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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1409 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ug. An. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Vi. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Comune di Arezzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Pa., Lu. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Toscana, Provincia di Arezzo, non costituite in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: -della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 63 del 26.06.2019, pubblicata sul B.U.R.T. del 4.09.2019, di "adozione, ai sensi dell'art. 19 della l.r. 65/2014, della variante per l'aggiornamento del piano strutturale e adozione del piano operativo", nelle sole e in tutte le parti in cui nel Piano Strutturale è inserita la previsione della (omissis)-est, fra le quali: 1) a pag. 6 della medesima Delibera l'inciso "Ritenuto opportuno pertanto, eliminare dal piano operativo la previsione della (omissis)-est, mantenendola solo a livello strategico nel Piano Strutturale"; 2) l'Allegato D1, Relazione illustrativa della Strategia dello sviluppo sostenibile, a pag. 20 nella parte intitolata "completamento e ridefinizione della circonvallazione di Arezzo come elemento di ricucitura fra le diverse parti" fino al capoverso "coerentemente con il ruolo di ricucitura urbana che si vuole fare assumere all'attuale circonvallazione, anche la sua prosecuzione dalla SR 71 fino alla via (omissis) e la sua prosecuzione sul margine settentrionale delle aree (omissis) fino alla via (omissis), sono caratterizzate come strada urbana funzionale alla circuitazione del capoluogo ma anche al rafforzamento delle relazioni interno/esterno"; 3) ogni altra planimetria, documento, previsione del Piano Strutturale adottato che preveda la (omissis)- est; dell'art. 57, comma 4, delle N.T.A. del Piano Strutturale; nonché dell'art. 111, comma 4, delle Norme tecniche di attuazione del Piano Operativo; -della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 89 del 26.09.2019, con la quale è stato approvato il P.U.M.S. Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, nelle sole e in tutte le parti in cui si prevede la realizzazione della chiusura (omissis) a (omissis) e della (omissis), fra le quali a titolo esemplificativo e non esaustivo: 1) l'allegato facente parte del P.U.M.S. denominato "Documento n. 2: La relazione generale - Il progetto" alle pagine 173, 174, 17 5, 191, 192, 219, 220 221, 222, 234, 235, 236, 237 e 238; 2) ogni altra planimetria, documento, previsione del P.U.M.S. che preveda la realizzazione della chiusura (omissis) a (omissis) e della (omissis); di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 25/5/2022: della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 68 del 27.07.2020 con la quale sono state esaminate le osservazioni pervenute, sono state formulate le corrispondenti controdeduzioni e sono state assunte le determinazioni finali; della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 134 del 30.09.2021, con la quale sono stati approvati la variante per l'aggiornamento del piano strutturale e il primo piano operativo, pubblicata sul B.U.R.T. del 16.03.2022; della delibera della Giunta Comunale n. 10 del 25.01.2022, "Valutazioni in merito alla richiesta di modifica di alcuni elaborati del nuovo piano strutturale e del primo piano operativo, pervenuta dalla conferenza paesaggistica convocata ai sensi dell'articolo 31 della legge regionale n. 65/2014", nelle sole parti in cui tali atti stabiliscono di prevedere nel Piano Strutturale la realizzazione della (omissis)-est, fra le quali: 1) l'Allegato D1, Relazione illustrativa della Strategia dello sviluppo sostenibile, del Piano Strutturale, a pag. 20 nella parte intitolata "completamento e ridefinizione della circonvallazione di Arezzo come elemento di ricucitura fra le diverse parti", il capoverso "coerentemente con il ruolo di ricucitura urbana che si vuole fare assumere all'attuale circonvallazione, anche la sua prosecuzione dalla SR 71 fino alla via (omissis) e la sua prosecuzione sul margine settentrionale delle aree (omissis) fino alla via (omissis), sono caratterizzate come strada urbana funzionale alla circuitazione del capoluogo ma anche al rafforzamento delle relazioni interno/esterno"; 2) gli articoli 44 e 57, comma 4, delle N.T.A. del Piano Strutturale; 3) ogni altra planimetria, documento, previsione del Piano Strutturale approvato che preveda detta (omissis) - est, ivi compresa la tav. D2 "Strategia dello sviluppo - Schemi descrittivi"; di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 3/10/2022: - della decisione assunta dalla Conferenza paritetica interistituzionale ex art. 49 L.R. n. 65/2014, nella seduta del 22.06.2022, con la quale è stato stabilito che "in merito al PS, (omissis), sussistenza dei profili di incompatibilità e contrasto con il PIT con valenza di Piano paesaggistico regionale e contestuale proposta di superamento delle relative criticità con la specificazione che a livello grafico venga mantenuto il tratteggio a condizione che negli elaborati testuali venga specificato che tale rappresentazione non individua un tracciato, ma assume esclusivamente valenza di indicazione strategica. In tal senso dovranno essere appositamente modificati gli elaborati del PS". - della Delibera della Giunta Regionale Toscana n. 770 del 4.07.2022, con la quale è stato deciso "di prendere atto degli esiti della Conferenza paritetica interistituzionale, contenenti l'accertamento della sussistenza dei profili di contrasto con il PIT-PPR, con i contenuti della L.R. n. 65/2014 e del Regolamento 32/R/2017 del Piano Strutturale e del Piano Operativo del Comune di Arezzo, approvati con deliberazione consiliare n. 134 del 30 settembre 2021, e le contestuali proposte di adeguamento finalizzate al superamento degli stessi, come indicati dai verbali sopra richiamati che formano parte integrante e sostanziale del presente atto a tutti gli effetti"; - della Delibera del Consiglio Comunale di Arezzo n. 105 del 28.07.2022, con la quale è stato stabilito di adeguare gli strumenti urbanistici comunali alle decisioni della Conferenza paritetica del 22.06.2022, in tutte le parti nelle quali prevede il collegamento viario a nord della città quale previsione di natura strategica, ivi compresi la "D1 Relazione illustrativa Disciplina Strutturale" della "SEZIONE D STRATEGIA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE", l'"ELABORATO GRAFICO D2 schemi descrittivi Legenda", la "D3 Relazione di coerenza e conformità ", la "Relazione finale sul procedimento di formazione del nuovo Piano Strutturale e del primo Piano Operativo", come modificate nell'allegato alla medesima delibera; - della verbale della Conferenza paritetica interistituzionale ex art. 49 L.R. n. 65/2014, nella seduta del 19.09.2022, con la quale si "ritiene superati i contrasti e le incompatibilità con il PIT/PPR e valuta positivamente l'adeguamento". - di ogni altro atto, elaborato, documento, previsione, che sia presupposto e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Arezzo; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti assumono di essere proprietari di case di abitazione situate in prossimità della nuova viabilità a nord della città di Arezzo, o "bretella", la cui realizzazione era originariamente prevista dalla variante per l'aggiornamento del Piano strutturale e dal nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo; i ricorrenti Pa. Do. ed altri prospettano altresì di essere proprietari di terreni ubicati all'interno del tracciato della nuova viabilità prevista come (omissis) est o (omissis). Pur in presenza di un parere decisamente negativo espresso dalla Conferenza di copianificazione prevista dall'art. 25 della l.r. 10 novembre 2014 n. 65 tenutasi il 14 giugno 2019 (che peraltro aveva proposto un diverso tracciato più prossimo al tessuto urbanizzato), la variante per l'aggiornamento del Piano strutturale ed il nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo adottati con deliberazione 26 giugno 2019, n. 63 del Consiglio comunale di Arezzo avevano poi ritenuto opportuno eliminare dal piano operativo la previsione della (omissis)-est, "mantenendola solo a livello strategico nel Piano Strutturale"; la previsione di una bretella di collegamento stradale a nord della città era peraltro mantenuta dal nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (cd. P.U.M.S.) approvato dal Consiglio comunale di Arezzo, con la deliberazione 26 settembre 2019, n. 89. Gli atti meglio specificati in epigrafe erano impugnati dai ricorrenti che articolavano censure di: 1) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 25 l.r. 10.11.2014 n. 65, eccesso di potere per falsa rappresentazione della realtà, difetto e contraddittorietà di motivazione; 2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 l.r. 10.11.2014 n. 65, eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione; 3) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 l.r. 10.11.2014 n. 65, dell'art. 136 d.lgs. n. 42/2004, del Piano paesaggistico regionale approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 37 del 27.05.2015 e del d.m. 25.05.1962 di tutela dell'Acquedotto Vasariano e delle zone limitrofe; 4)) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 L.R. 10.11.2014 n. 65, della scheda d'ambito n. 15 "Piana di Arezzo e Val di Chiana" del Piano paesaggistico regionale approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 37 del 27.05.2015; 5) violazione e/o falsa applicazione delle previsioni e delle N.T.A. del Piano Strutturale, contraddittorietà fra atti amministrativi e difetto di motivazione; 6) illegittimità del P.U.M.S., Piano urbano della mobilità sostenibile per falsa rappresentazione della realtà, contraddittorietà e difetto di motivazione. 1.1. In data 31 ottobre 2019, i ricorrenti presentavano pertanto un'osservazione, che prendeva il numero 388 e chiedeva sostanzialmente l'eliminazione della previsione della bretella stradale anche a livello di Piano strutturale. Con deliberazione 27 luglio 2020, n. 68, il Consiglio comunale di Arezzo decideva le osservazioni presentate allo strumento urbanistico, parzialmente accogliendo l'osservazione dei ricorrenti, sulla base della seguente motivazione: "parzialmente accoglibile in quanto si ribadisce il carattere strategico della (omissis)-est e pertanto si conferma la previsione negli elaborati del PS. Si accoglie invece la richiesta relativa all'eliminazione dei riferimenti contenuti nel PO, in quanto trattasi di errore materiale". La variante per l'aggiornamento del Piano strutturale ed il nuovo Piano operativo del Comune di Arezzo definitivamente approvati con la deliberazione 30 settembre 2021, n. 134, del Consiglio comunale confermavano quindi nel solo Piano Strutturale la previsione della (omissis) Est, anche se esclusivamente a livello "strategico". Le deliberazioni sopra richiamate e gli atti successivi del procedimento pianificatorio erano impugnati dai ricorrenti, con la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022, che risulta affidata a censure sostanzialmente analoghe a quelle poste a base del ricorso, attualizzate alla luce degli atti sopravvenuti. 1.2. In data 22 giugno 2022, si teneva la conferenza paritetica interistituzionale di cui all'art. 49 della l.r. 10 novembre 2014 n. 65 che evidenziava una "proposta di superamento delle...criticità " relative alla (omissis)-est consistente nel mantenimento "a livello grafico.... (del) tratteggio a condizione che negli elaborati testuali venga specificato che tale rappresentazione non individua un tracciato, ma assume esclusivamente valenza di indicazione strategica. In tal senso dovranno essere appositamente modificati gli elaborati del PS"; la soluzione era quindi recepita dalla deliberazione 4 luglio 2022 n. 70 della Giunta Regionale e dalla deliberazione 28 luglio 2022 n. 105 del Consiglio comunale di Arezzo (che recepiva, negli elaborati al Piano Strutturale, la soluzione individuata dalla conferenza paritetica interistituzionale). Anche tali atti erano impugnati dai ricorrenti, con la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022, che riproponeva sostanzialmente le censure già poste a base del ricorso e della prima serie di motivi aggiunti, ribadendo soprattutto il contrasto del tracciato viario con la tutela di primari beni di interesse culturale (come l'acquedotto vasariano) e paesaggistico. Si costituiva in giudizio l'Amministrazione comunale di Arezzo, controdeducendo sul merito del ricorso ed articolando eccezioni preliminari di improcedibilità sopravvenuta dell'intera impugnazione, a seguito dell'intervento degli atti impugnati con la seconda serie di motivi aggiunti e di inammissibilità per difetto di interesse della seconda serie di motivi aggiunti. Alla pubblica udienza del 23 maggio 2024, il ricorso era quindi trattenuto in decisione. 2. In accoglimento dell'eccezione preliminare proposta dalla difesa dell'Amministrazione comunale di Arezzo, il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto di interesse, mentre la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse all'impugnazione in capo ai ricorrenti. La narrativa già fornita nella parte in fatto della sentenza ha già evidenziato come l'intera problematica risulti essere stata integralmente modificata dalla soluzione "di compromesso" emersa nella conferenza paritetica interistituzionale tenutasi il 22 giugno 2022 e recepita, sia dall'Amministrazione regionale (con la delib. 4 luglio 2022 n. 70 della Giunta Regionale), che dall'Amministrazione comunale di Arezzo (con la delib. 28 luglio 2022 n. 105 del Consiglio comunale); per effetto di tale soluzione, il tracciato dell'assai contestata "(omissis)" si è ormai definitivamente (e sicuramente) ridotto ad un puro tratteggio negli elaborati al Piano strutturale che però, in realtà, non individua un vero e proprio tracciato di un'opera pubblica da realizzarsi, assumendo "esclusivamente valenza di indicazione strategica". Del resto, tale conclusione risulta assolutamente chiara alla luce dell'"Elaborato di adeguamento alla conferenza paritetica" depositato in giudizio dall'Amministrazione resistente (doc. n. 16 del relativo deposito) che, da un lato, ha superato una serie di ambiguità sul presunto assenso della conferenza di pianificazione all'opera (oggi superato dall'espressa precisazione che "la conferenza di copianificazione con verbale in data 14/6/2019 ha ritenuto la proposta n. 2 "(omissis)/Est" non conforme alla specifica disciplina del PIT/PPR") e, dall'altro, definitivamente chiarito come il tracciato dell'opera mantenuto unicamente negli elaborati grafici al Piano strutturale assuma esclusiva "valenza di indicazione strategica". Al proposito, si può certo discutere sul valore "strategico" del mantenimento del tracciato di un'opera pubblica non realizzabile ed in contrasto con gli obiettivi di tutela del P.I.T. e sull'indubbia torsione che deriva dall'introduzione, in uno strumento urbanistico, di contenuti che non attengono per nulla alla disciplina del territorio, ma vengono solo a sancire generiche "aspirazioni" alla realizzazione di opere pubbliche in contrasto con i valori di tutela; quel che è certo è però che i ricorrenti non hanno più interesse a contestare un tracciato che, in realtà, viene solo ad indicare le scelte "strategiche" future dell'Amministrazione (ovviamente da verificare, nella loro difficile realizzabilità, in sede futura ed in un quadro di conformità al P.I.T. ed agli strumenti di tutela dei valori culturali e paesaggistici) e non un possibile e reale tracciato di un'opera pubblica suscettibile di incidere sui valori proprietari e ambientali che hanno portato alla proposizione dell'impugnazione (peraltro, non contestati dall'Amministrazione resistente in alcun modo). Non sussiste pertanto altra alternativa alla declaratoria dell'improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse del ricorso e della prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 e dell'inammissibilità per originario difetto di interesse della seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022, che investiva, in realtà, atti che, per effetto della definitiva riduzione a pura indicazione strategica del tracciato dell'opera, eliminavano definitivamente ogni profilo lesivo per i ricorrenti della complessiva operazione, piuttosto che pregiudicarne gli interessi. Con riferimento agli atti impugnati con il ricorso, risulta solo necessaria una precisazione con riferimento al nuovo Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (cd. P.U.M.S.) approvato dal Consiglio comunale di Arezzo con la deliberazione 26 settembre 2019, n. 89 ed impugnato dai ricorrenti (che continua a prevedere la previsione di una bretella di collegamento stradale a nord della città e le necessarie modifiche alla circolazione stradale; si veda, al proposito, il doc. n. 4 del deposito dell'Amministrazione resistente). Anche a questo proposito, non può che stigmatizzarsi il comportamento dell'Amministrazione comunale di Arezzo che continua a mantenere, in uno strumento programmatorio di primaria importanza, un tracciato stradale che attualmente non è né realizzato, né realizzabile; risulta però del pari evidente come i ricorrenti non abbiano più alcun interesse a contestare previsioni di disciplina della circolazione finalizzate a raccordare alla rete di circolazione una nuova sede stradale che rimane a livello strategico e non risulta essere attualmente assistita dai presupposti programmatori necessari per la sua realizzazione. 3. In definitiva, il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022 devono essere dichiarati improcedibili per sopravvenuto di interesse, mentre la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022 deve essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse all'impugnazione in capo ai ricorrenti. In applicazione del criterio della soccombenza virtuale (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 7 marzo 2024, n. 1527; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 18 novembre 2022, n. 15341) e del riconoscimento della sostanziale fondatezza delle contestazioni dei ricorrenti implicito nella "rilettura" della problematica operata con la conferenza paritetica interistituzionale e gli atti successivi, le spese di giudizio dei ricorrenti devono essere poste a carico dell'Amministrazione comunale di Arezzo e liquidate, come da dispositivo. Sussistono ragioni per procedere alla compensazione delle spese di giudizio nei confronti delle altre Amministrazioni evocate in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e sulle due serie di motivi aggiunti depositate in data 25 maggio e 3 ottobre 2022: a) dichiara improcedibili per sopravvenuto di interesse il ricorso e la prima serie di motivi aggiunti depositata in data 25 maggio 2022; b) dichiarata inammissibile per difetto di interesse la seconda serie di motivi aggiunti depositata in data 3 ottobre 2022. Condanna il Comune di Arezzo alla corresponsione ai ricorrenti della somma di Euro 4.000,00 (quattromila//00), oltre ad IVA e CAP, a titolo di spese del giudizio. Compensa le spese di giudizio nei confronti delle altre Amministrazioni evocate in giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere, Estensore Flavia Risso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1126 del 2023, proposto da Vi. Br. e Gr. Ro., rappresentati e difesi dagli avvocati Or. Cu. e Mo. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'Avvocato Or. Cu. in Firenze, (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in (...), largo (...); per l'annullamento del Decreto motivato di occupazione di urgenza del Comune di (omissis), Area Tecnica, a firma del Responsabile pro-tempore, Dr. Fa. Al., numero 1 del 25 gennaio 2023, notificato in data 3 febbraio 2023 (AG 78772644938-2 e AG 78772644931-4, emesso ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 22-bis del DPR numero 327 del 2001; nonché di tutti gli atti presupposti, connessi, conseguenti, ancorché incogniti, comprese le Delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del Verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Giovanni Ricchiuto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO I Sig. Vi. Br. e Gr. Ro. hanno impugnato con ricorso straordinario al Presidente della repubblica il decreto di occupazione di urgenza n. 1 del 25 gennaio 2023, emesso del Comune di (omissis), ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 22 bis del DPR n. 327/2001, nonché le precedenti delibere di approvazione del progetto della Giunta del Comune di (omissis) n. 123 del 17 novembre 2022 e n. 124 del 29 novembre 2022 e il silenzio sulla richiesta di annullamento in autotutela, con conseguente inefficacia del verbale di immissione in possesso del 9 febbraio 2023. Nel ricorso si è avuto modo di evidenziare che il terreno di cui sono proprietari gli attuali ricorrenti è ubicato nel Comune di (omissis), di cui al Foglio (omissis) del N.C.T., particella n. (omissis), ed è stato oggetto di una prima approvazione del progetto definitivo di cui alla delibera della Giunta Comunale n. 76 del 30 giugno 2022 e della deliberazione di avvio del procedimento, n. 100 del 27 settembre 2022, relativa alla realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio. Il relativo progetto è stato poi sostituito da un ulteriore progetto prima definitivo e poi esecutivo, contenuto rispettivamente nella delibera n. 123 e 124 del 17 novembre e del 29 novembre 2022, entrambe dirette a consentire la realizzazione di un'area dedicata a sport equestri dove ricavare una pista per corse di cavalli e maneggio, da utilizzare anche per la corsa del Palio delle Contrade. Detti provvedimenti prevedevano l'esproprio di una superficie 1310 mq e, quindi, di una parte del terreno così come previsto dal piano particellare, con la proposta di un'indennità provvisoria di 1310 euro, senza tuttavia specificare i parametri di riferimento. Il successivo decreto del 25 gennaio 2023, n. 1 ha così disposto l'occupazione anticipata di tutta la particella (omissis) per complessivi 2486 mq (senza che questo fosse previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla Delibera n. 123 del 17 novembre 2022) e un'indennità in via provvisoria per l'intera particella calcolata peraltro sempre per l'importo di Euro 1310,00. In particolare nell'impugnare i provvedimenti sopra citati si sostiene l'esistenza dei seguenti vizi: 1. la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli articoli 20, 21 e 22-bis DPR 327 del 2001, degli artt. 41 e 42 Cost. e l'emergere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto il decreto non comprende l'indicazione delle ragioni di urgenza essendo presente solo un generico rinvio alla necessità di rispettare i tempi del previsto finanziamento; 2. la violazione degli artt. 1, 3, 7 e 8 della L. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 16 e 17 DPR 327 del 2001 e la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., oltre vari profili di eccesso di potere, in quanto la delibera n. 123 del 17 novembre 2022 sarebbe stata approvata senza alcuna comunicazione di avvio del procedimento; una volta che è stato riapprovato il progetto definitivo con la delibera 123 del 17 novembre 2022, l'Amministrazione avrebbe dovuto comunicare il relativo avvio del procedimento ai ricorrenti; 3. la violazione degli artt. 1 e 3 L. 7 agosto 1990, n. 241 e l'eccesso di potere, in quanto il decreto n. 1 del 25 gennaio 2023, risulta divergere da quanto previsto dalla precedente delibera 123 del 17 novembre 2023 che non avrebbe legittimato un'occupazione sine titulo sull'intera particella; 4. l'eccesso di potere per irragionevolezza, contraddittorietà, la violazione del principio di proporzionalità e necessarietà e del principio del legittimo affidamento. Il Comune di (omissis) si è opposto al ricorso straordinario promosso dai ricorrenti che è stato poi trasposto presso questo Tribunale. Lo stesso Comune, nel costituirsi, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto trasposto tardivamente e in violazione dei termini previsti dal combinato disposto di cui agli art. 11 e 119 del cpa. L'inammissibilità del ricorso sussisterebbe anche in considerazione di un altro profilo, in quanto sussisterebbe l'inammissibilità del ricorso per non essere stata impugnata tempestivamente la deliberazione di Giunta Comunale n. 123 del 17 novembre 2022, con la quale è stata dichiarata la pubblica utilità dell'opera. Nel merito si sono contestate le argomentazioni dedotte chiedendo il rigetto del ricorso. In particolare il Comune ha evidenziato che sussisterebbero le ragioni di urgenza alla base dell'adozione del provvedimento di occupazione in quanto nel mese di giugno 2023 sarebbero iniziate le attività prodromiche al Palio delle Contrade, la cui gara ufficiale è fissata per il 18 agosto 2023 e, ancora, in ragione della necessità di non perdere il finanziamento, per una quota pari ad euro 360.000,00 con contributo di Regione Toscana, nella parte in cui si richiede che i lavori devono essere terminati entro il 30/11/2023. Nel corso del giudizio tutte le parti hanno presentato memorie, anche in replica alle eccezioni dedotte. In particolare la ricorrente ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 48 c.p.a. nella parte in cui prevede il termine di sessanta giorni per la trasposizione, perché laddove fosse interpretato come termine dimezzato sia per la notifica del ricorso che del relativo deposito si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Detta interpretazione avrebbe l'effetto di costituire un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 che legittima i controinteressati e le Amministrazioni a proporre opposizione per la trasposizione in sede giurisdizionale. In questi termini, e all'udienza del 16 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è irricevibile per tardività della trasposizione del ricorso straordinario in questa sede giurisdizionale, in violazione dei termini previsti dal combinato disposto degli art. 11 e 119 del cpa. 1.1 E' dirimente constatare che il presente giudizio rientra tra le controversie soggette alla dimidazione dei termini processuali di cui all'art. 119 c.p.a., nella parte in cui detta disposizione prevede che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano nei giudizi aventi ad oggetto le controversie relative a... f) i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale". In tali procedimenti (in questo senso è il comma 2) "tutti i termini processuali ordinari sono dimezzati salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, nonché quelli di cui all'articolo 62, comma 1, e quelli espressamente disciplinati nel presente articolo". 1.2 Ai fini di dimostrare la tardività della riassunzione è necessario premettere che il ricorso straordinario è stato notificato il 5 giugno 2023. L'Amministrazione si è opposta al ricorso straordinario con atto del 29 giugno 2023, notificato il 24 luglio 2023, mentre i ricorrenti hanno notificato e depositato il ricorso in riassunzione solo il 23 ottobre 2023, e, quindi, sessanta giorni dopo l'atto di opposizione, al netto della sospensione feriale. Tuttavia, stante la dimidiazione del termine per operare la trasposizione, la successiva notifica del presente ricorso sarebbe dovuta avvenire entro il 23 settembre 2024. 1.3 L'applicabilità del termine dimidiato di trenta giorni per effettuare la trasposizione in sede giurisdizionale di un ricorso al Presidente della Repubblica è stata sancita da un costante orientamento giurisprudenziale, nella parte in cui ha evidenziato che "ragioni di ordine logico, oltre che di sistematicità, impongono di ritenere applicabile la dimidiazione del termine anche nel caso della trasposizione... Alla stessa soluzione si addiviene anche in forza della lettura della norma alla luce della sua ratio, che è quella di garantire il diritto alla difesa, assicurando il mantenimento dell'ordinario termine decadenziale per esercitare l'accesso alla giustizia, nonostante il dimezzamento di tutti gli altri termini endogiudiziali, tra cui quello per la trasposizione. Essa, infatti, non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, se non mediante la mera riassunzione, che non richiede alcun particolare adempimento giustificante l'equiparazione alla proposizione del ricorso e, dunque, il più lungo termine di sessanta giorni" (T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sent. n. 371 del 18 maggio 2020; T.A.R. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, sent. n. 204 del 6 marzo 2023). 1.4 In altre pronunce è stato statuito che "...il termine per la trasposizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato costituisce termine processuale, soggetto come tale a dimezzamento degli ordinari sessanta giorni, previsti dall'art. 10 d.p.r. 1199, a trenta (Cons. Stato, Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771; T.A.R. Lazio, sez. I, sent. n. 7674 del 10 giugno 2022). Ancora più chiaramente si è sancito che per le materie soggette all'art. 119 c.p.a., il deposito dell'atto di costituzione, di cui all'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, avanti al Tribunale deve eseguirsi nel termine dimidiato di 30 giorni (Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5771). 1.5 L'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 si limita a sancire l'obbligo di riproporre il ricorso davanti alla sede giudiziaria così come individuata, senza che lo stesso ricorso possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni, obbligando inoltre la stessa parte che intende riassumere il giudizio a notificare, alle altre parti e a pena di inammissibilità, il successivo avviso di voler insistere nel ricorso. 1.7 Ne consegue che l'atto di trasposizione in nessun modo può essere equiparato alla proposizione del ricorso già introdotto, così come nemmeno l'avviso di voler insistere nel ricorso può essere assimilato alla notificazione del ricorso introduttivo in primo grado (Cons. Stato, sez. VII, sent. n. 1443 del 9 febbraio 2023). 1.8 Si consideri, ancora, che secondo precedenti pronunce, quale che sia la sequenza degli adempimenti formali compiuti per la trasposizione del ricorso straordinario, deve essere osservato per entrambi gli adempimenti (deposito e notifica) il termine perentorio di trenta giorni, laddove risulti operante (come nel caso di specie) l'istituto della dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2), termine quest'ultimo che decorre dal perfezionamento, per l'originario ricorrente, della notificazione dell'atto di opposizione (Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 6124 del 26 ottobre 2018 Tar Lazio, Roma, Sez. Terza, 31 maggio 2023, n. 9253). 1.9 L'esistenza delle pronunce sopracitate, oltre il carattere inequivoco dell'art. 119 cpa, consente di ritenere insussistenti i presupposti dell'istituto dell'errore scusabile di cui all'art. 37 cpa, sussistendo la violazione dei termini per operare la trasposizione del ricorso presentato in sede amministrativa. 2. Le argomentazioni sopra citate e dirette a confermare il fondamento dell'eccezione di tardività del ricorso, sono sufficienti anche per ritenere insussistenti anche i profili di illegittimità costituzionale dell'art. 48 cpa. Il ricorrente sostiene che l'art. 48 c.p.a. sarebbe incostituzionale, laddove detta disposizione fosse interpretata applicando anche alla trasposizione e nelle materie di cui all'art. 119 il termine dimezzato, sia per la notifica che per il deposito del ricorso che si intende riassumere. Detta disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, legittimando un'implicita abrogazione dell'art. 10 del DPR 1199 del 1971 nella parte in cui consente ai controinteressati e alle Amministrazioni di proporre opposizione e di consentire la trasposizione in sede giurisdizionale entro il termine di sessanta giorni. A parere del ricorrente, poiché l'abbreviazione dei termini disposta dall'art. 119 c.p.a. non riguarda il termine per la proposizione del ricorso (salvo le disposizioni specifiche dettate dall'art. 120, comma 2 e 5 per le materie di cui all'art. 119, lett. a)), è da ritenere che non si applichi nemmeno all'atto di trasposizione, in quanto esso includerebbe una domanda del soggetto interessato che sarebbe assimilabile al ricorso introduttivo. 2.1 Dette argomentazioni non sono condivisibili, non sussistendo i presupposti di sospetta incostituzionalità . 2.2 Le pronunce sopra citate hanno evidenziato come sussista una sostanziale differenza (per le caratteristiche proprie degli stessi atti) tra l'atto di proposizione del ricorso e la riassunzione a seguito dell'opposizione per la trasposizione in sede giudiziale. 2.3 La trasposizione di un ricorso in origine presentato innanzi al Presidente della Repubblica non integra una nuova esplicazione del diritto alla difesa, ma solo il compimento di alcuni adempimenti processuali, circostanza quest'ultima che è di ostacolo a consentire un'equiparazione con l'atto di proposizione del ricorso e, dunque, anche il termine proprio di quest'ultimo e pari a sessanta giorni. 2.4 Come si è avuto modo di anticipare è, infatti, con l'opposizione che si apre la fase del giudizio in sede giurisdizionale, circostanza quest'ultima che trova conferma proprio nel tenore dell'art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che, con l'atto di trasposizione, ci si limita a riproporre il ricorso in origine presentato in sede amministrativa, senza che quest'ultimo possa essere integrato o modificato nei motivi e nelle conclusioni. 2.5 Si consideri, inoltre, che il ricorso straordinario è "alternativo" rispetto al ricorso giurisdizionale, secondo quanto previsto dall'art. 8 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e che, ancora, il ricorso straordinario diviene improcedibile qualora quest'ultimo sia stato erroneamente trasposto in sede giurisdizionale (in questo senso è l'art. 10 del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199). 2.6 A conferma di dette considerazioni è possibile far riferimento anche alle conclusioni alle quali è pervenuta di recente l'Adunanza Plenaria n. 11/2024 che, pronunciandosi in merito alla natura del ricorso straordinario, lo ha qualificato come un rimedio "giustiziale alternativo a quello giurisdizionale, di cui condivide solo alcuni tratti strutturali e funzionali". 2.7 Ai fini di operare detta qualificazione l'Adunanza Plenaria ha considerato dirimente l'applicazione del principio di alternatività di cui all'art. 8 sopra citato, in quanto la scelta di optare per la trasposizione impedisce il proseguimento dell'esame della controversia innanzi al Presidente della Repubblica e, ciò, con l'effetto che "la decisione resa su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sebbene il giudizio fosse stato ritualmente trasposto in sede giurisdizionale, è nulla ai sensi dell'art. 21-septies del c.p.a., in quanto emanata in difetto assoluto di attribuzione". 2.8 Affermare di fatto l'esistenza di un'unica controversia che, iniziata presso una sede "giustiziale" prosegue (dopo l'opposizione) presso un organo giurisdizionale, ha l'effetto di confermare che l'atto di riassunzione non è suscettibile di essere equiparato all'originaria proposizione del ricorso già introdotto. Ne consegue che la trasposizione si sostanzia nel compimento di una serie di atti (deposito del ricorso e avviso) che hanno la sola finalità di consentire la prosecuzione di un giudizio di fatto già instaurato. 2.9 Ulteriore conseguenza è quella che deve ritenersi ammissibile (senza che risultino esistenti i dedotti profili di sospetta incostituzionalità ) anche la previsione di termini differenti e, quindi, sia per quanto riguarda l'iniziale proponimento di un ricorso sia, ancora, con riferimento all'atto di riassunzione in una sede giurisdizionale e, ciò, nelle materie di cui all'art. 119 c.pa. che risultano disciplinate da un rito che prevede la compressione e la riduzione di tutti i termini processuali. 3. Si consideri, da ultimo, che gli art. 48 e 119 cpa, nella parte in cui prevedono la dimidiazione dei termini in particolari materie come quella in esame e in quanto disposizioni contenute nel codice del processo del 2010, sono disposizioni successive che possono ben incidere su una disciplina speciale e ad esso antecedente, come è appunto il d.P.R. n. 1199 del 1971. 3.1 In conclusione il ricorso va dichiarato irricevibile ai sensi dell'art. 35 comma 1 lett. a), mentre la novità della fattispecie esaminata consente la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile nei termini così precisati in parte motiva. Compensa le spese tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente Giovanni Ricchiuto - Consigliere, Estensore Nicola Fenicia - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 619 del 2024, proposto in relazione alla procedura CIG A02D3BD03E da Be. Ge. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Da. D'A., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Unione dei Comuni (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Si. - Mi. Società Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Pu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determinazione n. 144 del 13.03.2024, della "UOC Gare e Contratti Centrale di Committenza dell'Unione dei Comuni (omissis)", di approvazione dei verbali della commissione di gara, elenco ammessi ed esclusi e proposta di aggiudicazione a favore di "Si. - Mi. Società Cooperativa Sociale", con sede in (omissis), relativamente alla "Procedura di affidamento mediante bando ai sensi dell'art. 182 del D.Lgs. 36/2023 della concessione della gestione dei servizi cimiteriali e del servizio di illuminazione lampade votive" (CIG A02D3BD03E), comunicata, a mezzo pec, il 13.03.2024; - della nota prot. n. 9332/2024 del 13.03.24 della UOC, a firma della Responsabile, dott.ssa Ca. Co., di comunicazione, ex art 90 del D.lgs n. 36/2023, di esclusione; e della pec di trasmissione di pari data; - della determinazione n. 261 del 22.03.24 del Comune di (omissis) - Servizio LL.PP. e Tecnici - di approvazione della proposta di aggiudicazione disposta con Determinazione n 144 del 13/03/2024, dalla Responsabile della Centrale di committenza/CUC - e della relativa comunicazione entrambe pervenute il 25.03.2024; - dei verbali di gara, tutti, non esclusi, anzi espressamente ricompresi: a) il verbale della seduta riservata della Commissione Giudicatrice, del 13.01.2024, nel corso della quale è stata valutata l'offerta tecnica; b) il verbale della seduta del 15.02.2024, per l'inserimento del punteggio dell'offerta tecnica sul Portale START e per l'apertura dell'offerta economica; c) il verbale della seduta del 29.02.2024, di presa d'atto della documentazione a chiarimento presentata ai sensi all'art. 101 c. 3 del Codice e di accertamento della non congruità del PEF dell'odierna ricorrente, per le seguenti motivazioni: "(...) lo scostamento economico tra il costo del personale, calcolato con il metodo erroneamente applicato dal concorrente ed il costo del personale calcolato applicando il monte ore dovuto, è di rilevante entità economica, tale cioè da incidere in maniera significativa sull'equilibrio generale del PEF. Ciò implica che l'erronea applicazione del metodo di calcolo del costo del personale non è considerabile alla stregua di un mero errore materiale. Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, si ritiene non sostenibile il chiarimento fornito ed il concorrente è ritenuto non ammesso per non congruità del PEF"; - ove e per quanto lesivi, del bando di gara, del disciplinare di gara e del capitolato speciale di appalto; - di ogni altro atto e/o documento presupposto, connesso, coevo e/o consequenziale, anche non noto e con conseguente declaratoria di inefficacia del contratto/convenzione, eventualmente stipulato, nelle more, con l'impresa individuata come aggiudicataria, nonché e per la condanna della S.A. e dell'Ente Locale resistenti a risarcire il danno cagionato, alla ricorrente, in forma specifica, mediante aggiudicazione, nei suoi confronti, della concessione oggetto di affidamento e subentro nell'esecuzione del contratto eventualmente stipulato ex art. 122 c.p.a., e con riserva, sin d'ora, di agire per il risarcimento pecuniario del danno ingiusto derivante dall'illegittimità dei provvedimenti impugnati, non esclusa ed anzi espressamente formulata la subordinata richiesta di risarcimento per equivalente monetario, nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), dell'Unione dei Comuni (omissis) e della controinteressata Si. - Mi. Società Cooperativa Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Be. Ge. Co. S.r.l. ha partecipato alla procedura aperta indetta nel novembre 2023 dall'Unione dei Comuni (omissis), quale centrale di committenza, per l'affidamento da parte del Comune di (omissis) della concessione quinquennale dei servizi cimiteriali e del servizio di illuminazione votiva presso i cimiteri comunali. Nella seduta del 15 febbraio 2024, la commissione di gara ha aperto le buste contenenti le offerte economiche dei concorrenti e proceduto all'esame dei piani economico-finanziari a corredo delle offerte stesse. All'esito è stata disposta, nei confronti dell'odierna ricorrente, l'attivazione del soccorso istruttorio finalizzato a chiarire le modalità di calcolo seguite per la stima del costo della manodopera, inferiore a quello stimato dalla stazione appaltante nonostante l'offerta di ore aggiuntive rispetto al monte ore desumibile dalla legge di gara. Nella successiva seduta del 29 febbraio 2024 la commissione, dopo aver esaminato i chiarimenti ricevuti, ha deliberato l'esclusione di Be. Ge. Co., ritenendo il P.E.F. viziato da un errore inemendabile nel calcolo del costo del personale adibito al servizio oggetto di affidamento. Con la determina n. 144 del 13 marzo 2024, la stazione appaltante ha approvato gli atti di gara e, con essi, l'esclusione della ricorrente. La procedura è stata aggiudicata alla Cooperativa Sociale Si. - Mi.. 1.1. La menzionata determina n. 144/2024, unitamente a tutti gli atti presupposti e consequenziali elencati in epigrafe, è impugnata dalla società ricorrente, la quale ne chiede l'annullamento affidando le proprie censure a due motivi in diritto e concludendo, altresì, per la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato dall'aggiudicataria, con riserva di agire per il risarcimento dei danni. 1.2. Resistono alle domande avversarie l'Unione dei Comuni (omissis), il Comune di (omissis) e la controinteressata Si. - Mi.. 1.3. Sull'istanza cautelare formulata con il ricorso, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella camera di consiglio del 9 maggio 2024, con avviso alle parti circa la possibile definizione del giudizio ai sensi dell'art. 60 c.p.a.. 2. La controversia va definita con sentenza in forma semplificata, sussistendo le condizioni richieste dall'art. 120 co. 5, primo periodo, c.p.a., come sostituito dall'art. 209 del d.lgs. n. 36/2023. 3. Come accennato in narrativa, l'esclusione della ricorrente dalla procedura di affidamento per cui è causa è dipesa dallo scarto fra i costi della manodopera, stimati dalla stazione appaltante in 83.217,68 euro, e quelli esibiti nel P.E.F. di Be. Ge. Co., pari a poco più di 70mila euro nonostante l'offerta di ore lavorative in aggiunta a quelle indicate dalla legge di gara. La stazione appaltante, infatti, ha ritenuto erroneo il metodo di calcolo illustrato dalla ricorrente nei chiarimenti resi in sede di gara e consistente nell'applicare il costo orario medio ricavato dalle tabelle ministeriali del costo del lavoro al numero di ore mediamente lavorate dal personale impiegato nel servizio, queste ultime conteggiate in proporzione alle ore contrattuali offerte in sede di gara. Con il primo motivo di ricorso Be. espone di avere distinto, nella propria offerta economica, il monte ore teorico da quello mediamente lavorato, e di avere posto a base del calcolo il costo medio orario ricavabile dalle tabelle ministeriali che, moltiplicato per il numero di ore effettivamente lavorate, permetterebbe di ottenere il valore del costo effettivo della concessione. L'equivoco nel quale sarebbe incorsa la commissione di gara troverebbe conferma anche facendo il calcolo inverso, prendendo cioè come punto di riferimento il costo medio annuo, anziché quello orario, e proporzionandolo alle ore contrattuali offerte. In altri termini, Be. avrebbe utilizzato come base di calcolo il costo medio orario, che, essendo un costo maggiorato in quanto tiene già conto del costo per eventuali sostituzioni, andrebbe moltiplicato per le ore effettive e non quelle contrattuali, poiché quelle effettive non sarebbero altro che le ore contrattuali epurate delle ore di sostituzione del personale assente: l'errore della commissione sarebbe marchiano e l'irragionevolezza dell'esclusione manifesta. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta di non essere stata messa in condizione di illustrare adeguatamente le ragioni della sostenibilità economica della propria offerta, stante l'indebita commistione fra soccorso istruttorio e verifica di anomalia operata dalla commissione di gara. L'esclusione sarebbe frutto, a ben vedere, di un procedimento atipico avviato con l'attivazione del soccorso istruttorio e conclusosi, dopo la trasmissione dei chiarimenti da parte di Be., con la verifica di anomalia dell'offerta, la quale avrebbe invece richiesto un contraddittorio più ampio e articolato, nonché un più consistente supporto motivazionale. La violazione delle regole procedimentali si accompagnerebbe all'illegittimità sostanziale della valutazione conclusiva effettuata dalla stazione appaltante, che, disposta al di fuori del procedimento di verifica dell'anomalia e focalizzata su un singolo elemento dell'offerta, sarebbe da considerarsi addirittura nulla. Con difese pressoché sovrapponibili, le parti resistenti osservano che la logica della ricorrente porterebbe a stimare il costo del lavoro sulla base di un monte orario notevolmente inferiore a quello occorrente per la gestione del servizio ed inferiore altresì al monte ore offerto in gara dalla stessa Be.. Il passaggio dalle ore lavorative "teoriche" a quelle "effettivamente lavorate" comporterebbe di fatto la compressione dei fabbisogni della stazione appaltante, trasferendo a carico di quest'ultima eventi riguardanti i lavoratori impiegati dal concessionario del servizio, come le assenze per infortunio, malattia, ferie. Sul piano procedimentale, correttamente la stazione appaltante avrebbe fatto ricorso allo strumento del soccorso istruttorio, fermo restando che l'esclusione dalla procedura costituirebbe una conseguenza necessitata delle rilevate carenze del P.E.F. di Be. e implicherebbe, pertanto, la non annullabilità degli atti impugnati a norma dell'art. 21-octies co. 2 della legge n. 241/1990, come eccepito dall'Unione dei Comuni e dal Comune di (omissis). 3.1. Il ricorso è manifestamente infondato. La relazione esplicativa del piano economico-finanziario posto a base di gara, allegata al disciplinare, contiene al paragrafo 10. il dettaglio della stima del costo del personale effettuata dal Comune di (omissis) e ammontante, per le annualità dal 2025 al 2028, all'importo di 83.217,68 euro, cui il Comune è pervenuto facendo applicazione del C.C.N.L. "Multiservizi" alle unità di personale così individuate: un necroforo full time a 40 ore settimanali (2.080 ore annue); un necroforo part time a 18 ore settimanali (936 ore annue); un operaio giardiniere a 18 ore settimanali (936 ore annue); un tecnico per 2 ore settimanali (104 ore annue); un impiegato amministrativo per 8 ore settimanali (416 ore annue). Lo stesso paragrafo illustra quindi più diffusamente le modalità di impiego del personale, coerentemente con il monte orario indicato per ciascun lavoratore ("Si prevede la presenza giornaliera di un necroforo coadiuvato, per parte del tempo lavorativo, da un ulteriore necroforo part time, insieme ad un giardiniere part time, al fine di poter svolgere i servizi cimiteriali di inumazione e tumulazione, che richiedono la presenza di più unità di personale, oltre a tutti gli altri servizi di manutenzione ordinaria delle strutture cimiteriali, previste all'interno dell'appalto. (...) Si prevede inoltre la presenza saltuaria di un tecnico, con funzioni di coordinatore e supervisore di tutto il personale presente all'interno della concessione e di un impiegato amministrativo con funzioni di aggiornamento dati software e funzioni contabili nella gestione delle operazioni cimiteriali e delle lampade votive. (...) Si ritiene congruo ipotizzare una spesa per il personale annua di circa Euro 83.217,68, ritenendo che la stessa somma possa essere mantenuta sia nella prima annualità che in quelle successive, tenuto conto che sono stati presi in riferimento i costi medi stimati dal Ministero, come meglio sopra indicato"). La ricorrente Be., a sua volta, nella scheda C.4 allegata all'offerta economica attesta di avere computato il costo della manodopera a partire da un monte ore che, riferito a ciascuna delle professionalità impiegate nel servizio, coincide con le indicazioni della stazione appaltante, fatta eccezione per il monte ore del dipendente con qualifica di impiegato amministrativo, innalzato da 416 a 783 ore lavorative annue. Nonostante l'incremento delle ore lavorative, il costo del lavoro è peraltro indicato dalla ricorrente in un importo nettamente inferiore a quello stimato dalla stazione appaltante (70.229,23 euro). Richiesta di chiarimenti al riguardo, Be. ha spiegato di aver calcolato il costo del lavoro "moltiplicando il costo medio orario (lavoratori a t.d.) per le ore annue mediamente lavorate in proporzione alle ore contrattuali offerte in sede di gara". Nel dettaglio, la ricorrente distingue infatti le ore annue "teoriche", corrispondenti al monte orario indicato dalla stazione appaltante eventualmente maggiorato dai concorrenti con offerte migliorative, dalle ore annue "mediamente lavorate", ricavate riducendo proporzionalmente le ore teoriche nella stessa misura del rapporto stabilito dalle tabelle ministeriali del costo del lavoro, che quantificano in 2.088 le ore annue teoriche e in 1.581 le ore annue mediamente lavorate tenuto conto delle assenze a vario titolo del lavoratore (ad esempio, a fronte di 2.088 ore "teoriche" previste per il necroforo a tempo pieno, il costo del lavoro è calcolato dalla ricorrente appunto su 1.581 ore effettive; a fronte di 783 ore "teoriche" previste dalla ricorrente per la figura professionale dell'impiegato amministrativo, in aumento rispetto alle indicazioni della stazione appaltante, il costo del lavoro è calcolato sulla base di 592,87 ore mediamente lavorate, cui si perviene attraverso la proporzione 2.088: 1.581 = 783: x). L'operazione è corretta quanto all'impiego del dato del costo medio orario tabellare, che esprime il costo effettivo del personale al netto delle ore mediamente non lavorate per assenza. Non così, invece, quanto all'impiego come moltiplicatore delle (sole) ore mediamente lavorate, che comporta un'indebita decurtazione del monte ore posto a base di gara con il risultato, evidenziato dalla commissione nella seduta del 29 febbraio 2024, di conseguire una diminuzione del costo del lavoro utilizzando un parametro numerico che va unicamente utilizzato come divisore ai fini del calcolo del costo medio orario. Per calcolare il costo del personale, il moltiplicatore corretto è rappresentato dalle ore che la ricorrente chiama, equivocamente, "teoriche", le quali coincidono in realtà con il fabbisogno orario stimato dalla stazione appaltante per ciascuna figura professionale impiegata nel servizio, come da relazione al P.E.F. a base di gara, eventualmente incrementato delle ore aggiuntive offerte dai concorrenti. Le ore "teoriche" coincidono, in definitiva, con quelle offerte, mentre seguendo la prospettazione di Be. la legge di gara assumerebbe il significato secondo cui il concessionario dovrebbe farsi carico delle sole ore effettivamente lavorate dagli addetti al servizio e non anche delle ore scoperte a causa delle assenze del personale, nelle quali il servizio finirebbe dunque per non essere svolto, o per essere svolto a prestazioni ridotte, il che è del tutto irragionevole (si avrebbe un affidamento che sin dall'inizio non garantisce il corretto svolgimento del servizio). E anche a voler ritenere che la lex specialis non preveda un monte orario minimo, ma lasci liberi i concorrenti di organizzare il servizio e l'orario di lavoro del personale addetto, è evidente che l'offerta di un determinato monte ore è vincolante per il concorrente e lo obbliga a farsi carico delle sostituzioni del personale assente, sostenendo i relativi costi. Nel caso della ricorrente, come detto, l'offerta oraria è modellata sulla stima eseguita dalla stazione appaltante, con l'incremento delle ore previste per l'impiegato amministrativo, e il costo del lavoro non può che essere parametrato al monte ore offerto, comprensivo delle ore di sostituzione del personale assente, durante le quali il concessionario è pur sempre obbligato a prestare il servizio. In alternativa, dovrebbe concludersi che l'offerta di Be. non ha per oggetto il monte orario ricavabile dalla scheda C.4 allegata all'offerta economica, ma un monte orario corrispondente alle sole ore mediamente lavorate dai suoi addetti, con l'inevitabile conseguenza, anche in tale ipotesi, dell'esclusione dalla gara, atteso che la ricorrente non ha allegato né dimostrato di poter svolgere il servizio con un numero di ore ridotto rispetto alla stima operata dalla stazione appaltante e posta a base di gara. D'altro canto, la stessa giurisprudenza invocata da Be., dopo aver tratteggiato la differenza fra "monte ore contrattuale", "monte ore teorico" e "ore mediamente lavorate", chiarisce che l'indicazione del valore delle ore lavorate annuali, ricavato sottraendo dalle ore contrattuali offerte tutte le ore di assenza del personale titolare, non esprime affatto l'impegno contrattuale, ovvero il numero di ore che la ditta deve comunque garantire nella commessa per il tramite delle sostituzioni. Il dato reale da assumere come elemento per il calcolo del costo della manodopera è costituito dalle ore contrattuali indicate dal concorrente nella propria offerta, che vanno moltiplicate per il costo orario medio del lavoro, mentre utilizzando il dato delle ore mediamente lavorate si ottiene un costo della manodopera che non considera le fisiologiche assenze dal lavoro e i costi aggiuntivi che il datore di lavoro dovrà comunque sopportare per sostituire il personale assente (così Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2022, n. 10272, in controversia del tutto analoga alla presente). 3.2. Appurata la correttezza sostanziale dell'esclusione, occasionata dall'oggettiva insostenibilità del piano economico-finanziario della società ricorrente, sono parimenti infondate le censure di ordine procedimentale dedotte con il secondo motivo di ricorso. L'esclusione consegue, infatti, alla verifica di adeguatezza e sostenibilità del P.E.F., effettuata dalla stazione appaltante a norma dell'art. 185 d.lgs. n. 36/2023, come richiamato dal paragrafo 19.3 del disciplinare di gara, e con le modalità del soccorso istruttorio, vale a dire con l'invito a rendere chiarimenti sui contenuti dell'offerta. La verifica di anomalia, come statuito dal paragrafo 19.4 del disciplinare, riguarda di contro le offerte che presentano sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara, e non è questo il caso della ricorrente, fermo restando che le differenze tra le due verifiche attengono alle tempistiche per l'instaurazione del contraddittorio e non al contenuto delle integrazioni/giustificazioni/spiegazioni richieste ai concorrenti. Il tema non necessita peraltro di essere approfondito, giacché la ricorrente ha potuto difendersi e contraddire in sede procedimentale e comunque, alla luce di quanto emerso anche in giudizio, l'esclusione dalla gara rappresenta un effetto necessitato e inevitabile delle carenze del P.E.F. di Be.. Il procedimento non avrebbe potuto concludersi diversamente, non disponendo la stazione appaltante di alcuna discrezionalità al riguardo, di modo che eventuali inesattezze formali scolorano a vizi non invalidanti in applicazione della regola sancita dall'art. 21-octies co. 2, primo periodo, della legge n. 241/1990. 4. In forza delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto in ogni sua domanda. 4.1. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con la precisazione che a tal fine l'Unione dei Comuni (omissis) e il Comune di (omissis), ancorché costituiti separatamente, debbono considerarsi come parte processuale unitaria stante l'identità delle difese svolte a mezzo dello stesso difensore. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in euro 4.000,00, oltre agli accessori di legge, in favore di ciascuna parte resistente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere Pierpaolo Grauso - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 656 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da Sa. Be. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato El. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali - Corpo Forestale dello Stato, Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali, Agenzia del Demanio, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via (...); Agenzia delle Entrate, in persona del l.r.p.t. non costituita in giudizio; Comune di (omissis), in persona del vice sindaco e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cr. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'accertamento dell'inadempimento del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), agli obblighi sullo stesso gravanti in sede di stipula della Concessione di immobile facente parte del patrimonio indisponibile dello Stato ad uso villaggio turistico sito in località (omissis) nel Comune di (omissis) - Contratto di concessione ("Concessione") del 30.01.2018; - la conseguente dichiarazione della risoluzione del Contratto di concessione del 30.01.2018 per grave inadempimento del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria); - con la consequenziale dichiarazione che l'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno (e/o la Agenzia del Demanio Direzione Generale, e/o il Ministero della Economia e delle Finanze) nulla vanta in relazione ai canoni dovuti in forza del Contratto di concessione del 30.01.2018; e per l'effetto, per: - la condanna del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), all'integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla Società Sa. Be. S.r.l.; - la condanna dell'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno (e/o la Agenzia del Demanio Direzione Generale, e/o il Ministero della Economia e delle Finanze), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), alla restituzione, a favore della Società Sa. Be. S.r.l., dei canoni fino ad oggi versati; nonché, in seguito a domanda riconvenzionale proposta dalle resistenti Pubbliche Amministrazioni statali: - per respingere integralmente il ricorso della società Sa. Be. S.r.l. ed i motivi aggiunti; - dichiarare il grave inadempimento degli obblighi posti dall'Atto di concessione in capo alla predetta società concessionaria; - dichiarare la sussistenza dei presupposti per la decadenza (e/o revoca e/o caducazione e/o risoluzione legale) della concessione per cui è causa, con ogni consequenziale provvedimento; nonché, in seguito alla proposizione dei primi motivi aggiunti da parte ricorrente: per l'annullamento - della Cartella di pagamento n. 097-2022-00428565-73-000, notificata dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione, quale Agente per la Riscossione - prov. di Roma, su incarico dell'Agenzia del Demanio; - del Ruolo emesso da Agenzia del Demanio Filiale Toscana e Umbria n. 2022/000202, come descritto nella Cartella, reso esecutivo in data 20.12.2021 e del Ruolo emesso da Agenzia del Demanio Filiale Toscana e Umbria n. 2022/000553, come descritto nella Cartella, reso esecutivo in data 26.01.2022 (congiuntamente definiti i "Ruoli"); - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, tra cui, per quanto occorrer possa, - tutte le richieste di pagamento dei canoni oggetto della Cartella, aventi ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni)" e "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)", trasmesse della Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno, ivi comprese: - nota mezzo PEC del 15.04.2021; - note allegate alla PEC del 15.04.2021 e relative a n. 1 nota avente ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni)" e n. 2 note aventi ad oggetto "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)" del 15.04.2021; - nota mezzo PEC del 21.05.2021; - note allegate alla PEC del 21.05.2021 e relative alle medesime richieste di pagamento canoni della PEC del 15.04.2021 e n. 2 note; - nota mezzo PEC del 17.06.2021; - nota mezzo PEC del 08.09.2021; - note allegate alla PEC del 08.09.2021, n. 2 note aventi ad oggetto "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)" e relative alle medesime richieste di pagamento canoni della PEC del 15.04.2021 e del 21.05.2021; - nota mezzo PEC del 21.12.2021; - nota mezzo PEC del 18.02.2022; - nota allegata alla PEC del 18.02.2022, avente ad oggetto "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)"; nonché, in seguito alla proposizione dei secondi motivi aggiunti da parte ricorrente: per l'annullamento - della nota n. 68/2-26/2022 del 06.07.2022, notificata dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità in parti data, avente ad oggetto "Concessione terreno ad uso villaggio turistico a favore di Sa. Be. S.r.l. - Conc. N.Rep. 19 del 21.12.2017 - Risoluzione contrattuale ex art. 25 del contratto di concessione. Comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990"; - della nota n. 68/2-35/2022 del 02.09.2022, notificata dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità in parti data, avente ad oggetto "Concessione terreno ad uso villaggio turistico a favore di Sa. Be. S.r.l. - Conc. N.Rep. 19 del 21.12.2017 - Risoluzione contrattuale ex art. 25 del contratto di concessione. Conclusione del procedimento. Pronuncia di risoluzione contrattuale con effetto immediato"; - della nota n. 68/2-38/2022, notificata dal Raggruppamento Carabinieri Biodiversità in data 14.09.2022 avente ad oggetto la conferma dell'accesso ai fini della riconsegna del bene; - del verbale di sopralluogo e ripresa in consegna del bene del 15.09.2022; - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, tra cui, per quanto occorrer possa, - tutte le richieste di pagamento dei canoni comunque intervenute in relazione al rapporto di cui alla Concessione, anche se non ancora oggetto di cartella esattoriale, aventi ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni)" e "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)", trasmesse della Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno, ivi comprese: - nota mezzo PEC del 01.04.2020 avente ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo marzo 2020; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo gennaio e febbraio 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo aprile 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo maggio 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo giugno 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo aprile e maggio 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo luglio 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo luglio 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Iscrizione a Ruolo del 14.01.2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo agosto, settembre e ottobre 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo novembre 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo novembre 2021; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo dicembre 2021 - gennaio 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo e dicembre 2021 - gennaio 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo febbraio 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo marzo 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo febbraio - marzo 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo aprile 2022 e maggio 2022; - nota mezzo PEC avente ad oggetto Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo giugno 2022; - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, ancorché non conosciuto; nonché, in seguito alla proposizione dei terzi motivi aggiunti da parte ricorrente: per l'annullamento - di tutte le richieste di pagamento dei canoni intervenute in relazione al rapporto di cui alla Concessione, anche se non ancora oggetto di cartella esattoriale, aventi ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni)" e "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)", trasmesse della Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno, ivi comprese: - nota mezzo PEC del 11.10.2022 avente ad oggetto "Prima Richiesta di pagamento (canoni) periodo luglio-agosto-settembre 2022; - nota mezzo PEC del 11-10-2022 avente ad oggetto Seconda Richiesta di pagamento (canoni) periodo aprile-maggio-giugno 2022; - nota mezzo PEC del 06.12.2022 avente ad oggetto Lettera di iscrizione a ruolo canoni non pagati dal 01.08.2021 al 31.03.2022 - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, ancorché non conosciuto; nonché, in seguito alla proposizione dei quarti motivi aggiunti da parte ricorrente: per l'annullamento - della cartella di pagamento n. 097-2023-00122382-29-000, notificata dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione, quale Agente per la Riscossione - prov. di Roma, per somme dell'Agenzia del Demanio (All.73 - di seguito la "Seconda Cartella"); - del Ruolo emesso da Agenzia del Demanio Filiale Toscana e Umbria n. 2023/000028, come descritto nella Seconda Cartella, reso esecutivo in data 05.12.2022 (il "Ruolo"); - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, tra cui: - tutte le richieste di pagamento dei canoni oggetto della Seconda Cartella, aventi ad oggetto "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)", trasmesse della Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno, ivi comprese: - nota mezzo PEC del 27.03.2023 avente ad oggetto "Seconda Richiesta di pagamento (canoni)" relativa ai periodi dal 01.07.2022 al 30.09.2022; - della intimazione di pagamento n. 097-2023-90339259-24-000, notificata dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione, quale Agente per la Riscossione - prov. di Roma, riferita alla Cartella di pagamento n. 097-2022-00428565-73-000 (All.75); - della nota di Iscrizione a Ruolo comunicata con PEC del 26.04.2023 con numero 6359 e data 26/04/2023; - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, ancorché non conosciuto; nonché, in seguito alla proposizione dei quinti motivi aggiunti da parte ricorrente: per l'annullamento - della cartella di pagamento n. 097-2023-01711518-74-000, notificata dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione, quale Agente per la Riscossione - prov. di Roma, per somme dell'Agenzia del Demanio (All.77 - di seguito la "Terza Cartella"); - del Ruolo emesso da Agenzia del Demanio Filiale Toscana e Umbria n. 2023/002105, come descritto nella Terza Cartella, reso esecutivo in data 08.05.2023 (il "Ruolo"); - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, ancorché non conosciuto. Visti il ricorso, la domanda riconvenzionale, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2024 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO Con il ricorso principale, notificato il 27 aprile 2022 dalla società a responsabilità limitata Sa. Be. al Comune di (omissis), al Ministero dell'economia e delle finanze, al Comando dell'unità tutela forestale del raggruppamento carabinieri biodiversità, all'Agenzia del demanio, alla direzione regionale dell'Agenzia del demanio, al Comando generale dell'Arma dei carabinieri, al Ministero della difesa, al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Corpo forestale dello Stato, al Comando carabinieri per la tutela della biodiversità e dei parchi, ricorso depositato il 24 maggio 2022, la società ricorrente chiede l'accertamento del grave inadempimento del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), agli obblighi sullo stesso gravanti in sede di stipula della Concessione di immobile facente parte del patrimonio indisponibile dello Stato ad uso villaggio turistico sito in località (omissis) nel Comune di (omissis) - Contratto di concessione del 30.01.2018. Chiede, quindi, la risoluzione del contratto di concessione del 30 gennaio 2018 per grave inadempimento dei soggetti pubblici precedentemente indicati, in via esclusiva ovvero in via solidale tra loro ovvero in via sussidiaria. Chiede, inoltre, la dichiarazione che l'Agenzia del demanio direzione regionale, ovvero l'Agenzia del demanio direzione generale ovvero il Ministero dell'economia e delle finanze nulla vantano in relazione ai canoni dovuti in forza del contratto di concessione del 30 gennaio 2018. Per l'effetto, la ricorrente chiede la condanna del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), all'integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla Società Sa. Be. S.r.l.; - la condanna dell'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno (e/o la Agenzia del Demanio Direzione Generale, e/o il Ministero della Economia e delle Finanze), in persona del legale rappresentante pro tempore, in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), alla restituzione, a favore della Società Sa. Be. S.r.l., dei canoni fino ad oggi versati. Si costituiscono in giudizio, per resistere al ricorso con la difesa dell'Avvocatura statale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, corpo forestale dello Stato, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero della difesa, il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, l'Agenzia del demanio di Livorno, l'Agenzia del demanio, il Ministero dell'economia e delle finanze. Con domanda riconvenzionale, notificata il 22 giugno 2022 alla società ricorrente e depositata in tribunale il 22 giugno 2022, il Ministero della difesa, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, il Comando carabinieri per la tutela della biodiversità e dei parchi, il Comando unità tutela forestale ambientale e agroalimentare dei carabinieri, Raggruppamento carabinieri biodiversità, Reparto biodiversità di (omissis), l'Agenzia del demanio, l'Agenzia del demanio, direzione regionale Toscana e Umbria, sede di Livorno, chiedono che sia dichiarato il grave inadempimento degli obblighi posti dall'atto di concessione in capo alla società concessionaria e conseguentemente sia dichiarata la sussistenza dei presupposti per la decadenza o la revoca o la caducazione o la risoluzione legale della concessione per cui è causa. Si costituisce in giudizio anche il Comune di (omissis), per resistere al ricorso. Con il primo ricorso per motivi aggiunti, notificato alle controparti nonché all'Agenzia delle Entrate il 6 giugno 2022 e depositato il 1 luglio 2022, la società ricorrente chiede l'annullamento della cartella di pagamento numero 097-2022, notificata dall'Agenzia delle entrate su incarico dell'Agenzia del demanio, del ruolo emesso dall'Agenzia del demanio numero 2022-000202, come descritto in cartella, reso esecutivo in data 20 dicembre 2021 e del ruolo emesso dall'Agenzia del demanio numero 2022-000553, come descritto in cartella, reso esecutivo in data 26 gennaio 2022. Chiede inoltre l'annullamento di tutte le richieste di pagamento dei canoni della cartella aventi ad oggetto la prima richiesta di pagamento canoni e la seconda richiesta di pagamento canoni, trasmesse dall'Agenzia del demanio, sede di Livorno. La ricorrente replica alla domanda riconvenzionale con atto depositato il 21 settembre 2022, chiedendone il rigetto e insiste per l'accoglimento del ricorso principale e del ricorso per motivi aggiunti. Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato alle controparti il 5 ottobre 2022 e depositato il 2 novembre 2022, la società ricorrente chiede l'annullamento della comunicazione di avvio del procedimento inviata dal Raggruppamento carabinieri biodiversità in data 6 luglio 2022, della comunicazione di conclusione del procedimento con pronuncia di risoluzione contrattuale con effetto immediato, notificata dal Raggruppamento carabinieri biodiversità in data 2 settembre 2022, della nota del Raggruppamento carabinieri biodiversità notificata in data 14 settembre 2022, avente ad oggetto la conferma dell'accesso ai fini della riconsegna del bene, del verbale di sopralluogo e di presa in consegna del bene del 15 settembre 2022. Con il terzo ricorso per motivi aggiunti, notificato alle controparti il 9 dicembre 2022 e depositato il 29 dicembre 2022, la società ricorrente chiede l'annullamento di tutte le richieste di pagamento dei canoni intervenute in relazione al rapporto di cui alla concessione, anche se non ancora oggetto di cartella esattoriale, aventi ad oggetto la prima richiesta di pagamento canoni e la seconda richiesta di pagamento canoni, trasmesse dall'Agenzia del demanio, sede di Livorno, ivi comprese la nota dell'11 ottobre 2022, avente ad oggetto la prima richiesta di pagamento canoni, relativa al periodo luglio, agosto, settembre 2022, la nota dell'11 ottobre 2022, avente ad oggetto la seconda richiesta di pagamento canoni, riferita al periodo aprile, maggio, giugno 2022, la nota del 6 dicembre 2022, avente ad oggetto la lettera di iscrizione al ruolo dei canoni non pagati dal 1 agosto 2021 al 31 marzo 2022. Con il quarto ricorso per motivi aggiunti, notificato alle controparti il 26 aprile 2023 e depositato in Tribunale il 24 maggio 2023, la società ricorrente chiede l'annullamento della cartella di pagamento numero 097-2023 notificata dall'Agenzia delle entrate per somme dell'Agenzia del demanio, identificata come seconda cartella, del ruolo emesso dall'Agenzia del demanio come descritto nella suddetta seconda cartella, reso esecutivo in data 5 dicembre 2022 e di tutte le richieste di pagamento dei canoni della seconda cartella, aventi ad oggetto la seconda richiesta di pagamento canoni, riferita al periodo 1 luglio 2022-30 settembre 2022, trasmesse dalla Agenzia del demanio, sede di Livorno. Con il quinto ricorso per motivi aggiunti, notificato alle controparti il 17 ottobre 2023 e depositato in Tribunale il 15 novembre 2023, la società ricorrente chiede l'annullamento della cartella di pagamento numero 097-2023, notificata dall'Agenzia delle entrate per somme dell'Agenzia del demanio, identificata come la terza cartella, del ruolo emesso dall'Agenzia del demanio, come descritto nella suddetta terza cartella, reso esecutivo in data 8 maggio 2023 e di tutte le richieste di pagamento dei canoni oggetto della terza cartella, già impugnate con il secondo, il terzo e il quarto ricorso per motivi aggiunti. Il Comune di (omissis), nella memoria per l'udienza pubblica, eccepisce la carenza di legittimazione passiva e chiede il rigetto del ricorso nella parte in cui si deduce un ruolo del Comune nella vicenda contenziosa. La società ricorrente, nella memoria conclusionale, insiste nelle domande proposte e ribadisce la ricostruzione della vicenda che la aveva vista aggiudicataria, il 12 dicembre 2016, della concessione della durata prevista di 19 anni di suolo appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, con annessi manufatti, ad uso villaggio turistico, sito nel Comune di (omissis). L'avviso di gara prevedeva l'obbligo, per il concessionario, di presentare un progetto di riqualificazione del villaggio turistico, sulla base di determinate linee guida, anche per la riqualificazione dell'area fronte mare, mediante interventi di protezione dall'erosione marina ed al fine di ricostituire la duna asportata dall'erosione. Il contratto di concessione era stato stipulato il 21 dicembre 2017, con decorrenza 1 febbraio 2018, approvato dal Comando carabinieri e sottoscritto anche dall'Agenzia del demanio, coinvolta in quanto interessata al canone concessorio. Dopo l'aggiudicazione e prima della stipula della concessione, la ricorrente avrebbe rilevato alcuni profili problematici, di natura edilizia, essendo emerso che oltre la metà dei manufatti compresi nella concessione erano stati legittimati da concessione edilizia in sanatoria rilasciata con prescrizioni, tuttora mai ottemperate. Tali strutture sarebbero risultate sprovviste della dichiarazione di agibilità . Inoltre la struttura ricettiva sarebbe stata compresa dal piano regolatore generale e dal regolamento urbanistico del Comune di (omissis) in area da riqualificare mediante appositi piani di settore, per cui sarebbe stato impossibile attuare il piano di riqualificazione del villaggio turistico, essendo anche decaduto il regolamento urbanistico comunale. Pertanto la ricorrente aveva chiesto al Comando carabinieri e all'Agenzia del demanio, prima di stipulare il contratto di concessione, l'aumento dell'arco temporale messo a disposizione dell'aggiudicatario, stante la tempistica emersa per la riqualificazione del villaggio turistico. Non essendo state risolte dette problematiche, la ricorrente aveva comunque stipulato la concessione, ma, dopo la sottoscrizione del contratto, aveva rilevato ulteriori problematiche relative al fronte mare, determinate dall'avanzato stato di erosione marina. La realizzazione dei lavori di riqualificazione del fronte mare avrebbe comportato costi ingenti e tempi imprevedibili. Il progetto di riqualificazione era stato comunque esaminato in conferenza di servizi, con conclusione positiva. La regione Toscana, con decreto 22 novembre 2019, aveva escluso l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale del progetto e stabilito un orizzonte temporale di cinque anni per l'esecuzione dei lavori. La ricorrente, pur avendo pagato il canone mensile di concessione e rilasciato la polizza fideiussoria a garanzia, per l'effettuazione dei lavori secondo il progetto di riqualificazione approvato, aveva ribadito l'esistenza di un evidente squilibrio economico in quanto essa avrebbe dovuto sostenere spese non compensate da alcun ricavo per un arco temporale importante. Pertanto la concessionaria aveva chiesto il prolungamento della durata della concessione per almeno altri cinque anni e la sospensione della corresponsione del canone concessorio. Avendo ricevuto risposte negative dall'Agenzia del demanio e dal Comando carabinieri, la ricorrente aveva comunicato la risoluzione del rapporto contrattuale, ma l'atto di risoluzione era stato considerato dall'Agenzia del demanio come atto di recesso della società dalla concessione. Con il ricorso principale parte ricorrente ha chiesto quindi la risoluzione del contratto per inadempimento del Comando dei carabinieri, sia nella fase di stipula della concessione, per aver posto ad oggetto della stessa beni urbanisticamente non conformi e privi del requisito dell'agibilità, da adeguare secondo un progetto non realizzabile e per una durata non coerente con lo stato dei luoghi, sia nella fase successiva alla stipula della concessione, per non aver ottemperato al riequilibrio del sinallagma contrattuale. I ricorsi per motivi aggiunti contro le cartelle di pagamento sarebbero fondati sull'assenza del diritto di procedere alla riscossione dei canoni, per mancanza del presupposto, essendo risolto il contratto di concessione. I motivi aggiunti proposti contro i provvedimenti di risoluzione della concessione per inadempimento, adottati dal Comando carabinieri, sarebbero fondati in quanto la risoluzione sarebbe ascrivibile alle condotte di tutti gli enti pubblici coinvolti nel rapporto concessorio. Nella propria memoria conclusionale, la difesa delle amministrazioni statali resistenti eccepisce che il concessionario ha sospeso il pagamento del canone a decorrere dal 1 marzo 2020 e non ha eseguito i necessari adeguamenti progettuali, proponendo modifiche contrattuali non concordate con le amministrazioni concedenti, il Reparto carabinieri biodiversità di (omissis) e l'Agenzia del demanio. La ricorrente non avrebbe adempiuto agli obblighi assunti con il contratto di concessione, non avendo diligentemente ponderato gli oneri per l'esecuzione del contratto. Di conseguenza le amministrazioni concedenti avrebbero esercitato legittimamente il potere di dichiarare la risoluzione del contratto ai sensi dell'articolo 25 dell'atto di concessione, per inadempimento a specifici obblighi, con incameramento del deposito cauzionale. Osserva la difesa statale che l'articolo 2 dell'atto di concessione attribuisce all'Agenzia del demanio, concedente secondario, il potere di agire coattivamente per la riscossione dei canoni e la legittimazione ad azionare la tutela giudiziale per inadempimento, con il risarcimento del maggior danno subito; tuttavia tale previsione sarebbe stata di scarsa utilità in quanto l'articolo 25 dell'atto di concessione ha consentito al Raggruppamento carabinieri biodiversità di (omissis), concedente primario, di dichiarare la decadenza automatica ovvero l'immediata risoluzione del contratto nell'identico caso di inadempimento del concessionario, senza la necessità di proporre la domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento. Nelle memorie di replica le parti insistono nelle rispettive conclusioni. Il ricorso è trattato all'udienza del 3 aprile 2024, passando in decisione. DIRITTO Con il ricorso principale la società ricorrente chiede l'accertamento del grave inadempimento del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria) agli obblighi sullo stesso gravanti in sede di stipula della Concessione di immobile facente parte del patrimonio