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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA CONTENZIOSO - SECONDA SEZIONE in composizione monocratica e nella persona della dott.ssa Giovanna Cice, pronuncia, ex art. 281 sexies c.p.c., all'esito delle note di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., in data 9.10.2024, la seguente SENTENZA nel procedimento di I grado iscritto al n. 3174/2018 del Registro Generale Affari Contenziosi, e promosso DA (...), elettivamente domiciliata in Trinitapoli alla via (...), presso lo studio degli avv.ti (...), che la rappresentano e difendono giusta, procura in atti - PARTE ATTRICE - CONTRO (...), in persona dell'amministratore p.t., elettivamente domiciliato in Barletta alla via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti - PARTE CONVENUTA- LE RAGIONI DI FATTO E DI DIRTTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), premesso di essere condomina del (...) ha convenuto quest'ultimo in giudizio al fine di sentir annullare la delibera adottata dall'assemblea in data 28 marzo 2018. (...) (d'ora in avanti, cp_i), ritualmente costituitosi, ha domandato di rigettare l'avversa pretesa, siccome infondata in fatto ed in diritto. Istruito il processo in via documentale e ritenuta la causa matura per la decisione, il giudizio è stato rinviato per la precisazione delle conclusioni e discussione ex art. 281 sexies c.p.c., con deposito di note ex art. 127 ter cod. proc. civ., in virtù di provvedimento reso dallo scrivente magistrato divenuto assegnatario del presente fascicolo in fase decisoria, giusta decreto del Presidente del Tribunale n. 121/2022 del 30.11.2022. In via preliminare, va superata l'eccezione di decadenza dall'azione sollevata dal (...), perché basata sull'erroneo assunto dell'inutile decorso del termine per impugnare. Il ragionamento del (...) è, infatti, inesatto nella parte in cui identifica la data dell'impugnazione nella data del perfezionamento della notifica nei suoi confronti, mentre in ossequio al principio della scissione degli effetti delle notificazioni, occorre tenere presente la data in cui la notifica è stata eseguita dall'attrice, che risulta, dagli atti di causa, essere avvenuta il giorno successivo a quello della adozione della delibera e, dunque, nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1337 cod. civ. (cfr. sent. Corte Cost. n. 477 del 26 novembre 2002). Va anche rigettata l'eccezione di improcedibilità, articolata dal (...) per avere l'attrice introdotto la domanda di mediazione solo dopo l'introduzione della lite. L'eccezione è infondata perché il D.Lgs. n. 28/2010 non configura alcuna causa di improcedibilità qualora la mediazione venga introdotta successivamente alla proposizione della domanda giudiziale, configurando, invece, improcedibilità nel sol caso in cui le parti non ottemperino alla disposizione del giudice di introdurre la domanda (art. 5 D.Lgs. 28/2010, applicabile ratione temporis). Nel merito, va rilevato quanto segue. La condomina ha impugnato la delibera assembleare assunta in seconda convocazione il 23.3.2018, in relazione all'approvazione di tutti i punti all'ordine del giorno. Il (...) ha depositato, con la prima memoria di cui all'art. 183, comma 6, cod. proc. civ., nuova delibera assembleare, assunta in data 9 novembre 2018, avente ad oggetto gli stessi punti all'ordine del giorno della precedente delibera impugnata, deducendo la cessata materia del contendere. Secondo la condomina, invece, l'adozione della nuova delibera assembleare non avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere, in quanto i bilanci sarebbero stati approvati sempre seguendo i medesimi criteri di riparto delle spese e sempre senza la redazione della nota esplicativa, con riproduzione dunque delle censure oggetto della presente controversia. In materia condominiale, risulta applicabile analogicamente, per identità di ratio, l'art. 2377 cod. civ., secondo cui l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto (tra le tante cfr. Cass. civ. n 10847/2020). Secondo l'interpretazione consolidata si ha sostituzione solo nel caso in cui la nuova delibera regoli il medesimo oggetto in termini incompatibili con quelli ipotizzati nella precedente assemblea (Cass. civ. n. 30479 del 2019), nel senso che, per aversi sostituzione, la seconda delibera deve disciplinare gli stessi argomenti della delibera impugnata ma deve rimuovere l'iniziale causa di invalidità (Cass. civ. n. 10847 del 08/06/2020), perché solo in tale ipotesi la seconda delibera produce effetti retroattivi, sanando la prima (alla stregua dell'atto di convalida in diritto amministrativo). Nel caso in esame, invece, non può affermarsi che vi sia stata sostituzione tra le due delibere assembleari perché la seconda delibera non ha statuito in maniera opposta alla prima e non ha emendato nessun vizio della prima delibera, ma ha solo confermato tutto ciò che era stato statuito nella prima delibera, lasciando inalterate alcune delle circostanze che la condomina ha contestato nel corso del presente giudizio. Il rapporto tra le due delibere deve quindi ritenersi non sostitutivo, in termini di efficacia emendante della prima delibera adottata, ma confermativo (i.e. riproduttivo) della prima delibera, con conseguente esistenza di due diversi titoli giuridici pur inerenti ai medesimi oggetti. Per tali motivi, non può dichiararsi la cessata materia del contendere, dovendosi escludere l'applicabilità dell'art. 2377 cod. civ.. Vanno esaminate, pertanto, le censure della attrice. Con la prima eccezione, la condomina si duole del fatto che il bilancio consuntivo 2017 ed il bilancio preventivo 2018 le addebitano spese anche relative agli impianti idrici, fognanti ed assicurativi alle quali essa è estranea. È doveroso precisare che la medesima ripartizione di spesa è contenuta anche nella delibera sostitutiva del 9 novembre 2018. La doglianza è infondata perché le spese sono state ripartite in base alle tabelle condominiali depositate in atti, non impugnate dall'attrice. Dal principio del consolidamento delle delibere non impugnate discende, infatti che, non avendo la condomina impugnato, nel termine di cui all'art. 1137 cod. civ., la delibera di approvazione della tabella millesimale, non può successivamente impugnare la delibera di riparto delle spese dolendosi dell'erroneo calcolo dei millesimi basato sulle tabelle non impugnate, cristallizzatesi per omessa impugnazione della delibera a monte di approvazione dei millesimi, e potendosi ella, al limite, solo dolere della non conformità del riparto delle spese rispetto ai millesimi di cui alla tabella approvata. Va, inoltre, rilevato che l'attrice, solo dopo il maturare di tutte le preclusioni assertive e probatorie, ha contestato la conformità del riparto delle spese, contenuto nella delibera impugnata, rispetto ai criteri di cui alle tabelle condominiali. Tale deduzione costituisce nuova eccezione di annullabilità e va, pertanto, dichiarata inammissibile poiché articolata dopo il maturare delle preclusioni assertive. Con ulteriore censura la condomina si duole del fatto che l'amministratore di (...) è stato nominato con soli 499,50 millesimi, senza quindi la maggioranza reale. La censura è palesemente infondata dal momento che dal verbale assembleare risulta che l'amministratore è stato nominato con 602,67 millesimi, e non con 499,50 millesimi indicati dall'attrice, la quale non ha nemmeno contestato il conteggio di 602,67 millesimi, affermando solo, in maniera del tutto apodittica e non conforme a quanto risulta dagli atti, che l'amministratore è stato nominato con soli 499,50 millesimi. Va, del pari, superata l'eccezione di nullità della deliberazione, sollevata dalla condomina sul presupposto secondo cui le sarebbe stata attribuita una quota delle spese legali relative ad un processo civile in cui risulta controparte. L'addebito delle spese legali prospettato dall'attrice, difatti, non si evince affatto dalla lettura del verbale assembleare, né risulta provato in altro modo dalla condomina. Fondata è, invece, l'eccezione di annullabilità relativa alla mancanza nel rendiconto della nota esplicativa della gestione condominiale. A norma dell'art. 1130-bis c.c., il rendiconto condominiale deve specificare nel registro di contabilità le voci di entrata e di uscita, documentando gli incassi e i pagamenti eseguiti, in rapporto ai movimenti di numerario ed alle relative manifestazioni finanziarie, nonché, nel riepilogo finanziario e nella nota sintetica esplicativa della gestione, ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del (...), con indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. Secondo la giurisprudenza di legittimità affinché la deliberazione di approvazione del rendiconto, ovvero dei distinti documenti che lo compongono, possa dirsi contraria alla legge, agli effetti dell'art. 1137, comma 2, c.c., occorre accertare che dalla violazione dei diversi criteri di redazione dettati dall'art. 1130-bis c.c. discenda una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio, o la rappresentazione della situazione patrimoniale del (...) e quelli di cui il bilancio invece dà conto, ovvero che comunque non sia possibile realizzare l'interesse di ciascun condomino alla conoscenza concreta dei reali elementi contabili, nel senso che la rilevazione e la presentazione delle voci non siano state effettuate tenendo conto della sostanza dell'operazione (cfr. Cass. civ. n. 28257 del 09/10/2023). Opera, dunque, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, al punto che si ritengono idonei a dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, pure i chiarimenti forniti dall'amministratore in assemblea. Nel caso in esame, tuttavia, non vi è censura delle modalità di redazione del bilancio condominiale ma vi è doglianza di una vera e propria omissione nella redazione di uno dei documenti indicati dall'art. 1130 bis cod. proc. civ., di modo che la condomina ha osservato che non le è possibile conoscere dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, perché non menzionate nel bilancio. Sul punto, del resto, il (...) si è difeso solo evocando la giurisprudenza di legittimità di cui si è dato conto, predicativa della prevalenza della sostanza sulla forma, ma tale giurisprudenza non risulta pertinente al caso in esame ove, essendo stata del tutto omessa la tenuta della nota sintetica, non è nemmeno possibile accertare se vi sia stata una divaricazione tra i dati riportati in bilancio (nel caso, non riportati proprio) e la sostanza dei rapporti e delle questioni pendenti. In definitiva, quindi, si può affermare che la seconda delibera non può considerarsi sostitutiva della prima perché non emenda nessun vizio della prima, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2377 cod. civ. e conseguente accoglimento della domanda di annullamento per omessa redazione della nota esplicativa di bilancio. All'accoglimento della domanda segue la condanna di parte convenuta, siccome soccombente (Cass. civ. Sez. Un. n. 32061/2022), al pagamento, in favore di parte attrice, degli esborsi documentati ai sensi dell'art. 2 co. 2 D.M. 55 del 2014 e delle spese di lite, che vanno computate al valore non superiore ad Euro 5.200,00 (art. 5 co. 5 e 6 D.M. 55/2014), secondo i parametri medi (art. 4 D.M. 55/2014), con riferimento alle fasi del giudizio svolte, anche d'ufficio in mancanza di esplicita domanda di parte (Cass. civ. n. 2719/2015), ma comunque entro i limiti della nota spese qualora depositata ex art. 73 disp. att. cod. civ. (Cass. civ. n. 14198/2022), con distrazione in favore degli avv.ti (...). P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Foggia, Contenzioso - Seconda Sezione, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) in parziale accoglimento della domanda avanzata da parte attrice, annulla la delibera condominiale del 20 marzo 2018, con riferimento ai punti 1) e 2) di cui all'ordine del giorno; b) condanna (...) F/2 in Trinitapoli al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite, pari all'importo di Euro 130,00 a titolo di spese ed Euro 2.552,00 a titolo di compensi, oltre i.v.a. se dovuta, c.p.a. come per legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15%, da distrarsi in favore degli avv.ti (...).
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il TRIBUNALE di FOGGIA, 3 sezione civile, in composizione monocratica e nella persona del giudice, dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle riunite cause civili in prima istanza, iscritte ai N.ri (...) e (...) del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2023 e decise mediante lettura del dispositivo ex art. 281sexies c.p.c. all'udienza del 24/06/2024 T R A (...) e (...) srl unipersonale e (...) avv. (...) la prima domiciliata in (...) presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta in giudizio per mandato allegato all'atto di citazione; il secondo difensore di se medesimo ex art. 86 c.p.c. (...) avv. (...) volontario difensore di se medesimo ex art. 86 c.p.c. e domiciliato presso il proprio studio in (...) E (...) domiciliato in (...) presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende per procura allegata alla memoria difensiva di costituzione (...) delli (...) domiciliata in (...) presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta in giudizio per mandato allegato alla memoria difensiva di costituzione (...) revocatoria ordinaria (...)udienza del 24/06/2024, i procuratori delle parti hanno concluso come da verbale, riportandosi integralmente ai propri rispettivi atti. CONCISA ESPOSIZIONE delle (...) di (...) e di (...) della DECISIONE Priva di pregio è innanzitutto l'eccezione, sollevata dai convenuti, secondo cui l'interventore volontario avv. (...) non avrebbe formulato, nel giudizio riunito, alcuna domanda propria, essendosi limitato solo ad insistere per l'accoglimento di quella avanzata dai ricorrenti nel giudizio principale. La tesi è palesemente infondata. È principio giurisprudenziale pacifico che l'interpretazione della domanda e l'individuazione del petitum non possono essere compiute sulla scorta della mera formulazione letterale dell'atto, ma esaminando il contenuto sostanziale della pretesa alla luce delle finalità perseguite dal giudizio (cfr., tra le tante, 2009/n. 18783; Cass. 2014/n. 20294) e compiendo dunque un esame complessivo dell'atto difensivo, non limitato alle sole conclusioni. Nel caso di specie, emerge dalla semplice lettura coordinata della parte espositiva dell'atto di intervento -in cui l'interventore ha premesso a chiare lettere di agire quale titolare di un proprio autonomo credito maturato nei confronti del (...) quale difensore antistatario della sua controparte nel giudizio di cassazione conclusosi nel 2019- che il medesimo ha spiegato, quale portatore di un interesse personale alla pronuncia, un intervento adesivo autonomo (e non ad adiuvandum) che conduce necessariamente ad interpretare la sua domanda come funzionale ad ottenere una dichiarazione di inefficacia (...) del medesimo atto impugnato anche nei propri confronti, secondo quanto del resto precisato espressamente nel verbale del prosieguo di prima udienza del 5/02/2024, costituente la prima difesa utile successiva che era consentita dall'art. 281duodecies, co. 3 c.p.c. quale replica all'avversa eccezione sollevata con le note del 2/02/2024. Nel merito, la domanda revocatoria è fondata e va accolta. Nessun dubbio si pone sulla revocabilità del contratto con cui un coniuge trasferisca all'altro un immobile, al dichiarato fine di dare esecuzione agli obblighi assunti in sede di separazione consensuale omologata o negoziata (cfr. Cass. 2008/n. 11914; 2005/n. 15603); è noto, infatti, che la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale relativo allo status di separato, ed un contenuto eventuale costituito dagli accordi patrimoniali accessori che possono anche prevedere l'attribuzione di immobili, i quali ultimi accordi, per la loro autonomia, ben possono essere aggrediti dai terzi creditori. In tali casi, si osserva che l'azione revocatoria "non trova ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo stesso (o, nella specie, nell'autorizzazione data dal PM ex L. 2014/n. 162, ndr), cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che comunque lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione; né infine nella circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti" (Cass. 2006/n. 8516); che, "ai fini dell'applicazione della differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., la qualificazione dell'atto come oneroso o gratuito discende dalla verifica, in concreto, se lo stesso si inserisca o meno nell'ambito di una più ampia sistemazione solutorio-compensativa di tutti i rapporti aventi riflessi patrimoniali, maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale" (Cass. 2019/ 10443). Ciò posto, ricorrono nel caso in esame tutti i presupposti richiesti dall'art. 2901 c.c. (esistenza di un rapporto di credito verso il debitore disponente; effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento dell'atto dispositivo; conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e del terzo). Sussistono innanzitutto le dedotte ragioni di credito degli istanti e dell'interventore volontario, portate da titoli giudiziali -peraltro definitivi e irretrattabiliprodotti agli atti (sentenza d'appello n. 1200/2018; ordinanza n. 9639/20 resa dalla Corte di cassazione ad epilogo della stessa vicenda giudiziaria; sentenze n. 1424/2020 e n. 1431/2020 di rigetto delle opposizioni a precetto spiegate dal debitore). Sussiste anche l'eventus damni. E' noto che "il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria ordinaria ricorre non solo nel caso in cui l'atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l'onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore" (cfr., tra le tante, Cass. 2006/n. 15265; 2019/n. 16221). Nella fattispecie, è un dato incontestabile che, con l'atto impugnato, il debitore si sia spogliato degli unici beni immobili di cui era proprietario esclusivo (il cui valore di mercato, contrariamente a quanto assunto dai convenuti, non può certamente definirsi "nullo" in ragione della mera vicinanza, al pari di tanti altri immobili, alle piste del locale aeroporto). A fronte di tanto, il (...) non ha fornito prova sufficiente della disponibilità di altri beni in grado di garantire in modo altrettanto agevole la soddisfazione delle ragioni dei creditori, essendosi limitato solo a dimostrare di esser comproprietario, per l'esigua quota di ¼ pervenutagli per successione ereditaria paterna, di un piccolo locale seminterrato (fgl. 7, p.lla 691) di 88 mq e di categoria C/6 sito in (...) G.co. (è un dato notorio che le quote di comproprietà siano di più difficile realizzo nell'ambito di un'eventuale procedura esecutiva), nonché di aver ricevuto in cessione dal Comune di (...) G. alcuni terreni dell'estensione di circa 3.000 mq. in forza di verbale di transazione e di conciliazione giudiziale del 7/03/2016 (all. 7 alla memoria di costituzione del (...), che però subordinava espressamente il perfezionamento della cessione ad una serie di controprestazioni poste a carico del (...) nell'ambito di una futura edificazione ancora da compiersi (trasferimento in permuta di un'autorimessa coperta per il ricovero dei mezzi comunali, destinazione di una superficie a parcheggio pubblico da gestire secondo certi criteri, etc.), del cui regolare adempimento non è stata fornita la minima prova agli atti. Tale prova era invece da ritenersi essenziale, visto che la clausola n. 10 del medesimo verbale transattivo prevedeva espressamente che l'accordo si sarebbe automaticamente risolto di diritto, con retrocessione immediata del terreno in favore del cedente Comune di (...) G.co, non solo in caso di inadempimento pur di uno solo dei patti concordati, ma anche di mancata attuazione per qualsiasi motivo del programma costruttivo avente ad oggetto il lotto di terreno ceduto entro il termine di due anni dalla firma dell'accordo. Quanto invece al terreno di are 71.41 venduto da (...) con atto per notar (...) del 8/10/2007 (all. 5) e al dedotto programma edificatorio in C.da (...) di cui alla (...) edilizia del 25/03/2010 (all. 6), la documentazione in atti dimostra chiaramente che tali beni e rapporti non sono affatto riconducibili al (...) in proprio, bensì alla C.V. (...) srl che, quale società di capitali, è soggetto giuridico del tutto autonomo e distinto rispetto al debitore convenuto. Alla luce di tanto, non essendo stata offerta da quest'ultimo sufficiente prova dell'esistenza di risorse patrimoniali alternative in grado di garantire la stessa agevole realizzabilità dei crediti fatti valere in questa sede, deve concludersi che l'atto dispositivo impugnato abbia senz'altro determinato una notevole variazione peggiorativa dell'originaria consistenza patrimoniale del debitore sia in termini quantitativi che qualitativi. Quanto al requisito soggettivo, è noto che detto requisito si atteggia diversamente a seconda che l'atto dispositivo impugnato sia successivo o anteriore al sorgere del vantato credito: nel primo caso è sufficiente la semplice conoscenza od agevole conoscibilità del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori; nel secondo, si richiede invece la più rigorosa prova della dolosa preordinazione dell'atto. Nella fattispecie, non vi è dubbio che si verta nel primo caso, visto che il trasferimento immobiliare del 28/08/2018 è stato pacificamente compiuto dal debitore convenuto nella pendenza del giudizio di rivalsa avviato nei suoi confronti con originario ricorso ex art. 702bis c.p.c. del 2012, poi sfociato nella pronuncia d'appello n. 1200/2018 del 5/07/2018 e nell'ordinanza di rigetto della S.C. Né può fondatamente sostenersi la tesi dell'anteriorità dell'atto impugnato sulla base del rilievo che i crediti portati dai predetti titoli sarebbero divenuti definitivi e irretrattabili solo in un momento successivo alla contestata cessione, posto che, per principio giurisprudenziale pacifico, in tema di azione revocatoria il requisito dell'anteriorità del credito rispetto all'atto dispositivo del debitore va riscontrato con riferimento al momento di insorgenza del credito e non già rispetto a quello del suo accertamento giudiziale (cfr., tra le tante, Cass. 2019/ 22161). Nella fattispecie, il credito da rivalsa nei confronti del (...) (cui sono accessorie le spese di lite) è sorto contrattualmente nel 1998, come risulta dalla semplice lettura dell'ordinanza ex art. 702bis c.p.c. resa in primo grado. Ne deriva che il requisito soggettivo richiesto nella specie si esaurisce nella cd. scientia damni, intesa come semplice conoscenza -od agevole conoscibilità- del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, che ben può essere provata in via presuntiva (cfr., tra le tante, Cass. 2019/n. 16221). Il requisito soggettivo si atteggia altresì diversamente a seconda della natura onerosa o gratuita dell'atto dispositivo, perché è noto che, in caso di atto a titolo gratuito, non rileva lo stato soggettivo del terzo beneficiario, il quale, avendo acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore (cfr., tra le tante, Cass. 2010/n. 12045). Nel caso in esame, rileva il Tribunale che parte convenuta non ha fornito alcuna prova dell'asserita natura onerosa della cessione attuata, da valutarsi nell'economia complessiva delle rispettive posizioni reddituali dei coniugi (rimaste imprecisate) e della sistemazione degli assetti patrimoniali conseguenti alla separazione. Non ha infatti dimostrato che l'assegnazione della casa coniugale alla moglie, pur in assenza di figli nati dalla coppia, avesse una funzione solutorio-compensativa di un eventuale obbligo di mantenimento verso il coniuge, mancando qualsiasi prova del presupposto della non autonomia economica della moglie, né ha comprovato la tesi dei suoi pregressi debiti verso la stessa da rimborso di prestiti asseritamente ricevuti nel corso della convivenza matrimoniale a supporto della sua attività di imprenditore edile. In ogni caso, anche a voler per ipotesi ritenere che il patto traslativo inerente la casa coniugale (cui si è data attuazione con l'atto di cessione impugnato) non costituisse una liberalità, ma avesse effettivamente una funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento nei confronti della moglie e/o comunque compensativa di altri eventuali sconosciuti rapporti economici esistenti tra i coniugi, sussiste comunque sufficiente prova della scientia damni sia in capo al disponente che alla terza cessionaria del bene. Ed infatti, la conoscenza da parte di entrambi del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori rinviene, nello specifico, dal concorso dei seguenti elementi precisi ed inequivoci: --la tempistica dell'invito alla negoziazione assistita per l'accordo di separazione consensuale, inviato, guarda caso, dal (...) lo stesso giorno (5/07/2018) della notifica a mezzo Pec della sentenza di riforma in appello n. 1200/18 e sfociato appena venti gg. dopo nella firma dell'accordo del 25/07/2018 contenente il patto relativo all'impegno a trasferire la proprietà della casa coniugale alla moglie, poi adempiuto con la stipula, in data (...), dell'atto di trasferimento impugnato; --la portata della dismissione attuata, con cui, subito dopo la riforma della pronuncia di rigetto in primo grado, il debitore convenuto si è frettolosamente spogliato degli unici immobili di cui era proprietario esclusivo, comprese le parti del fabbricato ancora in corso di costruzione che non erano ovviamente adibite a casa coniugale; --il rapporto di coniugio esistente tra il disponente e la beneficiaria della cessione, che pure, in quanto moglie del (...) dal settembre 1997, non poteva non essere a conoscenza dell'annosa vicenda giudiziaria in cui è stato per lunghissimo tempo coinvolto il marito (quanto meno dalla sua chiamata in causa nel precedente giudizio iniziato già nel 2002), in relazione ad un atto di compravendita risalente al 1998, rispetto al quale il medesimo, titolare dell'impresa di costruzione del fabbricato venduto alla (...) srl, aveva assunto sin da quell'epoca l'obbligo di tener indenne la società venditrice da ogni responsabilità connessa a vizi di costruzione. La riconosciuta sussistenza di tutti gli elementi di cui all'art. 2901 c.c. conduce, in definitiva, all'accoglimento della domanda revocatoria dell'atto traslativo proposta sia dagli attori che dall'interventore autonomo. Non vi è invece luogo per la revoca anche dell'atto presupposto costituito dalla convenzione di negoziazione assistita del 25/07/2018, che, essendo qualificabile (rispetto agli obblighi di cessione ivi assunti) come impegno preliminare alla stipula del contratto impugnato, non è atto revocabile ex art. 2901 c.c., in conformità del pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui "il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all'azione revocatoria ordinaria, che può invece avere ad oggetto l'eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato (cfr. Cass. 2011/n. 17365; Cass. 2018/n. 15215; Cass. 2019/ 17067). Le spese di lite seguono l'ordinario criterio della soccombenza, nelle misure liquidate come da dispositivo ex DM 2014/n. 55, sulla base degli scaglioni tariffari determinati dal valore dei crediti tutelati in ciascun giudizio, dimezzata la fase di trattazione/istruttoria in ragione della natura documentale della controversia e tenuto conto del mancato deposito di note conclusive da parte degli istanti e dell'interventore volontario. P.Q.M. il Tribunale di Foggia, 3° sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) e (...) srl unipersonale e (...) avv. (...) con ricorso ex art. 281decies c.p.c. depositato il (...), nonché da (...) avv. (...) con comparsa di intervento volontario depositata nel giudizio riunito il (...), nei confronti di (...) e delli (...) nelle cause riunite iscritte ai N.ri (...)/2023 e (...)/2023 R.G., uditi i procuratori delle parti e disattesa ogni contraria istanza od eccezione, così provvede: 1. accoglie la domanda revocatoria ordinaria e, per l'effetto, dichiara l'inefficacia, nei confronti degli attori e dell'interventore volontario, dell'atto di trasferimento immobiliare per notar (...) del 28/08/2018 -(...) 25226/Racc. 13065, con cui (...) in adempimento della convenzione di negoziazione assistita stipulata il (...) ed avente ad oggetto l'accordo di separazione personale tra coniugi autorizzato dalla (...) della Repubblica presso questo Tribunale con provvedimento n. 146/18 del 2/08/2018, ha ceduto alla moglie delli (...) la piena proprietà dell'intero fabbricato sito in (...) alla via (...) 1 (costituito da quattro appartamenti, di cui due ancora in corso di costruzione, ed un locale seminterrato ad uso deposito) censiti in catasto al fgl. 131, p.lla 287, sub 1-2-3-4-5, con annessa area di pertinenza a destinazione agricola di are 37.54, censita in catasto al fgl. 131, p.lle 285, 283, 240 e 237; 2. visto l'art. 2655 c.c., dispone l'annotazione della presente sentenza a margine della trascrizione dell'atto revocato eseguita il (...) presso la (...) dei (...) di (...) ai N.ri 19165 R.G.-14312 R.P.; 3. condanna i convenuti in solido al pagamento delle spese di lite in favore degli attori e dell'interventore volontario, liquidandole, per i primi, in euro 786 per esborsi ed euro 5.634 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, avv. (...) per l'interventore volontario, avv. (...) in euro 2.967 a titolo di onorari, oltre accessori di legge come sopra.