è infondato e dev'essere respinto. L'assegno sociale è la prestazione assistenziale introdotta dall'art. 3, commi 6 e 7, della L. n. 335 del 1995, per le persone ultrasessantacinquenni con redditi di importo inferiore a quello dell'assegno stesso, che dal 1 gennaio 1996 sostituisce la pensione sociale. Al pari della pensione sociale, ai fini del diritto all'assegno sociale, si prescinde dall'esistenza di un rapporto assicurativo e contributivo ma è necessario possedere determinati requisiti di natura reddituale e di cittadinanza. Tali requisiti sono: a) compimento del 65. anno di età; b) cittadinanza italiana; c) residenza in I.; d) reddito non superiore all'importo annuo dell'assegno se il richiedente non è coniugato; e) reddito cumulato con quello del coniuge non superiore a due volte l'importo annuo dell'assegno se il richiedente è coniugato. Nel caso in cui il reddito del richiedente o quello del coniuge o la loro somma siano inferiori ai limiti di legge (condizione necessaria per fruire della prestazione), l'assegno viene erogato in un importo ridotto pari alla differenza tra l'importo intero annuale dell'assegno sociale corrente e l'ammontare del reddito annuale. Per quanto, più in particolare, concerne la determinazione del limite di reddito ostativo alla concessione dell'assegno sociale previsto dalla L. n. 335 del 1995, il secondo alinea dell'art. 3, comma 6, così recita: "il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento. L'assegno è erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti. Alla formazione del reddito concorrono i redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, nonché gli assegni alimentari corrisposta norma del codice civile. Non si computano nel reddito i trattamenti di fine rapporto comunque denominati, le anticipazioni sui trattamenti stessi, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Agli effetti del conferimento dell'assegno non concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi dell'art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente a un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale". Sotto tale ultimo profilo, la Corte di Cassazione ha, in generale, affermato che: "in ogni caso di tutela previdenziale rapportata al limite di reddito, ai fini della determinazione di questo deve essere presa in considerazione qualsiasi attuale disponibilità di redditi, sempre che essi non siano stati esclusi dalla legge". Rileva pertanto, secondo quanto espressamente previsto dalla norma in esame, oltre al reddito effettivamente percepito, anche quello "conseguibile" nell'anno di riferimento, il cui onere probatorio incombe sull'interessato secondo il generale criterio di riparto desumibile dall'art. 2697 c.c. (si veda, sul punto, Cass. Sent. n. 23477/2010, "In tema di assegno sociale, ai sensi dell'art. 3, comma 6, della L. n. 335 del 1995 spetta all'interessato che ne abbia fatto istanza l'onere di dimostrare il possesso del requisito reddituale, determinato in base ai rigorosi criteri richiesti dalla legge speciale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva negato la spettanza dell'assegno sociale al richiedente, in quanto titolare di una attività artigiana che lasciava presumere la sussistenza di un reddito, ancorché di carattere indeterminato). Nel caso di specie, nessuno dei predetti elementi costitutivi del diritto è stato allegato in ricorso con la conseguenza che, in mancanza di allegazione - e quindi, anche di prova - degli elementi costitutivi del diritto azionato, il cui onere incombe sul ricorrente ex art. 2697 c.c., il ricorso dev'essere respinto. Peraltro, la natura sussidiaria dell'istituto impone dunque un accertamento serio e rigoroso del requisito reddituale. Come ha condivisibilmente ritenuto la Corte d'Appello di Torino nella sentenza n. 293/2008 e sentenza n. 596/2018 la nozione di reddito cui il legislatore ha fatto riferimento è notevolmente più ampia di quella del linguaggio corrente (secondo cui costituisce reddito soltanto il corrispettivo ricevuto per lo svolgimento di una determinata attività o per la prestazione di un servizio): se così non fosse, si dovrebbero ritenere escluse dal concetto di reddito tutte le prestazioni a carattere pensionistico o assistenziale, che sono invece sicuramente rilevanti ai fini dell'applicazione della norma di cui all'art. 3, c. 6, L. n. 335 del 1995, come è del resto confermato dal fatto che il legislatore ha sentito la necessità di escludere espressamente le pensioni, nella misura di un terzo. L'ampia formula usata dal legislatore (redditi di qualsiasi natura), e anche la non coincidenza con la nozione di reddito fiscale (dimostrata dal fatto che il l'art. 3 cit. espressamente ricomprende anche i redditi esenti da imposte) porta a ritenere che l'assegno sociale sia prestazione assistenziale attribuibile solo a favore dei soggetti che versino in stato di bisogno e, pertanto, che lo stesso non possa riconoscersi in presenza di entrate patrimoniali, attuali o concretamente possibili (fatta solo eccezione per le entrate espressamente escluse), che escludano l'esistenza della predetta situazione di bisogno. Nello stesso senso si è pronunciata