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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Coppari Marcello, alla pubblica udienza del 20.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: In.Ar., nato a S. (L.) il (...), con domicilio eletto presso il già difensore di fiducia, avv. Ro.Br. del Foro di Libero assente; imputato del reato di cui al foglio allegato. P.P.OO.: 1) Ni.Va., nata in M. del N. il (...); e 2) To.Pa., nato a T. il (...). delitto p. e p. dagli artt. 81 c. 2, 640 c.p. perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con artifizi e raggiri consistiti nell'esibire a Ni.Va. due false contabili bancarie attestanti l'effettuazione, in favore della persona offesa, di un bonifico di Euro 2.420,00 e di un altro da Euro 300,00, facendole credere così di avere disponibilità economica, traeva in inganno la persona offesa e conseguiva un ingiusto profitto con pari danno per la parte offesa facendosi consegnare dalla stessa le seguenti somme con le seguenti modalità: - Euro 999,00 con ricarica sulla carta prepagata Banca 5 avente n. (...) in data 16.11.2019; - Euro 180,00 con bonifico bancario sulla carta prepagata Banca 5 avente n. (...) in data 16.11.2019; - Euro 261,00 con ricarica sulla carta prepagata Banca 5 avente n. (...) in data 18.11.2019; In Gorizia, 16.11.2019 e 18.11.2019 Con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. Con l'intervento del P.M. ME.Me., V.P.O. del., dell'Avv. PA.Pa. del Foro di Gorizia per la parte civile e dell'Avv. PA.Da. del Foro di Gorizia, sostituto del difensore di fiducia dell'imputato. MOTIVI DELLA DECISIONE In.Ar., nato a S. (L.) il (...), è stato citato al presente giudizio, per rispondere - in continuazione - del reato di cui all'art. 640 c.p., come contestato in rubrica, nei confronti di Ni.Va., nata in M. del N. il (...), e To.Pa., nato a T. il (...), i quali si sono costituiti parte civile. L'imputato - pur essendo stato validamente raggiunto dall'avviso della pendenza del presente processo, presso la C.C. di Civitavecchia (RM), in quanto ivi detenuto, ha rinunciato a comparire all'udienza del 06.4.2022 e a partecipare all'odierno processo. All'udienza del: I) 06.4.2022: con ordinanza, che s'intende qui integralmente richiamata, è stata, da un lato, rigettato il termine richiesto dal difensore, non sussistendone i presupposti, essendoci stato tempo sufficiente alla preparazione della difesa, dall'altro, è stata ammessa la costituzione di P.C. da parte di To.Pa., in quanto persona fisica titolare della tabaccheria danneggiata dalla truffa, a cui e posto che anche Ni.Va. va qualificata come P.O. del reato in discussione, avendo personalmente trattato l'affare oggetto di truffa e da cui, pertanto, è derivato il danno alla predetta persona giuridica, in considerazione di quanto stabilito dalla Giurisprudenza di legittima al riguardo (Cass. 50725/2016 e da ultimo Cass. 11478/2023); II) 15.02.2023: 1) è stata esaminata la P.O. Ni.Va., la quale, premesso di avere sporto querela il 03.12.2019 per il fatto per cui è qui processo e che, all'epoca, lavorava presso la tabaccheria e di avere conosciuto l'odierno imputato, quale cliente, nel novembre del 2019, nell'ambito del servizio bancario di prelievo offerto con riguardo al circuito di B.I., ha, fra l'altro, riferito che: - a) l'imputato, insieme ad una donna che presentò alla teste come la propria moglie, Le.An., entrò nel tabacchino e, dopo aver chiesto, se era disponibile il servizio bancario predetto, fornite le generalità della donna e la carta prepagata col P.I.N. di accesso, usufruirono del servizio, prelevando i due del denaro in contanti, che veniva loro consegnato dalla teste e disponendo, al contempo, il corrispondente accredito sul loro conto, per via telematica; tali operazioni si ripeterono per circa 8-10 volte con frequenza regolare nell'arco di un mese (verb. fonoregistraz., pagg. 4 e 5); - b) le predette operazioni, anche se talora compiute con anticipo del contante da parte del tabacchino, poiché compiute in orari in cui non era operativo il servizio in questione, andarono sempre a buon fine, e la teste aveva fiducia nel fornire il denaro, perché manteneva presso di sé la carta prepagata ed il relativo codice di utilizzo, sebbene non potesse verificare il saldo della stessa (verb. fonoregistraz., pagg. 5 e 6); - c) il 15.11.2019 si presentò in tabaccheria solo l'imputato, il quale le chiese di poter effetture 5 operazioni per l'importo di Euro.250,00, ciascuna, che era il massimo dell'importo prelevabile, al lordo delle spese di commissione (verb. fonoregistraz., pag. 6); - d) a quella richiesta, la teste rispose che, per procedere con le operazioni, aveva bisogno dei documenti e del codice fiscale di sua moglie, a cui era intestata la carta prepagata, ma l'imputato le disse che avrebbe potuto anticipargli Euro.1.240,00, impegnandosi a passare nel pomeriggio o che sarebbe venuta sua moglie, e che, comunque, se gli avesse indicato il codice I.B.A.N., avrebbe subito provveduto ad effettuare il relativo bonifico per restituire i soldi ricevuti (verb. fonoregistraz., pag. 6); - e) nel pomeriggio di quel giorno, la teste chiamò il telefono della signora dicendo che non aveva ricevuto alcun bonifico e la signora passò il cellulare all'imputato, il quale le promise che le avrebbe fatto subito il bonifico; poco dopo le arrivò un messaggio dal cellulare dell'imputato con la foto di un ordine di bonifico di Euro.2.420: l'imputato le scrisse di averle bonificato più del dovuto, così che, non appena ne avesse avuto la disponibilità, gli avrebbe potuto ricaricare la carta prepagata già nelle mani della teste, in modo da farlo prelevare ancora, qualora ne avesse avuto bisogno, rassicurandola che i soldi le sarebbero stati effettivamente versati l'indomani; la teste non si accorse, tuttavia, che il bonifico era stato effettuato da tale F.A. e non dall'imputato (verb. fonoregistraz., pagg. 6-8); - f) il giorno dopo le chiese, se poteva caricargli 1.000,00 sulla carta prepagata, ma la teste rispose che non era possibile, perché non aveva ricevuto il bonifico promesso; poi, ricontattata la teste, l'imputato le disse di essersi sbagliato con il bonifico avendo voluto trasferire 2.240 e non 2.420, come, invece, risultava dall'ordine in foto da lui inviata; così la teste gli fece un bonifico con restituzione di 180 euro, pari all'eccedenza rispetto ai 1.000 euro in più, su una carta intestata all'imputato, avendo questi fornito il proprio codice fiscale, presso uno sportello automatico per la via pubblica (verb. fonoregistraz., pag. 8); - g) il giorno dopo, verificato che non c'erano ancora i soldi del bonifico, la teste venne però tranquillizzata dall'imputato, assicurandole che aveva sentito la banca e che i soldi sarebbero arrivati il gionro dopo; il giorno dopo ancora, la teste fu ricontattata dall'imputato il quale le chiese di poter prelevare altri 1000,00 euro, ricaricando di detta cifra la carta intestata alla moglie; 1 ateste gli rispose che non era possibile, perché non c'era liquidità (verb. fonoregistraz., pag. 9); - h) il 18.11.2019 l'imputato le disse di avere urgente bisogno di Euro.250,00 per comprare un biglietto del treno, perché si trovava in difficoltà e doveva scendere a casa dell'anziano padre; poi, le mandò un messaggio con la foto di un ordine di bonifico da 300,00 euro: la teste, allora, chiese ad un collega, tale P.B., il quale fece una ricarica di Euro.250,00 a favore dell'imputato (verb. fonoregistraz., pag. 9); - i) il 19.11.2019, la teste, verificato in banca che non erano ancora arrivati i soldi promessi dall'imputato, chiamò quest'ultimo, il quale la rassicurò ancora una volta che aveva dato disposizioni alla banca e che, nel frattempo, doveva recarsi in Romania e che appena sarebbe tornato avrebbe sistemato la situazione (verb. fonoregistraz., pag. 10); - 1) si sentirono ancora 2 o 3 volte tra il 21 ed il 26.11.2019, e l'imputato diceva sempre le stesse cose, poi l'imputato bloccò il numero sia della teste che del suo compagno, titolare del tabacchino, senza più farsi vivo e restituire i 2680 euro complessivamente ricevuti dalle PP.OO. (verb. fonoregistraz., pag. 10 e 11); - m) la teste ha riconosciuto nei documenti rammostratile dal P.M. i messaggi a cui la stessa ha fatto riferimento (verb. fonoregistraz., pag. 10 e 11); 2) è stato esaminato il teste B. o, nato a G. l'(...), in servizio, all'epoca dei fatti, presso la G.d.F. di Gorizia, il quale, premesso di aver ricevuto la denuncia- querela e la documentazione, ha verificato che l'imputato, insieme a Le.An., era già stato segnalato per numerosi precedenti di truffa nel corso di altre attività d'indagine; 3) sentite le parti, sono stati acquisiti: - a) conversazioni intercorse fra il numero di tel (...) e quello della teste, attraverso il canale "whattsapp" tra il 15.11.2019 ed il 27.11.2019; - b) carta prepagata consegnata per le operazioni in oggetto ed intestata all'odierno imputato; - c) ricevuta della ricarica di Euro.999,00 dd. 16.11.2019 effettuata dall'esercizio di rivendita tabacchi di cui è processo a favore di della predetta carta prepagata; - d) stampa bonifico di Euro.2.420,00 dd. 15.11.2019 effettuata da F.A. a favore di To.Pa.; - e) stampa bonifico di Euro.300,00 dd. 18.11.2019 effettuata da F.A. a favore di To.Pa.; - f) stampa transazione di Euro.250,00 dd. 18.11.2019 effettuata da Ni.Va., con la causale "aiuto familiare"; - g) saldo movimenti del c/c attestante i versamenti predetti da parte delle PP.OO., compreso quello di Euro.180, di cui effettuato il 16.11.2019, a rimborso dell'apparente eccedenza rilevata e richiesta da parte dell'imputato; III) 21.6.2023: 1) è stata esaminato To.Pa., il quale, premesso di essere il proprietario del tabacchino di Gorizia, con cui è entrato in contato l'imputato per i fatti di cui è qui processo, ha confermato la ricostruzione fatta dalla precedente teste che, all'epoca era una sua dipendente ed ha riconosciuto i documenti precedentemente acquisiti ed esibitigli in aula, precisando di non aver seguito personalmente l'intera vicenda, ma di aver, comunque, verificato l'avvenuto versamento delle somme di denaro indicate in imputazione ed i relativi ammanchi dovuti alle mancate restituzioni; IV) 29.11.2023: 1) sentite le parti, è stata acquisita documentazione e memoria prodotte dalla difesa; 2) dichiarata chiusa l'istruttoria, in quanto sufficientemente svolta ai fini del decidere, all'esito della discussione le parti hanno concluso come sopra riportato; V) 20.12.2023, fissata per eventuali repliche, è stata emessa sentenza, mediante lettura del dispositivo e con riserva di deposito della motivazione nel termine di gg. 80, stante la sussistenza dei presupposti di cui all'art.544, co. III, c.p.p., in ragione della gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato, del numero e della natura degli incombenti processuali da svolgersi, come pure, dall'altro, del grado di articolazione ed impegno delle questioni giuridiche da decidersi. Orbene, In.Ar. va dichiarato responsabile dei reati ascrittigli in imputazione, nei termini e per i motivi di seguito indicati. In primo luogo, va, preliminarmente, rilevato quanto stabilito, in via generale, dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al luogo, al tempo ed alle modalità di commissione del reato in questione: 1) "La truffa è reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento e nel luogo in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore fa seguito la deminutio patrimonii del soggetto passivo" (Cass. pen. n. 17322/2019); 2) "Nel delitto di truffa, una volta accertato il nesso di causalità tra l'artificio e il raggiro e l'altrui induzione in errore, non è necessario stabilire l'idoneità in astratto dei mezzi usati, quando questi si siano dimostrati idonei in concreto, né vale ad escludere il delitto l'eventuale sospetto o dubbio serbato dalla persona offesa" (Cass. pen. n. 55180/2018); 3) "Ai fini della configurabilità del reato di truffa, il giudizio sulla idoneità della condotta a trarre in inganno la vittima deve essere effettuato ex post ed in concreto, con la conseguenza che la non particolare raffinatezza degli artifizi utilizzati, ovvero lo stato di vulnerabilità della vittima, non escludono l'offensività della condotta" (Cass. pen. n. 30952/2016); 4) "Integra l'elemento costitutivo del reato di truffa anche la sola menzogna, costituendo una tipica forma di raggiro" (Cass. pen. n. 42719/2010). Orbene, alla stregua delle predette coordinate ermeneutiche d'inquadramento delle odierne fattispecie di truffa, va invero, osservato che dall'esame delle risultanze probatorie degli atti del presente processo, legittimamente assunti per via orale ed acquisiti sotto il profilo documentale, e, quindi, utilizzabili per la decisione, è emersa la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'odierno imputato, sotto il profilo dell'elemento, sia oggettivo che soggettivo, dei delitti di truffa, senza che, al contempo, siano emerse cause di giustificazione o di non punibilità, da valutarsi a suo favore. In particolare, la ricostruzione dei fatti nel senso descritto dall'imputazione ha trovato idoneo e pieno riscontro attraverso le dichiarazioni testimoniali delle persone offese - le quali, seppur costituite parte civile, sono da ritenersi attendibili, in sé, oltre che a livello estrinseco, in quanto coerenti e complementari, non solo fra loro, ma anche con la documentazione acquisita. Ni.Va. e To.Pa. hanno, invero, ricostruito, in modo chiaro e coerente, la dinamica dei fatti, alla stregua di quanto dalle stesse descritto nella denuncia-querela e riportato in imputazione, risultando ciò dimostrato anche a livello documentale, sia sul piano della messaggistica