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SECONDA SEZIONE CIVILE in funzione di Giudice Unico, in persona del Dott. Alessandro Emanuele Lenoci, ha emesso la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile iscritta al N. 4743 dell'anno 2020 del Registro Generale Affari Contenziosi, TRA (...), rappresentato e difeso dall'Avv. P. St., presso il cui studio legale, sito in San Marco in Lamis, elegge domicilio OPPONENTE E (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. G. Lo., elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell'Avv. P.G. D., sito in Foggia OPPOSTA Il Tribunale - preso atto che con decreto del 3.05.2024 era stata disposta la sostituzione dell'udienza del 16.05.2024 con il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. - lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti, decide la causa con deposito telematico della sentenza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1158/2020, emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Foggia il 04.07.2020, su ricorso di (...) per il pagamento della somma di Euro 9.237,10, di cui alla fattura n. 711315500420067 del 4.02.2019, prodotta in sede monitoria, a titolo di corrispettivo della fornitura di energia elettrica, dall'opposta effettuata in favore dell'opponente. Il debitore ingiunto, nello spiegare opposizione, eccepita in via preliminare la prescrizione del credito vantato dalla controparte e dedotto che la società opposta non avesse comprovato i consumi effettivamente effettuati dall'opponente nel periodo indicato in sede monitoria, chiedeva che, in accoglimento dell'opposizione spiegata, il decreto ingiuntivo impugnato venisse revocato e (...) venisse condannata al pagamento in suo favore delle spese di lite, nonché ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Si costituiva in giudizio (...) in persona del legale rappresentante pro-tempore, la quale, ritenuto che l'opposizione ex adverso articolata fosse infondata, trattandosi di prelievi abusivi di energia elettrica, accertati dai tecnici di (...) ne chiedeva il rigetto, con la conseguente conferma del decreto monitorio opposto. Istruita la causa in via documentale e proposta alle parti una soluzione conciliativa della lite ex art. 185 bis c.p.c., che veniva rifiutata dall'opponente, il procedimento veniva rinviato per la precisazione delle conclusioni, la discussione e la decisione ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 16.05.2024. Indi, sostituita la predetta udienza con il deposito di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., il Tribunale, lette le note di trattazione scritta depositate dalle parti, decide la causa depositando telematicamente la sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE L'esame delle questioni sorte nel contraddittorio delle parti deve procedere secondo l'ordine logico-giuridico. Viene, dunque, innanzitutto in rilievo l'eccezione di improcedibilità della domanda, per mancato esperimento della procedura di conciliazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010 - rectius, ex art. 2 della delibera n. 209/2016/E/COM (recante il Testo Integrato Conciliazione, c.d. (...)), adottata dall'(...) il 5.05.2016 - nonché per mancato esperimento della negoziazione assistita, sollevata da (...) nelle note di trattazione scritta depositate il 19.01.2021 e dallo stesso ribadita nei propri scritti conclusivi. L'eccezione è infondata e viene rigettata. In particolare, in assenza di una specifica disciplina del termine entro cui la parte possa eccepire il mancato esperimento della procedura di conciliazione nella materia de qua e di quello entro cui il Giudice è tenuto ad assegnare alle parti il termine per l'introduzione del procedimento conciliativo, la fattispecie in esame deve essere regolata - stante l'identità di ratio sottesa alle normative in parola - dall'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010, secondo cui alla prima udienza il Giudice, appurato il mancato esperimento della procedura di mediazione, assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della relativa istanza. Di talché, qualora, come nel caso di specie il Giudice, pur a fronte dell'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dall'opponente (convenuto in senso sostanziale), ometta di assegnare alle parti il termine per la presentazione dell'istanza di conciliazione, il giudizio diventa procedibile, in omaggio al principio giuridico, affermato dalla Suprema Corte in tema di c.d. giurisdizione condizionata (quale quella che prevede lo svolgimento, in via precontenziosa, di un tentativo obbligatorio di conciliazione, come nelle controversie di lavoro), secondo cui "la questione della procedibilità della domanda giudiziaria in relazione al preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione e sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere - dovere del giudice del merito, da eseratarsi, ai sensi del secondo comma dell'art. 443 cod. proc. civ., solo nella prima udienza di discussione, sicché ove la improcedibilità, ancorché segnalata, non venga rilevata dal giudice entro detto termine e non sia stato fissato il termine perentorio per la richiesta del tentativo, l'azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost. e la questione stessa non può essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (Cass. n. 10089/2000, Cass. n. 3022/2003)" (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Lav., 19/07/2004, n. 13394; nonché, negli stessi termini, Tnb. Bari, 08/10/2015, n. 4237). Né vi sono i presupposti per la declaratoria di improcedibilità della domanda per il mancato esperimento della negoziazione assistita, atteso che l'art. 3, comma 3, lett. a) del d.l. n. 132/2014 esclude espressamente l'applicabilità dell'istituto ai "procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione". Nel merito, l'opposizione è infondata e viene rigettata. Priva di fondamento è, in primo luogo, l'eccezione di prescrizione sollevata dall'opponente. Premesso, infatti, che la fattispecie in esame - avendo ad oggetto il credito di cui alla fattura n. 711315500420067 del 4.02.2019, con scadenza al 25.02.2019, azionata dall'opposta in sede monitoria - deve essere regolata, quanto al regime prescrizionale, dall'art. 1, commi 4 e 10 del D.Lgs. n. 205/2017, secondo cui il credito derivante dalla fornitura di energia elettrica si prescrive in due anni per le fatture emesse successivamente alla data dell'1.03.2018 - il (...) non ha congruamente allegato il dies a quo di decorrenza della eccepita prescrizione, essendosi lo stesso limitato a dedurre che il suddetto termine biennale decorrerebbe dalla "data di presunta erogazione della fornitura", senza tuttavia indicarla. Sicché, stante la genericità dell'eccezione in parte qua sollevata dall'opponente, se ne deve predicare l'infondatezza, dovendo trovare applicazione il principio giuridico, affermato dalla Suprema Corte e condiviso da questo Giudice, secondo cui "l'eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte ed il debitore che la solleva ha l'onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine, ai sensi dell'art. 2935 c.c., restando escluso che il giudice possa accogliere l'eccezione sulla base di un fatto diverso" (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. II, 18/06/2018, n. 15991). Tanto premesso, deve poi osservarsi che - posto che, secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, che il Tribunale condivide, "nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l'opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito" (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 24/10/2005, n. 24815), ed "in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della dimostrazione del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. VI, 12/10/2018, n. 25584) - nel caso di specie è, in primo luogo, risultato non contestato tra le parti l'avvenuta stipulazione del contratto di fornitura di energia elettrica tra la società fornitrice, odierna opposta, e l'opponente, (...) in relazione all'immobile, a quest'ultimo riferibile, sito in Mattinata alla c.da (...). (...) ha, poi, versato in atti il verbale redatto il 26.11.2014 dai tecnici della società di distribuzione dell'energia elettrica, (...) in presenza dei Carabinieri - atto che, come è noto, provenendo da soggetti aventi la qualifica di incaricati di pubblico servizio, riveste natura di atto pubblico, come tale fidefacente fino a querela di falso (cfr. Cass. Civ., Sez. Trib., 12/03/2020, n. 7075; nonché, Cass. Pen., Sez. IV, 19/02/2020, n. 7566; nonché, ancora Corte App. Palermo, 27/10/2022; Trib. Crotone, 5.03.2020) - in seno al quale gli stessi attestavano di aver riscontrato, nella stessa data del 26.11.2014, che sul contatore installato presso l'immobile dell'opponente ed attinente al contratto di fornitura oggetto del giudizio fosse presente un magnete "che ne provocava il blocco, ovvero provocava un errore di misura pari almeno a - 99% circa", ovvero che il misuratore fosse stato manomesso. L'opposta ha, inoltre, prodotto la missiva del 9.12.2014, inviatale da (...) contenente il prospetto del prelievo presuntivamente effettuato dall'opponente nel periodo 1.01.2013 - 26.11.2014, di manomissione del contatore oggetto di causa, nonché la fattura n. 1131390001143-A del 5.05.2017 - non onerata dal (...) e poi "trasfusa" nella fattura n. 711315500420067 del 4.02.2019, azionata in sede monitoria - da cui emerge una esatta corrispondenza tra il quantitativo di prelievo di energia elettrica complessivamente attribuito al (...) dalla società di distribuzione nella predetta missiva del 9.12.2014 ed il quantitativo fatturato dalla fornitrice al proprio cliente. Sicché, deve ritenersi che l'opposta abbia congruamente dimostrato l'an ed il quantum della propria pretesa creditoria. In particolare, posto che, nei casi de quibus - trattandosi di prelievo abusivo di energia elettrica, poiché effettuata a seguito di manomissione del misuratore - il calcolo del quantitativo illecitamente prelevato dal cliente non può che essere di natura presuntiva (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 21/05/2019, n. 13605), ovvero non può che essere effettuato - come nella specie - sulla scorta dello storico dei prelievi fatti dall'utente, provenendo, nella fattispecie in esame, la quantificazione del prelievo da fatturare, da un soggetto terzo rispetto al contratto di somministrazione, ovvero da (...) - società deputata a tale verifica, in conformità alla Delib. 28 dicembre 1999, n. 200 dell'AEEG - e sussistendo una perfetta coincidenza tra quanto calcolato dalla distributrice e quanto fatturato dalla fornitrice, deve ritenersi presuntivamente comprovato ai sensi dell'art. 2729 c.c. l'ammontare del corrispettivo dovuto dal (...) in favore di (...) per il prelievo di energia elettrica oggetto del contendere (negli stessi termini, v. Cass. Civ., Sez. III, 21/05/2019, n. 13605, cit.). Posto, dunque, che (...) ha congruamente assolto all'onere probatorio sulla stessa incombente, deve poi osservarsi che l'opponente ha contestato solo genericamente la quantificazione del corrispettivo fatturato dall'opposta, non avendo l'ingiunto specificato nulla circa il metodo di contabilizzazione del consumo effettuato nella specie dalla società distributrice. Né il (...) ha comprovato che il prelievo di energia elettrica sia stato effettuato da terzi "invito domino", ovvero di avere adottato ogni possibile cautela e dunque di avere diligentemente vigilato affinché intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del contatore, detta circostanze fattuali non emergendo dalla documentazione prodotta ed avendo l'ingiunto formulato inammissibili capitoli di prova orale sul punto. Non va, infatti, dimenticato che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, "l'utente che contesti l'anomalia dei consumi registrati ritenuta eccessiva -in difetto di prova evidente della alterazione dello strumento- deve sempre dimostrare la sproporzione manifesta del consumo rilevato rispetto a quello effettivamente sostenuto, ma altresì deve provare la attività illecita del terzo (dimostrando (che il consumo di energia è e si è verificato "invito domino")) ovvero di avere adottato ogni possibile cautela, ovvero di avere diligentemente vigilato affinché intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del contatore (...)" (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 21/05/2019, n. 13605, cit.). Né rileva, infine, che in sede di missiva del 23.04.2015, versata in atti dal Pt_1 la società opposta abbia riconosciuto all'opponente un credito di Euro 2.704,08, a titolo di conguaglio; premesso, infatti, che detta missiva attiene a fatture diverse rispetto a quella oggetto di causa ed in relazione a prelievi effettuati dopo l'accertamento del 26.11.2014, deve escludersi che la stessa abbia valore di rinuncia tacita al credito emergente dai controlli effettuati da (...) in relazione al prelievo abusivo di energia elettrica oggetto di causa, la lettera de qua non facendo alcun riferimento a tale accertamento. Allo stesso modo, deve - per le medesime ragioni da ultimo indicate - escludersi che la tale lettera costituisca indice di erroneità del calcolo del prelievo di energia, nella specie effettuato dalla distributrice e fatturato dalla fornitrice. L'opposizione è pertanto integralmente infondata e viene rigettata; di talché, il decreto ingiuntivo opposto deve essere confermato e dichiarato definitivamente esecutivo. Ogni ulteriore questione di rito e di merito sollevata dalle parti resta assorbito. Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, Seconda Sezione Civile, in funzione di Giudice Unico, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 1158/2020, emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Foggia il 04.07.2020, su ricorso di (...) in persona del legale rappresentate pro-tempore, ogni ulteriore istanza ed eccezione assorbita, così provvede: 1. Rigetta l'opposizione proposta e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto, che dichiara definitivamente esecutivo; 2. Condanna parte opponente al pagamento delle spese processuali sostenute dall'opposta, che liquida in Euro 4.237,00, per onorario, oltre rimb.forf. nella misura del 15%, iva e cpa, come per legge. Foggia, 16 maggio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA Prima Sezione Civile Il Tribunale, in composizione collegiale, riunito in (...) di Consiglio, nelle persone dei sig.ri magistrati: (...) relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2022 avente ad oggetto: divorzio contenzioso, promossa da: (...) nata a (...) il (...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...) (C.F. (...)) sito in (...) in (...) n. 29, che la rappresenta e difende giusto mandato in atti, (...) nato a (...) il (...) (C.F. (...)); Resistente contumace e con l'intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale. Conclusioni delle parti: all'udienza dell'08/03/2024, il procuratore di parte ricorrente ha precisato le conclusioni come da "note di trattazione scritta" in atti; Conclusioni del pubblico ministero: parere favorevole con nota del 15/03/2024. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45, c. 17, L. n. 69/2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti costituite e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con ricorso depositato in data (...), (...) ha chiesto pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto, con (...) in (...) in data (...), iscritto al Registro degli atti di matrimonio del Comune di (...) anno 1990, atto n. 541, parte II, serie A; che, dall'unione coniugale, sono nati due figli: (...) (n. il (...)) e (...) (n. il (...)); che, con decreto del 15/04/2009, il Tribunale di (...) ha omologato, con provvedimento non reclamato, gli accordi di separazione intercorsi fra le parti; che la separazione si è protratta ininterrottamente dalla data di comparizione innanzi al (...) del Tribunale; che la figlia ha formato un autonomo nucleo familiare e il figlio è economicamente indipendente; che non vi è alcuna volontà di riconciliazione o di ripresa della convivenza; che ricorrono le condizioni per la previsione di assegno divorzile in favore della ricorrente. La ricorrente ha, quindi, concluso chiedendo pronunciarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio, con previsione dell'obbligo, in capo al resistente, di versare in favore della moglie l'importo di Euro 500,00 al mese, a titolo di contributo al mantenimento. Il resistente non si è costituito in giudizio e ne è, pertanto, stata dichiarata la contumacia. Con ordinanza del 06/11/2022, il (...) esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, ha autorizzato i coniugi a vivere separati, adottando i provvedimenti provvisori ed ha rimesso le parti dinanzi al giudice istruttore. Depositate le memorie integrative, all'udienza del 03/02/2022, nella contumacia del resistente, il difensore di parte ricorrente ha chiesto pronunciarsi sentenza non definitiva in ordine allo status e la causa è stata rimessa al Collegio per la relativa pronuncia. Con sentenza pubblicata il (...), il Tribunale di (...) ha emesso sentenza parziale di scioglimento degli effetti civili del matrimonio e, con separata ordinanza resa in pari data, ha rimesso la causa sul ruolo, assegnando i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. All'udienza del 23/06/2023, preso atto della mancata richiesta di mezzi istruttori, la causa è stata rinviata all'udienza dell'08/03/2024 per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 15/03/2024, tenutasi secondo la modalità cd. cartolare, parte ricorrente ha precisato le conclusioni, rinunciando ai termini di cui all'art. 190, c.p.c. e, all'esito, la causa è stata rimessa al Collegio per la decisione, disponendo l'acquisizione del parere del PM. Preliminarmente, il Tribunale fa propria l'ordinanza resa in data (...) dal giudice relatore, con la quale, dietro istanza del 12/03/2024 di parte ricorrente, ha modificato il verbale dell'08/03/2024 nella parte in cui erano stati concessi i termini di cui all'art. 190, c.p.c., pur avendo il difensore di (...) espressamente rinunciato agli stessi nelle note scritte depositate in data (...). Ciò posto, attesa la pronuncia sullo status già resa da questo Tribunale, si rileva che l'unica questione tra le parti è quella relativa alla domanda di assegno divorzile avanzata dalla ricorrente, la quale ha concluso chiedendo fissarsi in (...) 500,00 l'importo del detto assegno, dando atto, nelle note di precisazione delle conclusioni, di essere stata recentemente licenziata. Al riguardo, è opportuno premettere che la determinazione dell'assegno di divorzio è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, della struttura e delle finalità dei relativi trattamenti, correlate a diversificate situazioni e alle rispettive decisioni giudiziali, l'assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l'assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un mero indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (così, tra le altre, Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 6641 del 09/05/2002). Con specifico riferimento all'art. 5 legge n. 898/70, nel testo modificato dalla legge n. 74/87, si evidenzia che in esso è contenuto il riconoscimento dell'assegno in favore del coniuge divorziato solo "quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive"; è indubbia, alla luce di tale disposizione, la funzione assistenziale dell'assegno, in quanto il presupposto fondamentale per la sua attribuzione è da ricercarsi nell'esigenza di porre rimedio, in base ad un principio solidaristico, ad uno stato di disagio economico in cui venga a trovarsi il coniuge più debole, valutando la situazione dello stesso in concreto, ossia tenendo conto delle qualità personali e sociali delle parti e rapportando le stesse al tenore di vita goduto durante il matrimonio. In tal senso, si è espressa la Corte di Cassazione con la nota pronuncia n. 11504 del 10/05/2017, secondo cui il (...) del divorzio, richiesto l'assegno di cui all'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 10 della l. n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi: a) deve verificare, nella fase dell'"an debeatur", se la domanda dell'ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di "mezzi adeguati" o, comunque, impossibilità "di procurarseli per ragioni oggettive"), non con riguardo ad un "tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio", ma con esclusivo riferimento all'"indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge; b) deve tener conto, nella fase del "quantum debeatur", di tutti gli elementi indicati dalla norma ("condizioni dei coniugi", "ragioni della decisione", "contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune", "reddito di entrambi") e valutare "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio" al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova. Con successiva pronuncia n. 18287 dell'11/07/2018, nell'evidenziare che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, la Corte di Cassazione ha, poi, precisato nuovamente che detta disposizione di legge richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. La Suprema Corte ha, inoltre, precisato che tale giudizio dovrà essere espresso "alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto". I parametri su cui fondare l'entità del mantenimento consistono, in definitiva, nella durata del matrimonio, nelle potenzialità reddituali future e nell'età dell'avente diritto. (...) i (...) di legittimità, il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili che possono incidere sul profilo economico-patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell'unione matrimoniale: pertanto, anche al coniuge economicamente più debole va riconosciuto l'impegno e il contributo personale alla conduzione del ménage familiare. Il nuovo criterio individuato dalla Corte valorizza, quindi, i sacrifici del coniuge debole in considerazione degli anni di durata del matrimonio. Alla luce di tale decisione, il diritto all'assegno di divorzio non dipende più soltanto dalla mancanza di autosufficienza economica in chi lo richiede o dall'esigenza di consentire al coniuge, privo di mezzi adeguati, il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, poiché il diritto sorge anche quando si tratta di porre rimedio allo squilibrio esistente nella situazione economico-patrimoniale delle parti. Ciò premesso, venendo al caso di specie, dall'analisi delle attuali condizioni economiche e lavorative delle parti, sulla base della documentazione depositata in atti, (...) risulta svolgere attività lavorativa, in forza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, presso la (...) S.R.L. con sede in (...) (cfr. busta paga allegata alla memoria integrativa della ricorrente dell'08/11/2022), percependo circa Euro 1.874,00 al mese; (...) risulta aver ricevuto, in data (...), preavviso di licenziamento dal proprio datore di lavoro (cfr. doc. note 02/03/2024) per l'attività di lavoro domestico prestata in suo favore, dal quale ha ricavato poco più di (...) 900,00 nel 2019 e di (...) 2.400,00 negli anni 2020 e 2021 (cfr. certificazioni allegate al ricorso introduttivo). Inoltre, dalle copie degli ordini dei bonifici versati in atti dalla (...) (cfr. doc.ti allegati al ricorso), si evince che la stessa sta onerando il pagamento del mutuo fondiario gravante sulla (...) casa familiare andato in sofferenza, per un importo mensile pari ad Euro 674,00. Orbene, valutate le circostanze che precedono e la natura assistenziale-compensativa dell'assegno in questione, ritiene il Collegio che sussistono i presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in favore della ricorrente. In considerazione dell'età della (...) delle capacità reddituali e patrimoniali di entrambe le parti come sopra evidenziate e della durata del matrimonio, nonché del fatto che il preavviso di licenziamento non equivale al licenziamento, onde per cui è ben possibile che ad oggi la ricorrente non sia effettivamente cessata dall'attività di lavoro prestata, si ritiene congruo confermare anche nella presente sede la somma di Euro 350,00 già posta a carico del resistente in sede di ordinanza presidenziale e che qui definitivamente si determina a titolo di assegno divorzile. Affinché l'importo predetto rimanga adeguato anche in futuro, si dispone che esso sia aggiornato automaticamente ogni anno secondo gli indici del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati elaborati dall' (...) Le spese di lite. Considerata la natura costitutiva della pronuncia sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio e l'accoglimento della domanda della resistente in ordine all'assegno divorzile, le spese processuali seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo secondo i valori medi dello scaglione di riferimento, per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria/trattazione e decisionale (scaglione da euro 5.201,00 ad (...) 26.000,00), con riduzione del 30% in considerazione dell'assenza di questioni di fatto e di diritto. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa di cui in epigrafe, sulle conclusioni precisate dalle parti e dal Pubblico Ministero: 1) Dà atto che, con sentenza non definitiva n. (...)/2023 depositata in data (...) e pubblicata il (...), il Tribunale di (...) ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio; 2) Pone a carico di (...) l'obbligo di corrispondere a (...) a titolo di assegno divorzile, la somma mensile di Euro 350,00, oltre rivalutazione (...) entro e non oltre il 27 di ogni mese; 3) Condanna il resistente, al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquidano in complessivi Euro 3.553,90 per compenso professionale, oltre rimborso spese straordinarie (15%), I.V.A. e C.P.A. come per legge. Manda alla (...) per gli adempimenti di competenza (...) deciso nella camera di consiglio del Tribunale di (...) in data 19 marzo 2024. Così deciso in Foggia il 19 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso - SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Foggia, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott.ssa Antonella Cea, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8672/2019 promossa da (...) rappresentato e difeso giusta procura in atti opponente contro (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall'Avv. (...) procura in atti opposta CONCLUSIONI: come da note di trattazione scritta rassegnate all'udienza del 6.12.2023, trattata in forma scritta ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Nei limiti della dovuta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione in termini succinti ed essenziali (artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. Si controverte del credito di Euro 7.593,43, oltre accessori e spese, vantato da Ifis (...) in qualità di cessionaria del credito, nei confronti di (...) in forza di due contratti di finanziamento, stipulati rispettivamente il 30.6.2006 e il 19.12.2012, rimasti inadempiuti. Chiesta e ottenuta dalla creditrice ingiunzione di pagamento (decr. ing. n. 1978/2019 del 2.10.2019), (...) debitore ingiunto, ha proposto opposizione ex art. 645 c.p.c. eccependo l'illegittima applicazione di tassi usurari, l'omessa valutazione del merito creditizio, la difformità tra il TAEG convenuto e quello applicato, il superamento del limite di finanziabilità. Ha dunque concluso chiedendo di revocare il decreto ingiuntivo; vinte le spese. Si è costituita l'opposta che ha contestato ogni avversa difesa siccome infondata in fatto e in diritto, concludendo per il rigetto dell'opposizione con condanna dell'opponente al pagamento delle spese di lite. Con ordinanza del 27.5.2021 è stata formulata alle parti una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., sulla quale parte opponente non ha inteso prendere alcuna posizione. Sicché la causa, istruita in via esclusivamente documentale, è pervenuta all'udienza del 6.12.2023 celebrata ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. all'esito della quale, sulle conclusioni precisate come in epigrafe, è decisa. Va anzitutto osservato che, pur non avendo parte opponente trasmesso note scritte, la trasmissione di note da parte opposta osta all'invocato rinvio ex artt. 309 c.p.c., ai sensi del quale "se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all'udienza, il giudice provvede a norma del primo comma dell'art. 181". Ciò posto, l'opposizione è manifestamente infondata e pertanto deve essere rigettata. In premessa, è opportuno richiamare la nota regola distributiva dell'onere probatorio nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, nel quale è il creditore opposto ad assumere le vesti di attore in senso sostanziale e, in quanto tale, a essere principalmente onerato della prova degli elementi costitutivi del credito vantato, mentre spetta al debitore opponente, convenuto in senso sostanziale, fornire la prova del fatto estintivo, impeditivo o modificativo della pretesa altrui. A tale regola va associata quella, altrettanto pacifica in giurisprudenza, secondo cui "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (cfr. Cass. SS. UU. n. 13533/2001, e con esse la successiva giurisprudenza di legittimità: cfr. da ultimo Cass. n. 13685/2019). Applicando le suddette coordinate nomofilattiche al caso di specie, va osservato che l'opposta ha fornito adeguata prova del fatto costitutivo avendo prodotto, fin dalla fase monitoria, la fonte negoziale del credito azionato, ovvero i contratti di finanziamento stipulati dall'odierno opponente; l'opposta ha altresì allegato l'inadempimento del debitore, cui ha contestato il mancato pagamento delle rate. Di contro, i fatti estintivi, impeditivi o modificativi allegati dall'opponente sono inidonei a paralizzare la pretesa creditoria fatta valere nei suoi confronti. Invero, va anzitutto disatteso il motivo di opposizione con cui l'opponente ha lamentato l'applicazione di "tassi di interesse sproporzionati e probabilmente oltre soglia usura". Se è certamente vero che l'usura costituisce un profilo di illegittimità rilevabile d'ufficio, essa tuttavia non può dirsi del tutto svincolata dall'allegazione di parte che, nel caso di specie, è ampiamente generica, non risultando neppure specificato in che misura si sarebbe verificato il superamento del tasso soglia. Va infatti osservato che parte opponente si è limitata, in termini del tutto astratti e ipotetici, ad allegare la violazione dei precetti della L. n. 108 del 1996 senza fornire, sul piano assertivo oltre che probatorio, alcuna specifica deduzione (come era suo preciso onere) in ordine alla misura del superamento dei cd. tassi soglia. Manca, infatti, qualunque indicazione in ordine ai tassi applicati e ai limiti superati. In proposito, va rammentato che costituisce principio generale quello per cui l'attore non può limitarsi a una generica contestazione ma, nel caso specifico dei contratti bancari, deve precisare le operazioni e le clausole contrattuali che ritiene illegittime nonché gli addebiti che ritiene non dovuti, assolvendo quindi ad un preciso onere di specificazione sia sotto il profilo dell'ai che del quantum debeatur. Proprio con riferimento ai contratti bancari, come nel caso di specie, si è affermato che, qualora la doglianza riguardi l' applicazione di interessi usurari, occorre indicare il tasso concordato, nonché quello che si ritiene sia stato effettivamente praticato -unitamente ai criteri di determinazione dello stesso -, l'esatto periodo di superamento del tasso soglia e il tasso soglia nel periodo in cui se ne assume il superamento nonché l' esatta contestazione relativa alla dedotta usura: infine occorre indicare con conteggi chiari e verificabili, le somme che si assumono illegittimamente percepite dalla banca in applicazione degli interessi ritenuti usurari (cfr. Trib. Roma, n. 3869/2019; Trib. Cuneo 541/2020). Allegazioni che difettano in toto nel caso di specie. Sono altresì generiche, oltre che infondate, le contestazioni sollevate in punto di omessa valutazione del merito creditizio. Al riguardo, è sufficiente osservare che la valutazione del merito creditizio è statuita dall'art. 124 bis TUB, secondo cui "Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente". Premesso che tale disciplina non è applicabile al contratto stipulato in data 30.6.2006, essendo stata introdotta nel TUB dal successivo D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, quanto al contratto stipulato il 19.12.2012 va rilevata l'assoluta genericità della doglianza, sfornita di qualsivoglia elemento oggettivo e concreto volto a comprovare, perlomeno in via indiziaria, l'omessa valutazione del rischio del credito da parte dell'istituto di credito. Privo di fondamento giudico è poi l'ulteriore motivo di opposizione fondato sull'assunto dell'erronea quantificazione della pretesa in ragione dell'inesatta indicazione in contratto del TAEG. Come recentemente affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 39169/2021), in un caso in cui si lamentava la nullità del contratto di apertura di credito per mancata indicazione del tasso ISC/TAEG, "l'indice sintetico di costo, o indicatore sintetico di costo (ISC), detto anche tasso annuo effettivo globale (TAEG) è l'indicatore di tasso di interesse di un'operazione di finanziamento (es. erogazione di credito come ad esempio prestito, o acquisto rateale di beni o servizi). Esso rappresenta il costo effettivo dell'operazione, espresso in percentuale, che il cliente deve alla società che ha erogato il prestito o il finanziamento; in altri termini, il TAEG racchiude contemporaneamente il tasso d'interesse in regime di capitalizzazione composta, e tutte le spese accessorie della pratica (spese d'istruttoria, imposte di bollo, ecc.)", con la conseguenza che avendo l'ISC/TAEG "lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; pertanto, stante il suo valore sintetico, l'ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d'interesse normativamente stabiliti a quelli pattuiti". Ritiene il Tribunale che non sussistano ragioni per discostarsi dall'orientamento sopra riportato (nello stesso senso già da tempo si è più volte pronunciata la giurisprudenza di merito), posto che l'ISC/TAEG ha funzione meramente informativa finalizzata a porre il cliente nella condizione di conoscere il costo totale ed effettivo del finanziamento prima di accedervi, e non è, invece, un requisito di validità del contratto. Pertanto, la difformità tra ISC indicato in contratto ed ISC effettivamente applicato, non comportando di per sé una maggiore onerosità del finanziamento, non determina la nullità parziale del contratto e non può portare all'applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117, comma VI, TUB, laddove, come nel contratto di finanziamento in esame, i tassi e gli altri oneri economici siano stati dettagliatamente pattuiti per iscritto in altre specifiche clausole, permettendo alla parte finanziata di individuare comunque l'impegno economico effettivo derivante dall'operazione di finanziamento, attraverso la sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo indicati in contratto. L'obbligo di indicazione dell'ISC quale regola di comportamento potrebbe, al più, rilevare sotto il profilo della responsabilità della banca e legittimare, ricorrendone i presupposti, l'esperimento dei rimedi risarcitoti previsti a tutela della libertà contrattuale, posto che la violazione dei doveri informativi può dare luogo a responsabilità contrattuale, ma non può determinare la nullità, anche parziale, del contratto. Nella specie, tuttavia, non è stata proposta domanda risarcitoria ed in ogni caso nulla è stato allegato sotto il profilo del danno eziologicamente connesso alla violazione dell'obbligo informativo. Del tutto generiche, infine, si appalesano le contestazioni relative all'asserito superamento del limite di finanziabilità e di violazione delle condizioni economiche pattuite. Alla luce delle considerazioni che precedono, l'opposizione va pertanto rigettata. Le spese di lite vanno regolate, come per norma, secondo la soccombenza. Alla liquidazione del compenso deve provvedersi secondo i parametri fissati dal d.m. 10/3/2014 n. 55 (artt. 4-5 e tab. A allegata) e successive modifiche, applicati i parametri medi sul valore della domanda ed esclusa la fase istruttoria siccome non tenutasi. P.Q.M. il Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: a) RIGETTA l'opposizione e, per l'effetto, ai sensi dell'art. 653 c.p.c. DICHIARA definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo n. 1978/2019 del 2.10.2019; b) CONDANNA l'opponente al pagamento in favore dell'opposta delle spese di lite, che si liquidano in Euro 3.397,00 per compensi, oltre rimb. forf. al 15%, IVA e CPA come per legge. Foggia, 7 dicembre 2023
