Sentenze recenti Tribunale Foggia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO in persona del giudice, dott.ssa Angela Vitarelli, all'udienza del 3.04.2023, tenuta ai sensi dell'art. 3, comma 10, lett. b, D.Lgs. n. 149 del 2022, nella parte in cui prevede l'inserimento dell'art. 127 ter nel c.p.c. ("L'udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l'udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. ... Il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti") e dell'art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 149 del 2022, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA mediante deposito contestuale della stessa, nella causa civile iscritta al n. 13403/2019 (...)L. cui viene riunita ex art. 151 disp. att. c.p.c. la causa iscritta al n. 5056/2020 vertente TRA (...), con l'avv. Bi.Pr. RICORRENTE E ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'Avvocatura dell'Istituto costituita con l'avv. Ca.Ti. RESISTENTE OGGETTO: cancellazione dagli elenchi nominativi dei braccianti agricoli, mancato pagamento prestazioni previdenziali connesse all'iscrizione RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con distinti ricorsi, la ricorrente in epigrafe indicata ha esposto di aver lavorato come bracciante agricolo per l'anno 2018, per 67 giornate, alle dipendenze dell'azienda agricola "(...)" ed ha censurato l'operato dell'Inps laddove ha ritenuto parzialmente insussistente il suddetto rapporto di lavoro, provvedendo alla cancellazione di 18 giornate. Ha chiesto, pertanto, al giudice adito di dichiarare il suo diritto al riconoscimento, come periodi utili a fini contributivi, delle giornate lavorative complessivamente indicate in ricorso e, per l'effetto, di condannare l'Inps a registrare nei suoi archivi e comunque nelle forme di legge tali periodi contributivi, con condanna dell'Inps alla refusione delle spese di lite, da distrarsi. Ha chiesto, altresì, la condanna dell'Ente resistente al pagamento della indennità di disoccupazione agricola e degli Anf di competenza dell'anno 2018, nella misura quantificata in ricorso. L'Inps, costituitasi tardivamente in entrambi i procedimenti, ha talora preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito. Ha, inoltre, contestato la fondatezza dei ricorsi, stante la legittimità del proprio operato (come risultante dai verbali ispettivi depositati) e ne ha chiesto il rigetto. Con riguardo alle prestazioni rivendicate, ne ha eccepito la non spettanza, stante la parziale fittizietà del rapporto di lavoro denunciato, con conseguente insussistenza dei presupposti di legge. L'odierna udienza è stata tenuta con le modalità di cui in epigrafe. Pertanto, verificata la regolare comunicazione del decreto di fissazione della trattazione scritta della causa ed acquisite brevi note di trattazione, le cause sono state decise, previa loro riunione, come da sentenza contestuale depositata telematicamente. Deve preliminarmente essere disposta la riunione dei giudizi in epigrafe indicati, per connessione soggettiva e oggettiva, in quanto aventi ad oggetto l'accertamento del diritto della ricorrente alla iscrizione negli elenchi OTD a seguito di cancellazione disposta dall'Inps per effetto del disconoscimento del rapporto di lavoro sulla base del medesimo verbale ispettivo (depositato dall'Inps in entrambi i giudizi), nonché l'accertamento del diritto della stessa al pagamento della prestazione temporanea connessa all' iscrizione. Deve, poi, essere affermata la giurisdizione del giudice adito, spettando al giudice ordinario l'accertamento del rapporto di lavoro in agricoltura e del conseguente diritto all'iscrizione negli elenchi nominativi. Infondata è, pertanto, l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla parte resistente nel giudizio RG n.13403/2019. Deve, inoltre, darsi atto che parte ricorrente ha dedotto e documentato di aver proposto ricorso amministrativo sia con riferimento alla domanda di accertamento del diritto alla reiscrizione negli elenchi bracciantili che con riferimento alla domanda di condanna dell'Ente resistente al pagamento delle prestazioni temporanee azionate. Va, inoltre, osservato che i ricorsi risultano depositati nel termine di legge di 120 giorni, sicché devono qualificarsi tempestivi ai sensi dell'art. 22 D.L. n. 7 del 1970, conv. con modifiche nella L. n. 83 del 1970. Nel merito, le domande attoree sono solo in parte fondate, nei limiti di seguito esposti. Ed invero, sul tema dell'onere assertivo e probatorio circa l'effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali, la giurisprudenza, pure di legittimità, ha sperimentato in passato interpretazioni tra loro difficilmente conciliabili, sino a quando le Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di comporre il contrasto esistente fra le tesi suddette, sono intervenute nel dibattito e hanno congruamente statuito: 1) che il lavoratore agricolo, il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti l'iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a ti-tolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2) che soltanto a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (v. Cass. sez. un. 26 ottobre 2000, n. 1133). È ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l'effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell'iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell'iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877). A maggior ragione l'onere assertivo e probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi, ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione, come nel caso di specie. Come affermato dalla Suprema Corte (si vedano Cass. 11.2.2016, n. 2739 e Cass. 26.7.2017, n. 18605), "L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'I.(...)S., a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio". Ciò posto, nel caso di specie, l'Inps ha depositato il verbale ispettivo N. 2019003126/DDL del 26.06.2019, riferito al periodo compreso tra il 02.04.2018 e il 31.12.2018 (e, quindi, all'annualità dedotta nel presente giudizio) e relativo alla azienda agricola "Società Agricole (...)", dal quale emergono plurimi segnali di allarme che inducono a ritenere fittizi i rapporti di rapporti di lavoro denunciati all'Inps da tale società, ivi incluso quello sottoposto ad odierno scrutinio. Il predetto verbale, prodotto unitamente alle memorie di costituzione dell'Inps, viene acquisito ai sensi dell'art. 421 c.p.c., ritenutane l'indispensabilità ai fini della decisione. In particolare, da tale verbale, il cui contenuto è stato richiamato dall'Inps nelle memorie di costituzione ed avverso il quale la odierna ricorrente non ha mosso contestazioni specifiche, emerge che: 1) La società semplice (...) è stata costituita nel 2015 dai fondatori M.V. e (...), con sede legale a (...); la società è iscritta presso la CCIAA di Foggia da l 2.2.2015. In data 14.9.2019 le quote dei due fondatori sono state cedute ai sig.ri (...) e (...), i quali a loro volta hanno ceduto le quote societarie in data 28.3.2019 al sig. (...), nato e residente a (...). 2) È stata presentata dalla società una denuncia aziendale in data 8.5.2018 in qualità di azienda con terra con indicazione di un fabbisogno di 312 giornate annue, da utilizzare presso i terreni in uso, aventi come coltura fiori e piante protette in serra. 3) In data 2.7.2018 è stata presentata un'ulteriore denuncia aziendale, sempre con lo stesso numero di 312 giornate di fabbisogno. 4) Nonostante la denuncia con indicazione di un fabbisogno di 312 giornate, nella realtà la società agricoli (...) ha denunciato nel 2018 140 operai agricoli a tempo determinato per complessive 11.900 giornate con indicazione di una retribuzione di Euro 769.850,00. 5) A livello fiscale nell'archivio telematico dell'Agenzia delle Entrate risulta soltanto una denuncia reddituale da parte della società semplice (...) per l'anno 2017 con un volume d'affari pari a ZERO e operazioni passive per Euro 1.517,00. 6) A seguito delle verifiche svolte da parte dei verbalizzanti (accesso presso lo studio delegato alla tenuta dei libri sociali (...), richiesta e controllo documentazione), è stato sentito l'amministratore della (...), sig. (...) (già titolare di parte delle quote e amministratore della (...)), il quale ha specificato di aver stipulato un contratto di affitto con il Tribunale di Foggia, sezione fallimentare, per la locazione di un capannone per la lavorazione e il confezionamento di prodotti ortofrutticoli nonché di una serie di serre. Ha inoltre specificato che la (...) si occupa dell'elaborazione del libro unico della società agricola (...), mentre la trasmissione delle denunce trimestrali è stata fatta dal sig. (...) con il suo personale PIN presso il suo studio e con l'aiuto della (...). 7) Gli ispettori si sono recati (in data 6.3.2019) presso il capannone e hanno riscontrato che lo stesso, pur trovandosi in buone condizioni, dimostrava di essere inutilizzato da oltre 5 anni. Le serre si trovavano tutte in stato di abbandono e vuote, tranne un blocco presso cui vi erano degli alberi di ciliegie di fatto improduttivi in quanto abbandonati a sé stessi. Anche la linea di lavorazione e confezionamento si rivelava in disuso da anni agli occhi degli ispettori. L'unica parte in uso era rappresentata da un piccolo appezzamento di terra coltivato a zucchine a uso personale dall'operaio che funge da custode del luogo (sig. (...), trovato in sede di sopralluogo) e dal proprietario del terreno, sig. (...). 8) In data 4.4.2019 gli ispettori si sono nuovamente recati presso i terreni e hanno trovato i signori (...) (proprietario), (...) (titolare della (...)) e (...) (custode dei terreni) intenti a irrigare piantine di zucchine. 9) Nell'ambito della procedura fallimentare, da cui la (...) aveva preso in locazione i terreni e le serre), il perito incaricato dal Giudice Delegato Dott. (...), ha precisato dopo i sopralluoghi del 24.9.2018 e 12.11.2018 - relativamente ai terreni poi concessi in locazione alla (...) - che "lo stato di manutenzione e conservazione è buono per gli uffici, più che sufficiente per il capannone industriale, mediocre per le serre (solo due di esse sono utilizzate, una scoperta per la produzione di ciliegie e l'altra coperta da teloni per la produzione di cannabis officinalis) e pessimo per la cabina di fertirrigazione e l'abitazione". 10) In data 14.3.2019 è stato sentito il legale rappresentante della (...), sig. (...), il quale ha testualmente dichiarato "sono il titolare della società agricola (...) s.s. dal 28.3.2018 in qualità di socio unico e amministratore. La società ha sede legale a (...) ove si trova un capannone con annesso ufficio e otto blocchi di serre e 5 ettari di terreni che la società ha in affitto dal Tribunale di Foggia come da contratto che esibisco. Inoltre, la società ha in affitto terreni siti quasi di fronte le serre di proprietà di un certo (...) che ha dato in affitto alla società circa 7 ettari di carciofato. I terreni nel 2018 sono stati coltivati a carciofi e qualche filo di zucchine. Attualmente i terreni vicino le serre sono seminati a grano da novembre/dicembre 2018. I carciofi sono stati piantati dall'inizio, in quanto il terreno era libero. Non so dire dove siano state comprate o reperite le piante dei carciofi da impiantare. Di questi adempimenti se ne è sempre occupato un dipendente di mia fiducia sig. (...) che si occupa anche di ingaggiare gli operai, di prendere le presenze di portare le presenze e ritirare i documenti dal consulente del lavoro (...). (...) si occupa anche della coltivazione dei terreni in quanto più esperto di me. Io mi occupo solo della parte amministrativa come pagamenti e riscossioni ... Io non so quanti dipendenti ho occupato nell'anno 2018, non conosco alcun dipendente del 2018 in quanto se ne occupa (...). Ricordo che ai dipendenti abbiamo solo dato acconti a maggio e giugno per piccole cifre, cioè io ho dato i soldi in contanti a (...) che poi ha personalmente dato ai dipendenti. Ricordo che erano piccole cifre 5.000 Euro per acconti, Euro 300 per dipendente. Sono coniugato con (...) di professione bracciante agricola che ha lavorato nel 2018 per la mia attività dall'inizio fino a dicembre 2018. Nel 2019 non abbiamo ancora assunto dipendenti tranne (...) e (...). Nel 2018 abbiamo prodotti carciofi che poi abbiamo venduto a compratori ma non so dire a chi, né le modalità di vendita in quanto se ne è sempre occupato (...). Nei terreni e nel capannone vi sono anche animali da pascolo di proprietà di (...) come cavalli e pecore. In un blocco di terre è stata coltivata anche la canapa di tipo Carmagnola per produrre canapa indiana light ma la cosa non è andata bene in quanto non siamo riusciti a venderla come avevamo previsto anche per la nuova legge emanata dal Governo". 11) Sempre in data 14.3.2019 è stato sentito (...) che ha dichiarato di essere bracciante agricolo da almeno 5 anni e di lavorare dal 2018 per l'azienda (...) il cui amministratore (...), non essendo pratico di agricoltura, gli ha dato un incarico di fiducia per seguire tutte le fasi delle coltivazioni della società (...). Ha specificato che nel terreno vicino alle serre di proprietà del sig. (...) c'erano già piantati carciofi ma il gelo non ha permesso la raccolta e allora sono stati recuperati dei ceppetti che sono stati ripiantati in metà terreno e l'altra metà è stata seminata a grano a fine dicembre. Le piante di carciofi sono state vendute alla pianta a un certo (...) che ha provveduto alla raccolta con i suoi operai. Nel 2019 la produzione è stata quasi nulla in quanto le piante dai primi di novembre hanno bruciato i frutti. Tutta l'attività del 2018 è stata rivolta alla coltivazione della canapa che non è andata a buon fine. Il sig. quanto all'attività, il (...) ha dichiarato: "io mi sono occupato principalmente della coltivazione della canapa e ho reclutato all'inizio 6 o 7 operai, che conoscevo già, e loro stessi, quando servivano altri operai, portavano loro conoscenti. I primi operai erano un certo S., (...) e due donne, una delle quali si chiamava (...), per lapreparazione dei vasi in polistirolo. Poi è arrivato il terriccio e sono stati riempiti i vasi i vasi, poi abbiamo piantato due piante per vaso, un maschio e una femmina, circa 10.000; ma il lavoro più grande è stato prima per la cd smaschiatura ovvero l'estirpazione delle piante maschio e poi quando le piante femmina hanno iniziato a dare i frutti, c'erano anche 30 dipendenti nella serra alla raccolta e la pulizia del frutto che veniva eseguita a mano con forbicine e molto chirurgica infatti per fare un kg, un operaio impiega minimo 2 giorni. Io non mi sono occupato di altro, come la contabilità, fatture relative al carciofeto e altro. Io ho solo curato l'attività della canapa e compreso le presenze e l'assunzione dei lavoratori. ...". Ha, infine, precisato che oltre alla canapa e ai carciofi non ci sono state altre coltivazioni se non delle piccole quantità a livello amatoriale fatte dal sig. (...) e dal sig. (...). 12) Sono stati sentiti alcuni dei lavoratori agricoli assunti dalla società (...): le loro dichiarazioni sono state imprecise, lacunose, contraddittorie a proposito della retribuzione percepita, dei colleghi di lavoro, delle fasi lavorative e della tipologia di coltura, delle modalità di raggiungimento delle sedi di lavoro. 13) Tra le molte incongruenze i funzionari di vigilanza hanno rinvenuto ad esempio il caso della sig.ra (...), assunta in data 18.7.2018 che sul Libro Unico del Lavoro risulta presente in data 16.11.2018, giorno in cui la stessa ha dato alla luce un figlio (purtroppo morto) in Roma, come s i evince dal certificato di morte allegato dalla stessa alla domanda di maternità dalla stessa presentata in via telematica all'INPS di Cerignola in data 19.12.2018. Ancora, la sig.ra (...) dal LUL risulta ininterrottamente presente dal 23.5.2018 al 31.05.2018, sebbene la stessa ha presentato un certificato medico di malattia per il periodo 23.5.2018 - 17.06.2018, regolarmente fruito ed indennizzato dall'Inps. 14) Al termine dell'accertamento, i funzionari di vigilanza hanno appurato che gli unici lavoratori che hanno effettivamente prestato la loro attività a favore della società semplice (...) sono (...), proprietario dei terreni su cui la società operava, (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...). 15) Tutti gli altri rapporti lavorativi con operai agricoli a tempo determinato sono stati disconosciuti, totalmente o parzialmente, ivi compreso quello della ricorrente. 16) Gli ispettori hanno inoltre verificato le fatture degli acquisti e delle vendite, appurando che spesso le ditte fornitrici o acquirenti non avevano le fatturazioni della (...). 17) Anche i Carabinieri della Stazione di Cerignola hanno fatto un accesso in data 4.10.2018 presso le serre della (...) e hanno rinvenuto soltanto i lavoratori (...) e (...), pur essendo risultati presenti nel L.U.L. in quella giornata 92 lavoratori. 18) Il numero complessivo di giornate denunciate, oltre a essere molto superiore a quello indicato come fabbisogno, non ha trovato riscontro sia nei ripetuti accessi presso i terreni e le serre, sia dalle dichiarazioni del titolare e di chi lo ha aiutato. 19) Le stesse dichiarazioni dei lavoratori sono state raffrontate con quanto direttamente visto dagli ispettori in occasione dei sopralluoghi effettuati, ma anche dai riscontri con le scritture contabili. Gran parte dei rapporti di lavoro con la società semplice agricola (...) sono stati ritenuti fittizi e disconosciuti. Orbene, a fronte di tale (particolarmente accurata) indagine ispettiva, fondata su riscontri oggettivi, le allegazioni e le prove offerte dalla odierna ricorrente non appaiono idonee a dimostrare il fatto controverso, ossia l'effettiva prestazione, da parte del lavoratore a tempo determinato, di attività lavorativa di tipo subordinato per le giornate complessivamente dedotte nel ricorso. Segnatamente, sotto il profilo assertivo, deve evidenziarsi la genericità del ricorso, non allegando, in punto di fatto i caratteri tipici della subordinazione, né quegli elementi, c.d. "sintomatici", che consentano quantomeno di potere presumere la sussistenza di un siffatto tipo di rapporto (ad es. l'eventuale predeterminazione dei turni, l'eventuale sottoposizione del lavoratore al potere disciplinare del datore di lavoro in caso di mancata osservanza degli stessi, l'assenza di autonomia organizzativa del prestatore, etc.). Ed invero, la ricorrente ha soltanto affermato di aver lavorato per un certo numero di giornate, "alle dipendenze" della ditta indicata in atti e di aver svolto le mansioni indicate nei fogli d' impresa, senza nemmeno allegare la tipologia dei prodotti raccolti e/o lavorati. Si ritiene, poi, che anche l'indicazione dei fondi sia estremamente generica essendosi la ricorrente limitata ad indicare di aver lavorato in agro di Carapelle senza specificare in che periodo sarebbe stata svolta l'attività lavorativa. Va, in merito, rilevato che in sede ispettiva veniva accertato che i fondi detenuti dall'azienda (...) erano ubicati in agro di (...)- Contrada L.; circostanza, quest'ultima, in contrasto con quanto allegato dalla ricorrente e sulla quale veniva articolato il relativo capitolo di prova. Trattasi di precisazioni che si rendevano necessarie a fronte dei plurimi segnali di allarme denunciati dagli ispettori e della minuziosa ricostruzione della reale attività aziendale effettuata dagli ispettori medesimi, soprattutto a fronte di un disconoscimento solo parziale del rapporto di lavoro. A ben vedere, le allegazioni contenute nel ricorso non appaiono sufficientemente circostanziate, ma in realtà, riferite ad un modello indistinto ed indifferenziato di rapporto di lavoro che non consente, neppure in astratto, di imputare in maniera specifica al lavoratore e all'azienda agricola l'effettivo svolgersi del rapporto di lavoro. Si pensi, ad esempio alla retribuzione, indicata in modo assai vago e generico: "con paga giornaliera di Euro 50,62 nelle giornate lavorative dai mesi da ottobre, novembre e dicembre". Va, in merito, rilevato che il datore di lavoro, in sede ispettiva, dichiarava di aver corrisposto solo acconti ai dipendenti per i soli mesi di maggio e giugno 2018, circostanza in contrasto con le allegazioni della ricorrente. Si ritiene, poi, che anche indicazione dell'orario di lavoro sia estremamente generico essendo così formulato: "con orario di lavoro giornaliero dalle 6-6.30 alle ore 12.30 circa". Nessuna specifica allegazione viene formulata con riferimento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, alla modalità di corresponsione della retribuzione, alla composizione, quantomeno numerica, della squadra di lavoro. La ricorrente non fa nessun riferimento alla circostanza che il potere direttivo fosse di fatto svolto da un preposto aziendale, il quale provvedeva pure ai pagamenti, come accertato all' esito della verifica ispettiva. L'insufficienza dell'approssimativa rappresentazione attorea della vicenda in contestazione rispetto alla finalità di supportare la pretesa contributiva e di farne apprezzare la fondatezza sembra evidente, sia in generale, sia in considerazione delle caratteristiche di questa controversia e del contenzioso nel quale essa si iscrive. Passando alle prove offerte dalla parte ricorrente, si evidenzia innanzitutto che, come di recente affermato dalla Corte Territoriale, nelle ipotesi di disconoscimento o di cancellazione dell'accredito assicurativo a seguito e per effetto di una valida e puntuale attività di vigilanza e controllo, i documenti dell'azienda pseudo-datrice - la cui realtà operativa del tutto o gravemente irregolare è stata acclarata in sede ispettiva - e, in particolare, le denunce di manodopera, a ben vedere, non costituiscono un efficace elemento di contrasto probatorio, perché, ove dei rapporti di lavoro non si rinvenisse traccia nemmeno nei documenti formati dal soggetto che si attribuisce la qualità di datore, una simile ipotesi ricostruttiva dovrebbe essere esclusa in radice e ogni discussione sul punto non potrebbe essere nemmeno avviata dagli pseudo-braccianti. In altre parole, poiché le annotazioni aziendali devono riflettere le assunzioni effettive, le stesse annotazioni sono funzionali, anzi indispensabili, a fornire un'apparenza di regolarità nei casi di falsi ingaggi. Ne deriva che non è sulle registrazioni e sulle denunce aziendali concernenti la manodopera che può congruamente fondarsi il convincimento circa l'effettivo svolgimento dell'attività aziendale per il tramite dei lavoratori annotati (si vedano, ex multis, sent. n. 1932/2019, 71/2020 Corte di Appello di Bari). Conseguentemente, l'unico possibile supporto probatorio della domanda attorea avrebbe potuto essere fornito dalla prova testimoniale, che - tuttavia - non può essere ammessa in quanto vertente su circostanze generiche, inidonee ex se a dimostrare la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato. Ed invero, il deficit assertivo sopra evidenziato si riflette insanabilmente sui capitoli di prova articolati in ricorso che non contengono alcun elemento caratterizzante il singolo rapporto di lavoro dedotto in giudizio e presentano le seguenti criticità. In particolare, in tali capitoli di prova è genericamente indicato il numero complessivo di giornate asseritamente lavorate in un arco temporale costituito da più mesi e per l'intero periodo sono, poi, indicate le mansioni che seguono: "addetto all'attività che seguono lavori vari". Manca, inoltre, la specificazione della distribuzione di tali giornate lavorative per ciascun mese/settimana e la precisazione, per ciascuna frazione temporale dell'intero periodo lavorativo, del tipo di mansioni asseritamente espletate. Si rileva, inoltre, come precedentemente rilevato, che anche l'indicazione dei fondi contenuta nei capitoli di prova sia generica in quanto vi è una la mera indicazione di fondi siti in agro di (...) senza alcuna indicazione delle colture che sarebbero state svolte ovvero dei periodi in cui la ricorrente avrebbe lavorato. Peraltro, come evidenziato in sede ispettiva, l' allocazione dei fondi era diversa. Del pari generico appare anche l'unico capitolo articolato in ricorso relativo all' orario di lavoro, essendo così formulato: "vero che ha lavorato per ore circa 6.30 al giorno ed ha osservato un orario di lavoro giornaliero che iniziava alle 6,00- 6,30 e si protraeva sino alle 12,30 circa". Neppure il capitolo di prova relativo alle direttive offre indicazioni significative e specifiche, apparendo, piuttosto, le circostanze ivi contenute riconducibili ad un modello di rapporto di lavoro indistinto ed indifferenziato: "vero che ... ha lavorato attenendosi agli ordini, istruzioni e direttive dell'azienda (...) che riguardavano ogni aspetto della sua attività ed in particolare l'attribuzione delle mansioni e della paga nonché la fissazione dell'orario giornaliero di lavoro". Lo stesso dicasi per il capitolo di prova relativo alla retribuzione, anche in questo caso formulato senza specificare le modalità di erogazione della stessa, quando sarebbero avvenuti i pagamenti e il nominativo del soggetto persona fisica che li avrebbe effettuati, venendo così articolato: "vero che è stata periodicamente retribuita in denaro con paga giornaliera di Euro 50,62". Quanto alle mansioni, il relativo capitolo veniva così articolato: "vero che ha svolto attività manuale con mansioni di addetto all'attività che seguono lavori vari". Ora, il necessario giudizio circa la rilevanza di una prova testimoniale - che: a) deve essere formulato in via officiosa, vale a dire anche senza un'eccezione della controparte (da ultimo, Cass. 19.1.2018, n. 1294); b) è uno dei due presupposti indispensabili per la sua ammissione, insieme con la conformità dell'articolazione e della richiesta alle regole processuali; c) postula e giustifica il requisito basilare della specificità dei capitoli di prova ex art. 244 c.p.c. - sussiste se sia positivamente valutabile a priori l'idoneità dei fatti, prospettati dalla parte e da chiedere ai testimoni, a costituire il fondamento del diritto azionato. Con la precisazione che il giudice, nell'avvalersi della facoltà di cui all'art. 253, 1 comma, c.p.c., rivolgendo al teste le domande utili a chiarire i fatti oggetto della sua deposizione, non può, in ogni caso, supplire alle deficienze del mezzo istruttorio (Cass. 12.6.2015, n. 12192), perché se bastasse una generica istanza istruttoria della parte onerata della prova, con delega al giudice di cercare il riscontro adeguato, orientando l'assunzione delle testimonianze verso tale obiettivo si verificherebbero un'irregolare inversione dell'iter processuale configurato dal codice di rito e un vulnus nello svolgimento del processo, in pregiudizio dell'altra parte. Come di recente rilevato dalla Corte Territoriale, bisogna allora individuare con precisione quali sono l'oggetto e la finalità della prova testimoniale nella presente controversia e nelle altre analoghe dispute giudiziarie in materia di accrediti contributivi in agricoltura. Orbene, a fronte del disconoscimento dell'Inps, è necessario che il lavoratore provi l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e la sua concreta articolazione temporale, nonché dei caratteri tipici della subordinazione. In altre parole, è necessario compiere un accertamento che, sebbene in seno ad una controversia previdenziale (non di lavoro), nel contraddittorio con l'Inps (non con il datore) e di natura incidentale (senza, cioè, efficacia di giudicato), è, sul versante probatorio, del tutto assimilabile alle esigenze istruttorie che pone un'ordinaria controversia ex art. 409 c.p.c., in cui l'attore sostenga di avere lavorato alle dipendenze del convenuto e ne domandi la condanna al pagamento delle retribuzioni, mentre la parte resistente neghi che vi sia stata qualunque forma di collaborazione. Vi è perfetta corrispondenza del tema da verificare se si considera come l'eventuale accertamento in giudizio delle giornate lavorative, prestate da un bracciante agricolo in regime di subordinazione, comporti senz'altro l'accoglimento della domanda di accredito contributivo, non concorrendo alcun altro elemento a comporre la fattispecie previdenziale. Così fissato il parametro di valutazione, è agevole cogliere l'inficiante gravità, sotto il profilo dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore, dell'omessa specifica indicazione: 1) dell'orario di lavoro osservato secondo la stagionalità; 2) della distribuzione delle giornate lavorative all'interno del complessivo arco temporale dedotto in giudizio e delle mansioni svolte in ciascuna frazione temporale di tale periodo; 3) dei fondi rustici sui quali la prestazione lavorativa sarebbe stata resa in relazione a ciascuna frazione temporale del rapporto; 4) delle concrete direttive impartite al singolo bracciante e delle specifiche modalità in cui si sarebbe estrinsecato il potere di vigilanza e disciplinare; 5) delle concrete modalità di erogazione della retribuzione (con precisazione della quota di retribuzione ricevuta in contanti e di quella ricevuta con altro mezzo di pagamento e dell'epoca dei vari pagamenti); 6) la composizione (quanto meno numerica) delle squadre di lavoro in cui il bracciante avrebbe operato, ecc.. Appare - pertanto - insanabile l'inadeguatezza della richiesta di prova testimoniale formulata dalla parte ricorrente. In una siffatta situazione, non sembra neppure possibile ipotizzare che risulti appagante il risultato dell'attività istruttoria (ove erroneamente ammessa). La parte attrice deve fornire prove convincenti di una realtà lavorativa da verificare con attenzione, a seguito e per effetto dell'accertamento ispettivo condotto da organi specializzati della pubblica amministrazione, attestante plurime incongruenze e gravi violazioni a carico dell'azienda apparentemente datrice, come di molte altre pseudo-aziende. In altri termini, perché uno dei rapporti disconosciuti dall'Inps venga riabilitato in sede giudiziaria è necessario che il processo dissipi ogni perplessità circa la sua effettiva esistenza come fatto storico, mentre si ritiene che nel caso di specie né le allegazioni attoree, né le prove testimoniali hanno questa attitudine. Infine, si deve escludere che le lacune assertive e probatorie che si sono evidenziate possano trovare rimedio mediante l'esercizio dei poteri istruttori dell'ufficio giudiziario, in quanto, da un lato, l'impulso probatorio officioso può svolgere una funzione soltanto complementare e integrativa (quando in atti vi siano già significativi dati di indagine, precisa la giurisprudenza di legittimità), senza superare il limite del capovolgimento dell'esito della lite derivante dalla libera attuazione del principio dispositivo; dall'altro, la potestà in parola è discrezionale (ed insindacabile, anche quando manchi un'espressa motivazione). Alla luce di quanto premesso, la domanda attorea, avente ad oggetto l'accertamento del diritto all'iscrizione per le giornate disconosciute, appare infondata, sia perché priva di sufficienti allegazioni, sia perché, in ogni caso, non fornita di un adeguato supporto probatorio. Va osservato in merito, che la ricorrente ha dedotto di aver lavorato nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2018, laddove in sede ispettiva si evidenziava che non risultava documentato lo svolgimento di attività agricola in data posteriore al 9 dicembre 2018. Sicché il disconoscimento parziale delle giornate lavorative denunciate in favore della ricorrente appare riscontrato da tale evidenza documentale a fronte della quale, come detto, la stessa non ha mosso alcun rilievo né formulato idonee allegazioni. Ne consegue, inoltre, il rigetto della domanda tesa ad ottenere la liquidazione della disoccupazione agricola di competenza dell'anno 2018, rilevata l'insussistenza, in capo alla ricorrente, del possesso dei requisiti di legge. Vanno, invece, liquidati gli Anf nella misura corrispondente alle 49 giornate di lavoro non disconosciute. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, si ritiene che la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c., depositata nel giudizio rg n. 13403/2019 non possa considerarsi valida ai fini dell'esenzione poiché lo stesso non veniva promosso per ottenere il pagamento di "prestazioni previdenziali o assistenziali" ma- come si è detto- l'accertamento del diritto alla reiscrizione (sul punto si veda Cass. Civ. sez. lav. 4.2.2020 n. 16676, cui questo giudice ritiene di adire). Va, invece, considerata valida la dichiarazione depositata nel procedimento rg n. 5056/2020, laddove si chiede la condanna dell'Ente resistente al pagamento delle prestazioni temporanee connesse all' iscrizione; domanda, peraltro, parzialmente fondata. Tuttavia, il diverso orientamento sinora assunto da questo Tribunale in materia di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c. giustifica la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi del novellato art. 92 c.p.c. Si è, infatti, al cospetto di un'ipotesi di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti. Si osserva, infine, che i ricorsi risultano depositati in data antecedente alla surrichiamata pronuncia della S.C.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe indicati, così provvede: - accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna l'Ente resistente al pagamento, in favore della ricorrente, degli Anf di competenza dell'anno 2018, in ragione di 49 giornate di lavoro; - rigetta, per il resto, i ricorsi riuniti; - spese interamente compensate. Così deciso in Foggia il 3 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona della dott. Giovanna Cice, all'esito del deposito delle note ex art. 127 ter c.p.c., pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c., in data 15 marzo 2023 la seguente SENTENZA nel processo civile di I grado, iscritto al n. 7202 dell'anno 2021 del Ruolo Generale Affari Contenziosi e proposto DA (...), c.f. (...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Leonardo De Felice, che la rappresenta e difende, giusta procura in atti - OPPONENTE - CONTRO (...) SRL, p.i. (...), in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla Via (...), presso lo studio degli avv. (...), che la rappresenta e difende, giusta procura in atti - OPPOSTA - LE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha proposto opposizione avverso il d.i. n. 1442/2021, depositato in data 26/7/2021 e notificatole in data 19.10.2021, con il quale le è stato ingiunto di pagare, in favore di (...) s.r.l., la somma di Euro 8.917,00, maggiorata di interessi e spese, a titolo di restituzione di quanto ricevuto in virtù del contratto di finanziamento stipulato, in data 04/10/2005, avente ad oggetto il credito dapprima ceduto da (...) s.p.a. (nel frattempo divenuta (...)) in favore di (...) s.p.a. e successivamente ceduto da (...) s.p.a. in favore dell'odierna opposta, (...) s.r.l.. (...) s.r.l., costituitasi oltre i termini di cui all'art. 166 c.p.c., ha domandato, in via preliminare, di concedersi la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. e, nel merito, di rigettare l'altrui opposizione, siccome infondata in fatto ed in diritto. Denegata la concessione della provvisoria esecuzione ed assegnato alle parti il termine per l'espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5 bis D.Lgs. 28/2010 (cfr. ord. del 22/7/2022, comunicata dalla cancelleria ad entrambe le parti costituite), il processo è stato rinviato all'udienza del 14 marzo 2023 per la precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.. La domanda è improcedibile per mancato esperimento del tentativo di mediazione. Secondo le Sez. Un. n. 19596/2020, nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1 -bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo. Nel caso di specie, parte opposta non ha depositato il verbale di mediazione e, quindi, non ha fornito prova di aver svolto il tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5 bis D.Lgs. 28/2010. Di conseguenza, la domanda va dichiarata improcedibile ed il decreto ingiuntivo n. 1442/2021 va revocato. Dall'improcedibilità della domanda, in virtù dei principi di soccombenza e causalità (Cfr. Cass. Sez. Un. n. 32061/2022), consegue la condanna di (...) srl al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che si liquidano, secondo i parametri di cui al D.M. 55/2014, oltre agli esborsi documentati ai sensi dell'art. 2 co. 2 D.M. 55 del 2014, con riferimento alle fasi del giudizio svolte (e, dunque, esclusa la fase istruttoria poiché non espletata), ai valori medi (art. 4 D.M. cit.), ed in relazione allo scaglione fino ad Euro 26.000,00, in cui risulta ricompresa l'odierna controversia in base al valore del petitum (art. 5 co. 5 e 6 D.M. cit.), con distrazione in favore dell'avv. (...), dichiaratosi anticipatario. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: 1) dichiara l'improcedibilità della domanda e, per l'effetto, revoca il d.i. n. 1442/2021; 2) condanna (...) Srl, al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite, pari all'importo di Euro 150,00 per esborsi ed Euro 3.397,00 per compensi, oltre i.v.a. se dovuta, c.p.a. come per legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15% sull'importo dei soli compensi, da distrarsi in favore dell'avv. avv. (...). Il Giudice dott.ssa Giovanna Cice La presente sentenza è sottoscritta con firma digitale.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso - PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Mariangela Martina Carbonelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.g. 5606/2022 promossa da: C.M. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in ...presso il difensore avv. ... ATTORE contro A.T.C.P. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in via ....presso il difensore avv. ... CONVENUTA Svolgimento del processo - Motivi della decisione Agendo con atto di citazione del 23.09.2022, ritualmente notificato alla convenuta, C.M. ha convenuto in giudizio A.T.C.P., chiedendo la revoca dell'obbligo a lui imposto ai sensi dell'art. 148 c.c. dal Tribunale di Lucera con Provv. del 7 aprile 2011 del versamento alla ex nuora di Euro 200,00, a titolo di contributo al mantenimento delle nipoti A.M., nata a L. il (...), G.M., nata a F. il (...) e V.P.M., nata a S.G.R. il (...), stante l'inadempimento del padre. Ha esposto il M. a sostegno della propria domanda di aver subito un peggioramento delle proprie condizioni economiche, determinato dall'aggravarsi delle sue condizioni di salute per patologie legate all'età senile, comportanti maggiori spese sanitarie, e dal venir meno del contributo economico della moglie deceduta. Ha aggiunto che tutte e tre le nipoti, ormai maggiorenni, avrebbero raggiunto l'indipendenza economica, addirittura, quanto alle prime due, creando propri autonomi nuclei familiari. Nel costituirsi in giudizio, A.T.C.P. si è opposta all'accoglimento della domanda, eccependo di versare in condizioni di salute tale da non consentirgli di lavorare, che nessuna delle circostanze rappresentate sarebbe suscettibile di provocare un reale peggioramento delle condizioni economiche del ricorrente; che il raggiungimento della maggiore età delle figlie non avrebbe eliminato lo stato di bisogno in cui le stesse versavano al momento del sorgere dell'obbligo per il nonno, posto che quanto ad A.M. la stessa sarebbe domiciliata in Ascoli Piceno, non presterebbe attività lavorativa, il marito sarebbe disoccupato e la figlia B.A.S., di 10 anni, vivrebbe con la nonna, odierna resistente (cfr.: certificato di residenza della deducente), la quale, peraltro, continuerebbe ad aiutare economicamente la figlia; G.M., anch'essa disoccupata, sarebbe madre di tre figli, tutti minori ed affidati, i primi due, al servizio sociale del Comune di Lucera dal Tribunale per i Minorenni di Bari che avrebbe anche dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre, F.R.; V.P.M., tuttora, studentessa fuori sede per diventare O.S.S., ossia "Operatore Socio Sanitario" (cfr. attestazione del 14.11.2022 rilasciata dalla A.I., che si deposita, che certifica anche gli orari di svolgimento delle lezioni e del tirocinio) e necessitante di mantenimento. Quanto al padre delle ragazze, R.C.M. marito della P. e figlio dell'attore, avrebbe avuto altri tre figli dalla nuova compagna convivente e lavorerebbe solo sporadicamente, tanto rendendolo incapiente ed inadempiente, e giustificando la persistenza dell'obbligazione del nonno. All'udienza del 01.02.2023 la causa è stata riservata in decisione. La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti di seguito precisati. Costituisce oggetto del presente giudizio l'accertamento della persistenza dei presupposti che hanno determinato il Tribunale di Lucera ad imporre al ricorrente, con Provv. del 7 aprile 2011, l'obbligo del versamento alla moglie separata del figlio di Euro 200,00 mensili, a titolo di contributo al mantenimento delle nipoti A.M., nata a L. il (...), G.M., nata a F. il (...) e V.P.M., nata a S. G. R. il (...), stante l'inadempimento del padre, delle ragazze, R.C.M.. Vige in materia il principio di diritto secondo cui in tema di mantenimento dei figli minori, l'obbligo di mantenimento stabilito dall'art. 148 c.c. "spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui. Pertanto, l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli - che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori - va inteso non solo nel senso che l' obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell'impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo". Facendo applicazione del principio suesposto, deve rilevarsi che nel caso di specie, la convenuta ha esposto di non essere nelle condizioni di svolgere attività lavorativa, nonostante abbia ancora 53 anni. Invero, tra le patologie elencate che la renderebbero inidonea o comunque non completamente idonea a lavori comportanti uno sforzo fisico, rileva l'ernia del disco lombare, in quanto interessante la colonna vertebrale. Non è, viceversa, emerso un livello professionale o di istruzione in grado di rendere possibile la sua applicazione in lavori intellettuali. In concreto, la P. ha dimostrato di non svolgere alcuna attività lavorativa depositando attestazione ISEE, di avere quali uniche entrate il ridetto assegno di mantenimento e il reddito di cittadinanza, ammontante ad Euro 600,00 mensili. Pur volendo ritenere sussistente una residua capacità lavorativa, la stessa deve presumersi marginale, date la patologia documentata che ne esclude l'applicazione nel campo operaio e la mancanza di possibilità di concrete applicazioni in campo intellettuale. Non è, inoltre, contestata la persistenza dell'inadempimento del figlio del ricorrente, il quale, unitosi con altra compagna, è divenuto padre di altri tre figli, senza che il suo stato di occupazione lavorativa altalenante abbia fatto registrare miglioramenti. Non integra, altresì, un peggioramento della condizione reddituale del ricorrente il decesso della moglie e il venir meno del reddito con il quale la stessa contribuiva al menage familiare, trattandosi di mera pensione di vecchiaia di Euro 487,39, appena sufficiente alle proprie esigenze personali. Elemento, invece, degno di nota è costituito dall'età avanzata dal ricorrente che in un bilanciamento di interessi deve indurre a ritenere che le risorse dallo stesso percepite a titolo di pensione devono essere considerate come necessarie ad una sopravvivenza dignitosa, risultando esigibile, almeno dalle due nipoti più grandi, ormai madri a loro volta, un impegno adeguato e proporzionato alla loro giovane età e dall'assunzione di responsabilità che deve derivare nei confronti della propria prole. Soltanto con riferimento alla nipote più piccola, V.P.M., può farsi un discorso diverso, in quanto tuttora studentessa fuori sede per diventare O.S.S. Quanto al mantenimento dei figli, è noto, invece, come lo stesso derivi, in primis, dall'art. 30 della Costituzione e dagli art. 147 e ss. c.c. Le dette disposizioni normative impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione ipso facto per via del raggiungimento della maggiore età. L'obbligo è del resto stato rafforzato dalla novella della L. n. 54 del 2006 che all'art. 155-quinquies ha stabilito che "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico". Non si tratta, tuttavia, di un obbligo protratto all'infinito, ma dalla "durata mutevole" da valutare caso per caso (Trib. Novara n. 238/2011). In linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, infatti, lo stato di non occupazione del figlio non può di per sè essere considerato come giustificazione del mantenimento oltre una soglia che viene tendenzialmente fissata nei 34 anni. Oltre questo limite massimo, individuato dalla giurisprudenza prevalente, il mantenimento diventerebbe infatti "un vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani". È tuttavia altrettanto pacifico che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e di un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). In merito, è orientamento uniforme quello per cui la coltivazione delle aspirazioni del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). Applicati i detti principi al caso di specie, si ritiene di dover continuare ad onerare il ricorrente dell'obbligo di versamento di un contributo al mantenimento della sola nipote V.P., sia pure nella minima e limitata misura di Euro 50 mensili, dal momento che la sua mancanza di indipendenza economica non può essere considerata frutto di un atteggiamento di colposo parassitismo, ma conseguenza della sua applicazione allo studio e alla formazione professionale proprio al fine della propria emancipazione ed autonomia. Le spese di lite, stante il quasi integrale accoglimento della domanda, meritano compensazione nella misura di un terzo, e per la restante parte, devono essere posta a carico della resistente, in misura dimidiata in considerazione dell'ammissione della P. al Patrocinio a Spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accoglie parzialmente la domanda e riduce ad Euro 50,00 mensili l'obbligo imposto a C.M. dal Tribunale di Lucera con Provv. del 7 aprile 2011 di versamento ad A.T.C.P. del contributo al mantenimento delle nipoti, revocandolo per A.M., nata a L. il (...) e G.M., nata a F. il (...) e limitandolo alla sola V.P.M., nata a S.G.R. il (...); - Condanna altresì la parte resistente a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano, nella misura già ridotta di un terzo per la parziale compensazione, in Euro 567,33, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali. Così deciso in Foggia, il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Segue verbale di udienza del 17/01/2023 Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Severino Antonucci, all'esito della discussione orale e della camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa tra (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. DI.OS. e dell'avv. PI.RA. ricorrente e (...) S.P.A., in persona del L.R. pro tempore rappresentata e difesa dall'Avv. MA.MA. e dall'Avv. IN.LI.. resistente FATTO Premesso Con atto depositato il 13/02/2019 (...) adiva questa (...) chiedendo, previo accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la resistente (...) s.p.a., per mansioni ascrivibili al II livello del CCNML Industria Alimentare, condanna al pagamento della medesima: 1) in via principale, della somma di Euro 104.521,64 - oltre interessi e rivalutazione monetaria - per l'attività di lavoro subordinato espletata alle dipendenze della (...); 2) in via subordinata, per il caso della ritenuta ascrivibilità del rapporto alla collaborazione coordinata e continuativa ovvero di un rapporto parasubordinato, della somma di Euro 64.800,00 oltre accessori; 3) in via ulteriormente subordinata, della somma di Euro 64.800,00 a titolo risarcitorio e quale indennizzo per arricchimento senza causa. Il ricorrente, premesso di essere stato socio di minoranza (in ragione del 2,4% del capitale, dal 18-9-2014 al 21-11-2016), assumeva avere svolto mansioni di lavoro subordinato- mai regolarizzato- nel periodo dal 1-2-2014 al 31-1-2017 (e quindi da epoche rispettivamente anteriore e successiva alla titolarità della quota sociale)- ascrivibili alla figura dell'Executive Manager (Secondo la declaratoria di cui all'art. 26 del CCNL (...), richiamata integralmente al 5 del ricorso) , occupandosi della direzione esecutiva del settore commerciale e tecnico dell'azienda; tali attività erano state svolte su direttiva ed incarico dell'amministratore della Società, funzionali alla pianificazione, gestione e sviluppo dell'attività commerciale in Italia ed all'estero, nonché della gestione dello showroom di Torremaggiore (luogo ove pure il ricorrente aveva il proprio ufficio) e di responsabile tecnico dell'azienda, nei termini ampiamente specificamente indicati al 3 e segg. (pg. 4 e segg.) dell'atto introduttivo del 12-2-2019. Con frequenza bisettimanale il ricorrente era tenuto a dare conto del proprio operato all'(...) della Società, (...), e al (...) (...), da quali pure riceveva direttive vincolanti dell'ulteriore lavoro da svolgere e che pertanto erano stati i propri superiori gerarchici. Nello svolgimento delle mansioni aveva dovuto osservare un orario di lavoro predeterminato dall'(...), dal lunedì al venerdì, dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00; in caso di assenze o ritardi era tenuto a chiedere autorizzazione ed a dare conto al medesimo (...) Per lo svolgimento delle mansioni il ricorrente aveva utilizzati mezzi ed apparecchiature di pertinenza della Società, dalla quale pure aveva ricevuto appositi biglietti da visita nei quali accanto al proprio nome era indicata la qualifica di Executive Manager (doc. 2) e che gli aveva accordato un indirizzo di posta elettronica aziendale; la medesima qualifica era indicata nel sito internet aziendale. Diversamente dagli accordi iniziali (e delle successive reiterate rassicurazioni) in ragione dei quali l'(...) aveva promesso un compenso mensile di Euro 1.800,00, peraltro inferiore allo standard contrattuale collettivo, al ricorrente era stata unicamente versata la somma di Euro 5.000,00. Tanto premesso, con riferimento ai conteggi inseriti in ricorso redatti sulla tariffa contrattuale richiamata anche ai sensi dell'art. 36 Cost., e, alternativamente, nei riferimento al tipo subordinato ovvero a rapporti ascrivibili al modello dell'articolo 409 c.p.c. sulla base dell'importo promesso dall'(...) (Euro 1800 mensili) o, in estremo subordine, all'indebito arricchimento, nei termini indicati nelle conclusioni sopra richiamate, concludeva per la condanna della resistente. Si costituiva la parte resistente chiedendo il rigetto della domanda; contestava lo svolgimento di qualsivoglia attività di lavoro da parte del ricorrente, avendo invece rivestito unicamente la carica di socio; a tal fine invocando l'inconferenza dimostrativa delle produzioni documentali e delle email versate in atti; contestava la esistenza della carica di (...) in capo a (...), impropriamente qualificato in ricorso come superiore gerarchico. Ancora contestava la promessa di Euro 1800,00 mensili. Contestava i conteggi, nei quali erano impropriamente confluiti ROL, ex festività, ferie, mensilità aggiuntive, che pure avevano impropriamente determinato un maggiore ammontare del TFR. Contestava, infine, le subordinate fondate su un rapporto di collaborazione ovvero sull'arricchimento senza causa. IN corso di causa era espletata prova per interpello e per testi. Era altresì disposta ed espletata CTU . volta a rideterminare il quantum eventualmente dovuto (per il rapporto instaurato irregolarmente) nei limiti dei c.d. minimi tariffari. Matura per la decisione la causa è trattenuta in decisione all'esito della discussione delle parti. Osserva La complessiva valutazione delle risultanze istruttorie dà ragione alla tesi del ricorrente. Il fondamento della domanda si rinviene: - nella natura confessoria del documento sub 1) della produzione di parte ricorrente, la quale smentisce categoricamente la temeraria resistenza della convenuta, portando a riconoscere al ricorrente- già per ciò solo- la qualifica rivendicata; - nella oggettiva conferma documentale (doc. 3; documentazione risalente ad epoca anteriore all'instaurarsi del contenzioso) del ruolo, in azienda, di (...), pure oggetto delle improvvide contestazioni della convenuta; conferma che da un lato conferma l'attendibilità dello stesso (...), sentito come teste in ordine alle mansioni in azienda del (...) ed alle modalità esplicative della prestazione in termini di subordinazione; dall'altro rende poco credibile l'intero impianto della resistente; - nella documentazione estrapolata dal sito aziendale di (...) s.p.a., nella quale effettivamente il (...) è indicato come executive manager; - nell'utilizzo di tali risultanze documentali quale criterio di positiva valutazione della credibilità dei testi addotti dal ricorrente E' possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro soltanto ove sia dimostrata, in relazione al precipuo rapporto preso in considerazione, la sussistenza di una serie di elementi caratteristici della subordinazione di cui all'art. 2094 c.c., quali, in primis, l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, al potere disciplinare e al potere di controllo del soggetto datoriale; ai medesimi fini possono altresì costituire "indici sintomatici" dello stesso requisito della dipendenza, ancorchè solo in via sussidiaria e purchè tra loro concorrenti, quantomeno per una valutazione di tipo presuntivo, anche ulteriori circostanze, tra cui, per esempio, la collaborazione e l'inserimento continuativo del lavoratore all'interno dell'impresa, il vincolo di orario cui lo stesso è sottoposto, la forma della retribuzione percepita, l'assenza di rischio economico e imprenditoriale in capo al medesimo - tutte da apprezzare alla luce della specificità dell'incarico conferito al dipendente, nonchè delle concrete modalità di attuazione della prestazione dallo stesso svolta. La prova della sussistenza degli indici di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c. grava sul soggetto che assume di aver prestato lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 2967 c.c.; tale prova assume connotazioni di particolare rigore laddove tra le parti coinvolte intercorrano vincoli familiari (e di convivenza di fatto) in relazione alla presunzione che l'attività lavorativa svolta all'interno di un contesto familiare trovi di regola causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed affettività esistenti, alternativi ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive e possa, eventualmente, trovare remunerazione nella comunione materiale o in forme, economicamente valutabili, alternative rispetto al pagamento di un corrispettivo in danaro (Cass., sez. lav., 15 marzo 2006 n. 5632). Il rapporto di lavoro configurato dagli art. 2094 e seguenti c.c. è caratterizzato non soltanto dagli elementi della collaborazione nell'impresa altrui, ma soprattutto dagli estremi dell'onerosità delle prestazioni e della subordinazione che ordinariamente difettano quando la prestazione lavorativa è resa da persona convivente, legata da vincolo di parentela; la presunzione di gratuità che opera sia quando la prestazione è resa all'interno della convivenza familiare che quando concorre all'esercizio di una impresa (nella specie: bar), gestita ed organizzata strutturalmente ed economicamente con criteri prevalentemente familiari, non viene meno per il fatto che vengono corrisposti, oltre che il vitto e l'alloggio, anche somme di danaro che costituiscono espressione di solidarietà affettiva e di gratitudine, ma può essere vinta soltanto da una prova contraria precisa e rigorosa. Ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro dipendente può essere ricondotta ad un rapporto diverso (Cassazione civile sez. lav. 10 luglio 1991 n. 7608 ): pertanto l'indagine ai fini della qualificazione del rapporto deve svolgersi con riferimento non già alla figura professionale astratta, ma alla fattispecie negoziale concreta come accertata dal giudice di merito. L'elemento della subordinazione non può essere individuato nel mero inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, ma deve risultare dall'ingerenza che il potere direttivo del datore di lavoro esercita sulla esecuzione della prestazione, determinandone le modalità di esecuzione, in modo da consentire che essa possa inserirsi proficuamente nell'organizzazione datoriale, realizzandone gli interessi. La disposizione dell'articolo 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato come colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa restando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Caratteristica essenziale del lavoro subordinato è pertanto la eterodirezione della attività, nel senso che questa deve svolgersi nel modo imposto dal datore di lavoro, mediante ordini che il prestatore è obbligato a rispettare. L'apparato protettivo normativo e strutturato proprio sul modello del lavoro subordinato e pertanto la qualificazione del rapporto, come tale, è imprescindibile. Esclusa la possibilità di ritenere esistente una presunzione di subordinazione spetta al soggetto interessato allegare e dimostrare di elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta (Cassazione civile, sez. lav., 17/06/1988, n. 4150: Elemento essenziale del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione - intesa questa come vincolo personale di soggezione del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro - mentre altri elementi "caratteristici" del rapporto (quali l'oggetto della prestazione, l'inesistenza di una organizzazione imprenditoriale in testa al prestatore, l'assenza di rischio del medesimo ed altri) hanno valore secondario e, eventualmente, funzione sussidiaria ed indiziaria, restando comunque, escluso che, in difetto della subordinazione, gli altri elementi possano, da soli, far qualificare il rapporto di lavoro come subordinato). Per la qualificazione occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili, sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. In sostanza rileva principalmente la c.d. eterodeterminazione, la quale assume diversa rilevanza secondo la maggiore o minore complessità della prestazione dedotta in contratto. L'istruttoria, come si diceva, ha confermato la natura di un rapporto di lavoro, ascrivibile al modello subordinato, esattamente nei termini allegati in ricorso. Non contestata- non in maniera specifica- la indicazione in capo al (...) della qualifica di Executive Manager nella pagina internet di pertinenza aziendale, di seguito rimossa; e ciò già a confutazione di quanto si assume nella memoria di costituzione in ordine alla inesistenza-nell'organigramma- della figura in questione. In sede di interrogatorio formale- ribadito che nella memoria di costituzione si assume che, fatta salva la sua carica di socio, nessun tipo di attività era mai stata svolta dal (...) (e ciò nonostante la chiarissima indicazione di senso contrario che si rinviene nella copia della proposta di iniziativa ..., doc. 1), sottoscritta dal (...)), (...) ha ammesso lo svolgimento di attività da parte del (...), ascrivendole tuttavia a sue iniziative personali volontarie, giustificate dalla titolarità di una quota sociale. Ancora all'iniziativa unilaterale del (...) sarebbe stato ascrivibile il viaggio in Germania, finalizzato a prendere contatti con istituzioni tedesche, in un periodo nel quale esso (...) era molto occupato. Lo stesso (...), tuttavia, ha ammesso che la titolarità delle quote sociali non ha comportato la distribuzione di utili; evidente la valenza dimostrativa del dato in questione, la quale smentisce l'attendibilità dell'assunto difensivo secondo il quale il (...) lavorava come socio (ed allora o per percepire dividendi- tuttavia mai erogati- o, in alternativa, nella speranza più o meno fondata di vedere moltiplicato il proprio investimento patrimoniale). (...), in sede di interpello, riferiva che al (...) (mediante la consegna autonoma delle chiavi) era stata conferita la disponibilità dello showroom di Torremaggiore; salvo a specificare- a questo punto inverosimilmente- di non essere in grado di dire cosa esattamente facesse il ricorrente all'interno dei locali in questione dei quali pure aveva avuto consegna delle chiavi ed ai quali aveva pertanto accesso autonomo. Giova evidenziare che il (...) - a proposito del vaglio delle offerte di collaborazione ricevute da terzi e girate dal (...) ad esso (...) - asseriva di averle rifiutate sistematicamente perché non gli sembrava corretto che il consulente (così testualmente) chiedesse consulenze a terzi; se però si assume che al (...) non era mandata alcuna attività, non è dato comprendere per quale motivo il (...) faccia a quello riferimento come consulente. Ed allora, in definitiva, la tesi del (...) sarebbe quella di attività che non furono mai svolte su sua sollecitazione o direttiva (che è cosa diversa dall'affermare che alcuna attività venne mai svolta); sicché il (...) - titolare di una quota finalizzata ad un investimento (pg. 5 del verbale del 26-11-2019), del valore di Euro 24.000,00, avrebbe assunto tali iniziative unilaterali (in un arco temporale di oltre due anni) per valorizzare una quota che, ciò nonostante, non comportò mai la distribuzione di utili. La parte resistente ha chiesto di provare, tra l'altro, che: - il (...) si recava presso la (...) solo in occasione delle assemblee sociali e degli incontri tra i soci; - lo showroom era una sede solo espositiva senza vendita al pubblico e senza orari di lavoro; - l'ufficio del (...) era ubicato in T. al C.so M.. (...) ha riferito che- nonostante quella asseritamene limitata funzione del locale-al (...) erano state date (a titolo di autonoma disponibilità ... così (...), pg. 5 verbale di udienza) le chiavi dello showroom; e tuttavia lo stesso (...), come detto, non è stato in grado di dire cosa esattamente facesse il ricorrente all'interno dei locali ...; lo stesso (...) ha tuttavia riferito che accadeva ...che il ricorrente incontrasse persone che chiedevano delle collaborazioni quali consulenze ...; incontri evidentemente senza alcun senso da parte di chi era unicamente titolare di una minima partecipazione sociale che- per ciò sola- farebbe ascrivere i ricevimenti del (...) alla tipica attività del perditempo, considerato vieppiù che il (...), puntualmente (così nell'interrogatorio formale del 17-12-2019) rifiutava le offerte. In definitiva, stando alle stesse affermazioni del (...), la autonoma disponibilità delle chiavi dello showroom non pare seriamente conciliabile con la tesi della resistente. Non senza ulteriormente osservare che- e lo dice la stessa convenuta- il ricorrente disponeva di un proprio studio professionale, sicchè nemmeno la concessione dell'uso dello showroom può ascriversi alla volontà di rendere disponibile il locale a chi non ne aveva uno proprio per consentirgli di usare il computer. Il teste (...), dichiaratosi a conoscenza dei fatti in quanto già titolare di una quota (dal 2014 al 2017) riferiva che (...anche se non era spesso in sede, in quanto residente a Roma) in tutte le attività relative alla gestione ed allo sviluppo della Società- ivi comprese quelle relative alla gestione dei rifiuti- erano di pertinenza del legale rappresentante della stessa, laddove invece il (...) era unicamente un socio, che il (...) incontrava occasionalmente ed esclusivamente per le assemblee e gli incontri tra i soci. Il (...), già socio della compagine, residente a Roma, asseriva di avere avuto conoscenza dei fatti dalla corrispondenza aziendale (ma si vedrà che la documentazione, sicuramente aziendale, doc. 3), versata in atti, non ha tra i destinatari il (...)) e da comunicazioni telefoniche (intercorse non è dato di sapere con chi); e tuttavia lo stesso (...), nella medesima sede, riferiva che nei giorni in cui veniva a Torremaggiore si recava in sede e vi rimaneva per circa 8-10 ore, non è dato sapere per fare cosa al di là della partecipazioni ad assemblee o incontri tra soci. Quanto allo showroom, il (...) riferiva che ivi non si svolgeva alcuna attività di vendita e neppure vi era un ufficio del ricorrente, ed ivi si trovava solo un computer (ferma la conferma che il (...) aveva un proprio studio privato). A proposito della partecipazione a Vinitaly, il teste riferiva di avervi anch'egli partecipato in quanto invitati entrambi dall'amministratore, che aveva pagato vitto, alloggio, spese di viaggio. Ciò con riferimento all'assunto difensivo (pg. 6 memoria di costituzione) che ha ascritto allo svago la partecipazione isolata (salvo, sul punto, le risultanze documentali) a fiere e cene di gala, per le quali - contraddittoriamente- ogni relativa spesa era pure a carico della resistente. Non è dato comprendere la ragione di tanta prodigalità, anche in considerazione del fatto che il (...) non era socio unico e, pertanto, non gli era consentita la gestione del bello e cattivo tempo ivi compresa l'irrazionale destinazione (o sperpero) delle risorse aziendali. Il teste (...), sentito all'udienza 19-11-2020, riferiva di avere avuto conoscenza dei fatti avendo lavorato per la Società convenuta (nonché in quanto titolare di una quota sociale del 2,6%: cfr. verbale di udienza, pg. 18, rif. Capo 16)- presso la sede di produzione e con mansioni ai addetto alla direzione logistica- dal giugno 2013, confermava gli assunti del (...), il quale invece lavorava nello showroom di Torremaggiore e che, allorquando gli era stato presentato dal (...), era stato indicato come il soggetto che avrebbe svolto mansioni di Executive Manager (pg. 15); in quella occasione (rif. Capo 21, pg. 19 del verbale) il (...) gli aveva riferito l'ammontare del compenso convenuto. In occasione delle riunioni alle quli, una o due volte al mese, il (...) aveva modo di partecipare, il (...) mandava al (...) la programmazione della partecipazione ad eventi fieristici ...o analoghi eventi finalizzati alla promozione del prodotto. In tali occasioni il (...) chiedeva ad entrambi di collaborare tra loro per tale finalità. (...) confermava i capitoli di prova sub 3) e, quindi, lo svolgimento di contatti con la Camera di Commercio Tedesca (così pg. 16 del verbale.....la prativa fu completata mediante stampa di un modulo che fu firmato da (...) ...). (...) confermava che il (...) si era occupato di attività di marketing e promozione dell'azienda e dei suoi prodotti, predisponendo materiale pubblicitario e partecipando a fiere nazionali ed internazionali, tra i quali il Vinitaly (capo 4); ancora il (...) (capo 5) si erta occupato della gestione dello showroom di Torremaggiore, nel quale aveva anche una postazione di lavoro dalla quale aveva curato l'attività di vendita nonché quella di approvvigionamento, interfacciandosi proprio con esso (...); in una occasione poi- richiesto dal (...) - il (...) provvedeva a redigere una relazione sullo smaltimento delle acque reflue; e, ancora (capo 10) aveva avuto modo di occuparsi della procedura di accreditamento del marchio della resistente presso la Regione Puglia. In altre occasioni (rif. Capo 13) il (...), in presenza di esso (...), si era raccomandato con il (...) di effettuare incombenze di vario tipo ad un orario preciso di un dato giorno......il (...) dava le direttive del lavoro e poi ciascuno, compreso il (...), si organizzava per svolgerle. Il teste confermava che la giornata lavorativa del (...) coincideva con gli orari di apertura dello showroom al quale quello era addetto e, pertanto, dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00; tale circostanza (pg. 20 del verbale) il teste confermava per averne avuto conoscenza diretta, essendo proprio compito occuparsi del rifornimento dello showroom presso il quale il (...) lavorava, occupandosi anche della vendita a terzi. Confermava il (...) (rif. Capo 14) che era (...) che autorizzava le assenze e (capo 15) quando non c'era (...) era (...) a dare le direttive....Con riferimento al capo 18 delle richieste del ricorrente, il (...) confermava la provenienza dei biglietti da visita del tipo di quello versato in atti; in tali biglietti vi era il logo aziendale, il nome del lavoratore al quale erano assegnati e le relative mansioni, con pure i recapiti della società. (...) (capo 19) confermava che il sito internet dell'azienda indicava le mansioni e la fotografia di ciascun collaboratore, compresi me stesso ((...): n.d.r.) ed il (...) .... In occasione delle riunioni periodiche alle quali il (...) aveva partecipato era stata portata la questione del pagamento dei corrispettivi convenuti; nell'occasione il (...) aveva assicurato il pagamento non appena le condizioni patrimoniali della società lo avessero consentito. Il teste (...), dipendente dal 2016 (così a pg. 22 del verbale) della OP di (...) (....la OP vende il prodotto lavorato dalla (...)...) riferiva che il (...) era socio (e ciò per sentito dire in azienda....) e non pure dipendente della (...); era il (...) ad occuparsi di tutte le incombenze indicate nella memoria di costituzione. Il teste (...) (udienza 28-9-2021) confermava la presenza del ricorrente presso lo showroom di pertinenza della convenuta perché- amico di vecchia data del ricorrente- aveva avuto modo in più occasioni di andarlo a prendere il quel luogo il venerdì sera; in tali occasioni il (...) gli diceva che non gli era possibile allontanarsi prima delle ore 20.00 ed a volte anche più tardi; presso lo showroom il (...) aveva avuto modo di vedere il (...) usare il computer ed anche ricevere direttive dal (...) relative alla spedizione di merci, di evasione di ordini o di adempimenti relativi alle attività di (...)