intercorsa fra le parti, sia dal punto di vista della documentazione contabile relativa ai versamenti effettuati a favore di In.Ar., come dal medesimo richiesti, ma non dallo stesso restituiti. Orbene, dal predetto compendio probatorio è emerso che l'odierno imputato - l'unico ad aver interagito per tutto il periodo in contestazione con le PP.OO., a parte il primo incontro, ove era presente anche tale Le.An. -, dopo aver effettuato circa una decina di operazioni, al fine di conseguire la necessaria confidenza e fiducia nel rapporto con le persone offese, ha, indebitamente, ricevuto da queste il complessivo importo di Euro.2680, pari alle ricariche effettuate a suo favore in data: 15.11.2019 per Euro.1.240,00, 16.11.2019, per Euro.999,00 ed Euro.180,00, nonché 18.11.2019, per Euro.261,00. A tale risultato, l'imputato è giunto in modo consapevole e preordinato, avendo il medesimo, a tal fine, inviato, via messaggio, le foto di ricevute di ordini di bonifici, apparentemente effettuati - peraltro da tale F.A. -, ma le cui somme non sono mai pervenute nelle mani delle PP.OO. e, quindi, non sono risultate corrispondenti ad effettive operazioni di versamento, essendo stati verosimilmente revocati gli ordini o falsificate le stesse ricevute. Nessun ragionevole dubbio può sollevarsi in ordine alla paternità delle condotte truffaldine sopra descritte, posto che, in base ai plurimi e concordanti riscontri riportati, è stato sufficientemente accertato il collegamento dell'odierno imputato con le generalità della persona che, tramite i contatti sopra ricostruiti, ha raggirato le tre persone offese, inducendole a consegnargli il denaro in questione. Invero, a fronte del lineare quadro probatorio sopra delineatosi, nella propria dinamica e finalità decettiva, ed in difetto di elemento di riscontro ostativi o contrastanti, è da ritenersi pienamente compiuta l'identificazione, in In.Ar., del soggetto che ha posto in essere i delitti di truffa in questione, tramite l'invio dei messaggi, acquisiti e riconosciuti dalle PP.OO. In particolare, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa nella propria memoria, l'odierno imputato non può dirsi estraneo ai fatti di cui si discute, anche perché intestatario dell'utenza cellulare di cui al numero (...), attraverso la quale sono intercorsi i messaggi scambiati con le PP.OO. rilevanti ai fini del decidere, non risultando riscontro per cui tale telefono fosse, in realtà, in uso a Le.An.. Né vi è prova della sussistenza, in capo allo stesso, al momento dei fatti, di una patologia idonea ad escludere o, anche solo, a diminuirne la capacità d'intendere e di volere. Invero, nella consulenza acquisita - svolta a quasi tre anni dai fatti per cui è qui processo - non è possibile determinare il riferimento temporale a cui si collega la valutazione di diminuzione della capacità d'intendere e di volere, posto che: 1) si richiama genericamente, il "momento del fatto-reato" e non vi sono altri dati relativi al tempo del commesso delitto di truffa di cui all'imputazione innanzi al Tribunale di Lecce; 2) neppure rispetto alla cronicità ed alla recidivanza è ivi indicato un termine iniziale. Peraltro, nello stesso elaborato in esame si legge che già dal 2015 l'imputato avrebbe riconosciuto di aver iniziato a rendersi conto "dei disastri che stavo combinando" (relaz. peritale, pag. 5). Neppure, tantomeno, la fattispecie in esame può essere qualificata come mero inadempimento di un rapporto contrattuale instauratosi fra le parti, vista la peculiare dinamica e le modalità delle azioni compiute da In.Ar., per ottenere il denaro dalle PP.OO., che sono da ritenersi, a tutti gli effetti, dei raggiri e degli artifici, in quanto volti, sin dall'inizio, a rappresentare una realtà inesistente - cioè che l'imputato volesse fruire regolarmente del servizio offerto dal tabacchino ed avesse la disponibilità economica per prelevare, in tal modo, il denaro in contanti, al solo fine d'indurre in errore e trarre in inganno le seconde. In proposito, va richiamato il principio sancito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 3790/20), secondo cui: 1) "in tema di truffa contrattuale il reato è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorché una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l'altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno"; 2) "L'elemento che imprime al fatto dell'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria". Quelli sopra descritti sono, quindi, atti, posti lucidamente in essere dall'imputato, al solo fine di conseguire il proprio proposito criminoso: pertanto, qui non assume alcun rilievo che ciò eventualmente servisse a procurarsi provviste di denaro, per il gioco d'azzardo, di cui, peraltro, non si ha alcun riscontro emergente dall'istruttoria dibattimentale. In effetti, a differenza di quanto argomentato nella memoria in questione, nessuna "mancanza temporanea di provvista" può, infatti, essere assunta a ragionevole dubbio, a favore del difetto di prova della responsabilità penale, risultando, invece, dimostrato il carattere definitivo dell'indisponibilità alla restituzione delle somme ricevute da parte di In.Ar., il quale, non a caso, si è reso irreperibile, proprio dopo aver ricevuto l'ultimo importo, avendo cercato di muovere a compassione Ni.Va. e dopo aver accampato scuse, non essendo più tomato dalla Romania "a sistemare questa sgradevole situazione", così come aveva, invece, reiteratamente promesso alla predetta fino all'ultima comunicazione intervenuta fra le parti del 26.11.2019 acquisita in atti. Inoltre, in base ai criteri valutativi da utilizzarsi per la decisione sulla responsabilità penale dal punto di vista dell'elemento materiale della fattispecie, va osservato che i mezzi utilizzati dall'odierno imputato, non solo erano in astratto idonei ad indurre in errore le proprie vittime, ma lo si sono rivelati anche in concreto, tenuto conto della condotta complessivamente sopra ricostruita e descritta dalle PP.OO. Dalla predetta dinamica risulta, altresì, confermato, sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato, che, all'epoca dei fatti per cui è processo, In.Ar. ben sapeva ed ha voluto porre in essere la truffa ai danni delle odierne PP.OO., avendo fatto loro credere, dapprima, di essere un cliente serio ed affidabile nel tempo, e poi di avere avuto delle difficoltà improvvise, posto che, diversamente, fra l'altro, non avrebbe potuto porre in essere la truffa, e non sarebbe poi, definitivamente, sparito, bloccando il numero di cellulare delle PP.OO. Ne deriva che, accertato il fatto come sopra ricostruito, risulta corretta la qualificazione giuridica dello stesso operata nell'imputazione. In ragione di quanto fin qui evidenziato in fatto e considerato in diritto, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. l'imputato deve, quindi, essere dichiarato responsabile dei reati di truffa al medesimo ascritti, avendo conseguito dalle proprie analoghe condotte decettive l'ingiusto profitto costituito dalle ricariche effettuate a suo favore, con, pertanto, intima connessione fra la perdita economica subita dalle PP.OO. ed il correlativo aumento del patrimonio dell'imputato, il quale ha, a tal fine, approfittato della situazione di fiducia che aveva artatamente instaurato con Ni.Va.. Quanto, in secondo luogo, alla determinazione delle pene, occorre effettuare le seguenti considerazioni: 1) tenuto conto delle modalità - di tipo omogeneo e concentrate in un breve arco temporale - delle condotte truffaldino poste in essere e dell'assenza di condotte meritevoli, a livello sostanziale e/o processuale - come, ad esempio, il ripristino delle situazioni patrimoniali violate, il risarcimento degli effetti lesivi o altri riscontri di resipiscenza, sotto il primo profilo, ovvero l'aver agevolato la definizione del presente processo, mediante l'acquisizione di atti d'indagine, in luogo della correlativa istruttoria dibattimentale, sotto il secondo profilo - non possono essere concesse le circostanze attenuanti a norma dell'art.62 bis c.p.; 2) né, per quanto sopra evidenziato e considerato, può essere ritenuta ed applicata la diminuente di cui all'art. 89 c.p., di cui non si intravvedono, invero, i presupposti; 3) va, invece, ritenuta sussistente la recidiva contestata a norma dell'art. 99, co. IV, c.p., in considerazione dei precedenti risultanti dal certificato del casellario giudiziale di In.Ar.; 4) vanno, inoltre, unificati i reati qui contestati col vincolo della continuazione, in ragione dell'identità del disegno criminoso e dell'unicità del movente, che si ricava dall'omogeneità delle condotte decettive e dall'assai stretta prossimità del contesto spazio-temporale relativo alle stesse; 5) pertanto, in ragione di quanto sopra accertato e concluso, in base ai criteri di cui agli artt. 27 Cost, e 133 c.p., costituiscono sanzioni, detentiva e pecuniaria, congrue le pene finali di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro.300,00 di multa, in ragione della gravità del reato desunta, rispettivamente, sotto il profilo della pena detentiva, dall'intensità del dolo, rapportata alle modalità dell'azione truffaldina qui posta in essere, tenuto conto anche della personalità del reo, ricavata anche dai vari precedenti a suo carico, anche della medesima natura di quelli per cui è qui processo, e, sotto il profilo della pena pecuniaria, dall'effettiva, non elevata entità dei danni patrimoniali complessivamente arrecati, non essendovi, comunque, stata alcuna restituzione, da parte dell'imputato, del denaro illecitamente conseguito; ai fini del computo delle predette pene, occorre considerare quale pena base quella di mesi nove di reclusione ed Euro.150,00 di multa, ritenuta più grave la fattispecie di cui all'art. 640 c.p., in relazione alla somma di Euro.1.240,00, in quanto la maggiore fra quelle contestate, aumentate entrambe, rispettivamente, ad anni uno e mesi tre di reclusione ed Euro.250,00 per la recidiva contestata in imputazione nonché aumentate alle pene finali, per la continuazione interna. A ciò va aggiunta la condanna di In.Ar., per legge, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio. Infine, non possono essere disposti i benefici di legge, non sussistendone i presupposti, tenuto conto dei precedenti a carico. Quanto alle statuizioni civili, visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., l'odierno imputato va condannato: 1) al risarcimento del solo danno patrimoniale subito da To.Pa., sia in proprio che quale legale rappresentante dell'impresa proprietaria del tabacchino di Gorizia, con cui è entrato in contato l'imputato per i fatti di cui è qui processo e che ha provveduto al versamento del denaro di cui all'imputazione; al riguardo, va invero osservato che: - a) stante l'entità del danno cagionato dall'imputato e consistente nella diminuzione patrimoniale relativa alla perdita economica subita dalla P.C. per via degli esborsi non restituiti, il relativo risarcimento va liquidato in Euro.2.680,00, quale somma algebrica delle ricariche documentate in atti e riportate in imputazione; - b) non sono, invece, emersi riscontri a sostegno del verificarsi di altro tipo di pregiudizio, anche a titolo di danno morale, il quale va, comunque dimostrato da parte della P.C., anche tramite presunzioni, che qui non trovano, però, base di riferimento fattuale, non potendo siffatto pregiudizio essere dedotto, in via obiettiva, dal mero accertamento del verificarsi dell'illecito penale; 2) alla rifusione delle spese processuali come liquidate in dispositivo, tenuto conto dell'articolazione ed impegno dell'attività difensiva, anche alla luce della natura fattispecie criminose esaminate. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.; DICHIARA In.Ar., in atti generalizzato, responsabile dei reati a lui ascritti e, ritenuta la recidiva contestata, nonché unificati i reati col vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed Euro.300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli artt. 538 e ss. c.p.p.; CONDANNA il predetto al risarcimento del danno patrimoniale arrecato alla P.C., che liquida in Euro.2.680,00, oltre alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza in giudizio nel presente processo che liquida in Euro.3.500,00 per compenso, oltre ad Euro.27,00 per spese non imponibili, 15% per spese generali, I.V.A. e C.P.A., come per legge. Motivi in gg. 80. Così deciso in Gorizia il 20 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Cristina Arban, alla pubblica udienza del 7.