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona della Giudice designata dott.ssa Diletta Calò, pronuncia ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al R.G. n. 4919/2019, vertente fra le parti: (...), come in atti generalizzata, rappresentata e difesa dall'avv. (...) giusta mandato in atti, dichiaratosi antistatario -attrice- E (...) sito in (...) alla (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, come in atti generalizzato, rappresentato e difeso dall'avv. (...), giusta mandato in atti -convenuto- CONCLUSIONI: come da verbale di udienza del (...) RAGIONI DI FA TTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data (...), l'attrice ha convenuto in giudizio il (...) esponendo che: a) è proprietaria di un'unità immobiliare facente parte dell'ente convenuto; b) ha partecipato con il delegato CP3 all'assemblea condominiale regolarmente convocata dall'amministratore e tenutasi in data (...), chiamata a deliberare -tra l'altro- sull'approvazione del bilancio consuntivo 2018, del bilancio preventivo 2019 e sulla conferma dell'amministratore; c) in relazione ai predetti punti all'ordine del giorno la delibera risulta viziata, per i motivi analiticamente illustrati nell'atto introduttivo. Sulla scorta delle suddette deduzioni, l'attrice -previo esperimento del procedimento di mediazione che ex D. Lgs. n. 28/2010 che non ha dato esito positivo- ha chiesto all'adito Tribunale di dichiarare la nullità e/o annullabilità dei punti 1, 2 e 3 della delibera assembleare del (...); il tutto con vittoria delle spese di lite oltre quelle della mediazione, da distrarsi in favore del Difensore. Si è costituito in giudizio il (...), il quale ha contestato la fondatezza della domanda attorea chiedendone il rigetto. All'esito della c.d. appendice scritta ex art. 183, VI comma, c.p.c., la causa è stata istruita documentalmente ed è stata chiamata all'udienza odierna per la precisazione delle conclusioni e la decisione ex art. 281 sexies c.p.c., con termine fino al (...) per il deposito di note conclusive, cui le parti hanno provveduto. Le domande attoree sono parzialmente fondate e meritano accoglimento nei limiti di quanto di seguito illustrato. Quanto al primo motivo di impugnazione, attinente alla invalidità della delibera di approvazione del bilancio consuntivo dell'esercizio 2018, la (...) si duole della omessa allegazione e in ogni caso del mancato deposito da parte dell'amministratore di tutti i documenti relativi al rendiconto oggetto di discussione. Rileva, in particolare, l'attrice che nonostante la richiesta inviata all'amministratore, quest'ultimo le ha inizialmente trasmesso una documentazione incompleta e in parte illeggibile e successivamente non ha neppure riscontrato la nota fax del (...). In proposito, non è inutile ricordare che già nel 2003 la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 11940/03) ha spiegato come il non rendere disponibile ai condomini che lo richiedano la documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo comporta la violazione da parte dell'amministratore dell'obbligo di rendiconto e l'invalidità della delibera di approvazione. Dunque, già prima della riforma del 2012 la giurisprudenza si è, comunque, espressa sul punto affermando che la mancata visione di tali documenti o per un tempo non adeguato, incide sulla formazione della volontà assembleare; non avendo il condomino una conoscenza completa dei documenti, non potrà esprimere a pieno il suo parere e non potrà influenzare l'orientamento degli altri condomini. Pertanto, la violazione di tale diritto determina l'annullabilità della delibera assembleare approvata, in quanto risulta viziato il procedimento di formazione della volontà assembleare (v.si Cassazione Civile, Data 6 , n.13350; in tal senso vedasi anche Cassazione Civile, 2 Data 7, n.15159: "In tema di condominio negli edifici, ciascun condomino ha la facoltà di ottenere dall'amministratore l'esibizione dei documenti contabili non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, ma anche al di fuori di tale sede, senza la necessità di specificare la ragione per la quale egli intende prendere visione o estrarre copia dei documenti medesimi, sempre che l'esercizio di tale potere non intralci l'attività amministrativa e non sia contrario ai principi di correttezza, ed i relativi costi siano assunti dai condomini istanti"). La riforma in materia di condominio ha poi recepito, positivizzandolo, l'orientamento della giurisprudenza secondo cui l'amministratore è legato al condominio da un particolare rapporto di mandato con la conseguenza che nei rapporti tra condomini e amministratore, sono applicabili, in quanto compatibili, le norme dettate dagli artt. 1703 ss. c.c. Tra queste norme vi è anche quella, contenuta nell'art. 1713 c.c., relativa all'obbligo gravante sul mandatario di rendere al mandante conto del suo operato. In tale obbligo, oltre che all'accenno contenuto nel vecchio art. 1129 e nell'ultimo comma dell'art. 1130 c.c., si riscontra(va) la fonte del diritto dei condomini a prendere visione della documentazione condominiale e della gestione che l'amministrazione sta tenendo dell'immobile, esercitando anche quel potere di controllo che è proprio del mandante. Naturalmente, il potere di controllo trova il suo limite nel principio di buon andamento dell'azione amministrativa, nel senso che la richiesta del condomino non può essere di ostacolo all'attività di amministrazione, non deve essere contraria ai principi di correttezza e non si deve risolvere in un onere economico per il condominio. La riforma del condominio ha leggermente innovato sull'argomento, stabilendo un nuovo obbligo di informazione in capo all'amministratore (art. 1129 c.c.) il quale deve comunicare ai condomini, sin dall'inizio del suo mandato, quando e dove è possibile consultare la documentazione condominiale, nonché ipotizzando la creazione di un sito internet condominiale sul quale, con le dovute tutele, visionare i medesimi documenti. L'art. 1130 bis c.c., invece, prevede espressamente un diritto in capo ai condomini che possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese. Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni dalla data della relativa registrazione. A ben vedere, il legislatore ha fatto una distinzione in merito alla tipologia di documentazione condominiale. L'art. 1129 c.c. parla di registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'art. 1130 c.c., ossia registro di anagrafe condominiale, registro dei verbali delle assemblee, registro di nomina e revoca dell'amministratore e registro di contabilità. L'art 1130 bis c.c. fa riferimento, invece, ai documenti giustificativi di spesa, le cosiddette pezze d'appoggio. Tale distinzione non incide sul diritto del condomino, che ha sempre la possibilità di richiedere copia di entrambe le tipologie di documenti. Cambia soltanto il lasso temporale, laddove il legislatore mette per la seconda categoria un limite decennale, mentre i registri possono essere richiesti sempre e comunque. Il tenore letterale delle disposizioni è chiaro: il condomino ha diritto di prendere visione della documentazione gratuitamente ed estrarne copia a proprie spese. Ciò significa che possono sia rimborsare l'amministratore delle spese vive sostenute per le copie che estrarne copia personalmente. Gli unici costi da sostenere sono, però, quelli per le spese vive per le mere copie. Non può considerarsi legittima, pertanto, l'eventuale richiesta da parte dell'amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario. Va poi rimarcato come la giurisprudenza di legittimità abbia individuato tre limiti fondamentali al diritto di ciascun condomino a ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea) e senza l'onere di specificare le ragioni della richiesta, vale a dire: 1) che l'esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all'attività di amministrazione; 2) che non sia contraria ai principi di correttezza; 3) che non si risolva in un onere economico per il condominio, dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti (cfr. Cass. n. 5443/2021). Fatto questo inquadramento generale, nel caso di specie se è vero, da un lato, che la condomina ha tempestivamente richiesto all'amministratore la visione e la copia dei documenti riguardanti i bilanci oggetto della imminente assemblea, è altrettanto vero, dall'altro, che l'amministratore non si è rifiutato, tant'è che ha tempestivamente riscontro la prima richiesta della (...), trasmettendo in uno alla nota del Data 8 il prospetto analitico delle uscite ordinarie e straordinarie dell'anno Dt9 e l'estratto del conto corrente dell'intero esercizio (cfr. doc. n. 7 del fascicolo di parte convenuta). Deve poi rilevarsi che è circostanza pacifica in quanto non specificamente contestata (cfr. comparsa di costituzione del condominio e prima memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c. depositata dall'attrice) che l'attrice non si è mai recata presso lo studio dell'amministratore, sebbene nella carta intestata della nota di riscontro fossero indicati gli orari di ricevimento. Va poi stigmatizzato il contegno assunto dall'attrice che si profila contrario ai canoni di buona fede e correttezza che devono informare i rapporti tra condomini, amministratore ed ente condominiale laddove la stessa, per un verso, nella nota del Data 5 ha fatto richiesta in modo del tutto generico "della documentazione amministrativa e contabile" e, per altro verso, in seno alla assemblea del (...) ha parimenti in modo generico lamentato l'omessa disponibilità della documentazione amministrativa, contabile e fiscale, così precludendo anche in tale sede all'amministratore di ottemperare alla richiesta. Detto altrimenti, il comportamento dell'amministratore avrebbe potuto ritenersi contrario ai suoi doveri di diligenza e buona fede solo ove a fronte di una richiesta specifica e analitica di esibizione della documentazione la stessa fosse rimasta inevasa. Al contrario non può considerarsi esigibile una richiesta così generica e per di più senza che la condomina odierna attrice abbia mai manifestato la disponibilità a farsi carico dei relativi costi per le copie dei documenti. In conclusione il primo motivo di impugnazione della delibera dell'assemblea del (...) va respinto. Sono invece fondati e meritano accoglimento i motivi di doglianza afferenti alla conferma dell'amministratore e all'approvazione del bilancio preventivo per l'esercizio 2019. Segnatamente l'attrice lamenta la nullità della delibera in esame nella parte in cui ha confermato per un altro anno l'incarico all'amministratore, non essendo stato indicato analiticamente il compenso dovutogli. Sul punto, viene anzitutto in rilievo l'art. 1129, comma 14, c.c. che così dispone: "l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta". Il dettato normativo non lascia spazio ad ulteriori interpretazioni oltre a quella del dato letterale del precetto normativo: è richiesto all'amministratore, all'atto dell'accettazione della sua nomina o conferma, di specificare in modo analitico l'importo del suo compenso per l'attività che andrà a svolgere, sia per la gestione ordinaria che per quella straordinaria. Ciò al fine di garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l'emolumento dell'organo gestorio al momento del conferimento del mandato. Come la giurisprudenza di legittimità non ha mancato recentemente di evidenziare, la specificazione del compenso costituisce un elemento essenziale del contratto di amministrazione e non tollera equipollenti, quali l'approvazione del bilancio (cfr. Cass. 12927/2022 che ha enunciato il seguente principio di diritto: "agli effetti dell'art. 1129 c.c., comma 14, il quale prevede la nullità testuale della nomina dell'amministratore di condominio ove non sia specificato l'importo dovuto a titolo di compenso, per la costituzione di un valido contratto di amministrazione condominiale occorre accertare la sussistenza di un documento, approvato dall'assemblea, recante, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l'elemento essenziale della analitica determinazione del corrispettivo, che non può ritenersi implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto"). Ebbene, l'applicazione al caso in esame di tale condiviso principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità e recepito da svariate pronunce di merito (cfr. Trib. Busto Arsizio (...); Corte d'Appello Palermo (...)) comporta la declaratoria di nullità della nomina dell'avv. (...) quale amministratore del condominio odierno convenuto, in seno all'assemblea del (...). In effetti, dalle emergenze processuali a disposizione di questa Giudice non risulta versato in atti alcun preventivo di spesa né tantomeno richiamato nel verbale dell'assemblea il preventivo prodotto in occasione del primo conferimento d'incarico, neppure a seguito delle censure sul punto mosse dal delegato della odierna attrice. Tale profilo di invalidità della nomina dell'amministratore comporta l'assorbimento dell'ulteriore motivo di impugnazione afferente la mancanza dei requisiti in capo all'avv. (...) di cui all'art. 71 bis disp. att. c.c.. A fronte della dichiarazione giudiziale di nullità della nomina dell'amministratore e della conseguente perdita di efficacia ex nunc della deliberazione assembleare deve parimenti ritenersi illegittima l'approvazione del bilancio preventivo dell'anno e del relativo riparto laddove, tra le voci di spesa, annovera il compenso in favore dell'amministratore, non dovuto per quanto innanzi rilevato. Le spese di lite seguono la soccombenza e, stante il parziale accoglimento delle domande attoree, sono compensate per 1/3, con i restanti 2/3 a carico del (...) convenuto. Esaminata la nota spese dell'avv. (...) si procede alla liquidazione, come in dispositivo secondo i seguenti criteri: applicazione delle Tabella n. 2 e n. 25 bis del DM 55/2014, come modificato dal DM 147/2022; scaglione di valore da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00; parametri medi, da cui non vi è motivo di discostarsi, per le fasi di studio, introduttiva e decisionale e minimi per quella istruttoria, in ragione della natura meramente documentale della controversia; nonché dei valori medi per la sola fase di attivazione della procedura di media conciliazione, avuto riguardo all'esito della stessa. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile di primo grado iscritta al R.G. n. 4919/2019, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede: 1. dichiara la nullità della delibera condominiale del (...) nella parte in cui ha confermato l'amministratore in carica (punto n. 3 all'o.d.g.); 2. dichiara l'annullamento della delibera condominiale del (...) nella parte in cui ha approvato il bilancio preventivo relativo all'esercizio 2019; 3. dispone la compensazione per 1/3 delle spese di lite, che si liquidano per l'intero in Euro 318,80 per esborsi ed Euro 4.678,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge, e condanna l'ente condominiale convenuto alla rifusione in favore di parte attrice dei restanti 2/3, da distrarsi in favore dell'avv. (...). Così deciso in Foggia il 12 settembre 2023. Depositata in cancelleria il 12 settembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FOGGIA Contenzioso - SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Pellecchia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9423/2016 promossa da: (...) S.N.C. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.GI., elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. MA.GI. - ATTRICE - contro BANCA (...) S.C. (C.F. (...), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in (...) presso il difensore avv. (...) - CONVENUTA - CONCLUSIONI All'udienza del 22/2/2023, tenutasi in forma cartolare, i procuratori delle parti hanno concluso come da note telematiche autorizzate, riportandosi ai rispettivi scritti difensivi e chiedendone l'integrale accoglimento. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69/2009. Nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. Con atto ritualmente notificato in data 28/11/2016 la (...) s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore conveniva in giudizio la Banca (...) per sentirsi accogliere le seguenti conclusioni: "A -. accertare e dichiarare, previa ugni, statuizione circa la validità, legittimità ed efficacia del rapporto bancario sul conto corrente con apertura di credito contraddistinto con il n. (...), che la banca convenuta, senza alcun valido titolo, ha addebitato alla Società attrice importi non dovuti, ossia frutto di illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, sia prima che dopo l'emanazione della Delibera del CICR 9/2/2000, dell'applicazione di un tasso debitore ultralega le non espressamente concordato per iscritto e dell'addebito di commissioni bancarie e spese per operazioni non espressamente e regolarmente pattuite, comunque illegittime per le ragioni tutte espresse nella parte narrativa del presente atto; B - accertare e dichiarare, altresì, la responsabilità precontrattuale e contrattuale della banca convenuta per violazione degli obblighi di buona fede, lealtà, salvaguardia ed informazioni richiesti tanto nella fase di gestazione che nel corso del rapporto contrattuale, dichiarando sussistente in capo all'istituto di credito la relativa colpa professionale ex art.2236 c.c.. C - per l'effetto, accertare il saldo alla data del 31/12/2015 sul conto corrente con apertura di credito n. (...), intrattenuto dalla società attrice presso la banca convenuta, e condannare quest'ultima al rispetto delle norme vigente in subiecta materia e perciò stesso alla rivisitazione ab imis del rapporto e quindi alla rettifica del saldo del conto corrente de quo con conseguente corretta determinazione del medesimo al 31/12/2015, alla luce di quello risultante dalla perizia di parte del Dott. o, in subordine, di quello che risulterà all'esito dell'invocanda consulenza tecnica d'ufficio, nonché condannare la banca al risarcimento in favore dell'odierna società attrice dei danni patrimoniali subiti e subendi a seguito dell'illegittimo comportamento professionale della banca evidenziando, tutti meglio descritti nella parte narrativa del presente atto, da liquidarsi eventualmente anche in via equitativa, oltre interessi dalla domanda fino al soddisfo; D - con vittoria di spese e competenze del presente giudizio, oltre oneri accessori di legge, con distrazione in favore del sottoscritto procuratore antistatario, comprese le spese della consulenza tecnica di parte". Con comparsa memoria di risposta del 14/3/2017 si costituiva l'istituto di credito convenuto, contestando la domanda e chiedendone l'integrale rigetto, con vittoria di spese ed onorari di giudizio. Espletata l'attività istruttoria, all'udienza del 22/2/2023 le parti precisavano le proprie conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Preliminarmente va evidenziata l'ammissibilità dell'azione. La circostanza che la stessa sia stata proposta in relazione ad un rapporto pacificamente ancora in essere non preclude la possibilità di procedere alla rideterminazione giudiziale del relativo saldo, invocata da parte attrice a mezzo dell'odierna azione di accertamento. Anche infatti in relazione a rapporti non ancora chiusi, sussiste indubitabilmente l'interesse della correntista a spiegare una domanda di accertamento negativo del credito, tesa segnatamente ad ottenere la declaratoria di nullità di determinate clausole contrattuali e, conseguentemente, lo storno delle somme eventualmente addebitate in base a clausole nulle. Se è vero, dunque che prima della chiusura del conto, non vi può essere alcuna restituzione (non essendo il saldo immediatamente esigibile), occorre, d'altra parte, riconoscere che non necessariamente la domanda di ricalcolo del rapporto di dare-avere deve sfociare in un'azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., nella specie proposta dall'attrice solo in via subordinata per l'eventualità di una chiusura dei conti nelle more del giudizio che non è pacificamente mai avvenuta. L'anzidetto principio, già affermato da Cass. 2013/n. 798, è stato, del resto, anche di recente ribadito da Cass. ord. 2017/ n. 28819 che pure ha riconosciuto l'ammissibilità di una domanda di ricalcolo proposta in pendenza di rapporto. Sempre in via preliminare va disattesa l'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta, essendo la stessa tardiva - per essersi la convenuta costituita ben oltre il termine di cui all'art. 166 c.p.c. - oltre che estremamente generica nella sua formulazione. Tutto ciò senza considerare che la rideterminazione del saldo ancora aperto prescinde del tutto dall'eventuale maturazione del termine prescrizionale, ponendosi soltanto in caso di domanda di ripetizione, perché solo una volta chiuso il conto e ricostruito l'intero rapporto può dirsi se un versamento effettuato dal correntista integri una rimessa solutoria o ripristinatoria e se dunque sia possibile la ripetizione (cfr. Trib. Locri 2/7/2020). 3. Nel merito, la domanda è fondata e deve essere accolta per quanto di ragione alla luce delle considerazioni che seguono. Devono essere esaminate le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio disposta in corso di causa - le cui conclusioni questo Giudice condivide, in quanto prive di contraddizioni e frutto di attenta e scrupolosa valutazione degli elementi in atti - così come illustrate nell'elaborato depositato in data 17/4/2019, cui si fa sin d'ora integrale rinvio per tutti gli elementi di dettaglio. 3.1) Con riferimento all'esatta individuazione del rapporto dedotto in giudizio il CTU ha chiarito che i contratti oggetto delle operazioni peritali sono esclusivamente quelli datati 24/07/2003 (prodotto da entrambe le parti ) e 16/06/2006 ( prodotto solo dalla banca convenuta). Quanto alla validità del contratto sottoscritto dal solo correntista, si richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: - "Una volta che risulti provata la sottoscrizione da parte del correntista e che vi sia stata la consegna della scrittura a quest'ultimo, il consenso della banca, ai fini della formazione dell'accordo, può desumersi, come evidenziato dalle Sezioni Unite, da comportamenti concludenti, quali appunto la consegna del documento negoziale, da essa predisposto, la raccolta della firma del cliente e l'esecuzione del contratto, ed il requisito della forma scritta del contratto di conto corrente bancario è soddisfatto" (Tribunale, Bari, sez. IV, 07/02/2023, n. 402); - "In tema di contratti bancari, i contratti cosiddetto "monofirma", ovvero che recano la sottoscrizione del solo correntista, non sono invalidi. Difatti, il requisito della forma scritta posto a pena di nullità, azionabile dal solo cliente, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma. Tale requisito deve ritenersi perciò rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, essendo sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest'ultimo, e non anche quella dell'intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti" (Tribunale, Benevento, sez. II, 22/07/2020, n. 1057); - "In tema di contratto di conto corrente è valido anche se vi sia la sola firma del correntista. (Nel caso di specie vi era stata una precedente pronuncia del giudice sulla nullità del contratto perché non firmato dall'istituto di credito, poi impugnata e in fase d'appello, e il giudice nonostante la sentenza delle Sezioni Unite n. 898 del 16.01.2018 intervenuta in corso di causa, sulla validità del contratto "monofirma",prendeva atto della precedente decisione ed esperiva ctu dalla quale emergeva che l'attore aveva un credito inferiore a quello della banca ed operava la compensazione)" (Tribunale , Livorno , 22/02/2020 , n. 201); - "Riprendendo il principio affermato in materia di intermediazione mobiliare, ai fini della validità del contratto bancario e nel rispetto del requisito della forma scritta, è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, e non anche quella dell'intermediario" (Tribunale , Bologna , sez. IV , 14/02/2018 , n. 490). Con riferimento alla documentazione acquisita agli atti (con specifico riferimento alla serie di estratti conto di cui al n. 09) della produzione attrice, degli scalari e conteggi di cui ai nn. 6 bis e 7 bis della produzione banca convenuta), l'ausiliario del giudice ne ha evidenziato l'idoneità alla puntuale ricostruzione delle operazioni di dare/avere fra le parti dal 31/12/1993 al 31/12/2015. 3.2) Con riferimento alle valute, il CTU ha chiarito che: - per la parte di conto fino al 16/06/2006 (oper. 11867), in assenza di qualsiasi evidenza contrattuale, la data di valuta è stata fatta coincidere con la data dell'operazione; - per il periodo successivo (n. 7239 operazioni a cominciare da 11867 a 19106), come da prospetto in atti : - - sono state mantenute le valute originarie per gli assegni di c.c. emessi dal cliente, perché pattuita la valuta "giorno di emissione", anche se la presentazione è avvenuta in giorno diverso; -- per i versamenti di assegni bancari e circolari le valute, se superiori, sono state ridotte rispettivamente a 5 e a 4 giorni, tenuto conto dei giorni non lavorativi che prolungano di 2 giorni settimanali le valute contrattate; -- sono state mantenute nella misura originale le valute degli addebiti per interessi e competenze a debito e a credito nonché per l'imposta di bollo, essendo l'ultimo giorno del trimestre la loro valuta naturale, anche se l'operazione è eseguita con uno o più giorni di ritardo; -- tutte le altre valute sono state fatte coincidere con la data dell'operazione. 3.3) Relativamente agli interessi, il CTU ha evidenziato che: - dal 1 trimestre 1994 al 2 trimestre 2003 è stato applicato il tasso indicato dall'art. 117 comma settimo lett. A) T.U.B., come rammentato nel quesito, essendo il saldo iniziale del conto di data successiva al il 9 luglio 1992 e non essendo disponibile il contratto originario; - il contratto 24/07/2003 fissa i tassi, sia debitori che creditori nella stessa misura del 6,250% pertanto, il tasso debitore del trimestre in corso, (3 trim. 2003) viene ricavato dalla relazione di 24 giorni a tasso BOT 1,860% più 68 giorni al nuovo tasso contrattuale del 6,25 % diviso per i 92 giorni del trimestre, pari al 4,617%; il tasso creditore, calcolato col medesimo criterio, sarebbe stato del 5,238%, ma il trimestre non presenta saldi attivi. - per i trimestri successivi e fino al 1 del 2006 quali tassi debitori vengono ripresi quelli applicati trimestralmente dalla banca (dal minimo di 5,250% al massimo di 6,380%) dove più favorevoli al cliente rispetto al tasso contrattuale (6,25%); quale tasso creditore viene usato, logicamente, il 6,25% contrattuale. - sopraggiunto il contratto del 16/6/2006, quali tassi debitori vengono adottati i tassi banca presi dagli estratti conto, mentre per quelli creditori viene adottato il tasso contrattuale, molto ridimensionato (0,250% rispetto a 6,25%), salvo che per il 2° trimestre 2006 in corso, trattato con la formula sopra descritta, per l'occasione (gg.77x6.250)+(gg15x0.250), il tutto diviso per i giorni del trimestre, 91 in questo caso, pari a 5.330%; per il resto del tempo, fino a chiusura del conto, vengono adottati i tassi Banca, sia quelle creditori che debitori perché più favorevoli al cliente rispetto a quelli contrattuali. 3.4) Relativamente alla capitalizzazione degli interessi, l'ausiliario del giudice ha evidenziato: - che per quanto concerne il periodo anteriore al 24/07/2003, in atti non vi è alcun contratto, né altri documenti contenenti la pattuizione e le regole di capitalizzazione, salvo estratti conto e prospetti di liquidazione peraltro non coevi all'epoca di apertura del conto; - che nel contratto del 24/07/2003 vi è identica capitalizzazione e periodicità della stessa; - che nel contratto del 16/06/2006, nel foglio delle condizioni economiche sono contenute, fra le altre, le seguenti, testuali: -- CAPITALIZZAZIONE AVERE TRIMESTRALE; -CAPITALIZZAZIONE DARE TRIMESTRALE; -- RIFERIMENTO CALCOLO INTERESSSI ANNO CIVILE Conseguentemente, nessuna capitalizzazione può interessare il periodo dall'inizio del conto a tutto il 2 trimestre 2003. Nel periodo successivo e fino a tutto l'anno 2013, ossia fino al ripristino del divieto di anatocismo (art. 120 t.u.b. nella formulazione introdotta dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2014), va operata trimestralmente la capitalizzazione in virtù della convenzione contenuta nel contratto del 16/06/2006. Dal 1 trimestre 2014 a fine conto, ristabilito il divieto di anatocismo, gli interessi maturati e non capitalizzati sono stati allibrati in un monte da aggiungere all'esito del ricalcolo. 3.4) Con riferimento alla CMS, addebitata dalla Banca convenuta fino al 1 trimestre del 2012, il CTU ha rappresentato che la stessa non è stata inserita nel ricalcolo, in quanto: - fino al 24/07/2003 non vi è in atti alcun documento che ne dimostri la relativa pattuizione; - la lettera contratto in tale data, fra le altre condizioni, reca la laconica indicazione "Commissione massimo scoperto 0.125"; - non esiste per il conto in questione alcun fido, che impegni la banca a tenere a disposizione del cliente una ben determinata quantità di danaro; - la lettera contratto del 16/06/2006 nulla aggiunge a favore della legittimità dell'addebito della CMS, pur facendone cenno: "CMS entro il fido (che non è stato mai formalizzato) 0.125%, oltre il fido 0,75%". Sul punto si richiama l'orientamento secondo cui "Quantunque pattuita per iscritto la clausola che prevede la commissione di massimo scoperto deve ritenersi nulla ai sensi dell'art.1418 c.c. per essere in concreto priva di causa giustificativa, risolvendosi in un onere aggiuntivo rispetto agli interessi passivi che la banca già percepisce quale sufficiente ed adeguata remunerazione delle somme utilizzate dal cliente" (Trib. Di Monza, sent. n.1678/2018). 4) Sulla scora dei rilievi che precedono, il CTU ha proceduto al ricalcolo dei rapporti dare/avere fra le parti, osservando il seguente protocollo: - immissione dei dati degli estratti conto in un database, a partire dalla prima operazione di lire 219.134.027 pari a Euro 113.168,18 all'ultima di euro 60,80 con SALDO di Euro 10.588,56 a debito del cliente It. Snc alla data del 31/12/2015; - depurazione di tutto quanto enumerato nelle tabelle alle pagine da 19 a 21; - ricalcolo delle operazioni, con i criteri illustrati nel corso della relazione, sostanzialmente: nessuna capitalizzazione fino al 2 trimestre 2003; il monte interessi del periodo, pari ad Euro 18.638,78, viene accreditato al cliente con inclusione nel conto come operazione n. 9104, con valuta 30/06/2003; viene poi operata la capitalizzazione trimestrale paritaria dal 3 trim. 2003 al 4/2013; nessuna capitalizzazione viene operata per il periodo dal 1 trim 2014 al 4 trim 2015; il monte interessi e competenze di quest'ultimo periodo, pari a Euro 104,29 alla data del 31/12/2015, non trimestralmente capitalizzati, viene aggiunto al saldo finale. - le spese convenute giusta contratti del 24/07/2003 e del 16/06/2006, elencate nella tabella a pagina 22 (col. 6/destra e 6/sinistra), sono state trimestralmente inserite nel ricalcolo (v. chiusure trimestrali nel tabulato di ricalcolo); - i tassi d'interesse applicati trimestre per trimestre sono illustrati nelle pagine 15 e 16 del presente elaborato; in breve, tassi BOT per il periodo di carenza contrattuale e, per il restante, tassi medi quali applicati dalla banca o contrattuali, con prelazione per il tasso più favorevole al cliente. Infatti, i tassi applicati dalla Banca sono sovente più convenienti dei BOT; - il trattamento delle valute è evidenziato alle pagine 15 e 16: in parte sono state variate, in parte sono state mantenute, come argomentato nel relativo paragrafo. All'esito di tale articolata operazione è stato determinato, alla data del 31/12/2015, un saldo a credito dell'attrice pari ad Euro 112.638,30. 5) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ai sensi del D.M. 55/14 stante il disposto dell'art. 28 del medesimo decreto, tenuto conto del valore della controversia in base al decisum e dell'attività processuale svolta. Le spese di CTU devono essere poste definitivamente a carico della Banca convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie la domanda per quanto di ragione e, per l'effetto, ridetermina in Euro 112.638,30, il saldo, alla data del 31/12/2015, del conto corrente con apertura di credito n. 10/008203, intrattenuto dalla Società attrice, (...) S.n.c., in persona dei legali rappresentanti p.t., presso la Banca convenuta, BANCA (...) Soc. Coop. a.r.l.; 2) condanna la banca convenuta al pagamento, in favore dell'attrice delle spese di lite che liquida nella somma Euro 545,00 per esborsi ed Euro 14.103,00 per competenze professionali oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge; 3) pone definitivamente a carico della convenuta le spese di CTU. Così deciso in Foggia il 30 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 31 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO in persona del giudice, dott.ssa Angela Vitarelli, all'udienza del 3.04.2023, tenuta ai sensi dell'art. 3, comma 10, lett. b, D.Lgs. n. 149 del 2022, nella parte in cui prevede l'inserimento dell'art. 127 ter nel c.p.c. ("L'udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l'udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. ... Il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti") e dell'art. 35, comma 2, D.Lgs. n. 149 del 2022, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA mediante deposito contestuale della stessa, nella causa civile iscritta al n. 13403/2019 (...)L. cui viene riunita ex art. 151 disp. att. c.p.c. la causa iscritta al n. 5056/2020 vertente TRA (...), con l'avv. Bi.Pr. RICORRENTE E ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'Avvocatura dell'Istituto costituita con l'avv. Ca.Ti. RESISTENTE OGGETTO: cancellazione dagli elenchi nominativi dei braccianti agricoli, mancato pagamento prestazioni previdenziali connesse all'iscrizione RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con distinti ricorsi, la ricorrente in epigrafe indicata ha esposto di aver lavorato come bracciante agricolo per l'anno 2018, per 67 giornate, alle dipendenze dell'azienda agricola "(...)" ed ha censurato l'operato dell'Inps laddove ha ritenuto parzialmente insussistente il suddetto rapporto di lavoro, provvedendo alla cancellazione di 18 giornate. Ha chiesto, pertanto, al giudice adito di dichiarare il suo diritto al riconoscimento, come periodi utili a fini contributivi, delle giornate lavorative complessivamente indicate in ricorso e, per l'effetto, di condannare l'Inps a registrare nei suoi archivi e comunque nelle forme di legge tali periodi contributivi, con condanna dell'Inps alla refusione delle spese di lite, da distrarsi. Ha chiesto, altresì, la condanna dell'Ente resistente al pagamento della indennità di disoccupazione agricola e degli Anf di competenza dell'anno 2018, nella misura quantificata in ricorso. L'Inps, costituitasi tardivamente in entrambi i procedimenti, ha talora preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito. Ha, inoltre, contestato la fondatezza dei ricorsi, stante la legittimità del proprio operato (come risultante dai verbali ispettivi depositati) e ne ha chiesto il rigetto. Con riguardo alle prestazioni rivendicate, ne ha eccepito la non spettanza, stante la parziale fittizietà del rapporto di lavoro denunciato, con conseguente insussistenza dei presupposti di legge. L'odierna udienza è stata tenuta con le modalità di cui in epigrafe. Pertanto, verificata la regolare comunicazione del decreto di fissazione della trattazione scritta della causa ed acquisite brevi note di trattazione, le cause sono state decise, previa loro riunione, come da sentenza contestuale depositata telematicamente. Deve preliminarmente essere disposta la riunione dei giudizi in epigrafe indicati, per connessione soggettiva e oggettiva, in quanto aventi ad oggetto l'accertamento del diritto della ricorrente alla iscrizione negli elenchi OTD a seguito di cancellazione disposta dall'Inps per effetto del disconoscimento del rapporto di lavoro sulla base del medesimo verbale ispettivo (depositato dall'Inps in entrambi i giudizi), nonché l'accertamento del diritto della stessa al pagamento della prestazione temporanea connessa all' iscrizione. Deve, poi, essere affermata la giurisdizione del giudice adito, spettando al giudice ordinario l'accertamento del rapporto di lavoro in agricoltura e del conseguente diritto all'iscrizione negli elenchi nominativi. Infondata è, pertanto, l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla parte resistente nel giudizio RG n.13403/2019. Deve, inoltre, darsi atto che parte ricorrente ha dedotto e documentato di aver proposto ricorso amministrativo sia con riferimento alla domanda di accertamento del diritto alla reiscrizione negli elenchi bracciantili che con riferimento alla domanda di condanna dell'Ente resistente al pagamento delle prestazioni temporanee azionate. Va, inoltre, osservato che i ricorsi risultano depositati nel termine di legge di 120 giorni, sicché devono qualificarsi tempestivi ai sensi dell'art. 22 D.L. n. 7 del 1970, conv. con modifiche nella L. n. 83 del 1970. Nel merito, le domande attoree sono solo in parte fondate, nei limiti di seguito esposti. Ed invero, sul tema dell'onere assertivo e probatorio circa l'effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali, la giurisprudenza, pure di legittimità, ha sperimentato in passato interpretazioni tra loro difficilmente conciliabili, sino a quando le Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di comporre il contrasto esistente fra le tesi suddette, sono intervenute nel dibattito e hanno congruamente statuito: 1) che il lavoratore agricolo, il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti l'iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a ti-tolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2) che soltanto a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (v. Cass. sez. un. 26 ottobre 2000, n. 1133). È ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l'effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell'iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell'iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877). A maggior ragione l'onere assertivo e probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi, ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione, come nel caso di specie. Come affermato dalla Suprema Corte (si vedano Cass. 11.2.2016, n. 2739 e Cass. 26.7.2017, n. 18605), "L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'I.