la Corte d'Appello di Trieste con la decisione del 08.06.2017 secondo cui quest'ultima soluzione è quella che appare più corretta, in base al testo della norma, che attribuisce rilievo ai redditi "di qualsiasi natura"; e soprattutto alla sua ratio: non si deve dimenticare infatti che l'assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale, finalizzata a sovvenire ai bisogni essenziali di vita di chi si trovi in uno stato di disagio economico, e quindi si deve ritenere per sua natura incompatibile con la titolarità di un patrimonio tale da consentire alla persona di procurarsi i necessari mezzi di sostentamento. Anche secondo Tribunale Bergamo sez. lav., 25/02/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 25/02/2019), n.101 "Tale rigorosa interpretazione in senso sostanziale dei requisiti reddituali previsti dalla legge, d'altronde, è l'unica coerente con il citato disposto dell'art. 38 della Costituzione, laddove aggancia il diritto al mantenimento da parte dello Stato all'essere sprovvisto dei mezzi necessari per vivere". Nello stesso senso anche la Corte d'Appello di Napoli che, con sentenza n. 1615/2019, sulla scorta di quanto precisato dalla Cassazione nella pronuncia n. 6570/2010 in cui, pur evidenziando il rilevo dei redditi effettivamente percepiti, era stata ritenuta incompatibile con la percezione dell'assegno sociale la mancata attivazione per la riscossione dell'assegno di mantenimento in caso di separazione legale o di assegno divorzile, occorrendo l'impossibilità di ottenerlo, aveva ritenuto: "Qualora il soggetto che chiede l'assegno sociale risulti titolare di una posizione giuridica astrattamente idonea a produrre reddito, occorre dimostrare che ad essa non corrisponde alcuna concreta prospettiva di poterlo percepire", Così anche Corte d'Appello di Salerno sentenza n. 649/2019, Tribunale di Busto Arsizio n. 98/2019, Tribunale di Catanzaro n. 850/2017 Tribunale di Napoli 4294/2017 secondo cui: "La scelta, da parte del coniuge più debole, di rinunciare all'assegno di mantenimento optando per una separazione consensuale senza obbligo di alimenti a carico dell'altro coniuge che sia titolare di un reddito (seppur minimo) mette in luce l'intento elusivo dei principi a sostegno dell'assegno sociale nonché una presunzione di possesso di altri redditi, ostativi all'accesso alla prestazione sociale". L'assolvimento dell'onere probatorio, dunque, va necessariamente valutato alla luce della situazione concreta, tenendo conto di ogni elemento che consenta di ricostruire la concreta situazione economica dell'interessato e l'effettiva sussistenza dello stato di bisogno, nel caso di specie non provato, pur a fronte della specifica contestazione dell'Inps. Per le ragioni sopra esposte il ricorso dev'essere respinto, ritenute assorbite le questioni non espressamente trattate. Si compensano integralmente le spese di lite ex art. 152 disp. att. c.p.c. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: Respinge il ricorso; Compensa le spese di lite. Sentenza resa ex art. 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Conclusione Così deciso in Crotone, il 28 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 28 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CROTONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonio Albenzio, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2691/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) ) rappresentato e difeso dall'avv. FR.EM. e LA.GI. elettivamente domiciliato in VIA (...) 88100 CATANZARO presso lo studio dell'avv. FR.EM. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), T.G. (C.F. (...)), A.N. (C.F. (...)), V.S. (C.F.) , (...) (C.F. (...)), V.R. (C.F.) (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. VE.GI. elettivamente domiciliato in VIA (...) TROPEA presso lo studio dell'avv. VE.GI. (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. DI.PA. elettivamente domiciliati in VIA (...) MONASTERACE presso lo studio dell'avv. DI.PA. (...) (C.F. (...)V.) rappresentato e difeso dall'avv. ME.GI. elettivamente domiciliato in PIAZZA (...) CATANZARO presso lo studio dell'avv. ME.GI. (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. GE.GI. elettivamente domiciliato in VIA (...) MONASTERACE presso lo studio dell'avv. GE.GI. CONVENUTO/I CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio (...) ed altri al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'evento occorso. Ha dedotto, in fatto, di essere stato vittima, fin dagli anni 80, di plurimi atti estorsivi da parte di organizzazioni inserite in un contesto di criminalità organizzata che hanno portato al fallimento della propria ditta. Ha dedotto altresì che tali fatti sono stato oggetto di accertamento penale all'esito di plurime sentenze emesse dal Tribunale di Crotone, di Vibo Valentia e di Catanzaro passate in giudicato. Ha pertanto ritenuto, in diritto, in forza dell'accertamento definitivo dei fatti suddetti, fondata la domanda risarcitoria formulata sia per i danni patrimoniali, da danno emergente e da lucro cessante, sia per quelli non patrimoniali, in ragione della sofferenza psico-fisica patita. Si sono costituiti in giudizio gli