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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA SEZIONE CIVILE - (...) Il Giudice del (...) del Tribunale di Gela, (...) nella causa civile iscritta al n. 1016/2022 R.G., avente ad oggetto "crediti di lavoro e differenze retributive", (...) (...) con l'avv. (...) - ricorrente - (...) (...) S.R.L., in persona dell'amministratore pro tempore, (...) (...) e (...) con l'avv. (...) - resistenti - MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Premessa. Con ricorso depositato il 24 agosto 2022, (...) ha adito questo Tribunale, chiedendo la condanna delle parti convenuto al pagamento, in solido, della "somma complessiva ammontante ad euro centoventicinquemilasettecentosettantanove e centesimi novantuno (Euro 125.779,91) ovvero la diversa somma che risulterà al termine dell'espletanda istruttoria". A fondamento delle proprie pretese, ha rappresentato di aver svolto le mansioni di "autista" (livello 3S del (...) "(...) trasporto merci e spedizione"), in favore di (...) titolare della ditta omonima, dal 2 novembre 2004; che, a seguito del decesso di quest'ultimo, avvenuta il 25 gennaio 2020, sono divenuti proprietari dell'azienda la moglie del de cuius, (...) e i due figli odierni convenuti, (...) e (...) proseguendone l''attività e dando vita a una società in nome collettivo irregolare; che, successivamente, il 3 dicembre 2020, i tre aventi causa nominati hanno sottoscritto atto pubblico di trasformazione della ditta nella società (...) S.r.L., regolarmente iscritta nel registro delle imprese, società di cui è ancora dipendente; che, a seguito del confronto tra le buste paga e le registrazioni dei cronotachigrafi in possesso del ricorrente, secondo l'esame contabile elaborato dal proprio consulente, è risultato il maggior credito, qui azionato, nei confronti della (...) S.r.L., di (...) e di (...) dovuto a titolo di lavoro ordinario e straordinario, lavoro festivo, indennità di trasferta e mancato godimento ferie. Si sono costituti la società convenuta, (...) e (...) chiedendo il rigetto del ricorso. La causa è stata istruita mediante produzione documentale e la disposizione di CTU contabile. (...) dell'8 febbraio 2024 è stata sostituita, ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c., dal deposito di note scritte. Quindi, a seguito del loro deposito, la causa è decisa con la presente sentenza. 2. Merito. Ciò posto, nel merito il ricorso è fondato. 2.1 Legittimazione passiva. Va preliminarmente affermata la legittimazione passiva dei convenuti. Segnatamente, va osservato come, oltre a essere incontestato tra le parti, risulta documentalmente che il ricorrente ha prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze la ditta individuale di (...) Successivamente al decesso di quest'ultimo, tutti i rapporti di debito e di credito sorti in capo al de cuius sono ricaduti nella comunione ereditaria, sicché ne sono divenuti titolari tutti gli eredi. In proposito, la giurisprudenza ha infatti affermato che "(...) individuale non costituisce un centro d'imputazione di rapporti giuridici distinto e diverso dal suo titolare: di conseguenza, l'azienda dell'imprenditore individuale non può essere configurata alla stregua di un patrimonio separato dal restante patrimonio dell'imprenditore medesimo, e al suo decesso ab intestato cade in successione a favore di tutti gli eredi legittimi" (cfr. Cassazione civile sez. I, 02/03/2005, n. 4442). Ancora, la Suprema Corte ha affermato che "In tema di impresa individuale, a seguito del decesso dell'imprenditore individuale la gestione dell'azienda è soggetta alle regole della comunione ereditaria fino a quando non viene manifestata dagli eredi, in modo espresso o tacito, la volontà di proseguire l'attività imprenditoriale facente capo al "de cuius", eventualmente nelle forme societarie" (cfr. Corte di Cassazione Sez. V Ord., 18-04-2018, n. 9464). (...) individuale è poi stata trasformata in data 3 dicembre 2020 in società a responsabilità limitata che ha assunto la denominazione "(...) S.r.L.", con sede in (...) (...), C.da Piana del (...) s.n.c., iscritta presso il Registro delle imprese di (...) con il n. (...) (cfr. rogito notarile all'all. 3 del ricorso). Da ciò discende che dei crediti retributivi oggi azionati rispondono (...) e (...) come eredi coobbligati in solido per il periodo antecedente alla trasformazione della ditta del padre e la società (...) S.r.L., in quanto l'effetto naturale del conferimento di un'azienda di una impresa individuale in una società di capitali - come nella fattispecie - è il trasferimento dei rapporti, attivi e passivi, inerenti all'azienda, pur permanendo la corresponsabilità della conferente per l'adempimento dei debiti non personali (cfr. ex multis Cass. 8219/1990). Va chiarito che nessuna domanda può intendersi spiegata nei confronti di (...) in quanto non è contenuta alcuna indicazione riguardo alla stessa nel ricorso introduttivo, così come previsto dall'art. 414 co. 1 n. 2) c.p.c., né nell'intestazione né nelle conclusioni. Sicché convenuti sono soltanto la società e le parti di cui in epigrafe. Peraltro, lo stesso ricorrente, nelle note del 22 marzo 2023, ha precisato che "effettivamente avverso la (...)ra (...) non è stata proposta domanda giudiziale e la sua menzione nel ricorso risponde solo all'esigenza di una completa ricostruzione dei fatti per cui è causa peraltro non sconfessati dai convenuti costituiti". 2.2 Differenze retributive. In termini sistematici, "(...) del creditore dall'onere di provare il fatto negativo dell'inadempimento in tutte le ipotesi di cui all'art. 1453 c.c. (e non soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento sul debitore convenuto dell'onere di fornire la prova del fatto positivo dell'avvenuto adempimento, e' conforme al principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtu' di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l'onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovra' quindi dare la prova diretta e positiva dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione" (Cassazione civile SS. UU. 30 ottobre 2001 n. 13533; in senso conforme cfr. Cass. 982/2002; Cass. 13925/2002; Cass.n.18315/2003; Cass.n.6395/2004; Cass.8615/2006; Cass.3674/2006; Cas 1743/2007). Ne discende che il creditore che agisce per l'adempimento dell'obbligazione ha solo l'onere di dimostrare l'esistenza del titolo - cioè l'esistenza del contratto stipulato con il debitore - e di dedurre lo specifico fatto costitutivo della propria domanda, gravando poi sul debitore l'onere di dimostrare di aver già adempiuto o che il proprio inadempimento è di scarsa importanza (art. 1455 c.c.) o che il termine di adempimento già inutilmente decorso non aveva natura essenziale per il creditore (art. 1457) o che l'inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1218 c.c.). (...) tale impostazione, sono assoggettate a tale criterio di riparto dell'onere di deduzione e di prova le pretese relative alla retribuzione ordinaria, alla 13°, alla 14°, al (...) a tutto ciò che il (...) di settore riconosce al lavoratore senza prevedere ulteriori specifiche condizioni. Nel caso di specie, va osservato come l'applicazione del (...) di categoria allegato da parte ricorrente risulta essere stato applicato tra le parti nel corso di tutto il rapporto lavorativo, come emerge dalla specifica indicazione contenuta nelle buste paga versate in atti. Ebbene, in relazione ai maggiori crediti retribuitivi che (...) assume essere maturati in ragione delle ore prestate di lavoro ordinario e straordinario, lavoro festivo, nonché per l'indennità di trasferta e il mancato godimento di ferie, il ricorrente ha versato in atti buste paga, fogli presenza e copia delle risultanze del cronotachigrafo digitale di cui era dotato per legge l'autoveicolo della resistente e utilizzato per lo svolgimento della propria attività di autista. A riguardo, deve ritenersi che le risultanze dei dischi del cronotachigrafo rivestano mezzo di prova privilegiato previsto dal (...) ai fini del calcolo dei compensi per lavoro straordinario del personale viaggiante (art.11 comma 8: "(...) restando la durata del lavoro contrattuale, l'eventuale maggior durata dell'orario di lavoro è retribuita con le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario con una delle seguenti modalità: a) secondo l'attività effettivamente prestata, quale risulta dal (...) unico del lavoro di cui al comma 2 dell'articolo 8 del (...) 234/07 e dalle registrazioni del tachigrafo; le aziende su richiesta dei lavoratori sono tenute a fornire copia della registrazione entro 30 giorni dalla richiesta..."). Inoltre, va ritenuta l'inefficacia del disconoscimento operato dal resistente della documentazione in parola. In materia, la Corte di Cassazione ha affermato, con un principio cui si intende dare seguito, che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c. (proprio con riferimento ai dischi cronotachigrafi) il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta ((...) Cassazione civile sez. lav., n. 24613/2019; Cass. 2.9.2016 n. 17526; Cass. n. 3122/2015). Ebbene, i resistenti si sono limitati a contestare genericamente le copie prodotte da controparte, senza nemmeno prendere posizione circa la presenza del nome del ricorrente. Inoltre, i resistenti stessi affermano che "viene disconosciuta la conformità ai fatti in essi registrati e rappresentati, con il presente atto di costituzione non ritenendosi, altresì, che esse copie siano di schietta provenienza di documenti effettivamente originari dalle attività che la normativa impone alle ditte comparenti e, pertanto, non riferibili ad esse né mai siglati o firmati". Tuttavia, pur essendo loro onere, si sono astenuti dal produrre la documentazione in loro possesso, sì da consentire l'effettuazione di un confronto tra le due documentazioni. 2.3 Quantum debeatur. Alla luce degli esiti enunciati in ordine all'an debeatur, al fine di determinare l'ammontare dei crediti di lavoro reclamati, è stato conferito l'incarico al CTU contabile, con la sottoposizione del seguente quesito: "valuti il (...) applicando il (...) versati in atti, in base alle risultanze delle ricevute emesse dal tachigrafo e allegate dal ricorrente, l'importo lordo delle somme spettanti a (...) a titolo di differenze retributive per il periodo intercorrente tra novembre 2004 e dicembre 2020, confrontate con le buste paga prodotte". Orbene il nominato (...) attraverso modalità di calcolo corrette e pertanto condivise da questo giudicante, siccome dallo stesse indicate nella relazione peritale depositato in atti, è pervenuto alle seguenti conclusioni: "...(...) riassumere i precedenti calcoli, lo scrivente CTU è in grado di affermare che le differenze retributive dovute al ricorrente per il periodo 02/11/2004 - 31/12/2020 sono pari a (...) 121.508,52 (Centovenutnomilacinquecentootto/52(...) così come meglio indicato per ogni singola voce retributiva della 3° tabella allegata (riepilogo (...) differenze paga)" (cfr. CTU depositata in data 11 agosto 2023). Ne discende che l'ammontare delle somme dovute al ricorrente a titolo di crediti di lavoro è pari a Euro 121.508,52. Tale somma calcolata dal CTU va confermata nonniste le deduzioni formulate dai resistenti nelle note scritte del 2 febbraio 2024. Infatti, in relazione al periodo di lavoro non contrattualizzato, va osservato che in ricorso, segnatamente dalla lettura delle tabelle ivi riportate, sono state oggetto di domanda anche i periodi di lavoro svolti "in nero", cioè senza la dovuta comunicazione all'autorità amministrativa, pertanto non è pregevole l'affermazione che tale arco temporale non sia stato oggetto di domanda. Peraltro, i resistenti alla prima difesa utile, cioè all'atto di costituzione in giudizio, non hanno contestato né l'effettivo svolgimento in via continuativa della prestazione lavorativa, né la sua consistenza in termini di ore di lavoro prestate, sicché qualsiasi obiezione in proposito deve ritenersi tardiva. Parimenti tardiva è l'eccezione di prescrizione avanzata in tale sede, posto che la stessa doveva essere fatta valere con la memoria di costituzione ex art. 416 co. 2 c.p.c. 3. Conclusioni. Alla stregua di quanto precede, in ossequio al principio del riparto dell'onere probatorio, il ricorso deve essere accolto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto della materia del contendere, del valore della causa, delle fasi svolte e della complessità delle questioni sottese al giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di (...) in funzione di Giudice del (...) disattesa ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe indicato, così statuisce: accoglie il ricorso; condanna, per l'effetto, la (...) S.r.L., in persona dell'amministratore pro tempore, (...) e (...) in solido, al pagamento, in favore di parte ricorrente, a titolo di crediti di lavoro e differenze retributive, della complessiva somma di Euro 121.508,52, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, sulla somma via via rivalutata, dalla data di maturazione del credito sino al soddisfo; condanna (...) S.r.L., in persona dell'amministratore pro tempore, (...) e (...) in solido, al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 13.395,00 per compensi, oltre spese forfettarie al 15%, CPA e (...) pone definitivamente a carico delle parti resistenti, in solido, le spese di (...) liquidate con separato decreto. (...) 13 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA Sezione Civile in composizione monocratica, nella persona del giudice dott.ssa Giulia Polizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1747/16 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi promossa DA (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...), giusta procura in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliato ai fini del giudizio presso il suo studio, sito in (...), Gela; - attore - CONTRO (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti (...), giusta procura su documento informatico separato allegato alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata presso lo suo studio della prima, sito in (...), Roma; - chiamato in causa - E NEI CONFRONTI DI (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti (...) giusta procura su documento informatico separato allegato alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliato ai fini del giudizio presso il loro studio, sito in Piazza (...), Milano; - chiamato in causa - OGGETTO: responsabilità extracontrattuale. IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 22.12.2016 l'attore in epigrafe conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale la (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, esponendo: - che nel 2011 era stato pubblicato un romanzo intitolato "(...)", scritto dall'autore (...) ed edito dalla società convenuta, nel quale erano riportati dei fatti riguardanti la persona dell'attore e non corrispondenti alla realtà; - che nel corpo del romanzo, segnatamente a pag. 103, era infatti stato scritto che: "(...). Nel 2005 il poco più che trentenne (...), Presidente del (...) e titolare di un'impresa edile insieme al fratello (...) e all'imprenditore (...), lotta perla conquista della leadership mafiosa a Gela. Approfittando dell'assenza del superlatitante (...), ricercato da oltre dieci anni, (...) sale presto ai vertici di cosa nostra. Legato al boss (...), riesce a mettere le mani su vari appalti. E alcuni arrivano fino ad Aviano, alla base Nato, grazie soprattutto all'operato di (...). Certe cose una moto le vede"; - che tale narrazione traeva origine da un procedimento penale che aveva in passato visto coinvolto il (...) per fatti riconducibili a quelli evocati dal passo del romanzo richiamato; - che tuttavia lo stesso era stato assolto - già diversi anni addietro rispetto alla pubblicazione del romanzo - dal reato di associazione a delinquere di stampo mafioso addebitatogli, giusta sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta n. 945/2008 del 17.06.2008; - che l'autore del romanzo aveva riportato dei fatti immaginari e fantasiosi e per di più attribuendo, ad esso attore, la commissione di uno specifico reato gravissimo, qual è quello di appartenere ad un'associazione di stampo mafioso, senza un più approfondito controllo delle fonti d'informazione e senza tener conto dell'esito della vicenda processuale; - che il diritto di cronaca non era stato rettamente esercitato, essendo stati travalicati i limiti della verità oggettiva della notizia pubblicata, della pertinenza e della continenza; - che la narrazione dei fatti non era avvenuta in modo misurato, ma in modo chiaramente scandalistico e tale da rimarcare la forte caratura mafiosa dell'attore; - che il romanzo in questione aveva recato offesa della reputazione, all'immagine, al decoro professionale e morale di esso attore, noto imprenditore all'interno del territorio gelese, cagionandogli ingenti danni patrimoniali e non, anche per la mancata conferma di diversi accordi di natura commerciale; - che il fatto risultava ulteriormente aggravato dalla pervasività del mezzo divulgativo utilizzato, di carattere duraturo e tendenzialmente illimitato, nonché dalla immediata associazione tra la persona dell'attore ed il titolo del romanzo per cui è causa, che risultava da una semplice ricerca nominativa sul motore di ricerca Google (tramite la digitazione del nome dell'attore). Invocava, pertanto, la condanna della società convenuta, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, nella misura ritenuta equa dal Giudice. Chiedeva inoltre che venisse disposta la condanna della società convenuta alla corresponsione di una somma a titolo di riparazione pecuniaria ai sensi dell'art. 12 della L. n. 47 del 1958 nonché ordinata la pubblicazione dell'emananda sentenza di condanna sui principali quotidiani a diffusione nazionale, oltre al ritiro di tutte le copie del romanzo ancora in circolazione. Con comparsa di risposta depositata in data 4.04.2017 si costituiva in giudizio la (...) s.p.a., opponendosi all'accoglimento delle domande proposte. In via preliminare eccepiva l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento azionato ai sensi dell'art. 2947 c.c., essendo stato il romanzo in questione pubblicato nel 2011 (in assenza di successive ristampe) ed avendo, di contro, l'attore posto in essere il primo atto interruttivo in data 12.09.2016, a mezzo p.e.c. con la quale veniva contestata la pretesa lesività del passaggio contenuto nel volume. Deduceva infine l'infondatezza della domanda avversaria, rilevando: - che, essendo state le notizie pretesamente diffamatorie riportate in un romanzo e, dunque, in un contesto narrativo privo di alcuna finalità di aggiornamento cronachistico, l'esimente del diritto di cronaca dovesse ritenersi sussistente entro margini più elastici; - che il passo del romanzo pretesamente diffamatorio aveva esposto fatti veritieri giacché, per un verso, la riferita circostanza del coinvolgimento del (...) nel tessuto mafioso gelese aveva la sua fonte nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti nell'ambito del procedimento penale evocato dallo stesso attore nell'atto introduttivo, e per altro verso le circostanze riportate nella narrazione erano comunque già note alla cronache in quanto variamente riportate in articoli di stampa diffusi in rete oltre che in diversi rapporti redatti dalla Prefettura di Caltanissetta e dalla Conferescenti; - che ricorrevano altresì gli ulteriori due limiti della pertinenza e della continenza, entro cui il diritto di cronaca può dirsi legittimo, stante la rilevanza pubblica dei fatti narrati; - che, in ogni caso, anche ove si fosse ritenuto difettare il requisito della verità oggettiva dei fatti, sarebbero ricorsi gli estremi per il riconoscimento della scriminante putativa, stanti: l'effettivo coinvolgimento del (...) in un procedimento penale nel quale era stato allo stesso contestato il reato di cui all'art. 416 bis c.p.; la capillare diffusione di tali notizie sulla rete, anteriore e posteriore alla pubblicazione del romanzo per cui e causa; i successivi procedimenti penali (per frode fiscale, appropriazione indebita e intestazione fittizia di beni) che avevano visto coinvolto (dal 2009 al 2011) il (...), insieme al padre e ai fratelli, da cui era dato evincere la sussistenza di forme di collegamento tra l'odierno attore e la malavita organizzata; - che, anche ove si fossero ritenuti sussistenti gli estremi del fatto illecito perpetrato dall'autore del romanzo, e di tal via della casa editrice, difettavano in ogni caso gli ulteriori elementi per il sorgere della responsabilità extracontrattuale (rectius: nesso causale e danno ingiusto) giacché, innanzitutto, inserendo il nome dell'attore sul motore di ricerca Google si otteneva, quale risultato, l'accesso a diversi articoli riguardanti le vicende giudiziarie penali che avevano visto coinvolto lo stesso (ivi compresa la sentenza di assoluzione), comparendo la stringa di ricerca che rimanda alla pagine del volume in contestazione solo al sedicesimo posto, sicché l'utente era messo nella condizione di apprendere l'intervenuta assoluzione prima di accedere alla pagina del romanzo incriminata. Per altro verso, difettava qualunque allegazione, prima ancora che prova, rispetto ai presunti danni patrimoniali e non patrimoniali patiti, sia in punto di an che di quantum; - che parimenti infondata era la richiesta di condanna della casa editrice alla pena pecuniaria di cui all'art. 12 della legge sulla stampa, essendo la stessa applicabile nei soli confronti del responsabile del reato di diffamazione, da intendersi in senso rigorosamente soggettivo; - che inammissibile era, infine, la richiesta di pubblicazione della sentenza e di ritiro delle copie del romanzo, quali forme di risarcimento in forma specifica, in quanto, avendo l'attore incoato il presente giudizio chiedendo il risarcimento del danno per equivalente, si sarebbe in caso di cumulo realizzata un'indebita duplicazione risarcitoria. In subordine, e per la denegata ipotesi di accoglimento della domanda, chiedeva accertarsi e dichiararsi il proprio diritto ad essere manlevata dall'autore del romanzo, (...) (in forza dell'accordo editoriale con lo stesso siglato, con il quale l'autore si assumeva la piena responsabilità della propria opera, inclusi i riferimenti a persone o fatti riconducibili alle stesse) e per l'effetto condannarsi quest'ultimo al pagamento delle somme che lo stesso si fosse trovato a dover corrispondere all'attore. Differita l'udienza per consentire la chiamata del terzo, si costituiva dunque il terzo chiamato (...) con comparsa del 6.09.2017, il quale eccepiva, in via preliminare, l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento azionato dall'attore, essendo stato il romanzo in questione pubblicato nel 2011 e non essendo stata dall'attore avanzata nessuna richiesta risarcitoria nei suoi confronti. Nel merito, deduceva l'infondatezza della domanda evidenziando: - che, qualificandosi il romanzo in questione come un'opera letteraria, un'eventuale narrazione diffamatoria fosse scriminata in presenza di presupposti ulteriori e più ampi rispetto a quelli operanti in materia di cronaca giornalistica, essendo richiesto, ai fini del riconoscimento dell'illiceità del fatto, oltre alla non verità del fatto, anche la non riconducibilità dell'offesa arrecata ad uno sforzo creativo; - che il passo del romanzo pretesamente diffamatorio aveva esposto fatti veritieri (se non nel loro effettivo contenuto quantomeno ove riferiti alla notizia narrata) in quanto ricalcavano quasi pedissequamente il contenuto di diversi articoli giornalistici, pubblicati sia precedentemente che successivamente all'edizione del romanzo, e che a loro volto avevano puntualmente tratto spunto dal contenuto dell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti del (...) per il reato di cui all'art. 416 bis c.p.; sul punto dunque adesivamente riportandosi a quanto già dedotto dalla convenuta (...); - che difettava in ogni caso il nesso causale e il danno (per le stesse considerazioni già rassegnate dalla casa editrice convenuta). Contestava, in via gradata, la fondatezza della domanda di garanzia proposta nei suoi confronti dalla (...), per essere la clausola dell'accordo editoriale citata dalla stessa qualificabile come clausola vessatoria ex art. 1341 c.c., tuttavia non specificamente sottoscritta dal (...), e pertanto nulla. Concessi i termini ex art.183 comma VI c. p. c., la causa veniva istruita tramite l'acquisizione dei documenti ritualmente prodotti. In mancanza di ulteriore attività istruttoria, all'udienza del 22.09.2022 le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva posta in decisione, con l'assegnazione dei termini di rito per il deposito delle comparse conclusionali e delle note di replica. Va innanzitutto rigettata l'eccezione preliminare di prescrizione sollevata dalla convenuta (...) s.p.a. e dal terzo chiamato (...). Ed invero, in tema di responsabilità extracontrattuale, trova applicazione l'ordinario termine di prescrizione quinquennale. Sebbene, poi, l'art. 2947 co. III c.c. preveda un allungamento del termine di prescrizione laddove il fatto illecito (fonte del danno e, conseguentemente, del diritto al risarcimento) integri al contempo una fattispecie di reato per il quale siano previsti termini di prescrizione più lunghi rispetto a quello quinquennale, nel caso di specie tale norma risulta priva di utilità pratica, alla luce del principio di diritto statuito da Cass. civ. sez. III n. 20609 del 07/10/2011, secondo cui "l'art. 2947, coordinato con gli artt. 2059 e 2935 c.c., va interpretato nel senso che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione inizia a decorrere non dal momento in cui l'agente compie il fatto illecito, ma dal momento in cui la parte lesa ne viene a conoscenza". Coerentemente con tale principio, pertanto, il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve essere ricollegato al momento in cui il diritto al risarcimento può essere esercitato, ovvero al momento in cui si è verificato il danno. Quanto al concetto di "verificarsi del danno", secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché il danno acquisti rilevanza giuridica è necessaria una sua manifestazione, ovvero che esso sia esteriorizzato, conoscibile o percepibile, non bastando, ai fini del diritto al risarcimento e, dunque, della decorrenza della prescrizione, una sua mera realizzazione oggettiva. Con riferimento poi al danno non patrimoniale, la consapevolezza, da parte della vittima, del fatto lesivo, ne costituisce il necessario presupposto, posto che la sofferenza morale soggettiva derivante dalla lesione dell'onore e della reputazione in tanto può sussistere in quanto la persona interessata sia venuta a conoscenza dell'illecito, non potendo altrimenti sussistere il diritto al risarcimento del danno e, conseguentemente, la decorrenza della prescrizione. Traslando tali principi al caso di specie, essendo il (...) venuto a conoscenza del romanzo pubblicato da parte della (...) solamente nel settembre 2016 (secondo quanto dedotto dall'attore in seno alle memorie ex art. 183, comma VI n. 1 c.p.c. e non contestato ex adverso), l'eccezione di prescrizione sollevata dalle parti convenute non può essere accolta, non essendo ancora decorso, all'epoca del compimento dei primi atti interruttivi (id est lettera di diffida del 12.09.2016 nei confronti della (...) s.p.a. e notifica dell'atto di citazione per chiamata di terzo, avvenuta il 15.05.2017, nei confronti del terzo chiamato (...)), né il termine di prescrizione quinquennale né, a fortiori, quello allungato ex art. 2947 co. III c.c. Tanto premesso, la domanda risarcitoria proposta è infondata e va pertanto rigettata sulla scorta delle considerazioni che seguono, non ricorrendo alcun profilo diffamatorio nel passaggio narrativo contestato. Occorre innanzitutto dare atto della sussumibilità della condotta lamentata dall'attore nell'ambito della diffamazione commessa a mezzo stampa. Invero, un romanzo può integrare gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa ove, come nel caso di specie, dimostrata la coincidenza tra la figura rappresentata ed un soggetto realmente vissuto, le modalità di rappresentazione letteraria risultino offensive della sua reputazione e il personaggio in questione sia riconoscibile da una cerchia indiscriminata di lettori (cfr. sul punto Tribunale Piacenza, 18/04/1997). Sotto tale crinale, non risultano conferenti le difese svolte dai convenuti poggianti sulla qualificabilità del mezzo con cui è stata perpetrata la condotta pretesamente diffamatoria come "opera letteraria" e non come stampa giornalistica, facendo da ciò discendere la necessità, ai fini della configurazione del fatto illecito diffamatorio, che la notizia, oltre a essere non veritiera, esuli da qualsiasi sforzo creativo dell'autore. Questo Tribunale è certamente a conoscenza della giurisprudenza formatasi in ordine alla distinzione - ai fini dello specifico atteggiarsi delle condotte diffamatorie e dei confini entro cui le stesse possono ritenersi scriminate - tra le diverse forme di manifestazione del pensiero che si sostanziano, da un lato, nell'attività giornalistica e, dall'altro, in quella letteraria. È stata così evidenziata la profonda differenza tra "tali tipi di forme di estrinsecazione del pensiero, affermando l'esistenza di una profonda diversità tra le notizie giornalistiche e le opere artistiche (letterarie, teatrali o cinematografiche), nel senso che le prime (che hanno la principale norma di riferimento nell'art. 21 Cost.) svolgono la funzione di "offrire" informazioni, notizie, fatti e vicende (cronaca), anche con valutazioni soggettive di ordine etico-politico (critica), mentre le seconde (fondate soprattutto sull'art. 9 Cost. e sulla configurazione del nostro ordinamento come dello "Stato di cultura") sono connotate dalla creatività o comunque da un'attività intellettiva tendente all'affermazione di ideali e valori, che l'autore, facendoli propri, intende trasmettere agli altri. Ed è per questo che l'attività letteraria, in quanto artistica, può avere toni a volte elegiaci, altre volte comici o drammatici, ed anche fortemente critici (come nel caso in esame); pertanto, perché un opera letteraria (artistica in senso lato) sia effettivamente lesiva dell'altrui reputazione non basta (come ritenuto dalla decisione impugnata) ritenere e accertare che l'opera artistica non sia veritiera, perché "l'arte" non deve svolgere la funzione di descrivere la realtà nel suo obiettivo e concreto verificarsi ma quella, come detto, della estrinsecazione di un modo di pensare e di essere dell'artista, in base ai suoi valori" (ex multis Cass. civ. Sez. III, Sent., n. 7798/2010). D'altro canto, ritiene il giudicante che, ferma la complessiva natura letteraria, a tratti fantastica, del romanzo de quo (imperniato sulla figura di una moto a fungere da "coro" nel percorso soggettivo compiuto dal narratore attraverso i ricordi personali nella propria terra di origine), nel passaggio riportato a pag. 103, qui in contestazione, si scorgono i tratti propri del testo giornalistico, stanti i chiari riferimenti non solo a precise circostanze storiche temporalmente collocate ma anche alla persona dell'attore e ad altri soggetti notoriamente coinvolti nella vita mafiosa all'interno del territorio gelese, tutti peraltro perfettamente riconoscibili in quanto individuati con i propri veri nomi. Pertanto, occorre procedere al vaglio circa l'eventuale sussistenza, nella fattispecie in esame, di una delle scriminanti (id est diritto di cronaca, diritto di critica e diritto di satira) che, elidendo l'antigiuridicità del fatto diffamatorio, fanno venire meno l'illiceità del fatto e, conseguentemente, la risarcibilità delle conseguenze dannose eventualmente derivatene al soggetto diffamato. Non appare superfluo, sul punto, riprendere i principi in materia di diritto all'identità personale e di manifestazione del pensiero che qui vengono in rilievo. La Suprema Corte ha definito il diritto all'identità personale come l'interesse della persona "a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, cioè di coacervo di valori (intellettuali, politici, religiosi, professionali ecc.) rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonché, correlativamente, ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l'onore o la reputazione, ovvero ledere il nome o l'immagine fisica" "qualificabile come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall'art. 2 della Costituzione in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, ed inoltre tutelabile in applicazione analogica della disciplina dettata dall'art. 7 cod. civ. con riguardo al diritto al nome" (Cass. n.3769/85). Nel bilanciamento di diritti di pari dignità costituzionale, il diritto all'identità personale può essere limitato in conseguenza dell'esercizio di altri diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, tra cui il diritto di cronaca, tutelato dall'art. 21 della Costituzione. Tale diritto, espressione del diritto inviolabile di manifestazione del pensiero, può prevalere su quello all'identità personale, ove vengano rispettate le seguenti condizioni: a) verità della notizia (che può ricorrere in due diverse ipotesi: quella della "verità assoluta" e cioè di un fatto che viene effettivamente accertato come vero, ovvero quella della "verità putativa" per la quale è necessario e sufficiente che questa corrisponda, quanto meno all'epoca in cui è diffusa, ad una verità ragionevolmente presunta, sulla base di informazioni assunte da fonti attendibili e, ove necessario, riscontrate); b) la continenza, cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca e anche la critica (come ad esempio l'assenza di termini esclusivamente insultanti); c) la pertinenza, cioè l'interesse pubblico all'informazione in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione o altri caratteri del servizio giornalistico (cfr. tra le molte Cass. 978/96, Cass. 1205/07, Cass. 12420/08). Muovendo le mosse dal primo dei presupposti sopra rassegnati cui è subordinata l'operatività della scriminante, preme subito evidenziare che, nel caso concreto, si deve considerare la veridicità della notizia, non in un contesto di critica morale e politica, bensì in un ambito di cronaca giudiziaria e storica, ove al cronista è richiesto maggior rigore circa la precisione dei fatti riportati. Ciò in quanto nel passaggio narrativo incriminato, di cui a pag. 103 del romanzo "(...)" (all. n.1 all'atto di citazione), sono stati brevemente riportati, nei tratti essenziali, quelli che sarebbero stati gli esordi del (...) nella "leadership mafiosa di Gela". Più in particolare, nel romanzo si narra che nel 2005 il R., all'epoca Presidente del (...) oltre che titolare di un'impresa edile insieme al fratello (...) e all'imprenditore (...), avrebbe iniziato ad affermarsi tra i vertici di Cosa Nostra all'interno del territorio gelese, in parte grazie al legame con il boss (...) ed in parte "approfittando dell'assenza del superlatitante (...)". Vengono dunque evocati dei non meglio precisati appalti che il (...) sarebbe riuscito, in