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: So.Da., nato a So. (M.) il (...), con domicilio eletto presso il difensore di fiducia. Libero, già presente, non comparso. imputato del reato di cui al foglio allegato. Le parti civili: a) Ma.Gi., nata a F. F. (B.) il (...); b) Go.St., nato a Ma. il (...). Con l'intervento del P.M. dott.ssa Gi.Fa., Sost. Procuratore, dell'avv. Gi.Ca. del Foro di Udine per le parti civili e dell'avv. Fa.Za. del Foro di Gorizia, difensore di fiducia dell'imputato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal G.u.p. in sede l'imputato veniva tratto dinanzi all'intestato Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica. Nel corso dell'udienza preliminare si costituivano parti civili le pp. o.o. del reato Ma.Gi. e Go.St.. All'udienza dell'11.2.22, dichiarata l'assenza dell'imputato, veniva aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti. All'udienza del 4.11.22 veniva sentita la teste Ma.Gi.. L'udienza del 21.4.2021 veniva inviata al 5.5.23 per l'adesione dei difensori all'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali. All'udienza del 4.7.23, mutato il giudice assegnatario del fascicolo in assenza di osservazioni delle parti, si procedeva all'audizione del teste Go.. All'udienza del 15.9.2023, mutato nuovamente il Giudice titolare del fascicolo, in assenza di osservazioni delle parti, si procedeva all'audizione dei testi del Pm: Ba.Cr., Eg.Ma., Tr.Al., Pr.Co.. Il Pm produceva documentazione come da elenco. All'udienza del 27.10.23, revocata l'assenza dell'imputato, venivano sentiti i testi di parte civile Ma.Ar. e la consulente Fr.El.. All'udienza del 17.11.2023 venivano sentiti i testi Di.Fr. (teste della parte civile) e i testi della difesa Br.Sa. e Di.Ma.. All'udienza del 1 dicembre 2023, veniva prodotta ulteriore documentazione della parte civile, come da elenco; quindi, dichiarata conclusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo, si dava modo alle parti di procedere alla discussione. All'udienza del 7.12.2023 il Giudice pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo. FATTO La parte civile Ma.Gi. riferiva di aver intrattenuto una relazione sentimentale con l'odierno imputato a partire dal 2012, sfociata poi in una convivenza (a R. dei L., Via R. 2). Detta relazione terminava a novembre del 2019, in occasione di un litigio per il quale era stato richiesto l'intervento delle Forze dell'Ordine. Nel corso della relazione So. era stato spesso aggressivo nei suoi confronti a causa dell'abitudine al consumo di alcolici. Agli inizi del 2020 la donna intraprendeva una nuova relazione con Go.St., seppure i due potevano vedersi di rado a causa delle restrizioni legate al COVID in vigore in quel periodo. La Ma. aveva nel frattempo bloccato il numero di cellulare dell'imputato seppure egli continuasse a chiamarla. A novembre 2020 il figlio della Ma. (C.P.) la avvisava che So. stava pubblicando svariati messaggi chiaramente riferiti alla fine della loro relazione sul proprio stato whatsapp; il ragazzo era preoccupato per la madre anche perché in alcuni casi il contenuto degli stessi era palesemente minatorio. G.M. avendo bloccato il contatto dell'imputato anche sull'applicazione whatsapp non poteva visualizzare tali post sicché il figlio aveva iniziato ad inoltrarglieli per informarla di ciò che stava accadendo. Detti messaggi venivano pubblicati molto spesso seppure in quantità variabili a seconda dei giorni. Dal mese di agosto 2020 So. aveva ripreso anche a contattare la Ma. via telefono, talvolta più volte al giorno: mentre l'utenza dell'imputato era bloccata e le chiamate non le venivano recapitate (seppure visualizzabili sull'apposita sezione del cellulare), le chiamate anonime le comparivano come chiamate perse. La Ma. le riconduceva a So. poiché estremamente frequenti e perché in una occasione ella aveva risposto alla chiamata anonima (la sera del 12 ottobre 2020) così potendo identificare l'interlocutore nell'odierno imputato, il quale nell'occasione aveva preso a insultarla. Inizialmente la p.o. aveva cercato di rassicurare il figlio chiedendogli di bloccare anch'egli l'utenza del So., così da non leggere i suoi messaggi, invitandolo a non preoccuparsi di ciò che l'imputato pubblicava; il figlio nonostante la richiesta della madre aveva preferito proseguire nel controllare ciò che So. pubblicava, con l'intento di proteggere la madre. Si trattava di messaggi chiaramente riferibili alla fine della relazione con la Ma., la quale veniva apostrofata come badante ucraina (in ragione del mestiere da lei svolto), ovvero stigmatizzata per le sue origini del sud Italia, ovvero ancora per resa individuabile per i riferimenti fatti alle caratteristiche delle persone a lei vicine (l'amica C.B. sempre apostrofata dal So. come cicciona ed il di lei marito come impiegato alla Be. addetto ai controlli anticovid). Venivano anche pubblicate foto della casa della Ma., ovvero video che ritraevano il passaggio nelle vie adiacenti l'abitazione del Go. ovvero raffiguranti l'abitazione da lui posta in vendita, così da far intendere che So. li seguisse ovvero si appostasse sotto la loro casa. In taluni casi, il 21 febbraio 2021 la Ma. lo aveva visto passare con l'auto sotto casa e lo stesso giorno aveva rinvenuto la macchina imbrattata di materiale corrosivo. Il 3 aprile 2021 aveva rinvenuto la macchina del Go. imbrattata di vernice bianca e nello stesso giorno anche la fiancata della sua vettura era imbrattata di vernice bianca alla parte sinistra. Era capitato anche di rinvenire rifiuti abbandonati davanti all'uscio dell'abitazione di Go.. Tra i documenti depositati il 4.11.2022 sono state acquisite la foto delle schermate del cellulare della Ma. ritraenti il registro delle chiamate perse da numero anonimo e chiamate rifiutate sino al mese di febbraio 2021: in alcune immagini si comprende che le chiamate rifiutate corrispondono all'utenza registrata col nome "D.". Dall'aff 000011 all'aff (...) dei documenti prodotti dal PM vi sono poi le foto delle schermate dei messaggi pubblicati dall'imputato nello Stato Whatsapp, suddivisi per giornata di pubblicazione, nell'arco temporale compreso tra il 5.11.2020 e l'11.2.2021. Sostanzialmente identica documentazione veniva depositata dalla parte civile (inizialmente prodotta in allegato alla querela del 25.4.2021). Il teste Go. riferiva che inizialmente la condotta del So. si sostanziava in contatti telefonici nei confronti della M.; costei tuttavia aveva bloccato il contatto di So., per evitare di accettare proposte di rappacificazione. Molto spesso ella riceveva chiamate da numero privato ed in una occasione, avendo risposto alla chiamata, aveva potuto identificare l'interlocutore nell'odierno imputato (il 12.10.20). A partire dal 5 novembre 2020 So. aveva iniziato a pubblicare dei messaggi sul proprio stato whatsapp con riferimenti denigratori, successivamente divenuti offensivi e minatori, nei confronti della Ma. e poi anche nei confronti di lui. Il figlio della Ma., P.C., si accorgeva dei post di So. e si allarmava per il fatto di trovarsi lontano dalla residenza della madre, poiché trasferitosi in Piemonte per motivi di studio. G. ricordava di aver visto per la prima volta So. di persona il 23 gennaio 2021: in quel periodo la Ma. faceva da badante al di lui padre e mentre i due si trovavano assieme incontravano So. che stava passando con l'auto e i loro sguardi si incrociavano. Il teste poi riferiva di alcuni avvistamenti e di pedinamenti. Il 21.2.2021 Go. riferiva di un tentativo di speronamento con la macchina ai suoi danni da parte dell'imputato. Lo stesso giorno, dopo averlo visto, si accorgevano che l'auto della Ma. era stata imbrattata con del liquido corrosivo. Riferiva inoltre di averlo notato passare sotto la sua abitazione, in particolare il giorno 7.4.21 e 28.2.21 Il 28 febbraio, giorno successivo alla morte del padre di Go., So. era stato avvistato passare sotto casa sua suonando ripetutamente il clacson. In altra giornata, collocata il giorno 9 aprile, Go. aveva notato frequenti passaggi del So. sotto la sua abitazione e dopo averlo visto parcheggiare aveva ritenuto di allertare le Forze dell'ordine. Riferiva di aver fatto intervenire le Forze dell'ordine in quattro occasioni affermando di averlo sempre visto appostarsi o passare sotto casa sua da solo. La teste B., amica della Ma., ha riferito di aver conosciuto So. quando i due stavano assieme ricordando come la loro relazione fosse conflittuale, riferendo che l'imputato era molto possessivo e che spesso la insultava. Riferiva di essere intervenuta in data 1.11.2019 in occasione del litigio che portava alla rottura della relazione. Successivamente la donna raccontava che So. aveva continuato a cercare la Ma. e che la seguiva spesso. Lei stessa aveva avuto modo di incrociare per strada So. e di essere stata da lui insultata dal finestrino (cicciona), poiché l'imputato provava astio nei suoi confronti, attribuendole la colpa della separazione dalla Ma.. Il teste E. (all'epoca comandante della Stazione dei Carabinieri di Ronchi) riferiva di aver raccolto circa una decina di denunce sporte dalle odierne parti civili nei confronti di S.. L'attività d'indagine successivamente posta in essere consisteva nel sequestro del telefono cellulare dell'imputato, di un coltellino, due asce ed una bomboletta di vernice spray bianca (quest'ultima rinvenuta sul posto di lavoro). Il teste riferiva che attraverso l'analisi del cellulare oggetto di sequestro emergeva che l'imputato, per il tramite della figlia Go.St., aveva acquisito la copia degli stati whatsapp pubblicati dallle pp.oo e che aveva utilizzato la conoscenza delle loro abitudini per minacciarli mediante la pubblicazione a sua volta di stati whatsapp. Venivano inoltre registrati numerosi tentativi di accesso ai profili social di entrambe le pp.oo da parte del So. e venivano estrapolati alcuni video che lo riprendevano a bordo della sua autovettura mentre transitava fuori dall'abitazione del Go., oltre alle immagini forografiche che riproducevano il coltellino e due asce. Il teste riferiva altresì che prima di formalizzare la querela la Ma. aveva richiesto un consiglio alle FF OO su come comportarsi. Il teste T., operante di Pg, riferiva di essere intervenuto il 3 aprile a seguito della segnalazione del danneggiamento della autovettura Mazda del Go., imbrattata con vernice bianca mentre si trovava posteggiata nei pressi della sua abitazione. Poco dopo, lo stesso giorno, anche la Ma. segnalava l'imbrattamento della sua vettura con vernice bianca sulla fiancata sinistra, pur non essendo parcheggiata nelle immediate adiacenze: l'operante precisava che neppure le pp.oo si erano rese immediatamente conto che anche l'auto della Ma. era stata imbrattata. Nei dintorni non era stato possibile acquisire alcuna registrazione dei sistemi di sorveglianza. Il teste P., figlio di Ma.Gi., riferiva di aver conosciuto l'imputato poiché aveva avuto una relazione con sua madre e di aver anche convissuto con loro sino a luglio del 2020. Riferiva che dopo la fine della relazione tra So. e sua madre l'imputato aveva preso a pubblicare dei post sullo stato whatsap che si riferivano alla fine della relazione con la madre; tali pubblicazione divenivano sempre più esplicite e quindi il teste preoccupato per la madre aveva deciso di inoltrarle gli screenshot che le mandava di volta in volta. Il teste ricordava tra i vari post l'immagine di due asce, e le minacce nei confronti di sua madre. Precisava il teste di aver ricevuto alcuni messaggi dal So. dopo la fine della relazione con la madre. Uno in aprile del 2021 in cui intimava tramite lui alla madre di rispondergli minacciandola di eventuali ripercussioni; un altro, sempre nel mese di aprile del 2022 in cui vi erano solo gli auguri di Pasqua. Il teste Ma., teste di Pg, oltre a riferire dell'intervento del 3 aprile, quando venivano rinvenute le autovetture delle parti civili imbrattate di vernice, faceva riferimento anche ad altro intervento cui aveva partecipato, il 18 aprile 2021, quando S.G. aveva visto transitare l'autovettura del So. nella via di fronte a casa suonando ripetutamente il clacson: una volta intervenuti trovavano la macchina di So. parcheggiata ma l'imputato non veniva rintracciato. Il teste Di.Fr., teste di PG, riferiva di un intervento effettuato il 24 aprile 2021 presso l'abitazione di S.G. in occasione del rinvenimento di una bottiglia infranta davanti alla sua abitazione. Br.Sa., ex moglie di So., riferiva di aver passato tutta la giornata del 5 aprile 2021 (lunedì di Pasquetta nonché giorno del suo compleanno) con l'imputato. Riferiva inoltre che il So. si recava tutti i giorni presso la sua abitazione per vedere i loro figli dalle 17.30 in poi da quando il rapporto con Ma.Gi. si era interrotto. Di lei ella sapeva che So. non fosse innamorato ma che avevano iniziato a convivere per dividere le spese, per una sorte di utilità economica. Di.Ma. amico e collega di lavoro del So. descriveva l'imputato come un soggetto assai libertino che gli aveva riferito di aver terminato la relazione con la Ma. nel 2019 perché non stava bene con lei, seppure già dal 2018 avesse cominciato a staccarsi da lei e a voler uscire con altre donne. Riferiva inoltre che quando uscivano era sempre lui a guidare utilizzando la sua macchina e non quella di So.. MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale ritiene l'imputato penalmente responsabile del reato ascrittogli. Risulta infatti dalle testimonianze acquisite in dibattimento e dalla documentazione depositata che So. abbia posto in essere una serie reiterata di minacce e di molestie, mediante la pubblicazione di messaggi, indirizzati ad un numero indeterminato di persone, sull'applicazione whatsapp alla sezione Stato. Detta applicazione consente la pubblicazione di foto, messaggi e brevi video, visualizzabili per un limitato periodo di tempo da parte dei contatti whatsapp iscritti nella rubrica del soggetto utilizzatore, con la possibilità per colui che pubblica il contenuto di visualizzare chi tra i soggetti della rubrica ha visualizzato il messaggio. Tale facoltà, che talvolta dipende dalle impostazioni adottate dall'utilizzatore della applicazione, rientrava certamente tra le funzioni opzionale da So. poiché in uno dei messaggi scriveva che "dopo aver contato più di sessanta visualizzazioni, avrebbe potuto cambiare post". Tale elemento appare rilevante nella misura in cui può così evincersi che egli pubblicasse i numerosissimi messaggi nella convinzione che essi potessero, anche indirettamente giungere ad un destinatario, non avendo egli altre vie immediate per contattare la Ma. (con l'utilizzo di strumenti telematici, social network o telefonici) essendogli interdetta la possibilità di contattarla via sms, chiamate o altro ( poiché il suo contatto era stato bloccato dalla p.o.). Quanto al fatto che i post prodotti fossero tutti indirizzati alla Ma. si desume in virtù dei chiari riferimenti alla fine della relazione, all'inizio di una nuova relazione da parte di lei, al fatto che lei si fosse messa d'accordo con l'amica per sbatterlo fuori di casa e che quindi la fine della relazione fosse tutto una messinscena (dal momento che la Ma. aveva già un'altra relazione) è una circostanza che appare facilmente ricavabile sfogliando i messaggi oggetto di pubblicazione l'11.11.2020. Vi sono poi i messaggi del 23 gennaio 2021 che fanno chiaro riferimento all'incontro della coppia G.