odierni convenuti eccependo il difetto di legittimazione attiva di parte attrice in forza della transazione intervenuta con il Ministero dell'Interno, con conseguente surroga nei diritti attorei. Sempre in via pregiudiziale gli eredi di (...) hanno eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva per difetto di accettazione dell'eredità. Hanno inoltre eccepito la prescrizione quinquennale delle pretese attoree e nel merito hanno contestato il quantum preteso. La causa è stata trattenuta in decisione in data odierna, a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.. La domanda è fondata nei limiti e per i motivi di seguito indicati. In via pregiudiziale è da ritenersi infondata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dai convenuti in forza della transazione intercorsa tra l'odierno attore e il Ministero dell'Intero, per quel che concerne la liquidazione dei danni subiti. Sul punto giova preliminarmente rammentare che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, "in tema di risarcimento del danno derivante da reato, la dichiarazione liberatoria rilasciata dalla parte civile all'esito della transazione intercorsa con il terzo garante coobligato, in solido, con l'autore del reato, non può ritenersi operante nei confronti dell'imputato in relazione alla parte di debito riferibile in via esclusiva a quest'ultimo e alle voci di danno non rientranti nella transazione, in quanto la deroga prevista dall'art. 1304 cod. civ. al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, si riferisce esclusivamente all'atto di transazione che abbia ad oggetto l'intero debito e non alla transazione parziale che, essendo volta a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può estendere i propri effetti agli altri condebitori che non hanno alcun titolo per profittarne" (C. Pen. 3335/2016; C. Civ. 7094/2022). Ciò premesso, passando all'analisi concreta della transazione in esame nel caso di lite e delle caratteristiche delle pattuizioni sottoscritte dalla parte attrice, è da ritenersi che la transazione in questione, contrariamente a quanto dedotto da parte convenuta, sia una transazione meramente parziale, in quanto non avente ad oggetto l'intero debito. Occorre preliminarmente rammentare che il procedimento ermeneutico da seguire nell'interpretazione di un contratto deve muovere, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, dal combinato disposto degli artt. 1362 co. 1 c.c. e 1363 c.c. che individuano, come criterio interpretativo primario, il tenore letterale delle pattuizioni contrattuali, per poi prevedere, quale criterio sussidiario, quello di cui all'art. 1362 c.c. comma 2, che invita ad identificare il significato dell'atto dal comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto. Ciò posto, dovendo analizzare, in via primaria ed assorbente, il tenore letterale delle clausole in questione, sia pure alla stregua di una lettura sistematica delle stesse, appare innanzitutto documentalmente provato che dal corredo documentale fornito tanto da parte attrice quanto da parte convenuta, comprensivo di transazione e di sentenza del TAR a cui la stessa si riferisce, l'intenzione delle parti nella stipulazione della stessa fosse quella di assicurare a parte contraente la corresponsione dell'importo concordato nella delibera della Commissione Centrale previa rinuncia ad ogni ulteriore giudizio specificamente concernente le statuizioni in esso contenute. Quanto testé dedotto trova espressa consacrazione, per quel che concerne la transazione, nell'espresso riferimento, in premessa, alla sentenza n. 604/2009 del Tar Lazio avente ad oggetto proprio la determinazione dell'importo statuito per il pagamento delle spese necessarie alla chiusura della procedura fallimentare in corso. La suddetta finalità è ulteriormente ribadita nella descrizione della situazione processuale pendente nei confronti dello stesso odierno attore, essendo stato dato riscontro, al punto 3, che "risultano pendenti 12 cause di opposizione al passivo per crediti da lavoro dipendente e che, fino a quanto queste non saranno definite, il fallimento deve rimanere aperto". Il suddetto elemento testuale, lungi dal costituire una mera formula di stile, trova ulteriore riscontro nelle obbligazioni espressamente assunte dallo stesso odierno attore che, all'art. 5, ha manifestato "la precisa ed inequivoca volontà di porre fine alla attuale situazione, volendo rinunciare all'appello avverso la sentenza del TAR e ogni ulteriore azione civile, amministrativa e penale, nei confronti della Commissione e del Servizio Centrale di Protezione, ed accettare integralmente la Delib. del 24 aprile 2008, che sarà integrata delle somme delle somme in relazione agli esiti dei nuovi accertamenti avanti la Commissione INPS per il danno biologico". La chiarezza del tenore letterale delle suddette pattuizioni, unitamente alla contenuto della parte motiva della Sentenza del TAR del Lazio, avente ad oggetto proprio la specifica voce concernente la messa a disposizione dell'importo in favore degli organi fallimentari, non può lasciare dubbi in ordine alla qualificazione giuridica del contratto in questione nell'ambito