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Tribunale di Frosinone, Sentenza n. 810/2024 del 19-08-2024 REPUBBLICA ITALIANA In Nome del Popolo Italiano Il Tribunale di Frosinone - Sezione Civile - in persona del giudice dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. (...) /17 RG tra (...), con l'avv. (...) Comune di (...), con l'avv. (...), (...), (...) in (...), quali eredi di (...) conclusioni: come da verbale del 12.12.23 Motivi della decisione -(...), premesso che era comproprietaria assieme a (...) di un fondo sito in (...) ; che il fondo era stato concesso in affitto a (...), con contratto del 28.12.89, di durata annuale, tacitamente rinnovabile, perché vi esercitasse attività di estrazione di pietrisco e brecciame; che in ottemperanza alla normativa di settore, il (...) e il Comune di (...) avevano stipulato una convenzione per l'esercizio dell'attività estrattiva che prevedeva, tra l'altro, la stipula, da parte del (...), di una polizza fideiussoria a garanzia dell'esatto adempimento degli obblighi di sistemazione del fondo; che a motivo di irregolarità rilevate dal (...) forestale dello Stato, il sito veniva sequestrato e poi dissequestrato a seguito di decisione della Corte di Appello; che l'attività estrattiva si era interrotta da diversi anni, ma il fondo non era mai stato riconsegnato, né erano mai stati effettuati interventi di ripristino; che la polizza stipulata a suo tempo era stata riconsegnata al (...); che il Comune non aveva vigilato sull'attività estrattiva, né aveva garantito l'esecuzione delle opere di sistemazione, né aveva escusso la polizza fideiussoria; che la responsabilità in ordine al mancato ripristino dell'area era addebitabile in via solidale agli eredi del (...) (deceduto) ed al Comune di (...); tanto premesso chiedeva condannarsi gli eredi del (...) alla riconsegna del fondo; condannarsi il Comune e gli eredi del (...) al risarcimento dei danni pari ad euro 204.516,94, somma necessaria per la sistemazione e ripristino del sito, ovvero alla somma minore o maggiore ritenuta di giustizia; in via subordinata condannarsi i predetti al pagamento del 50% della polizza fideiussoria ; condannarsi gli eredi del (...) al risarcimento dei danni consistenti nel mancato godimento dell'immobile. -Resiste il Comune di (...). -Con ordinanza del precedente istruttore in data (...) sono stati dichiarati contumaci (...), (...), (...), (...) in (...) (indicata nell'atto di citazione col cognome del marito, ma certa nell'identità), rispettivamente figli e coniuge, come da certificazione del Comune di (...), convenuti in giudizio quali eredi di (...). - Occorre innanzitutto risolvere la questione della legittimazione passiva di costoro rispetto alle azioni proposte. Osserva il Tribunale che (...) gestiva la cava quale imprenditore individuale (contratto di affitto con le (...)). Nella determinazione n (...)/12 della (...) "(...)" (prodotta sub 7 nel fascicolo di parte attrice), relativa ad un appalto in essere con detto ente, si fa riferimento all'attribuzione dell'impresa individuale (...) (deceduto il (...)), in virtù di testamento pubblicato dal notaio (...) di (...), ad (...) e (...). Nel fascicolo di parte del Comune, risulta prodotta sub 27), una "memoria" di (...) ed (...), protocollata (con conseguente certezza delle sottoscrizioni) presso il Comune di (...) in data (...), in cui essi (soltanto) si qualificano eredi di (...), quanto all'attività di impresa svolta dal padre (".. gli odierni istanti hanno ereditato l'attività del loro dante causa...") ed interloquiscono col Comune, relativamente alla problematica del ripristino della cava. Deve pertanto ragionevolmente concludersi, tenuto conto delle risultanze del detto atto amministrativo, unitamente alle dichiarazioni (confessorie) contenute nella richiamata missiva, nel senso che solo (...) e (...), siano succeduti nell'intera azienda paterna e che pertanto solo su di essi incombessero le obbligazioni relative alla cava (cfr. Cass. 1720/16, pag. 9 della motivazione, secondo cui nel caso di acquisto per testamento di un'azienda, come legatario, come pure a titolo di erede, solo l'acquirente subentra in tutti i rapporti patrimoniali di debito-credito che ad essa fanno capo). E' opportuno rilevare per completezza che nel detto atto amministrativo n (...)/12 si fa riferimento anche ad un successivo atto di cessione di quote dell'impresa del padre, da parte di (...), in favore di (...). Di tale cessione, cui fa riferimento la detta determina, non è dato tuttavia conoscere il concreto contenuto (e neppure la data), in difetto della sua produzione in giudizio, specie con riferimento ai singoli elementi aziendali oggetto di cessione ed alle specifiche pattuizioni assunte al riguardo ; d'altro canto la determina n (...)/12 non riguarda in alcun modo l'attività della cava, e pertanto la valutazione, in essa operata, della cessione delle quote e del subentro di (...) ad (...), era evidentemente funzionale alla sola verifica della successione nell'appalto in essere con il detto ente. Pertanto, tenuto conto delle considerazioni che precedono, e della mancata produzione in giudizio della richiamata cessione (che sarebbe stato onere di parte convenuta produrre), non ritiene il Tribunale che possano mutare le conclusioni attinte circa la legittimazione passiva di entrambi i (...), (...) ed (...), quali successori dell'impresa svolta dal padre, con riferimento alle azioni proposte aventi ad oggetto la cava. Per converso deve dichiararsi il difetto di legittimazione dei restanti convenuti -(...) chiede innanzitutto che i convenuti contumaci siano condannati alla riconsegna dell'area ove è sita la cava. Nel corpo della citazione si deduce che la cava non è coltivata da anni. Pertanto, ove si consideri che il contratto aveva durata annuale, salvo rinnovazione tacita, deve ritenersi in via interpretativa che la causa petendi della domanda di condanna al rilascio, sia fondata sulla mancata rinnovazione tacita del contratto. Il contratto di affitto della cava è stato stipulato, sia dall'odierna attrice, sia da (...). Nel contratto si dà atto che le due (...) erano proprietarie, ciascuna per la propria parte, delle particelle (...) foglio (...), agro di (...), in cui era stata aperta una cava per l'estrazione di pietra. Dalla CTU risulta che l'attrice è proprietaria di una porzione del terreno in questione, censito fino al 16.5.87, con le particelle (...); a seguito di atto per notaio (...) del 16.5.87, dalle originarie particelle (...), sono state frazionate altre particelle, divenute di proprietà di (...), e quelle residuali hanno assunto la numerazione n (...), che sono di proprietà di (...) (cfr. prima CTU, pag. 2) Dunque, ancorché, sui due appezzamenti di proprietà delle due (...) sia stata esercitata la cava in questione, si tratta pur sempre di due porzioni distinte appartenenti a ciascuna delle (...). Il problema che si pone in relazione all'azione di rilascio, è quello di determinare se, a tal fine, avrebbe dovuto partecipare al giudizio anche (...), e se quindi, in via di astratta ipotesi, il rapporto scaturente dal contratto, debba considerarsi come strutturalmente comune a tutte le parti contrattuali, sì da dover affermare che ogni provvedimento su di esso incidente non possa che essere preso con la partecipazione di tutte le parti (Cass. 4720/93). Ritiene tuttavia il Tribunale che non sia questo il caso di specie. E' bensì vero che venne data in affitto una cava che ricomprende le particelle appartenenti ad entrambe le (...). Tuttavia non sono stati addotti specifici elementi fattuali, che inducano a ritenere che siffatta apparente unitarietà dell'oggetto, sia un'unitarietà necessaria nell'economia del contratto, che cioè le singole parti della cava appartenenti alle due (...) non fossero suscettibili di separato sfruttamento e che pertanto non avessero un distinto rilievo economico. E' bensì vero che è previsto un canone unico, ma si tratta di elemento privo, al riguardo, di adeguata univocità, ben potendo rispondere a mere esigenze di comodità nel pagamento, senza per questo necessariamente presupporre una unitarietà strutturale dell'oggetto. Ed allora non paiono esservi ostacoli al possibile scioglimento del vincolo, limitatamente alla porzione di proprietà dell'odierna attrice. Soluzione questa, d'altro canto, conforme al tendenziale principio dell'ordinamento, favorevole al riconoscimento della divisibilità degli effetti del negozio, sotto il profilo del suo annullamento o della sua risoluzione (cfr. art. 1419, 1420, 1446, 1459, 1466 cc). Orbene, dalle prove testimoniali risulta che la cava è abbandonata da tempo (teste (...)); tale circostanza pertanto induce a ritenere che il rapporto non si sia più tacitamente rinnovato. Segue la condanna degli eredi del (...) alla restituzione della porzione di cava oggi riportata in catasto - a seguito dell'indicato frazionamento allegato all'atto per notaio (...) del 16.5.87, in atti dal 10.3.89 (prot. (...)) - al foglio (...) particelle (...) -(...) chiede altresì che gli eredi dell'originario affittuario siano condannati in solido al Comune di (...), al risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del bene. In base al principio della motivazione più liquida, la domanda può essere rigettata, senza verificare se ricorrano i presupposti per l'affermazione di una ipotetica responsabilità solidale del Comune. Osserva infatti il Tribunale che difettano elementi che consentano di stabilire e determinare tale danno, in mancanza della prova dei frutti civili ritraibili dalle particelle di proprietà dell'attrice. Al riguardo l'attrice avrebbe potuto offrire, ad es. prove testimoniali sui canoni praticati in zona per il pascolo (trattandosi di fondo roccioso non pare ipotizzabile una qualche altra attività agricola). Tale prova è tuttavia mancata, onde un'eventuale CTU avrebbe assunto al riguardo caratteristiche di inammissibile esploratività. Ed è da escludere poi che, ai fini della determinazione dei frutti civili, potesse farsi riferimento ai possibili proventi derivanti da ulteriore attività estrattiva, tale ipotesi essendo in contraddizione addirittura con le allegazioni di parte attrice, volte a conseguire il ripristino e la risistemazione della cava, il che implica l'allegazione dell'ormai avvenuto esaurimento dell'attività estrattiva. -Parte attrice ha chiesto altresì la condanna degli eredi del (...), in solido col Comune di (...), al risarcimento dei danni pari ad euro 204.516,9 ovvero alla diversa somma ritenuta di giustizia, necessaria per la risistemazione della cava. Va premesso, secondo quanto riferisce il CTU, che il ripristino dello stato dei luoghi, cioè come erano in origine, non è possibile sotto il profilo tecnico. In genere, ha aggiunto il CTU, la sistemazione delle cave ormai esaurite, avviene mediante realizzazione di gradoni, con piantumazione di vegetazione e con riempimento e riprofilatura delle depressioni, con materiale proveniente dalla cava. Il CTU ha altresì determinato il minor valore della porzione di terreno appartenente all'attrice, prima e dopo la sistemazione della cava. Ha premesso il CTU che i terreni in questione sono di fatto inedificabili, ed essendo cessata l'attività estrattiva, non possono più essere utilizzati per la trasformazione del territorio. Di conseguenza, ai fini della stima del loro valore, gli stessi vanno considerati alla stregua di terreni agricoli non edificabili. Il CTU ha osservato quindi che a sistemazione avvenuta, i terreni potrebbero essere considerati terreni non coltivi inerbiti a prato, ed il loro valore è pari ad euro 7.380 euro, mentre allo stato attuale i terreni possono essere considerati terreni non coltivi con bosco misto di cespugli ed alberi, ed il loro valore attuale risulta pari ad euro 4.030, con una differenza tra le due voci di euro 3.350. Tale è il danno subito dall'attrice in conseguenza della mancata risistemazione della cava, per la porzione lei appartenente, non certo la ben maggiore somma dalla stessa indicata o peggio la somma indicata dal CTU per la sistemazione dell'intera cava in euro 604.000, che si risolverebbe in una locupletazione e non già nel ristoro di un danno subito. Diversamente si sarebbe dovuto dire nel caso in cui l'attrice fosse tenuta per legge al ripristino o sistemazione della cava e quindi fosse tenuta a sostenere i relativi costi. Tuttavia a carico del proprietario di una cava non incombe di diritto e automaticamente un siffatto obbligo. In definitiva l'unico danno subito dall'attrice risulta pari, come si è anticipato, al minor valore del fondo in conseguenza dell'omesso ripristino della cava, all'esito dell'esaurimento dell'attività estrattiva. -Si tratta ora di vedere chi avesse l'obbligo di eseguire il ripristino della cava. (...) e (...) che ebbero a succedere nell'impresa paterna. Risulta infatti dalla ricostruzione effettuata dal CTU che il (...) ebbe bensì a presentare sin dal 2007 un progetto per la sistemazione della cava e che tuttavia, non furono mai rimesse le integrazioni richieste dall'amministrazione (il (...) nel frattempo era deceduto). Deve ora verificarsi se possa ravvisarsi una concorrente responsabilità del Comune, come dedotto dalla attrice. Come risulta dalla stessa documentazione prodotta dal Comune venne accertata, a carico del (...), sin dal 96, l'esercizio di attività estrattiva in difformità dell'autorizzazione amministrativa, e quindi pro parte non autorizzata (cfr. ad es. doc. 13 della produzione di parte convenuta). Ai sensi dell'art. 31 L.R. 27/93, il Comune era dotato di poteri sostitutivi ai fini della necessaria attività di ripristino che non risulta siano stati in precedenza esercitati. In realtà, come emerge dalla CTU (pag. 11 e seg.), il Comune si è attivato nell'aprile 2021 per avviare le procedure di verifica di cui all'art. 16 L.R. 17/04 - preliminari rispetto all'uso di eventuali poteri sostitutivi - che presuppongono tuttavia la sussistenza di un sito estrattivo ancora attivo, e non un sito ormai da tempo dismesso quale quello di specie (pag. 12 della CTU ove viene richiamato il verbale di sopralluogo del 7.7.23 del Comune e di funzionari della (...)). In definitiva anche il Comune può esser ritenuto responsabile del danno arrecato alla proprietà della (...), e condannato solidalmente con gli eredi (...), in virtù dell'art. 2055 cc, al pagamento a titolo risarcitorio della somma di euro 3.350, all'attualità, oltre interessi successivi alla sentenza, importando l'emissione della sentenza di condanna il tramutamento del debito di valore in debito di valuta. Quanto alle spese di lite, il rigetto di una delle domande dell'attrice, e l'accoglimento della domanda risarcitoria per una somma di gran lunga inferiore a quella richiesta, inducono a compensare le spese per la metà. Le spese di CTU possono essere poste a carico di tutte le parti per un terzo ciascuna. PQM Dichiara cessato il contratto di affitto relativo a fondo destinato a cava, stipulato tra (...), da un lato, (...) e (...) dall'altro, meglio descritto in narrativa, limitatamente alla porzione di cava riportata in catasto al foglio 93, part. 135, 136, 137 e 545, frutto del frazionamento allegato all'atto per notaio (...) del 16.5.87, e per l'effetto condanna i convenuti contumaci, (...) ed (...) alla restituzione della detta area a (...) ; rigetta la domanda risarcitoria di parte attrice per mancato godimento del bene immobile ; condanna i convenuti (...) ed (...), in solido con il Comune di (...) al pagamento in favore di (...) della somma di euro 3.350, oltre interessi dalla sentenza al saldo; condanna i convenuti (...) ed (...) in solido col Comune di (...), alla refusione della metà delle spese di lite (rimanendo compensata la restante metà), che liquida per l'intero in euro 5.000 per compensi ed euro 543 per spese, oltre accessori come per legge; pone le spese di CTU in via definitiva, per un terzo a carico dell'attrice, per un terzo a carico del Comune...
TRIBUNALE DI FROSINONE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice di (...) dott. (...) ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al numero (...) del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2023 promossa DA (...) in atti generalizzata, rappresentata e difesa dall'avv. (...) del foro di Cassino, giusta procura rilasciato su foglio separato, da intendersi in calce al ricorso, elettivamente domiciliat (...)presso il suo studio. -APPELLANTE CONTRO (...) in persona del suo (...) p.t. -APPELLATO (...) Oggetto: Appello avverso sentenza del Giudice di (...) per nullità sentenza MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso in appello, la sig.ra (...) proponeva gravame avverso la sentenza n. (...) /23 (CRON. N. (...) /23) del Giudice di (...) di (...) resa nel procedimento R.G. N. (...) /2022, composta dal dispositivo e dall'attestazione del mancato deposito della motivazione a causa della morte del giudicante Dott.ssa (...) comunicata dalla (...) con messaggio di posta elettronica certificata del 02.10.2023; sentenza depositata in cancelleria/pubblicata il (...) e non notificata. Chiedeva, di conseguenza, la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado e di accertare l'illegittimità del verbale di contestazione n. (...), elevato dalla (...) di (...) e quindi la non dovutezza delle somme richieste. Nessuno si costituiva per la (...) di (...) per quale veniva dichiarata la contumacia. All'udienza del 18/05/24 la causa trattenuta in decisione, con concessione di g.40 per note. Ritiene questo Tribunale che l'appello sia fondato. Deve preliminarmente rilevarsi la nullità della sentenza per mancanza di motivazione. Come è noto, ai sensi dell'art. 546 c.p.c. ultimo comma, oltre che nel caso previsto dall'art 125 comma 3, la sentenza è nulla se manca o è incompleta nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice. In tal caso il giudice di appello, ove abbia rilevato detta nullità, deve decidere la causa nel merito, non ricorrendo alcuna ipotesi di rimessione della causa al primo giudice fra quelle tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., nè potendosi egli limitare a dichiarare la nullità medesima. Esaminando il merito della richiesta, con particolare riferimento alla questione della tardività della notifica del verbale impugnato, il Giudice di prime cure ha ritenuto di non accogliere il ricorso proposto dalla sig.ra (...) nei seguenti termini: "rigetta il ricorso e convalida nel minimo edittale il V. (...) elevato dalla (...) di (...) in data (...). Compensa le spese di lite". Ad avviso di questo Tribunale, il Giudice di (...) avrebbe dovuto rilevare e dichiarare la tardività della notifica del verbale, per violazione dell'art. 201 del codice della strada, con conseguente nullità e/o illegittimità e/o annullamento del verbale de quo. Come noto, tale norma dispone al primo comma che "(...) la violazione non possa essere immediatamente contestata, il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, deve, entro novanta giorni dall'accertamento, essere notificato all'effettivo trasgressore o, quando questi non sia stato identificato e si tratti di violazione commessa dal conducente di un veicolo a motore, munito di targa, ad uno dei soggetti indicati nell'art. 196, quale risulta dall'archivio nazionale dei veicoli e dal P.R.A. alla data dell'accertamento. Se si tratta di ciclomotore la notificazione deve essere fatta all'intestatario del contrassegno di identificazione. Nel caso di accertamento della violazione nei confronti dell'intestatario del veicolo che abbia dichiarato il domicilio legale ai sensi dell'articolo 134, comma 1-bis, la notificazione del verbale è validamente eseguita quando sia stata effettuata presso il medesimo domicilio legale dichiarato dall'interessato. (...) l'effettivo trasgressore od altro dei soggetti obbligati sia identificato successivamente alla commissione della violazione la notificazione può essere effettuata agli stessi entro novanta giorni dalla data in cui risultino dal P.R.A. o nell'archivio nazionale dei veicoli l'intestazione del veicolo e le altre indicazioni identificative degli interessati o comunque dalla data in cui la pubblica amministrazione è posta in grado di provvedere alla loro identificazione. Quando la violazione sia stata contestata immediatamente al trasgressore, il verbale deve essere notificato ad uno dei soggetti individuati ai sensi dell'articolo 196 entro cento giorni dall'accertamento della violazione. Per i residenti all'estero la notifica deve essere effettuata entro trecentosessanta giorni dall'accertamento" Nel caso de quo, la contestata infrazione risale al 01.04.2022 e risulta immediatamente contestata al trasgressore (...) Orbene, nello stesso istante la (...) di (...) individuava nella persona dell'attuale ricorrente la presunta obbligata in solido, procedendo immediatamente e correttamente alla sua identificazione. Difatti, il verbale oggetto di ricorso è collegato ad altro verbale che la stessa (...) di (...) ha elevato, nello stesso momento, sempre nei confronti del (...) per asserita violazione dell'art. 180 comma 7 codice della strada. Trattasi del verbale di contestazione nr. (...) di registro generale nr. (...) (di cui se ne fa espressa menzione nello stesso verbale oggetto del presente giudizio ed in particolare a pagina 4/6), notificato il (...) e nel quale viene precisamente indicata come obbligato in solido l'odierna ricorrente e ne vengono riportati esattamente i dati anagrafici (si legge nella sezione "obbligato in solido": " (...) nata a (...) il (...), residente a (...) snc") (già (...)3 al Fascicolo di primo grado "Verbale nr. (...)"). Il Giudice di (...) non ha considerato in proposito che il verbale nr. (...), oggetto anch'esso di ricorso dinanzi allo stesso ufficio giudiziario (Giudice Dott.ssa (...) RG (...)) era stato già definito pochi giorni prima con sentenza di annullamento numero (...) ((...) N. (...)), atto depositato in udienza e non appellato. Appare evidente che il termine di 90 giorni, ovvero di 100 giorni nell'ipotesi prevista nell'ultima parte del primo comma dell'art. 201 codice della strada, per la notifica del verbale impugnato (nr. (...), registro generale nr. (...)) decorre dal giorno 01.04.2022 (giorno dell'infrazione, della contestazione al trasgressore e dell'individuazione del soggetto obbligato in solido). Alla luce di quanto sopra, si può affermare che il verbale oggetto di causa è stato notificato ben oltre i citati termini di cui al primo comma dell'art. 201 codice della strada (per i quali, tra l'altro, non risulta applicabile la c.d. sospensione feriale), come emerge dall'estratto dell'esito della spedizione ((...)1 al Fascicolo di primo grado); lo stesso, infatti, risulta essere stato consegnato a (...) S.p.A. solamente in data (...) (161 giorni dopo il (...)) e notificato solamente in data (...) (164 giorni dopo il (...)). Sul tema, secondo la giurisprudenza sia di merito che di legittimità (Cass. civ., VI - 2, Ordinanza, 26/11/2021, n. (...) (rv. 663219-01) "In tema di contravvenzioni stradali, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall'art. 201 cod. strada, salvo che ricorra il caso previsto dall'ultima parte del citato art. 201 e, cioè, che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita, per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell'(...) nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile" e, ancora, civ., Sez. VI - 2, Ordinanza, 21/03/2018, n. 7066 (rv. 648219-01) "In tema di sanzioni amministrative derivanti da infrazione del codice della strada, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall'art. 201 cod. strada (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con l'art. 36 della l. n. 120 del 2010) salvo che ricorra l'ipotesi prevista dall'ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell'(...) nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile". Ne deriva che l'appello deve essere accolto e, previa dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado, composta dal solo dispositivo, deve essere dichiarata l'illegittimità del verbale n. (...), elevato dalla (...) di (...) R.G. N. (...), con conseguente suo annullamento e quindi non dovute le somme richieste. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono il principio della soccombenza. P.Q.M. Accoglie l'appello proposto e, previa dichiarazione di nullità della sentenza (...) ((...) N. (...)) del Giudice di (...) di (...) resa nel procedimento R.G. N. (...), dichiara illegittimo il verbale n. (...), elevato dalla (...) di (...) R.G. N. (...), con conseguente suo annullamento e quindi non dovute le somme richieste all'appellante. Condanna la (...) di (...) in persona del suo (...) p.t., alla rifusione delle spese di lite di entrambi i giudizi che liquida in Euro 299,00 per spese, Euro 2.300,00 per compensi, oltre rimborso spese generali in ragione del 15% sui compensi, oltre iva e cpa, se dovute, come per legge.
Il Tribunale di Frosinone, Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace Daniela Possenti, alla pubblica udienza del 22 novembre 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: A.S., nata a F. il giorno (...), ivi residente in Via La T. n.32, domicilio dichiarato, libera assente, difesa di fiducia dall'Avv. ...del Foro di Frosinone; Imputata Delitto p. e p. dall'art. 574 c.p. perché con condotta consistita nel rifiutarsi di prendere accordi e decisioni con il coniuge O.S., con il quale è in corso la separazione giudiziale, per regolamentare il suo diritto di visita e frequentazione della figlia minore F. nata a F. il (...), nel non consentire colloqui telefonici dello stesso con la figlia, limitandosi a demandare la decisione di vedere e sentire il padre alla figlia affermando che era la stessa a non volerlo sentire o incontrare, nel non rispondere alle sue legittime richieste di notizie riguardanti la figlia accampando ogni volta recriminazioni ed esternando insulti con riferimento a sue presunte mancanze relative al versamento del contributo al mantenimento della figlia sottraeva la minore F. al padre O.S. esercente la responsabilità genitoriale sulla stessa. Fatto commesso in Frosinone dal gennaio 2018 in avanti e con condotta perdurante Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con decreto di citazione diretta a giudizio del giorno 01.03.2019 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone presentava l'imputata dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere del reato di cui in rubrica. Dopo due rinvii per motivi diversi, all'udienza del 4.02.2021, constatata la regolarità delle notifiche, si procedeva in assenza dell'imputata e veniva ammessa la costituzione di parte civile di S.O.. All'udienza del 16.06.2021, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale e venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti. Veniva escussa la teste addotta dal PM Ass.te C.C.C. in servizio c/o la Sezione P.G. e acquisita documentazione (due memorie della costituita parte civile e relativi allegati, supporti informatici DVD e chiavetta con registrazioni conversazioni tra A. e O.: trascrizioni dei files; screenshots). All'udienza del 13.10.2021, variato giudicante, in ossequio alla Sentenza SS.UU. 41736 del 2019 le parti si riportavano integralmente alle richieste di prova già formulate in corso di giudizio, nulla eccependo a che la rinnovazione del dibattimento avesse luogo tramite lettura delle deposizioni testimoniali rese dal teste già esaminato e degli atti assunti o acquisiti al fascicolo del dibattimento. Veniva escusso il teste O.S., in qualità di persona offesa. All'udienza del 3.11.2021 il procuratore della p.c. chiedeva rinvio per sentire un proprio teste e faceva richiesta di sbobinare i file presenti nel fascicolo. Nulla opponendo le altre parti, il Giudice rinviava per testi della P.C. e si riservava sull'ammissione della perizia richiesta. All'udienza del 12.01.2022 veniva escussa la teste M.P.O. (madre della parte offesa). All'udienza del 18.05.2022 veniva escusso il teste O.A. (padre della parte offesa. All'udienza del 25.05.2022 la difesa della P.C. chiedeva che venisse nominato un perito per svolgere attività peritali sul cellulare (su DVD e chiavetta USB) ed il Giudice, sciogliendo la riserva, ammetteva la perizia e rinviava al 13.07.2022 per giuramento del perito informatico. L'udienza del 13.07.2022 veniva rinviata in accoglimento dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento presentata dal difensore. Prescrizione sospesa ex lege. All'udienza del 19.10.2022 si dava atto dell'apertura della busta contenente la chiavetta USB e della presenza del perito informatico che prestava giuramento. All'udienza de 22.02.2023 le parti concordemente chiedevano breve rinvio. Nulla opponeva il PM.. All'udienza del 14.06.2023 si procedeva all'esame del perito informatico C.V., il quale illustrava la Relazione depositata in udienza. La difesa eccepiva la inutilizzabilità della stessa e le altre parti chiedevano il rigetto dell'eccezione. Il giudice acquisiva la perizia riservandosi sulla sua utilizzabilità. Le udienze del 12.07.2023 e del 27.09.2023 veniva rinviate a seguito di richiesta del difensore. Prescrizione sospesa per gli interi periodi. All'udienza del 22.11.2023, la parte civile depositava memoria che veniva acquisita nulla opponendo le altre parti. Pertanto, esaurita la fase istruttoria, dichiarata l'utilizzabilità degli atti allegati al fascicolo per il dibattimento dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 553 c.p.p. e di quelli successiva- mente acquisiti nel corso del giudizio, si dichiarava