-M., giornata coincidente con il primo incontro descritto da S.G. con S.. Estremamente significativo è pure il contenuto pubblicato il 28.1.2021 quando So. trascrive su di un post una filastrocca utilizzando l'assonanza tra Gov.. e C., il tutto proprio in occasione del giorno in cui il padre di S.G. era deceduto. Ciò premesso, va precisato che Integra il delitto di atti persecutori la reiterata ed assillante comunicazione di messaggi di contenuto persecutorio, ingiurioso o minatorio, oggettivamente irridenti ed enfatizzanti la patologia della persona offesa, diretta a plurimi destinatari ad essa legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l'agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza, della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Sez. 5 - , Sentenza n. 8919 del 16/02/2021 Ud. (dep. 04/03/2021 ) Rv. 280497 - 01 e che In tema di atti persecutori, rientrano nella nozione di molestie anche le condotte che, pur non essendo direttamente rivolte alla persona offesa, comportino subdole interferenze nella sua vita privata. (Fattispecie in cui l'imputato aveva distribuito, all'interno dei bagni di più autogrill, volantini contenenti offerte sessuali falsamente provenienti dalla vittima con indicazione del suo numero telefonico e del suo indirizzo, da cui erano derivate richieste alla stessa di prestazioni sessuali da parte di sconosciuti). Sez. 5 - , Sentenza n. 25248 del 12/05/2022 Ud. (dep. 01/07/2022 ) Rv. 283369 - 01. Accanto alla assillante pubblicazione di messaggi dal contenuto allusivo, in alcuni casi minatorio (con riferimento alle foto ritraenti le asce e il coltello) debbono annoverarsi anche gli episodi di danneggiamento, gli appostamenti e gli inseguimenti posti in essere dall'imputato. Gli episodi descritti sono numerosi, alcuni di essi muniti di solidi riscontri, tra i quali si annovera l'episodio del 18 aprile in cui l'autovettura di So. veniva rinvenuta parcheggiata sotto l'abitazione di Go. a So., ovvero l'imbrattamento con vernice bianca di entrambe le autovetture delle parti civili in data 3 aprile, cui seguiva il rinvenimento nella disponibilità del So. di una bomboletta spray di vernice bianca sul posto di lavoro. In un caso Go. ha descritto anche il lancio di un oggetto che viene preceduto dall'avvistamento del So. in scooter. Gli episodi descritti sono molteplici e seppure non vi sia prova diretta fatti della riferibilità di tutti i fatti all'odierno imputato deve rilevarsi che la stretta vicinanza temporale tra di essi in un limitato periodo di tempo, il medesimo modus operandi e l'attività di stretto monitoraggio che So. aveva adottato nei confronti delle parti civili, come emerso dall'analisi del cellulare a lui in uso, anche avvalendosi della collaborazione della figlia Go., per carpire le loro abitudini di vita per il tramite dei socialnetwork e così far loro comprendere che egli li controllava, consente di ricondurre detti episodi molesti alla responsabilità dell'imputato, quale evidenza logica di tipo indiretto, trattandosi di condotte uniformi, perfettamente coerenti con l'atteggiamento opprimente ed ossessivo adottato dall'imputato. In ogni caso, per la sussistenza del reato contestato, è sufficiente il ricorrere anche di due sole condotte dal contenuto minatorio e dai connotati molesti, condotte che appaiono assolutamente acclarate dalla natura dei post, dagli appostamenti e pedinamenti risultanti dalle dichiarazioni delle pp.oo. La tesi della difesa rispetto alla pregressa conflittualità della relazione con la Ma. e delle volontà ritorsive della donna rispetto all'ex compagno per le aspettative non soddisfatte dalla relazione con So. non coglie nel segno né convince a fronte del solido compendio probatorio. Non può negarsi che la soglia di attenzione e sensibilità della donna fosse accresciuta in virtù della pregressa conoscenza del So., con il quale i litigi erano stati frequenti anche in costanza di convivenza. Per altro verso però il Go. era un soggetto estraneo alla pregressa vicenda sentimentale e non avrebbe avuto alcun motivo per intraprendere un'azione giudiziaria, coltivata con grande partecipazione (risultando entrambe le pp.oo presenti a tutte le udienze), se non in ragione della concreta portata lesiva delle molestie patite e riscontrate mediante gli appostamenti da lui personalmente subiti, i danneggiamenti e gli affronti diretti (si fa riferimento anche ad un tentativo di speronamento a suo danno da parte dell'imputato il 21.2.2020). Peraltro si osserva che i fatti si protraevano in un arco temporale di alcuni mesi prima che le parti civili si determinassero a sporgere querela e solo in ragione del progressivo acuirsi delle condotte di stalking via via più intrusive e preoccupanti. Pertanto, anche sotto questo profilo va escluso vi fosse una reale animosità e concreta volontà di ritorsione da parte dei querelanti Per tali motivi, non sussiste alcun dubbio in punto di attendibilità soggettiva ed oggettiva delle parti civili. Non stupisce infatti, che pur a fronte di una relazione sentimentale terminata nel novembre del 2019, le condotte di molestia abbiano trovato una loro netta esplicazione nel momento in cui l'imputato veniva a scoprire il nuovo legame sentimentale della ex. Detta circostanza, oggetto di specifico rilevo difensivo, deve essere correttamente esaminata tenendo conto del fatto che, invero, i tentativi di riallacciare la relazione erano stati posti in essere dal So. sin dalla fine del 2019. Risulta infatti che la Ma. avesse chiesto consiglio alle FF.OO su come comportarsi, provvedendo ad evitare ogni contatto con l'ex. In secondo luogo, la reazione di aggressività sviluppata dal So. non pare avesse nulla a che vedere con un effettivo interesse sentimentale nei confronti della Ma., tant'è vero che lui stesso aveva già affermato in costanza di relazione di non essere innamorato della compagna, anche intraprendendo relazione occasionali con altre donne (si vedano le dichiarazioni del teste D.D.). Pertanto, che l'imputato non fosse innamorato né realmente interessato alla Ma. non significa che egli non potesse provare astio o volontà di rivalsa rispetto alla sensazione di perdita e di tradimento patiti a causa della nuova relazione della Ma. che ella aveva allacciato a distanza di pochissimo dalla rottura con lui. Quanto all'evento del reato, si valuta che l'eccezionale frequenza e ripetitività delle condotte poste in essere, l'intrusività delle stesse, anche facendo credere che l'imputato potesse acquisire informazioni sulla vita personale della Ma. per il tramite delle colleghe di lavoro, gli appostamenti sotto casa o dove la donna lavorava, i ripetuti imbrattamenti costituiscono tutti comportamenti perfettamente adeguati a causare ragionevolmente nelle vittime un perdurante stato di ansia e paura, viste anche le minacce rivolte alla donna (mediante la pubblicazione di asce e coltelli e la continua prospettazione del volersi vendicare di lei). Per le ragioni che precedono ritenuta la sussistenza del reati contestati di cui più grave quello ai danni della Ma. aggravato ai sensi dell'art. 612 comma 2 c.p., pena equa si valuta quella di anni due e mesi sei di reclusione così determinata: pena base anni uno e mesi sei aumentata, che si discosta dal minimo edittale in ragione dell'eccezionale frequenza e ripetitività delle condotte, per il carattere estremamente intrusivo delle stesse e per la ritenuta intensità del dolo del reato, connotato dalla intenzionalità di determinare l'evento del reato, aumentata la pena per le contestate aggravanti nella misura di anni due, aumentata per la continuazione interna per essere stato il fatto commesso anche ai danni di Go.St. nella misura di anni due e mesi quattro di reclusione. Alla condanna dell'imputato consegue altresì la condanna al risarcimento del danno a favore delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio civile concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva, limitatamente al danno morale patito da liquidarsi in via equitativa, nella misura di Euro 3.000 per la Ma. e di Euro 2.500 per il Go., oltre alla rifusione delle spese sostenute per la rappresentanza e difesa in giudizio delle parti civili che si liquidano nella misura di Euro 3.500, tenuto conto della natura e del pregio dell'attività professionale prestata (somma così determinata: studio Euro 473, introduttiva Euro 284, istruttoria Euro 1134 e decisoria Euro 1200 aumentato in ragione della difesa di più parti civili nella misura sopra indicata). Segue alla condanna il pagamento delle spese processuali del procedimento. Non sussistono elementi di favore valorizzabili al fine di concedere le circostanze attenuanti generiche. Non sussistono le condizioni soggettive ed oggettive per concedere la sospensione condizionale della pena in ragione dell'entità della pena comminata e della impossibilità di formulare una prognosi favorevole sotto il profilo del rischio di reiterazione del reato, né si ravvisano elementi per consentire l'applicazione di una sanzione sostitutiva in assenza di richieste in tal senso formulate e tenuto conto della misura cautelare del divieto di avvicinamento alle pp.oo ad oggi in essere. La motivazione viene riservata nel termine di giorni novanta avuto riguardo alla complessità delle questioni trattate e per esigenze di natura organizzativa. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Da.So. responsabile dei reati a lui ascritti, ritenuta la continuazione tra gli stessi e valutato più grave il delitto ai danni della Ma.Gi. lo condanna alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 538 e ss c.p.p. condanna l'imputato al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite da liquidarsi in separato giudizio civile concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva pari a Euro 3.000 per Gi.Ma. e di Euro 2.500 per So.Gi., oltre alla condanna alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle parti civili che si liquidano in Euro 3.500, più il rimborso delle spese generali nella misura del 15% dei compensi IVA e CNA come per legge. Riserva il deposito della motivazione nel termine di giorni novanta. Così deciso in Gorizia il 7 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Coppari Marcello, alla pubblica udienza del 06.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Pa.Dr., nato a M. (G. il (...), con domicilio dichiarato a M. C. O. (V.), Via A. M., 25/a; libero, presente; imputato del reato di cui al foglio allegato. P.C.: Fa.De., nata a G. (G.) il (...). per il delitto di cui all'art. 612 bis c. 1 e 2 c.p. perché, con condotte reiterate, molestava Fa.De., persona con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale, cagionandole un perdurante e grave stato di ansia e di paura ed ingenerandole il fondato timore per la propria incolumità personale. In particolare, allo scopo di riallacciare la relazione sentimentale interrottasi: - contattava Fa.De. con n. (...) chiamate e tentativi di chiamata dall'utenza (...) a lui intestata tra il giorno 19.9.2020 ed il giorno 12.10.2020 e con n. (...) chiamate e tentativi di chiamata dall'utenza (...) a lui intestata tra il giorno 15.9.2020 ed il giorno 21.10.2020 (data dell'arresto); - inviava a Fa.De. molteplici messaggi sms, con frequenza pressoché giornaliera e sebbene la Fa. non vi rispondesse, proferendole ingiurie quali "testa di cazzo, stronza, bambina di merda, matta"; - in data 21.10.2020 si appostava nei pressi dell'abitazione di Fa.De., attendendo il suo rientro e poi seguendola lungo la pubblica via per chiederle insistentemente di parlarle, così costringendola a cercare rifugio presso la Stazione dei Carabinieri di Grado (GO) e continuando ad inviarle messaggi telematici anche mentre la donna si trovava all'interno della caserma. Con l'aggravante dell'avere commesso il fatto nei confronti di persona che è stata legata all'autore da una relazione affettiva ed attraverso strumenti telematici. Grado (GO), dal 15.9.2020 al 21.10.2020 (data dell'arresto) Con l'intervento del P.M. GU.Ma., V.P.O. del., dell'Avv. TO.Ro. del Foro di Udine, difensore della parte civile, e dell'Avv. MI.Gi. del Foro di Gorizia, difensore d'ufficio dell'imputato. MOTIVI DELLA DECISIONE Pa.Dr., nato a M. (G. il (...), è stato rinviato nel presente giudizio, per rispondere del reato di cui all'art. 612 bis cod. pen., come contestato in rubrica, nei confronti di Fa.De., nata a G. (G.) il (...), la quale si è costituita parte civile ed è comparsa in giudizio. L'imputato - già presente in sede di udienza preliminare, ma non comparso all'udienza del 13.12.2021 -è stato dichiarato assente, non avendo addotto legittimo impedimento, né risultando, nel frattempo, detenuto, salvo poi comparire all'udienza del 27.9.2023 All'udienza del: I) 07.3.2022: 1 ) è stata esaminata la P.C., la quale, premesso di aver conosciuto l'odierno imputato e di aver avuto con lui una relazione sentimentale di circa un anno ed otto mesi, conclusa per via dell'aggressività verbale dell'imputato che la prima non riusciva più a sopportare, ha, fra l'altro, riferito che: a) in particolare, capitò che Pa.Dr. ebbe a tirare degli oggetti nella sua direzione, senza colpirla, ovvero lanciasse degli urli e proferisse minacce