indisponibile dello Stato ad uso villaggio turistico sito in località (omissis) nel Comune di (omissis) - Contratto di concessione del 30.01.2018. Chiede, quindi, la risoluzione del contratto di concessione del 30 gennaio 2018 per grave inadempimento dei soggetti pubblici precedentemente indicati, in via esclusiva ovvero in via solidale tra loro ovvero in via sussidiaria. Chiede, inoltre, la dichiarazione che l'Agenzia del demanio direzione regionale, ovvero l'Agenzia del demanio direzione generale ovvero il Ministero dell'economia e delle finanze nulla vantano in relazione ai canoni dovuti in forza del contratto di concessione del 30 gennaio 2018. Per l'effetto, la ricorrente chiede la condanna del Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) (e/o del Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o del Ministero della Difesa, e/o del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri), in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), all'integrale risarcimento dei danni patiti e patiendi dalla Società Sa. Be. S.r.l.; la condanna dell'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria Sede di Livorno (e/o la Agenzia del Demanio Direzione Generale, e/o il Ministero della Economia e delle Finanze), in via esclusiva (ovvero in via solidale tra loro, ovvero in via sussidiaria), alla restituzione, a favore della Società Sa. Be. S.r.l., dei canoni fino ad oggi versati. Preliminarmente deve essere accolta l'eccezione sul difetto di legittimazione passiva del Comune di (omissis), nei confronti del quale non è stata rivolta alcuna domanda giudiziale, né con il ricorso principale, né con i successivi motivi aggiunti, per cui si deve ritenere inammissibile la chiamata in giudizio dell'amministrazione comunale, indifferente agli esiti del processo. Il ricorso principale è, inoltre, inammissibile nella parte in cui la ricorrente chiede la risoluzione del contratto di concessione per grave inadempimento di determinati soggetti pubblici, indicati come segue: Comando Unità Tutela Forestale Ambientale e Agroalimentare Carabinieri - Raggruppamento Carabinieri Biodiversità - Reparto Biodiversità di (omissis) e/o Comando Carabinieri per la Tutela della Biodiversità e Parchi, e/o Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato - Ufficio per la Biodiversità, e/o Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e/o Ministero della Difesa, e/o Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri. Gli stessi soggetti pubblici vengono chiamati a rispondere del risarcimento del danno per inadempimento, a titolo di responsabilità esclusiva, ovvero solidale ovvero ancora sussidiaria. La domanda è inammissibile in quanto la ricorrente chiede la condanna di tutte le pubbliche amministrazioni chiamate in giudizio senza chiarire le responsabilità di ciascuna di esse negli asseriti inadempimenti contrattuali, identificando, alternativamente, una responsabilità esclusiva, solidale o sussidiaria non meglio determinata, in tal modo impedendo qualsiasi ragionevole difesa processuale, in violazione del principio del contraddittorio. Altrettanto inammissibile è la domanda di accertamento preventivo negativo rivolta nei confronti dell'Agenzia del demanio e del Ministero dell'economia e delle finanze, mediante la quale la ricorrente vorrebbe ottenere in via giudiziale l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo di pagamento dei canoni concessori nelle more della esecuzione del contratto di concessione, ancora in atto al momento della proposizione del ricorso principale, non essendo ammissibile tale domanda preventiva nel corso della vicenda contrattuale. Nel merito, si deve considerare che la convenzione concessoria stipulata dalla ricorrente vedeva come controparti il Reparto dei carabinieri per la biodiversità di (omissis) e l'Agenzia del demanio, quest'ultima limitatamente al ruolo di amministrazione creditrice per il pagamento del canone di concessione. Pertanto, la domanda giudiziale di risoluzione del contratto per inadempimento avrebbe potuto essere proposta soltanto nei confronti del Reparto carabinieri per la biodiversità, non essendo nemmeno astrattamente ipotizzabile l'inadempimento di un soggetto che non era parte del contratto. Volendo quindi interpretare il ricorso principale come diretto, nonostante la confusa esposizione, a conseguire la risoluzione del contratto di concessione per inadempimento del Reparto carabinieri per la biodiversità, si deve limitare la decisione di merito all'accertamento della sussistenza di questo asserito inadempimento. Ad avviso della ricorrente, il Reparto carabinieri sarebbe stato inadempiente sia nella fase precedente la stipula della concessione, per avere posto ad oggetto della stessa beni immobili urbanisticamente non conformi e privi di agibilità, sia nella fase successiva alla stipulazione della concessione, per non aver provveduto al riequilibrio del sinallagma contrattuale. La domanda, nei limiti di ammissibilità appena indicati, deve essere respinta. La risoluzione del contratto è una vicenda del rapporto contrattuale, analogamente alla condizione risolutiva e al recesso unilaterale. Essa si differenzia dalla dichiarazione di nullità del contratto, dall'annullamento e dalla dichiarazione di inefficacia originaria dello stesso, che sono invece vicende del contratto inteso come atto. Trattandosi di una vicenda del rapporto contrattuale, che viene sciolto mediante la risoluzione, è inconcepibile sul piano logico e inammissibile su quello giuridico la domanda di risoluzione di un contratto per asseriti vizi inerenti l'atto contrattuale, come la determinazione dell'oggetto con inserimento di beni urbanisticamente non conformi, non potendosi confondere i vizi del contratto, inteso come atto, dalle ipotesi di risoluzione del rapporto contrattuale per vicende successive alla stipulazione, intervenute nel corso della realizzazione del programma contrattuale. Sotto questo profilo, l'unica vicenda imputata al Reparto carabinieri concedente a titolo di inadempimento sarebbe, nella prospettazione della ricorrente, il rifiuto di rinegoziare il contratto di concessione alla luce di uno squilibrio del sinallagma contrattuale, che sarebbe emerso dopo la stipulazione del contratto. Questa domanda è infondata perché l'articolo 1453 del codice civile consente di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento nel caso di inadempimento, di non scarsa importanza, di una parte. L'inadempimento deve consistere nella violazione di una obbligazione contrattuale. Nel caso di specie, nessuna clausola contrattuale obbligava le parti a rinegoziare il contratto nel caso di un sopravvenuto squilibrio economico delle prestazioni. Il rimedio previsto dal codice civile, articolo 1467, comma 1, per il caso in cui, in un contratto ad esecuzione continuata o periodica, la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, è la domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. La ricorrente, invece, ha proposto una domanda di risoluzione per inadempimento, nel caso di specie non ravvisabile, per cui la domanda deve essere respinta. Con riferimento al ricorso principale, le amministrazioni statali resistenti hanno presentato una domanda riconvenzionale, chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento della società concessionaria, ricorrente principale. La domanda riconvenzionale è improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse. Nelle more del giudizio, infatti, il Reparto carabinieri biodiversità ha esercitato il diritto potestativo di risolvere il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa prevista dall'articolo 25 dell'atto di concessione. L'articolo 1456 del codice civile prevede che i contraenti possono convenire espressamente che, nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite, l'altra parte acquisti il diritto potestativo di risolvere il contratto, mediante una dichiarazione unilaterale negoziale e recettizia. Avendo esercitato tale diritto con atto notificato alla concessionaria il 2 settembre 2022, l'amministrazione resistente non ha più interesse ad ottenere la risoluzione del contratto in sede giudiziaria. Seppure, in base all'articolo 1453, comma 1, del codice civile, la parte inadempiente è tenuta a risarcire il danno, in quanto il diritto alla risoluzione del contratto per inadempimento è complementare al diritto al risarcimento del danno per inadempimento, nel caso di specie la parte pubblica non ha articolato una domanda risarcitoria, completa di tutti i suoi elementi e, nella memoria difensiva conclusionale, pur richiamando l'articolo 2 dell'atto di concessione, che attribuiva all'Agenzia del demanio la legittimazione ad azionare la tutela giudiziale per inadempimento con il risarcimento del maggior danno subito, riconosce la scarsa utilità della suddetta previsione, essendo già stata conseguita la risoluzione del contratto con incameramento del deposito cauzionale da parte del Reparto carabinieri, per cui, ad avviso della stessa difesa statale, la domanda di risoluzione giudiziale per inadempimento risulta non più necessaria. Si deve considerare, peraltro, che l'atto unilaterale, negoziale e recettizio, notificato dal Reparto carabinieri alla ricorrente il 2 settembre 2022 e recante la risoluzione unilaterale del contratto, è stato impugnato dalla ricorrente con il secondo ricorso per motivi aggiunti. Con l'atto impugnato, il Reparto biodiversità dei carabinieri di (omissis) ha dichiarato risolto il contratto di concessione numero di repertorio 19 del 21 dicembre 2017 in applicazione dell'articolo 25 dell'atto di concessione, ravvisando l'inadempimento contrattuale della concessionaria con riferimento: all'articolo 2 della concessione, essendo stata interrotta la corresponsione del canone concessorio a decorrere dal 1 marzo 2020, nonostante ripetuti solleciti di pagamento notificati dall'Agenzia del Demanio; all'articolo 8, non essendo stato sostenuto il contratto da idonea e valida garanzia, non avendo la concessionaria presentato la polizza fideiussoria richiesta, nonostante reiterate sollecitazioni; all'articolo 13, riferito agli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria gravanti sul concessionario, non essendo stata eseguita alcuna manutenzione dell'area affidata in concessione, esposta al rischio di incendio, in stato di abbandono e degrado, con pericolo per la pubblica incolumità ; all'articolo 14, per violazione dell'impegno di procedere alla ristrutturazione e all'adeguamento delle strutture e degli impianti sulla base di un progetto di riqualificazione edilizia; all'articolo 15, con riferimento all'obbligo di assicurare la recinzione del terreno affidato in concessione per prevenire ingressi abusivi e per la protezione del bene patrimoniale e della pubblica incolumità ; infine, con riferimento al mancato pagamento integrale degli oneri di registrazione dell'atto. Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente deduce la illegittimità dell'atto di risoluzione unilaterale del contratto dagli inadempimenti imputati alle parti resistenti, per cui il pagamento del canone di concessione non sarebbe stato dovuto, essendo venuta meno la causa del pagamento per effetto della risoluzione della concessione. Il pagamento del canone sarebbe stato sospeso, mancando qualsiasi utilità di gestione per la società . La società non sarebbe stata inadempiente all'obbligo di presentare il progetto di riqualificazione del villaggio, non essendo stati rilasciati i permessi di costruire. Con riferimento ai lavori di riqualificazione del fronte mare, sarebbe stato necessario un intervento di importanza notevole per il quale non sarebbero ancora state ottenute le necessarie autorizzazioni. Non sussisterebbero gli ulteriori inadempimenti, avendo la società effettuato manutenzione, consegnato la polizza fideiussoria, recintato l'area. Infine l'atto sarebbe illegittimo non essendo state prese in considerazione le osservazioni della parte interessata nel corso del procedimento precedentemente avviato. Il ricorso deve essere respinto per infondatezza. L'articolo 2 del contratto di concessione prevedeva che il pagamento del canone non avrebbe potuto essere sospeso o ritardato da pretese o eccezioni del concessionario, qualunque ne fosse il titolo. L'articolo 25 del contratto di concessione prevedeva che l'inadempienza, tra gli altri, all'articolo 2 della concessione ne avrebbe comportato l'immediata risoluzione, oltre l'incameramento del deposito cauzionale. Nel caso di specie è pacifico che la concessionaria ha sospeso unilateralmente il pagamento del canone di concessione, per asserita inutilità della prosecuzione della gestione, dalla quale non avrebbe ricavato alcun utile. Tale sospensione, in violazione di quanto stabilito dall'articolo 2 del contratto di concessione, costituisce, in base al regolamento contrattuale (articolo 25) grave inadempimento legittimante, esso stesso e senza considerare gli ulteriori inadempimenti, l'esercizio del diritto potestativo di risoluzione del contratto. Ne consegue l'infondatezza delle censure dedotte con il secondo ricorso per motivi aggiunti che deve essere, pertanto, respinto. Restano da scrutinare il primo, il terzo, il quarto e il quinto ricorso per motivi aggiunti, proposti contro le cartelle di pagamento e le richieste di pagamento dei canoni successivamente pervenute alla ricorrente. Al riguardo, parte ricorrente deduce l'assenza del diritto di conseguire la pretesa creditoria per il pagamento dei canoni di concessione, per illegittimità derivata di tale pretesa dalla dedotta illegittimità degli atti presupposti la cui invalidità si dovrebbe ripercuotere sul diritto di credito. La censura di illegittimità derivata è infondata, essendo stata accertata l'infondatezza dell'azione risolutoria per inadempimento proposta dalla ricorrente con il ricorso principale. Si deve inoltre considerare che l'articolo 1458 del codice civile esclude l'effetto retroattivo, tra le parti, della risoluzione contrattuale per inadempimento nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. In sostanza, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento, la regola della non retroattività degli effetti si applica nel caso di contratto di durata in cui ad una prestazione continuativa (nel caso di specie la concessione del bene patrimoniale pubblico) se ne contrappone un'altra periodica (nel caso di specie il pagamento del canone), perché in tal caso la corrispettività si riflette su tutte le prestazioni attraverso le quali il contratto riceve esecuzione. La giurisprudenza, con riferimento al contratto di locazione, ma il principio è applicabile, per evidente analogia, anche al contratto di concessione di cui si tratta, ha affermato che, nei contratti ad esecuzione continuata, l'esigenza di rispetto dell'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni non viene meno neppure nella disciplina della risoluzione, sicché la parte locatrice adempiente ha diritto alle controprestazioni del locatario riferibili al periodo di effettivo godimento del bene e non anche a quelle ulteriori che, per il sopravvenuto scioglimento del rapporto, non trovano più giustificazione causale (Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza 03/03/2015, n. 4267). Si deve concludere, quindi, che l'attuale ricorrente rimane obbligata al pagamento dei canoni riferiti al periodo in cui ha goduto della disponibilità del bene patrimoniale oggetto del contratto di concessione. In sintesi, il ricorso principale deve essere, in parte, respinto e, per il resto, dichiarato inammissibile. La domanda riconvenzionale di parte pubblica deve essere dichiarata improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse. Il secondo ricorso per motivi aggiunti deve essere respinto. Devono anche essere respinti il primo, il terzo, il quarto e il quinto ricorso per motivi aggiunti. Le spese processuali seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: Rigetta, in parte, il ricorso principale e, per il resto, lo dichiara inammissibile. Dichiara improcedibile la domanda riconvenzionale delle pubbliche amministrazioni statali. Rigetta il primo ricorso per motivi aggiunti. Rigetta il secondo ricorso per motivi aggiunti. Rigetta il terzo ricorso per motivi aggiunti. Rigetta il quarto ricorso per motivi aggiunti. Rigetta il quinto ricorso per motivi aggiunti. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore delle controparti, liquidate in euro 4.000,00 oltre accessori dovuti per legge da corrispondere, in tale misura, alla parte resistente statale e all'amministrazione comunale intimata. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Eleonora Di Santo - Presidente Antonio Andolfi - Consigliere, Estensore Silvia De Felice - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 943 del 2019, proposto da Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Ri. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ri. Ta. in Firenze, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Zu. e Cr. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Toscana e Città Metropolitana di Firenze, non costituite in giudizio; per l'annullamento 1) del provvedimento prot. n. 47 del 17.04.2019 a firma del Dirigente del Settore Sviluppo del Territorio del Comune di (omissis) recante diniego della domanda prot. n. 9110 del 07.02.2019 presentata dalla ricorrente volta al rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di un impianto di distribuzione carburanti, in Via (omissis) snc; 2) di ogni altro atto presupposto e/o successivo, comunque connesso, se lesivo, anche dal contenuto ignoto alla ricorrente, tra cui, ove occorrer possa: - il parere contrario espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta del 07.03.2019; - la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza prot. n. 17194 dello 08.03.2019; - la nota prot. n. 16886 del 07.03.2019 del Servizio Pratiche Edilizie - la nota prot. n. 17043 del 07.03.2019 dell'Ufficio Commercio; - il parere contrario prot. n. 26348 del 12.04.2019 del Settore Edilizia; - il parere del Settore Commercio prot. n. 27311 del 17.04.2019; 3) in parte qua e ove lesivi, degli artt. 12 e 27, comma 9 Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis) approvato con Deliberazione Consiliare n. 6 del 28.01.2014 (divenuto efficace in data 26.03.2014 con la pubblicazione sul BURT) e successive varianti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 marzo 2024 la dott.ssa Silvia De Felice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. In data 7 febbraio 2019 la Società ricorrente ha presentato al Comune di (omissis) un'istanza di rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un impianto di distribuzione carburanti con connessi servizi di ristorazione in un'area posta in Via (omissis) snc, avente destinazione agricola "E" ai sensi del d.m. n. 1444/1968, e destinata a seminativo. Inviata la prescritta comunicazione dei motivi ostativi e acquisite le osservazioni procedimentali presentate dalla Società, il Comune di (omissis), con provvedimento n. 47 del 17 aprile 2019, ha rigettato l'istanza, richiamando il parere a firma del Responsabile del Procedimento Edilizio prot. n. 26348 del 12 aprile 2019 e il parere del Settore Commercio prot. n. 27311 del 17 aprile 2019. Secondo l'Amministrazione, invero, l'intervento sarebbe precluso dall'art. 27, comma 9 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico, secondo cui non possono realizzarsi nuovi impianti di distribuzione carburanti all'interno delle aree, quali quella di specie, ricomprese nel c.d. ambito Parco della Piana "se non previsti dal relativo progetto direttore" disciplinato dall'art. 12 delle medesime Norme Generali. 2. La Società impugna dunque i provvedimenti sopra richiamati e, per quanto di necessità, gli artt. 12 e 27, comma 9 delle citate Norme Generali del Regolamento Urbanistico. 2.1. Con la prima censura viene dedotta l'erroneità del provvedimento di diniego assunto dal Comune, giacché le previsioni contenute negli artt. 12 e 27 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis) (approvato con Deliberazione Consiliare n. 6 del 28 gennaio 2014 e divenuto efficace in data 26 marzo 2014 con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana) sarebbero decadute a far data dal 26 marzo 2019, per effetto del decorso del quinquennio di efficacia delle stesse, così come previsto dall'art. 95, comma 9 L.R.T. 65/2014 secondo cui "Le previsioni che si realizzano mediante piani attuativi, o progetti unitari convenzionati di iniziativa pubblica, comunque denominati, o mediante interventi di rigenerazione urbana, perdono efficacia nel caso in cui alla scadenza del quinquennio di efficacia del piano operativo o della modifica sostanziale che li contempla, i piani o i progetti non siano stati approvati". Nel caso di specie, infatti, non è mai stato approvato il "progetto direttore" relativo al "Parco della Piana" e, di conseguenza, l'area nella disponibilità della ricorrente sarebbe divenuta una "zona bianca" ove, nelle more dell'approvazione del nuovo strumento urbanistico, potrebbero essere realizzati interventi quali quello di specie; gli impianti di distribuzione carburanti, infatti, in base alla normativa di settore e all'interpretazione giurisprudenziale che ne è stata data, non costituirebbero "nuove costruzioni" ma opere di urbanizzazione secondaria che non incidono sul carico urbanistico e possono perciò realizzarsi ovunque, anche nelle aree agricole e, per quanto qui interessa, in quelle prive di autonoma vocazione edificatoria come le zone bianche, con l'unica eccezione dei centri storici. Secondo la ricorrente, inoltre, non sarebbe condivisibile la tesi del Comune, secondo cui nella fattispecie dovrebbe trovare applicazione l'art. 55 della previgente L.R.T. n. 1/2005 in forza della disposizione transitoria di cui all'art. 222 L.R.T. 65/2014; quest'ultima norma, invero, riguarderebbe soltanto il procedimento di formazione degli strumenti di pianificazione urbanistica (i quali se avviati con la legge n. 1/2005 devono continuare il loro iter di adozione e approvazione con il procedimento dettato dalla medesima legge). In ogni caso, anche se si dovesse ritenere applicabile allo strumento urbanistico comunale in questione la previgente L.R.T. n. 1/2005, le previsioni di cui agli artt. 12 e 27 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico sarebbero comunque decadute, giacché, ai sensi dell'art. 55, comma 5 "Le previsioni di cui al comma 4 ed i conseguenti vincoli preordinati alla espropriazione sono dimensionati sulla base del quadro previsionale strategico per i cinque anni successivi alla loro approvazione; perdono efficacia nel caso in cui, alla scadenza del quinquennio dall'approvazione del regolamento o dalla modifica che li contempla, non siano stati approvati i conseguenti piani attuativi o progetti esecutivi". 2.2. Con la seconda censura la ricorrente sostiene che - se le Norme Generali del Regolamento Urbanistico invocate dal Comune (artt. 12 e 27 cit.) risultassero ancora efficaci - si tratterebbe di previsioni illegittime, confliggenti con la normativa sovraordinata, e perciò da disapplicare. Le citate previsioni, secondo la ricorrente, contrasterebbero infatti con la normativa statale e regionale che ha completamente liberalizzato la materia della distribuzione dei carburanti, sia sotto il profilo urbanistico, sia sotto il profilo commerciale. Tale disposizione, dunque, comporterebbe la caducazione automatica e diretta delle eventuali disposizioni normative regionali e comunali difformi, quali quelle contenute nelle Norme Generali del Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis). 2.3. Con la terza censura la ricorrente lamenta l'illegittimità delle norme invocate dal Comune che, imponendo la sospensione di ogni intervento edificatorio all'interno dell'ambito Parco della Piana fino all'approvazione del "progetto direttore", subordinerebbero il soddisfacimento dell'interesse pretensivo del privato a un accadimento futuro e incerto e produrrebbero un effetto "soprassessorio" indeterminato. 2.4. Con la quarta censura la ricorrente evidenzia l'inadeguatezza dell'istruttoria condotta dal Comune che ha negato l'intervento anziché invitare la ricorrente ad avviare un subprocedimento (che vede coinvolte anche altre Amministrazioni) volto a chiedere l'inserimento dell'intervento edificatorio proposto nel "progetto direttore" del Parco della Piana, come richiesto dall'art. 27 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico. Sarebbe inoltre ingiustificata e irragionevole la mancata concessione della proroga dei termini per la produzione di documentazione integrativa, richiesta dalla ricorrente nell'intento di addivenire ad una positiva conclusione del procedimento. 3. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio evidenziando, in sintesi, che il "progetto direttore" del Parco della Piana non sarebbe equiparabile ad uno strumento urbanistico c.d. di secondo grado e che la disciplina contenuta nel Regolamento Urbanistico non avrebbe determinato alcun effetto espropriativo; le relative previsioni, pertanto, non avrebbero perso efficacia per decorso del quinquennio dall'approvazione delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico e sarebbero tutt'ora vigenti. Per questa ragione, in mancanza del "progetto direttore", la realizzazione di un impianto di distribuzione carburanti nel Parco della Piana non poteva essere autorizzata. 4. All'udienza pubblica del 7 marzo 2024, sentiti i difensori delle parti costituite, la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 1. Il primo motivo del ricorso - con il quale la ricorrente ha dedotto l'intervenuta decadenza delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis) invocate dal Comune per negare il rilascio dell'autorizzazione all'installazione dell'impianto di distribuzione carburanti, per decorso del quinquennio dalla loro approvazione - è fondato nei limiti che vengono di seguito precisati. Come evidenziato negli scritti difensivi del Comune, il Parco della Piana - previsto a inizio anni '90 su iniziativa della Regione Toscana e recepito nel piano di indirizzo territoriale (PIT) con valore di piano paesaggistico e, a livello locale, nelle previsioni urbanistiche dei Comuni interessati - si colloca in un'area che va dal confine del Comune di Firenze fino al confine delle Province di Prato e Pistoia; esso è delimitato, a nord, dall'asse viario della (omissis) -(omissis) e, a sud, dal fiume Ar., per una superficie che complessivamente supera i 7.000 ettari. Si tratta quindi di un "parco agricolo multifunzionale" di valenza metropolitana che si inserisce tra diversi centri storici, poli della produzione e della ricerca e infrastrutture di importanza nazionale. L'art. 54 del Piano Strutturale del Comune di (omissis) ha quindi l'unità territoriale organica elementare della Piana (UTOE Piana) e ha stabilito, in via generale, che le trasformazioni ammesse nell'area fossero orientate alla formazione di un grande parco. Il comma 2, inoltre, ha rimesso la definizione dell'assetto del Parco ad un "progetto direttore" ispirato al raggiungimento di obiettivi quali l'incremento della "continuità ecologico-territoriale", il potenziamento della fruizione ricreativa e il mantenimento del prevalente carattere agricolo dell'area. Il comma 5, infine, ha stabilito che le indicazioni del "progetto direttore" dovevano essere recepite nel Regolamento Urbanistico dell'Ente, nel quale si sarebbero dovute indicare, tra l'altro, le direttive e le prescrizioni per i piani attuativi e per i progetti di sistemazione riguardanti le caratteristiche degli spazi verdi e della viabilità, le attrezzature da realizzare, i parametri edilizi e le utilizzazioni compatibili (cfr. doc. 3 del Comune). L'art. 12 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico del Comune di (omissis) ha ribadito le finalità generali perseguite attraverso la realizzazione del Parco e ha confermato che la definizione dell'assetto del Parco è affidata ad un "progetto direttore" approvato d'intesa con la Regione Toscana e la Provincia di Firenze; si sono inoltre individuati gli interventi ammissibili nelle more dell'approvazione del progetto stesso (cfr. doc. 7 di parte ricorrente, erroneamente riferito all'art. 27). L'art. 27, comma 9 delle medesime Norme Generali, nella parte di interesse, stabilisce infine che "Nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari di settore vigenti, nuovi distributori di carburante... possono essere ubicati lungo la rete viaria..., ad esclusione... del Parco della Piana, se non previsti dal relativo progetto direttore" (cfr. doc. 6 di parte ricorrente, erroneamente riferito all'art. 12). Quest'ultima disposizione - sulla quale in modo specifico e mirato si appuntano le censure di parte ricorrente - ha quindi subordinato la realizzazione degli impianti di carburante nel Parco della Piana alla preventiva approvazione del "progetto direttore" che, almeno sotto questo precipuo profilo, assume pertanto le caratteristiche di uno strumento urbanistico attuativo, di secondo grado, e viene a costituire presupposto necessario per la realizzazione dell'intervento progettato dalla odierna ricorrente. Il fatto che gli artt. 12 e 27 delle Norme Generali possano contenere anche previsioni di altro genere - di natura conformativa e direttamente regolatoria - non esclude che in talune parti, come quella di cui oggi si controverte, le stesse inibiscano la realizzazione di alcuni particolari interventi, subordinandoli alla preventiva approvazione, da parte dell'Amministrazione, di strumenti di natura attuativa che, in quanto tali, non possono non avere un'efficacia temporale limitata. Ed infatti, con riguardo a quest'ultima tipologia di strumenti, l'art. 95, comma 9 della L.R.T. n. 65/2014 stabilisce che "Le previsioni che si realizzano mediante piani attuativi, o progetti unitari convenzionati di iniziativa pubblica, comunque denominati, o mediante interventi di rigenerazione urbana, perdono efficacia nel caso in cui alla scadenza del quinquennio di efficacia del piano operativo o della modifica sostanziale che li contempla, i piani o i progetti non siano stati approvati". Analoga previsione era altresì contenuta nell'art. 55, comma 5 della previgente L.R.T. n. 1/2005, in cui si stabiliva che gli interventi previsti dal regolamento urbanistico e i conseguenti vincoli preordinati alla espropriazione sono dimensionati sulla base del quadro previsionale strategico per i cinque anni successivi alla loro approvazione e che gli stessi "perdono efficacia nel caso in cui, alla scadenza del quinquennio dall'approvazione del regolamento o dalla modifica che li contempla, non siano stati approvati i conseguenti piani attuativi o progetti esecutivi". Pertanto, anche a voler ritenere applicabile al caso di specie la disciplina dettata dalla normativa regionale previgente, come auspicato dal Comune, la mancata approvazione del "progetto direttore" nel quinquennio avrebbe comunque comportato la perdita di efficacia di quelle disposizioni che subordinavano la realizzazione di impianti di distribuzione carburanti all'approvazione di tale strumento di attuazione. E' evidente, d'altra parte, che l'efficacia temporale limitata imposta dal legislatore per questa tipologia di previsioni risponde ad una fondamentale esigenza di tutela degli interessi dei privati proprietari che, altrimenti, vedrebbero indefinitamente sospese e compresse le proprie facoltà dominicali, con effetti di fatto equiparabili a quelli dell'espropriazione, ma senza il rispetto delle garanzie e delle tutele che la legge prevede in tali casi. La soddisfazione degli interessi dei privati risulterebbe peraltro subordinata a scelte discrezionali dell'Amministrazione, incerte nell'an e nel quando, con un effetto "soprassessorio" indeterminato (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 6 febbraio 2018, n. 210). In conclusione, una volta decorsi cinque anni dalla sua approvazione, deve ritenersi decaduta la previsione di cui al più volte citato art. 27, comma 9 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico nella parte in cui ha subordinato la realizzazione degli impianti di distribuzione carburanti nel Parco della Piana all'approvazione del "progetto direttore", mai venuto in essere. E' dunque illegittimo il diniego opposto dal Comune di (omissis) alla ricorrente, fondato esclusivamente, come visto, sulla assenza del "progetto direttore". Si osservi, peraltro, che in base al contenuto del provvedimento impugnato e in base alle difese svolte in giudizio dall'Amministrazione, la realizzazione di un impianto di distribuzione carburanti nell'area della ricorrente non risulta soggetta a limitazioni e vincoli urbanistici, edilizi e commerciali ulteriori e diversi. Va anzi rammentato che in base all'art. 68, comma 1 della L.R.T. n. 62/2018 "Gli impianti di distribuzione di carburanti possono essere realizzati in tutto il territorio comunale ad eccezione dei centri storici" e che in base all'art. 83 bis, comma 17 del d.l. n. 112/2008 conv. in L. n. 133/2008 "Al fine di garantire il pieno rispetto delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e di assicurare il corretto e uniforme funzionamento del mercato, l'installazione e l'esercizio di un impianto di distribuzione di carburanti non possono essere subordinati alla chiusura di impianti esistenti né al rispetto di vincoli, con finalità commerciali, relativi a contingentamenti numerici, distanze minime tra impianti e tra impianti ed esercizi o superfici minime commerciali o che pongono restrizioni od obblighi circa la possibilità di offrire, nel medesimo impianto o nella stessa area, attività e servizi integrativi o che prevedano obbligatoriamente la presenza contestuale di più tipologie di carburanti, ivi incluso il metano per autotrazione, se tale ultimo obbligo comporta ostacoli tecnici o oneri economici eccessivi e non proporzionali alle finalità dell'obbligo". E pertanto, la realizzazione dell'impianto nell'area di interesse - una volta venuta meno la specifica preclusione di cui all'art. 27, comma 9 delle Norme Generali del Regolamento Urbanistico - non risulta incompatibile con le caratteristiche e con la disciplina urbanistica applicabile al Parco della Piana che non ricade in un centro abitato e che, per stessa ammissione del Comune, presenta le caratteristiche tipiche di una zona a destinazione prevalentemente agricola. 2. Alla luce di quanto precede, il ricorso è fondato e, previo assorbimento di ogni ulteriore profilo di censura, va accolto, nei termini e nei limiti sopra precisati. 3. Le spese di lite vanno poste a carico del Comune di (omissis), secondo il criterio della soccombenza. Le stesse, invece, possono essere compensate nei confronti della Regione Toscana e della Città Metropolitana di Firenze, in ragione della loro sostanziale estraneità alla vicenda esaminata e della mancata costituzione in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini precisati in motivazione e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati. Condanna il Comune di (omissis) al rimborso delle spese di lite a favore dei ricorrenti, liquidandole in complessivi euro 3.500,00 oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato versato. Spese compensate nei riguardi della Regione Toscana e della Città Metropolitana di Firenze. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Eleonora Di Santo - Presidente Raffaello Gisondi - Consigliere Silvia De Felice - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 563 del 2024, proposto da Ga. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Ma. Gi., Ri. Na. e Gi. Os., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in persona del Ministro pro tempore, e Commissione Tecnica Pnrr-Pniec, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio; per l’accertamento - e la declaratoria dell'illegittimità del silenzio serbato dal Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica e dalla Commissione Tecnica PNRR-PNIEC di cui all'art. 8, comma 2-bis del D. Lgs. n. 152/2006 a fronte dell'istanza ai sensi dell'art. 23 del Codice dell'Ambiente trasmessa con nota del 15 novembre 2021 e acquisita al protocollo ministeriale n. (…) del 14 dicembre 2021, per l'avvio del procedimento di valutazione dell'impatto ambientale nazionale divenuta procedibile a seguito della comunicazione del MASE trasmessa in data 21 aprile 2022 con nota prot. n. (…), successivamente corretta con nota prot. n. (…) del 19 maggio 2022 (codice di procedura ministeriale 7780) con riferimento alla costruzione ed esercizio di un impianto agrivoltaico denominato “Gavorrano 1”, di potenza pari a 14,96 MW e delle relative opere di connessione alla rete elettrica nazionale, da realizzarsi nel territorio del Comune di (Omissis) (GR) in località "Strada Comunale Poggio al Fabbro", per aver omesso di adottare gli atti dovuti e non aver, per l'effetto, concluso il procedimento entro i termini perentori di cui all'art. 25, comma 2-bis del Codice dell'Ambiente a seguito della comunicazione di procedibilità dell'istanza e della pubblicazione della relativa documentazione ai sensi dell'art. 24, comma 2 del Codice dell'Ambiente unitamente avvenute in data 21 aprile 2023; - in ogni caso per l'accertamento dell'inerzia serbata dal MASE a fronte della nota di sollecito alla celere emissione del provvedimento di VIA inviata dalla Società in data 13 novembre 2023 a mezzo posta elettronica certificata; - nonché per la condanna delle Amministrazioni resistenti alla sollecita definizione del suddetto procedimento di VIA nazionale, chiedendo sin d'ora la nomina di un Commissario ad acta in caso di perdurante o rinnovata inerzia delle suddette Amministrazioni a concludere il procedimento. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2024 la dott.ssa Katiuscia Papi; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La società Ga. S.r.l., avendo in animo di realizzare nel territorio del Comune di (Omissis) (GR), in località “Strada Comunale Poggio al Fabbro”, un progetto consistente nella costruzione ed esercizio di un impianto agri-voltaico denominato “Gavorrano 1”, di potenza pari a 14,96 MW, e delle relative opere di connessione alla rete elettrica nazionale, in data 15 novembre 2021 presentava al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (già Ministero per la transizione ecologica - MITE) un’istanza per la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) ai sensi dell’art. 23 D. Lgs. 152/2006. Il succitato progetto, per quanto dichiarato dalla Ga. S.r.l. nell’istanza di VIA, rientra tra quelli disciplinati dall’art. 8, comma 2-bis, del D. Lgs 152/2006, in quanto ricompreso tra le categorie progettuali di cui all’Allegato II alla Parte Seconda del D. Lgs 152/2006 di competenza statale, nonché tra i progetti di attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) di cui all’Allegato I bis, del medesimo D. Lgs. 152/2006. Per il progetto in questione si applicano pertanto i tempi e le modalità previsti per i progetti di cui all’art. 8 comma 2 bis D. Lgs. 152/2006, nonché degli articoli 24 e 25 del medesimo Codice dell’Ambiente, e l’istruttoria tecnica della V.I.A. è svolta dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC, istituita ai sensi del citato art. 8 comma 2 bis, insediatasi in 18 gennaio 2022 (si veda l’allegato 2). 2. Il MASE, con nota prot. 48990 del 21 aprile 2022, comunicava alla società e agli enti interessati la verificata procedibilità dell’istanza di Ga. S.r.l., la pubblicazione nel sito dell’Amministrazione della documentazione trasmessa dalla società richiedente (Progetto, Studio di impatto ambientale, Sintesi non tecnica, Avviso al pubblico), l’avvio del procedimento di VIA con tutte le indicazioni prescritte dagli artt. 7 e 8 L. 241/1990, e l’affidamento dell’istruttoria alla succitata Commissione. In particolare, relativamente all’Avviso pubblico, la nota in esame comunicava che: «Ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii., come modificato dall’art. 6, del decreto legge n. 152 del 6 novembre 2021, si precisa che dalla data della presente comunicazione di pubblicazione dell’avviso al pubblico sul sito web del Ministero, decorre il termine di 30 giorni entro il quale chiunque abbia interesse può presentare alla scrivente le proprie osservazioni concernenti la Valutazione di Impatto Ambientale, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi. Ai sensi del predetto comma, entro il medesimo termine, sono acquisiti per via telematica i pareri delle Amministrazioni e degli Enti pubblici in indirizzo». 