della transazione parziale, in alcun modo preclusiva delle ulteriori pretese risarcitorie che parte attrice è legittimata far valere nei confronti dei coobligati solidali ove afferenti a danni patrimoniali ulteriori a quelli specificamente afferenti i costi della procedura fallimentare e delle ulteriori procedure correlate pendenti e quelli da mancato guadagno in diretta conseguenza dell'intervenuto fallimento. Sempre in via pregiudiziale, è da ritenersi priva di pregio l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da (...), (...), (...) e (...), convenuti in giudizio quali eredi di (...). Si rileva infatti che, per quel che concerne la delazione dell'eredità, deve ritenersi assolto l'onere probatorio gravante su parte attrice essendo circostanza incontestata e documentalmente provata il rapporto di parentela con il "de cuius" che legittima la successione dei convenuti ai sensi degli artt. 565 e ss cod. civ.. Dall'altro lato, per quel che concerne l'accettazione dell'eredità, si rammenta che quest'ultima può manifestarsi in forma tacita, ai sensi dell'art. 476 c.c., allorquando vi sia esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, "id est" con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità. In ragione di ciò, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, l'accettazione può legittimamente reputarsi implicita anche allorquando gli stessi chiamanti "nel costituirsi in giudizio ... resistendo giudizialmente nei confronti del creditore del "de cuius" e contestando nel merito l'esistenza del diritto di credito risarcitorio ... compirono un atto che, nella consapevolezza della delazione dell'eredità, presupponeva necessariamente la loro volontà di accettare e che, d'altra parte, non avrebbero avuto il diritto di fare né tanto meno l'interesse se non nella qualità di erede" (C. 5070/2012). Sulla scorta di quanto testé dedotto è da ritenersi altresì del tutto infondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da (...) in forza della precedente rinuncia all'eredità asseritamente intervenuta prima dell'instaurazione del presente giudizio atteso che, sempre per come ampiamente motivato dalla Suprema Corte, "la rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 cod. civ. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria" (C. cit.). Ne consegue che deve ritenersi "non essere ostativa all'accettazione la precedente rinuncia all'eredità operata ... in quanto il chiamato all'eredità che vi abbia inizialmente rinunciato può ex art. 525 c.c. successivamente accettarla, in forza dell'originaria delazione" Tanto premesso nel caso di specie tutti i convenuti sopra citati, nel costituirsi prima della prescrizione del diritto all'accettazione dell'eredità, hanno sollevato il difetto di legittimazione attiva di parte attrice, la prescrizione del credito e l'infondatezza nel merito della pretesa risarcitoria, anche per quel che concerne il quantum debeatur, in tal modo realizzando il paradigma normativo dell'accettazione tacita dell'eredità di cui all'art. 476 c.c. in quanto incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria. Ne consegue che tutti i convenuti sopra citati, ivi compresa (...), devono ritenersi legittimati passivi nel presente giudizio quali eredi di (...). In via preliminare, non meritevole di accoglimento si appalesa l'eccezione di prescrizione dell'azione sollevata dagli odierni convenuti in forza della previsione normativa di cui all'art. 2947 c.c. Giova infatti rammentare che, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, "una volta passata in giudicato la sentenza penale di condanna generica dell'imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile a favore della persona offesa, costituitasi parte civile, la successiva azione volta alla determinazione del quantum debeatur, per il disposto dell'art. 2953 c.c., non è soggetta alla prescrizione breve di cui all'art. 2947 c.c., ma a quella decennale, decorrente dalla data in cui la sentenza penale è divenuta irrevocabile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l'accertamento dell'obbligo risarcitorio, strumentale rispetto alla successiva determinazione del quantrun" (ex multis Cass. civ. Sez. III Sent., 18/06/2019, n. 16289; Cass. civ. Sez. III Sent., 18/04/2012, n. 6070; Cass. civ. Sez. III Sent., 19/02/2009, n. 4054). Inoltre, per come più volte precisato dalla Suprema Corte, la conversione del termine di prescrizione previsto dall'art. 2953 c.c. è invocabile anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo nel quale è stata pronunciata la sentenza passata in giudicato (Cass. civ. Sez. III, 13-12-1993, n. 12253; Cass. civ. Sez. III, 02/08/1986, n. 4965). Nel caso di specie, i fatti illeciti prospettati da parte attrice attengono alle condotte delittuose accertate con sentenza del Tribunale di Crotone n. 146/2008, confermata in grado di appello con sentenza n. 151/2010 del 25.02.2010 e, infine, divenuta definitiva con sentenza della Corte di Cassazione n. 631/2011, depositata in data 8.03.2011 Ne consegue che non è fondata l'eccezione proposta. Per quel che concerne il merito della domanda formulata, si premette innanzitutto che non è in contestazione, nel