..... Confermava, con riferimento al capitolo 2, che le mansioni di Executive Manager in capo al (...) aveva avuto modo di rilevarle dalla pagina internet, senza essere tuttavia in grado di dire in cosa quelle mansioni avessero a sostanziarsi; specificava (pg. 25 del verbale) che la foto e le indicazioni professionali di pertinenza del (...) scomparvero dal sito quando lui smise di collabotrare con (...).....all'inizio del 2017. IN ragione della frequentazione con il ricorrente il teste (pg. 25 del verbale) confermava gli orari di lavoro prestati dall'altro. Ancora il (...) aveva avuto modo di ricevere dei video che il (...) gli aveva mandato in occasione della sua partecipazione ad eventi fieristici e di eventi, nei quali si occupava della esposizione al pubblico- con banchi espositivi- del prodotto. Il teste, chiarito l'ambito ed i motivi della conoscenza dei fatti in tal modo riferiti, specificava di non essere a conoscenza-né diretta né indiretta- di ulteriori circostanze relative ai rapporti tra le parti. Il teste (...) (ud, 1-2-2022, pg. 26-27 del verbale di udienza) riferiva di essere, ancora all'attualità, consulente enologo di (...) e di avere- per quella ragione- avuto modo di recarsi presso l'azienda all'incirca una volta al mese. IL teste riferiva di non essere in grado di riferire la natura dei rapporti tra le parti, nemmeno sotto il profilo della titolarità di una quota sociale; il teste riferiva di non avere mai visto il (...) lavorare, conoscendolo solo di vista, precisando di non ricordare nemmeno se tale conoscenza si era avuta in azienda o in occasione di qualche evento enogastronomico. Nulla sapeva dire sulla esistenza di uno showroom di pertinenza della convenuta. Attese le proprie mansioni, nulla sapeva il teste riferire in merito alle attività delle quali si discute, avendo il teste come proprio interlocutore il (...) ovvero, in tempi più recenti, una altra impiegata laureata in agraria. Il teste (...) (udienza 26-4-2022, pg. 29 e segg. del verbale) riferiva di essere stato direttore generale di (...) s.p.a. sin dall'epoca della sua costituzione, nell'anno 2012 e sino all'anno 2017, epoca in cui il rapporto si era chiuso a causa di contrasti con (...) (contrasti sfociati- come chiarito a pg. 32 del verbale- in un contenzioso: .....ci siamo lasciati male con il (...) ....). Il (...) confermava integralmente gli assunti del ricorrente come dallo stesso specificamente capitolati; in particolare quanto alle mansioni di executive manager, alla sottoposizione del ricorrente ad ordini che gli venivano impartiti da esso (...) (....quanto alle direttive del lavoro da svolgere il ricorrente si relazionava con me con cadenza quotidiana, sia in modalità da remoto sia incontrandoci......) e dal (...) (al quale, aggiungeva, spettava l'ultima parola.....; pg. 31 del verbale di udienza), al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, agli orario di lavoro , dei quali l'azienda pretendeva il rispetto e che fu lo stesso (...) a comunicare al (...) all'atto dell'inizio del rapporto (....gli disse quali orari e quali giorni di lavoro avrebbe dovuto osservare.....). Il potere di direttiva si esercitava anche a mezzo comunicazioni impartire al (...) a mezzo telefono o mediante messaggi. Aggiungeva che l'Ing. (...) era presso la (...) tutti i giorni dal lunedì al venerdì negli orari che ho confermato....Ancora il teste riferiva che la partecipazione del (...) a corsi di formazione avveniva previo benestare dell'azienda; per gli esborsi- quando vi erano- il (...) prometteva....che lo avrebbe tenuto indenne...ciò che tuttavia non era avvenuto..... In ordine al compenso il reste riferiva che (...) aveva promesso all'altro un importo di Euro 1800,00 mensili; tuttavia gli impegni economici non erano stati onorati dal (...) che aveva sempre accampato scuse e pretesti. Si prende atto del contrastante tenore della prova per testi. Tuttavia, all'esito di una globale valutazione del materiale acquisito, si deve ritenere che non è in alcun modo plausibile da un lato che il ricorrente abbia prestato la propria attività- a tutti gli effetti lavorativa- in ragione della quota di partecipazione al capitale sociale di minimale entità. Se le allegazioni di parte ricorrente non fossero vere (e, analogamente, le dichiarazioni rese a supporto dai testi citati) non si spiegherebbe il motivo per il quale (...) abbia sottoscritto il documento nr. 1 della produzione di parte ricorrente, inviato alla Camera di Commercio di Foggia, nel quale il contatto è indicato nella persona di (...) nonché di (...), posizione in azienda project manager. La sottoscrizione del doc. nr. 1, mai contestata, assume la valenza della confessione stragiudiziale fatta al terzo. In nessuna delle difese di parte resistente è specifica confutazione di tale elemento di prova. Sub 3) il ricorrente ha versato in atti copiosa documentazione relativa a messaggi di posta elettronica intercorsi in particolare tra il (...) ed il (...); e tuttavia inviata anche al (...) (alla casella (...) ovvero a quella aziendale) e il (...), relativa ad eventi di promozione, ad acquisiti o, ancora, alla redazione di una relazione da inviare all'(...) su questioni inerenti la gestione di liquami. In generale il messaggio di posta elettronica (cd. e -mail) costituisce documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime. Il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandola a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. Sicché, attesa la genericità delle eccezioni di parte convenuta, non può dubitarsi- fatta salva la valutazione che se ne trae- che il (...) sia stato parte della corrispondenza informatica versata in atti, spesso inviata per conoscenza anche al (...). Se davvero la partecipazione agli eventi promozionali ove ivi è chiarissimo e costante riferimento fosse stata il portato di una libera iniziativa del socio (...), le comunicazioni in questione sarebbero assolutamente incomprensibili o, quantomeno, stravaganti; ed invece le stesse hanno perfetta coerenza con l'assunto secondo il quale la partecipazione agli eventi-in Italia ed all'estero- era richiesta dal (...), in quanto finalizzata alla promozione del prodotto ed alla valorizzazione del marchio (...). Si nota, ancora, che le missive in questione sono indirizzate solo al C.: a confutazione di ogni tentazione di ascrivere quel coinvolgimento alla mera titolarità della quota sociale: se così fosse stato non si comprenderebbe, ad esempio, per quale ragioni non sia stato invitato anche il socio (...), pur essendo questi- almeno a suo dire- particolarmente interessato alle dinamiche sociali e presente in azienda ogni volta per otto-dieci ore, a dispetto delle esiguità della quota anche da lui detenuta e della residenza nella città di Roma. E' così rilevante il messaggio inviato al (...) in data 9-10-2014 da "(...)", (...), contenente- in allegato- la traduzione (evidentemente da quello richiesta) del testo riferito alle attività di (...). Senza alcuna ironia sui contenuti di quella nota, è evidente trattarsi di una presentazione destinata ad essere utilizzata a fini di promozione internazionale, assolutamente inconcepibile nella alternativa prospettiva della attività svolte sua sponte dal socio di minima, infinitesima minoranza; ed invece perfettamente coerente con la ricostruzione del rapporto offerta dal ricorrente (...). La nota in questione risulta infatti trasfusa nella mail di seguito (13-10-2014) inviata da (...) ad (...) nella cui introduzione-nonostante qualche violenza al lessico inglese- si richiede un incontro per l'illustrazione dei progetti di (...) in (...). Non è pensabile che una presentazione nella quale (...) è definita partener ideale per pensare il prodotto migliore.... che regna indiscussa nel panorama mondiale...ed è santificata con altre simili vanterie non sia passata al vaglio del titolare dell'azienda, (...). Detto in altri termini non è pensabile che l'attività di promozione sia costantemente sfuggita al vaglio del (...), come questi vorrebbe dare ad intendere nel ridimensionare i ruoli del (...) e del (...). Ed ancora, con nota in data 22-10-2014, il D.O. di Centro Studi ed Animazione Economica dava a (...) s.p.a. quietanza per Euro 200,00, a titolo di cauzione .....per la partecipazione agli eventi organizzati a Varsavia e Monaco di Baviera.... L'invio della quietanza direttamente alla Società odierna resistente è una ulteriore chiave di lettura volta a sconfessare radicalmente l'ipotesi delle iniziative unilaterali del (...); e non è seriamente credibile che il (...) - il quale non era socio unico- abbia voluto finanziare gli svaghi del socio giramondo (...), come imprudentemente si assume nell'atto di costituzione. Analoghe considerazioni hanno origine dalla lettura della mail inviata in data 4-11-2014 dal (...) a (...), (...) nonché al (...) (...), con dicitura "chiedere ad (...) (evidentemente ad Orazio: n.d.r.) se possibile chiudere questi ordini: è chiaro che, in quella sede, il soggetto mandato di chiedere ad (...) è l'altro destinatario della mail, ovvero il (...), a riprova dell'inserimento di questi nell'apparato operativo aziendale. Ed ancora, con email in data 24-11-2014 il (...) inviava a tale (...), in allegato, il listino prezzi 2014 (...).... Ulteriormente: dalla nota in data 26-10-2014 (doc. 5) si evince che la nota di risposta diffida (...) 17-10-2014 è stata redatta effettivamente dal (...); diversamente non sarebbe comprensibile la ragione per la quale la pratica abbia potuto passare per le sue mani. Significativa poi la documentazione (doc. 6) relativa alla prativa di finanziamento marchi, relativa a quello di (...), inviata al (...) dal (...) con richiesta di attivarsi con celerità. Da questa e dall'altra documentazione elettronica versata in atti si ha una decisa smentita del ridimensionamento del ruolo affermato da taluno dei testi le cui si sono sopra richiamate. Se davvero si fosse trattato delle iniziative un socio troppo solerte, questi comunque non sarebbe stato individuato come l'interlocutore- in rappresentanza di (...)- per la partecipazione agli eventi promozionali. Il rimborso delle spese, seppure isolato, dimostra che l'attività del (...) era una diretta emanazione della volontà datoriale, rendendo anche credibile che altre spese non siano state rifuse solo a causa della cattiva volontà del (...). Nella diversa prospettiva da quello sostenuta anche un solo rimborso diventa assolutamente incomprensibile. Se si dice- e sostanzialmente lo si dice nella documentazione esaminata- che (...) è davvero l'azienda leader nei mercati di riferimento, lo svolgimento di attività da parte del socio che spera di valorizzare l'azienda è un non senso. Anche nella diversa prospettiva, tuttavia, considerato che per l'oggetto sociale (...) non è una azienda che svolge una attività suscettibile di moltiplicare il proprio valore in modo esponenziale, la minima entità della quota detenuta dal (...) non rende plausibile che questi abbia lavorato- per oltre due anni- solo con la prospettiva di fare lucrare il proprio investimento. E da tali considerazioni- ancora una volta anche alla luce dell'atto contenente confessione stragiudiziale- se ne trae convincimento che i testi credibili sino quelli che hanno confermato gli assunti del ricorrente e, pertanto, (...), (...) e (...); e pertanto che il (...) abbia lavorato effettivamente, con vincolo di subordinazione e ricevendo direttive dal (...) ovvero dal preposto (...), esattamente secondo le modalità indicate nell'atto introduttivo, slealmente contestate dalla parte resistente. L'istruttoria ha confermato, tra l'altro, che il (...) ed il (...) si accordarono per una somma mensilmente determinata in Euro 1.800,00. Attesa la ritenuta natura subordinata del rapporto, quell'accordo deve essere disatteso, dovendo considerarsi il valore contrattuale collettivo utilizzato per i conteggi; dovendo al contempo- tuttavia- utilizzarsi il criterio dei minimi tariffari, nei termini di cui alla ordinanza 10-5-2022 che ha mandato al CTU la determinazione del quantum. La ascrivibilità delle mansioni così come specificamente descritte dal ricorrente (e confermate dall'istruttoria) al livello contrattuale invocato non ha formato oggetto di specifica contestazione. Il CTU, dando fedele adempimento al mandato (Ci si è riferiti al livello vantato in ricorso, e cioè il 2 livello di cui al C.C.N.L. "Alimentari - Industria" ....Tabelle retributive, da "Retribuzioni per i lavoratori di aziende dell'industria... Si sono considerate le seguenti voci retributive: minimo contrattuale, contingenza, E. (in quanto per natura "simile" alla contingenza e dal 1992 ritenuto fisso e inglobato nella retribuzione minima; all'uopo cfr. "Cos'è l'EDR in busta paga e a quali lavori spetta", da sito web (...), che si allega), festività domenicali (lavorate) ove richieste dal ricorrente, 13° mensilità, ferie non godute e ROL e festività soppresse non goduti. Si è altresì considerato il trattamento di fine rapporto...... Ci si è riferiti all'orario di lavoro dedotto in ricorso, per cui si è considerato un orario di n. 8 ore al giorno per n. 5 giorni alla settimana (dal lunedì al venerdì), e quindi un orario di n. 40 ore settimanali (full-time)..... Il percepito si è ritenuto pari a zero, essendosi trascurato a tal fine anche l'importo di Euro 5.000,00 di cui all'assegno del 15/03/2016 in atti, poiché corrisposto a dire del ricorrente ad altro titolo (per rimborso spese) e mancando deduzioni sul punto da parte della società resistente. Per il calcolo del T.F.R. si sono applicati l'art. 2120 c.c.. e la contrattazione collettiva, per cui si sono considerate "utili" le retribuzioni ritenute spettanti al netto degli importi per festività domenicali (lavorate), ferie non godute e permessi e festività soppresse non goduti, trattandosi di elementi "occasionali".....) ha determinato il quantum in complessivi Euro 87.526,05 (lordi) e T.F.R. per Euro 5.701,35 (lordi), per un ammontare totale lordo dovuto pari ad Euro 93.227,40 Le conclusioni dell'Ausiliario, in quanto adeguatamente motivate, logicamente articolate ed aderenti al quesito, possono senz'altro condividersi ed esser fatte proprie da questo Giudicante. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo secondo valori medi ed in base all'importo riconosciuto al ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla domanda come in intestazione proposta così dispone: - accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna (...) s.p.a., per il titolo in motivazione, al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 93.227,40, oltre accessori come per legge; - condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 13.395,00 per onorari, oltre spese generali (15%) IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico della parte soccombente (fatta salva la solidarietà relativa ai rapporti tra le parti ed il CTU) le spese di consulenza tecnica, liquidate con separato decreto. Così deciso in Foggia il 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

  • Tribunale Ordinario di Foggia Contenzioso - PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale riunito in camera di consiglio nelle persone di: dott. Antonio Buccaro - Presidente dott.ssa Mariangela Martina Carbonelli - giudice dott.ssa Simona Iavazzo - giudice rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo ... del registro generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015, posta in deliberazione sulle conclusioni delle parti all'udienza del 21 Settembre 2022 avente ad oggetto la separazione giudiziale dei coniugi, TRA I.G. (C.F. (...)), rappresentata e difesa nel presente giudizio, giusta procura in atti, dall'avv. ...; Ricorrente E P.F. (C.F. (...)), rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusta procura in atti, dall'avv. ...; Resistente con l'intervento ex lege del Pubblico Ministero; Svolgimento del processo - Motivi della decisione Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69 del 2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti costituite e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con ricorso depositato in data 26.05.2015, I.G. - premesso di aver contratto matrimonio concordatario in Lucera il 15.04.1996 e che dalla loro unione sono nati tre figli, F.A. il (...), P.P. il (...) e L. il (...) - ha chiesto all'intestato Tribunale di pronunciare la separazione personale delle parti con addebito al marito; di assegnare la casa coniugale alla ricorrente e di porre a carico del P. un assegno per il mantenimento pari ad Euro 900,00 nell'interesse del coniuge e delle figlie. La ricorrente ha dedotto che il matrimonio ha subito una crisi irreversibile a causa dei comportamenti violenti e prevaricatori del resistente, sfociati in episodi di violenza fisica e a causa delle relazioni extraconiugali instaurate dal P. nel corso della vita matrimoniale. La I., inoltre, ha evidenziato che il resistente, per costringere la moglie a una piena obbedienza e accettazione di tutte le sue condotte, l'ha anche privata per alcuni periodi di ogni forma di sostentamento economico e materiale. Si è costituito in giudizio il sig. P.F. il 16.11.2015, il quale, aderendo alla richiesta di pronuncia della separazione dei coniugi, ha chiesto, al contrario, che la stessa venisse addebitata alla ricorrente; ha, inoltre, chiesto l'affido condiviso delle figlie con collocamento prevalente presso il padre e la consequenziale assegnazione della casa familiare. Il P. ha sostenuto di essere disposto a provvedere al mantenimento delle figlie P.P. e L., fino al raggiungimento della maggiore età. Il P. ha sostenuto, infatti, che la separazione sia addebitabile alla I., avendo quest'ultima instaurato una relazione extraconiugale con il sig. M.P. in costanza di matrimonio. Espletato con esito negativo il tentativo di conciliazione, in sede di udienza presidenziale, il Presidente, con ordinanza del 16.11.2015, in via provvisoria ed urgente: ha autorizzato i coniugi a vivere separati; ha disposto l'affido condiviso delle figlie minori P.P. e L. con collocamento prevalente presso la madre, regolamentando il diritto di visita del padre; ha assegnato la casa familiare alla ricorrente; ha posto a carico del P. l'obbligo di contribuire al mantenimento delle tre figlie, versando alla ricorrente, l'importo mensile complessivo di Euro 600,00, oltre al concorso del 50% alle spese straordinarie; ha posto, inoltre, a carico del P. l'obbligo di contribuire al mantenimento della moglie, versandole un importo mensile pari a Euro 150,00. Espletata l'istruttoria e falliti i tentativi di trasformazione del giudizio in separazione consensuale, all'udienza del 21 Settembre 2022, le parti hanno precisato le conclusioni dinanzi all'odierno Giudice istruttore, che ha rimesso la causa al Collegio per la decisione, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Sulla separazione personale dei coniugi La domanda di separazione proposta dalla ricorrente è fondata e pertanto merita accoglimento. Com'è noto, ai sensi dell'art. 151 comma 1 c.c. (come novellato dall'art. 33 della L. n. 151 del 1975), la separazione giudiziale dei coniugi può essere pronunciata quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi (ossia indipendentemente da una causa imputabile ad uno di essi), fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Nella fattispecie può tranquillamente ritenersi che la prosecuzione della convivenza tra i coniugi sia divenuta insopportabile, come risulta dalle allegazioni delle parti sia all'udienza presidenziale che nel prosieguo del giudizio, oltre che dalla richiesta di addebito della separazione formulata dalla ricorrente e dal fallimento dei diversi tentativi di conciliazione; è, inoltre, pacifico che le parti non abbiano più ripreso la convivenza a partire dall'ordinanza presidenziale di separazione e che, a partire da tale epoca, non siano intervenuti fatti riconciliativi. Tale obiettiva situazione evidenzia l'impossibilità di ricostituire la comunione materiale e spirituale. Si evince quindi che ormai si è verificata la dissoluzione del consorzio familiare e che non vi sono, allo stato, possibilità di ricostituire una tollerabile convivenza a causa delle insanabili divergenze tra le parti, per cui può pacificamente essere pronunciata la separazione personale dei coniugi, mandando al Cancelliere ed all'Ufficiale dello stato civile per gli adempimenti di rispettiva competenza. Sulle domande di addebito La domanda di addebito della separazione avanzata da parte ricorrente si fonda sulle asserite violazioni dei doveri coniugali del resistente, consistenti nella violazione del dovere di fedeltà coniugale, di assistenza materiale e per le condotte violente poste in essere ai danni della I., anche in presenza delle figlie. Di contro, il resistente ha contestato tutte le asserzioni della I., formulando, a sua volta, domanda di addebito della separazione a carico della moglie. Il P. ha sostenuto che la I., in costanza di matrimonio, ha iniziato una relazione extraconiugale con un altro uomo, il sig. M.P., così violando l'obbligo di fedeltà. Si ricorda, al riguardo, che la giurisprudenza di legittimità considera cause di addebito della separazione la commissione di violenze psicologiche e fisiche ai danni dell'altro coniuge, oltre che la violazione dell'obbligo di fedeltà, qualora non venga eccepita una precedente crisi già in atto. Tutte queste condotte, infatti, sono idonee a rendere intollerabile la convivenza. Giova ricordare, al riguardo, che la Suprema Corte ritiene che "in tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile...". Pertanto "... laddove la ragione dell'addebito sia costituita dall'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile..., a meno che non "risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto.....In tal caso trovano peraltro applicazione le comuni regole in tema di onere della prova, per cui (art. 2967 cpv.) chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda (nella specie, dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza) deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà....."(Cass. civ. 2059/12, 16859/15, 3923/18). Orbene, applicando i predetti principi al caso di specie, le relazioni extraconiugali, poste a sostegno delle reciproche domande di addebito, non possono ritenersi provate. È opportuno rilevare che, con riguardo alle asserzioni del resistente, non vi è prova delle condotte della ricorrente; i mezzi di prova articolati dal resistente vertevano, infatti, come già rappresentato nell'ordinanza resa in data 18/07/2016, qui da intendersi integralmente richiamata e trascritta, su circostanze generiche, valutative ed irrilevanti, ed in quanto tali non ammissibili. La reiterazione delle richieste istruttorie da parte del difensore del P. sino alla conclusione del presente giudizio rende necessario a questo Collegio ribadire l'inammissibilità dei suddetti mezzi istruttori, a causa della genericità delle richieste, formulate in modo non contestualizzato sotto il profilo temporale e spaziale. Di contro non è possibile ritenere provata neanche la violazione del dovere di fedeltà del P., lamentata dalla I.. La presunta relazione extraconiugale del resistente, infatti, è esclusivamente oggetto, nel ricorso introduttivo, delle generiche asserzioni della I., che non ha provveduto ad individuare le donne con cui il P. avrebbe iniziato tali relazioni né le occasioni nelle quali tale relazione sarebbe stata scoperta dalla ricorrente. Le dichiarazioni testimoniali rese dalla sorella e dal padre della ricorrente, nel presente giudizio, si limitano a confermare tali circostanze esclusivamente sulla base di informazioni conosciute de relato, ossia sulla base di confidenze raccontate dalla I. ai propri familiari. Non si può, pertanto, ritenere provata la violazione del dovere di fedeltà coniugale da parte del P., posta a sostegno della domanda di addebito formulata dalla ricorrente. La ricorrente ha, inoltre, richiesto la pronuncia della separazione con addebito a carico del resistente per le sue condotte violente. Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, la violenza fisica o psichica è sempre causa di addebito e non può essere mai giustificata "venendo in considerazione violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse, e da esonerare il giudice del merito, che abbia accertato siffatti comportamenti, dal dovere di comparare con essi, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze. Infatti tali gravi condotte lesive, traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere" (Cass., 19 febbraio 2018, Cass. n. 7388 del 2017, Cass. n. 433/2016, Cass. 7 aprile 2005, n. 7321; Cass., 14 aprile 2011, n. 8548, n. 817 del 2011). Nel caso di specie, però, è opportuno precisare che manca la prova dell'addebitabilità delle condotte violente in capo al P.. Le dichiarazioni testimoniali rese da I.T., sorella della ricorrente, e I.G., padre della ricorrente, all'udienza del 5 maggio 2017, non consentono di provare l'effettiva commissione di tali condotte da parte del resistente. I.T., infatti, ha dichiarato di aver appreso delle violenze subite dalla sorella telefonicamente; il padre della ricorrente, nel corso della medesima udienza, ha affermato di aver appreso de relato dei fatti di causa. Risulta, dunque, evidente che nessuno dei testimoni era presente ed ha effettivamente assistito alle asserite violenze, dichiarate dalla ricorrente. Non è, pertanto, possibile porre a sostegno della domanda di addebito le dichiarazioni testimoniali rese de relato e che non forniscono la prova del nesso causale tra le asserite condotte e la crisi che verosimilmente era già in atto. Non è sufficiente ad imputare la commissione di violenze al P. neanche il referto medico del Pronto Soccorso dell'Ospedale Massarelli di Lucera del 7.12.2014, il quale si limita ad attestare che la donna ha riferito di essere stata aggredita verbalmente e con percosse da persona da lei riconosciuta. Seppur si volesse considerare provato l'episodio di violenza descritto, ritenendo il referto medico un elemento indiziante, si deve evidenziare che un episodio di violenza, per quanto riprovevole, non è di per sé sufficiente a sostenere l'addebitabilità della separazione, in quanto non prova che sia stato la causa della crisi coniugale. Si può, al contrario, ritenere che l'episodio di violenza possa essere l'epilogo di una crisi coniugale già in atto, derivante piuttosto dalla mancanza di fiducia e dalla reciproca gelosia dei coniugi. Pertanto, alla luce dell'istruttoria, il Collegio rigetta le domande di addebito della separazione formulate dalle parti. Sull'affido dei minori, sul collocamento e sul diritto di visita Resta da statuire in ordine all'affidamento e al collocamento della figlia minore L., essendo diventate maggiorenni in corso di causa le altre due figlie della coppia, F.A. e P.P.. L'affidamento ad entrambi i genitori, previsto come regola dall'art. 337 ter c.p.c., comporta l'esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi e una condivisione delle decisioni di maggiore importanza, secondo lo schema del comune accordo, oltre che dei compiti di cura. Secondo l'art. 337 quater c.c. il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del figlio minore; inoltre, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l'affidamento esclusivo può essere disposto quando quello condiviso risulterebbe oggettivamente pregiudizievole per il minore o quando risulta che un genitore è manifestamente incapace o non idoneo ad assumere il compito di curare ed educare il minore (Cass. n. 18867/2011). La Suprema Corte, inoltre, ha statuito che l'affidamento esclusivo dei figli ad uno dei genitori deve considerarsi come un'eccezione alla regola dell'affidamento condiviso, da applicarsi rigidamente soltanto nelle ipotesi in cui esista una situazione di gravità tale da rendere detto affidamento condiviso contrario all'interesse dei figli, valutandosi tale contrarietà esclusivamente in relazione al rapporto genitore-figlio e quindi con riferimento a carenze comportamentali di uno dei due genitori, di gravità tale da sconsigliare l'affidamento al medesimo per la sua incapacità di contribuire alla realizzazione di un tranquillo ambiente familiare (Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587; Cass. 18 giugno 2008, n. 16593). Nel caso di specie, il Tribunale ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi dalla regola legale ex art. 337 ter c.c. dell'affidamento condiviso della prole ad entrambi i genitori, atteso che nel corso del giudizio non sono emersi profili di concreta e grave inidoneità genitoriale, tali da ritenere consigliabile il diverso regime dell'affidamento esclusivo. Pertanto, con riguardo alla figlia L., questo Collegio ritiene di dover confermare sul punto l'ordinanza presidenziale che aveva già previsto il regime dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori. Con riguardo al collocamento della minore, sebbene il resistente abbia inizialmente richiesto il collocamento prevalente presso lo stesso, si è giunti in corso di causa a un accordo tra le parti. Pertanto, rilevato il consenso delle parti e tenuto conto del principio del best interest del minore che deve guidare il Tribunale nelle decisioni da adottare in ordine alla prole, si ritiene opportuno mantenere inalterato il collocamento della figlia minore presso la madre, con cui ha sempre vissuto dopo la separazione di fatto dei coniugi. Con riguardo all'esercizio del diritto di visita paterno, vista l'età di L. (17 anni), che lascia presumere la sua piena capacità di autodeterminarsi e di decidere quando, dove e con quale frequenza incontrare il padre, ritiene il Tribunale che nulla debba essere disposto in ordine alla regolamentazione del regime delle visite padre-figlia, demandando al libero apprezzamento degli stessi la decisione in merito ai loro incontri. Sull'assegnazione della casa familiare Quanto alla domanda di assegnazione della casa familiare formulata dalla ricorrente, occorre rilevare che il provvedimento di assegnazione è funzionale a garantire esclusivamente l'interesse della prole alla permanenza nell'originario ambiente domestico (vedi Cass. civ. 21334/13, 18440/13, 22394/08,11035/07, 1545/06). Ebbene, nel caso che ci occupa, la ricorrente convive con la figlia minorenne nella casa coniugale, che pertanto, rimane assegnata alla I., come già statuito dall'O.P. del 16 novembre 2015. Sul mantenimento in favore della ricorrente Per quanto concerne la richiesta di mantenimento in favore della moglie, deve preliminarmente osservarsi che, in sede di separazione, ai sensi dell'art. 156 c.c., questo spetta al coniuge che non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche di entrambi, da individuarsi con riferimento allo standard di vita familiare reso oggettivamente possibile dal complesso delle loro risorse economiche, in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Segnatamente, il coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, ha il diritto di ricevere dall'altro coniuge un assegno di mantenimento, qualora non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di mantenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello che le potenzialità economiche complessive dei coniugi erano idonee a garantirgli prima della separazione. La Corte di legittimità ha inoltre chiarito che, al fine della determinazione del "quantum" dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 10 febbraio 2022, n. 4327; 10 maggio 2017 n.11504; 16 maggio 2017, n. 12196; 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974). Orbene, nel caso di specie risulta che la ricorrente svolga e abbia da sempre svolto l'attività di casalinga, limitandosi ad aiutare il marito nella macelleria di famiglia, senza però percepire alcun reddito. Nel 2014 la ricorrente ha presentato una dichiarazione sostitutiva di certificazione della situazione reddituale ed economica, attestante che la stessa è priva di redditi. Il resistente ha depositato in atti la dichiarazione dei redditi del 2015 relativa alla I., attestante un reddito complessivo annuo pari ad Euro 5.187,00. L'unica entrata della I. è rappresentata, infatti, da un canone di locazione mensile di Euro 350,00, relativo ad un immobile di cui è proprietaria. Il resistente ha dichiarato, in sede di udienza presidenziale del 16.11.2015, di essere disoccupato; era titolare di una macelleria, ma ha cessato tale attività nel settembre 2013, cedendo l'attività in gestione a terzi. Il P., dunque, percepisce esclusivamente un canone di locazione del locale commerciale, pari a Euro 800,00 mensili. Come si evince dalla documentazione fiscale in atti, il P. dispone di un reddito complessivo lordo pari a circa Euro 12.477,00 (Cfr. Dichiarazione dei redditi 2013, 2014 e 2015 in atti). In considerazione della disparità economica esistente tra i coniugi e rilevato che in fase di separazione dei coniugi non vi è una definitiva rescissione del vincolo coniugale e, dunque, dei rapporti economici tra gli stessi, questo Collegio ritiene necessario confermare l'obbligo in capo al P. di provvedere al sostentamento della ricorrente, confermando il versamento alla stessa della somma di Euro 100,00 mensili. Dunque, il Tribunale ritiene equo confermare l'obbligo del P. di contribuire al mantenimento della ricorrente, versando alla I. la somma mensile di Euro 100,00, entro e non il giorno 5 di ogni mese, da rivalutarsi annualmente in base alla variazione dell'indice del costo della vita accertata all'ISTAT. Sul mantenimento in favore delle figlie Per quanto concerne la richiesta di mantenimento in favore delle figlie della coppia, va osservato, che ai sensi dell'art. 316 bis c.c. grava su entrambi i genitori, in proporzione delle proprie disponibilità economiche, l'obbligo di contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei figli. Sebbene la ricorrente non abbia formulato richiesta di mantenimento in favore delle figlie, il resistente ha dichiarato di essere disposto a provvedere al mantenimento delle stesse, in proporzione alle proprie capacità, fino al raggiungimento della maggiore età. Con l'ordinanza presidenziale è stato posto a carico del resistente l'obbligo di provvedere al mantenimento delle tre figlie, versando alla ricorrente la somma mensile complessiva di Euro 600,00 (Euro 200,00 cadauno). Le due figlie più grandi della coppia, F.A., nata il (...), e P.P., nata il (...), sono ormai maggiorenni. Ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, il quale non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni (vedi Cass. civ. 18076/14, 5088/18). D'altro canto, esiste un dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione (cfr. Cass. 2014 n. 18076; Cass. SS.UU. n. 2014/n. 20448); oltre questi limiti di tempo e di misura la pretesa del figlio si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani (cfr. Tribunale di Milano, 29 marzo 2016). La Cassazione ha precisato che occorre presumere l'autosufficienza nel maggiorenne, salvo che questi fornisca prova contraria, ovvero provi di aver intrapreso un percorso di studi da portare a termine ovvero che dia prova concreta di aver cercato opportunità lavorative che, in mancanza di una specifica professionalità, devono essere ricercate in settori di diverso genere e tipo. Sul punto si richiama Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020 n. 17183: "l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile impegno la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro" ed anche Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2020 n. 29779 con cui si è statuito che: "Il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni". I predetti orientamenti sono confortati altresì dalla giurisprudenza europea della CGUE. Con maggior impegno esplicativo, l'autoresponsabilità del figlio maggiorenne impone a quest'ultimo di svolgere qualsiasi tipo di attività lavorativa ove non più impegnato in corsi di studi a tempo pieno soprattutto ove la raggiunta età sia tale da non far ritenere possibile che lo stesso non provveda ad automantenersi. Orbene, nel caso di specie, rilevato che l'onere probatorio ricade in capo allo stesso figlio maggiorenne o al genitore che ne richiede il mantenimento, nulla è stato dedotto dalla ricorrente in ordine all'eventuale mancanza di indipendenza economica delle figlie maggiorenni, specie della prima figlia, o in ordine al loro impegno eventualmente profuso nel percorso di studi o nella ricerca di lavoro. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, questo Collegio ritiene di non dover porre a carico del resistente alcun assegno di mantenimento in favore della prima figlia ormai 26enne lie F.A.. Con riguardo, invece, alle figlie P.P., da poco maggiorenne, e L., ancora minorenne e collocata presso la madre, è pacifico che il P. sia tenuto a contribuire al loro mantenimento. Ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore della minore, si deve tener conto della situazione reddituale delle parti, già sopra analizzata. Pertanto, questo Tribunale ritiene necessario porre a carico del resistente l'obbligo di provvedere al mantenimento delle predette figlie, mediante il versamento alla ricorrente della somma mensile di Euro 200,00 ciascuna, entro e non oltre il giorno 5 di ogni mese, da rivalutarsi annualmente in base alla variazione dell'indice del costo della vita accertata all'ISTAT, e concorrendo, inoltre, nella misura del 50%, alle spese straordinarie da sostenere nell'interesse delle predette figlie, così come individuate nel protocollo del 18.3.2016, intercorso tra il Tribunale di Foggia ed il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Foggia. Sulle spese processuali. Stante la reciproca soccombenza con riguardo alle domande di addebito e all'ammontare dell'obbligo di mantenimento in favore della ricorrente, le spese del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, con l'intervento del P.M., ogni contraria o diversa istanza o deduzione disattesa, così provvede: a. dichiara la separazione personale dei coniugi, I.G., nata a L. il (...) e P.F., nato a L. il (...), sposatisi il (...) in L. (atto n. (...), parte 2, serie A, anno 1996); b. manda al Cancelliere ed all'Ufficiale dello stato civile gli adempimenti di rispettiva competenza; c. rigetta la domanda di addebito formulata dalla ricorrente; d. rigetta la domanda di addebito formulata dal resistente; e. dispone l'affido condiviso della figlia minore L., con collocamento stabile presso la madre; f. assegna la casa coniugale alla ricorrente, affinché continui ad abitarla con la figlia minore; g. pone a carico di P.F. l'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore di I.G., versando alla stessa, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 100,00 Euro mensili, con rivalutazione annuale secondo gli indici Istat. h. Rigetta la domanda di mantenimento in favore della figlia F.A.; i. Pone, invece, a carico di P.F. l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento in favore delle figlie P.P. e L., versando a I.G., entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 400,00 (200,00 per ciascuna) Euro mensili, da aggiornarsi annualmente mediante rivalutazione secondo gli indici Istat, e mediante la partecipazione, nella misura del 50%, alle spese straordinarie da sostenere nell'interesse delle predette figlie, così come individuate nel protocollo del 18/03/2016 intercorso tra il Tribunale di ed il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Foggia; j. compensa integralmente tra le parti le spese di lite; Conclusione Così deciso in Foggia, in data 10 gennaio 2023 in Camera di consiglio. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Foggia-Sezione Lavoro, in persona del Giudice designato, dott.ssa Valentina di Leo, all'udienza del 5/1/2023, tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato, mediante deposito telematico contestuale della stessa, la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4814 - 2022 R. G. Aff. Cont. Lavoro e vertente TRA (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Ca. -RICORRENTE E MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso, ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c., dal Dirigente dell'Ufficio V di Foggia, dott.ssa Ma.Ep. -RESISTENTE avente ad oggetto: retribuzione professionale docenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato in data 17.6.2022, la ricorrente in epigrafe indicata - premesso di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione in qualità di docente con plurimi contratti a tempo determinato (allegati al ricorso) - adiva l'intestato Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, esponendo di non aver percepito, per le supplenze brevi e saltuarie espletate nei periodi di cui ai predetti contratti di lavoro, la retribuzione professionale docenti, quale prevista dal C.C.N.L. comparto scuola del 15.03.2001. Richiamata, pertanto, la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio Europeo 28 giugno 1999, 1999/770/CE, la predetta parte rassegnava le seguenti conclusioni: "1. accertare e dichiarare il diritto della ricorrente a percepire la Retribuzione Professionale Docenti per gli incarichi di supplenza di cui al punto 2) della narrativa che precede, da calcolarsi aritmeticamente secondo le tabelle stipendiali annesse ai contratti nazionali Scuola, con l'esclusione di eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro non retribuiti, oltre interessi legali dal giorno della maturazione del diritto al saldo e l'indennità per la rivalutazione monetaria, fatto salvo il divieto di cumulo ex L. n. 724 del 1994; 2. per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione nonché l'Ufficio Scolastico Regionale, ciascuno per le proprie determinazioni, a corrispondere in favore della ricorrente le differenze retributive a titolo di Retribuzione Professionale Docenti per i periodi di supplenza temporanea suindicati, determinate in base alle tabelle stipendiali annesse ai contratti nazionali Scuola, con l'esclusione di eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro non retribuiti; 3. con vittoria di spese di lite da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore". Il Ministero convenuto, ritualmente costituitosi, non si opponeva all'accoglimento della domanda. Istruita documentalmente, all'odierna udienza - tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 ter c.p.c., - la causa è stata decisa mediante pronuncia della presente sentenza contestuale depositata telematicamente all'esito della camera di consiglio, previa acquisizione di brevi note di trattazione scritta. 2. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito esposte. 2.1. Invero, è pacifico - oltre che documentalmente provato (si vedano i contratti di lavoro a tempo determinato e le buste paga versate in atti, docc. 1-3, fascicolo di parte ricorrente) - che la ricorrente abbia prestato attività lavorativa in qualità di docente in virtù di supplenze brevi e saltuarie per i periodi risultanti dalla documentazione prodotta dalla ricorrente medesima. 2.2. Ciò posto, la ricorrente si duole, in questa sede, di non aver percepito la retribuzione professionale docenti prevista dal C.C.N.L. comparto scuola del 15.03.2001 (doc. 5). Così delineati i termini della controversia, si osserva che, in senso favorevole alla tesi propugnata in ricorso, si è pronunciata la più recente giurisprudenza, sia di legittimità (v. Cass. Sez. Lav. del 27.7.2018, n. 20015; Cass. Sez. Lav. n. 33140/2019 e n. 34546/2019), che di merito (v. ex plurimis, Trib. Torino 08/07/2019, n.1169; Trib. Milano n. 1634 del 28.09.2019; cfr., altresì, Trib. Foggia-Sez. Lavoro, 2.10.2020, pronunciata nel procedimento n. 12680/2019, Giudice est., dott.ssa (...), Trib. Foggia-Sez. Lavoro, Sentenza n. 3818/2021 pubbl. il 28/10/2021, Giudice est. dott.ssa (...), Trib. Foggia-Sez. Lavoro, Sentenza n. 561/2022 pubbl. il 10/02/2022 Giudice est. dott. (...)), con argomentazioni condivise dal Tribunale e di seguito riprodotte, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.. "L'art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto della scuola ha istituito la Retribuzione Professionale Docenti, prevedendo, al comma 1, che "con l'obiettivo della valorizzazione professionale della funzione docente per la realizzazione dei processi innovatori, che investono strutture e contenuti didattici delle scuole di ogni ordine e grado, nonché di avviare un riconoscimento del ruolo determinante dei docenti per sostenere il miglioramento del servizio scolastico sono attribuiti al personale docente ed educativo compensi accessori articolati in tre fasce retributive" ed aggiungendo, al comma 3, che "la retribuzione professionale docenti, analogamente a quanto avviene per il compenso individuale accessorio, è corrisposta per dodici mensilità con le modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999..."; 2.1. quest'ultima disposizione, dopo avere individuato i destinatari del compenso accessorio negli assunti a tempo indeterminato e nel personale con rapporto di impiego a tempo determinato utilizzato su posto vacante e disponibile per l'intera durata dell'anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nei commi successivi disciplinava le modalità di calcolo e di corresponsione del compenso, stabilendo che lo stesso dovesse essere corrisposto "in ragione di tante mensilità per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestato o situazioni di stato assimilate al servizio" e precisando, poi, che "per i periodi di servizio o situazioni di stato assimilate al servizio inferiori al mese detto compenso è liquidato al personale in ragione di 1/30 per ciascun giorno di servizio prestato o situazioni di stato assimilate al servizio"; 3. dal complesso delle disposizioni richiamate, sulle quali non ha inciso la contrattazione successiva che ha solo modificato l'entità della RPD, includendola anche nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto (art. 81 del CCNL 24.7.2003, art. 83 del CCNL 29.11.2007), emerge che l'emolumento ha natura fissa e continuativa e non è collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente ed educativo (cfr. fra le tante Cass. n. 17773/2017); 4. non vi è dubbio, pertanto, che lo stesso rientri nelle "condizioni di impiego" che, ai sensi della clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato i quali "non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive"; 5. la clausola 4 dell'Accordo quadro, alla luce della quale questa Corte ha già risolto questioni interpretative dei CCNL del settore pubblico in generale e del comparto scuola in particolare (Cass. 7.11.2016 n. 22558 sulla spettanza delle progressioni stipendiali agli assunti a tempo determinato del comparto scuola; Cass. 26.11.2015 n. 24173 e Cass. 11.1.2016 n. 196 sulla interpretazione del CCNL comparto enti pubblici non economici quanto al compenso incentivante; Cass. 17.2.2011 n. 3871 in tema di permessi retribuiti anche agli assunti a tempo determinato del comparto ministeri), è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio; 5.1. in particolare la Corte ha evidenziato che: a) la clausola 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, (...); 8.9.2011, causa C-177/10 (...)); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell'art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), "non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione" ((...), cit., punto 42); c) non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (R.D., cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, B.); 5.2. l'interpretazione delle norme Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa perché a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8.2.2016 n. 2468); 6. nel caso di specie la Corte territoriale, pur escludendo, erroneamente, la rilevanza del principio di non discriminazione fra assunti a tempo determinato e indeterminato, ha comunque evidenziato, in motivazione, "che il supplente temporaneo, in quanto assunto per ragioni sostitutive, rende una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito" ed ha disatteso la tesi del Ministero secondo cui la durata temporalmente limitata dell'incarico sarebbe incompatibile con la percezione della RPD; 7. una volta escluse, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, significative diversificazioni nell'attività propria di tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico, rispetto a quella del personale stabilmente inserito negli organici, il principio di non discriminazione, sancito dalla richiamata clausola 4 e recepito dal D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 6, deve guidare nell'interpretazione delle clausole contrattuali che vengono in rilievo, nel senso che, come accade per l'esegesi costituzionalmente orientata, fra più opzioni astrattamente possibili deve essere preferita quella che armonizza la disciplina contrattuale con i principi inderogabili del diritto Eurounitario; 8. si deve, pertanto, ritenere, come evidenziato dalla Corte territoriale sia pure sulla base di un diverso percorso argomentativo, che le parti collettive nell'attribuire il compenso accessorio "al personale docente ed educativo", senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla L. n. 124 del 1999, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 dell'art. 7 del CCNL 15.3.2001, alle "modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999" deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento accessorio, e non si estende all'individuazione delle categorie di personale richiamate dal contratto integrativo; 9. una diversa interpretazione finirebbe per porre la disciplina contrattuale in contrasto con la richiamata clausola 4 tanto più che la tesi del Ministero, secondo cui la RPD è incompatibile con prestazioni di durata temporalmente limitata, contrasta con il chiaro tenore della disposizione che stabilisce le modalità di calcolo nell'ipotesi di "periodi di servizio inferiori al mese"; 10. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato perché il dispositivo della sentenza, la cui motivazione va parzialmente corretta ex art. 384 c.p.c., comma 4, è conforme al principio di diritto che di seguito si enuncia: "l'art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto scuola, interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, attribuisce al comma 1 la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 alle "modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999" deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento accessorio". 2.3. Ritenendosi i predetti principi applicabili al caso concreto, la pretesa avanzata in ricorso va accolta. D'altra parte, parte resistente non ha contestato l'attività di supplenza dedotta dalla parte ricorrente, limitandosi a richiedere, in caso di accoglimento della domanda, il riconoscimento dell'emolumento in misura proporzionata al servizio svolto. Ne deriva, pertanto, il riconoscimento del diritto della parte ricorrente a percepire la retribuzione professionale docenti per i periodi risultanti dalla documentazione prodotta e per il numero di ore effettivamente prestato, con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento in favore della parte ricorrente della relativa somma spettante con riguardo alle effettive ore di lavoro prestate. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022, tenuto conto della bassa complessità della causa e del valore della stessa, così come calcolabile mediante gli importi indicati dai contratti collettivi in atti (scaglione compreso tra Euro 1.100,01 ed Euro 5.200,00). P.Q.M. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Foggia, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 4814/2022 R.G.L., disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, così provvede: a) dichiara il diritto di parte ricorrente a percepire la retribuzione professionale docenti in relazione alle effettive ore di lavoro prestate per i periodi indicati in ricorso/risultanti dalla documentazione prodotta; b) condanna, per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione al pagamento, in favore della ricorrente, della relativa somma spettante, oltre interessi legali dalle scadenze al soddisfo; c) condanna il Ministero resistente alla refusione delle spese di lite, liquidate in Euro 1.030,00, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso forfettario per spese generali, come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario di parte ricorrente. Così deciso in Foggia il 5 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO in persona della giudice, dott.ssa Valentina di Leo, all'udienza del 04.01.2023, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, co. 1 c.p.c., nella causa civile iscritta al n. 7461/2019 del Ruolo Generale Lavoro, vertente TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ar.Sa. e Sa.Te. RICORRENTE E ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'Avvocatura dell'Istituto (avvocati Marta Odorizzi e Domenico Longo) RESISTENTE OGGETTO: mancata iscrizione negli/cancellazione dagli elenchi nominativi degli braccianti agricoli RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 12.7.2019, il ricorrente in epigrafe indicata, premesso di aver lavorato nel 2017, in qualità di bracciante agricola, per 70 giornate, di cui 10 alle dipendenze dell'azienda agricola "(...) S.r.l." e 70 alle dipendenze dell'azienda agricola "(...)", ha censurato l'operato dell'INPS laddove ha cancellato tali giornate dagli elenchi OTD con il quarto elenco nominativo trimestrale 2018 del Comune di residenza. Il ricorrente ha rappresentato di aver proposto invano il ricorso amministrativo e ha chiesto al giudice adito: di accertare il rapporto di lavoro alle dipendenze delle predette aziende agricole, nonché il conseguente diritto alla reiscrizione per l'originario (e maggiore) numero di giornate, con condanna dell'INPS al connesso adeguamento della posizione assicurativa e previdenziale e alla refusione delle spese di lite, da distrarsi. Si è tempestivamente costituito l'INPS, deducendo l'infondatezza delle avverse pretese ed invocandone il rigetto. In particolare, l'INPS ha evidenziato la legittimità del proprio operato sulla base dei verbali ispettivi depositati. Acquisita la documentazione originariamente prodotta dalle parti, nonché quella depositata dall'INPS a seguito di provvedimento ex art. 421 c.p.c., la causa è pervenuta all'odierna udienza per l'espletamento della prova testimoniale chiesta dalla parte ricorrente. Senonché, parte ricorrente non è comparsa all'udienza e non ha dato prova di aver regolarmente intimato i testi ammessi e l'INPS ha eccepito la decadenza dalla prova testimoniale (v. verbale di causa). Quindi, la causa è stata discussa oralmente dal solo procuratore dell'INPS e, sulle conclusioni dallo stesso rassegnate, trascritte nel verbale di udienza che precede, all'esito della camera di consiglio, è stata decisa con la presente sentenza resa nelle forme di cui all'art. 429, co. 1 c.p.c. - assenti i procuratori delle parti - e depositata telematicamente. 1. Si osserva, in primo luogo, che il ricorso giudiziario è stato depositato nel rispetto del termine ex art. 22 D.L. n. 7 del 1970, conv. con mod. nella L. n. 83 del 1970. Pertanto, infondata è l'eccezione di decadenza laddove sollevata dall'INPS. 2. Del pari infondate sono le doglianze del ricorrente, relative all'asserita inesistenza del provvedimento formale di disconoscimento e alla violazione delle regole sul procedimento amministrativo. Ed invero, per un verso, all'epoca in cui fu disposta la cancellazione per cui è causa, nessuna norma di legge prevedeva che i lavoratori interessati fossero destinatari di provvedimenti espressi di disconoscimento, essendo, al contrario, previsto lo speciale meccanismo della pubblicazione telematica degli elenchi trimestrali di variazione. Per altro verso, il procedimento di iscrizione/cancellazione dei braccianti agricoli negli elenchi (oggi telematici) non soggiace alle regole di cui alla L. n. 241 del 1990, trattandosi di procedimento speciale con regole proprie. Ex multis, (...) App. Bari, sezione Lavoro, sent. n. 1111/2018: "In questa materia, stante la sua innegabile specialità, correlata alle peculiari esigenze di celerità della procedura di accertamento dei lavoratori agricoli, non opera la regola prescritta, in via generale, dal L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4 (che prevede il dovere dell'amministrazione di indicare, in ogni atto amministrativo notificato al destinatario, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere), non essendo l'imposizione di un obbligo siffatto compatibile con una disciplina legale dei ricorsi amministrativi (addirittura successiva alla L. n. 241 del 1990) che ne ammette la decisione nella forma di provvedimenti taciti e automatici (rispetto ai quali sarebbe inconcepibile un indicazione dei termini da osservare per l'esercizio, in sede giudiziaria, del diritto invocato). Inoltre deve escludersi che, in materia di accertamento delle giornate di lavoro nel settore agricolo, oggetto di una regolamentazione in tutto diversa e speciale rispetto a quella relativa alle domande delle prestazioni previdenziali facenti carico all'INPS, possa trovare applicazione il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e, con esso, la prescrizione di cui al comma 5, che impone all'Istituto previdenziale l'onere di indicare ai richiedenti le prestazioni i gravami amministrativi che possono essere proposti, a quali organi devono essere presentati e entro quali termini, nonché di precisare i presupposti e i termini per l'esperimento dell'azione giudiziaria. Senza dire che, con la recente sentenza n. 12718 del 2009, le Sezioni unite della Suprema Corte hanno affermato che l'inosservanza, da parte dell'Istituto previdenziale, del detto comma 5 costituisce una mera irregolarità e non è, comunque, di ostacolo al decorso del termine di decadenza (anch'esso di carattere sostanziale) previsto dallo stesso art. 47 per l'esercizio dell'azione giudiziaria (Cass. 17228/2010). Ancora (v. Cass. n. 20604/2014), la natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all'accertamento, alla liquidazione e all'adempimento della prestazione in favore dell'assicurato comporta che l'inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole proprie del procedimento, nonché, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiega incidenza sul correlato rapporto obbligatorio. Ne consegue che l'assicurato non può, in difetto dei fatti costitutivi dell'obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale in ragione di disfunzioni procedimentali addebitabili all'Istituto, salva, in tal caso, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno, qui, comunque, non reclamato". Sulla natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all'accertamento, alla liquidazione e all'adempimento della prestazione pensionistica in favore dell'assicurato e sulla conseguente mancata incidenza sul correlato rapporto obbligatorio di eventuali inosservanze, da parte del competente Istituto Previdenziale, delle regole proprie del procedimento, nonché, più in generale, delle prescrizioni di cui alla L. n. 241 del 1990, si veda anche Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza n. 19140/2020. 3. Nel merito, le domanda attoree sono infondate. Ed invero, sul tema dell'onere assertivo e probatorio circa l'effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali, la giurisprudenza, pure di legittimità, ha sperimentato in passato interpretazioni tra loro difficilmente conciliabili, sino a quando le Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di comporre il contrasto esistente fra le tesi suddette, sono intervenute nel dibattito e hanno congruamente statuito: 1) che il lavoratore agricolo, il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti l'iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a ti-tolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2) che soltanto a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (v. Cass. sez. un. 26 ottobre 2000, n. 1133). È ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l'effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell'iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell'iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877). A maggior ragione l'onere assertivo e probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi, ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione. Come affermato dalla Suprema Corte (si vedano Cass. 11.2.2016, n. 2739 e Cass. 26.7.2017, n. 18605), "L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio". Ora, nel caso di specie, si osserva che l'INPS ha depositato il verbale ispettivo redatto in data 18.1.2019, riferito al periodo 01/07/2014 al 31/12/2017 (e, quindi, alle annualità dedotte nel presente giudizio), relativo all'azienda "(...) s.r.l.". Da tale verbale, il cui contenuto è stato richiamato nella memoria di costituzione, risulta che: 1) La (...) srl costituita in data 3 luglio 2014 e iscritta alla CCIAA per l'esercizio dell'attività di commercio all'ingrosso di frutta e ortaggi freschi, risulta composta da due soci: (...) con il 20% di quote e (...), con l'80%. 2) La società operava come azienda "senza terra" ovvero azienda che non si occupa della conduzione e della coltivazione dei fondi agricoli, ma del commercio all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, in prevalenza acquistati sulla pianta per la cui raccolta o fasi di lavorazione si avvale, come le altre imprese agricole vere e proprie, di operai inquadrabili nel regime della previdenza agricola. 3) Nel periodo oggetto dell'accertamento, da luglio 2014 a dicembre 2017, emergeva dalla consultazione delle banche dati dell'Inps che erano state denunciate consistenti numeri di giornate lavorative comportanti una retribuzione ordinaria di Euro 369.907,00 per il Euro 2014, Euro 572.112,00 per il 2015 ed Euro 589.105 per il 2016; 890.995,00 per il 2017. 4) A fronte delle suddette retribuzioni erogate risultava che la società aveva omesso totalmente il versamento della contribuzione previdenziale ed assistenziale, ammontante complessivamente ad Euro 503.3232,95. 5) Inoltre, a fronte dei suddetti rapporti di lavoro denunciati risultava che l'Inps aveva corrisposto ai soggetti inquadrati come operai a tempo determinato per le prestazioni previdenziali e assistenziali considerevoli importi: per l'anno 2014 Euro 196.506,42 a titolo di indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 37688,68 per indennità di malattia ed Euro. 43.604,75 per indennità di maternità; per l'anno 2016 aveva corrisposto Euro 282.572,85 per indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 72891,86 per malattia e maternità, per l'anno 2017 aveva corrisposto E 423.679,94 per indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 33.974,64 per malattia maternità. 6) Dalla consultazione dell'anagrafe tributaria non risultavano presentati i modelli 770 previsti (1 solo nominativo denunciato come dipendente agricolo per l'anno 2014!), mentre ulteriori elementi discordanti emergevano dalle dichiarazioni del modello unico redditi società di capitali e relativi bilanci fiscali. 7) Venivano eseguiti contemporaneamente e contestualmente ulteriori accertamenti a carico delle ditte "(...) di (...)", "(...) srls, '"(...) srl", "(...) srl", e "(...) di (...)", oggetto di separato verbale e tutte riconducibili, di fatto al medesimo soggetto, (...). 8) Anche se formalmente l'attività di vendita di prodotti ortofrutticoli acquistati alla pianta veniva distribuita sulle diverse sopra citate aziende, in realtà si trattava di un'attività imprenditoriale unica, almeno dal punto di vista previdenziale, in quanto si avvaleva di manodopera agricola in maniera indistinta prescindendo da quale specifica azienda era intestataria della fattura di vendita del prodotto raccolto. 9) La conduzione unica delle varie aziende era confermata dallo stesso (...) che in una dichiarazione rilasciata l'11 settembre 2018 riconosceva che gli operai assunti da una sola delle società lavoravano per entrambe in modo indifferente. 10) Ulteriore conferma della promiscuità della conduzione indistinta dell'attività economica delle varie aziende si è avuta nel corso dell'accesso ispettivo effettuato in data 11 luglio 2018 sui fondi agricoli di proprietà di (...), nipote di (...), ceduti in affitto in parte alla ditta (...) Srl e ed in parte alla ditta (...) Srl. 11) Sui suddetti fondi erano stati trovati intenti al lavoro della raccolta di pesche 13 operai agricoli. Di questi, 10 operai erano assunti dalla ditta (...) di (...) sas e 3 operai dalla ditta (...) di (...). 12) Nessuno degli operai quindi è risultato assunto come dipendente della ditta (...) o della (...) srl, uniche titolate ad avere operai al lavoro in quanto acquirenti i frutti alla pianta dei suddetti fondi agricoli. 13) I tredici operai hanno dichiarato di essere dipendenti, di essere stati assunti e di ricevere le direttive e la paga da (...). 14) Non hanno mai nominato né conoscono l'amministratore della (...) Srl, (...) che è risultata essere un prestanome. Benché convocata dagli ispettori, quest'ultima non si è mai presentata. Inoltre, la stessa risultava irreperibile all'anagrafe del Comune di San Ferdinando di Puglia, mentre la convocazione inoltrata presso la sede legale ritornava al mittente con la motivazione di "destinatario sconosciuto". 15) Dalla documentazione esaminata emergeva che la società non aveva disponibilità di magazzini, di capannoni, di macchinari agricoli vari e che dunque avrebbe potuto svolgere solamente l'attività della raccolta frutti e per periodi di tempo molto limitati. 16) Sulla base delle fatture di acquisto esibite, il fabbisogno lavorativo ipotizzabile era fortemente inferiore a quello dichiarato, come analiticamente specificato nella tabella a pagina 8 del verbale ispettivo. 17) Ulteriori anomalie venivano individuate riguardo alle fatture di acquisto e ai prezzi indicati. 18) Sulla base degli accertamenti effettuati emergeva, dunque, che la società (...) Srl avrebbe avuto un fabbisogno lavorativo all'incirca di 1754 giornate nel 2014, 1442 nel 2015, numero 1087 nel 2016 e numero 944 giornate nel 2017, mentre risultavano denunciate rispettivamente n. 6625 giornate4 nel 2014, 9689 giornate per il 2015, n. 9096 giornate per il 2016 e n.13.757 giornate per il 2017. 19) Dalla consultazione della sezione presenze del libro unico del lavoro emergevano ulteriori anomalie: tutte le presenze, tranne rare eccezioni si sviluppavano in modo uniforme ed omogeneo per tutta la durata del rapporto di lavoro, per lo stesso numero di giorni alla settimana, dal lunedì al sabato, senza alcun picco né verso l'alto, come una fase della raccolta di prodotti maturi richiederebbe, né verso il basso, come un periodo di maltempo di non raccolto imporrebbe; 20) A riprova della falsità delle annotazioni sul libro presenze vi è citato accesso ispettivo dell'11 luglio 2018, nel corso del quale gli ispettori hanno riscontrato la presenza lavoro di 13 operai, mentre sul libro unico del lavoro della stessa ditta sono risultati registrati presenti in quella giornata ben 75 lavoratori; 21) Analogamente, nel corso dei sopralluoghi effettuati sui fondi agricoli potenzialmente interessati da lavorazioni ricadenti nel periodo di massimo impiego di manodopera, quello relativo alla raccolta delle pesche in giugno e luglio, e quello relativo alla raccolta dell'uva in settembre, tranne che in due casi, 11 luglio e 13 settembre, hanno tutti avuto un riscontro negativo in quanto non è stata riscontrata la presenza di alcun lavoratore. 22) Nonostante il più che cospicuo numero di lavoratori registrati presenti sui rispettivi LUL, sui terreni potenzialmente interessati da lavorazioni dove sono stati effettuati i sopralluoghi non è stata riscontrata alcuna presenza. 23) Anche gli imprenditori agricoli che avevano stipulato il contratto di cessione alla pianta, riferivano agli ispettori di aver ricevuto il relativo pagamento tramite assegno bancario avendo sempre e solo come controparte il signor (...), di non conoscere e di non aver mai avuto alcun rapporto commerciale con (...). 24) Tutti i produttori ascoltati dai verbalizzanti hanno confermato la circostanza che solo quando hanno ricevuto dal (...) i dati in base ai quali hanno redatto la relativa fattura di vendita si sono resi conto che essi facevano riferimento a ditte e persone a loro completamente sconosciute. 25) Analoga affermazione veniva riscontrata in dichiarazioni rilasciate da commercianti che pur avendo acquistato uva e pesche contrattando esclusivamente con (...), hanno ricevuto fatture ed effettuato il relativo pagamento a favore di ditte formalmente estranei allo stesso. 26) Da informazioni assunte presso la banca dove le ditte riconducibili formalmente a (...) sono intestatarie di un conto corrente si è ricevuta la conferma che il referente dei relativi rapporti bancari è sempre il signor (...). 27) Gli ispettori provvedevano altresì a convocare ed a raccogliere dichiarazioni dei soggetti presenti nelle denunce trimestrali DMAG in qualità di operai agricoli a tempo determinato e dalle suddette dichiarazioni, tutte vaghe, generiche e approssimative, non emergeva alcun dettaglio o particolare che potesse confermare l'effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro. 28) Al contrario, le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori autentici, cioè quelli trovati intenti al lavoro nel corso dei citati eccessi ispettivi, sono risultate concordanti e coerenti tra di loro e con la fattispecie di attività oggetto di accertamento. 29) A conclusione degli accertamenti a carico dell'azienda (...) Srl era emerso che il modesto fabbisogno di manodopera agricola occorrente per soddisfare la residuale attività economica poteva considerarsi ampiamente soddisfatto dal numero dei lavoratori autentici individuati in sede ispettiva e che tale residuale manodopera agricola, per tutti i motivi esposti, era riconducibile unicamente alla (...) di (...) e (...) s.a.s. Pertanto, condivisibilmente gli ispettori hanno annullato tutti i nominativi denunciati all'Inps come braccianti agricoli a tempo determinato dalla ditta "(...) Srl", mentre i rapporti di lavoro denunciati da tale società, riscontrati dai verbalizzanti come genuini, sono stati ascritti alle dipendenze della (...) di (...) s.a.s., quale effettiva utilizzatrice delle prestazioni lavorative. L'INPS ha, altresì, depositato il verbale n. 2018013657/DDL/T01 del 10 dicembre 2018 e relativo al periodo compreso tra il 1 gennaio 2017 ed il 7 dicembre 2018, accertamenti che hanno confermato l'insussistenza e la fittizietà delle prestazioni lavorative denunciate all'INPS dalla ditta "(...)" negli anni 2017 e 2018. In particolare, da tale ultimo verbale emerge, in sintesi, quanto segue. La ditta (...) con sede in O. (F.) Via I. I. N. n.3, risulta iscritta alla C.C.I.A.A. con decorrenza dal 27.8.2016 e data cessazione attività 12.3.2018. La società ha trasmesso in via telematica in data 27.9.2016 il modello (...) ( denuncia aziendale) resa ai sensi del D.Lgs. n. 375 del 1993 in cui dichiarava di condurre in affitto circa 27 ettari di terreni agricoli coltivati interamente a cavolo e cavolfiore per i quali prevedeva un fabbisogno aziendale ipotetico di 300 giornate lavorative annue. Successivamente trasmetteva all'INPS di Foggia i mod. DMAG (dichiarazioni relative alla manodopera occupata) relativi al 2 e 3 trimestre del 2016 con cui dichiarava di aver occupato da luglio 2016 sino alla fine di dicembre n.84 lavoratori per complessive 9.067 giornate lavorative, per l'anno 2017 n.71 lavoratori per complessive 6.918 giornate lavorative. A fronte di tale incredibile dato gli Ispettori verificavano che per 8 soggetti denunciati nel 2017 non erano state inviate le comunicazioni obbligatorie di assunzione, le denunce trimestrali all'INPS erano state tutte trasmesse tardivamente, per la pretesa attività agricola non era stata presentata alcuna dichiarazione fiscale all'Agenzia delle Entrate per gli anni 2016 e 2017, e il Sig. (...) non aveva versato alcunché a titolo di contribuzione sulle retribuzioni imponibili denunciate all'INPS, accumulando un debito contributivo pari ad Euro 100.254,79. Le verifiche iniziavano in data 4.10.2018 presso la stazione dei Carabinieri di Ortanova dove il titolare della società, (...), era convocato. In tale occasione dichiarava che sui terreni coltivati a carciofi e cime di rapa aveva lavorato lui e suo cognato e nessun altro. In tutto l'anno 2017, e sino ad allora, per la coltivazione di tutti i terreni agricoli dallo stesso condotti si era avvalso della collaborazione del cognato (...) e di nessun altro bracciante agricolo. Dichiarava, altresì, che tutta la documentazione fiscale e del lavoro era conservata presso lo studio del ragioniere (...). Inoltre precisava che negli ultimi cinque anni aveva svolto attività solo per la ditta edile (...), all'interno della quale era procuratore e lavoravano lui ed il cognato. Nell'azienda agricola individuale a lui intestata si era sempre avvalso soltanto della manodopera del cognato e di nessun altro, anche perché per gran parte dell'anno i terreni erano coltivati a grano e pertanto era sufficiente di gran lunga la manodopera sua e del cognato. Gli ispettori accertavano altresì che delle 32 assunzioni effettuate nell' anno 2018, 23 risultavano inviate dopo la cessazione dell'attività aziendale. Inoltre lo stesso (...) ignorava totalmente la consistenza della manodopera denunciata come impiegata dalla sua ditta per gli anni 2017 e 2018. Il ragioniere (...), successivamente ascoltato dagli ispettori, riferiva di non essere in possesso di alcuna documentazione relativa agli anni 2017 e 2018. Egli dichiarava che era in grado di esibire e produrre soltanto i contratti di affitto di terreni con i signori (...) e (...). Gli ispettori effettuavano sopralluoghi sui fondi aziendali ubicati in agro di O. e, al fine di acquisire informazioni per verificare la genuinità dei rapporti di lavoro denunciati, provvedevano a convocare tutti i soggetti assunti denunciati dalla ditta negli anni 2017 e 2018. Molti dei soggetti ascoltati hanno fornito una serie di informazioni contraddittorie ed incongruenti dimostrando in alcuni casi persino di ignorare di essere stati occupati alle dipendenze della ditta (...). Per di più, dal contenuto delle dichiarazioni acquisite emerge che nessuno dei soggetti intervistati avesse lavorato ai campi di grano e tantomeno alla raccolta degli ortaggi e dei carciofi. Alcuni dichiaravano di aver raccolto pesche, uva ed olive su terreni ubicati in agro diverso da quello di Ordona. All'esito della complessa e laboriosa ispezione gli ispettori concludevano per la insussistenza di tutti i rapporti di lavoro denunciati nel 2017 e nel 2018 e provvedevano al loro disconoscimento. Sia pure a seguito di ordinanza ex art. 421 c.p.c., l'INPS ha depositato anche le dichiarazioni dei lavoratori ascoltati dagli ispettori dell'INPS nell'ambito di entrambi gli accertamenti ispettivi di cui si è detto. A fronte di tali accurate indagini ispettive, le prove offerte dall'odierna parte ricorrente non appaiono idonee a dimostrare il fatto controverso, ossia l'effettiva prestazione, da parte del lavoratore a tempo determinato, di attività lavorativa di tipo subordinato alle dipendenze della azienda agricola ispezionata per il numero di giornate rivendicato (ovvero quello originariamente risultante dagli elenchi OTD). Quanto alla prova documentale, la stessa non appare idonea, di per sé, a dimostrare l'effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro agricolo. Ed invero, come di recente affermato dalla Corte Territoriale, nelle ipotesi di disconoscimento o di cancellazione dell'accredito assicurativo a seguito e per effetto di una valida e puntuale attività di vigilanza e controllo, i documenti dell'azienda pseudo-datrice - la cui realtà operativa del tutto o gravemente irregolare è stata acclarata in sede ispettiva - e, in particolare, le denunce di manodopera, a ben vedere, non costituiscono un efficace elemento di contrasto probatorio, perché, ove dei rapporti di lavoro non si rinvenisse traccia nemmeno nei documenti formati dal soggetto che si attribuisce la qualità di datore, una simile ipotesi ricostruttiva dovrebbe essere esclusa in radice e ogni discussione sul punto non potrebbe essere nemmeno avviata dagli pseudo-braccianti. In altre parole, poiché le annotazioni aziendali devono riflettere le assunzioni effettive, le stesse annotazioni sono funzionali, anzi indispensabili, a fornire un'apparenza di regolarità nei casi di falsi ingaggi. Ne deriva che non è sulle registrazioni e sulle denunce aziendali concernenti la manodopera che può congruamente fondarsi il convincimento circa l'effettivo svolgimento dell'attività aziendale per il tramite dei lavoratori annotati (si vedano, ex multis, sent. n. 1932/2019, 71/2020; 1234/2021 Corte di Appello di Bari). Queste considerazioni valgono soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui al tratto di penna dell'imprenditore non corrisponde il pagamento dei contributi previdenziali. Conseguentemente, l'unico possibile supporto probatorio della domanda attorea avrebbe potuto essere fornito dalla prova testimoniale. Ora, nella fattispecie oggetto di odierno scrutinio, parte ricorrente è stata ammessa a provare con i testimoni le circostanze fattuali dedotte a sostegno della sua domanda; ciononostante, la stessa non è comparsa all'udienza fissata per l'escussione e non ha dato prova di aver intimato i testi, incorrendo per tale ragione nella decadenza dall'assunzione ex artt. 208 c.p.c. e 104 disp. att. c.p.c.. Fondata è, pertanto, l'eccezione di decadenza spiegata in udienza dall'INPS. Pertanto, i fatti dedotti a sostegno della sussistenza del rapporto di lavoro agricolo subordinato sono rimasti privi del necessario riscontro orale, essendo del tutto inadeguata la prova documentale offerta dalla ricorrente alla luce delle pregnanti risultanze del verbale ispettivo prodotto dall'INPS (che si sono riportate). Si segnala, altresì, che anche le dichiarazioni rese dall'odierno ricorrente in sede ispettiva confermano la fittizietà dei rapporti di lavoro dedotti in giudizio. Ed invero, nelle dichiarazioni rese in sede ispettiva dal (...) in data 22.10.2018 e 30.11.2018, lo stesso ha dichiarato che nel 2017 (annualità dedotta in giudizio) avrebbe lavorato solo per (...), non menzionando in alcun modo l'altra società asserita datrice, ovvero (...) S.r.l.". Quanto al rapporto di lavoro asseritamente svolto alle dipendenze della ditta "(...)", nella dichiarazione resa dal (...) in data 30.11.2018, lo stesso, pur avendo confermato tale rapporto di lavoro, ha riferito di non conoscere (...), di aver lavorato solo nei terreni siti in agro di S. F. di P. e in provincia di Bari, di essersi occupato unicamente delle attività di diradamento e raccolta pesche e del taglio di uva da tavola, di essere stato pagato ogni due giorni da un certo Gino e di non saper fornire i nominativi dei compagni di lavoro. Trattasi di dichiarazioni palesemente divergenti dalle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del presente giudizio, nell'ambito del quale il (...) ha dedotto di essere stato adibito alle attività di acinellatura, defogliazione, potatura verde, diramazione, taglio e incassettamento di uva da tavola, che i fondi rustici erano ubicati in agro di (...), di essere stato pagato sempre e solo dal (...), il quale avrebbe fissato quotidianamente le direttive di lavoro. S'impone, quindi, il rigetto della domanda avente ad oggetto l'accertamento del diritto all'iscrizione. 4. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c. non è idonea a tenere indenne parte ricorrente dal pagamento delle spese processuali poiché il giudizio non è stato promosso per ottenere il pagamento di "prestazioni previdenziali o assistenziali", ma - come si è detto - l'accertamento del diritto alla reiscrizione (sul punto si veda Cass. Civ. sez. Lav. 4.8.2020 n. 16676, cui questo giudice ritiene di aderire; più di recente, si veda Cass. Civ., Sesta Sez. Civ. Lav., ord. n. 16535/2021). Tuttavia, il diverso orientamento sinora assunto da questo Tribunale in materia di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c. giustifica la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi del novellato art. 92 c.p.c. Si è, infatti, al cospetto di un'ipotesi di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti. Si osserva, infine, che il ricorso è stato depositato in data antecedente alla surrichiamata giurisprudenza della S.C. P.Q.M. definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti in epigrafe indicate, così provvede: - rigetta il ricorso; - spese integralmente compensate. Così deciso in Foggia il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Foggia - Prima Sezione Civile - riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati: 1) Dott.ssa Concetta Potito - Presidente- 2) Dott. Paolo Rizzi - Giudice - 3) Dott. Alessio Marfè - Giudice rel. - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. ...del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: Dichiarazione giudiziale di paternità vertente TRA M.M. ((...)), già D.V.M., rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv...., elettivamente domiciliato in Foggia, alla...; Attore E M.A. (c.f.: (...)), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv...., presso cui elettivamente domicilia in..., al Viale...; Convenuto E NONCHÉ Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Foggia. interventore ex lege Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 20.10.2017, M.M. (già D.V.M.), conveniva in giudizio M.A., per sentire accertare e dichiarare che il convenuto è il suo padre biologico, ex art. 269 c.c., con tutte le conseguenti statuizioni accessorie. In particolare, chiedeva altresì l'acquisizione del cognome paterno in aggiunta a quello già portato, il mantenimento di Euro 600,00 mensili da porsi a carico del convenuto ed il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Costituitosi in giudizio il 15.01.2018, il convenuto chiedeva il rigetto delle avverse domande, perché infondate in fatto e diritto. I. correttamente la causa, concessi i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., essa veniva istruita a mezzo della c.t.u. espletata dal Prof. M.M.. All'udienza del 28.03.2022, tenutasi con le modalità previste dall'art. 221, co. 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, le parti rassegnavano le proprie conclusioni e la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Sulla domanda diretta alla dichiarazione di paternità. In via preliminare si rileva che il presente giudizio non è stato sottoposto al preventivo vaglio di ammissibilità previsto dall'art. 274 c.c., posto che la Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 2006 ne ha dichiarato l'illegittimità. Tanto premesso, la domanda principale di dichiarazione giudiziale della paternità proposta dall'attore è fondata e merita accoglimento. Gli esiti della perizia d'ufficio sono inequivocabili in tal senso. Il nominato c.t.u., all'esito dell'esame peritale, concludeva: "L'indagine genetica effettuata sui campioni di materiale biologico in esame ha evidenziato la corrispondenza tra l'allele obbligatorio maschile presente nel profilo genetico del Sig. M.A. e quello presente nel profilo genetico del Sig. D.V.M.M., per tutti i sistemi genetici considerati per la presente comparazione genetica. Si conclude, pertanto, che l'indagine genetica effettuata sui campioni di materiale biologico del Sig. M.A. e del Sig. D.V.M.M. conferma, in termini probabilistici, la presenza di nesso di filiazione". Va, per l'effetto, dichiarato che M.A. è padre biologico di M.M.. Invero, gli esiti dell'esame genetico non lasciano margini di incertezza. Come è noto, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, in base all'art. 269, comma 2, c.c., la relativa prova può essere fornita "con ogni mezzo", quindi ad es. anche mediante presunzioni (Cass., n. 3660/1984) ovvero mediante argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., desumibili ad es. dal comportamento processuale che rifiuti in modo ingiustificato di sottoporsi all'esame ematologico (Cass., n. 6025/2015; Cass., n. 27237/2008) Ritiene in ogni caso la Suprema Corte come l'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non sia subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l'imposizione, al giudice, di una sorta di "ordine cronologico" nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo "status" (così, Cass., n. 783/2017; Cass., 3479/2016). Quanto, in particolare, alle indagini ematologiche, è stato sostenuto in giurisprudenza che "l'efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica, anche quelle solitamente espresse in termini di leggi scientifiche, e tutte le misurazioni, anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati, sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (cd. 'errore statistico'), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (cd. 'errore sistematico'), spettando al giudice di merito, nell'esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell'opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini" (così Cass., n. 6025/2015; cfr. anche Cass., n. 14462/2008). Nel caso in esame il c.t.u. ha premesso che, per attribuire la paternità, il Gruppo di Genetisti Forensi Italiani della Società Italiana di G.U., ritiene che la paternità o la maternità siano praticamente provate quando la probabilità di paternità o maternità è superiore a 0,9972, ovvero superiore al 99,72%. In base all'esame del c.t.u., il rapporto di verosimiglianza (o indice combinato di paternità) tra M.A. e M.M. è risultato essere pari a 99999,2. Da ciò si deduce che una probabilità di paternità pari a 0,99999 e tale valore risulta essere superiore a quello (0.9972) comunemente ritenuto soglia, oltre la quale la paternità si considera 'praticamente provata'. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, atteso l'esito dell'esame dei campioni biologici di M.M. e M.A., quest'ultimo va dichiarato padre biologico dell'attore. Quanto al cognome che il figlio assumerà, la scelta del cognome del figlio maggiorenne costituisce espressione di un diritto potestativo dello stesso, pienamente disponibile, tanto che la pronuncia sul cognome non può essere compiuta in via ufficiosa dal tribunale, ma presuppone un'univoca manifestazione di volontà dell'interessato (cfr. Cass. n. 19734/2015). Pertanto, nel caso di specie, considerato che l'attore ha chiesto di aggiungere il cognome del padre naturale a quello portato (ovvero, attualmente, quello materno), il Tribunale ritiene di dover disporre in conformità, aggiungendo il cognome paterno "M." a quello materno "M.". Tale opzione si colloca, peraltro, nella direzione suggerita dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 131 del 31 maggio 2022. Sulla domanda di mantenimento. Circa la misura del contributo paterno al mantenimento del figlio, invece, va osservato quanto segue. L'accoglimento della domanda principale di dichiarazione giudiziale di paternità determina, invero, il riconoscimento dell'obbligo del convenuto di contribuire al mantenimento del figlio. Va premesso che, pur presupponendo l'obbligo al mantenimento l'accertamento dello stato di figlio, ritiene tuttavia il Collegio che - per esigenze di economia processuale (art. 111 Cost.) - il rapporto che esiste fra la dichiarazione giudiziale di paternità e le domande a contenuto economico non impedisce che le rispettive azioni possano essere svolte in un unico processo e possano essere decise in un unico contesto, fermo restando che il credito potrà essere azionato o la condanna potrà essere eseguita solo all'esito del passaggio in giudicato del capo relativo all'accertamento dello status di figlio. Ciò considerato, è noto che la sentenza dichiarativa della filiazione produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c. e, quindi, a norma dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i diritti e doveri propri della procreazione, incluso l'obbligo di mantenimento ex artt. 148, 316 bis e 337 ter c.c. La relativa obbligazione si collega, come è noto, allo status genitoriale ed assume pari decorrenza dalla nascita del figlio. In questo senso, la giurisprudenza di legittimità è orientata a ritenere che gli effetti della dichiarazione si producano, retroattivamente, fin dal momento della nascita, riconoscendosi natura dichiarativa alla sentenza, sul rilievo che lo status di figlio è conseguenza dell'accertamento del rapporto biologico della procreazione e questo - e non l'accertamento giudiziale - è la fattispecie costitutiva dello status (cfr., tra le altre, Cass., n. 22506/2010; Cass., n. 26575/2007; Cass., n. 15756/2006; Cass., n. 15100/2003; Cass., n. 7386/2003; Cass., n. 8042/1998). In definitiva, come sostenuto anche in dottrina, il rapporto di filiazione scaturisce dal fatto stesso della procreazione, sicché la dichiarazione giudiziale di paternità rappresenta solo un accertamento dello status di figlio, attributivo della titolarità formale di un preesistente rapporto di filiazione. Tanto premesso, quanto al contributo paterno al mantenimento del figlio, il Tribunale ritiene di non poter accogliere la domanda avanzata dall'attore, difettando il presupposto della non autosufficienza economica del figlio maggiorenne. La più recente giurisprudenza della Suprema Corte - condivisa dal Tribunale - ha affermato, infatti, che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. Più precisamente, secondo la Corte di Cassazione, l'obbligo di mantenimento legale della prole cessa con la maggiore età del figlio in concomitanza all'acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione; in seguito ad essa, l'obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, ed è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Raggiunta la maggiore età, infatti, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore (Cass., ord. 14 agosto 2020, n. 17183, id., 2020, I, 2628). Ciò detto, ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustifichino il suddetto obbligo, il quale non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni (vedi Cass. civ. 18076/14, 5088/18). Nel caso di specie, può certamente considerarsi ormai raggiunta l'autosufficienza economica da parte del figlio M., il quale - come dichiarato dallo stesso e come desumibile dal certificato occupazionale in atti (seppure risalente al 2.05.2018) - ha sempre svolto lavori di vario genere, seppur saltuari e precari (bracciante agricolo, giardiniere, muratore, elettricista, idraulico, commesso ecc.), adeguati al titolo di studio, dimostrando capacità di inserimento nel mondo del lavoro ed elasticità nel reperire tali impieghi. Deve, infatti, rilevarsi che l'attore, oggi ventisettenne, ha abbandonato gli studi dopo aver conseguito il titolo di scuola media inferiore, essendosi rivelate fallimentari le successive esperienze scolastiche (istituto professionale e scuola alberghiera). Ebbene, considerata l'età dell'attore, gli elementi valorizzati (il titolo di studio e la circostanza che il figlio abbia sempre svolto numerosi e variegati lavori, seppur saltuari, adeguati al suo percorso formativo) non consentono più di considerare legittima la pretesa al mantenimento da parte del proprio genitore. All'uopo, la Cassazione ha precisato che occorre presumere l'autosufficienza nel maggiorenne, salvo che questi fornisca prova contraria, ovvero provi di aver intrapreso un percorso di studi da portare a termine ovvero dia prova concreta di aver cercato opportunità lavorative che, in mancanza di una specifica professionalità, devono essere ricercate in settori di diverso genere e tipo. Sul punto, si richiama nuovamente Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020, n. 17183: "L'onere della prova delle condizioni che fondano il dritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro" ed anche Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2020, n. 29779 con cui si è statuito che: "Il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato fattivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni". I predetti orientamenti sono confortati altresì dalla giurisprudenza europea della CGUE. Dato atto di tanto, il collegio ritiene che non sussistano i presupposti per poter pretendere dal genitore un mantenimento, dovendosi la prole a queste condizioni definitivamente emancipare, all'uopo fronteggiando il mercato del lavoro (vi siano o non vi siano opportunità nel settore del campo di studi prescelto). La circostanza che il figlio non abbia una occupazione lavorativa stabile non giustifica la pretesa, considerato che le varie occasioni lavorative comunque trovate dall'attore (seppur non aventi carattere di stabilità) sono adeguate ed in linea con il titolo di studio. Inoltre, deve opportunamente valutarsi anche la circostanza che l'attore abbia già una figlia e che abbia rinunciato al patrocinio a spese dello Stato, per sopravvenuta insussistenza dei presupposti e condizioni per il beneficio a partire dal 2020, ciò denotando la sussistenza di una complessiva situazione reddituale familiare maggiormente favorevole rispetto al momento dell'introduzione del giudizio (seppure taciuta nei suoi dettagli dalla parte) Tanto impone il rigetto della domanda di mantenimento. Risarcimento del danno. Reputa il Collegio che la domanda, non essendo provata, non merita di essere accolta. Va ricordato, in punto di diritto, come l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sorge dalla nascita e discende dal mero fatto della generazione. È infatti orientamento costante che la sentenza dichiarativa della filiazione produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione, incluso quello del mantenimento ai sensi dell'art. 148 c.c. (Cass. 11 luglio 2006, n. 15756; Cass., 14 maggio 2003, n. 7386). Tale preciso obbligo direttamente desumibile dal sistema di protezione della filiazione stabilito nell'art. 30 Cost., commi 1 e 2, non viene meno quando il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, essendo sorto sin dalla nascita nei confronti di entrambi i genitori. La statuizione giudiziale relativa alla dichiarazione di paternità o maternità è, conseguentemente, del tutto ininfluente rispetto alla natura e alla nascita dell'obbligo sopradescritto, ne' assume alcun rilievo, neanche ai fini della decorrenza temporale del diritto, la formulazione della domanda rivolta al riconoscimento dello status. Il diritto del figlio ad essere educato e mantenuto (artt. 147 e 148 c.c.) è, in conclusione, eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione (Cass. N. 26205 del 2013; n. 5562 del 2012). Nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, fonte integratrice dello statuto dei diritti fondamentali di rango costituzionale delle persone, è specificamente contenuto, al comma 3, il diritto per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere nonché quello d'intrattenere relazioni e contatti diretti con i propri genitori. La privazione di entrambi gli elementi fondanti il nucleo dei doveri di solidarietà del rapporto di filiazione costituisce una grave violazione dell'obbligo costituzionale (nel senso rafforzato dall'integrazione con la fonte costituzionale costituita dal diritto dell'Unione europea e dalla Convenzione di New York del 20.11.89 ratificata con L. n. 176 del 1991, sui diritti del fanciullo) sopra delineato. Si determina, pertanto, un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 c.c., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Nella pronuncia della Suprema Corte n. 5652 del 2012, i giudici di legittimità, oltre ad aver ribadito il principio secondo il quale gli obblighi contenuti negli artt. 147 e 148 c.c., di diretta derivazione costituzionale, sorgono per il mero fatto della nascita, ha specificamente affermato che "La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 cod. civ. esercitatile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità". Il presupposto della responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è individuato nella predetta pronuncia nella consapevolezza del concepimento. La consapevolezza non s'identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d'indizi univoci, tra cui primario rilievo assume la consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento. In sostanza, deve andare esente da responsabilità, per carenza dell'elemento soggettivo, il genitore che, incolpevolmente o per fatto impeditivo altrui, non sia stato posto in grado di fare fronte ai suoi doveri materiali e morali nei confronti del figlio naturale, anche considerato che all'intrattenimento di rapporti sessuali anche non protetti non consegue in automatico l'insorgere della gravidanza. Il comportamento umano colposo in grado di cagionare al figlio un danno ingiusto (cioè l'essere stato privato dell'assistenza morale e materiale) non può quindi coincidere sic et simpliciter con la consumazione di rapporti sessuali non protetti (dai quali consegue - rectius, può conseguire - il concepimento, che non rappresenta l'evento dannoso per il figlio) ma con l'aver trascurato di verificare l'effettiva sussistenza del legame biologico del nascituro, in presenza di elementi univoci che attestino la conoscenza della gravidanza o della nascita, da cui sia derivata la cosciente violazione degli obblighi di mantenimento, educazione e istruzione. Come noto, il vaglio relativo alla colpevolezza del fatto ingiusto, è del tutto preliminare rispetto alla valutazione dei c.d. danni-conseguenza, ossia le conseguenze pregiudizievoli di natura patrimoniale o non patrimoniale, risarcibili. Nel caso di specie, dagli atti processuali, non emerge la prova della consapevolezza della procreazione in capo al convenuto e, dunque, del necessario elemento soggettivo dell'illecito civile, costituito dal mancato riconoscimento del figlio biologico e dalla causazione di un danno ingiusto identificabile con la privazione del rapporto genitoriale. La consumazione di rapporti sessuali non è, infatti, di per sé sufficiente a fondare una consapevolezza rilevante ex art. 2043: la Suprema Corte ha recentemente chiarito che "in tema di danno per mancato riconoscimento di paternità, l'illecito endo-familiare attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio, presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, presuppone comunque la maturata conoscenza dell'avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio" (Cass. Civ. ord. 22496/2021). A ben vedere, l'attore (su cui incombe l'onere probatorio) non ha fornito la prova che, con rilevante grado di probabilità, il convenuto avesse maturato una conoscenza del rapporto di paternità e, anzi, le vicende storiche emerse dall'istruttoria depongono in senso opposto e inducono a ritenere, quantomeno, che il M. possa aver nutrito profondi e fondati dubbi sul legame biologico con il figlio. Deve preliminarmente osservarsi che l'attore nasceva in costanza di matrimonio tra la madre M.A.P. e D.V.G., in data 18.01.1995. Del matrimonio tra le parti, dopo la separazione pronunciata dal Tribunale di Trani con decreto del 05.08.1997, veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili con sentenza n. 176 emessa dal Tribunale di Trani il 03.07.2001. Soltanto con sentenza n. 860 del 14.06.2016 il Tribunale di Trani accoglieva la domanda di disconoscimento della paternità proposta dall'odierno attore nei confronti di D.V.G.. In particolare, M.M. deduce di aver appreso della non paternità del D.V. quando ancora pre-adolescente, allorquando tale situazione veniva portata a conoscenza degli operatori del consultorio familiare di B., ai quali la madre si rivolgeva. Da quel momento, l'attore dichiara di aver cercato per lungo tempo di intessere rapporti con l'allora presunto padre biologico, M.A.. Ebbene, così precisati i fatti storici, si impone il rigetto della domanda di risarcimento danni. Sul danno patrimoniale, la domanda come formulata è del tutto generica e non risulta alcuna allegazione specifica. Sul danno non patrimoniale, sulla scorta della giurisprudenza prima richiamata, come già accennato, difetta l'elemento soggettivo richiesto dalla struttura dell'illecito aquiliano. Ed infatti, non è provato che il convenuto abbia avuto conoscenza della sua paternità o che, comunque, vi fossero elementi oggettivi ed univoci che deponessero in tal senso. Tanto è confermato, infatti, dalle seguenti circostanze: - la nascita dell'attore in costanza di matrimonio; - la crisi matrimoniale tra la madre dell'attore e l'allora padre legittimo, insorta solo dopo la nascita di M.M.; - se, da un lato, l'attore ha a più riprese tentato di avvicinare il padre e di convincerlo della paternità, così come ha fatto sua madre, dall'altro trattasi di figlio nato nel corso del matrimonio, riconosciuto legalmente dal marito della madre, rispetto al quale sia nel giudizio di separazione che in quello di divorzio (nel 1997 e nel 2001) il padre legale non aveva avanzato opposizioni ed anzi, riconoscendosi implicitamente quale genitore, si impegnava al mantenimento e ad osservare il diritto di visita del presunto figlio; - inoltre, nel giudizio di disconoscimento per primo intentato, il D.V. si opponeva alla domanda, sostenendo di essere il padre di M. e negando la paternità del M.; - nel secondo giudizio di disconoscimento, conclusosi con accertamenti meramente indiziari e senza analisi ematologiche, il padre legale non si è costituito; - la sentenza di cui al giudizio di disconoscimento è passata in giudicato il 29/9/2017, circa tre settimane prima dell'iscrizione a ruolo del presente giudizio. Per tutti i motivi esposti, si può ragionevolmente ritenere che non ci fosse quel grado di consapevolezza utile a riconoscere un atteggiamento doloso o colposo dell'odierno convenuto. Non vi sono elementi oggettivi - ma solo soggettivi, legati alla convinzione dell'attore e di sua madre che vi fosse un legame biologico - che potessero deporre per la paternità, anzi plurimi, seri e concordanti elementi oggettivi vi erano in senso contrario. A fronte delle contestazioni del convenuto, l'attore non ha dunque fornito la prova dell'elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità civile ascritta. Sulle spese di lite. Tenuto conto delle ragioni della decisione e della reciproca soccombenza, va disposta la compensazione integrale delle spese di lite, comprensive di quelle di c.t.u. Alla liquidazione del compenso spettante al procuratore della parte attrice, ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, si è provveduto con separato decreto di pagamento ex art. 83 D.P.R. n. 115 del 2002, sussistendone i presupposti di legge, su istanza dell'interessato, giusta ammissione Delib. del COA n. 4 del 24 febbraio 2017. Si precisa che l'attore ha dichiarato di rinunciare al patrocinio a spese dello Stato a partire dall'anno 2020 con nota del 14-27.10.2020 e, pertanto, si è provveduto alla liquidazione del compenso a carico dello Stato per le sole fasi di studio, introduttiva e istruttoria (quest'ultima liquidata al 50%, essendo tale fase terminata dopo il 2020 e, dunque, quando l'attore non beneficiava più del patrocinio a spese dello Stato). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella controversia civile come innanzi proposta tra le parti, così provvede: - D.M.A., nato a T. il (...), padre biologico di M.M., nato a B. il (...); - Dispone che M.M. aggiunga il cognome paterno a quello materno, posponendolo a quest'ultimo; - Rigetta la domanda di mantenimento del figlio; - Rigetta la domanda risarcitoria; - Compensa integralmente le spese di lite, comprese quelle di c.t.u.; - Ordina che la presente sentenza sia annotata sull'atto di nascita di M.M., a cura del competente Ufficiale di Stato Civile. Conclusione Così deciso in Foggia nella camera di consiglio del 19 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica ed in persona del Giudice Dott. Alessandro Emanuele Lenoci, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4609 dell'anno 2014 del Registro Generale Affari Contenziosi, promosso da (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), rappresentate e difese dall'Avv. A.De., presso il cui studio legale, sito in Bari, eleggono domicilio ATTRICI contro (...) S.p.A. (P. IVA (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. R.Bo., elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell'Avv. V.Vi., sito in Foggia CONVENUTA All'udienza del 7.4.2022, sulle conclusioni dei procuratori delle parti depositate telematicamente ai sensi dell'art. 221 d.l. n. 34/2020, la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, le sorelle (...) e (...) - premesso di essere proprietarie dell'immobile sito in Cerignola alla via (...) n. 5 e che, il giorno 22.05.2013, alcuni tecnici incaricati da (...) S.p.A. installavano all'interno della loro proprietà dei cavi e delle condutture a servizio dell'intero vicinato, senza il consenso delle attrici ed in assenza di un eventuale atto amministrativo di tipo ablatorio - deducendo l'inesistenza di una servitù di passaggio dei cavi e dei fili in favore della convenuta, nonché di aver patito un danno a seguito della condotta illecita tenuta dalla convenuta medesima, agivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia, affinché, previo accertamento dell'insussistenza di una servitù in favore di (...) S.p.A. quest'ultima venisse condanna al ripristino dello status quo ante ed alla cessazione di ogni turbativa, nonché al risarcimento del danno, quantificato in Euro 50.000,00. Si costituiva in giudizio (...) S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, la quale, eccepita in via preliminare l'improponibilità dell'azione per non avere le attrici preventivamente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dagli artt. 2 e 3 della delibera AGCOM n. 173 del 19.04.2007, ritenuto, nel merito, che la domanda ex adverso articolata fosse infondata, ne chiedeva il rigetto. Istruita la causa con prove testimoniale e c.t.u., il procedimento veniva rinviato per la precisazione delle conclusioni. Indi, disposta la trattazione del procedimento mediante lo scambio ed il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, ai sensi dell'art. 221 d.l. n. 34/2020, il Tribunale, all'udienza del 7.04.2022, sulle conclusioni dei procuratori delle parti depositate telematicamente, tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE L'esame delle questioni sorte nel contraddittorio delle parti deve procedere secondo l'ordine logico-giuridico. Viene, dunque, innanzitutto in rilievo l'eccezione di improbonibilità - rectius di improcedibilità - della domanda, ai sensi degli artt. 2 e 3 della delibera AGCOM n. 173/07/CONS del 19.04.2007, sollevata dalla convenuta. L'eccezione è infondata e viene rigettata. Come si evince, infatti, dalla lettera degli agli artt. 2 e 3 citati - i quali prevedono che, per le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia esperito il tentativo di conciliazione dinanzi al Co.Re.Com - l'improcedibilità della domanda attiene alle sole controversie concernenti il rapporto negoziale tra l'utente finale e l'operatore del settore delle telecomunicazioni. Sicché, avendo nella specie le attrici poste a base dell'azione, non già la lesione del rapporto contrattuale, dalle stesse eventualmente instaurato con (...) S.p.A. ma la violazione del diritto di proprietà, loro vantato sull'immobile oggetto di causa e la contestazione della sussistenza di una c.d. "servitù di passaggio con appoggio" in favore della convenuta, deve escludersi che la controversia de qua rientri nell'alveo applicativo dei citati artt. 2 e 3. Di talché, l'eccezione di improcedibilità sollevata da (...) S.p.A. deve essere disattesa. Tanto premesso, deve poi dichiararsi l'inammissibilità, per tardività, della domanda di condanna della convenuta alla rimozione - per asserita violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni - della centralina installata al di fuori della proprietà delle (...), avendo a ben vedere le attrici articolato detta azione solo in sede di memorie istruttorie ex art. 183, comma 6, n. 1) c.p.c.. In particolare, deve escludersi che la predetta azione costituisca una mera modifica della domanda proposta dalle attrici in citazione, la stessa non ponendosi in termini di alternatività con la domanda inizialmente introdotta, ma aggiungendosi a quest'ultima alla stregua di una domanda nuova, come tale inammissibile. In altri termini, deve trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio giuridico più volte affermato dalla Suprema Corte, secondo cui "l'introduzione di una domanda in aggiunta a quella originaria costituisce domanda "nuova", come tale implicitamente vietata dall'art. 183 c.p.c., atteso che il confine tra quest'ultima e la domanda "modificata" - che, invece, è espressamente ammessa nei limiti dell'udienza e delle memorie previste dalla norma citata - va identificato nell'unitarietà della domanda, nel senso che deve trattarsi della stessa domanda iniziale modificata, eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali, o di una domanda diversa che, comunque, non si aggiunga alla prima ma la sostituisca, ponendosi, pertanto, rispetto a quella, in un rapporto di alternatività" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 26/06/2018, n. 16807; nonché, negli stessi termini, Cass. Civ., Sez. Un. 15/06/2015, n. 12310 e Cass. Civ., Sez. II, 24/04/2019, n. 11226, la quale, in caso analogo a quello oggetto del presente procedimento, ha affermato che "la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa ("petitum" e "causa petendi"), purché la domanda così modificata sia comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e non si aggiunga a quella iniziale, ma la sostituisca e si ponga, dunque, rispetto ad essa, in rapporto di alternatività. Pertanto, la domanda finalizzata ad ottenere il rispetto delle distanze tra costruzioni ex art. 873 c.c., che si aggiunga a quella inizialmente proposta per assicurare il rispetto delle distanze legali dalle vedute ex art. 907 c.c., è da considerare nuova e, quindi, inammissibile, stante il diverso scopo perseguito dai due istituti, senza che rilevi la natura autodeterminata dei diritti coinvolti poiché dette azioni non riguardano l'accertamento del diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento, postulando, al contrario, che questi non siano controversi"). Nel merito, la domanda è fondata e viene accolta per quanto di ragione. Le attrici hanno, invero, in primo luogo dimostrato di essere proprietarie del giardino presso cui i tecnici incaricati da (...) S.p.A. avrebbero installato i cavi oggetto del contendere, avendo le stesse versato in atti l'atto pubblico di donazione del 18.04.2004, da cui si evince che la proprietà delle donatarie (...) e (...) comprendesse anche il cortile sito al pianterreno dell'immobile, del pari oggetto di donazione in loro favore, sito in Cerignola alla via (...) n. 5. È, poi, risultato incontestato tra le parti che nel maggio 2013 i tecnici incaricati da (...) S.p.A. in assenza di esplicito consento da parte delle sorelle (...), nonché in assenza di un eventuale provvedimento amministrativo di tipo autorizzativo/ablatorio, procedevano ad installare nell'aiuola facente parte della proprietà delle attrici, nonché su parte della facciata dell'edificio di loro proprietà, dei cavi coperti da condutture destinate a servire non solo l'immobile delle (...) ma "tutto il vicinato". Ebbene, ritiene il Tribunale che detta condotta della convenuta sia illegittima, avendo (...) S.p.A. di fatto imposto alle attrici un peso sul diritto di proprietà dalle stesse vantato, in assenza dei presupposti di legge. La fattispecie in esame è, invero, regolata dal D.Lgs. n. 259/2003, il quale, nella versione vigente ratione temporis al momento del fatto, distingue le ipotesi in cui, per la realizzazione degli impianti delle reti di comunicazione, non sia necessario il consenso del proprietario del bene sul quale l'operatore intenda realizzare detti impianti, dai casi in cui l'operatore commerciale debba munirsi di preventivo consenso del proprietario, ovvero, in mancanza, di un provvedimento ablatorio. In particolare, le prime sono disciplinate dall'art. 91 del D.Lgs. n. 259/2003 il quale, ai commi 1 e 2, prevede, rispettivamente, che "i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto" e che "il proprietario od il condominio non può opporsi all'appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto, nell'immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini". La predetta norma stabilisce dunque che non è richiesto il consenso del proprietario sia quando si tratti di fili o cavi aerei, a condizione che gli stessi non siano antistanti a facciate con finestre o ad altre aperture (1 co.), sia quando i fili o i cavi, pur con appoggio, siano funzionali alla propria utenza privata (2 co.); infatti, in questa seconda ipotesi il legislatore puntualizza che deve trattarsi di rete atta a soddisfare V"utenza degli inquilini o dei condomini". Le seconde ipotesi sono, invece, regolate dal successivo art. 92 del D.Lgs. n. 259/2003, il quale prevede che "fuori dei casi previsti dall'articolo 91, le servitù occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, cavi ed impianti connessi alle opere considerate dall'articolo 90 (ossia gli impianti di telecomunicazione aventi natura di pubblica utilità) sul suolo, nel sottosuolo o sull'area soprastante, sono imposte, in mancanza del consenso del proprietario ed anche se costituite su beni demaniali, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e della legge 1 agosto 2002, n. 166". Dunque, nei casi in cui l'opera da realizzare consista nell'apposizione di fili o cavi con appoggio, afferenti a reti atte a soddisfare una utenza anche diversa da quella del proprietario, è necessario, ai fini dell'imposizione del predetto peso sul fondo del privato, il consenso di quest'ultimo, ovvero, in mancanza, l'adozione di un provvedimento amministrativo di tipo ablatorio. In questo senso si è, inoltre, espressa la Suprema Corte, la quale ha anche di recente precisato che sia "necessaria l'adozione di un provvedimento ablatorio, impositivo di una vera e propria servitù ove il passaggio sia previsto con appoggio di fili, cavi ed impianti connessi alle opere di cui all'art. 231 o quando i cavi senza appoggio sia posti in corrispondenza di un lato dell'edificio ove sono collocate aperture (Cass. s.u. 571/1991; Cass. 15683/2006), ovvero se quelli in appoggio non servano solo alle utenze del proprietario del fondo su cui essi insistono (Cass. 12245/1998; Cass. 12469/1998; Cass. 12470/1998; Cass. 124681998; Cass. 12467/1998; Cass. 2505/1998; Cass. 4517/2021). Di conseguenza, il proprietario ha l'obbligo di concedere gratuitamente il passaggio e l'appoggio, sul proprio fondo, delle condutture telefoniche necessarie a collegare il suo apparecchio telefonico (ed oggi anche per l'adeguamento tecnologico della rete volti al miglioramento della connessione e dell'efficienza energetica), mentre detto obbligo non sussiste (e compete al titolare una giusta indennità) quando il passaggio e l'appoggio siano destinati a 21 collegare anche apparecchi telefonici di terzi proprietari o inquilini di immobili vicini e risulti che l'essere le condutture telefoniche anche al servizio di altri, oltreché del proprietario del fondo attraverso cui passano, comporti per lui un sacrificio economicamente apprezzabile (Cass. 241/1988)" (così Cass. Civ., Sez. II, 12/01/2022, n. 788). In relazione a tale ultima ipotesi, in particolare, i giudici di legittimità, hanno in modo condivisibile, ritenuto che "la cd. servitù telefonica di "passaggio con appoggio", sull'altrui fondo, di fili e simili non costituisca una servitù in senso tecnico (per mancanza del requisito della predialità e quindi dell'esistenza di un fondo dominante), ma "un diritto reale di uso "rientrante "tra i pesi di diritto pubblico di natura reale gravanti su beni"" (Cass. Civ., Sez. II, 12/01/2022, n. 788, cit.). Ebbene, tanto premesso in punto di diritto, posto che nel caso di specie i cavi e la conduttura realizzata dalla convenuta serva non solo l'immobile delle attrici ma l'intero vicinato e dunque anche terze persone, avendo (...) S.p.A. eseguito l'opera in assenza del consenso delle proprietarie dell'immobile gravato dai lavori, nonché in assenza di un provvedimento amministrativo ablatorio, deve ritenersi che il peso dalla stessa imposto alle (...) sia illegittimo. Di talché, (...) S.p.A. deve essere condannata all'immediato ripristino dello status quo ante, mediante la rimozione dei cavi, dei fili e delle condutture (come rappresentate nel materiale fotografico allegato alla ctu), dalla stessa realizzate sulla facciata esterna dell'edificio e nell'aiuola, posta nel giardino ad esso antistante, di proprietà delle attrici, entrambi siti in Cerignola alla via (...) n. 3. La domanda risarcitoria è, invece, infondata e viene rigettata. Come è noto, infatti, chi agisce in giudizio a titolo di risarcimento del danno è tenuto ad adeguatamente comprovare e, prima ancora, a compiutamente allegare i fatti sottesi alla propria pretesa, dovendo, in particolare, lo stesso specificare, in uno alla condotta ritenuta lesiva ed al nesso di causalità tra questa ed il danno-evento, l'ubi consistam del danno-conseguenza, ovvero le voci di danno subite ed i parametri da utilizzare per quantificare il pregiudizio. In particolare, come precisato dai giudici di legittimità, la parte che agisca in giudizio a titolo di risarcimento del danno "non ha certamente l'onere di designare con un preciso nomen iuris il danno di cui chiede il risarcimento; ne ha l'onere di quantificarlo al centesimo" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 30/06/2015, n. 13328), ma ha "invece il dovere di indicare analiticamente e con rigore i fatti materiali che assume essere stati fonte di danno. E dunque in cosa è consistito il pregiudizio non patrimoniale; in cosa è consistito il pregiudizio patrimoniale; con quali criteri di calcolo dovrà essere computato" (Cass. Civ., Sez. III, 30/06/2015, n. 13328, cit.), pena l'infondatezza dell'azione stessa (Trib. Bari, 21/10/2015). Ebbene, tanto assodato in punto di diritto, non avendo nel caso di specie le (...) puntualmente allegato l'ubi consistam del danno lamentato, né specificato se la somma dalle stesse a tale titolo pretesa attenga al danno emergente e/o al lucro cessante e né indicato i parametri cui ancorare il dedotto pregiudizio, la domanda di risarcimento del danno in parte qua proposta deve essere rigettata, perché infondata. Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014, con applicazione dei parametri minimi, attesa la non particolare complessità delle questioni giuridiche affrontate, tenuto conto che la presente controversia rientra nello scaglione delle cause di valore indeterminabile di complessità bassa. La sostanziale soccombenza reciproca delle parti determina la compensazione integrale delle spese processuali dalle stesse parti sostenute. Le spese di ctu, come liquidate in corso di causa, sono invece poste definitivamente a carico della convenuta condannata al ripristino dello status quo ante. P.Q.M. Il Giudice Unico del Tribunale di Foggia, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) e (...), con atto di citazione regolarmente notificato, nei confronti di (...) S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, così provvede: 1. Dichiara inammissibile la domanda di rimozione della centralina installata da (...) S.p.A. articolata dalle attrici in sede di memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, n. 1) c.p.c.; 2. Accoglie, per quanto di ragione, la domanda introduttiva e, per l'effetto, accertata l'insussistenza di una servitù "telefonica di passaggio con appoggio" in favore di (...) S.p.A. sul fondo delle attrici, condanna la convenuta all'immediato ripristino dello status quo ante, mediante la rimozione dei cavi, dei fili e delle condutture (come rappresentate nel materiale fotografico allegato alla ctu), dalla stessa realizzate sulla facciata esterna dell'edificio e nell'aiuola ad esso antistante, di proprietà delle attrici, siti in Cerignola alla via (...) n. 3; 3. Rigetta per il resto la domanda attorea; 4. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali dalle stesse sostenute; 5. Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di ctu, come liquidate in corso di causa. Così deciso in Foggia il 20 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Maria Elena de Tura ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2384/2013, promossa da: (...), in nome e per conto di (...), e (...), elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. Ro.Ro. dal quale sono rappresentati e difesi; - ATTORI - CONTRO (...) e (...) - CONVENUTI IN CONTUMACIA - OGGETTO: Usucapione. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69 del 2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con atto di citazione del 17.05.2013 gli attori in atti generalizzati adivano l'intestato Tribunale al fine di sentir pronunciare, in proprio favore, sentenza dichiarativa dell'acquisto a titolo originario per possesso ultraventennale del terreno sito nel Comune di F. a via (...), località "(...)" contraddistinto al Catasto Terreni al foglio (...) alla particella (...), intestato a (...). Esponevano al riguardo: - che con distinti atti di compravendita sottoscritti tra l'anno 1972 e il 1981, il genitore (...) avesse acquistato dalla dante causa, (...), la proprietà di terreni agricoli dappoi frazionati e diversamente accatastati; - che i terreni fossero quindi entrati nel patrimonio dei germani (...) per successione nell'eredità paterna (apertasi in data 28.10.2010) e accettazione della donazione materna avente a oggetto i diritti successori dalla stessa acquisiti in qualità di coniuge del de cuius; - che successivamente i germani avessero provveduto a sciogliere volontariamente la comunione determinatasi sui beni de quibus. Riferivano quindi di aver posseduto per un tempo utile al maturare della usucapione, in via esclusiva, uti domini, in maniera non clandestina, pacifica, continua e ininterrotta altresì il terreno - confinante con gli altri in proprietà - come detto censito al catasto al foglio (...) particella (...) risultato, all'apertura della eredità paterna, formalmente intestato a (...) ed erroneamente ritenuto, dagli attori medesimi, già acquistato. Concludevano, pertanto, affinché il Tribunale provvedesse a: "A) Accertare e dichiarare ai sensi dell'art. 1158 c.c. che gli attori, in virtù del possesso pubblico, pacifico e continuato per oltre venti anni, sono proprietari per intervenuta usucapione del seguente terreno sito in F., alla Via (...) - località "(...)": - Terreno di consistenza di Ha 00.06.76, pasc. di 1°, censito in catasto al foglio (...), part.lla (...); B) Ordinare al competente Conservatore dei R.R. I.I. di trascrivere ed annotare l'emananda sentenza senza sua responsabilità e disponendo ogni altra attività utile come mezzo al fine. C) Con condanna dei Sigg.ri (...) e (...) convenuti, in caso di opposizione, al pagamento delle spese, diritti e competenze di giudizio, con distrazione in favore del sottoscritto difensore antistatario.". Nessuno dei citati convenuti, nella dedotta qualità di eredi di (...), si costituiva nel procedimento motivo per il quale il G.U., all'udienza di prima comparizione e trattazione del 28 ottobre 2013, verificata la regolarità della notifica, ne dichiarava la contumacia e assegnava termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c.. Istruita e ritenuta matura per la decisione, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni, da ultimo, all'udienza del 4 aprile 2022, allorquando era trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. I. La domanda è fondata e merita accoglimento per le seguenti ragioni. Ai sensi dell'art. 1158 c.c. "La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni". Il possesso, ai sensi dell'art. 1140 c.c., è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Gli elementi costitutivi del possesso sono individuati dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti nell'animus possidendi (consistente nella volontà di esercitare sulla cosa una signoria corrispondente alla proprietà o ad altro diritto reale) e nel corpus possessionis (consistente in un contegno del possessore idoneo ad assoggettare la cosa alla propria signoria). In tal senso è costante l'orientamento formatosi in giurisprudenza di merito e legittimità secondo cui "(...) in giurisprudenza è il principio che chi agisce in giudizio per ottenere di essere dichiarato proprietario di un bene affermando di averlo usucapito deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e quindi non solo del corpus, ma anche dell'animus; solo la sussistenza di un corpus, accompagnata dall'animus possidendi, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, che si protrae per il tempo previsto per il maturarsi dell'usucapione, raffigura il fatto cui la legge riconduce l'acquisto del diritto di proprietà (fra le altre Cass. Civ., Sez. II, 26 aprile 2011, n. 9325; Cass. Civ., Sez. II, 11 giugno 2010, n. 14092).". Ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all'esercizio del relativo diritto manifestando - con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura - un comportamento rivelatore anche all'esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all'inerzia del titolare (cfr. Cassazione civile sez. II, 22/04/1992, n.4807 "l'acquisto della proprietà per usucapione dei beni immobili ha per fondamento una situazione di fatto caratterizzata dal mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisce a lui nell'utilizzazione di essa"). Ai fini dell'usucapione ordinaria, dunque, è richiesto un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto, non equivoco, accompagnato dall'animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario, il quale si astenga dall'esercitare le sue potestà e non reagisca al potere di fatto esercitato dal possessore. Quando è dimostrato il potere di fatto, pubblico e indisturbato, esercitato sulla cosa per il tempo necessario a usucapirla, ne deriva, a norma dell'art. 1141, primo comma, cod. civ., la presunzione che esso integri il possesso; per conseguenza, incombe alla parte, che invece correla detto potere alla detenzione, provare il suo assunto, in mancanza dovendosi ritenere l'esistenza della prova della "possessio ad usucapionem" (Cass. 26984/2013). Ebbene, nel caso di specie, alla luce del complessivo compendio probatorio, possono ritenersi soddisfatti tutti i requisiti previsti ex lege, atteso che parte attrice ha fornito prova del possesso, anche per successione nel possesso del de cuius (...) (art. 1146 c.c.), uti dominus continuativo, pacifico, pubblico, non equivoco del terreno oggetto di controversia per il tempo necessario ad usucapirne il diritto dominicale. Infatti, il possesso ultraventennale esercitato sul terreno sito in F. alla via (...), località (...), al catasto al foglio (...), particella (...) non è contestato dai contumaci convenuti, i quali non solo non si sono costituiti così palesando la mancanza di interesse ad opporsi alla avversa pretesa, ma anche: a) con dichiarazioni del 21.10.2013, riconoscevano, in favore degli attori, la piena proprietà per intervenuta usucapione del terreno in controversia (cfr. docc. nn. 4 e 5 memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2 c.p.c.); b) pur a seguito della notifica delle ordinanze ammissive l'interrogatorio formale, senza motivo, non si presentavano dinanzi l'intestata Autorità per rispondere sui fatti dedotti nell'interrogatorio formale loro deferito alle udienze a tal uopo fissate. Ai detti rilievi deve aggiungersi, altresì, quanto emerso all'esito delle concordi e omogenee dichiarazioni testimoniali assunte, che consentono di ritenere raggiunta la prova rigorosa della esistenza di una signoria uti dominus esercitata - corpus et animus - sulla res dapprima da (...) e successivamente dai figli in modo continuativo, pubblico, pacifico e incontestato per il tempo ex lege previsto atteso che il terreno oggetto di causa è da oltre trent'anni dagli stessi utilizzato come bene nella loro proprietà. Le dichiarazioni testimoniali, infatti, hanno collocato temporalmente le condotte possessorie dando atto del possesso uti dominus del terreno in oggetto da oltre trenta anni e indicando quelle rivelatrici dell'attività "corrispondente all'esercizio della proprietà" poste in essere - con animus rem sibi habendi -; condotte volte a delimitare l'accesso a terzi, alla coltivazione e alla manutenzione. E, difatti, escussi all'udienza del 28.09.2015 i testimoni, confermando le circostanze di cui ai capitoli di prova, riferivano: - che il terreno censito al Catasto al Foglio (...), particella (...) e sito in F. a via (...), località (...), era nel possesso indisturbato esclusivo continuativo e pubblico di (...) e successivamente dei figli da oltre trenta anni; - che costoro provvedevano a recintare e a chiudere i terreni, tra i quali quello di causa, apponendo due cancelli atti a impedire l'accesso a terzi (cfr. teste (...) "Il terreno è interamente recintato e vi si accedeva vi si accede attraverso un cancello che viene tenuto chiuso con un lucchetto. ... mi ricordo che il fondo aveva due cancelli, ma io ne ricordo bene solo, quello dal quale entravamo ed uscivamo dal fondo, mentre l'altro stava sempre chiuso."; teste (...) "...Ricordo bene i due cancelli di accesso al fondo, uno dei quali era più grande e veniva utilizzato anche per far accedere i mezzi e uno era più piccolo e portava direttamente alla casa ivi esistente...Confermo che anche che il fondo è sempre stato interamente recintato e l'accesso era possibile solo attraverso i cancelli."); - che il terreno in controversia veniva coltivato, anche con l'ausilio di operai, sin dal 1981 da (...) e, al decesso, dai figli (cfr. teste (...) "...Il terreno è essenzialmente un uliveto. Vi erano anche degli alberi di altra natura ma di numero del tutto contenuto..."; teste (...) "...Il fondo è coltivato essenzialmente ad uliveto, anche se ci sono delle porzioni di esso ove vengono coltivati pomodori ed altro. Per la coltivazione i (...) si facevano aiutare anche da operai esterni. Sul fondo vi è una casa e vi sono anche dei capannoni ove in passato venivano tenuti dei cavalli, poi delle mucche, ad oggi non mi pare che vi siano più animali sul fondo..."); - che sul terreno medesimo, "...(...) prima e successivamente i suoi eredi da oltre trenta anni..." mantengono e curano i terreni e le loro pertinenze (cfr. teste (...) "...Oggi (...) abita nella casa che esiste sul fondo, di cui ho detto."; teste (...) "Confermo che erano i (...) a sostenere le spese per la manutenzione dell'immobile."); - che il possesso del terreno risultava pacifico, pubblico e senza interruzioni (cfr. teste (...) "...Io non ho mai visto alcuno disturbare, molestare in alcun modo gli odierni attori e prima di loro illoro genitore nel possesso del fondo, che era pubblico e pacifico."; teste (...) "...Confermo altresì che non ho mai visto alcuno disturbare il (...) nel possesso del fondo che è stato sempre pubblico e pacifico."; teste (...) "...Confermo altresì che il possesso dei (...) è stato sempre pubblico e pacifico e senza interruzioni."). Sull'attendibilità dei testimoni escussi non vi è ragione di dubitare essendo le dichiarazioni concordanti, omogenee e puntuali nella descrizione dei fatti; né, diversamente, sono emersi elementi significativi tali da porre in dubbio la genuinità delle stesse dichiarazioni in grado di consentire un diverso inquadramento dei fatti. Ciò posto, appare, ora, opportuno ribadire che è pacifico, sia in dottrina che in giurisprudenza, che attraverso l'usucapione, chi ha posseduto un bene per oltre venti anni in modo pacifico e indisturbato può chiedere giudizialmente che venga accertata e dichiarata la proprietà del bene stesso, sempre che dimostri l'aver compiuto, su tale bene, gli atti tipici dei poteri attribuiti dalla legge al proprietario - circostanza che ricorre nel caso di specie- e che il proprietario intestatario, durante il ventennio, si sia disinteressato completamente del proprio bene e non abbia cercato di tornarne in possesso, riprendendolo fisicamente o ad esempio notificando al detentore un atto giudiziale per ottenerne la restituzione mediante l'intervento del giudice -circostanza che del pari ricorre nella controversia in esame. Parte attrice ha provato i fatti costitutivi dell'invocata fattispecie acquisitiva della proprietà di quanto oggetto di domanda, ovvero l'esercizio uti dominus (corpus possessionis e animus possidendi) del potere - protratto per oltre venti anni, tempo richiesto dalla legge, pubblico, pacifico, non equivoco e ininterrotto - sul terreno, in assenza di interferenze o pretese da parte di altri. Deve, pertanto, ritenersi fondata la domanda degli attori e dichiarato l'acquisto a titolo originario del diritto dominicale del terreno sito in F., alla via (...) - località "(...)", di consistenza di Ha 00.06.76, pasc. di 1 censito al catasto al foglio (...), part.lla (...) per maturata usucapione. II. Non si dispone il richiesto ordine di trascrizione né l'esonero da responsabilità del Conservatore in quanto provvedimenti non di competenza di questa Autorità, che non può ordinare un facere alla (...) né esonerare un pubblico funzionario da alcunché, essendo riservata alla valutazione tecnica del Conservatore dei Pubblici Registri Immobiliari la decisione circa la trascrivibilità degli atti, fermi restando i rimedi all'uopo stabiliti dalla legge, in caso di errori. Il Conservatore, in presenza dei presupposti di legge, ha l'obbligo di trascrivere gli atti anche senza l'ordine del giudice e, in caso di rifiuto di procedere alla trascrizione o di trascrizione con riserva, il diritto alla trascrizione è pienamente tutelato dalle procedure previste dalla legge (si vedano gli artt. 2674 e ss. c.c., nonché gli artt. 113 bis e ss. disp. att. c.c. e 745 c.p.c.) (cfr. Cass. n. 16853/2005). È pacifico, inoltre, nella giurisprudenza di legittimità e di merito, che per la trascrizione e l'annotazione delle sentenze non sia necessario un apposito ordine del giudice al Conservatore (Cass. n. 532/1962). Come anticipato, peraltro, non esiste nell'ordinamento una norma che consenta al giudice di esonerare un P.U. dalle responsabilità del suo ufficio. III. Pur nella consapevolezza che la contumacia non è, di per sé, ragione di esonero dalla disciplina di cui all'art. 91 c.p.c., stante la richiesta di condanna dei convenuti al pagamento delle spese, diritti e competenze del giudizio per il caso di opposizione (cfr. atto di citazione del 17.05.2013), nella specie mancata, e la rinuncia attorea alla relativa domanda in tema di spese e competenze di giudizio in quanto non riproposta negli atti conclusivi del procedimento (cfr. da ultimo, note di trattazione scritta di parte depositate in occasione dell'udienza del 4.4.2022), nulla si dispone sulle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e, per l'effetto, dichiara l'intervenuta usucapione in favore di parte attrice del terreno sito in F., alla Via (...) - località (...) - T. di consistenza di Ha 00.06.76, pasc. di 1°, censito in catasto al foglio (...), part.lla (...); - per l'effetto dichiara gli attori, sopra meglio generalizzati, proprietari esclusivi del bene come innanzi descritto; - nulla sulle spese. Così deciso in Foggia il 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Il Giudice del Lavoro, dr.ssa Lilia Maria Ricucci, nella causa iscritta al n. 2564/2017 R. G. Aff. Cont. Lavoro, all'udienza dell'8/06/2022 tenuta ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 221 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 e 1 comma 3 D.L. n. 125 del 7 ottobre 2020, ha pronunciato la seguente sentenza mediante deposito della stessa TRA (...), rappresentato e difeso dagli Avv.ti CA.MA. e DE.VI. per procura speciale in atti ricorrente E INPS, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti DO.LO. e E.SA. per procura generale alle liti in atti resistente OGGETTO: riliquidazione del trattamento pensionistico RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 08.08.2017, (...) esponeva: - di aver lavorato alle dipendenze della società "(...)", presso lo stabilimento di Foggia, impresa tessile poi fallita, con contratto a tempo indeterminato dal 20 luglio 1970 al 30 novembre 1996, con la qualifica e la retribuzione di operaio e con inquadramento al livello 3° CCNL Industria Tessile; di essere stato collocato in mobilità ex art. 4 e 24 L. n. 223 del 1991 dal 14 dicembre 1996 al 30 settembre 2002; -di essere stato collocato in pensione con decorrenza 1.4.2000 cat. VO n. 10060337 nell'importo di Euro. 849,57, lamentando la liquidazione di un importo nettamente inferiore a quello spettante in considerazione delle retribuzioni pensionabili riportate nella comunicazione certificativa del conto assicurativo non avendo l'Inps tenuto conto della retribuzione figurativa di 13esima e 14esima mensilità su mobilità; rivendicando un maggior rateo di pensione come da dettagliato di calcolo allegato al ricorso; così concludeva: "1. Accertare e dichiarare il diritto alla rideterminazione dell'importo mensile della pensione ... in Euro 921,53 alla data dell'1.4.2000 per effetto delle retribuzioni da accreditarsi figurativamente per gli anni 1996,1997 e 1998 nello stesso importo delle retribuzioni sulle quali avrebbe dovuto essere calcolato il trattamento d'integrazione salariale goduto nell'anno 1996, dall'1 gennaio al 7 dicembre 2006, ex art. 8 della L. n. 155 del 1981 e rivalutate secondo gli indici ISTAT del settore di appartenenza ex art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 503 del 1992, oltre agli aumenti annuali dovuti per effetto della perequazione automatica prevista dalla legge; 2. condannare, conseguentemente, l'INPS in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento dell'importo di Euro 19.479,28 corrispondente alle differenze dei ratei di pensione calcolati dall'1 aprile 2000 sino al 31 luglio 2017, oltre interessi nella misura di legge dalla data di maturazione dei singoli ratei mensili sino all'effettivo soddisfo". Vinte le spese di lite. L'INPS si costituiva eccependo la decadenza dall'azione e deducendo l'infondatezza delle avverse pretese, chiedendone il rigetto. Acquisiti gli atti ed i documenti delle parti, disposta ed espletata una CTU contabile, lette le note di trattazione scritta, la causa veniva decisa all'odierna udienza con sentenza contestuale. Il ricorso è meritevole di accoglimento nei limiti che si illustrano. Il Tribunale deve preliminarmente prendere atto che la Corte di Cassazione, mutando il proprio consolidato orientamento, ha stabilito che il termine decadenziale introdotto dall'art. 38 D.L. n. 98 del 2011 si applica anche alle pensioni liquidate prima del 1.6.2011, con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova normativa. Questi gli esatti termini con cui si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 28416 del 14.12.2020 : "5. Con riferimento all'applicabilità del termine di decadenza di cui all'art. 47, come modificato dall'art. 38 citato, va qui ribadito il principio ormai affermatosi ( a partire da ord 2016 n. 7756/2016 e sent. n 29754/2019) secondo cui, in applicazione dei principi e delle ragioni enunciati dalle SU di questa Corte con la sentenza n. 15352/2015 - relativa all'applicazione del termine di decadenza introdotto dal legislatore del 1997 con la L. n. 238 del 1997 solo a decorrere dall'entrata della legge stessa - il termine di decadenza introdotto dall'art. 38 comma 1 lett. d) n. 1) del D.L. n. 98 del 2011, convertito in L. n. 111 del 2011, con riguardo "alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito", decorrente "dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte", trovi applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall'entrata in vigore della citata disposizione (6/7/2011). 6.Come è noto la citata pronuncia delle SU è intervenuta nella materia delle emotrasfusioni ed ha stabilito, con l'art. 1, comma 9 L. n. 238 del 1997, che i soggetti interessati a ottenere l'indennizzo di cui all'art. 1, comma 1, presentino alla U. competente le relative domande, indirizzate al Ministro della sanità, entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post trasfusionali o di 10 anni nei casi di pensioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui ai commi 2 e 3, l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. La norma che ha introdotto il nuovo termine di decadenza è stata interpretata dalle S.U. nel senso che il detto termine decorre dalla entrata in vigore della legge per le ipotesi di epatiti post trasfusionali contratte (e accertate) anteriormente alla sua emanazione. 7. Dalla sentenza sono enucleabili principi validi anche nell'interpretazione della decadenza introdotta dall'art. 42 citato e che inducono a discostarsi dalla precedente giurisprudenza di questa Sezione. In particolare le Sezioni unite hanno esaminato, al pari della fattispecie sottoposta all'esame di questa Corte, un problema di diritto transitorio attinente alla determinazione dell'incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza su una situazione ancora pendente. Con la citata pronuncia, premesso che la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore certamente non può avere effetto retroattivo e cioè non può far considerare maturato, in tutto o in parte, un termine facendolo decorrere prima dell'entrata in vigore della legge che l'abbia istituito, si è affermato, conformemente aì principi generali dell'ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche alle situazioni soggettive già in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento all'entrata in vigore della modifica legislativa. Secondo la citata pronuncia tale soluzione realizza il "bilanciamento di due contrapposte esigenze e cioè, da un lato, quella di garantire l'efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l'introduzione del termine decadenziale, e, dall'altro, quella di tutelare l'interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile (Cass. n. 13355 del 2014). Bilanciamento che deve tener conto della natura dell'interesse del privato da salvaguardare, che ha per oggetto non già una situazione definita - non potendosi configurare, nel caso di specie, un diritto a conservare un termine prescrizionale - bensì un semplice affidamento a fruire del termine prescrizionale per far valere il proprio diritto, affidamento che deve essere tutelato in modo ragionevole ed equilibrato secondo i parametri da tempo precisati dalla Corte costituzionale". 7.In conclusione richiamati gli argomenti esposti nei precedenti citati ed in armonia con la pronuncia delle sezioni unite del 2015 deve concludersi per l'applicabilità dell'art. 42 citato come modificato ..". E' pacifico che la prestazione pensionistica per cui è causa sia stata liquidata con decorrenza 1.4.2000 e poi riliquidata in data 31.3.2009. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato depositato in data 8.8.2017. Quindi, l'Inps coglie nel segno laddove invoca l'applicazione anche al caso di (...) del termine decadenziale di tre anni, abbondantemente decorsi a partire dal 6.7.2011. Devo poi analizzarsi le conseguenze di detta decadenza. Orbene, il Tribunale ritiene di conformarsi ai recenti arresti della giurisprudenza di legittimità e di merito, in base ai quali: "In riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguarda, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale. L'interpretazione che limita ai ratei l'applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni è in linea con i principi affermati in materia dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile,imprescrittibile e non sottoponibile a decadenza, in conformità di principio costituzionalmente garantito che non può comportare deroghe legislative. L'applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all'intera pretesa del privato attua del resto un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l'obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell'integrazione dei ratei ultra triennali rispetto alla domanda giudiziale" (Cassazione civile, sez. lav., 04/01/2022, n. 123); "Con l'art. 38 del D.L. n. 98 del 2011 è stato aggiunto all'art. 47 DPR639/70 il seguente comma: Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte. La preliminare questione oggetto del presente giudizio, concernente l'interpretazione della predetta normativa, che ha introdotto una nuova decadenza nei termini sopra indicati, è stata recentemente risolta, dopo pronunce di diverso segno anche nella stessa giurisprudenza di legittimità, dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 17430 del 17 giugno 2021, ai cui principi il Collegio ritiene di aderire in ossequio alla funzione nomofilattica della S.C. e che possono essere così sintetizzati: il nuovo termine di decadenza introdotto dal legislatore del 2011, decorrente dal riconoscimento parziale, trova applicazione anche con riguardo alle prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall'entrata in vigore della legge introduttiva del nuovo termine; detta decadenza si applica solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale" (Corte appello Roma, sez. II, 11/11/2021, n. 3999); "si rendono doverose le seguenti considerazioni circa l'effetto della decadenza nella materia delle pensioni, effetto che, come di qui a breve si avrà modo di dire, non comporta l'applicazione totalmente estintiva del diritto del titolare del trattamento, poiché verrebbe a determinarsi una inammissibile frizione con l'imprescrittibilità del diritto a pensione. Ed invero, dapprima il Collegio reputa doveroso rammentare di essersi già pronunciato al riguardo e reitera perciò in questa sede le osservazioni compiute nella sentenza n 2429 del 19.12.2019 (est. Presidente dott. (...)), riportando di seguito il passo di interesse : "Bisogna muovere dall'art. 6, 1 comma, D.L. n. 103 del 1991, convertito il L. n. 166 del 1991, che ha trasformato la decadenza da una sanzione di tipo soltanto procedimentale (Cass. 23.1.1989, n. 376; Cass., sez. un., 21.6.1990) a una misura, ben più punitiva, che estingue il diritto e rende inammissibile l'azione: sancito tale forte inasprimento, la norma ha precisato, in modo congruo, che la perdita concerne esclusivamente i "ratei pregressi delle prestazioni previdenziali". L'art. 6, 1 co., D.L. n. 103 del 1991 è esterno alla norma fondamentale, cioè l'art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970, ma ne integra il contenuto e il significato, per cui non è agevole l'osmosi fra le due disposizioni; di sicuro quella aggiuntiva, riferendosi ai trattamenti erogati in rate mensili, si attaglia essenzialmente alle pensioni. L'interpretazione e la sistemazione più complete e coerenti di tale combinato disposto conducono alla conclusione che l'eventuale maturazione della decadenza, sia nel caso di proposizione che in quello di mancata proposizione del ricorso amministrativo, comporta l'estinzione del diritto a tutti i ratei di prestazione maturati anteriormente al decorso del termine di decadenza computato a ritroso dal momento della proposizione della domanda giudiziale, mentre non compromette il diritto ai ratei maturati nel periodo compreso fra tale momento e lo spirare del termine stesso così computato, né, a fortiori, ai ratei successivi Cass. 30.10.2003, n. 16372 (oggetto: pensione di anzianità), dice di un'ipotesi di decadenza "non (...) unitaria, bensì mobile per ciascun rateo". Il criterio è stato confermato da Cass. 21.3.2005, n. 6018 (oggetto: integrazione al minimo di una pensione cat. SO), Cass. 14.2.2008, n. 3761 (oggetto: assegno ordinario di invalidità) e Cass. 9.6.2014, n. 12878 (oggetto: integrazione al minimo di una pensione di reversibilità). La sanzione cancellatoria, se avesse incidenza su tutti i ratei anteriori al giudizio, peccherebbe di eccessivo rigore in danno del pensionato che abbia trascurato di coltivare la sua richiesta, disattesa dall'ente gestore, ancorché a lungo: un assistibile di sicuro incurante (o mal difeso) ma pur sempre bisognoso di un reddito di sostentamento. Per tale incauto avente diritto, al contrario, la decadenza mobile appresta una decurtazione economica congrua ma non troppo punitiva. Nel conflitto fra il principio sovraordinato che rende insopprimibile il diritto a pensione (intangibile nell'an: Corte cost. 26.2.2010, n. 71; "fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile": Corte cost. 22.7.1999, n. 345; "situazione finale ... attinente alla sopravvivenza della persona": Corte cost. 15.7.1985, n. 203) e l'applicazione della decadenza, legittima ma con effetto soltanto su singole mensilità del trattamento (per questo l'art. 6 D.L. n. 103 del 1991 ha "espressamente stabilito che la decadenza ivi prevista determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi" e non "dello stesso diritto a pensione", "costituzionalmente garantito": Corte cost. 246/92), il punto di equilibrio non è appannaggio della pronuncia impugnata. Conclusivamente, si deve escludere che la maturazione della decadenza possa pregiudicare per sempre il diritto dell'assicurato di ricevere, almeno da una certa data, la pensione in sé (nei casi di prestazione negata dall'ente gestore in sede amministrativa) ovvero la pensione nell'ammontare esatto siccome conforme a legge (nell'ipotesi di erogazione del trattamento in misura mensile inferiore al dovuto, che può anche dipendere da un mero errore di calcolo), trattandosi di posizioni soggettive non definitivamente comprimibili, a scanso di una palese violazione dei richiamati principi costituzionali". Si ribadisce pertanto il convincimento già formatosi in Corte per il quale il punto di equilibrio tra l'insopprimibilità costituzionalmente garantita del diritto a pensione e l'applicazione dell'istituto della decadenza va rinvenuto nella c.d. "decadenza mobile", in ossequio alla quale, quindi, per il caso di prestazioni rateali, l'effetto della decadenza non è la perdita dell'intero diritto alla pensione, ma solo la perdita dei singoli ratei maturati anteriormente al decorso del termine computato a ritroso dal momento della proposizione della domanda giudiziale, senza alcuna compromissione di quelli maturati successivamente" (Corte d'Appello di Bari, sent. n. 2031/2021, depositata il 12.1.2022, Cons. rel. Tarantino). Alla luce delle suddette coordinate interpretative, la domanda di (...) deve essere ridotta al riconoscimento degli importi degli importi differenziali di pensione spettanti, a titolo di riliquidazione, dal triennio precedente il deposito del ricorso giudiziale, avvenuto in data 8.08.2017, secondo le risultanze della CTU, immuni da vizi metodologici e non contestate dall'INPS. Ed invero, va rilevato che l'art. 7 comma 9 della L. n. 223 del 1991 ha previsto che i periodi di godimento dell'indennità di mobilità sono riconosciuti d'ufficio utili ai fini del conseguimento del diritto a pensione e ai fini della determinazione della misura della pensione stessa e che per detti periodi il contributo figurativo è calcolato sulla base della retribuzione cui è riferito il trattamento straordinario di integrazione salariale di cui al comma 1 dello stesso articolo. Risulta evidente, sulla base della chiara ed inequivoca lettera normativa, che il legislatore ha fatto riferimento alla nozione di retribuzione globale, già considerata ai fini del calcolo del trattamento di cassa integrazione, anche ai fini del calcolo del contributo figurativo per i periodi di mobilità (cfr. sul punto Sentenza Corte di Appello di Bari n. 1291/2021 pubbl. il 19/07/2021 RG n. 307/2018). Orbene, nella specie, dalle risultanze in atti (modello I.G.STRA/AUT riepilogativo delle retribuzioni percepite durante la mobilità comprensive dei ratei di 13esima e 14esima mensilità) risulta che l'INPS ha considerato un importo inferiore a quello effettivamente dovuto in applicazione del suddetto disposto normativo, così incidendo sulla liquidazione finale dell'importo pensionistico liquidato che deve essere liquidata come indicato nei conteggi in atti e dall'espletamento della CTU, per un importo mensile lordo pari ad Euro 1.257,49 con decorrenza 1.8.2014 e, conseguentemente, dichiarare il diritto dell'istante alla riliquidazione del proprio trattamento pensionistico (...) nell'importo di Euro 1.257,49 alla data dell'1 agosto 2014 ed alla differenza mensile perequabile di Euro 114,67 a tale data, come risulta dalla CTU contabile espletata e non contestata. A tanto va aggiunto che parte ricorrente nel corso del giudizio ha limitato la domanda alle differenze sui ratei del trattamento pensionistico in relazione ai tre anni precedenti la data del deposito del ricorso (08.08.2017) e così ha limitato la domanda al periodo dal 1.8.2014 al 31.07.2017 (mese precedente al deposito del ricorso) con una richiesta di differenze sul ratei maturati pari ad Euro 4.594,21 e un differenza sul rateo dal 1.8.2014 di Euro 114,67. Ne consegue il diritto del ricorrente al ricalcolo della prestazione con condanna dell'INPS al pagamento dell'importo mensile come ricalcolato e al pagamento delle differenze negli importi di cui ai suddetti conteggi, specificati in dispositivo, oltre interessi legali maturati dalla scadenza dei ratei di pensione al saldo. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza. Spese di CTU, liquidate con separato decreto emesso in data odierna, parimenti a carico dell'INPS. P.Q.M. Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattese, così provvede: - accoglie il ricorso e accerta che la pensione di anzianità della ricorrente va rideterminata in Euro 1.257,49 con decorrenza 1.8.2014; - condanna, per l'effetto, l'Inps al pagamento, in favore di (...) della somma di Euro 4.594,21 a titolo di differenze nel trattamento pensionistico per il periodo dal 1.8.2014 al 31.07.2017, oltre interessi legali maturati dalla scadenza dei ratei di pensione al saldo; - condanna l'Inps alla rifusione, in favore della controparte, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, oltre IVA CPA e spese generali come per legge, con distrazione; - pone definitivamente a carico dell'INPS le spese di CTU. Così deciso in Foggia l'8 giugno 2022. Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Foggia, dott.ssa Lilia Maria Ricucci, all'udienza dell'1.6.2022, tenuta ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 221 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 128 del 19 maggio 2020, SO n. 21/L), coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 e dell'art. 1, comma 3, lett. a) D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 248 del 7 ottobre 2020), D.L. n. 44 del 1921, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 7817/2017 TRA (...), in proprio, ex art. 86 c.p.c., RICORRENTE E I.N.P.S., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. C.Sa. e D.Lo., giusta procura generale alle liti richiamata in atti RESISTENTE avente ad oggetto: opposizione avverso l'iscrizione d'ufficio nella gestione separata a seguito di nota INPS del 22/06/2016 - anno 2010 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 27.10.2017, la parte ricorrente in epigrafe indicata - premesso di essere stata iscritta all'Ordine degli Avvocati di Foggia sin dal 27.9.2007 - adiva l'intestato Tribunale del Lavoro, esponendo: che, con lettera raccomandata a/r del 22.6.2016, notificata il 2.7.2016, l'Inps aveva comunicato la sua iscrizione d'ufficio alla Gestione Separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. n. 335 del 1995, con decorrenza dal 1 gennaio 2010, chiedendo, al contempo, il pagamento della complessiva somma di euro 1.370,79, a titolo di contributi e relative somme aggiuntive; che tale pretesa era stata avanzata all'esito di una verifica eseguita dall'Inps sul reddito imponibile da lavoro autonomo derivante dall'esercizio abituale della professione forense nell'anno 2010, non assoggettato, secondo l'Istituto, a contribuzione obbligatoria in favore di altri Enti o Casse professionali. Tanto premesso in punto di fatto, la ricorrente lamentava l'insussistenza dei presupposti per l'iscrizione alla Gestione Separata, eccependo altresì l'intervenuta prescrizione del credito contributivo. Sulla scorta di quanto dedotto chiedeva dichiararsi l'insussistenza dell'obbligo d'iscrizione alla gestione separata ed ordinarsi la sua cancellazione, oltre a dichiararsi non dovute le somme pretese dall'Inps con la missiva in atti. Vinte le spese di lite. L'Inps, ritualmente costituitosi, resisteva, con varie argomentazioni, al ricorso ex adverso proposto, invocandone il rigetto. Acquisiti gli atti e i documenti delle parti e lette le note di trattazione scritta, all'odierna udienza la causa è stata decisa con sentenza contestuale. Deve accogliersi la richiesta di cancellazione dall'iscrizione d'ufficio nella gestione separata per l'anno 2010, potendosi integralmente richiamare le motivazione rese dalla Corte d'Appello di Bari in precedente analogo (sent. n. 1550/2021, Cons. Est. Tarantino). "In materia di assicurazione dei liberi professionisti presso enti categoriali, norma di riferimento è l'art. 3 D.Lgs. 10 febbraio 1996, n. 103, che: a) impone la copertura in via generale per i lavoratori autonomi e assimilati la cui attività presuppone l'iscrizione in albi o elenchi professionali; b) consente l'istituzione di casse categoriali (non meno di 8.000 iscritti) o policategoriali (non meno di 5.000 iscritti); c) inserisce nella gestione separata dell'INPS i lavoratori autonomi libero-professionali privi di un proprio ente previdenziale. Si tratta dunque di attività di lavoro in regime di autonomia non riconducibili alle categorie dei coltivatori diretti, dei mezzadri e dei coloni nonché degli imprenditori agricoli professionali, degli artigiani e dei commercianti, che sono iscritti all'a.g.o. gestita dall'INPS. Quanto all'obbligo dianzi sub c), si è posta una questione assai sentita nel comparto delle professioni libere, in relazione alla quale il Ministero del lavoro ha affermato che l'obbligo assicurativo di iscrizione alla gestione separata dell'INPS riguarda tutte le categorie di liberi professionisti per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale o, anche se prevista, l'attività professionale non risulta iscrivibile (interpello 15.10.2010, n. 35). L'art. 18, 12 co., D.L. n. 98 del 2011, convertito in L. n. 111 del 2011, ha poi precisato, con l'autorità della legge, in quali casi i libero-professionisti sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'INPS: "l'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335, si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti (?). Sono fatti salvi i versamenti già effettuati ai sensi del citato articolo 2, comma 26, della L. n. 335 del 1995". Questa norma è stata letta come la fonte di una regola mirata a evitare duplicazioni di imposizione e di pagamenti. Secondo tale interpretazione, per i libero-professionisti iscritti all'ente previdenziale di categoria, bisognerebbe verificare, in concreto e di volta in volta, se quest'ultimo preveda contributi per la specifica attività abituale oppure non ne contempli: esclusivamente nel primo caso la sopravvenuta norma interpretativa consentirebbe la non iscrizione alla gestione dell'art. 2, 26 co., L. n. 335 del 1995. La conclusione sarebbe coerente con: a) il presupposto legittimo della generale tassabilità a titolo contributivo delle attività libero professionali, sotteso alla disposizione istitutiva della gestione separata presso l'INPS e confermato dall'art. 18, 12 co., D.L. n. 98 del 2011, nella parte in cui, richiamando l'art. 3, 1 co., D.Lgs. n. 103 del 1996, impone comunque l'inserimento delle attività non occasionali in una forma gestoria; b) la previsione dell'11 comma dell'art. 18 D.L. n. 98 del 2011, secondo cui pure le attività abituali degli iscritti pensionati devono essere tassate, secondo la specifica previsione del sistema previdenziale di categoria o per legge. Quanto innanzi esposto trova riscontro nella giurisprudenza di legittimità, peraltro, nei termini e con il limite di applicazione ad personam che di seguito si precisa. Infatti, la Cassazione con più sentenze (32167/18, 32608/18, 519/19) ha ritenuto che: - con la creazione nel 1995 della nuova gestione separata si è inteso estendere la copertura assicurativa, nell'ambito della cd. "politica di universalizzazione delle tutele", non solo a coloro che ne erano completamente privi, ma anche a coloro che ne fruivano solo in parte, a coloro cioè che svolgevano due diversi tipi di attività e che erano "coperti" dal punto di vista previdenziale, solo per una delle due, facendo quindi in modo che a ciascuna corrispondesse una forma di assicurazione, per cui, nella gestione separata, l'obbligazione contributiva è basata sostanzialmente sulla mera percezione di un reddito: più che un contributo destinato ad integrare un settore previdenzialmente scoperto, i conferimenti alla gestione separata hanno piuttosto il sapore di una tassa aggiuntiva su determinati tipi di reddito, con il duplice scopo di "fare cassa" e di costituire un deterrente economico all'abuso di tali forme di lavoro, sicchè la nuova tutela previdenziale può, quindi, essere "unica", in quanto corrispondente all'unica attività svolta, oppure "complementare" a quella apprestata dalla gestione a cui il soggetto è iscritto in relazione all'altra attività lavorativa espletata; - la compatibilità, per i percettori dei redditi di cui all'art. 46 tuir, della doppia iscrizione è testualmente prevista dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 16, laddove, all'interno della gestione separata, è prevista un differente aliquota per coloro i quali sono iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria e quanti non lo sono; - le peculiarità indicate comportano differenze fondamentali fra la gestione separata e tutte le altre sopra indicate e cioè: a) contribuzione basata sul criterio di cassa e non di competenza; b) mancanza di un minimale contributivo, esistente invece, oltre che per l'a.g.o., anche per l'assicurazione commercianti (per cui, quale che sia il reddito ricavato, la contribuzione non può scendere al di sotto di una certa soglia, cfr. L. 31 dicembre 1991, n. 415, art. 6, comma 7); c) la negazione del principio dell'attività prevalente, sicché nella gestione separata la contribuzione si commisura esclusivamente ai compensi percepiti; - il presupposto da cui deriva l'obbligo di iscrizione dei suddetti soggetti è in linea di principio strettamente correlato alla qualificazione fiscale dei redditi che essi percepiscono ed alla entità dei medesimi che diventa irrilevante se inferiore alla soglia di cui all'art. 44, comma 2, D.L. n. 269 del 2003 (v. infra); - la copertura previdenziale realizzata attraverso la istituzione della Gestione separata non è dunque limitata alla protezione nominativa di singole figure di lavoratori autonomi rimaste prive di tutela assicurativa, ma ha assunto una funzione di chiusura del sistema che si rivolge alle aree soggettive ed oggettive non coperte da altre forme di assicurazione obbligatoria e che risponde all'obbligo dello Stato di dare concretezza al principio della universalità delle tutele assicurative obbligatorie relative a tutti i lavoratori (art. 35 Cost.), rispetto agli eventi indicati nell'art. 38, secondo comma, della Costituzione; - la funzione assunta nel sistema dalla Gestione separata risponde dunque ad una logica di copertura universale, soggettiva ed oggettiva, delle attività umane produttive di reddito da lavoro che è ben distante dalla logica, sostanzialmente rispondente a scelte organizzative dello Stato in materia previdenziale, sottesa all'attribuzione alle casse professionali (sia privatizzate che di nuova istituzione) della gestione dei rapporti assicurativi degli iscritti; - in altri termini, il principio di universalizzazione soggettivo ed oggettivo della copertura assicurativa obbligatoria si traduce operativamente nella regola secondo la quale l' obbligo (ex art. 2, comma 26, L. n. 335 del 1995) di iscrizione alla gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall'esercizio abituale (anche se non esclusivo), ma anche occasionale (entro il limite monetario indicato nell'art. 44, comma 2, del D.L. n. 269 del 2003, come modificato dalla legge di conversione n. 326/2003, a mente del quale "?A decorrere dal 1 gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio di cui all'articolo 19 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, sono iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335, solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000?..") di un'attività professionale per la quale è prevista l'iscrizione ad un albo o ad un elenco; ed anche se il medesimo soggetto svolge altre diverse attività per cui risulta già iscritto ad altra gestione, laddove tale obbligo viene meno solo se il reddito prodotto dall'attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento. Conseguentemente, in riferimento ai redditi da lavoro autonomo, dal primo gennaio del 2004, risultano assoggettati all'obbligo assicurativo e contributivo presso la Gestione separata, non solo i percettori di redditi derivanti dall'esercizio, per professione abituale, di attività di lavoro autonomo, come per il periodo precedente, ma anche i lavoratori autonomi occasionali, percettori di redditi di lavoro autonomo superiori al suddetto limite di 5.000 euro. Quanto alla citata norma interpretativa di cui all'art. 18, comma 12, D.L. n. 98 del 2011, cit., la Cassazione ha statuito che l'unica forma di contribuzione obbligatoria in grado di inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nell'art. 2, comma 26, L. n. 335 del 1995, è quella correlata a un obbligo di iscrizione a una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale. Pertanto, "la contribuzione integrativa, in quanto non correlata all'obbligo di iscrizione alla cassa professionale, ed a prescindere dalla individuazione della funzione assolta all'interno del sistema di finanziamento delle attività demandate alla cassa professionale, non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell'invalidità e della morte in favore dei superstiti per cui non può essere rilevante ai fini di escludere l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l'INPS". Questa conclusione, d'altro canto, non è contraddetta dall'eventuale non utilità della contribuzione versata dal professionista presso la Gestione separata a seguito della sua iscrizione d'ufficio, perché la gestione separata costituisce un'ulteriore gestione dell'assicurazione generale obbligatoria, che si aggiunge a quelle preesistenti per i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi dell'agricoltura, commercio e artigianato (Cass. 10396/09). Peraltro, anche gli sviluppi recenti della legislazione (cfr. L. n. 228 del 2012 e L. n. 232 del 2016) si sono mossi nel senso di ampliare la sfera della cumulabilità della diversa contribuzione, non coincidente, maturata da ciascun lavoratore secondo le proprie valutazioni di convenienza. Da un lato, si tratta certamente di un'estensione della copertura assicurativa; dall'altro, non bisogna confondere l'imposizione dell'obbligo dell'iscrizione alla Gestione separata con la concreta valorizzazione della contribuzione maturata da ciascun iscritto, come tale legata alle peculiarità della di lui vita lavorativa, in assenza un rapporto di indefettibile sinallagma tra i versamenti contributivi e la fruizione delle prestazioni previdenziali temporanee e di durata". Orbene, l'applicazione di questo criterio decisionale nella presente controversia, concernente la contribuzione dell'anno 2010, comporta che la pretesa contributiva dell'INPS risulta infondata, perché il principio della generale incidenza del peso assicurativo sui redditi liberoprofessionali, nella specie, trova deroga. E' documentato, infatti, che l'Avvocato ricorrente, nell'anno suddetto, ha fruito di un reddito inferiore alla soglia di esenzione di Euro 5.000,00, poiché pari ad Euro 2.934,00. Sul punto la S.C. (v. da ultimo Cass. n. 4419/2021) ha osservato che: "- ricostruendo la portata precettiva dell'art. 2, comma 26, L. n. 335 del 1995, per come autenticamente interpretato dall'art. 18, comma 12, D.L. n. 98 del 2011 (conv. con L. n. 111 del 2011), le Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare più volte che l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall'esercizio abituale, ancorché non esclusivo o anche occasionale (oltre la soglia monetaria indicata nell'art. 44, comma 2, D.L. n. 269 del 2003, conv. con L. n. 326 del 2003, a mente del quale mentre, a decorrere dal 10 gennaio 2004, l' obbligo d'iscrizione va esteso anche ai "soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale ... solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000"), di un'attività professionale, per la quale è prevista l'iscrizione ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito prodotto dall'attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente, Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 519 del 2019, 317 e 1827 del 2020, 477 e 478 del 2021); -nell'intento del legislatore, l'obbligatorietà dell'iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento, laddove la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un'attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all'iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un'attività lavorativa svolta con i caratteri dell'abitualità; -in questo contesto, dirimente è il modo in cui è svolta l'attività libero-professionale, se in forma abituale o meno, e se nell'accertamento di fatto di tale requisito ben possono rilevare le presunzioni ricavabili, ad es., dall'iscrizione all'albo, dall'accensione della partita IVA o dall'organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività (senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all'interprete come univocamente significativo, v. in motivaz. Cass. n. 23608/2021), non è meno vero che trattasi pur sempre di forme di praesumptio hominis, che non impongono all'interprete conclusioni indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al fatto ignoto da quello noto, dovendosi dunque escludere che - come invece preteso dall'INPS - tali regole di esperienza siano passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dagli artt. 61 e 69-bis, D.Lgs. n. 276 del 2003, così da trapassare nel campo della presunzione legale; - una volta chiarito che il requisito dell'abitualità dev'essere accertato in punto di fatto, valorizzando all'uopo le presunzioni ricavabili ad es. dall'iscrizione all'albo, dall'accensione della partita IVA o dall'organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad Euro 5.000,00 può semmai rilevare quale indizio - da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo - per escludere che, in concreto, l'attività sia stata svolta con carattere di abitualità, fermo restando che l'abitualità dev'essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall'ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell'iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui all'art. 44, D.L. n. 269 del 2003, cit., che invece, come detto, rileva ai fini dell'assoggettamento a contribuzione di attività libero-professionali svolte in forma occasionale. In sintonia con tali presupposti, la S.C. ha già avuto modo di osservare che (v. Cass. n. 10267/2021) risulta condivisibile il ragionamento della Corte di merito la quale "..., in difetto di prova -di cui era onerato l'INPS - di abitualità dell'attività, ha accertato nel caso che l'attività svolta dal professionista era occasionale e produttiva di reddito modesto, inferiore al limite. A fronte di tale accertamento, la mera iscrizione all'albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a dimostrare l'abitualità dell'esercizio dell'attività professionale, trattandosi per converso -come accertato dalla Corte territoriale- di modesta attività non esorbitante dall'occasionalità". Né si può pretendere (v. in motivaz. Cass. n. 23608/2021 cit.) di ricavare il requisito di abitualità della professione dall'iscrizione del professionista all'albo degli avvocati, in quanto "non è possibile desumere alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un'attività libero professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o elenco debba necessariamente qualificarsi come "abituale" ai fini dell'iscrizione alla Gestione separata" (Cass. n. 4419 del 2021, cit.)". Ciò posto, l'INPS aveva l'onere di dedurre e comprovare la natura abituale dell'attività della controparte, il che non è avvenuto, così dovendo dichiararsi il diritto della parte ricorrente alla cancellazione dalla gestione separata per l'anno 2010 e la non debenza delle relative somme. Ogni ulteriore questione resta assorbita. Tenuto conto della particolarità della questione e dei contrasti giurisprudenziali espressi in materia, risolti solo recentemente dalla Suprema Corte, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti dell'INPS, con ricorso depositato il 27.10.2017, nella causa iscritta al n. 7817/2016 R.G.L. così provvede: - accoglie il ricorso e, per l'effetto, dichiara non dovute dalla parte ricorrente le somme pretese dall'Inps a titolo di contributi e somme aggiuntive per l'anno 2010, nonché il diritto della parte ricorrente alla cancellazione dall'iscrizione nella gestione separata per l'anno 2010; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Foggia l'1 giugno 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO In persona della dott.ssa Monica Sgarro, in funzione di Giudice del Lavoro, ha pronunciato, all'udienza del 12/05/2022 tenuta ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 221 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 128 del 19 maggio 2020, SO n. 21/L), coordinato con la legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77 e dell'art. 1, comma 3, lett. a) D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 248 del 7 ottobre 2020), D.L. n. 44 del 1921, D.L. n. 105 del 1921, mediante deposito contestuale SENTENZA nella controversia iscritta in primo grado al n. 8172/2018 R.G. Lavoro e vertente TRA (...) ed altri, rappresentata/o e difesa/o, dall'avv. Do.De. RICORRENTI E Azienda (...)O., in persona del legale rapp. pt., rappresentato e difeso, dall'avv. Si.Ma. RESISTENTI oggetto: demansionamento e risarcimento danni RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELL DECISIONE Con ricorso depositato in data 27/08/2018, i ricorrenti hanno adito l'intestato Tribunale convenendo in giudizio l'Azienda (...)O. deducendo: di essere tutti dipendenti della predetta Azienda (...) con la qualifica di collaboratore professionale sanitario infermiere categoria (...) CCNL Comparto Sanità Pubblica, assegnati presso l'UOC Mar 4 dell'Ospedale Davanzo destinato al ricovero di pazienti affetti da malattie dell'apparato respiratorio, con numero 18 posti letto, tre posti letto nell'area "isolamento" ed un ambulatorio, composta da 16 infermieri per il reparto e di un infermiere per l'ambulatorio; il personale infermieristico è suddiviso in due per turno (su tre turni H24: 7:00/14:00, 14:00/22:00, 22:00/07:00) nel reparto, con un infermiere per turno per l'area isolamento ed un infermiere giornaliero per l'ambulatorio; di non avere a disposizione gli operatori socio sanitari; di avere provveduto, quotidianamente, dopo aver effettuato le terapie (orale o per vena), nonché dopo aver provveduto, ove necessario, alla misurazione della pressione arteriosa e/o dei parametri vitali, a tutte le attività ausiliarie e di supporto che competono agli OSS, occupandosi del rifacimento dei letti, dell'igiene degli ammalati, della sostituzione delle sacche di urina e del loro smaltimento, attendendo a tutti i servizi alberghieri in genere, nonché alle attività degli ausiliari, portando i prelievi ematici presso il laboratorio ed i pazienti presso la radiologia o altri reparti per le consulenze; di avere, pertanto, subìto la dequalificazione professionale con conseguente lesione della loro professionalità, con pregiudizio per l'accrescimento del bagaglio di conoscenza, potendo, altresì, l'esercizio promiscuo di mansioni improprie di livello inferiore ingenerare negli utenti del servizio una confusione dei ruoli. Hanno, pertanto, concluso chiedendo: "1. Accertare e dichiarare che i ricorrenti quotidianamente e sistematicamente, fin dalla data di assunzione di ciascuno di essi e di inizio delle prestazioni professionali, presso Unità Operativa MAR 4 dell'Azienda (...) hanno sempre svolto mansioni concernenti l'igiene del paziente, servizi alberghieri in genere, con il rifacimento dei letti, nonchè la sostituzione delle sacche e lo smaltimento delle urine, nonchè il trasporto dei prelievi ematici press o il laboratorio analisi ed il trasporto dei pazienti presso altri reparti per eventuali consulenze, tutte mansioni queste rientranti nel profilo professionale dell'OSS o dell'ausiliario specializzato; 2. Per l'effetto disporre la cessazione di detto utilizzo improprio dei ricorrenti; 3. Per l'effetto ancora condannare l'Azienda (...)O. alla liquidazione in favore di ciascuno dei ricorrenti, a titolo di risarcimento danni, di un importo, per ogni anno di utilizzo improprio e di demansionamento, pari alla metà della retribuzione lorda percepita, o comunque determinate equitativamente in una somma maggiore o minore e ciò a far data dai cinque anni precedenti la lettera di messa in mora, oltre interessi legali dalla data di maturazione del diritto e fino all'effettivo soddisfo". Con vittoria delle spese di lite, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. L'Azienda (...) ha contestato la domanda, instando per il rigetto dell'avverso ricorso. La causa è stata istruita con l'espletamento delle prove orali e con produzione documentale. Quindi, all'odierna udienza, tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 221 del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 e successive modificazioni, la causa è stata decisa come da sentenza contestuale depositata telematicamente, previa acquisizione di note di trattazione scritta come in atti. Ciò posto, possono innanzitutto essere richiamate, ai sensi dell'art. 118 disp. Att. c.p.c., le motivazioni espresse in altri precedenti intervenuti nella Sezione in fattispecie analoga e presso la Corte di Appello di Bari (v. sentenza nr. 3368, dell'1.10.2021 est. Dott. A. V.; sentenza Corte di Appello Bari del 13/01/2022, n.2144), potendosene condividere le motivazioni con le seguenti integrazioni in relazione alla singola fattispecie in esame. Ed invero, i ricorrenti, lamentano di avere svolto quotidianamente, pur rivestendo la qualifica di collaboratore professionale sanitario, livello D del CCNL sanità, attività ulteriori rispetto a quelle del proprio profilo di appartenenza ("dopo aver effettuato le terapie (orale o per vena), nonchè dopo aver provveduto, ove necessario, alla misurazione della pressione arteriosa e/o dei parametri vitali) ovvero "provvedono a tutte le attività ausiliarie e di supporto che competono agli OSS, occupandosi del rifacimento dei letti, dell'igiene degli ammalati, della sostituzione delle sacche di urina e del loro smaltimento, attendendo a tutti i servizi alberghieri in genere, nonchè, addirittura, alle attività degli ausiliari, portando i prelievi ematici press o il laboratorio ed i pazienti presso la radiologia o altri reparti per le consulenze" (v. ricorso). Hanno, in particolare, dedotto il demansionamento produttivo di un danno alla loro immagine e professionalità. Orbene, deve, innanzitutto, procedersi alla ricognizione della normativa primaria, secondaria e contrattuale applicabile alle questioni controverse. In specie, ai fini della individuazione delle declaratorie contrattuali, deve rilevarsi quanto segue. Il contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del CCNL personale comparto sanità del 7.4.1999 all'art. 4 ha previsto l'istituzione del profilo dell'operatore socio sanitario, inserito nella categoria (...), livello economico Bs. All'art. 5 del predetto contratto è stata, altresì, prevista la modifica delle categorie (...) e (...), per i profili sanitari e dell'assistente sociale con conseguente passaggio dalla categoria (...) alla Categoria (...) degli operatori professionali sanitari e dell'operatore professionale Assistente sociale denominati, rispettivamente, di collaboratore professionale sanitario e di collaboratore professionale assistente sociale. La declaratoria della Categoria (...) prevede l'appartenenza a detta categoria "i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che richiedono conoscenze teoriche di base relative allo svolgimento dei compiti assegnati, capacità manuali e tecniche specifiche riferite alle proprie qualificazioni e specializzazioni professionali nonché autonomia e responsabilità nell'ambito di prescrizioni di massima. Appartengono altresì a questa categoria - nel livello B super (Bs) di cui alla tabella allegato 5 - i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che comportano il coordinamento di altri lavoratori ed assunzione di responsabilità del loro operato ovvero richiedono particolare specializzazione". In specie, è prevista la figura dell'Operatore tecnico addetto all'assistenza che "svolge le attività alberghiere relative alla degenza comprese l'assistenza ai degenti per la loro igiene personale, il trasporto del materiale, la pulizia e la manutenzione di utensili e apparecchiature". Nel profilo professionale della categoria (...) è catalogato l'Operatore sociosanitario il quale "Svolge la sua attività sia nel settore sociale che in quello sanitario in servizi di tipo socioassistenziali e sociosanitario residenziali e non residenziali, in ambiente ospedaliero e al domicilio dell'utente. Svolge la sua attività su indicazione - ciascuna secondo le proprie competenze - degli operatori professionali preposti all'assistenza sanitaria e a quella sociale, ed in collaborazione con gli altri operatori, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale. Le attività dell'operatore sociosanitario sono rivolte alla persona e al suo ambiente di vita, al fine di fornire: a) assistenza diretta e di supporto alla gestione dell'ambiente di vita; b) intervento igienico sanitario e di carattere sociale; c) supporto gestionale, organizzativo e formativo". Nella Categoria "(...)" sono compresi "i lavoratori che, ricoprono posizioni di lavoro che richiedono, oltre a conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, autonomia e responsabilità proprie, capacità organizzative, di coordinamento e gestionali caratterizzate da discrezionalità operativa nell'ambito di strutture operative semplici previste dal modello organizzativo aziendale" Appartengono altresì a questa categoria - nel livello economico D super (Ds) - "i lavoratori che ricoprono posizioni di lavoro che, oltre alle conoscenze teoriche specialistiche e/o gestionali in relazione ai titoli di studio e professionali conseguiti, richiedono a titolo esemplificativo e anche disgiuntamente : autonomia e responsabilità dei risultati conseguiti ; ampia discrezionalità operativa nell'ambito delle strutture operative di assegnazione; funzioni di direzione e coordinamento, gestione e controllo di risorse umane ; coordinamento di attività didattica ; iniziative di programmazione e proposta". Tra i profili professionali vi rientrano i "Collaboratori professionali sanitari" ovvero il Personale infermieristico, Infermiere soggetto alla disciplina mansionaria di cui al D.M. n. 739 del 1994. Il D.M. 14 settembre 1994, n. 739 - Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere - stabilisce al comma 1 dell'art. 1, che l'infermiere è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica. Il comma 2 dell'art. 1, prevede che "L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria". Al comma 3 è stabilito che: "L'infermiere: a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività; b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi; c) pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico; d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche; e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali; f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto; g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale". Quanto, poi, alla normativa in materia di mansioni nel pubblico impiego, deve rilevarsi la non applicabilità, nella fattispecie, della disciplina normativa dettata dall'art. 2103 c.c, prevalendo il disposto dell'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001, che disciplina compiutamente l'esercizio dello jus variandi da parte dal datore di lavoro pubblico. Il primo comma dell'articolo citato dispone che "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'art. 35, comma 1, equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore lettera a)". A tale riguardo, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato "la esigibilità da parte del datore di lavoro pubblico di attività corrispondenti a mansioni inferiori quando le stesse abbiano carattere marginale e rispondano ad esigenze organizzative (di efficienza e di economia del lavoro) ovvero di sicurezza, con il limite negativo della completa estraneità alla professionalità del lavoratore, il cui onere di dimostrazione cade a carico di quest'ultimo" (v. Cass. Sez. Lav., Sentenza n.17774 del 07/08/2006). È stata anche ritenuta la legittimità della adibizione a mansioni inferiori, precisando che "nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore può essere adibito a mansioni accessorie inferiori rispetto a quelle di assegnazione, a condizione che sia garantito al lavoratore medesimo lo svolgimento, in misura prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, che le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico, restando ininfluente che la P.A., nell'esercizio della discrezionalità amministrativa, non abbia provveduto alla integrale copertura degli organici per il profilo inferiore, venendo in rilievo il dovere del lavoratore di leale collaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio della sua attività" (Cass. Sez. Lav., Ordinanza n. 19419 del 17/09/2020). Nel merito, l'esito dell'istruttoria testimoniale, consente di ritenere raggiunta la prova in merito al fatto che i ricorrenti - addetti al Reparto MAR presso l'Ospedale D'Avanzo di Foggia - hanno svolto oltre a tutte le molteplici mansioni proprie della qualifica di infermiere professionale (somministrazione terapie, per via orale o per vena, misurazione pressione e parametri vitali, controllo cartelle cliniche con verifica della rispondenza della prescrizioni con il farmaco somministrato), anche quelle specificatamente appartenenti alla figura professionale del personale OSS assente in reparto, quantomeno, fino alla fine dell'anno 2019 (il teste (...), escusso all'udienza del 6.5.2021 ha riferito che gli OSS sono arrivati nella struttura all'incirca un anno prima). Al riguardo, rilevano le seguenti deposizioni testimoniali: 1) R.G., infermiera presso il MAR dal 2011, ha confermato i capitoli di prova articolati in ricorso investenti la tipologia delle attività svolte dai ricorrenti1, le modalità di articolazione dei turni di lavoro ed ha precisato che i ricorrenti hanno impiegato circa tre ore in queste attività ulteriori in ogni turno e maggiormente in quello diurno. La teste ha, altresì, precisato che nel reparto è presente solo "personale ausiliario che si occupa del trasporto dei pazienti per esami diagnostici, per smaltimento dei rifiuti, igiene del comodino e dei letti dei pazienti autosufficienti" e che "l'igiene dei pazienti è svolta esclusivamente dagli infermieri". 2) (...), a conoscenza dei fatti avendo lavorato presso il MAR dall'anno 2016, ha confermato i capitoli di prova articolati in ricorso con riguardo alle mansioni svolte dai ricorrenti ed ha precisato, con riguardo al capitolo n. 2, che le mansioni ulteriori richiedono, soprattutto nel turno diurno, almeno tre ore, ciò anche in quanto negli altri turni non ci sono altre figure che supportano i due infermieri di turno. 3) Il teste (...), assegnato al Mar dal 2003, ha ugualmente confermato i capitoli articolati in ricorso precisando che le attività sono state svolte in modo ordinario fino all'anno 2020, quando sono stati assegnati presso la struttura gli OSS. Il (...) ha riferito che l'infermiere interviene per la mobilizzazione del paziente con elevato grado di assistenza al fine di consentire che la terapia, durante la mobilizzazione, non subisca alterazioni in danno al paziente stesso. Il teste ha evidenziato che lo svolgimento di attività oggetto di causa ha aggravato il lavoro attesa la mancanza in organico della figura degli OSS; che dette incombenze non si sono conciliate con le attività di somministrazione delle terapie (in base alle condizioni del paziente si procedeva prima alla igiene e dopo alla somministrazione delle terapie o viceversa); che dei diciotto letti presenti nel reparto, la metà sono stati occupati da pazienti allettati; che è stata consentita la presenza di un parente per i pazienti non autosufficienti i quali, tuttavia, si sono rivolti al personale infermieristico per l'attività di igiene personale. 