3. La Provincia di Grosseto presentava le proprie osservazioni in data 8 giugno 2024, come affermato dalla ricorrente. Il Ministero della Cultura (la cui istanza è prodotta solo nel frontespizio – allegato 4) e la Commissione Tecnica PNRR – PNIEC (allegato 5) chiedevano a Ga. S.r.l. delle integrazioni documentali. Su richiesta di sospensione della società, con nota del Ministero in data 12 agosto 2022 si comunicava che: «nulla osta a consentire la proroga, ai sensi del comma 4 dell’art. 24 del D. Lgs. 152/2006, di 120 giorni per la presentazione di detta documentazione integrativa, che dovrà pertanto pervenire entro il giorno 2/12/2022». Il 2 dicembre 2022 Ga. S.r.l. trasmetteva tramite pec all’Amministrazione la documentazione richiesta ad integrazione degli atti iniziali, come dichiarato in ricorso (allegato 7, dal quale non è possibile verificare gli allegati alla mail trasmessa dalla società). Come affermato nell’atto introduttivo (e confermato dalle premesse del parere MIC – Allegato 9), tali integrazioni istruttorie erano pubblicate dal MASE nel proprio sito web il 16 gennaio 2023, aprendo così l’ulteriore fase partecipativa del procedimento ai sensi dell’art. 24 comma 5 D. Lgs. 152/2006, assegnando il termine di 15 giorni per eventuali interlocuzioni, con scadenza al 31 gennaio 2023 (la circostanza non è documentata negli atti di causa, ma in assenza di contestazione può ritenersi provata ai presenti fini processuali). 4. In seguito, con DGR n. 183 del 27 febbraio 2023 la Regione Toscana esprimeva sull’intervento parere favorevole (con prescrizioni e raccomandazioni contenute nell’allegato ed approvato parere istruttorio) ex art. 24 comma 3 D. Lgs. 152/2006. Il Ministero della Cultura emetteva invece il proprio pronunciamento favorevole con nota del 20 marzo 2023 (allegato 9), subordinato ad alcune – contestualmente esplicitate – condizioni ambientali. Successivamente non sopravvenivano ulteriori atti da parte della p.a., nonostante i solleciti trasmessi dalla Ga. S.r.l. all’indirizzo della Commissione PNRR-PNIEC, e del MASE (allegato 3). 5. Con l’atto introduttivo del presente giudizio la Ga. S.r.l. ricorreva avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione (Commissione e Ministero), ai sensi dell’art. 117 c.p.a., chiedendo l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia, la condanna dell’Amministrazione a concludere il procedimento di VIA, e la nomina di un Commissario ad acta. 5.1. La Commissione tecnica PNRR-PNIEC e il Ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo Energetico, sebbene ritualmente intimati, non si costituivano nel giudizio. 5.2. All’udienza camerale del 15 maggio 2024 la causa era trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è fondato e merita accoglimento, nei termini di seguito precisati. Ai sensi dell’art. 25 comma 2 bis D. Lgs. 152/2006, una volta conclusa la fase pubblica di consultazione sull’istanza di VIA, la Commissione Tecnica PNRR – PNIEC deve predisporre lo schema di provvedimento conclusivo e trasmetterlo al MASE entro 30 giorni. In virtù della medesima disposizione normativa, il direttore generale del MASE adotta il provvedimento di VIA nei successivi trenta giorni, previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del MIC, che dispone di non più di 20 giorni per esprimersi. I termini indicati sono perentori, come da espressa previsione dell’art. 25 comma 7 D. Lgs. 152/2006. 7. Orbene, nel caso di specie la Commissione PNRR-PNIEC avrebbe dovuto redigere lo schema di provvedimento finale, e trasmetterlo al MASE, entro il 2 marzo 2023, ovvero entro trenta giorni dalla conclusione della seconda fase di consultazione pubblica, terminata il 31 gennaio 2023. In seguito, il MASE dovrà emettere l’atto finale del procedimento entro i successivi trenta giorni (previo concerto, entro venti giorni, del competente direttore generale del MIC). Con riferimento all’inerzia della Commissione, si è dunque perfezionato il silenzio inadempimento censurato da Ga. S.r.l. nell’atto introduttivo del giudizio. Per ciò che concerne l’attività del MASE, il Direttore Generale dello stesso dovrà invece emettere l’atto finale del procedimento entro i successivi trenta giorni, decorrenti dall’acquisizione dello schema redatto dall’organo tecnico. Non avendo la Commissione ancora provveduto alla predisposizione dello schema, il termine in questione non è ancora decorso; conseguentemente, non vi è un’inerzia censurabile in capo al Ministero. 8. La domanda proposta dalla Ga. S.r.l. ai sensi dell’art. 117 c.p.a. va dunque accolta nei confronti della Commissione PNRR-PNIEC; per l’effetto, questo Tribunale accerta e dichiara l’illegittimità del silenzio serbato dalla Commissione medesima, e ordina a detto organo tecnico di adottare lo schema del provvedimento conclusivo del procedimento di VIA entro il termine perentorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione o notifica della presente sentenza. Si nomina quale Commissario ad acta, per il caso di ulteriore inerzia della Commissione rispetto al termine qui assegnato, il Capo del Dipartimento Sviluppo Sostenibile del MASE, con facoltà di delega, al quale si assegna il termine perentorio di ulteriori trenta giorni per convocare la Commissione PNRR-PNIEC, ai fini della predisposizione dello schema del provvedimento conclusivo del procedimento avviato da Ga. S.r.l.; la Commissione dovrà redigere e comunicare al Ministero lo schema del provvedimento conclusivo entro il successivo termine di ulteriori trenta giorni; il Direttore Generale del Ministero dovrà adottare l’atto definitivo conclusivo entro trenta giorni dalla comunicazione del succitato schema. 9. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, e vengono pertanto poste a carico della Commissione Tecnica PNRR-PNIEC, che dovrà rifonderle, in aggiunta al contributo unificato, alla società ricorrente. Si compensano le spese nei confronti del MASE. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e nei termini indicati in motivazione. Nomina quale Commissario ad acta, con le determinazioni di cui alla parte motiva, il Capo del Dipartimento Sviluppo Sostenibile del MASE, con facoltà di delega. Condanna la Commissione Tecnica PNRR-PNIEC alla refusione, in favore della Ga. S.r.l., delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nella complessiva somma di €. 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge, maggiorata degli importi dovuti per il pagamento del contributo unificato. Compensa le spese nei confronti del MASE. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Alessandro Cacciari, Presidente Katiuscia Papi, Primo Referendario, Estensore Marcello Faviere, Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 638 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Vi. Al., rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ce. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Be. Co. in Firenze, via (...); Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via (...); nei confronti Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze, domiciliataria ex lege in Firenze, via (...); Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Comando Stazione Nucleo Forestale, non costituito in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - dell'ordinanza del Responsabile del Servizio di Polizia Municipale del Comune della Città di (omissis) n. 37 del 28.3.2023, con oggetto "Caserma CC (omissis) - Esigenze di sosta - Modifica disciplina stalli esistenti lungo il perimetro", con cui è stato disposto che i 3 stalli di sosta disciplinati a disco orario nel parcheggio ubicato di fronte alla caserma dell''Arma dei Carabinieri di Via (omissis), a far data dall'apposizione della prescritta segnaletica, fossero modificati in parcheggi riservati all''Arma stessa, per le esigenze funzionali della sua attività . nonché di ogni atto ad essa presupposto, connesso e/o conseguente, ivi compresi: - la nota a firma del Comandante della Stazione di (omissis) della Regione Carabinieri Forestale "Toscana" prot. n. 178/1-1/2023 del 24.4.2023, nella parte in cui si afferma che la riserva dei predetti stalli di sosta in favore dell'Arma dei Carabinieri non costituirebbe pregiudizio per l''utenza, data la presenza di ulteriori stalli di sosta nelle vicinanze; - ove occorrer possa, qualsiasi ulteriore provvedimento adottato dal Comune in riscontro all'istanza di annullamento in autotutela della suddetta ordinanza, proposta dal ricorrente in data 10.5.2023, se ed in quanto lesivo nei suoi confronti; nonché per la conseguente condanna al risarcimento per equivalente dei danni subiti dal ricorrente in conseguenza dell''esecuzione dei provvedimenti impugnati (con espressa riserva di quantificarli in corso di causa). per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 9/7/2023: del provvedimento del Comune di (omissis) del 16.6.2023, di diniego dell''istanza di annullamento in autotutela proposta dal ricorrente in data 10.5.2023, ivi compresa la relativa comunicazione di diniego preliminare ex art. 10-bis legge 241/1990 del 29.5.2023. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Nell'atto introduttivo del giudizio il ricorrente espone quanto segue: - egli è contitolare di uno studio professionale in cui esercita l'attività di commercialista, ubicato nella zona di (omissis), in Via (omissis); - di fronte all'entrata del suddetto studio professionale sono presenti n. 3 stalli di sosta, disciplinati a disco orario, che venivano utilizzati abitualmente dal ricorrente e dall'utenza dello studio, oltre che dagli abitanti della zona; - con ordinanza del Comune della Città di (omissis) n. 37 del 28.3.2023 veniva disposto che tali stalli di sosta, a far data dall'apposizione della prescritta segnaletica, fossero modificati in parcheggi riservati all'Arma dei Carabinieri, per le esigenze funzionali della sua attività, segnaletica che veniva apposta subito in esito all'emissione dell'ordinanza; - il ricorrente, a seguito di accesso agli atti, acquisiva nota del Comandante della Stazione Carabinieri di (omissis) che affermava come sarebbe stato sufficiente, per le esigenze dell'Arma, anche "in alternativa il rilascio di permessi individuali di deroga ai posti a disco orario già esistenti nelle aree limitrofe"; - il ricorrente avanzava quindi domanda di autotutela, chiedendo all'amministrazione l'adozione della misura meno gravosa, come da richiesta anche dell'Arma. 2 - Parte ricorrente impugna quindi l'ordinanza comunale, articolando nei suoi confronti la seguente unica complessa censura: evidenzia il difetto di istruttoria, poiché, risultando già riservati ai Carabinieri n. 6 stalli di sosta posti su un'altra via adiacente alla caserma, in aggiunta a quelli presenti nel relativo parcheggio interno, sarebbe stata necessaria un'istruttoria approfondita, finalizzata a verificare l'effettiva sussistenza della necessità di sottrarre ulteriori posti all'uso collettivo, in relazione alle esigenze funzionali (solo) dichiarate (e non dimostrate) dall'Arma; d'altra parte tale necessità risulta smentita dalla stessa nota dell'Arma nella quale si affermava l'idoneità per i richiedenti del rilascio di permessi individuali di deroga ai posti a disco orario già esistenti nelle aree limitrofe; d'altra parte gli ulteriori stalli di sosta esistenti in zona risultano ubicati a 150 metri di distanza rispetto allo studio professionale del ricorrente e gli stessi sono posti all'interno del parcheggio antistante alla Stazione ferroviaria di (omissis), che risulta congestionato dalle auto in sosta degli utenti della stazione (pendolari, accompagnatori, etc.), oltre che da quelle degli abitanti della zona. 3 - Il Ministero della Difesa e il Comune di (omissis) si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso. L'amministrazione comunale ha evidenziato che l'ordinanza gravata è stata adottata in esito a specifica richiesta del competente Comandante dei Carabinieri, nella quale si dava espressamente atto della "insufficienza dei posti interni ed esterni attualmente disponibili" a causa dell'accorpamento in un unico stabile di due Stazioni dell'Arma (Comando Stazione Carabinieri (omissis) e Comando Stazione Regione Carabinieri Forestale Toscana). Il Comune di (omissis) eccepisce il difetto di legittimazione a impugnare i provvedimenti in materia di sosta, che hanno portata generale, e il difetto di interesse di parte ricorrente; nel merito evidenzia l'infondatezza del ricorso, stante la natura di atto amministrativo generale dell'ordinanza gravata, non soggetto a obbligo di motivazione, e la sussistenza di ampia potestà discrezionale dell'amministrazione e la sussistenza comunque di un interesse pubblico concreto alla base dell'atto medesimo. 4 - Con motivi aggiunti il ricorrente ha quindi impugnato il provvedimento del Comune di (omissis) del 16 giugno 2023 di diniego dell'istanza di annullamento in autotutela proposta dal ricorrente in data 10 maggio 2023, formulando nei suoi confronti i seguenti motivi: - con il primo motivo aggiunto evidenzia la sussistenza della sua legittimazione e del suo interesse all'impugnativa degli atti in materia di sosta, correlati all'interesse a che il medesimo ricorrente e la sua clientela possano abitualmente continuare ad usufruire di diversi posteggi posti proprio di fronte l'entrata dello studio professionale; - con il secondo motivo aggiunto contesta il richiamo all'art. 7 del codice della Strada, sul rilievo che nella specie i posti sosta risultano destinati ai veicoli privati degli appartenenti all'Arma e non dei veicoli di servizio come preteso dalla norma; rileva altresì che l'ordinanza impugnata non è stata adottata dal Sindaco, così come richiesto dalla suddetta normativa, bensì dal Responsabile del Servizio di Polizia Municipale, a conferma dell'assoluta illegittimità del provvedimento impugnato, poiché emesso da un organo incompetente; - con il terzo motivo aggiunto ripropone le censure già formulate nel ricorso introduttivo ed estese ora anche all'atto gravato con motivi aggiunti. 5 - Il Ministero della Difesa e il Comune di (omissis) resistono anche ai motivi aggiunti. 6 - Chiamata la causa alla pubblica udienza del 16 maggio 2024, e sentiti i difensori comparsi, come da verbale, la stessa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. 7 - Il Collegio ritiene di poter prescindere dallo scrutinio delle eccezioni preliminari formulate dall'amministrazione comunale, stante l'infondatezza nel merito del ricorso e dei motivi aggiunti. 7.1 - Con nota del 24 marzo 2023 il Comandante della Stazione Carabinieri di (omissis) avanzava richiesta la Comune di (omissis) di "parcheggi riservati Arma Carabinieri", rilevando che "si chiede di poter riservare per l'Arma dei Carabinieri n. 3 posti auto nella strada senza nome a sx della Stazione Carabinieri (omissis), a fianco dell'ingresso carrabile, causa insufficienza dei posti interni ed esterni attualmente disponibili". Con ordinanza n. 37 del 28 marzo 2023 il Comune di (omissis), richiamava "la richiesta in atti con cui il Comandante della stazione di (omissis) dei Carabinieri Forestale, nell'informare dello spostamento della stazione da via Cassia Aurelia a via (omissis), all'interno della Caserma esistente, stante l'insufficienza degli spazi di sosta interni ed esterni alla caserma stessa, evidenzia la necessità di prevedere che i 3 stalli di sosta disciplinati a disco orario esistenti a fianco dell'ingresso carrabile sul lato sud, siano destinati alle esigenze funzionali dei Carabinieri per l'esercizio della loro attività "; evidenziava "che tale divieto si rende necessario per consentire un agevole svolgimento dell'attività istituzionale dei Carabinieri Forestale"; evidenziava ancora come fosse "necessario quindi modificare la disciplina della sosta dei 3 stalli di sosta regolamentata a disco orario in sosta riservata alle esigenze funzionali dell'Arma dei Carabinieri Forestali", provvedendo in tal senso. Con ulteriore nota in data 24 aprile 2023, nell'ambito del procedimento di accesso agli atti avanzato in materia, il Comandante della Stazione Carabinieri specificava che la richiesta di posti di sosta riservati "è motivata, come in richiesta, dal fatto che con l'accorpamento in un unico stabile di due Stazioni dell'Arma, si è verificato l'aumento dell'organico di cinque unità, con conseguente insufficienza dei posti auto disponibili interni ed esterni alla caserma"; aggiungeva altresì che "dai contatti informali avuti precedentemente la richiesta, era stato fatto da voi notare che riservare degli stalli di sosta ulteriori, rispetto a quelli esistenti, rappresentava la cosa migliore. Tuttavia, a parere dello scrivente, potrebbe essere valutabile in alternativa il rilascio di permessi individuali di deroga ai posti a disco orario già esistenti nelle aree limitrofe". Con provvedimento del 16 giugno 2023 il Comune di (omissis) respingeva quindi l'istanza di autotutela avanzata dall'odierno ricorrente. 7.2 - Parte ricorrente ha impugnato, con il ricorso principale, l'ordinanza comunale n. 37 del 2023, e con i motivi aggiunti l'atto con cui l'amministrazione comunale ha respinto l'istanza di autotutela. I motivi avanzati in ricorso e motivi aggiunti possono essere fatti oggetto di congiunto esame e sono infondati alla luce delle considerazioni che seguono: - in ordine logico deve essere previamente scrutinata la censura avanzata in seno ai motivi aggiunti e a mezzo della quale parte ricorrente censura l'ordinanza gravata per incompetenza, in quanto non adottata dal Sindaco, come a suo avviso avrebbe dovuto avvenire; la censura è infondata, poiché con costante orientamento di questo Tribunale amministrativo, è stato ritenuto che i provvedimenti con i quali si disciplina la circolazione sulla viabilità comunale, le modalità di accesso alla stessa e di sosta, assumendo natura tipicamente gestoria ed esecutiva, appartengono alla competenza dei dirigenti, e non del Sindaco e il riferimento al Sindaco operato dalle norme del d.lgs. n. 285/92, a seguito del passaggio dei poteri di gestione dagli organi politici a quelli burocratici sancito dalle riforme amministrative degli anni 90, deve intendersi riferito alla dirigenza (cfr. le sentenze della Sezione 1^ 16.6.2014, n. 1033; 8.2.2021, n. 215; 3.6.2022, n. 753); - viene quindi censurato il difetto di adeguata istruttoria da parte comunale a sostegno della determinazione assunta di riserva ai Carabinieri di tre stalli della sosta ubicati in prossimità della Stazione dell'Arma; il profilo non convince, in quanto il dato essenziale, accertato nelle interlocuzioni con la Stazione Carabinieri e non contestato, è che l'aumento dei posti per la sosta riservato ai Carabinieri è giustificato dall'incremento di militari operanti nella Stazione, in esito alla fusione con la pre-esistente Stazione dei Carabinieri Forestali, con aumento di organico di cinque unità ; non risulta censurabile il profilo motivazionale sul quale si regge l'ordinanza gravata e che richiama l'esigenza di favorire "un agevole svolgimento dell'attività istituzionale dei Carabinieri Forestale"; si tratta certo di interesse pubblico rilevante e prevalente su interessi privati attinenti all'agevole reperimento di posti sosta, dato che tale ultimo interesse non è del tutto pretermesso, risultando esistere parcheggi fruibili in zona; - non è censurabile in questa sede giurisdizionale, attenendo ad un profilo di merito, la scelta se riservare all'Arma alcuni stalli o piuttosto rilasciare ai militari permessi individuali di deroga ai posti a disco orario già esistenti nelle aree limitrofe; in tal senso l'avviso espresso dal Comandante della Stazione non aveva alcuna valenza cogente, la decisione spettando all'amministrazione comunale; - la riserva di posti sosta è disposta "per le esigenze funzionali alla sua attività ", cioè all'attività dell'Arma, il che comprende sia l'utilizzo riferito alle auto istituzionali ma anche alle auto dei militari, il cui parcheggio in prossimità della Stazione è funzionale alla sicura e rapida presa di servizio, non risultando che ciò sia in contrasto con l'art. 7 del d.lgs. n. 285 del 1992 ove parla di veicoli degli organi di polizia. 8 - Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso e i connessi motivi aggiunti devono essere respinti, con spese a carico di parte ricorrente e in favore del Comune di (omissis); spese compensate nei confronti delle amministrazioni statali costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e sui connessi motivi aggiunti, li respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di (omissis), liquidate in Euro 1.500,00 oltre accessori di legge; spese compensate tra le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani - Presidente, Estensore Giovanni Ricchiuto - Consigliere Nicola Fenicia - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE 03 Terza sezione CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Vincenza Ruggiero ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6481/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. RU.AN. elettivamente domiciliato in (...) FOGGIA presso il difensore avv. RU.AN. PARTE ATTRICE contro (...), con il patrocinio dell'avv. BA.SA. elettivamente domiciliato in (...) FIRENZE presso il difensore avv. BA.SA. PARTE CONVENUTA Oggetto: contratti e obbligazioni Conclusioni: come in atti Preliminarmente, deve darsi atto che la presente sentenza viene estesa senza la concisa esposizione dello "svolgimento del processo" e, dunque, ai sensi del combinato disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c.; pur se superflua, perché la sentenza semplificata è l'effetto di una disposizione legislativa, tale premessa appare opportuna trattandosi di una disposizione che modifica la tecnica diffusa di far ricorso a moduli compilativi più complessi; tra l'altro, le prescrizioni di legge e regolamentari circa la necessità di smaltire i ruoli esorbitanti e contenere la durata della cause impongono l'applicazione di uno stile motivazionale sintetico che è sicuramente stile più stringente alle disposizioni di legge secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica. Inoltre, l'art. 281 sexies c.p.c. dispone che il giudice pronuncia sentenza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e solo della "concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione". Giova comunque evidenziare che con ricorso ex art. 281 decies cpc regolarmente notificato, il sig. (...) conveniva in giudizio la (...) per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: "(...) Accogliere la domanda e, per gli effetti, accertare e dichiarare la nullità del contratto di finanziamento revolving, con conseguente diritto di restituire soltanto le somme ricevute in prestito al tasso legale, ai sensi dell'art. 1284, comma 3°, c.c. b) Con condanna della Società convenuta al pagamento delle spese e competenze di lite". All'uopo deduceva che: "Il ricorrente ha stipulato in data 26.11.04 con la (...) il contratto di finanziamento per l'acquisto di un elettrodomestico. Con il medesimo contratto è stata concessa una linea di credito con carta, c.d. carta revolving (cfr. contratto, all. 1, di cui si riporta uno stralcio: OMISSIS b) Il contratto di apertura di credito tramite carta, sottoscritto per l'acquisto di un elettrodomestico, è stato collocato tramite un venditore di elettrodomestici appartenente alla grande distribuzione (contratto, all. 1, di cui si riporta uno stralcio: OMISSIS c) Per tale ragione il detto contratto viola le norme sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari secondo cui, per la promozione e per la conclusione di contratto di finanziamento, gli intermediari finanziari devono avvalersi degli agenti in attività finanziaria, disciplinati dal D.Lgs. n. 374/1999. d) La violazione delle norme sul collocamento e distribuzione dei prodotti finanziari comporta la nullità del contratto di finanziamento tramite carta per violazione della disciplina pubblicistica di settore, con conseguente obbligo per l'Intermediario di restituire al cliente tutte le spese e gli interessi connessi al finanziamento ovvero di scorporarli dalla maggior somma dovuta dallo stesso nella misura di cui all'estratto conto storico (all. 2). e) Va aggiunto che un siffatto accordo contrattuale è altresì nullo in quanto la parte proponente assume un obbligo sottoposto ad una condizione sospensiva meramente potestativa, dipendente dal proprio arbitrio, in violazione dell'art. 1355 c.c., nonché per violazione dell'art. 117 TUB, la cui ratio è proprio quella di garantire la piena e completa trasparenza dei rapporti contrattuali tra l'(...) ed il cliente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di conoscere e verificare analiticamente le condizioni contrattualmente previste. L'istante ha diritto ed in interesse alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento di carta revolving ed all'accertamento della restituzione all'Intermediario delle sole somme prese in prestito al tasso legale, da quantificarsi in un separato giudizio." Si costituiva la (...) chiedendo il rigetto della domanda sollevando eccezioni sia in diritto che in fatto. MOTIVI DELLA DECISIONE Sull'eccezione di improcedibilità per mancata partecipazione della parte personalmente alla mediazione delegata dal Giudice: l'eccezione è infondata. La Suprema Corte ha affermato che nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lg. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale (Cass. 8473/2019, conf. Cass. 20643/2023). La Cassazione sul punto ha osservato che l'art. 8, "dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati." "La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato". Allo stesso tempo ha precisato che "la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri...Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista". Dall'esame delle sentenze della Cassazione in siffatta materia non si evincono quindi espressi limiti alla scelta della parte di conferire ad un soggetto terzo munito di idonei poteri rappresentativi sul piano sostanziale ed a conoscenza dei fatti. L'art. 7 lett. h del D.Lgs. 149/2022 in attuazione della Legge Delega n. 206/2021 ha modificato tuttavia l'art. 8 D.Lgs. 28/2010 prevedendo al comma 4 che "Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale". All'introduzione dei "giustificati motivi" non corrisponde una nozione legislativa che li definisca, non essendo tra l'altro possibile, a parere di questo Giudice, tipicizzare le ragioni che rendono necessaria la nomina di un rappresentante. Spetta piuttosto al giudice valutare le ragioni che hanno indotto a rilasciare la procura. Orbene, ritiene questo Giudicante che nel caso in esame possono ritenersi validi i motivi giustificativi evidenziati dalla parte ricorrente la quale, con condotta ben diversa da chi decide inopinatamente di non partecipare alla mediazione, ha ritenuto di farsi rappresentare non solo dal difensore ma anche da un soggetto terzo, tra l'altro presidente di un'associazione di consumatori. Quanto alla procura conferita allo stesso, rag. (...) essa non può ritenersi affetta da nullità in quanto consente di determinare con sufficiente chiarezza la controversia oggetto di mediazione dal momento che è pacifico che non sono state instaurate dal ricorrente altre procedure contro (...) dinanzi al Tribunale di Firenze; l'espressione "azione di ripetizione" non può ritenersi incompatibile con il petitum azionato poiché che dall'accertamento della nullità del contratto discende il diritto, di cui si chiede l'accertamento, di versare esclusivamente gli interessi legali e quindi, in sostanza, di ottenere la restituzione/rettifica degli interessi ultralegali indebitamente conteggiati. Si ritiene infondata anche l'eccezione di prescrizione svolta da parte convenuta, dal momento che il ricorrente ha svolto solo una domanda di accertamento della nullità contrattuale, che è imprescrittibile, e l'ulteriore domanda di accertamento della misura dovuta degli interessi non è che il riflesso contabile di quella nullità (cfr. in questo senso Cass. n. 3858/2021, con riferimento al contratto di c/c). Infondata altresì l'eccezione di decadenza: per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cass. 6514/2007) la mancata tempestiva contestazione ex art. 1832 c.c. degli estratti di conto corrente da parte del correntista nel termine contrattualmente previsto rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo meramente contabile, ma non impedisce la contestazione della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivano. Pertanto, nell'ipotesi in esame, in cui si controverte in tema di nullità del contratto, nessuna rilevanza può assumere ai fini dell'ammissibilità dell'accertamento la mancata contestazione degli estratti di conto corrente nel suddetto termine. Nel merito la domanda formulata dal ricorrente è fondata e merita accoglimento. Circa la legittimazione del fornitore di un bene o servizio a svolgere attività di promozione e conclusione di una linea di fido revolving, deve ritenersi condivisibile l'orientamento adottato dai collegi territoriali dell'Arbitro Bancario e Finanziario e da questo Tribunale, secondo cui la disciplina di cui all'art. 3 del D.Lgs. n. 374/1999 ("L'esercizio professionale nei confronti del pubblico dell'agenzia in attività finanziaria, indicata nell'articolo 1, comma 1, lettera n), è riservato ai soggetti iscritti in un elenco istituito presso l'UIC") può essere derogata solo nell'ipotesi di promozione e conclusione, da parte di fornitori di beni e servizi, di contratti di finanziamento per l'acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con intermediari finanziari (credito finalizzato), nel cui ambito non è comunque ricompresa l'attività di promozione e conclusione di contratti di credito revolving. Anche se la distribuzione di carte di pagamento è eccezionalmente permessa in deroga alla disciplina degli agenti in attività finanziaria, va rilevato che il credito revolving non costituisce una semplice carta di pagamento, risolvendosi piuttosto in una operazione di prestito complessa e onerosa. L'intento perseguito dal legislatore è quello di assicurare il contatto del cliente che richiede prodotti finanziari con personale qualificato e preparato, in grado consigliare e indirizzare verso i prodotti più idonei alle esigenze effettivamente sussistenti. La deroga alla richiesta qualificazione del personale è eccezionale ed è limitata al finanziamento del bene contestualmente venduto e alla distribuzione di carte di pagamento, cioè al caso di operazioni semplici e di importo contenuto. L'illegittimità della prassi di utilizzare la rete di esercizi commerciali convenzionati per la promozione e conclusione di contratti di finanziamento non finalizzati, fra cui l'emissione di carte di credito revolving, è stata tra l'altro stigmatizzata anche dalla Banca d'Italia con la Comunicazione del 20-042010, con la quale si richiamano l'art 3 dlgs. 374/99 e il Regolamento MEF del 2001, sopra citati. Orbene, venendo al caso di specie, va rilevato che l'attività del negoziante non si è limitata alla distribuzione di una carta di pagamento, contrariamente a quanto sostenuto dalla (...) ma lo stesso ha raccolto una proposta contrattuale relativa alla apertura di una linea di credito, utilizzabile anche mediante carta di credito, di tipo revolving. Peraltro, tale tipo di credito è quello che prevede i costi più elevati e presenta con frequenza il rischio di scarsa trasparenza e chiarezza, cui non si sottrae il contratto in esame. Il numero delle clausole, la scrittura minuta e quasi illeggibile del testo del contratto, contribuiscono a rendere l'informativa tutt'altro che rapida e chiara, in evidente contrasto con le finalità della normativa posta a tutela del consumatore. Ciò chiarito, la inosservanza delle norme sul collocamento e distribuzione di prodotti finanziari, non può che essere sanzionata con la conseguente nullità del contratto, avendo concretizzato una violazione della disciplina pubblicistica di settore, avente natura imperativa, volta a regolamentare il settore del credito e, come tale, preordinata al perseguimento di un interesse che trascende il singolo soggetto/cliente. (in tal senso, ex plurimis, Cass. n. 4800/99: "L'esercizio dell'attività di intermediazione finanziaria richiede, quale condizione necessaria, l'iscrizione al ruolo degli agenti in affari di mediazione; in difetto, il contratto è nullo"; conforme Cass. n. 3272/01). Ne consegue che va accolta la censura di nullità avanzata da parte ricorrente; le somme ricevute in prestito a titolo di finanziamento revolving dovranno dunque essere restituite non al tasso di interesse pattuito, dichiarato nullo, quanto piuttosto al tasso legale di interesse ex art. 1284 co. 3 c.c. quale corrispettivo minimo per aver goduto delle somme ricevute (in questi termini, ABF Collegio di Napoli n.2436/2022; ABF Collegio di Palermo, decisione n. 25085/21). In merito poi al comportamento tenuto dal ricorrente ritenuto viziato da mala fede per avere beneficiato per anni della linea di credito revolving senza aver mai contestato alcunché, va rilevato che il sig. (...), risulta aver agito sempre in buona fede, avendo lo stesso sempre rispettato il pagamento delle rate e le altre condizioni contrattuali, ovviamente ignorando che il contratto non fosse perfettamente valido. La tesi della resistente presuppone infatti che il consumatore conoscesse fin dall'inizio la causa di nullità, mentre la natura del contraente debole, come tale non informato, fa presumere che nulla potesse sapere e che anzi confidasse nella validità del contratto per tutti gli anni di esecuzione. Appare ovvio che solo dopo che è venuto a conoscenza che il contratto così come aveva concluso non era conforme alle normative, il (...) ha azionato il suo diritto al fine di ottenere la nullità del medesimo. A nulla rileva il fatto che lo stesso non abbia mai contestato gli estratti conto della banca, dal momento che il medesimo non contesta la verità effettuale e contabile delle singole annotazioni, bensì la validità delle varie pattuizioni alla base delle quali sta il rapporto obbligatorio. Le spese seguono la soccombenza, con liquidazione che deve tenere conto del valore della controversia e con una riduzione derivante dal numero limitato di udienze e dall'attività effettivamente espletata dal difensore, anche in ragione della natura sommaria del procedimento in oggetto, e con fase di mediazione al minimo stante l'unicità dell'incontro. PQM Il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa promossa come in narrativa, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1. accoglie la domanda formulata da (...) e per l'effetto dichiara la nullità del contratto di concessione di linea di credito con carta revolving, oggetto di causa; 2. dichiara l'obbligo di parte ricorrente di restituire esclusivamente le somme in capitale ricevute al tasso legale di volta in volta vigente; 3. condanna (...) al pagamento in favore del ricorrente delle spese del presente giudizio che si liquidano in euro 2.000,00 per compenso, oltre rimborso del contributo unificato e delle spese vive di mediazione, oltre Euro 662,00 per il procedimento di mediazione, oltre al rimborso spese generali, I.V.A. e Cassa Previdenza Avvocati come per legge. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle ore 19,23 in assenza delle parti rinunzianti a presenziare ed allegazione al verbale. Firenze, 16 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 388 del 2020, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Firenze, via (...); per l'annullamento - del decreto dirigenziale n. -OMISSIS-, e notificato il 24.2.2020, con il quale il -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- è (stato) sospeso disciplinarmente dall'impiego per mesi; - di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso, ancorché non cognito al ricorrente, ivi inclusa la nota della Direzione Generale per il Personale Militare (I Reparto/3^Divisione/4^ Sezione) del 6.2.2020 prot. -OMISSIS- recante "APPUNTO" per "Definire la posizione disciplinare del Graduato in oggetto". Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 la dott.ssa Flavia Risso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente, all'epoca dei fatti oggetto di causa, era -OMISSIS- dell'Esercito, in servizio presso il Centro addestramento paracadutismo di -OMISSIS- - Compagnia comando e supporto logistico. Nell'agosto 2019 - su segnalazione della sua compagna - i Carabinieri di -OMISSIS- trovarono e sequestrarono una dose di cocaina nella sua abitazione. In relazione ai fatti sopra richiamati, i Carabinieri di -OMISSIS- redigevano a carico del ricorrente un "Verbale di contestazione di illecito amministrativo operato ai sensi dell'art. 75 DPR 300/1990, contestuale sequestro di sostanza stupefacente...". Il mese seguente, il Generale Comandante delle Forze Operative Nord apriva un'inchiesta formale nei confronti del ricorrente. Dopo aver valutato la relazione dell'Ufficiale inquirente, il Comandante proponeva di definire la posizione disciplinare con rinvio degli atti al Comandante di Corpo per le valutazioni di competenza. Successivamente, la Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa disponeva la sanzione disciplinare della sospensione dall'impiego per sei mesi, ritenendo la condotta del ricorrente gravemente violativa dei doveri connessi con lo status di militare, specialmente considerando il grado ricoperto e il suo essere padre di un minore, al tempo, di pochi mesi. Si legge nella motivazione al decreto del 14.2.2020: "Il Graduato, con tale grave comportamento, ha disatteso fortemente i doveri propri dello stato di militare, nonché quelli attinenti al giuramento prestato e al grado rivestito, palesando anche la carenza del senso di responsabilità e del contegno che deve improntare l'agire di un militare". Con il ricorso indicato in epigrafe, il ricorrente ha impugnato il decreto dirigenziale del 14.2.2020, e notificato il 24.2.2020, con il quale il -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS- è stato sospeso disciplinarmente dall'impiego per sei mesi, nonché gli atti connessi. Avverso gli atti impugnati il ricorrente ha dedotto l'illegittimità per: I. Eccesso di potere per difetto ed errore sui presupposti, illogicità ed ingiustizia manifeste, travisamento dei fatti, difetto ed errore sui presupposti, difetto di istruttoria, violazione dei principi di gradualità, ragionevolezza e proporzionalità, violazione e/o falsa applicazione di legge sub specie dell'art. 3 l. n. 241 del 1990 per carenza, contraddittorietà, apoditticità della motivazione, contraddittorietà tra atti; II. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità ed ingiustizia manifeste, sotto ulteriore profilo, difetto ed errore nell'istruttoria e violazione di legge sub specie dell'art. 3 l. n. 241 del 1990 e/o eccesso di potere per carenza, perplessità ed apoditticità di motivazione, sotto ulteriore profilo e violazione e/o falsa applicazione di legge sub specie dell'art. 1377 Codice Ordinamento Militare; III. Violazione e/o falsa applicazione di legge sub specie degli artt. 732, 885, 1355, 1356 e 1357 del d.lgs. n. 66 del 2010 concernente il Codice dell'Ordinamento Militare, eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, gradualità, proporzione e adeguatezza dell'azione amministrativa. Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa. All'udienza pubblica del 21 marzo 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. - Con i primi due motivi di ricorso, la difesa del ricorrente contesta la legittimità del provvedimento impugnato perché ritenuto viziato da carenza di motivazione e travisamento dei fatti. Esso sarebbe stato adottato senza considerare tre elementi emersi in fase istruttoria: che l'intera carriera militare del ricorrente fino a quel momento si era distinta per ottima condotta di rendimento ed impeccabilità, come attestato dai rapporti informativi dei superiori; che gli esami clinici avevano escluso l'assunzione di sostanze stupefacenti; che egli, come risulta anche dalle dichiarazioni scritte sua e della compagna rese in sede di procedimento disciplinare, non era il titolare della sostanza ritrovata né ne aveva mai fatto uso. Tali censure risultano essere infondate e prive di pregio. Il provvedimento è stato adottato a seguito di un'ampia istruttoria, durante la quale il ricorrente ha avuto la possibilità di presentare memorie e documenti a suo favore. Il ricorrente non ha portato in giudizio elementi idonei a far ritenere irragionevole, illogica, arbitraria o viziata da travisamento dei fatti, la decisione dell'Amministrazione che, nella sua discrezionalità, non ha ritenuto gli elementi sopra richiamati rilevanti per archiviare l'addebito, come d'altronde ritenuto anche dall'Ufficiale inquirente. Il decreto impugnato, invero, si basa sull'ammissione di responsabilità da parte del ricorrente al momento dell'ispezione e sul fatto che una dose di cocaina veniva - su apposita segnalazione della compagna - ritrovata in casa sua. Tale ammissione di responsabilità è dimostrata dal verbale dei Carabinieri, nel quale si riporta che il ricorrente aveva dichiarato di essere proprietario della sostanza e di essere intenzionato a intraprendere una terapia di disintossicazione. Più nello specifico, nel "Verbale di contestazione di illecito amministrativo operato ai sensi dell'art. 75 DPR 300/1990, contestuale sequestro di sostanza stupefacente..." si legge: "L'anno 2019 addì del mese di agosto alle ore 10.40, in -OMISSIS- presso gli uffici del Comando...Noi sottoscritti...riferiamo a chi di dovere che questa mattina verso le ore 09.30 la centrale operativa CC di Viareggio ci riferiva di aver ricevuto poco prima la segnalazione telefonica da parte della sig.ra...di aver rinvenuto mentre si trovava in casa...della sostanza stupefacente al suo convivente...I verbalizzanti giunti sul posto alle ore 09.45 odierne in detta abitazione vi erano entrambi i suddetti conviventi ed il loro bambino di pochi mesi, e veniva mostrata la presenza di una dose di sostanza stupefacente su uno scaffare di mobile di sala. Si trattata di sostanza stupefacente del tipo cocaina raccolta in una dose con celophan bianco. Il -OMISSIS- -OMISSIS- si assumeva la proprietà di detta sostanza stupefacente, e prometteva di impegnarsi da subito per iniziare una terapia di disintossicazione, il contesto si è verificato in circostanza serena. La sostanza stupefacente del tipo cocaina di piccolissima quantità, raccolta nell'involucro sopra specificato costituisce una dose...". Nell'immediato, dunque, il militare ammetteva di essere il proprietario della dose di cocaina e prometteva di iniziare una terapia di disintossicazione. In quel momento fu redatto apposito verbale di accertamento dell'illecito amministrativo di cui all'art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, sottoscritto anche dall'interessato. Il Collegio non può non evidenziare che la dichiarazione del ricorrente risulta essere stata resa agli ufficiali di polizia giudiziaria in un contesto pacifico e senza costrizione esterna e che il verbale di accertamento è fidefacente, sottoscritto dall'interessato e non impugnato per falso. È vero che, in sede di procedimentale, il ricorrente aveva ritrattato la precedente versione fornita ai Carabinieri circa la proprietà della sostanza stupefacente, affermando che la stessa non era destinata a suo uso personale. Più nello specifico, nella dichiarazione da valere anche come scritti difensivi ex art. 18 l. n. 689 del 1981, si legge: "L'occasione infatti che aveva dato luogo alla chiamata dei carabinieri era come detto conseguente ad una discussione intercorsa con la signora...che per effetto di ciò aveva segnalato la presenza di detta modica sostanza stupefacente attribuita in un primo momento al sottoscritto signor -OMISSIS-. Non è possibile allo scrivente indicare la causa del rinvenimento di detta modestissima dose di sostanza stupefacente presso l'appartamento sito in -OMISSIS-, potendo solo indicare che la sera del fatto in contestazione aveva frequentato locali molto affollati prima di far ritorno alla abitazione dove è attualmente domiciliato con la signora -OMISSIS-...". Tuttavia, alla luce degli incontrovertibili fatti (ritrovamento nell'abitazione del ricorrente di una dose di cocaina) e della specifica dichiarazione rilasciata dal ricorrente in sede di ispezione, le successive dichiarazioni difensive rilasciate dal ricorrente e dalla sua compagna (non idonee, in ogni caso, a fornire una spiegazione plausibile su come e perché nell'abitazione del ricorrente si trovasse una dose di cocaina) non sono sufficienti a scalfire le conclusioni raggiunte dall'Amministrazione e la ragionevolezza e la logicità della decisione finale della stessa di sospendere il ricorrente, ritenendo la condotta di quest'ultimo contraria "ai doveri propri dello stato di militare, nonché quelli attinenti al giuramento prestato e al grado rivestito, palesando anche la carenza del senso di responsabilità e del contegno che deve improntare l'agire di un militare". Tenuto conto di tutto quanto sopra esposto, il fatto che il ricorrente abbia avuto una carriera militare con ottimi precedenti disciplinari non è significativo in ordine alla sussistenza dell'illecito disciplinare. Peraltro, tale circostanza è stata presa in considerazione ai fini della determinazione del quantum di pena. Nel provvedimento, invero, si precisa che si è "tenuto conto del rendimento in servizio" e la sospensione dal servizio disposta ha natura conservativa ed è di soli sei mesi rispetto ai dodici erogabili nel massimo edittale. Irrilevanti sono infine gli accertamenti medici svolti dal ricorrente. Sebbene tali esami (effettuati il 16.9.2019) possano escludere l'assunzione di sostanze psicotrope nel periodo precedente alla loro effettuazione, non forniscono prove sul possibile utilizzo della sostanza il giorno dell'ispezione. In ogni caso, l'unico addebito mosso al militare è quello di detenzione di sostanza stupefacente. Le prime due censure pertanto non colgono nel segno. 2. - Con il terzo motivo di gravame, infine, la difesa del ricorrente contesta la sanzione della sospensione dal servizio, sostenendo che la sua determinazione sarebbe irragionevole e sproporzionata rispetto alla condotta professionale e al quadro disciplinare del ricorrente. L'episodio contestato sarebbe stato un unicum nella carriera militare del ricorrente che non giustificherebbe una sanzione tanto afflittiva. Sul punto, il Collegio osserva che, come è noto, la valutazione di rilevanza dei fatti contestati e la decisione circa la relativa sanzione da irrogare costituiscono esercizio di un potere discrezionale dell'Amministrazione. È sufficiente evidenziare, infatti, che la giurisprudenza consolidata ha più volte affermato che l'ampia discrezionalità dell'Amministrazione militare in punto di individuazione e, eventualmente, dosimetria della sanzione è sindacabile in sede giurisdizionale solo in casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484). Più nello specifico, il Consiglio di Stato ha chiarito che "la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ..." (Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 2020, n. 2041, che richiama, tra l'altro, Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; Cons. Stato, sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381). Ebbene, alla luce delle circostanze evidenziate al punto 1 di questa sentenza e, in particolare, tenuto conto del rinvenimento della dose di cocaina nell'abitazione del ricorrente e della sua dichiarazione nell'immediatezza dell'ispezione, il Collegio ritiene che il ricorrente non abbia presentato in giudizio elementi sufficienti a dimostrare l'irragionevolezza o la contrarietà al principio della proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata, anche tenuto conto della giurisprudenza amministrativa relativa alle condotte dei militari attinenti al possesso e l'uso di sostanze stupefacenti (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, 8 marzo 2017, n. 1086). Anche la terza censura dedotta dal ricorrente pertanto è priva di pregio. 3. - In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto. 4. - Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero della Difesa, liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), più accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere Flavia Risso - Consigliere, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 149 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Sa.Re., Al.Pu., anche in qualità di esercenti la potestà sulla minore Ma.Pu., Si.Ca., Fa. -OMISSIS-, anche in qualità di esercenti la potestà sulla minore -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato El.Er., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Pistoia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fe.Pa., Cl.Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ar. - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, non costituita in giudizio; nei confronti Il.It. s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Fi.Pa., Va.Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Eu.Da.Ca. in Firenze, piazza (...); per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - dell'autorizzazione ai sensi degli artt. 87 e 88 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (D.Lgs. 259/03 s.m.i.), espressa o per silenzio, concessa a Il.It. s.p.a. dal Comune di Pistoia e Ar. per la installazione di un nuovo impianto di radio-trasmissione per rete di telefonia mobile di Il.It. s.p.a. sito in Pistoia alla Via (...), e di ogni altro atto presupposto, ivi compreso ove occorra il parere positivo preventivo dell'Ar. Toscana, la comunicazione di inizio lavori, il progetto definitivo della infrastruttura citata e l'analisi di impatto elettromagnetico nonché ogni altra autorizzazione concessa dalla P.A. con riferimento all'impianto, ed ogni atto connesso e consequenziale, anche non conosciuto; nonché per la condanna in forma specifica all'adozione di ogni misura opportuna, ivi compresa la rimozione dell'impianto e riduzione in pristino; per quanto riguarda il ricorso incidentale presentato da Il.It. s.p.a. il 19/2/2021: per l’annullamento dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Pistoia n. 390 del 16 maggio 2020, recante "Divieto di sperimentazione e/o installazione sul territorio comunale di impianti con tecnologia 5G" e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali ancorché non conosciuti; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dai ricorrenti il 19/2/2021: - dell'autorizzazione unica prot. 98694 del 25/09/2020 rilasciata dal Comune di Pistoia e di tutti gli altri atti e documenti consegnati in sede di accesso agli atti in data 27/1/2021, nonché ogni altro relativo al procedimento di autorizzazione per la installazione di un nuovo impianto di radio-trasmissione per rete di telefonia mobile di Il.It. s.p.a. sito in Pistoia alla Via (...); e ogni altro atto connesso e consequenziale. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pistoia e di Il.It. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. A seguito dell’apposizione della segnaletica di cantiere, i ricorrenti apprendevano della proposizione da parte di Il.It. s.p.a., in data 25 marzo 2019, di un’istanza di autorizzazione ai sensi degli artt. 87 e 88 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (nel testo antecedente alla riforma del 2021) finalizzata alla realizzazione di una Stazione radio base in Pistoia, via (...), individuata come PT51100_022 "Le Fornaci"; l’istanza prevedeva inizialmente l’installazione anche di impianti di trasmissione finalizzati all’utilizzazione della tecnologia 5G a 700 Mhz. Dopo aver presentato un’istanza di accesso all’Amministrazione comunale di Pistoia, impugnavano gli atti meglio specificati in epigrafe, articolando censure di: 1) violazione dell’art. 87, co. 4, del d.lgs. 259/2003, violazione del principio di pubblicità. violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 della Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata dalla legge n. 108/2001, violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 21-bis della legge n. 241 del 1990, eccessi di potere per travisamento dei fatti, irrazionalità, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione di legge per mancata comunicazione di avvio del procedimento; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 87, co. 10, del d.lgs. 259/2003, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2 e 2-bis della legge n. 241/1990, violazione di legge per inosservanza dei termini di conclusione del procedimento e decadenza, omessa declaratoria di decadenza del titolo; 3) violazione e falsa applicazione dell’ordinanza del Sindaco di Pistoia n. 390 del 16 maggio 2020; 4) violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione e falsa applicazione della legge 27 dicembre 2017, n. 205, violazione e falsa applicazione della delibera della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 231/18/CONS dell'8 maggio 2018, violazione e falsa applicazione del bando di gara del Ministero dello Sviluppo economico pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della repubblica italiana n. 80 dell’11 luglio 2018, invalidità della dichiarazione sostitutiva di certificazione, nullità dell’analisi di impatto elettromagnetico e del progetto, nullità e/o annullabilità del titolo abilitativo, eccesso di potere per travisamento dei fatti, irrazionalità, difetto di istruttoria e di motivazione, decadenza del titolo; 5) violazione e falsa applicazione dell’artt. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione e falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del Piano strutturale del Comune di Pistoia, violazione del regolamento urbanistico e del piano regolatore generale, violazione della legge regionale 6 ottobre 2011, n. 49, violazione di legge per errori e/o omissioni nella procedura, carenza di istruttoria e di motivazione, nullità e carenza assoluta di legittimazione; 6) violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione e falsa applicazione della legge della Regione Toscana n. 49/2011, eccesso di potere per errore di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti e decadenza del titolo, omessa comunicazione dei piani di rete e programmi di sviluppo; 7) violazione e falsa applicazione della normativa in materia di potenziali ostacoli e pericoli per la navigazione aerea, nullità dell’analisi di impatto elettromagnetico e del progetto, violazione di legge, eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e di motivazione; 8) violazione dell’art. 32 Cost., violazione del principio di precauzione, eccesso di potere per illogicità ed irragionevolezza, eccesso di potere per palese difetto di istruttoria, omessa valutazione di ubicazioni alternative; con il ricorso era altresì richiesta la condanna dell’Amministrazione comunale di Pistoia "all’adozione di ogni misura opportuna, ivi compresa la rimozione dell’impianto e (la) riduzione in pristino". 1.1. Dopo aver acquisito cognizione (a seguito dell’esercizio del diritto di accesso) dell’autorizzazione unica alla realizzazione e gestione dell’impianto 25 settembre 2020 prot. 98694, rilasciata dal S.U.A.P. di Pistoia (previa rinuncia da parte della controinteressata all’esercizio della tecnologia 5G), i ricorrenti impugnavano anche tale atto con i motivi aggiunti depositati in data 19 febbraio 2021; a base della nuova impugnazione erano poste le seguenti censure (che, in parte, rimodulano alcune delle censure precedentemente proposte): 1) violazione e falsa applicazione dell’artt. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione di legge per errori e/o omissioni nella procedura, carenza di istruttoria e di motivazione, nullità e carenza assoluta di legittimazione; 2) violazione e falsa applicazione dell’artt. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione e falsa applicazione dell’ordinanza del Sindaco di Pistoia n. 390 del 16/5/2020; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 87 del d.lgs. 259/2003, violazione e falsa applicazione della legge della Regione Toscana n. 49/2011, eccesso di potere per errore di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e di motivazione. carenza dei presupposti e decadenza del titolo. Si costituivano in giudizio l’Amministrazione comunale di Pistoia e la controinteressata, controdeducendo sul merito del ricorso ed articolando eccezione preliminare di difetto di legittimazione ed interesse in capo ai ricorrenti; la controinteressata presentava altresì ricorso incidentale, impugnando l’ordinanza del Sindaco del Comune di Pistoia n. 390 del 16 maggio 2020, sulla base di unica censura di: 1) illegittimità del divieto di installazione di impianti 5G: violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e ss. d.lgs. 259/2003 e degli artt. 4, 18 e 14 legge 36/2001, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche ed in particolare, per irragionevolezza e illogicità manifesta, disparità di trattamento, violazione dei principi di proporzionalità, non discriminazione e concorrenza, difetto di istruttoria e motivazione, incompetenza. Con ordinanza 10 marzo 2021, n. 130, la Sezione respingeva l’istanza cautelare proposta con il ricorso ed i motivi aggiunti, sulla base della seguente motivazione: "salvo ed impregiudicato l’esame in sede di decisione del merito delle problematiche relative alla legittimazione ed all’interesse dei ricorrenti all’impugnazione, appare comunque manifestamente insussistente, nella fattispecie, il requisito del fumus boni iuris indispensabile per la concessione dell’istanza cautelare, in considerazione dell’avvenuta pubblicazione dell’istanza (e della genericità delle contestazioni dei ricorrenti che non individuano sostanzialmente quale sia la corretta forma di pubblicazione).... dell’assenza di conseguenze sulla salute derivanti dal nuovo impianto accertata dal parere reso da A.R.P.A.T.... (e) della natura di interesse generale dell’intervento". Alla pubblica udienza del 9 maggio 2024, il ricorso ed i motivi aggiunti erano quindi trattenuti in decisione. 3. Il ricorso ed i motivi aggiunti depositati in data 19 febbraio 2021 devono essere dichiarati inammissibili per difetto di interesse a proporre l’impugnazione in capo ai ricorrenti. La problematica risulta essere stata affrontata, sulla base delle precisazioni sistematiche operate da Cons. Stato, ad. plen. 9 dicembre 2021, n. 22, da una recente sentenza della Sezione, che può essere richiamata anche in questa sede: "vero è che la c.d. vicinitas, intesa quale stabile collegamento di un fondo di proprietà o nella disponibilità del ricorrente con altro fondo interessato dell’attività di trasformazione ad opera di terzi, non vale di per sé a radicare la legittimazione al ricorso, ma necessita di essere integrata dalla puntuale allegazione, se non dalla prova concreta, dello specifico pregiudizio che al ricorrente deriverebbe in conseguenza dall’alterato assetto urbanistico-edilizio dell’area ove ricadono i beni di suo interesse (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. II, 23 dicembre 2020, n. 8289; id., sez. II, 1 giugno 2020, n. 3440). Se infatti può ammettersi che lo "stabile collegamento" operi come criterio di legittimazione a maglie allargate, la natura soggettiva del processo dinanzi al giudice amministrativo impone di selezionare gli interessi giuridicamente rilevanti onde evitare che, in assenza della previsione legislativa di un’azione popolare, nel giudizio trovino tutela posizioni di mero fatto, sganciate dal conseguimento da parte del ricorrente di una concreta utilità in connessione con un determinato bene della vita. Talora la vicinitas si concretizza in una situazione fattuale che lascia presumere l’esistenza del pregiudizio arrecato al ricorrente dall’intervento in contestazione. Si tratta, però, di una presunzione non assoluta, nel senso che a fronte di una specifica contestazione della controparte l’allegazione non basta ed occorre verificare che il pregiudizio esista davvero (così Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2021, n. 3247). La conclusione è oggi avvalorata dalla pronuncia nomofilattica dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, chiamata a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi sul criterio della vicinitas, ha chiarito come quest’ultima non valga da sola e in automatico a dimostrare la sussistenza anche dell’interesse al ricorso, inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato, pregiudizio la cui allegazione compete alla parte ricorrente e può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso (cfr. Cons. Stato, A.P., 9 dicembre 2021, n. 22). Assodato, in definitiva, che la puntuale allegazione di un pregiudizio concreto integra, sul piano delle condizioni dell’azione, l’interesse ad agire che deve concorrere con la legittimazione, gli odierni ricorrenti nello specifico lamentano che la stazione radio base della controinteressata - formata da una palina porta antenne nascosta all’interno di un finto comignolo di grandi dimensioni - impatterebbe in maniera rilevante sulla visuale panoramica da loro goduta verso la cattedrale di Santa Maria del Fiore e, segnatamente, della sua cupola. Al disturbo visivo sarebbe correlata una corrispondente perdita di valore commerciale dei loro immobili. Ora, che la perdita o comunque la compromissione di una visuale panoramica sia potenzialmente idonea a radicare l’interesse ad agire in giudizio rappresenta un dato più volte ribadito dalla giurisprudenza anche all’indomani della sopra citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria, la quale del resto ha avuto cura di avvertire come, nella realtà dei fatti e nella dinamica dei giudizi, la verifica della legittimazione e dell’interesse sia fortemente condizionata dalla situazione concreta allegata dalle parti e ricavabile dagli atti di causa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2023, n. 4205; id., 13 maggio 2022, n. 3772). Le abitazioni dei ricorrenti sono poste, lo si è detto, a breve distanza pedonale (circa 170 metri) dall’ingresso dell’ex Monastero di San Silvestro, sulla cui copertura la controinteressata ha installato la stazione radio base oggetto del presente contenzioso. In linea d’aria la distanza è certamente inferiore e, come si ricava dalla documentazione fotografica in atti, la presenza dell’impianto, celato all’interno di un falso comignolo obiettivamente molto voluminoso, interferisce con la visuale che dalle abitazioni dei ricorrenti si gode verso il duomo. Da alcuni punti di osservazione, la vista della cupola del Brunelleschi - prima perfettamente libera - è ora in parte occultata dal manufatto; da altri, pur non risultando coperta, risente della presenza nel cono visivo dell’elemento di disturbo rappresentato dal falso comignolo. Nella valutazione di tale interferenza, che pure non occlude la visuale panoramica d’insieme fruibile dagli alloggi dei ricorrenti, non può non tenersi conto dell’eccezionalità della situazione e, segnatamente, della circostanza che il bersaglio visivo interferito dal nuovo impianto della controinteressata è un capolavoro di conclamata e universalmente riconosciuta importanza artistico-architettonica. Con il risultato di non potersi considerare meramente emulativo l’interesse dei ricorrenti alla salvaguardia di uno stato di fatto (la vista perfettamente libera della cupola e del duomo), che rappresenta un valore aggiunto infungibile in termini non soltanto di suggestività e piacevolezza delle loro abitazioni, ma con intuitive ricadute sul piano strettamente commerciale nella misura in cui la straordinaria qualità della visuale panoramica costituisce notoriamente elemento che, in un’eventuale compravendita immobiliare, concorre alla stima del prezzo di cessione" (T.A.R. Toscana, sez. I, 13 novembre 2023, n. 1031). Del resto, si tratta di una conclusione che era già stata anticipata, sulla base di una sistematica leggermente differente da quella di Cons. Stato, ad. plen. 9 dicembre 2021, n. 22, dalla sentenza in forma abbreviata 25 febbraio 2021, n. 304 (peraltro resa nei confronti del medesimo patrocinio) che già aveva concluso per l’inammissibilità di un ricorso non assistito dalla "specificazione delle circostanze di fatto idonee a radicare la cd. vicinitas e quindi la legittimazione e l’interesse ad agire; in risposta alla specifica contestazione dell’Amministrazione resistente, la ricorrente ha depositato una certificazione di residenza (che supera l’autocertificazione precedentemente depositata in giudizio) ed articolato una serie di argomentazioni idonee, almeno nella sua prospettazione, a radicare la legittimazione (e l’interesse ad agire). Si tratta però di argomentazioni del tutto idonee a radicare la legittimazione, sia per effetto della distanza intercorrente tra la residenza e l’installazione (che la stessa ricorrente stima in almeno 100 m., ovvero in una distanza del tutto incompatibile con un qualche effetto sulla salute della ricorrente) e dell’omessa dimostrazione in concreto di un qualche danno per la salute della stessa (presumibilmente) derivante dalla nuova installazione; a questo proposito, del tutto irrilevanti risultano, infatti, le rilevazioni in ordine al fatto che la ricorrente veda "l’antenna in questione dritta di fronte al proprio terrazzo" (del tutto indimostrata in giudizio) e la documentazione depositata in giudizio che, con tutta evidenza, si riferisce a situazioni di esposizione alla radiazioni elettromagnetiche ben maggiori di quelle che potrebbero derivare dall’impianto (stimate da A.R.P.A.T. del tutto compatibili con i limiti di legge)" (T.A.R. Toscana, sez. I, 25 febbraio 2021, n. 304) A ben guardare (e contrariamente a quanto rilevato da parte ricorrente) anche la sistematica della decisione del Consiglio di Stato richiamata da parte ricorrente nella memoria conclusionale dell’8 aprile 2024, risulta poi, al di là del tentativo della ricorrente di estrapolarne solo alcune affermazioni di principio, non molto distante dall’elaborazione giurisprudenziale della Sezione; non occorre, infatti, tralasciare il fatto decisivo che la decisione si riferisce ad una fattispecie in cui parte ricorrente aveva "dedotto la possibile violazione dei limiti di esposizione previsti dalla legge, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, relativi alle emissioni elettromagnetiche, così come la violazione delle distanze minime dagli edifici circostanti, tutti elementi potenzialmente idonei ad avere effetti negativi sulla salute dei residenti" (Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2023, n. 6509), ovvero dei profili lesivi concreti che parte ricorrente si è ben guardata dal sollevare nel presente contenzioso. Nel caso di specie, il ricorso risulta essere stato originariamente concepito sulla base di un’impostazione che considerava sostanzialmente sufficiente la sola vicinitas, che i ricorrenti pretendevano dimostrare sulla base del deposito dei soli documenti di identità (doc. n. 5) che evidenziano la residenza in via (...) (ovvero nella stessa strada in cui è stato realizzato l’intervento) ed in via Castel dei Guidi (che parte ricorrente assume essere "alle spalle dell’antenna", senza però dimostrare alcunché); risultano pertanto del tutto assenti gli elementi necessari ed indispensabili alla concretizzazione dell’interesse fatto valere in giudizio, vista l’assoluta mancanza dei dati essenziali per poter valutare la distanza delle residenze dei ricorrenti dalla S.R.B. realizzata dalla controinteressata ed i possibili effetti sulla salute e sulla sfera personale degli stessi. Le "molte pagine..... (spese) per spiegare gli effetti pregiudizievoli per i ricorrenti" risultano pertanto del tutto insufficienti a dimostrare l’interesse alla proposizione dell’impugnazione in un contesto in cui i ricorrenti, anche dopo la proposizione da parte delle resistenti dell’eccezione di inammissibilità, sono rimasti assolutamente inerti, non dimostrando (ad es., mediante semplice esibizione di una planimetria della zona) alcuni dati fattuali indispensabili alla verifica della sussistenza dell’interesse all’impugnazione, come la distanza dall’intervento, le eventuali modifiche della visuale e simili. È poi del tutto mancata anche la dimostrazione della proprietà, in capo ai ricorrenti, di immobili siti nella zona e pertanto anche l’eccezionale riconoscimento dell’interesse all’impugnazione di cui alla precedente sentenza della Sezione (T.A.R. Toscana, sez. I, 13 novembre 2023, n. 1031) risulta del tutto impossibile in un contesto in cui risulta non dimostrato un possibile decremento di valore degli immobili di proprietà derivante da un’alterazione delle vedute, ovvero un dato che i ricorrenti (a differenza dell’altro contenzioso definito dalla Sezione nel 2023) si guardano bene dal dimostrare. In questa prospettiva, risulta del tutto irrilevante la documentazione fotografica "incorporata" alla memoria conclusionale dell’8 aprile 2024 dei ricorrenti (peraltro già depositata in giudizio: doc. n. 4 del deposito di parte ricorrente), risultando del tutto incerto se si tratti di documentazione fotografica presa dalle abitazioni dei ricorrenti o da altri luoghi più o meno prossimi, se dette abitazioni siano di loro proprietà ed ogni altro dato indispensabile per poter concludere, anche nella logica non stringente legata alla verifica della sussistenza dei presupposti dell’azione, per la sussistenza di un qualche interesse concreto all’impugnazione. Il ricorso ed i motivi aggiunti depositati in data 19 febbraio 2021 risultano peraltro inammissibili per mancata dimostrazione dell’interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti; al di là di ogni considerazione in ordine all’evidente inammissibilità dell’impugnazione (ogni problematica relativa all’ordinanza del Sindaco del Comune di Pistoia n. 390 del 16 maggio 2020, pur palesemente illegittima, risulta, infatti, superata dalla rinuncia della stessa controinteressata ad utilizzare la tecnologia 5G con riferimento all’impianto in discorso), il ricorso incidentale deve quindi essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Le spese seguono la soccombenza e devono essere liquidate, come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e sui motivi aggiunti depositati in data 19 febbraio 2021: a) li dichiara inammissibili, come da motivazione; b) dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso incidentale depositato dalla controinteressata in data 19 febbraio 2021. Condanna i ricorrenti alla corresponsione all’Amministrazione resistente ed alla controinteressata della somma di € 3.000,00 (tremila//00) ciascuno, oltre ad IVA e CAP se dovute, a titolo di spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere, Estensore Flavia Risso - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FIRENZE SEZIONE II CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del Giudice onorario dott.ssa. Micaela Picone ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9968/2021 promossa da: (...) persona del legale rappresentante pro-tempore dott. (...) con avv. (...) giusto mandato in atti Attrice contro (...) con avv.te (...) giusto mandato in atti Convenuta nonché contro (...) in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con avv. (...) giusto mandato in atti Terza chiamato in causa OGGETTO: risarcimento danni infiltrazioni CONCLUSIONI: per come rassegnate dalle parti all'udienza del 2 ottobre 2021 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si omette l'analitica esposizione dello svolgimento del processo e la motivazione che segue è redatta ai sensi dell'art. 16-bis, comma 9-octies (aggiunto dall'art. 19, comma 1, lett. a, n. 2- ter, D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 132) decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 secondo cui gli atti di parte e i provvedimenti del giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica; pertanto, per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze. La (...) proprietaria di un appartamento al piano secondo del fabbricato condominiale posto a Firenze, indirizzo ha convenuto davanti al Tribunale di Firenze la sig.ra (...) (...) chiedendo di accertare l'esclusiva responsabilità della stessa per i danni causati dalle infiltrazioni di acqua provenienti dall'appartamento sovrastante di proprietà della medesima nel novembre 2020. La società attrice ha assunto che la percolazione d'acqua avrebbe provocato la caduta di un grosso lampadario che si sarebbe riempito d'acqua e che, staccandosi dal soffitto, avrebbe infranto un tavolo con il piano di cristallo e danneggiato irrimediabilmente delle sedie, un divano e un mobile. Inoltre, ha lamentato di aver sostenuto danni al soffitto ed al parquet nonché sostenuto i costi per le perizie di parte, per le spese di deumidificazione oltre al danno emergente per il mancato introito del canone di locazione per 5 mesi. Infine, la (...) ha affermato di aver ricevuto dall' (assicurazione del condominio la minor somma di Euro 6.830,00 trattenuta in acconto al maggior avere e sulla scorta di tali allegazioni, ha rassegnato le seguenti conclusioni "Piaccia all' IIImo Tribunale di Firenze, in accoglimento della domanda attrice, dichiarare per i motivi di cui in narrativa, la esclusiva responsabilità della Sig.ra (...) nell'aver provocato il sinistro di cui in premessa e per l'effetto condannarla al risarcimento a favore di (...) nella misura di Euro 12.470,00 od a quella maggiore o minore che risulterà di giustizia, con gli interessi dal dì del dovuto al saldo effettivo e con la rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese e di compensi di causa e con sentenza munita di clausola di provvisoria esecuzione ". Nel costituirsi in giudizio la sig.ra (...) in via preliminare ha eccepito l'improcedibilità della domanda per non aver parte attrice esperito il procedimento di negoziazione assistita ai sensi dell'art. 3 del D.l. n. 132 del 2014 (convertito in L. n. 162 del 2014), bensì un procedimento di mediazione volontaria; sempre in via preliminare, ha formulato istanza di chiamata in causa del terzo (...) per essere da questa rilevata indenne, in virtù della polizza contratta dal Condominio di Via (...), per tutti i danni e le spese che si trovasse a dover corrispondere all'attrice, nei limiti del massimale di polizza; nel merito ha istato per il rigetto delle domande spiegate nei suoi confronti. In particolare, la sig.ra (...) ha assunto la totale assenza di prova dei presupposti relativi alla responsabilità contro di lei invocata dalla (...) non essendo specificata in citazione la dinamica del sinistro, così come non allegato né provato il nesso causale tra il danno e la cosa, essendosi la stessa limitata a quantificare il preteso (e contestato) danno. Ritualmente evocata in giudizio con atto di citazione, la (...) di Assicurazione (...) (...) si è costituita in giudizio contestando nel merito le domande svolte da parte attrice, ritenute infondate sia in fatto che in diritto, e chiedendo, in ogni caso, che l'importo già concordato e liquidato alla stessa (...) venisse dichiarato satisfattivo. All'esito della concessione dei richiesti termini ex art. 183 epe, VI comma, rigettata l'istanza attorea volta alla rimessione in termini per il deposito delle memorie istruttorie (vedi ordinanza del 14 luglio 2022), la causa è stata istruita con la sola acquisizione della documentazione prodotta dalle parti. Viene decisa sulle conclusioni rassegnate dalle parti a seguito di concessione dei richiesti termini ex art. 190 cpc. In via preliminare deve essere disattesa l'eccezione di improcedibilità della domanda attorea per mancato esperimento del procedimento di negoziazione assistita ai sensi dell'art. 3 del D.l. n. 132 del 2014 (convertito in L. n. 162 del 2014), per come formulata da parte convenuta (...) E' pacifico che parte attrice abbia esperito il procedimento di mediazione volontaria con esito negativo anteriormente all'istaurazione di questo giudizio (doc.(...). Pertanto, può dirsi configurata la condizione di procedibilità in quanto, poiché la mediazione volontaria prevede la presenza di un soggetto terzo e imparziale come il mediatore, la stessa offre maggiori garanzie rispetto alla negoziazione assistita, che invece è priva di tale figura. Indiscusso è che nel caso di specie sia stata invocata la responsabilità della sig.ra (...) ai sensi dell'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia che, secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza di un nesso causale tra la cosa ed il danno, la cui prova è fornita dal danneggiato mediante la dimostrazione delle condizioni potenzialmente lesive possedute dalla cosa, da valutarsi alla stregua della normale utilizzazione di essa (cfr. "La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale o del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, dal punto di vista oggettivo e della regolarità o adeguatezza causale, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode" Cass. civ. sez. un., 30/06/2022, n. 20943). La responsabilità è perciò esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma, nella valutazione dell'apporto causale da quest'ultima fornito alla produzione dell'evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (vedi. Cass. Civ. n. 26533/2017). L'inquadramento nell'ambito della suddetta norma comporta precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti. Invero, a parte attrice spetta la prova, oltre che dell'esistenza del rapporto di custodia tra il convenuto e la cosa stessa, dell'esistenza di un danno, nonché del nesso causale, ossia della derivazione del danno dalla cosa. Ritiene il Tribunale che l'attrice non abbia provato gli elementi costitutivi della domanda proposta in giudizio, ovvero, più precisamente, che non abbia dimostrato che i lamentati danni siano eziologicamente riconducibile alle percolazioni del novembre 2020 provenienti dall'immobile di proprietà della (...) peraltro, essendo condivisibili le motivazioni e le argomentazioni logiche e giuridiche in particolare della terza chiamata in causa, da intendere integralmente richiamate e trascritte, fondate su argomenti e norme correttamente individuate ed applicate (vedi Cassazione 642/15 e 22562/16). È documentalmente accertato il verificarsi di un evento infiltrativo nel novembre 2020 per come lamentato dalla difesa della (...) tanto che il (...), in cui si trovano gli immobili di proprietà di parti attrice e convenuta, provvide tramite, l'Amministratore a denunciare tempestivamente il sinistro alla propria Compagnia Assicurativa,(...) Dalle Relazioni di Perizia redatte dal Perito della (...) tempestivamente coinvolta dall'Amministratore del Condominio in forza della stipulata polizza Globale Fabbricati, si desume che "A seguito dell' accidentale rottura di una serpentina del bollitore di una caldaia di pertinenza dell'appartamento di proprietà della sig.ra (...) si verificava l'allagamento dello stesso appartamento (danni a tinteggiatura e parquet), di quello sottostante di proprietà della Parte (...) (danni all'intonaco, tinteggiatura, parquet e contenuto) (...) " (vedi doc. 2 parte convenuta, descrizione confermata dal doc. 3 parte convenuta). Risulta documentato che, sulla scorta di tali perizie, la Soc. (...) di Assicurazioni, in forza della stipulata polizza Globale Fabbricati, corrispondeva a parte attrice un totale di euro 5.530,00 (Euro 2.800,00 corrisposti al Condominio ma imputati ai danni subiti dalla (...) ed Euro 2.830,00 direttamente a parte attrice, in forza della R.C.T per i beni ammalorati in seguito all'evento sopra descritto). La (...) assumendo la non congruità dell'importo corrisposti dalla (...) e lamentando di aver subito danni ben maggiori, chiede il riconoscimento dell'ulteriore importo di Euro 12.470.00. Tuttavia, tale richiesta è completamente priva di supporto probatorio. Non è stata fornita idonea prova, neanche indiziaria, che i danni lamentati in citazione dalla proprietà (...) siano da imputare all'evento per cui è causa e siano da quantificare secondo le mere allegazioni della difesa attorea: per tale motivo non si è ritenuto di disporre una consulenza tecnica d'ufficio per la valutazione degli insufficienti elementi di fatto allegati dall'attore La difesa della (...) difatti, ha omesso di depositare la perizia dell'ing. (...) richiamata in Citazione quale doc. 2, non sono depositate fotografie dei luoghi e dei beni danneggiati. L'elencazione del conteggio, delle fatture e dei preventivi prodotti quale doc. 1 da parte attrice, debitamente e specificamente da parte convenuta e terza chiamata in causa, nulla provano in merito all'asserito maggior danno subito a causa delle infiltrazioni in parola che appaiono, quindi, eongruamente liquidati dalla compagnia assicurativa. Non risulta provata la corresponsione e la congruità delle spese di cui al preventivo della (...), per opere, non meglio specificate, dichiarate essere connesse con le infiltrazioni lamentate; manca la fattura di Euro 400,00 asseritamente spese per la verifica dell'impianto elettrico; manca la fattura di Euro 1.400,00, quale spese di pulizia, lavaggio tendaggi, tappeti e sanificazione; mancano le bollette relative all'importo di Euro 600,00 asseritamente sostenute per spese di riscaldamento e deumidificazione. Tantomeno, si rinviene una causa giustificativa al Progetto di notula Arch. (...) del 28 aprile 2021 per perizia di parte pari ad Euro 366,00 e al Progetto di notula Ing. (...) del 26 aprile 2021 sempre per perizia estimativa dei danni all'appartamento pari ad Euro 1.015,04, in assenza del deposito dei rispettivi elaborati. Il mancato deposito degli elaborati non consente allo scrivente neanche di comprendere quando le perizie sono state redatte e se le stesse siano riferibili ai danni provocati all'immobile ed ai beni per il percolamento di acqua in parola verificatosi nel novembre 2020. In assenza di idonea prova (documentale e per testimoni) non risulta accertabile il mancato introito del canone di locazione per 5 mesi di cui parte attrice chiede ristoro: non è stato dimostrato in alcun modo, difatti, che l'appartamento della (...) fosse locato, né a quanto ammontasse l'eventuale canone di locazione, né l'impossibilità per il conduttore di continuare ad utilizzare l'immobile a seguito dei fatti lamentati e per quanto tempo né un eventuale recesso anticipato. In altri termini manca completamente la prova del nesso causale tra il (...) ed i danni lamentati nonché la riferibilità di molte delle voci di spesa di cui si chiede il ristoro, ed assunte come sostenute, al fenomeno in parola ritenendosi, quindi, saddisfattivo quanto già corrisposto dalla compagnia Assicurativa chiamata in causa. La pronuncia nel merito, in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida", quale questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, rende superfluo l'esame delle ulteriori questioni sottoposte all'attenzione dello scrivente Giudice quale anche la domanda di mani èva formulata dalla sig.ra (...) nei confronti della (...) Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, dovendo essere poste a carico dell'attrice anche quelle sostenute dai terzi chiamati, alla luce del costante orientamento giurisprudenziale in base al quale, le spese sostenute dal terzo chiamato in giudizio a titolo di garanzia dal convenuto, legittimamente vengono poste a carico della parte che risulti soccombente nei confronti del convenuto in ordine a quella pretesa che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia e sempre che non risulti la soccombenza del chiamato ovvero del chiamante, a nulla rilevando la mancanza di un'istanza di condanna in tal senso (Cass. 28 agosto 2007 n. 18205). Le spese legali sono liquidate come in dispositivo secondo il d.m. n. 55/2014, aggiornati al d.m. 147/2022, parametri minimi, tenuto conto del valore della domanda e della relativa complessità delle questioni affrontate e dell'assenza di attività istruttoria specifica. P.Q.M. Il Tribunale ordinario di Firenze, seconda sezione civile, definitivamente pronunciando, assorbita ogni altra eccezione deduzione e domanda: 1. rigetta la domanda attorea; 2. condanna la (...) a rifondere alla sig.ra (...) le spese di lite che si liquidano in Euro 2.540,00 oltre spese generali ed accessori di legge; 3. condanna la (...) a rifondere alla (...) le spese di lite che si liquidano in Euro 2.540,00 oltre spese generali ed accessori di legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege Così deciso in Firenze, il 30 aprile 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 497 del 2024, proposto da Gr.Zi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG B0B2BBCF10, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu.Gr. e Ma.Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro A.S.A. - Az.Se.Am. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Da.An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del Bando di gara avente ad oggetto la "fornitura, posa in opera e installazione impianto abbattimento arsenico dalle acque destinate al consumo umano presso la centrale <Le.Co.>, Omissis (LI)", trasmesso per la pubblicazione in data 6 marzo 2024, degli allegati (Disciplinare e Capitolato speciale) e del chiarimento inviato in data 25 marzo 2024, nelle parti in cui vincolano l'offerta alla fornitura e messa in opera di masse filtranti di uno specifico produttore; - di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenziali, ivi compresi, per quanto occorrer possa, gli (sconosciuti) atti di approvazione del progetto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.S.A. - Az.Se.Am. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 il dott. Riccardo Giani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1 - ASA - Az.Se.Am. s.p.a. ha indetto una gara per la fornitura e posa in opera di un impianto di abbattimento dell’arsenico dalle acque destinate al consumo umano presso la centrale "Le.Co.", posto in Omissis, dal valore stimato pari a € 1.050.000. Il disciplinare di gara stabilisce che "l’offerta tecnica deve rispettare, a pena di esclusione, le caratteristiche minime stabilite nei documenti di gara" e il capitolato speciale, all’art. 2, prevede che rientri nell’oggetto della procedura la "fornitura e messa in opera delle masse filtranti (granular ferric hydroxide GEH 102) del costruttore Ge.Wa.Gm.&.Co. in quantità necessarie all’impianto"; quest’ultimo profilo è ripreso dall’art. 12 del medesimo disciplinare, ove è stabilito che "la tecnologia selezionata sulla base dei valori presenti di concentrazione e portata, risulta costituita da impianto ad adsorbimento mediante passaggio dell’acqua su letto filtrante adsorbente a idrossido di ferro (granular ferric hydroxide GEH 102 del costruttore Ge.Wa.Gm.&.Co.), come da caratteristiche sotto riportate". 2 - Essendo interessata a partecipare alla procedura di gara, l’odierna ricorrente avanzava alla stazione appaltante il seguente quesito: "premesso che il Capitolato speciale richiede l’uso dell’idrossido granulare ferrico GEH 102 (pag. 5 - art. 2 punto 7 e pag. 12 - art. 12) senza utilizzare la dizione <o equivalente>, come imposto dall’art. 79 del d.lgs. 36/23, si chiede conferma che è in ogni caso possibile offrire un materiale equivalente, come del resto previsto dall’allegato II.2 al d.lgs. 36/23 (parte II lett. A commi 7 e 8)". La stazione appaltante rispondeva che il prodotto del costruttore indicato "corrisponde ad una precisa scelta tecnica di qualità e di risparmio", che essa "è il risultato di test effettuati da As. spa su prodotti analoghi presso impianti di abbattimento arsenico già realizzati", che "le risultanze delle prove concretamente eseguite da As. spa hanno dimostrato quindi che beni differenti da quello richiesto in Capitolato non ottemperano in maniera equivalente alle prestazioni, ai requisiti funzionali e alle specifiche tecniche prescritti". 3 - Con il ricorso introduttivo del giudizio la ricorrente impugna gli atti di indizione della gara, come meglio in epigrafe descritti, evidenziando che essa ha quale attività principale proprio la produzione di idrossido granulare di altissima qualità per la depurazione delle acque per uso potabile, che non ha alcun interesse (né la possibilità) di prendere parte alla procedura avvalendosi della fornitura di GEH e che essa risulta così indebitamente pregiudicata dall’illegittima impostazione della procedura, non potendovi prendere parte in forza di un aprioristico rifiuto di ASA di considerare forniture di provenienza diversa da quella indicata nel capitolato. La ricorrente formula nei confronti degli atti gravati un unico articolato motivo, in seno al quale evidenzia che: a) l’art. 79 del d.lgs. 36/23, dedicato alle specifiche tecniche, applicabile anche ai settori speciali ai sensi dell’art. 153 co.1 lett. d) del medesimo d.lgs., opera integrale rinvio all’Allegato II.5, il quale accorpa gli allegati VII e VIII delle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE; l’Allegato II.5, al comma 5, prevede che le specifiche tecniche "consentono pari accesso agli operatori economici e non devono comportare ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza", mentre al comma 6 vieta espressamente la possibilità di "menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico specifico", così come vieta di "far riferimento ad un marchio, ad un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti"; tuttavia tale normativa aggiunge infine che se tale menzione o riferimento risultano indispensabili per descrivere in maniera sufficientemente precisa e intelligibile l’oggetto dell’appalto, è ammessa una deroga "in via eccezionale" - consentendo, quindi, la menzione di prodotti forniti da un operatore economico specifico - ma a condizione che tale menzione sia accompagnata dall’espressione "o equivalente"; b) nel caso di specie è insussistente una situazione eccezionale idonea a giustificare l’indicazione di un produttore specifico, mancando peraltro una motivazione a tal fine, necessaria per dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge che legittimano la individuazione dell’oggetto di gara attraverso l’indicazione di un produttore; ciò è peraltro comprovato dai bandi di ACEA e di ALFA che hanno messo a gara forniture del tutto speculari a quelle di ASA, senza però ricorrere ad alcuna indicazione di un produttore specifico; c) manca la clausola di equivalenza, il che impedisce alla ricorrente la partecipazione alla gara nonostante essa produca e distribuisca masse filtranti in tutto e per tutto rispettose dei requisiti fissati dalla lex specialis e come tali idonee a garantire le medesime prestazioni ed a pervenire ai medesimi risultati voluti da ASA; d) il prodotto posto a base di gara è fungibile, infatti i due idrossidi ferrici granulari prodotti da Gr.Zi. (AP TH08) e da Wa.Gm.&.Ge. (GEH102) hanno le stesse caratteristiche fisiche e la stessa composizione chimica; i due materiali sono quindi perfettamente equivalenti e possono essere utilizzati entrambi per la rimozione dell’arsenico con analoghe efficienze, a parità di condizioni di esercizio; d’altra parte AP TH08 rispetta i requisiti della norma DIN EN 15029:2013, che detta i requisiti per l’idrossido ferrico granulare usato per il trattamento delle acque potabili e della certificazione NSF/ANSI 61 per il rilascio di sostanze nelle acque trattate (test di lisciviazione), il che rileva ai sensi del comma 7 dell’All. II.6, Parte II, Sez. A d.lvo 36/23; e) gli assunti della ricorrente sono dimostrati dal confronto con altre procedure di gara per la fornitura del medesimo prodotto (i casi ACEA e ALFA), dalle quali risulta l’equivalenza tra il prodotto di Gr.Zi. (AP TH08) e quello di GEH Wasserchemie (GEH102) e così la fondatezza del presente ricorso, stante l’illegittima pretesa di ASA di vincolare l’offerta ad un singolo produttore; f) contesta il chiarimento ASA del 25.03.24, evidenziando che non risulta chiaro se, tra i "prodotti analoghi" posti a confronto, vi sia anche il AP TH08 di Gr.Zi., né ha fornito altri dettagli circa le modalità di espletamento di queste prove e tanto meno le risultanze; comunque la normativa e i principi richiamati impongono sempre e comunque che i concorrenti siano ammessi a fornire la prova dell’equivalenza dei propri prodotti nel corso della procedura di gara e in contraddittorio con la Stazione appaltante. 4 - La As. spa si è costituita in giudizio per resistere al ricorso. Essa evidenzia che la fornitura e messa in opera di masse filtranti ha un valore di circa € 160.000,00, ossia è pari a circa il 15% dell’importo dell’intero appalto; eccepisce la inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, poiché parte ricorrente non dimostra di avere i requisiti per partecipare alla gara de qua, nella quale è richiesto quale requisito di partecipazione di aver progettato e realizzato un impianto e non la mera fornitura di masse filtranti, che è indipendente dalla realizzazione dell’impianto stesso e che rappresenta soltanto il 15% del valore dell’appalto; d’altra parte la prescrizione di una determinata massa filtrante contenuta nel CSA non preclude in alcun modo all’operatore economico di poter partecipare alla gara, poiché la massa filtrante prescritta GEH 102 può essere reperita sul mercato sia dal produttore sia da qualsiasi rivenditore; nel merito la resistente evidenzia che, pur potendo condividere in astratto gli assunti della ricorrente, nel caso di specie occorre tener presente che non si tratta di un bando di gara per la fornitura di una massa filtrante, ma di una gara per la realizzazione di un impianto di depurazione; la stazione appaltante, quindi, in un’ottica di massima trasparenza e nel rispetto del principio di risultato che deve governare l’interpretazione delle disposizioni di codice degli appalti e che è improntato ai canoni dell’efficienza e dell’economicità, ha optato per l’individuazione della particolare tipologia di masse filtranti presente sul mercato in grado di ottenere risparmi di gestione, anche in termini di minor impatto ambientale, ponendo così sullo stesso piano tutti i realizzatori di impianti di depurazione da arsenico che possono partecipare alla gara. 5 - Chiamata la causa alla camera di consiglio del 23 aprile 2024, dato alle parti avvertimento sulla possibile definizione della causa con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., sentite le parti, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione nel merito. 6 - Devono essere in via previa scrutinate le eccezioni preliminari formulate dalla stazione appaltante. Parte resistete eccepisce la carenza d’interesse della ricorrente, giacché nella specie non si è in presenza di appalto di mera fornitura di masse filtranti, bensì di un più complesso appalto di progettazione e realizzazione di impianto di depurazione delle acque, rispetto al quale la ricorrente non avrebbe dimostrato il possesso dei requisiti di partecipazione. L’eccezione è infondata. Oggetto della impugnazione sono gli atti di indizione della procedura, che vengono contestati dalla ricorrente in quanto ritiene che l’oggetto di gara sia stato determinato, almeno in parte, attraverso specifiche tecniche illegittime (indicazione del produttore delle masse filtranti), questione rispetto alla quale essa ha interesse in quanto essa stessa produttrice del medesimo bene in considerazione. Il tema specifico del possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di gara non può essere esaminato funditus in questa sede, perché altrimenti si cadrebbe nel sindacato di poteri non ancora esercitati; resta il fatto che, per quanto può essere apprezzato al fine dello scrutino dell’eccezione processuale, è stato dimostrato in causa che la ricorrente ha partecipato a procedure similari e dalla visura camerale versata in atti risulta che la ricorrente abbia un oggetto sociale compatibile con la gara in considerazione ("attività di progettazione, costruzione installazione, manutenzione, riparazione e gestione delle seguenti categorie di impianti, sistemi e lavori:....impianti di sollevamento, potabilizzazione, depurazione e trattamento delle acque per usi civili ed industriali"). La resistente eccepisce altresì la mancanza d’interesse della ricorrente poiché la prescrizione di una determinata massa filtrante contenuta nel CSA non preclude in alcun modo all’operatore economico di poter partecipare alla gara, poiché la massa filtrante prescritta GEH 102 può essere reperita sul mercato sia dal produttore sia da qualsiasi rivenditore. L’eccezione è infondata. La società ricorrente, produttrice di masse filtranti, agisce in giudizio per far valere il suo interesse a concorrere alla gara, in posizione di parità con gli altri operatori del settore, presentando le masse filtranti di sua produzione e mette in evidenza quindi la violazione delle regole di gara relative alla fissazione dell’oggetto di selezione a mezzo delle specifiche tecniche. L’eccezione formulata dalla resistente non riesce ad elidere il suddetto interesse perché lo pretermette totalmente; non è in questione la possibilità della ricorrente di partecipare alla gara offrendo le masse filtranti del produttore indicato negli atti di gara, evenienza scontata, ma la legittimità della previsione dell’obbligo di attenersi a tale prescrizione, con la preclusione quindi alla offerta in gara del proprio prodotto. 7 - Nel merito il ricorso è fondato. Viene censurata la previsione di gara che impone la "fornitura e messa in opera delle masse filtranti (granular ferric hydroxide GEH 102) del costruttore Ge.Wa.Gm.&.Co. in quantità necessarie all’impianto", con conseguente preclusione alla ricorrente di offrire le masse filtranti di propria produzione, il che ad avviso di parte ricorrente violerebbe le norme del codice dei contratti pubblici relative alle specifiche tecniche. Parte resistente replica, in primo luogo, evidenziando che nella specie non siamo in presenza di una mera gara di fornitura di masse filtranti, bensì di una più complessa procedura di realizzazione e posa in opera di un impianto di depurazione, nell’ambito della quale il valore delle masse filtranti è circa il 15% del valore complessivo dell’appalto. Ritiene il Collegio che tale assunto difensivo sia privo di pregio. La questione posta riguarda, come già rilevato, la individuazione dell’oggetto di gara, laddove la stessa è effettuata con indicazione del produttore del bene in considerazione. La questione giuridica posta, che attiene alla corretta applicazione della disciplina relativa alle specifiche tecniche, non cambia se essa abbia riguardo ad una parte più o meno estesa dell’oggetto di gara; cioè il fatto che il problema posto coinvolga solo una parte dell’operazione complessiva posta in essere (cioè la fornitura di masse filtranti) non toglie che il problema giuridico residua; infatti si tratta di capire se la stazione appaltante possa pretendere che le masse filtranti offerte siano solo ed esclusivamente quelle prodotte da una certa azienda e non altre, ancorché in ipotesi equivalenti. Venendo quindi al cuore della vicenda in esame, ritiene il Collegio che la stazione appaltante non potesse pretendere la "fornitura e messa in opera delle masse filtranti (granular ferric hydroxide GEH 102) del costruttore Ge.Wa.Gm.&.Co. in quantità necessarie all’impianto" e che, conseguentemente, gli atti di indizione della gara siano, in parte qua, illegittimi. Ciò alla luce delle seguenti considerazioni: - nell’ambito del d.lgs. n. 36 del 2023 le specifiche tecniche sono definite e disciplinate dall’allegato II.5 al codice dei contratti pubblici; il punto 6 della parte II dell’allegato richiamato stabilisce che "salvo che siano giustificate dall'oggetto dell'appalto, le specifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determinata o un procedimento particolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico specifico, né far riferimento a un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un'origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti. Tale menzione o riferimento sono tuttavia consentiti, in via eccezionale, nel caso in cui una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell'oggetto dell'appalto non sia possibile applicando il punto 5. In tal caso la menzione o il riferimento sono accompagnati dall'espressione "o equivalente""; - la disposizione richiamate detta le regulae iuris del caso in esame, che si concentrano su tre prescrizioni: non si può di norma indicare l’oggetto di gara attraverso la menzione di una determinata fabbricazione o provenienza; una tale menzione è consentita solo in via eccezionale, allorquando nel caso di specie una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell'oggetto dell'appalto non sia possibile altrimenti; in tal ultimo caso la menzione o il riferimento sono accompagnati dall'espressione "o equivalente"; - nel caso sottoposto all’esame di questo tribunale amministrativo la stazione appaltante non ha rispettato alcune delle tre riferite prescrizioni: ha indicato l’oggetto di gara (o meglio una sua parte, cioè la fornitura di masse filtranti) non già in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, bensì proprio attraverso la menzione del produttore (masse filtranti del costruttore Ge.Wa.Gm.&.Co.); non risulta che tale opzione sia stata valutata adeguatamente dalla stazione appaltante, né in particolare che sia stata fornita una giustificazione circa il ricorrere nel caso specifico dei presupposti di eccezionalità previsti dalla norma; l’indicazione dell’oggetto dello specifico produttore non è accompagnato dalla dizione "o equivalente"; - la stazione appaltante, quindi, non ha dimostrato la impossibilità di descrivere l’oggetto di gara in termini prestazionali o di requisiti funzionali e quindi il ricorrere del presupposto di eccezionalità che, solo, giustifica il riferimento al produttore del bene stesso; che non fosse impossibile descrivere l’oggetto di gara se non con riferimento al produttore risulta da appalti aventi oggetto similare; d’altra parte nel chiarimento del 25 marzo 2024 la stazione appaltante afferma esplicitamente che l’indicazione del bene di uno specifico produttore corrisponde ad una "scelta tecnica di qualità e di risparmio", quindi non ad una impossibilità di fare altrimenti, ma alla volontà di optare su un prodotto ritenuto più meritevole di altri; ciò doveva però comportare l’ammissibilità comunque in gara anche di prodotti equivalenti, ancorché in ipotesi meno performanti, ferma la dimostrazione, in gara e nel confronto concreto, della maggiore meritevolezza di un prodotto rispetto all’altro; non sussistevano invece i presupposti per imporre in gara, in esito ad una valutazione preventiva della stazione appaltante, fuori della gara, l’utilizzo dello specifico bene di un solo determinato produttore. 8 - Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto, con annullamento degli atti di gara nella parte in cui impongono ai partecipanti alla gara la fornitura e messa in opera di masse filtranti di uno specifico produttore. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei sensi e limiti di cui in motivazione. Condanna As. spa al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, liquidate in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Riccardo Giani, Presidente, Estensore Giovanni Ricchiuto - Consigliere Nicola Fenicia - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1205 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Af. S.r.l., in relazione alla procedura CIG 940240560F, rappresentata e difesa dagli avvocati Ba. Si. e Ja. Gh., con domicilio digitale come da PEC risultante dai Registri di Giustizia; contro Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale - rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Di., con domicilio digitale come da PEC risultante dai Registri di Giustizia; nei confronti Regione Toscana - Soggetto Aggregatore, non costituito in giudizio; Xv. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Gr. e Ma. Sa., con domicilio digitale come da PEC risultante dai Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determinazione n. 1237 del 26.09.2023, pubblicata all'albo pretorio e comunicata il 27.09.2023, del Direttore dell'Area Farmaci, Diagnostici e Dispositivi Medici di ESTAR - Ente di supporto tecnico-amministrativo regionale, avente ad oggetto "(CUI 2022-032-0003) aggiudicazione PA, in modalità telematica, per affidamento mediante convenzione della fornitura in service di sistema di perfusione ex-vivo del graft epatico, con relativo materiale di consumo per le AASS del SSR della Regione Toscana (n. 2 lotti). ID GARA 8719942" nella parte in cui il lotto n. 1, avente ad oggetto "Sistema di perfusione ex-vivo del graft epatico a scopo di trapianto di fegato da donatore DCD (donazione con criteri cardiaci o donazione a cuore non battente)" (CIG 940240560F) è stato aggiudicato in favore di Xv. S.r.l., che avrebbe invece dovuto essere esclusa, anziché di Af. S.r.l.; - della medesima determinazione n. 1237/2023 nella parte in cui approva e fa propri, quali parti integranti e sostanziali, i verbali e gli allegati della Commissione giudicatrice del 27.10.2022, del 13.02.2023, del 06.03.2023, del 15.03.2023, del 22.03.2023 e del 29.03.2023, del 14.04.2023, del 29.05.2023 e del 07.06.2023, nonché dei verbali e degli allegati stessi; - di ogni altro atto connesso; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Af. S.r.l. il 22/11/2023: - del verbale del giorno 8.11.2023 della Commissione giudicatrice, citato nella memoria depositata da ESTAR il 13.11.2023 ma non prodotto in giudizio; - di ogni altro atto connesso non conosciuto. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Estar - Ente di Supporto Tecnico Amministrativo Regionale e della S.r.l. Xv.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 aprile 2024 il dott. Raffaello Gisondi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La S.r.l. Af., premesso: a) di aver partecipato alla gara indetta da Estar per la stipula di una convezione finalizzata all'affidamento triennale in lotti separati della fornitura in service di un sistema di perfusione ex-vivo del graft epatico; b) che sono state presentate 2 offerte solo per il lotto n. 1 riguardante il sistema di perfusione del graft epatico a scopo di trapianto di fegato; c) che la gara è stata aggiudicata alla unica impresa concorrente Xv. S.r.l.; tutto ciò premesso essa con il ricorso principale impugna il provvedimento di aggiudicazione. Con il primo motivo la S.r.l. Af. si duole che la aggiudicazione sarebbe stata disposta nonostante il prodotto offerto dalla concorrente non rispetti il requisito previsto dal capitolato secondo cui il sistema di perfusione del fegato deve consentire "a seconda delle necessità cliniche, di poter essere impiegato a temperatura regolabile, dalle condizioni ipotermiche (4-11° C), alle sub-normotermiche (25° C), alla normotermia (32-37° C)". Secondo la ricorrente, infatti, il dispositivo Li. As. offerto da Xv. consentirebbe una regolazione della temperatura solo nel range che va da 12 a 37 gradi, mentre in condizioni di ipotermia assicurerebbe solo la conservazione dell'organo al di sotto 12 gradi senza, però, dare la possibilità agli operatori di impostare una temperatura determinata. La censura non ha fondamento in quanto muove da una errata interpretazione delle specifiche del prodotto richieste dalla Amministrazione. La clausola del capitolato tecnico invocata da Af. riferisce infatti la richiesta capacità di regolazione del sistema non ai singoli gradi di temperatura nell'ambito del complessivo intervallo fra 4° e 27° C, ma alle tre condizioni termiche individuate come "ipotermia" (che va da 4° a 11" C), "sub ipotermia" (che va da 12° a 25° C) e "normotermia" (che va da 26° a 37° C). Sicchè appare conforme al requisito in esame ogni sistema che consenta agli operatori sanitari di poter passare, nel momento in cui essi lo ritengano necessario, dall'una all'atra delle tre predette condizioni termiche ancorchè all'interno delle stesse non consenta di poter impostare una temperatura predeterminata. Il tutto, ovviamente, a condizione che la conservazione dell'organo avvenga sempre attraverso un sistema di perfusione. A nulla rileva il fatto che Xv. sia stata esclusa da altre gare perché il sistema da essa offerto non consente di regolare una specifica temperatura al di sotto dei 12 gradi, posto che l'operato della commissione può essere sindacato solo in base alle specifiche previsioni della lex specialis della procedura di cui si discute. Con una seconda articolata censura Af. lamenta che: 1) la aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa ai sensi dell'art. 80, comma 5, lettere f-bis e c-bis del D.Lgs. n. 50/2016, per aver presentato in gara una documentazione attestante le specifiche tecniche del suo sistema che non corrispondono a quelle indicate nei documenti presenti sul sito web della "casa madre" svedese; 2) la commissione non avrebbe approfondito l'istruttoria sulla conformità al capitolato tecnico del prodotto offerto dalla concorrente in considerazione delle incongruenze rilevate nella documentazione tecnica. Entrambi i profili di censura risultano fondati. Af. ha allegato al ricorso le IFU del dispositivo Li. As. prodotte in gara da Xv. e quelle riferite alla medesima tipologia di prodotto scaricabili dal sito web della multinazionale svedese. Il primo documento al punto n. 1.7 ("Specifiche del prodotto") nelle righe riferite al flusso, alla pressione e alla temperatura di perfusione indica una range termico che va da 4 a 37 gradi. Il secondo documento nel medesimo punto ed alle medesime righe indica un range termico che va da 12 a 37 gradi, evidentemente non corrispondente ai parametri previsti dal capitolato tecnico. Nelle sue difese Xv. ha affermato: 1) che le IFU presenti sul sito della casa madre prodotte dalla ricorrente sarebbero riferibili ad un dispositivo Li. As. contrassegnato con un diverso numero di serie e comunque avrebbero una valenza meramente orientativa ed illustrativa, 2) che, in ogni caso, leggendo per intero sia le IFU da essa prodotte in gara che quelle scaricate dal sito web si evincerebbe chiaramente che il sistema Li. As. è in grado di assicurare la conservazione degli organi anche ad una temperatura inferiore ai 12 gradi con possibilità di raffreddamento fino al 4° C (vedasi punti 3.2 "procedura di perfusione" e il punto n. 5 "istruzioni generali per la sicurezza" di entrambi i documenti). Nell'intento di chiarire la apparente contraddittorietà fra le IFU del Li. As. prodotte in gara da Xv. e quelle scaricabili dal sito web della Casa madre svedese il Collegio ha disposto una istruttoria chiedendo a Xv. S.r.l. di depositare in giudizio: 1) la documentazione tecnica in forza della quale il modello di macchinario offerto in gara ha ricevuto la certificazione che ne ha reso possibile la commercializzazione da parte dell'organismo competente in base alla normativa eurounitaria, evidenziando le parti in cui la stessa si riferisce al range di temperatura di perfusione che il prodotto può garantire; 2) l'atto con cui il predetto organismo ha rilasciato la certificazione. La controinteressata ha ottemperato all'ordine istruttorio ma i documenti dalla stessa prodotti non sono valsi a risolvere l'evidenziata contraddizione, posto che: 1) anche nelle IFU "ufficiali" depositate in giudizio al punto n. 1.7 ("Product specifications") viene dichiarato che in relazione al flusso, alla pressione ed alla temperatura di perfusione il grado minimo di calore assicurato dal sistema risulta essere pari a 12° C e non a 4 ° C come, invece, indicato nelle IFU prodotte in gara; 2) all'interno delle stesse IFU prodotte da Xv. in ottemperanza alla richiesta istruttoria permane un inesplicabile contrasto fra la temperatura minima dichiarata nella parte inerente le specifiche del prodotto (12° C) e quella indicata nelle parti del medesimo documento riferite alla "procedura di perfusione" e alle "istruzioni generali per la sicurezza" (4° C). Le performance termiche dichiarate nella documentazione prodotta in gara sono altresì difformi da quelle indicate nelle specifiche di prodotto depositate da Xv. in data 15/02/2024 sub. doc 5 nelle quali si legge che la "Thermal performance" della unità termica del sistema copre un range da 12° a 37° C. e non da 4° a 27° C. Il Collegio reputa che i documenti prodotti evidenzino in primo luogo la fondatezza della censura con cui viene denunciata la violazione dell'art. 80 comma 5 lett. c bis) del D.Lgs n. 50 del 2016. La difformità fra le IFU prodotte in gara dalla aggiudicataria e quelle depositate in giudizio in ordine ad un punto essenziale delle performance termiche del sistema di perfusione non poggia, infatti, su alcuna plausibile giustificazione. Xv. nelle sue difese ha affermato che tale difformità potrebbe essere dovuta all'utilizzo di IFU successive rispetto a quelle utilizzate a suo tempo per la registrazione, dal momento che quelle offerte in gara si riferiscono al modello 11.101, mentre quelle inviate dalla casa madre ai fini della esecuzione dell'ordinanza istruttoria si riferiscono al modello n. 11.01.101. Il Collegio deve innanzitutto osservare che la predetta numerazione non riguarda una diversa versione delle IFU ma inerisce ai dispositivi il cui funzionamento le stesse sono volte ad illustrare. Per cui se è vero, come asserisce sempre Xv., che i macchinari contrassegnati con i nn. 11.101 e 11.01.101 sono gli stessi o comunque hanno le stesse caratteristiche allora la allegazione all'offerta tecnica di IFU che riportano requisiti termici diversi rispetto a quelli indicati dalle IFU approvate in sede di omologazione costituisce informazione falsa o fuorviante suscettibili di influenzare le decisioni della Stazione appaltante in ordine alla ammissione alla gara. Se invece, in ipotesi, i codici nn. 11.101 e 11.01.101 individuassero dispositivi con caratteristiche diverse allora Xv. producendo in giudizio le IFU "ufficiali" riferite ad un prodotto diverso da quello offerto in gara non avrebbe ottemperato alla ordinanza istruttoria e da ciò il Collegio ben potrebbe trarre argomenti di prova a favore della tesi della fornitura alla SA di documenti o informazioni false o fuorvianti posta a fondamento del secondo motivo di ricorso. Sul punto occorre aggiungere che la produzione in gara di IFU non conformi a quelle ufficialmente approvate non può costituire causa di esclusione automatica ai sensi dell'art. 80 comma 5 lett. f bis del D.Lgs 50/2016 posto che secondo l'insegnamento di AP n. 16/2020 tale norma è applicabile solo ai casi in cui i documenti tacciati di falsità non si correlino a valutazioni rimesse alla stazione appaltante o alla commissione ai fini della ammissione della concorrente, dovendosi, in caso contrario, fare applicazione della previsione di cui alla lettera c bis del medesimo comma che affida alla stazione appaltante il compito di stabilire, caso per caso, se le informazioni false o fuorvianti fornite dal concorrente valgano a minarne irrimediabilmente l'integrità e affidabilità . La produzione di IFU non corrispondenti su un punto essenziale a quelle ufficiali vale anche a fondare il dedotto difetto di istruttoria da parte della commissione di gara in ordine alla corrispondenza del prodotto offerto da Xv. alle specifiche previste dalla lex specialis con riguardo al range di temperatura che deve essere garantito nel processo di perfusione. La valutazione operata dalla commissione sul punto è stata, infatti, evidentemente fuorviata dal fatto che nell'ambito delle IFU prodotte in gara da Xv. non emergeva alcuna discrepanza fra le indicazioni relative alle prestazioni termiche del sistema contenute nel punto n. 1.7 (Specifiche del prodotto) e quelle contenute nelle successive parti volte ad illustrare la "procedura di perfusione" e a fornire le "istruzioni generali per la sicurezza". Tale apparente uniformità non ha consentito all'organo valutatore di disporre gli opportuni approfondimenti sulle caratteristiche del sistema di perfusione offerto da Xv. che, invece, si sarebbero resi necessari qualora fossero state consegnate alla SA le IFU poi depositate in sede processuale. Approfondimenti vieppiù necessari anche alla luce dei chiarimenti forniti, sempre in sede di istruttoria processuale, dal responsabile regolatorio di Xv. secondo cui il sistema Li. As. può garantire un raffreddamento dell'organo al di sotto del 12 gradi se impostato in modalità "full cooling" e solo per protocolli molto specifici può superare la soglia dei 37 gradi arrivando fino al 40° C. Si tratta infatti di informazioni tecniche che avrebbero dovuto essere rese disponibili in sede di gara per consentire alla commissione (in quanto organo dotato di competenze tecniche) di valutare a fondo le caratteristiche del prodotto e la sua capacità di garantire attraverso un processo di perfusione la conservazione degli organi entro il range di temperatura prescritto dal capitolato. Con la terza censura Af. si duole del fatto che il liquido di perfusione "Be. MP.", offerto da Xv., non sarebbe stato quotato rendendo ciò l'offerta della concorrente incompleta ed indeterminata. La censura non ha fondamento dal momento che il liquido "Bl. MP." fa parte del Kit compreso nell'offerta al quale è stato attribuito un prezzo nel suo complesso (doc. 14 Xv.). Con ricorso per motivi aggiunti Af. ha impugnato anche il verbale di riunione della commissione in data 8.11.2023, riunione successiva alla aggiudicazione del contratto con il quale l'organo valutatore ha ritenuto di rivedere e giustificare il proprio operato alla luce dei rilievi mossi con il ricorso principale. Il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile in quanto rivolto contro un atto interno della p.a. che non è sfociato in un vero e proprio provvedimento di conferma da parte degli organi di amministrazione attiva di Estar. Xv. ha altresì proposto ricorso incidentale condizionato mediante impugnativa della lex specialis qualora la stessa fosse stata interpretata nel senso divisato dalla ricorrente nel primo motivo del ricorso principale. Il rigetto di tale motivo rende improcedibile l'impugnativa condizionata svolta nel ricorso incidentale. Le spese nei confronti di Xv. seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono giusti motivi per compensare le spese fra la ricorrente ed Estar. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione III, definitivamente pronunciando sul ricorso principale, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla l'impugnato provvedimento di aggiudicazione. Dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti e improcedibile quello incidentale. Condanna Xv. alla refusione delle spese di lite che si liquidano in Euro 4.000 oltre IVA e c.p.a. e al rimborso del contributo unificato. Compensa le spese fra Af. ed Estar. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Eleonora Di Santo - Presidente Raffaello Gisondi - Consigliere, Estensore Antonio Andolfi - Consigliere