presente giudizio, l'an a fondamento della pretesa risarcitoria avanzata, né per quel che concerne l'effettiva verificazione dell'evento lesivo né per quel che concerne il coinvolgimento delle parti in causa, atteso che le sentenze sopra richiamate hanno già accertato, con efficacia di giudicato, la responsabilità penale degli odierni resistenti in ordine alle condotte delittuose estorsive prospettate da parte attrice e la relativa fondatezza della domanda risarcitoria, da liquidarsi nel giudizio civile. Si rammenta, infatti, che, come riporta l'art. 651 c.p.p., "la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale". Secondo costante insegnamento, per "fatto" accertato dal giudice penale deve intendersi "il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale - e cioè l'apprezzamento e la valutazione di tali elementi - la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio." (Cass., n. 15392/2018). Ne consegue che, per quanto qui rileva, gli elementi di fatto, nella loro oggettività, in quanto accertati nella sentenza penale passata in giudicato in funzione dell'accertamento demandato in quella sede, non possono essere stravolti o diversamente ricostruiti dal giudice civile adito con l'azione risarcitoria, ferma restando la valutazione in ordine alla determinazione dell'entità del pregiudizio arrecato alla vittima. Ciò posto, deve pertanto ritenersi ferma la ricostruzione storica del fatto accertato nel giudizio penale all'esito del quale è stato conclusivamente accertato che gli odierni convenuti hanno compiuto plurimi atti estorsivi aggravati dalla matrice di stampo mafioso nei confronti di parte attrice, per come meglio indicati nelle sentenze richiamate, condizionando ed interferendo nell'attività di impresa di costruzioni di (...). Sotto il profilo del quantum, per quel che concerne il danno patrimoniale, si ritengono condivisibili le considerazioni tecnico-contabili del dott. (...), così come esplicitate nella sua relazione tecnica depositata nell'ambito del giudizio civile correlato ai medesimi fatti oggetto del presente giudizio. Si rammenta, infatti, che l'assenza di una norma di chiusura nel senso dell'indicazione del numerus clausus delle prove, l'oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l'affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del Giudice, inducono le ormai da anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza (tra le tante Cass. n. 5440/2010, Cass. n. 5965/2004, Cass. n. 4666/2003, Cass. n. 1954/2003, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 1223/1990), ad escludere che l'elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa, ed a ritenere quindi ammissibili le prove atipiche, con efficacia probatoria comunemente indicata come relativa a presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova (in giurisprudenza, cfr. Cass. n. 18131/2004, Cass. n. 12763/2000, Cass. n. 8/2000, Cass. n. 4821/1999, Cass. n. 11077/1998, Cass. n. 4667/1998, Cass. n. 1670/1998, Cass. n. 624/1998, Cass. n. 4925/1987, Cass. n. 4767/1984, Cass. n. 3322/1983). Sono così state ritenute prove atipiche le produzioni documentali già avvenute nel giudizio penale, come gli scritti provenienti da terzi a contenuto testimoniale, gli atti dell'istruttoria penale o amministrativa, i verbali di prove espletati in altri giudizi, le sentenze rese in altri giudizi civili o penali, nonché le perizie acquisite nel corso di altro processo. Tanto premesso, in conseguenza degli eventi accertati in sede penale, per quel che concerne il danno emergente, è da ritenersi provata, in forza della consulenza tecnica in atti, la riduzione del patrimonio causalmente riconducibile alle condotte estorsive giudizialmente accertate con sentenza del Tribunale di Crotone n. 146/2008 successivamente divenuta definitiva. In particolare, è da ritenersi provata l'elargizione della somma di denaro corrisposta per la "protezione" del cantiere per la costruzione di 56 appartamenti per conto dell'IACP di Catanzaro che ammonta, alla data di deposito della relazione peritale, in complessivi Euro 92.388,91. Parimenti è da ritenersi provata l'elargizione costante di ulteriori somme di denaro per tutta la durata dei lavori, accertata anche in questo caso in complessivi Euro 53.216,03 Ne consegue che l'importo risarcibile, a titolo di danno emergente, per gli eventi specificamente accertati nella sentenza n. 146/2008, risulta pari a Euro 145.604,94 Sempre per come riscontrato in sede di CTU, sopra richiamata, non sono dovuti gli ulteriori importi pretesi a titolo di danno emergente in merito alla cessione obbligata dei lavori di sbancamento e trasporto materiali a favore di (...), alla fornitura obbligata del calcestruzzo presso la ditta (...) e alla cessione obbligata di lavori di impiantistica a favore della Ditta (...) atteso che, rispetto a tali voci, "non vi è alcun elemento per quantificare in termini economici i danni subiti dall'attore in merito". Parimenti "non risulta presente documentazione alcuna per effettuare valutazione circa i danni conseguenti alle forniture obbligate di calcestruzzo per la realizzazione delle commesse per conto dell'IACP di Catanzaro". All'importo