tale contesto, ad accaparrarsi, alcuni dei quali relativi ad opere da effettuarsi all'interno della base Nato di Aviano. Ora la differenza tra la cronaca e la critica risiede in ciò che, mentre con quest'ultima si esteriorizza la propria opinione, che non può pretendersi assolutamente obiettiva e che può estrinsecarsi anche nell'uso di un linguaggio colorito e pungente, la cronaca si connota per una narrazione essenzialmente veritiera dei fatti. Questa distinzione implica, come è ovvio, diversi margini entro i quali, l'una e l'altra, possono produrre un effetto scriminante della condotta diffamatoria: più rigorosi nel caso della cronaca e più elastici e meno definiti per la critica, la quale appunto non si concreta nella narrazione veritiera dei fatti, ma si esprime per sua natura in un giudizio, che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, per la valutazione dei quali dunque non valgono i soli canoni ermeneutici della verità, della continenza e dell'interesse sociale, ma che non può comunque spingersi fino all'offesa della reputazione individuale. Ebbene, polarizzando l'attenzione sul diritto di cronaca giudiziaria, che qui viene in rilievo, essa può ritenersi lecita quando il cronista si limiti a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o commentare l'attività investigativa o giurisdizionale, mentre assume connotati di illiceità quando, invece, le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario vengano utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive. In tal caso, il giornalista deve assumersi direttamente l'onere di verificare la notizia e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo invece reinterpretare i fatti nel contesto di una autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica (cfr. in tal senso Cassazione penale, sez. I, 28 gennaio 2008, n. 7333). Ancora, la verità putativa delle notizie pubblicate deve essere accertata alla stregua di quanto conosciuto o conoscibile dal cronista alla data di pubblicazione dell'articolo e non certo all'esito finale del relativo giudizio penale. Né il giornalista ha l'obbligo di effettuare controlli perché tale obbligo non sussiste quando, come nel caso di specie, la fonte informativa si identifica nell'autorità giudiziaria (cf. in tal senso Cassazione civile, sez. III, 31 marzo 2006, n. 7605). Con riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, infatti, il criterio della verità oggettiva dei fatti non riguarda il fatto in sé oggetto della vicenda giudiziaria, bensì la situazione accaduta nell'ambito dell'attività giudiziaria, e il cronista è solo tenuto a riportare le notizie risultanti dagli atti processuali, ma non a controllare la verità dei fatti o l'attendibilità delle deposizioni testimoniali, che costituisce specifica attività del processo. Ne consegue che, di fronte alla notizia certa del procedimento penale e dei contenuti di un atto giudiziario, non spetta al cronista svolgere indagini autonome, finalizzate a verificare la veridicità dei fatti sottostanti al processo e la fondatezza delle tesi del pubblico ministero o del provvedimento giudiziario di custodia cautelare, essendo sufficiente che i concetti e le parole riportate siano rispondenti al contenuto degli atti giudiziari o delle dichiarazioni inserite nel fascicolo e che la fonte giudiziaria sia verificabile. Ciò posto, ritiene il Tribunale che la condotta dell'autore del romanzo si è posta nell'alveo del diritto di cronaca giudiziaria, esercitata sotto il profilo putativo di cui all'art. 59, u.c. c.p., essendo stato il contenuto del narrato tratto da un atto promanante dell'autorità giudiziaria e ritenuto altresì che - alla luce delle deduzioni delle parti e delle risultanze dei documenti ritualmente acquisiti al giudizio - deve ritenersi assolto l'obbligo di controllo delle fonti e delle circostanze narrate. Nello specifico, dal combinato disposto di cui agli artt. 51 e 59 u.c. c.p. si evince che l'eventuale discrepanza tra il fatto narrato e quello effettivamente accaduto non esclude che possa essere invocata la esimente, anche putativa, dell'esercizio del diritto di cronaca, quando colui che ha divulgato la notizia, pur avendo compiutamente adempiuto il dovere di controllo delle fonti da cui la ha appresa, abbia una percezione erronea della realtà. Invero, la verità del fatto, per granitica giurisprudenza, non deve più essere esclusivamente intesa come verità obiettiva, bensì anche nella sua accezione putativa, a condizione che l'informazione divulgata sia il frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, caratterizzato anche dalla buona fede del cronista (cfr. Cass. pen. n. 27106/2010 e Cass. pen., sez. 5, 13 novembre 2017 n. 51619 secondo cui la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca "è configurabile solo quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio"). A questo consolidato insegnamento della Suprema Corte penale è peraltro coerentemente sintonica anche l'interpretazione nomofilattica civile, la quale ha sempre affermato che, per godere dell'esimente anche putativa del diritto di cronaca, occorre che la notizia sia "frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca", vale a dire che il cronista "l'abbia accuratamente verificata" (cfr. ex multis Cass. sez. 3, 8 febbraio 2007 n. 2751). L'analisi dello scritto diffamatorio compiuta alla luce delle premesse testé svolte conduce a ritenere che il medesimo sia stato redatto e pubblicato nel legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria putativa. Innanzitutto, la ricostruzione compiuta a pag. 103 del romanzo, come sopra rassegnata, non si discosta in modo significativo dalle risultanze emergenti dall'ordinanza di custodia cautelare (all. n. 3 alla comparsa di costituzione della (...)) emessa nell'ambito del procedimento penale svoltosi dinanzi al Tribunale di Caltanissetta n. 144/93 R.G.N.R. e n. 2190 bis R.G.G.I.P. Nell'ambito di tale procedimento, il (...) era infatti stato indagato, insieme ad altri esponenti - come chiaramente evincibile dal capo di imputazione - per il reato di cui all'art. 416 bis c.p., per aver fatto parte all'interno della provincia di Caltanissetta del "clan (...)", articolazione di "Cosa Nostra" col fine, tra gli altri, di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o il controllo delle attività economiche, quali forniture per la realizzazione di opere pubbliche e private concessioni, appalti di opere pubbliche e pubblici servizi. Nel corpo dell'ordinanza viene poi dato atto dei riscontri a sostegno della colpevolezza del (...), consistenti tra l'altro nelle dichiarazioni rese da testimoni o collaboratori di giustizia in ordine all'affiliazione dello stesso al clan (...), in seno al quale si occupava, insieme ai fratelli, principalmente del traffico di sostanze stupefacenti. L'autore, pertanto, si è mantenuto fedele al nucleo essenziale dell'ordinanza cautelare in questione. Del resto, il fatto che il passo narrativo riporti un fatto di cronaca giudiziaria, come sopra tratteggiato, avvenuto sulla base del provvedimento del Gip di Caltanissetta, non implica però che esso dovesse limitarsi a una quasi pedissequa riproduzione del provvedimento. Se, infatti, è vero che le notizie di cronaca giudiziaria non possono essere manipolate, dovendo attenersi fedelmente il testo al provvedimento giudiziario, essendo qui maggiormente rigoroso l'obbligo di verità oggettiva, il cronista ha sempre la possibilità di commentare il fatto e di riportare delle aggiunzioni su fatti marginali nonché, più in generale, di esercitare il proprio diritto di cronaca e critica che trascende il provvedimento. Nel caso di specie l'autore del romanzo ha proceduto a contestualizzare le condotte penalmente rilevanti addebitate al (...), collocandole entro un più preciso margine temporale rispetto a quello, più ampio, coperto dall'ordinanza cautelare (identificando con l'anno 2005 quello in cui il (...) si sarebbe affermato tra i vertici di Cosa Nostra) nonché specificando la tipologia di alcuni degli appalti che lo stesso sarebbe riuscito ad ottenere (rectius quelli relativi all'esecuzione di lavori all'interno della base NATO di Aviano). Rimane il fatto che il nocciolo duro dei fatti narrati (consistente: nell'imputazione del reato di cui all'art. 416 bis c.p., nell'affiliazione del (...) al clan (...) e nel legame con (...) - notoriamente fedele alleato del boss di Caltanissetta (...) - nonché nella previsione, tra gli scopi dell'associazione mafiosa de qua, dell'acquisizione del controllo di attività economiche quali appalti di opere pubbliche) è stato fedelmente estrapolato dall'ordinanza cautelare citata. Rispetto a tali circostanze, le specificazioni riportate dall'autore si configurano come marginali e prive di alcuna idoneità ad acuire il disvalore insito nella condotta diffamatoria. Diversi elementi inducono, poi, a ritenere positivamente riscontrata la verità putativa del fatto narrato. Rilievo dirimente riveste, innanzitutto, la circostanza che il (...), dopo essere stato raggiunto dall'ordinanza di custodia cautelare sopra citata, venne effettivamente rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 416 bis c.p., (proc. n. 2016/2004 R.G.N.R. e n. 533/2006 R.G.T.) in quanto ritenuto appartenente al clan mafioso (...), articolazione di Cosa Nostra nel territorio gelese, segnatamente come sodale della famiglia (...), tra i cui settori di interesse criminale rientravano a pieno titolo gli appalti pubblici affidati a società gestite da uomini del clan, anche presso la base NATO di Aviano. Tanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Gela n. 449/2007 del 18.10.2007 (versata in atti dall'attore con le memorie ex art. 183, comma VI n. 2 c.p.c.), poi confermata in appello per quanto concerne la posizione del R. (cfr. sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta n. 945/2008 del 17.06.2008, anch'essa depositata dall'attore con le citate memorie) con la quale veniva infine emessa nei confronti del (...) pronuncia di non doversi procedere (in relazione all'imputazione contestata dal 1997 al 2000, per violazione dell'art. 414 c.p.p.) e sentenza di assoluzione per insufficienza di prova ex art. 530, comma II c.p.p. in relazione all'imputazione per il periodo successivo. La circostanza per cui il giudizio penale venne a concludersi con una sentenza assolutoria ai sensi dell'art. 530 comma II c.p.p., e non invece con una pronuncia di assoluzione con formula piena che accertasse nel merito la sostanziale estraneità del (...) ai fatti contestati, valutata in uno al difetto di qualsivoglia allegazione e prova da parte dell'attore circa il rilievo mediatico (di peso analogo a quello della precedente ordinanza di custodia cautelare) dato alla citata sentenza di assoluzione, induce a ritenere che l'autore versasse in uno stato di buona fede idoneo ad integrare gli estremi della scriminante putativa, avendo lo stesso avuto una percezione erronea della realtà oggettiva, pur avendo tuttavia adempiuto il dovere di controllo delle fonti da cui la ha appresa. A corroborare la verosimiglianza della notizia concorre poi la circostanza, anch'essa documentalmente comprovata, per cui i fatti narrati erano già stati riportati dalla stampa di rilievo nazionale, sia prima che dopo l'intervenuta sentenza di assoluzione. Il riferimento è, innanzitutto, all'articolo della "Repubblica" del 16.12.2005 (all. n. 4 alla comparsa di costituzione della (...)), peraltro pedissequamente riprodotto dall'autore nel passo citato, nonché l'articolo "(...)" pubblicato dal "(...)" il 25.05.2010 (all. n. 11 alla comparsa di costituzione di (...)), dunque successivamente alla sentenza di assoluzione. Infine, non conferenti paiono le difese svolte dall'attore poggianti sull'intervenuto riconoscimento, in favore del (...), del risarcimento del danno ottenuto dallo Stato per l'ingiusta detenzione subita in relazione all'ordinanza cautelare richiamata nell'ambito delle presenti motivazioni. Invero, in disparte la questione della tardività della difesa, sollevata per la prima volta in seno alle memorie ex art. 183, comma VI n. 1 c.p.c., risulta troncante la circostanza per cui la relativa pronuncia venne resa in epoca successiva rispetto ai fatti per cui è causa. Invero, a fronte della pubblicazione del romanzo (avvenuta nel maggio 2011, in assenza di ristampe, secondo quanto dedotto dai convenuti e non contestato ex adverso), il risarcimento del danno per ingiusta detenzione venne riconosciuto al (...) ben più di quattro anni dopo, in forza dell'ordinanza della Corte d'Appello di Caltanissetta del 16.06.2015 (prodotta dall'attore in data 24.11.2017), dunque è chiaramente da escludersi che il (...) ne fosse stato a conoscenza al momento della pubblicazione del romanzo. Ricorrono, infine, gli ulteriori requisiti della pertinenza dei fatti narrati, attesa la sussistenza di un rilevante interesse pubblico a conoscere i fatti afferenti al procedimento penale che aveva visto coinvolto il (...), considerato, da un lato, l'estremo disvalore - sociale prima ancora che giuridico - insito nel reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e, dall'altro, la posizione di spicco ricoperta dal (...) all'interno della società (noto imprenditore ed ex Presidente del (...)) e della continenza, in quanto le espressioni contenute nel testo risultano misurate sia nel loro contenuto che nella loro forma espositiva, in rapporto alla tipologia e alla gravità dei reati contestati. La narrazione risulta difatti sostanzialmente coerente con il contenuto di un provvedimento giudiziario, riportando una sintesi sostanzialmente corretta dei fatti, nonostante la scelta dei toni velatamente scandalistici, tali da attirare al massimo l'attenzione del lettore, e l'utilizzo di espressioni evocanti il giudizio personale dell'autore (come la frase "l'incubo è appena iniziato", di cui all'incipit del passaggio narrativo), comunque valorizzabili come lecita esternazione del diritto di critica. Per tutto quanto sopra esposto, è pertanto da ritenere che lo scritto oggetto del presente giudizio non esorbiti i limiti dell'esercizio del diritto di cronaca, nella forma putativa, con specifico riferimento al diritto di cronaca giudiziaria, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria azionata dall'attore. Si dichiara assorbita ogni altra questione non esplicitamente delibata. La soccombenza di parte attrice regola la distribuzione delle spese di lite, le quali vanno liquidate come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 tenuto conto, ex art. 5 D.M. citato, del valore della causa e dell'attività in concreto svolta causa di valore indeterminabile, complessità bassa, parametri medi per attività di studio, introduttiva e decisionale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, dichiarata assorbita ogni questione non trattata, così provvede: - rigetta la richiesta di risarcimento del danno proposta dall'attore nei confronti della (...) s.p.a. e (...); - condanna l'attore al pagamento delle spese del giudizio sostenute dalla difesa dei convenuti, liquidate in complessivi Euro 5.810,00, oltre I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta. Così deciso in Gela, il 27 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Gela, in composizione monocratica in persona del Giudice onorario dott. Giuseppe Vacirca, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 450/2014 R.G. PROMOSSA da (...), nata a C. il (...), c.f. (...), rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Fa.Sa., ed elettivamente domiciliata in Gela, Vico (...) (c.a.p. 93012), presso lo studio legale dell'Avv. Fa.Ci., - parte attrice - Contro (...) s.r.l. ((...)), con sede legale in viale Ing. (...), sn, 98123 M., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Cr.Sc. e dall'avv. Vi.Si. - parte convenuta - e nei confronti di (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Pi. - terza chiamata - Oggetto: risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale Concisa esposizione del fatto e dei motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato la sig.ra (...) ha convenuto in giudizio, dinanzi a questo tribunale ordinario, la società (...) srl, in persona del suo legale rappresentante pro tempore al fine di veder accertata la responsabilità della predetta con conseguente sua condanna al risarcimento del danno alla persona e di quello patrimoniale subìto dall'attrice in conseguenza dell'evento verificatosi in località T., M. di B., in data 28.4.2013. L'attrice assume che nelle suddette circostanze di tempo e di luogo si trovava ospite nell'albergo (...) s.p.a. sito in località T. via (...); che nella data de qua percorrendo uno dei corridoi che conduce alla sala colazione, a causa del pavimento bagnato, cadeva a terra riportando delle lesioni alla spalla destra che rendeva necessario il trasporto presso il pronto soccorso dell'ospedale di Licata come da documentazione prodotta in atti; che a guarigione avvenuta, ne sono residuati postumi permanenti per i quali è stata avanzata richiesta risarcitoria nei confronti della convenuta; che, stante l'infruttuoso iter stragiudiziale tendente al risarcimento, l'attrice ha instaurato il presente giudizio risarcitorio. In seno al conclusum dell'atto introduttivo del giudizio l'attrice ha chiesto che il tribunale accerti e dichiari la responsabilità della convenuta società, imputabile a negligenza ed imperizia dei dipendenti addetti alle pulizie e de i dipendenti dell'albergo, per aver omesso di segnalare la scivolosità del pavimento con apposita cartellonistica; ha conseguentemente chiesto la condanna della convenuta al risarcimento del danno (nelle varie tipologie di danno non patrimoniale e patrimoniale, quantificato in Euro 33.149,30). Si è costituita in giudizio la società (...) srl contestando l'addebito di responsabilità; adducendo una responsabilità esclusiva dell'attrice nella causazione dell'evento per imprudente condotta; ha contestato anche il quantum risarcitorio ritenuto eccessivo e non provato; è stata altresì avanzata richiesta di chiamata in causa della società (...) presso cui la convenuta era assicurata per la responsabilità civile verso terzi, il tutto ai fini della manleva. Si è regolarmente costituita la predetta società assicurativa la quale ha espressamente contestato la chiamata in manleva, eccependo l'inoperatività della polizza assicurativa atteso che il rapporto contrattuale di cui alla polizza (...) era scaduto in data 5.06.2012.Veniva comunque contestata anche la dinamica del sinistro per colpa imputabile all'attrice e il quantum richiesto. Concessi i termini ex art. 183 6 comma, la causa è stata istruita con la prova testimoniale richiesta dalle parti in causa a cui è seguita la nomina del consulente medico legale per la qualificazione e quantificazione del danno alla persona dell'attrice. Espletata l'istruzione, a seguito della riassegnazione del procedimento a questo giudice unico, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza all'uopo fissata le parti hanno definitivamente rassegnato le conclusioni, la causa assegnata in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. ; le parti hanno prodotto la rispettiva memoria conclusionale. La domanda risarcitoria di parte attrice è fondata e va accolta per le ragioni di cui in motivazione. Sull'an dell'evento e della sua imputazione. E' d'uopo rilevarsi come l'art. 2697 c.c. imponga all'attore che intende far valere in giudizio un proprio diritto, l'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Tale regola fa sì che l'attore che invochi la sussistenza di un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, debba fornire la prova degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità descritta dall'art. 2043 c.c., e cioè: a) della sussistenza del fatto commissivo od omissivo che si assume illecito; b) del dolo o della colpa, quali coefficienti soggettivi che devono caratterizzare il fatto; c) della sussistenza di un "danno ingiusto", e cioè di una lesione non giustificata di un proprio interesse meritevole di tutela (c.d. danno evento), con la puntualizzazione che se la lesione riguarda un diritto della persona costituzionalmente garantito, ovvero negli altri casi espressamente previsti dalla legge interna o comunitaria (art. 2059 c.c.) è ammesso il risarcimento del danno non patrimoniale; d) del nesso di causalità tra fatto doloso o colposo e danno evento; e) della sussistenza di un pregiudizio c he consegua direttamente e immediatamente alla lesione (c.d. danno conseguenza: art. 1223 c.c.). In alternativa, se la domanda è azionata ex art. 2051 c.c. l'attore deve unicamente limitarsi a dare la prova del nesso causale tra la res in custodia e il danno, salvo ed impregiudicato il diritto di parte convenuta della prova del caso fortuito. Come emerge dalle argomentazioni difensive esposte nell'atto introduttivo della presente causa e dalle conclusioni con esso rassegnate, nonché dal tenore degli scritti conclusivi della difesa della sig.ra V. , la domanda di risarcimento danni promossa da quest'ultima va inquadrata nell'alveo normativo di cui all'art. 2051 c.c. È consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui ai fini della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c., è sufficiente la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che sia anche necessaria - allorché l'evento dannoso sia ricollegabile all'intrinseco dinamismo della cosa - la prova della pericolosità della "res", derivante dal suo cattivo funzionamento (Cass. Civ., Sez. VI, 27/11/2014 n. 25214; Cass. Civ., Sez. III, 5/2/2013 n. 2660). Qualora invece il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (Cass. Civ., Sez. VI, 20/10/2015 n. 21212; Cass. Civ., Sez. III, 5 febbraio 2013 n. 2660). Per questo secondo caso (res statica e inerte) la Suprema Corte richiede che ricorrano, nello specifico, due presupposti: un'alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determini la configurazione nel caso concreto della c.d. insidia o trabocchetto, e l'imprevedibilità e invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno (Cass. Civ., Sez. III, 13/05/2010 n. 11592). L'imprevedibilità e invisibilità dell'alterazione sono circostanze fondamentali: invero, afferma sempre la Suprema Corte, quanto più la situazione di pericolo connessa alla cosa è suscettibile di essere prevista e superata dall'utente - danneggiato con l'adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva del custode della cosa e l'evento dannoso (Cass. Civ., Sez. III, 13/01/2015 n. 287). Nel caso in esame, premesso che non vi è stata alcuna contestazione sul fatto storico della caduta (bensì unicamente sulla sua imputabilità), l'attrice ha fornito la prova sia del nesso causale tra caduta e res in custodia, sia della pericolosità della res che, infatti, per la sua peculiare conformazione, ha rappresentato nell'occasione la c.d. "insidia o trabocchetto". L'escussione testimoniale espletata ha confermato gli assunti di parte attrice in merito all'an dell'evento che po' essere così ricostruito: la sig.ra V., verso le ore 09.00 del mattino percorreva il corridoio dell'albergo che conduce alla sala colazione ed era in compagnia della sig.ra L.V. e di altre amiche, tutte partecipanti ad un convegno religioso. Nel percorrere il detto corridoio a causa del pavimento bagnato e non segnalato, l'attrice cadeva a terra battendo sul pavimento la spalla destra; le dichiarazioni di tutti i testi di parte attrice sono chiare, precise e concordanti nell'evidenziare che il pavimento fosse stato lavato da poco; che non era assolutamente segnalato il potenziale pericolo di cadute mediante apposita cartellonistica; che l'intero corridoio percorso dagli ospiti dell'albergo era bagnato ed aperto al transito; che l'attrice è caduta per essere scivolata sul pavimento bagnato; che al momento della caduta la si.ra V. indossava delle scarpe con tacco basso. Ex adverso le dichiarazioni del teste di parte convenuta devono ritenersi inattendibili non tanto perché rese da soggetto dipendente della struttura ospitante bensì in quanto contrastano con le plurime, univoche e concordanti dichiarazioni dei testi di parte attrice; La dichiarazione resa dal teste P. appare poco plausibile, se non inveritiera, se ben la si analizza nelle sue varie parti. Il teste afferma, in un primo momento, di non aver assistito alla caduta dell'attrice ma di essere stato chiamato in un momento successivo per poi aggiungere testualmente di aver visto l'attrice scendere le scale del primo piano (se ne deve dedurre: prima della caduta); non solo, il teste sembra avere un ricordo ben preciso, meglio ancora minuzioso, circa le calzature della sig.ra V. ("portava scarpe con un tacco alto circa cm. 9); orbene appare assai strano che il teste possa avere incisi nella propria memoria elementi così circostanziati ancor prima che si verificassero i fatti di causa. Ulteriore circostanza inveritiera appare quella della collocazione temporale dell'allontanamento dell'addetta alla pulizia del pavimento (che il teste identifica in un lasso di tempo di circa venti minuti prima rispetto alla caduta della sig.ra). Sul punto deve rilevarsi che, a parte la testimonianza del P., nessun altro teste è stato chiamato a supportare e confermare gli assunti di parte convenuta sia in ordine all'apposizione della specifica cartellonistica, sia in merito al pavimento bagnato e sia in merito alla caduta dell'attrice a causa di calzature inadeguate(sic!); Nessun elemento di prova ha quindi fornito la società convenuta a sostegno dell'esimente a suo favore del caso fortuito, condizione necessaria ad interrompere il nesso causale tra la res e l'evento lesivo. La prospettazione difensiva del convenuto, con cui si imputa a parte attrice la responsabilità esclusiva della causazione del danno, è rimasto sfornito si supporto probatorio. Quanto alla posizione processuale della compagnia assicurativa terza chiamata in causa dalla società convenuta ai fini della manleva, ritiene questo giudicante che la produzione documentale di parte convenuta (...) (vedasi documento depositato telematicamente in data 29.01.2015) deponga per la piena operatività della polizza assicurativa per la responsabilità civile. Sul quantum risarcitorio La qualificazione e quantificazione del danno alla persona dell'attore è stato affidato all'ausiliario del giudice, dott. (...). Dall'elaborato è dato leggersi che sussiste nesso di causalità tra evento traumatico e le lesioni riportate dall'attrice nella caduta per cui è causa. Sono state, nello specifico, escluse patologie specifiche preesistenti all'evento traumatico; il CTU conclude accertando che l'attrice, in seguito al sinistro per cui è causa, ha riportato "Frattura composta del trochite omerale destro. La menomazione dell'integrità psico - fisica del danneggiato, è stata determinata in misura pari al 3% di danno biologico permanente; il danno biologico temporaneo è stato determinato in giorni 21 al 100%, giorni 15 al 75%, giorni 22 al 50%, giorni 10 al 25%. Le spese mediche sono state ritenute giustificate e congrue in Euro. 1.149,00 Si ritiene di poter aderire alle conclusioni raggiunte dalla consulenza, la quale appare esaustiva ed immune da vizi logici e può essere posta a fondamento della qualificazione e quantificazione del danno. Per il ristoro dei suddetti pregiudizi, risulta applicabile quanto previsto dalle tabelle ex art. 139 D.Lgs. n. 209 del 2005 (aggiornate al D.M. 17 luglio 2017), riferite ai pregiudizi cosiddetti micropermanenti; Il grado di invalidità permanente, riconosciuto secondo i parametri sopraindicati e in rapporto all'età del soggetto danneggiato alla data del sinistro, è risarcito con Euro 2.315,78. Il danno all'integrità psicofisica temporaneo, invece, si liquida complessivamente in Euro 2.172,67; il danno morale in Euro 1.496,00, e così per un totale di 5.984,45 all'attualità. Gli importi liquidati a titolo di danno biologico devono poi essere devalutati alla data del fatto e le somme così risultanti devono essere quindi rivalutate fino alla data della presente sentenza, mediante l'applicazione degli indici ISTAT f.o.i. Per il calcolo degli interessi c.d. "compensativi" si fa riferimento al criterio stabilito dalle S.U. della Corte di Cassazione nella sent. n. 1712 del 1995, secondo la quale detti interessi vanno calcolati inizialmente sull'importo del danno come liquidato alla data del fatto e, successivamente, sulle ulteriori frazioni via via risultanti dalla rivalutazione annuale operata sulla base dei citati indici ISTAT. Si perviene quindi ad una somma da corrispondersi pari a Euro 6.234,09 A seguito della conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione giudiziale del danno, spettano inoltre gli ulteriori interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo, trasformandosi il debito di valore in debito di valuta. Il danno patrimoniale per spese mediche è stato determinato in Euro. 1.149,00 Le spese processuali, seguono l'ordinario principio della soccombenza e sono liquidate, a favore dell'attrice, come da dispositivo, tenuto conto del decisum, dell'attività e delle caratteristiche obiettive delle difese svolte e dall'assenza di particolari questioni di fatto e di diritto. Le spese dell'espletata CTU, restano definitamente a carico di parte convenuta soccombente nell'importo determinato da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale di Gela , quale giudice unico, nella persona del giudice onorario dott. Giuseppe Vacirca, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe così decide: Accoglie la domanda di parte attrice per le ragioni di cui in motivazione; Dichiara la convenuta (...) s.r.l. ((...)), con sede legale in viale Ing. (...), sn, 98123 (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, responsabile dei danni alla persona riportati da (...) in conseguenza dell'infortunio avvenuto in data 28.4.2013 e la condanna in solido alla convenuta (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale subito dall'attrice nella quantificata misura di Euro 6.234,09 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, oltre Euro 1.149,00 per danno patrimoniale. Condanna altresì i convenuti in solido alla rifusione delle spese e compensi di giudizio a favore dell'attrice nella misura di Euro 2.800,00 oltre al 15% del compenso per spese generali, iva e cpa oltre c.u. Pone le spese di consulenza tecnica in capo alle parti soccombenti in solido come da separato decreto. Così deciso in Gela il 9 settembre 2019. Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Gela Sezione Civile Il Tribunale Ordinario di Gela, nella persona del Giudice monocratico dott.ssa Stefania Sgroi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1644/2014 R.G. , promossa da (...) (c.f. (...)), con il ministero dell'avv. Ro.Gi. ATTRICE contro (...) S.P.A. (p.i. (...)) in persona del rappresentante p.t. , con il ministero dell'avv. Bo.Gi. e dell'avv. domiciliatario Ma.St. CONVENUTA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 21.11.2014, (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. in relazione al contratto di mutuo fondiario stipulato il 20.5.2004 con (...) s.p.a. (a cui è subentrata l'odierna convenuta), chiedendo a codesto Tribunale: "1. Considerare che il mutuo oggetto di causa è usurario in ragione del fatto che al momento della pattuizione è stato convenuto un tasso di mora che sommato al valore della polizza di assicurazione e degli altri oneri accessori connessi all'erogazione del credito, si è determinato un travalicamento del tasso soglia di riferimento posto al 6,26%; 2. Delibare, anche alla luce dell'art. 6 del contratto di mutuo, che la Banca ha pattuito che il tasso di mora, in caso di ritardo, mancato pagamento ed anche in caso di risoluzione, non si sostituisce a quello corrispettivo, ma decorre su un montante omnicomprensivo del capitale, degli interessi corrispettivi e delle spese; 3. Considerare che la giurisprudenza indicata nella pars destruens del presente atto importi come riferimento fondamentale le direttive della (...) che per la Cassazione hanno, invece, un mero valore strumentale; 4. Ponderare, dunque, che la giurisprudenza indicata nella pars costruens, sub (...)), (...)) e (...)) di quest'atto, rilevi che l'interesse moratorio possa far parte del Teg al momento della pattuizione; 5. Ritenere perciò che, per effetto, dell'art. 644, comma 1, c.p. e dell'art. 1815, comma 2, c.c. , il mutuo oggetto di causa è usurario e non erano dovuti interessi; 6. Accertare e dichiarare che parte attrice ha pagato in linea capitale la somma di Euro 90.000,00 ed in linea di interessi la somma di Euro 21.265,79 (sino alla rata n. 216) come da evidenze della perizia econometrica in atti e, comunque, la diversa maggior somma in ragione degli ulteriori interessi corrisposti dopo tale rata e sono all'estinzione (31.10.2014); 7. Accertare e dichiarare che parte attrice ha diritto alla restituzione della somma di Euro 21.265,79, versata alla banca a titolo di interessi non dovuti sino alla rata n. 116 del 31.01.2014, oltre l'ulteriore somma versata a titolo di interessi sino all'estinzione del mutuo (31.10.2014); 8. Per l'effetto, condannare la banca a restituire all'attrice la detta somma di Euro 21.265,79, nonché le ulteriore somme effettivamente corrisposte a titolo di interessi sino all'estinzione del mutuo, comunque tutte quante maggiorate degli interessi a decorrere da questa domanda e sino all'effettivo soddisfo; 9. Con vittoria di spese ed onorari del presente giudizio". Si costituiva ritualmente in giudizio (...) s.p.a. in persona del rappresentante legale p.t. , chiedendo a codesto Tribunale: "In via preliminare, 1) dichiarare l'incompetenza per territorio del Tribunale di Gela a conoscere della presente causa, essendo la stessa di competenza territoriale del Tribunale di Piacenza; Nel merito, 2) rigettare tutte le domande svolte da parte attrice per essere integralmente infondate in fatto ed in diritto; 3) con vittoria delle spese, diritti ed onorari di causa". Nel corso dell'attività istruttoria, con ordinanza del 30.7.2015 il Giudice rigettava la richiesta di c.t.u. contabile ritenuta esplorativa e rinviava per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 12.4.2017, le parti precisavano le conclusioni e il Giudice poneva la causa in decisione con i termini ex art. 190, co.1, c.p.c. ; tuttavia, con ordinanza del 31.10.2017 il Giudice, tenuto conto della più recente giurisprudenza di legittimità (citando Cass. civ. n. 23192/2017), rimetteva la causa sul ruolo, disponendo espletarsi una c.t.u. contabile avente ad oggetto il contratto di mutuo per cui è causa. All'udienza del 9.1.2019, le parti precisavano le conclusioni; in particolare l'attrice si riportava alle conclusioni formulate in citazione, mentre la convenuta si riportava al "foglio di precisazione delle conclusioni" depositato telematicamente il 2.1.2019 (da ammettersi, sebbene irrituale, come parte integrante del verbale dell'udienza del 9.1.2019), con cui reiterava le medesime conclusioni già formulate in comparsa, e il nuovo Giudice istruttore poneva la causa in decisione con i chiesti termini ex art. 190, co. 1, c.p.