chiuso il dibattimento e si invitavano le parti a concludere, come da verbale di udienza Veniva, quindi, pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo. All'esito dell'istruttoria dibattimentale è risultata la fondatezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell'ipotesi accusatoria, l'imputata deve essere riconosciuta colpevole del reato ascrittole. Con sentenza n. 4832 del 6 dicembre 2022, la Corte di Cassazione ha chiarito il significato da attribuire alla locuzione "oltre ogni ragionevole dubbio", presente nel testo novellato del richiamato art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all'affermazione di responsabilità dell'imputato. Si è osservato che con detta espressione è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale (SS.UU. 10 luglio 2002, n. 30328), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell'imputato. Infatti, la condanna può essere pronunciata a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Cass. pen. 17921/2010; Cass. 2548/2015; Cass. 20461/2016). La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, infatti, in caso di prospettazione di un'alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, "in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile" (cfr., Cass, pen., sez. IV, 7 giugno 2011, n. 30862; conf., Cass, pen., sez. IV, 25 marzo 2014, n. 22257). L'imputata, non partecipando al processo, non ha fornito alcuna ipotesi alternativa finalizzata almeno a far sorgere un dubbio sulla volontarietà della propria condotta. La teste C. riferiva di aver acquisito atti e files forniti da O. provvedendo a sentirli e a trascriverli in modo sintetico e non integralmente. Precisava che O. le aveva consegnato una chiavetta con registrazioni e lei aveva riversato i files contenuti in un DVD. Precisava dall'ascolto emergeva che l'O. parlava con una donna chiamandola S. e parlavano della loro figlia. La p.c. O. riferiva di essere stato sposato con la A. dal 2009 al 2017, poi era intervenuta la separazione formalizzata in un accordo tra le parti nel settembre 2017. Riferiva che nell'accordo erano previsti i giorni e gli orari di visita della minore ma che, dopo qualche settimana dall'accordo, la A. aveva iniziato a non rispettare quanto sottoscritto. Riferiva di non essere riuscito a parlare con la figlia e di non averla potuto prendere all'uscita dell'asilo in quanto la A. aveva detto alla maestra che solo lei poteva prendere la figlia. Riferiva di aver diffidato la maestra e che da quel momento la bambina non era stata più mandata all'asilo. Precisava che andava a prendere la figlia ma non gli dicevano dove fosse e di aver dovuto chiamare più volte le forze dell'ordine. Precisava di aver sempre versato il mantenimento e che la A., in teoria gli diceva che poteva prendere la bambina quando voleva ma in realtà non gliela faceva vedere e ostacolava anche le conversazioni con la minore. Riferiva che nel maggio 2018 era intervenuto il provvedimento del Tribunale e, finalmente era riuscito a vedere nuovamente la figlia dal gennaio 2018. Riferiva che la A. lo aggrediva e insultava quando cerca di vedere la figlia. Precisava che la prevenuta gli aveva creato problemi tutte le volte che aveva avuto la figlia con sé. Precisava che nel novembre 2018 mentre stava facendo una festa in casa la A. si era presentata per prendere la minore, aveva iniziato a urlare ed era stato costretto a chiamare i Carabinieri. Precisava che la prevenuta continuava a mandargli messaggi con insulti e a parlare male di lui alla figlia. A domande della difesa, la p.c. precisava che la prevenuta si prendeva cura della figlia. La teste O.M.P. riferiva che all'inizio i rapporti tra la p.c. e la prevenuta erano buoni e che, dopo dieci giorni dalla nascita della nipote F. la piccola era stata affidata ai nonni perché entrambi i genitori lavoravano. Precisava che quando i genitori di F. avevano iniziato a discutere non aveva potuto più vedere la nipote sino a quando non era intervenuto un provvedimento del Tribunale. Precisava che, comunque, prima dei provvedimenti del Tribunale, la prevenuta un giorno aveva portato via la bambina con la forza e in un'altra occasione, nel novembre 2018 mentre stavano facendo una festa a casa del figlio la A. si era presentata per prendere la minore, aveva iniziato a urlare, tanto da essere costretti chiamare i Carabinieri. A domande della p.c., la teste precisava che erano stati tantissimi gli episodi nei quali la prevenuta aveva negato al padre di vedere la figlia o gli aveva impedito di parlarle. A domande della difesa, ribadiva che gli episodi erano stati tantissimi e che aveva descritto solo i più eclatanti. Il teste O.A. di essersi preso cura della nipote F. sin dalla nascita e che, successivamente al 2017 la prevenuta gli aveva impedito di vederla o prenderla. Precisava che il padre era stato costretto a chiamare i Carabinieri a causa del comportamento della prevenuta. Riferiva che, nonostante avesse la delega scritta del padre della bambina per poterla accompagnare in piscina nei giorni che spettavano al padre, la prevenuta si era opposta. Riferiva che nel 2018 il figlio non riusciva neppure a parlare con la bambina, in quanto la prevenuta riferiva che la bambina non c'era A domande della difesa, il teste precisava che la p.c. era titolare di una ditta edile e lavorava dalla mattina sino alla sera. Precisava che successivamente la situazione si era regolarizzata. Il teste C. riferiva sulle modalità di redazione della perizia, sulle operazioni svolte, su ricezione reperti, sulla strumentazione utilizzata e in risposta al quesito "provveda il perito ad esaminare il contenuto della chiavetta, indicando i dati che contiene, indicando giorno, ora e provenienza al fine di identificare i fatti" concludeva che: "dall'ascolto dei 122 files audio, di interesse processuale, presenti nella cartella "Telefonate messaggi" erano emerse tre voci parlanti, una maschile, presumibilmente la p.c. O.S., una femminile, presumibilmente A.S. e una infantile, presumibilmente F." Dalla lettura delle trascrizioni delle telefonate intercorse tra i genitori della minore F. emerge la volontà della prevenuta impedire e/o ostacolare i rapporti della minore con il padre o di subordinarli all'erogazione di somme. Si precisa che la p.c. ha prodotto copia di bonifici anche per rimborso spese. Emerge anche una eccessiva acredine, supportata da un linguaggio volgare, della prevenuta nei confronti di O.S.. Ad analoga conclusione, si perviene leggendo gli screenshots dei messaggi whatsapp nonché tutta la documentazione prodotta dalla parte civile ritualmente acquisiti. La parte civile, nella memoria depositata, faceva proprie le conclusioni del perito C. e ripercorreva i fatti per cui è processo, trascrivendo le telefonate intercorse tra le parti. Ora, è evidente che le dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, risultano la principale fonte probatoria del processo (Cass., Sentenza 28 gennaio 2015, n. 4166). Si richiede "un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell'interesse patrimoniale vantato" (Cass. n. 28837/2020). Le Sezioni Unite della Corte hanno definitivamente chiarito che "le regole dettate dall'articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (SS.UU. n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri). Non è superfluo rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte Suprema, in tema di valutazione probatoria, la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest'ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa (Cass.: Sez. 5°, 1.6.1999, n. 6910, Sez. 6°, 4.3.1994, n.2732 e Sez. 1°, 18.3.1992, n.3220). Inoltre, secondo Cass. 33162/2004, " la deposizione della parte offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato purché sia sottoposta ad indagine positiva circa la sua attendibilità. Infatti, alle dichiarazioni indizianti della persona offesa non è indispensabile applicare le regole di cui ai commi terzo e quarto dell'art. 192 cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni. Tuttavia, considerato l'interesse di cui la parte offesa è portatrice, più accurata deve essere la valutazione e più rigorosa la relativa motivazione ai fini del controllo d'attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone: in tale ottica, può concretamente apparire opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi". Nel caso di specie, la valutazione di attendibilità della persona offesa supera positivamente l'uso di tale doverosa accortezza, avuto riguardo alle ulteriori dichiarazioni testimoniali e alla documentazione acquisita, non essendo, peraltro, emersi elementi che contrastino le risultanze processuali. Secondo il pacifico insegnamento della Suprema Corte (Sez. 6, n. 22911 del 19/02/2013, 1., Rv. 255621; Sez. 5, n. 28561 del 28/03/2018, G., Rv. 273545), secondo cui integra il reato previsto dall'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente di abituale dimora (Cass. n. 24325/2023). L'elemento soggettivo del reato di sottrazione di minori è integrato dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di sottrarre il minore all'altro genitore esercente la potestà genitoriale e di trattenerlo presso di sé contro la volontà dell'altro (Sez. 6, n. 21441 del 18/02/2008): profilo, questo, congruamente evidenziato dalle dichiarazioni testimoniali e dalla documentazione acquisita che rendono palese la chiara manifestazione della volontà di rendere impossibile, o quantomeno molto difficoltoso, l'esercizio delle facoltà e dei diritti riconnessi alla potestà genitoriale del padre. La S.C. con la Sentenza 32005/2022 ha ribadito che la sottrazione di minore descritta dall'articolo 574 cod. pen. possa essere attuata anche in assenza di coercizione assoluta, mediante una condotta semplicemente rivolta a "ostacolare gli incontri del figlio con il padre". Può dunque essere sufficiente a integrare il reato la proposizione di ostacoli "che non abbiano carattere e durata meramente simbolica" e che "impediscano la coltivazione di un rapporto stabile e continuativo tra il figlio e un genitore". All'esito dell'istruttoria dibattimentale, pertanto, si ritiene che siano emersi tutti gli elementi costitutivi del reato per il quale si procede e la ascrivibilità dello stesso all'imputata. Per quel che concerne il dettato dell'art. 131 bis c.p., appare al Tribunale che sussistano preclusioni alla sua applicazione in quanto, considerato il comportamento del reo, la condotta non appare occasionale. Per dominante giurisprudenza della Suprema Corte (Sentenze n. 13379 del 12/01/2017; n. 48315 del 11/10/2016; n. 30134 del 05/04/2017; n. 48318 del 11/10/2016; n. 14845 del 28/02/2017), la causa di non punibilità, integrata dalla particolare tenuità del fatto ex articolo 131-bis c.p,, non può essere applicata, secondo previsione testuale, ai reati necessariamente abituali ed a quelli eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica (Cass. Sentenza 1 aprile 2022 n. 12013). Inoltre, sempre considerando il comportamento processuale dell'imputata e facendo proprie le motivazioni della Sentenza Cass. n. 16/2020 non si ritiene di applicare la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p. stante il clima di intensa conflittualità tra le parti, E', quindi, pienamente provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale della prevenuta in ordine al reato ascrittole Tenuto conto della natura e della gravità del reato contestato, del comportamento processuale dell'imputata nonché, in generale, dei parametri di cui all'art. 133 c.p., si ritiene congrua la pena di mesi 8 di reclusione (pena base anni 1 di reclusione - 1/3 generiche). La condotta dell'imputata ha certamente cagionato alla parte offesa dei danni economici e anche tipicamente non patrimoniali, sub specie di danni morali, che devono essere risarciti, previa liquidazione in separata sede. Considerato il comportamento processuale dell'imputata e la tipologia del reato, visto l'art. 165 c.p.p. subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 5.000,00 come da dispositivo. Infine, l'art. 541 c.p.p. impone alla condannata la rifusione delle spese processuali di costituzione di parte civile che possono liquidarsi nella misura di cui al dispositivo. Alla pronuncia di affermazione della penale responsabilità segue l'obbligo dell'imputata al pagamento delle spese sostenute dallo Stato per il presente giudizio. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara A.S. colpevole del reato ascrittole e, concesse le attenuanti generiche, la condanna alla pena di mesi 8 di reclusione (pena base anni 1 di reclusione - 1/3 generiche) oltre il pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 539 c.p.p. condanna A.S. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata Sede. Visto l'art. 539 c.p.p., su richiesta della parte civile, condanna A.S. al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva che si quantifica in complessivi Euro 5.000,00 in favore della costituita parte civile. Visto l'art. 541 c.p.p. condanna A.S. al pagamento delle spese processuali a favore della costituita parte civile e che liquida in Euro 2.500,00, oltre S.G., spese e imposte come per legge. Visto l'art. 165 c.p. subordina la sospensione condizionale della pena al pagamento della indicata provvisionale entro il termine di 90 giorni dalla data odierna. Riserva in giorni 90 il deposito delle motivazioni. Così deciso in Frosinone, il 22 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FROSINONE in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Antonio Ruscito, all'udienza del 01.06.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Ro.An., nata a C. il (...), con domicilio ivi dichiarato in via Ma. 343; libera, ASSENTE assistita e difesa di fiducia dall'Avv. Ma.Ro. del Foro di Frosinone; IMPUTATA del delitto di cui agli artt. 81, 640 ter, I e III c. e 615 ter c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, intervenendo senza diritto su dati telematici relativi alla carta di credito della Ba. intestata a Ma.Cl. e quindi con indebito utilizzo della sua identità digitale, effettuava due pagamenti in favore di "(...)" (gestore telefonico) per ricaricare la propria utenza cellulare (...) rispettivamente di 10 e 5 Euro, così procurandosi il corrispondente ingiusto profitto. Con la recidiva specifica ed infraquinquennale. Persona offesa: Ma.Cl., nato a C. dei V. il (...) MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto emesso il 03.12.2021, il GUP presso il Tribunale di Roma disponeva il giudizio nei confronti di Ro.An., come sopra generalizzata, per rispondere dei delitti di cui agli artt. 81, 640 ter, co. 1 e 3, e 615 ter c.p., in Roma il 18.06.2020, con recidiva specifica ed infraquinquennale. All'udienza del 12.05.2022 (dinanzi ad altro titolare) veniva disposta la rinnovazione della notifica nei confronti dell'imputata; all'udienza del 24.11.2022 (dinanzi al sottoscritto, subentrato nel ruolo), in dichiarata assenza della Ro., si disponeva sulle istanze istruttorie; all'udienza del 30.03.2023 venivano sentiti i testi Ma., che dichiarava di rimettere la querela, e Ro., con acquisizioni documentali; la difesa rinunciava a tutti i testi diversi da E. Liberato; all'udienza del 01.06.2023, preso atto della rinuncia anche a quest'ultimo e prodotto dalla stessa difesa un verbale di perquisizione, si procedeva alla discussione; all'esito della conseguente camera di consiglio, veniva emesso dispositivo di sentenza e riserva dei motivi. Ro.An. risponde dei reati di accesso abusivo a sistema informatico e di frode informatica aggravata in danno di Ma.Cl., per i fatti e nei tempi descritti nel capo di imputazione. Nel rendere esame dibattimentale, quest'ultimo ha in sintesi dichiarato quanto segue (anche grazie a contestazioni probatorie in presenza di carenze nel ricordo): di conoscere la Ro. per amici in comune; la proposizione della querela in data 03.07.2020 derivava dal rinvenimento di anomalie sul suo bancomat, costituite dalla mancanza di una somma di circa 15 Euro; il 18 giugno riceveva, infatti, un messaggio da Ba. che lo avvisava di un pagamento di tale importo con la sua carta bancomat; a distanza di poco tempo riceveva un altro messaggio avente ad oggetto un prelievo a debito di 5 Euro, sicché aveva compreso che c'era qualcosa che non andava, non avendo lui fatto quelle operazioni; la carta non aveva disponibilità ulteriore, non ricordando se l'avesse perciò bloccata e meno; l'operatrice del call center, poi contattato, lo informava che si trattava di due pagamenti per ricariche di telefoni effettuati online; con Ro.An. non vi era alcun rapporto di frequentazione e lui non aveva elementi per ricondurre i prelievi alla stessa, la cui individuazione gli era stata comunicata in un secondo momento dai Carabinieri. Come anticipato, in sede di escussione, il Ma. rimetteva espressamente la querela. È stato inoltre sentito Re., all'epoca dei fatti Comandante della Stazione dei Carabinieri di Castro dei Volsci, il quale ha riferito dell'attività di P.g. espletata nei seguenti termini: in seguito alla proposizione della querela da parte di Ma.Cl. per due ammanchi su carta, rispettivamente da 5 e 10 Euro, contattavano la W. ed apprendevano che la transazione si riferiva ad un'utenza telefonica intestata a Ro.An.; non furono svolte verifiche sull'effettiva disponibilità dell'utenza. Sono stati inoltre acquisiti i seguenti documenti: 1) dettaglio delle operazioni eseguite il 18.06.2020 sull'utenza (...) n. (...), per l'appunto pari a 10 e 5 Euro; 2) stampa (...) da cui si evince l'intestazione del numero all'imputata; 3) estratto conto Un. comprensivo delle due operazioni in questione; 4) querela del 03.07.2020 a fini di procedibilità. La difesa, infine, ha prodotto la copia di un verbale di perquisizione eseguita dai Carabinieri di Ceccano il 29.04.2020 nei confronti di Ro.An., con rinvenimento anche di uno smartphone contenente la scheda riferibile al numero (...); nello stesso atto è riportata una dichiarazione resa da E.A., figlio dell'imputata, il quale affermava che quell'utenza era sempre stata nella sua disponibilità ed in uso esclusivo. Ebbene, il delitto di cui all'art. 615 ter c.p., siccome procedibile a querela, risulta estinto in forza dell'espressa remissione formalizzata dalla persona offesa, a fronte della quale l'imputata, sempre assente in dibattimento e rappresentata da un difensore di fiducia, non ha palesato alcun contegno significativo al fine di ipotizzare una ricusazione tacita ex art. 155 c.p. Ne consegue, a riguardo, l'emissione di una sentenza di non doversi procedere per la predetta causale, ponendo a carico della Ro. le spese processuali di riferimento ex art. 340, u.c., c.p.p. Quanto al delitto di cui all'art. 640 ter, co. 1 e 3, c.p. - invece procedibile d'ufficio alla luce della contestata circostanza aggravante di certo configurabile in ordine ai fatti emersi (cfr. Cass. pen. 40862/2022 secondo cui "in tema di frode informatica, la nozione di "identità digitale ", che integra l'aggravante di cui all'art. 640-ter, comma terzo, cod. pen., non presuppone una procedura di validazione adottata dalla Pubblica amministrazione, ma trova applicazione anche nel caso di utilizzo di credenziali di accesso a sistemi informatici gestiti da privati. (Fattispecie in cui è stata ritenuta l'aggravante in un caso di accesso abusivo a un servizio di "home banking"). " -, alla luce dei compendiati elementi da valutare, emerge una prova adeguata della prospettazione accusatoria di fondo, non residuando alcun dubbio sul fatto che Ma.Cl. subì un accesso abusivo al sistema informatico della propria carta di credito, grazie al quale l'autore eseguì in suo danno le due ricariche sopra indicate. Tuttavia, non può pervenirsi alla medesima conclusione in ordine all'identificazione nell'imputata nell'effettiva autrice della condotta. Se, difatti, è vero che l'utenza telefonica destinataria degli accrediti corrispondenti è risultata intestata proprio alla Ro., nel caso di specie la sua responsabilità finirebbe per ancorarsi a questo solo dato formale, in difetto di altri elementi di pur minimale riscontro atti a consolidare il quadro accusatorio in termini tranquillizzanti, di modo che neppure può essere valorizzata l'assenza di una versione alternativa correlata all'omessa presentazione nel corso del dibattimento, dal momento che: 1) nessun approfondimento è stato espletato sull'effettivo utilizzatore della scheda telefonica, di modo che non può ragionevolmente escludersi che la Ro. potesse essere del tutto ignara delle operazioni telematiche per cui si procede; 2) pur trattandosi di attività di P.g. antecedente al giugno 2020, le risultanze del verbale di perquisizione prodotto dalla difesa forniscono un elemento di verosimile supporto rispetto a tale ultima ipotesi. Pertanto, dall'istruttoria dibattimentale non è dato inferire una prova sufficiente della penale responsabilità dell'imputata per il delitto di frode informatica, secondo i canoni di cui all'art. 533 c.p.p., ragion per cui deve emettersi nei suoi confronti una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, sia pur con formula dubitativa. Il carico di ruolo di udienza giustifica la riserva dei motivi nel termine di giorni sessanta ex art. 544, co. 3, c.p.p. P.Q.M. IL TRIBUNALE Visto l'art. 531 c.p.p., DICHIARA non doversi procedere nei confronti di Ro.An. per il reato di cui all'art. 615 ter c.p., essendo estinto per intervenuta remissione di querela, ponendo a suo carico le spese del procedimento; visto l'art. 530, co. 2, c.p.p., ASSOLVE Ro.An. dall'ulteriore imputazione ascrittale in rubrica, per non aver commesso il fatto. Motivi riservati in giorni sessanta. Così deciso in Frosinone l'1 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI FROSINONE Sezione Penale in composizione monocratica, in persona del Giudice Aurora Gallo, nel procedimento penale di primo grado a margine indicato, all'udienza del 18 maggio 2023, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: An.Ma., nato a P. il giorno (...), residente a P., via Strada P., n. 252, domiciliato in An., via L. P., n. 10; detenuto per altra causa, già rinunciante a comparire assistito e difeso di fiducia dall'Avv. Gi.Ba., del foro di Frosinone; IMPUTATO Del reato p. e p. dall'art. 385 commi 1 e 3 c.p. perché, detenuto in detenzione domiciliare in An. via L. P. n. 10, come da ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Perugia n. 1431/2017 del 7 dicembre 2017, evadeva. Fatti commessi in Alatri il 10 maggio 2018 Recidiva commi 1, 2 n. 1 c.p. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con decreto emesso in data 21 novembre 2020 dal Pubblico Ministero presso la locale Procura della Repubblica, An.Ma. è stato citato a giudizio dinanzi al Tribunale di Frosinone, in composizione monocratica, per rispondere del reato a lui ascritto, riportato nella imputazione in epigrafe. Disposti tre rinvii del procedimento per i motivi meglio precisati nei verbali in atti (v. verbale del 1 aprile 2021, del 30 settembre 2021 e del 24 febbraio 2022), all'udienza del 30 giugno 2022 è stato dichiarato aperto il dibattimento e sono state ammesse le prove richieste dalle parti; il procedimento è stato quindi rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale. All' udienza del 16 gennaio 2023 è stato escusso il teste Ma.Gi. ed è stata acquisita al fascicolo la documentazione prodotta dal P.M. All'odierna udienza, essendo esaurita l'attività istruttoria, si è quindi disposta la discussione orale, al termine della quale, sulle conclusioni formulate dalle parti sopra trascritte, è stata pronunciata la sentenza di cui al dispositivo, pubblicato mediante lettura. 2. Le risultanze istruttorie ritualmente acquisite nel contraddittorio dibattimentale consentono di ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato per il reato di evasione ascrittogli. In particolare, dalla documentazione acquisita al fascicolo e dalla deposizione resa dal teste escusso, Ma.Gi., è emerso che in data 5 luglio 2018, operanti di P.G. appartenenti alla stazione dei Carabinieri di Formia, in seguito ad una segnalazione pervenuta alla centrale operativa, si recavano all'altezza di via G. dove trovavano ed identificavano l'odierno imputato. L'operante di P.G. escusso ha altresì riferito che i controlli espletati consentivano di accertare che il prevenuto, precedentemente sottoposto a detenzione domiciliare con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Perugia del 7 dicembre 2017 (in esecuzione del provvedimento di cumulo pene SIEP n. 883/2013 della Procura Generale della Repubblica di Roma), misura da eseguirsi in An., in via L. P., n. 10, era destinatario di un decreto di sospensione cautelativa della detenzione domiciliare, emesso dall'Ufficio di Sorveglianza di Frosinone in data 21 maggio 2018 poiché lo stesso, a partire dal 10 maggio 2018, si era irreperibile presso la dimora in cui era sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare suddetta. Sono stati acquisiti al fascicolo l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Perugia 7 dicembre 2017, il decreto di sospensione cautelativa della misura alternativa del 21 maggio 2018 dell'Ufficio di sorveglianza di Frosinone, il verbale di udienza di convalida di arresto, nonché l'ordinanza del GIP di Cassino del 6 luglio 2018. 3. Le risultanze probatorie acquisite consentono di ritenere provato il fatto oggetto di contestazione. Deve ritenersi indubbio che l'imputato, sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare, da eseguirsi in An., via L. P., n. 10, si sia reso irreperibile presso la predetta dimora a partire dal 10 maggio 2018 (ragione per cui l'ufficio di sorveglianza di Frosinone aveva emesso, in data 21 maggio 2018, il decreto di sospensione cautelativa della detenzione domiciliare) e sia stato poi sorpreso dagli operanti di P.G. nel territorio del Comune di Formia il 5 luglio 2018. Non risulta, peraltro, che l'imputato avesse preventivamente ottenuto una qualche ulteriore autorizzazione da parte del Giudice competente che gli consentisse di allontanarsi dal luogo della detenzione domiciliare e non appaiono sussistere (né sono state prospettate) ragioni per dubitare della perdurante validità ed efficacia del titolo all'epoca del fatto. Non vi è inoltre alcun elemento che possa fondatamente far dubitare dell'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali rese dal teste escusso e delle circostanze rappresentate nel provvedimenti acquisiti al fascicolo. Tanto premesso, deve osservarsi che l'allontanamento, senza autorizzazione, dall'abitazione da parte della persona in stato di detenzione domiciliare integra il reato di cui all'art. 385 c.p., quale che sia la ragione che l'ha determinato, essendo del tutto irrilevanti i motivi che hanno indotto il soggetto a porre in essere la condotta (cfr. Cass. 6 marzo 2012, n. 10425; Cass. 8 maggio 2012, n. 19218), salvo che questi ultimi assurgano a dignità di esimente, situazione che non si ritiene ricorra nella fattispecie in esame. Ed invero, deve osservarsi che non è stata prospettata alcuna giustificazione dimostrativa della sussistenza dello stato di necessità, né sono emersi ulteriori elementi che consentano di ritenere configurabile una causa di giustificazione, idonea a scriminare la condotta realizzata dall'imputato. Come è noto, lo stato di necessità, idoneo ad escludere la sussistenza del reato di evasione, presuppone la sussistenza di una situazione di grave pericolo alla persona tale da non lasciare altra alternativa alla persona stessa che quella di violare il precetto penale (cfr. Cass. 10 giugno 2003, n. 33076). La causa di giustificazione di cui all'art. 54 c.p. postula, in sostanza, il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non altrimenti evitabile. I rilievi sopra esposti inducono pertanto ad escludere che l'A. sia trovato in una situazione di pericolo grave per la sua persona tale da avere caratteristiche di indilazionabilità e di cogenza che non gli hanno consentito altra alternativa che quella di allontanarsi dall'abitazione. Sussiste, inoltre, l'elemento psicologico richiesto ai fini della configurabilità del reato di evasione. E infatti noto che, nel defitto in esame, il dolo è generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente (cfr. Cass. 6 marzo 2012, n. 10425; v., altresì, Cass. 6 novembre 2008, n. 44969). Conseguentemente, alla stregua delle argomentazioni che precedono, avuto riguardo alle modalità del fatto accertate alla stregua delle risultanze probatorie illustrate, non può dubitarsi che l'imputato fosse pienamente consapevole di non disporre di alcuna autorizzazione per allontanarsi dal luogo di esecuzione della detenzione domiciliare. Conclusivamente, deve essere affermata la penale responsabilità di An.Ma. per il reato a lui ascritto, sussistendone gli elementi oggettivi e soggettivi. 4. Quanto alle circostanze del reato, la lettura del certificato del Casellario Giudiziale in atti consente di affermare la sussistenza dei presupposti della recidiva contestata, avendo l'A., peraltro già riconosciuto recidivo, riportato diverse condanne, una delle quali per reato analogo a quello oggetto del presente procedimento. La personalità dell'imputato, quale si desume dai precedenti risultanti dal casellario, unitamente alle modalità della condotta accertata nel presente procedimento, rivela una più consapevole risoluzione criminosa ed appare significativa di una più elevata pericolosità sociale e di una maggiore rimproverabilità personale, evidentemente non scalfita dai moniti giudiziale già subiti, potendosi ritenere che egli sia dotato di una più accentuata capacità a delinquere, non avendo esplicato un effetto deterrente le intervenute sentenze di condanna, anche per reato analogo a quello per cui oggi è processo. 