sopra preteso, si aggiungono, sempre a titolo di danno emergente, le ulteriori riduzioni al patrimonio aziendali conseguenti alle condotte illecite accertate con la relazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e non specificamente contestate nel presente giudizio. In particolare gli accertamenti penali effettuati, come da relazione in atti, hanno consentito di ritenere provati i plurimi danneggiamenti cagionati, tra gli altri, dagli stessi odierni convenuti, in qualità di partecipanti al sodalizio criminoso, quale conseguenza del netto rifiuto perpetrato dall'odierno attore, a partire dal 1990, alle condotte estorsive minacciate. In particolare, sempre per come ricostruito ad opera dell'ausiliario tecnico incaricato, devono ritenersi provate come causalmente riconducibili all'operato, tra gli altri, dei convenuti, le condotte meglio descritte nella relazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e consistite in: - Pagamento di tangenti - Furti al cantiere di Spatola - Incendio in garage - Furti e danneggiamenti al cantiere di (...) - Danni al cantiere presso il Comune di Mongiana - Furti e danni nel cantiere di Monte Fiorino di Satriano - Furti e danni al cantiere del centro sportivo di Serra San Bruno - Furti e danni al cantiere del centro polifunzionale di Serra San Bruno L'importo complessivo dei danni conseguenti alle condotte suddette è dunque pari a Euro 1.956.956,42. Dovendo individuare la sola quota di competenza di questo Tribunale e quindi ascrivibile all'operato dei convenuti, appare condivisibile, in ossequio a quanto previsto dall'art. 2056 c.c., il criterio di ripartizione adottato dal nominato CTU fondato sul numero di mesi di reclusione inflitti a ciascun imputato in tutte le sentenze definitive tra loro correlate (i.e. quelle del Tribunale di Vibo Valentia, Catanzaro e Crotone). Orbene, i mesi totali di reclusione specificamente afferenti il processo presso il Tribunale di Crotone è pari a mesi 398, corrispondenti al 47,27% dei mesi totali di reclusione inflitti ai partecipanti del sodalizio criminoso. Ne consegue che la quota di danno imputabile agli odierni convenuti per i fatti commessi nell'ambito del territorio di cognizione di questo Tribunale è da ritenersi pari a Euro 925.053,29, a cui dovrà aggiungersi, per come sopra dedotto, l'importo complessivo di Euro 145.604,94. All'importo sopra indicato, trattandosi di debito di valore, andranno calcolati altresì gli interessi compensativi, quale modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante (C. S.U. 1712/1995) che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, possono computarsi sulla somma progressivamente rivalutata, ovvero sulla somma già rivalutata ma da epoca intermedia, oppure sull'intero importo dalla data dell'insorgenza del debito ma ad un tasso inferiore a quello legale, ovvero non riconoscersi affatto se il giudice ritenga che la rivalutazione abbia interamente coperto il danno da ritardato conseguimento dell'equivalente monetario (ex multis C. 2564/2005; C. 4729/2001; C. 12788/1998). Nel caso di specie, coerentemente alla logica riparatoria che innerva il sistema della responsabilità civile finalizzata a porre il creditore nella stessa situazione nella quale si sarebbe trovato se il pagamento dell'equivalente monetario del bene perduto fosse stato tempestivo, deve pertanto ritenersi che anche gli interessi al tasso di legge debbano decorrere dalla data di deposito della relazione finale atteso che è da tale momento che deve ritenersi concretizzato, in termini monetari, il ritardo nell'erogazione della somma accertata come ripristinatoria dello status quo ante. Per quel che concerne il danno patrimoniale, sub specie da lucro cessante, la pretesa non è invece meritevole di accoglimento. Occorre innanzitutto evidenziare che, all'esito degli accertamenti penali espletati, è stato dimostrato che, per effetto delle condotte illecite perpetrate ai danni dell'odierno attore, lo stesso (...) è stato portato ad uno stato di insolvenza tale da ingenerare il fallimento della propria attività aziendale. Ciò emerge, innanzitutto, dalla stessa relazione della Procura della Repubblica, corredata dai dati tecnici attestanti il progressivo aggravarsi delle condizioni economiche conseguenti alle suddette condotte illecite degli odierni convenuti a cui si aggiunge, ad ulteriore dimostrazione del nesso di causalità tra il danno-conseguenza (i.e. il fallimento) e il danno-evento, la stessa deliberazione della Commissione Centrale ex art. 10 L. n. 82 del 1991 del 27 ottobre 2004 con cui il Ministero dell'Interno, riconosciuta la riconducibilità causale del fallimento alle condotte sopra denunciate, ha posto a disposizione degli organi fallimentari la somma di Euro 1.293.418,60 per la definizione e chiusura della procedura fallimentare a mezzo di concordato fallimentare. Di tale aspetto, oltretutto, è stato effettuato ulteriore accertamento giudiziale all'esito del giudizio amministrativo incardinato per l'impugnazione della suddetta Delibera, in occasione del quale, in conseguenza delle risultanze istruttorie in ambito penale, è stato conclusivamente riscontrato che "nessun dubbio