nei confronti della stessa (verb. fonoregistraz., pag. 4); b) il 15.9.2020, la P.C. decise di chiudere il rapporto, ma l'imputato le rispose che avrebbe distrutto la casa in cui convivevano, in locazione, a nome della prima, se non gli avesse dato Euro.100,00 (verb. fonoregistraz., pagg. 5 e 6); c) allora la P.O. gli diede quel denaro e, dopo essersi fatta restituire le chiavi della casa dall'imputato, disse a quest'ultimo di prendere le sue cose e di andarsene (verb. fonoregistraz., pag. 5); d) tuttavia, l'imputato, non accettando quella situazione, continuò a scriverle e telefonarle, per circa un mese e mezzo, con una media di 5 contatti al giorno, in cui cominciava, dicendole: "Dobbiamo parlare..", per, poi, concludersi con: "stronza, puttana, matta, testa di cazzo, bambina di merda!": a queste telefonate, la P.C. non ha mai risposto, limitandosi a scrivere un sms, a distanza di tre giorni dalla cessazione della relazione, in cui gli ribadiva che il rapporto era terminato e che lui non avrebbe dovuto più telefonarle, scriverle o presentarsi davanti casa sua (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 7, e 9); e) la P.C. aveva paura e cominciò a non dormire più di notte, perché la predetta casa era posta in una via senza uscita, dove sarebbe stato facile per l'imputato farle degli appostamenti, così, quando tornava a casa era terrorizzata, per paura di trovarlo all'improvviso di fronte a sé e che le potesse fare del male, anche perché, pur non avendole messo le mani addosso, Pa.Dr. le aveva detto che le avrebbe tagliato una mano con il coltello; poi, la prima mutò le proprie abitudini di vita, rincasando più presto la sera, rispetto a quanto faceva prima, per paura del buio, guardandosi sempre alle spalle, finendo, comunque, nel "panico totale", nel momento in cui riceveva un messaggio o una chiamata da parte dell'imputato (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 7, 9); f) vista l'insistenza delle chiamate, provenienti anche dall'Albania, paese natale dell'imputato, l'ansia era tale e continua che la P.O. si chiudeva in bagno per ore, in preda ad attacchi d'ansia e di diarrea, tenuto conto che l'aggressività di Pa.Dr. si era sempre manifestata anche in base a delle semplici "sciocchezze" e che la prima temeva anche che il secondo potesse mandare qualcuno a farle del male, inducendola tale situazione a fare incubi anche a distanza di anni dal periodo in considerazione (verb. fonoregistraz., pagg. 7, 8, 11 e 12); g) dapprima, la P.C. si rivolse al centro anti-violenza con sede a R. dei L. (G.) già nel gennaio del 2020: poi il 21.10.2020 l'imputato si presentò effettivamente, avanti a lei e, nonostante lei gli disse di andarsene, quello andò verso di lei, così che quest'ultima si rifugiò presso la Stazione dei Carabinieri, la quale si trovava a poca distanza dalla sua abitazione; poi, rimanendo ancora molto scossa, si recò al P.S., dove le diedero delle gocce calmanti, di cui proseguì l'assunzione anche dopo la predetta data, avendone ancora necessità (verb. fonoregistraz., pagg. 7, 8, 11 e 14); h) nel periodo dal 15.9.2020 all'ottobre del 2020, la chiamò, una o due volte, anche la sorella dell'imputato, ma la P.C. non rispose mai; la P.C. diede tutti i messaggi ed i numeri chiamanti alla FF.OO., facendo anche un indice cronologico (verb. fonoregistraz., pagg. 13 e 14); i) l'imputato lavorò durante la stagione estiva a Lignano (UD), nei mesi da giugno ad agosto 2020, poi rientrò G. (G.), dove i due convivevano in un appartamento; Pa.Dr. non lavorò per tutto il periodo della loro convivenza (verb. fonoregistraz., pagg. 14 - 16); 1) l'aggressività si manifestò già per tutto il corso del 2019 e nel 2020; l'ultimo episodio di violenza si verificò, quando i due erano in un centro commerciale e l'imputato la lasciò da sola, senza biglietti dell'autobus: al ché la P.C. si chiuse mezz'ora in bagno, in preda ad un attacco di panico, ma al termine, decise che non era più disposta a continuare con quella relazione (verb. fonoregistraz., pag. 17); m) era la P.O. che pagava la maggior parte delle spese sopportate dalla coppia durante la loro convivenza (verb. fonoregistraz., pag. 18); n) quando esplodeva, l'imputato le rivolgeva, inoltre, queste frasi: "Per tutta Grado ti sputtanerò.." (verb. fonoregistraz., pag. 18); o) prima delle aggressioni verbali dell'imputato, la P.C. non soffriva di attacchi d'ansia (verb. fonoregistraz., pag. 21); 2) sentite le parti, è stata acquisita la ricostruzione cronologica esibita alla P.C. e che questa ha riconosciuto come dalla medesima manoscritta in relazione alle date ed alle pagine dei messaggi a cui la predetta ha fatto riferimento; II) 11.7.2022, fissata a seguito del rinvio determinato dalla giustificata mancata assenza dei testimoni: 1) è stato esaminato M.F., in servizio, all'epoca del fatto per cui è processo, presso la Stazione di Grado (GO), in qualità di Maresciallo, il quale, premesso che l'odierna P.C. avevo sporto denuncia-querela, ha, fra l'altro, riferito che: a) Fa.De. si rivolse nuovamente ai CC, perché l'imputato le si era presentato, inaspettatamente, davanti e ciò l'aveva resa assai preoccupata ed in quella sede formalizzò l'integrazione della denuncia- querela di cui sopra (verb. fonoregistraz., pagg. 6 e 7); b) nella stessa occasione, poiché fu accertato che detta donna continuava a ricevere messaggi, l'operante in esame, insieme ad un collega, fece un giro di ricognizione fuori della caserma, per verificare se vi fosse l'imputato, il quale venne subito individuato dai suddetti a circa 30 m dalla Stazione, su Viale del Sole, allorché Pa.Dr. era ancora intento a digitare delle frasi sul proprio cellulare (verb. fonoregistraz., pag. 5); c) la P.C. ricevette ben 138 chiamate provenienti dall'utenza (...), intestata all'imputato e (...) provenienti dall'utenza (...), intestata anch'essa all'imputato; 2) sentite le parti, è stata acquisita la documentazione relativa ai messaggi ed alle telefonate ricevuti dalla P.C. nel periodo 15.9.2020-21.10.2020 esibita all'operante di cui sopra e che questi ha riconosciuto come dal medesimo verificato in base all'analisi dei tabulati telefonici acquisiti e a cui il predetto ha fatto riferimento; III) 06.9.2023: 1) è stata esaminata B.A., nata a T. il (...), la quale, premesso di essere un'operatrice del centro anti-violenza e di aver conosciuto in quella sede Fa.De., tra la fine del 2019 ed il 2020, confermato quanto dalla medesima dichiarato a S.I.T. il 05.02.2021, ha, fra l'altro, riferito che: a) la P.C. le riferì della relazione turbolenta con l'imputato, conosciuto, avendo lavorato insieme per una stagione, in montagna, rapporto caratterizzato da violenza in senso psicologico ed economico, e rispetto al quale chiedeva come fare per restituire gli effetti personali, senza dover avere contatti con il secondo (verb. fonoregistraz., pag. 6); b) quando si recò da lei la P.C., quest'ultima le riferì di essere abbastanza tranquilla, perché l'imputato si trovava in quel momento in Albania, ma era preoccupata di quando sarebbe tornato, tanto che, in un'occasione di un colloquio, la prima fu colta da un attacco di ansia, tanto da dover uscire dal centro, senza più farsi vedere (verb. fonoregistraz., pag. 6); c) in particolare, la P.C. temeva che l'imputato avrebbe ripreso a minacciarla, in quanto la violenza psicologica era "costante" (verb. fonoregistraz., pagg. 6 e 7); d) inoltre, non avendo un lavoro continuativo, poiché terminava le stagioni prima del previsto, in quanto veniva mandato via per proprie mancanze, l'imputato chiedeva continuamente alla P.C. che gli desse del denaro (verb. fonoregistraz., pagg. 7 e 10); e) Fa.De. aveva talmente paura dell'imputato che, all'inizio, non volle recarsi presso il Centro anti - violenza "Da donna a donna" di R. dei L. (G.) e fece, dapprima, solo dei colloqui telefonici con la teste, per il timore di venire localizzata; proprio per questo, quando andò finalmente per il colloquio in presenza con la teste, non volle neppure dare le proprie effettive generalità, dicendo di chiamarsi "Susanna" per rimanere anonima, non volendo riportare conseguenze, per essere ivi andata a tutelarsi; la predetta circostanza - non molto frequente presso il suddetto centro anti-violenza e che durò per circa un anno - creò problemi con le FF.OO., a cui il personale del Centro non era, invero, in grado di fornire le indicazioni, su chi fosse veramente la P.O., la cui vera identità venne alla luce, proprio grazie all'intervento dei Carabinieri (verb. fonoregistraz., pagg. 7 - 9 e 12); f) nel colloquio del 19.6.2020, tenutosi con la collega della teste, G.M.L., dopo che Fa.De. aveva chiesto di anticiparlo, quest'ultima riferì che l'imputato l'aveva minacciata che le avrebbe tagliato le mani oppure la gola con un coltello, se lo avesse denunciato, poiché, a causa di ciò, aveva paura di perdere il permesso di soggiorno in Italia e in quella circostanza, poi si allontanò, in preda ad un attacco di ansia (verb. fonoregistraz., pag. 8); g) l'imputato derideva la P.C., in continuazione, ingiuriandola con espressioni come "puttana" e "troia", dicendole che lei non valeva niente, mente lui era il padrone della situazione, rimarcando, in particolare, il fatto che, se l'ho avesse lasciato, non sarebbe andata da nessuna parte: nessuno si sarebbe messo con lei, perché era brutta, grassa e vecchia, così esercitando sulla stessa una forma di dominio psicologico (verb. fonoregistraz., pagg. 10 - 13); h) a causa dell'imputato, il quale perdeva costantemente le occasioni di lavoro, per via del proprio carattere ed il comportamento che teneva, anche la P.C. ebbe delle conseguenze negative in ordine a ciò, venendo licenziato unitamente al primo, accompagnandosi allo stesso (verb. fonoregistraz., pag. 11); i) consigliata, allora, di denunciare, Fa.De. rispose che non aveva "ancora preso questa decisione, perché non so, se viene fuori, come la può prendere" (verb. fonoregistraz., pag. 12); 2) sentite le parti, sono stati acquisiti: a) verbale di arresto in flagranza dell'imputato dd. 21.10.2020; b) verbale di P.S. dd. 21.10.2020; c) denuncia- querela dd. 11.10.2020 e relativa integrazione del 21.10.2020; IV) 27.9.2023: 1) previamente ammonita in quanto sorella dell'imputato, e non avendo inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, è stata esaminata P.E., nata M. (G. il (...), la quale, premesso di aver conosciuto la P.C. durante la stagione invernale del 2018, lavorando entrambe nello stesso albergo, in Alto Adige, e di avere a disposizione solo la versione del fratello, non sapendo altro, ha riferito, fra l'altro, che: a) suo fratello venne licenziato il 25.02.2019, per un litigio avuto sul luogo del lavoro e pure Fa.De., avendola questa seguito (verb. fonoregistraz., pag. 5); b) l'imputato andò a stare un periodo da lei nell'autunno del 2020, senza le sue valigie, dopo la rottura definitiva della coppia, avendo il primo deciso d'interrompere la relazione, perché era stanco di non poter ritornare dai propri due figli in A., a causa della P.C., che non glielo consentiva (verb. fonoregistraz., pagg. 5 - 9); 2) previamente ammonito e non avendo inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, è stato esaminato l'imputato, il quale ha confermato di avere ricevuto sostegno economico da Fa.De., durante la loro convivenza, dopo che era stato licenziato, spiegando le numerose chiamate da lui fatte alla P.C. col fatto di volersi riprendere i propri effetti personali e di essersi recato a casa della stessa in data 21.10.2020, non avendo ricevuto risposta alle precedenti chiamate; 3) sentite le parti, sono stati acquisiti gli estratti conto della carta Postepay intestata all'imputato, a cui quest'ultimo ha fatto riferimento, relativa agli anni 2019 e 2020 ed i pagamenti dal medesimo eseguiti a favore della P.C.; V) 06.12.2023: 1) sentite le parti è stata acquisita la documentazione contabile; 2) dichiarata chiusa la fase istruttoria, in quanto sufficientemente svolta ai fini del decidere, all'esito della discussione, le parti hanno concluso come sopra riportato in epigrafe; 3) è stata emessa sentenza, con lettura del dispositivo e riserva di deposito della motivazione nel termine di gg. 90, stante la sussistenza dei presupposti di cui all'art.544, co. III, cod. proc. pen., in ragione della gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato, della natura e del numero degli incombenti processuali da svolgersi e, dall'altro, del grado d'impegno e di articolazione delle questioni giuridiche da decidersi. Orbene, Pa.Dr. va dichiarato responsabile del reato qui allo stesso ascritto, dovendo, dunque, essere condannato, nei termini e per i motivi di seguito esposti. Va, invero, osservato che è stata fornita la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'imputato, sotto il profilo dell'elemento, sia oggettivo che soggettivo, del reato di atti persecutori, in base all'esame delle sopra riportate risultanze istruttorie degli atti del presente processo, utilizzabili per la decisione, in quanto legittimamente assunti in sede di escussione testimoniale ed acquisiti sul piano documentale. In particolare, non vi è motivo di dubitare dell'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla P.C., risultando quanto dalla stessa riferito chiaro, puntuale, privo di astio e pienamente congruente, non solo in sé, ma anche con la versione fornita dagli altri testimoni a conoscenza dei fatti rilevanti ai fini del decidere, quali l'operatrice del centro anti violenza e l'operante che ha svolto indagini sui tabulati ed ha assistito alla fuga della prima, oltre che con la documentazione acquisita, costituita dai files audio consegnati alle FF.OO. dalla P.C., dal report dello storico del traffico