5. Non sono emersi elementi che giustifichino il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ostandovi i precedenti penali di cui è gravato l'imputato e le modalità della condotta, in considerazione del lungo periodo di tempo in cui l'imputato si è sottratto alla misura detentiva, atteso che l'A. si è reso irreperibile presso la dimora a partire dal 10 maggio 2018 ed è stato sorpreso dagli operanti di P.G. nel territorio del Comune di Formia il 5 luglio 2018. La cornice edittale prevista per la fattispecie incriminatrice appare inoltre idonea all'irrogazione di una pena proporzionata alla gravità del fatto. Deve peraltro rilevarsi che non sussiste neppure un obbligo per il Giudice di giustificare, sotto ogni possibile effetto, l'affermata insussistenza dei presupposti del diritto alla concessione, e piuttosto, imponendosi la necessità di motivare la positiva meritevolezza, mai scontata in sé, né presunta, del beneficio ex art. 62-bis c.p. (così Cass. 20 gennaio 2015, n. 8906 e Cass., 18 maggio 2017, n. 46568). 6. Venendo al trattamento sanzionatone, applicati i parametri commisurativi di cui all'art. 133 c.p., si ritiene congruo comminare all'imputato la pena finale di anni uno e mesi otto di reclusione: pena base, non contenibile nel minimo edittale, avuto riguardo alle modalità della condotta e alla particolare capacità a delinquere dell'imputato, gravato da precedenti come si evince dal certificato del Casellario in atti, determinata in anni uno e mesi tre di reclusione, aumentata, per la recidiva contestata, di mesi cinque di reclusione. Alla declaratoria di penale responsabilità consegue, per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. Al riconoscimento dei benefici di legge ostano i precedenti penali di cui è gravato l'imputato. Non può inoltre procedersi all'applicazione delle semilibertà, della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità sostitutivi ex artt. 55, 56 e 56-bis L. 24 novembre 1981, n. 689 in considerazione dell'assenza, al momento della lettura del dispositivo e degli avvisi di cui all'art. 545 bis c.p.p., sia dell'imputato che di un procuratore speciale nominato a tal fine dal prevenuto. La natura delle questioni trattate ha giustificato l'indicazione del termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara An.Ma. colpevole del reato a lui ascritto e, tenuto conto della recidiva contestata, lo condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 544 c.p.p., indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione Così deciso in Frosinone il 18 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Tribunale di Frosinone, composizione monocratica, in persona della dott.ssa Fiammetta Palmieri, alla udienza del 23 maggio 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Co.An. nato a F. il (...), ivi res.te in via C. T. N. n. 81, assistito dal difensore di fiducia Avv.to Cl.Co. del foro di Frosinone, con studio in via (...) (nomina del 17.09.2018); LIBERO-ASSENTE IMPUTATO per il reato p. e p. dall' art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e successive modifiche, perché, quale legale rapp.te della società "Th." S.r.l. con sede in F., al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ometteva di presentare, pur essendovi obbligato, la dichiarazione dei redditi annuale per l'anno 2016 con imponibile non dichiarato pari a Euro 401.366,00 (IRES evasa pari a Euro 110.376,00). Fatti commessi in Ferentino fino al 29 agosto 2017 Recidiva ex art. 99 comma 1 e 2 n. 2, c.p. ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso dai P.M. in data 14/05/2019, si procedeva nei confronti di Co.An., in epigrafe generalizzato, chiamandolo a rispondere del reato sopra rubricato. All'udienza del 14/11/2019, dichiarata l'assenza dell'imputato e alla presenza del suo difensore, veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove come richieste dalle parti. All'udienza del 29/09/2020 svoltasi per la prima volta dinanzi a questo giudice, veniva ecusso il teste del P.M., luog. Mo.Ma. in servizio presso la Guardia di finanza di Anagni ed al termine della deposizione veniva acquisito il registro Iva della società "Th. srl". All'udienza del 13 dicembre 2022 cui si perveniva dopo un rinvio per assenza del testimone della difesa, la difesa rinuncia all'escussione del testimone e chiedeva un rinvio con sospensione del termine di prescrizione per l'intero periodo. All'udienza odierna le parti concludevano come sopra si è trascritto ed il giudice emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo. Il fatto è stato ricostruito in seguito all'attività ispettiva svolta nel corso della verifica fiscale da parte della Guardia di Finanza di Anagni nei confronti della s.r.l. "Th." di cui l'imputato era legale rappresentante quale amministratore prima e liquidatore poi. Il teste Mo. della Guardia di Finanza ha premesso che l'attività era iniziata in quanto la società non aveva presentato alcuna dichiarazione fiscale ai fini delle imposte dirette, in particolare era stato accertato che per l'anno 2016 non aveva presentato alcuna dichiarazione sino all'ultimo giorno utile, ovvero il 29 agosto 2017. Il teste aggiungeva che avevano acquisito la documentazione contabile della società e sulla base delle fatture attive e passive, dei registri iva, registro acquisto e vendite, registro dei partitari economici "erano stato ricostruite le componenti attive e passive reddituali per quanto riguarda i ricavi è stata eseguita la riconciliazione delle fatture attive con le registrazioni nei registri IVA, accertato un ricavo per circa Euro 915.356,06., per quanto riguardo le componenti passive reddituali sono stati presi in considerazione i partitari accesi ai conti economici passivi, le fatture di acquisto controllando che fossero regolarmente registrate e sono state addirittura considerate le buste paga, nonostante ci fosse l'assenza del modello 770 e qualsiasi tipo di versamento, arrivando a quantificare le componenti negative reddituali per circa 413 mila Euro. Naturalmente è stata fatta la differenza fra componenti positive e componenti negative, determinando una base imponibile di circa 402 mila Euro, considerato che l'aliquota vigente nel 2016 era al 27 e mezzo per cento, aveva all'incirca una imposta evase di 110 mila Euro" Alla luce di tali elementi in fatto può ritenersi la sussistenza del reato contestato. Invero, l'art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, pur essendovi obbligato, una delle relative dichiarazioni annuali, quando l'imposta evasa sia superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad Euro cinquantamila (come, per l'appunto, nel caso in esame in relazione alla legge in vigore al tempo di commissione del fatto). Si tratta di un delitto di pura omissione che si realizza, ipso facto, con l'omessa presentazione, da parte del soggetto tenuto all'adempimento, di una delle dichiarazioni annuali relative o all'imposta sui redditi o quella sul valore aggiunto. Poiché è stato oggettivamente acclarato che il prevenuto non ha presentato la dichiarazione per il 2016 è conseguente che egli ha commesso il reato di omessa dichiarazione, così come contestatogli. Peraltro la difesa non ha offerto alcun tipo di documentazione od ulteriore elemento atti a contrastare l'accertamento svolto dalla Guardia di Finanza sulla base della documentazione contabile reperita. A ciò si può aggiungere che, ai sensi dell'art. 55 comma 1 D.P.R. n. 633 del 1972 "se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale ...si può procedere in ogni caso all'accertamento dell'imposta dovuta indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità. In tal caso l'ammontare imponibile complessivo e l'aliquota applicabile sono determinati induttivamente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza dell'Ufficio e sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dai contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell'art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33". In secondo luogo per la Suprema Corte è ormai principio consolidato quello secondo cui, in tema di reati tributari, ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all'art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000, il giudice penale può "legittimamente avvalersi dell'accertamento induttivo dell'imponibile compiuto dagli uffici finanziari". D'altronde, "in sede tributaria l'avviso di accertamento è l'atto con cui l'Erario promuove la pretesa all'esatto adempimento dell'obbligazione tributaria: esso è atto di impulso che per la sua validità deve possedere specifici requisiti il cui rispetto è presidiato dalla sanzione di nullità che paralizza la pretesa stessa. In sede penale l'avviso di accertamento subisce, però, una trasformazione genetica: esso non è più atto di impulso, ma documento che veicola informazioni" (Corte di Cassazione Sentenza n. 36491/2019). Da questo punto di vista è legittimo, dunque, che il giudice valuti - e fondi il proprio convincimento in tema di responsabilità dell'imputato - sia sulle risultanze dei verbali di constatazione o delle informative redatti dagli organi verificatori che sull'accertamento induttivo dell'imponibile operato dall'ufficio finanziario quando non è soddisfatto l'onere difensivo che impone di specificare l'incidenza decisiva ai fini della decisione assunta dal giudice di ulteriori elementi ed a fronte di una non corretta tenuta della contabilità. In buona sostanza, quindi, l'accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari costituisce un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge. Pertanto non può che ritenersi sussistente il delitto contestato all'imputato, essendo evidente che l'omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa all'anno 2016 era finalizzata ad evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non avendo peraltro l'imputato, rimasto assente, allegato una versione alternativa al fine di evasione. Il C. pertanto, deve essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli in rubrica, risultando pienamente integrata la relativa fattispecie. Il fatto non può essere considerato di particolare tenuità, per l'entità dell'imposta evasa, che supera di molto la soglia di punibilità. Passando ora all'individuazione del trattamento sanzionatorio, alla luce dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. si reputa congruo irrogare all'imputato ,non potendo essere ritenuto meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche non essendo emerso alcun elemento favorevole da valutare al riguardo, una pena che risulti idonea e proporzionata al tipo di condotta realizzata in termini di dolosa e preordinata scelta di non presentare la dichiarazione dei redditi e ciò con la finalità di evasione delle relative imposte, relative all'anno di riferimento 2016. Al riguardo deve in tale direzione essere ritenuta congrua la pena di anni due di reclusione, da computarsi partendo da una pena base, ex art. 5 co. 1 D.Lgs. n. 74 del 2000, pari ad anni uno e mesi sei di reclusione, aumentata a quella indicata alla stregua della contestata recidiva, obiettivamente sussistente in ragione della tipologia e del numero dei precedenti penali che gravano sul C. elementi questi che appaiono sintomatici di una maggiore colpevolezza e pericolosità dell'agente. Ex lege consegue la sua condanna al pagamento delle spese processuali. La condanna comporta, ai sensi dell'articolo 12 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, l'applicazione delle pene accessorie ivi previste che, nel caso di specie, si reputa opportuno infliggere nella medesima misura della pena principale tenuto conto della carica di disvalore della condotta dal medesimo posta in essere. A ciò si aggiunge la interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria Deve essere disposta la confisca del profitto del reato ex art. 12-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, profitto che coincide, nel reato di omessa dichiarazione, con l'imposta evasa, che è stata determinata - come si è visto - in Euro 110.376,00. Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Co.An. responsabile del reato a lui ascritto e per l'effetto operato l'aumento per la contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 12, comma 1 D.Lgs. n. 74 del 2000 e 240 c.p. dichiara Co.An. per la durata di anni due: a) interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; b) incapace di contrattare con la pubblica amministrazione; c) interdetto dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; dichiara altresì il C. perpetuamente interdetto dall'ufficio di componente di commissione tributaria; visti gli artt. 12 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e 240 c.p. dispone la confisca del profitto del reato a lui ascritto pari ad Euro 110.376,00, ovvero laddove ciò non sia possibile la confisca dei beni del Co. per un valore equivalente, visto l'art. 544 terzo comma c.p.p., indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione della sentenza. Così deciso in Frosinone il 23 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Giudice Marta Tamburro, alla pubblica udienza del 9 giugno 2023, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Pl.Ma., nato a F. il (...), ivi residente in via degli U. 24. Libero assente Difeso di fiducia dall'Avv. Vi.Ga. IMPUTATO in ordine al reato p. e p. dall'art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, perché al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi e sanzioni dovute per Euro 239.945,74, importo complessivo delle cartelle di Eq. non pagate e notificate alla Pl. Srl nel periodo dal 25.01.2011 al 16.01.2015, di seguito dettagliate: Omissis Alienava simultaneamente e, comunque, compiva atti fraudolenti su propri beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva in atto. In particolare, in data 28.06.2013 veniva istituito il T.S.P. mediante dichiarazione unilaterale di atto istitutivo, a rogito notaio M.D.S., atto registrato presso l'Ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Cassino in data 22/07/2013 serie IT n. 1809, con la quale Pl.Ma., in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della Pl. Srl, vincolava la partecipatone della predetta società corrispondente a n. (...) di En. spa e n. (...) W. di En. spa al T.S.P., il cui trasferimento effettivo delle azioni e dei warrant segregati nel trust, come risulta dal Libro degli Eventi del T.S.P. e dalla documentazione bancaria della Mo., avveniva in data 09.03.2015. Acc. In Frosinone, il 09.08.2017 MOTIVI DELLA DECISIONE A seguito di decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in data 30.10.2020 si procedeva nei confronti di Pl.Ma., in epigrafe generalizzato, chiamandolo a rispondere del reato sopra rubricato. Alla prima udienza di comparizione delle parti del 7 maggio 2021, dichiarata l'assenza dell'imputato, la causa veniva rinviata in assenza del giudice titolare del procedimento, legittimamente impedito. Alla successiva udienza del 10 dicembre 2021 veniva dichiarato aperto il dibattimento e venivano ammesse le prove richieste dalle parti; quindi, all'udienza del 6 maggio 2022, veniva ascoltata la teste Ma.No.. La successiva udienza dell'11 novembre 2022 veniva rinviata per assenza giustificata dei testi autorizzati, mentre, all'udienza del 17 marzo 2023, veniva acquisita la consulenza tecnica a firma del dott. Ag.Tu. in luogo del suo esame. Quindi, si rinviava all'udienza del 9 giugno 2023 per la sola discussione. In tale data, sentite le richieste avanzate dalla difesa e dal P.M., all'esito della camera di consiglio, la causa è stata decisa con la presente sentenza pubblicata mediante lettura del dispositivo. Questi i fatti accertati, di cui deve essere riportata una sintetica esposizione al fine di chiarire che, effettivamente, come concordemente richiesto dalle parti, il termine di prescrizione del reato deve ritenersi ormai spirato. La teste Ma.No., escussa in qualità di funzionaria dell'Agenzia delle Entrate di Frosinone, in servizio presso l'ufficio controlli, ha riferito in ordine a delle verifiche effettuate a carico di Pl.Ma. in relazione ad alcune cartelle esattoriali allo stesso notificate tra il 2011 e il 2015 ed alla successiva alienazione di una parte di beni della società dallo stesso rappresentata e amministrata mediante l'istituzione di un Trust. La teste ha, infatti, riferito che veniva subito attenzionata l'istituzione di un Trust, avvenuta nel 2013 al fine di segregare i titoli di una società quotata (En. s.p.a.) e che tale operazione veniva completata il 9 marzo 2015. La teste ha quindi riferito che dalla disamina degli atti emergeva che, a fronte del Trust così istituito, per un valore di quasi sei milioni di euro, valore a sua volta costituito per io più dalle partecipazioni societarie sopra indicate, non venivano svolte solo operazioni di segregazione e gestione, come previsto dall'atto costitutivo, ma anche atti di alienazione. La teste ha, poi, meglio precisato che dall'atto di costituzione del Trust emergeva che il reddito prodotto dai titoli ben poteva essere utilizzato, ma non anche i titoli stessi costituenti il patrimonio stesso del Trust. Quindi, la teste Ma. ha affermato che, complessivamente valutata la funzione in concreto svolta dalla costituzione del Trust, emergeva che l'unica effettiva ragione della sua istituzione risiedeva nella esigenza di permettere al Pl. di sottrarre ai terzi e, in particolare, all'erario, all'INPS e all'INAIL, importanti garanzie patrimoniali, come dimostrato dal fatto che in tale lasso temporale la Pl. S.r.l. non versava i tributi dovuti. Interrogata sul punto, la teste ha poi confermato che il Trust veniva istituito successivamente alla notifica delle prime cartelle esattoriali, risalenti al 2011 e ha chiarito che negli anni 2015 e 2016 avvenivano grandi spostamenti di denaro con incameramento delle risorse frutto delle diverse vendite di titoli da parte di diverse società. Ora, a tale sintetica ricostruzione dei fatti, deve aggiungersi che, dal decreto di citazione diretta a giudizio del 28.9.2019 emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cassino e prodotto dalla difesa all'udienza del 9 giugno 2023 emerge chiaramente che l'odierno imputato è stato citato dinanzi al Tribunale di Cassino per rispondere sempre del reato di cui all'art. 11 comma 1 D.Lgs. n. 74 del 2000 per avere, in qualità di amministratore unico della Pl. s.r.l., trustee del Tr. compiuto atti fraudolenti consistiti nel trasferire a sette trust 1.461.660 azioni ordinarie, pari al 34, 73 % del capitale sociale nonché 254.400 warrants della En. s.p.a. sì da rendere inidonea la procedura di riscossione coattiva. Appare dunque evidente, dalla lettura delle imputazioni mosse nel presente procedimento ed in quello pendente presso il Tribunale di Cassino, che il reato di sottrazione fraudolenta la pagamento delle imposte è stato ravvisato, in questa sede, rispetto alla mera costituzione del Trust, da intendersi, in tesi accusatoria, simulato in quanto "autodichiarato" e, nel procedimento pendente presso il Tribunale di Cassino, nel trasferimento di azioni ordinarie ad altri sette trust facenti capo a familiari del Pl.. Ciò premesso, va subito evidenziato che l'art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000 sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Tanto premesso, va conseguentemente rilevato che la norma punisce due distinte condotte ovvero l'alienazione simulata ed il compimento di atti fraudolenti. Come osservato dalla giurisprudenza di legittimità pronunciatasi sul punto l'alienazione è "simulata" quando è finalizzata a creare una situazione giuridica apparente diversa da quella reale, quando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti. Per "atto fraudolento" (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, Rv. 268798, D.T.) deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla alienazione simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo più difficoltosa l'azione di recupero del bene in tal modo sottratto alle ragioni dell'Erario. Nel novero degli "altri atti fraudolenti" sono ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte (in tal senso Cass. Sez. 3 n.578/2017 T.), come ad esempio (cfr. Cass. Sez. 3 n. 3011 del 05/07/2016 Rv. 268798 D.T.) se posti in essere a tale fine, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili, la costituzione di un fondo patrimoniale, la costituzione fittizia di servitù, di diritti reali di godimento, la concessione di locazione, la ricognizione di debito. Ora, come è stato osservato dalla Suprema Corte chiamata a pronunciarsi proprio in un caso analogo, il carattere fraudolento di determinate operazioni negoziati presuppone, quale dato pressoché costante, che l'attività fraudolenta sia nascosta attraverso lo schermo formale di attività o documenti apparentemente regolari (Cass. Sez. 3, n. 40319 del 2016, S.) o l'adozione di un atto formalmente lecito - come l'alienazione di un bene - però caratterizzato da una componente di artificio o di inganno (Cass. Sez. 3, n. 25677 del 16/5/2012, C. e altro, Rv. 252996). Venendo al caso di specie, proprio con riferimento alla istituzione di un trust c.d. autodichiarato, è stato rilevato che: "realizzando il trust - anche ove lo si ritenga nullo secondo le norme del codice civile, perché sham trust, con la coincidenza tra disponente e trustee - il ricorrente ha creato uno schermo formale, un diaframma, tra il patrimonio personale e proprietà costituita in trust, nel quale è confluito il suo patrimonio immobiliare"-, e ancora che: "tale schermo formale però può cadere solo quando si riveli la situazione di mera apparenza; quando cioè emerga che, pur nella presenza formale del trust, l'indagato continui ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità, L'atto fraudolento allora, pur se ha natura di sham trust, rende più difficoltosa l'azione di recupero del bene, perché già con il trust è stato sottratto in un primo momento alle ragioni dell'Erario; in secondo momento perché comunque, essendo l'atto giuridico formalmente esistente, si dovrà dimostrare la sua nullità, procedendo giudizialmente per ottenere la sua eliminazione dal mondo giuridico e solo dopo procedere all'esecuzione sul bene". Ora, per quanto di interesse in questa sede, ove è stata riversata nell'imputazione la mera condotta di costituzione del trust, e fermo restando che i successivi atti di alienazione sono oggetto del separato giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Cassino (cfr. copia del decreto acquisita all'udienza del 9 giugno 2023), deve essere verificata la consumazione della fattispecie qui contestata. Anche sotto tale profilo la Suprema Corte (Sez. 3-, Sentenza n. 28457 del 28/04/2021), chiamata proprio a verificare la decorrenza del termine di prescrizione del reato di cui all'art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, ha avuto modo di precisare che il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è reato di pericolo eventualmente permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a mettere in pericolo l'adempimento dell'obbligazione tributaria (Sez.3 ". 37415 del 25/06/2012, dep. 27/09/2012, T., Rv. 253359). Il delitto in esame, pertanto, può manifestarsi anche attraverso una pluralità di condotte, tutte realizzate allo scopo di depauperare il patrimonio del soggetto debitore verso l'erario; in tal caso, per individuare il momento di consumazione del reato, occorre farsi riferimento al primo momento di realizzazione della condotta finalizzata ad eludere le pretese del fisco (Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, dep. 31/08/2016, C., Rv. 267648), tenendo presente che la consumazione coincide con la cessazione della permanenza. Orbene, nel caso di specie, tralasciando la condotta materiale della alienazione dei beni confluiti nel trust che, come visto, è oggetto di separato giudizio, in merito alla costituzione del trust emerge quanto segue: -in data 28 giugno 2013 veniva istituito il Tr., avente come "disponente" la Pl. s.r.l., come "trustee" la medesima società, come "guardiano" tale Fa.Em. e, infine, quali "beneficiari" i discendenti viventi al termine finale della durata del trust; - in data 9 marzo 2015 è avvenuto l'effettivo trasferimento delle azioni e dei warrant segregati nel trust. A sostegno di ciò, si osserva che fino a quella data la partecipazione di En. spa era rimasta nel bilancio della Pl.; - tali date venivano confermate dalle verifiche effettuate presso la banca Mo.. Ora, appare dunque evidente che, sebbene la istituzione del trust sia avvenuta il 28 giugno 2013, è certamente alla data del 9 marzo 2015 che bisogna fare riferimento al fine di individuare la consumazione della condotta. In effetti, è in tale data che la partecipazione di En. viene fatta confluire nel Trust, risentendo così dell'effetto di segregazione patrimoniale che, secondo la tesi accusatoria mossa nel presente giudizio, costituisce l'atto dispositivo diretto ad eludere le pretese dell'Erario. Pertanto, muovendo da tale data e posto che per tale fattispecie non è prevista l'applicazione dell'art. 17, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 74 del 2000 (laddove prevede l'aumento di un terzo del termine di prescrizione per determinate tipologie di reati), il termine massimo di prescrizione, individuato in sette anni e sei mesi, deve intendersi decorso in data 9 settembre 2022, non essendosi verificata nel corso del giudizio alcuna ipotesi di sospensione del corso della prescrizione. In conclusione, non emergendo in maniera evidente dagli atti del procedimento (art. 129, II comma, c.p.p.) alcun elemento per rilevare l'insussistenza del fatto o che l'imputato lo non lo abbia commesso, non resta che emettere una sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato Pl.Ma. in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione. Vista la natura articolata della motivazione ed in ragione del numero di procedimento complessivamente definiti, nel periodo, si è ritenuto opportuno riservare il deposito della motivazione in giorni quarantacinque. P.Q.M. Visti gli artt. 531 c.p.p. e 157 c.