sussiste circa il messo causale tra le estorsioni subite dal teste e la dichiarazione di fallimento della propria azienda nel 1996". Ciò posto, sotto il profilo del quantum, appare pertanto evidente che l'intera documentazione in atti ha riconosciuto come causalmente riconducibile al danno-evento lamentato la sola minore redditività dell'impresa strettamente correlata al periodo interessato al fallimento. Rispetto a tale pregiudizio, per come pacificamente riconosciuto dallo stesso odierno attore, il danneggiato è stato già integralmente ristorato tramite corresponsione complessiva di Euro 1.639.131,88, ad opera del Ministero dell'Interno, all'esito del riconoscimento del suddetto nesso di causalità e della conseguente minore redditività delle imprese gestite dall'odierno attore per il periodo di riferimento 1998-2007 Orbene, alla luce di tutto quanto testé dedotto, non appare in alcun modo meritevole di accoglimento l'ulteriore pretesa risarcitoria avanzata da parte attrice per la minore redditività asseritamente subita dalle aziende dallo stesso attore gestite per il periodo successivo a quello preso in riferimento dal Ministero. Si ribadisce, invero, che l'intera documentazione in atti ha consentito di ritenere provato il solo nesso di causalità tra le condotte estorsive e la minore redditività delle imprese che avrebbe cagionato il fallimento. Di contro, per quel che concerne la minore redditività delle imprese in questione per il periodo successivo a quello liquidato (il quale si estende già ad un arco complessivo più ampio rispetto a quello strettamente afferente il fallimento, essendo stato riconosciuto l'importo risarcitorio da mancato guadagno addirittura fino al 2007), non è stato fornito alcun elemento, né tantomeno lo stesso emerge dalla documentazione in atti, da cui poter desumere che anche per il periodo successivo al periodo liquidato la minore redditività delle imprese in questione sia continuata in conseguenza della permanenza degli effetti estorsivi delle condotte illecite accertate penalmente, pure per gli anni successivi al 2007 e comunque al periodo temporale di perpetrazione degli atti distorsivi. In caso contrario, ossia ove si ritenesse la minore redditività delle imprese in questione, ingenerato per tutto il periodo di vita delle stesse società, sempre correlato alle condotte estorsive accertate negli anni '90, si arriverebbe all'assurda conseguenza di ritenere il pregiudizio economico da mancato guadagno un danno in re ipsa sempre attuale e come tale esigibile, annualmente, a carico degli odierni convenuti. Sotto il profilo del danno non patrimoniale, appare suscettibile di ristoro il danno morale patito in conseguenza degli eventi suddetti. Occorre infatti preliminarmente rammentare che la sofferenza morale risarcibile, secondo l'insegnamento consolidato della Suprema Corte, può essere transeunte o permanente, fulminea o stabile e tuttavia non è la durata della sensazione dolorosa che ne determina la risarcibilità ma unicamente la causa, dovendo la sofferenza essere risarcita: a) quando l'illecito costituisce un reato; b) nei casi espressamente previsti dalla legge; c) quanto l'illecito ha leso diritti inviolabili della persona. Attesa la suddetta natura del pregiudizio in questione, la prova del medesimo, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, si risolve nella dimostrazione dell'esistenza di due condizioni e cioè di un fatto produttivo di conseguenze pregiudizievoli (nei termini indicati sopra sub lett. a, b e c) e della sua idoneità ad ingenerare una ripercussione "dolorosa" nella sfera personale del soggetto leso. Tale secondo presupposto, poi, può ritenersi provato anche sulla base di presunzioni semplici (tra le tante C. 23206/2015). Nel caso di specie, non può dubitarsi che il fatto di vedersi attinto da una pluralità di minacce unite ad un comportamento intimidatorio/estorsivo di stampo mafioso, per un periodo temporale prolungato (ossia per oltre 10 anni) sia suscettibile di determinare una ingiusta sofferenza di carattere duraturo. Tale sofferenza emotiva appare, nel caso di specie, ancor più comprovata, in via presuntiva, dalla oggettiva portata di tali eventi, essendo stati commessi, in aggiunta alle condotte estorsive, plurimi danneggiamenti e furti quali conseguenza del rifiuto opposto da parte attrice. Ed invero, da un lato, tale pregiudizio appare astrattamente desumibile dalla oggettiva portata offensiva delle condotte estorsive poste in essere (plurime e reiterate). Dall'altro lato, tale astratta idoneità a cagionare un pregiudizio morale trova riscontro concreto nelle stesse conseguenze cagionate in conseguenza di tutte le condotte illecite perpetrate, che hanno portato l'odierno attore al fallimento e all'allontanamento forzato dalla sua terra di origine. Tali elementi consentono, pertanto, di ritenere senz'altro il pregiudizio arrecato connotato del carattere di "gravità" e, conseguentemente, presuntivamente dimostrato il danno morale ulteriore risarcibile. La circostanza, poi, che l'attore abbia denunciato tali fatti sottraendosi al metodo mafioso non è di per sé suscettibile di escludere il ristoro del suddetto