Sentenze recenti Tribunale Frosinone

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • R.G. n.1453/2020 TRIBUNALE DI ... SEZIONE LAVORO Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di ..., Dott. Massimo Lisi, all'esito dell'udienza dell'8.3.2023, svolta mediante il deposito in telematico di note scritte, ai sensi dell'art.127 ter c.p.c., ha emesso la seguente SENTENZA nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2020 al numero 1453, promossa con ricorso depositato in data 10.6.2020 da ..., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale in ... (LT), Via (...), giusta procura rilasciata su foglio separato congiunto al ricorso ricorrente contro COMUNE DI ..., in persona del Sindaco p.t., rapp.to e difeso, per delega in calce alla memoria di costituzione, dall'Avv. (...) e con lo stesso elett.te dom.to nella sede Comunale di Piazza VI Dicembre a ... resistente Oggetto del giudizio: indennità di mancato preavviso; indennità sostitutiva delle ferie non godute Conclusioni: per ciascuna parte, quelle del proprio atto costitutivo, da intendersi qui integralmente riportate SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 10.6.2020, ... ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di ..., in funzione di Giudice del Lavoro, il Comune di ..., promuovendo opposizione all'ordinanza di ingiunzione ex art.2 del R.D. 14 aprile 1910, n.639, con la quale il Comune convenuto gli ha chiesto il pagamento della somma di Euro.5.525,00, a titolo di indennità di mancato preavviso calcolata ai sensi dell'art.12 del CCNL 09/05/2006, oltre interessi maturati e maturandi sulla sorte, dalla data della richiesta (16.1.2020) sino all'effettivo pagamento. L'attore ha chiesto, in via preliminare, di sospendere l'efficacia esecutiva dell'ordinanza ingiunzione opposta, anche inaudita altera parte, ricorrendo un pericolo grave e imminente, di un danno grave e irreparabile. In via principale e nel merito, il ricorrente ha chiesto di accertare e dichiarare l'insussistenza di un obbligo di preavviso su di lui gravante, o, in subordine, il rispetto dello stesso o, in via di ulteriore subordine, la non debenza dell'indennità di mancato preavviso all'Ente resistente e, per l'effetto, ha chiesto di annullare l'ordinanza ingiunzione datata 4.5.2020, adottata dal Comune di .... In subordine, l'attore ha chiesto di rideterminare gli importi dovuti a titolo di indennità di mancato preavviso, considerando il diverso importo della retribuzione da prendere a riferimento e/o il parziale preavviso concesso dalla data del 15.11.2019, o dalla diversa data ritenuta di giustizia. In ogni caso, il ricorrente ha chiesto di compensare le somme residue con gli importi a lui dovuti dal Comune di ... a titolo di indennità per mancato godimento delle ferie. Sempre in via principale, l'attore ha chiesto di accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere un'indennità sostitutiva delle ferie non godute presso il Comune di ... al 31.12.2017, e per l'effetto, ha chiesto di condannare il Comune di ... a corrispondergli a tale titolo l'importo complessivo di Euro.6.339,09, o il diverso importo ritenuto di giustizia, oltre a interessi e rivalutazioni monetarie come per legge, dal dì del dovuto sino al soddisfo. Con comparsa di costituzione e risposta si è costituito il Comune convenuto, instando per il rigetto del ricorso, con conferma dell'ordinanza ingiunzione opposta e con condanna dell'attore al pagamento, in favore del Comune di ..., degli importi ingiunti, oltre interessi fino all'effettivo soddisfo. L'ente ha dedotto, a sostegno delle sue conclusioni, che: 1) sussisteva l'obbligo di preavviso in capo al ricorrente nei confronti del Comune di ..., perché l'attore - che era stato collocato in aspettativa per l'espletamento presso il Comune di ... di un incarico ex art.110, comma 1, del D. Lgs 267/2000 e s.m.i. e che in pendenza di tale incarico era stato nominato Dirigente presso il Comune di ..., a seguito di concorso - non aveva ripreso servizio presso il Comune di ... prima di prendere servizio presso il Comune di ..., circostanza che era rilevante per la decorrenza dei termini del periodo di preavviso; 2) non era fondato l'assunto attoreo secondo cui il ricorrente, pur non essendovi tenuto, avrebbe comunque garantito il preavviso nel rispetto dei termini previsti dal contratto; 3) era irrilevante l'asserita mancanza di danno per l'Amministrazione comunale per il mancato preavviso; 4) la somma oggetto dell'ordinanza ingiunzione opposta era stata correttamente calcolata; 5) non era dovuta la richiesta indennità sostitutiva delle ferie non godute, non risultando presente agli atti di causa alcuna documentazione dalla quale potesse ricavarsi la richiesta del ricorrente di godere delle ferie, né che detta richiesta fosse stata negata dall'Amministrazione per indifferibili esigenze di servizio, sicché difettava il presupposto della volontà dell'Amministrazione di negare il congedo a causa di insuperabili esigenze organizzative dell'unità operativa interessata; 6) l'istanza di sospensione era inammissibile ed infondata. Nel corso del giudizio, è stato esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, è stata sospesa l'esecuzione dell'ordinanza ingiunzione opposta e sono stati escussi i testi ammessi. All'udienza del 9.3.2023, la causa è stata discussa dai procuratori delle parti mediante deposito di note telematiche e quindi è stata decisa dal Giudice adito con sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso merita accoglimento, per i motivi appresso specificati. L'attore ha promosso opposizione avverso l'ordinanza di ingiunzione ex art.2 del R.D. 14 aprile 1910, n.639, del 4.5.2020, con la quale il Comune di ... gli ha chiesto il pagamento della somma di Euro.5.525,00, a titolo di indennità di mancato preavviso calcolata ai sensi dell'art.12 del CCNL 9.5.2006, oltre interessi maturati e maturandi sulla sorte, dalla data della richiesta (16.1.2020) sino all'effettivo pagamento. Ritiene il Giudicante che la richiesta indennità di mancato preavviso non sia dovuta dall'attore. E' incontestato tra le parti ed è documentalmente provato che: 1) l'attore - già dipendente del Comune di ... a far data dal 15.9.2000, con qualifica di funzionario amministrativo, inquadrato nella categoria e posizione economica D6 del CCNL Regioni e Autonomie locali, oggi CCNL Funzioni Locali (doc. 2...) - a decorrere dal 1°.1.2018 è stato collocato in aspettativa non retribuita presso il Comune di ..., a seguito dell'assunzione di un incarico ex art.110 del D.Lgs. n.267/2000, prima presso il Comune di ... (docc. 15 e 16...) e poi anche presso il Comune di ...(doc. 17 ...); 2) il rientro del ricorrente presso il Comune di ... sarebbe dovuto avvenire alla scadenza del mandato del Sindaco del Comune di ..., previsto presumibilmente per il mese di maggio 2021 (doc. 18 - delibera di convalida degli eletti del Comune di...); 3) nelle more dell'aspettativa, l'attore ha partecipato al concorso pubblico per la copertura di un posto di dirigente del settore finanziario presso il Comune di ... ed è risultato vincitore, come si evince dalla determinazione dirigenziale del 3.10.2019 del predetto ente (doc. 19...); 4) in data 15.10.2019 l'attore ha comunicato detta circostanza al Comune di ... ai fini del preavviso (doc. 20...) e ha poi preso servizio presso il Comune di ... in data 20.12.2019 (doc. n.23 ...). La circostanza che la risoluzione del rapporto di lavoro tra l'attore ed il Comune convenuto sia intervenuta a dicembre 2019 - quando il ricorrente risultava già assente per aspettativa su concessione dell'ente stesso e quando il periodo residuo di aspettativa era ancora di gran lunga superiore ai due mesi di preavviso contrattualmente dovuto in caso di dimissioni dei dipendenti, come l'attore, con un'anzianità di servizio di oltre dieci anni (ex art. 12, comma 2, CCNL 9.5.2006: doc. 3...) - consente di affermare che l'indennità di mancato preavviso non poteva essere pretesa dall'ente. Infatti, se è vero che quando la risoluzione del rapporto di lavoro avviene per scelta unilaterale del lavoratore, la parte recedente è tenuta a garantire all'altra un periodo (il preavviso, appunto) per permettere la sua sostituzione ovvero - nei casi di risoluzione immediata - è tenuta a riconoscere una indennità risarcitoria (l'indennità di mancato preavviso), nel caso di specie va evidenziato che le dimissioni sono intervenute durante un periodo di aspettativa e non hanno imposto all'ente alcuna necessità immediata di riorganizzazione del servizio cui era preposto il dipendente, per il fatto stesso che ancora per un lungo periodo dopo le dimissioni del lavoratore e sino al 2021 il Comune non avrebbe potuto contare sul suo apporto, alla luce della residua durata della aspettativa concessa. In sostanza, qualora il rapporto di lavoro si trovi in regime di aspettativa non retribuita per un periodo residuo superiore a quello di durata del termine di preavviso, viene meno la necessità stessa di assicurare il predetto termine, perché esso non incide in alcun modo sugli assetti organizzativi del datore di lavoro. In altri termini, l'attore non era tenuto a garantire il preavviso al Comune di ... poiché proprio il regime di aspettativa in cui versava il rapporto di lavoro escludeva in radice la necessità di garantire le tipiche esigenze organizzative cui assolve l'obbligo di preavviso. A ciò si aggiunga che il ricorrente ha di fatto, comunque, garantito il preavviso di 2 mesi contrattualmente previsto in caso di dimissioni, tenuto conto che la prima comunicazione del ricorrente utile ai fini del preavviso è intervenuta in data 15.10.2019 (doc. 20 ...), mentre la cessazione del rapporto di lavoro si è avuta in data 20.12.2019 (doc. 27 ...), a distanza di 65 giorni e, quindi, di oltre due mesi. Si consideri che, con la predetta comunicazione del 15.10.2019 il ricorrente comunicò al Comune convenuto la vittoria del concorso presso il Comune di ... e che avrebbe rassegnato le proprie dimissioni per prendere servizio presso quel Comune. In definitiva, va dichiarata l'insussistenza di un obbligo di preavviso per il ricorrente e di un obbligo di pagare l'indennità di mancato preavviso all'Ente resistente e, per l'effetto, va annullata l'ordinanza ingiunzione datata 4.5.2020, adottata dal Comune di .... Il ricorrente ha anche chiesto di accertare e dichiarare il suo diritto ad ottenere un'indennità sostitutiva delle ferie non godute presso il Comune di ... al 31.12.2017, e per l'effetto, ha chiesto di condannare il Comune di ... a corrispondergli a tale titolo l'importo complessivo di Euro.6.339,09, o il diverso importo ritenuto di giustizia, oltre accessori. Il Comune convenuto non ha contestato che l'attore al momento della cessazione del rapporto di lavoro dovesse ancora fruire di 49 giorni di ferie, ma ha sostenuto che la richiesta indennità sostitutiva delle ferie non godute non era dovuta, non essendovi in atti alcuna documentazione dalla quale potesse ricavarsi la richiesta del ricorrente di godere delle ferie, né documentazione che provasse che detta richiesta fosse stata negata dall'Amministrazione per indifferibili esigenze di servizio. Difettava, dunque, il necessario presupposto della volontà dell'Amministrazione di negare il congedo a causa di insuperabili esigenze organizzative dell'unità operativa interessata. Osserva il Giudicante che il diritto alle ferie è irrinunciabile e, come tale, è garantito dall'art.36 Cost. e dall'art. 7 della direttiva 2003/88/CE. In merito all'interpretazione di tale direttiva, la Corte di giustizia dell'Unione europea - dopo la sentenza 20 gennaio 2009 nei procedimenti riuniti C-350/06 e C-520/06 - è intervenuta con sentenza della Grande Sezione della CGUE in data 6.11.2018 nella causa C-619/16, nella quale è stato affermato il seguente principio: "l'art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui essa implichi che, se il lavoratore non ha chiesto, prima della data di cessazione del rapporto di lavoro, di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite, l'interessato perde - automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima di tale cessazione, segnatamente con un'informazione adeguata da parte del datore di lavoro stesso - i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell'Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute". Come evidenziato dalla Cassazione con ordinanza n.13613 del 2.7.2020, alla suddetta conclusione la CGUE è pervenuta sulla base dei seguenti argomenti: a) il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 (vedi, in tal senso, sentenza del 12 giugno 2014, C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata); b) il suddetto diritto non soltanto riveste, in qualità di principio del diritto sociale dell'Unione, una particolare importanza, ma è anche espressamente sancito all'art.31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, cui l'art.6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei Trattati (sentenza del 30 giugno 2016, C178/15, punto 20 e giurisprudenza ivi citata); c) l'art.7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, in particolare, riconosce al lavoratore il diritto a un'indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che tale norma deve essere interpretata nel senso che essa osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in grado di fruire di tutti le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto (sentenze del 20 gennaio 2009, C 350/06 e C 520/06, punto 62; del 12 giugno 2014, C 118/13, punto 17 e giurisprudenza ivi citata; del 20 luglio 2016, C 341/15, punto 31, nonché del 29 novembre 2017, C 214/16, punto 65); d) secondo costante giurisprudenza della CGUE, l'art.7 della direttiva 2003/88 non può essere oggetto di interpretazione restrittiva a scapito dei diritti che il lavoratore trae da questa (vedi, in tal senso, sentenza del 12 giugno 2014, C 118/13, punto 22 e giurisprudenza ivi citata), rispondendo all'intento di garantire l'osservanza del diritto fondamentale del lavoratore alle ferie annuali retribuite sancito dal diritto dell'Unione; e) è altresì importante ricordare che il pagamento delle ferie prescritto al paragrafo 1 di tale articolo è volto a consentire al lavoratore di fruire effettivamente delle ferie cui ha diritto (vedi, in tal senso, sentenza del 16 marzo 2006, C131/04 e C 257/04, punto 49), per la duplice finalità sia di riposarsi rispetto all'esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro sia di beneficiare di un periodo di relax e svago (sentenza del 20 luglio 2016, C 341/15, punto 34 e giurisprudenza ivi citata); f) di conseguenza, gli incentivi datoriali a rinunciare alle ferie come periodo di riposo ovvero a sollecitare i lavoratori a rinunciarvi sono incompatibili con gli obiettivi del diritto alle ferie annuali retribuite consistenti nella necessità di garantire al lavoratore il beneficio di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute (vedi, in tal senso, sentenze del 6 aprile 2006, C-124/05, punto 32; del 29 novembre 2017, C-214/16, punto 39 e giurisprudenza ivi citata); g) l'art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto medesimo (sentenza del 20 gennaio 2009 C350/06 e C-520/06, punto 43 e giurisprudenza ivi citata); h) invece non è compatibile con il suddetto art.7 una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti; i) benché il rispetto dell'obbligo derivante, per il datore di lavoro, dall'art.7 della direttiva 2003/88 non possa estendersi fino al punto di costringere quest'ultimo a imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente il loro diritto a ferie annuali retribuite (vedi, in tal senso, sentenza del 7 settembre 2006, C-484/04, punto 43), comunque il datore di lavoro deve assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto (vedi, in tal senso, sentenza del 29 novembre 2017, C-214/16, punto 63); l) a tal fine il datore di lavoro è soprattutto tenuto - in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l'effetto utile dell'art. 7 della direttiva 2003/88 - ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest'ultima si verifica nel corso di un simile periodo; m) l'onere della prova, in proposito, incombe sul datore di lavoro (v., per analogia, sentenza del 16 marzo 2006, C-131/04 e C-257/04, punto 68); o) pertanto se il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l'estinzione del diritto a tali ferie e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l'art. 7, paragrafo 1, e l'art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88. Se, invece, detto datore di lavoro è in grado di assolvere il suddetto onere probatorio e risulti quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, l'art. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute; p) ciò in quanto un'interpretazione dell'art.7 della direttiva 2003/88 che sia tale da incentivare il lavoratore ad astenersi deliberatamente dal fruire delle proprie ferie annuali retribuite durante i periodi di riferimento o di riposo autorizzato applicabili, al fine di incrementare la propria retribuzione all'atto della cessazione del rapporto di lavoro, è incompatibile con gli obiettivi perseguiti con l'istituzione del diritto alle ferie annuali retribuite; q) ai dipendenti pubblici è consentito di proporre dinanzi ai giudici nazionali la questione della attribuzione di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute alla fine del loro rapporto di lavoro, direttamente sulla base dell'art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88; r) infatti, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i privati possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato membro, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva in diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l'abbia recepita in modo non corretto (sentenza del 24 gennaio 2012, C-282/10, punto 33 e giurisprudenza ivi citata); s) i privati, qualora siano in grado di far valere una direttiva nei confronti di uno Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste, di datore di lavoro o di pubblica autorità, nella quale esso agisce, in quanto in entrambi i casi è necessario evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto dell'Unione (sentenza del 24 gennaio 2012, C-282/10, cit. punto 38 e giurisprudenza ivi citata); t) per quanto riguarda l'art.7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia si desume che tale disposizione non assoggetta il diritto a un'indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato. Tale diritto è conferito direttamente dalla suddetta direttiva e non può dipendere da condizioni diverse da quelle che vi sono esplicitamente previste (v., in tal senso, sentenze del 12 giugno 2014, C-118/13, punti 23 e 28, e del 20 luglio 2016, C-341/15, punto 27); u) pertanto tale disposizione soddisfa i criteri di incondizionalità e di sufficiente precisione e rispetta quindi le condizioni richieste per produrre un effetto diretto, aggiungendosi che, con orientamento consolidato, la Corte ha ammesso che simili disposizioni di una direttiva possano essere invocate dai privati, in particolare, nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua Amministrazione, ivi comprese le autorità decentrate (vedi, in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, C-122/17, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). I principi così enunciati nella richiamata decisione della Suprema Corte n.13613 del 2.7.2020, sono stati ulteriormente focalizzati dalla Cassazione, con riguardo ai dirigenti pubblici, con la sentenza n.18140 del 2022. La Cassazione ha evidenziato che in passato si era consolidato il principio secondo cui "il lavoratore con qualifica di dirigente che abbia il potere di decidere autonomamente, senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, circa il periodo nel quale godere delle ferie, ove non abbia fruito delle stesse non ha diritto ad alcun indennizzo, in quanto se il diritto alle ferie è irrinunciabile, il mancato godimento imputabile esclusivamente al dipendente esclude l'insorgenza del diritto all'indennità sostitutiva, salvo che il lavoratore non dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive esigenze aziendali ostative a quel godimento" (nel lavoro privato, Cass. 7 giugno 2005, n.11786; Cass. 7 marzo 1996, n.1793; nel lavoro pubblico, Cass., S.U., 17 aprile 2009, n. 9146). Sul tema, ha osservato la Cassazione, dispiega decisiva influenza la normativa eurounitaria, come chiarito dalla già richiamata decisione della Corte di Giustizia 6.11.2018, secondo cui "l'articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale, come quella discussa nel procedimento principale, in applicazione della quale, se il lavoratore non ha chiesto, nel corso del periodo di riferimento, di poter esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite, detto lavoratore perde, al termine di tale periodo - automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro, segnatamente con un'informazione adeguata da parte di quest'ultimo, in condizione di esercitare questo diritto". La Cassazione ha evidenziato che la Direttiva estende i propri effetti in tema di ferie anche ai dirigenti (v. art. 17 Direttiva 2003/88/CE, che, nel consentire agli Stati membri un diverso trattamento rispetto ai diritti dei dirigenti, esclude dalle norme derogabili l'art. 7, riguardante appunto le ferie) e deve dunque definirsi come operino, rispetto ad essi, i principi fissati in sede eurounitaria, essendosi espressamente affermato, nel contesto della pronuncia citata, la necessità che il giudice nazionale operi "prendendo in considerazione il diritto interno nel suo complesso e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest'ultimo", onde "pervenire a un 'interpretazione di tale diritto che sia in grado di garantire la piena effettività del diritto dell'Unione". La Corte di Giustizia individua nel proprio ragionamento tre cardini del giudizio di diritto demandato al giudice nazionale, al fine di assicurare che il lavoratore sia stato messo effettivamente nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie, consistenti: a) nella necessità che il lavoratore sia invitato "se necessario formalmente" a fruire delle ferie e "nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile ... se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento" (punto 45); b) nella necessità di "evitare una situazione in cui l'onere di assicurarsi dell'esercizio effettivo del diritto alle ferie annuali retribuite sia interamente posto a carico del lavoratore" (punto 43); c) infine, sul piano processuale, nel prevedere che "l''onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro.....sicché la perdita del diritto del lavoratore non può aversi ove il datore "non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto". Può essere - ha osservato ancora la Cassazione - che, rispetto ad un dirigente, per la normale posizione di minor debolezza e maggiore conoscenza dei dati giuridici, le predette condizioni possano trovare in concreto applicazioni di minor rigore, sotto il profilo dell'intensità informativa o del grado di diligenza richiesta al datore di lavoro, ma certamente essi permangono a governare l'istituto dell'attribuzione, perdita o monetizzazione delle ferie. La lettura della Corte di Giustizia si coordina - ha ancora evidenziato la Corte di Cassazione nella richiamata sentenza n.18140/2022 - con l'orientamento interpretativo della Corte Costituzionale, quale manifestato quando fu ad essa sottoposta questione di legittimità rispetto alla previsione dell'art.5, comma 8, D.L. 95/2012, conv., con mod. in L. n.135/2012 secondo cui, nell'ambito del lavoro pubblico, le ferie, i riposi e i permessi siano obbligatoriamente goduti secondo le previsioni dei rispettivi ordinamenti e che non si possano corrispondere "in nessun caso" trattamenti economici sostitutivi. In proposito Corte Costituzionale 6 maggio 2016, n.95, ha ritenuto che la legge non fosse costituzionalmente illegittima, in quanto da interpretare nel senso che la perdita del diritto alla monetizzazione non può aversi allorquando il mancato godimento delle ferie sia incolpevole, non solo perché dovuto ad eventi imprevedibili non dovuti alla volontà del lavoratore, ma anche quando ad essere chiamata in causa sia la "capacità organizzativa del datore di lavoro", nel senso che quest'ultima va esercitata in modo da assicurare che le ferie siano effettivamente godute nel corso del rapporto, quale diritto garantito dalla Carta fondamentale (art.36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con legge 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art.31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio), sicché non potrebbe vanificarsi "senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso ... da .... causa non imputabile al lavoratore", tra cui rientra quanto deriva dall'inadempimento del datore di lavoro ai propri obblighi organizzativi in materia, i quali non possono che essere ravvisati, per coerenza complessiva dell'ordinamento, nell'assetto sostanziale e processuale quale compiutamente delineato dalla Corte di Giustizia nei termini già sopra evidenziati. In definitiva, ha osservato la Cassazione, l'assetto sostanziale della fattispecie, secondo l'indirizzo della Corte di Giustizia, deve muovere dalla verifica di che cosa sia stato fatto dal datore di lavoro per consentire la fruizione effettiva delle ferie, il tutto infine con una regola ultima di giudizio, individuata sempre dalla Corte di Giustizia, che, nei casi incerti, pone l'onere probatorio a carico del datore di lavoro e non del lavoratore. La Cassazione con la richiamata sentenza n.18140/2022 ha quindi enunciato il seguente principio, in continuità con Cass. n.13613/2020: "il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all'indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento". Il principio è stato ulteriormente confermato dalla Cassazione con le successive pronunce n.21780/2022 e n.29113/2022, che hanno affermato che la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi "soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie - se necessario formalmente - e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato" (Cass. n. 21780/2022); Nel caso di specie, l'attore ha dedotto che il mancato godimento delle ferie era dipeso da imprescindibili e improrogabili esigenze di servizio, situazione che unitamente alle modalità di cessazione del rapporto di lavoro con il Comune di ..., lo avevano posto nell'assoluta impossibilità di fruire del monte ferie residuo, pari a quarantanove giorni (doc. 15-bis allegato al ricorso). L'attore ha anche evidenziato che il Comune convenuto non lo aveva informato in merito alle ferie, né lo aveva mai invitato formalmente a fruirne. Le risultanze delle produzioni documentali e dell'escussione dei testi confortano gli assunti attorei. In particolare, con riguardo alla esistenza di esigenze di servizio che avevano posto l'attore nell'impossibilità di fruire del monte ferie residuo, la teste ...ha dichiarato che: a) il ricorrente era addetto "presso il SUAP, anche negli anni dal 2015 in poi " e che "era l'unico funzionario presente nel servizio "; b) "il dirigente ... era spesso assente, anche per seri problemi di salute, che lo hanno tenuto lontano dall'ufficio per mesi "; c) non "è mai venuto nessuno a sostituirlo, anche se ne aveva fatto richiesta", d) "mancando anche il dirigente ", il ricorrente "era di fatto impossibilitato ad allontanarsi da un ufficio che in pratica aveva creato lui e non poteva lasciare senza funzionari"; e) il ricorrente "si lamentava con noi per questa situazione "; f) "per un certo periodo ...fu sostituito dal segretario generale, ma non avevamo risolto niente, perché non veniva mai, l'avrò visto un paio di volte ". La teste ... ha poi confermato che: a) "il dirigente era il Dott. ..., che però è stato male ed è stato assente per circa un anno", "io ero la sua segretaria e mi sono anche recata a casa sua per fargli firmare dei documenti che non poteva firmare da ..., ma che comunque aveva preparato lui"; b) "Il ricorrente, quale unico funzionario presente nell'ufficio, faceva le veci del dirigente"; c) "Il ricorrente chiese aiuto perché era solo e non poteva assentarsi "; d) "Non ho mai visto il segretario generale venire nell'ufficio commercio"; e) "Il ricorrente assegnava anche la posta dell'ufficio e si recava presso le commissioni di vigilanza per gli spettacoli, al posto del dirigente assente". Anche il teste ... ha ammesso l'esistenza di esigenze di servizio che in generale rendevano difficile la fruizione delle ferie, desumibili dalla circostanza che "tutti i dirigenti facevano richiesta di invio di personale, che non abbiamo potuto soddisfare stante la continua riduzione del personale per gli obblighi relativi al riequilibrio economico ". La teste ... ha poi ammesso che: a) Il dirigente dell'ufficio in cui era impiegato il ricorrente è stato ".... Quest'ultimo è stato assente per una malattia ed è stato ricoverato per lunghi periodi in Ospedale"; b) "Dal 2013 l'unico funzionario responsabile di posizione organizzativa presente nell'ufficio commercio è stato il ricorrente" "come responsabile dell'ufficio commercio"; c) quanto alle ferie "il ricorrente avrebbe dovute chiederle a ... o in sua assenza al segretario generale "; d) non risultano richieste o "diffide del Comune al ricorrente " per fruire delle ferie. L'esistenza di esigenze di servizio che hanno posto l'attore nell'impossibilità di fruire del monte ferie residuo sono desumibili anche dalla documentazione versata in atti dal ricorrente, dalla quale emerge che lo stesso ha dovuto contribuire all'attivazione di nuovi servizi (Suap, doc. 5 e ss. allegati al ricorso), ha dovuto costantemente sostituire il proprio dirigente (doc. 12 allegato al ricorso), non ha avuto sostituti (docc. 6 e 8 allegati al ricorso), ha avuto un carico di lavoro che gli ha imposto di lavorare anche in pieno agosto (doc. 9 allegato al ricorso). Negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, prima di transitare presso il Comune di ..., al ricorrente è stata poi irrogata la sanzione della sospensione dal servizio (doc. 13 allegato al ricorso), successivamente derubricata a censura in sede di conciliazione (doc. 14 allegato al ricorso). Le circostanze emerse dall'istruttoria testimoniale e dalla documentazione prodotta in atti confermano dunque la situazione di particolare difficoltà in cui versava l'ufficio cui era addetto il ricorrente, situazione che ha posto il ricorrente nell'assoluta impossibilità di fruire del monte ferie residuo, pacificamente pari a 49 giorni (doc. 15-bis allegato al ricorso). A ciò si aggiunga che anche le peculiari modalità di cessazione del rapporto di lavoro dell'attore, per vittoria di concorso presso altra amministrazione, hanno determinato una situazione di impossibilità di fruire delle ferie non imputabile al dipendente. Inoltre, il Comune convenuto non ha provato di aver posto il ricorrente nelle condizioni di fruire delle ferie, né lo ha informato in merito alle stesse, né lo ha mai invitato formalmente a fruirne. Ricorrono dunque nel caso di specie, tutte le condizioni enunciate dalla richiamata giurisprudenza comunitaria, nonché da quella della Cassazione e della Corte Costituzionale per poter affermare che l'attore non ha perso il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute, perché il mancato godimento delle ferie è stato incolpevole, essendo dipeso da una mancanza di capacità organizzativa da parte del datore di lavoro, che non ha provato che l'organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui l'attore era preposto non fossero tali da impedire il godimento delle ferie, né ha dimostrato di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie. In conseguenza delle svolte considerazioni, va dichiarato il diritto dell'attore ad ottenere un'indennità sostitutiva dei 49 giorni di ferie non godute nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di .... Per l'effetto, il Comune di ... va condannato a corrispondere al ricorrente l'importo complessivo di Euro.6.339,09, come calcolato nei conteggi attorei non contestati da parte convenuta, oltre interessi legali dalla data di cessazione del rapporto di lavoro al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza del Comune convenuto e si liquidano come in dispositivo, in base ai parametri posti dal D.M. n.37/2018 e - ratione temporis, per le spese della fase decisoria - dal D M. n.147/2022.. P.Q.M. definitivamente pronunciando, così provvede: 1) accerta e dichiara l'insussistenza di un obbligo per il ricorrente ... di dare il preavviso in relazione alle dimissioni rassegnate il 20.12.2019 e di pagare l'indennità di mancato preavviso richiesta dal Comune di ... e, per l'effetto, annulla l'opposta ordinanza ingiunzione adottata dal Comune convenuto il 4.5.2020; 2) accerta e dichiara il diritto del ricorrente ... al pagamento dell'indennità sostitutiva dei 49 giorni di ferie non godute nel corso del rapporto di lavoro alle dipendenze del Comune di ... e, per l'effetto, condanna il Comune convenuto a corrispondere al ricorrente, a tale titolo, l'importo di Euro.6.339,09, oltre interessi legali dalla data di cessazione del rapporto di lavoro al saldo; 3) condanna il Comune convenuto a rifondere al ricorrente le spese di lite, liquidate in Euro.2.828,00, oltre I.V.A., C.P.A. e rimborso forfettario per le spese generali, per competenze professionali, e in Euro.118,50 per rimborso delle spese di contributo unificato. ..., 5 aprile 2023

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del lavoro, nella persona della dott.ssa Laura Laureti, nella causa tra: (...) E (...), ricorrenti, rappresentate e difese dall'avv. Ti.So.; E (...) S.R.L.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Co.; E (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dall'avv. Si.Di. e avv. Ma.Pi.; all'udienza del 15 marzo 2023 ha pronunciato la seguente Sentenza SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (...) e (...) hanno convenuto in giudizio la (...) s.r.l.s. e la (...) s.r.l. e hanno esposto di aver lavorato formalmente alle dipendenze della (...) con contratto part-time a tempo indeterminato (rispettivamente, di 30 e di 20 ore settimanali), con qualifica di operaie addette alle pulizie inquadrate al 2 livello del CCNL Imprese di Pulizia-Terziario, dal 12.10.2015 (...) e dal 16.2.2018 (...) sino al 31.10.2019, data di decorrenza del licenziamento intimato con lettera del 30.10.2019 per giustificato motivo oggettivo per cessazione del cantiere cui erano adibite e impossibilità di essere ricollocate in altre mansioni. Hanno dedotto di aver svolto per l'intero periodo mansioni di addette alle pulizie presso lo stabilimento di Anagni della (...) in forza di un contratto di appalto tra quest'ultima e la (...). Hanno lamentato il carattere fittizio dell'appalto e la loro sottoposizione al potere direttivo e organizzativo della (...), reale datore di lavoro, nonché l'illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 per insussistenza del giustificato motivo oggettivo e violazione dell'obbligo di repechage. Hanno inoltre osservato che l'internalizzazione del servizio di pulizia da parte di (...) ha comunque determinato, ai sensi della normativa sul trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., la continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della committente ((...)) con conseguente illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 intimato da (...). Le ricorrenti hanno poi dedotto che alla data di cessazione del rapporto di lavoro non hanno ricevuto il pagamento dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, né delle competenze di fine rapporto, ivi compresa l'indennità sostitutiva del preavviso pari a 15 giorni ed il TFR. La sig.ra (...) ha aggiunto di essere stata assunta dalla (...) con contratto part-time di 30 ore settimanali e di aver subito dal mese di maggio 2016 una riduzione dell'orario lavorativo da 30 a 20 ore settimanali con conseguente riduzione della retribuzione per volontà unilaterale parte del datore di lavoro e senza il consenso della lavoratrice. Hanno dunque chiesto al Giudice nei confronti di (...) s.r.l.: -di accertare la nullità del contratto di appalto tra la (...) e (...) con conseguente interposizione illecita di manodopera e per l'effetto di accertare la costituzione del rapporto di lavoro tra le ricorrenti e (...) a far data dal primo contratto di assunzione (dal 12.10.2015 per (...) e dal 16.2.2018 per (...)), con qualifica e mansioni di cui alla categoria (...) del CCNL Chimici Industria; -di accertare la internalizzazione del servizio di pulizia da parte di (...) con cessione di ramo di azienda e applicazione dell'art. 2112 c.c. e conseguente declaratoria di illegittimità dei licenziamenti e continuazione dei rapporti lavorativi dal 31.10.2019 alle dipendenze di (...) e condanna di quest'ultima al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data dell'illegittimo recesso sino alla riammissione in servizio e alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Nei confronti di (...) s.r.l.s. hanno chiesto al Giudice di accertare la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità del licenziamento del 30.10.2019 per difetto di giusta causa e/o giustificato motivo e per l'effetto di condannare la convenuta alla loro riassunzione o in alternativa al risarcimento del danno dalle 2,5 alle sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto o in subordine applicare la tutela risarcitoria "crescente" per assenza di giusta causa o di giustificato motivo oggettivo con diritto delle lavoratrici al risarcimento del danno pari ad 1 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio (min 2 e max 6 mensilità). In ogni caso, accertata la sussistenza del contratto di appalto fino al 31.10.2019, hanno chiesto la condanna di (...) e di (...) in solido, ai sensi dell'art. 29 co. 2 del D.Lgs. n. 276 del 2003, al pagamento, in favore di (...), dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, ratei di 13 e 14 mensilità, assegni familiari dal mese di luglio al mese di ottobre 2019, rimborso da 730, TFR e competenze di fine rapporto (Ferie e Rol) per un importo complessivo di Euro 2.637,29, nonché al pagamento, in favore di (...), dell'intera retribuzione del mese di ottobre 2019, ratei di 13 e 14 mensilità, TFR e competenze tutte di fine rapporto (Ferie e Rol) per un importo complessivo di Euro 3.931,60, importi quantificati nei conteggi analitici allegati al ricorso sulla base del CCNL del settore. Ancora, la sig.ra (...) ha altresì chiesto di condannare le società convenute, in via esclusiva e/o solidale, a restituire le retribuzioni a cui avrebbe avuto diritto se l'orario di lavoro fosse stato quello effettivamente concordato per iscritto pari alla differenza delle retribuzioni mensili calcolate su un orario di 4 ore giornaliere in luogo di quelle dovute pari a 6 ore giornaliere per un totale complessivo di Euro 6.900,37, come da conteggio allegato, oltre all'incidenza su tutti gli istituti contrattuali ivi compreso il TFR. Si sono costituite in giudizio la (...) e la (...) e hanno chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato. Preliminarmente, (...) ha eccepito la omessa impugnazione giudiziale del contratto di appalto e del licenziamento nei suoi confronti con conseguente decadenza della domanda ex art. 32 della L. n. 183 del 2010. Nel merito, le convenute hanno ribadito la genuinità dell'appalto e la sussistenza del giustificato motivo oggettivo alla base del recesso. Sulle differenze retributive, (...) ha osservato di aver corrisposto alle ricorrenti, dopo l'instaurazione del giudizio, gli importi a saldo degli omessi pagamenti dedotti in ricorso. In sede di note del 29.10.2021 e del 18.1.2023 le ricorrenti hanno confermato il versamento, da parte di (...), delle differenze retributive e competenze di fine rapporto dopo l'instaurazione del giudizio, con conseguente richiesta di cessata materia del contendere. La (...) ha poi insistito per la condanna delle convenute al risarcimento del danno per illegittima riduzione dell'orario lavorativo da 30 a 20 ore settimanali. Sul contraddittorio così instaurato, espletata la prova orale e autorizzato il deposito di note difensive, la causa è stata discussa e decisa con separata sentenza nel corso della odierna udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso va respinto in quanto infondato. Preliminarmente va respinta l'eccezione di decadenza ex art. 32 L. n. 183 del 2010 sollevata da (...). Come è noto, l'art. 32 comma 1 della L. n. 183 del 2010 cit. ha modificato l'art. 6 della L. n. 604 del 1966 e ha previsto che "il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso" (art. 6 comma 1 L. n. 604 del 1966) e che "l'impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni (180 a seguito della modifica ex art. 1 c. 38 L. n. 92 del 2012, applicabile ai licenziamenti intimati dal 18 luglio 2012) dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo" (art. 6 comma 2 L. n. 604 del 1966). Il successivo art. 32 comma 2 L. n. 183 del 2010 prevede inoltre che le disposizioni di cui all'art. 6 L. n. 604 del 1966 "come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento". Infine, i commi 3 e 4 del medesimo articolo 32 estendono i nuovi termini di decadenza ex art. 6 L. n. 604 del 1966 a numerose altre fattispecie, quali l'azione di nullità del termine, il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, il trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 c.c., la cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 c.c. nonché "in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dall'articolo 27 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto". Nella specie è incontestato l'onere di impugnativa del licenziamento nei confronti di entrambe le società convenute (a conferma cfr. Cass. 17969/2016 e 6668/2019). La lettera di licenziamento datata 30.10.2019 è stata impugnata in via stragiudiziale mediante lettera inviata sia alla (...) sia alla (...), rispettivamente, in data 13.11.2019 (ricevuta da (...). il successivo 18.11.2019) e in data 28.11.2019 (ricevuta da (...) il successivo 6.12.2019; vd. all. 7 ricorso). Il ricorso è stato poi depositato in data 1 luglio 2020 e quindi entro il termine di decadenza di 180 giorni previsto dall'art. 6 comma 2 della L. n. 604 del 1966, come modificato dall'art. 32 della L. n. 183 del 2010 (considerato il periodo di sospensione da Covid). Il ricorso è evidentemente proposto nei confronti di entrambe le convenute con richiesta di costituzione del rapporto di lavoro con (...). Nel merito, va anzitutto esaminata la questione relativa alla interposizione fittizia di manodopera. Ai sensi dell'art. 29 comma 1 del D.Lgs. n. 276 del 2003 "Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dallasomministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa". Per distinguere l'appalto genuino dalla interposizione fittizia di manodopera, la S.C. ha affermato i seguenti principi: -In tema di divieto d'intermediazione di manodopera, l'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 276 del 2003 distingue il contratto di appalto dalla somministrazione irregolare di lavoro in base all'assunzione, nel primo, del rischio d'impresa da parte dell'appaltatore ed all'eterodirezione dei lavoratori utilizzati, la quale ricorre quando l'appaltante-interponente non solo organizza, ma dirige anche i dipendenti dell'appaltatore rimanendo sull'interposta solo compiti di gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione lavorativa sicché, nel caso di appalto non genuino, non sussiste alcun valido contratto di appalto e il rapporto di somministrazione di lavoro, apparentemente instaurato con l'appaltatrice (Cass. 12807 del 2020); -In tema di interposizione di manodopera, affinché possa configurarsi un genuino appalto di opere o servizi ai sensi dell'art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 276 del 2003, è necessario verificare, specie nell'ipotesi di appalti ad alta intensità di manodopera (cd. "labour intensive"), che all'appaltatore sia stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d'impresa, dovendosi invece ravvisare un'interposizione illecita di manodopera nel caso in cui il potere direttivo e organizzativo sia interamente affidato al formale committente, restando irrilevante che manchi, in capo a quest'ultimo, l'"intuitus personae" nella scelta del personale, atteso che, nelle ipotesi di somministrazione illegale, è frequente che l'elemento fiduciario caratterizzi l'intermediario, il quale seleziona i lavoratori per poi metterli a disposizione del reale datore di lavoro. (Cass. 12551 del 2020 che ha ritenuto illecito un appalto di servizi affidato da un istituto di credito a un'impresa di facchinaggio, ove le indicazioni ai lavoratori sui compiti da svolgere in concreto fossero fornite dalla committente, che parte dei beni utilizzati per il lavoro fossero della banca e che l'appaltatore non avesse, presso la sede della committente, alcun referente organizzativo); -L'appalto di opere o servizi espletato con mere prestazioni di manodopera è lecito purché il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, costituisca un servizio in sé, svolto con organizzazione e gestione autonoma dell'appaltatore, senza che l'appaltante, al di là del mero coordinamento necessario per la confezione del prodotto, eserciti diretti interventi dispositivi e di controllo sui dipendenti dell'appaltatore (Cass. 15557 del 2019); -In tema di appalto avente ad oggetto prestazioni lavorative, il requisito della "organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore", previsto dall'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003, può essere individuato, in presenza di particolari esigenze dell'opera o del servizio, anche nell'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto (Cass. 30694 del 2018 che ha ritenuto genuino un appalto concernente la gestione e l'assistenza tecnica di archivi informatici, affermando che, in una tale ipotesi, caratterizzata da una bassa intensità organizzativa, gli strumenti e le macchine forniti dall'appaltante non costituiscono il mezzo attraverso il quale il servizio viene reso, ma, piuttosto, l'oggetto sul quale l'attività appaltata si esercita, sì da risultare predominante la mera organizzazione dei dipendenti); -Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, previsto dall'art. 1 della L. n. 1369 del 1960 (applicabile "ratione temporis"), opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa mantenendo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali la retribuzione, la pianificazione delle ferie, l'assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione finalizzata al conseguimento di un risultato produttivo autonomo (Cass. 27105 del 2018); -In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, non è sufficiente, ai fini della configurabilità di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, occorrendo verificare se esse siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (Cass. 9139 del 2018; in senso analogo cfr. Cass. n.15615 del 2011). Invero, dalle deposizioni dei testi escussi non sono emersi gli elementi caratteristici necessari per individuare una condotta elusiva della normativa di legge in materia di interposizione fittizia di manodopera. E' infatti risultato che l'attività dei dipendenti della (...) operanti nello stabilimento (...) era coordinata e diretta dal responsabile della cooperativa ((...)), che quest'ultimo impartiva alle ricorrenti disposizioni e direttive ed esercitava il potere gerarchico e di controllo nei loro confronti, che la prestazione lavorativa era organizzata da (...) e quest'ultima forniva macchinari, prodotti e strumenti di lavoro. La teste (...), impiegata amministrativa in (...) fino a dicembre 2020, ha precisato che la macchina pulitrice, i secchi, i detersivi per pulire, le scope erano forniti da (...). ed erano conservati in uno stanzino presso lo stabilimento della (...). Quando l'appalto è cessato, (...). ha ripreso i propri macchinari e strumenti di lavoro. (...) della (...) si è occupato della formazione dei dipendenti addetti agli appalti e delle ricorrenti, aveva indicato alle lavoratrici il lavoro da fare, poi l'attività di pulizia è sempre la stessa e routinaria. In caso di problemi, le ricorrenti si rivolgevano a (...). Il sig. (...) non era presente tutti i giorni, all'inizio formava le dipendenti, indicava cosa fare e poi andava all'occorrenza. (...) forniva alle ricorrenti anche il materiale antinfortunistico. Le ricorrenti chiedevano a (...) e a (...) l'autorizzazione per ferie o permessi. Le medesime circostanze sono poi confermate da (...) e (...). (...), collega di lavoro delle ricorrenti in (...), ha raccontato che il materiale per pulire, attrezzature e prodotti e poi l'abbigliamento, guanti e camici, erano forniti da (...).. In (...) c'era uno stanzino dove erano depositate attrezzature e prodotti per pulire. Se un prodotto mancava o per altri problemi, le ricorrenti si rivolgevano a (...) o (...). Alla sig.ra (...) della (...) si rivolgevano se mancava la carta igienica, il sapone o la carta per le mani nei bagni utilizzati dagli operai. La (...). forniva le scarpe antinfortunistiche e poi la divisa. Alcune colleghe preferivano usare la divisa con il marchio (...). Le ricorrenti avevano un cartellino che dovevano timbrare quando entravano ed uscivano dallo stabilimento per motivi di sicurezza. La (...). indicava alle ricorrenti il lavoro da svolgere, poi ogni giorno le pulizie erano sempre le stesse. (...), dipendente di (...) presso l'ufficio acquisti, ha confermato che in base al contratto di appalto tra la (...). e (...) la prima forniva i prodotti di pulizia e gli altri strumenti di lavoro (scopa e macchina per pulire il pavimento). C'era un calendario con le stanze, uffici e aree da pulire. La sig.ra (...) si occupava di ordinare i rotoloni di carta e il detergente per i bagni utilizzati dal personale della (...), non ha mai fatto ordini per prodotti specificamente destinati alla pulizia dei locali. Ogni tanto il sig. (...) si presentava in (...) per controllare il lavoro delle ricorrenti e i prodotti per pulire. (...), responsabile del personale in (...), ha riferito che le ricorrenti timbravano il badge (...) in entrata e in uscita per ragioni di sicurezza, ossia per registrare le presenze nello stabilimento. Ha precisato che vedeva il sig. (...) per la (...). in azienda che dava istruzioni sul lavoro alle ricorrenti, gli forniva gli strumenti di lavoro, portava i detersivi e le scope, e che le fatture della (...). comprendevano anche i costi del materiale utilizzato dalle ricorrenti per le pulizie, come indicato nel contratto di appalto. (...), (...) e (...), operai dipendenti di (...), hanno poi riferito che le ricorrenti indossavano la divisa (...) e timbravano in entrata e in uscita il badge (...). Prendevano scope e detersivi in uno stanzino nel magazzino della (...). Il capo reparto, (...), diceva alle ricorrenti cosa dovevano pulire ma loro già lo sapevano (teste (...)). Le ricorrenti utilizzavano gli spogliatoi della (...) insieme agli altri dipendenti ((...)). Il sig. (...) era più volte presente in (...) e dava istruzioni di lavoro alle ricorrenti (...). Queste deposizioni appaiono attendibili in quanto chiare precise e concordanti e provenienti da soggetti che, avendo lavorato con le ricorrenti e/o presso il medesimo magazzino, hanno avuto conoscenza diretta dei fatti riferiti e non risultano avere motivi di inimicizia con le parti. L'istruttoria ha dimostrato che la (...) ha esercitato il potere gerarchico nei confronti delle ricorrenti e organizzato la prestazione lavorativa, ha impartito ordini e istruzioni di lavoro; il personale della (...) interveniva con funzione di coordinamento connesso al risultato della prestazione lavorativa; l'utilizzo della divisa (...) non era imposto e la timbratura del badge in entrata e in uscita nello stabilimento di Anagni era giustificata da ragioni di sicurezza per la delicatezza delle attività svolte da (...) e la necessità di controllare le presenze nello stabilimento. Dall'istruttoria è poi emerso che il servizio di pulizia per qualche mese dopo ottobre 2019 è stato internalizzato, ossia svolto direttamente da (...) con proprio personale, per poi essere nuovamente assegnato in appalto a ditte esterne (cfr. dichiarazioni di (...) e (...), nonché di (...) e (...)). Non è stato dimostrato invece il trasferimento di beni dalla originaria appaltatrice ((...)) ad (...). E' per questo inconferente la doglianza di parte attrice relativa alla applicazione dell'art. 2112 c.c. sul trasferimento di azienda. L'art. 2112 c.c. prevede che "in caso di trasferimento di azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano". In materia la S.C. ha osservato che "Si configura trasferimento di azienda in tutti i casi in cui, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'attività economica, ne muta il titolare in virtù di una vicenda giuridica riconducibile al fenomeno della successione in senso ampio, dovendosi così prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello subentrante nella gestione; sicché il trasferimento di azienda è realizzabile, sempre che si abbia un passaggio dei beni di non trascurabile entità, anche in due fasi per effetto dell'intermediazione di un terzo. Una volta realizzatosi il trasferimento di azienda, i rapporti di lavoro preesistenti al trasferimento proseguono con il nuovo titolare senza necessità del consenso da parte dei lavoratori, con l'effetto che ogni lavoratore può far valere nei confronti del nuovo titolare i diritti maturati in precedenza ed esercitabili nei confronti del cedente" (Cass. 26215/2006). La S.C. ha affermato in tema di trasferimento di azienda che "In caso di successione di un imprenditore ad un altro in un appalto di servizi, non esiste un diritto dei lavoratori licenziati dall'appaltatore cessato al trasferimento automatico all'impresasubentrante, ma occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2112 c.c., mediante il passaggio di beni di non trascurabile entità, nella loro funzione unitaria e strumentale all'attività di impresa, o almeno del "know how" o di altri caratteri idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell'art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276 del 2003, non in contrasto, sul punto, con la giurisprudenza eurounitaria che consente, ma non impone, di estendere l'ambito di protezione dei lavoratori di cui alla direttiva n. 2001/23/CE ad ipotesi ulteriori rispetto a quella del trasferimento di azienda" (Cass. 8922 del 2019 e 24972 del 2016). Nella specie l'istruttoria non ha fornito alcun elemento, neanche indiziario, sul trasferimento di persone o beni, know how o altri fattori, dalla precedente appaltatrice ((...)) alla impresa subentrante nel servizio di pulizia (prima (...), che ha svolto in proprio il servizio di pulizia, e poi la ditta esterna). Sul giustificato motivo oggettivo alla base del licenziamento, la prova espletata consente di affermare che il rapporto di lavoro tra la (...) e le ricorrenti si è risolto (a decorrere dal 31.10.2019) in coincidenza con la cessazione del contratto di appalto relativo al servizio di pulizia cui le lavoratrici erano adibite, che il servizio di pulizia è stato svolto da (...) con proprio personale, che non vi erano presso (...) altri posti di lavoro e appalti ove ricollocare le signore (...) e R. e che nel corso di poco più di un anno (tra ottobre 2019 e il 2020) la (...). ha perso anche gli altri appalti in essere, ha licenziato tutto il personale e cessato l'attività (cfr. tra l'altro la teste (...), impiegata amministrativa in (...). fino a dicembre 2020, che ha raccontato che nel 2019 è cessato l'appalto (...) e non vi erano altri appalti ove ricollocare le ricorrenti, che la (...) ha perso tutti gli appalti, ha mandato via tutti i lavoratori e dal 2021 è inattiva; vd anche dichiarazioni di (...), (...) e (...)). Il licenziamento del 30.10.2019 risulta giustificato dalla effettiva situazione aziendale dedotta dalla convenuta, mentre sono inconsistenti i motivi di impugnazione del recesso dedotti in ricorso. Per quanto riguarda la domanda di differenze retributive, va dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione al pagamento delle spettanze di fine rapporto e degli altri emolumenti economici (13° mensilità, indennità di preavviso, arretrati assegni familiari), pacificamente corrisposti alle lavoratrici da (...). dopo l'instaurazione del giudizio. (...). ha anche provveduto al pagamento della retribuzione spettante alle ricorrenti per le effettive ore di lavoro prestate accertate dall'I.T.L. di Frosinone. Per quanto riguarda la riduzione di orario di lavoro della (...), va richiamato l'orientamento della S.C. secondo cui "Il rapporto di lavoro subordinato, in assenza della prova di un rapporto part-time, nascente da atto scritto, si presume a tempo pieno; è, pertanto, onere del datore di lavoro, che alleghi la durata limitata dell'orario, fornire la prova della riduzione della prestazione lavorativa, né la sua diminuzione può essere unilateralmente disposta dal datore di lavoro, potendo conseguire soltanto ad accordo tra le parti, la cui prova, tuttavia, può essere data per facta concludentia, anche se il contratto sia stato stipulato per iscritto" (Cass. n. 1375 del 2018). Peraltro, sulle conseguenze del difetto di prova scritta del contratto di lavoro part-time, la S.C. ha affermato che "In tema di contratto di lavoro "part time", il difetto della forma scritta prevista "ad