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1095 del 2023, proposto dalla Cm. Ma. S.r.l. e dalla Ma. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Ra. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Carrara, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati So. Fa. e Lu. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determina 4682 del 29/09/2023 del Dirigente Settore 8 - Ambiente e Marmo avente ad oggetto "revoca del piano di dilazione di pagamento società CM. Ma. Srl approvato con determinazione n. 2501 del 18.06.2021 per inottemperanza alle prescrizioni" comunicata in data 29 settembre 2023; - della determina 4684 del 29/09/2023 del Dirigente Settore 8 - Ambiente e Marmo avente ad oggetto "decadenza di diritti sulla e alla concessione di agri marmiferi comunali ai sensi dell''art. 17 del regolamento per la concessione degli agri marmiferi (DCC 47/2020 e s.mi.) e dell''art. 37 della legge regione Toscana 35/2015 e s.m.i - Cava n. (omissis) "FI. B"; - dell'ordinanza dirigenziale 970 del 3.10.2023 del Dirigente Settore 8 - Ambiente e Marmo avente ad oggetto "sospensione autorizzazione all''attività estrattiva ai sensi dell''art. 21 della L.R.T. 25 marzo 2015 n. 35 e s.m.i. - - Cava n. (omissis) "FI. B; e di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato ove lesivi o allo stato non conosciuti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carrara; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2024 il dott. Marcello Faviere e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La CM. Ma. s.r.l. e la MA. Co. s.r.l. sono titolari di autorizzazione (giusta DD n. 25/2018 prorogata con DD n. 6407/2022) e concessione per lo sfruttamento di agri marmiferi insistenti sulla cava n. (omissis), denominata Fi. B, situata nel Comune di Carrara. Il Comune, dopo aver contestato il mancato pagamento di canoni e contributi di concessione relativi agli anni precedenti e aver avviato (con note prot. 5483 e 5476 del 26.01.2021) il procedimento di decadenza dalla concessione, accoglieva (con nota prot. 18958 del 19.03.2021) la richiesta della CM. Ma. s.r.l. di ammissione al pagamento di una penale in luogo della decadenza e della sua rateizzazione (con contestuale sospensione del procedimento avviato). Il Comune approvava pertanto il piano di rateizzo dell'intero debito accumulato (con DD n. 2501 del 18.06.2021) per mancato pagamento di contributo di estrazione, canone di concessione, delle relative sanzioni e interessi (per un importo totale pari a euro 755.157,84, da pagarsi in 60 rate mensili di importo pari a Euro 12.589,16 ciascuna, dando atto del pagamento già avvenuto dell'acconto del 10%). L'Amministrazione, preso atto che il pagamento è avvenuto per le prime 22 rate, che dalla rata n. 23 il debito non è stato più saldato e che, pertanto, le società debitrici non hanno onorato le scadenze del piano di dilazione approvato: - con DD n. 4682 del 29.09.2023 ha revocato il piano di dilazione accordato in precedenza con la DD n. 2501/2021 ed attivato la procedura per l'escussione della garanzia fideiussoria per il debito residuo (pari a euro 478.310,47); - con DD n. 4684 del 29.09.2023 ha disposto la decadenza del pagamento della penale in luogo della decadenza dalla concessione (trattenendo il relativo importo), ha concluso il procedimento per la declaratoria della decadenza disponendola ai sensi dell'art. 17, comma 2 lett. a) del vigente Regolamento comunale sulle concessioni nonché dell'art. 37, comma 1 lett d) della LRT n. 35/2015, dichiarando gli agri marmiferi liberi "ed in piena disponibilità del Comune" e dando atto della perdita della disponibilità del bene. Di conseguenza, in data 29.09.2023 (con nota prot. 78490), il Comune ha avviato il procedimento per la sospensione dell'autorizzazione all'attività estrattiva, conclusosi con ordinanza dirigenziale n. 970 del 3.10.2023 (ai sensi dell'art. 21, comma 2 lett a), della LRT n. 35/2015). 2. Avverso i citati provvedimenti le Società hanno notificato ricorso (il 13.10.2023), ritualmente depositato avanti questo Tribunale, con cui lamentano, in quattro motivi, violazione di legge ed eccesso di potere per plurimi motivi. Per resistere al gravame si è costituito il Comune di Carrara (il 31.10.2023), che ha depositato memoria (il 2.11.2023), seguito dalla ricorrente (il 4.11.2023). Questo Tribunale ha parzialmente accolto l'istanza cautelare, con ordinanza n. 491/2023, sospendendo il solo divieto di prelevare e rimuovere i materiali da taglio presenti in cava. Ha fatto seguito il deposito di memoria delle ricorrenti (il 23.02.2024), del Comune di Carrara (il 23.02.2024) nonché di memorie di replica delle ricorrenti e dell'amministrazione (il 5.03.2024). Alla udienza pubblica del 27.03.2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. Il ricorso è infondato. 4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 17, comma 2, lett. a) del regolamento per la concessione degli agri marmiferi e dell'art. 37, comma 1, lett. d) della LRT n. 35/2015; eccesso di potere per erronea e falsa valutazione dei presupposti di fatto, irragionevolezza e illogicità manifesta. La ricorrente sostiene che la rateizzazione del debito (approvata con DD n. 2501/2023) avrebbe novato oggettivamente il rapporto obbligatorio per cui il presupposto su cui si basava il procedimento, avviato il 26.01.2021, per la decadenza dalla concessione sarebbe venuto meno e non poteva essere concluso ai sensi dell'art. 17, comma 2, lett. a) del regolamento per la concessione degli agri marmiferi e dell'art. 37, comma 1, lett. d) della LRT n. 35/2015. Per le medesime ragioni l'Amministrazione non avrebbe potuto revocare il beneficio del pagamento della penale in luogo della decadenza della concessione, il quale sarebbe maturato prima del riconoscimento della rateizzazione; sarebbero pertanto venuti meno i presupposti previsti dalle linee guida comunali per la disciplina di tale beneficio. Le doglianze non colgono nel segno. Il Collegio osserva che l'operato dell'amministrazione risulta conforme alle previsioni normative e regolamentari, previste per la declaratoria di decadenza delle concessioni, che qui non vengono messe in discussione. Giova ricostruire il quadro normativo che sottende la fattispecie concreta oggi in esame. L'art. 37 della LRT n. 35/2015 (recante Disposizioni in materia di cave. Modifiche alla L.R. n. 104/1995, L.R. n. 65/1997, L.R. n. 78/1998, L.R. n. 10/2010 e L.R. n. 65/2014) prevede che "sono cause di decadenza: (...) d) la mancata corresponsione del canone concessorio per un'annualità ". Nel caso di specie la sussistenza del dedito pregresso non costituisce oggetto di contestazione e viene riconosciuta dalle ricorrenti. Il debito oggetto di rateizzazione è stato quantificato dalla Amministrazione in 817.688,42 comprensivo di quota canone e contributo di estrazione (oltre sanzioni e interessi, cfr. doc. n. 2 di parte resistente) relative a 31 note di pagamento insolute relative al periodo 30.09.2016 - 30.10.2020. Il regolamento per la concessione degli agri marmiferi del Comune, vigente all'epoca dei fatti (cfr. doc. n. 21 di parte resistente), prevede specifiche cause di decadenza dalle concessioni tra cui, all'art. 17, comma 2 lett. a), "il mancato pagamento anche parziale di 12 (dodici) mensilità dovute del canone di concessione anche non consecutive". Risulta pertanto pacifico l'inadempimento delle ricorrenti e il ricorrere del presupposto per l'attivazione del procedimento di decadenza dalla concessione. Il citato art. 17 prevede, al comma 5, che "II Comune, su richiesta della parte interessata, ove ritenga possibile la prosecuzione del rapporto con il Concessionario, può decidere di applicare in luogo della dichiarazione di decadenza, una penale, in misura compresa tra Euro 50.000,00 ed Euro 500.000,00, da determinarsi in relazione alla gravità dell'inadempimento e all'entità delle conseguenze derivanti, ferma restando la necessità che il concessionario elimini l'inadempimento. Ove la penale non sia corrisposta nel termine di 60 (sessanta) giorni dalla comunicazione del provvedimento di irrogazione, la decadenza è dichiarata senza necessità di ulteriore comunicazione". Il Comune ha approvato specifiche linee guida ed indirizzi operativi per l'applicazione dell'art. 17, comma 5, del regolamento citato (aggiornando tale documento con DD n. 151 del 25.05.2021, di cui le ricorrenti sono peraltro state rese edotte in corso di procedimento con note prot. 48397 e prot. 48407 del 13.07.2021, cfr. doc. n. 9 e 10 di parte resistente) che, all'art. 4, prevedono che in caso di ammissione al pagamento della penale, "nell'ipotesi in cui la causa di decadenza sia derivata da un pregresso debito non assolto nei confronti del Comune, il concessionario è tenuto ad assolvere al pagamento del debito entro centoventi giorni. Più in generale, nello stesso termine, il concessionario è tenuto ad eliminare tutte le cause che hanno dato luogo all'avvio del procedimento di decadenza della concessione. Il predetto termine di centoventi giorni si intenderà rispettato ove entro il medesimo il concessionario sia stato ammesso alla rateizzazione dell'importo dovuto per debiti pregressi indipendentemente dalla estensione temporale della rateizzazione stessa" (...) (cfr. doc. n. 22 di parte resistente). Le linee guida prevedono, all'art. 4 commi 9 e 10, altresì che " il procedimento di decadenza della concessione di cui all'art. 37 della L.R. 35/2015 e s.m.i. viene archiviato solo al momento del saldo del debito in ipotesi rateizzato (penale e/o pregresso debito causa di avvio del procedimento di decadenza) e, sempre che il concessionario abbia eliminato tutte le cause che hanno dato luogo all'avvio del procedimento di decadenza della concessione stesso, nonché, all'avvenuto assolvimento degli eventuali obblighi di ripristino ed al risarcimento dell'eventuale danno causato. 10. Nel caso in cui l'avvio del procedimento di decadenza della concessione sia derivato da un debito pregresso per cui è stata concessa una rateizzazione dal competente Settore, in caso di inadempimento del piano di rateizzazione approvato, il concessionario decade dall'ammissione al beneficio del pagamento della penale in luogo della decadenza ed il Settore Servizi ambientali/Marmo procede alla conclusione del procedimento previsto dall'art. 37 della L.R. 35/2015 e s.m.i.". Ciò premesso risulta pacifico, per stessa ammissione del ricorrente, che il piano di rateizzazione non sia stato onorato alle scadenze previste (la stessa rata n. 22, in scadenza al 15.04.2023, risulta pagata al 12.07.2023). Parimenti non contestato è il fatto che, al mese di settembre 2023, non risultava né il saldo del debito rateizzato, né il puntuale pagamento delle rate previste. Ne consegue che parte ricorrente non aveva rimosso le cause che avevano dato luogo all'attivazione del procedimento di declaratoria della decadenza dalla concessione. Occorre, infatti, evidenziare che la dilazione del pagamento e/o la sua rateizzazione non costituiscono di per sé novazione oggettiva delle obbligazioni intercorrenti tra due o più soggetti. La mera sostituzione di un titolo o delle scadenze dei pagamenti, infatti, non implica, in difetto della prova di una diversa volontà delle parti, una novazione dell'obbligazione e del rapporto (cfr. Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 11/11/2010, n. 22916). È pur vero che in alcune fattispecie, diverse da quella che qui ci interessa, la giurisprudenza sostiene che l'approvazione di un piano di rateizzazione del debito fiscale e/o contributivo possa costituire novazione del debito originario con uno diverso (secondo un meccanismo di stampo estintivo-costitutivo che dà la stura a una novazione dell'obbligazione originaria, cfr. ex multis Cons. Stato, sez. V, 19/02/2018, n. 1028; Consiglio di Stato, sez. V, 19/02/2018, n. 1028), ma ciò può operare solo laddove l'ordinamento connetta l'erogazione di determinati benefici al mantenimento della "regolarità " fiscale, intendendosi come requisito soggettivo, indice dell'affidabilità dell'impresa. In tali ipotesi, peraltro, è lo stesso ordinamento a riconoscere la permanenza di tale requisito in caso di impegni vincolanti a pagare imposte o contributi previdenziali e non è rimessa alle parti l'attivazione di negozi a carattere novativo (cfr. art. 94 del D.Lgs. n. 36/2023 in materia di appalti e concessioni, come peraltro già previsto all'art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50/2016). Diversa è la posizione del concessionario che non ottemperi al pagamento del canone (e/o del contributo di estrazione, come disciplinato dall'art. 36 della L. n. 35/2015) nel quadro di un rapporto sinallagmatico che accede ad un provvedimento di concessione di un bene pubblico. La dilazione dei pagamenti e/o la loro rateizzazione, pertanto, si atteggia solo come modalità diversa di corresponsione dei corrispettivi. L'eventuale novazione delle obbligazioni necessiterebbe, in questi casi, di una chiara ed inequivoca manifestazione dell'animus novandi da parte di debitore e creditore, ai sensi dell'art. 1230 c.c. Nel caso di specie non solo tale volontà non risulta esplicitata in modo inequivoco, ma nei provvedimenti approvati dal Comune risulta una chiara volontà di mantenere in vita le obbligazioni originarie esistenti. La DD n. 2501/2021, che accorda il piano di dilazione, prevede un preciso ordine di imputazione dei pagamenti per la tutela dei crediti meno garantiti secondo un criterio temporale (con imputazione prioritaria dei pagamenti alle note aventi data anteriore) e secondo la natura del credito (con imputazione prioritaria al canone di concessione ed ai relativi interessi e successivamente al contributo di estrazione e relative sanzioni). Ciò peraltro rende implausibile la ricostruzione di parte ricorrente che mira a fondare le argomentazioni sul carattere novativo della rateizzazione proprio sulla mancanza di corrispondenza identitaria del vecchio debito con quello successivo alla dilazione. Occorre evidenziare, inoltre, che la non operatività di meccanismi novativi e o costituitivi connessi con il riconoscimento della rateizzazione dei pagamenti risulta incompatibile anche con il quadro regolamentare applicato al caso di specie. La dilazione concessa e accordata (sia per il canone che per il contributo di estrazione), segue le regole di cui al regolamento comunale per la gestione e la riscossione del contributo di estrazione (cfr. doc. n. 24 di parte resistente). L'unico effetto giuridico sostanziale a carattere costitutivo connesso al riconoscimento della dilazione è l'interruzione dei termini del procedimento di sospensione dell'autorizzazione (ai sensi dell'art. 52 della LRT 35/2015, come chiaramente riportati all'art. 9, comma 2 del regolamento). Lo stesso regolamento, infatti, prevede che il mancato pagamento di due rate del piano di dilazione, anche non consecutive, comporta la revoca del piano stesso, con avvio del procedimento per la escussione della fideiussione (oltre che della sospensione dell'autorizzazione e della riscossione coattiva anche del canone di concessione). La revoca del piano di dilazione implica la reviviscenza di tutti gli effetti decadenziali connessi agli inadempimenti concessori così come maturati in assenza della rateizzazione stessa. Ciò è chiaro indice della permanenza di un quadro obbligatorio di riferimento non novato ed identico a sé stesso, il quale trova nella rateizzazione e/o dilazione del pagamento solo una diversa modalità esecutiva. In altri termini risulta palese la volontà provvedimentale e regolamentare dell'amministrazione di riconoscere alle operazioni di rateizzazione e di dilazione solo carattere finanziario e meramente esecutivo delle modalità di realizzazione delle prestazioni obbligatorie. Non vi si può rinvenire alcun carattere novativo e costitutivo. Ciò implica che - in linea con quanto previsto dalle linee guida comunali in ordine alla revoca del beneficio delle penali in luogo della decadenza della concessione sopra riportato - le cause che hanno dato luogo all'avvio del procedimento di decadenza (ossia il mancato pagamento di una annualità di canone di concessione, ai sensi dell'art. 17 del regolamento sugli agri marmiferi) non siano state rimosse dalle ricorrenti in quanto il debito originario oggetto di contestazione e rateizzazione permane nella sua identità, non essendo stato oggetto di alcun negozio a carattere novativo. Ciò non è inficiato dal fatto che l'amministrazione, nel provvedimento impugnato, dia luogo altresì ad operazioni di compensazione con debiti e crediti pregressi, trattandosi di operazioni meramente contabili che non alterano la natura giuridica dei rapporti sottesi. Per quanto precede, il primo motivo di ricorso è infondato. 5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 17, comma 2, lett. a) e comma 5 del regolamento per la concessione degli agri marmiferi, dell'art. 37, comma 1, lett. d) della LRT n. 35/2015, dell'art. 4 commi 2 e 10 delle Linee guida comunali; eccesso di potere per carenza di presupposti, manifesta erroneità è /o irragionevolezza, violazione del giusto procedimento, travisamento, illogicità, arbitrarietà e sviamento, disparità e ingiustizia manifesta. Le ricorrenti sostengono di aver rimosso le cause che hanno dato avvio al procedimento di decadenza giacché : - con il pagamento delle 22 rate avrebbero comunque soddisfatto le ragioni creditorie dell'Amministrazione in ordine alla quota di debito relativa al canone di concessione (avendo corrisposto a tale titolo la somma di euro 337.413,90 dato dalla somma di euro 276.961,52 - debito iniziale per la quota canone - e euro 60.452,38 pagati a titolo di penale). Tale identificazione delle quote corrisposte risulterebbe dall'applicazione delle regole di imputazione del piano di dilazione nonché dall'art. 8 del regolamento comunale per la gestione e riscossione del contributo di estrazione di cui all'art. 36 della LRT 35/2015; - l'amministrazione, in data 19.07.2023, ha sottoscritto una convenzione accessoria per la prosecuzione del rapporto concessorio sino al 31.10.2041, formalizzando tale volontà con DD n. 3603 del 26.07.2023. Il rilascio di tale titolo integrerebbe quanto previsto all'art. 4, comma 2, delle citate linee guida comunali e, di conseguenza, l'eliminazione delle cause che hanno dato luogo alla decadenza della concessione. Le doglianze non persuadono. Come sopra evidenziato il piano di dilazione, accordato con la DD n. n. 2501/2021, prevede un preciso ordine di imputazione dei pagamenti rateizzati e, in particolare che "i pagamenti delle rate del piano di rientro saranno imputati secondo i seguenti criteri al fine di realizzare la tutela del credito meno garantito: 1) copertura delle note di pagamento avente la data anteriore più vecchia e relativi interessi e sanzioni maturati; 2) in caso di parziale copertura di una nota di pagamento, gli importi versati saranno imputati in primo luogo al canone di concessione e agli interessi passivi maturati e, successivamente, al contributo di estrazione e sanzioni". Tali criteri sono peraltro conformi a quanto previsto dai regolamenti comunali per la riscossione del contributo di estrazione (art. 8, cfr. doc. n. 24 di parte ricorrente). La ricostruzione offerta nel ricorso, pertanto, non risulta del tutto corretta, giacché le regole di imputazione dei pagamenti effettuati seguono prima di tutto un criterio temporale (con imputazione prioritaria dei pagamenti alle note aventi data anteriore) e, in secondo luogo, la natura del credito in caso di fatture/note pagate solo in parte (con imputazione prioritaria al canone di concessione ed ai relativi interessi e successivamente al contributo di estrazione e relative sanzioni). Innanzitutto occorre evidenziare che il pagamento della penale non può essere sommato alla quota del debito corrispondente ai canoni di concessione, avendo scopi e natura differenti. L'amministrazione ha dimostrato in giudizio che i versamenti rateali effettuati, per un totale di Euro 339.377,95 (pari ad euro 276.847,37 più l'importo di acconto 10% calcolato su quota capitale esclusi sanzioni e interessi pari ad euro 62.530,58, pagati in sede di approvazione del piano di rateizzo), sono stati imputati interamente alle note di pagamento nn. 625 del 2016, nn. 376, 436, 491, 548, 608, 652 e 670 del 2018 e alle fatture nn. 12 e 64 del 2019, mentre la nota n. 119 del 2019 è stata coperta parzialmente per Euro 872,78, interamente imputati a canone di concessione. Dal prospetto delle imputazioni e dei pagamenti (peraltro reso noto alle ricorrenti già con nota 56442/2020, posta a base del piano di dilazione, cfr. doc. n. 1 di parte resistente) risulta che le 10 fatture risultano interamente assolte (secondo il primo criterio di imputazione, di natura temporale, sopra illustrato). Della somma pagata, pari ad euro 339.337,95 risultano ascrivibili al canone concessorio solo euro 105.402,96 (se si calcola anche la quota della fattura n. 119/2019 parzialmente pagata). Se si scomputa dal totale l'anticipo versato all'inizio del periodo di dilazione (pari a euro 62.530,58) risulta corretta la ricostruzione dell'amministrazione secondo cui mancherebbero euro 89.034,95 (imputabili al canone di concessione, cfr. doc. n. 23 di parte resistente) e, pertanto, non risulta condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui il debito arretrato corrispondente al canone di concessione risulterebbe interamente saldato. Passando al secondo ordine di doglianze risulta che effettivamente l'amministrazione ha accordato (con DD n. 3603 del 26.07.2023) la proroga del rapporto concessorio. L'amministrazione evidenzia che si tratterebbe di un errore procedurale, giacché al momento della sottoscrizione i competenti settori non avrebbero avuto ancora contezza dello stato di inadempienza. Al di là di tali argomentazioni occorre evidenziare che le tesi delle ricorrenti non persuadono sotto due ordini di profili. Il primo è che trattandosi di una mera proroga della durata del rapporto concessorio, quest'ultimo viene proseguito agli stessi patti e condizioni sussistenti al momento della scadenza. Ciò risulta in linea con quanto previsto dall'art. 38, comma 5, della LRT 35/2015 e dall'art. 21 e 22 del sopra richiamato regolamento comunale per la concessione degli agri marmiferi che disciplinano gli incrementi temporali delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della legge. Ciò implica che, laddove si verifichino cause di decadenza del rapporto antecedenti la proroga ma rilevate in un momento successivo, l'intero rapporto (che era e resta unitario) ne viene travolto. In altri termini la concessione di una proroga non ha di per sé alcun effetto sanante degli inadempimenti pregressi inerenti li medesimo rapporto negoziale. Né peraltro è dato riscontrare alcuna indicazione contraria dalla lettura del provvedimento n. 3603/2023 (cfr. doc. n. 4 allegato al ricorso). Sotto un secondo profilo il provvedimento ha ad oggetto esclusivamente la proroga del rapporto concessorio e non del titolo autorizzativo (in coerenza con le previsioni di cui agli artt. 21 e 22 del regolamento comunale). Ciò rende inconferente il richiamo all'art. 4 delle succitate linee guida comunali le quali attribuiscono una efficacia sanante al solo rilascio di nuovi titoli autorizzatori e non alla proroga di quelli esistenti o alla prosecuzione dei rapporti concessori (l'art. 4, comma 2, delle linee guida così recita: "nei casi in cui, per le finalità del comma 1, sia necessario procedere alla richiesta di una nuova autorizzazione all'escavazione o di altre eventuali autorizzazioni rilasciate da enti, l'eliminazione delle cause che hanno dato luogo alla decadenza della concessione è rappresentata dal rilascio dei relativi titoli, fermo restando che la presentazione delle relative istanze dovrà pervenire, agli uffici competenti, entro e non oltre il termine di cui al precedente comma 1"). Per quanto precede il secondo motivo di ricorso è infondato. 6. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 7, 8, 10 della L. 241/90, dell'art. 17, comma 2, lettera a) del regolamento per la concessione degli agri marmiferi, dell'art. 37, comma 1, lettera d), della LRT 35/2015. In particolare le ricorrenti sostengono che non vi sarebbe corrispondenza tra il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento volto alla decadenza dalla concessione e la decadenza pronunciata con il provvedimento impugnato (DD n. 4684/2023). L'avvio del procedimento avrebbe avuto ad oggetto il contestato inadempimento del pagamento di 12 mensilità del canone mentre il provvedimento si fonda sull'inadempimento relativo ad un piano di dilazione concesso oltre che per la quota canone per il contributo di estrazione (annualità 2016-2020), interessi e sanzioni. Tale disomogeneità, che avrebbe impedito le dovute interlocuzioni in contraddittorio, renderebbe il provvedimento finale incongruo e non aderente alle risultanze istruttorie del procedimento per come avviato. La doglianza non persuade. Risulta agli atti, come sopra già ricordato, che a fronte dell'inadempimento del pagamento del canone concessorio (pari a 12 mensilità ) l'amministrazione ha avviato, in conformità all'art. 37, comma 1, lett d) della LRT 35/2015) il procedimento volto alla declaratoria della decadenza della concessione, con note prot. 5483 e 5476 del 26.01.2021. È altresì pacifico che in costanza di procedimento il Comune ha accolto (con nota prot. 18958 del 19.03.2021) la richiesta della CM. Ma. s.r.l. di ammissione al pagamento di una penale in luogo della decadenza e dalla sua rateizzazione, ai sensi dell'art. 17, comma 5, del regolamento sulle concessioni degli agri marmiferi. Tale disposizione, peraltro, prevede che anche in caso di riconoscimento di tale beneficio resta ferma "la necessità che il concessionario elimini l'inadempimento" (cioè paghi l'importo insoluto). Le succitate linee guida, con disposizione di favore nei confronti dei debitori morosi, prevede altresì che venga equiparata a tale "eliminazione", ai fini del mantenimento del beneficio, anche la ammissione al piano di rateizzo (l'art. 4, comma 1, delle linee guida così recita: "nell'ipotesi in cui la causa di decadenza sia derivata da un pregresso debito non assolto nei confronti del Comune, il concessionario è tenuto ad assolvere al pagamento del debito entro centoventi giorni. Più in generale, nello stesso termine, il concessionario è tenuto ad eliminare tutte le cause che hanno dato luogo all'avvio del procedimento di decadenza della concessione. Il predetto termine di centoventi giorni si intenderà rispettato ove entro il medesimo il concessionario sia stato ammesso alla rateizzazione dell'importo dovuto per debiti pregressi indipendentemente dalla estensione temporale della rateizzazione stessa"). Il provvedimento di approvazione del piano di dilazione, come sopra già chiarito, non ha novato il rapporto concessorio ma ne ha determinato solo un diverso modo di esecuzione di parte delle prestazioni. L'ammissione al beneficio della penale in luogo della decadenza ha implicato la contestuale sospensione del procedimento avviato, come previsto nelle già citate linee guida comunali che all'art. 4 evidenziano che il procedimento di decadenza dalla concessione può essere concluso (archiviato) solo al saldo del debito rateizzato "e, sempre che il concessionario abbia eliminato tutte le cause che hanno dato luogo all'avvio del procedimento di decadenza della concessione stesso, nonché, all'avvenuto assolvimento degli eventuali obblighi di ripristino ed al risarcimento dell'eventuale danno causato". La sospensione del procedimento, peraltro, è stata formalizzata con note 18958 del 19.03.2021 e 23471 del 8.04.2021, con l'avviso che la definitiva archiviazione sarebbe avvenuta al saldo del debito della penale e alla eliminazione delle cause di decadenza (cfr. doc. nn. 5 e 6 di parte resistente). Con il provvedimento oggi impugnato (DD n. 4684/2023) si dà atto del mancato pagamento delle rate alle condizioni pattuite e, quindi, della violazione delle condizioni di dilazione con contestuale venir meno delle condizioni per il mantenimento del beneficio della penale in luogo della decadenza (in attuazione, tra gli altri, dell'art. 17 del regolamento e dell'art. 4 delle linee guida). Il procedimento avviato nel 2021, sospeso a seguito dell'ammissione al beneficio della penale, ha potuto così riprendere il suo corso essendo venuta meno la condizione sospensiva apposta allo stesso. Il provvedimento impugnato, con cui si pronuncia la decadenza dalla concessione, conclude il procedimento originario. Il riferimento che lo stesso reca in motivazione alla inadempienza al piano di dilazione (concesso ed accettato dalle ricorrenti non solo per il canone di concessione ma anche per il contributo di estrazione, sanzioni ed interessi) non lo rende incongruo rispetto all'avvio del procedimento ma, anzi, si pone in linea con la sequenza procedimentale svolta dall'amministrazione (e concordata con le odierne ricorrenti) giacché motiva (e non avrebbe potuto non farlo) proprio su un elemento accidentale del procedimento medesimo (vale a dire il venir meno di una condizione sospensiva). La decadenza viene motivata e pronunciata in ragione dei medesimi presupposti per cui il procedimento iniziale è stato avviato (vale a dire l'originario inadempimento al pagamento delle 12 mensilità di canone). Il mero accertamento del venir meno di una condizione sospensiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, non implica una nuova comunicazione di avvio del procedimento né l'instaurazione di un sub procedimento autonomo. Tantomeno potrebbe essere invocato l'istituto del preavviso di rigetto di cui all'art. 10 bis della L. n. 241/1990, trattandosi di un procedimento avviato d'ufficio e non su iniziativa di parte. Per quanto precede il terzo motivo di ricorso non è fondato. 7. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta violazione dell'art. 9, comma 2, del vigente regolamento per la gestione e la riscossione del contributo di estrazione con riferimento alla determina 4682/2023; eccesso di potere per carenza, irragionevolezza ed illogicità nella motivazione ed errata valutazione dei fatti. Le ricorrenti censurano la DD n. 4682/2023 - con cui l'amministrazione ha revocato il piano di dilazione accordato in precedenza con la DD n. 2501/2021 ed attivato la procedura per l'escussione della garanzia fideiussoria per il debito residuo (pari a euro 478.310,47) - nella parte in cui richiama l'art. 9 del regolamento per la gestione e la riscossione del contributo di estrazione che non sarebbe applicabile al caso di specie, vale a dire a dilazioni di pagamento miste (di canone e contributo) e nel quale si sarebbe verificata una novazione oggettiva del rapporto obbligatorio. Con ulteriore censura le ricorrenti lamentano la irragionevolezza dell'azione amministrativa portata avanti dal Comune il quale nell'avviare il procedimento per la sospensione dell'autorizzazione (con nota del 29.09.2023 prot. 78490) lo avrebbe concluso (con ordinanza dirigenziale n. 970 del 3.10.2023, ai sensi dell'art. 21, comma 2 lett a), della LRT n. 35/2015) senza consentire un adeguato contraddittorio. In particolare le ricorrenti in tale sede avrebbero già potuto argomentare e manifestare la volontà (formalizzata con successiva nota del 4.10.2023, con cui peraltro sollecita intervento in autotutela non solo sull'ordinanza dirigenziale ma anche sugli altri provvedimenti oggi impugnati, oltre a presentare controdeduzioni sulla sospensione dell'autorizzazione) di saldare l'intero debito residuo (per euro 478.310,47). Ciò risulterebbe in linea con i principi in materia di gestione di una concessione di beni pubblici che implicano la verifica discrezionale e non vincolata della sussistenza dei presupposti per la prosecuzione di una sana gestione in grado di soddisfare le finalità pubblicistiche ad essa sottese. Le doglianze non possono essere condivise. In primo luogo la DD n. 4682/2023 con cui viene revocato il piano di rateizzo motiva in ordine al mancato pagamento delle rate in violazione delle condizioni di rateizzazione fissate con DD n. 2501/2021, secondo le quali la validità del piano di rateazione era subordinata al "pagamento regolare di tutte le note di pagamento emesse successivamente al periodo oggetto di rateazione" e al "pagamento di tutte le rate previste nel piano di dilazione". Orbene è pacifico ed ammesso anche dalle ricorrenti che tale condizione non si è verificata e che risultano insolute quattro rate del piano di dilazione. Risulta pertanto inconsistente il richiamo alla pertinenza o meno dell'art. 9 del regolamento sul contributo di estrazione, proprio in considerazione dell'impianto motivazionale della DD n. 4682/2023 che motiva sulle rilevate inadempienze solutorie che da sole sono in grado di reggere il provvedimento. Anche il fatto che le ricorrenti, con nota del 4.10.2023 (quindi successivamente alla adozione dei provvedimenti impugnati), abbiano chiesto il ritiro in autotutela della DD n. 4684/2023 e dell'ordinanza n. 970/2023 offrendo il pagamento del residuo del debito non mina la legittimità dell'operato dell'amministrazione. Come sopra evidenziato, infatti, la declaratoria di decadenza della concessione (DD 4684/2023) risulta legittima e fondata sulle inadempienze pregresse relative al mancato pagamento del canone di concessione (causa di decadenza disciplinata direttamente dall'art. 37, comma 1 lett. d) della LRT 35/2015, che così recita: "Sono cause di decadenza: (...) la mancata corresponsione del canone concessorio per un'annualità "). Per espressa disposizione normativa, inoltre, si prevede che "il comune accerta le cause di decadenza di cui al comma 1 e le notifica al trasgressore che nei successivi trenta giorni presenta le proprie controdeduzioni. Il comune, ove non ritenga meritevoli di accoglimento le controdeduzioni o queste non siano state presentate adotta il provvedimento di decadenza" (art. 37 cit., comma 2). La norma peraltro chiarisce che l'attività del Comune è di mero accertamento non esercitando l'amministrazione alcun potere discrezionale, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti. Il venir meno della disponibilità del bene (dalla cui concessione le ricorrenti risultano decadute) costituisce altresì presupposto per la sospensione dell'autorizzazione all'attività estrattiva disciplinata dall'art. 21 della LRT n. 356/2015 (il quale prevede che "1. Il comune adotta il provvedimento di sospensione dell'autorizzazione nei seguenti casi: (...) b) perdita della disponibilità giuridica del bene da parte del titolare dell'autorizzazione (...)"), così come rilevato dal Comune nell'ordinanza dirigenziale n. 970/2023. Il procedimento relativo alla sospensione dell'autorizzazione era stato in precedenza interrotto in occasione della ammissione alla rateizzazione e, venuta meno tale condizione, è stato autonomamente riattivato. Anche in tali casi la norma prevede una attività vincolata di mero accertamento da parte del Comune e l'avvio di un contraddittorio con il privato che non può che vertere sugli stringenti presupposti di fatto, previsti direttamente dalla legge, che l'amministrazione assume per la decisione di sospendere l'autorizzazione. Nel caso di specie è stato attivato il contraddittorio, nei termini sopra indicati, e il Comune ha concesso tre giorni per la presentazione delle relative osservazioni. Le ricorrenti non dimostrano, neanche in giudizio, quale apporto istruttorio avrebbe potuto offrire ove fosse stato concesso un maggior tempo per elaborare le proprie osservazioni. In giudizio, infatti, le ricorrenti evidenziano che un maggiore lasso di tempo avrebbe potuto loro consentire non tanto di evidenziare la presenza di elementi di fatto che avrebbero potuto condurre ad accertamenti (e quindi ad esiti) diversi da quelli effettuati dall'amministrazione, ma solo di poter manifestare la disponibilità al pagamento del debito residuo (come avvenuto con nota del 4.10.2023, di un giorno successiva alla adozione del provvedimento di sospensione). Ciò non consente una diversa lettura dei fatti e non aggiunge alcun elemento di fatto o di diritto tale da poter lasciare anche solo presumere un esito procedimentale diverso. Come correttamente osservato dall'amministrazione nelle proprie difese, il pagamento del debito residuo (sia per le voci di canone che per quelle del contributo, sanzioni ed interessi) è una obbligazione che risulta comunque in capo alle ricorrenti, anche a valle della decadenza della concessione e della sospensione dell'autorizzazione (come dimostra l'attivazione delle garanzie fideiussorie riportata nei provvedimenti impugnati). Come sancito da consolidata giurisprudenza, infatti, "nel procedimento amministrativo, la violazione delle garanzie partecipative non basta da sola ad inficiare la legittimità del provvedimento gravato se non viene fornita in giudizio la prova della utilità della partecipazione (mancata) in sede procedimentale, così che il vizio de quo può assumere rilievo soltanto nelle ipotesi in cui dalla omessa interlocuzione del privato nell'ambito del procedimento il contenuto dell'atto finale si assuma diverso da quello che sarebbe potuto essere sulla base della valutazione degli elementi ulteriori che il privato medesimo avrebbe potuto fornire all'Amministrazione al fine di superare i rilievi ostativi all'adozione dell'atto favorevole" (Cons. Stato, Sez. VI, 30/01/2023, n. 1025). Ne consegue che l'azione dell'amministrazione oltre a risultare conforme alle norme di riferimento risulta altresì improntata a ragionevolezza e proporzionalità . Anche il quarto motivo è pertanto infondato. 8. Il ricorso nel suo complesso è infondato e deve essere respinto. 9. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Carrara, che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati: Alessandro Cacciari - Presidente Andrea Vitucci - Primo Referendario Marcello Faviere - Primo Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 574 del 2023, proposto da Consorzio Stabile Alt.Va.di Ce. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 9565500450, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa.Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, via (...); contro Unione dei Comuni Omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An.Ba., An.Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An.Ba. in Perugia, via (...); Comune di Omissis, non costituito in giudizio; nei confronti In. S.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento della Determinazione del Responsabile di Area dell''Unione dei Comuni Omissis n. 347 del 27.4.2023, notificata in pari data, avente ad oggetto “39.22.MON. Completamento degli interventi di ripristino delle mura castellane di Omissis nel tratto a valle di via (...) (finanziamento regione Toscana - Documento operativo difesa suolo 2022 - DODS2022SI0128). CUP B73B19000370002. CIG 9565500450. Revoca della proposta di aggiudicazione e relativa aggiudicazione”, nonché di tutti gli atti e provvedimenti connessi conseguenti e presupposti ancorché non conosciuti, compresa la conferma del provvedimento comunicata con nota prot. 12273 del 18.5.2023 e l''eventuale aggiudicazione al secondo classificato. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Unione dei Comuni Omissis; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 la dott.ssa Flavia Risso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO L’Unione dei Comuni Omissis, in qualità di Centrale Unica di Committenza, indiceva per conto del Comune di Omissis la procedura aperta per l’affidamento dei lavori di “completamento degli interventi di ripristino delle mura castellane di Omissis nel tratto a valle di via (...)”, il cui valore era stato stimato in € 688.956,33 (di cui 44.000,00 € per oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso), con termine per la presentazione delle domande di partecipazione fissato al 24 gennaio 2023. Il consorzio ricorrente presentava la propria domanda di partecipazione alla gara, dichiarando di concorrere per le società consorziate Co. S.r.l. e Th.Ha. S.r.l. All’esito della procedura, con determinazione n. 141 del 23 febbraio 2023 la Centrale Unica di Committenza disponeva di approvare la proposta di aggiudicazione ai sensi dell’art. 33, comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 in favore del Consorzio Stabile Alt.Va.di Ce., per l’importo di euro 571.400,139. Nella determinazione si dà atto che “la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale, previsti dall’art. 80 d.lgs. 50/2016 e la verifica dei requisiti di ordine speciale, previsti dall’art. 83 del d.lgs. 50/2016 e dalla documentazione di gara, viene eseguita dalla Centrale Unica di Committenza” e che “la presente aggiudicazione diventa efficace a seguito di successivo provvedimento di cui all’art. 32, comma 7, d.lgs. 50/2016, di competenza del Comune di Omissis, che sarà trasmesso alla Centrale Unica di Committenza”. In fase di verifica era emerso che nel DGUE presentato dalla consorziata esecutrice Co. S.r.l., nella Parte III, Sezione B, denominata “Motivi legati al pagamento di imposte o contributi previdenziali”, l’operatore economico dichiarava di aver soddisfatto tutti gli obblighi relativi al pagamento di imposte, tasse o contributi previdenziali. Previa istanza presentata dall’Unione dei Comuni Omissis il 3 marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate, in data 20 marzo 2023, comunicava alla stazione appaltante che pendevano a carico della consorziata Co. S.r.l. violazioni definitivamente accertate e precisamente: cartella di pagamento n. 09720220179181031, anno di imposta 2018, notificata il 05 dicembre 2022, per un debito residuo di euro 13.707,01; cartella di pagamento n. 09720220168972661, anno di imposta 2018, notificata il 20 ottobre 2022, per un debito residuo di euro 3.234,51. L’amministrazione resistente in data 14 aprile 2023 comunicava dunque all’operatore economico la presenza di violazioni definitivamente accertate tali da pregiudicare il possesso dei requisiti ex art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 e invitava il concorrente a presentare memorie e/o osservazione ex art. 10 bis l. n. 241 del 1990. Con nota PEC del 14 aprile 2023, a firma del suo nuovo legale rappresentante, la Co. S.r.l. rispondeva alla Centrale di committenza giustificando l’irregolarità contestate alla stregua delle critiche condizioni di salute della precedente amministratrice unica dichiarando, altresì, di essersi attivato per la regolarizzazione delle pendenze in data 15 marzo 2023 tramite compensazione fiscale con il modello F24. L’amministrazione resistente, in base alle informazioni pervenute dall’Agenzia delle Entrate in ordine alla sussistenza delle irregolarità definitivamente e non definitivamente accertate al momento della presentazione della domanda, adottava la determinazione n. 347 del 24 aprile 2023, mediante la quale veniva revocata la proposta di aggiudicazione. Successivamente, con nota del 5 maggio 2023, il ricorrente formulava, tramite il proprio difensore, istanza di riesame del provvedimento di revoca, rilevando come le pendenze della Co. S.r.l erano state sanate prima ancora della comunicazione inviata dall’Agenzia delle Entrate e che l’operatore partecipante alla gara risultato aggiudicatario era il Consorzio Stabile, con i propri requisiti, al quale si sarebbe dovuto comunque consentire di indicare un’altra consorziata esecutrice ovvero di confermare la sola Th.Ha. s.r.l. quale esecutrice dei lavori, considerato il possesso di tutti i requisiti richiesti per l’esecuzione dei lavori oggetti dell’appalto. Con nota prot. 12273 del 18 maggio 2023 la Centrale di committenza respingeva l’istanza di riesame. Con il ricorso indicato in epigrafe, il Consorzio ha impugnato la determinazione del Responsabile di Area dell’Unione dei Comuni Omissis n. 347 del 27 aprile 2023, notificata in pari data, avente ad oggetto “39.22.MON. Completamento degli interventi di ripristino delle mura castellane di Omissis nel tratto a valle di via (...) (finanziamento regione Toscana - Documento operativo difesa suolo 2022 - DODS2022SI0128). CUP B73B19000370002. CIG 9565500450. Revoca della proposta di aggiudicazione e relativa aggiudicazione”, nonché tutti gli atti e provvedimenti connessi conseguenti e presupposti ancorché non conosciuti, compresa la conferma del provvedimento comunicata con nota prot. 12273 del 18 maggio 2023 e l’eventuale aggiudicazione al secondo classificato. Per l’udienza camerale del 21 giugno 2023, né l’Unione Comuni Omissis, né il Comune di Omissis si erano costituiti in giudizio e il Collegio si era pronunciato sulla cautelare allo stato degli atti. Con ordinanza n. 233 del 26 giugno 2023 questo Tribunale ha dunque accolto l’istanza cautelare, ritenendo che sussistesse un difetto di motivazione della revoca dell’aggiudicazione, tenuto conto che, alla luce del combinato disposto di cui all’art. 80, comma 4 del d.lgs. n. 50 del 2016 e del d.m. 28 settembre 2022, applicabili alla fattispecie in esame, la violazione agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, alla data di scadenza per la presentazione delle offerte, non si poteva ritenere definitivamente accertata, non essendo ancora decorso il termine di sessanta giorni per impugnare la cartella e che, pertanto, si doveva tenere in considerazione la soglia di 35.000,00 euro, indicata all’art. 2, comma 1, lett. c) del d.m. sopra richiamato. L’Unione dei Comuni Omissis si è costituita in giudizio solo in data 21 agosto 2023, depositando debita documentazione e eccependo in via preliminare e in rito, ai sensi dell’art. 41, comma 2 c.p.a., l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad un controinteressato, individuato nel secondo in graduatoria. All’udienza pubblica del 25 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. Con ordinanza n. 1026 del 9 novembre 2023, questo Tribunale ha disposto l’integrazione del contraddittorio, ordinando al ricorrente di notificare il presente ricorso alla società In. S.r.l., nel termine perentorio di giorni 30 (trenta) dalla comunicazione, o se anteriore, dalla notificazione dell’ordinanza medesima, e di depositare nella Segreteria il ricorso, con la prova dell’avvenuta notificazione, nei successivi 10 giorni dal perfezionamento della stessa, fissando, infine, l’udienza pubblica per il prosieguo alla data del 4 aprile 2024, riservando ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese. In data 16 novembre 2023, il ricorrente ha depositato in giudizio documentazione comprovante l’intervenuta notifica alla società In. S.r.l. In prossimità dell’udienza pubblica le parti hanno presentato memorie a sostegno delle rispettive posizioni. All’udienza pubblica del 4 aprile 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO - Il Collegio deve valutare preliminarmente l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente per mancata notifica ad un controinteressato. L’eccezione non può essere accolta. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, ai fini della identificazione della figura del controinteressato, in via di principio, sono necessari due elementi, di cui uno sostanziale, consistente nella presenza di un interesse qualificato alla conservazione del provvedimento impugnato, ed uno di carattere formale, costituito dalla circostanza che il soggetto possessore di tale qualificato interesse alla conservazione del provvedimento sia espressamente o nominativamente individuato nel provvedimento medesimo, o comunque agevolmente individuabile in base ad esso (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970). Ebbene, nel provvedimento di revoca impugnato, pur richiamando il verbale n. 1 del seggio di gara, ci si limita ad evidenziare che con esso era stata “disposta l’ammissione di tutti gli operatori partecipanti” ed era stata individuata quale miglior offerta quella presentata dalla ricorrente. Mai si è fatto riferimento alla graduatoria e, tantomeno, al secondo in graduatoria, il cui nome (In. S.r.l.) è emerso solo a seguito della costituzione in giudizio dell’Unione dei Comuni Omissis, avvenuta, come emerge dalla parte in fatto, solo in data 21 agosto 2023 e, quindi, anche dopo l’udienza camerale nella quale si è decisa l’istanza cautelare. L’In. S.r.l., pertanto, non poteva ritenersi controinteressata in senso tecnico, per la cui configurazione è necessario sia l’elemento sostanziale, sia l’elemento formale, quest’ultimo insussistente nel caso in esame. Invero, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, in caso di revoca dell'aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico, senza alcuna individuazione di un nuovo aggiudicatario, non sono ravvisabili controinteressati in senso tecnico nel giudizio promosso contro la revoca suddetta (T.A.R. Lazio, sez. III, 3 febbraio 2009, n. 1053 che richiama T.A.R. Lombardia, sez. I, 28 luglio 2008, n. 3050 e T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 18 ottobre 2003, n. 6953). Più nello specifico, per quanto interessa nel caso in esame, è stato chiarito che a fronte della revoca di un’aggiudicazione, il secondo classificato non assume la veste di controinteressato necessario, se non laddove detto provvedimento sia accompagnato dalla contestuale decisione di aggiudicare l'appalto allo stesso, essendo infatti determinante, a tale fine, che il pregiudizio subito sia attuale e non soltanto eventuale (T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 4 novembre 2021, n. 599 che richiama Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2019 n. 2500 e Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786). Peraltro, neppure nella memoria del 29 settembre 2023, l’Unione dei Comuni Omissis ha affermato che tale società sia stata individuata quale aggiudicataria della gara di che trattasi. Sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che solo in presenza dell’aggiudicazione definitiva, quale atto ad effetto stabile suscettibile di accrescere e di consolidare la posizione giuridica del soggetto, si può prospettare una posizione di controinteressato, quando si impugni un atto comunque avente natura infraprocedimentale (Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2015, n. 4654). L’eccezione di inammissibilità del ricorso pertanto non può essere accolta. Per completezza si osserva che, una volta individuata la controinteressata, al fine di tutelare il contraddittorio, questo Tribunale ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della In. S.r.l. e, in data 16 novembre 2023, il ricorrente ha depositato in giudizio documentazione comprovante l’intervenuta notifica a quest’ultima. - Nel merito il ricorso è fondato nei termini e limiti di seguito illustrati. 2.1. - In punto di fatto e in via del tutto preliminare, il Collegio premette che il provvedimento di revoca della proposta di aggiudicazione oggetto di impugnazione è motivato esclusivamente per “l’esistenza di violazioni definitivamente accertate relative alla consorziata esecutrice Co. Srl per un totale di € 16.941,52”. 2.2. - Ciò posto in punto di fatto, in punto di diritto si osserva quanto segue. L’art. 80, comma 4 d.lgs. n. 50 del 2016 recita: “Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all’importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione. Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale. Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali. Per gravi violazioni non definitivamente accertate in materia contributiva e previdenziale s' intendono quelle di cui al quarto periodo. Costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l'operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell'appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l’impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande”. Per quanto riguarda l’applicazione di tale norma, così come modificata dall’art. 10 della legge 23 dicembre 2021, n. 238, il comma 5 di tale articolo prevede che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi” Ebbene, tale legge è entrata in vigore il 1° febbraio 2022, mentre il bando di che trattasi è stato pubblicato in data 27 dicembre 2022; ne consegue che tale disposizione normativa si applica alla fattispecie in esame. Il d.m. 28 settembre 2022, rubricato “Disposizioni in materia di possibile esclusione dell'operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto per gravi violazioni in materia fiscale non definitivamente accertate” sul punto, all’art. 2, rubricato “Ambito di applicazione”, dispone quanto segue: “Ai fini del presente decreto, si considera violazione l'inottemperanza agli obblighi, relativi al pagamento di imposte e tasse derivanti dalla: a) notifica di atti impositivi, conseguenti ad attività di controllo degli uffici; b) notifica di atti impositivi, conseguenti ad attività di liquidazione degli uffici; c) notifica di cartelle di pagamento concernenti pretese tributarie, oggetto di comunicazioni di irregolarità emesse a seguito di controllo automatizzato o formale della dichiarazione, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”, l’art. 3, rubricato “Soglie di gravità” precisa che “Ai fini del presente decreto, la violazione di cui all'art. 2 si considera grave quando comporta l'inottemperanza ad un obbligo di pagamento di imposte o tasse per un importo che, con esclusione di sanzioni e interessi, è pari o superiore al 10% del valore dell'appalto. Per gli appalti suddivisi in lotti, la soglia di gravità è rapportata al valore del lotto o dei lotti per i quali l'operatore economico concorre. In caso di subappalto o di partecipazione in raggruppamenti temporanei o in consorzi, la soglia di gravità riferita al subappaltatore o al partecipante al raggruppamento o al consorzio è rapportata al valore della prestazione assunta dal singolo operatore economico. In ogni caso, l'importo della violazione non deve essere inferiore a 35.000 euro” e, all’art. 4, stabilisce che “Ai fini del presente decreto, la violazione grave di cui all'art. 3 si considera non definitivamente accertata, e pertanto valutabile dalla stazione appaltante per l'esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici, quando siano decorsi inutilmente i termini per adempiere all'obbligo di pagamento e l'atto impositivo o la cartella di pagamento siano stati tempestivamente impugnati”. Dopo l’inquadramento normativo della fattispecie in esame, si passa ad applicare le coordinate normative al caso di specie. Per quanto riguarda la cartella n. 09720220179181031, anno di imposta 2018, notificata il 5 dicembre 2022, per un debito residuo di euro 13.707,01, alla data di scadenza per la presentazione delle offerte (24 gennaio 2023), non si poteva ritenere definitivamente accertata, poiché non era ancora decorso il termine di sessanta giorni previsto per adempiere o impugnare la cartella e, pertanto, si doveva tenere in considerazione la soglia di 35.000,00 euro, indicata all’art. 3, in relazione all’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) del d.m. 28 settembre 2022 “notifica di cartelle di pagamento concernenti pretese tributarie, oggetto di comunicazioni di irregolarità emesse a seguito di controllo automatizzato o formale della dichiarazione, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell'art. 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”. Invero, la notifica della cartella era avvenuta in data 5 dicembre 2022 e, quindi, la scadenza per il pagamento o per l’opposizione alla cartella sarebbe scaduta il 3 febbraio 2023. La violazione di cui alla cartella di pagamento n. 09720220179181031, pertanto, alla data di scadenza per la presentazione delle offerte, non poteva ritenersi definitivamente accertata e, tenuto conto della soglia di 35.000,00 euro, indicata all’art. 3, con riferimento all’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) del d.m. 28 settembre 2022, non poteva ritenersi grave. Tuttavia, alla data dell’avvio della verifica dei requisiti (3 marzo 2023), data della nota di richiesta di verifica all’Agenzia delle Entrate circa la regolarità fiscale di Co. S.r.l., il termine dei 60 giorni era già decorso (3 febbraio 2023) senza che la Co. S.r.l. avesse provveduto né a pagare né a proporre opposizione. Da quel momento la violazione è diventata definitivamente accertata, con l’applicazione della soglia di cui all’art. 80, comma 4 del d.lgs. n. 50 del 2016 (euro 5.000,00). La definitività dell’accertamento è la conseguenza del verificarsi di due circostanze: da un lato la mancata impugnazione dell’atto impositivo nel termine di legge, dall’altro, il mancato pagamento delle somme contestate entro lo stesso termine. L’Agenzia della Entrate, infatti, in data 17 marzo 2023 (nota acquisita dall’Amministrazione in data 20 marzo 2023), comunicava all’Amministrazione resistente la pendenza a carico della consorziata Co. S.r.l., violazione definitivamente accertate e, precisamente: cartella di pagamento n. 09720220179181031, anno di imposta 2018, notificata il 05 dicembre 2022, per un debito residuo di euro 13.707,01; cartella di pagamento n. 09720220168972661, anno di imposta 2018, notificata il 20 ottobre 2022, per un debito residuo di euro 3.234,51. Il pagamento delle cartelle, avvenuto solo in data 15 marzo 2023 (come da modelli F24 depositati in giudizio), non è sufficiente a sanare le violazioni che, dal 3 febbraio 2023, erano divenute gravi e definitivamente accertate. Invero, secondo consolidata giurisprudenza, in materia di appalti vige il principio dell’immanenza del possesso dei requisiti per partecipare alla gara. Con il secondo motivo di gravame, tuttavia, il ricorrente sostiene che, anche qualora le violazioni si fossero ritenute definitivamente accertate, con la sopravvenuta carenze di requisiti, l’Amministrazione avrebbe dovuto consentire al Consorzio stabile di sostituire la consorziata designata, ovvero anche di ridurre il numero delle consorziate esecutrici, confermando l’aggiudicazione. Come si è detto, al momento della presentazione dell’offerta (e al successivo momento della scadenza del termine per presentare l’offerta) non sussisteva, nel caso di specie, alcuna situazione di irregolarità fiscale tale da giustificare l’esclusione dalla gara, dato che, una cartella, pur riferendosi ad una violazione definitivamente accertata era inferiore all’importo previsto dall’art. 80, comma 4 c.c.p., mentre per l’altra cartella non erano ancora decorsi i 60 giorni entro i quali la società avrebbe potuto provvedere al pagamento o alla impugnazione. Siamo dunque di fronte a una irregolarità fiscale “sopravvenuta” a seguito del decorso del termine di sessanta giorni senza che la ricorrente abbia provveduto al pagamento o all’impugnazione della cartella relativa ad un debito residuo di euro 13.707,01. In primis, il Collegio osserva che con nota PEC del 14 aprile 2023 la Co. S.r.l. aveva risposto alla Centrale di committenza giustificando l’irregolarità contestate alla stregua delle critiche condizioni di salute della precedente amministratrice unica dichiarando, altresì, di essersi attivata per la regolarizzazione delle pendenze in data 15 marzo 2023 tramite compensazione fiscale e, dopo la revoca dell’aggiudicazione, con nota del 5 maggio 2023, il ricorrente aveva formulato, tramite il proprio difensore, istanza di riesame del provvedimento di revoca, rilevando come le pendenze della Co. S.r.l erano state sanate prima ancora della comunicazione inviata dall’Agenzia delle Entrate e che l’operatore partecipante alla gara risultato aggiudicatario era il Consorzio Stabile, con i propri requisiti, al quale si sarebbe dovuto comunque consentire di indicare un’altra consorziata esecutrice ovvero di confermare la sola Th.Ha. s.r.l. quale esecutrice dei lavori. Al fine di esaminare la seconda censura sollevata dalla ricorrente, è necessario procedere ad un breve inquadramento normativo della questione in esame. Come è noto, l’art. 48, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede, in via generale, il divieto di modificazione della composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti “rispetto a quella risultante dall’impegno in sede di offerta”, fatto salvo quanto disposto ai successivi commi 17 e 18, che costituisce ipotesi di “eccezione” al predetto principio generale. L’art. 48, comma 7-bis del d.lgs. n. 50 del 2016, vigente all’epoca della pubblicazione del bando, prevede infatti che sia consentito “...per le ragioni indicate ai successivi commi 17, 18 e 19 o per fatti o atti sopravvenuti, ai soggetti di cui all'articolo 45, comma 2, lettere b) e c), designare ai fini dell'esecuzione dei lavori o dei servizi, un'impresa consorziata diversa da quella indicata in sede di gara, a condizione che la modifica soggettiva non sia finalizzata ad eludere in tale sede la mancanza di un requisito di partecipazione in capo all'impresa consorziata”. Tale disposizione pertanto consente (anche ai consorzi stabili) di designare, ai fini dell’esecuzione dei lavori o dei servizi, un'impresa consorziata diversa da quella indicata in sede di gara (a condizione che la modifica soggettiva non sia finalizzata ad eludere in tale sede la mancanza di un requisito di partecipazione in capo all'impresa consorziata), anche per ragioni diverse da quelle indicate ai commi 17, 18 e 19. Infatti, la norma estende tale possibilità anche nel caso di “fatti o atti sopravvenuti”. I commi 17 e18 prevedono rispettivamente le seguenti ipotesi: “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 6, in caso di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o liquidazione giudiziale del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante deve recedere dal contratto.” e “Salvo quanto previsto dall'articolo 110, comma 6, in caso di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria, concordato preventivo o di liquidazione di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o liquidazione giudiziale del medesimo ovvero in caso di perdita, in corso di esecuzione, dei requisiti di cui all'articolo 80, ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire.” e “E’ ammesso il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. In ogni caso la modifica soggettiva di cui al primo periodo non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara”. Il comma 19, inoltre, in più rispetto ai casi contemplati dai commi 17 e 18, prevede, quale ulteriore eccezione al principio generale di immodificabilità della composizione del raggruppamento, che sia ammesso “...il recesso di una o più imprese raggruppate, anche qualora il raggruppamento si riduca ad un unico soggetto, esclusivamente per esigenze organizzative del raggruppamento e sempre che le imprese rimanenti abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. In ogni caso la modifica soggettiva di cui al primo periodo non è ammessa se finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara”. Il successivo comma 19-bis precisa poi che “Le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche con riferimento ai soggetti di cui all'articolo 45, comma 2, lettere b), c) ed e)”, (quindi anche ai consorzi stabili) e l’art. 19-ter che “Le previsioni di cui ai commi 17, 18 e 19 trovano applicazione anche laddove le modifiche soggettive ivi contemplate si verifichino in fase di gara” (quindi anche in fase di gara) (sull’interpretazione generale di tali disposizioni si richiama Cons. Stato, Ad. Plen., 27 maggio 2021, n. 10: è ammessa solo la sostituzione meramente interna del mandatario o del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese con un altro soggetto del raggruppamento stesso in possesso dei requisiti, nella fase di gara (quindi, ammessa solo la modificazione “in diminuzione” del raggruppamento temporaneo di imprese, e non anche quella c.d. “per addizione” che si verificherebbe con l’introduzione nella compagine di un soggetto ad essa esterno) salvo che, parallelamente a quanto prevede il comma 19 per il recesso, queste esigenze non siano finalizzate ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara). Circa l’interpretazione più recente di tale combinato disposto di norme, con riferimento ai RTI, risulta fondamentale la successiva sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 25 gennaio 2022, la quale ha ritenuto che: “la modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici) da parte del mandatario o di una delle mandanti, è consentita non solo in sede di esecuzione, ma anche in fase di gara, in tal senso interpretando l’art. 48, commi 17, 18 e 19-ter del medesimo Codice” con la precisazione che “Il riconoscimento della possibilità di modificare (in diminuzione) il raggruppamento temporaneo di imprese, anche nel caso di perdita sopravvenuta dei requisiti di partecipazione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti, determina che, laddove si verifichi un caso riconducibile a tale fattispecie, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all’art. 1 della l. n. 241/1990 e all’art. 4 d.lgs. n. 50/2016, debba interpellare il raggruppamento (se questo non abbia già manifestato la propria volontà) in ordine alla volontà di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la propria partecipazione alla gara. In modo non dissimile da quanto avviene ai fini del soccorso istruttorio, la stazione appaltante concederà un termine ragionevole e proporzionale al caso concretamente verificatosi, riprendendo all’esito l’ordinario procedimento di gara”. Si riportano qui di seguito i passaggi più importanti e rilevanti anche in questa sede: “Se uno dei principi fondamentali in tema di disciplina dei contratti con la pubblica amministrazione - tale da giustificare la previsione stessa del raggruppamento temporaneo di imprese - è quello di consentire la più ampia partecipazione delle imprese, in condizione di parità, ai procedimenti di scelta del contraente (e dunque favorirne la potenzialità di accedere al contratto, al contempo tutelando l’interesse pubblico ad una maggiore ampiezza di scelta conseguente alla pluralità di offerte), una interpretazione restrittiva della sopravvenuta perdita dei requisiti ex art. 80, a maggior ragione perché non sorretta da alcuna giustificazione non solo ragionevole, ma nemmeno percepibile, finisce per porsi in contrasto sia con il principio di eguaglianza, sia con il principio di libertà economica e di par condicio delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni (come concretamente declinati anche dall’art. 1 della l. n. 241/1990 e dall’art. 4 del codice dei contrati pubblici)... nessuna delle ragioni che sorreggono il principio di immodificabilità della composizione del raggruppamento varrebbero a spiegare in maniera convincente il divieto di modifica per la perdita dei requisii di partecipazione ex art. 80 in sede di gara: non la necessità che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto del quale non abbia potuto verificare i requisiti, in quanto, una volta esclusa dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 10 del 2021 la c.d. sostituzione per addizione, tale evenienza non potrà giammai verificarsi quale che sia la vicenda sopravvenuta per la quale sia venuto meno uno dei componenti del raggruppamento; né la tutela della par condicio dei partecipanti alla procedura di gara, che è violata solo se all’uno è consentito quel che all’altro è negato...l’antinomia trova soluzione inquadrando il caso concreto e le norme antinomiche ad esso applicabili nel più generale contesto dei principi costituzionali ed eurounitari, fornendo una interpretazione che renda applicabile una sola di esse in quanto coerente con detti principi, e che consente una regolazione del caso concreto con essi compatibile...”. Si tratta dunque di stabilire se i principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2022 con riferimento ai RTI possano ritenersi estensibili anche ai consorzi stabili. Sul punto, il Collegio, anche per ragioni di sinteticità, non può che rinviare a quanto condivisibilmente evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza della sez. V, 7 novembre 2022, n. 9752, la quale ha ritenuto estensibili tali principi anche ai consorzi stabili (si veda, sul punto, anche Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2022, n. 9762 e, ancora più di recente, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2023, n. 779). Più nello specifico, per quanto interessa in questa sede, nella sentenza n. 9752 del 2022 si legge “La questione all'esame è se la portata applicativa del suddetto indirizzo interpretativo possa estendersi anche consorzi stabili, stante la peculiare natura giuridica e la indiscussa distinzione tra i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche dei consorzi stabili e dei consorzi ordinari, che sostanzialmente coincide con quella dei raggruppamenti temporanei d'impresa... Il Collegio ritiene, infatti, che a tale domanda si deve dare risposta positiva, ossia che, in fattispecie come quella in esame, sia applicabile l'indirizzo recentemente espresso dall'Adunanza Plenaria con la sentenza n. 2 del 2022 e, quindi, sia consentita la sostituzione della consorziata designata dall'appalto con altra consorziata, già indicata in sede di partecipazione tra le consorziate esecutrici. Pertanto, laddove si verifichi tale ipotesi, la stazione appaltante, in applicazione dei principi generali di cui all'art. 1 della l. 241/1990 e all'art. 4 d.lgs. n. 50/2016, è tenuta ad interpellare il consorzio stabile, se questo non abbia già manifestato la propria volontà in ordine alla possibilità di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno, al fine di rendere possibile la partecipazione dello stesso alla gara, nonostante la perdita dei requisiti di una delle consorziate designate dall'appalto”. Il Consiglio di Stato ha chiarito che le differenze tra consorzi stabili e consorzi ordinari e i raggruppamenti temporanei di imprese non rilevano ai fini della questione oggetto di esame, “essendo distinzioni che investono i requisiti di esternalizzazione della partecipazione alle procedure di gara da parte degli operatori giuridici, e non si riferiscono all'evenienza del venire meno dei requisiti di una consorziata designata in corso di gara” Per quanto riguarda, i criteri ispiratori del richiamato approdo ermeneutico che giunge all'applicabilità dei principi espressi dall'Adunanza Plenaria n. 2 del 2022 anche ai consorzi stabili, il Consiglio di Stato chiarisce che sono “quelli che regolamentano la partecipazione aggregata alle procedure di evidenza pubblica, che a loro volta legittimano la creazione dei consorzi stabili, ossia il favor partecipationis e la 'neutralità delle forme giuridiche dei soggetti partecipantì, come chiariti dalla legislazione eurounitaria. Tali principi coesistono e suggeriscono una interpretazione del dettato normativo finalizzata ad agevolare la partecipazione delle imprese, nel rispetto della par condicio degli operatori giuridici. Il principio del favor partecipationis consiste nel realizzare l'ampliamento della platea dei concorrenti che partecipano ad una gara pubblica, costituendo dunque espressione della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti. Ogni deroga a tale finalità di carattere generale deve, di conseguenza, essere suscettibile di stretta interpretazione”. Il Consiglio di Stato, si sofferma anche sulla peculiare natura giuridica del consorzio stabile che giustificherebbe, a maggior ragione, la possibile modificazione in corso di gara: “E appare dirimente, anche, quanto si è precisato sulla soggettività individuale del consorzio stabile, dotato di autonoma personalità giuridica, espressione di una realtà imprenditoriale distinta rispetto a quella dei singoli consorziati, con dimensione organizzativa propria e con autonoma struttura a rilevanza esterna, la quale non osta, anzi suggerisce la regolamentazione della vicenda secondo i criteri individuati dall'Adunanza Plenaria. Ciò in considerazione del fatto che, tanto durante lo svolgimento della procedura di gara, quanto durante l'esecuzione del contratto, l'unica controparte della stazione appaltante è il consorzio stabile nel suo complesso nell'ambito del quale, a differenza delle unioni temporanee di imprese, i rapporti con le imprese consorziate e le imprese esecutrici si risolvono in rapporti interorganici, che non hanno alcuna rilevanza all'esterno nei confronti della stazione appaltante. Ne consegue che, a maggior ragione, ogni obiezione alla modifica soggettiva dovrebbe ritenersi superata, tenuto conto che l'Adunanza Plenaria, con la sentenza richiamata, con condivisibile percorso argomentativo, ha ritenuto ammissibile la modificazione soggettiva in fase di gara...Dalla natura del rapporto tra consorzio stabile e singole consorziate, nonché dalla peculiare struttura dell'istituto, consegue che la sostituzione dell'impresa, che ha perso i requisiti ai sensi dell'art. 80 cit., non pregiudica la struttura originaria del consorzio che ha partecipato alla gara, in quanto autonomo soggetto di diritto, dotato di distinta qualificazione, stante la ontologica distanza tra la propria soggettività e quella delle imprese consorziate. Va condivisa, infatti, la ricostruzione dell'istituto fatta dalla dottrina più attenta, sostenuta anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il vincolo in forza del quale le consorziate provvedono a dare esecuzione al contratto stipulato non si giustifica, sotto un profilo negoziale, nell'assegnazione che non può essere considerata un contratto (e quindi né un subappalto né un mandato), ma solo un atto unilaterale recettizio. Tale atto unilaterale, avente funzione di incarico della consorziata designata, reso al momento della costituzione del consorzio, può bene essere revocato, in quanto ciò non muta la struttura del consorzio stesso, così come il medesimo incarico può essere affidato ad altra impresa, anche in fase di gara, in ipotesi di venir meno dei requisiti della precedente incaricata... Ne consegue che la modifica in sostituzione non inficia la natura del consorzio, trattandosi di una realtà imprenditoriale distinta rispetto a quella dei singoli consorziati, naturalmente se il consorzio stabile rimane nella sua totalità in possesso dei requisiti richiesti dalla lex specialis. Ciò in ragione del fatto, già evidenziato, che tanto durante lo svolgimento della procedura di gara, quanto durante l'esecuzione del contratto, l'unica controparte della stazione appaltante è il consorzio stabile. Diversamente opinando, si determinerebbe la conseguenza del venir meno della finalità giuridica per la quale è stato previsto l'istituto, che è quella (cfr. Cons. Stato, sentenza sez. VI, 13 ottobre 2020, n. 6165) di favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese alle procedure di gara cui non avrebbero potuto partecipare con i soli propri requisiti, al tempo stesso beneficiando di un rapporto mediato tra l'amministrazione e la consorziata data dal consorzio e dalla struttura consortile”. Il Consiglio di Stato si preoccupa altresì di precisare che tale soluzione interpretativa non confligge con la perdurante validità del principio di necessaria continuità nel possesso dei requisiti, affermato dall'Adunanza Plenaria con sentenza n. 8 del 2015, né con il più generale principio di immodificabilità soggettiva del concorrente, chiarendo che “tale prospettiva è idonea a soddisfare sia il principio del favor partecipationis, sia quello della certezza dei requisiti che debbono ricorrere affinché un determinato soggetto giuridico possa legittimamente concorrere per l'aggiudicazione di un contratto di lavori, servizi e forniture”. Nel caso al suo esame, il Consiglio di Stato ha pertanto concluso con il ritenere consentita, in sede di gara, l'estromissione dell'impresa divenuta priva dei requisiti ex art. 80 cit., e conseguentemente possibile la sostituzione della consorziata designata con altra impresa in possesso dei requisiti di partecipazione e di quelli di qualificazione per l'esecuzione dei lavori, indicati dalla lex specialis. Più di recente, la quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 24 gennaio 2023, n. 779, in un caso molto simile a quello in esame (consorzio stabile cui era stata revocata l’aggiudicazione in considerazione dell’irregolarità fiscale riscontrata in capo ad una consorziata esecutrice) ha individuato un ulteriore argomento a sostegno di tale approdo ermeneutico: “Un ulteriore argomento viene offerto dal percorso argomentativo seguito da questa Sezione, con sentenza n. 9923 del 11.11.2022, che ha ritenuto applicabile anche ai consorzi stabili i principi dell’Adunanza Plenaria, in forza del rinvio contenuto nello stesso art. 48, comma 19 bis, del d.lgs. n. 50 del 2016. L’estensione si aggiunge a quanto già previsto dal comma 7 bis dello stesso articolo 48, che consente nelle stesse ipotesi dei commi 17, 18 e 19, quando riguardino l’impresa consorziata designata per l’esecuzione, la designazione ai fini dell’esecuzione di una impresa consorziata diversa da quella indicata in sede di gara. La generale previsione del comma 19 ter è interpretabile nel senso che le modifiche soggettive che riguardano il consorzio stabile ovvero la consorziata designata per l’esecuzione, purché riconducibili a quelle previsti dai commi 17, 18 e 19 (rispettivamente richiamati per il consorzio stabile dal comma 19 bis e per la consorziata designata dal comma 7 bis), sono consentite sia in fase esecutiva che in fase di gara. Secondo quanto statuito nella decisione richiamata, se la sostituzione è ammessa per la perdita dei requisiti in corso di gara nei rapporti tra imprese solo temporaneamente raggruppate, sarebbe irragionevole un’interpretazione che non consentisse la sostituzione ‘internà al consorzio stabile, in ragione della particolare natura del rapporto che lega quest’ultimo alle imprese consorziate e che addirittura permette l’assunzione in capo allo stesso consorzio delle prestazioni della consorziata designata che venga esclusa dalla gara...”. Anche in questo caso, il Consiglio di Stato è giunto alla conclusione che doveva ritenersi consentita in sede di gara l’estromissione dell’impresa divenuta priva dei requisiti ex art. 80, e, conseguentemente “possibile la sostituzione [interna] della consorziata designata con altra impresa in possesso dei requisiti di partecipazione e di quelli di qualificazione per l’esecuzione dei lavori indicati dalla lex specialis”. Del resto, in senso conforme al suddetto approdo ermeneutico, sembra andare sia il legislatore, con l’art. 97, commi 2 e 3 del nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), il quale prevede espressamente che “Fermo restando l'articolo 96, se un partecipante al raggruppamento si trova in una delle situazioni di cui agli articoli 94 e 95 o non è in possesso di uno dei requisiti di cui all'articolo 100, il raggruppamento può comprovare di averlo estromesso o sostituito con altro soggetto munito dei necessari requisiti, fatta salva l'immodificabilità sostanziale dell'offerta presentata. Se tali misure sono ritenute sufficienti e tempestivamente adottate, il raggruppamento non è escluso dalla procedura d'appalto. Se la stazione appaltante ritiene che le misure siano intempestive o insufficienti, l'operatore economico è escluso con decisione motivata. 3. I commi 1 e 2 si applicano anche ai consorzi ordinari. Si applicano altresì ai consorzi fra imprese artigiane, nonché ai consorzi stabili limitatamente alle consorziate esecutrici e alle consorziate aventi i requisiti di cui i consorzi si avvalgono.”, sia la Corte di Giustizia dell’Unione europea che, con la sentenza della sez. IX, 3 giugno 2021, n. 210/00, con riferimento all’interpretazione dell’art. 63, paragrafo 1, secondo comma, terza frase, della direttiva 2014/24/UE afferma quanto segue “Ai sensi dell'articolo 63, paragrafo 1, secondo comma, terza frase, della direttiva 2014/24, l'amministrazione aggiudicatrice può imporre o essere obbligata dallo Stato membro cui appartiene a imporre che l'operatore economico interessato sostituisca il soggetto sulla cui capacità esso intende fare affidamento, ma nei confronti del quale sussistono motivi di esclusione non obbligatori. Dalla formulazione di quest'ultima frase emerge quindi che, sebbene gli Stati membri possano prevedere che, in un'ipotesi del genere, l'amministrazione aggiudicatrice sia tenuta ad imporre una siffatta sostituzione a tale operatore economico, essi non possono, per contro, privare detta amministrazione aggiudicatrice della facoltà di esigere, di propria iniziativa, una siffatta sostituzione. Gli Stati membri dispongono infatti solo della possibilità di sostituire tale facoltà con un obbligo, per l'amministrazione aggiudicatrice, di procedere a una siffatta sostituzione. 34 Una tale interpretazione dell'articolo 63, paragrafo 1, secondo comma, terza frase, della direttiva 2014/24 contribuisce, inoltre, a garantire il rispetto del principio di proporzionalità da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, conformemente all'articolo 18, paragrafo 1, di tale direttiva. Da tale principio, che costituisce un principio generale del diritto dell'Unione, discende infatti che le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito dell'attuazione delle disposizioni di detta direttiva non devono andare oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da quest'ultima (v., in tal senso, sentenze del 16 dicembre 2008, M., C-213/07, EU:C:2008:731, punto 48, nonché del 30 gennaio 2020, Tim, C-395/18, EU:C:2020:58, punto 45)”, precisando altresì che “Il principio di proporzionalità impone, infatti, all'amministrazione aggiudicatrice di effettuare una valutazione specifica e concreta dell'atteggiamento del soggetto interessato, sulla base di tutti gli elementi pertinenti (v., per analogia, sentenze del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact, C465/11, EU:C:2012:801, punto 31, e del 3 ottobre 2019, D.A.C. 93, C-267/18, EU:C:2019:826, punto 29). A tale titolo, l'amministrazione aggiudicatrice deve tener conto dei mezzi di cui l'offerente disponeva per verificare l'esistenza di una violazione in capo al soggetto sulle cui capacità intendeva fare affidamento (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Tim, C-395/18, EU:C:2020:58, punto 52)”. Applicando le condivise coordinate ermeneutiche al caso in esame, il Collegio ritiene che l’Amministrazione resistente, alla luce dei principi generali di cui all'art. 1 della l. n. 241 del 1990 e all'art. 4 del d.lgs. n. 50 del 2016, avrebbe dovuto interpellare il consorzio stabile, al fine di rendere possibile la partecipazione dello stesso alla gara, nonostante la perdita dei requisiti di una delle consorziate designate dall'appalto. Il Collegio osserva che il ricorrente, con nota del 5 maggio 2023, aveva formulato, tramite il proprio difensore, istanza di riesame del provvedimento di revoca, rilevando come le pendenze della Co. S.r.l erano state sanate prima ancora della comunicazione inviata dall’Agenzia delle Entrate e che l’operatore partecipante alla gara risultato aggiudicatario era il Consorzio Stabile, con i propri requisiti, al quale si sarebbe dovuto comunque consentire di indicare un’altra consorziata esecutrice ovvero di confermare la sola Th.Ha. s.r.l. quale esecutrice dei lavori, considerato il possesso di tutti i requisiti richiesti per l’esecuzione dei lavori oggetti dell’appalto. Come esposto dalla ricorrente, invece, la Centrale di committenza non ha considerato (anzi ha escluso) di dover consentire al Consorzio stabile di procedere alla riorganizzazione del proprio assetto interno. Come ha evidenziato il Consiglio di Stato, in ipotesi siffatte, laddove si verifichi la predetta ipotesi di perdita dei requisiti, la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il Consorzio e, laddove questo intenda effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provveda ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione. Per i rilievi sopra illustrati la seconda censura dedotta dal ricorrente coglie nel segno. È, quindi, illegittimo il provvedimento di revoca della proposta di aggiudicazione al Consorzio Stabile Alt.Va.di Ce. s.r.l., compresa la conferma del provvedimento comunicata con nota prot. n. 12273 del 18 maggio 2023. La pronuncia di illegittimità della revoca comporta, come ravvisato dalla menzionata Adunanza Plenaria, che la stazione appaltante, in ossequio al principio di partecipazione procedimentale, è tenuta ad interpellare il consorzio stabile e, laddove questo intende effettuare una riorganizzazione del proprio assetto, onde poter riprendere la partecipazione alla gara, provvedere ad assegnare un congruo termine per la predetta riorganizzazione. In tali termini, va disposto l'annullamento della revoca della proposta di aggiudicazione al Consorzio Stabile Alt.Va.di Ce. s.r.l., compresa la conferma del provvedimento comunicata con nota prot. n. 12273 del 18 maggio 2023. Si evidenzia che dagli atti depositati in giudizio non risulta che l’Unione dei Comuni Omissis abbia provveduto ad aggiudicare la gara alla seconda in graduatoria. Invero, nell’istanza di anticipazione di udienza del 4 settembre 2023 si comunica che per effetto dell’ordinanza cautelare di questo Tribunale, l’amministrazione aveva sospeso gli adempimenti di gara. - In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e limiti di cui in motivazione. - Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. Si compensa con la In. s.r.l. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in motivazione. Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente liquidante in euro 3.000,00 (tremila/00), più accessori di legge e rimborso del contributo unificato. Compensa con la In. s.r.l. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Roberto Pupilella - Presidente Luigi Viola - Consigliere Flavia Risso - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Flavia Risso Roberto Pupilella
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