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE L'attrice agisce in giudizio nei confronti di (...) s.p.a. in relazione al contratto di mutuo fondiario stipulato il 20.5.2004 con (...) s.p.a. (a cui è pacifico tra le parti che è subentrata l'odierna convenuta), assumendo l'usurarietà del tasso convenzionale degli interessi moratori per superamento del tasso soglia del 6,26%, sulla base dell'asserita sommatoria di interessi corrispettivi e moratori al fine della verifica del rispetto del tasso soglia e dell'asserita inclusione delle spese collegate all'erogazione del mutuo nel tasso convenzionale degli interessi moratori (cd. t.e.m.o.), e chiedendo, pertanto, a codesto Tribunale di accertare la non debenza degli interessi ex artt. 644 c.p. e 1815, co.2, c.c. e di condannare conseguentemente la banca convenuta alla restituzione della somma di Euro 21.265,79, asseritamente versata a titolo di interessi non dovuti sino alla rata n. 116 del 31.01.2014 e dell'ulteriore somma asseritamente versata a titolo di interessi sino all'estinzione del mutuo in data 31.10.2014, maggiorate degli interessi dalla data della domanda fino al soddisfo, nonché di condannarla al pagamento delle spese di lite. La banca convenuta eccepisce in via preliminare, l'incompetenza territoriale di codesto Tribunale in favore del Tribunale di Piacenza in base alla clausola di cui all'art. 10 del contratto di mutuo e nel merito, l'infondatezza in fatto e in diritto della domanda dell'attrice, chiedendone il rigetto con condanna alle spese di lite. In via preliminare, va rigettata l'eccezione di incompetenza territoriale dedotta dalla convenuta, per le ragioni che seguono. Ai sensi dell'art. 10 del contratto di mutuo per cui è causa, stipulato il 20.5.2004, le parti hanno pattuito che "qualora il mutuatario rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell'art. 1469bis c.c. è competente il foro nella cui circoscrizione questi ha la residenza o vi ha eletto domicilio" e che "per ogni effetto dipendente dal presente atto le parti eleggono domicilio: - la parte mutuataria in P., via C. sul L. n. 55" (v. all. 1, fasc. attrice); dalle prove documentali risulta, altresì, che l'attrice al momento della domanda, ossia alla data della notifica dell'atto di citazione del 21.11.2014, risiedeva a G. in via C. n. 56 (v. certificato storico di residenza, all. 1 della memoria ex art. 183, co.6, n.2, c.p.c. dell'attrice). Pertanto, in forza del foro alternativamente pattuito ai sensi dell'art. 10 del contratto, il Tribunale di Gela è territorialmente competente quale foro di residenza del consumatore al momento della domanda, in alternativa al Tribunale di Vicenza, quale foro del domicilio eletto dal consumatore in sede di stipula di contratto, conformemente a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'art. 33, co.2, lett. u, D.Lgs. n. 206 del 2005 recante il "Codice del consumo", che riproduce il previgente art. 1469bis c.c. richiamato nel contratto, ed in particolare il comma 3, n. 19, di tale disposizione (cfr. Cass. civ. , sez. VI, n. 181/2015, testualmente: "il domicilio elettivo del consumatore, ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), il quale, insieme alla residenza dello stesso consumatore al momento della domanda, è foro esclusivo ed inderogabile (a meno che la previsione di altri fori nel contratto sia stata oggetto di trattativa individuale) è esclusivamente quello che il consumatore può eleggere nel contratto all'atto della sua conclusione per tutte le vicende attinenti al contratto stesso, come stabilito dall'art. 47 c.c."; conforme già Cass. civ. , sez. VI, n. 10832/2011 e da ultimo Cass. civ. , sez. VI, n. 11389/2018). Nel merito, la domanda dell'attrice è infondata per le ragioni che seguono. La disciplina in materia di usura, azionata dall'attrice nel caso di specie, è dettata dal combinato disposto delle norme che seguono. Ai sensi dell'art. 644, co.3, c.p. , come modificato dalla L. n. 108 del 1996, "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari". Ai fini della individuazione di tale limite (cd. tasso soglia dell'usura), l'art. 2, co.4, L. n. 108 del 1996, nel testo vigente alla data di stipula del mutuo per cui è causa (20.5.2004), prevede che "il limite previsto dal terzo comma dell'art. 644 c.p. , oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà", con la precisazione di cui all'art. 644, co. 5, c.p. , come modificato dalla L. n. 108 del 1996, che "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito". Fermo restando che l'usura integra un reato punito dall'art. 644 c.p. , sul piano civilistico un rimedio speciale operante in caso di mutuo usurario è previsto dall'art. 1815, co.2, c.c. come modificato dalla L. n. 108 del 1996, ai sensi del quale "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". In sede di interpretazione autentica di cui all'art. 1, D.L. n. 394 del 2000, l. conv. n. 24/2001, il legislatore ha chiarito che "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, co.2, c.c. , si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". Con riferimento a tale quadro normativo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato quanto segue. Nel contratto di mutuo, rileva solo l'usura cd. originaria, non anche l'usura cd. sopravvenuta rispetto alla data di stipula, ossia il rimedio di cui all'art. 1815, co.2, c.c. opera solo se gli interessi convenzionali superano il tasso soglia dell'usura al momento della stipula, senza che rilevi l'eventuale superamento del tasso soglia nel corso del rapporto contrattuale (cfr. SS.UU. civili, n. 24675/2017, principio di diritto: "allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto"). Come desumibile dalla legge di interpretazione autentica ("interessi a qualunque titolo convenuti"), il tasso soglia si applica non solo agli interessi corrispettivi, ma anche agli interessi moratori (cfr. Corte cost. n. 29/2002: "il riferimento, contenuto nell'art. 1, co.1, D.L. n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori"; cfr. da ultimo, Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, testualmente: "L'art. 2 L. n. 108 del 1996 vieta di pattuire interessi eccedenti la misura massima ivi prevista. Questa norma s'applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d'un capitale o della dilazione d'un pagamento (interessi corrispettivi: art. 1282 c.c.), sia agli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.). Tale conclusione è l'unica consentita da tutti e quattro i tradizionali criteri di ermeneutica legale: l'interpretazione letterale, l'interpretazione sistematica, l'interpretazione finalistica e quella storica"). Con riferimento specifico agli interessi moratori, la giurisprudenza di legittimità, al dichiarato "fine di prevenire ulteriore contenzioso", ha di recente statuito due ulteriori notazioni (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). In primo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che "il riscontro dell'usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l'usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell'art. 2 L. n. 108 del 1996, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di "mora-soglia", ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia" (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). Si considera, quindi, arbitrario, in quanto privo di base normativa, il criterio individuato dalle circolari della (...), secondo cui il tasso soglia degli interessi moratori andrebbe individuato maggiorando di 2,1 punti percentuali il tasso soglia vigente per la categoria di operazioni di volta in volta in considerazione ai sensi dell'art. 2 L. n. 108 del 1996. Nel contempo, si chiarisce che la valutazione del rispetto del tasso soglia va operata separatamente per gli interessi corrispettivi e per gli interessi moratori, attesa la diversità ontologica e funzionale (cfr. art. 1282, co.1, c.c. e art. 1224, co.1, c.c.), senza procedere ad una indebita sommatoria, secondo un'interpretazione peraltro ormai consolidatasi nella giurisprudenza di merito, dopo i dubbi interpretativi inizialmente suscitati dalla nota sentenza della Cassazione civile, sez. I, n. 350/2013 (cfr. da ultimo, Trib. Milano, sez. VI, 06/06/2018, n. 6369, massima: "nessuna norma di legge consente di operare la sommatoria dei tassi di interesse corrispettivi e moratori al fine di rapportarne il risultato al tasso soglia; in sostanza, quindi, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero al più risultare usurarie, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che, nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi"; Trib. Catania, sez. IV, 28/02/2018, n. 957, massima: "per quanto attiene alla violazione della normativa di cui alla L. n. 108 del 1996 ai fini dell'accertamento del superamento del tasso di soglia non è corretto procedere alla sommatoria degli interessi corrispettivi e di quelli moratori; la differenza ontologica tra gli interessi moratori e quelli corrispettivi costituisce un elemento ostativo all'applicazione della regola del cumulo; in particolare, gli interessi moratori rientrerebbero tra quelle prestazioni accidentali, e perciò meramente eventuali, sinallagmaticamente riconducibili al futuro adempimento e destinate ad assolvere, in chiave punitiva, a una funzione di persuasione morale finalizzata al regolare adempimento da parte del debitore; perciò, la verifica dell'eventuale superamento del tasso di soglia deve essere autonomamente eseguita con riferimento a ciascuno delle due categorie di interessi senza sommatoria tra loro"). In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che "l'applicazione dell'art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale" (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). Si diversifica, quindi, il rimedio applicabile in caso di superamento del tasso soglia da parte degli interessi convenzionali, a seconda che abbiano funzione corrispettiva ovvero moratoria, con applicazione rispettivamente dell'art. 1815, co.2, c.c. ovvero dell'art. 1284, co.2, c.c. , previa declaratoria in entrambi i casi di nullità della clausola per violazione della norma imperativa di cui all'art. 644 c.p. , con sostituzione automatica ex art. 1419, co.2, c.c. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in base al principio di omnicomprensività sancito dall'art. 644, co. 5, c.p., come modificato dalla L. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del rispetto del tasso soglia, nel tasso convenzionale vanno incluse tutte le spese correlate all'erogazione del mutuo, con la sola esclusione di quelle per imposte e tasse (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 5160/2018). Applicando tali coordinate normativo-giurisprudenziali al caso di specie, le doglianze di parte attrice risultano infondate per le ragioni che seguono. Il contratto per cui è causa è un contratto di mutuo fondiario di cui agli artt. 38 ss. D.Lgs. n. 385 del 1993, recante il "Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia" (cd. T.U.B.), stipulato il 20.5.2004 a rogito del notaio (...), n. rep. (...), n. racc. (...) (v. all. 1, fasc.attrice), con cui la (...) s.p.a. (a cui è pacifico tra le parti che è subentrata l'odierna convenuta (...) s.p.a.) ha mutuato all'odierna attrice (...) il capitale di Euro 90.000,00, da restituirsi ai sensi dell'art. 3 del contratto in 10 anni con pagamento di 120 rate mensili, comprensive di capitale e interessi, con decorrenza dall'1.6.2004 e con scadenza l'ultimo giorno del mese dal 30.6.2004 al 31.5.2014, con pattuizione di interessi corrispettivi ai sensi dell'art. 5 del contratto al t.a.n. del 3,6% alla data della stipula, variabile successivamente ogni mese in misura pari alla media mensile, relativa al mese precedente e arrotondata al centesimo superiore, del tasso EURIBOR a sei mesi con divisore 365 ovvero 366 se anno bisestile, rilevato dalla Federazione B.E. e pubblicato di norma su Il Sole 24 Ore, maggiorato di uno spread dell'1,5%, e "in ogni caso" in misura non superiore al limite massimo previsto dalla L. n. 108 del 1996. Con riferimento specifico agli interessi moratori per cui è causa, l'art. 6 del contratto prevede che "Ogni somma dovuta e non pagata alla scadenza, sia nel caso di ritardo nel pagamento delle rate per capitale, interesse, spese ed accessori come pure nel caso di risoluzione del contratto o di decadenza del beneficio del termine (o di procedure concorsuali a carico della parte mutuataria), produrrà di pieno diritto a favore della banca l'interesse di mora del 2,5% annuo in più del tasso tempo per tempo applicato al finanziamento, per tutto il periodo che decorrerà dal giorno della scadenza a quello dell'effettivo pagamento; in ogni caso il tasso di mora non potrà essere superiore al limite massimo previsto ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108. Su detti interessi non è consentita la capitalizzazione periodica" (v. all. 1, fasc. attrice). Il contratto per cui è causa (v. all. 1, fasc.attrice), tenuto conto della tipologia negoziale (mutuo fondiario ex art. 38 ss. T.U.B. , v. intestazione del contratto e tenore del regolamento contrattuale), del criterio pattizio di calcolo degli interessi corrispettivi (v. art. 5 del contratto) e della data di stipula (20.5.2004), è sussumibile nella categoria dei contratti di mutuo ipotecario a tasso variabile, con tasso soglia ex art. 2 L. n. 108 del 1996, vigente per il 2 trimestre 2004, pari al 6,255% (ossia TEGM rilevato del 4,17% aumentato della metà, v. D.M. 17 marzo 2004), rispetto a cui va confrontato il tasso convenzionale degli interessi moratori di cui all'art. 6 del contratto, vigente al momento della stipula del contratto (20.5.2004), considerandolo separatamente rispetto al tasso convenzionale degli interessi corrispettivi di cui all'art. 5 del contratto, e senza operare alcuna maggiorazione del tasso soglia rilevato ex art. 2, L. n. 108 del 1996, in ossequio alla citata giurisprudenza di legittimità. In particolare, ai sensi del citato art. 6 del contratto il tasso convenzionale degli interessi moratori è pari al "2,5% annuo in più del tasso tempo per tempo applicato al finanziamento"; dunque, al momento della stipula (20.5.2004) il tasso convenzionale degli interessi moratori era pari al tasso degli interessi corrispettivi pattuito ex art. 5 del contratto al 3,6% come T.A.N. ovvero al 3,846 % come T.A.E.G. o I.S.C., maggiorato del 2,5% ex art. 6 del contratto, ossia era pari al 6,1%, come tale entro il tasso soglia del 6,255%, se si muove come base di calcolo dal T.A.N., ovvero era pari al 6,346%, come tale superiore al tasso soglia del 6,255%, se si muove come base di calcolo dal T.A.E.G. , fermo restando che il contratto prevede espressamente sia per gli interessi corrispettivi ex art. 5 sia per gli interessi moratori ex art. 6 che "in ogni caso il tasso non potrà essere superiore al limite massimo previsto ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108", sicché anche se si aderisse alla seconda modalità di calcolo, muovendo come base di calcolo dal T.A.E.G. o I.S.C. (cd. T.E.M.O.), il tasso convenzionale degli interessi moratori, dovendo ridursi per espressa pattuizione contrattuale al 6,255%, sarebbe comunque rispettoso del tasso soglia. In buona sostanza, proprio la clausola di salvaguardia "in ogni caso il tasso non potrà essere superiore al limite massimo previsto ai sensi della L. 7 marzo 1996, n. 108", prevista in contratto sia per gli interessi corrispettivi ex art. 5 sia per gli interessi moratori ex art. 6, rende la pattuizione contrattuale valida in quanto rispettosa dell'art. 644 c.p. Alla luce delle superiori considerazioni, conformi al summenzionato assetto normativo come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la domanda di parte attrice va rigettata, essendo infondato l'assunto su cui si basa, ossia la pattuizione nel contratto per cui è causa di un tasso convenzionale degli interessi moratori superiore al tasso soglia dell'usura. Le spese processuali seguono la soccombenza (art. 91, co.1, c.p.c.) e, per quanto attiene alla quantificazione, le spese di lite sono liquidate come in dispositivo, in applicazione dei parametri tabellari medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenendo conto della natura della causa (giudizio ordinario di cognizione dinanzi al Tribunale), del valore della causa come da domanda (Euro 21.265,79) e della attività difensiva in concreto svolta (4 fasi di media complessità), mentre le spese di c.t.u. contabile sono liquidate con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Gela, in persona del Giudice monocratico, definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 1644/2014 R.G. , rigetta la domanda formulata da parte attrice; condanna (...) (c.f. (...)) al pagamento delle spese di lite in favore di (...) (p.i. (...)) in persona del rappresentante legale p.t. , liquidandole in Euro 4.835,00 per compensi (di cui: per fase di studio Euro 875,00, per fase introduttiva Euro 740,00, per fase istruttoria e/o di trattazione Euro 1.600,00, per fase decisionale Euro 1.620,00), oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. nella misura di legge, nonché al pagamento delle spese della c.t.u. contabile nella misura da liquidarsi con separato decreto. Così deciso in Gela l'11 giugno 2019. Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA - SEZIONE CIVILE- Il Tribunale di Gela, in composizione monocratica in persona del Giudice onorario dott. Giuseppe Vacirca, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 79/2015 R.G. PROMOSSA (...), nato a G. il (...) ed ivi residente in via S. n. 23, C.F. (...), elettivamente domiciliato in G., nella via D. n, 78, rappresentato e difeso dall'Avv. Sa.Do. Attore CONTRO COMUNE DI GELA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Ti.Ra. Convenuto Oggetto: risarcimento danni responsabilità extracontrattuale - insidia stradale - art. 2051 cod. civ. Concisa esposizione del fatto e dei motivi della decisione Con atto di citazione notificato in data 15.01.2015 il sig. (...) ha convenuto in giudizio, dinnanzi a questo tribunale ordinario, il Comune di Gela in persona del suo legale rappresentante pro tempore al fine di veder accertata la responsabilità dell'ente convenuto e con conseguente condanna al risarcimento del danno alla persona e di quello patrimoniale in conseguenza dell'evento verificatosi in Gela in data 24.5.2014 alle ore 21.30 circa. L'attore assume che nelle suddette circostanze di tempo e di luogo si trovava a percorrere viale (?) allorquando accingendosi ad attraversare la strada nei pressi del civico n.21, inciampava in una catena di metallo non segnalata e cadeva a terra riportando lesioni alla persona localizzate al volto; che i traumi riportati risultano certificati nel referto di pronto soccorso allegato agli atti di causa per i quali, a guarigione avvenuta, ne sono residuati postumi permanenti; che in data 27.05.2014, veniva dimesso con diagnosi di "Trauma facciale, frattura della parete laterale e del pavimento dell'orbita, frattura della parete del seno mascellare con (EMOSENO) e dell'osso zigomatico sn; enfisema dei tessuti molli"; che in data 01.10.2014 veniva nuovamente sottoposto a visita medica presso lo studio del Dott. (...), il quale diagnosticava "Esiti estetici di tipo moderato da pregressa flc in zona palpebrale sn; Grave ipoacusia bilaterale post traumatica. Esiti da pregressa frattura pluriframmentaria della parete laterale e del pavimento dell'orbita. Esiti da frattura pluriframmentaria della parete del seno mascellare e dell'osso zigomatico sn" ed attestava l'avvenuta guarigione con i superiori esiti invalidanti; l'attore assume inoltre che le richieste risarcitorie avanzate nei confronti dell'Ente convenuto (giusta produzione documentale in atti) sono rimaste inevase. In seno al conclusum dell'atto introduttivo del giudizio, previo accertamento di responsabilità dell'Ente locale ex artt.2051 e/o 2043 c.c., viene chiesta la condanna del convenuto al pagamento della complessiva somma di Euro. 34.295,05 a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale. Si è costituito il Comune di Gela contestando l'addebito di responsabilità; adducendo una responsabilità esclusiva dell'attore nella causazione dell'evento per imprudente condotta; ha contestato anche il quantum risarcitorio ritenuto eccessivo e non provato; Concessi i termini ex art. 183 6 comma , la causa è stata istruita con la prova testimoniale richiesta da entrambe le parti, a cui è seguita la nomina del consulente medico legale per la qualificazione e quantificazione del danno alla persona. Espletata l'istruzione, a seguito della riassegnazione del procedimento a questo giudice unico, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza all'uopo fissata le parti hanno definitivamente rassegnato le conclusioni, la causa assegnata in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. ; le parti hanno prodotto la rispettiva memoria conclusionale. La domanda risarcitoria di parte attrice va accolta per le ragioni di cui in motivazione. Sull'an dell'evento e della sua imputazione. E' d'uopo rilevarsi come l'art. 2697 c.c. imponga all'attore che intende far valere in giudizio un proprio diritto, l'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Tale regola fa sì che l'attore che invochi la sussistenza di un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, debba fornire la prova degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità descritta dall'art. 2043 c.c., e cioè: a) della sussistenza del fatto commissivo od omissivo che si assume illecito; b) del dolo o della colpa, quali coefficienti soggettivi che devono caratterizzare il fatto; c) della sussistenza di un "danno ingiusto", e cioè di una lesione non giustificata di un proprio interesse meritevole di tutela (c.d. danno evento), con la puntualizzazione che se la lesione riguarda un diritto della persona costituzionalmente garantito, ovvero negli altri casi espressamente previsti dalla legge interna o comunitaria (art. 2059 c.c.) è ammesso il risarcimento del danno non patrimoniale; d) del nesso di causalità tra fatto doloso o colposo e danno evento; e) della sussistenza di un pregiudizio che consegua direttamente e immediatamente alla lesione (c.d. danno conseguenza: art. 1223 c.c.). In alternativa, se la domanda è azionata ex art. 2051 c.c. l'attore deve unicamente limitarsi a dare la prova del nesso causale tra la res in custodia e il danno, salvo ed impregiudicato il diritto di parte convenuta della prova del caso fortuito. Orbene ritiene questo decidente che l'istruzione probatoria espletata abbia dato prova dei fatti costitutivi della pretesa di parte attrice. Il fatto storico è rimasto provato dalla cartella clinica di pronto soccorso attestante le cure e gli accertamenti clinici effettuati dai sanitari del locale ospedale sulla persona dell'attore a poca distanza temporale dall'accadimento del fatto. L'escussione testimoniale espletata ha ulteriormente confermato gli assunti di parte attrice. I testi escussi sono da ritenersi attendibili; gli stessi hanno confermato di trovarsi sui luoghi al momento in cui l'attore cadeva al suolo inciampando nella catena. Entrambi hanno confermato che il luogo in cui l'attore è caduto era scarsamente illuminato. Entrambi hanno dichiarato di aver aiutato l'attore a rialzarsi e di averlo accompagnato al pronto soccorso. Entrambi hanno confermato che la situazione dei luoghi era quella raffigurata nelle foto prodotte in atti ed allegati alla relazione tecnica di parte attrice. Sul punto dice bene parte convenuta quando afferma che la relazione tecnica di parte non costituisce prova certa bensì elemento indiziario; dimentica però che tale documento, in concorso alle ulteriori risultanze probatorie emerse nel corso dell'istruttoria, può avvalorare il convincimento del giudice. Ed ecco allora che le dichiarazioni testimoniali che parte convenuta ritiene inattendibili trovano conforto nelle foto nn. 7, 8 e 9 da cui è dato evincersi che la catena che ha provocato il danno contiene in se gli elementi indispensabili per essere considerata "insidia". La foto n. 7 , scattata con prospettiva verso il mare, ci mostra una catena che per il suo colore appare perfettamente mimetizzata con il manto stradale; essa appare inoltre in non perfetta tensione e tale da non poter essere avvistata, se non al momento dell'inciampo, dai pedoni che si trovano ad attraversare la strada. Le foto n. 5 e 6 evidenziano che lungo il tragitto che va dal marciapiedi adiacente l'edificio del Comune di Gela a quello opposto esistono ancora tracce evidenti di strisce pedonali da cui se ne può dedurre che lo stesso Comune di Gela abbia ritenuto quel tratto idoneo all'attraversamento. Si aggiunga inoltre che per chi procede nella direzione percorsa dall'attore la non percezione dell'ostacolo viene aggravata dal fatto che, nelle ore pomeridiane il pedone si trova ad essere abbagliato dalla luce del sole. Circostanza, questa, che avrebbe dovuto indurre il Comune di Gela ad utilizzare ogni ulteriore e semplice espediente atto a segnalare la presenza dell'ostacolo; sarebbe bastato l'utilizzo di una catena plastificata bicolore o l'apposizione di uno o più cartelli segnalatori di pericolo sulla catena ad evitare che l'attore cadesse a terra. Nessun elemento di prova ha quindi fornito il convenuto Comune di Gela a sostegno dell'esimente a suo favore del caso fortuito, condizione necessaria ad interrompere il nesso causale tra la res e l'evento lesivo. Sul punto basti brevemente osservare che ove la cosa oggetto di custodia abbia avuto un ruolo nella produzione dell'evento, a tanto deve limitarsi l'allegazione e la prova da parte del danneggiato; incombe poi al custode o negare la riferibilità causale dell'evento dannoso alla cosa, ciò che esclude in radice l'operatività della norma, cioè dare la prova dell'inesistenza del nesso causale, oppure dare la prova della circostanza, che solo a prima vista potrebbe coincidere con la prima, che il nesso causale sussiste tra l'evento ed un fatto che non era né prevedibile, né evitabile (il caso fortuito appunto) Su quest'ultimo punto, la recente Cass. ord. 31/10/2017, n. 25837, ha puntualizzato che il caso fortuito è ciò che non può prevedersi (mentre la forza maggiore è ciò che non può evitarsi), per poi giungere, dopo un'accurata disamina del ruolo della condotta del danneggiato, alla conclusione che anche questa può integrare il caso fortuito ed escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., ma solo purché abbia due caratteristiche: sia stata colposa, e non fosse prevedibile da parte del custode. (ex multis e di recente Corte di Cassazione - sez. III civile - sentenza n. 2482 01.02.2018). La prospettazione difensiva del convenuto, con cui si imputa a parte attrice la responsabilità esclusiva della causazione del danno, è rimasto sfornito si supporto probatorio. In subiecta materia "quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozi one delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso" (espressamente in tali termini: Cass. 06/05/2015, n. 9009; in precedenza, peraltro, già Cass. 10300/07). In altri termini, se è vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto (Cass. 17/10/2013, n. 23584), è altrettanto vero che l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch'essa a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata. Ritiene questo decidente che nulla possa essere imputato all'attore circa la causazione dell'e vento. Giova puntualizzarsi che in fattispecie analoga a quella esaminata nel presente giudizio, la Suprema Corte ha confermato la decisione resa dalla Corte di appello di Catanzaro che aveva ritenuto responsabile la società titolare di un parcheggio per la caduta di un pedone inciampato su una catena (cfr. Cass. Civile sent. n. 7407/17). Ora, che il mancato intervento dell'ente proprietario a fronte della presenza di un pericolo occulto costituisca un chiaro sintomo della negligenza di quest'ultimo, invero tenuto a garantire la sicurezza della rete viaria, nessuno può dubitare. Per andare esente da responsabilità, alla pubblica amministrazione sarebbe stato sufficiente rimuovere il pericolo occulto, quanto meno con la semplice apposizione di segnaletica di pericolo. Giova brevemente osservare che la giurisprudenza civile ha più volte affermato che "nell'esercizio del suo potere discrezionale inerente alla esecuzione e manutenzione di opere pubbliche la p.a. incontra limiti derivanti sia da norme di legge, regolamentari e tecniche, sia da regole di comune prudenza e diligenza, prima fra tutte quella del "neminem laedere" in ossequio alla quale essa è tenuta a far sì che l'"opus publicum" non integri per l'utente gli estremi di una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto). Tale situazione ricorre, in particolare, quando lo stato dei luoghi è caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso" Cass. Civ., Sez. III, 5 luglio 2001, n. 9092. Da quanto detto ne discende, nel caso di specie, l'addebito di responsabilità in capo al comune di Gela ai sensi e per gli effetti dell'art. 2043 c.c. avendo parte attrice assolto all'onere della prova in merito ai requisiti fondamentali della res quale elemento causativo del danno. A fortiori, la responsabilità dell'Ente va affermata anche ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c. , situazione in cui l'onere probatorio è meno gravoso in capo all'attore, essendo rimasto integrata la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. e l'assenza di prova circa la responsabilità concorrente in capo all'attore e/o ipotesi di caso fortuito e forza maggiore. Sul quantum risarcitorio La qualificazione e quantificazione del danno alla persona dell'attore è stato affidato all'ausiliario del giudice, dott. (...). Dall'elaborato è dato leggersi che sussiste nesso di causalità tra evento traumatico e le lesioni riportate dall'attore nella caduta per cui è causa e ciò sotto molteplici criteri medico legali, fra i quali quello Etiopatogenetico, Topografico, Cronologico. Sono state, nello specifico, valutate determinate patologie preesistenti all'evento traumatico; il CTU conclude accertando che l'attore, in seguito al sinistro per cui è causa, ha riportato "Ferita lacero-contusa dell'arcata sovra orbitaria sinistra; Contusione escoriata della Regione zigomatico-mascellare sinistra. Fratture pluriframmentarie del pavimento e della parete laterale dell'orbita sinistra, della parete laterale del seno mascellare sinistro con emoseno e dell'osso zigomatico sinistro, accertate con esame tac del massiccio facciale 24.5.2014. Contusione escoriata della superficie anteriore del ginocchio sinistro; Contusione escoriata della superficie anteriore del terzo distale della gamba destra". La menomazione dell'integrità psico-fisica del danneggiato, è stata determinata in misura pari all'8% di danno biologico permanente; il danno biologico temporaneo è stato determinato in giorni 30 al 100% , giorni 18 al 75%, giorni 20 al 50%. Le spese mediche sono state ritenute giustificate e congrue in Euro. 1.960,80 Si ritiene di poter aderire alle conclusioni raggiunte dalla consulenza, la quale appare esaustiva ed immune da vizi logici e può essere posta a fondamento della qualificazione e quantificazione del danno. Per il ristoro dei suddetti pregiudizi, risulta applicabile quanto previsto dalle tabelle ex art. 139 D.Lgs. n. 209 del 2005 (aggiornate al D.M. 17 luglio 2017), riferite ai pregiudizi cosiddetti micropermanenti; Il grado di invalidità permanente, riconosciuto secondo i parametri sopraindicati e in rapporto all'età del soggetto danneggiato alla data del sinistro, è risarcito con Euro 9.626,02. Il danno all'integrità psicofisica temporaneo, invece, si liquida complessivamente in Euro 2.518,25; il danno morale in Euro 4.047,69, e così per un totale di Euro. Euro 16.191,96 all'attualità. Gli importi liquidati a titolo di danno biologico devono poi essere devalutati alla data del fatto e le somme così risultanti devono essere quindi rivalutate fino alla data della presente sentenza, mediante l'applicazione degli indi ci ISTAT f.o.i. Per il calcolo degli interessi c.d. "compensativi" si fa riferimento al criterio stabilito dalle S.U. della Corte di Cassazione nella sent. n. 1712 del 1995, secondo la quale detti interessi vanno calcolati inizialmente sull'importo del danno come liquidato alla data del fatto e, successivamente, sulle ulteriori frazioni via via risultanti dalla rivalutazione annuale operata sulla base dei citati indici ISTAT. Si perviene quindi ad una somma da corrispondersi pari a Euro 16.505,31 A seguito della conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione giudiziale del danno, spettano inoltre gli ulteriori interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo, trasformandosi il debito di valore in debito di valuta. Il danno patrimoniale per spese mediche è stato determinato in Euro. 1.960,80. Le spese processuali seguono l'ordinario principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del decisum, dell'attività e delle caratteristiche obiettive delle difese svolte e dall'assenza di particolari questioni di fatto e di diritto. Le spese dell'espletata CTU, restano definitamente a carico di parte convenuta soccombente nell'importo determinato da separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale di Gela , quale giudice unico, nella persona del giudice onorario dott. Giuseppe Vacirca, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe così decide: Accoglie la domanda di parte attrice per le ragioni di cui in motivazione; Dichiara il Comune di Gela responsabile dei danni alla persona riportati (...) in conseguenza del sinistro avvenuto in data 24.5.2014 e lo condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subito dall'attore nella quantificata misura di Euro 16.505,31 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo oltre Euro.1.960,80 per danno patrimoniale. Condanna il Comune di Gela alla rifusione delle spese e compensi di giudizio a favore dell'attrice nella misura di Euro. 2.800,00 oltre al 15% del compenso per spese generali, iva e cpa oltre c.u. con distrazione a favore del procuratore costituito in giudizio di parte attrice per averne fatto espressa richiesta. Pone le spese di consulenza tecnica in capo alla parte soccombente Comune di Gela come da separato decreto. Così deciso in Gela, il 10 giugno 2019. Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA - SEZIONE CIVILE- Il Tribunale di Gela, in composizione monocratica, in persona del Giudice onorario dott. Giuseppe Vacirca, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 56/2014 R.G. PROMOSSA da (...), nato a G. il (...) ed ivi residente nella via (...), C.F. (...), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'Avv. Em.Ma., Attore CONTRO 1. (...), C.F. (...), rappresentato e difeso dall'avv. Gi.Ca. del foro di Gela; 2. (...), C.F. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Ca. del foro di Gela; 3. (...) - Rappresentanza Generale per l'Italia, P.iva (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Ra. del foro di Salerno; Convenuti Concisa esposizione del fatto e dei motivi della decisione Co atto di citazione notificato il 15 16 gennaio 2014 il Sig. (...) ha convenuto in giudizio, avanti questo tribunale ordinario di Gela, (...), (...) e la (...), chiedendo la condanna dei predetti, in ragione delle rispettive qualità, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (nelle sue diverse componenti) patito in conseguenza del sinistro verificatosi in data 24.11.2012 verso le ore 12.00 circa in Gela. L'attore assume che nelle suddette circostanze di tempo e di luogo percorreva a bordo della propria bicicletta la via N.; che all'altezza del civico n. 33/35, a causa della repentina ed azzardata manovra posta in essere dal sig. (...) (apertura della portiera lato guida dell'autovettura fiat Lancia Y tg. (...) di proprietà della convenuta (...)) l'attore era costretto ad una brusca frenata nel tentativo di evitare l'impatto; che in conseguenza della manovra la bici si ribaltava e l'attore finiva a terra riportando lesioni che hanno reso necessario il trasporto in ospedale con referto di: "Fratture multiple composte dell'osso frontale, frattura ossa proprie del naso, frattura composta della squama temporo - parietale dx, frattura della parte anteriore, posteriore, bilaterale del pavimento dell'orbita dx con emoseno, escoriazioni multiple al volto, alla spalla dx e al ginocchio dx". Per i traumi de quibus, l'attore assume di aver riportato un danno permanente che avrebbe inciso sugli aspetti dinamico relazionali. A seguito delle richieste risarcitorie rimaste inevase l'attore si è determinato ad intraprendere azione giudiziale. In seno al conclusum dell'atto introduttivo del giudizio, previa imputazione del danno, viene chiesta la condanna dei convenuti al pagamento della somma complessiva di Euro. 88.659,00 a titolo di danno non patrimoniale oltre Euro.725,81 per danno patrimoniale da spese mediche. Si sono costituiti i convenuti negando l'addebito di responsabilità e ritenendo che l'evento sia attribuibile alla condotta di guida dell'attore che, a causa dell'elevata velocità della bici, ha dato causa ad un incidente del tutto autonomo e non legato al comportamento tenuto dalla (...) nell'occasione. Contestato anche il quantum risarcitorio ritenuto eccessivo e non provato. La causa è stata istruita con l'interrogatorio formale del convenuto (...) e la prova testimoniale richiesta da parte attrice e parte convenuta. A seguito delle prove orali è stata disposta consulenza medico - legale per la qualificazione e quantificazione del danno alla persona dell'attore. Espletata l'istruzione, a seguito del deposito dell'elaborato peritale, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni dinnanzi a questo giudice unico, stante la decadenza dalle funzioni per raggiunti limiti di età del precedente istruttore onorario. Le parti hanno rassegnato le conclusioni all'udienza all'uopo fissata, la causa assegnata in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c.; le parti hanno depositato memorie conclusionali le repliche. La domanda risarcitoria di parte attrice è fondata e va accolta nei limiti di cui in dispositivo. In via P. destituita di fondamento è l'eccezione di improcedibilità della domanda per violazione del disposto normativo di cui agli artt. 145 e 148 codice delle assicurazioni, già peraltro implicitamente rigettata dal precedente giudice designato alla trattazione del procedimento, si ritiene di aderire a quella parte della giurisprudenza che opta per un'interpretazione meno rigorosa del portato normativo suddetto. Vero è che "....la richiesta di risarcimento dei danni causati dalla circolazione stradale, deve essere formulata nell'osservanza delle prescrizioni dell'art. 148 c. ass. (fra cui l'indicazione del codice fiscale, dei dati relativi al reddito, all'età, all'attività lavorativa, all'entità delle lesioni subite e l'allegazione della attestazione medica di avvenuta guarigione e di cui all'art. 142 comma 2 c. ass.). L'omissione delle prescritte indicazioni configura una carenza del contenuto di un atto formale tipico contemplato dall'ordinamento quale condizione di proponibilità della domanda e in quanto tale si sottrae alla disciplina dell'art. 156, comma 2 e 3, c.p.c. riguardante i soli atti processuali, con la conseguente improponibilità della domanda giudiziale, fermo restando il valore interruttivo della prescrizione e l'inerenza della pronuncia ai soli profili procedurali......". (cfr. Tribunale Torino, sez. IV, 17 ottobre 2007). Non bisogna però dimenticare che se la richiesta di risarcimento presentata dal danneggiato o dall'avente diritto è incompleta, l'impresa di assicurazione, ai sensi dell'articolo 148 CdA, è tenuta a richiedere al danneggiato le necessarie integrazioni entro 30 giorni. Ne segue che i termini per formulare l'offerta, in simili ipotesi, si interrompono e decorrono nuovamente dalla data di ricezione dei dati o dei documenti integrativi richiesti. Applicando i superiori principi al caso di specie è incontrovertibile che l'attore abbia avanzato formale diffida e costituzione in mora della convenuta a mezzo raccomandata a.r. versata in atti; che contestualmente ebbe a richiedere la nomina di medico legale fiduciario della compagnia convenuta al fine di sottoporsi agli accertamenti finalizzati alla quantificazione e liquidazione del danno; che la bici venne sottoposta ad accertamento peritale da parte del fiduciario della compagnia; che nessuna richiesta di integrazione documentale risulta agli atti del fascicolo della convenuta Donau; Sull'an dell'evento. E' d'uopo rilevarsi come l'art. 2697 c.c. imponga all'attore che intende far valere in giudizio un proprio diritto, l'onere di fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Tale regola fa sì che l'attore che invochi la sussistenza di un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, debba fornire la prova degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità descritta dall'art. 2043 c.c., e cioè: a) della sussistenza del fatto commissivo od omissivo che si assume illecito; b) del dolo o della colpa, quali coefficienti soggettivi che devono caratterizzare il fatto; c) della sussistenza di un "danno ingiusto", e cioè di una lesione non giustificata di un proprio interesse meritevole di tutela (c.d. danno evento), con la puntualizzazione che se la lesione riguarda un diritto della persona costituzionalmente garantito, ovvero negli altri casi espressamente previsti dalla legge interna o comunitaria (art. 2059 c.c.) è ammesso il risarcimento del danno non patrimoniale; d) del nesso di causalità tra fatto doloso o colposo e danno evento; e) della sussistenza di un pregiudizio che consegua direttamente e immediatamente alla lesione (c.d. danno conseguenza: art. 1223 c.c.). Orbene ritiene questo decidente che l'istruzione probatoria espletata abbia dato prova dei fatti costitutivi della pretesa di parte attrice. In primis il fatto è rimasto accertato dal verbale dei rilievi del sinistro redatto dalla Polizia Municipale intervenuta sui luoghi che, per come si evince in atti, è stato impugnato da parte attrice relativamente all'infrazione contestata, mentre analoga impugnazione non è stata effettata dal convenuto (...) (circostanza confermata in sede di interrogatorio formale); Il fatto risulta ulteriormente suffragato dalla cartella clinica della degenza predisposta dai sanitari oltre che dagli accertamenti clinici e strumentali disposti sulla persona dell'attore in ospedale. Anche la prova testimoniale avvalora sia l'an che la sua imputabilità in capo al convenuto (...). Il teste M., escusso all'udienza del 23.3.2015, ha dichiarato: "uscivo dal tabaccaio ed ho visto la dinamica dell'incidente che si è verificato in via N.. Il tabacchino si trova di fronte al punto in cui si è verificato il sinistro. Ho visto la bicicletta percorrere la via N. accanto alla macchina e il conducente di quest'ultima improvvisamente ha aperto lo sportello lato giuda causando la caduta della bicicletta. La bicicletta è caduta vicino alla macchina ed io ho soccorso il danneggiato con altre persone che erano sul posto ed abbiamo chiamato l'ambulanza. Sono intervenuti i vigili.... La macchina e la bicicletta erano in direzione via V. ... La bicicletta viaggiava a velocità moderata". Le dichiarazioni de quibus devono ritenersi attendibili per l'assoluta estraneità del teste a qualunque rapporto con la parte attrice (il teste ha dichiarato di non essere legato al Cafà da rapporto alcuno di amicizia né di conoscerlo prima del sinistro); quanto all'affermazione finale del teste che, a specifica domanda a chiarimento, ha dichiarato di aver "visto l'urto con lo sportello e il tentativo del ciclista di evitarlo" ritiene questo decidente che essa non sia in contrasto con le dichiarazioni precedentemente rese; è ben plausibile che il ciclista, nel tentativo di evitare l'ostacolo improvviso ed imprevisto abbia urtato con il corpo la portiera lato guida della vettura dello (...) senza che tale urto abbia lasciato traccia alcuna dell'impatto sul mezzo. Prova ne sia che la relazione tecnica effettuata dal fiduciario della compagnia di assicurazioni convenuta attesta che nei mezzi coinvolti, e nella bici in particolare, non risultano tracce di urto (in quest'ultima solo danni derivanti dalla caduta al suolo). L'evento lesivo si può quindi imputare al conducente dell'autovettura (...) il quale nell'aprire la portiera ha violato la statuizione di cui all'art.157 comma 7 cds che pone una presunzione di responsabilità in capo a chi apre lo sportello, stabilendo esplicitamente il "divieto a chiunque di aprire le porte di un veicolo, di scendere dallo stesso, nonché di lasciare aperte le porte, senza essersi assicurato che ciò non costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada". Pacifica è sul punto la giurisprudenza di merito e legittimità (cfr Cass. sent. n. 20482/17; ex multis Cass. n. 33602/2016) Nonostante quanto stabilito dall'art. 157, comma 7, del Codice della Strada, la legge consente sempre la prova contraria per liberarsi (in tutto o in parte) dalla presunzione di responsabilità che consiste nel dimostrare che l'incidente è avvenuto per responsabilità del mezzo antagonista che, ad esempio, procedeva non rispettando le regole della circolazione. Ebbene, nel caso di specie parte convenuta non è riuscita a dimostrare l'effettiva violazione da parte dell'attore di alcuna norma del codice stradale, idonea, come tale, a costituire fatto estintivo, modificativo o limitativo della responsabilità del convenuto (...). Nello specifico la prova testimoniale di parte convenuta resa dal teste (...) non appare convincente allorquando afferma - contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto (...) (in sede di sommarie informazioni rese ai VV.UU.) - che il proprio fratello aveva già attraversato la strada dopo aver chiuso lo sportello per poi tornare indietro richiamato dai figli rimasti in macchina e che solo nel momento in cui si riapprestava ad attraversare nuovamente la strada vedeva il ciclista cadere senza urtare lo sportello. Di tale complessa dinamica nulla riferisce il convenuto (...) ai Vigili verbalizzanti. Sul quantum La qualificazione e quantificazione del danno alla persona dell'attore è stato affidato all'ausiliario del giudice dott. (...) che - con argomentazioni logiche e prive di elementi di contraddittorietà, dunque pienamente esaustive, condivisibili e che questo giudicante ritiene di far proprie alla luce della documentazione in atti - ha riscontrato che l'attore a seguito della caduta ha riportato "fratture multiple composte dell'osso frontale; fratture delle ossa proprie del naso; frattura composta della squama temporo-parietale dx; frattura della parete anteriore, posterolaterale e del pavimento dell'orbita dx con emoseno; flc allo zigomo dx; escoriazioni multiple al volto, alla spalla dx, alla mano sx ed al ginocchio dx" In sede di operazioni peritali il consulente tecnico ha rilevato che all'attore sono residuati danni a carattere permanente consistenti in: "sequele subiettive di trauma cranico; lievissima asimmetria facciale; cicatrice obliqua di cm 3 regione oculo-zigomatica dx; area discromica di cm 2 x cm 0,6 regione frontale dx; area ipocromica di cm 2,5 x cm1 regione rotulea dx; esiti di fratture multiple composte dell'osso frontale, fratture delle ossa proprie del naso, frattura composta della squama temporo-parietale dx, frattura della parete anteriore, postero-laterale e del pavimento dell'orbita dx da trauma cranio-facciale". In merito alla quantificazione percentuale delle singole voci, l'ausiliario del giudice ha accertato che "dopo un riscontro con le guide "B." e "L." e le tabelle del D.M. n. 211 del 03 luglio 2003, la percentuale invalidante è da valutare nella misura 12% Quanto all'invalidità temporanea totale è stata di giorni 13 (tredici); quella temporanea parziale è stata di giorni 55 (cinquantacinque), dei quali, 24 (ventiquattro) al 75%, 22 (ventidue) al 50% e 9 (nove) al 25%. In sede di risposta agli ulteriori quesiti il CTU ha accertato che le lesioni sono causalmente riconducibili all'incidente e che i postumi permanenti presentano nesso di causalità diretta con le lesioni accertate; Per il ristoro dei suddetti pregiudizi, essendo inapplicabili le tabelle di cui all'art. 139 D.Lgs. n. 209 del 2005 (D.M. 20 giugno 2014), riferite ai pregiudizi cosiddetti micropermanenti, si applicheranno i parametri elaborati dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile del Tribunale di Milano, stante la necessità che il criterio di liquidazione equitativa di cui all'articolo 1226 c.c. non implichi l'assenza di qualsiasi uniformità sul territorio nazionale, ed essendo tali parametri già ampiamente diffusi e riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità quali gli indici idonei(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011). A questo punto è necessario accertare se la richiesta di riconoscimento dell'ulteriore voce del danno morale debba essere accolta. Orbene, occorre evidenziale che per ciò che riguarda il danno non patrimoniale, come ormai pacificamente sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità a partire dalla decisione Sezioni Unite n.26972/2008, il riferimento a diversi tipi di pregiudizio, in vario modo etichettati, risponde solo ad un'esigenza descrittiva ma non implica il riconoscimento di diverse categorie di danno. È infatti precipuo compito del giudicante accertare la consistenza del pregiudizio subito, a prescindere dalla qualificazione che ad esso viene attribuita, individuando quali ripercussioni negative si siano verificate e provvedere alla loro riparazione, anche in un'ottica di personalizzazione del danno. In merito al danno morale, sebbene esso non costituisca un'autonoma voce di danno diversa da quella relativa al c.d. danno biologico, entrambi essendo riconducibili al più ampio concetto di danno non patrimoniale, recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, "all'esito di una valutazione complessiva delle risultanze fattuali può procedersi ad un'autonoma risarcibilità dello stesso" (vedasi Cass. n. 11851/15 e n. 7766/2016) ammettendosi "un'autonoma risarcibilità del danno morale - ove ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato - distinto da quello biologico". Nella fattispecie concreta, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo e, come detto, delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, ritiene questo decidente che la "voce" del danno non patrimoniale intesa come "sofferenza soggettiva" non sia adeguatamente risarcita con la sola applicazione dei valori monetari base di cui alle tabelle del Tribunale di Milano. Ritiene questo decidente che in ossequio al principio dell'id quod plerumque accidit, l'attore abbia patito, nell'immediatezza oltre che ex post sinistro, una sofferenza soggettiva in termini di durata ed intensità del dolore, fisico e psichico (in relazione a numero, natura e complessità delle cure; alla limitazione delle opportunità coltivare normalmente amicizie ed affetti; di svolgere attività sportive e ricreative, ecc.), idonea in linea di principio a far ipotizzare danni esclusivamente morali meritevoli di un compenso aggiuntivo rispetto a quello che gli deve essere riconosciuto per il solo danno biologico (sulla differenza ontologica tra danno biologico e danno morale quali diversi aspetti del danno non patrimoniale cfr. (Cass., sez. III, 3 ottobre 2013 n. 22585; Cass., sez. lav., 16 ottobre 2014, n. 21917). Premesso ciò, il grado di invalidità riconosciuto (12%), secondo i parametri sopraindicati e in rapporto all'età del soggetto danneggiato, è risarcito con Euro 27.695,00 considerando il punto base danno non patrimoniale pari a Euro 3.097,90. Il danno all'integrità psicofisica temporaneo, invece, si liquida complessivamente in Euro.4.336,50 considerando quale Punto base I.T.T. Euro.98,00; sulla scorta di quanto detto il danno permanente può personalizzarsi in aumento per l'ulteriore somma di 4.154,25, pervenendosi ad un totale di Euro. 36.185,75. Gli importi liquidati a titolo di danno biologico, essendo calcolati all'attualità, devono essere devalutati alla data del fatto e le somme così risultanti devono essere quindi rivalutate fino alla data della presente sentenza, mediante l'applicazione degli indici ISTAT f.o.i.. Per il calcolo degli interessi c.d. "compensativi" si fa riferimento al criterio stabilito da S.U. Cassazione sent. n. 1712 del 1995, secondo cui detti interessi vanno calcolati inizialmente sull'importo del danno come liquidato alla data del fatto e, successivamente, sulle ulteriori frazioni via via risultanti dalla rivalutazione annuale operata sulla base dei citati indici ISTAT. Per cui spetta all'attore quale danno non patrimoniale la definitiva somma di Euro 37.970,54. A seguito della conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione giudiziale del danno, spettano inoltre gli ulteriori interessi al tasso legale dalla sentenza al saldo, trasformandosi il debito di valore in debito di valuta. Il danno patrimoniale viene determinato in complessivi Euro. 721,81 oltre interessi nella misura legale e rivalutazione dalla data dell'esborso fino alla presente sentenza ed oltre interessi successivi al medesimo tasso e fino al soddisfo. Le spese processuali seguono l'ordinario principio della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del decisum, dell'attività e qualità processuale svolta, delle caratteristiche obiettive delle difese svolte e dall'assenza di questioni particolari di fatto. Le spese delle ctu espletata nell'ambito del procedimento vanno, infine, definitivamente poste a carico di parte soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Gela quale giudice unico, definitivamente pronunciando nel procedimento in epigrafe così decide: Accerta e dichiara che il sinistro per cui è causa è da imputare a colpa esclusiva di (...); Conseguentemente dichiara (...) in solido con (...) e la (...) - Rappresentanza Generale per l'Italia - in persona del suo legale rappresentante pro tempore, tenuti al risarcimento del danno tutto subito dall'attore e conseguentemente li condanna in solido al pagamento dell'importo complessivo di Euro 37.970,54 oltre interessi legali dalla data odierna sull'importo come sopra liquidato fino al soddisfo, nonché all'ulteriore somma di Euro 721,81 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per spese mediche sostenute in dipendenza del sinistro, oltre interessi nella misura legale e rivalutazione dalla data dell'esborso fino alla presente sentenza ed oltre interessi successivi e fino al soddisfo; condanna i convenuti soccombenti in solido alla refusione delle spese di lite a favore di (...) che si liquidano in Euro 3.972,00 oltre al 15% del compenso per spese generali spese generali, iva e cpa oltre c.u. disponendosene la distrazione a favore del procuratore costituito in giudizio per averne fatta esplicita richiesta. Pone le spese di C.T.U. medico legale, liquidate come da separato decreto, definitivamente a carico delle parti convenute sempre con vincolo solidale. Così deciso in Gela il 3 maggio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Gela, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Flavia Strazzanti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1229/2014 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...), nata a P. il (...), e (...), nato a G. il (...), rappresentati e difesi, per procura in atti, dall'avv. Gi.Sm., presso il cui studio in Gela via (...), sono elettivamente domiciliati. Attori CONTRO (...), nato a G. il (...), rappresentato e difeso, per procura in atti, dall'avv. Em.Di., presso il cui studio in Gela via (...) è elettivamente domiciliato. Convenuto (...), nato a (...) il giorno (...), (...) nata a G. il (...), (...) nato a G. il (...), (...), nato a G. il (...) rappresentati e difesi, per procura in atti, dall'avv. Ro.Pi., presso il cui studio in Gela via (...), sono elettivamente domiciliati. Convenuti (...), nato a G. il (...), rappresentato e difeso, per procura in atti, dall'avv. Gl.Ia., presso il cui studio in Gela via (...) è elettivamente domiciliato. Convenuto (...) nato a G. il (...), rappresentato e difeso, per procura in atti, dall'avv. Fr.Sp., presso il cui studio in Gela via (...) è elettivamente domiciliato. Convenuto IN FATTO E IN DIRITTO (...) ha proposto azione di risarcimento del danno cagionato all'immobile di sua proprietaria, costituito da un vano terreno sito in G. via (...), deducendo quale causa del danno le infiltrazioni piovane provenienti dal tetto di copertura del fabbricato ed invocando contro i convenuti l'applicazione dell'art. 2051 c.c. (...) invocando parimenti l'applicazione della responsabilità da cose in custodia contro i convenuti ha domandato il risarcimento del danno cagionato ai mobili ed arredi in sua proprietà e collocati nel suddetto immobile. (...) ha contesto che il tetto fosse in proprietà dei convenuti, rilevando che esso appartiene pro quota a tutti i proprietari delle unità abitative e dunque anche all'attrice, deducendo poi che la stessa avesse concorso a cagionare l'evento dannoso procrastinando la realizzazione dei lavori di rifacimento del tetto disposti con ordinanza cautelare dal Tribunale di Gela mediante l'instaurazione di altro giudizio recante il n. 957/2012 R.G. con la quale la stessa si opponeva ai lavori di manutenzione del tetto. (...), (...), (...), (...) eccepivano di non essere proprietari dei piani superiori rispetto a quello dell'attrice, dai quali provengono le infiltrazioni che hanno danneggiato l'immobile dell'attrice e la mancata citazione in giudizio dei proprietari delle altre unità abitative comprese nel complesso edilizio di cui il tetto costituisce copertura e ritenuti litisconsorti necessari. Eccepivano inoltre che gli attori avevano determinato l'evento dannoso, costituito dalle infiltrazioni di acqua, opponendosi prima all'azione cautelare d'urgenza intrapresa nel 2009 da altro comproprietario ((...) nato il giorno (...)) per l'esecuzione dei lavori di rifacimento del tetto, proponendo poi reclamo, avverso l'ordinanza cautelare che disponeva l'esecuzione dei lavori ponendone le spese in capo ai proprietari degli immobili, il cui giudizio, rinviato una pluralità di volte per la mancata notifica ai resistenti veniva poi, per tal ragione, estinto. I convenuti rappresentavano inoltre che l'attrice aveva anche instaurato il giudizio di merito per opporsi alla manutenzione del lastrico solare. (...), similmente deduceva che le condizioni di degrado dell'immobile erano state causate anche dal disinteresse dell'attrice e dichiarava di essere sempre stato disponibile a sopportare i costi per l'esecuzione dei lavori, nei limiti della sua quota; eccepiva inoltre che nessuna prova era stata offerta da (...) in ordine ai beni in sua proprietà presenti nell'immobile che avrebbero subito un danno, del quale comunque si deduceva la responsabilità esclusiva della G.. Le medesime difese svolgeva (...) rappresentando di non essersi mai opposto al rifacimento dei lavori, ed anzi di avere egli stesso, insieme ai fratelli comproprietari, sin dal 2004, promosso diverse iniziative stragiudiziali a tal fine. Preliminarmente va rilevato che il litisconsorzio necessario è ravvisabile solo in presenza di un rapporto unico con pluralità di parti alla stregua del diritto sostanziale. L'obbligazione risarcitoria - derivante da un fatto unico dannoso imputabile a più soggetti - è solidale, e perciò, non dà luogo a litisconsorzio necessario passivo a meno che le distinte posizioni dei coobbligati presentino obiettiva interrelazione, alla stregua della loro stretta subordinazione, anche sul piano del diritto sostanziale, sicché la responsabilità dell'uno presupponga la responsabilità dell'altro, L'azione risarcitoria può perciò essere proposta dal danneggiato anche nei confronti soltanto di uno di essi. Non sussiste dunque il litisconsorzio necessario eccepito da (...), (...), (...), (...). Nel merito, premesso che parte attrice non ha contestato le difese svolte dai convenuti, e in particolare che gli stessi si attivavano in via stragiudiziale (sin dal 2004 secondo quanto dedotto specificamente da (...)) per provvedere al rifacimento del tetto invitando i proprietari delle unità immobiliari facenti parte del complesso edilizio di cui il tetto costituisce copertura a sopportare le relative spese, né di essersi opposta in via giudiziale alle azioni intraprese a tal fine, la domanda di parte attrice va rigettata perché giuridicamente infondata e, in parte, sprovvista di prova. Risulta agli atti che l'appartamento di (...) è compresa in un edificio composto da più unità immobiliari di proprietà esclusiva dei convenuti e di altri. E' poi certo, poiché dedotto da parte attrice e non contestato dai convenuti, che le infiltrazioni di acqua, fonte del danno lamentato da parte attrice, sono causate dal danneggiamento del lastrico che funge da copertura dell'intero fabbricato. Orbene è noto che dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico solare per difetto di manutenzione, rispondono tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, a norma dell'art. 2051 c.c. in considerazione del fatto che la parte strutturale sottostante costituisce cosa comune, in quanto contribuisce ad assicurare la copertura dell'edificio (cfr. di recente Cassazione civile sez. VI, 04/04/2018, n.8393). Sulla scorta di tale principio di diritto è stata emessa da Tribunale di Gela l'ordinanza 366/2010 (cfr. all.2 nel fascicolo del convenuto (...)) che, definendo il giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c., ha ordinato alle parti in causa, tra cui l'odierna attrice, l'immediata esecuzione, tra l'altro, dei lavori di manutenzione straordinaria della copertura dello stabile ubicato in G., tra la via M. e la via C. - nel quale è ricompreso l'immobile dell'attrice e dei convenuti-, determinando anche la misura delle spese gravante in capo a ciascuna parte. Non risulta che tale provvedimento cautelare abbia perduto efficacia e benché l'attrice abbia dedotto che a seguito del reclamo da lei proposto si sia addivenuti ad una diversa ripartizione delle quote millesimali prospettate, non ha prodotto alcun provvedimento di modifica dell'ordinanza che, pertanto deve considerarsi pienamente efficacie. I convenuti inoltre hanno rilevato che parte attrice abbia tenuto un contegno non collaborativo rispetto alle iniziative da loro intraprese per la manutenzione del tetto ed anzi abbia manifestato opposizione agli stessi mediante l'esercizio di susseguenti azioni giudiziari volte a ostacolare l'adozione del provvedimento giurisdizionale che disponesse l'esecuzione dei lavori, ed in particolare la richiesta di rigetto dell'azione cautelare proposta, il reclamo avvero l'ordinanza cautelare e infine il giudizio di merito, definito con il rigetto della domanda proposta, secondo quanto dedotto dalla difesa dei convenuti e non contestato da parte attrice. Incontestato del pari che l'attrice non abbia voluto fare fronte alle spese per la manutenzione del lastrico; né potrebbe imputarsi ai convenuti di non avere anticipato le spese necessarie per il rifacimento del tetto su di lei gravanti e determinate dall'ordinanza cautelare - come sostenuto da parte attrice- atteso che nessun obbligo al riguardo sussiste in capo ai convenuti. Piuttosto, mediante l'esecuzione di tale provvedimento la causa del pregiudizio lamentato dall'attrice sarebbe stata rimossa e conseguentemente evitato il prodursi del danno di cui si chiede il risarcimento. L'attrice del resto non ha contestato la disponibilità dei convenuti a svolgere i lavori di ripristino né ha dedotto quale causa del danno un comportamento ulteriore e diverso dall'omessa manutenzione del lastrico solare il cui obbligo su di essi incombe in quanto custodi del bene dannoso. L'art. 2051 c.c. prescrivendo la responsabilità del custode salvo la prova del caso fortuito determina l'inversione dell'onere della prova addossando al danneggiante l'onere di dimostrare che la derivazione del danno dalla cosa sia dipeso da un evento non prevedibile né superabile nonostante l'adozione di misure idonee a rendere la cosa non pericolosa (in questo senso Cassazione civile sez. III, 05/04/2011, n. 7699: "Il conduttore risponde quale custode a norma dell'art. 2051 c.c. dei danni che l'incendio sviluppatosi nell'immobile locatogli abbia cagionato a terzi e si libera da tale responsabilità solo dando la prova del fortuito, in particolare dimostrando di avere correttamente espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa, tutte le attività di vigilanza, controllo e manutenzione imposte da disposizioni, anche penali, dettate per prevenire fatti pericolosi e dal principio generale del neminem laedere"; si veda anche" Cassazione civile sez. III, 04/02/1987 n. 1068 per un caso in cui si è giudicato esente di responsabilità il proprietario di un immobile per il danno arrecato a terzi dalla caduta di un albero assoggettato a vincolo di interesse paesaggistico in quanto l'amministrazione aveva rifiutato l'autorizzazione delle necessarie opere di consolidamento o rimozione del bene e il terzo danneggiato aveva rifiutato la sua collaborazione). (...) è proprietaria di immobile compreso nel fabbricato dal cui tetto provengono le infiltrazioni; anche su di lei gravano pertanto l'obbligo di custodia ai sensi dell'art. 2051 c.c. e l'obbligo di sopportare le spese per la conservazione delle cose comuni ai sensi dell'art. dell'art. 1118 c.c. e poiché, per quanto detto, da un lato è rimasta indifferente alle iniziative intraprese degli altri condomini e dall'altro si è opposta giuridicamente alle azioni volte all'esecuzione dei lavori, non può ritenersi che i convenuti abbiano violato il dovere di sorveglianza e pertanto non è possibile imputare a loro la causa del danno lamentato. Per ciò che concerne invece la sussistenza di danni antecedenti alle azioni giudiziarie e stragiudiziali dei convenuti, che parte attrice deduce negli scritti conclusivi, nessuna prova è stata offerta in ordine allo stato dell'immobile in epoca antecedente al 2009: la consulenza di parte costituisce mera allegazione di carattere tecnico e le esigue foto in essa contenute non sono idonee a consentire di determinare le condizioni degli immobili all'epoca e accertare lo specifico danno derivante da infiltrazioni di acqua, atteso peraltro che i convenuti hanno dedotto quale concausa del danno l'abbandono dell'immobile da parte di della G.. Parimenti priva di prova la domanda risarcitoria proposta da (...) per il danneggiamento dei beni mobili collocati nel vano appartenente all'attrice: nessuna specifica indicazione dei beni asseritamene danneggiati né alcuna prova sul punto è stata offerta. In definitiva, non può ritenersi che il danno lamentato dall'attrice discenda da un fatto imputabile ai convenuti né che sussistesse un danno antecedente all'instaurazione del giudizio volto alla rimozione della causa produttiva di siffatto danno; carente sul piano assertivo e probatorio è poi la domanda proposta da (...). Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate secondo i valori minimi previsti per le cause di valore corrispondente a quello del presente giudizio; nulla va riconosciuta per la fase di trattazione avuto riguardo alle esigue attività svolte. P.Q.M. Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al n. 1229/2014 R.G.A.C., ogni altra domanda o eccezione respinta, rigetta la domanda proposta da (...) e (...); condanna (...) e (...) al pagamento delle spese di lite da corrispondersi in favore di (...), nato a G. il (...), che si liquidano in Euro 1.618,00, di cui Euro 438,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 810,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge; condanna (...) e (...) al pagamento delle spese di lite da corrispondersi in favore di (...), (...), (...), nato a G. il (...), (...) in solido che si liquidano in Euro 1.618,00, di cui Euro 438,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 810,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge; condanna (...) e (...) al pagamento delle spese di lite da corrispondersi in favore di (...), che si liquidano in Euro 1.618,00, di cui Euro 438,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 810,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge; condanna (...) e (...) al pagamento delle spese di lite da corrispondersi in favore di (...), nato a G. il (...), che si liquidano in Euro 1.618,00, di cui Euro 438,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 810,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge. Così deciso in Gela il 6 maggio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA Sezione Specializzata Agraria composto dai sigg.ri Magistrati: Dott.ssa Anna Maria Ciancio - Presidente Dott.ssa Flavia Strazzanti - Giudice rel. Dott.ssa Stefania Sgroi - Giudice e dai sigg.ri periti: Dott. Salvatore Cannizzo - Esperto Dott. Salvatore Ferranti - Esperto all'esito della camera di consiglio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 434/2018 del Ruolo Generale vertente TRA (...), nato a N. il (...),, rappresentato e difeso per procura in atti, dall'avv. Fr.Sp. nel cui studio, Niscemi via (...), sono elettivamente domiciliati ricorrente CONTRO (...), nato a N. il (...) resistente contumace FATTO E DIRITTO (...) ha esposto che il proprio padre, (...) aveva stipulato nel settembre 2015, contratto di affitto con (...) avente ad oggetto due fondi rustici siti in contrada (...) (in catasto al foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), e foglio (...) particelle (...), (...), (...)) ed un terreno sito in contrada (...) (in catasto al foglio (...)particelle (...) e (...)) per il canone annuale di Euro.4.500,00; deducendo di essere subentrato nella proprietà dei terreni suddetti per successione ereditaria del padre, deceduto il 15.11.2015, e che il resistente non ha mai corrisposto il canone di affitto, pur detenendo gli immobili, coltivandoli e percependone i frutti, ha domandato, previo accertamento dell'esistenza e del contenuto del contratto di affitto, di risolverlo per inadempimento, e di condannare il resistente al rilascio immediato dei terreni e al pagamento dei canoni scaduti e non pagati, pari a Euro.9.000,00, nonché al pagamento dei canoni scaduti dal mese di settembre 2017 fino all'effettivo rilascio, oltre interessi e rivalutazione dalle singole scadenze. Va innanzitutto rilevato che risulta esperito il tentativo di conciliazione dinanzi all'ispettorato provinciale dell'agricoltura competente per territorio ai sensi dell'art. 11 D.Lgs. n. 150 del 2011 e che la domanda giudiziale è stata proceduta, secondo quanto previsto dall'art. 5 comma 3 L. n. 203 del 1982, dalla contestazione dell'inadempienza (cfr. convocazione e verbale relativi al tentativo di conciliazione e atto di diffida notificato a controparte in data 18.2.2017). Premesso che il ricorrente è subentrato per successione testamentaria nella proprietà dei beni sopra descritti, come risulta dalla pubblicazione dei testamenti olografi del 13.10.2016 allegato, e che pertanto egli è legittimato alla proposizione dell'azione di accertamento del contratto e di risoluzione, deve rilevarsi altresì la loro fondatezza. Va infatti rilevato che il contratto di affitto, disciplinato dalla L. n. 203 del 1982, non rientra tra i contratti per i quali ai sensi dell'art. 1350 c.c. è obbligatoria la forma scritta ai fini dell'esistenza e della validità del rapporto contrattuale: esso può essere concluso tra le parti o per iscritto o in forma verbale. L'art. 41 della L. n. 203 del 1932 stabilisce infatti che i contratti agrari, anche ultranovennali, sono validi ed hanno effetto anche se verbali o non trascritti. L'art. 5 della L. n. 203 del 1982 stabilisce inoltre che la risoluzione del contratto può essere pronunciata nel caso in cui l'affittuario si sia reso colpevole di grave inadempimento contrattuale e, con riferimento agli obblighi inerenti al pagamento del canone, la morosità del conduttore costituisce grave inadempimento ai fini della pronunzia di risoluzione del contratto quando si concreti nel mancato pagamento del canone per almeno una annualità (art. 5 ult. Co. L. n. 2013 del 1982). Orbene, l'esistenza del contratto tra (...) e (...), la stipulazione di esso nel settembre 2015, la determinazione del canone in Euro. 4.500,00 annui, e la circostanza che l'affittuario non abbia mai corrisposto il canone pattuito, risultano dimostrati dalla mancata presentazione del resistente all'udienza fissata per l'assunzione del suo interrogatorio formale. Ritiene infatti il Collegio che in assenza di prove contrarie, ai sensi dell'art. 232 c.p.c, debbano considerarsi ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio (Cass. civ. Sez. III, 19/10/2006, n. 22407 "In tema di interrogatorio formale, l'inciso contenuto nell'art. 232 cod. proc. civ.