(...)S., a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio". Ciò posto, nel caso di specie, l'Inps ha depositato il verbale ispettivo N. 2019003126/DDL del 26.06.2019, riferito al periodo compreso tra il 02.04.2018 e il 31.12.2018 (e, quindi, all'annualità dedotta nel presente giudizio) e relativo alla azienda agricola "Società Agricole (...)", dal quale emergono plurimi segnali di allarme che inducono a ritenere fittizi i rapporti di rapporti di lavoro denunciati all'Inps da tale società, ivi incluso quello sottoposto ad odierno scrutinio. Il predetto verbale, prodotto unitamente alle memorie di costituzione dell'Inps, viene acquisito ai sensi dell'art. 421 c.p.c., ritenutane l'indispensabilità ai fini della decisione. In particolare, da tale verbale, il cui contenuto è stato richiamato dall'Inps nelle memorie di costituzione ed avverso il quale la odierna ricorrente non ha mosso contestazioni specifiche, emerge che: 1) La società semplice (...) è stata costituita nel 2015 dai fondatori M.V. e (...), con sede legale a (...); la società è iscritta presso la CCIAA di Foggia da l 2.2.2015. In data 14.9.2019 le quote dei due fondatori sono state cedute ai sig.ri (...) e (...), i quali a loro volta hanno ceduto le quote societarie in data 28.3.2019 al sig. (...), nato e residente a (...). 2) È stata presentata dalla società una denuncia aziendale in data 8.5.2018 in qualità di azienda con terra con indicazione di un fabbisogno di 312 giornate annue, da utilizzare presso i terreni in uso, aventi come coltura fiori e piante protette in serra. 3) In data 2.7.2018 è stata presentata un'ulteriore denuncia aziendale, sempre con lo stesso numero di 312 giornate di fabbisogno. 4) Nonostante la denuncia con indicazione di un fabbisogno di 312 giornate, nella realtà la società agricoli (...) ha denunciato nel 2018 140 operai agricoli a tempo determinato per complessive 11.900 giornate con indicazione di una retribuzione di Euro 769.850,00. 5) A livello fiscale nell'archivio telematico dell'Agenzia delle Entrate risulta soltanto una denuncia reddituale da parte della società semplice (...) per l'anno 2017 con un volume d'affari pari a ZERO e operazioni passive per Euro 1.517,00. 6) A seguito delle verifiche svolte da parte dei verbalizzanti (accesso presso lo studio delegato alla tenuta dei libri sociali (...), richiesta e controllo documentazione), è stato sentito l'amministratore della (...), sig. (...) (già titolare di parte delle quote e amministratore della (...)), il quale ha specificato di aver stipulato un contratto di affitto con il Tribunale di Foggia, sezione fallimentare, per la locazione di un capannone per la lavorazione e il confezionamento di prodotti ortofrutticoli nonché di una serie di serre. Ha inoltre specificato che la (...) si occupa dell'elaborazione del libro unico della società agricola (...), mentre la trasmissione delle denunce trimestrali è stata fatta dal sig. (...) con il suo personale PIN presso il suo studio e con l'aiuto della (...). 7) Gli ispettori si sono recati (in data 6.3.2019) presso il capannone e hanno riscontrato che lo stesso, pur trovandosi in buone condizioni, dimostrava di essere inutilizzato da oltre 5 anni. Le serre si trovavano tutte in stato di abbandono e vuote, tranne un blocco presso cui vi erano degli alberi di ciliegie di fatto improduttivi in quanto abbandonati a sé stessi. Anche la linea di lavorazione e confezionamento si rivelava in disuso da anni agli occhi degli ispettori. L'unica parte in uso era rappresentata da un piccolo appezzamento di terra coltivato a zucchine a uso personale dall'operaio che funge da custode del luogo (sig. (...), trovato in sede di sopralluogo) e dal proprietario del terreno, sig. (...). 8) In data 4.4.2019 gli ispettori si sono nuovamente recati presso i terreni e hanno trovato i signori (...) (proprietario), (...) (titolare della (...)) e (...) (custode dei terreni) intenti a irrigare piantine di zucchine. 9) Nell'ambito della procedura fallimentare, da cui la (...) aveva preso in locazione i terreni e le serre), il perito incaricato dal Giudice Delegato Dott. (...), ha precisato dopo i sopralluoghi del 24.9.2018 e 12.11.2018 - relativamente ai terreni poi concessi in locazione alla (...) - che "lo stato di manutenzione e conservazione è buono per gli uffici, più che sufficiente per il capannone industriale, mediocre per le serre (solo due di esse sono utilizzate, una scoperta per la produzione di ciliegie e l'altra coperta da teloni per la produzione di cannabis officinalis) e pessimo per la cabina di fertirrigazione e l'abitazione". 10) In data 14.3.2019 è stato sentito il legale rappresentante della (...), sig. (...), il quale ha testualmente dichiarato "sono il titolare della società agricola (...) s.s. dal 28.3.2018 in qualità di socio unico e amministratore. La società ha sede legale a (...) ove si trova un capannone con annesso ufficio e otto blocchi di serre e 5 ettari di terreni che la società ha in affitto dal Tribunale di Foggia come da contratto che esibisco. Inoltre, la società ha in affitto terreni siti quasi di fronte le serre di proprietà di un certo (...) che ha dato in affitto alla società circa 7 ettari di carciofato. I terreni nel 2018 sono stati coltivati a carciofi e qualche filo di zucchine. Attualmente i terreni vicino le serre sono seminati a grano da novembre/dicembre 2018. I carciofi sono stati piantati dall'inizio, in quanto il terreno era libero. Non so dire dove siano state comprate o reperite le piante dei carciofi da impiantare. Di questi adempimenti se ne è sempre occupato un dipendente di mia fiducia sig. (...) che si occupa anche di ingaggiare gli operai, di prendere le presenze di portare le presenze e ritirare i documenti dal consulente del lavoro (...). (...) si occupa anche della coltivazione dei terreni in quanto più esperto di me. Io mi occupo solo della parte amministrativa come pagamenti e riscossioni ... Io non so quanti dipendenti ho occupato nell'anno 2018, non conosco alcun dipendente del 2018 in quanto se ne occupa (...). Ricordo che ai dipendenti abbiamo solo dato acconti a maggio e giugno per piccole cifre, cioè io ho dato i soldi in contanti a (...) che poi ha personalmente dato ai dipendenti. Ricordo che erano piccole cifre 5.000 Euro per acconti, Euro 300 per dipendente. Sono coniugato con (...) di professione bracciante agricola che ha lavorato nel 2018 per la mia attività dall'inizio fino a dicembre 2018. Nel 2019 non abbiamo ancora assunto dipendenti tranne (...) e (...). Nel 2018 abbiamo prodotti carciofi che poi abbiamo venduto a compratori ma non so dire a chi, né le modalità di vendita in quanto se ne è sempre occupato (...). Nei terreni e nel capannone vi sono anche animali da pascolo di proprietà di (...) come cavalli e pecore. In un blocco di terre è stata coltivata anche la canapa di tipo Carmagnola per produrre canapa indiana light ma la cosa non è andata bene in quanto non siamo riusciti a venderla come avevamo previsto anche per la nuova legge emanata dal Governo". 11) Sempre in data 14.3.2019 è stato sentito (...) che ha dichiarato di essere bracciante agricolo da almeno 5 anni e di lavorare dal 2018 per l'azienda (...) il cui amministratore (...), non essendo pratico di agricoltura, gli ha dato un incarico di fiducia per seguire tutte le fasi delle coltivazioni della società (...). Ha specificato che nel terreno vicino alle serre di proprietà del sig. (...) c'erano già piantati carciofi ma il gelo non ha permesso la raccolta e allora sono stati recuperati dei ceppetti che sono stati ripiantati in metà terreno e l'altra metà è stata seminata a grano a fine dicembre. Le piante di carciofi sono state vendute alla pianta a un certo (...) che ha provveduto alla raccolta con i suoi operai. Nel 2019 la produzione è stata quasi nulla in quanto le piante dai primi di novembre hanno bruciato i frutti. Tutta l'attività del 2018 è stata rivolta alla coltivazione della canapa che non è andata a buon fine. Il sig. quanto all'attività, il (...) ha dichiarato: "io mi sono occupato principalmente della coltivazione della canapa e ho reclutato all'inizio 6 o 7 operai, che conoscevo già, e loro stessi, quando servivano altri operai, portavano loro conoscenti. I primi operai erano un certo S., (...) e due donne, una delle quali si chiamava (...), per lapreparazione dei vasi in polistirolo. Poi è arrivato il terriccio e sono stati riempiti i vasi i vasi, poi abbiamo piantato due piante per vaso, un maschio e una femmina, circa 10.000; ma il lavoro più grande è stato prima per la cd smaschiatura ovvero l'estirpazione delle piante maschio e poi quando le piante femmina hanno iniziato a dare i frutti, c'erano anche 30 dipendenti nella serra alla raccolta e la pulizia del frutto che veniva eseguita a mano con forbicine e molto chirurgica infatti per fare un kg, un operaio impiega minimo 2 giorni. Io non mi sono occupato di altro, come la contabilità, fatture relative al carciofeto e altro. Io ho solo curato l'attività della canapa e compreso le presenze e l'assunzione dei lavoratori. ...". Ha, infine, precisato che oltre alla canapa e ai carciofi non ci sono state altre coltivazioni se non delle piccole quantità a livello amatoriale fatte dal sig. (...) e dal sig. (...). 12) Sono stati sentiti alcuni dei lavoratori agricoli assunti dalla società (...): le loro dichiarazioni sono state imprecise, lacunose, contraddittorie a proposito della retribuzione percepita, dei colleghi di lavoro, delle fasi lavorative e della tipologia di coltura, delle modalità di raggiungimento delle sedi di lavoro. 13) Tra le molte incongruenze i funzionari di vigilanza hanno rinvenuto ad esempio il caso della sig.ra (...), assunta in data 18.7.2018 che sul Libro Unico del Lavoro risulta presente in data 16.11.2018, giorno in cui la stessa ha dato alla luce un figlio (purtroppo morto) in Roma, come s i evince dal certificato di morte allegato dalla stessa alla domanda di maternità dalla stessa presentata in via telematica all'INPS di Cerignola in data 19.12.2018. Ancora, la sig.ra (...) dal LUL risulta ininterrottamente presente dal 23.5.2018 al 31.05.2018, sebbene la stessa ha presentato un certificato medico di malattia per il periodo 23.5.2018 - 17.06.2018, regolarmente fruito ed indennizzato dall'Inps. 14) Al termine dell'accertamento, i funzionari di vigilanza hanno appurato che gli unici lavoratori che hanno effettivamente prestato la loro attività a favore della società semplice (...) sono (...), proprietario dei terreni su cui la società operava, (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...). 15) Tutti gli altri rapporti lavorativi con operai agricoli a tempo determinato sono stati disconosciuti, totalmente o parzialmente, ivi compreso quello della ricorrente. 16) Gli ispettori hanno inoltre verificato le fatture degli acquisti e delle vendite, appurando che spesso le ditte fornitrici o acquirenti non avevano le fatturazioni della (...). 17) Anche i Carabinieri della Stazione di Cerignola hanno fatto un accesso in data 4.10.2018 presso le serre della (...) e hanno rinvenuto soltanto i lavoratori (...) e (...), pur essendo risultati presenti nel L.U.L. in quella giornata 92 lavoratori. 18) Il numero complessivo di giornate denunciate, oltre a essere molto superiore a quello indicato come fabbisogno, non ha trovato riscontro sia nei ripetuti accessi presso i terreni e le serre, sia dalle dichiarazioni del titolare e di chi lo ha aiutato. 19) Le stesse dichiarazioni dei lavoratori sono state raffrontate con quanto direttamente visto dagli ispettori in occasione dei sopralluoghi effettuati, ma anche dai riscontri con le scritture contabili. Gran parte dei rapporti di lavoro con la società semplice agricola (...) sono stati ritenuti fittizi e disconosciuti. Orbene, a fronte di tale (particolarmente accurata) indagine ispettiva, fondata su riscontri oggettivi, le allegazioni e le prove offerte dalla odierna ricorrente non appaiono idonee a dimostrare il fatto controverso, ossia l'effettiva prestazione, da parte del lavoratore a tempo determinato, di attività lavorativa di tipo subordinato per le giornate complessivamente dedotte nel ricorso. Segnatamente, sotto il profilo assertivo, deve evidenziarsi la genericità del ricorso, non allegando, in punto di fatto i caratteri tipici della subordinazione, né quegli elementi, c.d. "sintomatici", che consentano quantomeno di potere presumere la sussistenza di un siffatto tipo di rapporto (ad es. l'eventuale predeterminazione dei turni, l'eventuale sottoposizione del lavoratore al potere disciplinare del datore di lavoro in caso di mancata osservanza degli stessi, l'assenza di autonomia organizzativa del prestatore, etc.). Ed invero, la ricorrente ha soltanto affermato di aver lavorato per un certo numero di giornate, "alle dipendenze" della ditta indicata in atti e di aver svolto le mansioni indicate nei fogli d' impresa, senza nemmeno allegare la tipologia dei prodotti raccolti e/o lavorati. Si ritiene, poi, che anche l'indicazione dei fondi sia estremamente generica essendosi la ricorrente limitata ad indicare di aver lavorato in agro di Carapelle senza specificare in che periodo sarebbe stata svolta l'attività lavorativa. Va, in merito, rilevato che in sede ispettiva veniva accertato che i fondi detenuti dall'azienda (...) erano ubicati in agro di (...)- Contrada L.; circostanza, quest'ultima, in contrasto con quanto allegato dalla ricorrente e sulla quale veniva articolato il relativo capitolo di prova. Trattasi di precisazioni che si rendevano necessarie a fronte dei plurimi segnali di allarme denunciati dagli ispettori e della minuziosa ricostruzione della reale attività aziendale effettuata dagli ispettori medesimi, soprattutto a fronte di un disconoscimento solo parziale del rapporto di lavoro. A ben vedere, le allegazioni contenute nel ricorso non appaiono sufficientemente circostanziate, ma in realtà, riferite ad un modello indistinto ed indifferenziato di rapporto di lavoro che non consente, neppure in astratto, di imputare in maniera specifica al lavoratore e all'azienda agricola l'effettivo svolgersi del rapporto di lavoro. Si pensi, ad esempio alla retribuzione, indicata in modo assai vago e generico: "con paga giornaliera di Euro 50,62 nelle giornate lavorative dai mesi da ottobre, novembre e dicembre". Va, in merito, rilevato che il datore di lavoro, in sede ispettiva, dichiarava di aver corrisposto solo acconti ai dipendenti per i soli mesi di maggio e giugno 2018, circostanza in contrasto con le allegazioni della ricorrente. Si ritiene, poi, che anche indicazione dell'orario di lavoro sia estremamente generico essendo così formulato: "con orario di lavoro giornaliero dalle 6-6.30 alle ore 12.30 circa". Nessuna specifica allegazione viene formulata con riferimento al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, alla modalità di corresponsione della retribuzione, alla composizione, quantomeno numerica, della squadra di lavoro. La ricorrente non fa nessun riferimento alla circostanza che il potere direttivo fosse di fatto svolto da un preposto aziendale, il quale provvedeva pure ai pagamenti, come accertato all' esito della verifica ispettiva. L'insufficienza dell'approssimativa rappresentazione attorea della vicenda in contestazione rispetto alla finalità di supportare la pretesa contributiva e di farne apprezzare la fondatezza sembra evidente, sia in generale, sia in considerazione delle caratteristiche di questa controversia e del contenzioso nel quale essa si iscrive. Passando alle prove offerte dalla parte ricorrente, si evidenzia innanzitutto che, come di recente affermato dalla Corte Territoriale, nelle ipotesi di disconoscimento o di cancellazione dell'accredito assicurativo a seguito e per effetto di una valida e puntuale attività di vigilanza e controllo, i documenti dell'azienda pseudo-datrice - la cui realtà operativa del tutto o gravemente irregolare è stata acclarata in sede ispettiva - e, in particolare, le denunce di manodopera, a ben vedere, non costituiscono un efficace elemento di contrasto probatorio, perché, ove dei rapporti di lavoro non si rinvenisse traccia nemmeno nei documenti formati dal soggetto che si attribuisce la qualità di datore, una simile ipotesi ricostruttiva dovrebbe essere esclusa in radice e ogni discussione sul punto non potrebbe essere nemmeno avviata dagli pseudo-braccianti. In altre parole, poiché le annotazioni aziendali devono riflettere le assunzioni effettive, le stesse annotazioni sono funzionali, anzi indispensabili, a fornire un'apparenza di regolarità nei casi di falsi ingaggi. Ne deriva che non è sulle registrazioni e sulle denunce aziendali concernenti la manodopera che può congruamente fondarsi il convincimento circa l'effettivo svolgimento dell'attività aziendale per il tramite dei lavoratori annotati (si vedano, ex multis, sent. n. 1932/2019, 71/2020 Corte di Appello di Bari). Conseguentemente, l'unico possibile supporto probatorio della domanda attorea avrebbe potuto essere fornito dalla prova testimoniale, che - tuttavia - non può essere ammessa in quanto vertente su circostanze generiche, inidonee ex se a dimostrare la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato. Ed invero, il deficit assertivo sopra evidenziato si riflette insanabilmente sui capitoli di prova articolati in ricorso che non contengono alcun elemento caratterizzante il singolo rapporto di lavoro dedotto in giudizio e presentano le seguenti criticità. In particolare, in tali capitoli di prova è genericamente indicato il numero complessivo di giornate asseritamente lavorate in un arco temporale costituito da più mesi e per l'intero periodo sono, poi, indicate le mansioni che seguono: "addetto all'attività che seguono lavori vari". Manca, inoltre, la specificazione della distribuzione di tali giornate lavorative per ciascun mese/settimana e la precisazione, per ciascuna frazione temporale dell'intero periodo lavorativo, del tipo di mansioni asseritamente espletate. Si rileva, inoltre, come precedentemente rilevato, che anche l'indicazione dei fondi contenuta nei capitoli di prova sia generica in quanto vi è una la mera indicazione di fondi siti in agro di (...) senza alcuna indicazione delle colture che sarebbero state svolte ovvero dei periodi in cui la ricorrente avrebbe lavorato. Peraltro, come evidenziato in sede ispettiva, l' allocazione dei fondi era diversa. Del pari generico appare anche l'unico capitolo articolato in ricorso relativo all' orario di lavoro, essendo così formulato: "vero che ha lavorato per ore circa 6.30 al giorno ed ha osservato un orario di lavoro giornaliero che iniziava alle 6,00- 6,30 e si protraeva sino alle 12,30 circa". Neppure il capitolo di prova relativo alle direttive offre indicazioni significative e specifiche, apparendo, piuttosto, le circostanze ivi contenute riconducibili ad un modello di rapporto di lavoro indistinto ed indifferenziato: "vero che ... ha lavorato attenendosi agli ordini, istruzioni e direttive dell'azienda (...) che riguardavano ogni aspetto della sua attività ed in particolare l'attribuzione delle mansioni e della paga nonché la fissazione dell'orario giornaliero di lavoro". Lo stesso dicasi per il capitolo di prova relativo alla retribuzione, anche in questo caso formulato senza specificare le modalità di erogazione della stessa, quando sarebbero avvenuti i pagamenti e il nominativo del soggetto persona fisica che li avrebbe effettuati, venendo così articolato: "vero che è stata periodicamente retribuita in denaro con paga giornaliera di Euro 50,62". Quanto alle mansioni, il relativo capitolo veniva così articolato: "vero che ha svolto attività manuale con mansioni di addetto all'attività che seguono lavori vari". Ora, il necessario giudizio circa la rilevanza di una prova testimoniale - che: a) deve essere formulato in via officiosa, vale a dire anche senza un'eccezione della controparte (da ultimo, Cass. 19.1.2018, n. 1294); b) è uno dei due presupposti indispensabili per la sua ammissione, insieme con la conformità dell'articolazione e della richiesta alle regole processuali; c) postula e giustifica il requisito basilare della specificità dei capitoli di prova ex art. 244 c.p.c. - sussiste se sia positivamente valutabile a priori l'idoneità dei fatti, prospettati dalla parte e da chiedere ai testimoni, a costituire il fondamento del diritto azionato. Con la precisazione che il giudice, nell'avvalersi della facoltà di cui all'art. 253, 1 comma, c.p.c., rivolgendo al teste le domande utili a chiarire i fatti oggetto della sua deposizione, non può, in ogni caso, supplire alle deficienze del mezzo istruttorio (Cass. 12.6.2015, n. 12192), perché se bastasse una generica istanza istruttoria della parte onerata della prova, con delega al giudice di cercare il riscontro adeguato, orientando l'assunzione delle testimonianze verso tale obiettivo si verificherebbero un'irregolare inversione dell'iter processuale configurato dal codice di rito e un vulnus nello svolgimento del processo, in pregiudizio dell'altra parte. Come di recente rilevato dalla Corte Territoriale, bisogna allora individuare con precisione quali sono l'oggetto e la finalità della prova testimoniale nella presente controversia e nelle altre analoghe dispute giudiziarie in materia di accrediti contributivi in agricoltura. Orbene, a fronte del disconoscimento dell'Inps, è necessario che il lavoratore provi l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e la sua concreta articolazione temporale, nonché dei caratteri tipici della subordinazione. In altre parole, è necessario compiere un accertamento che, sebbene in seno ad una controversia previdenziale (non di lavoro), nel contraddittorio con l'Inps (non con il datore) e di natura incidentale (senza, cioè, efficacia di giudicato), è, sul versante probatorio, del tutto assimilabile alle esigenze istruttorie che pone un'ordinaria controversia ex art. 409 c.p.c., in cui l'attore sostenga di avere lavorato alle dipendenze del convenuto e ne domandi la condanna al pagamento delle retribuzioni, mentre la parte resistente neghi che vi sia stata qualunque forma di collaborazione. Vi è perfetta corrispondenza del tema da verificare se si considera come l'eventuale accertamento in giudizio delle giornate lavorative, prestate da un bracciante agricolo in regime di subordinazione, comporti senz'altro l'accoglimento della domanda di accredito contributivo, non concorrendo alcun altro elemento a comporre la fattispecie previdenziale. Così fissato il parametro di valutazione, è agevole cogliere l'inficiante gravità, sotto il profilo dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore, dell'omessa specifica indicazione: 1) dell'orario di lavoro osservato secondo la stagionalità; 2) della distribuzione delle giornate lavorative all'interno del complessivo arco temporale dedotto in giudizio e delle mansioni svolte in ciascuna frazione temporale di tale periodo; 3) dei fondi rustici sui quali la prestazione lavorativa sarebbe stata resa in relazione a ciascuna frazione temporale del rapporto; 4) delle concrete direttive impartite al singolo bracciante e delle specifiche modalità in cui si sarebbe estrinsecato il potere di vigilanza e disciplinare; 5) delle concrete modalità di erogazione della retribuzione (con precisazione della quota di retribuzione ricevuta in contanti e di quella ricevuta con altro mezzo di pagamento e dell'epoca dei vari pagamenti); 6) la composizione (quanto meno numerica) delle squadre di lavoro in cui il bracciante avrebbe operato, ecc.. Appare - pertanto - insanabile l'inadeguatezza della richiesta di prova testimoniale formulata dalla parte ricorrente. In una siffatta situazione, non sembra neppure possibile ipotizzare che risulti appagante il risultato dell'attività istruttoria (ove erroneamente ammessa). La parte attrice deve fornire prove convincenti di una realtà lavorativa da verificare con attenzione, a seguito e per effetto dell'accertamento ispettivo condotto da organi specializzati della pubblica amministrazione, attestante plurime incongruenze e gravi violazioni a carico dell'azienda apparentemente datrice, come di molte altre pseudo-aziende. In altri termini, perché uno dei rapporti disconosciuti dall'Inps venga riabilitato in sede giudiziaria è necessario che il processo dissipi ogni perplessità circa la sua effettiva esistenza come fatto storico, mentre si ritiene che nel caso di specie né le allegazioni attoree, né le prove testimoniali hanno questa attitudine. Infine, si deve escludere che le lacune assertive e probatorie che si sono evidenziate possano trovare rimedio mediante l'esercizio dei poteri istruttori dell'ufficio giudiziario, in quanto, da un lato, l'impulso probatorio officioso può svolgere una funzione soltanto complementare e integrativa (quando in atti vi siano già significativi dati di indagine, precisa la giurisprudenza di legittimità), senza superare il limite del capovolgimento dell'esito della lite derivante dalla libera attuazione del principio dispositivo; dall'altro, la potestà in parola è discrezionale (ed insindacabile, anche quando manchi un'espressa motivazione). Alla luce di quanto premesso, la domanda attorea, avente ad oggetto l'accertamento del diritto all'iscrizione per le giornate disconosciute, appare infondata, sia perché priva di sufficienti allegazioni, sia perché, in ogni caso, non fornita di un adeguato supporto probatorio. Va osservato in merito, che la ricorrente ha dedotto di aver lavorato nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2018, laddove in sede ispettiva si evidenziava che non risultava documentato lo svolgimento di attività agricola in data posteriore al 9 dicembre 2018. Sicché il disconoscimento parziale delle giornate lavorative denunciate in favore della ricorrente appare riscontrato da tale evidenza documentale a fronte della quale, come detto, la stessa non ha mosso alcun rilievo né formulato idonee allegazioni. Ne consegue, inoltre, il rigetto della domanda tesa ad ottenere la liquidazione della disoccupazione agricola di competenza dell'anno 2018, rilevata l'insussistenza, in capo alla ricorrente, del possesso dei requisiti di legge. Vanno, invece, liquidati gli Anf nella misura corrispondente alle 49 giornate di lavoro non disconosciute. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, si ritiene che la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c., depositata nel giudizio rg n. 13403/2019 non possa considerarsi valida ai fini dell'esenzione poiché lo stesso non veniva promosso per ottenere il pagamento di "prestazioni previdenziali o assistenziali" ma- come si è detto- l'accertamento del diritto alla reiscrizione (sul punto si veda Cass. Civ. sez. lav. 4.2.2020 n. 16676, cui questo giudice ritiene di adire). Va, invece, considerata valida la dichiarazione depositata nel procedimento rg n. 5056/2020, laddove si chiede la condanna dell'Ente resistente al pagamento delle prestazioni temporanee connesse all' iscrizione; domanda, peraltro, parzialmente fondata. Tuttavia, il diverso orientamento sinora assunto da questo Tribunale in materia di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c. giustifica la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi del novellato art. 92 c.p.c. Si è, infatti, al cospetto di un'ipotesi di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti. Si osserva, infine, che i ricorsi risultano depositati in data antecedente alla surrichiamata pronuncia della S.C.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti in epigrafe indicati, così provvede: - accoglie parzialmente la domanda e, per l'effetto, condanna l'Ente resistente al pagamento, in favore della ricorrente, degli Anf di competenza dell'anno 2018, in ragione di 49 giornate di lavoro; - rigetta, per il resto, i ricorsi riuniti; - spese interamente compensate. Così deciso in Foggia il 3 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona della dott. Giovanna Cice, all'esito del deposito delle note ex art. 127 ter c.p.c., pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c., in data 15 marzo 2023 la seguente SENTENZA nel processo civile di I grado, iscritto al n. 7202 dell'anno 2021 del Ruolo Generale Affari Contenziosi e proposto DA (...), c.f. (...), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Leonardo De Felice, che la rappresenta e difende, giusta procura in atti - OPPONENTE - CONTRO (...) SRL, p.i. (...), in persona del l.r.p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla Via (...), presso lo studio degli avv. (...), che la rappresenta e difende, giusta procura in atti - OPPOSTA - LE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha proposto opposizione avverso il d.i. n. 1442/2021, depositato in data 26/7/2021 e notificatole in data 19.10.2021, con il quale le è stato ingiunto di pagare, in favore di (...) s.r.l., la somma di Euro 8.917,00, maggiorata di interessi e spese, a titolo di restituzione di quanto ricevuto in virtù del contratto di finanziamento stipulato, in data 04/10/2005, avente ad oggetto il credito dapprima ceduto da (...) s.p.a. (nel frattempo divenuta (...)) in favore di (...) s.p.a. e successivamente ceduto da (...) s.p.a. in favore dell'odierna opposta, (...) s.r.l.. (...) s.r.l., costituitasi oltre i termini di cui all'art. 166 c.p.c., ha domandato, in via preliminare, di concedersi la provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c. e, nel merito, di rigettare l'altrui opposizione, siccome infondata in fatto ed in diritto. Denegata la concessione della provvisoria esecuzione ed assegnato alle parti il termine per l'espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5 bis D.Lgs. 28/2010 (cfr. ord. del 22/7/2022, comunicata dalla cancelleria ad entrambe le parti costituite), il processo è stato rinviato all'udienza del 14 marzo 2023 per la precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.. La domanda è improcedibile per mancato esperimento del tentativo di mediazione. Secondo le Sez. Un. n. 19596/2020, nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1 -bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo. Nel caso di specie, parte opposta non ha depositato il verbale di mediazione e, quindi, non ha fornito prova di aver svolto il tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5 bis D.Lgs. 28/2010. Di conseguenza, la domanda va dichiarata improcedibile ed il decreto ingiuntivo n. 1442/2021 va revocato. Dall'improcedibilità della domanda, in virtù dei principi di soccombenza e causalità (Cfr. Cass. Sez. Un. n. 32061/2022), consegue la condanna di (...) srl al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che si liquidano, secondo i parametri di cui al D.M. 55/2014, oltre agli esborsi documentati ai sensi dell'art. 2 co. 2 D.M. 55 del 2014, con riferimento alle fasi del giudizio svolte (e, dunque, esclusa la fase istruttoria poiché non espletata), ai valori medi (art. 4 D.M. cit.), ed in relazione allo scaglione fino ad Euro 26.000,00, in cui risulta ricompresa l'odierna controversia in base al valore del petitum (art. 5 co. 5 e 6 D.M. cit.), con distrazione in favore dell'avv. (...), dichiaratosi anticipatario. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: 1) dichiara l'improcedibilità della domanda e, per l'effetto, revoca il d.i. n. 1442/2021; 2) condanna (...) Srl, al pagamento, in favore di (...), delle spese di lite, pari all'importo di Euro 150,00 per esborsi ed Euro 3.397,00 per compensi, oltre i.v.a. se dovuta, c.p.a. come per legge e rimborso spese forfettario nella misura del 15% sull'importo dei soli compensi, da distrarsi in favore dell'avv. avv. (...). Il Giudice dott.ssa Giovanna Cice La presente sentenza è sottoscritta con firma digitale.