substantiam" dall'art. 5 del D.L. n. 726 del 1984 non determina la nullità dell'intero contratto, ma la sua conversione in un ordinario rapporto "full time", con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento del danno, commisurato alle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in base a un orario a tempo pieno, previa costituzione in mora del datore di lavoro ex art. 1217 c.c., mediante la messa a disposizione delle energie lavorative" (Cass. 14797 del 2019). La riduzione dell'orario di lavoro è quindi legittima se le parti hanno compiuto gesti ed azioni da cui è desumibile il loro accordo sulla diversa durata della prestazione lavorativa. Nella specie, la (...) ha rispettato gli orari di lavoro indicati dal datore di lavoro (da maggio 2016, dalle 6:00 alle 10:00 dal lunedì al venerdì) senza mai adottare alcun comportamento o volontà contrari. Da maggio del 2016 sino al presente ricorso la ricorrente non ha mai contestato la illegittimità della riduzione dell'orario di lavoro, né ha dedotto o provato di aver offerto la prestazione lavorativa (anche dopo maggio del 2016) per le 30 ore settimanali originariamente previste nel contratto di lavoro. Non risulta dimostrata la messa a disposizione delle energie lavorative da parte della (...) per il più lungo orario di lavoro (pari a 30 ore settimanali, dalle 6 alle 12 dal lunedì al venerdì), presupposto della domanda risarcitoria. Alla luce delle osservazioni descritte, non spetta alla (...) l'ulteriore somma di Euro 6.900,37 connessa alla riduzione dell'orario di lavoro. Per i motivi descritti, il ricorso va respinto. Le spese di lite vanno compensate per la complessità delle questioni trattata e degli accertamenti di fatto svolti. Queste sono le ragioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. Respinge il ricorso; Compensa le spese di lite. Così deciso in Frosinone il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il giudice di Frosinone, dott. Stefano Troiani, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di secondo grado iscritta al numero 1976 del Ruolo generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 promossa DA (...), in atti generalizzata, rappresentata e difesa dagli avv.ti Le.Ra. e Pa.Mo. del foro di Velletri, giusta delega a margine della citazione, elettivamente domiciliati in Colleferro, via (...). -ATTORE- CONTRO S.R.L. (...), in persona del suo legale rappresentante, in Anagni, via (...). -CONVENUTO (contumace) MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, la sig.ra (...) conveniva in giudizio l'hotel "(...)", di proprietà della S.r.l. (...), chiedendo il risarcimento danni, quantificati nella misura di Euro 18.043,47, derivanti da una caduta, provocata da un tronchetto di arbusto, nascosto tra l'erba, presente nel giardino adiacente la pizza da ballo dell'hotel - ristorante. La caduta determinava un trauma contusivo del polso e della mano sinistra. Secondo parte attrice, la responsabilità dell'evento dannoso deve essere addebitata alla società convenuta per cose in custodia ex art. 2051. Nessuno si costituiva per la società (...), per la quale veniva dichiarata la contumacia. All'udienza del 29/11/2022, dopo la mancata comparizione del legale rappresentante della convenuta, nonché l'esperimento del tentativo di conciliazione, la causa veniva trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di legge. La domanda attorea è fondata. La fattispecie è inquadrabile nell'ambito dell'art. 2051 c.c.. Occorre osservare che, per il risarcimento del danno cagionato da cose in custodia, l'art. 2051 c.c. non richiede la prova dell'esistenza di una specifica, intrinseca pericolosità della cosa in sé, imponendo comunque al danneggiato di dimostrare l'esistenza di un efficace nesso causale tra le res e l'evento dannoso. La responsabilità del custode, invece, ha carattere oggettivo, con la conseguenza che sullo stesso grava una presunzione di colpa, superabile soltanto con la prova del fortuito (fattore esterno imprevedibile ed eccezionale), al quale è equiparata la condotta colpevole del danneggiato. Il fatto colposo del danneggiato può concorrere con la responsabilità del custode, integrando così un concorso colposo ovvero può essere idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia e il danno stesso. Nel caso di specie, può ritenersi provato il nesso causale tra il fatto e l'evento, non essendovi stata alcuna prova del caso fortuito da parte della convenuta ovvero della colpa del danneggiato, ad esso equiparabile, ma anzi, tenuto conto della condotta complessiva tenuta dalla convenuta, sia prima del giudizio che durante la pendenza dello stesso, con la non contestazione del fatto e la mancata risposta all'interrogatorio formale del legale rappresentante ex art. 232 c.p.c., può ritenersi pienamente confermata la ricostruzione del fatto storico, così come prospettato dall'attrice. Dagli atti, infatti, emerge che il tronchetto non era visibile, in quanto nascosto tra l'erba e nemmeno si poteva ragionevolmente prevedere che in un giardino adiacente una pista da ballo, riservato a tutti gli ospiti della struttura, si potesse nascondere una tale insidia. D'altro canto, alla condotta dell'attrice non si può muovere alcuna censura in termini di negligenza. Si deve, quindi, affermare la responsabilità ex art. 2051 della struttura. Con riferimento alla quantificazione del danno, questo Tribunale ha ritenuto di non disporre una consulenza d'ufficio per ragioni di economicità, posto che il fatto storico, la responsabilità dell'evento e il relativo pregiudizio non appaiono contestate dalla convenuta. Nella relazione medico - legale di parte, svolta dal dott. (...) si legge che dalle lesioni riportate dalla sig.ra (...), descritte nella perizia che qui si richiama integralmente e compatibili con la dinamica della caduta, sono derivati postumi permanenti, da valutarsi nella misura del 8% del totale sotto il profilo dell'invalidità permanente, mentre il periodo di inabilità temporanea totale o assoluto è stato di giorni 50 e quello di inabilità temporanea parziale di giorni 40 al 50%. Pertanto, nel condividere le conclusioni rassegnate dal perito, si può affermare che alla sig.ra (...) spetta, tenuto conto dell'età ( 57 anni al momento del sinistro) e delle tabelle di liquidazione del danno biologico adottate dal Tribunale di Milano, applicabili a rigore nel caso in esame, posto che le tabelle del danno biologico di lieve entità trovano applicazione solo per lesioni da sinistro stradale,inferiori al 9%, la somma di Euro 14.026,00 a titolo di danno permanente, la somma di Euro 4.950,00 (Euro.99* 40.2) a titolo di invalidità temporanea totale o assoluta, la somma di Euro 1980,00 per l'invalidità temporanea parziale (Euro 99 *40:2) per un ammontare di Euro 20.956,00, somma già stimata all'attualità. Tale importo è comprensivo anche della componente psicologica, connessa al danno fisico e non vi sono in atti elementi probatori circa la sussistenza di ulteriori, peculiari pregiudizi. Sulla somma complessiva liquidata, trattandosi di debito di valore, va inoltre calcolato il risarcimento del danno da lucro cessante subito da parte attrice per effetto della mancata tempestiva disponibilità della somma oggi liquidata, trattandosi di importo di denaro che, ove fosse stato ex tunc nella immediata disponibilità del soggetto danneggiato, sarebbe stato presumibilmente investito per ricavarne un lucro finanziario (in tal senso va interpretata la domanda dell'attore diretta ad ottenere la corresponsione, sulla somma oggi liquidata a titolo risarcitorio, degli interessi legali). Il risarcimento di tale voce di danno - in aderenza al più recente orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. un., n. 1712/1995 seguita da Cass. n. 4677/1998; Cass. n. 13463/1999; Cass. n. 2796/2000) - può essere determinato in via equitativa (artt. 1226 e 2056 c.c.), applicando sulla somma via via rivalutata il tasso legale di interesse in vigore in ciascun anno di riferimento, con decorrenza dal giorno dell'evento e sino alla pubblicazione della presente sentenza In particolare, l'importo già attualizzato (quello di complessivi Euro 20.956,00 liquidato per il danno biologico) deve essere devalutato sino alla data del fatto illecito sulla scorta dei valori vigenti all'epoca del sinistro e , sugli importi rivalutati anno per anno, secondo gli indici Istat, vanno calcolati gli interessi legali come specificato sempre sino alla pubblicazione della sentenza. Sull'importo complessivo ottenuto applicando rivalutazione ed interessi come sopra sino al deposito del presente provvedimento, vanno ulteriormente calcolati, per il periodo successivo, gli interessi al tasso legale sino all'effettivo pagamento. La domanda pertanto deve essere quindi accolta nei termini sopra descritti. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono il principio della parziale soccombenza. P.Q.M. Accoglie la domanda proposta e, per l'effetto, condanna la S.r.l. (...), in persona del suo legale rappresentante, a corrispondere alla sig.ra (...), a titolo di risarcimento danni, la somma complessiva di Euro 20. 956,00, oltre interessi e rivalutazione nei termini di cui in motivazione. Condanna la su citata società a rifondere le spese di lite che liquida in Euro 280,00 per spese, Euro 3.000,00 oltre rimborso spese generali in ragione del 15% iva e cpa, come per legge, nonché le spese della c.t.u. Così deciso in Frosinone il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Frosinone, Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace Daniela Possenti, alla pubblica udienza del giorno 9 novembre 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante integrale lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a S. M. (C.), il (...), ivi residente in Via C. n. 1, libero assente, difeso di fiducia dall'Avv. Fr.Ma.; 2. (...), nata a N., il (...), residente in C. (C.), Via (...) C. n. 33, domicilio eletto, libera non comparsa, difesa di ufficio dall'Avv. An.D'A. del Foro di Frosinone; Imputati n. 1662/2019 R.G. Dib. - n. 3905/2017 R.G.N.R. a carico di (...) 1 del reato p. e p. dall'art. 640 c.p. poiché, mediante artifizi e raggiri consistiti nel contraffare in toto e quanto ai dati anagrafici del beneficiario l'assegno postale n. (...) delle (...) - filiale di R. Piazza D. - emesso per l'importo di Euro 45.000,00 in favore di (...) e nel versarlo sul proprio conto corrente n. (...) acceso presso l'ufficio postale di (...) - filiale di (...) 2 di via T. n. 85 -, inducendo in errore i funzionari del citato ufficio postale sulla genuinità di esso, si procurava l'ingiusto profitto pari alla somma portata dal titolo (che provvedeva poi a prelevare per contante) con altrui danno patrimoniale. In Frosinone in data 16.03.2017; 2 del reato p. e p. dall'art. 491 c.p. poiché, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, formava falsamente l'assegno postale di cui al capo 1), facendone uso mediante presentazione all'incasso previa abusiva compilazione. In Frosinone, in data antecedente e prossima al 16.3.2017; n. 2078/2019 R.G. Dib. - n. 2515/2017 R.G.N.R.. a carico di (...) e (...) a) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con artifici e raggiri consistiti: (...) quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...) dall'ufficio postale di (...), Piazza D., apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria per l'importo di Euro 19.700,00, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'intero importo prelevato nei modi sopra descritti con pari danno per (...) s.p.a. Con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità. Commesso in Frosinone in data 16.03.2017; b) (...) del delitto di cui agli artt. 61, comma 2, e 491 c.p. poiché, al fine di trarne profitto e di commettere il delitto sub A), formava falsamente il vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00, duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...), facendone uso mediante presentazione all'incasso presso lo sportello dell'ufficio postale di Frosinone. Accertato in Frosinone il 16/03/2017; n. 980/2021 R.G. Dib. - n. 2515/2017 R.G.N.R. a carico di (...) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso con (...) (n. S. M. (C.) il 03.02.1944), nei confronti del quale si procede separatamente, con artifici e raggiri consistiti: (...) quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.03.2017 a favore di (...) dall'ufficio postale di (...), Piazza D., apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria per l'importo di Euro 19.700,00, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'interno importo prelevato nei modi sopra descritti, con pari danno per (...) s.p.a. Commesso in Frosinone in data 16.03.2017; CON LA RECIDIVA SPECIFICA n. 2078/2019 R.G. Dib. a carico di (...) - (...) a) del delitto di cui agli artt. 61 commi 7, 110 e 640 c.p. poiché, in concorso tra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, con artifici e raggiri consistiti (...), quale esecutore materiale e beneficiario di una parte della somma, nel formare il falso vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00 duplicando quello emesso il 14.3.17 a favore di (...) dall'ufficio postale di Roma di piazza Dante, apponendovi le proprie generalità quale beneficiario e nel presentarlo all'incasso presso l'ufficio Postale di Frosinone 2 chiedendone e ottenendone il versamento sul c/c n. (...) a sé intestato e, subito dopo, nel prelevare dal medesimo la somma in contanti pari ad Euro 1.500, poi nell'effettuare due ricariche presso l'ufficio Postale Frosinone 4 sulle carte Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...), beneficiaria, per l'importo di 19.700,00 Euro, e n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...), persona non ancora compiutamente identificata, di importo pari ad Euro 19.700,00, inducendo in errore i funzionari dei suddetti uffici postali sulla genuinità del titolo e sulla legittimità dell'operazione postale richiesta, si procuravano l'ingiusto profitto costituito dall'intero importo prelevato nei modi sopra descritti con pari danno per (...) s.p.a. Con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità. Commesso in Frosinone in data 16/03/2017; (...) b) del delitto di cui agli artt. 61, comma 2, e 491 c.p. poiché, al fine di trarne profitto e di commettere il delitto sub A), formava falsamente il vaglia postale n. (...) di Euro 45.000,00, duplicando quello emesso dall'ufficio postale di R. Piazza D. - il 14/03/2017 a favore di (...), facendone uso mediante presentazione all'incasso presso lo sportello dell'ufficio postale di Frosinone. Accertato in Frosinone il 16/03/2017; Con la recidiva reiterata specifica ex art. 99, co. 2 n. 1) e co. 4 c.p. per (...) e (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA Preliminarmente si evidenzia che i processi sopratrascritti sono stati frutto di provvedimenti di stralcio causati da mancate notifiche. Detti processi sono stati riuniti, stante la identità delle condotte contestate nonché per ragioni di connessione ed economia processuale, dopo la regolarizzazione delle notifiche. Con decreti di citazione diretta a giudizio la Procura della Repubblica di Frosinone presentava gli imputati dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere dei reati di cui in rubrica. In data 07.07.2021, processo n. 980/2021 R.G. DIB. a carico della (...), constatata la regolare citazione delle parti, si procedeva in assenza dell'imputata e, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale, venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti e, a seguito di richiesta della difesa, si rinviata ad altra data per riunione. All'udienza del 18.03.2021, nel processo n. 1662/2019 R.G. DIB. a carico di (...), constatata la regolarità delle notifiche, si procedeva in assenza dell'imputato, veniva disposta la riunione dei fascicoli e, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale, venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti, acquisita documentazione ed escusso il teste addotto dal PM (...) (CC R. Piazza (...)). All'udienza del 14.10.2021, variato giudicante, in ossequio alla Sentenza SS.UU. 41736 del 2019 le parti si riportavano integralmente alle richieste di prova già formulate in corso di giudizio, nulla eccependo a che la rinnovazione del dibattimento avesse luogo tramite lettura delle deposizioni testimoniali rese dai testi già esaminati e degli atti assunti o acquisiti al fascicolo del dibattimento. Venivano escussi i testi addotti dal PM: (...) (C.F.), (...) e (...) e acquisita documentazione (carta identità (...), documenti (...), copia vaglia intestato a (...) fascicolo fotografico e DVD). All'udienza del 07.04.2022, dopo aver rigettato istanza di rinvio per tardività del deposito della stessa, l'imputata (...) si sottoponeva a esame dopo gli avvertimenti di rito. All'udienza del 9 novembre 2022, esaurita la fase istruttoria, dichiarata l'utilizzabilità degli atti allegati al fascicolo per il dibattimento dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 553 c.p.p. e di quelli successivamente acquisiti nel corso del giudizio, si dichiarava chiuso il dibattimento e si invitavano le parti a concludere, come da verbale di udienza. Veniva, quindi, pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo. L'istruttoria dibattimentale ha dimostrato in modo in equivoco, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria in relazione ai reati p. e p. ex artt. 640 e 491 c.p. contestati, gli imputati, pertanto, devono essere riconosciuti colpevoli dei detti reati loro ascritti. Il teste (...) riferiva che in data 20.03.2017 aveva ricevuto la querela sporta da (...) in relazione all'assegno postale non trasferibile n. (...), di Euro 45.000,00 intestato alla medesima, dalla stessa versato, in pari data, presso la (...) attraverso la cassa self di Via del C. in R. e, successivamente, negoziato da (...) presso l'ufficio postale Frosinone 2. Riferiva di aver accertato che l'assegno era stato accreditato sul c/c (...) intestato a (...). Il teste (...) riferiva che in data 16.03.2017, la direttrice dell'Ufficio Postale Frosinone 2, (...), aveva chiesto l'intervento dei Carabinieri perché qualche ora prima una persona, identificata in (...) utilizzando il proprio Postamat aveva chiesto che venissero effettuati, dal suo conto corrente, due versamenti entrambi per Euro 19.700,00, uno sulla carta Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...), intestata a (...) e l'altro sulla Postepay n. (...)-(...)-(...)-(...) intestata a tale (...). Precisava il teste che il (...), oltre ai detti versamenti, aveva prelevato Euro 1.500,00 in contanti. Precisava che la direttrice, incuriosita dalle dette operazioni, usciva dall'ufficio postale e vedeva il (...) salire a bordo di un'autovettura Mercedes, avente "(...)" quale parte finale della targa. A seguito di accertamenti, era emerso che il (...), nella stessa mattina, prima si era recato presso l'Ufficio Postale Frosinone 4dove aveva depositato un vaglia postale con importo di Euro 45.000,00, permettendo le operazioni sopra riportate. Precisava il teste che, a seguito di controlli effettuati presso l'ufficio postale Frosinone 4 era emerso che detto vaglia era risultato falsificato o clonato e che la vera intestataria era (...), la quale lo aveva richiesto a un ufficio postale di Roma al fine di versare la caparra per l'acquisto di un appartamento. Precisava, altresì, il teste che, a seguito di attività investigative era emerso che, in un breve lasso di tempo il (...) aveva effettuato vari prelievi presso diversi uffici postali: Frattamaggiore, Frattaminore, Aversa, Giuliano in Campania, Venafro e San Massimo. Quanto sopra era stato accertato attraverso l'acquisizione dei filmati dei vari uffici postali. La teste (...) riferiva che in data 20.03.2017 aveva sporto querela in relazione a un assegno per Euro 45.000,00 che le avevano clonato. Precisava che in data 14.03.2017 aveva richiesto all'ufficio postale di R. Piazza D. l'emissione di un assegno postale non trasferibile per il detto importo in quanto necessario per acquistare una casa. Riferiva di aver versato l'assegno presso una banca in pari data. Precisava che il 20.03.2017, data del rogito, la banca le aveva comunicato che l'assegno era stato clonato e che i soldi non c'erano più. Riferiva che dopo la denuncia in data 19.05.2017 le (...) le avevano restituito l'importo. La teste riconosceva l'assegno mostratole dal PM. Il teste (...), già dipendente Ufficio Postale Frosinone 2, riferiva che il giorno 16.03.2017 aveva presentato querela in relazione a un assegno di Euro 45.000,00. Precisava che verso le ore 8.30 del giorno 16.03.2017 (...), identificato con documenti e codice fiscale, si era presentato con detto vaglia chiedendo di depositarlo sul proprio conto. Precisava che l'operazione di versamento, durata una ventina di minuti, era andata a buon fine e che il (...) aveva firmato tramite carta. Precisava che il codice fiscale fornito dal (...) era vero ma riferibile ad altro intestatario. Precisava il teste che verso le ore 9.00 della stessa giornata l'aveva contattato la direttrice dell'ufficio postale di Frosinone 4 segnalandogli dei dubbi sulla genuinità del vaglia in quanto stava versando il contante sulla Postepay. Precisava il teste di aver effettuato immediati controlli e di aver verificato la non regolarità dell'operazione. Precisava che sul vaglia era riportato il nome di (...) il quale aveva firmato i documenti davanti a lui. Riferiva di riconoscere il prevenuto nei documenti mostratigli. L'imputata, precisando di essere separata e con numerosa prole, riferiva che nel 2016/2017 era stata avvicinata da una signora, tale (...), che le avrebbe offerto un lavoro. Riferiva che avrebbe dovuto aprire una Postepay sulla quale sarebbero arrivati soldi. Precisava che una mattina, mentre era fuori della scuola dei bambini, le si erano avvicinate due persone dicendole che erano amiche di (...) e che l'avrebbero portata a prelevare dei soldi. Riferiva di aver prelevato in vari Uffici Postali finché la carta non era stata bloccata. Riferiva di non aver sporto denuncia per paura. Il reato p. e p. ex art. 491 c.p. è stato ascritto al solo (...) e all'esito dell'istruttoria svolta è, al di là di ogni ragionevole dubbio, emersa l'ascrivibilità allo stesso. Quanto al reato p. e p. ex art. 640 c.p., ascritto a entrambi gli imputati, si precisa quanto segue. Nel delitto di truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore; più in particolare, nella truffa contrattuale "... l'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria" (S.C. Sez. 2, Sentenza n. 37859 del 22/09/2010). Per giurisprudenza consolidata (tra le ultime: Cass. 30798/2012; 30686/2012) in materia di truffa contrattuale anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere integra l'elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato (Cass. sez. 2 14 ottobre 2009 n. 41717, M.; sez. 2 29 ottobre 2008 n. 47623, D.P.; sez. 2 4 ottobre 2006 n. 35185, Da.; sez. 2 11 ottobre 2005 n. 39905, T.) e che il reato in esame e' configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella dell'esecuzione allorquando una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l'altra parte con artifizi e raggiri, omettendo intenzionalmente la comunicazione di circostanze rilevanti che si ha il dovere di far conoscere, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno (Cass. sez. 6 3 aprile 1998 n. 5579, P.; sez. 2 10 novembre 1989 n. 3685, (...)). Nel caso in esame sussistono tutti gli elementi costitutivi dei reati per cui si procede. Ora, nel caso in esame le dichiarazioni della persona sono state confermate, superando positivamente l'uso della doverosa accortezza, sia all'ulteriore riscontro testimoniale che dalla copiosa produzione documentale. L'impostazione accusatoria è, pertanto, risultata suffragata al di là di ogni ragionevole dubbio. Deve rilevarsi, nel merito, la raggiunta la prova sulla realizzazione del fatto - reato da parte degli imputati. Le dichiarazioni dei testi ascoltati, da considerarsi attendibili perché non inficiate da elementi contrari e rese con estrema linearità e coerenza, descrivono gli episodi relativi alla condotta assunta dai prevenuti in ordine ai fatti per cui è processo. La condotta degli imputati integra perfettamente il reato contestato. Pertanto, all'esito dell'istruttoria dibattimentale è inequivocabilmente emersa la responsabilità di (...) e (...) in ordine ai fatti loro rispettivamente contestati e la relativa ascrivibilità agli stessi. Tenuto conto della natura e della gravità dei reati come sopra qualificati, nonché, in generale, dei parametri di cui all'art. 133 c.p., relativamente a (...), ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, lo condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione). Quanto a (...), tenuto conto della natura e della gravità del reato come sopra qualificato, del comportamento processuale dell'imputata nonché, in generale, dei parametri di cui all'art. 133 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi 6 di reclusione (pena base: mesi 6 di reclusione). Alla pronuncia di affermazione della penale responsabilità, segue per gli imputati l'obbligo di pagamento delle spese sostenute dallo Stato per il presente giudizio. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) e (...) colpevoli dei reati oro ascritti e, ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, li condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione), oltre il pagamento delle spese processuali. Concede i benefici di legge a (...). Riserva in 90 giorni il deposito della motivazione. Frosinone, 9 novembre 2022 Il Giudice, - rilevato che nel dispositivo della sopraestesa Sentenza, per un errore meccanico, non è emersa la distinzione tra le posizioni degli imputati e che è stato omesso di provvedere in ordine al materiale sottoposto a sequestro; - ritenuta la fattispecie qualificabile come correzione di semplice errore materiale in quanto non determinante nullità del provvedimento e la cui variazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto ma, anzi, è favorevole all'imputata (...); Visto l'art. 130 c.p.p. ordina 1. la correzione del dispositivo nei seguenti termini: Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati ascrittigli e, ritenuto più grave il reato p. e p. ex art. 491 c.p., valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante e ritenuta la continuazione, li condanna ognuno alla pena di anni 1 di reclusione (pena base: mesi 9 di reclusione + 1/3 per continuazione), oltre il pagamento delle spese processuali; Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascrittole e, valutate le attenuanti generiche equivalenti la contestata aggravante, la condanna alla pena di mesi 6 di reclusione (pena base: mesi 6 di reclusione), oltre il pagamento delle spese processuali; 2 la integrazione del dispositivo della sopraestesa Sentenza con la seguente frase "Dispone la confisca e la distruzione di quanto in sequestro", da apporre prima di "Riserva in 90 giorni il deposito della motivazione." Manda alla Cancelleria per l'annotazione delle variazioni sull'originale dell'atto. Così deciso in Frosinone il 9 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Sezione Lavoro Il Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del Lavoro, nella persona della dott.ssa Laura Laureti, nella causa tra: (...), ricorrente, rappresentata e difesa dall'avv. Laura Careri; E (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, rappresentata e difesa dagli avv.ti Fr.Ma. e Ma.Gi.; E REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, resistente, contumace; all'udienza del 24 gennaio 2023 ha emesso la seguente Sentenza FATTO E DIRITTO (...) ha convenuto in giudizio la (...) e la Regione Lazio e ha dedotto di essere invalido civile, affetto da cecità assoluta, e di lavorare da circa 37 anni alle dipendenze della Azienda convenuta con mansioni di centralinista. Ha esposto che ha sempre esercitato le proprie mansioni all'interno di un ufficio non accessibile al pubblico e che sin dal 2 agosto 2020 è stato adibito a svolgere il suo lavoro esclusivamente dalla propria dimora (in modalità smart working). Con comunicazione del 15.12.2021 il ricorrente è stato invitato dal datore di lavoro alla vaccinazione anti SarsCoV2. Ritenendo che il personale non sanitario non adibito a lavoro a contatto con il pubblico sia escluso dall'obbligo di vaccinazione, il ricorrente ha contestato l'invito della (...). Con successivo provvedimento prot. n. (...) del 9.2.2022 la Commissione per la verifica dell'obbligo vaccinale ha accertato l'inosservanza dell'obbligo da parte del (...) e la (...) con prot. (...) del 9.2.2022 ha disposto la sua sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ai sensi dell'art. 4-ter del D.L. n. 44 del 2021. Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 per violazione dell'art. 2 D.L. n. 172 del 2021 (art. 4-ter co. 3 D.L. n. 44 del 2021), dell'art. 1 D.L. n. 1 del 2022, per inadempimento contrattuale del datore di lavoro e inesigibilità dell'obbligo vaccinale. Ha evidenziato l'illegittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale per contrasto con gli artt. 2, 3, 19, 32, 36 e 117 della Costituzione, nonché del Codice di Norimberga, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici e della Convenzione di Oviedo. Il sig. (...) ha quindi chiesto al Giudice di accertare l'illegittimità del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di disapplicarlo e di condannare le resistenti al risarcimento del danno mediante pagamento in suo favore delle retribuzioni non corrisposte maturate dalla data di sospensione fino alla data di effettiva riammissione in servizio; ha chiesto altresì di condannare le resistenti alla regolarizzazione contributiva della sua posizione previdenziale per il periodo di illegittima sospensione e di computarlo come periodo di effettivo servizio anche ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Si è costituita la (...) e ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata. In via preliminare la convenuta ha osservato che in data 21.4.2022, il provvedimento di sospensione del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è stato riammesso in servizio a seguito di invio di referto negativo e possesso di green pass (per guarigione in esito a contagio). Ha quindi chiesto di dichiarare l'inammissibilità/improcedibilità della domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio per cessazione della materia del contendere. Nel merito la (...) ha osservato di essersi conformata alla legge a suo tempo vigente che ha previsto l'obbligo vaccinale del ricorrente, in quanto lavoratore presso struttura sanitaria e ultracinquantenne; che la normativa non contempla il lavoro agile quale causa di esonero dall'obbligo vaccinale; che il legislatore ha demandato al datore di lavoro il compito di assicurare la puntuale e rigorosa applicazione delle norme in materia di obbligo vaccinale. La Regione Lazio, regolarmente citata, non si è costituita ed è stata dichiarata contumace. Alla udienza del 17 maggio 2022, la parte ricorrente ha confermato la revoca della sospensione dal servizio e dalla retribuzione e la sua riammissione al lavoro. Ha quindi aderito alla richiesta di cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di ripristino del rapporto di lavoro, mentre ha insistito con la domanda di risarcimento del danno e corresponsione delle retribuzioni omesse durante il periodo di illegittima sospensione. Sul contradditorio così instaurato, la causa ritenuta documentalmente istruita, è stata discussa e decisa con separata sentenza nel corso della odierna udienza. Per orientamento costante e consolidato della S.C. "La cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice" (Cass. SS.UU. n. 13969/2004, e nn. 16150/2010, 11931/2006; di recente Cass. n. 2063/2014). Inoltre "La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, creata dalla prassi giurisprudenziale, che si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere delle parti, facendo venir meno l'interesse ad agire e a contraddire, e cioè l'interesse ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all'azione proposta e alle difese svolte dal convenuto" (Cass. 2567/2007 e 4714/2006). Nella specie sussistono i presupposti per la dichiarazione di cessata materia del contendere in relazione alla domanda di revoca della sospensione dal lavoro e riammissione in servizio. Il provvedimento di sospensione (impugnato) del 9.2.2022 è stato revocato e il ricorrente è rientrato in servizio dal 21.4.2022. Successivamente al deposito del ricorso (del 9.4.2022) è venuto meno l'interesse delle parti ad una pronuncia del Giudice di annullamento del Provv. del 9 febbraio 2022. Si ritiene poi fondata la domanda di accertamento della illegittima sospensione operata dalla azienda resistente. Il provvedimento di sospensione dal lavoro del 9.2.2022 e l'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale richiamano l'art. 2 del D.L. 26 novembre 2021, n. 172, che ha introdotto l'art. 4-ter al D.L. n. 44 del 2021 sull'estensione dell'obbligo vaccinale, tra l'altro, al personale che opera nelle strutture sanitarie. L'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., nella versione applicabile ratione temporis, statuisce che: "Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del D.L. n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie:? c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis" (comma 1). I successivi commi 2 e 3 dispongono che "La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attività lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1. I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1. Si applicano ledisposizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 7" (comma 2) e che "I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento del predetto obbligo vaccinale ... Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021". Gli artt. 4 e 4-bis, richiamati dall'art. 4-ter D.L. n. 44 del 2021 cit., prevedono l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario (ossia coloro che esercitano professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e la professione ostetrica), nonché per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie. L'art. 8-ter del D.Lgs. n. 502 del 1992, inoltre, fa riferimento alle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie la cui realizzazione è subordinata ad autorizzazione. L'obbligo vaccinale in esame è stato introdotto per prevenire e contenere la diffusione dell'infezione da virus SARS-Cov-2 al fine di tutelare la salute pubblica e in particolare i soggetti fragili. La sua imposizione comporta una limitazione di libertà personali costituzionalmente protette che si giustifica in ragione della situazione emergenziale all'epoca esistente, del dovere inderogabile di solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e della salute come interesse della collettività (art. 32 Cost.), valori di pari rango costituzionale. La disciplina dell'obbligo vaccinale, dunque, è il risultato di un bilanciamento di interessi (individuali e collettivi) contrapposti e per questo, limitando fortemente libertà individuali in funzione della tutela della salute della collettività, va interpretata restrittivamente. Nella specie il ricorrente è dipendente della (...) con mansioni di centralinista. Ha dedotto di aver svolto la sua attività lavorativa in un ufficio non accessibile al pubblico e dal 2 agosto 2020 ha lavorato esclusivamente dalla propria abitazione nella modalità del lavoro agile (o smart working). Non è un sanitario, né è adibito a prestazioni a contatto con il pubblico. Né, alla data di entrata in vigore dell'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4-ter in esame (15.12.2021), operava presso una struttura sanitaria o socio-sanitaria. Come osservato, l'art. 4-ter in esame ha introdotto l'obbligo vaccinale per il "personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8-ter del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502" ossia nelle strutture ospedaliere, sanitarie e socio-sanitarie, con esclusione dei collaboratori con contratti esterni e fermo restando l'obbligo vaccinale dei soggetti di cui all'art. 4 e 4-bis. Si ritiene che il ricorrente non rientri in alcuna delle categorie sopra descritte soggette all'obbligo vaccinale. Per un verso, non fa parte del personale sanitario in quanto svolge mansioni di centralinista; per l'altro, prestando attività lavorativa esclusivamente da casa già da agosto 2020, non opera presso una struttura dedicata all'assistenza e al ricovero dei pazienti, non ha contatti con il pubblico né con persone fragili o malate. Inoltre, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest'ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. Alla luce delle osservazioni descritte, si ritiene che sia illegittimo il provvedimento di sospensione dal lavoro del (...) del 9.2.2022, con conseguente condanna della (...) a pagare al ricorrente le retribuzioni maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione. La (...) va altresì condannata a regolarizzare la posizione previdenziale del ricorrente e a considerare il periodo di sospensione come periodo di effettivo lavoro ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa. Il ricorso va quindi accolto per le ragioni descritte e ciò assorbe l'esame delle ulteriori censure formulate da parte attrice. Si ritiene di compensare le spese di lite tra le parti per la novità e complessità delle questioni trattate. Queste sono le ragioni della decisione in epigrafe. P.Q.M. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di revoca del provvedimento di sospensione del 9.2.2022 e di riammissione in servizio; Condanna la (...) resistente al pagamento, in favore del sig. (...), della retribuzione maturata durante il periodo di illegittima sospensione dal lavoro, oltre interessi come per legge, e di computarlo come periodo di effettivo servizio ai fini della valutazione di punteggi e della anzianità lavorativa; Condanna altresì la (...) resistente alla regolarizzazione contributiva della posizione previdenziale del ricorrente per il periodo di illegittima sospensione; Compensa le spese di lite. Così deciso in Frosinone il 24 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI FROSINONE SEZIONE PENALE in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Aurora Gallo, nel procedimento penale di primo grado a margine indicato, all'udienza in camera di consiglio del 7 novembre 2022, all'esito del giudizio abbreviato, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a C. il (...), con domicilio dichiarato in C., in via C. 16; DETENUTO AGLI ARRESTI DOMICILIARI IN RELAZIONE AL PROCEDIMENTO RIUNITO - PRESENTE assistito e difeso di fiducia dall'Avv.to Gi.Ve. del foro di Frosinone; IMPUTATO A) del reato p. e p. dall'art. 81 cpv, 337 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo avere superato un incrocio con il semaforo rosso mentre era alla guida del furgone Fiat Iveco Daily ( tg (...)), alla richiesta dei Carabinieri di fornire i documenti di circolazione per la contestazione dell'infrazione commessa, ingranava la marcia ripartendo ad forte velocità per eludere il controllo e si dava alla fuga per svariati km, ponendo in essere condotte di guida pericolose, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, lanciando dal finestrino contro la pattuglia che lo inseguiva vari oggetti, tra cui anche un cuneo di ferro; infine abbandonava il veicolo dandosi alla fuga a piedi, e, raggiunto dai militari, cercava di divincolarsi con spallate e spintoni per opporsi alle operazioni di controllo. In Frosinone, il 04.08.2022 Con la recidiva reiterata in fraquinquennale PROCEDIMENTO RIUNITO Procedimento n. R.G.Dib. 1111/2022 - R.G.N.R. 2982/2022 IMPUTATO A) del reato p. e p. dagli artt. 81 e 337 c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si opponeva, con violenza e minaccia, al controllo di polizia ed identificazione ad opera della Questura di Frosinone, (...) e (...) - Sezione (...) in questa via M.. In particolare, l'indagato, alla guida di una autovettura Mercedes classe (...) di colore grigio targata (...), percorreva la via (...) di F., alla vista della volante, si dava alla fuga da via (...) T. cicerone in direzione di via A., a velocità non commisurava alle condizioni di traffico, gli operanti della Volante intimavano l'alt tramite l'utilizzo dei segnali luminosi e sonori. L'indagato inizialmente rallentava ma un istante dopo aumentando la velocità del suddetto veicolo, iniziava con pericolose manovre a zigzagare tra le auto in transito in direzione Scalo, rischiando di andare a collidere contro il muro dell'attività commerciale denominata "Il Vesuvio" ed a forte velocità sorpassava tutti i veicoli incontrati. Una volta imboccata via (...) in direzione via (...) lo stesso percorreva in senso contrario zigzagando. La pattuglia 2, vista la pericolosità delle manovre poste in essere dall'indagato, cercava di superare il veicolo affiancandolo si sul lato destro che sul lato sinistro. Il conducente metteva in atto manovre tali da danneggiare il veicolo di servizio. Percorsa circa la metà di via (...), l'indagato arrestava improvvisamente la propria corsa al centro della carreggiata, costringendo la pattuglia che precedeva ad oltrepassarlo al fine di evitare la collisione. A questo punto il (...) abbandonava l'autovettura e si dava alla fuga a piedi in direzione del tunnel di via (...), immediatamente inseguito dagli operanti che lo bloccavano. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 B) del reato p. e p. dagli artt. 61 n. 2, 81 e 635 c.p., perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di commettere il reato di cui al capo a), speronava l'autovettura della Polizia di Stato, che inutilmente cercavano di arrestare la fuga dell'indagato con conseguente danneggiamento del paraurti anteriore, la rottura del faro destro. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 Ai soli fini della contestazione: C) del reato p. e p. dagli artt. 2 e 76 comma 3 del D.Lgs. n. 159 del 2011, perché, sebbene sottoposto alla misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio con divieto di far ritorno nel comune di Frosinone per un periodo di anni tre, giusta Provv. del Questore di Frosinone emesso in data 23 settembre 2019, notificato all'indagato in data 7 ottobre 2019, non ottemperava all'obbligo facendo rientro nel comune di Frosinone. Fatti accaduti in Frosinone il 18.09.2022 MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Tratto in arresto nella flagranza del reato descritto nell'imputazione riportata in epigrafe di cui al procedimento recante n. R.G.Dib. 1000/22, n. R.G.N.R. 2487/22, (...) è stato presentato dinanzi al Tribunale di Frosinone, in composizione monocratica, all'udienza del 4 agosto 2022, per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo. Sentita la relazione dell'operante, interrogato l'imputato, è stato convalidati l'arresto ed è stata applicata nei confronti del predetto la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G., come richiesto dal P.M.; si è quindi disposto di procedere immediatamente al giudizio, l'imputato ha rilasciato procura speciale al difensore per la definizione del procedimento con rito alternativo ed è stato concesso un termine per preparare la difesa. All'udienza del 26 settembre 2022, verificati i presupposti soggettivi e oggettivi, è stata disposta, come richiesto, la riunione al presente procedimento di quello recante n. R.G. DIB DI. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022 ed è stata avanzata richiesta di definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato; quindi, ammesso il rito richiesto, il procedimento è stato rinviato su istanza della difesa, al fine di produrre la documentazione meglio indicata nel verbale in atti. All'udienza del 20 ottobre 2022 è stata acquisita al fascicolo la documentazione prodotta dalla difesa e all'odierna udienza, acquisiti i fascicoli del P.M., le parti sono state invitate alla discussione orale, al termine della quale, sulle conclusioni formulate dalle stesse, sopra trascritte, è stata pronunciata la sentenza di cui al dispositivo, pubblicato mediante lettura. 2. Gli elementi desumibili dagli atti contenuti nei fascicoli del Pubblico Ministero e da quelli assunti alle udienze di convalida degli arresti, utilizzabili giusto il disposto dell'art. 442, comma 1-bis c.p.p. in considerazione del rito prescelto, consentono di ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati a lui ascritti. 2.1. Relativamente alla fattispecie contestata nel presente procedimento, recante n. R.G. DIB. 1000/2022 R.G.N.R. 2487/2022, gli elementi contenuti nel verbale di arresto e negli ulteriori atti allegati al fascicolo consentono di ritenere che l'imputato, attraverso una condotta di guida spericolata, abbia opposto resistenza nei confronti dei carabinieri che gli avevano intimato di arrestare la marcia, costringendoli ad un lungo inseguimento. Nello specifico, dal verbale su richiamato, illustrato dall'operante di P.G. (...) in sede di udienza di convalida, è emerso che, il 4 agosto 2022, alle ore 04,00 circa, appartenenti alla Stazione dei Carabinieri di Frosinone, Sezione Radiomobile, nel corso di un servizio perlustrativo, transitando sulla via (...) L., all'altezza dell'intersezione stradale tra via (...) F. e via C. C., notavano un furgone, di colore bianco, del tipo fiat Iveco Daily, targato (...) che, nonostante il semaforo rosso, oltrepassava l'intersezione a forte velocità, motivo per il quale le forze dell'ordine, a bordo dell'auto con i colori d'istituto, una volta raggiunto il predetto veicolo, intimavano l'alt mediante l'attivazione dei dispositivi luminosi. Il conducente del veicolo (poi identificato nel (...)) arrestava la marcia dopo circa 200 metri e, tuttavia, alla richiesta dei documenti di circolazione per poter contestare l'infrazione commessa, ingranava la marcia ripartendo a forte velocità e si dava alla fuga per svariati Km, effettuando manovre pericolose, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, lanciando inoltre dal finestrino, contro la pattuglia che lo inseguiva, vari oggetti, tra cui anche un cuneo in ferro; infine abbandonava il veicolo dandosi alla fuga a piedi, e, raggiunto dai militari, cercava di divincolarsi con spallate e spintoni per opporsi alle operazioni di controllo, tanto da rendersi necessario l'utilizzo della manette di sicurezza. In merito alla vicenda, l'imputato, all'udienza di convalida del 4 agosto 2022, ha reso dichiarazioni spontanee, affermando che si trovava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e di non essersi reso conto del contegno tenuto. Tali essendo le risultanze acquisite deve ritenersi provato il fatto rappresentato nell'imputazione ascritta all'imputato, il quale, pertanto, deve essere dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 337 c.p. a lui contestato. Deve in primo luogo osservarsi che non sono emersi elementi che possano far dubitare dell'attendibilità delle circostanze di fatto esposte nel verbale di arresto, il cui contenuto, illustrato dall'operante di P.G. in sede di convalida, è assolutamente inequivoco ed offre una chiara e dettagliata ricostruzione della vicenda e della condotta tenuta dal (...), sussumibile nell'alveo dell'art. 337 c.p. Giova invero rilevare che l'elemento materiale richiesto per la configurabilità del delitto in esame può per l'appunto essere integrato dalla fuga alla guida di un veicolo e dalle manovre poste in essere con una condotta rischiosa per l'incolumità degli altri utenti della strada e tale da creare una situazione di generale pericolo (nel senso che "Integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze di polizia, non si limiti alla fuga alla guida di un'autovettura, ma proceda ad una serie di manovre finalizzate ad impedire l'inseguimento, così ostacolando concretamente l'esercizio della funzione pubblica e inducendo negli inseguitori ma percezione di pericolo per la propria incolumità" si veda Cass., 17 ottobre 2019, n. 44860; cfr. altresì Cass., 10 settembre 2013, n. 40; Cass., 18 settembre 2009, n. 41419; Cass., 20 novembre 2009, n. 46618; Cass., 14 luglio 2006, n. 41936 secondo cui "Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale la violenza consiste in un comportamento idoneo ad opporsi, in maniera concreta ed efficace, all'atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, sicché deve rispondere di tale reato il soggetto che, alla guida di un'autovettura, anziché fermarsi all'alt intimatogli dagli agenti di polizia, si dia alla fuga ad altissima velocità e, al fine di vanificare l'inseguimento, ponga in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo"). Nel caso oggetto di valutazione, non vi è dubbio che riprendere improvvisamente la marcia di un veicolo, a seguito dell'alt intimato a mezzo di segnalazioni visive da parte delle forze dell'ordine che intendevano procedere al controllo e contestare l'infrazione poc'anzi commessa, (consistente nell'attraversamento di un incrocio con il semaforo rosso), procedendo ad una velocità elevata, attraversando le intersezioni stradali, percorrendo strade contromano e procedendo a slalom con brusche frenate e ripartenze, addirittura lanciando dal finestrino contro la pattuglia che lo inseguiva vari oggetti, tra cui anche un cuneo in ferro seguito, rappresenta una condotta di guida idonea ad ostacolare concretamente l'esercizio della funzione pubblica e a creare una situazione di pericolo per la circolazione e l'incolumità degli utenti della strada, che, lungi dall'integrare un atto di mera disobbedienza o di resistenza passiva, integra gli estremi della violenza e della minaccia di cui all'art. 337 c.p.. Deve peraltro rilevarsi che l'imputato, dopo aver posto in essere la condotta di guida sopra illustrata, abbandonando il veicolo al fine di darsi alla fuga a piedi, ha altresì utilizzato violenza nei confronti degli operanti (...) e (...), intervenuti per fermarlo, spingendoli con spallate e spintoni, nel tentativo di proseguire nella fuga, come meglio indicato nel verbale di arresto allegato al fascicolo. Le accertate modalità del fatto comprovano, inoltre, la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 337 c.p., non potendo dubitarsi della volontarietà della condotta posta in essere dal (...), così come non è revocabile in dubbio che il comportamento tenuto fosse finalizzato a sottrarsi all'attività istituzionale che i carabinieri intendevano compiere ovvero al controllo su strada del veicolo da lui condotto, in ragione dell'elevata velocità tenuta dal mezzo e dalla infrazione commessa, avendo lo stesso superato un incrocio con il semaforo rosso. L'intimazione dell'alt con i dispositivi visivi, l'inseguimento effettuato per circa cinquanta minuti per via della fuga pericolosa intrapresa dall'imputato rappresentano invero dati obiettivi che, apprezzati nel loro complesso, dimostrano la volontarietà della condotta realizzata. Del resto, ai fini della configurabilità del reato è richiesto il dolo specifico che si concretizza nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (v. Cass. 23 settembre 2014, n. 38786; Cass., 20 ottobre 2020, n. 35277) Del tutto ininfluente deve ritenersi lo stato di tossicodipendenza dell'imputato, al quale ha fatto riferimento l'imputato rendendo dichiarazioni spontanee all'udienza di convalida del 4 agosto 2022. Ed invero, ai sensi dell'art. 93 c.p., stante il richiamo operato agli articoli precedenti, l'assunzione di sostanze stupefacenti ove - come nel caso in esame - non sia derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude, né diminuisce l'imputabilità dell'agente. L'intossicazione da sostanze stupefacenti può influire sulla capacità di intendere e di volere soltanto qualora, per il suo carattere ineliminabile e per l'impossibilità di guarigione, provochi alterazioni psicologiche permanenti configurabili quale vera e propria malattia, dovendo escludersi dal vizio di mente di cui agli artt. 88 e 89 c.p. anomalie non conseguenti ad uno stato patologico (in questi termini, Cass. 26 novembre 2013, n. 47078). Nella specie, non vi sono elementi per ritenere sussistente uno stato di cronica intossicazione prodotta da sostanze stupefacenti (non evincibile dalla documentazione prodotta al fascicolo), né sussistono elementi per sostenere che tale stato abbia influito sull'atteggiamento psicologico tenuto dall'imputato. Riguardo a tale ultimo profilo, si consideri che negli atti allegati al fascicolo nemmeno si esplicita che l'imputato si presentava in uno stato tale da renderlo non sufficientemente lucido e cosciente per cogliere il disvalore del comportamento tenuto o che il predetto si trovasse in uno stato confusionale. 2.2. Argomentazioni analoghe a quelle sopra svolte possono essere rese con riferimento al reato di cui all'art. 337 c.p. oggetto della contestazione accusatoria nell'ambito del procedimento recante n. R.G. Dib. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022. Dal verbale di arresto allegato al fascicolo, il cui contenuto è stato illustrato all'udienza di convalida dall'operante (...), è invero emerso che il 18 settembre 2022 alle ore 13.45 circa, appartenenti alla sezione Volanti della Questura di Frosinone, in seguito alla segnalazione di (...), padre dell'odierno imputato, circa il prelievo dalla sua officina di un'autovettura del tipo Mercedes classe C, targata (...), transitando su via (...), incrociavano il predetto veicolo, condotto da un soggetto, successivamente identificato nella persona dell'odierno imputato, il quale, alla vista delle forze dell'ordine che intendevano sottoporlo a controllo in ragione della segnalazione pervenuta e nonostante l'intimazione dell'alt tramite segnali luminosi e sonori, dopo un iniziale rallentamento si dava alla fuga a forte velocità, effettuando sorpassi pericolosi, compiendo manovre azzardate, posizionandosi più volte contromano e zigzagando, transitando inoltre sui cordoli di una pista ciclabile, con serissimo pericolo per i pedoni presenti, tentando altresì di speronare l'autovettura di servizio, colpendo, numerose volte, da entrambi i lati, il paraurti anteriore della predetta vettura, così provocando il danneggiamento dello stesso e la rottura del faro destro; il (...), infine, dopo essersi posizionato contromano all'altezza di via (...), abbandonava l'auto a motore acceso che, proseguiva la propria marcia in maniera incontrollata sino ad arrestarsi nei pressi di un marciapiede; si dava quindi alla fuga a piedi e veniva poi bloccato dagli operanti. In merito alla vicenda, l'imputato ha reso dichiarazioni spontanee, affermando che si trova in procinto di fare ingresso in una comunità terapeutica. Tali essendo le risultanze acquisite deve osservarsi che il contenuto del verbale di arresto, in relazione al quale non sono emersi elementi che possano far dubitare dell'attendibilità delle circostanze di fatto ivi esposte, offre una chiara e dettagliata ricostruzione della condotta tenuta dal (...) integrante il reato di cui all'art. 337 c.p., dovendosi al riguardo integralmente richiamare le argomentazioni svolte al punto 2.1 della motivazione sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto in esame. Tanto premesso, deve quindi ritenersi, tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità sopra riportato, che la condotta dell'imputato, consistita nel darsi alla fuga alla guida della vettura Mercedes classe C targata (...) a seguito dell'alt intimato a mezzo di segnalazioni luminose e sonore da parte delle forze dell'ordine che intendevano procedere al controllo, effettuando manovre e sorpassi pericolosi, proseguendo la marcia ad elevata velocità nonostante l'inseguimento, percorrendo altresì strade contromano e zigzagando, tentando infine di speronare la vettura di servizio (v. sul punto verbale di arresto e trascrizioni relative all'udienza di convalida del 19 settembre 2022) integri il reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui al capo a) delle imputazioni. Trattasi invero di una condotta idonea ad ostacolare concretamente l'esercizio della funzione pubblica e a creare una situazione di pericolo per la circolazione e l'incolumità degli utenti della strada e per le forze dell'ordine che inseguivano il (...), che integra all'evidenza gli estremi della violenza e della minaccia di cui all'art. 337 c.p., perpetrata nei confronti degli operanti di P.G. mentre erano intenti a compiere un atto del proprio ufficio. L'imputato, dal canto suo, essendosi legittimamente avvalso della facoltà di non rispondere, non ha offerto alcun elemento obiettivamente apprezzabile ai fini di una diversa ricostruzione della vicenda, avendo solo dichiarato di trovarsi in procinto di fare ingresso in una comunità terapeutica. Le accertate modalità del fatto comprovano, inoltre, la sussistenza dell'elemento psicologico richiesto per l'integrazione della fattispecie di cui all'art. 337 c.p., non potendo dubitarsi della volontarietà della condotta posta in essere dal (...), così come non è revocabile in dubbio che il comportamento tenuto fosse finalizzato a sottrarsi all'attività istituzionale che le forze dell'ordine intendevano compiere, consistente nel procedere alla sua identificazione, anche al fine di verificare la segnalazione effettuata dal (...), relativa alla sottrazione del veicolo condotto dall'odierno imputato, vettura custodita all'interno dell'officina del predetto (...). Del resto, come si è già detto, ai fini della configurabilità del reato è richiesto il dolo specifico che si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (v. Cass. 23 settembre 2014, n. 38786; Cass., 20 ottobre 2020, n. 35277). 