- secondo il quale il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio se la parte non si presenta o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, "valutato ogni altro elemento di prova" - va interpretato nel senso che la mancata risposta non equivale ad una confessione, ma può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del giudice (art. 116 cod. proc. civ.), il quale può trarre elementi di convincimento in tal senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche dalla mancata proposizione di prove in contrario. (Nella specie, il convenuto non comparso aveva omesso di indicare qualsiasi elemento di prova a sostegno dell'eccezione di decorrenza del contratto di affitto da annata agraria antecedente a quella indicata dai ricorrenti)". Deve pertanto ritenersi accertata l'esistenza di un contratto tra (...) e (...), stipulato nel settembre 2015, avente ad oggetto l'affitto dei fondi rustici siti in contrada (...) (in catasto al foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), e foglio (...) particelle (...), (...), (...)ed e il fondo sito in contrada U. (in catasto al foglio (...)particelle (...) e (...)) per il canone annuale di Euro.4.500,00. Del pari provato, tenuto anche in conto che grava sul debitore convenuto per l'inadempimento l'onere di fornire la prova del fatto estintivo del diritto (S.U n. 13533/2001), l'inadempimento dell'obbligo del pagamento del canone annuo per le annate agrarie settembre 2015 - settembre 2016 e settembre 2016 - settembre 2017. Fondata pertanto la richiesta di pagamento dei canoni scaduti: ai sensi dell'art. 1218 c.c. il debitore inadempiente è tenuto al risarcimento del danno che si configura, nel caso di specie, come danno emergente e si quantifica guardando al valore della prestazione in sé considerata. Ne consegue che, a titolo di risarcimento del danno, il resistente è tenuto al pagamento dei canoni mensili non pagati. Va, inoltre, osservato che, in base all'art. 1458 c. 1 c.c., la risoluzione dei contratti a prestazioni continuative o periodiche, tra cui rientra il contratto di affitto, ha efficacia ex nunc, dal momento della proposizione della domanda e, pertanto, dalla data di notifica della citazione. Fino a tale data, quindi, il mancato pagamento dei canoni di locazione va propriamente configurato come inadempimento contrattuale che determina un risarcimento ex art. 1218 c.c. Da tale momento - a cui risalgono gli effetti della risoluzione - e fino al rilascio, in forza del disposto dell'art. 1591 c.c., (applicabile anche ai contratti di affitto poiché non incompatibile con la disciplina specifica che tuttavia nulla dispone in materia di danni per ritardata restituzione come anche statuito da Cassazione civile sez. III, 28/02/2002, n. 2964) l'affittuario ha l'obbligo di provvedere al pagamento del canone convenuto, considerato ex lege quale liquidazione forfetaria del danno, collegata all'utilità conseguibile dal conduttore rimasto nella detenzione della cosa locata e senza necessità di prova alcuna da parte del locatore. Alla luce di quanto fin qui detto, quindi, a parte ricorrente che ha domandato la condanna al pagamento dei canoni scaduti fino al rilascio, deve riconoscersi Euro. 9.000,00 pari ai due canoni annuali scaduti al momento della proposizione della domanda (e quindi con riferimento ai canoni relativi alle annate agrarie settembre 2015 - settembre 2016 e settembre 2016 - settembre 2017), a titolo di risarcimento per il mancato adempimento dell'obbligazione nascente dal contratto di affitto e, dopo tale data (il canone annuale settembre 2017 - settembre 2018), in base al disposto dell'art. 1591 c.c. Parte resistente va, inoltre, condannata alla corresponsione degli interessi al tasso legale dal 18.2.2017, data della notifica della diffida ad adempiere, sulla somma di Euro 9.000,00 e per i canoni successivi dalla data della loro maturazione e fino al saldo. In base all'articolo 1282 c. 2 c.c. infatti i crediti per fitti e pigioni producono interessi di pieno diritto dalla data della mora del debitore. Il credito in questione non va poi rivalutato in quanto, trattandosi di credito che ha ad oggetto sin dall'inizio una somma di denaro, va considerato credito di valuta insuscettibile di rivalutazione automatica. E' appena il caso di precisare che l'art. 429 co. 3 c.p.c., si applica, secondo quanto disposto dall'art. 11 comma 9 D.Lgs. n. 150 del 2011 solo in caso di sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro in favore dell'affittuario. Del pari fondata la domanda di restituzione degli immobili dati in affitto, essendo risolto il contratto che costituiva la causa della loro detenzione in capo all'affittuario. Va peraltro verso tenuto in conto che ai sensi dell'art. 11 ult.co. D.Lgs. n. 150 del 2011 il rilascio del fondo può avvenire solo al termine dell'annata agraria durante la quale è stata emessa la sentenza che lo dispone, ovvero nel caso specifico, secondo quanto risulta pattiziamente statuito, al termine dell'annata agraria che si conclude in settembre. Le spese di lite seguono la soccombenza, e vanno liquidate avuto riguardo al valore dell'inadempimento allegato secondo i parametri minimi previsti per le cause di valore corrispondente. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 434/2018 R.G., ogni altra istanza disattesa o assorbita, accerta l'esistenza di un contratto tra (...) e (...), stipulato nel settembre 2015, avente ad oggetto l'affitto dei fondi rustici siti in contrada (...) (in catasto al foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), e foglio (...) particelle (...), (...), (...)) e del fondo sito in contrada U. (in catasto al foglio (...)particelle (...) e (...)) per il canone annuale di Euro.4.500,00; dispone la risoluzione del suddetto contratto di affitto ex art. 1453 c.c.; condanna (...) alla restituzione in favore di (...) dei fondi rustici siti in contrada (...) (in catasto al foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), e foglio (...) particelle (...), (...), (...)) e del fondo sito in contrada U. (in catasto al foglio (...) particelle (...) e (...)) al termine dell'annata agraria che si conclude in settembre; condanna (...) al pagamento nei confronti di (...), della somma di Euro 9.000,00, oltre interessi al tasso legale dal 18.2.2017, e al pagamento dei canoni maturati successivamente al settembre 2017 sino al rilascio degli immobili, oltre interessi al tasso legale dal momento della maturazione fino al saldo; condanna (...) al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che si liquidano in Euro 2.008,00 di cui Euro 868,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 770,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, IVA e CPA dovuti come per legge. Così deciso in Gela il 7 maggio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Gela, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Flavia Strazzanti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 878/2015 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi, TRA (...), nato a G. il (...), rappresentato e difeso, giusta mandato in atti, dall'avv. Ti.Ra., nel cui studio, in Gela corso (?), è elettivamente domiciliato, Opponente CONTRO Curatela del Fallimento (...) s.r.l., con sede in G. S.S. 117 bis Km. 90, in persona del Curatore, avv. Ca.Ca., autorizzato con provvedimento del Giudice Delegato del Tribunale Fallimentare di Gela del 13.10.2016, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avv. Lu.Ca. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Gi.Ca. in Gela, Via (?) Opposta Oggetto: opposizione al decreto ingiuntivo n. 137/2015 del 28.4.2015 emesso dal Tribunale di Gela. IN FATTO E IN DIRITTO La (...) s.r.l. ha proposto azione monitoria per ottenere la condanna di (...) al pagamento di Euro. 43,700,00, allegando che costui, socio della (...) s.r.l., avrebbe prelevato del denaro dalle casse sociali ed effettuato pagamenti mediante la carta di credito collegata al conto corrente presso (...) s.p.a. intestato alla suddetta società; quale prova del credito venivano prodotte le scritture contabili della società. (...), con l'opposizione, ha eccepito la nullità del decreto ingiuntivo opposto in considerazione dell'assenza in capo al dott. (...) dei requisiti processuali necessarie a conferire mandato alle liti per la proposizione del ricorso monitorio; ha poi nel merito negato di avere impiegato per fini personali somme nella titolarità della società opposta. Nelle more del giudizio è intervenuto il fallimento della (...) s.r.l. e la curatela del fallimento si è costituita in giudizio a seguito della riassunzione promossa dall'opponente. In ordine alla prima eccezione svolta dall'opponente è bene chiarire, per la pluralità di istituti e nozioni processuali che vengono richiamati, che nel caso di specie sarebbe possibile, in astratto, parlare della sola carenza di rappresentanza processuale in capo al dott. (...) per il tramite del quale la società (...), prima del fallimento, ha proposto l'azione monitoria. Costui, ha infatti agito per il soddisfacimento della pretesa creditoria della società, nella qualità di amministratore giudiziario, nominato con decreto di sequestro del 13.4.2012 emesso dal Tribunale Di Caltanissetta, sezione misure di prevenzione. Non viene pertanto in rilievo la legittimazione ad agire (ovvero legitimatio ad causam), che come è noto compete alla parte che abbia la titolarità dell'azione esercitata, né la nozione di legittimazione processuale (legitimatio ad processum), che indica il soggetto che è titolare del potere di proporre la domanda e che perciò, in quanto eserciti siffatto potere, diviene altresì titolare degli ulteriori prerogative, facoltà e poteri processuali. La legittimazione ad agire come pure quella processuale devono infatti riconoscersi al soggetto titolare del diritto azionato ovvero nel caso di specie alla società (...) e poiché, con l'eccezione svolta l'opponente ha rappresentato esclusivamente che l'amministratore giudiziario, dott. (...), non può esercitare i poteri processuali del soggetto titolare del diritto, la società. (...) s.r.l., può propriamente parlarsi, ove esistente in ipotesi, di difetto di rappresentanza processuale in capo a costui; va infatti ribadito che la legittimazione processuale non fa capo al rappresentante ma alla persona giuridica. Invero lo stesso opponente ha dedotto che la partecipazione sociale nella società (...) a lui facente capo è stata fatta oggetto della misura di prevenzione del sequestro; risulta dagli atti che il dott. (...) veniva nominato amministratore giudiziario dei beni sottoposti a sequestro e che con decreto del 28.6.2012, emesso dal giudice delegato alla misura di prevenzione, l'amministratore giudiziario, veniva autorizzato ad intraprendere le più opportune iniziative stragiudiziali nei confronti dei debitori della società (...) e a tale ultimo scopo, a conferire mandato ad un legale di fiducia per intraprendere le più opportune azioni giudiziarie nell'interesse della società (cfr. rispettivamente allegato 4 e 3 nel fascicolo di parte opposta). Tenuto conto che ai sensi dell'art. 40 comma 3 D.Lgs. n. 159 del 2011 l'amministratore giudiziario può stare in giudizio se munito dell'autorizzazione giudiziale, non sussiste il difetto di potere rappresentativo in capo all'amministratore giudiziario dedotto da parte opponente. In ogni caso, qualora in ipotesi esistente, l'illegittimità dell'operato dell'amministratore giudiziario avrebbe dovuto farsi valere con lo specifico strumento contemplato dall'art. 40 comma 4 D.Lgs. n. 159 del 2011. L'eccezione spiegata in via preliminare dall'opponente va dunque rigettata; va altresì affermata la sussistenza della pretesa creditoria vantata dalla curatela opposta. In ordine alla inidoneità delle scritture contabili a provare il diritto azionato, pure eccepita da parte opponente, siccome mancanti di attestazione di autenticità e regolarità da parte di pubblico ufficiale, va rilevato da un lato, che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione avente ad oggetto non soltanto la sussistenza dei requisiti di ammissibilità e validità del procedimento monitorio ma anche la fondatezza della pretesa creditoria da provarsi secondo i principi generali in tema di onere della prova, dall'altro lato che le suddette scritture a norma dell'art. 2709 c.c. unitamente alle complessive risultanze processuali, sono idonee a provare il credito azionato. Com' è noto in base alla suddetta disposizione le scritture e i libri contabili fanno in ogni caso prova contro l'imprenditore. Il valore probatorio attribuito a tali documenti discende dalla comune regola di esperienza per cui è improbabile che l'imprenditore predisponga dati a proprio carico che non siano rispondenti a verità. Va poi osservato che secondo giurisprudenza costante nell'ipotesi in cui il curatore agisca quale avente causa del fallito esercitando un diritto trovato nel fallimento, subentrando nella medesima posizione processuale e sostanziale del fallito, non vi è ostacolo all'applicazione dell'art. 2709 cod. civ. (cfr. ex pluris Cassazione civile , sez. I , 09/01/2013 , n. 32 "Nel caso in cui il curatore fallimentare agisca quale avente causa dell'imprenditore fallito esercitando un diritto rinvenuto nel suo patrimonio, non vi è ostacolo all'applicazione dell'art. 2709 c.c., - secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore - essendo egli subentrato nella medesima posizione processuale e sostanziale di quest'ultimo; sulla scorta di tale principio si è ritenuta applicabile la predetta norma nei confronti del curatore fallimentare che aveva agito in danno dei soci della società fallita per ottenerne la condanna ad eseguire i versamenti ancora dovuti). Orbene, le scritture contabili prodotte, costituite dal libro giornale anno 2011, obbligatorio ai sensi dell'art. 2214 c.c., riportano numerose volte la dicitura "crediti v/ (...)". L'opponente non ha contestato il contenuto di tali scritture e pur affermando di avere utilizzato le risorse sociali sempre ed esclusivamente per conto della società (...) s.r.l. non ha fornito alcuna spiegazione in ordine alle operazioni poste in essere per conto della società che possano plausibilmente spiegare l'annotazione del credito della società nei suoi confronti, né ha fornito alcuna razionale giustificazione per il trasferimento di denaro. L'opponente non ha neppure contestato la circostanza dedotta da parte opposta ovvero che sia stato egli stesso a procedere alla redazione di tali scritture e ciò vale a confermare il presupposto logico fondante l'art. 2709 c.c., ovvero la presumibile veridicità dei fatti sfavorevoli al soggetto che ha predisposto le scritture contabili. Si aggiunga che risulta in atti una missiva sottoscritta anche da (...) ed indirizzata all'amministratore giudiziario, dott. (...), avente ad oggetto il riscontro a precedente diffida da questi inviata, in cui si legge "in riferimento alla vostra richiesta di pagamento, avente ad oggetto i crediti della (...) srl risultanti dalle scritture contabili obbligatorie della società, ... è intendimento degli stessi, allo scopo di reperire la liquidità necessaria per far fronte ai propri obblighi di pagamento, vendere a terzi eventuali acquirenti le seguenti proprietà immobiliari ...". Tale missiva, contenente la promessa dell'opponente di adempiere al debito oggetto di richiesta di pagamento da parte dell'amministratore giudiziario, vale a corroborare l'esistenza del credito; l'opponente non ha contestato di essere l'autore di tale missiva e, pur deducendo che essa non contiene l'importo del credito vantato dalla (...) e che pertanto non avrebbe ad oggetto il credito ingiunto, non ha neppure indicato l'esistenza di un rapporto obbligatorio con la società (...) diverso da quello oggetto del presente giudizio e a cui potrebbe riferirsi l'adempimento promesso con tale missiva. In definitiva i libri contabili della società (...) in concorso con le altre risultanze processuali, consentono di trarre una valida prova in ordine all'esistenza del credito vantato dalla curatela del fallimento (...) Deve quindi in conclusione ritenersi che (...) abbia fatto proprie somme di denaro appartenenti al patrimonio sociale senza alcuna razionale giustificazione. L'opposizione va quindi rigettata e il decreto ingiuntivo confermato. Le spese di lite, da liquidarsi con la riduzione del 50%, in considerazione della semplicità delle questioni trattate e delle attività espletate, applicata ai parametri medi previsti per le cause di valore corrispondente al presente giudizio, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al n. 878/2015 R.G.A.C., ogni altra domanda o eccezione respinta, rigetta l'opposizione proposta da (...) e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 137/2015 del 28.4.2015 emesso dal Tribunale di Gela, e lo dichiara definitivamente esecutivo; condanna l'opponente (...) al pagamento delle spese di lite in favore del Fallimento (...) s.r.l., che si liquidano in Euro. 3.628,00 di cui Euro. 810,00 per la fase di studio, Euro. 574,00 per la fase introduttiva, Euro. 860,00 per la fase istruttoria, Euro. 1.384,00 per la fase decisoria, oltre spese generali, CPA e IVA come per legge. Così deciso in Gela il 18 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Gela Sezione Civile Il Tribunale Ordinario di Gela, nella persona del Giudice monocratico dott.ssa Stefania Sgroi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 452/2011 R.G. , promossa da (...) (c.f. (...)), con il ministero dell'avv. Gagliano Antonio ATTRICE contro DOTT. (...) (c.f. (...)) e (...) S.R.L. in persona del rappresentante legale p.t. (p.i. (...)), entrambi con il ministero dell'avv. Al.Vi. CONVENUTI e nei confronti di (...) S.P.A. (p.i. (...)), ora (...) S.P.A., con il ministero degli avv. La.Ge. e Sp.Sa. TERZA CHIAMATA a cui è riunita la causa civile iscritta al n. 453/2011 R.G. , promossa da (...) (c.f. (...)), con il ministero dell'avv. Gi.Vi. ATTORE contro DOTT. (...) (c.f. (...)) e (...) S.R.L. in persona del rappresentante legale p.t. (p.i. (...)), entrambi con il ministero dell'avv. Al.Vi. CONVENUTI e nei confronti di (...) S.P.A. (p.i. (...)), ora (...) S.P.A., con il ministero degli avv. La.Ge. e Sp.Sa. TERZA CHIAMATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato iscritto al n. 452/2011 R.G. , (...), in qualità di paziente, conveniva in giudizio il dott. (...) e la (...) s.r.l. in persona del rappresentante legale p.t. , chiedendo a codesto Tribunale di "ritenere e dichiarare i convenuti (...) dr. (...) e la società (...) a r.l. , in persona del rappresentante legale p.t. e con sede legale in (...) nella via E. 113, in solido tra loro, responsabili del danno patito per i fatti meglio descritti in premessa e, per l'effetto, condannare i convenuti, sempre in solido tra loro, a corrispondere alla predetta attrice, a titolo di risarcimento del danno e sempre per le causali descritte in atto, la somma complessiva di Euro 795.517,54 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto e fino all'integrale soddisfo. Con vittoria di spese, onorari e competenze, oltre spese generali ed accessori di legge". Con atto di citazione ritualmente notificato iscritto al n. 453/2011 R.G. , (...), in qualità di coniuge della paziente (...), conveniva in giudizio il dott. (...) e la (...) s.r.l. in persona del rappresentante legale p.t. , chiedendo a codesto Tribunale di "ritenere e dichiarare i convenuti (...) dr. (...) e la società (...) a r.l. , in persona del rappresentante legale p.t. e con sede legale in (...) nella via E. 113, in solido tra loro, responsabili del danno patito per i fatti meglio descritti in premessa e, per l'effetto, condannare i convenuti, sempre in solido tra loro, a corrispondere alla predetta attrice, a titolo di risarcimento del danno e sempre per le causali descritte in atto, la somma complessiva di Euro 80.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto e fino all'integrale soddisfo. Con vittoria di spese, onorari e competenze, oltre spese generali ed accessori di legge". Si costituivano ritualmente in giudizio, congiuntamente, il dott. (...) e la (...) s.r.l. in persona del rappresentante legale p.t. , chiedendo a codesto Tribunale: "In via preliminare: 1) Per le ragioni sopra esposte, autorizzare la chiamata in giudizio della compagnia assicurativa (...) s.p.a. , in persona del legale rappresentante in carica, avente sede legale in via S. n. 18/2, 20161 Milano, compagnia presso la quale il dott. (...), iscritto alla (...) Società italiana di radiologia medica, era ed è assicurato per gli anni in rilievo nella presente causa, a primo rischio, per la responsabilità civile derivante dall'esercizio della sua attività medica - radiologica, dalla quale i convenuti dovranno essere manlevati e/o garantiti e/o rivalersi per la denegata ipotesi in cui venisse accertata e dichiarata una qualche responsabilità degli stessi per i fatti per cui è causa, chiedendo all'uopo al Giudice designato di spostare la prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto del termine ex art. 163 bis c.p.c. . 2) Disporre la riunione della presente causa con la causa portante il n. 453/2011 pendente innanzi al medesimo Giudice Istruttore dott.ssa (...), con udienza di citazione parimenti fissata al 6/7/2011, tra (...) da un lato e dott. (...) e (...) srl dall'altro, stante la sussistenza di identica causa petendi, identico titolo, identità della parte convenuta, identità di fase processuale e di produzione documentale. Nel merito: Rigettare la domanda formulata da (...) perché infondata in fatto ed in diritto. Condannare parte attrice alla refusione delle spese e dei compensi, come per legge". Si costituiva ritualmente in giudizio, in qualità di terzo chiamato in garanzia dai convenuti, previa autorizzazione del Giudice con differimento dell'udienza di prima comparizione ex art. 269 c.p.c. , la compagnia assicurativa (...) s.p.a. , chiedendo a codesto Tribunale: "I - In via preliminare: disporre, ai sensi dell'art. 274 c.p.c. , la riunione della presente causa alla causa n. 453/2011 RG promossa dall'ing. (...); II - In via principale e di merito: rigettare le domande proposte dall'attrice nei confronti dei convenuti, in quanto infondate in fatto ed in diritto e, per l'effetto, respingere la domanda di manleva da questi ultimi avanzata nei confronti di (...) s.p.a. per tutti i motivi esposti in parte narrativa; II. - In via subordinata: solo ove accertata la colpa e/o l'errore e/o la negligenza del dott. (...) nella vicenda per cui è causa, previo accertamento in ordine alla effettiva operatività della garanzia prestata da (...) s.p.a. se in primo o secondo rischio, statuire di conseguenza nei limiti del massimale di Euro 4.000.000,00; III - In ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre accessori come per legge". Il Giudice istruttore, con Provv. dell'11 gennaio 2012, in accoglimento dell'istanza preliminare dei convenuti e del terzo chiamato, disponeva la riunione per connessione della causa n. 453/2011 R.G. alla presente causa n. 452/2011 R.G. Le parti depositavano memorie nei concessi termini ex art. 183, co.6, c.p.c.. In particolare, l'attrice con la memoria n. 1 chiedeva a codesto Tribunale: "Ritenere e dichiarare i convenuti (...) dr. G. e la società (...) a r.l. , in persona del rappresentante legale p.t. e con sede legale in G. nella via E. 113, in solido tra loro, responsabili del danno patito per i fatti meglio descritti in citazione e, per l'effetto, condannare i convenuti, sempre in solido tra loro, a corrispondere alla predetta attrice, a titolo di risarcimento del danno e sempre per le causali descritte in atto, la somma complessiva di Euro 795.517,54 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto e fino all'integrale soddisfo; In via assolutamente subordinata e per mero scrupolo difensivo, ritenere e dichiarare i convenuti (...) dr. G. e la società (...) a r.l. , in persona del rappresentante legale p.t. e con sede legale in Gela, contrattualmente responsabili, in forza del contratto di spedalità, della perdita di chance tolta alla paziente (...) e per i fatti propri di inadempimento già spiegati in premessa e con la presente memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c. e, per l'effetto, condannare i convenuti (...) dr. G. e la società (...) a r.l., in solido tra loro, a corrispondere all'attrice (...), la somma di Euro 795.517,54 o quell'altra somma maggiore o minore, e ciò in ragione delle chance concretamente pregiudicate all'attrice di sottoporsi ad intervento chirurgico e trattamento sanitario complessivamente meno demolitivo, distruttivo ed invasivo di quello concretamente praticato. Con vittoria di spese, onorari e competenze, oltre spese generali ed accessori di legge". A fronte delle richieste istruttorie formulate dalle parti con le memorie ex art. 183, co.6, n. 2 e n. 3, c.p.c. , il Giudice istruttore dott.ssa (...), previa ordinanza depositata il 28.9.2012, ordinava l'esibizione ex art. 210 c.p.c. dei documenti indicati a pag. 20 della memoria dei convenuti ex art. 183, co.6, n. 2, c.p.c. ad integrazione di quelli già prodotti in atti, previa parziale modifica dell'ordinanza stessa all'udienza del 21.11.2012; disponeva altresì procedersi all'escussione dei testi (...), figlia degli attori, (...), (...), (...), (...), (...), sorella dell'attore, (...), (...) (v. verbale dell'udienza del 21.11.2012), nonché all'escussione dei testi (...), (...), (...), (...), (...) (v. verbale dell'udienza del 6.3.2013), nonché all'escussione del teste (...) (v. verbale dell'udienza del 15.5.2013). Con ordinanza del 18.10.2013 il Giudice formulava alle parti una proposta conciliativa ex art. 185bis c.p.c. , che all'udienza del 22.1.2014 veniva accettata da parte attrice ma rifiutata da parte convenuta e dal terzo chiamato. Con ordinanza del 21.6.2013 il Giudice disponeva una c.t.u. medico legale, espletata dal Collegio composto dai dott. (...), (...) e (...), con deposito della relazione peritale in data 24.11.2014 e di controdeduzioni alle osservazioni dei c.t.p. in data 28.2.2015. Il nuovo Giudice istruttore dott.ssa (...) con ordinanza del 28.3.2015 formulava quesiti integrativi al medesimo Collegio di c.t.u. , che depositava pertanto un supplemento della relazione peritale in data 13.5.2015. Il nuovo Giudice istruttore dott. (...) con ordinanza del 6.11.2016 revocava il suddetto Collegio di c.t.u. per lo "scarno iter motivazionale" della relazione peritale e nominava un nuovo Collegio di c.t.u. composto dalle dott.sse (...) e (...), che in ordine ai riproposti quesiti dell'ordinanza del 21.3.2013 depositava una nuova relazione peritale in data 25.9.2017 ed una replica alle osservazioni dei c.t.p. in data 27.10.2017. All'udienza del 7.11.2018, le parti precisavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi atti introduttivi e memorie ex art. 183, co.6, c.p.c. con richiesta dei termini ex art. 190, co.1, c.p.c. ed il presente nuovo Giudice istruttore poneva la causa in decisione con i chiesti termini. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con l'atto di citazione ritualmente notificato iscritto al n. 452/2011 R.G. , (...), in qualità di paziente, aziona la responsabilità contrattuale solidale del dott. (...) e della (...) s.r.l. con sede a G., presso cui è stata visitata dal dott. (...), per omessa tempestiva diagnosi di una neoplasia nella mammella destra. In particolare, l'attrice deduce che nel maggio 2005, nel novembre 2007 e nell'ottobre 2008 si è sottoposta a visite di controllo eseguite dal dott. (...) presso la (...) e che, in occasione della seconda visita del novembre 2007, ha segnalato al dott. (...) una retrazione cutanea sulla mammella destra ed eseguito un esame mammografico ed ecografico e che, nonostante ciò, solo a seguito di una visita specialistica presso la Fondazione "(...)" di Pavia nel novembre 2008 le è stata diagnosticata per la prima volta la presenza di una doppia nodularità alla mammella destra, venendo pertanto sottoposta in data 25.11.2008 ad un intervento chirurgico di mastectomia totale a destra con biopsia di linfonodo sentinella, dissezione e svuotamento del cavo ascellare, inserimento di espansore tessutale, con subentro di necrosi del capezzolo, e con successivo esame istologico confermativo della diagnosi di carcinoma mammario con metastasi di alcuni linfonodi, nonché ad ulteriore intervento chirurgico nell'aprile 2009 per rimozione dell'expander e mastopessi sinistra a doppio peduncolo e a due ulteriori interventi chirurgici nell'ottobre 2009 e nell'aprile 2010 per recuperare parte della mobilità dell'articolazione superiore destra e ricostruire il tessuto adiposo asportatole in occasione della mastectomia. Sulla base di tali fatti, l'attrice asserisce che, se la lesione neoplastica alla mammella destra fosse stata tempestivamente diagnosticata dal dott. (...) in occasione della visita di controllo del novembre 2007 eseguita presso la (...), si sarebbe dovuta sottoporre ad un solo intervento chirurgico di quadrectomia parziale della mammella destra con asportazione di un solo quadrante, scarsamente demolitivo anche dal punto di vista estetico e notevolmente conservativo di ogni funzionalità, senza necessità di svuotamenti e resezioni del cavo ascellare e senza interessamento dei tessuti muscolari ed avrebbe altresì evitato sia la limitata articolarità della spalla destra, sia lo stato depressivo. L'attrice chiede pertanto la condanna in solido del dott. (...) e della Casa di cura al risarcimento dei danni, quantificandoli sulla asserita scorta delle Tabelle di Milano nella somma complessiva di Euro 795.517,54 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto fino al soddisfo, di cui Euro 501.434,01 per danno biologico permanente nella misura del 66%, Euro 11.880,00 per danno biologico temporaneo nella misura del 75% per 180 giorni, Euro 250.000,00 per danno morale, asseritamente calcolato nella misura del 50% del danno biologico permanente, Euro 14.203,53 per spese sostenute per cure, viaggi, pernottamenti e quattro interventi chirurgici, Euro 15.000,00 per le spese che dovrà sostenere per controlli routinari, atteso che in occasione dell'ultima visita di controllo effettuata a dicembre 2010 presso il Centro oncologico "H." di Catania le è stata diagnosticata la formazione di due nuovi noduli in adiacenza alla parete laterale postero-superiore della protesi mammellare destra. Con la memoria ex art. 183, co.6, n. 1, c.p.c. , l'attrice oltre a reiterare la suddetta domanda di risarcimento del danno, ha altresì formulato un'ulteriore domanda in via subordinata chiedendo, sulla base dell'allegazione dei medesimi fatti, la condanna in solido dei medesimi convenuti, a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di spedalità, al risarcimento della perdita della chance di sottoporsi ad intervento chirurgico e trattamento sanitario complessivamente meno demolitivo, distruttivo ed invasivo di quello concretamente praticato, quantificandola nella somma di Euro 795.517,54 o in quell'altra somma maggiore o minore ritenuta dall'Autorità giudiziaria. Con l'atto di citazione ritualmente notificato iscritto al n. 453/2011 R.G. , riunito per connessione a quello iscritto al n. 453/2011 R.G., (...) aziona la medesima responsabilità, lamentando però il diverso danno non patrimoniale subito in qualità di coniuge della paziente (...), per stravolgimento della vita familiare, quantificandolo in Euro 80.