TRIBUNALE ORDINARIO di FOGGIA Contenzioso - PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Mariangela Martina Carbonelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.g. 5606/2022 promossa da: C.M. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in ...presso il difensore avv. ... ATTORE contro A.T.C.P. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv...., elettivamente domiciliato in via ....presso il difensore avv. ... CONVENUTA Svolgimento del processo - Motivi della decisione Agendo con atto di citazione del 23.09.2022, ritualmente notificato alla convenuta, C.M. ha convenuto in giudizio A.T.C.P., chiedendo la revoca dell'obbligo a lui imposto ai sensi dell'art. 148 c.c. dal Tribunale di Lucera con Provv. del 7 aprile 2011 del versamento alla ex nuora di Euro 200,00, a titolo di contributo al mantenimento delle nipoti A.M., nata a L. il (...), G.M., nata a F. il (...) e V.P.M., nata a S.G.R. il (...), stante l'inadempimento del padre. Ha esposto il M. a sostegno della propria domanda di aver subito un peggioramento delle proprie condizioni economiche, determinato dall'aggravarsi delle sue condizioni di salute per patologie legate all'età senile, comportanti maggiori spese sanitarie, e dal venir meno del contributo economico della moglie deceduta. Ha aggiunto che tutte e tre le nipoti, ormai maggiorenni, avrebbero raggiunto l'indipendenza economica, addirittura, quanto alle prime due, creando propri autonomi nuclei familiari. Nel costituirsi in giudizio, A.T.C.P. si è opposta all'accoglimento della domanda, eccependo di versare in condizioni di salute tale da non consentirgli di lavorare, che nessuna delle circostanze rappresentate sarebbe suscettibile di provocare un reale peggioramento delle condizioni economiche del ricorrente; che il raggiungimento della maggiore età delle figlie non avrebbe eliminato lo stato di bisogno in cui le stesse versavano al momento del sorgere dell'obbligo per il nonno, posto che quanto ad A.M. la stessa sarebbe domiciliata in Ascoli Piceno, non presterebbe attività lavorativa, il marito sarebbe disoccupato e la figlia B.A.S., di 10 anni, vivrebbe con la nonna, odierna resistente (cfr.: certificato di residenza della deducente), la quale, peraltro, continuerebbe ad aiutare economicamente la figlia; G.M., anch'essa disoccupata, sarebbe madre di tre figli, tutti minori ed affidati, i primi due, al servizio sociale del Comune di Lucera dal Tribunale per i Minorenni di Bari che avrebbe anche dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre, F.R.; V.P.M., tuttora, studentessa fuori sede per diventare O.S.S., ossia "Operatore Socio Sanitario" (cfr. attestazione del 14.11.2022 rilasciata dalla A.I., che si deposita, che certifica anche gli orari di svolgimento delle lezioni e del tirocinio) e necessitante di mantenimento. Quanto al padre delle ragazze, R.C.M. marito della P. e figlio dell'attore, avrebbe avuto altri tre figli dalla nuova compagna convivente e lavorerebbe solo sporadicamente, tanto rendendolo incapiente ed inadempiente, e giustificando la persistenza dell'obbligazione del nonno. All'udienza del 01.02.2023 la causa è stata riservata in decisione. La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti di seguito precisati. Costituisce oggetto del presente giudizio l'accertamento della persistenza dei presupposti che hanno determinato il Tribunale di Lucera ad imporre al ricorrente, con Provv. del 7 aprile 2011, l'obbligo del versamento alla moglie separata del figlio di Euro 200,00 mensili, a titolo di contributo al mantenimento delle nipoti A.M., nata a L. il (...), G.M., nata a F. il (...) e V.P.M., nata a S. G. R. il (...), stante l'inadempimento del padre, delle ragazze, R.C.M.. Vige in materia il principio di diritto secondo cui in tema di mantenimento dei figli minori, l'obbligo di mantenimento stabilito dall'art. 148 c.c. "spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l'altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui. Pertanto, l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli - che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori - va inteso non solo nel senso che l' obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l'altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell'impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo". Facendo applicazione del principio suesposto, deve rilevarsi che nel caso di specie, la convenuta ha esposto di non essere nelle condizioni di svolgere attività lavorativa, nonostante abbia ancora 53 anni. Invero, tra le patologie elencate che la renderebbero inidonea o comunque non completamente idonea a lavori comportanti uno sforzo fisico, rileva l'ernia del disco lombare, in quanto interessante la colonna vertebrale. Non è, viceversa, emerso un livello professionale o di istruzione in grado di rendere possibile la sua applicazione in lavori intellettuali. In concreto, la P. ha dimostrato di non svolgere alcuna attività lavorativa depositando attestazione ISEE, di avere quali uniche entrate il ridetto assegno di mantenimento e il reddito di cittadinanza, ammontante ad Euro 600,00 mensili. Pur volendo ritenere sussistente una residua capacità lavorativa, la stessa deve presumersi marginale, date la patologia documentata che ne esclude l'applicazione nel campo operaio e la mancanza di possibilità di concrete applicazioni in campo intellettuale. Non è, inoltre, contestata la persistenza dell'inadempimento del figlio del ricorrente, il quale, unitosi con altra compagna, è divenuto padre di altri tre figli, senza che il suo stato di occupazione lavorativa altalenante abbia fatto registrare miglioramenti. Non integra, altresì, un peggioramento della condizione reddituale del ricorrente il decesso della moglie e il venir meno del reddito con il quale la stessa contribuiva al menage familiare, trattandosi di mera pensione di vecchiaia di Euro 487,39, appena sufficiente alle proprie esigenze personali. Elemento, invece, degno di nota è costituito dall'età avanzata dal ricorrente che in un bilanciamento di interessi deve indurre a ritenere che le risorse dallo stesso percepite a titolo di pensione devono essere considerate come necessarie ad una sopravvivenza dignitosa, risultando esigibile, almeno dalle due nipoti più grandi, ormai madri a loro volta, un impegno adeguato e proporzionato alla loro giovane età e dall'assunzione di responsabilità che deve derivare nei confronti della propria prole. Soltanto con riferimento alla nipote più piccola, V.P.M., può farsi un discorso diverso, in quanto tuttora studentessa fuori sede per diventare O.S.S. Quanto al mantenimento dei figli, è noto, invece, come lo stesso derivi, in primis, dall'art. 30 della Costituzione e dagli art. 147 e ss. c.c. Le dette disposizioni normative impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non prevedendo alcuna cessazione ipso facto per via del raggiungimento della maggiore età. L'obbligo è del resto stato rafforzato dalla novella della L. n. 54 del 2006 che all'art. 155-quinquies ha stabilito che "il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico". Non si tratta, tuttavia, di un obbligo protratto all'infinito, ma dalla "durata mutevole" da valutare caso per caso (Trib. Novara n. 238/2011). In linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, infatti, lo stato di non occupazione del figlio non può di per sè essere considerato come giustificazione del mantenimento oltre una soglia che viene tendenzialmente fissata nei 34 anni. Oltre questo limite massimo, individuato dalla giurisprudenza prevalente, il mantenimento diventerebbe infatti "un vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani". È tuttavia altrettanto pacifico che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità e di un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). In merito, è orientamento uniforme quello per cui la coltivazione delle aspirazioni del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). Applicati i detti principi al caso di specie, si ritiene di dover continuare ad onerare il ricorrente dell'obbligo di versamento di un contributo al mantenimento della sola nipote V.P., sia pure nella minima e limitata misura di Euro 50 mensili, dal momento che la sua mancanza di indipendenza economica non può essere considerata frutto di un atteggiamento di colposo parassitismo, ma conseguenza della sua applicazione allo studio e alla formazione professionale proprio al fine della propria emancipazione ed autonomia. Le spese di lite, stante il quasi integrale accoglimento della domanda, meritano compensazione nella misura di un terzo, e per la restante parte, devono essere posta a carico della resistente, in misura dimidiata in considerazione dell'ammissione della P. al Patrocinio a Spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accoglie parzialmente la domanda e riduce ad Euro 50,00 mensili l'obbligo imposto a C.M. dal Tribunale di Lucera con Provv. del 7 aprile 2011 di versamento ad A.T.C.P. del contributo al mantenimento delle nipoti, revocandolo per A.M., nata a L. il (...) e G.M., nata a F. il (...) e limitandolo alla sola V.P.M., nata a S.G.R. il (...); - Condanna altresì la parte resistente a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano, nella misura già ridotta di un terzo per la parziale compensazione, in Euro 567,33, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali. Così deciso in Foggia, il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Segue verbale di udienza del 17/01/2023 Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Severino Antonucci, all'esito della discussione orale e della camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa tra (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. DI.OS. e dell'avv. PI.RA. ricorrente e (...) S.P.A., in persona del L.R. pro tempore rappresentata e difesa dall'Avv. MA.MA. e dall'Avv. IN.LI.. resistente FATTO Premesso Con atto depositato il 13/02/2019 (...) adiva questa (...) chiedendo, previo accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la resistente (...) s.p.a., per mansioni ascrivibili al II livello del CCNML Industria Alimentare, condanna al pagamento della medesima: 1) in via principale, della somma di Euro 104.521,64 - oltre interessi e rivalutazione monetaria - per l'attività di lavoro subordinato espletata alle dipendenze della (...); 2) in via subordinata, per il caso della ritenuta ascrivibilità del rapporto alla collaborazione coordinata e continuativa ovvero di un rapporto parasubordinato, della somma di Euro 64.800,00 oltre accessori; 3) in via ulteriormente subordinata, della somma di Euro 64.800,00 a titolo risarcitorio e quale indennizzo per arricchimento senza causa. Il ricorrente, premesso di essere stato socio di minoranza (in ragione del 2,4% del capitale, dal 18-9-2014 al 21-11-2016), assumeva avere svolto mansioni di lavoro subordinato- mai regolarizzato- nel periodo dal 1-2-2014 al 31-1-2017 (e quindi da epoche rispettivamente anteriore e successiva alla titolarità della quota sociale)- ascrivibili alla figura dell'Executive Manager (Secondo la declaratoria di cui all'art. 26 del CCNL (...), richiamata integralmente al 5 del ricorso) , occupandosi della direzione esecutiva del settore commerciale e tecnico dell'azienda; tali attività erano state svolte su direttiva ed incarico dell'amministratore della Società, funzionali alla pianificazione, gestione e sviluppo dell'attività commerciale in Italia ed all'estero, nonché della gestione dello showroom di Torremaggiore (luogo ove pure il ricorrente aveva il proprio ufficio) e di responsabile tecnico dell'azienda, nei termini ampiamente specificamente indicati al 3 e segg. (pg. 4 e segg.) dell'atto introduttivo del 12-2-2019. Con frequenza bisettimanale il ricorrente era tenuto a dare conto del proprio operato all'(...) della Società, (...), e al (...) (...), da quali pure riceveva direttive vincolanti dell'ulteriore lavoro da svolgere e che pertanto erano stati i propri superiori gerarchici. Nello svolgimento delle mansioni aveva dovuto osservare un orario di lavoro predeterminato dall'(...), dal lunedì al venerdì, dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00; in caso di assenze o ritardi era tenuto a chiedere autorizzazione ed a dare conto al medesimo (...) Per lo svolgimento delle mansioni il ricorrente aveva utilizzati mezzi ed apparecchiature di pertinenza della Società, dalla quale pure aveva ricevuto appositi biglietti da visita nei quali accanto al proprio nome era indicata la qualifica di Executive Manager (doc. 2) e che gli aveva accordato un indirizzo di posta elettronica aziendale; la medesima qualifica era indicata nel sito internet aziendale. Diversamente dagli accordi iniziali (e delle successive reiterate rassicurazioni) in ragione dei quali l'(...) aveva promesso un compenso mensile di Euro 1.800,00, peraltro inferiore allo standard contrattuale collettivo, al ricorrente era stata unicamente versata la somma di Euro 5.000,00. Tanto premesso, con riferimento ai conteggi inseriti in ricorso redatti sulla tariffa contrattuale richiamata anche ai sensi dell'art. 36 Cost., e, alternativamente, nei riferimento al tipo subordinato ovvero a rapporti ascrivibili al modello dell'articolo 409 c.p.c. sulla base dell'importo promesso dall'(...) (Euro 1800 mensili) o, in estremo subordine, all'indebito arricchimento, nei termini indicati nelle conclusioni sopra richiamate, concludeva per la condanna della resistente. Si costituiva la parte resistente chiedendo il rigetto della domanda; contestava lo svolgimento di qualsivoglia attività di lavoro da parte del ricorrente, avendo invece rivestito unicamente la carica di socio; a tal fine invocando l'inconferenza dimostrativa delle produzioni documentali e delle email versate in atti; contestava la esistenza della carica di (...) in capo a (...), impropriamente qualificato in ricorso come superiore gerarchico. Ancora contestava la promessa di Euro 1800,00 mensili. Contestava i conteggi, nei quali erano impropriamente confluiti ROL, ex festività, ferie, mensilità aggiuntive, che pure avevano impropriamente determinato un maggiore ammontare del TFR. Contestava, infine, le subordinate fondate su un rapporto di collaborazione ovvero sull'arricchimento senza causa. IN corso di causa era espletata prova per interpello e per testi. Era altresì disposta ed espletata CTU . volta a rideterminare il quantum eventualmente dovuto (per il rapporto instaurato irregolarmente) nei limiti dei c.d. minimi tariffari. Matura per la decisione la causa è trattenuta in decisione all'esito della discussione delle parti. Osserva La complessiva valutazione delle risultanze istruttorie dà ragione alla tesi del ricorrente. Il fondamento della domanda si rinviene: - nella natura confessoria del documento sub 1) della produzione di parte ricorrente, la quale smentisce categoricamente la temeraria resistenza della convenuta, portando a riconoscere al ricorrente- già per ciò solo- la qualifica rivendicata; - nella oggettiva conferma documentale (doc. 3; documentazione risalente ad epoca anteriore all'instaurarsi del contenzioso) del ruolo, in azienda, di (...), pure oggetto delle improvvide contestazioni della convenuta; conferma che da un lato conferma l'attendibilità dello stesso (...), sentito come teste in ordine alle mansioni in azienda del (...) ed alle modalità esplicative della prestazione in termini di subordinazione; dall'altro rende poco credibile l'intero impianto della resistente; - nella documentazione estrapolata dal sito aziendale di (...) s.p.a., nella quale effettivamente il (...) è indicato come executive manager; - nell'utilizzo di tali risultanze documentali quale criterio di positiva valutazione della credibilità dei testi addotti dal ricorrente E' possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro soltanto ove sia dimostrata, in relazione al precipuo rapporto preso in considerazione, la sussistenza di una serie di elementi caratteristici della subordinazione di cui all'art. 2094 c.c., quali, in primis, l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, al potere disciplinare e al potere di controllo del soggetto datoriale; ai medesimi fini possono altresì costituire "indici sintomatici" dello stesso requisito della dipendenza, ancorchè solo in via sussidiaria e purchè tra loro concorrenti, quantomeno per una valutazione di tipo presuntivo, anche ulteriori circostanze, tra cui, per esempio, la collaborazione e l'inserimento continuativo del lavoratore all'interno dell'impresa, il vincolo di orario cui lo stesso è sottoposto, la forma della retribuzione percepita, l'assenza di rischio economico e imprenditoriale in capo al medesimo - tutte da apprezzare alla luce della specificità dell'incarico conferito al dipendente, nonchè delle concrete modalità di attuazione della prestazione dallo stesso svolta. La prova della sussistenza degli indici di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c. grava sul soggetto che assume di aver prestato lavoro subordinato, ai sensi dell'art. 2967 c.c.; tale prova assume connotazioni di particolare rigore laddove tra le parti coinvolte intercorrano vincoli familiari (e di convivenza di fatto) in relazione alla presunzione che l'attività lavorativa svolta all'interno di un contesto familiare trovi di regola causa nei vincoli di fatto di solidarietà ed affettività esistenti, alternativi ai vincoli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive e possa, eventualmente, trovare remunerazione nella comunione materiale o in forme, economicamente valutabili, alternative rispetto al pagamento di un corrispettivo in danaro (Cass., sez. lav., 15 marzo 2006 n. 5632). Il rapporto di lavoro configurato dagli art. 2094 e seguenti c.c. è caratterizzato non soltanto dagli elementi della collaborazione nell'impresa altrui, ma soprattutto dagli estremi dell'onerosità delle prestazioni e della subordinazione che ordinariamente difettano quando la prestazione lavorativa è resa da persona convivente, legata da vincolo di parentela; la presunzione di gratuità che opera sia quando la prestazione è resa all'interno della convivenza familiare che quando concorre all'esercizio di una impresa (nella specie: bar), gestita ed organizzata strutturalmente ed economicamente con criteri prevalentemente familiari, non viene meno per il fatto che vengono corrisposti, oltre che il vitto e l'alloggio, anche somme di danaro che costituiscono espressione di solidarietà affettiva e di gratitudine, ma può essere vinta soltanto da una prova contraria precisa e rigorosa. Ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro dipendente può essere ricondotta ad un rapporto diverso (Cassazione civile sez. lav. 10 luglio 1991 n. 7608 ): pertanto l'indagine ai fini della qualificazione del rapporto deve svolgersi con riferimento non già alla figura professionale astratta, ma alla fattispecie negoziale concreta come accertata dal giudice di merito. L'elemento della subordinazione non può essere individuato nel mero inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale, ma deve risultare dall'ingerenza che il potere direttivo del datore di lavoro esercita sulla esecuzione della prestazione, determinandone le modalità di esecuzione, in modo da consentire che essa possa inserirsi proficuamente nell'organizzazione datoriale, realizzandone gli interessi. La disposizione dell'articolo 2094 c.c. definisce il lavoratore subordinato come colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa restando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Caratteristica essenziale del lavoro subordinato è pertanto la eterodirezione della attività, nel senso che questa deve svolgersi nel modo imposto dal datore di lavoro, mediante ordini che il prestatore è obbligato a rispettare. L'apparato protettivo normativo e strutturato proprio sul modello del lavoro subordinato e pertanto la qualificazione del rapporto, come tale, è imprescindibile. Esclusa la possibilità di ritenere esistente una presunzione di subordinazione spetta al soggetto interessato allegare e dimostrare di elementi di fatto corrispondenti alla fattispecie astratta (Cassazione civile, sez. lav., 17/06/1988, n. 4150: Elemento essenziale del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione - intesa questa come vincolo personale di soggezione del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro - mentre altri elementi "caratteristici" del rapporto (quali l'oggetto della prestazione, l'inesistenza di una organizzazione imprenditoriale in testa al prestatore, l'assenza di rischio del medesimo ed altri) hanno valore secondario e, eventualmente, funzione sussidiaria ed indiziaria, restando comunque, escluso che, in difetto della subordinazione, gli altri elementi possano, da soli, far qualificare il rapporto di lavoro come subordinato). Per la qualificazione occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili, sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. In sostanza rileva principalmente la c.d. eterodeterminazione, la quale assume diversa rilevanza secondo la maggiore o minore complessità della prestazione dedotta in contratto. L'istruttoria, come si diceva, ha confermato la natura di un rapporto di lavoro, ascrivibile al modello subordinato, esattamente nei termini allegati in ricorso. Non contestata- non in maniera specifica- la indicazione in capo al (...) della qualifica di Executive Manager nella pagina internet di pertinenza aziendale, di seguito rimossa; e ciò già a confutazione di quanto si assume nella memoria di costituzione in ordine alla inesistenza-nell'organigramma- della figura in questione. In sede di interrogatorio formale- ribadito che nella memoria di costituzione si assume che, fatta salva la sua carica di socio, nessun tipo di attività era mai stata svolta dal (...) (e ciò nonostante la chiarissima indicazione di senso contrario che si rinviene nella copia della proposta di iniziativa ..., doc. 1), sottoscritta dal (...)), (...) ha ammesso lo svolgimento di attività da parte del (...), ascrivendole tuttavia a sue iniziative personali volontarie, giustificate dalla titolarità di una quota sociale. Ancora all'iniziativa unilaterale del (...) sarebbe stato ascrivibile il viaggio in Germania, finalizzato a prendere contatti con istituzioni tedesche, in un periodo nel quale esso (...) era molto occupato. Lo stesso (...), tuttavia, ha ammesso che la titolarità delle quote sociali non ha comportato la distribuzione di utili; evidente la valenza dimostrativa del dato in questione, la quale smentisce l'attendibilità dell'assunto difensivo secondo il quale il (...) lavorava come socio (ed allora o per percepire dividendi- tuttavia mai erogati- o, in alternativa, nella speranza più o meno fondata di vedere moltiplicato il proprio investimento patrimoniale). (...), in sede di interpello, riferiva che al (...) (mediante la consegna autonoma delle chiavi) era stata conferita la disponibilità dello showroom di Torremaggiore; salvo a specificare- a questo punto inverosimilmente- di non essere in grado di dire cosa esattamente facesse il ricorrente all'interno dei locali in questione dei quali pure aveva avuto consegna delle chiavi ed ai quali aveva pertanto accesso autonomo. Giova evidenziare che il (...) - a proposito del vaglio delle offerte di collaborazione ricevute da terzi e girate dal (...) ad esso (...) - asseriva di averle rifiutate sistematicamente perché non gli sembrava corretto che il consulente (così testualmente) chiedesse consulenze a terzi; se però si assume che al (...) non era mandata alcuna attività, non è dato comprendere per quale motivo il (...) faccia a quello riferimento come consulente. Ed allora, in definitiva, la tesi del (...) sarebbe quella di attività che non furono mai svolte su sua sollecitazione o direttiva (che è cosa diversa dall'affermare che alcuna attività venne mai svolta); sicché il (...) - titolare di una quota finalizzata ad un investimento (pg. 5 del verbale del 26-11-2019), del valore di Euro 24.000,00, avrebbe assunto tali iniziative unilaterali (in un arco temporale di oltre due anni) per valorizzare una quota che, ciò nonostante, non comportò mai la distribuzione di utili. La parte resistente ha chiesto di provare, tra l'altro, che: - il (...) si recava presso la (...) solo in occasione delle assemblee sociali e degli incontri tra i soci; - lo showroom era una sede solo espositiva senza vendita al pubblico e senza orari di lavoro; - l'ufficio del (...) era ubicato in T. al C.so M.. (...) ha riferito che- nonostante quella asseritamene limitata funzione del locale-al (...) erano state date (a titolo di autonoma disponibilità ... così (...), pg. 5 verbale di udienza) le chiavi dello showroom; e tuttavia lo stesso (...), come detto, non è stato in grado di dire cosa esattamente facesse il ricorrente all'interno dei locali ...; lo stesso (...) ha tuttavia riferito che accadeva ...che il ricorrente incontrasse persone che chiedevano delle collaborazioni quali consulenze ...; incontri evidentemente senza alcun senso da parte di chi era unicamente titolare di una minima partecipazione sociale che- per ciò sola- farebbe ascrivere i ricevimenti del (...) alla tipica attività del perditempo, considerato vieppiù che il (...), puntualmente (così nell'interrogatorio formale del 17-12-2019) rifiutava le offerte. In definitiva, stando alle stesse affermazioni del (...), la autonoma disponibilità delle chiavi dello showroom non pare seriamente conciliabile con la tesi della resistente. Non senza ulteriormente osservare che- e lo dice la stessa convenuta- il ricorrente disponeva di un proprio studio professionale, sicchè nemmeno la concessione dell'uso dello showroom può ascriversi alla volontà di rendere disponibile il locale a chi non ne aveva uno proprio per consentirgli di usare il computer. Il teste (...), dichiaratosi a conoscenza dei fatti in quanto già titolare di una quota (dal 2014 al 2017) riferiva che (...anche se non era spesso in sede, in quanto residente a Roma) in tutte le attività relative alla gestione ed allo sviluppo della Società- ivi comprese quelle relative alla gestione dei rifiuti- erano di pertinenza del legale rappresentante della stessa, laddove invece il (...) era unicamente un socio, che il (...) incontrava occasionalmente ed esclusivamente per le assemblee e gli incontri tra i soci. Il (...), già socio della compagine, residente a Roma, asseriva di avere avuto conoscenza dei fatti dalla corrispondenza aziendale (ma si vedrà che la documentazione, sicuramente aziendale, doc. 3), versata in atti, non ha tra i destinatari il (...)) e da comunicazioni telefoniche (intercorse non è dato di sapere con chi); e tuttavia lo stesso (...), nella medesima sede, riferiva che nei giorni in cui veniva a Torremaggiore si recava in sede e vi rimaneva per circa 8-10 ore, non è dato sapere per fare cosa al di là della partecipazioni ad assemblee o incontri tra soci. Quanto allo showroom, il (...) riferiva che ivi non si svolgeva alcuna attività di vendita e neppure vi era un ufficio del ricorrente, ed ivi si trovava solo un computer (ferma la conferma che il (...) aveva un proprio studio privato). A proposito della partecipazione a Vinitaly, il teste riferiva di avervi anch'egli partecipato in quanto invitati entrambi dall'amministratore, che aveva pagato vitto, alloggio, spese di viaggio. Ciò con riferimento all'assunto difensivo (pg. 6 memoria di costituzione) che ha ascritto allo svago la partecipazione isolata (salvo, sul punto, le risultanze documentali) a fiere e cene di gala, per le quali - contraddittoriamente- ogni relativa spesa era pure a carico della resistente. Non è dato comprendere la ragione di tanta prodigalità, anche in considerazione del fatto che il (...) non era socio unico e, pertanto, non gli era consentita la gestione del bello e cattivo tempo ivi compresa l'irrazionale destinazione (o sperpero) delle risorse aziendali. Il teste (...), sentito all'udienza 19-11-2020, riferiva di avere avuto conoscenza dei fatti avendo lavorato per la Società convenuta (nonché in quanto titolare di una quota sociale del 2,6%: cfr. verbale di udienza, pg. 18, rif. Capo 16)- presso la sede di produzione e con mansioni ai addetto alla direzione logistica- dal giugno 2013, confermava gli assunti del (...), il quale invece lavorava nello showroom di Torremaggiore e che, allorquando gli era stato presentato dal (...), era stato indicato come il soggetto che avrebbe svolto mansioni di Executive Manager (pg. 15); in quella occasione (rif. Capo 21, pg. 19 del verbale) il (...) gli aveva riferito l'ammontare del compenso convenuto. In occasione delle riunioni alle quli, una o due volte al mese, il (...) aveva modo di partecipare, il (...) mandava al (...) la programmazione della partecipazione ad eventi fieristici ...o analoghi eventi finalizzati alla promozione del prodotto. In tali occasioni il (...) chiedeva ad entrambi di collaborare tra loro per tale finalità. (...) confermava i capitoli di prova sub 3) e, quindi, lo svolgimento di contatti con la Camera di Commercio Tedesca (così pg. 16 del verbale.....la prativa fu completata mediante stampa di un modulo che fu firmato da (...) ...). (...) confermava che il (...) si era occupato di attività di marketing e promozione dell'azienda e dei suoi prodotti, predisponendo materiale pubblicitario e partecipando a fiere nazionali ed internazionali, tra i quali il Vinitaly (capo 4); ancora il (...) (capo 5) si erta occupato della gestione dello showroom di Torremaggiore, nel quale aveva anche una postazione di lavoro dalla quale aveva curato l'attività di vendita nonché quella di approvvigionamento, interfacciandosi proprio con esso (...); in una occasione poi- richiesto dal (...) - il (...) provvedeva a redigere una relazione sullo smaltimento delle acque reflue; e, ancora (capo 10) aveva avuto modo di occuparsi della procedura di accreditamento del marchio della resistente presso la Regione Puglia. In altre occasioni (rif. Capo 13) il (...), in presenza di esso (...), si era raccomandato con il (...) di effettuare incombenze di vario tipo ad un orario preciso di un dato giorno......il (...) dava le direttive del lavoro e poi ciascuno, compreso il (...), si organizzava per svolgerle. Il teste confermava che la giornata lavorativa del (...) coincideva con gli orari di apertura dello showroom al quale quello era addetto e, pertanto, dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 16,00 alle 20,00; tale circostanza (pg. 20 del verbale) il teste confermava per averne avuto conoscenza diretta, essendo proprio compito occuparsi del rifornimento dello showroom presso il quale il (...) lavorava, occupandosi anche della vendita a terzi. Confermava il (...) (rif. Capo 14) che era (...) che autorizzava le assenze e (capo 15) quando non c'era (...) era (...) a dare le direttive....Con riferimento al capo 18 delle richieste del ricorrente, il (...) confermava la provenienza dei biglietti da visita del tipo di quello versato in atti; in tali biglietti vi era il logo aziendale, il nome del lavoratore al quale erano assegnati e le relative mansioni, con pure i recapiti della società. (...) (capo 19) confermava che il sito internet dell'azienda indicava le mansioni e la fotografia di ciascun collaboratore, compresi me stesso ((...): n.d.r.) ed il (...) .... In occasione delle riunioni periodiche alle quali il (...) aveva partecipato era stata portata la questione del pagamento dei corrispettivi convenuti; nell'occasione il (...) aveva assicurato il pagamento non appena le condizioni patrimoniali della società lo avessero consentito. Il teste (...), dipendente dal 2016 (così a pg. 22 del verbale) della OP di (...) (....la OP vende il prodotto lavorato dalla (...)...) riferiva che il (...) era socio (e ciò per sentito dire in azienda....) e non pure dipendente della (...); era il (...) ad occuparsi di tutte le incombenze indicate nella memoria di costituzione. Il teste (...) (udienza 28-9-2021) confermava la presenza del ricorrente presso lo showroom di pertinenza della convenuta perché- amico di vecchia data del ricorrente- aveva avuto modo in più occasioni di andarlo a prendere il quel luogo il venerdì sera; in tali occasioni il (...) gli diceva che non gli era possibile allontanarsi prima delle ore 20.00 ed a volte anche più tardi; presso lo showroom il (...) aveva avuto modo di vedere il (...) usare il computer ed anche ricevere direttive dal (...) relative alla spedizione di merci, di evasione di ordini o di adempimenti relativi alle attività di (...)