2.3. Sulla scorta delle risultanze evidenziate deve ritenersi provata, inoltre, la responsabilità penale dell'imputato anche in ordine al delitto di cui all'art. 635 c.p. contestatogli sempre nell'ambito del procedimento recante n. R.G. Dib. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022. Gli elementi desumibili dal verbale di arresto in atti consentono invero di ritenere provato che il prevenuto, al fine di commettere il reato di cui al capo a), speronava l'autovettura della Polizia di Stato che inutilmente cercava di arrestare la fuga del (...), così provocando il danneggiamento del paraurti anteriore e la rottura del faro destro. Tanto premesso, giova osservare che la condotta realizzata dall'imputato durante l'inseguimento, consistita nell'effettuare manovre tali da danneggiare il veicolo di servizio, colpendo, numerose volte, da entrambi i lati, il paraurti anteriore dell'auto, come meglio precisato nel verbale di arresto in atti, integri la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 635 c.p., la quale punisce chi, alternativamente, distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibile l'altrui cosa destinata, per quel che qui rileva, a pubblico servizio o a pubblica utilità. Del resto, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità ai fini dell'integrazione del reato è sufficiente che la cosa venga resa inservibile, anche solo temporaneamente, all'uso cui è destinata, non rilevando la possibilità di reversione del danno (cfr. Cass., 9 marzo 2011, n. 9343) Le accertate modalità dell'azione, riscontrate anche dalle fotografie in atti, rendono inoltre evidente la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato in questione, non essendo dubitabile che il (...) abbia agito con la coscienza e volontà di speronare e danneggiare la vettura di servizio. Deve inoltre ritenersi sussistente l'aggravante di cui all'art. 61 c.p. n. 2, non potendo dubitarsi, avuto riguardo alla condotta descritta nel verbale di arresto, che il prevenuto abbia commesso il reato di danneggiamento al fine di commettere il reato di cui al capo a). 2.4. Venendo ora alla fattispecie contravvenzionale contestata all'imputato sempre nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB. 1111/2022, n. R.G.N.R. 2982/2022, di cui al capo c) della contestazione accusatoria, gli elementi desumibili dagli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero consentono di ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli. Dal verbale di arresto più volte menzionato risulta invero che il 18 settembre 2022 le forze dell'ordine dopo aver bloccato il (...), conducendolo presso gli uffici di P.G., effettuavano un controllo in banca dati SDI che consentiva di appurare che il prevenuto risultava destinatario di un provvedimento emesso dal Questore di Frosinone relativo ad un foglio di via obbligatorio con divieto di fare ritorno nel Comune di Frosinone, senza la preventiva autorizzazione, per un periodo di anni tre; provvedimento emesso in data 23 settembre 2019, notificato all'interessato il 7 ottobre 2019 (v. documento in atti). Come si evince dal provvedimento acquisito al fascicolo processuale, il Questore si era determinato ad ordinare il rimpatrio con foglio di via obbligatorio con divieto di ritorno nel Comune di Frosinone atteso che il (...) annoverava precedenti di polizia per furto, minaccia e danneggiamento e che il predetto, in data 2 agosto 2019, in via (...) agro del Comune di Frosinone, veniva deferito alla competente A.G. essendosi reso responsabile del reato di rapina, estorsione e guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. L'imputato, infine, non risultava iscritto nei registri anagrafici del Comune di Frosinone, dove non aveva validi motivi per soggiornarvi e, per quanto sopra esposto, annoverando pregiudizi penali, veniva ritenuto persona pericolosa per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica (si veda il provvedimento del Questore acquisto al fascicolo). Tali essendo le risultanze probatorie acquisite deve ritenersi provato il fatto di cui all'imputazione contestata. Deve al riguardo rilevarsi che non risulta elemento alcuno per dubitare della legittimità formale e sostanziale del provvedimento emesso dal Questore di Frosinone (contenente l'indicazione del luogo di residenza dell'imputato e con il quale è stato ordinato il rimpatrio dal Comune di Frosinone, con divieto di farvi ritorno per anni tre) in considerazione della pericolosità del (...) per l'ordine e la sicurezza pubblica, atteso che il predetto annoverava anche pregiudizi penali (si veda il certificato del (...) in atti). Alla stregua delle evenienze di fatto sopra illustrate deve pertanto ritenersi provato il fatto contestato, considerato che l'imputato, trovandosi nel Comune di Frosinone il 18 settembre 2022 ha violato il provvedimento su richiamato, rientrando nel territorio comunale prima della scadenza del termine di efficacia del divieto. Non consta, inoltre, che il (...) - certamente consapevole del divieto a lui imposto atteso che il provvedimento amministrativo gli era stato notificato - avesse ottenuto l'autorizzazione dell'autorità di P.S. a rientrare nel Comune di Frosinone; non risultano, poi, circostanze da cui poter desumere uno stato soggettivo tale da escludere la consapevole violazione alle prescrizioni inerenti al foglio di via obbligatorio emesso nei suoi confronti. Sussiste anche l'elemento soggettivo del reato, non potendo dubitarsi che il (...) fosse consapevole del divieto a lui imposto atteso che il provvedimento amministrativo gli era stato regolarmente notificato. Può dunque ritenersi integrato il reato di cui all'art. 76, co. 3 D.Lgs. n. 159 del 2011 come contestato all'imputato. 3. Tanto premesso, venendo alle fattispecie delittuose oggetto delle contestazioni accusatorie e in relazione alle quali, per le argomentazioni sopra svolte, va affermata la penale responsabilità dell'imputato, occorre precisare che, tenuto conto del principio secondo cui "In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell'art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio" (cfr. Cass., S.U, 22 febbraio 2018, n. 40981), avuto riguardo alla sostanziale omogeneità degli episodi delittuosi (con riferimento alla condotte di cui all'art. 337 c.p.), considerata altresì la stretta contiguità temporale dei fatti posti in essere, essendo stati realizzati in un arco di tempo assai ravvicinato, le condotte accertate possono ritenersi avvinte dal vincolo della continuazione. Tra i reati in continuazione deve considerarsi più grave quello di cui all'art. 337 c.p. contestato nel procedimento n. R.G. Dib. 1111/2022- R.G.N.R. 2982/2022, in ragione dei limiti edittali di pena, tenuto altresì conto, rispetto all'analogo reato contestato nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB. 1000/22, delle modalità e delle circostanze della condotta, posta in essere in costanza di misura cautelare, sia pure non custodiale, applicata per l'appunto in relazione ad un fatto analogo posto in essere appena quaranta giorni prima. Non si ritiene, invece, che possa ravvisarsi il vincolo della continuazione tra le fattispecie delittuose sopra menzionate e quella contravvenzionale di cui all'art. 76, co. 3, D.Lgs. n. 159 del 2011, stante la natura eterogenea dei reati commessi. 4. Quanto alle circostanze del reato, riguardo la recidiva reiterata infraquinquennale contestata all'imputato, va osservato che la lettura del certificato del (...) in atti consente di affermare la sussistenza dei presupposti della recidiva infraquinquennale contestata, avendo l'imputato riportato due condanne (per il delitto di lesione e danneggiamento) divenute irrevocabili in data 24 febbraio 2020 e 18 ottobre 2021. Si ritiene, tuttavia, di dover escludere in concreto l'aggravante in questione, essendo il (...) gravato solo dalle due precedenti condanne su richiamate, relativi a fatti posti in essere nell'anno 2015 e 2016, con la quale è stata comminata una pena detentiva modesta ed è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena (in relazione alla condanna riportata al n.2 del (...)) e la pena pecuniaria della multa. Il tempo trascorso dai fatti per cui l'imputato ha riportato condanna, sebbene non notevole, la natura della condotta delittuosa realizzata e le concrete modalità del fatto oggetto del presente giudizio non consentono di apprezzare tale fatto quale concretamente sintomatico di una sua maggiore capacità a delinquere e di una più accentuata pericolosità sociale. Quanto invece alla recidiva reiterata contestata all'imputato, si ritiene che non ricorrano i presupposti, tenuto conto dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale si ritiene di aderire, in base al quale "è preclusa l'applicazione della recidiva reiterata, di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., nel caso in cui non sia mai stata precedentemente applicata la recidiva, semplice, aggravata o pluriaggravata, per la mancanza del presupposto formale dell'anteriorità della data di irrevocabilità della precedente sentenza rispetto a quella di commissione del nuovo reato" (cfr. Cass., 29 aprile 2022, n. 27450; Cass. 14 dicembre 2021, n. 2519) 5. Venendo al trattamento sanzionatorio, si ritiene di poter riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto delle dichiarazioni spontanee rese dal predetto, il quale si è scusato per il contegno tenuto, apprezzata altresì la condotta posta in essere in epoca successiva alla commissione del reato, il quale si è offerto di risarcire i danni cagionati, come si evince dalla documentazione prodotta dalla difesane confluita nel fascicolo. 6. Applicati i parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., per il reato di cui al capo c) dell'imputazione contestato nel procedimento recante n. R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/22, avuto riguardo alle circostanze della condotta, si ritiene congruo comminare la pena di giorni venti di arresto. Quanto alle restanti fattispecie delittuose oggetto delle contestazioni accusatorie, tenuto conto, per il reato più grave di cui all'art. 337 c.p. contestato nell'ambito del procedimento penale recante n. R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/22 delle modalità della condotta, che denota una particolare spregiudicatezza e noncuranza nei confronti delle autorità, nonché scarso rispetto anche per l'altrui incolumità fisica, avuto altresì riguardo alla circostanza che il fatto è stato commesso in costanza di misura cautelata applicata per analogo fatto, oggetto del procedimento recante n. R.G.DIB 1000/22, considerata inoltre la personalità dell'imputato, come si evince dal certificato del C. in atti, si ritiene congruo comminare la pena di anni uno di reclusione per il reato di cui all'art. 337 c.p. posto in essere nei confronti di un operante, ridotta alla pena di mesi otto di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, aumentata, ai sensi dell'art. 81 cpv c.p., di un mese di reclusione per la medesima condotta posta in essere nei confronti dell'altro operante, ulteriormente aumentata di mesi uno per il reato di cui all'art. 635 c.p. (avuto riguardo all'entità del danneggiamento) e di mesi due di reclusione per l'ulteriore reato di resistenza al pubblico ufficiale contestato nell'ambito del procedimento recante n. R.G.DIB 1000/22, R.G.N.R. 2487/22 (tenuto conto delle specifiche modalità e circostanze dell'azione), infine, ridotta alla pena di mesi otto di reclusione in ragione dell'applicazione della diminuente speciale per la scelta del rito All'affermazione di penale responsabilità consegue, per legge, la condanna al pagamento delle spese processuali. Non ricorrono i presupposti per riconoscere i benefici di legge, ostandovi all'evidenza le precedenti condanne di cui l'imputato è gravato. La natura delle questioni trattate ha giustificato l'indicazione del termine di giorni settanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, esclusa la contestata recidiva, applicata la diminuente speciale per la scelta del rito, lo condanna per il reato di cui al capo c) dell'imputazione nel procedimento recante R.G.DIB. 1111/22, R.G.N.R. 2982/2022 alla pena di giorni venti di arresto e per i restanti reati a lui ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. visto l'art. 544 c.p.p., indica il termine di giorni 70 per il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 7 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Frosinone - Sezione Civile - in persona del giudice dott.ssa Maria Ciccolo ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3757 del Registro Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018, pendente tra PROVINCIA DELLA CONGREGAZIONE DEI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Cosseria n. 5, presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende per delega allegata all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo con domanda riconvenzionale opponente e D.I. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Frosinone, via (...), presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende per delega allegata al ricorso per decreto ingiuntivo opposta avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - contratto di appalto. Motivi della Decisione 1. I fatti controversi. La D.I. s.r.l. ha richiesto ed ottenuto, nei confronti della Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane (di seguito, per brevità, Provincia della Congregazione), il decreto ingiuntivo n. 1129/2018 del 15.11.2018, per il pagamento immediato della somma di Euro 91.338,79 oltre interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002 a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'emissione delle fatture al saldo, e spese della fase monitoria. La pretesa creditoria si fondava su due contratti di appalto del 31.05.2018 e del 15.06.2018, e sulle relative fatture, per l'esecuzione di lavori edili presso i cantieri di Roma, siti rispettivamente in via C. 767 (Istituto Pio X.) e in via G. B. P. 71 (Scuola L. S.). L'ingiunta ha proposto opposizione, eccependo: - di aver commissionato, nell'anno 2017, i progetti per la costruzione di un asilo materno all'interno della sua proprietà, in R., via G. B. P. 71, al geom. A.I., nominato direttore dei lavori, il quale aveva presentato all'appaltante l'impresa D.I. s.r.l. per l'esecuzione dello scavo e delle opere in c.l.s.; - che era stato, quindi, sottoscritto il contratto d'appalto di cui al preventivo del 15.06.2018, in calce al quale l'impresa appaltatrice dichiarava "di essere in possesso di tutti i progetti, di tutta la documentazione necessaria a svolgere il lavoro"; - che, iniziati i lavori, in data 28.07.2018, era stato notificato al legale rappresentante della Provincia della Congregazione decreto di convalida di sequestro dei lavori edili abusivi in R., via G. B. P. nn. 71 - 73, con cui si disponeva l'immediata sospensione di ogni attività edilizia nel cantiere; - che in data 07.11.2018 erano stati notificati sia al legale rappresentante dell'ente ecclesiastico sia al legale rappresentante dell'impresa esecutrice, ordinanza di convalida e decreto di sequestro preventivo del cantiere per il reato di cui agli artt. 44, 64, 65 del D.P.R. n. 380 del 2001 per assenza del richiesto permesso a costruire e della preventiva denuncia al genio civile; - che il contratto di appalto, sottoscritto in assenza della concessione edilizia, era nullo e conseguentemente l'appaltatore non poteva richiedere il pagamento del corrispettivo per i lavori eseguiti; - che tuttavia, l'Ente Religioso, all'oscuro del mancato rilascio della concessione edilizia, della cui acquisizione era stato incaricato il Direttore dei Lavori, aveva effettuato il pagamento in favore dell'impresa delle fatture n. (...) del 18.06.18, n. (...) del 18.06.18 e n. (...) del 18.07.18, per una somma complessiva di Euro 53.291,19, mentre, a seguito della notifica della convalida di sequestro, aveva sospeso il pagamento della residua somma prevista dal contratto di appalto e, con raccomandata a.r. del 25.09.18, comunicato la risoluzione del contratto. Ciò premesso, la parte opponente ha chiesto al tribunale di revocare il decreto ingiuntivo opposto, e di condannare l'opposta alla restituzione della somma di Euro 53.291,19, oltre interessi, con vittoria di spese. La D.I. s.r.l. si è costituita in giudizio, deducendo: - Che in data 15.06.2018 l'opponente aveva chiesto con urgenza all'impresa costruttrice, e aveva accettato, un preventivo di spesa per la realizzazione di una struttura in cls per l'ampliamento di un edificio adibito a scuola, in R., via G.P. n. 71 e più precisamente, per la realizzazione di una base su cui collocare una struttura prefabbricata da destinare ad asilo pubblico, che sarebbe stata poi realizzata da altra ditta; - Che il preventivo era stato predisposto dall'opposta sulla base dei progetti esecutivi rilasciati dal direttore dei lavori e dalla committente; - Che unicamente a detti progetti, e non anche alla concessione edilizia, era riferita l'annotazione, posta in calce al contratto in data 27.06.2018, con cui l'impresa esecutrice dichiarava di essere in possesso di tutta la documentazione necessaria a svolgere i lavori; - Che, iniziati i lavori, verso la fine del mese di luglio 2018 la Polizia Locale del Comune di Roma, in esecuzione di un ordine della Procura della Repubblica di Roma, aveva posto sotto sequestro il cantiere; - Che, solo con missiva del 25.09.2018, la Provincia della Congregazione le aveva comunicato la risoluzione del contratto di appalto, invitandola a ritirare i propri materiali dal cantiere; - Che la nullità del contratto era dovuta a colpa esclusiva dell'opponente che, consapevole del mancato rilascio della concessione edilizia, aveva omesso di comunicare tale circostanza all'impresa esecutrice dei lavori. Per tali ragioni, l'opposta ha chiesto il rigetto dell'opposizione e la conferma dell'esecutività del decreto ingiuntivo, e il rigetto della domanda riconvenzionale formulata dall'opponente; ancora, di accertare e dichiarare l'indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. dell'opponente e, conseguentemente, il proprio diritto a trattenere le somme ricevute e quelle portate dal decreto ingiuntivo, con vittoria di spese, da distrarsi in favore del difensore antistatario. Con ordinanza dell'1.04.2019 il giudice istruttore ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto opposto. Respinte le istanze istruttorie della parte opposta, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. In vista dell'udienza del 3.5.2022, di cui è stata disposta la trattazione scritta ai sensi dell'art. 221 L. n. 77 del 2020, le parti hanno precisato le conclusioni per iscritto riportandosi ai rispettivi atti, e la causa è stata trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Sulla domanda azionata in sede monitoria. La domanda posta alla base del ricorso per decreto ingiuntivo si fonda su due preventivi presentati dall'impresa D.I. s.r.l. alla Provincia della Congregazione e sottoscritti dalle parti rispettivamente in data 31.05.18 e in data 15.06.2018. Per quanto riguarda il corrispettivo residuo per le opere edili di cui al primo preventivo, non sono stati formulati motivi di opposizione, e l'opposta ha dato atto che l'opponente ha effettuato il relativo pagamento in data anteriore alla notifica del decreto ingiuntivo, riducendo così la pretesa creditoria complessiva da Euro 91.338,79 ad Euro 70.450,00, fatto confermato dall'opponente e pertanto non contestato. L'oggetto del presente giudizio di opposizione è, quindi, incentrato sui lavori di scavo, sbancamento e costruzione di un plateatico in cemento previsti dal secondo preventivo, lavori che, una volta iniziati, sono stati sospesi per essere stati eseguiti senza la preventiva denuncia al genio civile e in assenza del richiesto permesso a costruire. Al riguardo, è consolidato nella giurisprudenza della Cassazione (sent. n. 4527/2022; n. 13622/2013; n. 13969/2011) il principio per cui "Il contratto di appalto per la costruzione di un'opera senza l'autorizzazione paesaggistica all'uopo necessaria (in base agli art. 7 e 8 L. 29 giugno 1939, n. 1497, applicabile ratione temporis) è nullo, ai sensi degli art. 1346 e 1418 c.c., avendo un oggetto illecito per violazione delle norme imperative in materia urbanistico-ambientale, con la conseguenza che tale nullità, una volta verificatasi, impedisce sin dall'origine al contratto di produrre gli effetti suoi propri e ne impedisce anche la convalida ai sensi dell'art. 1423 c.c., onde l'appaltatore non può pretendere, in forza del contratto nullo, il corrispettivo pattuito. Non rileva, pertanto, l'ignoranza del mancato rilascio della prescritta autorizzazione che non può ritenersi scusabile per la grave colpa dei contraenti, i quali, con l'ordinaria diligenza, ben avrebbero potuto avere conoscenza della reale situazione, ed è parimenti irrilevante la comune intenzione delle parti, manifestata nel contratto, di porre a carico dell'appaltatore l'obbligo di richiedere il provvedimento autorizzavo, in quanto, anche in tal caso, l'opera dedotta in contratto non è lecita sol perché sia prevista la richiesta del provvedimento urbanistico, ma resta un'opera contrastante con norma imperativa, senza possibilità alcuna di considerare l'illecito amministrativo e penale, conseguente a tale attività, come operante in una sfera diversa ed estranea al rapporto contrattuale tra committente ed appaltatore". Nel caso di specie, dai documenti prodotti in giudizio (ordinanza di convalida e decreto di sequestro preventivo del cantiere di via G.P. nn. 71/73, in cui il manufatto è stato realizzato), risulta evidente che il contratto di appalto di cui al preventivo del 15.06.2018 è stato sottoscritto, e i relativi lavori sono stati eseguiti, in assenza dei prescritti titoli abilitativi. Di conseguenza, è del tutto inconferente la diatriba tra le parti sull'interpretazione della frase "La (...) dichiara di essere in possesso di tutti i progetti, di tutta la documentazione necessaria a svolgere il lavoro", aggiunta in calce alla proposta di preventivo del 15.6.2018. La nullità insanabile del contratto di appalto, ex artt. 1346 c.c. e 1418 c.c., impedisce allo stesso di produrre sin dall'origine qualsiasi effetto, ivi compreso l'obbligo da parte del committente del pagamento del corrispettivo. Per tutto quanto detto (intervenuto pagamento del corrispettivo dovuto in relazione al preventivo del 31.5.2018 e nullità del contratto di cui al preventivo del 15.6.2018) il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato. L'opponente, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna della controparte alla restituzione della somma (Euro 53.219,19), quale pagamento delle fatture n. 21 del 18.6.2018, n. 22 del 18.6.2018 e n. 28 del 18.7.2018, emesse in acconto sui lavori eseguiti o da eseguire in relazione al contratto de quo. La domanda è fondata, essendo pacifico (Cass. n. 26050/2022) che la nullità del contratto comporta gli effetti restitutori di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso, e che l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione è quella di ripetizione di indebito oggettivo, la quale ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento. Gli interessi decorrono dalla domanda, non essendovi prova sufficiente della mala fede del percettore. La D.I. s.r.l. per l'ipotesi declaratoria di nullità del contratto di cui al preventivo del 15.6.2018, ha avanzato richiesta di rimborso delle spese sostenute per la realizzazione delle opere eseguite, ai sensi dell'art. 2041 c.c.. La domanda non può essere accolta. La Cassazione, in fattispecie analoghe (Cass. n. 8040/2009; Cass. n. 14807/2006) ha affermato che "Poiché la funzione dell'azione di indebito arricchimento è l'eliminazione di uno squilibrio determinatosi senza giusta causa, a seguito del conseguimento di una utilità economica da parte di un soggetto con relativa diminuzione patrimoniale di un altro soggetto, l'esercizio della stessa non trova impedimento - bensì giustificazione - nell'accertamento della non proponibilità dell'azione contrattuale derivante dalla nullità del titolo che ne costituisce il fondamento; ne consegue che tale azione può essere proposta dall'appaltatore che non abbia ricevuto, in tutto o in parte, il corrispettivo pattuito a causa della nullità del contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione di un'opera senza la prescritta concessione edilizia, non potendosi escludere la locupletazione del committente in ragione della precarietà del suo diritto dominicale sull'immobile abusivamente costruito, cioè della possibilità di provvedimenti autoritativi di demolizione dello stesso, dovendosi comunque tener conto dell'impiego che egli ne abbia eventualmente fatto nonostante quella precarietà e delle utilità economiche che ne abbia ricavato". Quindi, perché si concretizzi il diritto ad ottenere l'indennizzo ex art. 2041 c.c., è necessario che vi sia stata locupletazione di un soggetto, ed è ciò che nel caso di specie è mancato, in quanto il committente non ha potuto ricavare alcuna utilità, neppure temporanea, dall'opera abusiva, sequestra e demolita prima del suo completamento. Le spese di lite seguono la soccombenza, e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dei valori medi di cui al D.M. n. 147 del 2022, ridotti in considerazione del livello di complessità della controversia. Per Questi Motivi il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile indicata in epigrafe, ogni diversa istanza, conclusione e deduzione disattesa, così provvede: - revoca il decreto ingiuntivo n. 1129/2018, emesso dal Tribunale di Frosinone in data 15.11.2018, e dichiara dovuta dalla Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane alla D.I. s.r.l. la sola somma, già versata, di Euro 20.784,21 relativa al saldo dei lavori edili di cui al preventivo del 31.05.2018; - rigetta la domanda di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. avanzata dalla parte opposta; - condanna la D.I. s.r.l. a restituire alla Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane la somma di Euro 53.290,83; - condanna la D.I. s.r.l. alla rifusione, in favore della Provincia della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, delle spese di lite, che liquida in Euro 406,50 per esborsi e in Euro 7.052,00 per compensi, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Frosinone, il 21 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Giudice di Frosinone, dott. Stefano Troiani, ha pronunziato la seguente: SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero 3386 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2017 promossa DA F. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante, difeso dall'avv. (...), giusta delega in calce alla citazione, elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in Frosinone, (...) -ATTORE- CONTRO F. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante, difeso dall'avv. (...), giusta procura allegata alla comparsa di risposta, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. (...). -CONVENUTO - Oggetto: risarcimento danni responsabilità dipendente MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato parte attrice adiva in giudizio la F. s.r.l. al fine di vedere accolte le seguenti conclusioni: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, accertare e quindi dichiarare la responsabilità della F. srl in persona del legale rap.te p.t. nei fatti narrati e quindi nella causazione del danno economico, di immagine e morale subito dalla F. srl, in persona del legale rapp.te p.t. Sig. F.A., e per l'effetto condannare la F. srl in persona del legale rapp.te p.t. al risarcimento, in favore dell'istante, della somma di Euro 600.000,00 a titolo di danno patrimoniale e di tutti i danni patiti e subendi di natura non patrimoniale nella misura che risulterà di giustizia oltre ad interessi e rivalutazioni come per legge. Con salvezza delle spese di lite". Assume parte attrice che la F. s.r.l., società che si occupa della vendita di capi di abbigliamento di varie griffe fra le quali anche alcuni a marchio F., in persona dell'amministratore e dei soci, nel mese di settembre 2012 è venuta a conoscenza, da alcuni clienti, che a Frosinone circolavano notizie circa la vendita nei suoi negozi di griffe contraffatte ovvero false; che, a seguito di una serie di riscontri, individuava la fonte del chiacchiericcio in una mail (allegato n. 1 della citazione), inviata ad un proprio cliente, Sig. P.A., da parte del responsabile (...) di F. (dipendente della F. s.r.l.), Sig. E.R.M.; che, alla richiesta di informazioni circa lo scolorimento di una maglietta acquistata presso il negozio di parte attrice, infatti, quest'ultimo riferiva testualmente "... il negozio dove ha acquistato la polo non è un rivenditore autorizzato F. e non hanno mai contattato il nostro customer service. La polo potrebbe essere falsa, una rimanenza di magazzino di qualche stock...come primo passo, visto che è stato preso in giro, le consiglio di recarsi in negozio e pretendere il rimborso della cifra spesa.." Da tale comportamento, ritenuto negligente, sprovveduto e inadeguato al ruolo ricoperto derivava la contestazione penale di diffamazione ai danni della società attrice, con conseguente danno economico (decremento di presenze e calo di vendite) e di immagine. Si costituiva in giudizio la F. s.r.l. lamentando l'assenza di prova riguardo l'illecito, l'assenza di prova sull'autenticità e l'assenza di prova sul danno. All'udienza del 12.01.2018 le parti chiedevano ed ottenevano i termini di cui all'art. 183 VI coma c.p.c., mentre alla successiva udienza di ammissione dei mezzi istruttori il Giudice, anche al fine di valutare la possibilità di una transazione, ammetteva l'interrogatorio formale della società convenuta. Le due successive udienze si concludevano con un nulla di fatto in ragione delle chiusure da parte della convenuta ad ogni soluzione bonaria, rappresentate dalla procuratrice speciale della azienda Dott.ssa D.C. (resasi disponibile a rendere l'interrogatorio formale). Alle udienze del 03.12.2019, 17.09.2021 e 01.04.2022 venivano escussi i testi, i sigg.ri. E.B., F.C., E.D.C., A.C.. All'udienza del 15.07.2022, infine, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Ritiene questo Tribunale che la domanda sia fondata, con le dovute e necessarie precisazioni in merito al profilo del danno e della sua relativa quantificazione. A tale proposito, procedendo per ordine, la fattispecie in esame è inquadrabile nell'ambito dell'art. 2049 c.c. Tale norma statuisce che i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti, la c.d. responsabilità del proponente. Quest'ultima assolve una indubbia funzione di garanzia del danneggiato, che si trova in tal modo a poter contare sulle sostanze del padrone o del committente nel risarcimento del danno ad esso arrecato. Si vedano sul punto gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità secondo cui "l'art. 2049 c.c., prevedendo la responsabilità di padroni e committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei domestici e commessi nell'esercizio delle loro incombenze, richiede che domestici e commessi abbiano perseguito, col comportamento dannoso, finalità coerenti con le mansioni affidate e non estranee all'interesse del padrone o committente; il nesso di occasionalità necessaria fra mansioni e danno comporta che l'esercizio delle prime, anche al di là della competenza, abbia almeno agevolato la produzione del secondo" (Cass. Civ. sent. n. 22343 del 2006, conforme a Cass. Civ. sent. 9764 del 2005). E', pertanto, ormai comune convinzione che si instauri un rapporto di preposizione nell'ambito del rapporto di lavoro, a prescindere dalle espressioni adoperate, che trova rilevanza nel potere di direzione e sorveglianza in capo al preponente, indifferentemente dalla durata del rapporto o dalla saltuarietà delle prestazioni. In questo senso, la ratio di cui all'art. 2049 coincide largamente con l'area del rapporto di lavoro subordinato, poiché è proprio in seno a questo rapporto che si sviluppa l'assoggettamento del preposto agli ordini ed alle direttive del datore di lavoro. Va precisato, però, che la giurisprudenza ha più volte affermato la configurabilità del rapporto di preposizione, in rapporti non riconducibili alla sfera della subordinazione in senso proprio. Tale principio è stabilmente parte della conforme giurisprudenza di legittimità, secondo cui "per la sussistenza della responsabilità dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2049 c.c. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell'illecito siano legate all'imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell'imprenditore" (Cass. Civ. Sent. n. 21684 del 2005). Ciò posto, l'illecito del sig. M., dipendente della società convenuta all'epoca dei fatti, appare chiaro ed evidente. L'illiceità del comportamento posto in essere si deduce da una serie di elementi: in primo luogo il predetto ha scritto nell'email che la società attrice non è rivenditore F. e in ciò appare smentito dalla documentazione in atti, attestante il possesso di regolari ordini di acquisto con la F.S. S.A., facente parte del gruppo L., nel quale sono confluite la F.I. S.r.l. e la F.A. S.r.l., già facenti capo alla società di diritto lussemburghese F. S.A; In secondo luogo, sempre il M., pur esprimendosi in termini ipotetici, usando per l'appunto il modo condizionale (potrebbe), ha etichettato come falso il capo di abbigliamento, pur non avendo elementi concreti per affermarlo, nemmeno in termini probabilistici e in ciò appare seccamente smentito dalle risultanze della stessa perizia svolta da F. e comunicata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone, laddove si legge quanto segue: "dopo aver preso visione presso i Vostri uffici dell'articolo epigrafato ed essermi attivato per reperire le informazioni necessarie presso la F.S., società del gruppo L. che commercializza detto prodotto, posso confermare che la polo risulta essere originale, firmato M.L., nella sua qualità di specialista di anticontraffazione di F.; In terzo luogo, il M. ha altresì aggiunto che il cliente (sig. A.) è stato preso in giro e lo stesso gli ha consigliato di tornare in negozio e pretendere il rimborso della cifra spesa, giungendo quindi a delle conclusioni alquanto affrettate e superficiali, senza l'ausilio di alcun riscontro oggettivo e, soprattutto, istigando il cliente a protestare e pretendere rimborsi scatenando in lui, di conseguenza, il legittimo affidamento sulla falsità del capo acquistato e sulla legittimità delle lamentele, poi formulate non solo alla venditrice ma anche ad amici e parenti i quali, a loro volta, hanno comunicato la notizia che l'attrice vendesse prodotti falsi ad altri. Secondo poi parte convenuta, la società attrice non avrebbe contattato il servizio customer di F.. Sul punto, tuttavia, non vi è nessuna prova che questo non sia avvenuto, anzi il titolare della società attrice, appena ricevuta la lamentela, si è attivato, contattando non la F., non avendo acquistato il bene dalla predetta, bensì direttamente il rivenditore presso cui aveva acquistato la polo, poi venduta al sig. A.. Infine, il comportamento illecito del M.,, in quanto negligente e imprudente, peraltro in una posizione apicale all'interno del settore customer care, è stato consacrato dall'esito del procedimento penale, avviato nei suoi confronti per i reati previsti e puniti dagli artt. 594 e 595 c.p., conclusosi con una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, avendo l'imputato proceduto alla riparazione del danno cagionato, eliminandone le conseguenze dannose, pronuncia emessa dal Giudice di Pace di Frosinone in data 21/03/2014 e depositata in data 28/03/2014, divenuta successivamente irrevocabile. A tale riguardo, la volontà manifestata dall'imputato di voler riparare il danno arrecato implica un'ammissione del fatto commesso. L'istruttoria dibattimentale ha confermato come le voci incontrollate che avevano scosso la comunità frusinate circa la vendita di prodotti falsi da parte dell'attore fossero cominciate poco dopo il fatto descritto. Ciò si evince da quanto dichiarato dai testi che hanno parlato del "chiacchiericcio" tra i clienti, nato dopo la vendita del capo. In merito, il teste E.B. infatti, dichiarava di frequentare il negozio di parte attrice da 20 anni, precisando quanto segue: "confermo che nel settembre 2012 giravano in città voci riguardo la vendita, da parte del negozio di parte attrice, di prodotti contraffatti, preciso di non aver appreso la notizia da qualcuno in particolare". L'altro teste di parte attrice, il Sig. F.C., che per la professione svolta (agente generale G.I.) ha avuto certamente occasione e modo di entrare in contatto con una moltitudine di persone all'epoca dei fatti, dichiarava: "aveva griffe di prima fascia (...) avevano clienti importanti" e "girava questa voce". Posta dunque la responsabilità della società attrice ex art. 2049 c.c., occorre adesso esaminare il profilo del danno patito dalla società attrice. Occorre subito osservare che la richiesta risarcitoria avanzata in citazione di complessivi Euro 600.000,00, tra danni patrimoniali e danni all'immagine commerciale, appare certamente esagerata e sproporzionata, sia rispetto all'entità del fatto in sé, trattandosi di un episodio isolato, che non si è più ripetuto, legato all'acquisto di un solo capo di abbigliamento e non di serie di capi, venduti in un arco temporale più ampio, sia rispetto alle cifre evidenziate dal dott. D.C., all'epoca dei fatti commercialista della società attrice, in termini di diminuzione del fatturato, sia rispetto al periodo storico considerato, caratterizzato da una notevole crisi economica, privata e pubblica. Ad ogni modo, si può ragionevolmente presumere che un danno, sia economico che di immagine, sia stato prodotto dalla diffusione della notizia, considerato il contesto ambientale nel quale è girata, ossia la città di Frosinone, piccolo centro dove, attraverso il passaparola, qualsiasi notizia diventa di dominio pubblico, giungendo sulla bocca dei più. In merito alla determinazione del danno, occorre considerare appunto le dichiarazioni del teste D.C.. Quest'ultimo riferiva che rispetto al punto vendita di via A. M., dove è stato venduto il capo, è stata registrata una diminuzione complessiva degli incassi di circa Euro 148.000,00, somma così suddivisa: tra il 2012 e il 2011 di circa Euro 80.000,00, tra il 2013 e il 2011 di circa Euro 68.000,00, diminuzione che è proseguita fino al 2014, quando vi è stata una ripresa. Lo stesso teste aggiungeva che rispetto all'altro punto vendita, quello di via M. C. non vi sono stati cali negli incassi, anzi un aumento in questi anni. Ad avviso di questo Tribunale, gli 80.000,00 Euro di calo degli incassi, registrati tra il 2011 e il 2012 non siano certo imputabili al fatto, verificato nel settembre del 2012, quindi quasi alla fine dell'anno, bensì alla situazione economica contingente di crisi, che colpisce, pur se in misura ridotta, anche le grandi firme. Ritiene, invece, questo giudicante che l'importo di Euro 68.000,00, inteso come diminuzione del volume d'affari nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013, sia in parte determinato sempre dalla situazione di crisi economica di quel periodo storico e in parte dovuto alla diffusione della notizia, considerati il tempo impiegato dalla notizia stessa per penetrare all'interno del tessuto economico-sociale e determinare così effetti negativi di natura economica. Secondo questo Tribunale, quindi, dell'importo complessivo di Euro 68.000,00, più della metà è da ricollegare al fenomeno contingente, considerato il momento di forte contrazione dei consumi e la crisi in generale dell'economia, mentre il resto può essere ragionevolmente riconducibile causalmente al fatto oggetto di causa e precisamente Euro 25.000,00 secondo un criterio squisitamente equitativo, importo già stimato all'attualità. A questo importo occorre aggiungere Euro 5.000,00, sempre stimato all'attualità, a titolo di danno all'immagine professionale del titolare del punto vendita, intaccata dalla diffusione in città della notizia, anche se in termini temporalmente circoscritti, considerata comunque la ripresa nel 2014 e relativi, atteso che l'altro punto vendita ha continuato a registrare una situazione economica decisamente più favorevole, non subendo diminuzioni. La domanda, pertanto, deve essere accolta nei predetti termini. Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono il principio della soccombenza P.Q.M. Accoglie in parte la domanda proposta e, per l'effetto, condanna la F. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante, a corrispondere alla F. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante, la somma di Euro 30.000,00, a titolo di danno, oltre interessi legali dal deposito della sentenza fino all'effettivo soddisfo. Condanna la F. S.r.l. alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 545,00 per spese, Euro 7.616,00 per compensi, oltre rimborso spese generali, in ragione del 15% sui compensi, iva e cpa, come per legge. Così deciso in Frosinone, il 22 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI FROSINONE in composizione monocratica, in persona del Giudice Aurora Gallo, nel procedimento penale di primo grado a margine indicato, all'udienza del 7 luglio 2022, ha, pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato a R. il (...), con domicilio dichiarato in A. (F.), via S. 155 C., 1/B; Libero Assente Assistito e difeso di fiducia dall'Avv. An.Te., del foro di Frosinone; MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con decreto emesso dal G.U.P. all'esito dell'udienza preliminare del giorno 26 settembre 2018, (...) è stato rinviato a giudizio dinanzi a questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto, riportato nell'imputazione allegata. All'udienza del 24 gennaio 2019, si è disposto di procedere in assenza dell'imputato, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 420 bis c.p.p., e, dichiarato aperto il dibattimento, sono state ammesse le prove richieste dalle parti; il procedimento è stato quindi rinviato per l'espletamento dell'attività istruttoria. All'udienza del 13 giugno 2019, intervenuto il mutamento della persona fisica del giudicante, è stata disposta la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sin dalla dichiarazione di apertura del dibattimento e, ammesse le prove richieste dalle parti (le quali si sono riportate alle precedenti richieste istruttorie), è stato escusso il teste (...) e, all'esito, è stata acquisita al fascicolo la documentazione prodotta dal P.M., allegata al verbale in atti. All'udienza del 9 gennaio 2020 è stata revocata l'ordinanza ammissiva della prova in relazione al teste a discarico, stante la rinuncia manifestata dalla difesa, e in seguito il procedimento ha subito diversi differimenti per i motivi meglio specificati nei verbali in atti del 9 gennaio 2020, dell'8 ottobre 2020, del 29 aprile 2021, del 9 settembre 2021 e del 20 gennaio 2022. All'udienza del 16 maggio 2022, acquisita la documentazione prodotta dalla difesa, ed esaurita l'attività istruttoria, si è disposta la discussione orale, al termine della quale, all'udienza del 4 luglio 2022, in assenza di repliche del P.M., sulle conclusioni formulate dalle parti sopra trascritte, è stata pronunciata la sentenza di cui al dispositivo, pubblicato mediante lettura. 2. Le risultanze istruttorie ritualmente acquisite nel contraddittorio dibattimentale consentono di ritenere provato il fatto oggetto della contestazione accusatoria e conducono, pertanto alla all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato per il reato a lui ascritto. La vicenda per cui è processo è stata compiutamente ricostruita dal teste (...), in servizio presso la Guardia di Finanza di Fiuggi, il quale ha riferito in merito all'accertamento fiscale svolto nei confronti di (...), quale legale rappresentante della (...) s.r.l., conclusosi con la redazione del processo verbale di constatazione del 27 febbraio 2017, acquisito al fascicolo dibattimentale. Il teste ha quindi spiegato che, in ragione dell'omessa presentazione da parte del (...) delle dichiarazioni fiscali per gli anni d'imposta 2012, 2013, 2014 e 2015, iniziava una verifica nei confronti della Società sopra menzionata finalizzata alla ricostruzione dei redditi in relazione ai periodi innanzi indicati. L'operante di P.G. ha dunque riferito che, risultando lacunosa la documentazione contabile rinvenuta ed esibita dal (...), procedeva alla ricostruzione del volume degli affari attraverso i dati estrapolati dalla banca dati dell'amministrazione finanziaria e gli elementi acquisiti dai soggetti che avevano intrattenuto rapporti economici con la "(...) s.r.l.", anche tramite questionari. Il teste ha spiegato che le società che avevano avuto rapporti con la società sottoposta a verifica avevano fornito le fatture emesse dalla (...) s.r.l., come meglio indicate nella contestazione accusatoria e allegate al fascicolo dibattimentale. L'operante di P.G. ha infine dichiarato che dalla verifica svolta, sopra sintetizzata, e dagli accertamenti bancari effettuati emergeva che, per l'anno d'imposta 2012, la società aveva effettuato operazioni non dichiarate per oltre 600.000 Euro e non aveva presentato la dichiarazione I.V.A., con un'evasione pari ad Euro 130.000 circa, mentre per gli altri anni d'imposta non risultava il superamento della soglia di punibilità prevista dall'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale è stata inoltre acquisita la denuncia sporta dall'imputato presso la Stazione dei Carabinieri di Alatri in data 26 aprile 2017. 3. Le risultanze dibattimentali evidenziate consentono di ritenere provato il fatto in contestazione. Non emergono elementi che possano far dubitare dell'attendibilità di quanto riferito dal teste escusso relativamente agli accertamenti svolti in sede di verifica fiscale e della correttezza degli stessi, fondati sui dati estrapolati dalla banca dati dell'anagrafe tributaria e sulle fatture emesse dalla (...) s.r.l. acquisite. Deve dunque ritenersi provato che l'imputato, nella qualità di legale rappresentante della (...) s.r.l. ed obbligato a tenere le scritture contabili ed a conservare la documentazione contabile (ovvero le fatture emesse nei confronti dei clienti), non abbia posto a disposizione della Guardia di Finanza detta documentazione, acquisita dalla P.G. dai soggetti che avevano intrattenuto rapporti economici con la società. Nello specifico, dall'analisi della documentazione acquisita emerge che risultano essere emesse sei fatture nel 2012 (quattro nei confronti della (...) srl, una nei confronti di (...) srl, una nei confronti di (...) Immobiliari srl); cinquantacinque fatture nel 2013 (due nei confronti di (...) Immobiliari srl, quarantaquattro fatture emesse nei confronti della società (...) srl di (...), tre fatture emesse nei confronti della società (...) srl di (...), quattro nei confronti della società (...) srl di L. e una nei confronti della società S. srl di T.), cinque fatture nel 2014, tutte emesse nei confronti di (...) s.r.l.; tre fatture nel 2015, tutte emesse nei confronti di (...) s.r.l. (cfr. documentazione versata in atti). Può inoltre ritenersi accertato che la documentazione contabile sia stata occultata. Giova al riguardo osservare che, come più volte chiarito dalla Suprema Corte (cfr., tra le tante, Cass., 2 marzo 2018, n. 41683), "non v'è alcun dubbio che ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, ma è necessario un "quid pluris" a contenuto commissivo consistente nell'occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge " (cfr. anche Cass., 20 giugno 2017, n. 35591; Cass., 2 marzo 2016, n. 19106). Facendo applicazione, nel caso di specie, del principio di diritto sopra riportato deve rilevarsi che sebbene possa ipotizzarsi che, per alcuni anni d'imposta oggetto di verifica, i registri fiscali non siano stati affatto istituiti (si veda al riguardo la deposizione resa dal teste A. e p. 6 ss. del processo verbale di constatazione ove si evidenzia che nell'anno 2012 la società aveva istituito parte dei documenti obbligatori, mentre negli anni 2013, 2014,2015 e 2016 mancavano i registri IVA delle fatture di vendita, delle fatture di acquisto e dei beni ammortizzabili), deve al contempo evidenziarsi che è stato senz'altro accertato che un quantitativo di fatture emesse e non consegnate dal L. sono state poi rinvenute. La conservazione delle fatture, come è noto, è imposta, ai fini fiscali, dagli artt. 39, comma terzo, D.P.R. n. 633 del 1972, e 22, D.P.R. n. 600 del 1973, oltre che, a fini civilistici, dall'art. 2214, comma secondo, cod. civ. È parimenti noto che la fattura deve essere emessa in duplice esemplare di cui uno è consegnato alla parte (art. 21, comma quarto, D.P.R. n. 633 del 1972). Risponde, dunque, a canoni di logica desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l'ha emessa. Ne consegue che non è manifestamente illogico desumere dal mancato rinvenimento di detta copia la conseguenza della sua distruzione ovvero del suo occultamento (cfr. Cass., 2 marzo 2018, n. 41683 "In tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell'atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell'altra copia presso l'emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento"). Tanto premesso, deve ulteriormente osservarsi, quanto alla denuncia sporta dall'imputato nei confronti di ignoti in epoca successiva alla redazione del PVC, che trattasi di circostanza che, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, non consente di ritenere che le fatture trasmesse dalla (...) s.r.l., dalla (...) s.r.l. e dalla S. s.r.l. siano riferite ad operazione inesistenti e che siano sconosciute dall'odierno imputato, il quale, peraltro, essendosi legittimamente avvalso della facoltà di non sottoporsi ad esame, non ha fornito alcuna spiegazione e indicazione utile a consentire di supporre che egli fosse all'oscuro della documentazione rinvenuta dalla P.G. presso le tre società menzionate. Deve peraltro osservarsi che, anche a voler giungere a tale conclusione con riferimento alle fatture reperite dalle società sopra indicate, è sufficiente ad integrare il reato l'occultamento o la distruzione finanche di un solo documento e nel caso di specie non è emerso alcun elemento che possa far ragionevolmente dubitare della genuinità delle restanti fatture emesse dalla (...) s.r.l. nei confronti della (...) s.r.l. e della P.I. Immobiliari s.r.l., non consegnate dal L. (nello specifico le fatture n. (...) dell'11 settembre 2012, n. (...) dell' 11 settembre 2012, n. (...) del 16 ottobre 2012, n. (...) del 06 novembre 2012, n. (...) del 06 novembre 2012, n. (...) del 07 gennaio 2013), considerato peraltro che in relazione a tali fatture sono state acquisite la ricevuta contabile di pagamento sul c/c intestato alla società (riscontrato negli estratti conto del rapporto finanziario acceso presso (...) e intestato alla (...) ) e, per talune di esse, anche il relativo SAL, comprensivo delle lavorazioni svolte con i relativi importi. Alla stregua delle argomentazioni sin qui svolte deve quindi ritenersi provato che l'imputato, nella qualità di legale rappresentante della (...), abbia occultato le fatture suindicate rinvenute presso i clienti, in modo da non consentire o rendere difficoltosa la ricostruzioni dei redditi e del volume di affare. Giova al riguardo evidenziare che perché si configuri il reato di cui all'art. 10 D.Lgs. n. 74 del 2000 è sufficiente un'impossibilità relativa di ricostruzione del volume di affari o dei redditi, che deve essere riferita alla situazione interna dell'azienda, sia sotto il profilo contabile che patrimoniale, senza che assuma alcuna rilevanza la possibilità di poter pervenire alla ricostruzione, tramite dati ed elementi raccolti all'esterno ed in modo indiretto (cfr. Cass. 18 aprile 2002, n. 924; nel senso che tale impossibilità non debba essere intesa in senso assoluto, sicché essa sussiste anche quando è necessario procedere all'acquisizione presso terzi della documentazione mancante o quando a tale ricostruzione si possa pervenire "aliunde", si veda Cass., 18 luglio 2012, n. 36624 e Cass., 4 giugno 2009, n. 39711). Di qui la mancanza di .previsione di soglie di punibilità e la compatibilità logica tra la contemporanea insussistenza del reato di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000 e la sussistenza di quello di cui all'art. 10, stesso D.Lgs. n. 74 del 2000, il quale è escluso solo quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall'imprenditore interessato, mancando, solo in tal caso, la necessaria offensività della condotta (così, in motivazione, Cass., 14 novembre 2007, n. 3057; cfr. altresì Cass., 16 marzo 2016, n. 20748 secondo cui il delitto di cui all'art. 10 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, tutelando il bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l'occultamento della documentazione contabile dell'impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall'imprenditore e senza necessità di reperire "aliunde" elementi di prova). Nel caso in esame, (...) non ha esibito e messo a disposizione della Guardia di Finanza le scritture e la documentazione contabile richiesta ai fini della verifica in corso, rendendo così difficoltosa la ricostruzione dei redditi e del volume degli affari da parte della P.G., che ha pertanto proceduto a determinare il volume degli affari attraverso le fatture acquisite dalle società "clienti" della (...) s.r.l. e gli accertamenti bancari effettuati, dalia cui disamina è emerso che la società ha omesso di dichiarare corrispettivi ricevuti e ricavi conseguiti per gli importi meglio indicati nel processo verbale di constatazione acquisito al fascicolo (cfr. p. 37 e ss. e p. 42 e ss.). Le accertate modalità della condotta, ovvero la mancata consegna ed esibizione della documentazione contabile - unitamente alla mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali e all'accertata produzione di reddito e del volume di affari - consentono di ritenere provata la finalità perseguita di evadere le imposte e di rendere meno agevoli gli accertamenti tributari e, dunque, il dolo specifico richiesto per l'integrazione del reato (cfr., in motivazione, Cass. 28 maggio 2002, n. 20786). In forza delle argomentazioni che precedono, deve essere affermata la penale responsabilità di (...) per il reato a lui ascritto. 4. Non sono emersi elementi che possano giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo alla obiettiva gravità del fatto, ostandovi inoltre il precedente penale di cui è gravato l'imputato. La cornice edittale prevista per la fattispecie incriminatrice appare inoltre idonea all'irrogazione di una pena proporzionata alla gravità del fatto. Deve infine rilevarsi che non sussiste neppure un obbligo per il Giudice di giustificare, sotto ogni possibile effetto, l'affermata insussistenza dei presupposti del diritto alla concessione, e piuttosto, imponendosi la necessità di motivare la positiva meritevolezza, mai scontata in sé, né presunta, del beneficio ex art. 62-bis c.p. (così Cass. 20 gennaio 2015, n. 8906 e Cass., 18 maggio 2017, n. 46568). 5. Venendo al trattamento sanzionatorio, applicati i parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., avuto riguardo alla natura della condotta e al numero di fatture occultate, tenuto altresì conto della personalità dell'imputato, gravato da un precedente, si ritiene congruo comminare la pena mesi nove di reclusione. Alla declaratoria di penale responsabilità consegue, per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali e alle pene accessorie previste dall'art. 12 del D.Lgs. n. 74 del 2000. L'imputato, quindi, deve essere dichiarato interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo che si ritiene di determinare, in considerazione della pena inflitta, in mesi sei, nonché interdetto dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria ed incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per anni uno. Il (...), inoltre, deve essere dichiarato interdetto in perpetuo dall'ufficio di componente di commissione tributaria. Va ordinata, infine, ai sensi degli artt. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000 e 36 c.p., la pubblicazione per estratto della presente sentenza nel sito internet del Ministero della Giustizia per giorni quindici, a spese del condannato. Non ricorrono i presupposti per il riconoscimento all'imputato dei benefici di legge, ostandovi il precedente penale di cui è gravato, in relazione al quale il prevenuto ha riportato una condanna alla pena di anni due di reclusione. La natura delle questioni trattate ha giustificato l'indicazione del termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visto l'art. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000, dichiara l'imputato interdetto dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo di mesi sei, nonché interdetto dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria e incapace di contrattare con la pubblica amministrazione per anni uno ed interdetto in perpetuo dall'ufficio di componente della commissione tributaria; visti gli artt. 12 D.Lgs. n. 74 del 2000 e 36 c.p., ordina la pubblicazione per estratto della sentenza nel sito internet del Ministero della Giustizia per giorni quindici, a spese del condannato; Visto l'art. 544 c.p.p., indica il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 7 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Tribunale di Frosinone, in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Fiammetta Palmieri, alla udienza del 5 luglio 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: (...), nato ad A. il (...) ed ivi residente in Via (...) n.19. Assistito e difeso da: Avv. Ma.Ma. di fiducia. IMPUTATO del reato p. e p. dall'art. 6 bis comma 1 della L. n. 401 del 1989 per aver lanciato nei confronti del predisposto cordone delle forze dell'ordine, un corpo contundente, nella fattispecie una pietra. ELEMENTI IN FATTO ED IL DIRITTO DELLA DECISIONE Con richiesta di emissione di decreto penale, il Pubblico Ministero esercitava l'azione penale nei confronti di (...) per l'imputazione sopra trascritta. Il G.I.P. in sede emetteva in data 15.2.2019, decreto penale di condanna n.458/2019 alla pena di Euro 13.500,00 di multa, pena sospesa. Nelle more il difensore di fiducia dell'imputato, munito di procura speciale, nei termini di legge si opponeva al menzionato decreto penale e chiedeva la definizione del procedimento mediante giudizio immediato ed il GIP con decreto del 29.1.2019 citava l'imputato a comparire di fronte a questo Ufficio. All'udienza del 10/11/2020, dopo il compimento degli atti introduttivi del giudizio e, quindi, espletate le attività indicate negli artt. 484 e seguenti c.p.p., veniva dichiarata l'apertura del dibattimento con la formulazione delle richieste istruttorie, ammesse come richieste dalle parti. All'udienza del 27/04/2021 veniva escusso il vice sovraintendente (...), in servizio presso la Digos di Frosinone, ed al termine veniva acquisito il dvd ed i relativi fotogrammi da esso estrapolati e relativi al giorno dell'evento. All'udienza del 10/05/2022 veniva esaminato, su richiesta della difesa (...) e (...). All'udienza odierna le parti discutevano e concludevano come sopra si è trascritto ed al termine il giudice emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo. Nel corso dell'istruttoria la vicenda è stata così ricostruita. Il vice sovrintendente (...) in servizio presso la DIGOS di Frosinone, riferiva che il giorno 28.04.2019 durante la partita Frosinone - Napoli presso lo stadio "Benito Stirpe", poco prima del termine della partita, un gruppo di tifosi ascrivibili alla fascia degli "Ultras", lasciavano il settore della curva nord e si dirigevano all'esterno dello stadio, verso la periferia della città in "zona aeroporto", ritenendo che le macchine dei tifosi napoletani fossero lì parcheggiate. Le forze di Polizia con i reparti antisommossa avevano creato un "blocco" per non far passare la folla dei tifosi, ma gli stessi non si fermavano ed iniziavano a lanciare degli oggetti ("non dico che si è arrivati ad uno scontro fra le forze dell'ordine ed i tifosi..c'è stata una carica di alleggerimento per far sì che i tifosi si allontanassero da quel luogo ..e comunque inizia un fitto lancio di oggetti contundenti nei riguardi dei reparti"). Tra i tifosi ripresi dai filmati girati dai Carabinieri della scientifica - proseguiva il testimone - veniva identificato l'odierno imputato che non era stato arrestato in flagranza differita perché le immagini erano state visionate a distanza di tempo, oltre le 48 ore, il (...) in particolare, noto alle forze dell'ordine, con una azione repentina, lanciava un sasso "si vede l'azione del braccio, il movimento del braccio...forse per la veemenza nello scagliare il sasso dalle stesse immagini si vede che alza anche il piede..quindi un movimento rotatorio di questo sasso", ed ancora, a precisazione, in seguito alla domanda della difesa se il gesto dell'imputato potesse essere compatibile con il lancio di un coro, dichiarava: "..nella successiva visione delle immagini si vede il (...) con questa azione repentina che ..fa questo gesto ..che lancia il sasso. Ora il sasso certamente non lo abbiamo indicato con una freccia perché non era possibile..però l'azione scomposta del (...), se noi vediamo le immagini video, non è un'azione che sta lanciando un coro, perché è stato un gesto scomposto: si vede proprio la sagoma che si scompone e con veemenza lancia il sasso a tal punto che al termine del lancio alza anche il piede, quasi come se fosse il lancio del giavellotto...c'è questa torsione..". Il teste aggiungeva poi che l'identificazione della persona ritratta nel filmato con l'odierno imputato era avvenuta anche attraverso un confronto con altri video della partita di quel giorno, dai quali era stato possibile individuare gli indumenti indossati quel giorno dal (...) (in particolare con le immagini relative al suo ingresso nello stadio). In ogni caso la presenza sui luoghi dell'imputato non è stata contestata dalla difesa. L'imputato nel corso del suo esame dichiarava che quel giorno si trovava insieme a due suoi amici (...) e (...) insieme ai quali era uscito dallo stadio e si era recato a riprendere la sua macchina, ove si era imbattuto nel blocco della Polizia ed un gruppo di Ultras. L'imputato non ricordava se aveva alzato la mano per lamentarsi del blocco, ma in ogni caso contestava l'addebito, negando di aver mai lanciato un sasso nei confronti delle forze dell'ordine. (...) e (...) confermavano la versione dell'imputato precisando che altri ma non l'imputato avevano lanciato oggetti; (...) riferiva altresì che con loro c'era anche il nipote di 9 anni e che pertanto era preoccupato per lui. Dagli elementi acquisiti può evincersi quanto segue: nelle immagini DVD acquisite e dotate di sonoro, in particolare, si vedono i tifosi che con movimenti concitanti e disordinati iniziano a lanciare oggetti in direzione delle forze dell'ordine. Essi non intonano nè canti, nè cori. L'imputato viene ripreso dalle immagini mentre si muove tra i membri della tifoseria con fare agitato; indossa un cappuccio sulla testa che però lascia ben visibile e riconoscibile il volto. Nelle varie scene del video, si vede lo stesso in silenzio senza alcun movimento labiale per l'intera durata dell'azione: negli istanti del lancio dell'oggetto è chiaramente visibile che il (...) alza il braccio destro e ruotando con il corpo muove il braccio in direzione degli agenti. Al momento del movimento corporeo dell'imputato, nessun altro componente del gruppo dei tifosi inneggia un coro, lasciando intendere che il (...) ne fosse il promotore. Tali elementi portano a ritenere che il movimento effettuato dall'imputato sia ricollegabile al lancio di un oggetto, come ritenuto dagli operanti anche perché ad esso non si accompagna alcun movimento delle labbra. In definitiva, il movimento del corpo unitamente alla posizione della gamba al momento del lancio dell'oggetto lascia escludere che il (...) stesse lanciando un coro o quant'altro: quanto descritto è ampiamente visibile tra i secondi 25 - 26 - 27 - 28 del video acquisito. Infine contrariamente alle deposizioni rese dall'imputato e dai testi della difesa (...) e (...), l'imputato al momento dei disordini tra i tifosi e le forze dell'ordine era posizionato in avanti rispetto al racconto dei testi della difesa. In particolare l'imputato si trovava in posizione avanzata rispetto al gruppo di tifosi e vicino allo stesso non c'era alcun bambino riconducibile al nipote degli amici. Così ricostruita la vicenda in fatto, ad avviso della scrivente, il comportamento tenuto dall'Imputato integra il delitto ipotizzato dall'accusa. L'art. 6-bis co. 1 L. n. 401 del 1989 stabilisce: "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive ovvero in quelli interessati alla sosta, ai transito, o ai trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, lancia o utilizza, in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere, è punito con la reclusione da uno a quattro anni". L'oggetto giuridico di detta disposizione è la tutela dell'incolumità pubblica in occasione di manifestazioni sportive, ovvero in occasione di momenti in cui tale bene-interesse necessita di maggiore protezione, per la concentrazione di un numero significativo di persone in uno stesso luogo e per un determinato lasso di tempo e punisce il lancio o l'utilizzo di strumenti in modo da creare pericolo per le persone: trattasi di reato di pericolo concreto per la cui integrazione non è necessario un danno né che si verifichino ulteriori conseguenze (sul punto Cass. Sez. III 9.5.2017 n. 22315; Sez. III 13.1.2016 n. 7869). Ebbene, nella specie, bisogna considerare: a) la presenza attiva dell'imputato sul luogo degli scontri; b) l'idoneità di un oggetto contundente ad essere utilizzato per l'offesa alla persona. Quanto al primo aspetto, è incontroverso perché anche riconosciuto dai testi addotti dalla difesa, che la situazione verificatasi quel giorno determinò un elevato pericolo per la pubblica incolumità. Si tratta dunque di verificare come l'imputato si sia posto dinanzi a quella situazione, ovvero se abbia contribuito a rafforzare o anche solo a mantenere, prolungandola, la condizione di pericolo. Ebbene, il video ed i fotogrammi non catturano il momento in cui l'oggetto colpisce le forze dell'ordine ma tale conclusione è la logica conseguenza del movimento del corpo, della postura del (...) (non travisato in termini giuridici, ma certamente intenzionato a farsi riconoscere il meno possibile, non si capisce diversamente perché, avesse il cappuccio della felpa tirato su), postura che è tutt'altro che passiva, di attesa, o volta ad iniziare un coro, ma in movimento, scattante, con il braccio proteso in avanti. Essa dunque risulta essere la condotta di un individuo perfettamente cosciente e desideroso di partecipare, in maniera più o meno violenta di altri, ad uno scontro con le forze dell'ordine. Alla luce di tali considerazioni, la condotta tenuta dal (...) integra il reato contestato, risultando indubbio che lanciare un oggetto contundente verso le forze dell'ordine crei un concreto pericolo per le persone. Ciò posto ricorrono le condizioni di legge per integrare la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. Al riguardo la Corte di Cassazione ha autorevolmente affermato che "ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Cass. Sez. Unite 2522016 n. 13681). Ebbene nel caso in esame l'azione dell'imputato non si è inserita, per come si rileva dagli atti, in un contesto organizzato di contrapposizione tra la tifoseria e le forze dell'ordine, ma appare il frutto di una condotta estemporanea ed occasionale, come conferma la incensuratezza dell'imputato. Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli articoli 131 bis c.p. e 530 comma c.p.p. Assolve (...) perché non punibile per particolare tenuità del fatto. Dispone l'annotazione nel certificato del casellario giudiziale ex art. 4, co. 1 lett. a). D.Lgs. n. 28 del 2015. Revoca il decreto penale di condanna n.458 emesso dal GIP del tribunale di Frosinone in data 11.12.2019 Visto l'art. 544 comma 3 c.p.p. Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione Così deciso in Frosinone il 5 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Frosinone, Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace Avv. Daniela Possenti, alla pubblica udienza del 30 giugno 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante integrale lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nata a V. nel L., il (...), residente in G., Contrada C. n. 12, libera assente, difesa di fiducia dagli Avv.ti Loredana Maramao e Paolo G. Pastorino del Foro di Frosinone; IMPUTATA per il reato p. e p. dall'art. 4 D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, perché, in qualità di Rappresentante Legale della "Società (...) S.a.s.", con sede in G. via C. snc, al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, con riferimento al periodo d'imposta 2011, ometteva di indicare nella relativa dichiarazione annuale, elementi attivi per Euro 2.637.928,85 in misura superiore al 10% dell'ammontare complessivo delle operazioni attive indicate in dichiarazione (volume di affari pari ad Euro 1.798.392,00), così comportando un'evasione ai fini dell'imposta sul valore aggiunto per Euro 250.075,66. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso in data 28.11.2017 la Procura della Repubblica di Frosinone presentava l'imputata dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere del reato di cui in rubrica. All'udienza del 14.06.2018, constatata la regolare citazione delle parti, si procedeva in assenza dell'imputata e, in mancanza di eccezioni preliminari o richiesta di riti alternativi, veniva dichiarata aperta l'istruttoria dibattimentale e venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti. All'udienza del 31.01.2019 venivano escussi (...) e (...), testi addotti rispettivamente dal PM e dalla difesa e acquisita documentazione (tra cui: verbale di constatazione, avviso di accertamento e consulenza tecnica di parte). Alle successive udienze del 14.11.2019 e del 18.06.2020 venivano escussi (...) e (...), testi addotti dalla difesa. All'udienza del 14.10.2021, variato giudicante, in ossequio alla Sentenza SS.UU. 41736 del 2019 le parti si riportavano integralmente alle richieste istruttorie già formulate e nulla eccepivano a che la rinnovazione del dibattimento avesse luogo tramite lettura delle deposizioni testimoniali rese dai testi già esaminati e degli atti assunti o acquisiti al fascicolo del dibattimento. All'udienza del 27.01.2022 veniva escussa (...), teste addotto dalla difesa. All'udienza del 30 giugno 2022 la difesa produceva ulteriore documentazione ed esaurita la fase istruttoria, dichiarata l'utilizzabilità degli atti allegati al fascicolo per il dibattimento dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 553 c.p.p. e di quelli successivamente acquisiti nel corso del giudizio, si dichiarava chiuso il dibattimento e si invitavano le parti a concludere, come da verbale di udienza. Veniva, quindi, pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo. L'istruttoria dibattimentale non ha dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, la fondatezza dell'ipotesi accusatoria, l'imputata, pertanto, deve essere assolta dal reato ascrittole. Preliminarmente occorre analizzare la fattispecie di reato per la quale si procede. Il delitto di dichiarazione infedele sussiste allorché colui che, tenuto a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, ponga in essere una mera infedeltà dichiarativa, violando l'obbligo di una veritiera prospettazione della situazione reddituale e della base imponibile, oltre al dolo specifico di evasione delle imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto. Il momento consumativo del reato coincide con la presentazione della dichiarazione annuale dei redditi o IVA. L'elemento soggettivo, caratterizzato dal dolo specifico, richiede la coscienza e volontà di indicare nelle dichiarazioni annuali dati e notizie false, al fine di evadere il pagamento dei tributi dovuti. Il perfezionamento della fattispecie illecita si realizza mediante la presentazione di una dichiarazione annuale relativa alle imposte dirette e IVA, indicando in essa elementi attivi che manifestano una discrasia con quelli reali, determinando un'evasione d'imposta nei limiti indicati espressamente dal legislatore. L'art. 1 D.Lgs. n. 74 del 2000 definisce gli elementi attivi come "le componenti, espresse in cifra, che concorrono, in senso positivo (...), alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e le componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta". L'integrazione della fattispecie di infedele dichiarazione si ha quando si verificano congiuntamente le seguenti condizioni: 1) l'imposta evasa sia superiore, con riferimento a ciascuna delle singole imposte, a Euro 100.000; 2) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, sia superiore al 10% dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, sia superiore a Euro 2.000.000. Entrambi i parametri di cui sopra devono essere riferiti a ciascuna singola imposta. La nozione di imposta evasa è delineata all'articolo 1, lettera f), D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come differenza tra l'imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo d'acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di tale imposta prima della presentazione della dichiarazione. Le soglie di punibilità riferite all'imposta evasa si intendono estese anche all'ammontare dell'indebito rimborso richiesto o dell'inesistente credito d'imposta esposto nella dichiarazione (articolo 1 lettera g), che si sommeranno, ai fini della quantificazione dell'imposta evasa, a quanto eventualmente non dichiarato. Per verificare l'imposta effettivamente dovuta, il Giudice penale deve: - accertare il reddito complessivo qualificando anche l'eventuale inerenza delle spese e la corretta deduzione dei costi; - tener conto dei costi effettivamente sostenuti anche se non registrati (cosiddetti "costi neri"), a condizione che il contribuente fornisca idonea prova. L'evasione deve infatti essere quantificata a prescindere da quanto dichiarato, sulla base del reddito effettivo in senso economico. Ne consegue che solo l'Autorità giudiziaria può realmente determinare l'"imposta evasa", riscontrando la ricorrenza della fattispecie sanzionata dall' articolo 4. D.Lgs. n. 74 del 2000, mentre l'Amministrazione finanziaria - che inoltra la notizia di reato - non dispone di elementi sufficienti a stabilire se tale reato sussista o meno, dato che la sua "versione" dei fatti si muove su presupposti differenti rispetto a quelli che devono orientare il Giudice penale. Dall'istruttoria dibattimentale è emerso che la "Società (...) S.a.s.", con sede in G. via C. snc, avente quale socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore l'odierna imputata esercitava attività di lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne. Dal processo verbale di constatazione e dall'avviso di accertamento emerge che seguito di verifiche fiscali da parte di funzionari dell'Agenzia delle Entrate di Frosinone, veniva contestato alla società una differenza di tra valori contabili di magazzino (Euro 2.750.022,66) e valore fisico del magazzino (Euro 394.729,04), per un importo di Euro 2.355.293,62 (come precisato in atti). Veniva, pertanto, presunta la cessione di merce non rivenduta ai sensi dell'art. 1 D.P.R. n. 441 del 1997. La società aveva prodotto documentazione volta a giustificare detta discrepanza e dall'esame dei detti documenti era emerso che la merce non rinvenuta in magazzino era stata consegnata a terzi a titolo non traslativo della proprietà. Con scrittura privata del 28.04.2010, ritualmente acquisita, la Società (...) si era impegnata a consegnare allo stagionatore s.r.l. (...), cosce di suino al fine di sottoporle alle operazioni di salatura, stagionatura e conservazione presso lo stabilimento sito in P. (P.). Nonostante la copiosa documentazione prodotta dalla Società E., e dai clienti della stessa, al fine di giustificare l'assenza di detta merce nel magazzino, l'Agenzia delle Entrate non riteneva superata la presunzione di cessione della merce, come da verbale di contestazione n. 500/2011 e, induttivamente, ai fini I.V.A. ex art. 55 D.P.R. n. 633 del 1972, determinava un volume di affari non dichiarato pari a Euro 2.637.928,85 e relativa imposta dovuta pari a Euro 250.075,66. Ora, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il reato p. e p. ex art. 4 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in base agli accertamenti svolti in sede tributaria ex art. 39, comma 1, lettera d) D.P.R. n. 600 del 1973 ed in forza del quale il reddito viene rettificato, nel caso in cui l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulti dall'ispezione delle scritture contabili, ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti dall'articolo 32. Laddove sussistano tali presupposti, infatti, secondo la richiamata disposizione, l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano "gravi, precise e concordanti" (Cass. 46165/2013). Dall'esame della consulenza tecnica di parte e dei relativi allegati, emerge che l'evasione "presunta" ammonterebbe a Euro 144.002,66, pertanto, sotto la soglia di punibilità giusta C. Cost. 80/2014 e art. 4, comma 1, lettera a) D.Lgs. n. 74 del 2000. Se il reato tributario viene meno per innalzamento della soglia di punibilità l'imputato deve essere assolto con formula piena in quanto il fatto "non sussiste". Tale assoluzione, però, non ha rilevanza dal lato tributario, infatti, la violazione integra comunque un illecito amministrativo (Cass. 3098/2016). Orbene, nel caso di specie e in relazione a quanto emerso a seguito dell'istruttoria svolta, non si ritiene siano emerse le gravi, precise e concordanti presunzioni richieste dalle norme codicistiche e dalla giurisprudenza in materia e che al di là di ogni ragionevole dubbio porterebbero alla condanna dell'imputata per i fatti ascrittile, ex art. 192, II comma, c.p.p. in relazione all'art. 533 c.p. ma non è emersa, altresì, con certezza che non sia stata superata la soglia di punibilità che giustificherebbe l'assoluzione con formula piena; P.Q.M. Visto l'art. 530, II comma, c.p.p., assolve (...) in ordine al reato ascrittole perché il fatto non sussiste. Riserva in 90 giorni il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 30 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Il giudice, dott.ssa Fiammetta Palmieri nella pubblica udienza del 14.6.2022, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale nei confronti di: (...), nato a P. (B.) il (...), elettivamente domiciliato presso il suo difensore di fiducia, avv. Ju.Ce. del foro di Siracusa Libero- assente IMPUTATO come da foglio allegato TRIBUNALE DI FROSINONE ALLEGATO ALLA SENTENZA N. 1298/2022 (...) IMPUTATO del reato di cui all'art. 612-bis, commi 1 e 2, c.p. perché, con condotte reiterate, sovente sotto l'effetto di sostanze alcoliche, molestava ex moglie (...), quando entrambi vivevano a Frosinone, effettuando frequenti passaggi sotto casa della medesima, frequentando i suoi stessi locali, come la palestra, per controllarne le abitudini o le frequentazioni; in data 17.5.19, nel corso di una animata discussione per la gestione dei figli, la afferrava alle braccia e la scaraventava all'interno dell'ascensore. Dopo il loro comune trasferimento a Siracusa, a partire dalla fine di giugno del 2019, le telefonava e inviava messaggi insistentemente, anche di notte; la controllava e pedinava nei suoi spostamenti, finanche posizionando un telefono cellulare all'interno dell'autovettura che fungesse da GPS e/o da registratore; la ingiuriava con parole offensive del tipo "sei una troia... vai a chiavare tutta la notte. Fai schifo come madre, come donna, come tutto"; la denigrava con la figlia minore (...) dicendole "hai una mamma di merda, questa è tua madre, è una mamma di merda...tua madre fa schifo...è una zoccola"; la minacciava con frasi del tipo "ora vedrai cosa ti combino, la fine che ti faccio fare, sei morta..."; in questo modo ingenerando nella persona offesa un perdurante disagio e timore per l'incolumità propria, tanto da costringerla a cambiare utenza telefonica, a disattivare tutti i suoi account social network, a farsi accompagnare dalla madre durante gli spostamenti, nonché a rimanere chiusa in casa per evitare di incontrarlo. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno del coniuge separato. In Frosinone e Siracusa, dal mese di gennaio 2019 e con condotto in corso. ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE A seguito di decreto che dispone il giudizio (...), veniva citato dinanzi a al tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato di cui all'art.612-bis c.p., così come descritto nel capo d'imputazione. All'udienza del 18 gennaio 2022 nella dichiarata assenza dell'imputato al quale veniva nominato un difensore di ufficio, veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove come richieste dalle parti. All'udienza odierna su richiesta concorde delle parti venivano acquisite la denuncia di (...) presentata in data 10 ottobre 2019 e le spontanee dichiarazioni dalla medesima rese in data 16 ottobre 2019 contenente la remissione della querela sporta, con contestuale rinuncia alla escussione della predetta. All'esito le parti discutevano e concludevano come sopra si è trascritto ed il Tribunale emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo. Come già riportato va premesso che la persona offesa (...) in data 16 ottobre 2019 dinanzi alla stazione dei Carabinieri di Siracusa ha reso le seguenti spontanee dichiarazioni "pur confermando integralmente quanto denunciato e precisato in questi uffici nei giorni scorsi, riferisco oggi che è mia intenzione rimettere la denuncia querela sporta in data 10.10.2019 contro il mio ex marito (...) in considerazione del fatto che proprio dal giorno in cui ho sporto la querela il comportamento del mio ex marito è cambiato radicalmente, nel senso che sembra un uomo completamente diverso. Non si apposta più sotto casa, non mi manda più messaggi di alcun tipo e non mi tempesta più di continue telefonate. Non so se ciò sia dovuto al fatto che gli sia giunta all'orecchio la notizia che lo avevo denunciato, ma la realtà dei fatti è che il suo atteggiamento è cambiato in meglio. Anche per questo motivo contrariamente a quanto riferito in questi uffici in data 15.10.2019, oggi non temo più per la mia incolumità ed ho realizzato che i miei stati d'ansia erano dovuti per lo più alle ripercussioni che un eventuale provvedimento a carico del mio ex marito avrebbe avuto sul rapporto tra lui ed i nostri figli, che come ho già avuto modo di dire è ottimo" Alla luce di dette dichiarazioni ritiene il Giudice di dover condividere le conclusioni delle parti, che hanno richiesto la pronuncia di estinzione del reato per intervenuta remissione di querela per delitto di cui all'art. 612 bis c.p.c. contestato all'imputato: nel caso in esame, infatti, non risulta provata l'esistenza di una delle ipotesi aggravate per le quali è prevista la irrevocabilità della querela. In merito alla procedibilità del reato va osservato che la Corte di cassazione ha chiarito, in proposito, che la querela è irrevocabile solo quando le minacce reiterate concretano anche l'ipotesi prevista dall'art. 612 c.p., comma 2 e, quindi, "se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati dall'art. 339" del medesimo codice; cosicché è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori quando la condotta sia stata realizzata con minacce reiterate e gravi (Sez. 5, n. 2299 del 17/09/2015, dep. 20/01/2016, Rv. 266043; Cass. pen. Sez. V, Sent. (ud. 14/01/2020) 06-02-2020, n. 5092). Nel caso di specie il capo di imputazione contesta anche una condotta di minacce reiterate e gravi ( proferite con frasi del seguente tenore "ora vedrai cosa di combino, la fine che ti faccio fare sei morta"); tuttavia le dichiarazioni rese qualche giorno dopo la denuncia portano ad escludere la sussistenza di minacce aventi tali caratteristiche: ed infatti le dichiarazioni rese dalla (...) di non temere più per la sua incolumità, avendo realizzato che i suoi stati d'ansia erano dovuti per lo più alle ripercussioni che un eventuale provvedimento a carico del suo ex marito avrebbe potuto determinare sul rapporto fra lui ed i figli, portano a ritenere che in realtà le minacce che si leggono nell'imputazione, non siano state percepite in termini di reale e concreta offensività dalla (...) per la propria incolumità, il che lascia residuare il dubbio che dette minacce siano state percepite come gravi. Tanto premesso si osserva che esclusa la prova dell'esistenza di minacce gravi e reiterate, la querela deve ritenersi revocabile ed reato procedibile a querela in quanto offende beni giuridici personali che non destano rilevante allarme sociale, con conseguente declaratoria di non luogo a procedere con la formula indicata in dispositivo. In mancanza di diverso accordo tra le parti in ordine al regime delle spese, queste devono essere liquidate come per legge. Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito della motivazione. P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p. Dichiara non doversi procedere nei confronti di (...), in ordine al reato a lui ascritto perché estinto per intervenuta remissione di querela; visto l'art. 340 comma 4 c.p.p. Condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali Visto l'art. 544, comma 3, c.p.p. indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione Così deciso in Frosinone il 14 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Tribunale di Frosinone, composizione monocratica, in persona della dott.ssa Fiammetta Palmieri, alla udienza del 14 giugno 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: (...), nato a T., (...), residente in G. V. via S. L. ed elettivamente domiciliato a T., in Via A. I.; assistito e difeso di fiducia dall' avvocato Ci.BA., del Foro di S. Maria Capua Vetere (nomina del 03.12.2015) LIBERO-ASSENTE (...), nato a T., il (...), residente in S. via S. n. 4; assistito e difeso di fiducia dall' avvocato Ci.BA., del Foro di S. Maria Capua Vetere (nomina del 06.12.2015). LIBERO-ASSENTE IMPUTATI In ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 II c.p., 110 e 640 c.p. perchè, in concorso tra loro, con più azioni in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con gli artifici e raggiri consistiti nell'inscenare, con la complicità di almeno altri tre complici rimasti ignoti, il gioco d'azzardo delle c.d. "tre campanelle", nel piazzale del parcheggio dell'area di servizio "La Macchia Ovest" dell'autostrada A1, attirando in tal modo la curiosità delle persone offese, inducendoli in errore sulla reale possibilità di una facile vincita al gioco, si facevano consegnare la somma totale di 500 Euro in contanti, (150 da (...) e 350 da (...)), dandosi subito dopo ad una repentina fuga, e ciò al fine di procurarsi un ingiusto profitto di 500 Euro con correlativo danno per le persone offese. ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE A seguito del decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal (...) in data 06/07/2020, si procedeva nei confronti di (...) ed (...), in epigrafe generalizzati, chiamando loro a rispondere, in concorso, del reato sopra rubricato. Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, ammesse le prove come richieste dalle parti, veniva espletata l'istruttoria dibattimentale che si articolava nelle udienze ed attraverso gli adempimenti di seguito specificati: - udienza del 19/01/2021: dato atto dell'astensione proclamata dai VPO il processo veniva rinviato; - udienza dell'08/06/2021: rigettata l'istanza di legittimo impedimento del difensore dell'imputato, veniva aperto il dibattimento, ammesse le prove come richieste dalle parti ed espletata l'istruttoria con l'esame dei testimoni-persone offese, (...) e (...); - udienza del 25/01/2022: con l'accordo delle parti venivano acquisite le trascrizioni dell'udienza del 21/02/2018 (relative al processo per furto così inizialmente qualificati i fatti ascritti agli imputati) relative alle deposizioni dei testi del (...), Sovr. (...), e Sost. Com. (...), in servizio presso la sottosezione della polizia stradale di Frosinone, con rinuncia alla nuova escussione degli stessi; - udienza del 14/06/2022, le parti discutevano e concludevano come sopra si è trascritto ed il tribunale emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo. L'istruttoria ha consentito di acquisire i seguenti elementi: il teste persona offesa (...) (già escusso nel precedente procedimento per furto, procedimento conclusosi con la trasmissione degli atti al (...) da parte del giudice, ritenendo quest'ultimo esistenti nei fatti come ricostruiti in dibattimento gli elementi costitutivi della truffa), riferiva di aver effettuato una sosta presso l'area di servizio " La Macchia ovest" in autostrada Al e unitamente al suo amico (...) di essere rimasto incuriosito da un gruppo di persone che giocava al c.d. gioco delle tre campanelle. Percependo detta curiosità uno dei giocatori lo invitava ad unirsi al gioco, proposta da lui accolta, a cui seguiva la spontanea consegna di una somma di denaro pari ad Euro 150,00. Il giocatore prendeva i soldi e subito dopo unitamente agli altri giocatori si dirigeva velocemente verso la propria autovettura con la quale fuggiva. Il teste specificava di essere riuscito a prendere il numero di targa dell'autovettura e di aver successivamente riconosciuto, nel corso di un riconoscimento fotografico, l'odierno imputato, (...), come colui che aveva preso i soldi ed era fuggito. Al termine dell'esame testimoniale viene acquisita la fonoregistrazione dell'udienza del 21.02.2018 resa nel precedente procedimento penale per furto poi conclusosi con rimessione degli atti al (...) per eventuale nuova qualificazione degli stessi. Il teste persona offesa (...) confermava la medesima dinamica dei fatti precisando aveva consegnato 350,00 Euro ad un giocatore e che tale somma non gli era stata restituita perché, a detta dei giocatori, l'aveva persa al gioco. Il testimone aggiungeva di non aver effettuato alcun riconoscimento fotografico e che non era in grado di dare indicazioni sul soggetto responsabile delle condotte commesse nei suoi confronti. Dalle trascrizioni relative alla deposizione del testimone di p.g. (...), in servizio presso la polizia stradale di Frosinone, si evince che le PP.OO., avevano sporto denuncia per un furto avvenuto nell'area di servizio " la macchia ovest" sita sull'autostrada A1, dove erano stati coinvolti da cinque individui nel c.d. gioco delle tre campanelle. Dalla targa della vettura risultante dalle immagini estrapolate dalle telecamere di videosorveglianza dell'area di servizio, emerge che il veicolo era intestato a (...), soggetto peraltro già noto alle forze dell'ordine per tali tipologie di condotte Dalla descrizione (fisica e dell'abbigliamento indossato) dei soggetti fornita dalle PP.OO si individuavano nel video gli odierni imputati che si dirigevano verso la vettura inseguiti dalle PP.OO: in particolare dalle immagini si notava (...) quale membro del furto. Gli operanti concludevano riferendo che le immagini video non riprendevano nè il gioco delle tre campanelle né coloro che avevano preso i soldi da (...) e (...). Alla luce degli elementi raccolti, deve in primo luogo osservarsi che in assenza di un riconoscimento fotografico del P. non vi sono elementi certi per ascrivere la condotta illecita allo stesso, non essendo al riguardo sufficiente l'intestazione formale al suddetto della autovettura sulla quale i giocatori sono fuggiti. Detta condotta va tuttavia riqualificata nella contravvenzione prevista dall'art. 718 c.p. poiché come osservato dalla giurisprudenza della S.C. dalla quale non v'è ragione di discostarsi, il giuoco delle tre campanelle non integra di per sè il reato di truffa posto che la condotta di chi dirige il giuoco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì "una realtà" ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l'effetto della estrema abilità di chi dirige il giuoco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel "caso". Nel caso di specie non v'è stata alcuna ulteriore attività fraudolenta volta ad indurre le persone offeso al gioco essendo state le medesime a determinarsi autonomamente a giocare incuriosite dallo stesso, come dalle medesime dichiarato. Inoltre, neanche l'eventuale presenza di un' induzione della persona offesa a giocare con il miraggio di una facile vincita (elemento peraltro nella specie non provato) costituisce - di per sè - artifizio o raggiro perchè tale affermato inganno riguarda una caratteristica del gioco (la sproporzione a favore del "banco" in conseguenza dell'uso da parte dei "tenutari del gioco" di abilità o destrezza che potrebbero e possono essere rese inefficaci solo dall'eventuale superiorità della prontezza di riflessi e dello spirito di osservazione di chi vi partecipa) che rientra nell'ambito dei fatti notori (cfr. Sez. 3, sent. n. 1566 del 13/11/1985 - dep. 20/02/1986 - Rv. 171944 - 01) e perché - sulla base di tali presupposti - la parte offesa rimane libera di partecipare o meno al gioco medesimo. Tra l'altro nella specie nemmeno vi sarebbe stato lo svolgimento di alcun gioco in quanto il danaro risulta essere stato consegnato dalle persone offese senza che costui avesse materialmente "puntato" nemmeno parte di tale somma. Una volta riqualificata la condotta nella contravvenzione di cui all'art. 718 c.p. si deve a questo punto prendere atto che siamo in presenza di reato punito con pene in ogni caso contenute nei limiti di cui all'art. 157, comma 1, sicché il termine di prescrizione massimo, tenuto conto del fatto interruttivo rappresentato dalla emissione del decreto di citazione, è quello di cinque anni come desumibile dall'art. 160 ultimo comma, c.p.; termine che, in effetti, a partire dalla data della commissione dei fatti risalente al 17 agosto 2015 deve è ormai interamente decorso anche tenuto conto delle sospensioni del termini prescrizionale intervenute. Si impone allora la adozione di una sentenza dichiarativa di non doversi procedere nei confronti di (...) per intervenuta estinzione del reato in quanto ormai prescritto. Il concomitante carico di lavoro ha suggerito il deposito della motivazione di giorni 90. P.Q.M. Visti gli artt. 521, 530, comma 2 e 531 c.p.p. riqualificato il reato ascritto agli imputati come quello p. e p. dall'art. 718 c.p. assolve (...) per non aver commesso il fatto e dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) per intervenuta prescrizione visto l'art. 544 comma 3 c.p.p.; Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 14 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI FROSINONE Il Tribunale di Frosinone in composizione monocratica, in persona della Dott.ssa Fiammetta Palmieri, alla udienza del 14 giugno 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: (...), nato a F. (F.) il (...) e residente in V. (F.) in Via (...), (Domicilio dichiarato nel verbale del 29.05.2019) nella sua qualità di Legale Rappresentante della Ditta "(...) SAS"; difeso dal difensore d'ufficio ex art. 97 c. 1 c.p.p. Avvocato Al.Ca. del foro di Frosinone LIBERO-ASSENTE IMPUTATO Del reato p.p. dall'art. 256 comma 2, sanzionato dal comma 1 del medesimo articolo del D.Lgs. n. 152 del 2006, perchè nella sua qualità di Legale Rappresentante della Ditta "(...) SAS", in V., Contrada (...) n. 12, nello svolgimento della specifica attività concernente la riparazione e la verniciatura di parti o di intere carrozzerie di veicoli, abbandonava, ovvero depositava in modo incontrollato, sia all'esterno del capannone adibito ad officina, sia all'interno di un box adiacente tale capannone, sia sotto una struttura in c.a. sita di fronte all'attività imprenditoriale menzionata, rifiuti speciali costituiti da parti usate di (...) di autoveicoli, quali: portiere anteriori e posteriori, paraurti anteriori e posteriori, gruppi ottici, tappezzerie interne, lamierati vari, ecc., nonchè radiatori obsoleti. Accertato in Veroli il 29 maggio 2019 FATTO-DIRITTO ELEMENTI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE A seguito di decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal P.M. in data 30.12.2020, si procedeva nei confronti di (...), in qualità di legale rappresentante della ditta "(...) Sas", chiamandolo a rispondere del reato sopra rubricato. Dopo il compimento degli atti introduttivi al giudizio, l'apertura del dibattimento e l'ammissione delle prove come richieste dalle parti, aveva luogo l'istruttoria dibattimentale, che si articolava nelle udienze ed attraverso gli adempimenti di seguito specificati: udienza del 13/07/2021: su istanza del P.M. il procedimento veniva rinviato al 18/01/2022 con sospensione del termine di prescrizione per acquisire documentazione relativa al dissequestro temporaneo dell'area; udienza del 18/01/2022: apertura del dibattimento ed ammissione dei mezzi istruttori come richiesti dalle parti; esame del teste Mar. (...) del comando Carabinieri forestale della stazione di Veroli, acquisizione della documentazione relativa al verbale di accertamenti e rilievi urgenti di p.g. del 29 maggio 2019, decreto di sequestro preventivo dei rifiuti emesso dal GIP in data 4 giugno 2019, verbale di dissequestro temporaneo e riapposizione dei sigilli del 23.05.2020, del 30.06.2021 dell'autovettura e del forno. Al termine le parti rinunciavano all'escussione dell'ulteriore testimone (...) che aveva effettuato i medesimi accertamenti del (...), con revoca dell'ordinanza ammissiva e la difesa chiedeva un rinvio con sospensione del termine della prescrizione per l'intero periodo per esame imputato e discussione; all'udienza odierna le parti discutevano e concludevano nei termini di cui in epigrafe ed il giudice emetteva la sentenza dando lettura del dispositivo Nel corso del dibattimento il teste mar. (...), in servizio preso la Stazione dei Carabinieri forestale di Veroli, riferiva che in data 29 maggio 2019 si recava unitamente ad altri colleghi del medesimo ufficio, a V. in c.da (...) n.12 presso l'opificio "(...)" il cui titolare è l'odierno imputato, al fine di verificare il rispetto della normativa di settore in merito alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti provenienti dall'attività di (...). La situazione riscontrata era la seguente "all'interno del piazzale, su cui è sita la civile abitazione dei signori (...) e (...), è presente anche un capannone al cui interno si è riscontrata la presenza di un autoveicolo ...incidentato e all'apparenza in corso di riparazione. Inoltre è stata rilevata sia la presenza di materiale ed attrezzatura varia, quali levigatrici circolari e relativi dischi abrasivi, stucchi, vernici, solventi, contenitori per vernici, pistole-aerografi, compressori, sia un forno per verniciatura degli autoveicoli. A ridosso del capannone sono presenti rifiuti vari provenienti da smantellamento di autoveicoli, quali paraurti, radiatori, fanali e relativi annessi appoggiati ad un box. All'interno dello stesso box sono state rinvenute altre parti di autoveicoli ovvero sedili, pannelli di porta bagagli ed altro materiale plastico". All'atto dell'accertamento l'imputato non era presente, era invece presente il padre, (...), che abita poco distante dal capannone. Da verifiche presso la Camera di commercio svolte dagli operanti emergeva che la (...) era nella titolarità dell'imputato ed era attiva e in funzione, come del resto confermato dal rinvenimento, all'atto del controllo, di una vettura sottoposta a riparazioni nonché di altri materiali ed oggetti, come solventi e stucchi, utili per la riparazione dei veicoli. Inoltre, a distanza di qualche decina di metri vi era un fabbricato, sempre di proprietà dell'imputato, con altri rifiuti di (...). Il teste riferiva di aver richiesto al padre dell'imputato l'esistenza di autorizzazioni allo svolgimento dell'attività di autocarrozzeria ed allo smaltimento dei rifiuti dalla medesima prodotti, nonché all'emissione in atmosfera di fumi da parte del forno e successivamente, su indicazione del padre, al figlio, odierno imputato, che secondo quanto riferito dal padre aveva la disponibilità "di tutta la documentazione e carteggio". Tale documentazione benché richiesta all'imputato non veniva dallo stesso mai prodotta, di tal che procedevano a sequestrare i rifiuti presenti all'esterno dell'officina e nella struttura posta nelle vicinanze di essa, sequestro poi convalidato dal GIP. In seguito al sequestro gli operanti provvedevano altresì ad impartire all'odierno imputato in qualità di legale rappresentante , socio accomandatario e preposto alla gestione tecnica, le prescrizione di rimuovere e conferire i rifiuti a ditte specializzate allo smaltimento ed a ripristinare lo stato dei luoghi, come da verbale versato agli atti del fascicolo (verbale del 16.6.2019) ma l'imputato nei sei mesi successivi non aveva provveduto ad adempiere ad esse, né aveva comunicato alcunchè al riguardo. Successivamente erano stati dissequestrati da parte del GIP l'autovettura in riparazione perché di proprietà di una terza persona estranea ai fatti ed il forno, che era stato venduto ad altro carrozziere (cfr. verbali versati agli atti del fascicolo) La deposizione del testimone, appartenente ai carabinieri della forestale della stazione di Veroli e quindi soggetto terzo e qualificato, risulta chiara, logica e precisa, di tal che può essere posta a fondamento della decisione. Essa, poi, trova un riscontro esterno nel verbale di sequestro, nei rilievi fotografici eseguiti dagli operanti e nel verbale degli accertamenti urgenti, atti tutti versati nel fascicolo. Da tali i elementi emerge la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della responsabilità dell'imputato per il reato a lui contestato. L'art. 256 del D.Lgs. n. 152 del 2006 punisce l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, al fine di tutelare l'ambiente, inteso come un bene giuridico unitario e immateriale, rappresentato da un insieme di beni e di valori diversi, che si distingue ontologicamente da questi ultimi, e s'identifica in una realtà priva di consistenza materiale, ma espressione di un autonomo valore collettivo, oggetto, come tale, di specifica tutela da parte dell'ordinamento giuridico. In particolare, l'art. 256, c. 2, del D.Lgs. n. 152 del 2006 punisce i titolari di imprese e i responsabili di enti "che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione dei divieto di cui all'articolo 192, commi 1 e 2". La contravvenzione in esame si configura come un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da soggetti titolari di imprese e responsabili di enti. Al riguardo, occorre richiamare un costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il quale ha stabilito che il D.Lgs. n. 152 del 2006 all'art. 256, comma 2 stabilisce che le pene individuate dal primo comma per le ipotesi di illecita gestione siano applicabili anche ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero immettono gli stessi nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all'art. 192, commi 1 e 2. In particolare si è chiarito, in più occasioni, che destinatari della sanzione penale non sono esclusivamente coloro che effettuano attività tipiche di gestione di rifiuti (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), essendo la norma rivolta ad ogni impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 cod. civ. o ente, con personalità giuridica o operante di fatto. Per l'accertamento del carattere incontrollato dell'abbandono o del deposito di rifiuti, occorre avere riguardo alla nozione di deposito temporaneo prevista dall'art. 183, c. 1, lett. bb), del D.Lgs. n. 152 del 2006, secondo cui trattasi di un "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti il quale deve soddisfare le seguenti condizioni: - i rifiuti contenenti sostanze ricadenti nell'ambito di applicazione del regolamento CE 850/2004 (ed inquinanti organici persistenti) devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; - devono essere rispettate le norme che disciplinano il deposito, l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose; - il deposito deve esser effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche; - i rifiuti devono essere raccolti e avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: - indipendentemente dal volume dei rifiuti in deposito, le operazioni di recupero o di smaltimento devono essere effettuate con cadenza trimestrale; - quando il volume complessivo dei rifiuti in deposito sia inferiore a 30 metri cubi (di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi), le operazioni di recupero o di smaltimento devono essere effettuate almeno una volta l'anno. Se tali condizioni non vengono soddisfatte, la condotta deve essere qualificato come un'attività di gestione dei rifiuti effettuata in assenza della necessaria autorizzazione, che integra gli estremi della contravvenzione prevista dall'art. 256 del D.Lgs. n. 152 del 2006; Dal punto di vista dell'elemento soggettivo, trattandosi di contravvenzione, il reato è il in questione è punito sia a titolo di dolo che di colpa. Tali elementi ricorrono tutti nel caso di specie. L'imputato, titolare della ditta (...) S.A.S.", certamente soddisfa i requisiti soggettivi richiesti dalla contravvenzione a lui contestata. Inoltre, dall'analisi delle risultanze istruttorie emerge una condotta riconducibile nella nozione di deposito incontrollato di rifiuti. Ciò si desume dalla mole e dalle modalità di accatastamento dei rifiuti, dalla disomogeneità e dal grado di logoramento degli stessi, sintomatico del fatto che i rifiuti sono stati lasciati ammassati per un lasso di tempo consistente, senza essere avviati allo smaltimento. Del resto, l'anomala gestione dell'attività da parte del (...) e la piena consapevolezza dello stato di stare operando non secondo i dettami della legge, sono avallate anche dal fatto che l'imputato, né personalmente, né attraverso il proprio difensore, ha contestato gli esiti degli accertamenti effettuati, né ha in qualche modo risposto al verbale di prescrizioni impartito dai Carabinieri della stazione forestale di Veroli. Pertanto, tenendo conto dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo irrogare la pena di mesi due di arresto, cui si perviene partendo da una pena di mesi tre ridotta per le circostanze attenuanti generiche, applicabili nella specie al fine di adeguare la pena al concreto disvalore del fatto. Segue per legge il pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti di legge per la concessione all'imputato, incensurato, del beneficio della sospensione condizionale della pena. Non essendo stata effettuata la bonifica va disposta la confisca di quanto in giudiziale sequestro. Il concomitante carico di lavoro ha suggerito di riservare il deposito dei motivi di giorni 90. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara (...) responsabile del reato a lui ascritto, e per l'effetto, riconosciute le costanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di arresto oltre al pagamento delle spese processuali; visto l'art. 163 c.p. dispone che la pena come sopra irrogata rimanga sospesa alle condizioni di legge; visto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e la demolizione di quanto in sequestro; visto l'art. 544 terzo comma c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Frosinone il 14 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Frosinone, Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del Giudice Onorario di Pace Avv. Daniela Possenti, alla pubblica udienza del 9 giugno 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante integrale lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nel processo penale nei confronti di: (...), nata a F., il (...), residente in S., Via R. n. 18, domicilio dichiarato, libera assente, difesa di fiducia dall'Avv. Do.Pa. del Foro di Frosinone, Imputato Del reato p. e p.: dall'art. 81 cpv e 76 comma 3 del D.Lgs. n. 159 del 2011 perché, sottoposto alla misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio, non ottemperava al provvedimento di rimpatrio, legalmente emesso dal Questore di Frosinone in data 18/12/2018 e notificatole in data 08/12/2019, con il quale le veniva ingiunto di non far più ritorno per un periodo di anni 3 (tre) nel Comune di Frosinone. Accertato in Frosinone il 13.02.20 e il 16.04.2020; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA A seguito di opposizione a Decreto Penale di condanna n. 296/2020 il Giudice per le Indagini Preliminari di Frosinone disponeva il giudizio immediato presentando l'imputata dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere del reato di cui in rubrica. All'udienza del 16.09.2021 constatata la regolare citazione delle parti, si procedeva nell'assenza dell'imputata e, in mancanza di eccezioni preliminari, si dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale e venivano ammessi i mezzi di prova richiesti dalle parti. All'udienza del 10.02.2022 venivano escussi (...) (Questura di Frosinone) e (...) (CC Frosinone scalo) testi addotti dal PM e acquisita documentazione (piano terapeutico individualizzato, verbale di identificazione, provvedimento del Questore di Frosinone notificato, verbale di identificazione del 13.02.2020). Le parti, inoltre, congiuntamente rinunciavano all'escussione di ulteriori testi del PM ((...), (...) e (...)) e il giudice revocava l'ordinanza ammissiva. All'udienza del 09.06.2022, esaurita la fase istruttoria, dichiarata l'utilizzabilità degli atti allegati al fascicolo per il dibattimento dal Pubblico Ministero ai sensi dell'art. 553 c.p.p. e di quelli successivamente acquisiti nel corso del giudizio, si dichiarava chiuso il dibattimento e si invitavano le parti a concludere, come da verbale di udienza. Veniva, quindi, pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo. Ritiene il Giudice che - all'esito dell'istruttoria dibattimentale svolta - non possa essere affermata la penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato ascrittole. Dalle dichiarazioni dei testi escussi e dalla documentazione acquisita è emerso che la prevenuta, a seguito di controlli effettuati alle date del 13.02.2020 e del 16.04.2020, era stata trovata nel comune di Frosinone nonostante la stessa fosse destinataria della misura di prevenzione del F.V.O. emessa dal Questore di Frosinone in data18/12/2018 e notificatole in data 08/12/2019, con il quale le veniva ingiunto di non far più ritorno per un periodo di tre anni, nel Comune di Frosinone. E' dunque certo che l'imputata si trovasse in un territorio dal quale era stata allontanata con il citato provvedimento e nel periodo nello stesso indicato. Nel provvedimento del Questore si legge che "in data 28.10.2018, alle ore 15.10 circa, avevano trovato la prevenuta in Frosinone, piazzale (...)", zona nota per lo spaccio di sostanze stupefacenti, ... sottoposta a perquisizione personale rinvenivano in una tasca della tuta indossata n. 3 bustine di cellophane di marijuana ...", per tale motivo deve ritenersi persona pericolosa". L'art. 1 della L. n. 1423 del 1956 (oggi trasfuso nell'art. 1 della L. n. 159 del 2011) indica tre categorie di soggetti cui possono essere applicati i provvedimenti di prevenzione: 1) coloro che debbono ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che siano abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che debba ritenersi vivano abitualmente, almeno in parte, con i proventi di attività delittuosa; 3) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. A tali soggetti, ove pericolosi per la sicurezza pubblica, l'art. 2 della medesima legge consente di applicare il foglio di via obbligatorio. Nel caso in esame, detto provvedimento presenta caratteri di criticità, tali da far ritenere doverosa una sua disapplicazione, infatti al momento dell'emissione del provvedimento per cui è processo la prevenuta era incensurata. Inoltre, la difesa ha prodotto un piano terapeutico individualizzato della prevenuta. La S.C. di Cassazione con Sentenza n. 30950 del 16.04.2019 ha statuito quanto segue: "La condotta sanzionata dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 76, comma 3, consiste nella contravvenzione alle disposizioni di cui all'art. 2 del medesimo decreto legislativo, il quale stabilisce testualmente che "qualora le persone indicate nell'art. 1 siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate." Dalla lettura della norma che individua e descrive i presupposti e il contenuto del provvedimento amministrativo, la cui inosservanza integra il reato e ne costituisce il necessario antecedente logico-giuridico, si evince che la legittima emissione del provvedimento da parte del questore postula la sussistenza di una duplicità di condizioni, che devono ricorrere entrambe in modo congiunto (come fatto palese dall'uso della congiunzione "e"), rappresentate, da un lato, dal giudizio di pericolosità che deve essere formulato nei confronti della persona appartenente a una delle categorie indicate nel precedente art. 1, e, dall'altro, dal dato di fatto che la persona si trovi fuori del luogo di residenza; in modo analogo, il contenuto del provvedimento, che rende l'atto amministrativo conforme alla fattispecie tipica descritta dalla legge, deve prevedere, quale presupposto necessario (e non già eventuale o alternativo) del divieto di rientro della persona (in difetto di autorizzazione, o prima del termine imposto) nel comune dal quale viene allontanata, l'ordine di fare ritorno nel luogo di residenza con foglio di via obbligatorio. In adesione alla recente Sentenza n. 4074 del 09/01/2019, la S.C. ha statuito di superare il proprio orientamento sulla scorta della lettura sistematica che privilegi il potere-dovere del giudice (ordinario) di sindacare la legittimità dell'atto amministrativo, ogniqualvolta l'accertamento della sua rispondenza al modello tipico stabilito dalla legge costituisca condizione di validità dell'atto che integra il presupposto del reato; e ciò a maggior ragione allorché l'invalidità discenda come nel caso in esame - dalla mancanza di uno degli elementi essenziali del provvedimento e dia luogo, perciò, alla forma più grave (e tendenzialmente insanabile) di patologia, rappresentata dalla nullità e non dalla mera annullabilità. Stante l'accertata carenza dei requisiti previsti da normativa e giurisprudenza in materia, va annullato il provvedimento de quo e, conseguentemente, l'imputato deve essere assolto poiché, difettando l'atto presupposto, il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve (...) dal reato ascrittole perché il fatto non sussiste. Riserva in 90 giorni il deposito delle motivazioni. Così deciso in Frosinone il 9 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 7 settembre 2022.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.