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Pl.Ma. in ordine al reato ascritto perché estinto per intervenuta prescrizione. Giorni quarantacinque per i motivi. Così deciso in Frosinone il 9 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Giudice Marta Tamburro, alla udienza del 26 maggio 2023, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Im.Da., nato ad A. il (...) residente ed elettivamente domiciliato in V. via Ci. M., 32 Libero assente Im.Da., nato ad A. il (...) residente ed elettivamente domiciliato in V. in Via Ci. M., 32 Libero assente Difesi entrambi di fiducia dall'Avv. Ma.Ma. IMPUTATI A) Del reato p. e p. dagli artt. 56; 110 e 610 c.p., poiché, in concorso tra loro, con violenza e minaccia consistite nello spintonare; mettere le mani in faccia; stringerlo al collo e porsi fisicamente innanzi al Be.Br. (ex dipendente della ditta Im.), dicendogli "ti spariamo se fai la vertenza di lavoro a nostro padre", titolare della citata ditta, così compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la parte offesa ad omettere di agire in sede giudiziale per la tutela dei propri diritti, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla loro volontà. Frosinone, via (...), il 07.02.2016 B) Del reato p. e p. dagli artt. 110; 582; 585 in relaz. Agli artt. 576; 61 n. 2 c.p., poiché, con le condotte di cui al capo A) e per commettere tale delitto, cagionavano lesioni personali "ESCORIAZIONI AL VOLTO" al Be.Br., con conseguente malattia giudicata guaribile in gg. 5 dal fatto lesivo. Frosinone, il 07.02.2016 Prescrizione max 07.08.2023 +280 gg (da ud 06.03.2020 a 11.12.2020) + 60 gg (ud 11.12.2020) + 60 gg (20.01.2023) per un totale di gg 400, prescrizione al 10.09.2024 PARTE CIVILE: Be.Br., nato a S. (F.) il (...), elettivamente domiciliato in Frosinone alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. Gi.De. che lo rappresenta e difende nel presente giudizio come da procura speciale depositata all'udienza del 1 aprile 2022, a seguito della revoca del precedente procuratore speciale. MOTIVI DELLA DECISIONE A seguito di decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in data 20.12.2019 si procedeva nei confronti di Im.Da. ed Im.Da., in epigrafe generalizzati, chiamandoli a rispondere del reato sopra rubricato. La prima udienza di comparizione delle parti del 6 marzo 2020 veniva rinviata stante l'adesione degli avvocati all'astensione dalle udienze penali, proclamata dal 06.03.2020 al 20.03.2020 dall'OCF, con prescrizione sospesa per l'intero periodo. L'udienza dell'11 dicembre 2020 veniva anch'essa differita stante il legittimo impedimento della difesa, con prescrizione sospesa come per legge. Le successive udienze del 28 maggio 2021 e del 19 novembre 2021 venivano, invece, rinviata in ragione dell'assenza non giustificata dei testi di cui era stata autorizzata la citazione. Quindi, all'udienza del 1 aprile 2022 venivano ascolti i testi Be.Br., De.Ro. e To.Lo.. Alla successiva udienza del 7 ottobre 2022 veniva revocata l'ordinanza ammissiva del teste Ci. e si rinviava all'udienza del 20 gennaio 2023, a sua volta differita per legittimo impedimento della difesa, sospesa la prescrizione per giorni 60. Quindi, all'udienza del 26 maggio 2023, dichiarata la difesa decaduta dalla prova testimoniale di Im.St., veniva dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale; quindi, le parti rassegnavano le relative conclusioni e la causa veniva decisa con la presente sentenza. Il presente procedimento trae origine da una denuncia querela presentata da Be.Br. presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Frosinone. Ascoltato in dibattimento, Be.Br. ha riferito che il 7 febbraio 2016 verso le ore 19:00, mentre si trovava in via A. M. e precisamente nei pressi del negozio "il Quadrifoglio" in compagnia di To.Lo., i due fratelli Im.Da. e Im.Da. lo raggiungevano sulla pubblica via e lo aggredivano. A tal proposito, il teste ha subito chiarito di conoscere bene gli odierni imputati in quanto loro padre, Im.St., era il suo datore di lavoro. Al riguardo, il Be. ha anche precisato che, poco tempo prima, tra egli e Im.St. vi erano stati dei contrasti per il rilascio di un certificato attestante il fatto che egli lavorava alle sue dipendenze, richiestogli dall'INAIL per il riconoscimento di una malattia professionale, nonché per la liquidazione del trattamento di fine rapporto. Ha quindi aggiunto che, in tale occasione, i due fratelli Im. aggredivano il Be. con spintoni, ponendogli le mani intorno al collo e sul volto, proferendo la frase: "Se fai la denuncia a mio padre ti sparo in fronte." Il teste ha poi spiegato che, nel frattempo, Im.Da. lo spingeva sino al punto di farlo cadere a terra. Sul punto il teste ha riferito testualmente: "la cosa era così grave che mi hanno soccorso al Pronto Soccorso, così sono andato a casa, per un paio di giorni sono stato dentro, poi sono andato per un controllo". Interrogato sul punto, il Be. ha ancora specificato che non era affatto deciso ad effettuare alcuna vertenza sindacale e su apposita sollecitazione difensiva sul punto, il teste ha chiarito che il suo datore di lavoro, Im.St., aveva poi provveduto a liquidargli quanto dovuto. Il Be. ha, infine, dichiarato che, dopo l'aggressione, veniva colto da un forte stato di ansia che perdurava per alcuni giorni, tanto da doversi recare al pronto soccorso ove gli veniva refertato uno "stato ansioso reattivo". Ha poi dichiarato anche che per un certo periodo si affidava alle cure di una psicologa. La teste De.Ro. ha riferito che, il giorno dei fatti, mentre era sul posto di lavoro sentiva delle urla; quindi, si affacciava unitamente alle altre colleghe e notava una certa confusione ma che, essendo passati alcuni anni, non ricordava con precisione la dinamica dei fatti. La teste To.Lo., testimone oculare della vicenda, ha riferito che, il giorno dei fatti per cui si procede, mentre si trovava in compagnia del Be.Br. con il quale stava facendo una passeggiata, sopraggiungevano due ragazzi, a lei sconosciuti, che iniziavano a spintonare il Be.. In particolare, questi aggredivano il Be. spintonandolo a terra e, nel fare ciò, pronunciavano la seguente frase: "se fai la vertenza a nostro padre ti spariamo in testa". Interrogata sulle condizioni del Be., la teste ha chiarito che questi veniva trasportato all'ospedale lamentando dei dolori al petto e alla testa, ma di non ricordare di preciso se presentasse delle ferite visibili. Così riassunta l'istruttoria dibattimentale, deve subito rilevarsi che i fatti accertati impongono una diversa qualificazione della condotta contestato sub A) che, a parere di questo giudice, non integra il reato di tentata violenza privata bensì di minaccia; non è stata raggiunta, invece, la piena prova della sussistenza del reato di lesioni contestato sub B). In riferimento al capo A) occorre preliminarmente chiarire che, com'è noto, ai fini della configurabilità del tentativo di violenza privata, non è necessario che la minaccia abbia effettivamente intimorito il soggetto passivo determinando una costrizione, ancorché improduttiva del risultato perseguito, ma è sufficiente che essa, tenuto conto delle modalità dell'azione e delle condizioni personali della vittima, sia idonea ad incutere timore e sia diretta a costringere il destinatario a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall'agente (Cassazione penale sez. V, 27/01/2023, n.20365). Ebbene, nel caso di specie, è emerso che la condotta asseritamente pretesa dagli odierni imputati non era quella che il Be., anche definitivamente costretto, avrebbe potuto porre in essere. Nello specifico, il Be. ha chiarito di essere stato aggredito verbalmente dagli odierni imputati in quanto convinti che egli volesse effettuare una vertenza sindacale ai danni di loro padre, titolare della azienda per cui aveva lavorato. Di contro, la parte civile costituita ha spiegato che non aveva alcuna intenzione di effettuare una vertenza sindacale. Pertanto, la minaccia perpetrata dagli odierni imputati ovvero "ti spariamo se fai la vertenza di lavoro a nostro padre" non può dirsi, ad una valutazione ex ante, oggettivamente idonea al raggiungimento dello scopo e ciò, in quanto, come spiegato dallo stesso Be. non vi era alcuna intenzione di procedere alla presunta vertenza sindacale. Com'è noto, l'idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione. D'altra parte, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che integrino il reato impossibile ex art. 49 c.p. le ipotesi in cui: a) l'oggetto del reato sia inesistente in rerum natura o si tratti di inesistenza originaria ed assoluta e non anche quando esso sia mancante in via temporanea o per cause accidentali; b) l'inidoneità dell'azione sia assoluta per inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato, così da non consentire neppure in via eccezionale l'attuazione del proposito criminoso. Nel caso di specie, la condotta tenuta dagli odierni imputati può dirsi assolutamente inidonea al raggiungimento dello scopo proprio per inesistenza dell'oggetto, posto che è assolutamente impossibile tentare di costringere taluno a non tenere una condotta che lo stesso soggetto passivo non aveva alcuna intenzione di tenere sin dall'origine. Sul punto appare il caso di richiamare quanto riferito dal Be.: "le ripeto solo un certificato, un attestato che io lavoravo con quella ditta, me l'ha richiesto l'INAIL per una domanda di malattia professionale e, loro l'hanno presa così, non so...". Ciò detto, va tuttavia rilevato che, nel caso di specie, ricorrono i presupposti di cui alla previsione del terzo comma dell'art. 49 c.p., a norma del quale "nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso si applica la pena stabilita per il reato effettivamente commesso". Invero, dalla narrazione dei fatti effettuata dal Be., con linearità logica e cronologica ed in modo assolutamente credibile, come dimostrato dalla precisazione effettuata in ordine alla pretesa da egli vantata, e per come confermata dalla testimonianza della To., ricorrono senz'altro gli elementi costitutivi del reato di minaccia. Sia il Be. che la teste To., presente ai fatti, hanno, infatti, riferito in modo del tutto sovrapponibile che gli imputati si rivolgevano al Be. prospettando a quest'ultimo la possibilità di sparargli. Inoltre, si è rivelata fondamentale la visione delle immagini di video sorveglianza, che confermano un atteggiamento minaccioso ed aggressivo da parte degli odierni imputati, del tutto compatibile con quanto riferito dal Be. in dibattimento. Pertanto, con riferimento all'atteggiamento intimidatorio tenuto dagli imputati in occasione dell'incontro con il Be. avvenuto sulla pubblica via in data 7 febbraio 2016 e consistito nel dirgli "ti spariamo in faccia se fai la vertenza" può dirsi senz'altro integrato il reato di minaccia. Quanto, invece, ai fatti di cui al capo B), non ricorrono sufficienti elementi di prova circa la integrazione del reato di lesioni che secondo la tesi accusatoria sarebbe consistito nell'aver provocato al Be. escoriazioni al volto. Ebbene, il Be., nel descrivere l'aggressione subita, ha fatto espresso riferimento ad una condotta consistita nel porre le mani intorno al collo e sulla faccia, oltre che nello spintonamento che lo faceva cadere a terra. Sebbene questa ricostruzione sia confermata dalla teste T., il referto di pronto soccorso e la visione delle immagini di videosorveglianza smentiscono quanto riferito dal B.. Invero, la visione delle immagini permette di appurare che sicuramente vi è stata un'aggressione verbale, e in parte anche fisica, costituita da un avvicinamento minaccioso degli Im. alla persona del Be. culminato in uno spintonamento che però non sembra aver provocato alcuna caduta a terra. Ed infatti, dalla visione delle immagini videoregistrate, è stato possibile appurare che l'azione aggressiva si è conclusa nel giro di pochi secondi e non ha comportato alcuna visibile lesione fisica ai danni del Be.. Infatti, sebbene quest'ultimo abbia riferito che, a seguito dei fatti per cui si procede, veniva trasportato in ospedale, agli atti non risulta alcun verbale di pronto soccorso riportante la diagnosi di "escoriazioni al volto" lamentate dalla p.o. Di contro, agli atti risulta acquisito un verbale di pronto soccorso datato 9 febbraio 2016, quindi di due giorni successivo ai fatti contestati, con il quale veniva riscontrato al Be. uno "stato ansioso reattivo". I merito a tale diagnosi, in ogni caso diversa dalla "malattia" contestata, va detto che essa sembra più che altro fotografare dei sintomi, circostanza in merito alla quale la Suprema Corte (Sez. 5 - , Sentenza n. 33492 del 14/05/2019) si è così condivisibilmente espressa: "Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali, la nozione di malattia non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o l'aggravamento di esso ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa. (Fattispecie relativa ad aggressione consistita in una "tirata di capelli". nella quale la Corte ha annullato con rinvio la decisione di merito che si era limitata a dar conto del referto medico che riportava, quale conseguenza a carico della vittima, "dolore in regione occipitale guaribile in giorni due")". Si richiede, quindi, pur sempre un'alterazione funzionale, seppure di lieve entità, che, nel caso di specie, non sembra essere emersa non avendo il Be. riferito neanche di una minima conseguenza apprezzabile in ordine alla sua capacità di attendere le normali incombenze quotidiane, se non facendo riferimento ad un generale stato d'ansia provocatogli dall'accaduto ed alla necessità di recarsi da uno psicologo di cui però non è stata fornita prova circostanziata, che sarebbe stata peraltro solo funzionale a fondare una restituzione degli atti al P.M. ai sensi dell'art. 521 c.p. essendo il fatto accertato naturalisticamente diverso da quello contestato. Sulla base delle considerazioni appena esposte, Im.Da. ed Ma.Lo. devono essere mandati assolti dal reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste. Ciò posto, venendo al trattamento sanzionatorio da irrogarsi relativamente al capo A) dell'imputazione, riqualificato il fatto contestato nella fattispecie di cui all'art. 612 c.p., valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., risulta equo irrogarsi la pena finale di Euro 500,00 di multa ciascuno, da individuarsi in quella che sarebbe stata applicata dal Giudice di Pace, nella cui competenza rientra la fattispecie come sopra ravvisata. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. Non essendo stato espressamente richiesto il beneficio della sospensione condizionale anche in caso di condanna alla sola pena pecuniaria, come nel caso di specie, si ritiene di non concederlo pur sussistendone i presupposti. Quanto alle statuizioni civili, all'affermazione di penale responsabilità degli imputati consegue la condanna degli stessi al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita Be.Br., da liquidarsi in separata sede non essendo emerso criteri per una quantificazione compiuta in questa sede specie con riferimento ai danni non patrimoniale sofferti e richiesti. Segue per legge la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile nella misura liquidata in dispositivo. Visto il numero complessivo di procedimenti definiti nel periodo, riserva in giorni sessanta il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. e 52 D.Lgs. n. 274 del 2000 dichiara Im.Da. e Im.Da. colpevoli del reato di cui all'art. 612 c.p., così diversamente qualificato il reato loro ascritto sub A) e per l'effetto li condanna alla pena di Euro 500 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna Im.Da. e Im.Da. al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Be.Br. da liquidarsi in separata sede, ed alla refusione delle spese processuali sostenute dalla stessa parte civile liquidate in complessivi Euro 2.500 oltre rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge. Visto l'art. 530 c.p.p. assolve Im.Da. e Im.Da. dal residuo reato loro ascritto perché il fatto non sussiste. Motivi in giorni sessanta Così deciso in Frosinone il 26 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI FROSINONE in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Antonio Ruscito, all'udienza del 18.05.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: De.Gi., nato ad A. il (...), con domicilio ivi dichiarato in via La D. 11 ; - libero, assente - assistito e difeso di fiducia dall'Avv. Ro.Fi. del Foro di Frosinone; IMPUTATO del reato p. e p. dall'art. 10 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, perché, nella sua qualità di titolare dell'omonima ditta ind.le, al fine di evadere le Imposte sui Redditi e sul Valore Aggiunto, occultava parte delle fatture passive di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari per gli anni 2012 e 2013, specificamente: ANNO 2012: - n. 109 fatture passive per un imponibile di Euro 26.754,00 - iva Euro 2.778,71. ANNO 2013: - n. 64 fatture passive per un imponibile di Euro 13.291,43 - iva Euro 1.532,71. In Frosinone il 03.10.2018. Persona offesa: Ministero delle Finanze - Dir. Reg. Entrate di Roma c/o Avv. Gen. Stato. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto emesso in data 27.11.2019, il GUP in sede disponeva il giudizio nei confronti di De.Gi., come sopra generalizzato, per rispondere del delitto di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, commesso in Frosinone il 03.10.2018. L'udienza del 19.03.2020 veniva differita d'ufficio dal precedente titolare del processo in applicazione della normativa emergenziale sanitaria allora vigente; all'udienza del 19.11.2020, in dichiarata assenza dell'imputato, si disponeva sulle richieste istruttorie; all'udienza del 06.05.2021 il processo veniva rinviato da sostituto; alle udienze del 18.11.2021 e del 28.04.2022 il processo veniva ancora rinviato, non potendo essere trattato da giudicante non togato; all'udienza del 10.11.2022 (dinanzi al sottoscritto, subentrato nel ruolo), rinnovato il dibattimento secondo i dettami di cui in Cass, pen., SS.UU., 41736/2019, veniva sentito il teste P., con acquisizioni documentali, con rinuncia (consentita) del Pubblico Ministero all'esame dell'ulteriore teste C. e con espunzione dal fascicolo per il dibattimento di atti non legittimamente ivi inseriti; all'udienza del 16.02.2023, acquisita una produzione documentale difensiva, si procedeva alla discussione, all'esito della quale veniva disposta ex art. 507 c.p.p. l'acquisizione di una visura camerale e degli atti relativi alla verifica fiscale della GdF conclusa in data 24.09.2018; all'udienza del 18.05.2023, dato atto della risultanza in atti dei suddetti documenti e rinnovata la discussione, previa camera di consiglio, veniva emesso dispositivo di sentenza con riserva dei motivi in giorni cinquanta. De.Gi., titolare dell'omonima ditta individuale, risponde del delitto di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000, per aver occultato le fatture passive di cui è obbligatoria la conservazione indicate nel capo di imputazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari per gli anni 2012 e 2013, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Nel corso della sua escussione dibattimentale, il teste di P.g. P.P., ha in sintesi dichiarato quanto segue: in data 24.09.2018 veniva conclusa una verifica fiscale sulla ditta individuale di De.Gi. per gli anni 2012-2018, durata circa quattro mesi; l'interessato esibiva tutta la documentazione contabile dal 2014 al 2018, ma non anche quella attinente agli anni 2012-2013; per l'anno 2012, inoltre, non erano state presentate le dichiarazioni fiscali per imposte dirette ed IVA, mentre per il 2013 non erano stati indicati i quadri relativi al reddito di impresa nella pur presentata dichiarazione; pertanto, essi operanti estrapolavano dalla banca dati spesometro integrato clienti e fornitori che avessero avuto contatti in quegli anni con la ditta in questione, occupatasi di ristorazione con somministrazione; davano quindi seguito a controlli di coerenza esterna in relazione ad eventuali fatture emesse nei confronti del De., mentre l'effettivo volume di affari non era stato ricostruito attenendo anche a scontrini e ricevute di privati; in seguito veniva applicata una percentuale di ricarico approssimativa; dallo spesometro emergevano le fatture di cui all'elenco poi acquisito agli atti, per un importo complessivo di Euro 26.754,00 per l'anno 2012 (IVA Euro 2.778,71) e 13.291,43 per l'anno 2013 (imponibile Euro 1.532,71); loro avevano fatto soltanto un campione per verificare se l'impresa avesse effettivamente svolto attività; tali fatture non erano state rinvenute; l'attività delle ditte emittenti le fatture appariva compatibile con quella della verificata; non era stato accertato il luogo di consegna della merce di riferimento né se sulla stessa strada del luogo di residenza di De.Gi. vi fosse un'altra attività; dalle fatture si evinceva come l'imputato avesse più volte cambiato la sede. Al fine di approfondire le risultanze della verifica fiscale di cui ha riferito oralmente il predetto teste, è stata disposta l'acquisizione ex art. 507 c.p.p. del processo verbale di costatazione del 24.09.2018 (cfr., sul punto, Cass. pen. 36399/2011 secondo cui "costituisce atto irripetibile, e può quindi essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza per accertare o riferire violazioni a norme di leggi finanziarie o tributarie"), il cui esame, nel confermare l'omessa consegna di documenti per gli anni 2012/2013, tra le altre cose, meglio chiarisce nel dettaglio: le risultanze del cd. spesometro integrato in ordine all'individuazione dei fornitori; la presentazione, per l'anno 2012, del mod. 770 in relazione a tre lavoratori dipendenti e di comunicazioni annuali dati IVA attivi e passivi; la presentazione, per l'anno 2013, di dichiarazioni senza compilare i quadri sul reddito di impresa, sul volume d'affari, sugli acquisti e sulla liquidazione dell'imposta; le modalità di ricostruzione extracontabile del reddito e del volume d'affari per quegli anni (costi evincibili dallo spesometro con ricarico del 2,03). Ciò posto, giova richiamare condivisibile giurisprudenza di legittimità nella parte in cui chiarisce che: 1) "il delitto di occultamento di documenti contabili ha natura di reato permanente, protraendosi la condotta penalmente rilevante sino al momento dell'accertamento fiscale, dal quale decorre il termine di prescrizione. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso che l'intervenuta cancellazione dell'impresa, eseguita per cessazione dell'attività in epoca antecedente alla data dell'accertamento fiscale, potesse avere rilevanza ai fimi della consumazione del reato)" (cfr. Cass. pen. 38376/2015; cfr. anche Cass. pen. 40317/2021) sicché, essendo il processo verbale di constatazione del settembre 2018, non si pongono eventuali questioni di prescrizione anche in relazione agli anni di imposta 2012 e 2013; 2) "il delitto di distruzione od occultamento di scritture contabili o documenti obbligatori, non richiede, per la sua integrazione, che si verifichi in concreto una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d'affari o dei redditi, essendo sufficiente anche una impossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire "aliunde"" (cfr. Cass. pen. 39711/2009; 5791/2008; cfr., in ultimo, Cass. pen. 7051/2019; "in tema di reati tributari, l'impossibilità di ricostruire il reddito od il volume d'affari derivante dalla distruzione o dall'occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante.) 3) "in tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento. " - Cass. pen. 41683/2018; 4) "in tema di reati tributari, anche l'occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui all'art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costì sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell'esistenza di introiti a carico del soggetto emittente. " - Cass. pen. 15236/2015; 5) "in tema di reati tributari, l'accertamento del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di cui all'art. 10 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (occultamento o distruzione di documenti contabili alfine di evasione) presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, che può desumersi, in base a norme di comune esperienza, dal fatto che l'agente sia titolare di un'attività commerciale" - Cass. pen. 51836/2018). Ebbene, l'accertamento operato dalla Guardia di Finanza consente di acclarare con certezza che la ditta individuale riferibile all'imputato, benché dalla visura camerale in atti (pure acquisita ex art. 507 c.p.p.) emerga un'iscrizione in sezione speciale piccoli imprenditori in data 27.11.2013, svolse attività commerciale negli anni 2012 - 2013, non soltanto in virtù dell'eloquente risultanza della banca dati Spesometro integrato (a riguardo è stato acquisito anche un elenco analitico di fatture evidentemente redatto dalla G.d.F. per difetto rispetto a quanto nel complesso riportato nel p.v.c. - Euro 74.774,00 per il 2012 e 30.853,00 per il 2013), ma anche delle dichiarazioni presentate per il 2012, da cui si evince la presenza di dipendenti e la sussistenza di operazioni IVA attive e passive, oltre che della pur incompleta dichiarazione per il 2013, poiché, diversamente opinando, tali atti non troverebbero alcuna logica spiegazione. A fronte di tali confortanti dati a carico, la tesi difensiva secondo cui, in sostanza, le prestazioni oggetto delle fatture in questione non sarebbero in realtà riferibili all'attività di De.Gi. bensì di altra persona, non trova invero adeguato riscontro nella documentazione prodotta in data 16.02.2023 che, al contrario, dalla lettura dell'atto di citazione nel giudizio civile iscritto al n. 2241/2015 (peraltro incompleto nel suo contenuto), evidenzia un contenzioso dovuto alla contestata violazione da parte dell'imputato di un patto di non concorrenza nella provincia di Frosinone datato 19.02.2023 in danno di G.F., il che avvalorerebbe l'ipotesi accusatoria in merito all'effettivo esercizio di attività da parte dello stesso De. indipendentemente dalla sua sede. Per l'effetto, ricorrono tutti gli elementi necessari per la configurazione della materialità del fatto, essendo emersi, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'occultamento di fatture passive per gli anni 2012/2013, la reale sussistenza di un volume d'affari in capo alla ditta individuale dell'imputato e l'impossibilità relativa della ricostruzione dei redditi, siccome quantificati soltanto in forza del ricorso della Guardia di Finanza a dichiarazioni di terzi ed al metodo induttivo. Di conseguenza, va riconosciuta la penale responsabilità di De.Gi. per il reato in contestazione (che ha natura unitaria, come ben ritenuto in Cass. pen. 38375/2015), in certa presenza finanche del dolo specifico, in quanto desumibile finanche dai carenti adempimenti fiscali posti in essere per gli anni di riferimento. Non possono essere riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., in assenza di esigenze di adeguamento della pena al caso concreto ovvero di significativi elementi meritori valorizzatali. Valutati, dunque, gli elementi di cui agli artt. 133 c.p. e tenuto conto del trattamento sanzionatorio ratione temporis vigente, appare congrua per De.Gi. la pena di anni uno e mesi sei di reclusione, con condanna al pagamento delle spese processuali. Conseguono per legge le pene accessorie di cui all'art. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000, indicate in dispositivo secondo i medesimi criteri. Tenuto conto della risultante incensuratezza e dell'effetto deterrente riconducibile alla condanna in primo grado, può essere formulata una prognosi favorevole all'imputato di futura astensione dalla commissione di reati, con conseguente concessione della sospensione condizionale della pena. L'incerta determinabilità dell'importo dell'evasione, in ragione dei criteri completamente presuntivi adottati dalla Guardia di finanza per individuare i ricavi, non consente una compiuta disposizione di confisca. Il carico di ruolo e di lavoro presso questo Tribunale giustifica la riserva dei motivi nel termine di giorni 50 ex art. 544, co. 3, c.p.p. P.Q.M. IL TRIBUNALE Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., DICHIARA De.Gi. colpevole del reato ascrittogli e lo CONDANNA alla pena di anni uno (1) mesi sei (6) di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 12 del D.Lgs. n. 74 del 2000, DICHIARA De.Gi.: interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo di mesi sei; incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo di anni uno; interdetto dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo di anni uno; interdetto perpetuamente dall'ufficio di componente di Corte tributaria; Visti gli artt. 36 c.p. e 12, lett. e), D.Lgs. n. 74 del 2000, ORDINA la pubblicazione della sentenza per estratto nel sito internet del Ministero della Giustizia. Pena sospesa. Motivi riservati in giorni cinquanta (50). Così deciso in Frosinone il 18 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2023.