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dì del fatto al soddisfo. Il dott. (...) e la (...), costituitisi in giudizio congiuntamente, chiedono il rigetto di entrambe le domande per infondatezza, deducendo l'insussistenza di responsabilità contrattuale sia per mancanza del nesso di causalità tra l'evento e la condotta del medico e conseguentemente della struttura sanitaria e quindi per mancanza di un danno causalmente riconducibile al medico, sia per mancanza di colpa medica. Ciò premesso, le domande qui riunite per connessione vanno esaminate congiuntamente sotto il profilo della identica causa petendi, costituita dalla asserita responsabilità contrattuale solidale del dott. (...) e della (...) presso cui la paziente ha effettuato le visite di controllo, per omessa tempestiva diagnosi di una neoplasia nella mammella destra, fermo restando la diversità del danno conseguenza oggetto delle rispettive pretese risarcitorie dei due attori, agenti l'una ((...)) in qualità di paziente e l'altro ((...)) in qualità di coniuge della paziente. In particolare, la domanda dell'attrice (...) va inquadrata nell'ambito della responsabilità contrattuale per omessa tempestiva diagnosi (artt. 1218 ss. c.c.), responsabilità che per il medico dott. (...) deriva dal cd. contatto sociale qualificato, sussumibile nell'inciso finale dell'art. 1173 c.c. , instauratosi con la presa in cura della paziente (...) (cfr. leading case, Cass. civ. , sez. III, n. 589/1999), mentre per la (...) deriva dal cd. contratto di spedalità, ossia il contratto atipico (art. 1322, co.2, c.c.), concluso dal paziente con una struttura sanitaria pubblica o privata (nel caso di specie, privata) per effetto dell'accettazione del paziente stesso ai fini di una visita e/o di un ricovero, avente ad oggetto una prestazione complessa, sanitaria ed in senso lato alberghiera, in forza del quale la struttura risponde anche per fatto degli ausiliari (art. 1228 c.c.), qual è il medico operante presso la struttura stessa, con vincolo di solidarietà passiva ex art. 1292 c.c. (cfr. SS.UU. civ. n. 577/2008, testualmente: "Per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una Casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi, ed anche nella giurisprudenza si riscontra una equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura sanitaria (Cass. 25.2.2005, n. 4058). Questa Corte ha costantemente inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (da taluni definito contratto di spedalità, da altri contratto di assistenza sanitaria) (...), che va ben oltre la fornitura di prestazioni alberghiere, comprendendo anche la messa a disposizione di personale medico ausiliario, paramedico, l'apprestamento di medicinali e di tutte le attrezzature necessarie anche per eventuali complicazioni. In virtù del contratto, la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, definita genericamente di "assistenza sanitaria", che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori. (...) Ciò comporta che si può avere una responsabilità contrattuale della struttura verso il paziente danneggiato non solo per il fatto del personale medico dipendente, ma anche del personale ausiliario, nonché della struttura stessa (insufficiente o inidonea organizzazione)"; "A sua volta anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale", ha natura contrattuale (Cass. 22 dicembre 1999, n. 589)"). Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il cd. contratto di spedalità è qualificabile come "contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo" (cfr. ex multis, Cass. civ. , sez. III, n. 23198/2015, massima: "Il rapporto che si instaura tra paziente e Casa di cura o ente ospedaliero ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo") e, sotto tale profilo, è "terzo" anche il coniuge del paziente che per effetto dell'inadempimento contrattuale asserisca di aver subito un pregiudizio nella propria sfera giuridica, come dedotto nel caso di specie dall'attore, sicchè anche la domanda dell'attore (...) si inquadra nell'ambito della responsabilità contrattuale (artt. 1218 ss. c.c.). Si precisa che tale impostazione normativo-giurisprudenziale è stata novellata dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, recante "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonchè in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie" (cd. riforma (...)), segnatamente dall'art. 7, rubricato "Responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria", che tuttavia non è applicabile ratione temporis alla presente controversia iscritta a ruolo nel 2011. Sul piano del riparto dell'onere probatorio, le Sezioni Unite, applicando alla fattispecie della responsabilità della struttura sanitaria e del medico i principi sanciti in via generale in materia di responsabilità contrattuale (cfr. SS.UU. civ. n. 13533/2001, leading case), hanno statuito che "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato; competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante" (cfr. SS.UU. civ. n. 577/2008, principio di diritto sub a). Nel caso di specie, in cui si contesta un inadempimento contrattuale consistente in un'omessa diagnosi, l'accertamento della causalità omissiva andrà condotto attraverso il cd. metodo controfattuale, che implica che si accerti in primo luogo, se l'agente ha omesso di porre in essere la condotta a cui contrattualmente era tenuto (cd. inadempimento) ed, in caso affermativo, se la condotta contrattualmente dovuta omessa (cd. condotta alternativa lecita) avrebbe evitato il prodursi del cd. danno-conseguenza, in base al canone probatorio del "più probabile che non" o della "preponderanza dell'evidenza" proprio del processo civile (cd. rilevanza eziologica dell'inadempimento) (cfr. da ultimo, Cass. civ. , sez. III, n. 23197/2018, testualmente: "La problematica del nesso di causalità assume specifico rilievo quanto alle condotte omissive - giusto il principio di equivalenza eziologica tra la condotta commissiva determinativa dell'evento e quello omissiva non impeditiva dell'evento, stabilito dall'art. 40 c.p., comma 2 - dovendo in tal caso rinvenirsi il criterio logico di verifica del nesso di causalità materiale, nell'accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno che viene riconosciuta alla condotta omessa, tale essendo la modalità in cui opera il criterio inferenziale che - in mancanza di copertura di una legge scientifica o generale - il Giudice deve utilizzare per pervenire all'enunciato "controfattuale", ponendo al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilità di evitare (o, comunque, di ridurre significativamente) il danno (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21894 del 19/11/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 15709 del 18/07/2011). Orbene, come è stato puntualmente evidenziato, "l'enunciato "controfattuale" che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato", deve essere formulato sulla scorta del criterio del "più probabile che non", conformandosi ad un standard "...di "certezza probabilistica" (che) in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)" (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008)"). Applicando al caso di specie tali coordinate normativo-giurisprudenziali, alla luce della produzione documentale delle parti e dell'espletata c.t.u. medico legale, ne deriva quanto segue. Preliminarmente, va precisato che nel caso di specie è stato nominato dapprima il Collegio di c.t.u. composto dai dott. (...), (...) e (...), la cui relazione peritale, depositata il 24.11.2014 e integrata con supplemento depositato il 13.5.2015, non è tuttavia utilizzabile ai fini decisori, in quanto tale Collegio è stato revocato con ordinanza del 6.11.2016 per lo "scarno iter motivazionale" della relazione stessa, tale non da consentire al Giudice di verificare nè la scientificità del metodo, nè la congruità e logicità delle conclusioni peritali e dunque la condivisibilità o meno delle stesse. E' invece utilizzabile ai fini decisori la relazione peritale depositata in data 25.9.2017 dal nuovo Collegio di c.t.u. composto dalle dott.sse (...) e (...), nominato in sostituzione del Collegio revocato per rispondere ai medesimi quesiti formulati con l'ordinanza del 21.3.2013, le cui conclusioni risultano pienamente condivisibili tenuto conto sia della competenza specialistica dei componenti, sia della scientificità del metodo seguito, fondato sulla bibliografia specialistica allegata alla relazione stessa, sia dell'approfondita e motivata disamina del caso, scevra da vizi logici. Sulla base della produzione documentale esaminata dal rinnovato Collegio di c.t.u. , si è accertato che la paziente (...) ha effettuato tre visite di controllo eseguite dal dott. (...) presso la (...), di cui sono acquisiti ed analizzati i referti con le relative immagini, afferenti in particolare all'effettuazione di una mammografia in data 16.5.2005, di una mammografia e di una ecografia in data 7.11.2007 e di una mammografia con prescrizione medica di integrazione con un'ecografia in data 27.10.2008; si è altresì accertato che la paziente (...) si è sottoposta ad una consulenza senologica presso la Fondazione "(...)" di Pavia in data 3.11.2008, ad una risonanza magnetica mammaria bilaterale con mdc presso il Centro oncologico "H." di Catania in data 6.11.2008, ad un'ecografia mammaria e ad una biopsia presso l'Istituto scientifico di Pavia in data 18.11.2008, con esame citologico mammario in data 18.11.2008, ad un intervento chirurgico di mastectomia nipple sparing, più biopsia di linfonodo sentinella, dissezione ascellare, inserimento di espansore mammario in data 25.11.2008 con relativo esame istologico. La paziente (...) aziona la responsabilità contrattuale del dott. (...) e della Causa di Cura per fatto del medico ausiliario, asserendo che il dott. (...) avrebbe omesso colposamente di diagnosticare la presenza di una neoplasia nella mammella destra della paziente in occasione della visita di controllo del 2007 (cd. asserito inadempimento contrattuale) e che tale omessa diagnosi, qualora fosse stata invece tempestivamente effettuata, avrebbe consentito alla paziente di eliminare la neoplasia con un intervento di quadrantectomia parziale alla mammella destra con asportazione di un solo quadrante, evitando l'intervento chirurgico più invasivo subito di mastectomia totale della mammella destra con resezione del cavo ascellare, le relative complicanze, i tre ulteriori interventi chirurgici (cd. asserita rilevanza eziologica dell'inadempimento e cd. lamentato danno-conseguenza). Entrambi tali profili (sussistenza e rilevanza eziologica del dedotto inadempimento), oggetto del riparto dell'onere probatorio tra le parti nei termini precisati dalle citate SS.UU. civ. n. 577/2008, vanno esaminati sulla base dell'accertamento condotto dal rinnovato Collegio di c.t.u. Attraverso la c.t.u. medico-legale depositata il 25.9.2017, si è accertato che "presa visione delle immagini mammografiche del 2005, 2007 e 2008 con i relativi referti, emerge il dato obbiettivo della non perfetta esecuzione tecnica dell'esame" (v. pag. 3) ed in particolare: per la mammografia del 16.5.2005, i c.t.u. rilevano rispetto alle immagini che "il radiogramma della proiezione CC di sinistra non permette la valutazione dello spazio chiaro retroghiandolare ed il capezzolo non appare in asse. Non è ben visibile il profilo della cute, dato questo molto importante per il rilievo di eventuali retrazioni cutanee", e rispetto al referto che "è segnalato un addensamento ghiandolare al corpus mammae al QSE e in retroareolare bilateralmente, senza che venga poi consigliato o effettuato un controllo ecografico di completamento", con la precisazione che "tale approfondimento diagnostico è da ritenersi utile e quindi consigliabile" (v. pag. 3-4); con riferimento alla visita di controllo del 7.11.2007, i c.t.u. rilevano che "è stato eseguito sia il controllo mammografico che ecografico"; riguardo alla mammografia, i c.t.u. deducono che "da una analisi dei radiogrammi, si evidenzia la presenza (evidente anche nell'esame del 2005) di un'area di addensamento ghiandolare a destra, al quadrante infero-interno, che però non corrisponde alla sede anatomica della lesione neoplastica (quadrante infero-esterno) che, pertanto, poteva essere visibile solo ecograficamente. Non sono evidenti microcalcificazioni sospette"; riguardo all'ecografia, i c.t.u. deducono che "i fotogrammi ecografici prodotti non documentano immagini di formazioni nodulari sospette", concludendo che "la negatività dei fotogrammi riprodotti, e di conseguenza del referto che ne scaturisce, non dà certezza della presenza o meno della lesione e di conseguenza è possibile esprimere solo opinioni personali o rivalutazioni che scaturiscono da dati oggettivi posteriori di cui il Radiologo non disponeva al momento della refertazione" (v. pag. 4-5); con riferimento alla mammografia del 27.10.2008, con prescrizione di un'integrazione con esame ecografico, i c.t.u. rilevano che "la descrizione di sovrapposizione del quadro rispetto al controllo precedente indica l'impossibilità della percezione del radiologo di segni radiologici che possano indurre ad un sospetto di malignità ma, nello stesso tempo non attribuisce all'esame un valore predittivo positivo e negativo assoluto. L'indicazione data ad ulteriore esame (ecografia), conferma tale considerazione". Con riferimento specifico alla rilevanza, ai fini della diagnosi della neoplasia, della retrazione cutanea presente nella mammella destra della paziente nel periodo ottobre-novembre 2007, come accertato per testi (v. verbale dell'udienza del 21.11.2012, circostanza confermata sia dal teste (...), sia dal teste (...)), il Collegio di c.t.u. ha rilevato che "il segno clinico visibile e riferito della retrazione cutanea avrebbe dovuto indurre alla prescrizione od esecuzione di una ecografia in tempi brevi con eventuali, successive indagini di tipizzazione e stadiazione loco-regionale (risonanza magnetica e prelievi microistologici)", precisando che "la retrazione cutanea, di per sé, costituisce un segno clinico di elevato sospetto per malignità e dovrebbe sempre essere indagato con altre metodiche" (v. pag. 6). Sulla base della rinnovata c.t.u. medico-legale si è, dunque, accertato un inadempimento contrattuale del dott. (...) per imperizia nella modalità di esecuzione degli esami mammografici (v. c.t.u. , pag. 3 cit. : "presa visione delle immagini mammografiche del 2005, 2007 e 2008 con i relativi referti, emerge il dato obbiettivo della non perfetta esecuzione tecnica dell'esame"), nonchè per omesso approfondimento delle indagini cliniche sulla paziente, sia in occasione della visita di controllo del 16.5.2005, atteso che il dott. (...) si è limitato ad effettuare una mammografia senza integrarla con un'ecografia (v. c.t.u. , pag. 4 cit.), sia con riferimento alla visita di controllo del 6.11.2007, atteso che, a fronte della retrazione cutanea nella mammella destra della paziente, presente nel periodo ottobre-novembre 2007, come accertato per testi (v. verbale dell'udienza del 21.11.2012, circostanza confermata sia dal teste (...), sia dal teste (...)), trattandosi di "un segno clinico di elevato sospetto di malignità", il dott. (...) non avrebbe dovuto limitarsi all'esame mammografico ed ecografico, bensì avrebbe dovuto proseguire l'indagine con ulteriori esami, come la risonanza magnetica ed i prelievi microistologici (v. c.t.u. , pag. 6 cit.). Con riferimento alla visita di controllo del 27.10.2008, invece, non è riscontrabile un inadempimento contrattuale del dott. (...), atteso che dal referto della mammografia risulta che il medico ha prescritto alla paziente un'integrazione con esame ecografico, il che risulta conforme a quanto prescritto dalla scienza medica come accertato dal Collegio di c.t.u. (v. c.t.u. , pag. 5, cit.) e, tuttavia, la paziente ha scelto di proseguire l'iter terapeutico rivolgendosi alla Fondazione "(...)" di Pavia (v. visita senologica del 3.11.2008). Accertato l'inadempimento contrattuale del dott. (...) in qualità di medico curante, si pone l'ulteriore questione dell'accertamento della rilevanza eziologica di tale inadempimento in relazione al danno conseguenza allegato dalla paziente, conformemente al già citato principio di diritto statuito delle SS.UU. civ. n. 577/2008, sulla base delle risultante documentali e della rinnovata c.t.u. medico-legale. In particolare, mediante la rinnovata c.t.u. medico-legale, si è accertato che "alla luce dell'esame istologico, l'intervento di mastectomia con biopsia del linfonodo sentinella, successiva dissezione ascellare per positività di quest'ultimo e immediata ricostruzione mammaria, è stata sicuramente la scelta più corretta: trattavasi infatti di un carcinoma invasivo con un nucleo di 2,2 cm e focolai neoplastici sparsi a distanza, di piccole dimensioni (il maggiore di 1 mm) e quindi di una patologia multicentrica ab origine"; "Pur essendo un tumore a lenta crescita come dimostrato dall'esame istologico, l'intervento chirurgico, al fine di garantire il principio di radicalità ontologica con margini liberi da neoplasia, data la multicentricità, è rappresentato dalla mastectomia e quindi non era possibile rappresentarlo con un intervento conservativo di quadrantectomia. Si ribadisce quindi che nonostante la bassa aggressività della lesione, era insita nella sua storia naturale il manifestarsi in modo centrico e quindi l'intervento scelto di mastectomia era obbligato e sarebbe stato lo stesso anche se la patologia fosse stata diagnosticata già nel 2007" (v. c.t.u. , pag. 9). Inoltre, risulta, altresì, provato documentalmente che alla paziente è stata comunque prospettata la scelta tra i due tipi di interventi di cui si discute e che la paziente, in sede di sottoscrizione del consenso informato prodotto in atti, ha optato per l'intervento di mastectomia anziché di quadrantectomia. Pertanto, dall'istruttoria espletata risulta che l'inadempimento contrattuale del dott. (...), sia pure sussistente nei termini sopra precisati, non ha tuttavia assunto alcuna rilevanza eziologica ai fini del verificarsi del danno-conseguenza dedotto dalla paziente (ossia sottoposizione ad un intervento di mastectomia con biopsia del linfonodo sentinella, successiva dissezione ascellare per positività di quest'ultimo e immediata ricostruzione mammaria anziché ad un intervento di quadrantectomia), sia perchè sulla base della c.t.u. medico-legale si è accertato che la natura stessa della patologia (neoplasia multicentrica) avrebbe in ogni caso richiesto l'intervento eseguito come scelta terapeutica più idonea (v. c.t.u. , pag. 9 cit.), sia perché sulla base del consenso informato prodotto in atti si è accertato che la scelta tra i due tipi di intervento è stata comunque in concreto prospettata alla paziente, la quale ha optato per l'intervento più invasivo. Inoltre, con specifico riferimento alla praticata dissezione ascellare, la c.t.u. medico-legale ha altresì accertato che "il linfonodo sentinella si è rivelato metastatico: ciò ha comportato un proseguimento dell'intervento chirurgico con dissezione ascellare parziale (solo 9 linfonodi - come risulta dall'analisi delle lettere D ed E del referto anatomo-patologico)", con la precisazione che "Dire se nel 2007 il linfonodo sentinella fosse già metastatico o meno argomento difficile" e con l'ulteriore precisazione che "il numero contenuto di linfonodi asportati ha consentito alla signora un buon compenso linfatico, tanto da non sviluppare fortunatamente linfedema, complicanza temuta dalle pazienti" (v. c.t.u., pag. 11). Pertanto, con riferimento specifico alla asportazione dei linfonodi, non essendo possibile stabilire, secondo quanto accertato dal Collegio di c.t.u. , se il linfonodo sentinella fosse già metastatico o meno nel 2007, non può ritenersi sussistente un inadempimento del dott. (...) in termini di omessa diagnosi nella visita di controllo del 2007 ed, in ogni caso, essendo stato accertato con la c.t.u. medico-legale che, dato il numero contenuto di linfonodi asportati (9 linfonodi), la paziente ha mantenuto un buon compenso linfatico, è comunque da escludersi la sussistenza di un danno-conseguenza. Alla luce delle superiori considerazioni, la responsabilità professionale del dott. (...) per omessa diagnosi va esclusa per mancanza di un inadempimento eziologicamente rilevante, come accertato nel corso dell'istruttoria sulla base delle prove documentali e della c.t.u. medico-legale, conformemente al principio di diritto statuito dalla citate Sezioni Unite civili n. 577/2008 e, di conseguenza, va esclusa anche la responsabilità della (...) per fatto del medico ausiliario, con conseguente rigetto per infondatezza sia della domanda formulata dall'attrice in qualità di paziente, iscritta al n. 452/2011 R.G. , sia della domanda formulata dall'attore, in qualità di coniuge della paziente, iscritta al n. 453/2011 R.G. , e con conseguente superfluità della chiamata in garanzia della compagnia assicurativa, salvo che per le spese processuali nei termini precisati nel prosieguo. Inoltre, si precisa che l'attrice con la memoria ex art. 183, co.1, c.p.c. , oltre a ribadire la domanda di accertamento della responsabilità contrattuale dei convenuti con condanna in solido al "risarcimento del danno" già formulata in citazione, ha altresì formulato in via subordinata un'ulteriore domanda di condanna in solido degli stessi al "risarcimento della perdita di chance": la domanda principale è infondata nel merito per le ragioni già esposte, mentre la domanda subordinata è inammissibile in quanto, muovendo dalla concezione ontologica della chance adottata dalla giurisprudenza civile di legittimità a partire dalla nota sentenza n. 4400/2004, essendo la chance un bene giuridico autonomo, la domanda di risarcimento della perdita di "chance", intesa come perdita della possibilità di conseguire il risultato sperato, è una domanda diversa dalla domanda di risarcimento del danno da perdita del risultato sperato e, come tale, non può essere proposta per la prima volta con la memoria ex art. 183, co.6, n. 1, c.p.c. , "limitata alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte" (cfr. Cass. civ. , sez. III, ud. 09/10/2012, dep. 29/11/2012, n. 21245, con espresso richiamo del leading case Cass. civ. , sez. III, n. 4400/2004, massima: "La domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perché in questo secondo caso l'accertamento è incentrato sul nesso causale, mentre nel primo oggetto dell'indagine è un particolare tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale; pertanto trattandosi di domanda completamente diversa, ove non proposta, il giudice non si può pronunciare", da cui si desume che, in base alla medesima ratio, non può neppure essere proposta per la prima volta con la memoria ex art. 183, co.6, n. 1, c.p.c.). L'accertato inadempimento del medico, ausiliario della Casa di cura, sia pure eziologicamente irrilevante, nei termini sopra precisati, giustifica la compensazione delle spese processuali ai sensi dell'art. 92, co.2, c.p.c. come integrato dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 77/2018, nei seguenti termini: le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti, mentre le spese di c.t.u. medico-legale (liquidate per entrambi i Collegi di c.t.u. con separati decreti) sono poste a carico in solido dei convenuti (medico e Casa di cura, nella misura del 50% ciascuno sul piano dei rapporti interni), con la precisazione che, per la parte di spese processuali a carico del convenuto dott. (...), è da ritenersi operante la copertura assicurativa azionata con la chiamata in garanzia della compagnia assicurativa (...) s.p.a. (ora (...) s.p.a.), legata da un rapporto contrattuale di assicurazione per responsabilità professionale solo con il dott. (...) e non anche con la (...) (v. all. 5, fasc. convenuti; v. all. 1, fasc. terzo). P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Gela, in persona del Giudice monocratico, definitivamente pronunziando sulle cause riunite n. 452/2011 R.G. e n. 453/2011 R.G. , rigetta la domanda dell'attrice (...) (c.f. (...)); rigetta la domanda dell'attore (...) (c.f. (...)); compensa integralmente tra le parti le spese di lite; condanna in solido il DOTT. (...) (c.f. (...)) e la (...) S.R.L. in persona del rappresentante legale p.t. (p.i. (...)) al pagamento delle spese dei due Collegi di c.t.u. medico-legali, nella misura liquidata con separati decreti, da ripartirsi al 50% sul piano dei rapporti interni tra i convenuti stessi; condanna la compagnia assicurativa (...) S.P.A. (p.i. (...)), ora (...) S.P.A. ad indennizzare il DOTT. (...) (c.f. (...)) per la parte di spese processuali poste a suo carico. Così deciso in Gela il 16 aprile 2019. Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GELA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Gela, Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Onorario, avv. Patrizia Castellano, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n.1051/2017 R.G avente ad oggetto: "opposizione all'esecuzione". Promossa DA (...) nata a G. il (...) c.f.: (...), già rappresentata e difesa dall'avv.to Gi.Ca. per procura in calce all'atto di opposizione ed elettivamente domiciliata presso il suo studio - opponente - CONTRO (...) nata a G. il (...) c.f.: (...), (...) nata a G. il (...) c.f.: (...) e (...) nata a G. il (...) c.f.: (...), rappresentate e difese dall'avv.to Ma.Ba. per procura già versata in atti ed elettivamente domiciliate presso il suo studio -resistenti- CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI IN FATTO E DIRITTO POSTI A SOSTEGNO DELLA DECISIONE Osserva preliminarmente il Tribunale che la presente sentenza viene redatta ai sensi dell'art. 132 c.p.c così come modificato dall'art. 45 comma 17 L. 19 giugno 2009, n. 69, attesa la data di instaurazione del giudizio (successiva al 4.7.2009) senza esporre lo svolgimento del processo e limitandosi alla "concisa esposizione delle ragioni di fatti di fatto e di diritto della decisione" solo richiamarlo ove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi. Con la domanda introduttiva (...) spiegava opposizione ex art.615, 2 comma, c.p.c. avverso l'atto di precetto di rilascio immobile notificatale su iniziativa di (...), (...) e (...) a seguito di convalida di sfratto reso da questo Tribunale nell'ambito della procedura iscritta al n. 164/2017 R.G. L'opponente deduceva, a sostegno dell'opposizione, la nullità dell'atto di precetto per discordanza e contrarietà insanabile con il titolo esecutivo presupposto, rassegnando le seguenti conclusioni: " 1.in via preliminare, con pronuncia inaudita altera parte, sospendere il processo esecutivo per tutte le ragioni esposte 2. Nel merito accertare la illegittimità della procedura esecutiva per nullità dell'atto di precetto e, per l'effetto accertare e dichiarare la nullità dell'atto di avviso di rilascio immobile notificato agli opponenti. Il Tribunale sospendeva la procedura inaudita altera parte. Avverso il provvedimento di sospensione gli opponenti proponeva istanza di revoca della sospensione della procedura poiché erroneo, illegittimo, in quanto reso sulla base di presupposti inesistenti e, nel merito, chiedevano dichiararsi la inammissibilità e tardività del ricorso in quanto i motivi di opposizione formulati dall'opponente rappresentano doglianze qualificabili come opposizione agli atti esecutivi che la stessa avrebbe dovuto proporre nel termine di venti giorni dalla notifica del titolo esecutivo o del precetto con la forma della citazione e non come proposto con ricorso, con condanna alle spese di giudizio e al risarcimento del danno subito per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. Con ordinanza del 29.08.2017 veniva revocato il provvedimento di sospensione e la causa veniva rinviata per la trattazione del merito all'udienza del 509/2017 e trattenuta definitivamente in decisione all'udienza indicata in epigrafe, con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e repliche. Ciò posto è necessario procedere all'esatta qualificazione giuridica dell'opposizione proposta dalla (...) come opposizione agli atti esecutivi e non come opposizione all'esecuzione. Difatti, preliminare, rispetto alla risoluzione delle questioni giuridiche sottese alle domande ed eccezioni formulate dalle parti nel presente procedimento è l'esatto inquadramento della opposizione proposta da (...) onde stabilire se trattasi di opposizione all'esecuzione o di opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c come sostenuto dagli opposti o di opposizione all'esecuzione come sostenuto dalla ricorrente nell'introdurre il presente procedimento. Sul punto occorre richiamare l'orientamento della giurisprudenza. Costituisce ius receptum che la distinzione tra opposizione all'esecuzione e opposizione agli atti esecutivi risiede nel fatto che la prima ha per oggetto la controversia sul diritto della parte istante a promuovere l'esecuzione, sia in via assoluta ( negandosi l'esistenza, la validità, e la sufficienza del titolo esecutivo) sia in via relativa (contestandosi la pignorabilità di determinati beni); laddove, invece, oggetto della seconda è la denuncia di irregolarità formali del titolo esecutivo, del precetto e di qualsiasi atto del procedimento esecutivo. Si è così affermato in giurisprudenza che "il criterio discretivo tra l'opposizione all'esecuzione e l'opposizione agli atti esecutivi sta nel fatto che la prima riguarda l'"an" dell'esecuzione, mentre la seconda il "quomodo", nel senso che con la prima si contesta il diritto a procedere ad esecuzione, mentre con la seconda si contesta la legittimità formale del titolo esecutivo, del precetto e degli atti del processo esecutivo. La distinzione tra questi due rimedi cognitivi, dunque, si fonda esclusivamente sulle ragioni addotte nell'atto di opposizione- indipendentemente dalla qualifica dell'opposizione- ed è irrilevante che l'esecuzione che l'esecuzione forzata sia già iniziata" ( Cass. Civ. n.496/2011). Ebbene, nel caso di specie, non può che addivenirsi alla qualificazione in termini di opposizione agli atti esecutivi della domanda formulata in ordine alle censure poste sollevate dalla ricorrente in ordine alla nullità dell'atto di precetto. Invero, con la sopra richiamata contestazione, l'istante ha censurato vizi formali della procedura esecutiva, relativi, al solo quomodo exequandum senza involgere il diritto degli opposti di procedere all'esecuzione (Cass. Civ. 9.3.2005, n. 5168, Cass. Civ. 20.4.1995 n. 4475). Ciò detto, è necessario rilevare che le opposizioni agli atti esecutivi devono essere proposte, ai sensi dell'art. 617 c.p.c. nel termine perentorio di venti giorni decorrenti dal momento in cui l'interessato abbia avuto conoscenza legale o di fatto dell'atto contestato o di quello successivo che necessariamente lo presupponga ( Cass. 13 maggio 2010 n. 11597). Ne deriva che, nel caso in esame, le contestazioni con le quali l'opponente ha lamentato la nullità dell'atto di precetto doveva essere censurata con l'opposizione da proporsi entro venti giorni decorrenti dal momento in cui l'opponente ha avuto conoscenza legale o di fatto dell'atto contestato ovvero entro venti giorni dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto avvenuta il 10.6.2017. Pertanto la domanda introduttiva va dichiarata inammissibile essendo stata depositata oltre il termine decadenziale. L'azione riconvenzionale di risarcimento del danno per lite temeraria non può trovare accoglimento mancando qualsiasi allegazione in ordine al danno che sarebbe stato subito dagli opposti (in tal senso la Corte di Cass. ha affermato che " colui che propone una domanda di condanna al risarcimento dei danni da accertare e liquidare nel medesimo giudizio, ha l'onere di fornire la prova certa e concreta del danno patrimoniale, così da consentire la liquidazione " ( Cass. Civ. n. 2228 del 16.2.2002, Cass. Civ. n. 20667 del 2010, Cass. Sez. Unite n. 9556 del 2002). Le spese seguono la soccombenza e sono liquidati come da dispositivo, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., alla luce dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 assunti nei loro valori minimi in rapporto al valore della domanda in applicazione dello scaglione "Euro 5.201,00 a Euro 26.000,00" e tenuto conto dell'attività processuale effettivamente svolta in un procedimento conclusosi senza attività istruttoria. L'assistenza del medesimo difensore delle parti opposte e l'identità delle difese spiegate consente inoltre una liquidazione unitaria e globale delle spese di lite in favore della parte vittoriosa aumentata del 20 % per la pluralità delle parti assistite stante la evidente sostanziale unitarietà della posizione difensiva ai sensi dell'art. 4 comma 2 D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il giudice, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, definitivamente decidendo la causa iscritta al n. 1051/2017 R.G.A.C. così provvede: 1.Dichiara inammissibile e rigetta l'opposizione; 2.condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore di (...), (...) e (...) che si liquidano in complessive Euro 1.941,60 oltre accessori di legge. Così deciso in Gela il 30 marzo 2019. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Gela, sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice, dott.ssa Flavia Strazzanti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 611/2014 del Ruolo Generale degli Affari civili contenziosi vertente TRA (...), nato a G. il giorni (...), rappresentato e difeso, giusta mandato in atti, dall'avv. Cl.Cr., presso il cui studio in Gela vico (...) è elettivamente domiciliato. Attore CONTRO (...) nato a G. il (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Se.Vi. e Gi.Vi., giusta mandato in atti, presso il cui studio in Grammichele, via (...) è elettivamente domiciliato Convenuto (...) Convenuto contumace Oggetto: azione di risarcimento del danno IN FATTO E DIRITTO In via preliminare deve rilevarsi che l'associazione (...) non è parte del presente giudizio non risultando instaurato nei suo confronti alcun rapporto processuale: sebbene, infatti, con decreto del 17.7.2014 il g.i. autorizzasse la chiamata delle due associazioni (...) e (...) richiesta dal convenuto, all'udienza del 21.1.2015 veniva dichiarata la nullità della citazione e veniva disposta la rinnovazione della notifica della citazione, fissando la nuova udienza del 9.6.2015; risulta dai verbali di causa che all'udienza del 23.9.2015 il convenuto produceva la citazione per chiamata in causa di terzi la cui notifica si è perfezionata solo nei riguardi del dell'associazione (...) (cfr. atto di citazione per chiamata in causa di terzi nel fascicolo del convenuto e, specificamente la relata di notifica del 10.3.2015 ove si dà atto che l'atto non è stato notificato all'associazione (...) perché non è stato rinvenuto nessuno) e domandava l'assegnazione dei termini ex art. 183 c.p.c. senza domandare di essere autorizzata alla rinnovazione della notifica all'associazione (...) non andata a buon fine. L'associazione (...) invece non si è costituita in giudizio. Nel merito, l'attore, ing. (...), premettendo di essere direttore generale presso il comune di Gela, ha esposto di essere stato oggetto di attacchi diffamatori da parte del convenuto, (...), anche nella qualità di rappresentante dell'associazione (...), concretizzatisi nella richiesta di rimozione dello stesso dall'incarico espletato, nell'invio a vari uffici di alcune lettere contenenti notizie false e nella pubblicazione tramite il social network (...) di frasi lesive dell'onore e del decoro; in particolare l'attore rilevava che in tali attacchi il convenuto trattava dell'illiceità della nomina di direttore generale e di attività private da lui svolte, estranea al ruolo istituzionale rivestito ed assumendone falsamente i fallimenti. L'attore ha quindi domandato di condannare il convenuto al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, quantificato in Euro 50.000,00. (...) ha innanzitutto rilevato che il profilo (...) dell'associazione (...) è accessibile ad un numero indeterminato di soggetti e che le frasi scritte su tale profilo ed a lui attribuite, contenute negli estratti di pagine (...) prodotte dall'attore (allegato 8 del fascicolo di parte attrice,) non sono state da lui pubblicate. Rilevando inoltre che le lettere ritenute diffamatorie erano inviate a soggetti istituzionalmente preposti alla vigilanza dell'azione pubblica e concernevano attività dell'attore di pubblico interesse, ha poi escluso, anche alla luce del diritto di critica, che il contenuto delle lettere fosse diffamatorio. Orbene, in ordine alle affermazioni con cui il convenuto rileva la illiceità della nomina di direttore generale dell'attore, v'è da rilevare che, negli scritti ritenuti diffamatori dall'attore e consistenti in un foglio stampato e distribuito ai fini di propaganda (all. n. 1 descritto come volantino nell'indice di parte attrice) ed in alcune lettere indirizzate ad una pluralità di organi istituzionali (all. 3, 4, 7), il convenuto assume la violazione della normativa relativa alla soppressione del direttore generale nei comuni con popolazione fino a 100,000 abitanti e dell'art. 108 TUEL che prevedeva, prima della soppressione disposta normativamente, la nomina del direttore generale al di fuori della dotazione organica. Al di là della fondatezza giuridica della tesi propugnata, tali scritti non contengono affermazioni lesive della reputazione dell'onore dell'attore essendo le stesse incentrate sulla legittimità dell'azione amministrativa in relazione alla normativa vigente; peraltro, dalla stessa produzione attorea, si evince che la questione giuridica inerente la possibilità di nominare un direttore generale fosse dibattuta a seguito della nuova normativa, atteso l'esistenza di parere legale dell'ufficio legislativo e legale della presidenza della Regione Sicilia (all.5) e la nota dell'amministrazione comunale redatta in risposta alla richiesta di notizie inoltrata dalla Prefettura in ordine alla segnalazione del convenuto (all. 6). Si tenga conto peraltro che il diritto di manifestare il proprio pensiero, di cui il diritto di critica e di cronaca sono espressione, non è riservato ai soli giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma sono prerogative dell'individuo uti civis che con il loro esercizio partecipa alla vita democratica della comunità (cfr. Cass. pen. 25-07-2008, n. 31392, parte motiva). Ininfluente dunque la circostanza, addotta dall'attore, che il convenuto non svolga professionalmente l'attività di giornalista. La condotta del convenuto non possiede dunque la portata offensiva che l'attore gli ascrive, finché si limita a propugnare l'illegittimità del provvedimento di nomina assunto dall'amministrazione comunale; discorso diverso deve svolgersi tuttavia per la lettera del 27.12.2012 (all. 7). Tale missiva - di cui il convenuto non ha contestato la recezione da parte dei destinatari indicati - da un lato è indirizzata anche a soggetti non deputati al controllo dell'azione amministrativa e privi del potere di disporre sulle nomine dirigenziali, ovvero tutti i dipendenti del comune di Gela; secondariamente contiene riferimenti ad alcune iniziative economiche intraprese dall'attore e ritenute fallimentari che non risultano pertinenti rispetto all'obbiettivo dichiarato dell'iniziativa del convenuto e costituito dall'accertamento di una presunta violazione di legge; infine l'attore ha diffusamente trattato della proficuità delle proprie attività economiche private e il convenuto non ha sollevato alcuna contestazione in proposito sicché deve affermarsi la falsità dei fatti attribuiti all'attore e perciò l'assenza di quel contenuto minimo di verità dei fatti oggetto di divulgazione, necessario per l'applicazione della scriminante del diritto di critica invocata dal convenuto. In definitiva l'attribuzione di insuccessi economici dell'attore, nella missiva del 27.12.2012, costituisce affermazione non necessaria rispetto alla asserita violazione di legge in cui l'amministrazione sarebbe incorsa nominando l'ing. (...) direttore generale e viepiù falsa, risolvendosi così in una dichiarazione volta esclusivamente a denigrare l'attività professionale dell'attore concretando così la condotta diffamatoria (cfr. ass. pen. Sez. V, 02/11/2017, n. 7859 "In tema di diffamazione, il legittimo esercizio del diritto di critica, pur non potendosi pretendere caratterizzato dalla particolare obiettività propria del diritto di cronaca, non consente comunque gratuite aggressioni alla dimensione morale della persona offesa e presuppone sempre il rispetto del limite della continenza delle espressioni utilizzate, da ritenersi superato nel momento in cui le stesse, per il loro carattere gravemente infamante o inutilmente umiliante, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, la cui persona ne risulti denigrata in quanto tale Pertanto, sussiste il delitto di diffamazione quando tale limite sia oltrepassato, trasformando il legittimo dissenso contro le iniziative e le idee politiche altrui, in una mera occasione per aggredirne la reputazione, con affermazioni che non si risolvono in critica, anche estrema, delle idee e dei comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni e commenti tipicamente "di parte", cioè non obiettivi, ma in espressioni apertamente denigratorie della dignità e della reputazione altrui ovvero che si traducono in un attacco personale o nella pura contumelia"). Passando all'esame delle affermazioni contenute negli estratti di alcune pagine (...) (all. 8 nel fascicolo di parte attrice), deve innanzitutto rilevarsi che in questa sede non v'è dubbio in ordine alla riconducibilità di esse al convenuto. (...) sostiene che esiste un profilo (...) intestato all'associazione ambientalista (...) a cui hanno accesso un numero indeterminato di soggetti e perciò contesta che i post estrapolati dal social network siano stati pubblicati da lui. Invero le dichiarazioni ritenute diffamatorie dall'attore risultano provenire dal solo profilo di (...) né risultano post provenienti dal profilo di tale associazione o da altri profili. Il proprietario del profilo in cui risultano pubblicati i post ritenuti diffamatori è dunque (...) e poiché nessuna specifica prova è stata offerta della circostanza che altri abbiano usato il profilo del convenuto per pubblicare tali dichiarazioni, esse devono ritenersi da lui provenienti, tenuto conto peraltro dell'onere di controllo del profilo (...) vigente in capo al titolare (cfr. Cassazione penale sez. V, 18/04/2014, n.18887). Neppure la sentenza n. 532/2017 depositata il 7.11.2017 emessa dal Tribunale penale di Gela, di assoluzione del convenuto dal reato di cui all'art. 595 comma 3 c.p. per insufficienza di prove in ordine all'attribuzione soggettiva della condotta contestata, può assumere rilevanza in proposito. I fatti oggetto dell'imputazione sono affatto diversi da quelli attribuiti al convenuto con l'azione risarcitoria introduttiva del presente giudizio sicché, in mancanza di specifiche allegazioni sul punto, non può ritenersi che la condotta diffamante per cui il convenuto è andato assolto sia la medesima per la quale l'attore, che non si è costituito parte civile nel procedimento penale, abbia proposto domanda di risarcimento del danno. Si può aggiungere che il convenuto nel presente giudizio ha dedotto che altri abbiano usato il proprio profilo (...), mentre nel procedimento penale, secondo quanto si legge nella sentenza, si è pervenuti all'assoluzione per mancanza di dati tecnici necessari a ricondurre all'imputato il profilo (...) utilizzato per le pubblicazioni diffamatorie, considerato anche che lo stesso D.B. in quel processo aveva dichiarato che il proprio profilo era stato clonato. In definitiva essendosi il convenuto limitato in questo giudizio a imputare a ignoti la pubblicazione di post tramite il proprio profilo senza addure alcuna significativa prova - ed invero neppure alcuna specifica allegazione- deve ritenersi che egli sia l'autore di tali affermazioni. In ordine alla porta offensiva di esse -che neppure il convenuto ha negato - si deve osservare che i post contengono perlopiù espressioni dispregiative nei riguardi dell'attore ("noto delinquente affarista", "una specie di uminicchiu") e l'attribuzione di fatti penalmente illeciti ("il suo nome risulta pubblicato nel libro intitolato la stidda la 5 mafia", "l'ing. (...) deve essere immediatamente arrestato"). L'utilizzo di termini oggettivamente infamanti, l'insussistenza di qualsiasi collegamento con il tema della illegittimità dell'incarico di direttore generale, la mancanza di qualsiasi scopo informativo nei messaggi pubblicati, e dunque l'assenza di una notizia di rilevanza sociale inducono a ritenere che la condotta del convenuto costituisca un aggressione personale diretta a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale dell'attore. In un post si riporta inoltre il testo della missiva del 27.12.2012 già presa sopra in esame e per il quale valgono le osservazioni già svolte sulla portata offensiva della stessa, a cui deve aggiungersi che l'uso della bacheca (...) per la diffusione di messaggi integra la diffamazione poiché condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (così anche Cass. pen. Sez. V, 23/01/2017, n. 8482). In definitiva, le affermazioni imputabili all'attore, contenute nella lettera del 27.12.2012 e pubblicate nella bacheca (...), devono ritenersi lesive della reputazione dell'attore; all'accertamento del fatto illecito a danno dell'attore consegue il diritto al risarcimento del danno. Sotto il profilo dell'an debeatur, deve rilevarsi che il bene giuridico tutelato dal reato di diffamazione è l'onore ovvero quel complesso di condizioni da cui deriva il valore morale e sociale della persona. Ne consegue che accertata la diffamazione, il danno non patrimoniale, conseguente alla lesione di tale bene giuridico, non suscettibile di valutazione economica, è in re ipsa. Quanto alla sussistenza del danno patrimoniale nessuna allegazione o prova è stata fornita dall'attore. In ordine alla sua quantificazione, necessario il ricorso ad una valutazione equitativa, rilevato che l'attore non ha fornito alcun elemento di stima sulle concrete conseguenze a lui derivate dalla condotta del convenuto e tenendo conto delle modalità di commissione del fatto, della durata della condotta e della sua gravità - ridimensionata dalla esclusione della portata diffamatoria degli scritti datati 9.5.2011 e 29.5.2012-, appare equo liquidare a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale Euro. 10.000,00. La suddetta somma è da intendersi espressa in valori monetari attuali e comprensiva degli interessi compensativi. Sulle domande proposte dal convenuto nei confronti dei terzi, si deve osservare che non può delibarsi la domanda proposta dal convenuto nei riguardi dell'associazione (...) atteso che, come sopra detto, questa non risulta convenuta in giudizio. Con riferimento invece alla domanda con la quale il convenuto chiedeva di essere mallevato dall'associazione (...), imprecisato il titolo di responsabilità invocato, ci si può limitare ad osservare che il suddetto soggetto di diritto non risulta avere alcun collegamento, né materiale né giuridico, con i fatti di causa e con la condotta tenuta dal convenuto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate, tenuto conto della somma attribuita e quindi del valore effettivo della causa con la riduzione del 50% ai sensi dell'art. 4 comma 1 del D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Giudice Unico, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al n. 611/2014 R.G.A.C., ogni altra domanda o eccezione respinta, accoglie la domanda proposta da parte attrice e per l'effetto condanna (...) al pagamento in favore di (...) di Euro 10.000,00 oltre interessi corrispettivi al saggio legale dalla presenta statuizione al saldo; condanna (...) al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che si liquidano in Euro 2.418,00 di cui Euro 438,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva, Euro 800,00 per la fase istruttoria, Euro 810,00 per la fase decisoria, oltre a spese generali, CPA e IVA come per legge, oltre spese vive pari a Euro 477. Così deciso in Gela il 25 marzo 2019. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GELA SEZIONE CIVILE Il Tribunale Ordinario di Gela, nella persona del Giudice monocratico dott.ssa Stefania Sgroi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 652/2015 R.G. , promossa da (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), tutti con il ministero degli avv. Ma.St. e Tr.Eu. ATTORI contro (...) S.P.A. (p.i. (...)), in persona del rappresentante legale p.t., con il ministero dell'avv. Ba.Ni. CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Su ricorso ex art. 615, co.2, c.p.c. depositato il 30.9.2014 (v. all.7, fasc. attori), il Giudice dell'esecuzione con ordinanza depositata l'1.4.2015 rigettava l'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. formulata in seno al ricorso ed assegnava il termine di 45 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza stessa per l'introduzione del giudizio di merito (v. all. 9, fasc. attori). Con atto di citazione notificato in data 11.5.2015, (...), (...) e (...) convenivano in giudizio la (...) s.p.a., in relazione al contratto di mutuo fondiario stipulato il 29.4.2005 (v. all. 2, fasc. attori), formulando dopo la ricostruzione in fatto sub 1) le seguenti eccezioni: "2) nullità del contratto di finanziamento fondiario per violazione dell'articolo 9, primo comma, della Del.CICR 4 marzo 2003 e del Paragrafo 8, Sezione II, Titolo X, delle Istruzioni di Vigilanza pe le banche di cui alla Circolare di B.D. n. 229 del 21 aprile 1999, aggiornata il 25 luglio 2003, in combinato disposto con l'articolo 117, comma ottavo, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e con l'articolo 1418, primo comma, del codice civile"; 3) Nullità delle clausole esponenti il tasso di interesse corrispettivo di cui agli articoli 4, 5, 7 e 8 del contratto di finanziamento fondiario per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto ai sensi degli articoli 1346, 1418 e 1419 del codice civile"; 4) Nullità delle clausole esponenti il tasso di interesse corrispettivo di cui agli articoli 4, 5, 7 e 8 del contratto di finanziamento fondiario per violazione dell'art. 1283 del codice civile e dell'articolo 120 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385; 5) Nullità della clausola di cui all'articolo 5 del contratto di finanziamento fondiario contenente la convenzione del tasso di interesse di mora, ai sensi e per gli effetti degli articoli 644 del codice penale, e dell'articolo 1815, comma secondo, del codice civile, come riformulato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108". Gli attori chiedevano, pertanto, a codesto Tribunale: "previe le declaratorie del caso; ogni contraria istanza, eccezione e difesa rigettata; previa, ove del caso, ammissione di prova per interpello e per testi in relazione ai capi che ci si riserva di dedurre nei termini di legge; previa, ove del caso, disposizione di consulenza tecnica di ufficio matematica finanziaria e contabile; nel merito: A. in accoglimento delle ragioni indicate al superiore punto 2. , accertare, ritenere e dichiarare la nullità del contratto di mutuo fondiario per mancata integrazione con il "Documento di Sintesi Contrattuale" in forma scritta e conseguentemente per violazione dell'articolo 9, primo comma, della Del.CICR 4 marzo 2003 e del Paragrafo 8, Sezione II, Titolo X, delle Istruzioni di Vigilanza per le banche di cui alla Circolare di B.D. n. 229 del 21 aprile 1999, aggiornata il 25 luglio 2003, in combinato disposto con l'articolo 117, comma ottavo, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e con l'articolo 1418, primo comma, del codice civile; B. in accoglimento delle ragioni indicate al superiore punto 5. , accertare, ritenere e dichiarare la nullità della clausola di cui all'articolo 5 del contratto di finanziamento fondiario contenente la convenzione del tasso di interesse di mora, ai sensi e per gli effetti degli articoli 644 del codice penale, e dell'articolo 1815, comma secondo, del codice civile, come riformulato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, e ricostruire i rapporti di dare ed avere tra le parti, sia con riferimento alle rate scadute che per quelle a scadere, mediante l'adozione di un piano di ammortamento così strutturato: (I) mantenimento della durata e della cadenza delle rate negozialmente previste; (II) esclusione di qualsiasi tasso di interesse corrispettivo e di mora ai sensi dell'articolo 1815 del codice civile; C. senza recesso alcuno dalle superiori domande, gradatamente, in accoglimento delle ragioni indicate ai superiori punti 3. e 4, accertare,·ritenere e dichiarare la nullità delle clausole esponenti il tasso di interesse corrispettivo di cui agli articoli 4, 5,·7 e 8 del contratto di finanziamento fondiario indicato al superiore punto l, per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto a sensi degli articoli 1346, 1418, 1419 e 1283 del codice civile e per violazione dell'articolo 120 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385; - in coerenza e per l'effetto, nella denegata e non temuta ipotesi che non venga rilevato il superamento del tasso soglia usura, ritenere e dichiarare applicabile al contratto di finanziamento per cui è causa il tasso di interesse legale tempo per tempo vigente ai sensi dell'articolo 1284, terzo comma, del codice civile, e ricostruire i rapporti di dare ed avere tra le parti, sia con riferimento alle rate scadute che con riferimento alle rate a scadere, mediante l'adozione di un piano di ammortamento così strutturato: (I) mantenimento della durata e della cadenza delle rate negozialmente previste; (II) applicazione del tasso di interesse legale (sostitutivo di quello indeterminato contenuto nelle clausole affette da nullità); (III) applicazione del tasso di interesse legale su quote capitali costanti (attesa la nullità delle clausole che prevedono, in contraddizione con le altre pure concorrenti, l'andamento delle quote capitali "alla francese"); D. in accoglimento delle ragioni sopra esposte, ritenere e dichiarare che gli odierni attori hanno già rimborsato all'istituto di credito mutuante numero 95 rate di ammortamento mensili per un ammontare complessivo di Euro 91.573,22, di cui Euro 73.482,56 per sorte capitale ed Euro 18.090,66 a titolo di interessi ultralegali, o quell'altra somma, maggiore o minore, che verrà accertata in corso di causa, ed in coerenza e per l'effetto rideterminare i rapporti di dare ed avere tra le parti contraenti ed accertare il corretto saldo residuo del contratto di mutuo fondiario per cui è causa, condannando l'istituto di credito convenuto, previa compensazione legale ex articolo 1243 del codice civile, a restituire agli odierni attori ai sensi dell'articolo 2033 del codice civile le somme indebitamente incamerate a titolo di interessi ultralegali nella misura di Euro 18.090,66, o quell'altra somma, maggiore o minore, che verrà ritenuta di giustizia, oltre interessi al tasso legale tempo per tempo vigente·ed il maggior danno ex articolo 1224, comma secondo, del codice civile, dalla data di pagamento di ciascuna rata e sino all'effettivo soddisfo; E. in accoglimento delle ragioni sopra sposte, accertare, ritenere e dichiarare l'illegittimità ed inefficacia della decadenza dal beneficio del termine e la risoluzione del contratto invocata dall'istituto di credito mutuante con l'atto di precetto notificato in data ·26 luglio 2013 ed in coerenza e per l'effetto accertare, ritenere e dichiarare l'inesistenza del diritto di (...) S.p.A. di agire in esecuzione forzata nei confronti degli odierni attori, ed in ogni caso l'inammissibilità, ovvero, l'infondatezza giuridica della realizzazione coattiva del presunto credito ex adverso vantato; F. in accoglimento delle ragioni sopra gradatamente proposte, ritenere e dichiarare la nullità ed inefficacia dell'ipoteca di primo grado concessa dai signori (...) e (...) sul fabbricato sito in 93015 N. (C.), avente ingresso dal civico numero 135 di via (...), composto da un vano ed accessori a piano terra, di tre vani ed accessori al primo piano, di un vano con terrazza a livello al secondo piano, ad area libera sovrastante, censito nel Nuovo Catasto Edilizio Urbano del Comune di N. al Foglio (...), Particelle (...), Categoria (...), Classe (...) e del consequenziale verbale di pignoramento iscritto in data 6 novembre 2011 al numero 11200 del Registro Generale e al numero 9266 del Registro Particolare; G. condannare l'istituto di credito convenuto alla refusione delle spese e dei compensi difensivi del presente giudizio". Si costituiva ritualmente in giudizio la (...) s.p.a. , chiedendo a codesto Tribunale: "In via preliminare, dichiarare la nullità e/o inammissibilità delle domande ed eccezioni avversarie; - Nel merito, rigettare con qualunque statuizione le domande, le eccezioni e richieste avversarie, in quanto infondate in fatto ed in diritto o con qualsiasi altra statuizione; - Ritenere e dichiarare, in ogni caso, la legittimità e correttezza dell'operato della Banca; - In subordine, emettere sentenza dichiarativa e/o costitutiva che accerti il credito vantato dalla (...) S.p.A., minore o maggiore rispetto a quello indicato nell'opposto mutuo; In via istruttoria, rigettare la richiesta di c.t.u. avanzata da controparte; - Con vittoria di spese e compensi di causa". Nel corso dell'attività istruttoria, previa ordinanza depositata il 20.11.2016, veniva espletata la c.t.u. contabile richiesta da parte attrice. All'udienza di precisazione delle conclusioni del 26/09/2018, parte attrice precisava le conclusioni come da atto depositato telematicamente il 23.1.2018 (che il Giudice ammetteva, sebbene irrituale, come parte integrante del verbale di udienza), nei seguenti termini: "A. ritenere e dichiarare la nullità della clausola di cui all'articolo 5 del contratto di finanziamento fondiario indicato al punto 1 dell'atto di citazione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 644 del codice penale, e dell'articolo 1815, comma secondo, del codice civile, come riformulato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, e ricostruire i rapporti di dare ed avere tra le parti mediante l'esclusione di qualsiasi tasso di interesse corrispettivo e di mora ai sensi dell'articolo 1815 del codice civile (cfr., tra le decine, Tribunale di Chieti, G.U. dott. C.Ro., 28 agosto 2017, in (...)); - in coerenza e per l'effetto accertare, ritenere e dichiarare che il debito residuo finale degli odierni attori nei confronti della banca è pari complessivamente ad Euro 38.989,54, come risultante dall'esperita istruttoria svolta mediante consulenza tecnica d'ufficio contabile (cfr. CTU, chiarimenti pag. 60 e ss. cfr. CTU, chiarimenti pag. 60 e ss.), o quell'altra somma, maggiore o minore, che verrà ritenuta di giustizia; B. senza recesso alcuno dalla superiore domanda, gradatamente ed in via subordinata, ritenere e dichiarare la nullità delle clausole esponenti il tasso di interesse corrispettivo di cui agli articoli 4, 5, 7 e 8 del contratto di finanziamento fondiario indicato al punto 1 dell'atto di citazione, per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto e/o per errata indicazione del tasso annuo nominale (TAN) e dell'Indicatore Sintetico di Costo (ISC) a sensi degli articoli 1344, 1346, 1418, 1419 e 1284, terzo comma, del codice civile e per violazione dell'articolo 117 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 e dell'articolo 9, comma secondo, della Del.CICR del 4 marzo 2003, e del Paragrafo 9, Sezione II, Titolo X, delle Istruzioni di Vigilanza per le Banche di cui alla Circolare di B.D. n. 229 del 21 aprile 1999, aggiornata il 25 luglio 2003, e ricostruire i rapporti di dare ed avere tra le parti mediante applicazione del tasso legale tempo per tempo vigente ex articolo 1284, terzo comma, del codice civile, od in via subordinata il tasso BOT ex articolo 117, comma settimo, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (cfr., anche in merito alla rilevabilità d'ufficio, Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile, 30 ottobre 2015, n. 22179); - in coerenza e per l'effetto accertare, ritenere e dichiarare che il debito residuo finale degli odierni attori nei confronti della banca alla data di risoluzione del contratto di mutuo (10/04/2013) è pari complessivamente ad Euro 51.033,61 (tasso legale) ovvero, in via subordinata, ad Euro 50.126,99 (tasso BOT), come risultante dall'esperita istruttoria svolta mediante consulenza tecnica d'ufficio contabile (cfr. CTU, metodo n. 2 e metodo n. 3, pag. 49 e ss.), o quell'altra somma, maggiore o minore, che verrà ritenuta di giustizia; C. condannare l'istituto di credito convenuto alla refusione delle spese e dei compensi difensivi del presente giudizio, da distrarsi a favore dei procuratori che si dichiarano antistatari". Parte convenuta formulava le conclusioni come da comparsa di costituzione, sopra riportata. A tale udienza, il nuovo Giudice istruttore poneva la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190, co. 1, c.p.c. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La domanda di parte attrice, così come riformulata con parziale rinuncia in sede di precisazione delle conclusioni (v. atto di p.c. depositato telematicamente il 23.1.2018 ed ammesso, sebbene irrituale, come parte integrante del verbale dell'udienza di p.c. del 26.9.2018), è fondata nei termini e per le ragioni che seguono. E' provato documentalmente che con rogito notarile del 29.5.2005 (...) e (...), in qualità di parte mutuataria, nonché (...) (deceduto il 30.9.2014, v. all. 1 fasc. attori) e (...), in qualità di parte datrice di ipoteca, hanno stipulato con (...) s.p.a. , a cui è subentrata a seguito di fusione per incorporazione l'odierna convenuta (...) s.p.a. , un "contratto di mutuo fondiario a tasso indicizzato Euribor, ai sensi dell'art. 38 ss. , D.Lgs. n. 385 del 1993", recante il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (cd. T.U.B.), con cui è stato mutuata la somma di Euro 93.000,00, per il quale è causa (v. all. 2, fasc. attori). Esame della domanda di parte attrice, sub lett. A della precisazione delle conclusioni. In via principale, parte attrice chiede dichiararsi la nullità della clausola di cui all'art. 5 del contratto di mutuo fondiario, rubricato "interessi", ai sensi degli artt. 644 c.p. e 1815, co. 2, c.c. come novellati dalla L. n. 108 del 1996 e, per l'effetto, escludere qualsiasi tasso di interesse corrispettivo e moratorio ai sensi dell'art. 1815 c.c. e, quindi, dichiarare che il debito residuo degli odierni attori è pari ad Euro 38.989,54, come da espletata c.t.u. La disciplina in materia di usura, invocata da parte attrice, è dettata dal combinato disposto delle norme che seguono. Ai sensi dell'art. 644, co.3, c.p., come modificato dalla L. n. 108 del 1996, "la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari". Ai fini della individuazione di tale limite (cd. tasso soglia dell'usura), l'art. 2, co.4, L. n. 108 del 1996, nel testo vigente alla data di stipula del mutuo per cui è causa (29.4.2005, v. all.2 fasc. attori), prevede che "il limite previsto dal terzo comma dell'art. 644 c.p. , oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà", con la precisazione di cui all'art. 644, co. 5, c.p., come modificato dalla L. n. 108 del 1996, che "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito". Fermo restando che l'usura integra un reato punito dall'art. 644 c.p., sul piano civilistico un rimedio speciale, operante in caso di mutuo usurario, è previsto dall'art. 1815, co.2, c.c., come modificato dalla L. n. 108 del 1996, ai sensi del quale "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". In sede di interpretazione autentica, fornita dall'art. 1, D.L. n. 394 del 2000, l. conv. n. 24/2001, si è chiarito che "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, co. 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". Con riferimento a tale quadro normativo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato quanto segue. Nel contratto di mutuo, rileva solo l'usura cd. originaria, non anche l'usura cd. sopravvenuta rispetto alla data di stipula, ossia la conversione in mutuo gratuito di cui all'art. 1815, co.2, c.c. opera solo se gli interessi convenzionali superano il tasso soglia dell'usura al momento della stipula, senza che rilevi l'eventuale superamento del tasso soglia nel corso del rapporto contrattuale (cfr. SS.UU. civili, n. 24675/2017, principio di diritto: "allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto"). Come desumibile dalla legge di interpretazione autentica ("interessi a qualunque titolo convenuti"), il tasso soglia si applica non solo agli interessi corrispettivi, ma anche agli interessi moratori (cfr. Corte cost. 2002 n. 29/2002: "il riferimento, contenuto nell'art. 1, co.1, D.L. n. 394 del 2000, agli interessi "a qualunque titolo convenuti" rende plausibile - senza necessità di specifica motivazione - l'assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori"; cfr. da ultimo, Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, testualmente: "L'art. 2 L. n. 108 del 1996 vieta di pattuire interessi eccedenti la misura massima ivi prevista. Questa norma s'applica sia agli interessi promessi a titolo di remunerazione d'un capitale o della dilazione d'un pagamento (interessi corrispettivi: art. 1282 c.c.), sia agli interessi dovuti in conseguenza della costituzione in mora (interessi moratori: art. 1224 c.c.). Tale conclusione è l'unica consentita da tutti e quattro i tradizionali criteri di ermeneutica legale: l'interpretazione letterale, l'interpretazione sistematica, l'interpretazione finalistica e quella storica"). Con riferimento agli interessi moratori, la giurisprudenza di legittimità, al dichiarato "fine di prevenire ulteriore contenzioso", ha di recente statuito due ulteriori notazioni (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). In primo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che "il riscontro dell'usurarietà degli interessi convenzionali moratori va compiuto confrontando puramente e semplicemente il saggio degli interessi pattuito nel contratto col tasso soglia calcolato con riferimento a quel tipo di contratto, senza alcuna maggiorazione od incremento: è infatti impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l'usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell'art. 2 L. n. 108 del 1996, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di "mora - soglia", ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia" (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). Si considera, quindi, arbitrario, in quanto privo di base normativa, il criterio individuato dalle circolari della B.D., secondo cui il tasso soglia degli interessi moratori andrebbe individuato maggiorando di 2,1 punti percentuali il tasso soglia vigente per la categoria di operazioni di volta in volta in considerazione, ai sensi dell'art. 2 L. n. 108 del 1996. Nel contempo, si chiarisce che la valutazione del rispetto del tasso soglia va operata separatamente per gli interessi corrispettivi e per gli interessi moratori, attesa la diversità ontologica e funzionale (cfr. art. 1282, co.1, c.c. e art. 1224, co. 1, c.c.), senza procedere ad una indebita sommatoria, secondo un'interpretazione peraltro ormai consolidatasi nella giurisprudenza di merito, dopo i dubbi interpretativi inizialmente suscitati dalla nota sentenza della Cassazione civile, sez. I, n. 350/2013 (cfr. da ultimo, Trib. Milano, sez. VI, 06/06/2018, n. 6369, massima: "nessuna norma di legge consente di operare la sommatoria dei tassi di interesse corrispettivi e moratori al fine di rapportarne il risultato al tasso soglia; in sostanza, quindi, entrambe le tipologie di interessi potenzialmente potrebbero al più risultare usurarie, ma ciò dovrà essere valutato singolarmente per ciascuna categoria di interessi, dal momento che, nel caso di inadempimento del debitore e conseguente decorrenza degli interessi moratori, questi si sostituiscono e non si aggiungono agli interessi corrispettivi"; Trib. Catania, sez. IV, 28/02/2018, n. 957, massima: "per quanto attiene alla violazione della normativa di cui alla L. n. 108 del 1996 ai fini dell'accertamento del superamento del tasso di soglia non è corretto procedere alla sommatoria degli interessi corrispettivi e di quelli moratori; la differenza ontologica tra gli interessi moratori e quelli corrispettivi costituisce un elemento ostativo all'applicazione della regola del cumulo; in particolare, gli interessi moratori rientrerebbero tra quelle prestazioni accidentali, e perciò meramente eventuali, sinallagmaticamente riconducibili al futuro adempimento e destinate ad assolvere, in chiave punitiva, a una funzione di persuasione morale finalizzata al regolare adempimento da parte del debitore; perciò, la verifica dell'eventuale superamento del tasso di soglia deve essere autonomamente eseguita con riferimento a ciascuno delle due categorie di interessi senza sommatoria tra loro"). In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che "l'applicazione dell'art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale" (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). Si diversifica, quindi, il rimedio applicabile in caso di superamento del tasso soglia da parte degli interessi convenzionali, a seconda che abbiano funzione corrispettiva ovvero moratoria, con applicazione rispettivamente dell'art. 1815, co.2, c.c. ovvero dell'art. 1284, co.2, c.c. , previa declaratoria in entrambi i casi di nullità della clausola per violazione della norma imperativa di cui all'art. 644 c.p. , con sostituzione automatica ex art. 1419, co.2, c.c. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in base al principio di omnicomprensività sancito dall'art. 644, co. 5, c.p., come modificato dalla L. n. 108 del 1996, ai fini della verifica del rispetto del tasso soglia, nel tasso convenzionale vanno incluse tutte le spese correlate all'erogazione del mutuo, con la sola esclusione di quelle per imposte e tasse (cfr. da ultimo, Cass. civ., sez. III, n. 5160/2018 per l'inclusione delle spese assicurative). Applicando tali coordinate normativo - giurisprudenziali al caso di specie, tenendo conto dell'accertamento effettuato in concreto dal c.t.u. contabile, le cui conclusioni sono pienamente condivisibili in quanto fondate su un metodo scientifico ed immuni da vizi logici, ne deriva quanto segue. Il contratto per cui è causa (v. all. 2, fasc. attori), tenuto conto della tipologia negoziale (mutuo fondiario ex art. 38 T.U.B., v. intestazione del contratto e tenore del regolamento contrattuale), del criterio pattizio di calcolo degli interessi (v. art. 5 del contratto) e della data di stipula (29.4.2005), è sussumibile nella categoria dei "contratti di mutuo ipotecario a tasso variabile", con tasso soglia ex art. 2 L. n. 108 del 1996, vigente per il 2 trimestre 2005, pari al 5,805% (v. pag. 23-24, c.t.u. e decreto ministeriale di riferimento, all. 3 c.t.u.). Tenendo conto dell'accertamento condotto dal c.t.u. alla luce dei principi statuiti dalla più recente giurisprudenza di legittimità, sia il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi, sia il tasso convenzionale degli interessi moratori risultano rispettosi del suddetto tasso soglia del 5,805%, vigente al momento della stipula. In particolare, il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi, comprensivo di tutti i costi e le spese collegati all'erogazione del mutuo in ossequio al principio di omnicomprensività di cui all'art. 644, co. 5, c.p. (cd. T.A.E.G. ossia tasso annuo effettivo globale o I.S.C. ossia indicatore sintetico di costo), è pari al 4,60% e, come tale, al momento della stipula è rispettoso del tasso soglia vigente del 5,805% (v. pag. 25, c.t.u.), con conseguente esclusione del rimedio di cui all'art. 1815, co.2, c.c. per gli interessi corrispettivi usurari (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.). In base al regolamento contrattuale, il tasso convenzionale degli interessi moratori ai sensi dell'art. 5.3 del contratto invece è "pari al 2,00 punti in più del tasso applicato al finanziamento". Secondo l'accertamento condotto dal c.t.u. senza la maggiorazione del tasso soglia in ossequio alla più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. , sez. III, n. 27442/2018, cit.), il tasso convenzionale degli interessi moratori, al momento della stipula del contratto, è pari al 5,75% (ossia il tasso annuo nominale degli interessi corrispettivi del 3,75% ex art. 5.1 del contratto, cd. T.A.N., maggiorato per la mora del 2% ex art. 5.3 del contratto) e, come tale, è rispettoso del tasso soglia del 5,805% vigente al momento della stipula (v. pag. 27-28, c.t.u. e decreto ministeriale di riferimento, all. 3 c.t.u.), non rilevando il superamento del tasso soglia accertato dal c.t.u. nel corso del rapporto (cd. usura sopravvenuta, cfr. SS.UU. civ., n. 24675/2017, cit.; v. pag. 28, c.t.u.), con conseguente esclusione del rimedio ex art. 1284, co.2, c.c. individuato dalla più recente giurisprudenza di legittimità per gli interessi moratori usurari (cfr. Cass. civ., sez. III, n. 27442/2018, cit.). Inoltre, per quanto attiene alla rilevanza, ai fini della disciplina in materia di usura, delle spese per l'estinzione anticipata del mutuo di cui all'art. 7.5 del contratto, asserita da parte attrice, si osserva quanto segue. A fronte di una variegata giurisprudenza di merito, si rinviene sul punto un precedente della giurisprudenza di legittimità in materia penale (da ritenersi estendibile in linea di principio anche alla materia civile, attesa la comune nozione di usurarietà di cui all'art. 644 c.p. , rilevante anche ai fini dell'art. 1815, co.2, c.c. , come desumibile in sede di interpretazione autentica dall'art. 1, D.L. n. 394 del 2000, l. conv. n. 24/2001), in cui si statuisce: "In definitiva ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, deve tenersi conto anche delle commissioni bancarie, delle remunerazioni richieste a qualsiasi titolo e delle spese ad esclusione di quelle per imposte e tasse collegate all'erogazione del credito (Sez. 2^, 23.11/ 19.12, Rv. 252195). Il reato si consuma non solo con la promessa o la dazione di "interessi" (richiamandosi qui la trama normativa dettata dagli artt. 1815 e 1284 c.c. e L. n. 108 del 1996, art. 2), ma anche se oggetto di pattuizione sono comunque "vantaggi usurari". Questi ultimi sono illegittimi profitti, di qualsivoglia natura che l'accipiens riceve e che per il valore, raffrontato alla controprestazione, assumono carattere di usura cioè di interesse eccedente la norma. Si intende, poi, che allorché si verifichi l'estinzione anticipata del credito, ove evitare di imporre un interesse usurario, occorrerà ridurre le spese e le commissioni rapportandole alla durata onorata del prestito, e comunque mantenendo spese e commissioni nei limiti che impediscano il superamento del tasso legale" (cfr. testualmente, Cass. pen., sez. II, n. 28928/2014). Coerentemente con quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità, si ritiene che nel caso di specie non rileva l'accertamento dell'eventuale usurarietà delle spese per l'estinzione anticipata del mutuo di cui all'art. 7.5 del contratto, atteso che la facoltà di estinzione anticipata del mutuo non è stata in concreto esercitata dalla parte mutuataria, come accertato dal c.t.u. (cfr. c.t.u., pag. 34). Pertanto, la domanda di parte attrice di cui al punto A della precisazione delle conclusioni va rigettata. Esame della domanda di parte attrice, sub lett. B della precisazione delle conclusioni. In via subordinata, parte attrice chiede dichiararsi la nullità della clausola relativa agli interessi corrispettivi, di cui agli artt. 4, 5, 7 e 8 del contratto di mutuo fondiario, per indeterminatezza ed indeterminabilità dell'oggetto e/o per errata indicazione del tasso annuo nominale (T.A.N.) e dell'Indicatore Sintetico di Costo (I.S.C.), ai sensi degli artt. 1344, 1346, 1418, 1419 e 1284, co.3, c.c. e per violazione dell'art. 117, D.Lgs. n. 385 del 1993 e dell'art. 9, co.2, della Delib. CICR del 4 marzo 2003, e del 9, Sez. II, Titolo X, delle Istruzioni di Vigilanza per le Banche di cui alla Circolare di B.D. n. 229 del 21 aprile 1999, aggiornata il 25 luglio 2003 e, per l'effetto, applicare il tasso legale tempo per tempo vigente ex art. 1284, co.3, c.c. o, in subordine, il tasso BOT ex art. 117, co. 7, D.Lgs. n. 385 del 385 e, quindi, dichiarare che il debito residuo degli odierni attori alla data di risoluzione del contratto di mutuo (10/04/2013) è pari ad Euro 51.033,61 (al tasso legale) ovvero, in subordine, ad Euro 50.126,99 (al tasso BOT), come da espletata c.t.u. Tale censura è fondata alla luce dell'accertamento condotto dal c.t.u. sulla base sia delle condizioni contrattuali pattuite, che di quelle concretamente applicate. In particolare, il c.t.u. ha accertato che il tasso annuo nominale pattuito (T.A.N.), pari al 3,75% ai sensi dell'art. 5.1. del contratto, e poi soggetto a variazione ai sensi dell'art. 5.2. del contratto stesso, è diverso rispetto al tasso annuo effettivo (T.A.E.) applicato dalla banca, in quanto la banca si è limitata a dividere il tasso annuo nominale per il n. 12 delle rate previste per ogni anno, mentre avrebbe invece dovuto applicare la formula matematica dei "tassi equivalenti in regime di capitalizzazione composta", di cui si riconosce la piena validità scientifica, la cui applicazione comporta l'accertamento di una difformità tra T.A.N. e T.A.E. nel corso del rapporto contrattuale, analiticamente indicata dal c.t.u. in tabella (v. c.t.u. , pag. 17-19). Inoltre, i sensi dell'art. 5 del contratto, rubricato "interessi", ed in particolare ai sensi del punto 1 relativo al TAN degli interessi corrispettivi, "a) il tasso di interesse , sia per l'eventuale periodo di preammortamento che per quello di ammortamento, viene inizialmente stabilito ed accettato nella misura del 3,75% nominale annui. Tale tasso di ingresso si trasformerà a regime nel tasso nominale di cui al successivo punto b) non prima che siano trascorsi due mesi dalla data di erogazione del finanziamento, alle seguenti date di aggiornamento : - 10 aprile per i finanziamenti erogati nel periodo compreso fra il giorno 11 agosto ed il 10 febbraio; - 10 ottobre per i finanziamenti erogati nel periodo compreso fra il giorno 11 febbraio ed il 10 agosto in cui rientra il contratto di specie stipulato il 29.4.2005; b) a regime il tasso di interesse nominale annuo sarà pari all'EURIBOR a tre mesi "lettera" come rilevato dall'Euribor Panel Steering Comittee alla data che precede di dieci giorni le date di aggiornamento sopra indicate e pubblicate di norma sul quotidiano finanziario IL SOLE 24 ORE" o altro quotidiano finanziario, il giorno successivo alla data di rilevazione e che alla data dell'ultimo aggiornamento era pari al 2,15%, aumentato di 1,30 punti percentuali ed arrotondato allo 0,05 % superiore" (v. all. 2, fasc. attori). Il c.t.u. ha accertato che, in base a tale previsione contrattuale, è chiaro che, ai fini del calcolo del T.A.N., il tasso di riferimento è l'EURIBOR a tre mesi, da rilevarsi nei 10 giorni di calendario precedenti, ed è chiara la data di inizio della variazione del tasso (10 ottobre, tenuto conto che il contratto è stato stipulato il 29.4.2005), ma non è chiara la periodicità di tale variazione, ossia se la variazione sia semestrale (10 aprile - 10 ottobre) oppure annuale (10 ottobre in base alla data di stipula) (v. c.t.u. , pag. 36). Il c.t.u. ha altresì accertato che nel corso del rapporto la banca ha applicato tassi difformi rispetto a quelli rilevabili sulla base delle clausole contrattuali, come risulta dalla analitica tabella peritale e che, a fronte di una non chiara previsione contrattuale sulla periodicità della variazione del tasso EURIBOR a tre mesi, ha operato in concreto una variazione semestrale del tasso stesso (v. c.t.u., pag. 37). Pertanto, il c.t.u., tenuto conto sia dell'accertata difformità tra T.A.N. e T.A.E., ossia tra il tasso annuo nominale pattuito ex art. 5 del contratto e quello concretamente applicato nel corso del rapporto contrattuale, come da analitica tabella (v. c.t.u., pag. 17-19), sia della applicazione di tassi difformi rispetto a quelli rilevabili sulla base dei parametri pattuiti, come da ulteriore analitica tabella (v. c.t.u., pag. 37), sia della concreta applicazione di una variazione semestrale del tasso EURIBOR a tre mesi in mancanza di una chiara indicazione contrattuale (v. c.t.u., pag. 36-37), ha ritenuto che gli interessi corrispettivi applicati in concreto non sono conformi alle previsioni contrattuali, di per sé non del tutto univoche (cfr. c.t.u., pag. 38: "Alla luce di quanto sopra esposto, valutate le indicazioni contrattuali del tasso nominale annuo (TAN) e la diversa misura del Tasso Effettivo (TAE), la variazione semestrale del tasso, in concreto applicata, rispetto alla non chiara previsione della data di aggiornamento periodico (ogni semestre o ogni anno), il CTU ritiene che gli interessi corrispettivi calcolati nel corso del rapporto non rispecchiano esattamente i parametri, non chiari, fissati all'atto della stipula del mutuo"). Sul piano dei rimedi, alla luce di tale accertamento condotto dal c.t.u. , non è applicabile l'art. 1284, co.3, c.c. , invocato in via principale da parte attrice, in quanto nel caso di specie non si configura l'inosservanza della forma prescritta a pena di nullità per la pattuizione di un tasso ultralegale degli interessi, essendo stata al contraria osservata tale forma attraverso la pattuizione in forma scritta della clausola di cui all'art. 5 del contratto. E' invece applicabile il rimedio invocato da parte attrice in via subordinata di cui all'art. 117, co.7, lett. a, T.U.B. (nel testo vigente ratione temporis alla data di stipula del 29.4.2005), per inosservanza del comma 4 a cui esso rinvia, in quanto la clausola di cui all'art. 5 del contratto non "indica il tasso d'interesse" in modo puntuale, come prescritto da tale disposizione, lasciando un margine di indeterminatezza in ordine alla periodicità (semestrale o annuale) di variazione del tasso EURIBOR a 3 mesi, quale parametro per la determinazione del T.A.N. , come accertato dal c.t.u. (v. c.t.u. , pag. 36, cit. "Non risulta tuttavia chiara la previsione delle date di aggiornamento e cioè se, la variazione del tasso è semestrale ( 10 aprile - 10 ottobre) o annuale (10 ottobre in virtù della data di stipula)"), il che implica, trattandosi di operazione passiva, l'applicazione in via sostitutiva del tasso nominale massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto avvenuta il 29.4.2005, ai sensi dell'art. 117, co.7, T.U.B. e, conseguentemente, un ricalcolo del debito di parte attrice nei confronti della banca convenuta nella misura di Euro 50.126,99, come tale inferiore a quello risultante dall'atto di precetto notificato dalla banca, pari ad Euro 60.398,90 (v. c.t.u. , metodo 2, pag. 49-52; v. atto di precetto, all. 5, fasc. banca). Trattandosi di debito di valuta, su tale somma di Euro 50.126,99 vanno calcolati sia gli interessi legali ex art. 1224, co. 1, c.c. , sia la rivalutazione monetaria ex art. 1224, co. 2, c.c. nella misura pari all'eventuale differenza tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ex art. 1284, co. 1, c.c. (cfr. SS.UU. civ. n. 19499/2008), con decorrenza dalla notifica dell'atto di precetto avvenuta il 26.7.2013 (v. all. 5, fasc. banca) ai sensi dell'art. 1219, co.1, c.c. , fino all'effettivo soddisfo. Tale accertamento relativo al T.A.N. comporta l'assorbimento delle ulteriori censure di parte attrice relative all'I.S.C. Esame della domanda di parte attrice, sub lett. C della precisazione delle conclusioni, in punto di spese processuali L'accertamento di un debito residuo di parte attrice nei confronti della banca convenuta pari ad Euro 50.126,99, a fronte di quello risultante dall'atto di precetto notificato dalla banca stessa pari ad Euro 60.398,90 (v. c.t.u. , metodo 2, pag. 49-52; v. atto di precetto, all. 5, fasc.banca), giustifica una parziale compensazione delle spese processuali ai sensi dell'art. 92, co.2, c.p.c. nei seguenti termini: le spese di lite sono integralmente compensate tra le parti, mentre le spese dell'espletata c.t.u. contabile sono poste a carico della banca nella misura liquidata con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Gela, in persona del Giudice monocratico, definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 652/2015 R.G., accoglie la domanda subordinata di parte attrice e, per l'effetto, accerta che la clausola di cui all'art. 5 del contratto di mutuo stipulato il 29.4.2005 non osserva l'art. 117, co.4 T.U.B. (nel testo vigente ratione temporis alla data di stipula) e che, conseguentemente, ai sensi dell'art. 117, co. 7, T.U.B. (nel testo vigente ratione temporis alla data di stipula) (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)) sono debitori in solido nei confronti di (...) s.p.a. (p.i. (...)) della somma di Euro 50.126,99, oltre interessi legali ex art. 1224, co.1, c.c. ed oltre rivalutazione monetaria ex art. 1224, co.2, c.c. nella misura pari all'eventuale differenza tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il tasso degli interessi legali determinato anno per anno, con decorrenza dalla notifica dell'atto di precetto avvenuta il 26.7.2013 fino al soddisfo; compensa integralmente tra le parti le spese di lite; condanna la (...) s.p.a. (p.i. (...)) al pagamento delle spese della c.t.u. , nella misura liquidata con separato decreto. Così deciso in Gela il 5 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GELA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Stefania Sgroi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 365/2014 R.G. , promossa da (...) (c.f. (...)), con il ministero dell'avv. Ma.Em. APPELLANTE contro (...) S.P.A. (p.i. (...)), in persona del rappresentante legale p.t. , con il ministero dell'avv. Pi.An. APPELLATA MOTOVO DELLA DECISIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto di citazione notificato il 12.3.2014, (...) proponeva appello nei confronti di (...) s.p.a. , avverso la sentenza del Giudice di pace di Gela n. 615/2013, depositata il 26.7.2013, con cui si statuiva: "rigetta le domande attrici; nulla dispone sulle spese". In particolare, l'appellante impugnava i seguenti capi della suddetta sentenza: "1) parte della sentenza in cui risulta palesemente errata la ricostruzione del dato storico ed oggettivo correttamente prospettato dall'odierno appellante; 2) parte della sentenza in cui risulta manifestamente errata la valutazione dell'impianto probatorio; 3) parte della sentenza in cui nulla è disposto in ordine alle spese". Pertanto, l'appellante chiedeva a codesto Tribunale, in funzione di Giudice di appello: "1) In riforma della gravata sentenza, in accoglimento della prima e della seconda motivazione d'appello, ritenere e dichiarare, in via principale, l'inadempimento contrattuale di (...) S.p.A. per i servizi telefonici e la connessione A. dalla medesima offerti; 2) Sempre in riforma della gravata sentenza, in accoglimento della prima e della seconda motivazione d'appello, ritenere e dichiarare (...) S.p.A. responsabile per avere ingiustificatamente addebitato la somma di Euro 426,96 a carico dell'utenza telefonica di proprietà del sig. (...), imputando la medesima somma ad inesistenti, oltre che impossibili, connessioni ad internet; 3) Conseguentemente e per l'effetto, condannare la (...) S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare al sig. (...): a) La somma di Euro 100,00, così come previsto dal punto 31.1 delle Condizioni Generali di Contratto (...); b) La somma di Euro 2.826,80, e/o quell'altra somma maggiore o minore accertanda, oltre agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dalla data del pagamento sino a quella dell'effettivo soddisfo, così come previsto dall'articolo 26 delle Condizioni Generali di Abbonamento a titolo di "indennizzo pari al 50% del canone mensile corrisposto al cliente per ogni giorno lavorativo di ritardo incluso il sabato o di inadempimento delle condizioni stabilite"; c) La somma complessiva di Euro 500,00, e/o quell'altra somma maggiore o minore accertanda, che il Decidente riterrà di giustizia, determinata anche in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre interessi e rivalutazione legale dal dì del dovuto sino al soddisfo; 4) Conseguentemente, condannare la (...) S.p.A., anche in accoglimento della terza motivazione d'appello, al pagamento delle spese legali relative ad entrambi i gradi di giudizio, da distrarre, ex art. 93 c.p.c., al sottoscritto procuratore, avendo lo stesso anticipato le spese e non riscosso le competenze e gli onorari di causa". Si costituiva ritualmente nel presente giudizio di appello (...) s.p.a. , rimasta contumace nel giudizio dinanzi al Giudice di pace, chiedendo a codesto Tribunale, in funzione di giudice di appello: "reiectis adversis, rigettare l'appello proposto dal sig. (...), con condanna del medesimo alle spese di lite". All'udienza di precisazione delle conclusioni del 12.9.2018, il nuovo Giudice istruttore poneva la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. previo rinvio dell'art. 352 c.p.c. Ciò premesso, l'appello è infondato. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ove l'utente contesti le risultanze dei contatori delle società telefonica, è onere della società stessa provarne il corretto funzionamento, mentre l'utente ha l'onere di allegare circostanze atte ad escludere l'utilizzazione esterna della linea telefonica da parte di soggetti da lui non autorizzati, al fine di sottrarsi al pagamento degli addebiti risultanti dal contatore funzionante (cfr. da ultimo, Cass. civ. , sez. III, 16/05/2017, n. 12003, testualmente: "Come più volte affermato da questa Corte (Cass. 24620/2015; Cass. 18231/2008) deve presumersi il buon funzionamento del sistema di rilevazione del traffico telefonico per telefonia fissa mediante i contatori centrali delle società telefoniche, le cui risultanze fanno piena prova del traffico addebitato, in difetto di contestazione da parte dell'utente. Se il buon funzionamento è contestato, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell'affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti. In ogni caso, l'utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, ma dovrà allegare circostanze che univocamente autorizzino a presumere che sia avvenuta una utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono. E' necessario anche che possa escludersi che soggetti diversi dal titolare dell'utenza ma in grado di accedere ad essa ne abbiano fatto uso per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza da parte dell'intestatario, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte del medesimo"; cfr. conforme, già Cass. civ. , sez. III, 20/06/2008, n. 16797, testualmente: "Benché, in linea con quanto stabilito dall'art. 2712 c.c., le risultanze dei contatori centrali della società telefonica facciano piena prova del traffico addebitato solo in difetto di contestazione da parte dell'utente, deve tuttavia presumersi il buon funzionamento dei contatori stessi. Se il buon funzionamento sia contestato anche mediante richiesta di un accertamento tecnico sulla funzionalità dell'impianto di contabilizzazione, costituisce onere della società esercente il servizio di telefonia offrire la prova dell'affidabilità dei valori registrati da contatori funzionanti. Anche in tal caso l'utente è ammesso a provare che non gli sono addebitabili gli scatti risultanti dalla corretta lettura del contatore funzionante, mediante l'allegazione di circostanze che univocamente autorizzino la presunzione di un'utilizzazione esterna della linea nel periodo al quale gli addebiti si riferiscono. A tale fine non è tuttavia sufficiente che il traffico telefonico appaia straordinario rispetto ai livelli normali, ovvero che si sia svolto verso destinazioni inusuali, o in assenza dell'utente, ma è necessario che possa ragionevolmente escludersi anche che soggetti diversi dal titolare dell'utenza abbiano fatto un uso abnorme del telefono per ragioni ricollegabili ad un difetto di vigilanza, ovvero alla mancata adozione di possibili cautele da parte dell'intestatario"). Nel caso di specie, l'attore odierno appellante ha provato di aver stipulato con (...) s.p.a. odierna appellata un contratto di abbonamento telefonico (v. all. 15, fasc. attore) ed un contratto per il servizio "(...)" per la connessione ad internet tramite tecnologia adsl (v. all. 16, fasc. attore), con consegna del modem "(...)" (v. all. 1, fasc. attore), ed ha allegato il mancato funzionamento del modem, confermato dalla prova per testi (v. verbale dell'udienza del 27.11.2012 dinanzi al Giudice di pace, risposta del teste V.G., moglie dell'attore: "il modem non ha mai funzionato"); la società telefonica, rimanendo contumace in primo grado e non chiedendo di essere rimessa in termini in appello (v. art. 345, co.3, c.p.c.), non ha fornito la prova contraria. Tuttavia, dalle prove documentali prodotte in primo grado dallo stesso attore odierno appellante risulta che in realtà l'utente ha fatto varie "segnalazioni di guasti (del modem)" alla società telefonica nelle date ivi indicate e che tali segnalazioni di volta in volta sono state "risolte" (v. doc.2, fasc. attore), contrariamente a quanto dichiarato dal teste, la cui attendibilità va pertanto ridimensionata alla luce dell'incontrovertibile dato documentale prodotto dallo stesso attore. A fronte di tale prova documentale, da cui si desume il funzionamento discontinuo del modem, e non il totale guasto del modem come dichiarato dal teste, l'attore per sottrarsi al pagamento delle fatture fondate sulle risultanze dei contatori della società telefonica, conformemente al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, avrebbe dovuto allegare circostanze atte a comprovare l'utilizzo esterno della connessione internet da parte di soggetti da lui non autorizzati, onere che tuttavia non ha assolto. Tale prova documentale (v. doc.2, fasc. attore), tenuto conto del riparto dell'onere probatorio nei termini precisati dalla costante giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sopra cit.), assume pertanto carattere dirimente della controversia, comportando il rigetto della domanda dell'attore come correttamente statuito dal Giudice di pace. Pertanto, il primo ed il secondo motivo di appello sono infondati in quanto, come correttamente ritenuto dal Giudice di primo grado, "per i periodi di funzionamento della linea non è da escludere che vi siano stati consumi addebitati all'attore per connessione ad internet". Il rigetto del primo e del secondo motivo di appello comporta, conseguentemente, il rigetto anche del terzo motivo afferente alla regolamentazione delle spese di lite, in quanto la statuizione del Giudice di pace "nulla dispone sulle spese" risulta coerente con la soccombenza dell'attore ("rigetta le domande attrici") e con la contumacia del convenuto, che come tale non ha sostenuto alcuna spesa di lite in primo grado. Alla luce delle superiori considerazioni, l'appello va rigettato e, per l'effetto, va confermata la sentenza impugnata n. 615/2013 del Giudice di pace di Gela. Le spese del presente giudizio di appello seguono la soccombenza (art. 91, co.1, c.p.c.) e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, applicando i parametri medi previsti dal D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, alla luce della natura della causa (giudizio di cognizione dinanzi al Tribunale), del valore della causa come da domanda (2 scaglione di valore) e della attività difensiva in concreto svolta (3 fasi di media complessità, con esclusione della fase istruttoria attesa la natura meramente documentale della causa). Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione di cui al comma 1-bis. P.Q.M. Il Tribunale di Gela, in funzione di Giudice di appello, definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 365/2014 R.G., rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata n. 615/2013 del Giudice di pace di Gela; condanna VE.NI. (...) a rifondere a TE. S.P.A....) le spese del presente grado di appello, liquidandole in ¬ 1.620,00 per compensi (di cui: per fase di studio Euro 405,00; per fase introduttiva Euro 405,00; per fase decisionale ¬ 810,00), oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante VE.NI. (...), dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ai sensi dell'art. 13, co.1-quater, D.P.R. n. 115/2002. Così deciso in Gela il 5 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2019.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GELA SEZIONE CIVILE Il Tribunale Ordinario di Gela, nella persona del Giudice monocratico dott.ssa Stefania Sgroi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 659/2013 R.G., promossa da (...) (c.f. (...)), in qualità di rappresentante legale di (...) soc. coop. a r.l., con il ministero dell'avv. Pa.Gi. OPPONENTE contro (...) (c.f. (...)), con il ministero dell'avv. EN.FR. OPPOSTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 17.5.2013, (...), in qualità di rappresentante legale p.t. di (...) soc.coop. a r.l. , proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 109/2013, emesso da codesto Tribunale nell'ambito del procedimento monitorio iscritto al n. 385/2013 R.G. , con cui era stato ingiunto il pagamento di Euro 15.616,39 oltre interessi e spese del rito monitorio in favore di (...), chiedendo: "I) in via preliminare non concedere la provvisoria esecuzione del d.i. n. 109/2013 opposto, essendo la presente opposizione fondata su prova scritta; II) dare atto che la (...) Coop arl in persona del suo rappresentante legale pro tempore offre banco iudicis al sig. (...) la somma di Euro 2.010,38 a mezzo di assegno bancario; III) in via principale e di merito accertare e dichiarare, per le motivazioni esposte, la infondatezza delle pretese trasfuse nel D.I: opposto e per l'effetto revocare, dichiarare invalido e/o inefficace il decreto ingiuntivo opposto con ogni consequenziale statuizione di legge; accertata la fondatezza delle doglianze e richieste, condannare l'opposto al pagamento di Euro 2.000,00 per aver incardinato lite temeraria, tacendo elementi di risolutivo rilevo; conseguenze di legge in ordine a spese e competenze di giudizio". Si costituiva ritualmente in giudizio (...), chiedendo a codesto Tribunale:"1) preliminarmente, concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, poiché l'opposizione non è fondata su prova scritta; 2) nel merito, rigettare l'opposizione e con la conferma del decreto ingiuntivo, condannare (...) al pagamento delle spese del presente giudizio". All'udienza di prima comparizione del 16.10.2013, parte opponente, come già dedotto in comparsa, offriva banco iudicis l'assegno bancario dell'importo di Euro 2.010,38 intestato a (...), n. (...), tratto sulla B. e parte opposta dichiarava di accettare tale assegno salvo buon fine e a titolo di acconto sul maggior preteso credito. Con ordinanza depositata il 26.10.2013 il Giudice istruttore rigettava l'istanza ex art. 648 c.p.c. e concedeva i termini ex art. 183, co.6, c.p.c. Con ordinanza depositata il 29.3.2014, il successivo Giudice istruttore rigettava le richieste di prove orali di entrambe le parti e rinviava per la precisazione delle conclusioni; con ordinanza depositata il 5.12.2015 l'ulteriore Giudice istruttore rigettava la richiesta di c.t.u. rimasta inevasa e confermava il rinvio per la precisazione delle conclusioni. All'udienza di precisazione delle conclusioni del 10.10.2018, il nuovo Giudice istruttore poneva la causa in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190, co. 1, c.p.c. Ciò premesso, l'opposizione è fondata per le ragioni che seguono. Con il decreto ingiuntivo n. 109/2013 emesso da codesto Tribunale, non munito di provvisoria esecutività né ex art. 642 c.p.c. , né successivamente ex art. 648 c.p.c., è stato ingiunto a (...) coop. S.T. a r.l. il pagamento di Euro 15.616,39 oltre interessi e spese del rito monitorio, in favore di (...), in qualità di titolare della omonima impresa individuale di autotrasporti. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, con l'instaurazione del presente giudizio di opposizione valgono le regole in tema riparto dell'onere probatorio proprie di giudizio ordinario di cognizione (art. 2697 c.c.), tenuto conto della posizione sostanziale delle parti, per cui il creditore opposto riveste la posizione sostanziale di attore ai sensi dell'art. 2697, co. 1, c.c., mentre il debitore opponente quella di convenuto ai sensi dell'art. 2697, co. 2, c.c. (cfr. ex multis, Cass. civ., sez. I, n. 22113/2015, massima: "nel procedimento per ingiunzione per effetto dell'opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto; ciò esplica i suoi effetti non solo nell'ambito dell'onere della prova, ma anche in ordine ai poteri e alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti"). Pertanto, in ossequio ai principi statuiti dalle Sezioni Unite sul riparto dell'onere probatorio in materia di obbligazioni di fonte contrattuale, il creditore opposto è tenuto a fornire la prova della titolarità e dell'esigibilità del credito, potendo limitarsi ad allegare l'inadempimento del debitore, mentre il debitore opponente è tenuto a provare l'avvenuto adempimento ovvero la non imputabilità dell'inadempimento (cfr. SS.UU. civ. n. 13533/2001, testualmente: "il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte; sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento"; "le richiamate esigenze di omogeneità del regime probatorio inducono ad estendere anche all'ipotesi dell'inesatto adempimento il principio della sufficienza dell'allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando anche in tale eventualità sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento"). Alla luce di tali coordinate normativo - giurisprudenziali, nel caso di specie il creditore opposto non ha provato la fonte del diritto di credito di Euro 15.616,39, oggetto del decreto ingiuntivo opposto, in quanto si è limitato a produrre n. 4 fatture che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non sono sufficienti a provare il credito nel caso in cui il debitore lo contesti, come nel caso di specie, instaurando un giudizio di opposizione, trattandosi di meri documenti unilaterali provenienti dal creditore stesso, idonei all'emissione del decreto ingiuntivo, ma insufficienti ad assolvere l'onere probatorio proprio di un giudizio ordinario di cognizione qual è quello di specie (cfr. ex multis, Cass. civ. , sez. III, n. 5071/2009, massima: "il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura quale giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa; pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di forniture o servizi, spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo, non potendo la fattura, costituente titolo idoneo per l'emissione del decreto, costituire fonte di prova in favore della parte che la ha emessa"). In particolare, con il presente giudizio di opposizione il debitore odierno opponente ha contestato quasi integralmente il credito opposto risultante dal decreto ingiuntivo, limitandosi ad offrire banco iudicis ad asserita soddisfazione integrale del credito opposto la somma di Euro 2.010,38 a mezzo di assegno bancario, che all'udienza di prima comparizione la parte opposta ha dichiarato di accettare salvo buon fine e come acconto (v. verbale dell'udienza del 16.10.2013). Alla luce dell'istruttoria, considerato che l'onere di provare la fonte e l'esigibilità del diritto di credito grava sul creditore opposto (v. art. 2697, co.1 c.c. e giurisprudenza sopra citata) e che il debitore ha dichiarato in comparsa di soddisfare integralmente il creditore con la somma offerta banco iudicis, non risulta provata in giudizio la debenza delle ulteriori somme risultanti dal decreto ingiuntivo opposto, oltre alla somma già accettata banco iudicis dal creditore in prima udienza, né sulla base di prove documentali (non essendo sufficienti le 4 fatture prodotte dal creditore, trattandosi di meri documenti unilaterali provenienti dallo stesso creditore), né sulla base di prove orali (non essendo state ammesse dai precedenti Giudici istruttori), né sulla base del principio di non contestazione (art. 115, co. 1, c.p.c.), operante solo nei limiti della somma offerta banco iudicis dal debitore. Pertanto, l'opposizione va accolta e, per l'effetto, va revocato il decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza (art. 91, co.1, c.p.c.) e sono liquidate come in dispositivo, in applicazione dei parametri tabellari medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, tenendo conto della natura della causa (giudizio ordinario di cognizione dinanzi al Tribunale), del valore della causa come da domanda (Euro 15.616,39) e della attività difensiva in concreto svolta (3 fasi di media complessità, con esclusione della fase istruttoria, dato il rigetto delle richieste istruttorie di entrambe le parti con le ordinanze depositate il 29.3.2014 ed il 5.12.2015). Si rigetta la domanda di parte opponente di condanna di parte opposta per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. , in quanto l'offerta banco iudicis della somma di Euro 2.010,38 da parte dell'opponente, valendo come parziale riconoscimento del credito preteso da controparte, esclude la temerarietà della pretesa creditoria. P.Q.M. Il Tribunale di Gela, in persona del Giudice monocratico, definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 659/2013 R.G., accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 109/2013, emesso da codesto Tribunale nel procedimento monitorio iscritto al n. 385/2013 R.G.; condanna (...) (c.f. (...)) al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di (...) (c.f. (...)), in qualità di rappresentante legale p.t. di (...) soc. coop. a r.l., liquidandole in Euro 3.235,00 per compensi (di cui per fase di studio Euro 875,00; per fase introduttiva Euro 740,00; per fase decisionale Euro 1.620,00), oltre Euro 111,00 per spese vive, spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge; rigetta la domanda di parte opponente di condanna di parte opposta per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Così deciso in Gela il 28 gennaio 2019. Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2019.
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