4) la teste (...), caposala del MAR dall'anno 2001 all'anno 2018, ha confermato la mancanza di OSS; lo svolgimento delle mansioni controverse da parte degli infermieri; che dette mansioni sono state previste nell'organigramma aziendale e nei piani di lavoro non potendosi lasciare il paziente sporco nel letto o senza assistenza nutrizionale. 5) il teste (...), addotto dalla parte resistente, ha riferito che la maggior parte delle mansioni è stato svolto dal personale infermieristico, eccetto il trasporto dei prelievi ematici e dei pazienti che è stato effettuato dal personale ausiliario diverso dagli OSS; che l'infermiere abitualmente si reca nella stanza su chiamata del paziente o del di lui parente per verificare le ragioni della chiamata ovvero se implicante attività di competenza dell'infermiere o dell'ausiliario o se svolgibile da paziente in autonomia; che nei turni sono stati presenti abitualmente due infermieri e due ausiliari; che il paziente è stato accompagnato dall'infermiere solo in caso di condizioni critiche o importanti. Le sopra descritte dichiarazioni testimoniali, seppure palesano lo svolgimento anche di mansioni tipiche delle categoria ausiliarie in ragione della tipologia del reparto e dei pazienti ricoverati, spesso allettati e non autosufficienti, tuttavia, non consentono, del pari, di ritenere provato lo svolgimento delle attività controverse in maniera prevalente rispetto a quelle proprie dell'inquadramento contrattuale e professionale. Invero, le testi (...) e (...) hanno quantificato l'impegno per lo svolgimento delle attività di natura ausiliaria (igiene, rifacimento letti ecc) nella misura di tre ore per turno (soprattutto nel turno diurno). Il riferimento fatto dai testi (...) e (...) allo svolgimento "quotidiano ed abituale" delle dette attività si presenta valutativo, tale da non consentire una corretta e certa quantificazione in termini di prevalenza delle mansioni di igiene della persona ed alberghiere rispetto a quelle infermieristiche. Ciò, tenuto conto anche della genericità delle allegazioni contenute in ricorso sotto tale aspetto. In ricorso, invero, è il ripetuto richiamo ad attività ordinaria, quotidiana, sistematica, senza alcuna specificazione o indicazione, per ciascun ricorrente dei singoli turni svolti e delle attività svolte nei singoli turni. Né, tanto meno, è indicato il periodo di assegnazione per ciascun ricorrente presso il reparto MAR, incidendo ciò sulla effettiva verifica per ciascun ricorrente dell'incidenza delle mansioni svolte. Sicchè, può ragionevolmente utilizzarsi la quantificazione fornita delle testi sopra indicate nei termini di impegno lavorativo di tre ore a turno (soprattutto, nel turno diurno ove è verosimile il maggiore svolgimento di attività di igiene dei pazienti allettati e di rifacimento dei letti, quali attività tipicamente e notoriamente riservate all'orario antimeridiano). Quanto evidenziato, risulta ulteriormente corroborato dalla presenza in reparto di personale ausiliario con il compito di smaltimento dei rifiuti, pulizia dei comodini e dei letti dei pazienti autosufficienti, trasporto dei pazienti per esami diagnostici (v. dichiarazioni testi (...) e D.G.). Circostanza, questa, tale da escludere, quanto meno nei turni ove è stato presente anche il personale ausiliario, lo svolgimento da parte dei ricorrenti anche di queste ulteriori attività o comunque un minor aggravio di incombenze rispetto alle mansioni della qualifica rivestita. In definitiva, rispetto alla durata dei singoli turni come descritti in ricorso stesso (7-14; 14-22; 22-7), lo svolgimento di mansioni inferiori, come emerse dall'istruttoria, nella misura di tre ore non può ritenersi prevalente. In tale contesto, rileva, ai fini del decidere, quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass sent. n. 17774 del 2006 già in premessa richiamata) con riguardo alla esigibilità da parte del datore di lavoro pubblico di attività corrispondenti a mansioni inferiori quando le stesse abbiano carattere marginale e rispondano ad esigenze organizzative (di efficienza e di economia del lavoro) ovvero di sicurezza, con il limite negativo della completa estraneità alla professionalità del lavoratore, il cui onere di dimostrazione cade a carico di quest'ultimo purchè resti assorbente l'attività corrispondente alla qualifica di appartenenza. Nella citata pronuncia, la Cassazione ha osservato che: la fonte legislativa è l'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, disposizione che contiene una disciplina dettagliata delle mansioni esigibili, individuandole in quelle per le quali il prestatore è stato assunto o quelle considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi o corrispondenti alla qualifica superiore formalmente conseguita, regolando, altresì, minuziosamente la disciplina dell'attribuzione di mansioni superiori; detto art. 52, con la previsione secondo cui il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto e con l'assenza di previsione circa la sua utilizzabilità in mansioni inferiori, preclude, effettivamente, in termini generali la possibilità di richiedere siffatte mansioni; un divieto di adibizione a mansioni inferiori , esplicitato dalla apposita previsione di nullità di ogni patto contrario, è contenuto nell'art. 2103 c.c., riguardo al lavoro privato; l'elaborazione giurisprudenziale formatasi sull'art. 2103 c.c. e sull'esatta determinazione della nozione di mansione inferiore e di quella correlata di demansionamento può essere utilizzata anche a proposito dell'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001, rammentando così che, effettivamente, laddove si discuta di mansioni esigibili, nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte affermato che l'attività prevalente ed assorbente svolta dal lavoratore deve rientrare tra quelle previste dalla categoria di appartenenza, e che tuttavia, per ragioni di efficienza e di economia del lavoro o di sicurezza, possono essere richieste al lavoratore, incidentalmente e marginalmente, attività corrispondenti a mansioni inferiori, e il lavoratore è tenuto ad espletarle (Cass. n. 2045 del 1998, n. 7821 del 2001). Quindi, la Corte ha riconosciuto la esigibilità di mansioni proprie di dipendenti con qualifica inferiore, una volta acclarato che si trattava di mansioni aggiuntive rispetto a quelle proprie del lavoratore e che non avevano assunto carattere prevalente rispetto a quelle proprie della qualifica di appartenenza. E', altresì, utile richiamare, nella fattispecie, anche la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. ordinanza n 19419 del 17.9.2020) affermativa del seguente principio: "nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore può essere adibito a mansioni accessorie inferiori rispetto a quelle di assegnazione, a condizione che sia garantito al lavoratore medesimo lo svolgimento, in misura prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, che le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico, restando ininfluente che la PA, nell'esercizio della discrezionalità amministrativa, non abbia provveduto alla integrale copertura degli organici per il profilo inferiore, venendo in rilievo il dovere del lavoratore di lealecollaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio della sua attività (in applicazione di questo principio è stato escluso il demansionamento ai danni del dipendente dell'azienda sanitaria, inquadrato come operatore tecnico specializzato con mansioni di autista ambulanza che aveva prestato collaborazione nell'attività di soccorso del servizio 118 una volta a settimana e aveva coadiuvato l'unico operatore sanitario nella preparazione della barella e nel trasporto ammalato". Nella motivazione è dato leggere quanto segue: "...la tutela del lavoratore è assicurata dall'esercizio, in modo prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza; dalla assenza di una estraneità di carattere assoluto delle mansioni accessorie rispetto alla sua professionalità. In tale ipotesi, l'unica ulteriore condizione del legittimo esercizio da parte del datore di lavoro pubblico del potere di specificazione e/o conformazione dell'attività dovuta è costituita dalla esistenza di una obiettiva esigenza aziendale. Il fatto che le mansioni assegnate siano proprie di un profilo professionale di categoria meno elevata non costituisce, invece, un limite, in quanto detta eventualità è intrinseca nel carattere inferiore delle mansioni accessorie. Sono rimesse, poi, alla pubblica amministrazione, nell'esercizio di discrezionalità amministrativa, le scelte relative alla consistenza della pianta organica e dunque le valutazioni sulla opportunità di prevedere (o meno) in organico una o più figure del profilo inferiore. Ed anche nel caso di mancata copertura degli organici (per esempio, per esigenze di finanza pubblica) verrebbe in rilievo il dovere di leale collaborazione del lavoratore, in attuazione non solo del principio di correttezza e buona fede di cui all'articolo 1375 c.c. ma anche dell'obbligo dei pubblici impiegati di tutelare l'interesse pubblico sotteso all'esercizio delle loro attività. I doveri posti a carico del dipendente pubblico dalla legge, dal codice di comportamento, dalla contrattazione collettiva tengono conto della particolare natura del rapporto di lavoro pubblico, ancorchè contrattualizzato, che pone l'impiegato al "servizio della nazione" (articolo 98, comma 1 Costituzione) e, quindi, lo impegna ad ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà e imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico, efficacemente riassunti nell'attuale versione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54". Dai sopra descritti principi, ne deriva a carico dei ricorrenti stringenti doveri di collaborazione e diligenza e cura in considerazione della delicatezza dei compiti di appartenenza, atteso che, come prescritto peraltro dal codice deontologico, l'infermiere deve promuovere in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni possibili di sicurezza psicofisica dell'assistito e dei suoi familiari. Ne deriva, pertanto, il rigetto del ricorso, con assorbimento di ogni altra questione proposta in applicazione del principio della "ragione più liquida" - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - in forza del quale deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale (Sez. U, Sentenza n. 9936del 08/05/2014). Sussistono nondimeno gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente tra le parti costituite le spese di lite, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., tenuto conto del contrasto giurisprudenziale esistente nella giurisprudenza di merito in materiae del più recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità sulla tematica in oggetto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 8172/18 R.G.A.C. così provvede: - rigetta il ricorso; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Foggia il 12 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il TRIBUNALE di FOGGIA, terza sezione civile, in composizione monocratica e nella persona del giudice, dott. M. Angela Marchesiello ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa in prima istanza, iscritta al N. 3747/2016 R.G. e riservata per la decisione immediata sulle conclusioni precisate all'udienza dell'11/04/2022 TRA (...) Opponente quale titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", domiciliato in Manfredonia presso lo studio dell'avv. Gi.Bo. che lo rappresenta e difende in giudizio per mandato allegato all'atto di opposizione E (...) S.P.A. Opposta elettivamente domiciliata in Foggia presso lo studio dell'avv. Gi.De. e rappresentata in giudizio dall' avv. Paolo Maran del foro di Treviso, giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta Oggetto: Opposizione ex art. 615, co. 1 c.p.c. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di precetto notificato il 1/04/2016, la (...) S.p.a. ha intimato alla odierna opponente il pagamento della complessiva somma di Euro 18.867,60, portata da sette cambiali rimaste insolute, emesse in (parziale) pagamento del corrispettivo della fornitura, da parte della società opposta, di n. 586 paia di calzature. L'opponente ha eccepito l'inidoneità dei titoli esecutivi azionati a legittimare il precetto, in quanto parte di una serie di cambiali (elencate nella lettera del 25.02.2015) in relazione alle quali sarebbe stata accordata una sospensione dei pagamenti a seguito della contestazione di vizi della fornitura di scarpe, tempestivamente portati a conoscenza della (...) spa; la mancanza di una formale messa in mora e l'omessa presentazione all'incasso dei titoli, circostanza che ne avrebbe reso impossibile il pagamento da parte di essa debitrice. L'opposta, nel costituirsi, ha assunto la sussistenza del credito, riconosciuto dallo stesso (...) a mezzo della missiva datata 25.02.2015, contenente richiesta di rateizzazione del debito per una lamentata situazione di crisi delle vendite; ha, inoltre, eccepito la decadenza dell'opponente dalla garanzia per vizi della cosa venduta, stante la tardività della relativa denuncia; ha, infine, evidenziato che nessun principio di diritto vieta al creditore in possesso di cambiali non protestate di agire esecutivamente nei confronti del debitore. L'istanza preliminare di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo ex art. 615, co. 1 c.p.c., formulata da parte opponente, è stata rigettata con ordinanza resa il 15/11/2016. Nel prosieguo, la causa è stata istruita esclusivamente in via documentale e, all'udienza (anticipata) dell'11/04/2022, è passata in decisione immediata, stante la rinuncia dell'opposta (unica parte comparsa) all'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. L'opposizione è infondata e deve essere rigettata. L'opponente ha, in primo luogo, eccepito l'inidoneità degli azionati titoli esecutivi a legittimare il precetto, alla luce di un presunto accordo che sarebbe intervenuto tra le parti in merito alla rateizzazione dei pagamenti dovuti alla (...) s.p.a.. Dalla documentazione prodotta agli atti (cfr. lettera del 25.02.2015) non risulta tuttavia raggiunta alcuna intesa, né dimostrato alcun accordo tra le parti, ma emerge, piuttosto, una mera richiesta, formulata dall'opponente nei termini di "proposta" di rimodulazione dei pagamenti, riconosciuti, in ogni caso, come dovuti, proposta che, come emerge dal chiaro tenore della precedente missiva inviata da (...) l'11/02/2015, non può affatto ritenersi accettata "tacitamente" da quest'ultima. Nessun ulteriore mezzo di prova è stato, del resto, articolato sul punto dal (...) che, anzi, ha omesso di depositare le memorie ex art. 183, co. VI c.p.c. e di partecipare all'udienza di precisazione delle conclusioni, tenendo dunque un contegno processuale di sostanziale disinteresse dal quale, come noto, ai sensi dell'art. 116, secondo comma c.p.c., sono desumibili ulteriori argomenti di prova ad esso sfavorevoli. In secondo luogo, l'opponente ha assunto di non avere provveduto ai pagamenti a causa di una pretesa sospensione che gli sarebbe stata accordata dalla società convenuta in seguito alla tempestiva contestazione di vizi e difetti di lavorazione delle scarpe, per la prima volta effettuata con la lettera del 18.11.2014 (cfr. doc. n. 2 fascicolo di parte opponente). Anche tale assunto è infondato. E' noto che, in materia di compravendita, la garanzia per vizi della cosa venduta può essere fatta valere, ai sensi dell'art. 1495 c.c., solo qualora il compratore abbia tempestivamente denunciato al venditore tali vizi entro otto giorni dalla loro scoperta. Tale termine di decadenza decorre dalla scoperta dei vizi nella loro manifestazione esteriore nel solo caso di vizi occulti, mentre, in caso di difetti normalmente riconoscibili, il termine decorre da quando sia stato possibile acquisire, in base ad elementi obiettivi e con apprezzabile grado di certezza, la conoscenza degli stessi, ossia dalla consegna della res (cfr. Cass. n. 4496/2000 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1616/2021), o, comunque, dal momento dell'acquisizione della certezza oggettiva del difetto (cfr. Cass. Sez. 2, n. 5732/2021 e Cass. n. 11046/2016). Nello specifico, premesso che la contestazione dei vizi si riferisce solo ad una limitata quantità della merce fornita, vale a dire 112 paia di scarpe su 586 e che, in ogni caso, non emerge dagli atti alcuna prova dell'asserito accordo sulla sospensione dei pagamenti (ma solo di un minimo cambio di merce accordato per mera disponibilità della fornitrice), la società opposta, sin dalla sua costituzione, ha negato di aver mai ricevuto la lettera di contestazione del 18.11.2014 e, a fronte di tanto, l'opponente non ha fornito, com'era suo onere, alcuna prova della sua spedizione. Pertanto, la prima contestazione utile, formulata il 22.12.2014 (cfr. doc. 3 fascicolo parte opponente) a distanza di oltre 3 mesi dalla data della consegna delle scarpe, avvenuta tra il 21.08.2014 e l'11.09.2014 (cfr. fatture accompagnatorie prodotte dall'opposta in allegato alla comparsa di risposta sub doc. n. 1-12), risulta, in ogni caso, evidentemente tardiva. Parimenti infondata è l'eccepita illegittimità del precetto alla luce della mancata formale messa in mora da parte della (...) s.p.a. e dell'omessa presentazione dei titoli per l'incasso. Ed infatti, la formale costituzione in mora del debitore non è necessaria se il termine, anche non essenziale, di adempimento della obbligazione sia scaduto e la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore. Infatti, ai sensi dell'art. 1219 c.c., "non è necessaria la costituzione in mora: 1) quando il debito deriva da fatto illecito; 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguirel'obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore". Proprio questa terza ipotesi ricorre nel caso di specie: le cambiali azionate, il cui pagamento configura un'obbligazione pecuniaria che deve essere eseguita, ai sensi dell'art. 1182 comma terzo c.c., presso il domicilio del creditore, risultano infatti scadute rispettivamente il 20/04/2015, il 26/05/2015, 22/06/2015, il 16/09/2015 (mentre le restanti tre cambiali, in scadenza rispettivamente il 20/10/2015, il 20/11/2015 e il 20/12/2015, sono state, invece, regolarmente portate all'incasso e protestate). Va infine rilevato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 63 e 104 R.D. 5 dicembre 1933, n. 1669, la cambiale attribuisce al legittimo possessore il diritto di ottenere il pagamento della somma indicata alla scadenza e nel luogo in essa previsti e, se in regola con il bollo, ha la validità di titolo esecutivo. Per esperire la relativa azione esecutiva, pertanto, non è necessaria la preventiva presentazione della cambiale all'incasso, né risulta indispensabile il protesto, la cui levata occorre solo quando serva conservare al debitore le azioni di regresso. L'indicata formalità può, invece, essere esclusa qualora l'azione causale sia proposta -come nella specie- contro il prenditore del titolo di credito, il quale non ha alcuna azione di regresso, potendo solo esercitare l'azione diretta nei confronti dell'obbligato principale (cfr. Cass. 20 ottobre 1994, n. 8552; Cass. 19 luglio 2005 n. 15190; Cass. 24 marzo 2006 n. 6687). L'integrale rigetto dell'opposizione fa sì che le spese di lite seguano l'ordinario criterio della soccombenza, nella misura liquidata come da dispositivo ai sensi del DMG 10/03/2014 n. 55, sulla base dello scaglione di valore da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00 (fasi 1, 2, 4 valori medi; fase 3 metà del valore medio alla luce del solo deposito di memorie ex art. 183 VI comma c.p.c.). P.Q.M. il Tribunale di Foggia, terza sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta con atto di citazione notificato il 21/04/2016 da (...), quale titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", nei confronti di (...) S.P.A., avverso l'atto di precetto notificato il 01/04/2016, nella causa iscritta al N. 3747/2016 R.G.A.C., udito il solo procuratore di parte opposta e disattesa ogni contraria istanza od eccezione, così provvede: 1. rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma l'atto di precetto opposto; 2. condanna l'opponente a rifondere alla società opposta le spese di lite, liquidandole in Euro 4.035 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Foggia il 21 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso - SECONDA SEZIONE CIVILE Il Giudice Unico, dott. Antonio Lacatena, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta nel registro generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 91000952 dell'anno 2012 (già R.G. n. 952/2012 della ex sezione distaccata di Cerignola), TRA (...) (cod. fisc. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) e dell'avv. (...); - attore - CONTRO (...) (cod. fisc. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...); - convenuta - OGGETTO: Divisione di beni caduti in successione. All'udienza del 14/06/2021, celebrata con trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. h), decreto-legge, n. 18/2020 (conv. con modif., in L. n. 27 del 2020, e come modificato dall'art. 221 del D.L. n. 34 del 2020, conv. con modif. in L. n. 77 del 2020) la causa era riservata per la decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - MOTIVI DELLA DECISIONE Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (artt. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.) le posizioni delle parti possono riepilogarsi come segue. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha dedotto che: - in data 04/03/2004 è deceduta in Cerignola (Fg) (...), lasciando eredi ab intestato i figli (...) e (...) e in ordine a tale successione legittima è stata presentata denunzia al competente Ufficio in data 17/12/2004; - l'asse ereditario è formato da: - appartamento sito in C. alla Via M. n. 12, sc. D, identificato al NCEU di Cerignola al Foglio (...), p.lla (...), sub (...), cat. (...), classe (...), di 6 vani; - box sito in C. alla Via S. S., piano S1, interno 71, identificato al NCEU di Cerignola al Foglio (...), p.lla (...), sub (...), cat. (...), classe (...), di circa 12 mq.; - locale cantina sita in C. alla Via S. S., piano S1, interno 71, sc. D, identificato al NCEU di Cerignola al Foglio (...), p.lla (...), sub (...), cat. (...), classe (...), di circa 15mq. - sin dall'apertura della successione gli immobili sono stati sempre abitati e detenuti in via esclusiva dalla coerede (...) e i reiterati inviti al bonario scioglimento della comunione ereditaria non hanno sortito effetto (racc. a/r del 10/03/2010 e del 26/09/2012); - l'immobile caduto in successione non è comodamente divisibile o il suo frazionamento recherebbe pregiudizio alla ragioni della pubblica economia. Ciò premesso, l'odierno attore ha chiesto che, previa declaratoria di apertura della successione, si disponesse lo scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto i ridetti immobili e di determinare il valore locativo degli immobili caduti in successione e in uso alla (...) con la condanna della medesima a corrispondere al coerede (...) la metà del valore locativo dalla apertura della successione alla data di vendita dell'immobile. In data 24/01/2013 si è costituita in giudizio (...) contestando la prospettazione del germano, nei termini che seguono: - (...) mancava dall'appartamento oggetto di causa dal 1993, anno in cui si era sposato; ciò non di meno, aveva, da sempre, la disponibilità delle chiavi dell'immobile ed ivi vi erano i propri libri e suppellettili; inoltre il germano concesso l'uso a titolo gratuito alla sorella; - nel caso di specie, l'immobile era facilmente divisibile ai sensi dell'art. 720 c.p.c.; - in via riconvenzionale, veniva richiesto il pagamento della metà delle spese sostenute per l'immobile a partire dal 2004 e anticipate per intero da (...) per un totale di Euro 12.930 (Euro 6.465,00 per ciascun comproprietario e precisamente Euro 1.029,16 per spese straordinarie condominiali; Euro 10.000,00 per spese straordinarie di ristrutturazione dell'appartamento; Euro 1.061,00 per altre spese straordinarie). Instaurato il contraddittorio tra le parti e assegnati i termini di cui all'art. 183 co. 6 c.p.c., la causa è stata istruita a mezzo di C.T.U.. All'udienza del 14/06/2021, subentrato nella gestione del ruolo il sottoscritto magistrato, la causa è stata riservata in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Ai fini della perimetrazione dell'oggetto del giudizio, deve evidenziarsi che l'originaria domanda riconvenzionale spiegata da (...) è stata rinunziata già a mezzo di postilla apposta all'atto del deposito della comparsa di costituzione in cancelleria, pertanto tale domanda originariamente formulata, neppure ritrascritta e/o coltivata nei successivi atti di causa, deve intendersi tamquam non esset. Inoltre, la domanda originariamente formulata da parte attrice di corresponsione di somme pari alla metà del valore canone locatizio degli immobili oggetto di successione è da intendersi rinunziata, giacché non riproposta nelle conclusioni pur espressamente precisate da (...) nelle note di trattazione scritta del 07/06/2012. In ordine al residuo oggetto di giudizio, la promossa domanda di divisione del compendio ereditario è fondata e merita accoglimento, nei limiti di quanto segue. In data 04 marzo 2004 è deceduta in Cerignola senza lasciare testamento (...), vedova di (...) (v. certificato di morte in doc. 7, fascicolo attore), lasciando a sé superstiti i due figli, l'attore (...) e la convenuta (...) (v. certificato di situazione di famiglia integrale dell'intestatario (...), rilasciato dal Comune di Cerignola il 10/01/2011). Il compendio ereditario oggetto della domanda di divisione è costituito da un appartamento sito in C. alla Via M. n. 12, sc. D, identificato al NCEU di Cerignola al Foglio (...), p.lla (...), sub (...), cat. (...), classe (...), di 6 vani, con annesso box (p.lla (...), sub (...)) e locale cantina (p.lla (...), sub (...)). All'uopo è ritualmente prodotta la seguente documentazione: 1) visure catastali degli immobili; 2) copia delle piantine catastali; 3) copia dell'atto di provenienza del cespite in capo alla de cuius, ossia la compravendita per atto pubblico del notaio dott. (...) del (...), rep. n. (...), racc. n. (...), a mezzo del quale la de cuius (...) aveva acquistato dall'impresa di costruzioni Geom. (...) i beni oggetto di lite così identificati A) appartamento al terzo piano del fabbricato D2; B) cantinola e C) box-auto, "riportati nel N.C.E.U. alla Partita 13790, Folio (...) - Via S. S. - come segue: p.lla (...)/(...)... p.lla (...)/(...)... p.lla (...)/(...)"; 4) dichiarazione di successione del 17/12/2004 relativa alla defunta (...). Questo Giudicante aderisce alla recente giurisprudenza di nomofilachia secondo la quale, ai fini della procedibilità e dell'accoglimento della domanda di divisione di beni ereditari, non è indispensabile la tempestiva produzione di parte di relazione notarile e/o dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile da dividere, imposta dall'art. 567 c.p.c. ai fini della vendita dell'immobile pignorato (cfr. Cass. Civ., n. 10067/2020: "I creditori iscritti e gli aventi causa da un partecipante, pur avendo diritto ad intervenire nella divisione, ai sensi dell'art. 1113, comma 1, c.c., non sono parti in tale giudizio, al quale devono partecipare soltanto i titolari del rapporto di comunione, potendo i creditori iscritti e gli aventi causa intervenire in esso, al fine di vigilare sul corretto svolgimento del procedimento divisionale (19529/2012; n. 7485/1991). Essi non hanno la facoltà di impedire o sospendere, interrompere il giudizio divisionale attivato dal loro debitore e dante causa (Cass. n. 9765/2004)... La chiamata dei creditori iscritti e degli aventi causa di uno dei compartecipi non è condizione di validità della divisione, ma un onere che i compartecipi debbono assolvere "se ed in quanto si voglia che la relativa decisione faccia stato nei lori confronti" (Cass. n. 4703/1981; n. 4330/1986)... L'art. 567 c.p.c. è richiamato dall'art. 788 c.p.c. per il caso che la divisione richieda la vendita di immobili. In questo caso "il giudice istruttore provvede con ordinanza, a norma degli artt. 576 e ss.". L'ipotesi più comune è data dall'indivisibilità (art. 720 c.c.). Funzione della vendita è rendere possibile o facilitare la divisione, sostituendo al bene indivisibile il denaro. Si deve convenire che, quando la divisione deve avvenire mediante vendita, a tutela del terzo acquirente, si dovranno acquisire anche nella divisione giudiziale le informazioni richieste dall'art. 567 c.p.c. per la espropriazione. Ma a tale esigenza deve sovraintendere d'ufficio il giudice della divisione, nel suo potere di direzione delle operazioni divisionali (art. 786 c.p.c.), ordinando alle parti la produzione della documentazione occorrente o tramite il notaio delegato al compimento della vendita"; da ultimo, analogamente, Cass. Civ. n. 21716/2020; Cass. Civ. n. 21938/2021). Ciò premesso, al consulente dell'ufficio è stata rimessa la descrizione dei beni costituenti la massa ereditaria, la verifica della conformità alla normativa edilizia ed urbanistica e la stima del valore di essi, onde pervenire alla predisposizione di uno o più progetti divisionali; il C.T.U. ing. Mi.Gi. ha così proceduto alla rilevazione del fabbricato facente parte della massa ereditaria, procedendo a rilevazione visiva e metrica. All'esito degli accertamenti peritali è emerso che l'appartamento oggetto di lite (avente la superficie lorda commerciale di 114,5 mq), con annessi box e cantinola, ubicato in C. alla Via M. n. 12, censito al NCEU al Foglio (...), p.lla (...), sub (...), p.lla (...), sub (...) e p.lla (...), sub (...), è conforme all'originario progetto autorizzato con concessione edilizia n. 45/C/76 rilasciata dal Comune di C. in data 6/10/1976 con variante del 16/6/1982 n. 6/C/82; è dotato di certificato di abitabilità rilasciato dal Comune di C. il 19/11/1982 (prot. n. (...)) e non presenta iscrizioni e trascrizioni nell'ultimo ventennio; il valore complessivo dell'unità immobiliare è stimato nella sua intera consistenza in Euro 161.280,00. Il C.T.U. ha stimato l'immobile secondo il valore di mercato e le parti non hanno mosso osservazioni alla stima; la valutazione effettuata dal C.T.U. appare corretta giacché condotta sulla base della consultazione dell'Osservatorio del Mercato Immobiliare e del listino ufficiale dei valori del mercato immobiliare redatto dalla locale Camera di Commercio; inoltre tale valutazione può senz'altro essere fatta propria dal Tribunale, in considerazione della non contestazione delle parti. L'unica divergenza tra le odierne parti processuale attiene alla comoda divisibilità o meno del cespite ereditario. In ordine a tale precipuo profilo, il C.T.U. Ing. Mi.Gi. ha relazionato che "la suddivisione dell'immobile in due unità indipendenti è tecnicamente possibile... ma non è migliorativa dal punto di vista pratico ed economico" anche perché necessitante dei seguenti prerequisiti: "1) l'ottenimento del benestare dei condomini alla creazione di un ulteriore ingresso su pianerottolo per l'accesso dedicato al nuovo appartamento; 2) la disponibilità di ambo le parti a sostenere spese per opere edili di adeguamento sull'unità di propria pertinenza; 3) la disponibilità di una delle parti ad accettare l'appartamento di maggior metratura ma con bagno cieco; 4) la disponibilità di una delle part a compensare l'altra per la perdita del box". Il C.T.U. relaziona che all'esito della divisione dell'appartamento originario, residuerebbero due unità immobiliari distinte: - l'appartamento B, con vista sul cortile interno e con superficie lorda di 58,256 mq., richiederebbe la "realizzazione di un nuovo accesso sul pianerottolo..., limitati lavori edili di redistribuzione degli spazi adibiti a cucina/dispensa; - l'appartamento A, con vista sulla Via (...) e con superficie lorda di 64,628 mq., manterrebbe l'accesso originario e richiederebbe lavori edili per la realizzazione di una nuova zona cucina dedicata ed un nuovo bagno (possibile solo cieco); i maggiori oneri da lavori edili impiantistici (c.a. 5,5 kEuro) necessari per la realizzazione di cucina e bagno verrebbero compensati con l'annessione in forma esclusiva, della cantinola all'unità A. Il box non è divisibile e può essere compensato solo con conguaglio in denaro, a favore di ciascuna unità, pari al 50% del valore stimato (8,4 k Euro) o ricavato dalla vendita (così, pag. 6, relazione del C.T.U. Ing. Mi.Gi.). Dall'esame dell'elaborato peritale, emergono plurime opere edili necessarie ai fini della divisione del cespite, tra cui la realizzazione di nuova porta di ingresso autonomo sul pianerottolo, alle quali dovrebbero aggiungersi - come pure evidenziato dall'attore - le spese di rifacimento, in ambo gli appartamenti di risulta, degli impianti idrici, elettrici e di riscaldamento (non quantificate dal C.T.U.), nonché quelle di frazionamento. Si tratta di gravosi oneri economici che nessuna delle parti processuali si è, tra l'altro, espressamente dichiarata disponibile a sostenere e che di certo non possono considerarsi minimali. Come noto, ai fini della comoda divisibilità si deve considerare l'entità delle spese necessarie al frazionamento, le quali non devono essere rilevanti (Cass. Civ. n. 4938/1981; Cass. Civ. n. 5536/1982; Cass. Civ. n. 6125/1982; da ultimo, Cass. Civ. n. 11844/2021). Si osserva infatti che il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l'art. 720 cod. civ. postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici costosi e, sotto l'aspetto economico - funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (Cass. Civ. n. 14540/2004; Cass. Civ. n. 12498/2007; Cass. Civ. n. 14588/2012). Calate tali coordinate ermeneutiche al caso in parola, il bene non è comodamente divisibile in considerazione della sua configurazione, considerati i costi importanti di realizzazione e la difficoltà di realizzare due distinte ed autonome porzioni corrispondenti alle diverse quote di titolarità dei comproprietari (in arg. Trib. Bologna, n. 194/2020). L'assegnazione dell'intero immobile ad uno dei coeredi ai sensi dell'art. 720 c.p.c., previa corresponsione del valore della quota all'altro erede, è parimenti da escludersi giacché nessuno dei coeredi si è avvalso, nelle rispettive conclusioni, della facoltà di attribuzione dell'intero. Deve quindi concludersi per lo scioglimento della comunione e per la vendita del bene, da disporsi con separata ordinanza. Del resto, la preferenza che si deve accordare all'assegnazione del bene in natura (evitando così la vendita) è connessa al fatto che il bene venga assegnato per intero ad uno dei coeredi, circostanza che non ricorre nel caso di specie. Ne consegue che, così stando le cose e stante il mancato accordo tra le parti, la vendita appare l'unica soluzione ragionevolmente praticabile. Ogni ulteriore questione di merito non espressamente esaminata è assorbita. La presente causa ha carattere di definitività, stante la natura non strettamente giurisdizionale delle residue operazioni divisionali di vendita. Considerato che non vi è stata opposizione alla domanda di scioglimento della comunione, tenuti altresì in considerazione la precipua natura della causa e l'esito complessivo della stessa, anche alla stregua delle domande rinunziate, risulta equa la compensazione integrale delle spese di lite. Le spese di CTU, già liquidate in corso di causa, andranno poste definitivamente a carico di tutti i coeredi in via solidale tra loro. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa e/o assorbita, così dispone: 1) dichiara aperta la successione di (...), deceduta in data 04/03/2004, lasciando quali eredi legittimi i figli (...) e (...); 2) dichiara lo scioglimento della comunione ereditaria sull'appartamento, con annesso box e cantinola pertinenziali, sito in C. alla via M. n. 12, iscritto al NCEU del Comune di C., al Foglio (...), particella (...) sub (...), piano 3, scala D, cat. (...), classe (...), vani 6, particella (...), sub (...), piano S1, cat. (...), classe (...), superficie 12 mq e particella (...), sub (...), piano S1, cat. (...), classe (...), superficie 15 mq, tra i germani (...) e (...); 3) accerta che le quote di proprietà dei beni di cui al punto 2), valutati in complessivi Euro 161.280,00, risultano le seguenti: (...) per 1/2, (...) per 1/2; 4) ordina la vendita del suddetto bene e pertinenze, in un unico lotto, secondo le modalità indicate con separata ordinanza con cui dispone il prosieguo del giudizio, prevedendo sin d'ora che all'esito della vendita si procederà al riparto tra gli eredi in parti uguali; 5) compensa tra le parti le spese di lite; 6) pone definitivamente a carico delle parti le spese di C.T.U., in solido tra loro. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Foggia il 2 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 gennaio 2022.

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