..... Confermava, con riferimento al capitolo 2, che le mansioni di Executive Manager in capo al (...) aveva avuto modo di rilevarle dalla pagina internet, senza essere tuttavia in grado di dire in cosa quelle mansioni avessero a sostanziarsi; specificava (pg. 25 del verbale) che la foto e le indicazioni professionali di pertinenza del (...) scomparvero dal sito quando lui smise di collabotrare con (...).....all'inizio del 2017. IN ragione della frequentazione con il ricorrente il teste (pg. 25 del verbale) confermava gli orari di lavoro prestati dall'altro. Ancora il (...) aveva avuto modo di ricevere dei video che il (...) gli aveva mandato in occasione della sua partecipazione ad eventi fieristici e di eventi, nei quali si occupava della esposizione al pubblico- con banchi espositivi- del prodotto. Il teste, chiarito l'ambito ed i motivi della conoscenza dei fatti in tal modo riferiti, specificava di non essere a conoscenza-né diretta né indiretta- di ulteriori circostanze relative ai rapporti tra le parti. Il teste (...) (ud, 1-2-2022, pg. 26-27 del verbale di udienza) riferiva di essere, ancora all'attualità, consulente enologo di (...) e di avere- per quella ragione- avuto modo di recarsi presso l'azienda all'incirca una volta al mese. IL teste riferiva di non essere in grado di riferire la natura dei rapporti tra le parti, nemmeno sotto il profilo della titolarità di una quota sociale; il teste riferiva di non avere mai visto il (...) lavorare, conoscendolo solo di vista, precisando di non ricordare nemmeno se tale conoscenza si era avuta in azienda o in occasione di qualche evento enogastronomico. Nulla sapeva dire sulla esistenza di uno showroom di pertinenza della convenuta. Attese le proprie mansioni, nulla sapeva il teste riferire in merito alle attività delle quali si discute, avendo il teste come proprio interlocutore il (...) ovvero, in tempi più recenti, una altra impiegata laureata in agraria. Il teste (...) (udienza 26-4-2022, pg. 29 e segg. del verbale) riferiva di essere stato direttore generale di (...) s.p.a. sin dall'epoca della sua costituzione, nell'anno 2012 e sino all'anno 2017, epoca in cui il rapporto si era chiuso a causa di contrasti con (...) (contrasti sfociati- come chiarito a pg. 32 del verbale- in un contenzioso: .....ci siamo lasciati male con il (...) ....). Il (...) confermava integralmente gli assunti del ricorrente come dallo stesso specificamente capitolati; in particolare quanto alle mansioni di executive manager, alla sottoposizione del ricorrente ad ordini che gli venivano impartiti da esso (...) (....quanto alle direttive del lavoro da svolgere il ricorrente si relazionava con me con cadenza quotidiana, sia in modalità da remoto sia incontrandoci......) e dal (...) (al quale, aggiungeva, spettava l'ultima parola.....; pg. 31 del verbale di udienza), al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, agli orario di lavoro , dei quali l'azienda pretendeva il rispetto e che fu lo stesso (...) a comunicare al (...) all'atto dell'inizio del rapporto (....gli disse quali orari e quali giorni di lavoro avrebbe dovuto osservare.....). Il potere di direttiva si esercitava anche a mezzo comunicazioni impartire al (...) a mezzo telefono o mediante messaggi. Aggiungeva che l'Ing. (...) era presso la (...) tutti i giorni dal lunedì al venerdì negli orari che ho confermato....Ancora il teste riferiva che la partecipazione del (...) a corsi di formazione avveniva previo benestare dell'azienda; per gli esborsi- quando vi erano- il (...) prometteva....che lo avrebbe tenuto indenne...ciò che tuttavia non era avvenuto..... In ordine al compenso il reste riferiva che (...) aveva promesso all'altro un importo di Euro 1800,00 mensili; tuttavia gli impegni economici non erano stati onorati dal (...) che aveva sempre accampato scuse e pretesti. Si prende atto del contrastante tenore della prova per testi. Tuttavia, all'esito di una globale valutazione del materiale acquisito, si deve ritenere che non è in alcun modo plausibile da un lato che il ricorrente abbia prestato la propria attività- a tutti gli effetti lavorativa- in ragione della quota di partecipazione al capitale sociale di minimale entità. Se le allegazioni di parte ricorrente non fossero vere (e, analogamente, le dichiarazioni rese a supporto dai testi citati) non si spiegherebbe il motivo per il quale (...) abbia sottoscritto il documento nr. 1 della produzione di parte ricorrente, inviato alla Camera di Commercio di Foggia, nel quale il contatto è indicato nella persona di (...) nonché di (...), posizione in azienda project manager. La sottoscrizione del doc. nr. 1, mai contestata, assume la valenza della confessione stragiudiziale fatta al terzo. In nessuna delle difese di parte resistente è specifica confutazione di tale elemento di prova. Sub 3) il ricorrente ha versato in atti copiosa documentazione relativa a messaggi di posta elettronica intercorsi in particolare tra il (...) ed il (...); e tuttavia inviata anche al (...) (alla casella (...) ovvero a quella aziendale) e il (...), relativa ad eventi di promozione, ad acquisiti o, ancora, alla redazione di una relazione da inviare all'(...) su questioni inerenti la gestione di liquami. In generale il messaggio di posta elettronica (cd. e -mail) costituisce documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime. Il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandola a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. Sicché, attesa la genericità delle eccezioni di parte convenuta, non può dubitarsi- fatta salva la valutazione che se ne trae- che il (...) sia stato parte della corrispondenza informatica versata in atti, spesso inviata per conoscenza anche al (...). Se davvero la partecipazione agli eventi promozionali ove ivi è chiarissimo e costante riferimento fosse stata il portato di una libera iniziativa del socio (...), le comunicazioni in questione sarebbero assolutamente incomprensibili o, quantomeno, stravaganti; ed invece le stesse hanno perfetta coerenza con l'assunto secondo il quale la partecipazione agli eventi-in Italia ed all'estero- era richiesta dal (...), in quanto finalizzata alla promozione del prodotto ed alla valorizzazione del marchio (...). Si nota, ancora, che le missive in questione sono indirizzate solo al C.: a confutazione di ogni tentazione di ascrivere quel coinvolgimento alla mera titolarità della quota sociale: se così fosse stato non si comprenderebbe, ad esempio, per quale ragioni non sia stato invitato anche il socio (...), pur essendo questi- almeno a suo dire- particolarmente interessato alle dinamiche sociali e presente in azienda ogni volta per otto-dieci ore, a dispetto delle esiguità della quota anche da lui detenuta e della residenza nella città di Roma. E' così rilevante il messaggio inviato al (...) in data 9-10-2014 da "(...)", (...), contenente- in allegato- la traduzione (evidentemente da quello richiesta) del testo riferito alle attività di (...). Senza alcuna ironia sui contenuti di quella nota, è evidente trattarsi di una presentazione destinata ad essere utilizzata a fini di promozione internazionale, assolutamente inconcepibile nella alternativa prospettiva della attività svolte sua sponte dal socio di minima, infinitesima minoranza; ed invece perfettamente coerente con la ricostruzione del rapporto offerta dal ricorrente (...). La nota in questione risulta infatti trasfusa nella mail di seguito (13-10-2014) inviata da (...) ad (...) nella cui introduzione-nonostante qualche violenza al lessico inglese- si richiede un incontro per l'illustrazione dei progetti di (...) in (...). Non è pensabile che una presentazione nella quale (...) è definita partener ideale per pensare il prodotto migliore.... che regna indiscussa nel panorama mondiale...ed è santificata con altre simili vanterie non sia passata al vaglio del titolare dell'azienda, (...). Detto in altri termini non è pensabile che l'attività di promozione sia costantemente sfuggita al vaglio del (...), come questi vorrebbe dare ad intendere nel ridimensionare i ruoli del (...) e del (...). Ed ancora, con nota in data 22-10-2014, il D.O. di Centro Studi ed Animazione Economica dava a (...) s.p.a. quietanza per Euro 200,00, a titolo di cauzione .....per la partecipazione agli eventi organizzati a Varsavia e Monaco di Baviera.... L'invio della quietanza direttamente alla Società odierna resistente è una ulteriore chiave di lettura volta a sconfessare radicalmente l'ipotesi delle iniziative unilaterali del (...); e non è seriamente credibile che il (...) - il quale non era socio unico- abbia voluto finanziare gli svaghi del socio giramondo (...), come imprudentemente si assume nell'atto di costituzione. Analoghe considerazioni hanno origine dalla lettura della mail inviata in data 4-11-2014 dal (...) a (...), (...) nonché al (...) (...), con dicitura "chiedere ad (...) (evidentemente ad Orazio: n.d.r.) se possibile chiudere questi ordini: è chiaro che, in quella sede, il soggetto mandato di chiedere ad (...) è l'altro destinatario della mail, ovvero il (...), a riprova dell'inserimento di questi nell'apparato operativo aziendale. Ed ancora, con email in data 24-11-2014 il (...) inviava a tale (...), in allegato, il listino prezzi 2014 (...).... Ulteriormente: dalla nota in data 26-10-2014 (doc. 5) si evince che la nota di risposta diffida (...) 17-10-2014 è stata redatta effettivamente dal (...); diversamente non sarebbe comprensibile la ragione per la quale la pratica abbia potuto passare per le sue mani. Significativa poi la documentazione (doc. 6) relativa alla prativa di finanziamento marchi, relativa a quello di (...), inviata al (...) dal (...) con richiesta di attivarsi con celerità. Da questa e dall'altra documentazione elettronica versata in atti si ha una decisa smentita del ridimensionamento del ruolo affermato da taluno dei testi le cui si sono sopra richiamate. Se davvero si fosse trattato delle iniziative un socio troppo solerte, questi comunque non sarebbe stato individuato come l'interlocutore- in rappresentanza di (...)- per la partecipazione agli eventi promozionali. Il rimborso delle spese, seppure isolato, dimostra che l'attività del (...) era una diretta emanazione della volontà datoriale, rendendo anche credibile che altre spese non siano state rifuse solo a causa della cattiva volontà del (...). Nella diversa prospettiva da quello sostenuta anche un solo rimborso diventa assolutamente incomprensibile. Se si dice- e sostanzialmente lo si dice nella documentazione esaminata- che (...) è davvero l'azienda leader nei mercati di riferimento, lo svolgimento di attività da parte del socio che spera di valorizzare l'azienda è un non senso. Anche nella diversa prospettiva, tuttavia, considerato che per l'oggetto sociale (...) non è una azienda che svolge una attività suscettibile di moltiplicare il proprio valore in modo esponenziale, la minima entità della quota detenuta dal (...) non rende plausibile che questi abbia lavorato- per oltre due anni- solo con la prospettiva di fare lucrare il proprio investimento. E da tali considerazioni- ancora una volta anche alla luce dell'atto contenente confessione stragiudiziale- se ne trae convincimento che i testi credibili sino quelli che hanno confermato gli assunti del ricorrente e, pertanto, (...), (...) e (...); e pertanto che il (...) abbia lavorato effettivamente, con vincolo di subordinazione e ricevendo direttive dal (...) ovvero dal preposto (...), esattamente secondo le modalità indicate nell'atto introduttivo, slealmente contestate dalla parte resistente. L'istruttoria ha confermato, tra l'altro, che il (...) ed il (...) si accordarono per una somma mensilmente determinata in Euro 1.800,00. Attesa la ritenuta natura subordinata del rapporto, quell'accordo deve essere disatteso, dovendo considerarsi il valore contrattuale collettivo utilizzato per i conteggi; dovendo al contempo- tuttavia- utilizzarsi il criterio dei minimi tariffari, nei termini di cui alla ordinanza 10-5-2022 che ha mandato al CTU la determinazione del quantum. La ascrivibilità delle mansioni così come specificamente descritte dal ricorrente (e confermate dall'istruttoria) al livello contrattuale invocato non ha formato oggetto di specifica contestazione. Il CTU, dando fedele adempimento al mandato (Ci si è riferiti al livello vantato in ricorso, e cioè il 2 livello di cui al C.C.N.L. "Alimentari - Industria" ....Tabelle retributive, da "Retribuzioni per i lavoratori di aziende dell'industria... Si sono considerate le seguenti voci retributive: minimo contrattuale, contingenza, E. (in quanto per natura "simile" alla contingenza e dal 1992 ritenuto fisso e inglobato nella retribuzione minima; all'uopo cfr. "Cos'è l'EDR in busta paga e a quali lavori spetta", da sito web (...), che si allega), festività domenicali (lavorate) ove richieste dal ricorrente, 13° mensilità, ferie non godute e ROL e festività soppresse non goduti. Si è altresì considerato il trattamento di fine rapporto...... Ci si è riferiti all'orario di lavoro dedotto in ricorso, per cui si è considerato un orario di n. 8 ore al giorno per n. 5 giorni alla settimana (dal lunedì al venerdì), e quindi un orario di n. 40 ore settimanali (full-time)..... Il percepito si è ritenuto pari a zero, essendosi trascurato a tal fine anche l'importo di Euro 5.000,00 di cui all'assegno del 15/03/2016 in atti, poiché corrisposto a dire del ricorrente ad altro titolo (per rimborso spese) e mancando deduzioni sul punto da parte della società resistente. Per il calcolo del T.F.R. si sono applicati l'art. 2120 c.c.. e la contrattazione collettiva, per cui si sono considerate "utili" le retribuzioni ritenute spettanti al netto degli importi per festività domenicali (lavorate), ferie non godute e permessi e festività soppresse non goduti, trattandosi di elementi "occasionali".....) ha determinato il quantum in complessivi Euro 87.526,05 (lordi) e T.F.R. per Euro 5.701,35 (lordi), per un ammontare totale lordo dovuto pari ad Euro 93.227,40 Le conclusioni dell'Ausiliario, in quanto adeguatamente motivate, logicamente articolate ed aderenti al quesito, possono senz'altro condividersi ed esser fatte proprie da questo Giudicante. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo secondo valori medi ed in base all'importo riconosciuto al ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale di Foggia, Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sulla domanda come in intestazione proposta così dispone: - accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna (...) s.p.a., per il titolo in motivazione, al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 93.227,40, oltre accessori come per legge; - condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 13.395,00 per onorari, oltre spese generali (15%) IVA e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico della parte soccombente (fatta salva la solidarietà relativa ai rapporti tra le parti ed il CTU) le spese di consulenza tecnica, liquidate con separato decreto. Così deciso in Foggia il 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.
Tribunale Ordinario di Foggia Contenzioso - PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale riunito in camera di consiglio nelle persone di: dott. Antonio Buccaro - Presidente dott.ssa Mariangela Martina Carbonelli - giudice dott.ssa Simona Iavazzo - giudice rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di ruolo ... del registro generale per gli affari contenziosi dell'anno 2015, posta in deliberazione sulle conclusioni delle parti all'udienza del 21 Settembre 2022 avente ad oggetto la separazione giudiziale dei coniugi, TRA I.G. (C.F. (...)), rappresentata e difesa nel presente giudizio, giusta procura in atti, dall'avv. ...; Ricorrente E P.F. (C.F. (...)), rappresentato e difeso nel presente giudizio, giusta procura in atti, dall'avv. ...; Resistente con l'intervento ex lege del Pubblico Ministero; Svolgimento del processo - Motivi della decisione Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69 del 2009. Nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti costituite e l'iter del processo possono riepilogarsi come segue. Con ricorso depositato in data 26.05.2015, I.G. - premesso di aver contratto matrimonio concordatario in Lucera il 15.04.1996 e che dalla loro unione sono nati tre figli, F.A. il (...), P.P. il (...) e L. il (...) - ha chiesto all'intestato Tribunale di pronunciare la separazione personale delle parti con addebito al marito; di assegnare la casa coniugale alla ricorrente e di porre a carico del P. un assegno per il mantenimento pari ad Euro 900,00 nell'interesse del coniuge e delle figlie. La ricorrente ha dedotto che il matrimonio ha subito una crisi irreversibile a causa dei comportamenti violenti e prevaricatori del resistente, sfociati in episodi di violenza fisica e a causa delle relazioni extraconiugali instaurate dal P. nel corso della vita matrimoniale. La I., inoltre, ha evidenziato che il resistente, per costringere la moglie a una piena obbedienza e accettazione di tutte le sue condotte, l'ha anche privata per alcuni periodi di ogni forma di sostentamento economico e materiale. Si è costituito in giudizio il sig. P.F. il 16.11.2015, il quale, aderendo alla richiesta di pronuncia della separazione dei coniugi, ha chiesto, al contrario, che la stessa venisse addebitata alla ricorrente; ha, inoltre, chiesto l'affido condiviso delle figlie con collocamento prevalente presso il padre e la consequenziale assegnazione della casa familiare. Il P. ha sostenuto di essere disposto a provvedere al mantenimento delle figlie P.P. e L., fino al raggiungimento della maggiore età. Il P. ha sostenuto, infatti, che la separazione sia addebitabile alla I., avendo quest'ultima instaurato una relazione extraconiugale con il sig. M.P. in costanza di matrimonio. Espletato con esito negativo il tentativo di conciliazione, in sede di udienza presidenziale, il Presidente, con ordinanza del 16.11.2015, in via provvisoria ed urgente: ha autorizzato i coniugi a vivere separati; ha disposto l'affido condiviso delle figlie minori P.P. e L. con collocamento prevalente presso la madre, regolamentando il diritto di visita del padre; ha assegnato la casa familiare alla ricorrente; ha posto a carico del P. l'obbligo di contribuire al mantenimento delle tre figlie, versando alla ricorrente, l'importo mensile complessivo di Euro 600,00, oltre al concorso del 50% alle spese straordinarie; ha posto, inoltre, a carico del P. l'obbligo di contribuire al mantenimento della moglie, versandole un importo mensile pari a Euro 150,00. Espletata l'istruttoria e falliti i tentativi di trasformazione del giudizio in separazione consensuale, all'udienza del 21 Settembre 2022, le parti hanno precisato le conclusioni dinanzi all'odierno Giudice istruttore, che ha rimesso la causa al Collegio per la decisione, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Sulla separazione personale dei coniugi La domanda di separazione proposta dalla ricorrente è fondata e pertanto merita accoglimento. Com'è noto, ai sensi dell'art. 151 comma 1 c.c. (come novellato dall'art. 33 della L. n. 151 del 1975), la separazione giudiziale dei coniugi può essere pronunciata quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi (ossia indipendentemente da una causa imputabile ad uno di essi), fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Nella fattispecie può tranquillamente ritenersi che la prosecuzione della convivenza tra i coniugi sia divenuta insopportabile, come risulta dalle allegazioni delle parti sia all'udienza presidenziale che nel prosieguo del giudizio, oltre che dalla richiesta di addebito della separazione formulata dalla ricorrente e dal fallimento dei diversi tentativi di conciliazione; è, inoltre, pacifico che le parti non abbiano più ripreso la convivenza a partire dall'ordinanza presidenziale di separazione e che, a partire da tale epoca, non siano intervenuti fatti riconciliativi. Tale obiettiva situazione evidenzia l'impossibilità di ricostituire la comunione materiale e spirituale. Si evince quindi che ormai si è verificata la dissoluzione del consorzio familiare e che non vi sono, allo stato, possibilità di ricostituire una tollerabile convivenza a causa delle insanabili divergenze tra le parti, per cui può pacificamente essere pronunciata la separazione personale dei coniugi, mandando al Cancelliere ed all'Ufficiale dello stato civile per gli adempimenti di rispettiva competenza. Sulle domande di addebito La domanda di addebito della separazione avanzata da parte ricorrente si fonda sulle asserite violazioni dei doveri coniugali del resistente, consistenti nella violazione del dovere di fedeltà coniugale, di assistenza materiale e per le condotte violente poste in essere ai danni della I., anche in presenza delle figlie. Di contro, il resistente ha contestato tutte le asserzioni della I., formulando, a sua volta, domanda di addebito della separazione a carico della moglie. Il P. ha sostenuto che la I., in costanza di matrimonio, ha iniziato una relazione extraconiugale con un altro uomo, il sig. M.P., così violando l'obbligo di fedeltà. Si ricorda, al riguardo, che la giurisprudenza di legittimità considera cause di addebito della separazione la commissione di violenze psicologiche e fisiche ai danni dell'altro coniuge, oltre che la violazione dell'obbligo di fedeltà, qualora non venga eccepita una precedente crisi già in atto. Tutte queste condotte, infatti, sono idonee a rendere intollerabile la convivenza. Giova ricordare, al riguardo, che la Suprema Corte ritiene che "in tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile...". Pertanto "... laddove la ragione dell'addebito sia costituita dall'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile..., a meno che non "risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto.....In tal caso trovano peraltro applicazione le comuni regole in tema di onere della prova, per cui (art. 2967 cpv.) chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda (nella specie, dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza) deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà....."(Cass. civ. 2059/12, 16859/15, 3923/18). Orbene, applicando i predetti principi al caso di specie, le relazioni extraconiugali, poste a sostegno delle reciproche domande di addebito, non possono ritenersi provate. È opportuno rilevare che, con riguardo alle asserzioni del resistente, non vi è prova delle condotte della ricorrente; i mezzi di prova articolati dal resistente vertevano, infatti, come già rappresentato nell'ordinanza resa in data 18/07/2016, qui da intendersi integralmente richiamata e trascritta, su circostanze generiche, valutative ed irrilevanti, ed in quanto tali non ammissibili. La reiterazione delle richieste istruttorie da parte del difensore del P. sino alla conclusione del presente giudizio rende necessario a questo Collegio ribadire l'inammissibilità dei suddetti mezzi istruttori, a causa della genericità delle richieste, formulate in modo non contestualizzato sotto il profilo temporale e spaziale. Di contro non è possibile ritenere provata neanche la violazione del dovere di fedeltà del P., lamentata dalla I.. La presunta relazione extraconiugale del resistente, infatti, è esclusivamente oggetto, nel ricorso introduttivo, delle generiche asserzioni della I., che non ha provveduto ad individuare le donne con cui il P. avrebbe iniziato tali relazioni né le occasioni nelle quali tale relazione sarebbe stata scoperta dalla ricorrente. Le dichiarazioni testimoniali rese dalla sorella e dal padre della ricorrente, nel presente giudizio, si limitano a confermare tali circostanze esclusivamente sulla base di informazioni conosciute de relato, ossia sulla base di confidenze raccontate dalla I. ai propri familiari. Non si può, pertanto, ritenere provata la violazione del dovere di fedeltà coniugale da parte del P., posta a sostegno della domanda di addebito formulata dalla ricorrente. La ricorrente ha, inoltre, richiesto la pronuncia della separazione con addebito a carico del resistente per le sue condotte violente. Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, la violenza fisica o psichica è sempre causa di addebito e non può essere mai giustificata "venendo in considerazione violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse, e da esonerare il giudice del merito, che abbia accertato siffatti comportamenti, dal dovere di comparare con essi, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze. Infatti tali gravi condotte lesive, traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere" (Cass., 19 febbraio 2018, Cass. n. 7388 del 2017, Cass. n. 433/2016, Cass. 7 aprile 2005, n. 7321; Cass., 14 aprile 2011, n. 8548, n. 817 del 2011). Nel caso di specie, però, è opportuno precisare che manca la prova dell'addebitabilità delle condotte violente in capo al P.. Le dichiarazioni testimoniali rese da I.T., sorella della ricorrente, e I.G., padre della ricorrente, all'udienza del 5 maggio 2017, non consentono di provare l'effettiva commissione di tali condotte da parte del resistente. I.T., infatti, ha dichiarato di aver appreso delle violenze subite dalla sorella telefonicamente; il padre della ricorrente, nel corso della medesima udienza, ha affermato di aver appreso de relato dei fatti di causa. Risulta, dunque, evidente che nessuno dei testimoni era presente ed ha effettivamente assistito alle asserite violenze, dichiarate dalla ricorrente. Non è, pertanto, possibile porre a sostegno della domanda di addebito le dichiarazioni testimoniali rese de relato e che non forniscono la prova del nesso causale tra le asserite condotte e la crisi che verosimilmente era già in atto. Non è sufficiente ad imputare la commissione di violenze al P. neanche il referto medico del Pronto Soccorso dell'Ospedale Massarelli di Lucera del 7.12.2014, il quale si limita ad attestare che la donna ha riferito di essere stata aggredita verbalmente e con percosse da persona da lei riconosciuta. Seppur si volesse considerare provato l'episodio di violenza descritto, ritenendo il referto medico un elemento indiziante, si deve evidenziare che un episodio di violenza, per quanto riprovevole, non è di per sé sufficiente a sostenere l'addebitabilità della separazione, in quanto non prova che sia stato la causa della crisi coniugale. Si può, al contrario, ritenere che l'episodio di violenza possa essere l'epilogo di una crisi coniugale già in atto, derivante piuttosto dalla mancanza di fiducia e dalla reciproca gelosia dei coniugi. Pertanto, alla luce dell'istruttoria, il Collegio rigetta le domande di addebito della separazione formulate dalle parti. Sull'affido dei minori, sul collocamento e sul diritto di visita Resta da statuire in ordine all'affidamento e al collocamento della figlia minore L., essendo diventate maggiorenni in corso di causa le altre due figlie della coppia, F.A. e P.P.. L'affidamento ad entrambi i genitori, previsto come regola dall'art. 337 ter c.p.c., comporta l'esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi e una condivisione delle decisioni di maggiore importanza, secondo lo schema del comune accordo, oltre che dei compiti di cura. Secondo l'art. 337 quater c.c. il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del figlio minore; inoltre, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, l'affidamento esclusivo può essere disposto quando quello condiviso risulterebbe oggettivamente pregiudizievole per il minore o quando risulta che un genitore è manifestamente incapace o non idoneo ad assumere il compito di curare ed educare il minore (Cass. n. 18867/2011). La Suprema Corte, inoltre, ha statuito che l'affidamento esclusivo dei figli ad uno dei genitori deve considerarsi come un'eccezione alla regola dell'affidamento condiviso, da applicarsi rigidamente soltanto nelle ipotesi in cui esista una situazione di gravità tale da rendere detto affidamento condiviso contrario all'interesse dei figli, valutandosi tale contrarietà esclusivamente in relazione al rapporto genitore-figlio e quindi con riferimento a carenze comportamentali di uno dei due genitori, di gravità tale da sconsigliare l'affidamento al medesimo per la sua incapacità di contribuire alla realizzazione di un tranquillo ambiente familiare (Cass. 17 dicembre 2009, n. 26587; Cass. 18 giugno 2008, n. 16593). Nel caso di specie, il Tribunale ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi dalla regola legale ex art. 337 ter c.c. dell'affidamento condiviso della prole ad entrambi i genitori, atteso che nel corso del giudizio non sono emersi profili di concreta e grave inidoneità genitoriale, tali da ritenere consigliabile il diverso regime dell'affidamento esclusivo. Pertanto, con riguardo alla figlia L., questo Collegio ritiene di dover confermare sul punto l'ordinanza presidenziale che aveva già previsto il regime dell'affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori. Con riguardo al collocamento della minore, sebbene il resistente abbia inizialmente richiesto il collocamento prevalente presso lo stesso, si è giunti in corso di causa a un accordo tra le parti. Pertanto, rilevato il consenso delle parti e tenuto conto del principio del best interest del minore che deve guidare il Tribunale nelle decisioni da adottare in ordine alla prole, si ritiene opportuno mantenere inalterato il collocamento della figlia minore presso la madre, con cui ha sempre vissuto dopo la separazione di fatto dei coniugi. Con riguardo all'esercizio del diritto di visita paterno, vista l'età di L. (17 anni), che lascia presumere la sua piena capacità di autodeterminarsi e di decidere quando, dove e con quale frequenza incontrare il padre, ritiene il Tribunale che nulla debba essere disposto in ordine alla regolamentazione del regime delle visite padre-figlia, demandando al libero apprezzamento degli stessi la decisione in merito ai loro incontri. Sull'assegnazione della casa familiare Quanto alla domanda di assegnazione della casa familiare formulata dalla ricorrente, occorre rilevare che il provvedimento di assegnazione è funzionale a garantire esclusivamente l'interesse della prole alla permanenza nell'originario ambiente domestico (vedi Cass. civ. 21334/13, 18440/13, 22394/08,11035/07, 1545/06). Ebbene, nel caso che ci occupa, la ricorrente convive con la figlia minorenne nella casa coniugale, che pertanto, rimane assegnata alla I., come già statuito dall'O.P. del 16 novembre 2015. Sul mantenimento in favore della ricorrente Per quanto concerne la richiesta di mantenimento in favore della moglie, deve preliminarmente osservarsi che, in sede di separazione, ai sensi dell'art. 156 c.c., questo spetta al coniuge che non è in grado, con i propri redditi, di mantenere un tenore di vita analogo a quello offerto dalle potenzialità economiche di entrambi, da individuarsi con riferimento allo standard di vita familiare reso oggettivamente possibile dal complesso delle loro risorse economiche, in termini di redditività, capacità di spesa, garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Segnatamente, il coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, ha il diritto di ricevere dall'altro coniuge un assegno di mantenimento, qualora non abbia redditi propri adeguati a consentirgli di mantenere un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello che le potenzialità economiche complessive dei coniugi erano idonee a garantirgli prima della separazione. La Corte di legittimità ha inoltre chiarito che, al fine della determinazione del "quantum" dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass., 10 febbraio 2022, n. 4327; 10 maggio 2017 n.11504; 16 maggio 2017, n. 12196; 22 febbraio 2008, n. 4540; Cass., 7 dicembre 2007, n. 25618; Cass., 12 giugno 2006, n. 13592; Cass., 19 marzo 2002, n. 3974). Orbene, nel caso di specie risulta che la ricorrente svolga e abbia da sempre svolto l'attività di casalinga, limitandosi ad aiutare il marito nella macelleria di famiglia, senza però percepire alcun reddito. Nel 2014 la ricorrente ha presentato una dichiarazione sostitutiva di certificazione della situazione reddituale ed economica, attestante che la stessa è priva di redditi. Il resistente ha depositato in atti la dichiarazione dei redditi del 2015 relativa alla I., attestante un reddito complessivo annuo pari ad Euro 5.187,00. L'unica entrata della I. è rappresentata, infatti, da un canone di locazione mensile di Euro 350,00, relativo ad un immobile di cui è proprietaria. Il resistente ha dichiarato, in sede di udienza presidenziale del 16.11.2015, di essere disoccupato; era titolare di una macelleria, ma ha cessato tale attività nel settembre 2013, cedendo l'attività in gestione a terzi. Il P., dunque, percepisce esclusivamente un canone di locazione del locale commerciale, pari a Euro 800,00 mensili. Come si evince dalla documentazione fiscale in atti, il P. dispone di un reddito complessivo lordo pari a circa Euro 12.477,00 (Cfr. Dichiarazione dei redditi 2013, 2014 e 2015 in atti). In considerazione della disparità economica esistente tra i coniugi e rilevato che in fase di separazione dei coniugi non vi è una definitiva rescissione del vincolo coniugale e, dunque, dei rapporti economici tra gli stessi, questo Collegio ritiene necessario confermare l'obbligo in capo al P. di provvedere al sostentamento della ricorrente, confermando il versamento alla stessa della somma di Euro 100,00 mensili. Dunque, il Tribunale ritiene equo confermare l'obbligo del P. di contribuire al mantenimento della ricorrente, versando alla I. la somma mensile di Euro 100,00, entro e non il giorno 5 di ogni mese, da rivalutarsi annualmente in base alla variazione dell'indice del costo della vita accertata all'ISTAT. Sul mantenimento in favore delle figlie Per quanto concerne la richiesta di mantenimento in favore delle figlie della coppia, va osservato, che ai sensi dell'art. 316 bis c.c. grava su entrambi i genitori, in proporzione delle proprie disponibilità economiche, l'obbligo di contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei figli. Sebbene la ricorrente non abbia formulato richiesta di mantenimento in favore delle figlie, il resistente ha dichiarato di essere disposto a provvedere al mantenimento delle stesse, in proporzione alle proprie capacità, fino al raggiungimento della maggiore età. Con l'ordinanza presidenziale è stato posto a carico del resistente l'obbligo di provvedere al mantenimento delle tre figlie, versando alla ricorrente la somma mensile complessiva di Euro 600,00 (Euro 200,00 cadauno). Le due figlie più grandi della coppia, F.A., nata il (...), e P.P., nata il (...), sono ormai maggiorenni. Ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, il quale non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni (vedi Cass. civ. 18076/14, 5088/18). D'altro canto, esiste un dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione (cfr. Cass. 2014 n. 18076; Cass. SS.UU. n. 2014/n. 20448); oltre questi limiti di tempo e di misura la pretesa del figlio si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani (cfr. Tribunale di Milano, 29 marzo 2016). La Cassazione ha precisato che occorre presumere l'autosufficienza nel maggiorenne, salvo che questi fornisca prova contraria, ovvero provi di aver intrapreso un percorso di studi da portare a termine ovvero che dia prova concreta di aver cercato opportunità lavorative che, in mancanza di una specifica professionalità, devono essere ricercate in settori di diverso genere e tipo. Sul punto si richiama Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020 n. 17183: "l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile impegno la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro" ed anche Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2020 n. 29779 con cui si è statuito che: "Il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni". I predetti orientamenti sono confortati altresì dalla giurisprudenza europea della CGUE. Con maggior impegno esplicativo, l'autoresponsabilità del figlio maggiorenne impone a quest'ultimo di svolgere qualsiasi tipo di attività lavorativa ove non più impegnato in corsi di studi a tempo pieno soprattutto ove la raggiunta età sia tale da non far ritenere possibile che lo stesso non provveda ad automantenersi. Orbene, nel caso di specie, rilevato che l'onere probatorio ricade in capo allo stesso figlio maggiorenne o al genitore che ne richiede il mantenimento, nulla è stato dedotto dalla ricorrente in ordine all'eventuale mancanza di indipendenza economica delle figlie maggiorenni, specie della prima figlia, o in ordine al loro impegno eventualmente profuso nel percorso di studi o nella ricerca di lavoro. Pertanto, alla luce di tali considerazioni, questo Collegio ritiene di non dover porre a carico del resistente alcun assegno di mantenimento in favore della prima figlia ormai 26enne lie F.A.. Con riguardo, invece, alle figlie P.P., da poco maggiorenne, e L., ancora minorenne e collocata presso la madre, è pacifico che il P. sia tenuto a contribuire al loro mantenimento. Ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento in favore della minore, si deve tener conto della situazione reddituale delle parti, già sopra analizzata. Pertanto, questo Tribunale ritiene necessario porre a carico del resistente l'obbligo di provvedere al mantenimento delle predette figlie, mediante il versamento alla ricorrente della somma mensile di Euro 200,00 ciascuna, entro e non oltre il giorno 5 di ogni mese, da rivalutarsi annualmente in base alla variazione dell'indice del costo della vita accertata all'ISTAT, e concorrendo, inoltre, nella misura del 50%, alle spese straordinarie da sostenere nell'interesse delle predette figlie, così come individuate nel protocollo del 18.3.2016, intercorso tra il Tribunale di Foggia ed il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Foggia. Sulle spese processuali. Stante la reciproca soccombenza con riguardo alle domande di addebito e all'ammontare dell'obbligo di mantenimento in favore della ricorrente, le spese del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe indicata, con l'intervento del P.M., ogni contraria o diversa istanza o deduzione disattesa, così provvede: a. dichiara la separazione personale dei coniugi, I.G., nata a L. il (...) e P.F., nato a L. il (...), sposatisi il (...) in L. (atto n. (...), parte 2, serie A, anno 1996); b. manda al Cancelliere ed all'Ufficiale dello stato civile gli adempimenti di rispettiva competenza; c. rigetta la domanda di addebito formulata dalla ricorrente; d. rigetta la domanda di addebito formulata dal resistente; e. dispone l'affido condiviso della figlia minore L., con collocamento stabile presso la madre; f. assegna la casa coniugale alla ricorrente, affinché continui ad abitarla con la figlia minore; g. pone a carico di P.F. l'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento in favore di I.G., versando alla stessa, entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 100,00 Euro mensili, con rivalutazione annuale secondo gli indici Istat. h. Rigetta la domanda di mantenimento in favore della figlia F.A.; i. Pone, invece, a carico di P.F. l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento in favore delle figlie P.P. e L., versando a I.G., entro il giorno 5 di ogni mese, la somma di 400,00 (200,00 per ciascuna) Euro mensili, da aggiornarsi annualmente mediante rivalutazione secondo gli indici Istat, e mediante la partecipazione, nella misura del 50%, alle spese straordinarie da sostenere nell'interesse delle predette figlie, così come individuate nel protocollo del 18/03/2016 intercorso tra il Tribunale di ed il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Foggia; j. compensa integralmente tra le parti le spese di lite; Conclusione Così deciso in Foggia, in data 10 gennaio 2023 in Camera di consiglio. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Foggia-Sezione Lavoro, in persona del Giudice designato, dott.ssa Valentina di Leo, all'udienza del 5/1/2023, tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 ter c.p.c., ha pronunciato, mediante deposito telematico contestuale della stessa, la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4814 - 2022 R. G. Aff. Cont. Lavoro e vertente TRA (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Ca. -RICORRENTE E MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso, ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c., dal Dirigente dell'Ufficio V di Foggia, dott.ssa Ma.Ep. -RESISTENTE avente ad oggetto: retribuzione professionale docenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato in data 17.6.2022, la ricorrente in epigrafe indicata - premesso di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione in qualità di docente con plurimi contratti a tempo determinato (allegati al ricorso) - adiva l'intestato Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, esponendo di non aver percepito, per le supplenze brevi e saltuarie espletate nei periodi di cui ai predetti contratti di lavoro, la retribuzione professionale docenti, quale prevista dal C.C.N.L. comparto scuola del 15.03.2001. Richiamata, pertanto, la clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio Europeo 28 giugno 1999, 1999/770/CE, la predetta parte rassegnava le seguenti conclusioni: "1. accertare e dichiarare il diritto della ricorrente a percepire la Retribuzione Professionale Docenti per gli incarichi di supplenza di cui al punto 2) della narrativa che precede, da calcolarsi aritmeticamente secondo le tabelle stipendiali annesse ai contratti nazionali Scuola, con l'esclusione di eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro non retribuiti, oltre interessi legali dal giorno della maturazione del diritto al saldo e l'indennità per la rivalutazione monetaria, fatto salvo il divieto di cumulo ex L. n. 724 del 1994; 2. per l'effetto, condannare il Ministero dell'Istruzione nonché l'Ufficio Scolastico Regionale, ciascuno per le proprie determinazioni, a corrispondere in favore della ricorrente le differenze retributive a titolo di Retribuzione Professionale Docenti per i periodi di supplenza temporanea suindicati, determinate in base alle tabelle stipendiali annesse ai contratti nazionali Scuola, con l'esclusione di eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro non retribuiti; 3. con vittoria di spese di lite da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore". Il Ministero convenuto, ritualmente costituitosi, non si opponeva all'accoglimento della domanda. Istruita documentalmente, all'odierna udienza - tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 127 ter c.p.c., - la causa è stata decisa mediante pronuncia della presente sentenza contestuale depositata telematicamente all'esito della camera di consiglio, previa acquisizione di brevi note di trattazione scritta. 2. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito esposte. 2.1. Invero, è pacifico - oltre che documentalmente provato (si vedano i contratti di lavoro a tempo determinato e le buste paga versate in atti, docc. 1-3, fascicolo di parte ricorrente) - che la ricorrente abbia prestato attività lavorativa in qualità di docente in virtù di supplenze brevi e saltuarie per i periodi risultanti dalla documentazione prodotta dalla ricorrente medesima. 2.2. Ciò posto, la ricorrente si duole, in questa sede, di non aver percepito la retribuzione professionale docenti prevista dal C.C.N.L. comparto scuola del 15.03.2001 (doc. 5). Così delineati i termini della controversia, si osserva che, in senso favorevole alla tesi propugnata in ricorso, si è pronunciata la più recente giurisprudenza, sia di legittimità (v. Cass. Sez. Lav. del 27.7.2018, n. 20015; Cass. Sez. Lav. n. 33140/2019 e n. 34546/2019), che di merito (v. ex plurimis, Trib. Torino 08/07/2019, n.1169; Trib. Milano n. 1634 del 28.09.2019; cfr., altresì, Trib. Foggia-Sez. Lavoro, 2.10.2020, pronunciata nel procedimento n. 12680/2019, Giudice est., dott.ssa (...), Trib. Foggia-Sez. Lavoro, Sentenza n. 3818/2021 pubbl. il 28/10/2021, Giudice est. dott.ssa (...), Trib. Foggia-Sez. Lavoro, Sentenza n. 561/2022 pubbl. il 10/02/2022 Giudice est. dott. (...)), con argomentazioni condivise dal Tribunale e di seguito riprodotte, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.. "L'art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto della scuola ha istituito la Retribuzione Professionale Docenti, prevedendo, al comma 1, che "con l'obiettivo della valorizzazione professionale della funzione docente per la realizzazione dei processi innovatori, che investono strutture e contenuti didattici delle scuole di ogni ordine e grado, nonché di avviare un riconoscimento del ruolo determinante dei docenti per sostenere il miglioramento del servizio scolastico sono attribuiti al personale docente ed educativo compensi accessori articolati in tre fasce retributive" ed aggiungendo, al comma 3, che "la retribuzione professionale docenti, analogamente a quanto avviene per il compenso individuale accessorio, è corrisposta per dodici mensilità con le modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999..."; 2.1. quest'ultima disposizione, dopo avere individuato i destinatari del compenso accessorio negli assunti a tempo indeterminato e nel personale con rapporto di impiego a tempo determinato utilizzato su posto vacante e disponibile per l'intera durata dell'anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nei commi successivi disciplinava le modalità di calcolo e di corresponsione del compenso, stabilendo che lo stesso dovesse essere corrisposto "in ragione di tante mensilità per quanti sono i mesi di servizio effettivamente prestato o situazioni di stato assimilate al servizio" e precisando, poi, che "per i periodi di servizio o situazioni di stato assimilate al servizio inferiori al mese detto compenso è liquidato al personale in ragione di 1/30 per ciascun giorno di servizio prestato o situazioni di stato assimilate al servizio"; 3. dal complesso delle disposizioni richiamate, sulle quali non ha inciso la contrattazione successiva che ha solo modificato l'entità della RPD, includendola anche nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto (art. 81 del CCNL 24.7.2003, art. 83 del CCNL 29.11.2007), emerge che l'emolumento ha natura fissa e continuativa e non è collegato a particolari modalità di svolgimento della prestazione del personale docente ed educativo (cfr. fra le tante Cass. n. 17773/2017); 4. non vi è dubbio, pertanto, che lo stesso rientri nelle "condizioni di impiego" che, ai sensi della clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad assicurare agli assunti a tempo determinato i quali "non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive"; 5. la clausola 4 dell'Accordo quadro, alla luce della quale questa Corte ha già risolto questioni interpretative dei CCNL del settore pubblico in generale e del comparto scuola in particolare (Cass. 7.11.2016 n. 22558 sulla spettanza delle progressioni stipendiali agli assunti a tempo determinato del comparto scuola; Cass. 26.11.2015 n. 24173 e Cass. 11.1.2016 n. 196 sulla interpretazione del CCNL comparto enti pubblici non economici quanto al compenso incentivante; Cass. 17.2.2011 n. 3871 in tema di permessi retribuiti anche agli assunti a tempo determinato del comparto ministeri), è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio; 5.1. in particolare la Corte ha evidenziato che: a) la clausola 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C307/05, (...); 8.9.2011, causa C-177/10 (...)); b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell'art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), "non può impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l'applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione" ((...), cit., punto 42); c) non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (R.D., cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, B.); 5.2. l'interpretazione delle norme Eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale, che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa perché a tali sentenze, siano esse pregiudiziali o emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito dell'Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8.2.2016 n. 2468); 6. nel caso di specie la Corte territoriale, pur escludendo, erroneamente, la rilevanza del principio di non discriminazione fra assunti a tempo determinato e indeterminato, ha comunque evidenziato, in motivazione, "che il supplente temporaneo, in quanto assunto per ragioni sostitutive, rende una prestazione equivalente a quella del lavoratore sostituito" ed ha disatteso la tesi del Ministero secondo cui la durata temporalmente limitata dell'incarico sarebbe incompatibile con la percezione della RPD; 7. una volta escluse, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, significative diversificazioni nell'attività propria di tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico, rispetto a quella del personale stabilmente inserito negli organici, il principio di non discriminazione, sancito dalla richiamata clausola 4 e recepito dal D.Lgs. n. 368 del 2001 art. 6, deve guidare nell'interpretazione delle clausole contrattuali che vengono in rilievo, nel senso che, come accade per l'esegesi costituzionalmente orientata, fra più opzioni astrattamente possibili deve essere preferita quella che armonizza la disciplina contrattuale con i principi inderogabili del diritto Eurounitario; 8. si deve, pertanto, ritenere, come evidenziato dalla Corte territoriale sia pure sulla base di un diverso percorso argomentativo, che le parti collettive nell'attribuire il compenso accessorio "al personale docente ed educativo", senza differenziazione alcuna, abbiano voluto ricomprendere nella previsione anche tutti gli assunti a tempo determinato, a prescindere dalle diverse tipologie di incarico previste dalla L. n. 124 del 1999, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 dell'art. 7 del CCNL 15.3.2001, alle "modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999" deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento accessorio, e non si estende all'individuazione delle categorie di personale richiamate dal contratto integrativo; 9. una diversa interpretazione finirebbe per porre la disciplina contrattuale in contrasto con la richiamata clausola 4 tanto più che la tesi del Ministero, secondo cui la RPD è incompatibile con prestazioni di durata temporalmente limitata, contrasta con il chiaro tenore della disposizione che stabilisce le modalità di calcolo nell'ipotesi di "periodi di servizio inferiori al mese"; 10. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato perché il dispositivo della sentenza, la cui motivazione va parzialmente corretta ex art. 384 c.p.c., comma 4, è conforme al principio di diritto che di seguito si enuncia: "l'art. 7 del CCNL 15.3.2001 per il personale del comparto scuola, interpretato alla luce del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, attribuisce al comma 1 la Retribuzione Professionale Docenti a tutto il personale docente ed educativo, senza operare differenziazioni fra assunti a tempo indeterminato e determinato e fra le diverse tipologie di supplenze, sicché il successivo richiamo, contenuto nel comma 3 alle "modalità stabilite dall'art. 25 del CCNI del 31.8.1999" deve intendersi limitato ai soli criteri di quantificazione e di corresponsione del trattamento accessorio". 2.3. Ritenendosi i predetti principi applicabili al caso concreto, la pretesa avanzata in ricorso va accolta. D'altra parte, parte resistente non ha contestato l'attività di supplenza dedotta dalla parte ricorrente, limitandosi a richiedere, in caso di accoglimento della domanda, il riconoscimento dell'emolumento in misura proporzionata al servizio svolto. Ne deriva, pertanto, il riconoscimento del diritto della parte ricorrente a percepire la retribuzione professionale docenti per i periodi risultanti dalla documentazione prodotta e per il numero di ore effettivamente prestato, con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento in favore della parte ricorrente della relativa somma spettante con riguardo alle effettive ore di lavoro prestate. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022, tenuto conto della bassa complessità della causa e del valore della stessa, così come calcolabile mediante gli importi indicati dai contratti collettivi in atti (scaglione compreso tra Euro 1.100,01 ed Euro 5.200,00). P.Q.M. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Foggia, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 4814/2022 R.G.L., disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, così provvede: a) dichiara il diritto di parte ricorrente a percepire la retribuzione professionale docenti in relazione alle effettive ore di lavoro prestate per i periodi indicati in ricorso/risultanti dalla documentazione prodotta; b) condanna, per l'effetto, il Ministero dell'Istruzione al pagamento, in favore della ricorrente, della relativa somma spettante, oltre interessi legali dalle scadenze al soddisfo; c) condanna il Ministero resistente alla refusione delle spese di lite, liquidate in Euro 1.030,00, oltre i.v.a., c.p.a. e rimborso forfettario per spese generali, come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario di parte ricorrente. Così deciso in Foggia il 5 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FOGGIA SEZIONE LAVORO in persona della giudice, dott.ssa Valentina di Leo, all'udienza del 04.01.2023, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, co. 1 c.p.c., nella causa civile iscritta al n. 7461/2019 del Ruolo Generale Lavoro, vertente TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ar.Sa. e Sa.Te. RICORRENTE E ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l'Avvocatura dell'Istituto (avvocati Marta Odorizzi e Domenico Longo) RESISTENTE OGGETTO: mancata iscrizione negli/cancellazione dagli elenchi nominativi degli braccianti agricoli RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 12.7.2019, il ricorrente in epigrafe indicata, premesso di aver lavorato nel 2017, in qualità di bracciante agricola, per 70 giornate, di cui 10 alle dipendenze dell'azienda agricola "(...) S.r.l." e 70 alle dipendenze dell'azienda agricola "(...)", ha censurato l'operato dell'INPS laddove ha cancellato tali giornate dagli elenchi OTD con il quarto elenco nominativo trimestrale 2018 del Comune di residenza. Il ricorrente ha rappresentato di aver proposto invano il ricorso amministrativo e ha chiesto al giudice adito: di accertare il rapporto di lavoro alle dipendenze delle predette aziende agricole, nonché il conseguente diritto alla reiscrizione per l'originario (e maggiore) numero di giornate, con condanna dell'INPS al connesso adeguamento della posizione assicurativa e previdenziale e alla refusione delle spese di lite, da distrarsi. Si è tempestivamente costituito l'INPS, deducendo l'infondatezza delle avverse pretese ed invocandone il rigetto. In particolare, l'INPS ha evidenziato la legittimità del proprio operato sulla base dei verbali ispettivi depositati. Acquisita la documentazione originariamente prodotta dalle parti, nonché quella depositata dall'INPS a seguito di provvedimento ex art. 421 c.p.c., la causa è pervenuta all'odierna udienza per l'espletamento della prova testimoniale chiesta dalla parte ricorrente. Senonché, parte ricorrente non è comparsa all'udienza e non ha dato prova di aver regolarmente intimato i testi ammessi e l'INPS ha eccepito la decadenza dalla prova testimoniale (v. verbale di causa). Quindi, la causa è stata discussa oralmente dal solo procuratore dell'INPS e, sulle conclusioni dallo stesso rassegnate, trascritte nel verbale di udienza che precede, all'esito della camera di consiglio, è stata decisa con la presente sentenza resa nelle forme di cui all'art. 429, co. 1 c.p.c. - assenti i procuratori delle parti - e depositata telematicamente. 1. Si osserva, in primo luogo, che il ricorso giudiziario è stato depositato nel rispetto del termine ex art. 22 D.L. n. 7 del 1970, conv. con mod. nella L. n. 83 del 1970. Pertanto, infondata è l'eccezione di decadenza laddove sollevata dall'INPS. 2. Del pari infondate sono le doglianze del ricorrente, relative all'asserita inesistenza del provvedimento formale di disconoscimento e alla violazione delle regole sul procedimento amministrativo. Ed invero, per un verso, all'epoca in cui fu disposta la cancellazione per cui è causa, nessuna norma di legge prevedeva che i lavoratori interessati fossero destinatari di provvedimenti espressi di disconoscimento, essendo, al contrario, previsto lo speciale meccanismo della pubblicazione telematica degli elenchi trimestrali di variazione. Per altro verso, il procedimento di iscrizione/cancellazione dei braccianti agricoli negli elenchi (oggi telematici) non soggiace alle regole di cui alla L. n. 241 del 1990, trattandosi di procedimento speciale con regole proprie. Ex multis, (...) App. Bari, sezione Lavoro, sent. n. 1111/2018: "In questa materia, stante la sua innegabile specialità, correlata alle peculiari esigenze di celerità della procedura di accertamento dei lavoratori agricoli, non opera la regola prescritta, in via generale, dal L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4 (che prevede il dovere dell'amministrazione di indicare, in ogni atto amministrativo notificato al destinatario, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere), non essendo l'imposizione di un obbligo siffatto compatibile con una disciplina legale dei ricorsi amministrativi (addirittura successiva alla L. n. 241 del 1990) che ne ammette la decisione nella forma di provvedimenti taciti e automatici (rispetto ai quali sarebbe inconcepibile un indicazione dei termini da osservare per l'esercizio, in sede giudiziaria, del diritto invocato). Inoltre deve escludersi che, in materia di accertamento delle giornate di lavoro nel settore agricolo, oggetto di una regolamentazione in tutto diversa e speciale rispetto a quella relativa alle domande delle prestazioni previdenziali facenti carico all'INPS, possa trovare applicazione il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e, con esso, la prescrizione di cui al comma 5, che impone all'Istituto previdenziale l'onere di indicare ai richiedenti le prestazioni i gravami amministrativi che possono essere proposti, a quali organi devono essere presentati e entro quali termini, nonché di precisare i presupposti e i termini per l'esperimento dell'azione giudiziaria. Senza dire che, con la recente sentenza n. 12718 del 2009, le Sezioni unite della Suprema Corte hanno affermato che l'inosservanza, da parte dell'Istituto previdenziale, del detto comma 5 costituisce una mera irregolarità e non è, comunque, di ostacolo al decorso del termine di decadenza (anch'esso di carattere sostanziale) previsto dallo stesso art. 47 per l'esercizio dell'azione giudiziaria (Cass. 17228/2010). Ancora (v. Cass. n. 20604/2014), la natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all'accertamento, alla liquidazione e all'adempimento della prestazione in favore dell'assicurato comporta che l'inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole proprie del procedimento, nonché, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiega incidenza sul correlato rapporto obbligatorio. Ne consegue che l'assicurato non può, in difetto dei fatti costitutivi dell'obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale in ragione di disfunzioni procedimentali addebitabili all'Istituto, salva, in tal caso, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno, qui, comunque, non reclamato". Sulla natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all'accertamento, alla liquidazione e all'adempimento della prestazione pensionistica in favore dell'assicurato e sulla conseguente mancata incidenza sul correlato rapporto obbligatorio di eventuali inosservanze, da parte del competente Istituto Previdenziale, delle regole proprie del procedimento, nonché, più in generale, delle prescrizioni di cui alla L. n. 241 del 1990, si veda anche Cass. Civ., Sez. Lav., ordinanza n. 19140/2020. 3. Nel merito, le domanda attoree sono infondate. Ed invero, sul tema dell'onere assertivo e probatorio circa l'effettiva prestazione delle giornate di lavoro, cui la legge collega il requisito contributivo necessario agli operai agricoli a tempo determinato per fruire delle prestazioni previdenziali, la giurisprudenza, pure di legittimità, ha sperimentato in passato interpretazioni tra loro difficilmente conciliabili, sino a quando le Sezioni Unite della Suprema Corte, al fine di comporre il contrasto esistente fra le tesi suddette, sono intervenute nel dibattito e hanno congruamente statuito: 1) che il lavoratore agricolo, il quale agisca in giudizio per ottenere prestazioni previdenziali, ha l'onere di provare, mediante l'esibizione di un documento che accerti l'iscrizione negli elenchi nominativi o il possesso del certificato sostitutivo (ed eventualmente, in aggiunta, mediante altri mezzi istruttori), gli elementi essenziali della complessa fattispecie dedotta in giudizio (costituita dallo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a ti-tolo oneroso per un numero minimo di giornate in ciascun anno di riferimento); 2) che soltanto a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall'ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, il giudice del merito non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell'esistenza dell'iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa (v. Cass. sez. un. 26 ottobre 2000, n. 1133). È ormai acquisito che, nel caso di dubbi circa l'effettività del rapporto di lavoro o del suo carattere subordinato, il giudice non può risolvere la controversia in base al semplice riscontro dell'iscrizione, che resta pur sempre soltanto un meccanismo di agevolazione probatoria, ma deve pervenire alla decisione valutando liberamente e prudentemente la rispondenza dell'iscrizione stessa a dati obiettivi, al pari di tutti gli elementi probatori acquisiti alla causa (Cass. 2.8.2012, n. 13877). A maggior ragione l'onere assertivo e probatorio grava sul lavoratore nei casi di iscrizione negata negli elenchi nominativi, ovvero di cancellazione disposta dopo una iniziale iscrizione. Come affermato dalla Suprema Corte (si vedano Cass. 11.2.2016, n. 2739 e Cass. 26.7.2017, n. 18605), "L'iscrizione di un lavoratore nell'elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l'I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca l'esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l'onere di provare l'esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all'iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio". Ora, nel caso di specie, si osserva che l'INPS ha depositato il verbale ispettivo redatto in data 18.1.2019, riferito al periodo 01/07/2014 al 31/12/2017 (e, quindi, alle annualità dedotte nel presente giudizio), relativo all'azienda "(...) s.r.l.". Da tale verbale, il cui contenuto è stato richiamato nella memoria di costituzione, risulta che: 1) La (...) srl costituita in data 3 luglio 2014 e iscritta alla CCIAA per l'esercizio dell'attività di commercio all'ingrosso di frutta e ortaggi freschi, risulta composta da due soci: (...) con il 20% di quote e (...), con l'80%. 2) La società operava come azienda "senza terra" ovvero azienda che non si occupa della conduzione e della coltivazione dei fondi agricoli, ma del commercio all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli, in prevalenza acquistati sulla pianta per la cui raccolta o fasi di lavorazione si avvale, come le altre imprese agricole vere e proprie, di operai inquadrabili nel regime della previdenza agricola. 3) Nel periodo oggetto dell'accertamento, da luglio 2014 a dicembre 2017, emergeva dalla consultazione delle banche dati dell'Inps che erano state denunciate consistenti numeri di giornate lavorative comportanti una retribuzione ordinaria di Euro 369.907,00 per il Euro 2014, Euro 572.112,00 per il 2015 ed Euro 589.105 per il 2016; 890.995,00 per il 2017. 4) A fronte delle suddette retribuzioni erogate risultava che la società aveva omesso totalmente il versamento della contribuzione previdenziale ed assistenziale, ammontante complessivamente ad Euro 503.3232,95. 5) Inoltre, a fronte dei suddetti rapporti di lavoro denunciati risultava che l'Inps aveva corrisposto ai soggetti inquadrati come operai a tempo determinato per le prestazioni previdenziali e assistenziali considerevoli importi: per l'anno 2014 Euro 196.506,42 a titolo di indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 37688,68 per indennità di malattia ed Euro. 43.604,75 per indennità di maternità; per l'anno 2016 aveva corrisposto Euro 282.572,85 per indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 72891,86 per malattia e maternità, per l'anno 2017 aveva corrisposto E 423.679,94 per indennità di disoccupazione e ANF ed Euro 33.974,64 per malattia maternità. 6) Dalla consultazione dell'anagrafe tributaria non risultavano presentati i modelli 770 previsti (1 solo nominativo denunciato come dipendente agricolo per l'anno 2014!), mentre ulteriori elementi discordanti emergevano dalle dichiarazioni del modello unico redditi società di capitali e relativi bilanci fiscali. 7) Venivano eseguiti contemporaneamente e contestualmente ulteriori accertamenti a carico delle ditte "(...) di (...)", "(...) srls, '"(...) srl", "(...) srl", e "(...) di (...)", oggetto di separato verbale e tutte riconducibili, di fatto al medesimo soggetto, (...). 8) Anche se formalmente l'attività di vendita di prodotti ortofrutticoli acquistati alla pianta veniva distribuita sulle diverse sopra citate aziende, in realtà si trattava di un'attività imprenditoriale unica, almeno dal punto di vista previdenziale, in quanto si avvaleva di manodopera agricola in maniera indistinta prescindendo da quale specifica azienda era intestataria della fattura di vendita del prodotto raccolto. 9) La conduzione unica delle varie aziende era confermata dallo stesso (...) che in una dichiarazione rilasciata l'11 settembre 2018 riconosceva che gli operai assunti da una sola delle società lavoravano per entrambe in modo indifferente. 10) Ulteriore conferma della promiscuità della conduzione indistinta dell'attività economica delle varie aziende si è avuta nel corso dell'accesso ispettivo effettuato in data 11 luglio 2018 sui fondi agricoli di proprietà di (...), nipote di (...), ceduti in affitto in parte alla ditta (...) Srl e ed in parte alla ditta (...) Srl. 11) Sui suddetti fondi erano stati trovati intenti al lavoro della raccolta di pesche 13 operai agricoli. Di questi, 10 operai erano assunti dalla ditta (...) di (...) sas e 3 operai dalla ditta (...) di (...). 12) Nessuno degli operai quindi è risultato assunto come dipendente della ditta (...) o della (...) srl, uniche titolate ad avere operai al lavoro in quanto acquirenti i frutti alla pianta dei suddetti fondi agricoli. 13) I tredici operai hanno dichiarato di essere dipendenti, di essere stati assunti e di ricevere le direttive e la paga da (...). 14) Non hanno mai nominato né conoscono l'amministratore della (...) Srl, (...) che è risultata essere un prestanome. Benché convocata dagli ispettori, quest'ultima non si è mai presentata. Inoltre, la stessa risultava irreperibile all'anagrafe del Comune di San Ferdinando di Puglia, mentre la convocazione inoltrata presso la sede legale ritornava al mittente con la motivazione di "destinatario sconosciuto". 15) Dalla documentazione esaminata emergeva che la società non aveva disponibilità di magazzini, di capannoni, di macchinari agricoli vari e che dunque avrebbe potuto svolgere solamente l'attività della raccolta frutti e per periodi di tempo molto limitati. 16) Sulla base delle fatture di acquisto esibite, il fabbisogno lavorativo ipotizzabile era fortemente inferiore a quello dichiarato, come analiticamente specificato nella tabella a pagina 8 del verbale ispettivo. 17) Ulteriori anomalie venivano individuate riguardo alle fatture di acquisto e ai prezzi indicati. 18) Sulla base degli accertamenti effettuati emergeva, dunque, che la società (...) Srl avrebbe avuto un fabbisogno lavorativo all'incirca di 1754 giornate nel 2014, 1442 nel 2015, numero 1087 nel 2016 e numero 944 giornate nel 2017, mentre risultavano denunciate rispettivamente n. 6625 giornate4 nel 2014, 9689 giornate per il 2015, n. 9096 giornate per il 2016 e n.13.757 giornate per il 2017. 19) Dalla consultazione della sezione presenze del libro unico del lavoro emergevano ulteriori anomalie: tutte le presenze, tranne rare eccezioni si sviluppavano in modo uniforme ed omogeneo per tutta la durata del rapporto di lavoro, per lo stesso numero di giorni alla settimana, dal lunedì al sabato, senza alcun picco né verso l'alto, come una fase della raccolta di prodotti maturi richiederebbe, né verso il basso, come un periodo di maltempo di non raccolto imporrebbe; 20) A riprova della falsità delle annotazioni sul libro presenze vi è citato accesso ispettivo dell'11 luglio 2018, nel corso del quale gli ispettori hanno riscontrato la presenza lavoro di 13 operai, mentre sul libro unico del lavoro della stessa ditta sono risultati registrati presenti in quella giornata ben 75 lavoratori; 21) Analogamente, nel corso dei sopralluoghi effettuati sui fondi agricoli potenzialmente interessati da lavorazioni ricadenti nel periodo di massimo impiego di manodopera, quello relativo alla raccolta delle pesche in giugno e luglio, e quello relativo alla raccolta dell'uva in settembre, tranne che in due casi, 11 luglio e 13 settembre, hanno tutti avuto un riscontro negativo in quanto non è stata riscontrata la presenza di alcun lavoratore. 22) Nonostante il più che cospicuo numero di lavoratori registrati presenti sui rispettivi LUL, sui terreni potenzialmente interessati da lavorazioni dove sono stati effettuati i sopralluoghi non è stata riscontrata alcuna presenza. 23) Anche gli imprenditori agricoli che avevano stipulato il contratto di cessione alla pianta, riferivano agli ispettori di aver ricevuto il relativo pagamento tramite assegno bancario avendo sempre e solo come controparte il signor (...), di non conoscere e di non aver mai avuto alcun rapporto commerciale con (...). 24) Tutti i produttori ascoltati dai verbalizzanti hanno confermato la circostanza che solo quando hanno ricevuto dal (...) i dati in base ai quali hanno redatto la relativa fattura di vendita si sono resi conto che essi facevano riferimento a ditte e persone a loro completamente sconosciute. 25) Analoga affermazione veniva riscontrata in dichiarazioni rilasciate da commercianti che pur avendo acquistato uva e pesche contrattando esclusivamente con (...), hanno ricevuto fatture ed effettuato il relativo pagamento a favore di ditte formalmente estranei allo stesso. 26) Da informazioni assunte presso la banca dove le ditte riconducibili formalmente a (...) sono intestatarie di un conto corrente si è ricevuta la conferma che il referente dei relativi rapporti bancari è sempre il signor (...). 27) Gli ispettori provvedevano altresì a convocare ed a raccogliere dichiarazioni dei soggetti presenti nelle denunce trimestrali DMAG in qualità di operai agricoli a tempo determinato e dalle suddette dichiarazioni, tutte vaghe, generiche e approssimative, non emergeva alcun dettaglio o particolare che potesse confermare l'effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro. 28) Al contrario, le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori autentici, cioè quelli trovati intenti al lavoro nel corso dei citati eccessi ispettivi, sono risultate concordanti e coerenti tra di loro e con la fattispecie di attività oggetto di accertamento. 