pregiudizio, coerentemente all'insegnamento della Suprema Corte, secondo cui il danno morale "non può essere ritenuto o meno esistente a seconda della maggiore o minore forza d'animo della vittima, poiché ciò equivarrebbe ad affermare che l'ordinamento tutela in misura diversa la persona a seconda del grado di resistenza che la stessa possiede in presenza di una minaccia, determinando un effetto paradossale in danno dei soggetti più coraggiosi" (C. 18327/2017). Vertendosi in una ipotesi di certezza dell'esistenza del danno eziologicamente riconducibile all'offensività del reato, ma di impossibilità di determinazione del suo preciso ammontare, si dovrà, necessariamente, ricorrere al criterio equitativo ex artt. 2056 e 1226 c.c.. Invero, posto che il danno morale soddisfa l'esigenza di assicurare al danneggiato una utilità economica sostitutiva, idonea a compensarlo (per quanto possibile) dell'ingiusto turbamento cagionato dall'illecito, la relativa liquidazione, pur essendo rimessa alla valutazione equitativa del giudice, deve essere compiuta rispettando l'esigenza di una razionale correlazione tra l'entità oggettiva del danno (quale emergente dalle allegazioni di parte e dalle risultanze processuali) e l'equivalente pecuniario; ne consegue che solo nella effettiva considerazione del danno concreto e al di fuori di ogni automatismo il giudice può legittimamente procedere alla sua liquidazione (arg. ex Cass. 28.08.2007 n.18178). In giurisprudenza sono stati individuati due parametri ai quali il giudice di merito deve attenersi nella valutazione discrezionale del danno. Da un lato, l'importo da liquidare a titolo di danno morale è direttamente proporzionale alla gravità del fatto, da determinarsi in concreto facendo riferimento all'elemento soggettivo del reato (intensità del dolo o gravità della colpa) e alle modalità concrete della condotta dell'agente. Nel caso di specie, per come sopra dedotto, la pluralità di condotte estorsive adoperate e il contesto spaziale in cui sono state rese, consentono di ritenere senz'altro il pregiudizio arrecato connotato del carattere di "gravità". Dall'altro lato, ulteriore parametro da prendere in considerazione è quello della intensità delle sofferenze subite dalla vittima dell'illecito e ciò sulla base del principio intuitivo secondo cui esiste una proporzionalità necessaria tra l'intensità del patema d'animo e la misura della liquidazione del danno morale. Sotto il profilo probatorio tale accertamento deve effettuarsi tenendo conto delle condizioni sociali del danneggiato in rapporto anche alla sua collocazione professionale e, più in generale, al suo inserimento nel contesto sociale: elementi, questi, che valgono a dare una più precisa dimensione quantitativa al discredito che il fatto lesivo è in grado di produrre e, in definitiva, al pregiudizio da risarcire (ex multis C. 1959/1995; C. 5944/1997; C. 9430/1987; C. 4947/1985; C. 2491/1993). Nel caso di specie, non può dubitarsi che l'odierno danneggiato, come da documentazione in atti, per la sua istruzione e per la sua condizione professionale, è più di altre portato a provarne turbamento. Tanto premesso, attingendo al criterio dell'equità calibrata (guardare alle liquidazioni di altri giudici in casi analoghi) e tenuto conto dei fattori sopra enunciati nonché della pluralità dei soggetti coinvolti (come anche evincibile dalle correlate pronunce di Vibo Valentia e Catanzaro), appare equo liquidare per il pregiudizio morale patito da (...) l'importo complessivo di Euro 150.000,00, già attualizzato. Ne consegue che, applicando il medesimo criterio di ripartizione previsto per il danno patrimoniale, la quota di danno imputabile agli odierni convenuti è da ritenersi pari a Euro 70.905,00, oltre interessi compensativi al tasso di legge sulla somma devalutata alla data di passaggio in giudicato degli accertamenti compiuti in sede penale e rivalutata di anno in anno sino al soddisfo. La liquidazione delle spese segue la soccombenza, tenuto conto, altresì, dell'aumento previsto dall'art. 4 co. 2 D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. il Tribunale di Crotone, sezione civile, definitivamente pronunciando, così provvede: Accertata la responsabilità solidale, ex art. 2055 c.c. di tutti i convenuti per i danni cagionati a (...), condanna i convenuti, in solido tra loro, al pagamento, a titolo risarcitorio, in favore di parte attrice della somma di Euro 1.070.658,23 , per i pregiudizi patrimoniali, oltre rivalutazione secondo indici ISTAT e interessi al tasso di legge dalla data di deposito della relazione finale fino all'attualità e di Euro 70.905,00, per quelli non patrimoniali, somma già attualizzata, oltre interessi al tasso di legge dalla data di accertamento in via definitiva degli illeciti penali fino all'attualità Condanna i convenuti, in solido tra loro, a rifondere a parte attrice le spese di lite che liquida in Euro 65.000,00, oltre rimborso forfettario al 15% delle spese generali, IVA e CPA come per legge, oltre esborsi Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Crotone il 6 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2022.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.