R.G. n.1453/2020 TRIBUNALE DI ... SEZIONE LAVORO Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di ..., Dott. Massimo Lisi, all'esito dell'udienza dell'8.3.2023, svolta mediante il deposito in telematico di note scritte, ai sensi dell'art.127 ter c.p.c., ha emesso la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2020 al numero 1453, promossa con ricorso depositato in data 10.6.2020 da ..., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale in ... (LT), Via (...), giusta procura rilasciata su foglio separato congiunto al ricorso ricorrente contro COMUNE DI ..., in persona del Sindaco p.t., rapp.to e difeso, per delega in calce alla memoria di costituzione, dall'Avv. (...) e con lo stesso elett.te dom.to nella sede Comunale di Piazza VI Dicembre a ... resistente Oggetto del giudizio: indennità di mancato preavviso; indennità sostitutiva delle ferie non godute Conclusioni: per ciascuna parte, quelle del proprio atto costitutivo, da intendersi qui integralmente riportate SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 10.6.2020, ... ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di ..., in funzione di Giudice del Lavoro, il Comune di ..., promuovendo opposizione all'ordinanza di ingiunzione ex art.2 del R.D. 14 aprile 1910, n.639, con la quale il Comune convenuto gli ha chiesto il pagamento della somma di Euro.5.525,00, a titolo di indennità di mancato preavviso calcolata ai sensi dell'art.12 del CCNL 09/05/2006, oltre interessi maturati e maturandi sulla sorte, dalla data della richiesta (16.1.2020) sino all'effettivo pagamento. L'attore ha chiesto, in via preliminare, di sospendere l'efficacia esecutiva dell'ordinanza ingiunzione opposta, anche inaudita altera parte, ricorrendo un pericolo grave e imminente, di un danno grave e irreparabile. In via principale e nel merito, il ricorrente ha chiesto di accertare e dichiarare l'insussistenza di un obbligo di preavviso su di lui gravante, o, in subordine, il rispetto dello stesso o, in via di ulteriore subordine, la non debenza dell'indennità di mancato preavviso all'Ente resistente e, per l'effetto, ha chiesto di annullare l'ordinanza ingiunzione datata 4.5.2020, adottata dal Comune di .... In subordine, l'attore ha chiesto di rideterminare gli importi dovuti a titolo di indennità di mancato preavviso, considerando il diverso importo della retribuzione da prendere a riferimento e/o il parziale preavviso concesso dalla data del 15.11.2019, o dalla diversa data ritenuta di giustizia. In ogni caso, il ricorrente ha chiesto di compensare le somme residue con gli importi a lui dovuti dal Comune di ... a titolo di indennità per mancato godimento delle ferie. Sempre in via principale, l'attore ha chiesto di accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere un'indennità sostitutiva delle ferie non godute presso il Comune di ... al 31.12.2017, e per l'effetto, ha chiesto di condannare il Comune di ... a corrispondergli a tale titolo l'importo complessivo di Euro.6.339,09, o il diverso importo ritenuto di giustizia, oltre a interessi e rivalutazioni monetarie come per legge, dal dì del dovuto sino al soddisfo. Con comparsa di costituzione e risposta si è costituito il Comune convenuto, instando per il rigetto del ricorso, con conferma dell'ordinanza ingiunzione opposta e con condanna dell'attore al pagamento, in favore del Comune di ..., degli importi ingiunti, oltre interessi fino all'effettivo soddisfo. L'ente ha dedotto, a sostegno delle sue conclusioni, che: 1) sussisteva l'obbligo di preavviso in capo al ricorrente nei confronti del Comune di ..., perché l'attore - che era stato collocato in aspettativa per l'espletamento presso il Comune di ... di un incarico ex art.110, comma 1, del D. Lgs 267/2000 e s.m.i. e che in pendenza di tale incarico era stato nominato Dirigente presso il Comune di ..., a seguito di concorso - non aveva ripreso servizio presso il Comune di ... prima di prendere servizio presso il Comune di ..., circostanza che era rilevante per la decorrenza dei termini del periodo di preavviso; 2) non era fondato l'assunto attoreo secondo cui il ricorrente, pur non essendovi tenuto, avrebbe comunque garantito il preavviso nel rispetto dei termini previsti dal contratto; 3) era irrilevante l'asserita mancanza di danno per l'Amministrazione comunale per il mancato preavviso; 4) la somma oggetto dell'ordinanza ingiunzione opposta era stata correttamente calcolata; 5) non era dovuta la richiesta indennità sostitutiva delle ferie non godute, non risultando presente agli atti di causa alcuna documentazione dalla quale potesse ricavarsi la richiesta del ricorrente di godere delle ferie, né che detta richiesta fosse stata negata dall'Amministrazione per indifferibili esigenze di servizio, sicché difettava il presupposto della volontà dell'Amministrazione di negare il congedo a causa di insuperabili esigenze organizzative dell'unità operativa interessata; 6) l'istanza di sospensione era inammissibile ed infondata. Nel corso del giudizio, è stato esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, è stata sospesa l'esecuzione dell'ordinanza ingiunzione opposta e sono stati escussi i testi ammessi. All'udienza del 9.3.2023, la causa è stata discussa dai procuratori delle parti mediante deposito di note telematiche e quindi è stata decisa dal Giudice adito con sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso merita accoglimento, per i motivi appresso specificati. L'attore ha promosso opposizione avverso l'ordinanza di ingiunzione ex art.2 del R.D. 14 aprile 1910, n.639, del 4.5.2020, con la quale il Comune di ... gli ha chiesto il pagamento della somma di Euro.5.525,00, a titolo di indennità di mancato preavviso calcolata ai sensi dell'art.12 del CCNL 9.5.2006, oltre interessi maturati e maturandi sulla sorte, dalla data della richiesta (16.1.2020) sino all'effettivo pagamento. Ritiene il Giudicante che la richiesta indennità di mancato preavviso non sia dovuta dall'attore. E' incontestato tra le parti ed è documentalmente provato che: 1) l'attore - già dipendente del Comune di ... a far data dal 15.9.2000, con qualifica di funzionario amministrativo, inquadrato nella categoria e posizione economica D6 del CCNL Regioni e Autonomie locali, oggi CCNL Funzioni Locali (doc. 2...) - a decorrere dal 1°.1.2018 è stato collocato in aspettativa non retribuita presso il Comune di ..., a seguito dell'assunzione di un incarico ex art.110 del D.Lgs. n.267/2000, prima presso il Comune di ... (docc. 15 e 16...) e poi anche presso il Comune di ...(doc. 17 ...); 2) il rientro del ricorrente presso il Comune di ... sarebbe dovuto avvenire alla scadenza del mandato del Sindaco del Comune di ..., previsto presumibilmente per il mese di maggio 2021 (doc. 18 - delibera di convalida degli eletti del Comune di...); 3) nelle more dell'aspettativa, l'attore ha partecipato al concorso pubblico per la copertura di un posto di dirigente del settore finanziario presso il Comune di ... ed è risultato vincitore, come si evince dalla determinazione dirigenziale del 3.10.2019 del predetto ente (doc. 19...); 4) in data 15.10.2019 l'attore ha comunicato detta circostanza al Comune di ... ai fini del preavviso (doc. 20...) e ha poi preso servizio presso il Comune di ... in data 20.12.2019 (doc. n.23 ...). La circostanza che la risoluzione del rapporto di lavoro tra l'attore ed il Comune convenuto sia intervenuta a dicembre 2019 - quando il ricorrente risultava già assente per aspettativa su concessione dell'ente stesso e quando il periodo residuo di aspettativa era ancora di gran lunga superiore ai due mesi di preavviso contrattualmente dovuto in caso di dimissioni dei dipendenti, come l'attore, con un'anzianità di servizio di oltre dieci anni (ex art. 12, comma 2, CCNL 9.5.2006: doc. 3...) - consente di affermare che l'indennità di mancato preavviso non poteva essere pretesa dall'ente. Infatti, se è vero che quando la risoluzione del rapporto di lavoro avviene per scelta unilaterale del lavoratore, la parte recedente è tenuta a garantire all'altra un periodo (il preavviso, appunto) per permettere la sua sostituzione ovvero - nei casi di risoluzione immediata - è tenuta a riconoscere una indennità risarcitoria (l'indennità di mancato preavviso), nel caso di specie va evidenziato che le dimissioni sono intervenute durante un periodo di aspettativa e non hanno imposto all'ente alcuna necessità immediata di riorganizzazione del servizio cui era preposto il dipendente, per il fatto stesso che ancora per un lungo periodo dopo le dimissioni del lavoratore e sino al 2021 il Comune non avrebbe potuto contare sul suo apporto, alla luce della residua durata della aspettativa concessa. In sostanza, qualora il rapporto di lavoro si trovi in regime di aspettativa non retribuita per un periodo residuo superiore a quello di durata del termine di preavviso, viene meno la necessità stessa di assicurare il predetto termine, perché esso non incide in alcun modo sugli assetti organizzativi del datore di lavoro. In altri termini, l'attore non era tenuto a garantire il preavviso al Comune di ... poiché proprio il regime di aspettativa in cui versava il rapporto di lavoro escludeva in radice la necessità di garantire le tipiche esigenze organizzative cui assolve l'obbligo di preavviso. A ciò si aggiunga che il ricorrente ha di fatto, comunque, garantito il preavviso di 2 mesi contrattualmente previsto in caso di dimissioni, tenuto conto che la prima comunicazione del ricorrente utile ai fini del preavviso è intervenuta in data 15.10.2019 (doc. 20 ...), mentre la cessazione del rapporto di lavoro si è avuta in data 20.12.2019 (doc. 27 ...), a distanza di 65 giorni e, quindi, di oltre due mesi. Si consideri che, con la predetta comunicazione del 15.10.2019 il ricorrente comunicò al Comune convenuto la vittoria del concorso presso il Comune di ... e che avrebbe rassegnato le proprie dimissioni per prendere servizio presso quel Comune. In definitiva, va dichiarata l'insussistenza di un obbligo di preavviso per il ricorrente e di un obbligo di pagare l'indennità di mancato preavviso all'Ente resistente e, per l'effetto, va annullata l'ordinanza ingiunzione datata 4.5.2020, adottata dal Comune di .... Il ricorrente ha anche chiesto di accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere un'indennità sostitutiva delle ferie non godute presso il Comune di ... al 31.12.2017, e per l'effetto, ha chiesto di condannare il Comune di ... a corrispondergli a tale titolo l'importo complessivo di Euro.6.339,09, o il diverso importo ritenuto di giustizia, oltre accessori. Il Comune convenuto non ha contestato che l'attore al momento della cessazione del rapporto di lavoro dovesse ancora fruire di 49 giorni di ferie, ma ha sostenuto che la richiesta indennità sostitutiva delle ferie non godute non era dovuta, non essendovi in atti alcuna documentazione dalla quale potesse ricavarsi la richiesta del ricorrente di godere delle ferie, né documentazione che provasse che detta richiesta fosse stata negata dall'Amministrazione per indifferibili esigenze di servizio. Difettava, dunque, il necessario presupposto della volontà dell'Amministrazione di negare il congedo a causa di insuperabili esigenze organizzative dell'unità operativa interessata. Osserva il Giudicante che il diritto alle ferie è irrinunciabile e, come tale, è garantito dall'art.36 Cost. e dall'art. 7 della direttiva 2003/88/CE. In merito all'interpretazione di tale direttiva, la Corte di giustizia dell'Unione europea - dopo la sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti riuniti C-350/06 e C-520/06 - è intervenuta con sentenza della Grande Sezione della CGUE in data 6.11.2018 nella causa C-619/16, nella quale è stato affermato il seguente principio: "l'art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui essa implichi che, se il lavoratore non ha chiesto, prima della data di cessazione del rapporto di lavoro, di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite, l'interessato perde - automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima di tale cessazione, segnatamente con un'informazione adeguata da parte del datore di lavoro stesso - i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell'Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute". Come evidenziato dalla Cassazione con ordinanza n.13613 del 2.7.2020, alla suddetta conclusione la CGUE è pervenuta sulla base dei seguenti argomenti: a) il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 (vedi, in tal senso, sentenza del 12 giugno 2014, C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata); b) il suddetto diritto non soltanto riveste, in qualità di principio del diritto sociale dell'Unione, una particolare importanza, ma è anche espressamente sancito all'art.31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, cui l'art.6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei Trattati (sentenza del 30 giugno 2016, C178/15, punto 20 e giurisprudenza ivi citata); c) l'art.7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, in particolare, riconosce al lavoratore il diritto a un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che tale norma deve essere interpretata nel senso che essa osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in grado di fruire di tutti le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto (sentenze del 20 gennaio 2009, C 350/06 e C 520/06, punto 62; del 12 giugno 2014, C 118/13, punto 17 e giurisprudenza ivi citata; del 20 luglio 2016, C 341/15, punto 31, nonché del 29 novembre 2017, C 214/16, punto 65); d) secondo costante giurisprudenza della CGUE, l'art.7 della direttiva 2003/88 non può essere oggetto di interpretazione restrittiva a scapito dei diritti che il lavoratore trae da questa (vedi, in tal senso, sentenza del 12 giugno 2014, C 118/13, punto 22 e giurisprudenza ivi citata), rispondendo all'intento di garantire l'osservanza del diritto fondamentale del lavoratore alle ferie annuali retribuite sancito dal diritto dell'Unione; e) è altresì importante ricordare che il pagamento delle ferie prescritto al paragrafo 1 di tale articolo è volto a consentire al lavoratore di fruire effettivamente delle ferie cui ha diritto (vedi, in tal senso, sentenza del 16 marzo 2006, C131/04 e C 257/04, punto 49), per la duplice finalità sia di riposarsi rispetto all'esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro sia di beneficiare di un periodo di relax e svago (sentenza del 20 luglio 2016, C 341/15, punto 34 e giurisprudenza ivi citata); f) di conseguenza, gli incentivi datoriali a rinunciare alle ferie come periodo di riposo ovvero a sollecitare i lavoratori a rinunciarvi sono incompatibili con gli obiettivi del diritto alle ferie annuali retribuite consistenti nella necessità di garantire al lavoratore il beneficio di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (vedi, in tal senso, sentenze del 6 aprile 2006, C-124/05, punto 32; del 29 novembre 2017, C-214/16, punto 39 e giurisprudenza ivi citata); g) l'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto medesimo (sentenza del 20 gennaio 2009 C350/06 e C-520/06, punto 43 e giurisprudenza ivi citata); h) invece non è compatibile con il suddetto art.7 una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti; i) benché il rispetto dell'obbligo derivante, per il datore di lavoro, dall'art.7 della direttiva 2003/88 non possa estendersi fino al punto di costringere quest'ultimo a imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente il loro diritto a ferie annuali retribuite (vedi, in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, C-484/04, punto 43), comunque il datore di lavoro deve assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto (vedi, in tal senso, sentenza del 29 novembre 2017, C-214/16, punto 63); l) a tal fine il datore di lavoro è soprattutto tenuto - in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l'effetto utile dell'art. 7 della direttiva 2003/88 - ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest'ultima si verifica nel corso di un simile periodo; m) l'onere della prova, in proposito, incombe sul datore di lavoro (v., per analogia, sentenza del 16 marzo 2006, C-131/04 e C-257/04, punto 68); o) pertanto se il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l'estinzione del diritto a tali ferie e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l'art. 7, paragrafo 1, e l'art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88. Se, invece, detto datore di lavoro è in grado di assolvere il suddetto onere probatorio e risulti quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, l'art. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute; p) ciò in quanto un'interpretazione dell'art.7 della direttiva 2003/88 che sia tale da incentivare il lavoratore ad astenersi deliberatamente dal fruire delle proprie ferie annuali retribuite durante i periodi di riferimento o di riposo autorizzato applicabili, al fine di incrementare la propria retribuzione all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, è incompatibile con gli obiettivi perseguiti con l'istituzione del diritto alle ferie annuali retribuite; q) ai dipendenti pubblici è consentito di proporre dinanzi ai giudici nazionali la questione della attribuzione di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute alla fine del loro rapporto di lavoro, direttamente sulla base dell'art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88; r) infatti, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i privati possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato membro, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva in diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l'abbia recepita in modo non corretto (sentenza del 24 gennaio 2012, C-282/10, punto 33 e giurisprudenza ivi citata); s) i privati, qualora siano in grado di far valere una direttiva nei confronti di uno Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste, di datore di lavoro o di pubblica autorità, nella quale esso agisce, in quanto in entrambi i casi è necessario evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto dell'Unione (sentenza del 24 gennaio 2012, C-282/10, cit. punto 38 e giurisprudenza ivi citata); t) per quanto riguarda l'art.7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia si desume che tale disposizione non assoggetta il diritto a un'indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato. Tale diritto è conferito direttamente dalla suddetta direttiva e non può dipendere da condizioni diverse da quelle che vi sono esplicitamente previste (v., in tal senso, sentenze del 12 giugno 2014, C-118/13, punti 23 e 28, e del 20 luglio 2016, C-341/15, punto 27); u) pertanto tale disposizione soddisfa i criteri di incondizionalità e di sufficiente precisione e rispetta quindi le condizioni richieste per produrre un effetto diretto, aggiungendosi che, con orientamento consolidato, la Corte ha ammesso che simili disposizioni di una direttiva possano essere invocate dai privati, in particolare, nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua Amministrazione, ivi comprese le autorità decentrate (vedi, in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, C-122/17, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). I principi così enunciati nella richiamata decisione della Suprema Corte n.13613 del 2.7.2020, sono stati ulteriormente focalizzati dalla Cassazione, con riguardo ai dirigenti pubblici, con la sentenza n.18140 del 2022. La Cassazione ha evidenziato che in passato si era consolidato il principio secondo cui "il lavoratore con qualifica di dirigente che abbia il potere di decidere autonomamente, senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, circa il periodo nel quale godere delle ferie, ove non abbia fruito delle stesse non ha diritto ad alcun indennizzo, in quanto se il diritto alle ferie è irrinunciabile, il mancato godimento imputabile esclusivamente al dipendente esclude l'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva, salvo che il lavoratore non dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a quel godimento" (nel lavoro privato, Cass. 7 giugno 2005, n.11786; Cass. 7 marzo 1996, n.1793; nel lavoro pubblico, Cass., S.U., 17 aprile 2009, n. 9146). Sul tema, ha osservato la Cassazione, dispiega decisiva influenza la normativa eurounitaria, come chiarito dalla già richiamata decisione della Corte di Giustizia 6.11.2018, secondo cui "l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo - automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un'informazione adeguata da parte di quest'ultimo, in condizione di esercitare questo diritto". La Cassazione ha evidenziato che la Direttiva estende i propri effetti in tema di ferie anche ai dirigenti (v. art. 17 Direttiva 2003/88/CE, che, nel consentire agli Stati membri un diverso trattamento rispetto ai diritti dei dirigenti, esclude dalle norme derogabili l'art. 7, riguardante appunto le ferie) e deve dunque definirsi come operino, rispetto ad essi, i principi fissati in sede eurounitaria, essendosi espressamente affermato, nel contesto della pronuncia citata, la necessità che il giudice nazionale operi "prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo", onde "pervenire a un 'interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell'Unione". La Corte di Giustizia individua nel proprio ragionamento tre cardini del giudizio di diritto demandato al giudice nazionale, al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie, consistenti: a) nella necessità che il lavoratore sia invitato "se necessario formalmente" a fruire delle ferie e "nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile ... se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento" (punto 45); b) nella necessità di "evitare una situazione in cui l'onere di assicurarsi dell'esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore" (punto 43); c) infine, sul piano processuale, nel prevedere che "l''onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro.....sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore "non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto". Può essere - ha osservato ancora la Cassazione - che, rispetto ad un dirigente, per la normale posizione di minor debolezza e maggiore conoscenza dei dati giuridici, le predette condizioni possano trovare in concreto applicazioni di minor rigore, sotto il profilo dell'intensità informativa o del grado di diligenza richiesta al datore di lavoro, ma certamente essi permangono a governare l'istituto dell'attribuzione, perdita o monetizzazione delle ferie. La lettura della Corte di Giustizia si coordina - ha ancora evidenziato la Corte di Cassazione nella richiamata sentenza n.18140/2022 - con l'orientamento interpretativo della Corte Costituzionale, quale manifestato quando fu ad essa sottoposta questione di legittimità rispetto alla previsione dell'art.5, comma 8, D.L. 95/2012, conv., con mod. in L. n.135/2012 secondo cui, nell'ambito del lavoro pubblico, le ferie, i riposi e i permessi siano obbligatoriamente goduti secondo le previsioni dei rispettivi ordinamenti e che non si possano corrispondere "in nessun caso" trattamenti economici sostitutivi. In proposito Corte Costituzionale 6 maggio 2016, n.95, ha ritenuto che la legge non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la "capacità organizzativa del datore di lavoro", nel senso che quest'ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale (art.36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art.31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio), sicché non potrebbe vanificarsi "senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso ... da .... causa non imputabile al lavoratore", tra cui rientra quanto deriva dall'inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell'ordinamento, nell'assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia nei termini già sopra evidenziati. In definitiva, ha osservato la Cassazione, l'assetto sostanziale della fattispecie, secondo l'indirizzo della Corte di Giustizia, deve muovere dalla verifica di che cosa sia stato fatto dal datore di lavoro per consentire la fruizione effettiva delle ferie, il tutto infine con una regola ultima di giudizio, individuata sempre dalla Corte di Giustizia, che, nei casi incerti, pone l'onere probatorio a carico del datore di lavoro e non del lavoratore. La Cassazione con la richiamata sentenza n.18140/2022 ha quindi enunciato il seguente principio, in continuità con Cass. n.13613/2020: "il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento". Il principio è stato ulteriormente confermato dalla Cassazione con le successive pronunce n.21780/2022 e n.29113/2022, che hanno affermato che la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi "soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato" (Cass. n. 21780/2022); Nel caso di specie, l'attore ha dedotto che il mancato godimento delle ferie era dipeso da imprescindibili e improrogabili esigenze di servizio, situazione che unitamente alle modalità di cessazione del rapporto di lavoro con il Comune di ..., lo avevano posto nell'assoluta impossibilità di fruire del monte ferie residuo, pari a quarantanove giorni (doc. 15-bis allegato al ricorso). L'attore ha anche evidenziato che il Comune convenuto non lo aveva informato in merito alle ferie, né lo aveva mai invitato formalmente a fruirne. Le risultanze delle produzioni documentali e dell'escussione dei testi confortano gli assunti attorei. In particolare, con riguardo alla esistenza di esigenze di servizio che avevano posto l'attore nell'impossibilità di fruire del monte ferie residuo, la teste ...ha dichiarato che: a) il ricorrente era addetto "presso il SUAP, anche negli anni dal 2015 in poi " e che "era l'unico funzionario presente nel servizio "; b) "il dirigente ... era spesso assente, anche per seri problemi di salute, che lo hanno tenuto lontano dall'ufficio per mesi "; c) non "è mai venuto nessuno a sostituirlo, anche se ne aveva fatto richiesta", d) "mancando anche il dirigente ", il ricorrente "era di fatto impossibilitato ad allontanarsi da un ufficio che in pratica aveva creato lui e non poteva lasciare senza funzionari"; e) il ricorrente "si lamentava con noi per questa situazione "; f) "per un certo periodo ...fu sostituito dal segretario generale, ma non avevamo risolto niente, perché non veniva mai, l'avrò visto un paio di volte ". La teste ... ha poi confermato che: a) "il dirigente era il Dott. ..., che però è stato male ed è stato assente per circa un anno", "io ero la sua segretaria e mi sono anche recata a casa sua per fargli firmare dei documenti che non poteva firmare da ..., ma che comunque aveva preparato lui"; b) "Il ricorrente, quale unico funzionario presente nell'ufficio, faceva le veci del dirigente"; c) "Il ricorrente chiese aiuto perché era solo e non poteva assentarsi "; d) "Non ho mai visto il segretario generale venire nell'ufficio commercio"; e) "Il ricorrente assegnava anche la posta dell'ufficio e si recava presso le commissioni di vigilanza per gli spettacoli, al posto del dirigente assente". Anche il teste ... ha ammesso l'esistenza di esigenze di servizio che in generale rendevano difficile la fruizione delle ferie, desumibili dalla circostanza che "tutti i dirigenti facevano richiesta di invio di personale, che non abbiamo potuto soddisfare stante la continua riduzione del personale per gli obblighi relativi al riequilibrio economico ". La teste ... ha poi ammesso che: a) Il dirigente dell'ufficio in cui era impiegato il ricorrente è stato ".... Quest'ultimo è stato assente per una malattia ed è stato ricoverato per lunghi periodi in Ospedale"; b) "Dal 2013 l'unico funzionario responsabile di posizione organizzativa presente nell'ufficio commercio è stato il ricorrente" "come responsabile dell'ufficio commercio"; c) quanto alle ferie "il ricorrente avrebbe dovute chiederle a ... o in sua assenza al segretario generale "; d) non risultano richieste o "diffide del Comune al ricorrente " per fruire delle ferie. L'esistenza di esigenze di servizio che hanno posto l'attore nell'impossibilità di fruire del monte ferie residuo sono desumibili anche dalla documentazione versata in atti dal ricorrente, dalla quale emerge che lo stesso ha dovuto contribuire all'attivazione di nuovi servizi (Suap, doc. 5 e ss. allegati al ricorso), ha dovuto costantemente sostituire il proprio dirigente (doc. 12 allegato al ricorso), non ha avuto sostituti (docc. 6 e 8 allegati al ricorso), ha avuto un carico di lavoro che gli ha imposto di lavorare anche in pieno agosto (doc. 9 allegato al ricorso). Negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, prima di transitare presso il Comune di ..., al ricorrente è stata poi irrogata la sanzione della sospensione dal servizio (doc. 13 allegato al ricorso), successivamente derubricata a censura in sede di conciliazione (doc. 14 allegato al ricorso). Le circostanze emerse dall'istruttoria testimoniale e dalla documentazione prodotta in atti confermano dunque la situazione di particolare difficoltà in cui versava l'ufficio cui era addetto il ricorrente, situazione che ha posto il ricorrente nell'assoluta impossibilità di fruire del monte ferie residuo, pacificamente pari a 49 giorni (doc. 15-bis allegato al ricorso). A ciò si aggiunga che anche le peculiari modalità di cessazione del rapporto di lavoro dell'attore, per vittoria di concorso presso altra amministrazione, hanno determinato una situazione di impossibilità di fruire delle ferie non imputabile al dipendente. Inoltre, il Comune convenuto non ha provato di aver posto il ricorrente nelle condizioni di fruire delle ferie, né lo ha informato in merito alle stesse, né lo ha mai invitato formalmente a fruirne. Ricorrono dunque nel caso di specie, tutte le condizioni enunciate dalla richiamata giurisprudenza comunitaria, nonché da quella della Cassazione e della Corte Costituzionale per poter affermare che l'attore non ha perso il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute, perché il mancato godimento delle ferie è stato incolpevole, essendo dipeso da una mancanza di capacità organizzativa da parte del datore di lavoro, che non ha provato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui l'attore era preposto non fossero tali da impedire il godimento delle ferie, né ha dimostrato di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie. In conseguenza delle svolte considerazioni, va dichiarato il diritto dell'attore ad ottenere un'indennità sostitutiva dei 49 giorni di ferie non godute nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di .... Per l'effetto, il Comune di ... va condannato a corrispondere al ricorrente l'importo complessivo di Euro.6.339,09, come calcolato nei conteggi attorei non contestati da parte convenuta, oltre interessi legali dalla data di cessazione del rapporto di lavoro al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza del Comune convenuto e si liquidano come in dispositivo, in base ai parametri posti dal D.M. n.37/2018 e - ratione temporis, per le spese della fase decisoria - dal D M. n.147/2022.. P.Q.M. definitivamente pronunciando, così provvede: 1) accerta e dichiara l'insussistenza di un obbligo per il ricorrente ... di dare il preavviso in relazione alle dimissioni rassegnate il 20.12.2019 e di pagare l'indennità di mancato preavviso richiesta dal Comune di ... e, per l'effetto, annulla l'opposta ordinanza ingiunzione adottata dal Comune convenuto il 4.5.2020; 2) accerta e dichiara il diritto del ricorrente ... al pagamento dell'indennità sostitutiva dei 49 giorni di ferie non godute nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di ... e, per l'effetto, condanna il Comune convenuto a corrispondere al ricorrente, a tale titolo, l'importo di Euro.6.339,09, oltre interessi legali dalla data di cessazione del rapporto di lavoro al saldo; 3) condanna il Comune convenuto a rifondere al ricorrente le spese di lite, liquidate in Euro.2.828,00, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario per le spese generali, per competenze professionali, e in Euro.118,50 per rimborso delle spese di contributo unificato. ..., 5 aprile 2023