29) A conclusione degli accertamenti a carico dell'azienda (...) Srl era emerso che il modesto fabbisogno di manodopera agricola occorrente per soddisfare la residuale attività economica poteva considerarsi ampiamente soddisfatto dal numero dei lavoratori autentici individuati in sede ispettiva e che tale residuale manodopera agricola, per tutti i motivi esposti, era riconducibile unicamente alla (...) di (...) e (...) s.a.s. Pertanto, condivisibilmente gli ispettori hanno annullato tutti i nominativi denunciati all'Inps come braccianti agricoli a tempo determinato dalla ditta "(...) Srl", mentre i rapporti di lavoro denunciati da tale società, riscontrati dai verbalizzanti come genuini, sono stati ascritti alle dipendenze della (...) di (...) s.a.s., quale effettiva utilizzatrice delle prestazioni lavorative. L'INPS ha, altresì, depositato il verbale n. 2018013657/DDL/T01 del 10 dicembre 2018 e relativo al periodo compreso tra il 1 gennaio 2017 ed il 7 dicembre 2018, accertamenti che hanno confermato l'insussistenza e la fittizietà delle prestazioni lavorative denunciate all'INPS dalla ditta "(...)" negli anni 2017 e 2018. In particolare, da tale ultimo verbale emerge, in sintesi, quanto segue. La ditta (...) con sede in O. (F.) Via I. I. N. n.3, risulta iscritta alla C.C.I.A.A. con decorrenza dal 27.8.2016 e data cessazione attività 12.3.2018. La società ha trasmesso in via telematica in data 27.9.2016 il modello (...) ( denuncia aziendale) resa ai sensi del D.Lgs. n. 375 del 1993 in cui dichiarava di condurre in affitto circa 27 ettari di terreni agricoli coltivati interamente a cavolo e cavolfiore per i quali prevedeva un fabbisogno aziendale ipotetico di 300 giornate lavorative annue. Successivamente trasmetteva all'INPS di Foggia i mod. DMAG (dichiarazioni relative alla manodopera occupata) relativi al 2 e 3 trimestre del 2016 con cui dichiarava di aver occupato da luglio 2016 sino alla fine di dicembre n.84 lavoratori per complessive 9.067 giornate lavorative, per l'anno 2017 n.71 lavoratori per complessive 6.918 giornate lavorative. A fronte di tale incredibile dato gli Ispettori verificavano che per 8 soggetti denunciati nel 2017 non erano state inviate le comunicazioni obbligatorie di assunzione, le denunce trimestrali all'INPS erano state tutte trasmesse tardivamente, per la pretesa attività agricola non era stata presentata alcuna dichiarazione fiscale all'Agenzia delle Entrate per gli anni 2016 e 2017, e il Sig. (...) non aveva versato alcunché a titolo di contribuzione sulle retribuzioni imponibili denunciate all'INPS, accumulando un debito contributivo pari ad Euro 100.254,79. Le verifiche iniziavano in data 4.10.2018 presso la stazione dei Carabinieri di Ortanova dove il titolare della società, (...), era convocato. In tale occasione dichiarava che sui terreni coltivati a carciofi e cime di rapa aveva lavorato lui e suo cognato e nessun altro. In tutto l'anno 2017, e sino ad allora, per la coltivazione di tutti i terreni agricoli dallo stesso condotti si era avvalso della collaborazione del cognato (...) e di nessun altro bracciante agricolo. Dichiarava, altresì, che tutta la documentazione fiscale e del lavoro era conservata presso lo studio del ragioniere (...). Inoltre precisava che negli ultimi cinque anni aveva svolto attività solo per la ditta edile (...), all'interno della quale era procuratore e lavoravano lui ed il cognato. Nell'azienda agricola individuale a lui intestata si era sempre avvalso soltanto della manodopera del cognato e di nessun altro, anche perché per gran parte dell'anno i terreni erano coltivati a grano e pertanto era sufficiente di gran lunga la manodopera sua e del cognato. Gli ispettori accertavano altresì che delle 32 assunzioni effettuate nell' anno 2018, 23 risultavano inviate dopo la cessazione dell'attività aziendale. Inoltre lo stesso (...) ignorava totalmente la consistenza della manodopera denunciata come impiegata dalla sua ditta per gli anni 2017 e 2018. Il ragioniere (...), successivamente ascoltato dagli ispettori, riferiva di non essere in possesso di alcuna documentazione relativa agli anni 2017 e 2018. Egli dichiarava che era in grado di esibire e produrre soltanto i contratti di affitto di terreni con i signori (...) e (...). Gli ispettori effettuavano sopralluoghi sui fondi aziendali ubicati in agro di O. e, al fine di acquisire informazioni per verificare la genuinità dei rapporti di lavoro denunciati, provvedevano a convocare tutti i soggetti assunti denunciati dalla ditta negli anni 2017 e 2018. Molti dei soggetti ascoltati hanno fornito una serie di informazioni contraddittorie ed incongruenti dimostrando in alcuni casi persino di ignorare di essere stati occupati alle dipendenze della ditta (...). Per di più, dal contenuto delle dichiarazioni acquisite emerge che nessuno dei soggetti intervistati avesse lavorato ai campi di grano e tantomeno alla raccolta degli ortaggi e dei carciofi. Alcuni dichiaravano di aver raccolto pesche, uva ed olive su terreni ubicati in agro diverso da quello di Ordona. All'esito della complessa e laboriosa ispezione gli ispettori concludevano per la insussistenza di tutti i rapporti di lavoro denunciati nel 2017 e nel 2018 e provvedevano al loro disconoscimento. Sia pure a seguito di ordinanza ex art. 421 c.p.c., l'INPS ha depositato anche le dichiarazioni dei lavoratori ascoltati dagli ispettori dell'INPS nell'ambito di entrambi gli accertamenti ispettivi di cui si è detto. A fronte di tali accurate indagini ispettive, le prove offerte dall'odierna parte ricorrente non appaiono idonee a dimostrare il fatto controverso, ossia l'effettiva prestazione, da parte del lavoratore a tempo determinato, di attività lavorativa di tipo subordinato alle dipendenze della azienda agricola ispezionata per il numero di giornate rivendicato (ovvero quello originariamente risultante dagli elenchi OTD). Quanto alla prova documentale, la stessa non appare idonea, di per sé, a dimostrare l'effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro agricolo. Ed invero, come di recente affermato dalla Corte Territoriale, nelle ipotesi di disconoscimento o di cancellazione dell'accredito assicurativo a seguito e per effetto di una valida e puntuale attività di vigilanza e controllo, i documenti dell'azienda pseudo-datrice - la cui realtà operativa del tutto o gravemente irregolare è stata acclarata in sede ispettiva - e, in particolare, le denunce di manodopera, a ben vedere, non costituiscono un efficace elemento di contrasto probatorio, perché, ove dei rapporti di lavoro non si rinvenisse traccia nemmeno nei documenti formati dal soggetto che si attribuisce la qualità di datore, una simile ipotesi ricostruttiva dovrebbe essere esclusa in radice e ogni discussione sul punto non potrebbe essere nemmeno avviata dagli pseudo-braccianti. In altre parole, poiché le annotazioni aziendali devono riflettere le assunzioni effettive, le stesse annotazioni sono funzionali, anzi indispensabili, a fornire un'apparenza di regolarità nei casi di falsi ingaggi. Ne deriva che non è sulle registrazioni e sulle denunce aziendali concernenti la manodopera che può congruamente fondarsi il convincimento circa l'effettivo svolgimento dell'attività aziendale per il tramite dei lavoratori annotati (si vedano, ex multis, sent. n. 1932/2019, 71/2020; 1234/2021 Corte di Appello di Bari). Queste considerazioni valgono soprattutto nei casi, come quello in esame, in cui al tratto di penna dell'imprenditore non corrisponde il pagamento dei contributi previdenziali. Conseguentemente, l'unico possibile supporto probatorio della domanda attorea avrebbe potuto essere fornito dalla prova testimoniale. Ora, nella fattispecie oggetto di odierno scrutinio, parte ricorrente è stata ammessa a provare con i testimoni le circostanze fattuali dedotte a sostegno della sua domanda; ciononostante, la stessa non è comparsa all'udienza fissata per l'escussione e non ha dato prova di aver intimato i testi, incorrendo per tale ragione nella decadenza dall'assunzione ex artt. 208 c.p.c. e 104 disp. att. c.p.c.. Fondata è, pertanto, l'eccezione di decadenza spiegata in udienza dall'INPS. Pertanto, i fatti dedotti a sostegno della sussistenza del rapporto di lavoro agricolo subordinato sono rimasti privi del necessario riscontro orale, essendo del tutto inadeguata la prova documentale offerta dalla ricorrente alla luce delle pregnanti risultanze del verbale ispettivo prodotto dall'INPS (che si sono riportate). Si segnala, altresì, che anche le dichiarazioni rese dall'odierno ricorrente in sede ispettiva confermano la fittizietà dei rapporti di lavoro dedotti in giudizio. Ed invero, nelle dichiarazioni rese in sede ispettiva dal (...) in data 22.10.2018 e 30.11.2018, lo stesso ha dichiarato che nel 2017 (annualità dedotta in giudizio) avrebbe lavorato solo per (...), non menzionando in alcun modo l'altra società asserita datrice, ovvero (...) S.r.l.". Quanto al rapporto di lavoro asseritamente svolto alle dipendenze della ditta "(...)", nella dichiarazione resa dal (...) in data 30.11.2018, lo stesso, pur avendo confermato tale rapporto di lavoro, ha riferito di non conoscere (...), di aver lavorato solo nei terreni siti in agro di S. F. di P. e in provincia di Bari, di essersi occupato unicamente delle attività di diradamento e raccolta pesche e del taglio di uva da tavola, di essere stato pagato ogni due giorni da un certo Gino e di non saper fornire i nominativi dei compagni di lavoro. Trattasi di dichiarazioni palesemente divergenti dalle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del presente giudizio, nell'ambito del quale il (...) ha dedotto di essere stato adibito alle attività di acinellatura, defogliazione, potatura verde, diramazione, taglio e incassettamento di uva da tavola, che i fondi rustici erano ubicati in agro di (...), di essere stato pagato sempre e solo dal (...), il quale avrebbe fissato quotidianamente le direttive di lavoro. S'impone, quindi, il rigetto della domanda avente ad oggetto l'accertamento del diritto all'iscrizione. 4. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, la dichiarazione ex art. 152 disp. att. c. non è idonea a tenere indenne parte ricorrente dal pagamento delle spese processuali poiché il giudizio non è stato promosso per ottenere il pagamento di "prestazioni previdenziali o assistenziali", ma - come si è detto - l'accertamento del diritto alla reiscrizione (sul punto si veda Cass. Civ. sez. Lav. 4.8.2020 n. 16676, cui questo giudice ritiene di aderire; più di recente, si veda Cass. Civ., Sesta Sez. Civ. Lav., ord. n. 16535/2021). Tuttavia, il diverso orientamento sinora assunto da questo Tribunale in materia di esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c. giustifica la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi del novellato art. 92 c.p.c. Si è, infatti, al cospetto di un'ipotesi di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti. Si osserva, infine, che il ricorso è stato depositato in data antecedente alla surrichiamata giurisprudenza della S.C. P.Q.M. definitivamente pronunciando, nel contraddittorio delle parti in epigrafe indicate, così provvede: - rigetta il ricorso; - spese integralmente compensate. Così deciso in Foggia il 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Foggia - Prima Sezione Civile - riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati: 1) Dott.ssa Concetta Potito - Presidente- 2) Dott. Paolo Rizzi - Giudice - 3) Dott. Alessio Marfè - Giudice rel. - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. ...del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: Dichiarazione giudiziale di paternità vertente TRA M.M. ((...)), già D.V.M., rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv...., elettivamente domiciliato in Foggia, alla...; Attore E M.A. (c.f.: (...)), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv...., presso cui elettivamente domicilia in..., al Viale...; Convenuto E NONCHÉ Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Foggia. interventore ex lege Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 20.10.2017, M.M. (già D.V.M.), conveniva in giudizio M.A., per sentire accertare e dichiarare che il convenuto è il suo padre biologico, ex art. 269 c.c., con tutte le conseguenti statuizioni accessorie. In particolare, chiedeva altresì l'acquisizione del cognome paterno in aggiunta a quello già portato, il mantenimento di Euro 600,00 mensili da porsi a carico del convenuto ed il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Costituitosi in giudizio il 15.01.2018, il convenuto chiedeva il rigetto delle avverse domande, perché infondate in fatto e diritto. I. correttamente la causa, concessi i termini di cui all'art. 183, VI comma, c.p.c., essa veniva istruita a mezzo della c.t.u. espletata dal Prof. M.M.. All'udienza del 28.03.2022, tenutasi con le modalità previste dall'art. 221, co. 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, le parti rassegnavano le proprie conclusioni e la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Sulla domanda diretta alla dichiarazione di paternità. In via preliminare si rileva che il presente giudizio non è stato sottoposto al preventivo vaglio di ammissibilità previsto dall'art. 274 c.c., posto che la Corte Costituzionale con sentenza n. 50 del 2006 ne ha dichiarato l'illegittimità. Tanto premesso, la domanda principale di dichiarazione giudiziale della paternità proposta dall'attore è fondata e merita accoglimento. Gli esiti della perizia d'ufficio sono inequivocabili in tal senso. Il nominato c.t.u., all'esito dell'esame peritale, concludeva: "L'indagine genetica effettuata sui campioni di materiale biologico in esame ha evidenziato la corrispondenza tra l'allele obbligatorio maschile presente nel profilo genetico del Sig. M.A. e quello presente nel profilo genetico del Sig. D.V.M.M., per tutti i sistemi genetici considerati per la presente comparazione genetica. Si conclude, pertanto, che l'indagine genetica effettuata sui campioni di materiale biologico del Sig. M.A. e del Sig. D.V.M.M. conferma, in termini probabilistici, la presenza di nesso di filiazione". Va, per l'effetto, dichiarato che M.A. è padre biologico di M.M.. Invero, gli esiti dell'esame genetico non lasciano margini di incertezza. Come è noto, in tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, in base all'art. 269, comma 2, c.c., la relativa prova può essere fornita "con ogni mezzo", quindi ad es. anche mediante presunzioni (Cass., n. 3660/1984) ovvero mediante argomenti di prova ex art. 116 c.p.c., desumibili ad es. dal comportamento processuale che rifiuti in modo ingiustificato di sottoporsi all'esame ematologico (Cass., n. 6025/2015; Cass., n. 27237/2008) Ritiene in ogni caso la Suprema Corte come l'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non sia subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l'imposizione, al giudice, di una sorta di "ordine cronologico" nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo "status" (così, Cass., n. 783/2017; Cass., 3479/2016). Quanto, in particolare, alle indagini ematologiche, è stato sostenuto in giurisprudenza che "l'efficacia delle indagini ematologiche ed immunogenetiche sul DNA non può essere esclusa per la ragione che esse sono suscettibili di utilizzazione solo per compiere valutazioni meramente probabilistiche, in quanto tutte le asserzioni delle scienze fisiche e naturalistiche hanno natura probabilistica, anche quelle solitamente espresse in termini di leggi scientifiche, e tutte le misurazioni, anche quelle condotte con gli strumenti più sofisticati, sono ineluttabilmente soggette ad errore, sia per ragioni intrinseche (cd. 'errore statistico'), che per ragioni legate al soggetto che esegue o legge le misurazioni (cd. 'errore sistematico'), spettando al giudice di merito, nell'esercizio del suo potere discrezionale, la valutazione dell'opportunità di disporre indagini suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini" (così Cass., n. 6025/2015; cfr. anche Cass., n. 14462/2008). Nel caso in esame il c.t.u. ha premesso che, per attribuire la paternità, il Gruppo di Genetisti Forensi Italiani della Società Italiana di G.U., ritiene che la paternità o la maternità siano praticamente provate quando la probabilità di paternità o maternità è superiore a 0,9972, ovvero superiore al 99,72%. In base all'esame del c.t.u., il rapporto di verosimiglianza (o indice combinato di paternità) tra M.A. e M.M. è risultato essere pari a 99999,2. Da ciò si deduce che una probabilità di paternità pari a 0,99999 e tale valore risulta essere superiore a quello (0.9972) comunemente ritenuto soglia, oltre la quale la paternità si considera 'praticamente provata'. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, atteso l'esito dell'esame dei campioni biologici di M.M. e M.A., quest'ultimo va dichiarato padre biologico dell'attore. Quanto al cognome che il figlio assumerà, la scelta del cognome del figlio maggiorenne costituisce espressione di un diritto potestativo dello stesso, pienamente disponibile, tanto che la pronuncia sul cognome non può essere compiuta in via ufficiosa dal tribunale, ma presuppone un'univoca manifestazione di volontà dell'interessato (cfr. Cass. n. 19734/2015). Pertanto, nel caso di specie, considerato che l'attore ha chiesto di aggiungere il cognome del padre naturale a quello portato (ovvero, attualmente, quello materno), il Tribunale ritiene di dover disporre in conformità, aggiungendo il cognome paterno "M." a quello materno "M.". Tale opzione si colloca, peraltro, nella direzione suggerita dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 131 del 31 maggio 2022. Sulla domanda di mantenimento. Circa la misura del contributo paterno al mantenimento del figlio, invece, va osservato quanto segue. L'accoglimento della domanda principale di dichiarazione giudiziale di paternità determina, invero, il riconoscimento dell'obbligo del convenuto di contribuire al mantenimento del figlio. Va premesso che, pur presupponendo l'obbligo al mantenimento l'accertamento dello stato di figlio, ritiene tuttavia il Collegio che - per esigenze di economia processuale (art. 111 Cost.) - il rapporto che esiste fra la dichiarazione giudiziale di paternità e le domande a contenuto economico non impedisce che le rispettive azioni possano essere svolte in un unico processo e possano essere decise in un unico contesto, fermo restando che il credito potrà essere azionato o la condanna potrà essere eseguita solo all'esito del passaggio in giudicato del capo relativo all'accertamento dello status di figlio. Ciò considerato, è noto che la sentenza dichiarativa della filiazione produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell'art. 277 c.c. e, quindi, a norma dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i diritti e doveri propri della procreazione, incluso l'obbligo di mantenimento ex artt. 148, 316 bis e 337 ter c.c. La relativa obbligazione si collega, come è noto, allo status genitoriale ed assume pari decorrenza dalla nascita del figlio. In questo senso, la giurisprudenza di legittimità è orientata a ritenere che gli effetti della dichiarazione si producano, retroattivamente, fin dal momento della nascita, riconoscendosi natura dichiarativa alla sentenza, sul rilievo che lo status di figlio è conseguenza dell'accertamento del rapporto biologico della procreazione e questo - e non l'accertamento giudiziale - è la fattispecie costitutiva dello status (cfr., tra le altre, Cass., n. 22506/2010; Cass., n. 26575/2007; Cass., n. 15756/2006; Cass., n. 15100/2003; Cass., n. 7386/2003; Cass., n. 8042/1998). In definitiva, come sostenuto anche in dottrina, il rapporto di filiazione scaturisce dal fatto stesso della procreazione, sicché la dichiarazione giudiziale di paternità rappresenta solo un accertamento dello status di figlio, attributivo della titolarità formale di un preesistente rapporto di filiazione. Tanto premesso, quanto al contributo paterno al mantenimento del figlio, il Tribunale ritiene di non poter accogliere la domanda avanzata dall'attore, difettando il presupposto della non autosufficienza economica del figlio maggiorenne. La più recente giurisprudenza della Suprema Corte - condivisa dal Tribunale - ha affermato, infatti, che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni. Più precisamente, secondo la Corte di Cassazione, l'obbligo di mantenimento legale della prole cessa con la maggiore età del figlio in concomitanza all'acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione; in seguito ad essa, l'obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, ed è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro. Raggiunta la maggiore età, infatti, si presume l'idoneità al reddito, che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore (Cass., ord. 14 agosto 2020, n. 17183, id., 2020, I, 2628). Ciò detto, ai fini del riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, le circostanze che giustifichino il suddetto obbligo, il quale non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni (vedi Cass. civ. 18076/14, 5088/18). Nel caso di specie, può certamente considerarsi ormai raggiunta l'autosufficienza economica da parte del figlio M., il quale - come dichiarato dallo stesso e come desumibile dal certificato occupazionale in atti (seppure risalente al 2.05.2018) - ha sempre svolto lavori di vario genere, seppur saltuari e precari (bracciante agricolo, giardiniere, muratore, elettricista, idraulico, commesso ecc.), adeguati al titolo di studio, dimostrando capacità di inserimento nel mondo del lavoro ed elasticità nel reperire tali impieghi. Deve, infatti, rilevarsi che l'attore, oggi ventisettenne, ha abbandonato gli studi dopo aver conseguito il titolo di scuola media inferiore, essendosi rivelate fallimentari le successive esperienze scolastiche (istituto professionale e scuola alberghiera). Ebbene, considerata l'età dell'attore, gli elementi valorizzati (il titolo di studio e la circostanza che il figlio abbia sempre svolto numerosi e variegati lavori, seppur saltuari, adeguati al suo percorso formativo) non consentono più di considerare legittima la pretesa al mantenimento da parte del proprio genitore. All'uopo, la Cassazione ha precisato che occorre presumere l'autosufficienza nel maggiorenne, salvo che questi fornisca prova contraria, ovvero provi di aver intrapreso un percorso di studi da portare a termine ovvero dia prova concreta di aver cercato opportunità lavorative che, in mancanza di una specifica professionalità, devono essere ricercate in settori di diverso genere e tipo. Sul punto, si richiama nuovamente Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020, n. 17183: "L'onere della prova delle condizioni che fondano il dritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini dell'accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro" ed anche Cassazione civile, sez. VI, 29/12/2020, n. 29779 con cui si è statuito che: "Il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato fattivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni". I predetti orientamenti sono confortati altresì dalla giurisprudenza europea della CGUE. Dato atto di tanto, il collegio ritiene che non sussistano i presupposti per poter pretendere dal genitore un mantenimento, dovendosi la prole a queste condizioni definitivamente emancipare, all'uopo fronteggiando il mercato del lavoro (vi siano o non vi siano opportunità nel settore del campo di studi prescelto). La circostanza che il figlio non abbia una occupazione lavorativa stabile non giustifica la pretesa, considerato che le varie occasioni lavorative comunque trovate dall'attore (seppur non aventi carattere di stabilità) sono adeguate ed in linea con il titolo di studio. Inoltre, deve opportunamente valutarsi anche la circostanza che l'attore abbia già una figlia e che abbia rinunciato al patrocinio a spese dello Stato, per sopravvenuta insussistenza dei presupposti e condizioni per il beneficio a partire dal 2020, ciò denotando la sussistenza di una complessiva situazione reddituale familiare maggiormente favorevole rispetto al momento dell'introduzione del giudizio (seppure taciuta nei suoi dettagli dalla parte) Tanto impone il rigetto della domanda di mantenimento. Risarcimento del danno. Reputa il Collegio che la domanda, non essendo provata, non merita di essere accolta. Va ricordato, in punto di diritto, come l'obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sorge dalla nascita e discende dal mero fatto della generazione. È infatti orientamento costante che la sentenza dichiarativa della filiazione produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell'art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione, incluso quello del mantenimento ai sensi dell'art. 148 c.c. (Cass. 11 luglio 2006, n. 15756; Cass., 14 maggio 2003, n. 7386). Tale preciso obbligo direttamente desumibile dal sistema di protezione della filiazione stabilito nell'art. 30 Cost., commi 1 e 2, non viene meno quando il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, essendo sorto sin dalla nascita nei confronti di entrambi i genitori. La statuizione giudiziale relativa alla dichiarazione di paternità o maternità è, conseguentemente, del tutto ininfluente rispetto alla natura e alla nascita dell'obbligo sopradescritto, ne' assume alcun rilievo, neanche ai fini della decorrenza temporale del diritto, la formulazione della domanda rivolta al riconoscimento dello status. Il diritto del figlio ad essere educato e mantenuto (artt. 147 e 148 c.c.) è, in conclusione, eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione (Cass. N. 26205 del 2013; n. 5562 del 2012). Nell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, fonte integratrice dello statuto dei diritti fondamentali di rango costituzionale delle persone, è specificamente contenuto, al comma 3, il diritto per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere nonché quello d'intrattenere relazioni e contatti diretti con i propri genitori. La privazione di entrambi gli elementi fondanti il nucleo dei doveri di solidarietà del rapporto di filiazione costituisce una grave violazione dell'obbligo costituzionale (nel senso rafforzato dall'integrazione con la fonte costituzionale costituita dal diritto dell'Unione europea e dalla Convenzione di New York del 20.11.89 ratificata con L. n. 176 del 1991, sui diritti del fanciullo) sopra delineato. Si determina, pertanto, un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, declinata secondo gli obblighi specificati negli artt. 147 e 148 c.c., che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Nella pronuncia della Suprema Corte n. 5652 del 2012, i giudici di legittimità, oltre ad aver ribadito il principio secondo il quale gli obblighi contenuti negli artt. 147 e 148 c.c., di diretta derivazione costituzionale, sorgono per il mero fatto della nascita, ha specificamente affermato che "La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell'illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 cod. civ. esercitatile anche nell'ambito dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità". Il presupposto della responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è individuato nella predetta pronuncia nella consapevolezza del concepimento. La consapevolezza non s'identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d'indizi univoci, tra cui primario rilievo assume la consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento. In sostanza, deve andare esente da responsabilità, per carenza dell'elemento soggettivo, il genitore che, incolpevolmente o per fatto impeditivo altrui, non sia stato posto in grado di fare fronte ai suoi doveri materiali e morali nei confronti del figlio naturale, anche considerato che all'intrattenimento di rapporti sessuali anche non protetti non consegue in automatico l'insorgere della gravidanza. Il comportamento umano colposo in grado di cagionare al figlio un danno ingiusto (cioè l'essere stato privato dell'assistenza morale e materiale) non può quindi coincidere sic et simpliciter con la consumazione di rapporti sessuali non protetti (dai quali consegue - rectius, può conseguire - il concepimento, che non rappresenta l'evento dannoso per il figlio) ma con l'aver trascurato di verificare l'effettiva sussistenza del legame biologico del nascituro, in presenza di elementi univoci che attestino la conoscenza della gravidanza o della nascita, da cui sia derivata la cosciente violazione degli obblighi di mantenimento, educazione e istruzione. Come noto, il vaglio relativo alla colpevolezza del fatto ingiusto, è del tutto preliminare rispetto alla valutazione dei c.d. danni-conseguenza, ossia le conseguenze pregiudizievoli di natura patrimoniale o non patrimoniale, risarcibili. Nel caso di specie, dagli atti processuali, non emerge la prova della consapevolezza della procreazione in capo al convenuto e, dunque, del necessario elemento soggettivo dell'illecito civile, costituito dal mancato riconoscimento del figlio biologico e dalla causazione di un danno ingiusto identificabile con la privazione del rapporto genitoriale. La consumazione di rapporti sessuali non è, infatti, di per sé sufficiente a fondare una consapevolezza rilevante ex art. 2043: la Suprema Corte ha recentemente chiarito che "in tema di danno per mancato riconoscimento di paternità, l'illecito endo-familiare attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio, presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, presuppone comunque la maturata conoscenza dell'avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio" (Cass. Civ. ord. 22496/2021). A ben vedere, l'attore (su cui incombe l'onere probatorio) non ha fornito la prova che, con rilevante grado di probabilità, il convenuto avesse maturato una conoscenza del rapporto di paternità e, anzi, le vicende storiche emerse dall'istruttoria depongono in senso opposto e inducono a ritenere, quantomeno, che il M. possa aver nutrito profondi e fondati dubbi sul legame biologico con il figlio. Deve preliminarmente osservarsi che l'attore nasceva in costanza di matrimonio tra la madre M.A.P. e D.V.G., in data 18.01.1995. Del matrimonio tra le parti, dopo la separazione pronunciata dal Tribunale di Trani con decreto del 05.08.1997, veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili con sentenza n. 176 emessa dal Tribunale di Trani il 03.07.2001. Soltanto con sentenza n. 860 del 14.06.2016 il Tribunale di Trani accoglieva la domanda di disconoscimento della paternità proposta dall'odierno attore nei confronti di D.V.G.. In particolare, M.M. deduce di aver appreso della non paternità del D.V. quando ancora pre-adolescente, allorquando tale situazione veniva portata a conoscenza degli operatori del consultorio familiare di B., ai quali la madre si rivolgeva. Da quel momento, l'attore dichiara di aver cercato per lungo tempo di intessere rapporti con l'allora presunto padre biologico, M.A.. Ebbene, così precisati i fatti storici, si impone il rigetto della domanda di risarcimento danni. Sul danno patrimoniale, la domanda come formulata è del tutto generica e non risulta alcuna allegazione specifica. Sul danno non patrimoniale, sulla scorta della giurisprudenza prima richiamata, come già accennato, difetta l'elemento soggettivo richiesto dalla struttura dell'illecito aquiliano. Ed infatti, non è provato che il convenuto abbia avuto conoscenza della sua paternità o che, comunque, vi fossero elementi oggettivi ed univoci che deponessero in tal senso. Tanto è confermato, infatti, dalle seguenti circostanze: - la nascita dell'attore in costanza di matrimonio; - la crisi matrimoniale tra la madre dell'attore e l'allora padre legittimo, insorta solo dopo la nascita di M.M.; - se, da un lato, l'attore ha a più riprese tentato di avvicinare il padre e di convincerlo della paternità, così come ha fatto sua madre, dall'altro trattasi di figlio nato nel corso del matrimonio, riconosciuto legalmente dal marito della madre, rispetto al quale sia nel giudizio di separazione che in quello di divorzio (nel 1997 e nel 2001) il padre legale non aveva avanzato opposizioni ed anzi, riconoscendosi implicitamente quale genitore, si impegnava al mantenimento e ad osservare il diritto di visita del presunto figlio; - inoltre, nel giudizio di disconoscimento per primo intentato, il D.V. si opponeva alla domanda, sostenendo di essere il padre di M. e negando la paternità del M.; - nel secondo giudizio di disconoscimento, conclusosi con accertamenti meramente indiziari e senza analisi ematologiche, il padre legale non si è costituito; - la sentenza di cui al giudizio di disconoscimento è passata in giudicato il 29/9/2017, circa tre settimane prima dell'iscrizione a ruolo del presente giudizio. Per tutti i motivi esposti, si può ragionevolmente ritenere che non ci fosse quel grado di consapevolezza utile a riconoscere un atteggiamento doloso o colposo dell'odierno convenuto. Non vi sono elementi oggettivi - ma solo soggettivi, legati alla convinzione dell'attore e di sua madre che vi fosse un legame biologico - che potessero deporre per la paternità, anzi plurimi, seri e concordanti elementi oggettivi vi erano in senso contrario. A fronte delle contestazioni del convenuto, l'attore non ha dunque fornito la prova dell'elemento soggettivo della fattispecie di responsabilità civile ascritta. Sulle spese di lite. Tenuto conto delle ragioni della decisione e della reciproca soccombenza, va disposta la compensazione integrale delle spese di lite, comprensive di quelle di c.t.u. Alla liquidazione del compenso spettante al procuratore della parte attrice, ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, si è provveduto con separato decreto di pagamento ex art. 83 D.P.R. n. 115 del 2002, sussistendone i presupposti di legge, su istanza dell'interessato, giusta ammissione Delib. del COA n. 4 del 24 febbraio 2017. Si precisa che l'attore ha dichiarato di rinunciare al patrocinio a spese dello Stato a partire dall'anno 2020 con nota del 14-27.10.2020 e, pertanto, si è provveduto alla liquidazione del compenso a carico dello Stato per le sole fasi di studio, introduttiva e istruttoria (quest'ultima liquidata al 50%, essendo tale fase terminata dopo il 2020 e, dunque, quando l'attore non beneficiava più del patrocinio a spese dello Stato). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella controversia civile come innanzi proposta tra le parti, così provvede: - D.M.A., nato a T. il (...), padre biologico di M.M., nato a B. il (...); - Dispone che M.M. aggiunga il cognome paterno a quello materno, posponendolo a quest'ultimo; - Rigetta la domanda di mantenimento del figlio; - Rigetta la domanda risarcitoria; - Compensa integralmente le spese di lite, comprese quelle di c.t.u.; - Ordina che la presente sentenza sia annotata sull'atto di nascita di M.M., a cura del competente Ufficiale di Stato Civile. Conclusione Così deciso in Foggia nella camera di consiglio del 19 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2022.
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