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del lavoro, nella persona della dott.ssa Laura Laureti, nella causa tra: (...) E (...), ricorrenti, rappresentate e difese dall'avv. Ti.So.; E (...) S.R.L.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Co.; E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dall'avv. Si.Di. e avv. Ma.Pi.; all'udienza del 15 marzo 2023 ha pronunciato la seguente Sentenza SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) e (...) hanno convenuto in giudizio la (...) s.r.l.s. e la (...) s.r.l. e hanno esposto di aver lavorato formalmente alle dipendenze della (...) con contratto part-time a tempo indeterminato (rispettivamente, di 30 e di 20 ore settimanali), con qualifica di operaie addette alle pulizie inquadrate al 2 livello del CCNL Imprese di Pulizia-Terziario, dal 12.10.2015 (...) e dal 16.2.2018 (...) sino al 31.10.2019, data di decorrenza del licenziamento intimato con lettera del 30.10.2019 per giustificato motivo oggettivo per cessazione del cantiere cui erano adibite e impossibilità di essere ricollocate in altre mansioni. Hanno dedotto di aver svolto per l'intero periodo mansioni di addette alle pulizie presso lo stabilimento di Anagni della (...) in forza di un contratto di appalto tra quest'ultima e la (...). Hanno lamentato il carattere fittizio dell'appalto e la loro sottoposizione al potere direttivo e organizzativo della (...), reale datore di lavoro, nonché l'illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 per insussistenza del giustificato motivo oggettivo e violazione dell'obbligo di repechage. Hanno inoltre osservato che l'internalizzazione del servizio di pulizia da parte di (...) ha comunque determinato, ai sensi della normativa sul trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della committente ((...)) con conseguente illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 intimato da (...). Le ricorrenti hanno poi dedotto che alla data di cessazione del rapporto di lavoro non hanno ricevuto il pagamento dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, né delle competenze di fine rapporto, ivi compresa l'indennità sostitutiva del preavviso pari a 15 giorni ed il TFR. La sig.ra (...) ha aggiunto di essere stata assunta dalla (...) con contratto part-time di 30 ore settimanali e di aver subito dal mese di maggio 2016 una riduzione dell'orario lavorativo da 30 a 20 ore settimanali con conseguente riduzione della retribuzione per volontà unilaterale parte del datore di lavoro e senza il consenso della lavoratrice. Hanno dunque chiesto al Giudice nei confronti di (...) s.r.l.: -di accertare la nullità del contratto di appalto tra la (...) e (...) con conseguente interposizione illecita di manodopera e per l'effetto di accertare la costituzione del rapporto di lavoro tra le ricorrenti e (...) a far data dal primo contratto di assunzione (dal 12.10.2015 per (...) e dal 16.2.2018 per (...)), con qualifica e mansioni di cui alla categoria (...) del CCNL Chimici Industria; -di accertare la internalizzazione del servizio di pulizia da parte di (...) con cessione di ramo di azienda e applicazione dell'art. 2112 c.c. e conseguente declaratoria di illegittimità dei licenziamenti e continuazione dei rapporti lavorativi dal 31.10.2019 alle dipendenze di (...) e condanna di quest'ultima al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data dell'illegittimo recesso sino alla riammissione in servizio e alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Nei confronti di (...) s.r.l.s. hanno chiesto al Giudice di accertare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 per difetto di giusta causa e/o giustificato motivo e per l'effetto di condannare la convenuta alla loro riassunzione o in alternativa al risarcimento del danno dalle 2,5 alle sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto o in subordine applicare la tutela risarcitoria "crescente" per assenza di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo con diritto delle lavoratrici al risarcimento del danno pari ad 1 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (min 2 e max 6 mensilità). In ogni caso, accertata la sussistenza del contratto di appalto fino al 31.10.2019, hanno chiesto la condanna di (...) e di (...) in solido, ai sensi dell'art. 29 co. 2 del D.Lgs. n. 276 del 2003, al pagamento, in favore di (...), dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, ratei di 13 e 14 mensilità, assegni familiari dal mese di luglio al mese di ottobre 2019, rimborso da 730, TFR e competenze di fine rapporto (Ferie e Rol) per un importo complessivo di Euro 2.637,29, nonché al pagamento, in favore di (...), dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, ratei di 13 e 14 mensilità, TFR e competenze tutte di fine rapporto (Ferie e Rol) per un importo complessivo di Euro 3.931,60, importi quantificati nei conteggi analitici allegati al ricorso sulla base del CCNL del settore. Ancora, la sig.ra (...) ha altresì chiesto di condannare le società convenute, in via esclusiva e/o solidale, a restituire le retribuzioni a cui avrebbe avuto diritto se l'orario di lavoro fosse stato quello effettivamente concordato per iscritto pari alla differenza delle retribuzioni mensili calcolate su un orario di 4 ore giornaliere in luogo di quelle dovute pari a 6 ore giornaliere per un totale complessivo di Euro 6.900,37, come da conteggio allegato, oltre all'incidenza su tutti gli istituti contrattuali ivi compreso il TFR. Si sono costituite in giudizio la (...) e la (...) e hanno chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato. Preliminarmente, (...) ha eccepito la omessa impugnazione giudiziale del contratto di appalto e del licenziamento nei suoi confronti con conseguente decadenza della domanda ex art. 32 della L. n. 183 del 2010. Nel merito, le convenute hanno ribadito la genuinità dell'appalto e la sussistenza del giustificato motivo oggettivo alla base del recesso. Sulle differenze retributive, (...) ha osservato di aver corrisposto alle ricorrenti, dopo l'instaurazione del giudizio, gli importi a saldo degli omessi pagamenti dedotti in ricorso. In sede di note del 29.10.2021 e del 18.1.2023 le ricorrenti hanno confermato il versamento, da parte di (...), delle differenze retributive e competenze di fine rapporto dopo l'instaurazione del giudizio, con conseguente richiesta di cessata materia del contendere. La (...) ha poi insistito per la condanna delle convenute al risarcimento del danno per illegittima riduzione dell'orario lavorativo da 30 a 20 ore settimanali. Sul contraddittorio così instaurato, espletata la prova orale e autorizzato il deposito di note difensive, la causa è stata discussa e decisa con separata sentenza nel corso della odierna udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso va respinto in quanto infondato. Preliminarmente va respinta l'eccezione di decadenza ex art. 32 L. n. 183 del 2010 sollevata da (...). Come è noto, l'art. 32 comma 1 della L. n. 183 del 2010 cit. ha modificato l'art. 6 della L. n. 604 del 1966 e ha previsto che "il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso" (art. 6 comma 1 L. n. 604 del 1966) e che "l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni (180 a seguito della modifica ex art. 1 c. 38 L. n. 92 del 2012, applicabile ai licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012) dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo" (art. 6 comma 2 L. n. 604 del 1966). Il successivo art. 32 comma 2 L. n. 183 del 2010 prevede inoltre che le disposizioni di cui all'art. 6 L. n. 604 del 1966 "come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento". Infine, i commi 3 e 4 del medesimo articolo 32 estendono i nuovi termini di decadenza ex art. 6 L. n. 604 del 1966 a numerose altre fattispecie, quali l'azione di nullità del termine, il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 c.c., la cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 c.c. nonché "in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto". Nella specie è incontestato l'onere di impugnativa del licenziamento nei confronti di entrambe le società convenute (a conferma cfr. Cass. 17969/2016 e 6668/2019). La lettera di licenziamento datata 30.10.2019 è stata impugnata in via stragiudiziale mediante lettera inviata sia alla (...) sia alla (...), rispettivamente, in data 13.11.2019 (ricevuta da (...). il successivo 18.11.2019) e in data 28.11.2019 (ricevuta da (...) il successivo 6.12.2019; vd. all. 7 ricorso). Il ricorso è stato poi depositato in data 1 luglio 2020 e quindi entro il termine di decadenza di 180 giorni previsto dall'art. 6 comma 2 della L. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32 della L. n. 183 del 2010 (considerato il periodo di sospensione da Covid). Il ricorso è evidentemente proposto nei confronti di entrambe le convenute con richiesta di costituzione del rapporto di lavoro con (...). Nel merito, va anzitutto esaminata la questione relativa alla interposizione fittizia di manodopera. Ai sensi dell'art. 29 comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 "Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dallasomministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa". Per distinguere l'appalto genuino dalla interposizione fittizia di manodopera, la S.C. ha affermato i seguenti principi: -In tema di divieto d'intermediazione di manodopera, l'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all'assunzione, nel primo, del rischio d'impresa da parte dell'appaltatore ed all'eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l'appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell'appaltatore rimanendo sull'interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa sicché, nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l'appaltatrice (Cass. 12807 del 2020); -In tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. "labour intensive"), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest'ultimo, l'"intuitus personae" nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l'elemento fiduciario caratterizzi l'intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro. (Cass. 12551 del 2020 che ha ritenuto illecito un appalto di servizi affidato da un istituto di credito a un'impresa di facchinaggio, ove le indicazioni ai lavoratori sui compiti da svolgere in concreto fossero fornite dalla committente, che parte dei beni utilizzati per il lavoro fossero della banca e che l'appaltatore non avesse, presso la sede della committente, alcun referente organizzativo); -L'appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza che l'appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell'appaltatore (Cass. 15557 del 2019); -In tema di appalto avente ad oggetto prestazioni lavorative, il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, può essere individuato, in presenza di particolari esigenze dell'opera o del servizio, anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. 30694 del 2018 che ha ritenuto genuino un appalto concernente la gestione e l'assistenza tecnica di archivi informatici, affermando che, in una tale ipotesi, caratterizzata da una bassa intensità organizzativa, gli strumenti e le macchine forniti dall'appaltante non costituiscono il mezzo attraverso il quale il servizio viene reso, ma, piuttosto, l'oggetto sul quale l'attività appaltata si esercita, sì da risultare predominante la mera organizzazione dei dipendenti); -Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, previsto dall'art. 1 della L. n. 1369 del 1960 (applicabile "ratione temporis"), opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa mantenendo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, l'assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione finalizzata al conseguimento di un risultato produttivo autonomo (Cass. 27105 del 2018); -In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se esse siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (Cass. 9139 del 2018; in senso analogo cfr. Cass. n.15615 del 2011). Invero, dalle deposizioni dei testi escussi non sono emersi gli elementi caratteristici necessari per individuare una condotta elusiva della normativa di legge in materia di interposizione fittizia di manodopera. E' infatti risultato che l'attività dei dipendenti della (...) operanti nello stabilimento (...) era coordinata e diretta dal responsabile della cooperativa ((...)), che quest'ultimo impartiva alle ricorrenti disposizioni e direttive ed esercitava il potere gerarchico e di controllo nei loro confronti, che la prestazione lavorativa era organizzata da (...) e quest'ultima forniva macchinari, prodotti e strumenti di lavoro. La teste (...), impiegata amministrativa in (...) fino a dicembre 2020, ha precisato che la macchina pulitrice, i secchi, i detersivi per pulire, le scope erano forniti da (...). ed erano conservati in uno stanzino presso lo stabilimento della (...). Quando l'appalto è cessato, (...). ha ripreso i propri macchinari e strumenti di lavoro. (...) della (...) si è occupato della formazione dei dipendenti addetti agli appalti e delle ricorrenti, aveva indicato alle lavoratrici il lavoro da fare, poi l'attività di pulizia è sempre la stessa e routinaria. In caso di problemi, le ricorrenti si rivolgevano a (...). Il sig. (...) non era presente tutti i giorni, all'inizio formava le dipendenti, indicava cosa fare e poi andava all'occorrenza. (...) forniva alle ricorrenti anche il materiale antinfortunistico. Le ricorrenti chiedevano a (...) e a (...) l'autorizzazione per ferie o permessi. Le medesime circostanze sono poi confermate da (...) e (...). (...), collega di lavoro delle ricorrenti in (...), ha raccontato che il materiale per pulire, attrezzature e prodotti e poi l'abbigliamento, guanti e camici, erano forniti da (...).. In (...) c'era uno stanzino dove erano depositate attrezzature e prodotti per pulire. Se un prodotto mancava o per altri problemi, le ricorrenti si rivolgevano a (...) o (...). Alla sig.ra (...) della (...) si rivolgevano se mancava la carta igienica, il sapone o la carta per le mani nei bagni utilizzati dagli operai. La (...). forniva le scarpe antinfortunistiche e poi la divisa. Alcune colleghe preferivano usare la divisa con il marchio (...). Le ricorrenti avevano un cartellino che dovevano timbrare quando entravano ed uscivano dallo stabilimento per motivi di sicurezza. La (...). indicava alle ricorrenti il lavoro da svolgere, poi ogni giorno le pulizie erano sempre le stesse. (...), dipendente di (...) presso l'ufficio acquisti, ha confermato che in base al contratto di appalto tra la (...). e (...) la prima forniva i prodotti di pulizia e gli altri strumenti di lavoro (scopa e macchina per pulire il pavimento). C'era un calendario con le stanze, uffici e aree da pulire. La sig.ra (...) si occupava di ordinare i rotoloni di carta e il detergente per i bagni utilizzati dal personale della (...), non ha mai fatto ordini per prodotti specificamente destinati alla pulizia dei locali. Ogni tanto il sig. (...) si presentava in (...) per controllare il lavoro delle ricorrenti e i prodotti per pulire. (...), responsabile del personale in (...), ha riferito che le ricorrenti timbravano il badge (...) in entrata e in uscita per ragioni di sicurezza, ossia per registrare le presenze nello stabilimento. Ha precisato che vedeva il sig. (...) per la (...). in azienda che dava istruzioni sul lavoro alle ricorrenti, gli forniva gli strumenti di lavoro, portava i detersivi e le scope, e che le fatture della (...). comprendevano anche i costi del materiale utilizzato dalle ricorrenti per le pulizie, come indicato nel contratto di appalto. (...), (...) e (...), operai dipendenti di (...), hanno poi riferito che le ricorrenti indossavano la divisa (...) e timbravano in entrata e in uscita il badge (...). Prendevano scope e detersivi in uno stanzino nel magazzino della (...). Il capo reparto, (...), diceva alle ricorrenti cosa dovevano pulire ma loro già lo sapevano (teste (...)). Le ricorrenti utilizzavano gli spogliatoi della (...) insieme agli altri dipendenti ((...)). Il sig. (...) era più volte presente in (...) e dava istruzioni di lavoro alle ricorrenti (...). Queste deposizioni appaiono attendibili in quanto chiare precise e concordanti e provenienti da soggetti che, avendo lavorato con le ricorrenti e/o presso il medesimo magazzino, hanno avuto conoscenza diretta dei fatti riferiti e non risultano avere motivi di inimicizia con le parti. L'istruttoria ha dimostrato che la (...) ha esercitato il potere gerarchico nei confronti delle ricorrenti e organizzato la prestazione lavorativa, ha impartito ordini e istruzioni di lavoro; il personale della (...) interveniva con funzione di coordinamento connesso al risultato della prestazione lavorativa; l'utilizzo della divisa (...) non era imposto e la timbratura del badge in entrata e in uscita nello stabilimento di Anagni era giustificata da ragioni di sicurezza per la delicatezza delle attività svolte da (...) e la necessità di controllare le presenze nello stabilimento. Dall'istruttoria è poi emerso che il servizio di pulizia per qualche mese dopo ottobre 2019 è stato internalizzato, ossia svolto direttamente da (...) con proprio personale, per poi essere nuovamente assegnato in appalto a ditte esterne (cfr. dichiarazioni di (...) e (...), nonché di (...) e (...)). Non è stato dimostrato invece il trasferimento di beni dalla originaria appaltatrice ((...)) ad (...). E' per questo inconferente la doglianza di parte attrice relativa alla applicazione dell'art. 2112 c.c. sul trasferimento di azienda. L'art. 2112 c.c. prevede che "in caso di trasferimento di azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano". In materia la S.C. ha osservato che "Si configura trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello subentrante nella gestione; sicché il trasferimento di azienda è realizzabile, sempre che si abbia un passaggio dei beni di non trascurabile entità, anche in due fasi per effetto dell'intermediazione di un terzo. Una volta realizzatosi il trasferimento di azienda, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l'effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente" (Cass. 26215/2006). La S.C. ha affermato in tema di trasferimento di azienda che "In caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall'appaltatore cessato al trasferimento automatico all'impresasubentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all'attività di impresa, o almeno del "know how" o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell'art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l'ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda" (Cass. 8922 del 2019 e 24972 del 2016). Nella specie l'istruttoria non ha fornito alcun elemento, neanche indiziario, sul trasferimento di persone o beni, know how o altri fattori, dalla precedente appaltatrice ((...)) alla impresa subentrante nel servizio di pulizia (prima (...), che ha svolto in proprio il servizio di pulizia, e poi la ditta esterna). Sul giustificato motivo oggettivo alla base del licenziamento, la prova espletata consente di affermare che il rapporto di lavoro tra la (...) e le ricorrenti si è risolto (a decorrere dal 31.10.2019) in coincidenza con la cessazione del contratto di appalto relativo al servizio di pulizia cui le lavoratrici erano adibite, che il servizio di pulizia è stato svolto da (...) con proprio personale, che non vi erano presso (...) altri posti di lavoro e appalti ove ricollocare le signore (...) e R. e che nel corso di poco più di un anno (tra ottobre 2019 e il 2020) la (...). ha perso anche gli altri appalti in essere, ha licenziato tutto il personale e cessato l'attività (cfr. tra l'altro la teste (...), impiegata amministrativa in (...). fino a dicembre 2020, che ha raccontato che nel 2019 è cessato l'appalto (...) e non vi erano altri appalti ove ricollocare le ricorrenti, che la (...) ha perso tutti gli appalti, ha mandato via tutti i lavoratori e dal 2021 è inattiva; vd anche dichiarazioni di (...), (...) e (...)). Il licenziamento del 30.10.2019 risulta giustificato dalla effettiva situazione aziendale dedotta dalla convenuta, mentre sono inconsistenti i motivi di impugnazione del recesso dedotti in ricorso. Per quanto riguarda la domanda di differenze retributive, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al pagamento delle spettanze di fine rapporto e degli altri emolumenti economici (13° mensilità, indennità di preavviso, arretrati assegni familiari), pacificamente corrisposti alle lavoratrici da (...). dopo l'instaurazione del giudizio. (...). ha anche provveduto al pagamento della retribuzione spettante alle ricorrenti per le effettive ore di lavoro prestate accertate dall'I.T.L. di Frosinone. Per quanto riguarda la riduzione di orario di lavoro della (...), va richiamato l'orientamento della S.C. secondo cui "Il rapporto di lavoro subordinato, in assenza della prova di un rapporto part-time, nascente da atto scritto, si presume a tempo pieno; è, pertanto, onere del datore di lavoro, che alleghi la durata limitata dell'orario, fornire la prova della riduzione della prestazione lavorativa, né la sua diminuzione può essere unilateralmente disposta dal datore di lavoro, potendo conseguire soltanto ad accordo tra le parti, la cui prova, tuttavia, può essere data per facta concludentia, anche se il contratto sia stato stipulato per iscritto" (Cass. n. 1375 del 2018). Peraltro, sulle conseguenze del difetto di prova scritta del contratto di lavoro part-time, la S.C. ha affermato che "In tema di contratto di lavoro "part time", il difetto della forma scritta prevista "ad substantiam" dall'art. 5 del D.L. n. 726 del 1984 non determina la nullità dell'intero contratto, ma la sua conversione in un ordinario rapporto "full time", con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento del danno, commisurato alle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in base a un orario a tempo pieno, previa costituzione in mora del datore di lavoro ex art. 1217 c.c., mediante la messa a disposizione delle energie lavorative" (Cass. 14797 del 2019). La riduzione dell'orario di lavoro è quindi legittima se le parti hanno compiuto gesti ed azioni da cui è desumibile il loro accordo sulla diversa durata della prestazione lavorativa. Nella specie, la (...) ha rispettato gli orari di lavoro indicati dal datore di lavoro (da maggio 2016, dalle 6:00 alle 10:00 dal lunedì al venerdì) senza mai adottare alcun comportamento o volontà contrari. Da maggio del 2016 sino al presente ricorso la ricorrente non ha mai contestato la illegittimità della riduzione dell'orario di lavoro, né ha dedotto o provato di aver offerto la prestazione lavorativa (anche dopo maggio del 2016) per le 30 ore settimanali originariamente previste nel contratto di lavoro. Non risulta dimostrata la messa a disposizione delle energie lavorative da parte della (...) per il più lungo orario di lavoro (pari a 30 ore settimanali, dalle 6 alle 12 dal lunedì al venerdì), presupposto della domanda risarcitoria. Alla luce delle osservazioni descritte, non spetta alla (...) l'ulteriore somma di Euro 6.900,37 connessa alla riduzione dell'orario di lavoro. Per i motivi descritti, il ricorso va respinto. Le spese di lite vanno compensate per la complessità delle questioni trattata e degli accertamenti di fatto svolti. Queste sono le ragioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. Respinge il ricorso; Compensa le spese di lite. Così deciso in Frosinone il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il giudice di Frosinone, dott. Stefano Troiani, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di secondo grado iscritta al numero 1976 del Ruolo generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 promossa DA (...), in atti generalizzata, rappresentata e difesa dagli avv.ti Le.Ra. e Pa.Mo. del foro di Velletri, giusta delega a margine della citazione, elettivamente domiciliati in Colleferro, via (...). -ATTORE- CONTRO S.R.L. (...), in persona del suo legale rappresentante, in Anagni, via (...). -CONVENUTO (contumace) MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, la sig.ra (...) conveniva in giudizio l'hotel "(...)", di proprietà della S.r.l. (...), chiedendo il risarcimento danni, quantificati nella misura di Euro 18.043,47, derivanti da una caduta, provocata da un tronchetto di arbusto, nascosto tra l'erba, presente nel giardino adiacente la pizza da ballo dell'hotel - ristorante. La caduta determinava un trauma contusivo del polso e della mano sinistra. Secondo parte attrice, la responsabilità dell'evento dannoso deve essere addebitata alla società convenuta per cose in custodia ex art. 2051. Nessuno si costituiva per la società (...), per la quale veniva dichiarata la contumacia. All'udienza del 29/11/2022, dopo la mancata comparizione del legale rappresentante della convenuta, nonché l'esperimento del tentativo di conciliazione, la causa veniva trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di legge. La domanda attorea è fondata. La fattispecie è inquadrabile nell'ambito dell'art. 2051 c.c.. Occorre osservare che, per il risarcimento del danno cagionato da cose in custodia, l'art. 2051 c.c. non richiede la prova dell'esistenza di una specifica, intrinseca pericolosità della cosa in sé, imponendo comunque al danneggiato di dimostrare l'esistenza di un efficace nesso causale tra le res e l'evento dannoso. La responsabilità del custode, invece, ha carattere oggettivo, con la conseguenza che sullo stesso grava una presunzione di colpa, superabile soltanto con la prova del fortuito (fattore esterno imprevedibile ed eccezionale), al quale è equiparata la condotta colpevole del danneggiato. Il fatto colposo del danneggiato può concorrere con la responsabilità del custode, integrando così un concorso colposo ovvero può essere idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia e il danno stesso. Nel caso di specie, può ritenersi provato il nesso causale tra il fatto e l'evento, non essendovi stata alcuna prova del caso fortuito da parte della convenuta ovvero della colpa del danneggiato, ad esso equiparabile, ma anzi, tenuto conto della condotta complessiva tenuta dalla convenuta, sia prima del giudizio che durante la pendenza dello stesso, con la non contestazione del fatto e la mancata risposta all'interrogatorio formale del legale rappresentante ex art. 232 c.p.c., può ritenersi pienamente confermata la ricostruzione del fatto storico, così come prospettato dall'attrice. Dagli atti, infatti, emerge che il tronchetto non era visibile, in quanto nascosto tra l'erba e nemmeno si poteva ragionevolmente prevedere che in un giardino adiacente una pista da ballo, riservato a tutti gli ospiti della struttura, si potesse nascondere una tale insidia. D'altro canto, alla condotta dell'attrice non si può muovere alcuna censura in termini di negligenza. Si deve, quindi, affermare la responsabilità ex art. 2051 della struttura. Con riferimento alla quantificazione del danno, questo Tribunale ha ritenuto di non disporre una consulenza d'ufficio per ragioni di economicità, posto che il fatto storico, la responsabilità dell'evento e il relativo pregiudizio non appaiono contestate dalla convenuta. Nella relazione medico - legale di parte, svolta dal dott. (...) si legge che dalle lesioni riportate dalla sig.ra (...), descritte nella perizia che qui si richiama integralmente e compatibili con la dinamica della caduta, sono derivati postumi permanenti, da valutarsi nella misura del 8% del totale sotto il profilo dell'invalidità permanente, mentre il periodo di inabilità temporanea totale o assoluto è stato di giorni 50 e quello di inabilità temporanea parziale di giorni 40 al 50%. Pertanto, nel condividere le conclusioni rassegnate dal perito, si può affermare che alla sig.ra (...) spetta, tenuto conto dell'età ( 57 anni al momento del sinistro) e delle tabelle di liquidazione del danno biologico adottate dal Tribunale di Milano, applicabili a rigore nel caso in esame, posto che le tabelle del danno biologico di lieve entità trovano applicazione solo per lesioni da sinistro stradale,inferiori al 9%, la somma di Euro 14.026,00 a titolo di danno permanente, la somma di Euro 4.950,00 (Euro.99* 40.2) a titolo di invalidità temporanea totale o assoluta, la somma di Euro 1980,00 per l'invalidità temporanea parziale (Euro 99 *40:2) per un ammontare di Euro 20.956,00, somma già stimata all'attualità. Tale importo è comprensivo anche della componente psicologica, connessa al danno fisico e non vi sono in atti elementi probatori circa la sussistenza di ulteriori, peculiari pregiudizi. Sulla somma complessiva liquidata, trattandosi di debito di valore, va inoltre calcolato il risarcimento del danno da lucro cessante subito da parte attrice per effetto della mancata tempestiva disponibilità della somma oggi liquidata, trattandosi di importo di denaro che, ove fosse stato ex tunc nella immediata disponibilità del soggetto danneggiato, sarebbe stato presumibilmente investito per ricavarne un lucro finanziario (in tal senso va interpretata la domanda dell'attore diretta ad ottenere la corresponsione, sulla somma oggi liquidata a titolo risarcitorio, degli interessi legali). Il risarcimento di tale voce di danno - in aderenza al più recente orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. un., n. 1712/1995 seguita da Cass. n. 4677/1998; Cass. n. 13463/1999; Cass. n. 2796/2000) - può essere determinato in via equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), applicando sulla somma via via rivalutata il tasso legale di interesse in vigore in ciascun anno di riferimento, con decorrenza dal giorno dell'evento e sino alla pubblicazione della presente sentenza In particolare, l'importo già attualizzato (quello di complessivi Euro 20.956,00 liquidato per il danno biologico) deve essere devalutato sino alla data del fatto illecito sulla scorta dei valori vigenti all'epoca del sinistro e , sugli importi rivalutati anno per anno, secondo gli indici Istat, vanno calcolati gli interessi legali come specificato sempre sino alla pubblicazione della sentenza. Sull'importo complessivo ottenuto applicando rivalutazione ed interessi come sopra sino al deposito del presente provvedimento, vanno ulteriormente calcolati, per il periodo successivo, gli interessi al tasso legale sino all'effettivo pagamento. La domanda pertanto deve essere quindi accolta nei termini sopra descritti. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono il principio della parziale soccombenza. P.Q.M. Accoglie la domanda proposta e, per l'effetto, condanna la S.r.l. (...), in persona del suo legale rappresentante, a corrispondere alla sig.ra (...), a titolo di risarcimento danni, la somma complessiva di Euro 20. 956,00, oltre interessi e rivalutazione nei termini di cui in motivazione. Condanna la su citata società a rifondere le spese di lite che liquida in Euro 280,00 per spese, Euro 3.000,00 oltre rimborso spese generali in ragione del 15% iva e cpa, come per legge, nonché le spese della c.t.u. Così deciso in Frosinone il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Frosinone, Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace Daniela Possenti, alla pubblica udienza del giorno 9 novembre 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante integrale lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a S. M. (C.), il (...), ivi residente in Via C. n. 1, libero assente, difeso di fiducia dall'Avv. Fr.Ma.; 2. (...), nata a N., il (...), residente in C. (C.), Via (...) C. n. 33, domicilio eletto, libera non comparsa, difesa di ufficio dall'Avv. An.D'A. del Foro di Frosinone; Imputati n. 1662/2019 R.G. Dib. - n. 3905/2017 R.G.N.R. a carico di (...) 1 del reato p. e p. dall'art. 640 c.p. poiché, mediante artifizi e raggiri consistiti nel contraffare in toto e quanto ai dati anagrafici del beneficiario l'assegno postale n. (...) delle (...) - filiale di R. Piazza D. - emesso per l'importo di Euro 45.000,00 in favore di (...) e nel versarlo sul proprio conto corrente n. (...) acceso presso l'ufficio postale di (...) - filiale di (...) 2 di via T. n. 85 -, inducendo in errore i funzionari del citato ufficio postale sulla genuinità di esso, si procurava l'ingiusto profitto pari alla somma portata dal titolo (che provvedeva poi a prelevare per contante) con altrui danno patrimoniale. In Frosinone in data 16.03.2017; 2 del reato p. e p. dall'art. 491 c.p. poiché, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, formava falsamente l'assegno postale di cui al capo 1), facendone uso mediante presentazione all'incasso previa abusiva compilazione. In Frosinone, in data antecedente e prossima al 16.3.2017; n. 2078/2019 R.G. Dib. - n. 2515/2017 R.G.N.R.. a carico di (...) e (...) a) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con artifici e raggiri consistiti: (...) quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...) dall'ufficio postale di (...), Piazza D., apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria per l'importo di Euro 19.700,00, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'intero importo prelevato nei modi sopra descritti con pari danno per (...) s.p.a. Con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità. Commesso in Frosinone in data 16.03.2017; b) (...) del delitto di cui agli artt. 61, comma 2, e 491 c.p. poiché, al fine di trarne profitto e di commettere il delitto sub A), formava falsamente il vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00, duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...), facendone uso mediante presentazione all'incasso presso lo sportello dell'ufficio postale di Frosinone. Accertato in Frosinone il 16/03/2017; n. 980/2021 R.G. Dib. - n. 2515/2017 R.G.N.R. a carico di (...) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso con (...) (n. S. M. (C.) il 03.02.1944), nei confronti del quale si procede separatamente, con artifici e raggiri consistiti: (...) quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...) dall'ufficio postale di (...), Piazza D., apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria per l'importo di Euro 19.700,00, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'interno importo prelevato nei modi sopra descritti, con pari danno per (...) s.p.a. Commesso in Frosinone in data 16.03.2017; CON LA RECIDIVA SPECIFICA n. 2078/2019 R.G. Dib. a carico di (...) - (...) a) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con artifici e raggiri consistiti (...), quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.3.17 a favore di (...) dall'ufficio postale di Roma di piazza Dante, apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio Postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria, per l'importo di 19.700,00 Euro, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'intero importo prelevato nei modi sopra descritti con pari danno per (...) s.p.a. Con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità. Commesso in Frosinone in data 16/03/2017; (...) b) del delitto di cui agli artt. 61, comma 2, e 491 c.p. poiché, al fine di trarne profitto e di commettere il delitto sub A), formava falsamente il vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00, duplicando quello emesso dall'ufficio postale di R. Piazza D. - il 14/03/2017 a favore di (...), facendone uso mediante presentazione all'incasso presso lo sportello dell'ufficio postale di Frosinone. Accertato in Frosinone il 16/03/2017; Con la recidiva reiterata specifica ex art. 99, co. 2 n. 1) e co. 4 c.p. per (...) e (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA Preliminarmente si evidenzia che i processi sopratrascritti sono stati frutto di provvedimenti di stralcio causati da mancate notifiche. Detti processi sono stati riuniti, stante la identità delle condotte contestate nonché per ragioni di connessione ed economia processuale, dopo la regolarizzazione delle notifiche. Con decreti di citazione diretta a giudizio la Procura della Repubblica di Frosinone presentava gli imputati dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere dei reati di cui in rubrica. In data 07.07.2021, processo n. 980/2021 R.G. DIB. a carico della (...), constatata la regolare citazione delle parti, si procedeva in assenza dell'imputata e, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale, venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti e, a seguito di richiesta della difesa, si rinviata ad altra data per riunione. All'udienza del 18.03.2021, nel processo n. 1662/2019 R.G. DIB. a carico di (...), constatata la regolarità delle notifiche, si procedeva in assenza dell'imputato, veniva disposta la riunione dei fascicoli e, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale, venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti, acquisita documentazione ed escusso il teste addotto dal PM (...) (CC R. Piazza (...)). All'udienza del 14.10.2021, variato giudicante, in ossequio alla Sentenza SS.UU. 41736 del 2019 le parti si riportavano integralmente alle richieste di prova già formulate in corso di giudizio, nulla eccependo a che la rinnovazione del dibattimento avesse luogo tramite lettura delle deposizioni testimoniali rese dai testi già esaminati e degli atti assunti o acquisiti al fascicolo del dibattimento. Venivano escussi i testi addotti dal PM: (...) (C.F.), (...) e (...) e acquisita documentazione (carta identità (...), documenti (...), copia vaglia intestato a (...) fascicolo fotografico e DVD). All'udienza del 07.04.2022, dopo aver rigettato istanza di rinvio per tardività del deposito della stessa, l'imputata (...) si sottoponeva a esame dopo gli avvertimenti di rito. All'udienza del 9 novembre 2022, esaurita la fase istruttoria, dichiarata l'utilizzabilità degli atti allegati al fascicolo per il dibattimento dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 553 c.p.p. e di quelli successivamente acquisiti nel corso del giudizio, si dichiarava chiuso il dibattimento e si invitavano le parti a concludere, come da verbale di udienza. Veniva, quindi, pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo. L'istruttoria dibattimentale ha dimostrato in modo in equivoco, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria in relazione ai reati p. e p. ex artt. 640 e 491 c.p. contestati, gli imputati, pertanto, devono essere riconosciuti colpevoli dei detti reati loro ascritti. Il teste (...) riferiva che in data 20.03.2017 aveva ricevuto la querela sporta da (...) in relazione all'assegno postale non trasferibile n. (...), di Euro 45.000,00 intestato alla medesima, dalla stessa versato, in pari data, presso la (...) attraverso la cassa self di Via del C. in R. e, successivamente, negoziato da (...) presso l'ufficio postale Frosinone 2. Riferiva di aver accertato che l'assegno era stato accreditato sul c/c (...) intestato a (...). Il teste (...) riferiva che in data 16.03.2017, la direttrice dell'Ufficio Postale Frosinone 2, (...), aveva chiesto l'intervento dei Carabinieri perché qualche ora prima una persona, identificata in (...) utilizzando il proprio Postamat aveva chiesto che venissero effettuati, dal suo conto corrente, due versamenti entrambi per Euro 19.700,00, uno sulla carta Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...) e l'altro sulla Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...). Precisava il teste che il (...), oltre ai detti versamenti, aveva prelevato Euro 1.500,00 in contanti. Precisava che la direttrice, incuriosita dalle dette operazioni, usciva dall'ufficio postale e vedeva il (...) salire a bordo di un'autovettura Mercedes, avente "(...)" quale parte finale della targa. A seguito di accertamenti, era emerso che il (...), nella stessa mattina, prima si era recato presso l'Ufficio Postale Frosinone 4dove aveva depositato un vaglia postale con importo di Euro 45.000,00, permettendo le operazioni sopra riportate. Precisava il teste che, a seguito di controlli effettuati presso l'ufficio postale Frosinone 4 era emerso che detto vaglia era risultato falsificato o clonato e che la vera intestataria era (...), la quale lo aveva richiesto a un ufficio postale di Roma al fine di versare la caparra per l'acquisto di un appartamento. Precisava, altresì, il teste che, a seguito di attività investigative era emerso che, in un breve lasso di tempo il (...) aveva effettuato vari prelievi presso diversi uffici postali: Frattamaggiore, Frattaminore, Aversa, Giuliano in Campania, Venafro e San Massimo. Quanto sopra era stato accertato attraverso l'acquisizione dei filmati dei vari uffici postali. La teste (...) riferiva che in data 20.03.2017 aveva sporto querela in relazione a un assegno per Euro 45.000,00 che le avevano clonato. Precisava che in data 14.03.2017 aveva richiesto all'ufficio postale di R. Piazza D. l'emissione di un assegno postale non trasferibile per il detto importo in quanto necessario per acquistare una casa. Riferiva di aver versato l'assegno presso una banca in pari data. Precisava che il 20.03.2017, data del rogito, la banca le aveva comunicato che l'assegno era stato clonato e che i soldi non c'erano più. Riferiva che dopo la denuncia in data 19.05.2017 le (...) le avevano restituito l'importo. La teste riconosceva l'assegno mostratole dal PM. Il teste (...), già dipendente Ufficio Postale Frosinone 2, riferiva che il giorno 16.03.2017 aveva presentato querela in relazione a un assegno di Euro 45.000,00. Precisava che verso le ore 8.30 del giorno 16.03.2017 (...), identificato con documenti e codice fiscale, si era presentato con detto vaglia chiedendo di depositarlo sul proprio conto. Precisava che l'operazione di versamento, durata una ventina di minuti, era andata a buon fine e che il (...) aveva firmato tramite carta. Precisava che il codice fiscale fornito dal (...) era vero ma riferibile ad altro intestatario. Precisava il teste che verso le ore 9.00 della stessa giornata l'aveva contattato la direttrice dell'ufficio postale di Frosinone 4 segnalandogli dei dubbi sulla genuinità del vaglia in quanto stava versando il contante sulla Postepay. Precisava il teste di aver effettuato immediati controlli e di aver verificato la non regolarità dell'operazione. Precisava che sul vaglia era riportato il nome di (...) il quale aveva firmato i documenti davanti a lui. Riferiva di riconoscere il prevenuto nei documenti mostratigli. L'imputata, precisando di essere separata e con numerosa prole, riferiva che nel 2016/2017 era stata avvicinata da una signora, tale (...), che le avrebbe offerto un lavoro. Riferiva che avrebbe dovuto aprire una Postepay sulla quale sarebbero arrivati soldi. Precisava che una mattina, mentre era fuori della scuola dei bambini, le si erano avvicinate due persone dicendole che erano amiche di (...) e che l'avrebbero portata a prelevare dei soldi. Riferiva di aver prelevato in vari Uffici Postali finché la carta non era stata bloccata. Riferiva di non aver sporto denuncia per paura. Il reato p. e p. ex art. 491 c.p. è stato ascritto al solo (...) e all'esito dell'istruttoria svolta è, al di là di ogni ragionevole dubbio, emersa l'ascrivibilità allo stesso. Quanto al reato p. e p. ex art. 640 c.p., ascritto a entrambi gli imputati, si precisa quanto segue. Nel delitto di truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore; più in particolare, nella truffa contrattuale "... l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria" (S.C. Sez. 2, Sentenza n. 37859 del 22/09/2010). Per giurisprudenza consolidata (tra le ultime: Cass. 30798/2012; 30686/2012) in materia di truffa contrattuale anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere integra l'elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato (Cass. sez. 2 14 ottobre 2009 n. 41717, M.; sez. 2 29 ottobre 2008 n. 47623, D.P.; sez. 2 4 ottobre 2006 n. 35185, Da.; sez. 2 11 ottobre 2005 n. 39905, T.) e che il reato in esame e' configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella dell'esecuzione allorquando una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l'altra parte con artifizi e raggiri, omettendo intenzionalmente la comunicazione di circostanze rilevanti che si ha il dovere di far conoscere, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno (Cass. sez. 6 3 aprile 1998 n. 5579, P.; sez. 2 10 novembre 1989 n. 3685, (...)). Nel caso in esame sussistono tutti gli elementi costitutivi dei reati per cui si procede. Ora, nel caso in esame le dichiarazioni della persona sono state confermate, superando positivamente l'uso della doverosa accortezza, sia all'ulteriore riscontro testimoniale che dalla copiosa produzione documentale. L'impostazione accusatoria è, pertanto, risultata suffragata al di là di ogni ragionevole dubbio. Deve rilevarsi, nel merito, la raggiunta la prova sulla realizzazione del fatto - reato da parte degli imputati. Le dichiarazioni dei testi ascoltati, da considerarsi attendibili perché non inficiate da elementi contrari e rese con estrema linearità e coerenza, descrivono gli episodi relativi alla condotta assunta dai prevenuti in ordine ai fatti per cui è processo. La condotta degli imputati integra perfettamente il reato contestato. Pertanto, all'esito dell'istruttoria dibattimentale è inequivocabilmente emersa la responsabilità di (...) e (...) in ordine ai fatti loro rispettivamente contestati e la relativa ascrivibilità agli stessi. Tenuto conto della natura e della gravità dei reati come sopra qualificati, nonché, in generale, dei parametri di cui all'art. 133 c.p., relativamente a (...), ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, lo condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione). Quanto a (...), tenuto conto della natura e della gravità del reato come sopra qualificato, del comportamento processuale dell'imputata nonché, in generale, dei parametri di cui all'art. 133 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi 6 di reclusione (pena base: mesi 6 di reclusione). Alla pronuncia di affermazione della penale responsabilità, segue per gli imputati l'obbligo di pagamento delle spese sostenute dallo Stato per il presente giudizio. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) e (...) colpevoli dei reati oro ascritti e, ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, li condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione), oltre il pagamento delle spese processuali. Concede i benefici di legge a (...). Riserva in 90 giorni il deposito della motivazione. Frosinone, 9 novembre 2022 Il Giudice, - rilevato che nel dispositivo della sopraestesa Sentenza, per un errore meccanico, non è emersa la distinzione tra le posizioni degli imputati e che è stato omesso di provvedere in ordine al materiale sottoposto a sequestro; - ritenuta la fattispecie qualificabile come correzione di semplice errore materiale in quanto non determinante nullità del provvedimento e la cui variazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto ma, anzi, è favorevole all'imputata (...); Visto l'art. 130 c.p.p. ordina 1. la correzione del dispositivo nei seguenti termini: Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati ascrittigli e, ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, li condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione), oltre il pagamento delle spese processuali; Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascrittole e, valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi 6 di reclusione (pena base: mesi 6 di reclusione), oltre il pagamento delle spese processuali; 2 la integrazione del dispositivo della sopraestesa Sentenza con la seguente frase "Dispone la confisca e la distruzione di quanto in sequestro", da apporre prima di "Riserva in 90 giorni il deposito della motivazione." Manda alla Cancelleria per l'annotazione delle variazioni sull'originale dell'atto. Così deciso in Frosinone il 9 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa Laura Laureti, nella causa tra: (...), ricorrente, rappresentata e difesa dall'avv. Laura Careri; E (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fr.Ma. e Ma.Gi.; E REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, contumace; all'udienza del 24 gennaio 2023 ha emesso la seguente Sentenza FATTO E DIRITTO (...) ha convenuto in giudizio la (...) e la Regione Lazio e ha dedotto di essere invalido civile, affetto da cecità assoluta, e di lavorare da circa 37 anni alle dipendenze della Azienda convenuta con mansioni di centralinista. Ha esposto che ha sempre esercitato le proprie mansioni all'interno di un ufficio non accessibile al pubblico e che sin dal 2 agosto 2020 è stato adibito a svolgere il suo lavoro esclusivamente dalla propria dimora (in modalità smart working). Con comunicazione del 15.12.2021 il ricorrente è stato invitato dal datore di lavoro alla vaccinazione anti SarsCoV2. Ritenendo che il personale non sanitario non adibito a lavoro a contatto con il pubblico sia escluso dall'obbligo di vaccinazione, il ricorrente ha contestato l'invito della (...). Con successivo provvedimento prot. n. (...) del 9.2.2022 la Commissione per la verifica dell'obbligo vaccinale ha accertato l'inosservanza dell'obbligo da parte del (...) e la (...) con prot. (...) del 9.2.2022 ha disposto la sua sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ai sensi dell'art. 4-ter del D.L. n. 44 del 2021. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 per violazione dell'art. 2 D.L. n. 172 del 2021 (art. 4-ter co. 3 D.L. n. 44 del 2021), dell'art. 1 D.L. n. 1 del 2022, per inadempimento contrattuale del datore di lavoro e inesigibilità dell'obbligo vaccinale. Ha evidenziato l'illegittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale per contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 32, 36 e 117 della Costituzione, nonché del Codice di Norimberga, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione di Oviedo. Il sig. (...) ha quindi chiesto al Giudice di accertare l'illegittimità del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di disapplicarlo e di condannare le resistenti al risarcimento del danno mediante pagamento in suo favore delle retribuzioni non corrisposte maturate dalla data di sospensione fino alla data di effettiva riammissione in servizio; ha chiesto altresì di condannare le resistenti alla regolarizzazione contributiva della sua posizione previdenziale per il periodo di illegittima sospensione e di computarlo come periodo di effettivo servizio anche ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Si è costituita la (...) e ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata. In via preliminare la convenuta ha osservato che in data 21.4.2022, il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è stato riammesso in servizio a seguito di invio di referto negativo e possesso di green pass (per guarigione in esito a contagio). Ha quindi chiesto di dichiarare l'inammissibilità/improcedibilità della domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio per cessazione della materia del contendere. Nel merito la (...) ha osservato di essersi conformata alla legge a suo tempo vigente che ha previsto l'obbligo vaccinale del ricorrente, in quanto lavoratore presso struttura sanitaria e ultracinquantenne; che la normativa non contempla il lavoro agile quale causa di esonero dall'obbligo vaccinale; che il legislatore ha demandato al datore di lavoro il compito di assicurare la puntuale e rigorosa applicazione delle norme in materia di obbligo vaccinale. La Regione Lazio, regolarmente citata, non si è costituita ed è stata dichiarata contumace. Alla udienza del 17 maggio 2022, la parte ricorrente ha confermato la revoca della sospensione dal servizio e dalla retribuzione e la sua riammissione al lavoro. Ha quindi aderito alla richiesta di cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di ripristino del rapporto di lavoro, mentre ha insistito con la domanda di risarcimento del danno e corresponsione delle retribuzioni omesse durante il periodo di illegittima sospensione. Sul contradditorio così instaurato, la causa ritenuta documentalmente istruita, è stata discussa e decisa con separata sentenza nel corso della odierna udienza. Per orientamento costante e consolidato della S.C. "La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice" (Cass. SS.UU. n. 13969/2004, e nn. 16150/2010, 11931/2006; di recente Cass. n. 2063/2014). Inoltre "La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, che si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l'interesse ad agire e a contraddire, e cioè l'interesse ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all'azione proposta e alle difese svolte dal convenuto" (Cass. 2567/2007 e 4714/2006). Nella specie sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessata materia del contendere in relazione alla domanda di revoca della sospensione dal lavoro e riammissione in servizio. Il provvedimento di sospensione (impugnato) del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è rientrato in servizio dal 21.4.2022. Successivamente al deposito del ricorso (del 9.4.2022) è venuto meno l'interesse delle parti ad una pronuncia del Giudice di annullamento del Provv. del 9 febbraio 2022. Si ritiene poi fondata la domanda di accertamento della illegittima sospensione operata dalla azienda resistente. Il provvedimento di sospensione dal lavoro del 9.2.2022 e l'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale richiamano l'art. 2 del D.L. 26 novembre 2021, n. 172, che ha introdotto l'art. 4-ter al D.L. n. 44 del 2021 sull'estensione dell'obbligo vaccinale, tra l'altro, al personale che opera nelle strutture sanitarie. L'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., nella versione applicabile ratione temporis, statuisce che: "Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del D.L. n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie:? c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis" (comma 1). I successivi commi 2 e 3 dispongono che "La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1. I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1. Si applicano ledisposizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 7" (comma 2) e che "I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento del predetto obbligo vaccinale ... Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021". Gli artt. 4 e 4-bis, richiamati dall'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., prevedono l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (ossia coloro che esercitano professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e la professione ostetrica), nonché per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie. L'art. 8-ter del D.Lgs. n. 502 del 1992, inoltre, fa riferimento alle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie la cui realizzazione è subordinata ad autorizzazione. L'obbligo vaccinale in esame è stato introdotto per prevenire e contenere la diffusione dell'infezione da virus SARS-Cov-2 al fine di tutelare la salute pubblica e in particolare i soggetti fragili. La sua imposizione comporta una limitazione di libertà personali costituzionalmente protette che si giustifica in ragione della situazione emergenziale all'epoca esistente, del dovere inderogabile di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della salute come interesse della collettività (art. 32 Cost.), valori di pari rango costituzionale. La disciplina dell'obbligo vaccinale, dunque, è il risultato di un bilanciamento di interessi (individuali e collettivi) contrapposti e per questo, limitando fortemente libertà individuali in funzione della tutela della salute della collettività, va interpretata restrittivamente. Nella specie il ricorrente è dipendente della (...) con mansioni di centralinista. Ha dedotto di aver svolto la sua attività lavorativa in un ufficio non accessibile al pubblico e dal 2 agosto 2020 ha lavorato esclusivamente dalla propria abitazione nella modalità del lavoro agile (o smart working). Non è un sanitario, né è adibito a prestazioni a contatto con il pubblico. Né, alla data di entrata in vigore dell'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4-ter in esame (15.12.2021), operava presso una struttura sanitaria o socio-sanitaria. Come osservato, l'art. 4-ter in esame ha introdotto l'obbligo vaccinale per il "personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" ossia nelle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie, con esclusione dei collaboratori con contratti esterni e fermo restando l'obbligo vaccinale dei soggetti di cui all'art. 4 e 4-bis. Si ritiene che il ricorrente non rientri in alcuna delle categorie sopra descritte soggette all'obbligo vaccinale. Per un verso, non fa parte del personale sanitario in quanto svolge mansioni di centralinista; per l'altro, prestando attività lavorativa esclusivamente da casa già da agosto 2020, non opera presso una struttura dedicata all'assistenza e al ricovero dei pazienti, non ha contatti con il pubblico né con persone fragili o malate. Inoltre, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest'ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. Alla luce delle osservazioni descritte, si ritiene che sia illegittimo il provvedimento di sospensione dal lavoro del (...) del 9.2.2022, con conseguente condanna della (...) a pagare al ricorrente le retribuzioni maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione. La (...) va altresì condannata a regolarizzare la posizione previdenziale del ricorrente e a considerare il periodo di sospensione come periodo di effettivo lavoro ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Il ricorso va quindi accolto per le ragioni descritte e ciò assorbe l'esame delle ulteriori censure formulate da parte attrice. Si ritiene di compensare le spese di lite tra le parti per la novità e complessità delle questioni trattate. Queste sono le ragioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio; Condanna la (...) resistente al pagamento, in favore del sig. (...), della retribuzione maturata durante il periodo di illegittima sospensione dal lavoro, oltre interessi come per legge, e di computarlo come periodo di effettivo servizio ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa; Condanna altresì la (...) resistente alla regolarizzazione contributiva della posizione previdenziale del ricorrente per il periodo di illegittima sospensione; Compensa le spese di lite. Così deciso in Frosinone il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FROSINONE SEZIONE PENALE in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Aurora Gallo, nel procedimento penale di primo grado a margine indicato, all'udienza in camera di consiglio del 7 novembre 2022, all'esito del giudizio abbreviato, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a C. il (...), con domicilio dichiarato in C., in via C. 16; DETENUTO AGLI ARRESTI DOMICILIARI IN RELAZIONE AL PROCEDIMENTO RIUNITO - PRESENTE assistito e difeso di fiducia dall'Avv.to Gi.Ve. del foro di Frosinone; IMPUTATO A) del reato p. e p. dall'art. 81 cpv, 337 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo avere superato un incrocio con il semaforo rosso mentre era alla guida del furgone Fiat Iveco Daily ( tg (...)), alla richiesta dei Carabinieri di fornire i documenti di circolazione per la contestazione dell'infrazione commessa, ingranava la marcia ripartendo ad forte velocità per eludere il controllo e si dava alla fuga per svariati km, ponendo in essere condotte di guida pericolose, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, lanciando dal finestrino contro la pattuglia che lo inseguiva vari oggetti, tra cui anche un cuneo di ferro; infine abbandonava il veicolo dandosi alla fuga a piedi, e, raggiunto dai militari, cercava di divincolarsi con spallate e spintoni per opporsi alle operazioni di controllo. In Frosinone, il 04.08.2022 Con la recidiva reiterata in fraquinquennale PROCEDIMENTO RIUNITO Procedimento n. R.G.Dib. 1111/2022 - R.G.N.R. 2982/2022 IMPUTATO A) del reato p. e p. dagli artt. 81 e 337 c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si opponeva, con violenza e minaccia, al controllo di polizia ed identificazione ad opera della Questura di Frosinone, (...) e (...) - Sezione (...) in questa via M.. In particolare, l'indagato, alla guida di una autovettura Mercedes classe (...) di colore grigio targata (...), percorreva la via (...) di F., alla vista della volante, si dava alla fuga da via (...) T. cicerone in direzione di via A., a velocità non commisurava alle condizioni di traffico, gli operanti della Volante intimavano l'alt tramite l'utilizzo dei segnali luminosi e sonori. L'indagato inizialmente rallentava ma un istante dopo aumentando la velocità del suddetto veicolo, iniziava con pericolose manovre a zigzagare tra le auto in transito in direzione Scalo, rischiando di andare a collidere contro il muro dell'attività commerciale denominata "Il Vesuvio" ed a forte velocità sorpassava tutti i veicoli incontrati. Una volta imboccata via (...) in direzione via (...) lo stesso percorreva in senso contrario zigzagando. La pattuglia 2, vista la pericolosità delle manovre poste in essere dall'indagato, cercava di superare il veicolo affiancandolo si sul lato destro che sul lato sinistro. Il conducente metteva in atto manovre tali da danneggiare il veicolo di servizio. Percorsa circa la metà di via (...), l'indagato arrestava improvvisamente la propria corsa al centro della carreggiata, costringendo la pattuglia che precedeva ad oltrepassarlo al fine di evitare la collisione. A questo punto il (...) abbandonava l'autovettura e si dava alla fuga a piedi in direzione del tunnel di via (...), immediatamente inseguito dagli operanti che lo bloccavano. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 B) del reato p. e p. dagli artt. 61 n. 2, 81 e 635 c.p., perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il reato di cui al capo a), speronava l'autovettura della Polizia di Stato, che inutilmente cercavano di arrestare la fuga dell'indagato con conseguente danneggiamento del paraurti anteriore, la rottura del faro destro. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 Ai soli fini della contestazione: C) del reato p. e p. dagli artt. 2 e 76 comma 3 del D.Lgs. n. 159 del 2011, perché, sebbene sottoposto alla misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio con divieto di far ritorno nel comune di Frosinone per un periodo di anni tre, giusta Provv. del Questore di Frosinone emesso in data 23 settembre 2019, notificato all'indagato in data 7 ottobre 2019, non ottemperava all'obbligo facendo rientro nel comune di Frosinone. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Tratto in arresto nella flagranza del reato descritto nell'imputazione riportata in epigrafe di cui al procedimento recante n. R.G.Dib. 1000/22, n. R.G.N.R. 2487/22, (...) è stato presentato dinanzi al Tribunale di Frosinone, in composizione monocratica, all'udienza del 4 agosto 2022, per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo. Sentita la relazione dell'operante, interrogato l'imputato, è stato convalidati l'arresto ed è stata applicata nei confronti del predetto la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G., come richiesto dal P.M.; si è quindi disposto di procedere immediatamente al giudizio, l'imputato ha rilasciato procura speciale al difensore per la definizione del procedimento con rito alternativo ed è stato concesso un termine per preparare la difesa. All'udienza del 26 settembre 2022, verificati i presupposti soggettivi e oggettivi, è stata disposta, come richiesto, la riunione al presente procedimento di quello recante n. R.G. DIB DI. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022 ed è stata avanzata richiesta di definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato; quindi, ammesso il rito richiesto, il procedimento è stato rinviato su istanza della difesa, al fine di produrre la documentazione meglio indicata nel verbale in atti. All'udienza del 20 ottobre 2022 è stata acquisita al fascicolo la documentazione prodotta dalla difesa e all'odierna udienza, acquisiti i fascicoli del P.M., le parti sono state invitate alla discussione orale, al termine della quale, sulle conclusioni formulate dalle stesse, sopra trascritte, è stata pronunciata la sentenza di cui al dispositivo, pubblicato mediante lettura. 2. Gli elementi desumibili dagli atti contenuti nei fascicoli del Pubblico Ministero e da quelli assunti alle udienze di convalida degli arresti, utilizzabili giusto il disposto dell'art. 442, comma 1-bis c.p.p. in considerazione del rito prescelto, consentono di ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati a lui ascritti. 2.1. Relativamente alla fattispecie contestata nel presente procedimento, recante n. R.G. DIB. 1000/2022 R.G.N.R. 2487/2022, gli elementi contenuti nel verbale di arresto e negli ulteriori atti allegati al fascicolo consentono di ritenere che l'imputato, attraverso una condotta di guida spericolata, abbia opposto resistenza nei confronti dei carabinieri che gli avevano intimato di arrestare la marcia, costringendoli ad un lungo inseguimento. Nello specifico, dal verbale su richiamato, illustrato dall'operante di P.G. (...) in sede di udienza di convalida, è emerso che, il 4 agosto 2022, alle ore 04,00 circa, appartenenti alla Stazione dei Carabinieri di Frosinone, Sezione Radiomobile, nel corso di un servizio perlustrativo, transitando sulla via (...) L., all'altezza dell'intersezione stradale tra via (...) F. e via C. C., notavano un furgone, di colore bianco, del tipo fiat Iveco Daily, targato (...) che, nonostante il semaforo rosso, oltrepassava l'intersezione a forte velocità, motivo per il quale le forze dell'ordine, a bordo dell'auto con i colori d'istituto, una volta raggiunto il predetto veicolo, intimavano l'alt mediante l'attivazione dei dispositivi luminosi. Il conducente del veicolo (poi identificato nel (...)) arrestava la marcia dopo circa 200 metri e, tuttavia, alla richiesta dei documenti di circolazione per poter contestare l'infrazione commessa, ingranava la marcia ripartendo a forte velocità e si dava alla fuga per svariati Km, effettuando manovre pericolose, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, lanciando inoltre dal finestrino, contro la pattuglia che lo inseguiva, vari oggetti, tra cui anche un cuneo in ferro; infine abbandonava il veicolo dandosi alla fuga a piedi, e, raggiunto dai militari, cercava di divincolarsi con spallate e spintoni per opporsi alle operazioni di controllo, tanto da rendersi necessario l'utilizzo della manette di sicurezza. In merito alla vicenda, l'imputato, all'udienza di convalida del 4 agosto 2022, ha reso dichiarazioni spontanee, affermando che si trovava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e di non essersi reso conto del contegno tenuto. Tali essendo le risultanze acquisite deve ritenersi provato il fatto rappresentato nell'imputazione ascritta all'imputato, il quale, pertanto, deve essere dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 337 c.p. a lui contestato. Deve in primo luogo osservarsi che non sono emersi elementi che possano far dubitare dell'attendibilità delle circostanze di fatto esposte nel verbale di arresto, il cui contenuto, illustrato dall'operante di P.G. in sede di convalida, è assolutamente inequivoco ed offre una chiara e dettagliata ricostruzione della vicenda e della condotta tenuta dal (...), sussumibile nell'alveo dell'art. 337 c.p. Giova invero rilevare che l'elemento materiale richiesto per la configurabilità del delitto in esame può per l'appunto essere integrato dalla fuga alla guida di un veicolo e dalle manovre poste in essere con una condotta rischiosa per l'incolumità degli altri utenti della strada e tale da creare una situazione di generale pericolo (nel senso che "Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze di polizia, non si limiti alla fuga alla guida di un'autovettura, ma proceda ad una serie di manovre finalizzate ad impedire l'inseguimento, così ostacolando concretamente l'esercizio della funzione pubblica e inducendo negli inseguitori ma percezione di pericolo per la propria incolumità" si veda Cass., 17 ottobre 2019, n. 44860; cfr. altresì Cass., 10 settembre 2013, n. 40; Cass., 18 settembre 2009, n. 41419; Cass., 20 novembre 2009, n. 46618; Cass., 14 luglio 2006, n. 41936 secondo cui "Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all'atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, sicché deve rispondere di tale reato il soggetto che, alla guida di un'autovettura, anziché fermarsi all'alt intimatogli dagli agenti di polizia, si dia alla fuga ad altissima velocità e, al fine di vanificare l'inseguimento, ponga in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo"). Nel caso oggetto di valutazione, non vi è dubbio che riprendere improvvisamente la marcia di un veicolo, a seguito dell'alt intimato a mezzo di segnalazioni visive da parte delle forze dell'ordine che intendevano procedere al controllo e contestare l'infrazione poc'anzi commessa, (consistente nell'attraversamento di un incrocio con il semaforo rosso), procedendo ad una velocità elevata, attraversando le intersezioni stradali, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, addirittura lanciando dal finestrino contro la pattuglia che lo inseguiva vari oggetti, tra cui anche un cuneo in ferro seguito, rappresenta una condotta di guida idonea ad ostacolare concretamente l'esercizio della funzione pubblica e a creare una situazione di pericolo per la circolazione e l'incolumità degli utenti della strada, che, lungi dall'integrare un atto di mera disobbedienza o di resistenza passiva, integra gli estremi della violenza e della minaccia di cui all'art. 337 c.p.. Deve peraltro rilevarsi che l'imputato, dopo aver posto in essere la condotta di guida sopra illustrata, abbandonando il veicolo al fine di darsi alla fuga a piedi, ha altresì utilizzato violenza nei confronti degli operanti (...) e (...), intervenuti per fermarlo, spingendoli con spallate e spintoni, nel tentativo di proseguire nella fuga, come meglio indicato nel verbale di arresto allegato al fascicolo. Le accertate modalità del fatto comprovano, inoltre, la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 337 c.p., non potendo dubitarsi della volontarietà della condotta posta in essere dal (...), così come non è revocabile in dubbio che il comportamento tenuto fosse finalizzato a sottrarsi all'attività istituzionale che i carabinieri intendevano compiere ovvero al controllo su strada del veicolo da lui condotto, in ragione dell'elevata velocità tenuta dal mezzo e dalla infrazione commessa, avendo lo stesso superato un incrocio con il semaforo rosso. L'intimazione dell'alt con i dispositivi visivi, l'inseguimento effettuato per circa cinquanta minuti per via della fuga pericolosa intrapresa dall'imputato rappresentano invero dati obiettivi che, apprezzati nel loro complesso, dimostrano la volontarietà della condotta realizzata. Del resto, ai fini della configurabilità del reato è richiesto il dolo specifico che si concretizza nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (v. Cass. 23 settembre 2014, n. 38786; Cass., 20 ottobre 2020, n. 35277) Del tutto ininfluente deve ritenersi lo stato di tossicodipendenza dell'imputato, al quale ha fatto riferimento l'imputato rendendo dichiarazioni spontanee all'udienza di convalida del 4 agosto 2022. Ed invero, ai sensi dell'art. 93 c.p., stante il richiamo operato agli articoli precedenti, l'assunzione di sostanze stupefacenti ove - come nel caso in esame - non sia derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude, né diminuisce l'imputabilità dell'agente. L'intossicazione da sostanze stupefacenti può influire sulla capacità di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilità di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico (in questi termini, Cass. 26 novembre 2013, n. 47078). Nella specie, non vi sono elementi per ritenere sussistente uno stato di cronica intossicazione prodotta da sostanze stupefacenti (non evincibile dalla documentazione prodotta al fascicolo), né sussistono elementi per sostenere che tale stato abbia influito sull'atteggiamento psicologico tenuto dall'imputato. Riguardo a tale ultimo profilo, si consideri che negli atti allegati al fascicolo nemmeno si esplicita che l'imputato si presentava in uno stato tale da renderlo non sufficientemente lucido e cosciente per cogliere il disvalore del comportamento tenuto o che il predetto si trovasse in uno stato confusionale. 2.2. Argomentazioni analoghe a quelle sopra svolte possono essere rese con riferimento al reato di cui all'art. 337 c.p. oggetto della contestazione accusatoria nell'ambito del procedimento recante n. R.G. Dib. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022. Dal verbale di arresto allegato al fascicolo, il cui contenuto è stato illustrato all'udienza di convalida dall'operante (...), è invero emerso che il 18 settembre 2022 alle ore 13.45 circa, appartenenti alla sezione Volanti della Questura di Frosinone, in seguito alla segnalazione di (...), padre dell'odierno imputato, circa il prelievo dalla sua officina di un'autovettura del tipo Mercedes classe C, targata (...), transitando su via (...), incrociavano il predetto veicolo, condotto da un soggetto, successivamente identificato nella persona dell'odierno imputato, il quale, alla vista delle forze dell'ordine che intendevano sottoporlo a controllo in ragione della segnalazione pervenuta e nonostante l'intimazione dell'alt tramite segnali luminosi e sonori, dopo un iniziale rallentamento si dava alla fuga a forte velocità, effettuando sorpassi pericolosi, compiendo manovre azzardate, posizionandosi più volte contromano e zigzagando, transitando inoltre sui cordoli di una pista ciclabile, con serissimo pericolo per i pedoni presenti, tentando altresì di speronare l'autovettura di servizio, colpendo, numerose volte, da entrambi i lati, il paraurti anteriore della predetta vettura, così provocando il danneggiamento dello stesso e la rottura del faro destro; il (...), infine, dopo essersi posizionato contromano all'altezza di via (...), abbandonava l'auto a motore acceso che, proseguiva la propria marcia in maniera incontrollata sino ad arrestarsi nei pressi di un marciapiede; si dava quindi alla fuga a piedi e veniva poi bloccato dagli operanti. In merito alla vicenda, l'imputato ha reso dichiarazioni spontanee, affermando che si trova in procinto di fare ingresso in una comunità terapeutica. Tali essendo le risultanze acquisite deve osservarsi che il contenuto del verbale di arresto, in relazione al quale non sono emersi elementi che possano far dubitare dell'attendibilità delle circostanze di fatto ivi esposte, offre una chiara e dettagliata ricostruzione della condotta tenuta dal (...) integrante il reato di cui all'art. 337 c.p., dovendosi al riguardo integralmente richiamare le argomentazioni svolte al punto 2.1 della motivazione sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto in esame. Tanto premesso, deve quindi ritenersi, tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra riportato, che la condotta dell'imputato, consistita nel darsi alla fuga alla guida della vettura Mercedes classe C targata (...) a seguito dell'alt intimato a mezzo di segnalazioni luminose e sonore da parte delle forze dell'ordine che intendevano procedere al controllo, effettuando manovre e sorpassi pericolosi, proseguendo la marcia ad elevata velocità nonostante l'inseguimento, percorrendo altresì strade contromano e zigzagando, tentando infine di speronare la vettura di servizio (v. sul punto verbale di arresto e trascrizioni relative all'udienza di convalida del 19 settembre 2022) integri il reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui al capo a) delle imputazioni. Trattasi invero di una condotta idonea ad ostacolare concretamente l'esercizio della funzione pubblica e a creare una situazione di pericolo per la circolazione e l'incolumità degli utenti della strada e per le forze dell'ordine che inseguivano il (...), che integra all'evidenza gli estremi della violenza e della minaccia di cui all'art. 337 c.p., perpetrata nei confronti degli operanti di P.G. mentre erano intenti a compiere un atto del proprio ufficio. L'imputato, dal canto suo, essendosi legittimamente avvalso della facoltà di non rispondere, non ha offerto alcun elemento obiettivamente apprezzabile ai fini di una diversa ricostruzione della vicenda, avendo solo dichiarato di trovarsi in procinto di fare ingresso in una comunità terapeutica. Le accertate modalità del fatto comprovano, inoltre, la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 337 c.p., non potendo dubitarsi della volontarietà della condotta posta in essere dal (...), così come non è revocabile in dubbio che il comportamento tenuto fosse finalizzato a sottrarsi all'attività istituzionale che le forze dell'ordine intendevano compiere, consistente nel procedere alla sua identificazione, anche al fine di verificare la segnalazione effettuata dal (...), relativa alla sottrazione del veicolo condotto dall'odierno imputato, vettura custodita all'interno dell'officina del predetto (...). Del resto, come si è già detto, ai fini della configurabilità del reato è richiesto il dolo specifico che si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (v. Cass. 23 settembre 2014, n. 38786; Cass., 20 ottobre 2020, n. 35277). 2.3. Sulla scorta delle risultanze evidenziate deve ritenersi provata, inoltre, la responsabilità penale dell'imputato anche in ordine al delitto di cui all'art. 635 c.p. contestatogli sempre nell'ambito del procedimento recante n. R.G. Dib. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022. Gli elementi desumibili dal verbale di arresto in atti consentono invero di ritenere provato che il prevenuto, al fine di commettere il reato di cui al capo a), speronava l'autovettura della Polizia di Stato che inutilmente cercava di arrestare la fuga del (...), così provocando il danneggiamento del paraurti anteriore e la rottura del faro destro. Tanto premesso, giova osservare che la condotta realizzata dall'imputato durante l'inseguimento, consistita nell'effettuare manovre tali da danneggiare il veicolo di servizio, colpendo, numerose volte, da entrambi i lati, il paraurti anteriore dell'auto, come meglio precisato nel verbale di arresto in atti, integri la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 635 c.p., la quale punisce chi, alternativamente, distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibile l'altrui cosa destinata, per quel che qui rileva, a pubblico servizio o a pubblica utilità. Del resto, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità ai fini dell'integrazione del reato è sufficiente che la cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui è destinata, non rilevando la possibilità di reversione del danno (cfr. Cass., 9 marzo 2011, n. 9343) Le accertate modalità dell'azione, riscontrate anche dalle fotografie in atti, rendono inoltre evidente la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato in questione, non essendo dubitabile che il (...) abbia agito con la coscienza e volontà di speronare e danneggiare la vettura di servizio. Deve inoltre ritenersi sussistente l'aggravante di cui all'art. 61 c.p. n. 2, non potendo dubitarsi, avuto riguardo alla condotta descritta nel verbale di arresto, che il prevenuto abbia commesso il reato di danneggiamento al fine di commettere il reato di cui al capo a). 2.4. Venendo ora alla fattispecie contravvenzionale contestata all'imputato sempre nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022, di cui al capo c) della contestazione accusatoria, gli elementi desumibili dagli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero consentono di ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli. Dal verbale di arresto più volte menzionato risulta invero che il 18 settembre 2022 le forze dell'ordine dopo aver bloccato il (...), conducendolo presso gli uffici di P.G., effettuavano un controllo in banca dati SDI che consentiva di appurare che il prevenuto risultava destinatario di un provvedimento emesso dal Questore di Frosinone relativo ad un foglio di via obbligatorio con divieto di fare ritorno nel Comune di Frosinone, senza la preventiva autorizzazione, per un periodo di anni tre; provvedimento emesso in data 23 settembre 2019, notificato all'interessato il 7 ottobre 2019 (v. documento in atti). Come si evince dal provvedimento acquisito al fascicolo processuale, il Questore si era determinato ad ordinare il rimpatrio con foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno nel Comune di Frosinone atteso che il (...) annoverava precedenti di polizia per furto, minaccia e danneggiamento e che il predetto, in data 2 agosto 2019, in via (...) agro del Comune di Frosinone, veniva deferito alla competente A.G. essendosi reso responsabile del reato di rapina, estorsione e guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. L'imputato, infine, non risultava iscritto nei registri anagrafici del Comune di Frosinone, dove non aveva validi motivi per soggiornarvi e, per quanto sopra esposto, annoverando pregiudizi penali, veniva ritenuto persona pericolosa per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica (si veda il provvedimento del Questore acquisto al fascicolo). Tali essendo le risultanze probatorie acquisite deve ritenersi provato il fatto di cui all'imputazione contestata. Deve al riguardo rilevarsi che non risulta elemento alcuno per dubitare della legittimità formale e sostanziale del provvedimento emesso dal Questore di Frosinone (contenente l'indicazione del luogo di residenza dell'imputato e con il quale è stato ordinato il rimpatrio dal Comune di Frosinone, con divieto di farvi ritorno per anni tre) in considerazione della pericolosità del (...) per l'ordine e la sicurezza pubblica, atteso che il predetto annoverava anche pregiudizi penali (si veda il certificato del (...) in atti). Alla stregua delle evenienze di fatto sopra illustrate deve pertanto ritenersi provato il fatto contestato, considerato che l'imputato, trovandosi nel Comune di Frosinone il 18 settembre 2022 ha violato il provvedimento su richiamato, rientrando nel territorio comunale prima della scadenza del termine di efficacia del divieto. Non consta, inoltre, che il (...) - certamente consapevole del divieto a lui imposto atteso che il provvedimento amministrativo gli era stato notificato - avesse ottenuto l'autorizzazione dell'autorità di P.S. a rientrare nel Comune di Frosinone; non risultano, poi, circostanze da cui poter desumere uno stato soggettivo tale da escludere la consapevole violazione alle prescrizioni inerenti al foglio di via obbligatorio emesso nei suoi confronti. Sussiste anche l'elemento soggettivo del reato, non potendo dubitarsi che il (...) fosse consapevole del divieto a lui imposto atteso che il provvedimento amministrativo gli era stato regolarmente notificato. Può dunque ritenersi integrato il reato di cui all'art. 76, co. 3 D.Lgs. n. 159 del 2011 come contestato all'imputato. 3. Tanto premesso, venendo alle fattispecie delittuose oggetto delle contestazioni accusatorie e in relazione alle quali, per le argomentazioni sopra svolte, va affermata la penale responsabilità dell'imputato, occorre precisare che, tenuto conto del principio secondo cui "In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell'art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio" (cfr. Cass., S.U, 22 febbraio 2018, n. 40981), avuto riguardo alla sostanziale omogeneità degli episodi delittuosi (con riferimento alla condotte di cui all'art. 337 c.p.), considerata altresì la stretta contiguità temporale dei fatti posti in essere, essendo stati realizzati in un arco di tempo assai ravvicinato, le condotte accertate possono ritenersi avvinte dal vincolo della continuazione. Tra i reati in continuazione deve considerarsi più grave quello di cui all'art. 337 c.p. contestato nel procedimento n. R.G. Dib. 1111/2022- R.G.N.R. 2982/2022, in ragione dei limiti edittali di pena, tenuto altresì conto, rispetto all'analogo reato contestato nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB. 1000/22, delle modalità e delle circostanze della condotta, posta in essere in costanza di misura cautelare, sia pure non custodiale, applicata per l'appunto in relazione ad un fatto analogo posto in essere appena quaranta giorni prima. Non si ritiene, invece, che possa ravvisarsi il vincolo della continuazione tra le fattispecie delittuose sopra menzionate e quella contravvenzionale di cui all'art. 76, co. 3, D.Lgs. n. 159 del 2011, stante la natura eterogenea dei reati commessi. 4. Quanto alle circostanze del reato, riguardo la recidiva reiterata infraquinquennale contestata all'imputato, va osservato che la lettura del certificato del (...) in atti consente di affermare la sussistenza dei presupposti della recidiva infraquinquennale contestata, avendo l'imputato riportato due condanne (per il delitto di lesione e danneggiamento) divenute irrevocabili in data 24 febbraio 2020 e 18 ottobre 2021. Si ritiene, tuttavia, di dover escludere in concreto l'aggravante in questione, essendo il (...) gravato solo dalle due precedenti condanne su richiamate, relativi a fatti posti in essere nell'anno 2015 e 2016, con la quale è stata comminata una pena detentiva modesta ed è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena (in relazione alla condanna riportata al n.2 del (...)) e la pena pecuniaria della multa. Il tempo trascorso dai fatti per cui l'imputato ha riportato condanna, sebbene non notevole, la natura della condotta delittuosa realizzata e le concrete modalità del fatto oggetto del presente giudizio non consentono di apprezzare tale fatto quale concretamente sintomatico di una sua maggiore capacità a delinquere e di una più accentuata pericolosità sociale. Quanto invece alla recidiva reiterata contestata all'imputato, si ritiene che non ricorrano i presupposti, tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale si ritiene di aderire, in base al quale "è preclusa l'applicazione della recidiva reiterata, di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., nel caso in cui non sia mai stata precedentemente applicata la recidiva, semplice, aggravata o pluriaggravata, per la mancanza del presupposto formale dell'anteriorità della data di irrevocabilità della precedente sentenza rispetto a quella di commissione del nuovo reato" (cfr. Cass., 29 aprile 2022, n. 27450; Cass. 14 dicembre 2021, n. 2519) 5. Venendo al trattamento sanzionatorio, si ritiene di poter riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto delle dichiarazioni spontanee rese dal predetto, il quale si è scusato per il contegno tenuto, apprezzata altresì la condotta posta in essere in epoca successiva alla commissione del reato, il quale si è offerto di risarcire i danni cagionati, come si evince dalla documentazione prodotta dalla difesane confluita nel fascicolo. 6. Applicati i parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., per il reato di cui al capo c) dell'imputazione contestato nel procedimento recante n. R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/22, avuto riguardo alle circostanze della condotta, si ritiene congruo comminare la pena di giorni venti di arresto. Quanto alle restanti fattispecie delittuose oggetto delle contestazioni accusatorie, tenuto conto, per il reato più grave di cui all'art. 337 c.p. contestato nell'ambito del procedimento penale recante n. R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/22 delle modalità della condotta, che denota una particolare spregiudicatezza e noncuranza nei confronti delle autorità, nonché scarso rispetto anche per l'altrui incolumità fisica, avuto altresì riguardo alla circostanza che il fatto è stato commesso in costanza di misura cautelata applicata per analogo fatto, oggetto del procedimento recante n. R.G.DIB 1000/22, considerata inoltre la personalità dell'imputato, come si evince dal certificato del C. in atti, si ritiene congruo comminare la pena di anni uno di reclusione per il reato di cui all'art. 337 c.p. posto in essere nei confronti di un operante, ridotta alla pena di mesi otto di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, aumentata, ai sensi dell'art. 81 cpv c.p., di un mese di reclusione per la medesima condotta posta in essere nei confronti dell'altro operante, ulteriormente aumentata di mesi uno per il reato di cui all'art. 635 c.p. (avuto riguardo all'entità del danneggiamento) e di mesi due di reclusione per l'ulteriore reato di resistenza al pubblico ufficiale contestato nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB 1000/22, R.G.N.R. 2487/22 (tenuto conto delle specifiche modalità e circostanze dell'azione), infine, ridotta alla pena di mesi otto di reclusione in ragione dell'applicazione della diminuente speciale per la scelta del rito All'affermazione di penale responsabilità consegue, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali. Non ricorrono i presupposti per riconoscere i benefici di legge, ostandovi all'evidenza le precedenti condanne di cui l'imputato è gravato. La natura delle questioni trattate ha giustificato l'indicazione del termine di giorni settanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, esclusa la contestata recidiva, applicata la diminuente speciale per la scelta del rito, lo condanna per il reato di cui al capo c) dell'imputazione nel procedimento recante R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/2022 alla pena di giorni venti di arresto e per i restanti reati a lui ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. visto l'art. 544 c.p.p., indica il termine di giorni 70 per il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 7 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.
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