telefonico fornito dai gestori di telefonia delle due utenze dell'imputato, come pure dal certificato del P.S., attestatene lo stato d'ansia in cui si trovava Fa.De. in data 21.10.2020. Orbene, dalle predette fonti: I) da un lato, sono risultati integralmente confermati i fatti descritti nell'imputazione; II) dall'altro, non sono, al contempo, emerse cause di giustificazione e/o di non punibilità, da valutarsi a favore dell'imputato. In effetti, con riguardo al profilo sub (...)), come sopra riportato, è emerso che nel periodo tra il 15.9.2020 ed il 21.10.2020, data in cui è avvenuto il suo arresto in flagranza per il fatto per cui è qui processo, l'odierno imputato: 1) ha effettuato centinaia di chiamate telefoniche, pari a 138 dall'utenza (...), intestata all'imputato e (...) dall'utenza (...), intestata anch'essa all'imputato, come pure l'invio di centinaia di messaggi, al fine di indurre la P.O. a riallacciare la relazione sentimentale col primo; 2) nel tenere le predette condotte, ha insultato la P.C. con i termini: "testa di cazzo, stronza, bambina di merda, matta"; 3) in data 21.10.2020, appostatosi presso l'abitazione di Fa.De. e dopo aver atteso il rientro a casa della stessa, la seguì per la via pubblica, chiedendole di parlarle, mentre la P.C., accortasi di lui, si rifugiò all'interno della Stazione dei CC di Grado (GO), per sottrarsi al contatto che l'imputato voleva avere con lei, inviandole Pa.Dr. dei messaggi, anche dopo averla vista entrare all'interno della suddetta caserma. Orbene, non vi è dubbio che con le predette condotte l'imputato ha voluto arrecare alla P.C. molestie idonee e tali da ingenerare nella stessa un grave timore per la propria libertà ed incolumità personale, determinando, invero, l'insorgere nella stessa di una situazione di profonda e perdurante ansia e paura per la propria libertà di circolazione e sicurezza personale, al punto da indurre la seconda, dapprima, a mutare le proprie abitudini di vita e, poi, a cercare di trovare protezione sia presso il centro anti-violenza "Da donna a donna" di Ronchi dei Legionari (GO), sia presso la Stazione dei CC di Grado (GO). Da quest'ultimo punto di vista, deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto in circostanze analoghe alla presente fattispecie, secondo cui "ai fini dell'integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l'accertamento di uno stato patologico, ma è sufficiente che gli atti persecutori (...) abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima" (Cass. 16864/2011 e 8832/2010). D'altra parte, con riguardo al profilo sopra evidenziato sub (...)), deve rilevarsi che, a fronte dell'univocità e chiarezza del quadro probatorio sopra illustrato - da cui si ricava in modo plastico ed evidente il fine persecutorio e destabilizzante posto in essere dall'imputato, il quale, con le centinaia di chiamate e di messaggi riscontrate dagli operanti, non ha consentito alla P.C. di sottrarsi al proprio controllo prevaricante e soffocante, per conseguire il risultato di farle fare ciò che voleva, cioè ritornare insieme a lui -, non sono emerse circostanze, a cui poter attribuire valore di giustificazione delle condotte sopra descritte, obiettivamente attribuibili all'odierno imputato, il quale non si rassegnava alla fine del rapporto e ha voluto in tal modo solo infliggere sofferenza alla P.C., ben a conoscenza della fragilità di quest'ultima, per averla frequentata per parecchi mesi prima dei fatti di cui qui si discute, e di cui, ha, invero, approfittato, per esercitare più efficacemente le proprie illegittime pretese, mediante minacce ed ingiurie, basate solo sul movente criminale di dominio psicologico della P.C. Infatti, non assume rilievo la tesi difensiva, per cui Pa.Dr. avrebbe solo voluto riprendere i propri effetti personali, posto che: 1) gli era già stato modo dalla P.C. di riprendersi dette cose, quando gli aveva comunicato che non intendeva proseguire il rapporto, come sopra riportato; 2) non risulta da alcuna parte che l'imputato chiedesse alla P.C. di potersi riprendere le proprie cose, ma anzi, è emerso il contrario, cioè che lo stesso, volendo riprendere il rapporto con la seconda, non aveva alcuna intenzione di riprendersi i propri beni; 3) in ogni caso, a quest'ultimo fine, l'imputato non aveva bisogno di effettuare centinaia di chiamate e messaggi, avendo a disposizione mezzi alternativi previsti dall'ordinamento giuridico per la regolamentazione di questo tipo di vicende soggettive, quali l'invio di una missiva con diffida, ovvero rivolgendosi egli stesso alle FF.OO., non valendo, a tal fine, la lamentata difficoltà linguistica, che non gli aveva, peraltro, impedito di farsi autore del traffico telefonico in questione in direzione della P.C.. Peraltro il quadro sopra ricostruito, sotto il profilo della condotta e del dolo alla base della stessa, in capo all'imputato, non è stato, in alcun modo, posto in crisi dalle dichiarazioni rese sia dalla testimone citata dalla difesa, sia dall'imputato stesso. Infatti, occorre, in proposito, osservarsi che 1) la teste P.E.: a) ha riferito che nell'autunno del 2020, il proprio fratello si era recato a stare presso la di lei abitazione privo di effetti personali, circostanza che conferma, da un lato, quanto riferito dalla P.C., in ordine al fatto che fosse stata quest'ultima ad aver deciso di cessare la relazione fra i due, stanca proprio dell'aggressività dell'imputato e, dall'altro, smentisce, invece, la tesi che fosse stato l'odierno imputato a voler cessare il rapporto, perché pressato dalla P.C., affinché si recasse si meno in Albania a trovare i propri due figli; tanto più che era sicuramente l'imputato ad avere molto più da perdere dalla cessazione del rapporto sentimentale fra i due, anche perché temeva che, oltre al venir meno del supporto economico, di cui aveva fino ad allora goduto, stando insieme alla P.C., se denunciato da quest'ultima, avrebbe potuto vedere revocato il proprio permesso di soggiorno in Italia; b) d'altro canto, la teste ha precisato di conoscere solo la versione dei fatti che le è stata riportata dal fratello. 2) le dichiarazioni dell'imputato non hanno offerto una credibile ricostruzione dei fatti alternativa a quella sopra emersa in base al raffronto coordinato di tutti gli elementi probatori fin qui individuati, anche sotto il profilo logico. Né, infine, vale in senso contrastante a quanto qui affermato la produzione documentale della difesa, relativa ai due bonifici di poche centinaia di euro nonché all'invio di alcuni beni materiali a favore della P.C., avvenuti nei mese di aprile 2020, non essendovi dubbio per quanto accertato che in tale momento i due soggetti stavano ancora insieme e vi era fra loro fattiva collaborazione per sostenere le comuni spese domestiche, in proporzione alle risorse di ciascuno dei due. Ne deriva che. accertati e valutati gli atti criminosi sopra riportati, risulta corretta la qualificazione giuridica degli stessi operata nell'imputazione ai sensi dell'art. 612 bis c.p., avendo l'imputato, con condotte reiterate, molestato - in modo persecutorio e volto a comprimere la libertà della sfera morale - l'odierna P.C., cioè una persona con cui Pa.Dr. era stato legato da una precedente relazione affettiva, di cui, invero, il predetto non voleva, dapprima, accettare la fine e, poi, che fosse denunciata la propria violenza, per il concreto timore di perdere, rispettivamente, il sostegno economico che gli era stato offerto fino a quel momento da Fa.De. e, a seguito della denuncia-querela sporta da quest'ultima, il proprio permesso di soggiorno. Tali finalità hanno, dunque, portato, in poche settimane, l'imputato a tempestare la P.C. con centinaia di chiamate e messaggi, facendosi, infine, trovare sotto la casa della seconda in data 21.10.2020 - quando fu arrestato -, avendone seguito i movimenti, determinando, in tal modo, in capo alla medesima il crearsi di un tale stato di ansietà, da indurla a mutare la propria vita, in senso del tutto peggiorativo, fino a recarsi in caserma, per sfuggire al possibile contatto con l'imputato. In effetti, quanto finora affermato, in ordine alla sussunzione delle molestie provocate con l'uso del telefono cellulare in uso a Pa.Dr. nell'ambito della portata di cui alla predetta disposizione, trova conferma anche nel seguente principio ermeneutico elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in fattispecie analoga alla presente: "Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 cod. pen. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis cod. pen. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 cod. pen. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva ritenuto integrato il reato di atti persecutori in un caso di condotta di reiterata ed ossessiva molestia della persona offesa, mediante appostamenti sul luogo di lavoro e nei pressi dell'abitazione, urla ed aggressioni verbali seguite all'insistente suonare al citofono ed al campanello, telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tali da cagionare un grave stato d'ansia e paura nella vittima e costringerla a limitare le uscite e a farsi costantemente accompagnare da qualcuno)" (Cass. pen. n. 15625/2021). In ordine, dunque, alla determinazione della pena da irrogarsi, va evidenziato che: 1) sussistono i presupposti per il riconoscimento delle circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., posto che: a) la condotta per cui è processo è stata posta in essere per un concentrato lasso temporale, cioè un mese e mezzo, e le modalità della persecuzione posta in essere non hanno trasmodato la soglia della violenza verbale; b) dall'esame del certificato del casellario giudiziale in atti, l'imputato risulta incensurato; 2) sono state dimostrate come in concreto esistenti le aggravanti contestate, avendo Pa.Dr. compiuto gli atti persecutori di cui è processo nei confronti di Fa.De., persona a cui era stato legato da relazione affettiva e mediante l'uso di strumenti informatici, quale il cellulare a lui in uso; orbene, per le ragioni sopra evidenziate, dette circostanze vanno ritenute equivalenti rispetto alle suddette attenuanti, nel giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p.p.; 3) in ragione dei rilievi fattuali e delle considerazioni in diritto sopra richiamate, oltre che tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 27 Cost. e 133 cod. pen., valutati alla stregua delle modalità e delle conseguenze delle condotte per cui è processo, nonché dell'intensità del dolo - la cui sussistenza si desume dall'insistenza usata dall'imputato nell'effettuare le chiamate e l'invio dei messaggi, di cui all'imputazione, nonostante avesse ben capito che la P.C. non ne volesse più sapere di lui e ben memore delle aggressioni verbali e delle minacce dal medesimo precedentemente formulate -, va ritenuta congrua quale pena finale quella di anni uno e mesi uno di reclusione. A ciò va aggiunta la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali dell'odierno processo. Quanto, inoltre, alle statuizioni civili, va osservato che, alla stregua di quanto sopra evidenziato in ordine ai riscontri emersi dall'istruttoria dibattimentale, è stata dimostrata la causazione di lesioni alla sfera giuridica di Fa.De., quali conseguenze derivanti, in via immediata e diretta, dalle condotte persecutorie poste in essere da parte dell'imputato ed oggetto del presente processo. In particolare, i suddetti pregiudizi sono stati arrecati sotto il profilo sia morale, per la sofferenza interiore dovuta al ripetersi degli atti di stalking -, che biologico, tenuto conto del progressivo accrescersi dello stato di ansia indotta dall'imputato, già in costanza di rapporto sentimentale e causa della definitiva rottura, da parte dell'odierna P.C.. Orbene, in ordine alla concreta determinazione dei pregiudizi in questione, deve tenersi conto, da un lato, dell'effettiva entità e della concreta natura degli atti persecutori, cioè della loro seriale esecuzione e della loro efficacia pervasiva, in un arco temporale concentrato. Pertanto, in applicazione dei predetti criteri ed in mancanza di più puntuali parametri di riferimento, i predetti danni sono determinati in misura equitativa in complessivi Euro.15.000,00. Pa.Dr. va, poi, condannato al pagamento delle spese processuali di costituzione e rappresentanza sostenute dalla P.C. in questo processo - unitamente al rimborso dei costi delle trasferte, come documentate in atti -, le quali, tenuto conto dell'articolazione e del livello di difficoltà delle questioni affrontate, sono da liquidarsi come disposto in dispositivo, a favore dello Stato, essendo stata la P.C. ammessa al patrocinio di cui al D.P.R. n. 115 del 2002. Sussistono, infine, i presupposti per la sospensione condizionale della predetta pena, ma in ragione di quanto previsto a norma dell'art. 165 c.p., vale a dire che la concessione del predetto beneficio di legge è subordinata all'avvenuto predetto risarcimento, da effettuarsi ad opera dell'imputato entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza, considerata l'entità dell'importo sopra indicato e tenuto conto, per un verso, del tempo decorso senza alcuna forma di compensazione delle conseguenze lesive delle azioni illecite in questione, e, per altro verso, dell'idoneità di tale misura a contrastare la reiterazione criminosa da parte di Pa.Dr., valendo anche tale condanna da monito per il futuro. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.; DICHIARA Pa.Dr., in atti generalizzato, responsabile del reato a lui ascritto e concesse le circostanze di cui all'art. 62 bis c.p. lo condanna alla pena di anni 1 e mesi 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visto l'art. 538 e ss. c.p.p.; CONDANNA il predetto al risarcimento del danno morale e biologico subito dalla P.C. a causa della condotta del primo, che si liquidano, in via equitativa e complessiva, in Euro 15.000,00, oltre alla rifusione delle spese legali sostenute dalle seconda nel presente processo, che si liquidano in complessivi Euro 2.394,67, per onorario già ridotto ex art. 106 bis D.P.R. n. 115 del 2002, oltre ad Euro 342,08, per spese non imponibili, nonché I.V.A. e C.P.A., come per legge, da versarsi a favore dell'Erario, essendo la P.C. ammessa al patrocinio a spese dello Stato; visto l'art. 165 c.p.; SOSPENDE l'esecuzione della predetta pena a condizione del pagamento del risarcimento sopra determinato entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Motivi in gg. 90. Così deciso in Gorizia il 6 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 23.1.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Gr.As., nata il (...) a M., con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Ca.Ri., del Foro di Gorizia, difensore di fiducia Libera assente Gr.Fr., nato il (...) a N., con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Ca.Ri., del Foro di Gorizia, difensore di fiducia Libera assente imputati vedasi foglio allegato IMPUTATI Per Gr.As.: a) del delitto p. e p. dall'art. 337 c.p., perché usava violenza e minaccia agii agenti della Polizia Municipale di Monfalcone Ag. Ma.Ma. e Isp. Capo Ga.Al. che nella loro qualità di pubblici ufficiali stavano compiendo accertamenti nei confronti della stessa e di Gr.Fr. (fratello); in particolare la Gr. si opponeva verbalmente e si frapponeva fisicamente più volte tra rag. Ma. e il fratello Gr.Fa. con forza, venendo a contatto fisico ed allargando le braccia per bloccare l'Ag. Ma. e facendo quindi in modo che il fratello potesse allontanarsi e non essere identificato. Per Gr.Fr. b) del delitto p. e p. dall'art. 341 bis c.p. perché in luogo pubblico o aperto ai pubblico e in presenza di più persone, offendeva l'onore ed il prestigio degli agenti Ma.Ma. e Isp. Capo Ga.Al. della Polizia Municipale di Monfalcone impegnati nel compimento di un atto d'ufficio e comunque nell'esercizio delle loro funzioni, rivolgendosi agli stessi con le seguenti frasi "scusi posso fare una domanda? Vi state divertendo? No perché vi vedo con il sorriso, non fate un cazzo dalla mattina alla sera" e infine: "Vaffammocc a Chi t'è Murt" Commessi in Monfalcone il 11.05.2021 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso dal G.i.p. a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, gli odierni imputati sono stati citati a giudizio, affinché rispondessero del reato loro rispettivamente ascritto in rubrica. All'udienza del 20.5.2022, dichiarato aperto il dibattimento, sono stati ammessi i mezzi di prova. All'udienza dell'11.11.2022 è stata di mero rinvio, per mutamento del giudicante. All'udienza del 16.5.2023, sono stati escussi Ga.Al., Ma.Ma. e Sc.Lo.. All'udienza del 24.10.2023, sono stati escussi Co.Nu., Gr.Mi. e Si.Da.; la difesa ha dimesso documentazione. All'udienza del 23.1.2024, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni, come riportate in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere pronunciata sentenza di condanna degli odierni imputati per il reato loro rispettivamente ascritto in rubrica, per le seguenti motivazioni, che prendono le mosse dalla ricostruzione delle testimonianze acquisite in dibattimento. La testimone Gr.As., operante di P.g., ha dichiarato che in data 11.5.2021, assieme al collega Ma.Ma., aveva fermato in strada Gr.As., poiché questa trasportava sul proprio monopattino il figlio minore; nel momento in cui stavano redigendo il verbale di infrazione amministrativa, si era avvicinato Gr.Fr., fratello di Gr.As., che aveva loro rivolto, innanzi a diversi passanti, la seguente espressione: "non fate un cazzo dalla mattina alla sera". Gli operanti gli avevano allora chiesto i documenti, ma l'uomo era scappato dalla parte opposta; l'agente Ma. era dunque scattato all'inseguimento, ma Gr.As. gli si era parata davanti con le braccia aperte, impedendogli di passare. Solo con l'arrivo del vice-commissario, la donna aveva chiamato il fratello e questi era dunque tornato sul posto, consentendo agli operanti di identificarlo compiutamente. Il teste Ma.Ma. ha integralmente confermato i fatti, specificando che la donna, per impedirgli di rincorrere il fratello, lo aveva spinto all'indietro più volte col proprio busto, tant'è che, alla fine, il fratello era riuscito a dileguarsi senza che lui potesse fermarlo. Il teste Ma. ha altresì precisato che, al fatto, avevano assistito diversi passanti, poiché questo era avvenuto in una delle vie principali di M., ossia via R., nel pieno pomeriggio, ossia alle ore 17 circa. La testimone Sc.Lo., operante di P.g., ha dichiarato di essere intervenuta in via R., unitamente al vice - commissario Postiglione, su richiesta di supporto effettuata direttamente dalla pattuglia in strada, composta dall'agente Ma. e dall'ispettore G.. Il teste Co.Nu., premesso che in data 11.5.2021 si trovava in compagnia del cugino Gr.Fr. su via (...), ha dichiarato che quest'ultimo si era avvicinato agli operanti di P.g. senza proferire nei loro confronti alcuna frase oltraggiosa; gli operanti gli avevano comunque chiesto il documento, ma Gr.Fr. si era girato e allontanato. Il teste ha aggiunto di aver visto in questo frangente che l'operante stava cercando di spintonare via Gr.As. (pag. 5 verbale di fonoregistrazione dell'udienza del 24.10.2023); su domanda a chiarimento del p.m. - ci può spiegare meglio l'episodio che lei ha descritto dello spintonamento? -, il teste C. ha risposto: ho visto che c 'era il vigile con le mani così e cercava di passare e c'era la signora Gr. davanti che insomma, penso stava, insomma, attutendo i colpi, credo. Ad ulteriore domanda del p.m. - in che senso, cioè che non lo faceva passare? -, il teste C. ha risposto: si (pag. 6 verbale di fonoregistrazione dell'udienza cit.). A domanda in riesame del difensore - lei ha detto di aver visto uno dei vigili e la signora A. che si fronteggiavano in qualche modo ...se ci descrive un po' meglio questa reciproca posizione - il teste C. ha risposto: era letteralmente, come dire, come se la stesse spintonando contro il muro-, ad ulteriore domanda del difensore - perché prima ha detto "non lo lasciava passare ", dove voleva andare il vigile? - il teste C. ha risposto: non so (pag. 7 verbale cit.). La teste Gr.Mi., in servizio presso il Pronto Soccorso di Monfalcone, ha dichiarato che Gr.As., ivi giunta per cure mediche, le aveva riferito di essere stata spinta e colpita al torace da un rappresentante delle Forze dell'Ordine, che l'aveva fermata per una possibile infrazione delle norme stradali (cfr. altresì referto di Pronto soccorso dimesso dalla difesa all'udienza del 24.10.2023). La teste Si.Da., in servizio presso il Pronto Soccorso di Monfalcone, ha dichiarato che, in esito alla radiografia effettuata nei confronti di Gr.As. in data 11.5.2021, era emersa l'infrazione della sua nona costa di sinistra. Ritiene il Giudice che le emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità dei prevenuti in ordine al reato loro ascritto in rubrica. Tanto attendibili quanto chiare, precise e lineari sono risultate in tal senso le dichiarazioni dei testi Ma. e G.; gli stessi hanno invero descritto compiutamente l'episodio in contestazione, senza contraddizioni intrinseche ed estrinseche, posto che le rispettive dichiarazioni convergono reciprocamente e trovano altresì riscontro in quelle rese dalla teste S., che ha ricordato di essere intervenuta su richiesta di supporto effettuata direttamente dalla pattuglia in strada. Per converso, non può darsi credito a quanto affermato dal teste C., posto che lo stesso: - in sede di esame del difensore, ha dichiarato che l'operante aveva cercato di spintonare l'imputata (pag. 5 cit.); - in sede di controesame del p.m., ha dichiarato che l'operante cercava di passare e l'imputata non lo faceva passare (pag. 6 cit.); - in sede di riesame del difensore, ha dichiarato che era come se l'operante stesse spintonando l'imputata contro il muro, senza meglio chiarire il senso di questo come se (pag. 7 cit.); - a richiesta di ulteriore chiarimento del difensore degli imputati, ha infine concluso con un laconico non so (pag. 7 cit.). Orbene, innanzi ad un racconto così stentato, confuso e contraddittorio, non si vede come poter ritenere attendibile il teste C., in ordine alla dinamica di quanto accaduto tra l'operante Ma. e l'imputata Gr.As. nonché alle frasi specificamente pronunciate dall'imputato Gr.Fr.. Si noti peraltro che il teste C. non ha comunque negato che, alla richiesta di documenti avanzata dagli operanti nei confronti di Gr.Fr., questo si era girato e allontanato, confermando quindi, sul punto, esattamente quanto dichiarato dai testi Ma. e G.. Non assurgono a rango di prova a discarico le dichiarazioni rese dalla teste G., posto che la stessa si è limitata a riferire quanto appreso dall'imputata in Pronto soccorso, senza assistere direttamente ai fatti accaduti nel pregresso pomeriggio in via R.. Né appare dirimente l'esito della radiografia riportato dalla teste S., atteso che questo non è affatto incompatibile con la dinamica dei fatti descritta dai testi Gr. e M.: in termini inversi, la lesione riscontrata nei confronti dell'imputata, è compatibile con l'azione di resistenza attiva da questa posta in essere nei confronti dell'operante M.. Ciò detto in punto di fatto e di valutazione delle prove, in punctum iuris giova rammentare che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, è sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio o del servizio, indipendentemente dall'esito, positivo o negativo, di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati (Cass. Sez. 6 -, Sentenza n. 5459 del 08/01/2020 Ud., dep. 11/02/2020, Rv. 278207 -01). Trasposti tali principi nel caso di specie, non si vede come poter escludere che l'imputata - nel momento in cui si era parata innanzi all'agente Ma. con le braccia aperte e lo aveva colpito col proprio busto - avesse fisicamente ostacolato l'attività dell'operante di P.g., mentre questi compiva un atto del suo ufficio, quale l'identificazione di Gr.Fr.. Il dolo dell'imputata emerge dalla stessa tipologia di azione posta in essere, volta ad impedire all'operante di raggiungere il fratello in fuga e, quindi, di identificarlo; sul punto, è appena il caso di considerare che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, il dolo specifico si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (Cass., Sez. 6 , Sentenza n. 35277 del 20/10/2020 Ud., dep. 10/12/2020, Rv. 280166 - 01). Quanto alla condotta posta in essere da Gr.Fr., deve ritenersi che l'espressione "non fate un cazzo dalla mattina alla sera", per il suo tenore letterale, fosse senz'altro offensiva dell'onore degli operanti. Ciò posto, è noto che, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341-bis c.p., è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale siano udibili a terzi soggetti, poichè già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (cfr., ex plurimiis, Cass., Sez. 6, Sentenza n. 19010 del 28/03/2017 Ud., dep. 20/04/2017, Rv. 269828 -01). Orbene, considerato che l'imputato aveva proferito la citata frase offensiva nel centro abitato di Ma. e alla presenza di molti passanti, è evidente che tale frase oltraggiosa, in quanto potenzialmente udibile dagli stessi, è idonea ad integrare la fattispecie penale ascritta a Gr.Fr., ai sensi dell'art. 341 bis c.p. Venendo al trattamento sanzionatorio, valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p., ritenuto congruo il minimo edittale previsto dalle fattispecie di cui agli artt. 337 e 341 bis c.p., rispettivamente ascritte a Gr.As. e a Gr.Fr., viene applicata la pena di mesi 6 di reclusione, nei confronti di ciascuno di essi. Non sfugge che - nel decreto penale di condanna emesso nei confronti di Gr.Fr. e da questi opposto - era stata applicata la pena base di mesi 3 di reclusione; tale scelta del G.i.p. deve tuttavia ritenersi frutto di errore, posto che il trattamento sanzionatorio previsto dall'alt. 341 bis c.p., in origine pari alla reclusione "fino a tre anni", è stato sostituito con la reclusione "da sei mesi a tre anni" dalla L. n. 77 del 2019; poiché la condotta dell'imputato è stata commessa successivamente all'entrata in vigore della citata legge, deve tenersi in considerazione, nel calcolo della pena, la forbice edittale prevista dalla legge vigente al momento del fatto. Non possono essere riconosciute agli imputati le circostanze attenuanti generiche, atteso che non è sufficiente l'incensuratezza di Gr.As. e non si ravvisa in atti alcun elemento di fatto favorevole agli autori degli illeciti ed idoneo ad attenuare la gravità dei reati, riducendone il disvalore. Non può essere valutato a favore degli imputati il comportamento processuale, in sé assolutamente neutro, né altra condotta suscettibile di integrare l'attenuante di cui all'art. 62 bis c.p.; invero, gli imputati non hanno risarcito il danno, nemmeno simbolicamente, e non hanno dimostrato alcuna resipiscenza, onde la concessione delle attenuanti generiche costituirebbe per gli imputati un premio del tutto immeritato, avulso da qualsiasi fatto che ne giustifichi il riconoscimento. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere a Gr.As. il beneficio della non menzione della pena nel Certificato del Casellario giudiziale nonché il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che l'assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. Altrettanto non può dirsi con riferimento a Gr.Fr., atteso che, dal Certificato del Casellario giudiziale di data 14.4.2022, in atti, l'imputato risulta aver fruito del perdono giudiziale per i reati di percosse, porto d'armi e minaccia, come da sentenza del G.u.p. del Tribunale per i minorenni di Trieste di data 19.3.2019, irrevocabile il 20.5.2019. Alla luce di un tanto nonché delle circostanze concrete del fatto in esame - tenuto conto che l'imputato non solo aveva offeso gli operanti, ma era anche fuggito in direzione opposta, allorché questi avevano cercato di identificarlo - non si ritiene l'imputato meritevole di prognosi positiva e, dunque, del beneficio della sospensione condizionale della pena, ulteriore rispetto a quello di cui aveva già usufruito con la citata sentenza irrevocabile. Non vi sono le condizioni per la sostituzione della pena detentiva ai sensi dell'art. 53 L. n. 689 del 1981, non avendo la difesa avanzato istanze in tal senso, per mancanza di procura speciale (cfr. verbale d'udienza di data 23.1.2024). Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate e al carico di lavoro dell'ufficio. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Gr.As. e Gr.Fr. responsabili del reato loro rispettivamente ascritto in rubrica e li condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione per Gr.As.. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Gorizia il 23 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 23.1.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Ge.Al., nato il (...) a U., con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Ce.Fe., del Foro di Gorizia, difensore di fiducia imputato vedasi foglio allegato INDAGATO 1 ) per il delitto di cui all'artt. 337 c.p., perché usava violenza per opporsi all'Agente Ma.Ma. che, nella sua qualità di Pubblico Ufficiale e Agente di PG in servizio presso il Corpo di Polizia Municipale di Monfalcone, era intervenuto per verificare l'esistenza di assembramenti davanti al pubblico esercizio denominato "Lo."; violenza consistita nell'essersi opposto alla richiesta del predetto agente di fornire le proprie generalità divincolandosi dalla presa dell'operatore che lo aveva fermato dopo un tentativo di fuga; Commesso in Monfalcone in data 20 gennaio 2021; 2) per il delitto di cui agli artt. 582, 585, 576 c. 1 n. 5bis), 577 c.l n.4) e 61 c. 1, n. 2) c.p. perché cagionava all'agente Ma.Ma. una lesione personale consistita in trauma cranico non commotivo e contusione V metacarpo mano sx, con incapacità di attendere le proprie occupazioni per 5 giorni; in particolare, nel cotesto di cui al capo precedente d'imputazione, bloccato dagli agenti Do.An. e Ma.Ma., in quanto tentava la fuga dopo la richiesta delle proprie generalità, il C. divincolandosi arrecava le lesioni suddette; Con l'aggravante di aver commesso il fatto contro un agente dei P.G. nell'esercizio delle sue funzioni o del servizio Commesso in Monfalcone in data 20 gennaio 2021 3) per il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 341bis c.p. perché, violando più volte la legge con la stessa condotta, in luogo pubblico, segnatamente sulla pubblica via nei pressi dell'esercizio commerciale "Lo." sito a M., in via R. IL 36, IN PRESENZA DI PIÙ PERSONE, OFFENDEVA L'ONORE ED IL prestigio dell'Isp. Ge.Al., dell'Agente Do.An. e dell'Agente Ma.Ma. che,- nella loro qualità di Pubblici Ufficiali appartenenti al Corpo di Polizia Municipale di Monfalcone, avevano posto in essere le attività descritte nei precedenti capi d'imputazione; offese proferite nei confronti dei predetti pubblici ufficiali, rivolgendo loro le parole: - ...siete delle merde, andé a fanculo stronzi!" Commesso in Monfalcone in data 20 gennaio 2021; 4) della contravvenzione di cui all'art. 651 c.p., perché, richiesto da pubblico ufficiale nell'esercizio della sue funzioni, in particolare nel contesto specificato ai precedenti capi d'imputazione, rifiutava di dare indicazioni sulla propria identità personale; Commesso a Monfalcone in data 20 gennaio 2021 ; Con l'intervento del p.m. dott.ssa Di.Vi., v.p.o., e dell'avv. Ce.Fe., difensore di fiducia dell'imputato SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposta la citazione diretta a giudizio di Ge.Al., affinché rispondesse del reato descritto in epigrafe, all'udienza del 3.10.2023, previa rinuncia alla proposta di definizione del procedimento ex art. 444 c.p.p., la difesa ha chiesto procedersi con rito abbreviato. All'udienza del 23.1.2024, le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni, come riportate in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze in atti dimostrano la responsabilità penale dell'imputato per i reati in contestazione. Dall'annotazione di servizio di data 20.1.2021, emerge che, in pari data, gli operanti di P.g. Ge.Al., Ma.Ma. e Do.An. si erano recati presso l'esercizio commerciale "Lo." in M., per verificare eventuali assembramenti, posti in essere in violazione della normativa di contrasto al Covid-19. Ivi giunti, gli operanti avevano notato l'odierno imputato intento a consumare bevande alcoliche all'esterno del locale, contrariamente alle prescrizioni della citata normativa; gli avevano allora chiesto i documenti, ma l'imputato, dopo aver loro risposto "non rompete i coglioni, io non vi do niente, dovete corrermi dietro per avere i documenti", era scappato in direzione opposta. Dopo qualche minuto, era tornato all'esterno del medesimo locale e, alla richiesta degli operanti di fornire loro i documenti, aveva nuovamente tentato la fuga; gli operanti D. e M. lo avevano prontamente bloccato, ma l'imputato si era divincolato dalla presa, ferendo alla mano e alla fronte l'agente M.. Soltanto dopo essere stato definitivamente fermato dalla P.g., l'imputato aveva estratto il proprio passaporto e, senza nemmeno attendere che la P.g. glielo restituisse in esito alla redazione di verbale, si era allontanato, proferendo ad alta voce - e alla presenza di alcuni passanti - la seguente espressione: "Dio vi punirà, morirete, ci sarà giustizia, vi verrà il cancro, siete delle merde, andè a fanculo stronzi". Ritiene il Giudice che siffatte emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità del prevenuto in ordine ai reati di rubrica. Tanto attendibili quanto chiare e dettagliate sono risultate in tal senso le dichiarazioni degli operanti, compendiate nella citata annotazione di servizio. Non risulta fondata l'argomentazione difensiva, secondo cui non sarebbe possibile pervenire ad una sentenza di condanna soltanto sulla base delle dichiarazioni degli operanti di P.g., persone offese del reato. La tesi si scontra con l'orientamento pacifico della giurisprudenza di nomofilachia, secondo cui le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012 Ud.,dep. 24/10/2012, Rv. 253214 - 01 e successive tutte conformi, tra cui, da ultimo, Sez. 3 , Sentenza n. 3239 del 04/10/2022 Ud., dep. 25/01/2023, Rv. 284061 - 01). Applicati tali principi nel caso di specie, deve ribadirsi il giudizio di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di cui all'annotazione di servizio a firma degli operanti, per la precisione e la linearità con cui sono state rese e tenuto conto altresì che le persone offese non hanno mostrato alcun tipo di astio particolare nei confronti dell'imputato né sono stati rappresentati interessi specifici che esse dovrebbero avere nei confronti dell'imputato medesimo, verso il quale non hanno avanzato pretese risarcitorie di alcun genere. Va aggiunto, e questa volta in termini di attendibilità estrinseca, che le dichiarazioni degli operanti risultano suffragate dal referto di Pronto Soccorso dell'agente M., descrittivo di un evento patologico (in particolare, trauma cranico non commotivo) la cui compatibilità con il narrato degli operanti sul punto risulta evidente. Ciò detto in fatto e in ordine alla valutazione delle prove, deve altresì ritenersi che le condotte poste in essere dall'imputato integrino gli estremi dei reati ascrittigli in rubrica. Prendendo le mosse dal reato di cui al capo 1 ), giova rammentare, in punctum iuris, che ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 337 cod. pen. l'atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l'azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga (Sez. 5, Sentenza n. 8379 del 27/09/2013 Ud., dep. 21/02/2014, Rv. 259043 -01). Traslati tali principi nel caso di specie, non v'è dubbio in ordine alla sussumibilità della condotta tenuta dall'imputato innanzitutto nella fattispecie di cui all'art. 337 c.p., posto che egli, dopo esser riuscito a sottrarsi all'identificazione personale una prima volta, mediante semplice fuga, aveva poi operato un vero e proprio atto di forza, per sottrarsi all'identificazione una seconda volta, tanto da ferire l'agente M.. Altrettanto sussistente risulta la contestazione di cui al capo 2) d'imputazione, per il delitto previsto e punito dagli articoli 582 e 585, in relazione all'art. 576, n. 5 bis c.p. Invero - come emerge dal referto medico agli atti - l'agente M. aveva riportato un trauma cranico con prognosi di giorni 5, a causa dell'opposizione posta in essere nei suoi confronti dall'imputato, e - come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità - il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica (Cass. 10643/1996; conformi: Cass. 714/1999 e Cass. 40428/2009). Ciò posto in merito alla sussistenza delle lesioni contestate, deve escludersi che le stesse rimangano assorbite nel reato di cui all'articolo 337 c.p., atteso che quest'ultimo assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse, non già quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali in danno dell'interessato. In quest'ultima ipotesi, il delitto di lesioni concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale (tra le tante, cfr. Cass. 27703/2008). Quanto al capo 3) di rubrica, deve ritenersi che l'espressione "Dio vi punirà, morirete, ci sarà giustizia, vi verrà il cancro, siete delle merde, andò a fanculo stronzi", per il suo tenore letterale, fosse senz'altro offensiva dell'onore degli operanti. Non è fondata l'argomentazione difensiva, secondo cui il reato non sarebbe configurabile a cagione del fatto che, nel momento in cui l'imputato aveva pronunciato la frase ingiuriosa, l'attività della P.g. era già terminata. Invero, la tesi si scontra con le risultanze istruttorie, da cui si evince che l'attività non era ancora terminata, poiché la P.g. doveva ancora restituire il passaporto all'imputato, che infatti si era allontanato senza consentire alla P.g. di espletare l'incombente. Non è fondato nemmeno il rilievo difensivo, secondo cui non è provato che l'offesa fosse stata effettivamente udita dai soggetti presenti sul luogo. Al riguardo, deve osservarsi che, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341-bis c.p., è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico ufficiale siano udibili a terzi soggetti, poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (cfr., ex plurimiis, Cass., Sez. 6, Sentenza n. 19010 del 28/03/2017 Ud., dep. 20/04/2017, Rv. 269828-01). Orbene, considerato che l'imputato aveva proferito la citata frase offensiva ad alta voce, nel centro abitato di M. e alla presenza di alcuni passanti, è evidente che tale frase oltraggiosa, in quanto potenzialmente udibile dagli stessi, è idonea ad integrare la fattispecie penale ascrittagli, ai sensi dell'art. 341 bis c.p. Va soltanto aggiunto che il reato di oltraggio, previsto dall'art.341-bis cod. pen., non è assorbito, bensì concorre con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, anche qualora la condotta offensiva sia finalizzata allo scopo di opporsi all'azione del pubblico ufficiale, in quanto la condotta ingiuriosa non è elemento costitutivo del reato previsto dall'art. 337 cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 39980 del 17/05/2018 Ud., dep. 05/09/2018 , Rv. 273769 - 01). Venendo infine alla contestazione di cui al capo 4) di rubrica, non v'è dubbio che l'imputato si fosse rifiutato di dare d'indicazioni sulla propria identità personale, nel momento in cui lo stesso era addirittura scappato, innanzi alla richiesta degli operanti in tal senso. Non v'è del pari dubbio che simile condotta integri gli estremi del reato di cui all'art. 651 c.p. e che il reato di cui all'art. 651 cod. pen. non rimane assorbito ma concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale di cui all'art. 337 cod. pen., risultando le relative condotte completamente diverse, se raffrontate in astratto, e susseguenti materialmente l'una all'altra, se considerate in concreto (Cass., Sez. 6, n. 39227 del 30.5.2013, dep. il 23.9.2013, Rv. 257083 - 01). Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati di rubrica. Non possono essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, atteso che l'imputato risulta gravato da due precedenti penali, di cui uno anche recente e specifico, e non si ravvisa in atti alcun elemento di fatto favorevole all'autore dei reati ed idoneo a ridurre il disvalore delle azioni illecite commesse. Può soltanto essere riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati contestati, potendo desumersi con ragionevole certezza l'unicità del disegno criminoso dall'omogeneità delle condotte e dal ristretto ambito temporale entro cui le stesse sono state commesse. Valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. e applicati, da un lato, il minimo edittale previsto dalla fattispecie più grave di cui all'art. 337 c.p. e, dall'altro, la pena pecuniaria per la fattispecie di cui all'art. 651 c.p. - come da iniziale istanza ex art. 444 c.p.p. presentata dalle parti e poi rinunciata - è da ritenersi pena congrua quella di mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000 di multa, così determinata: - pena base mesi 6 di reclusione; - pena aumentata a mesi 8 di reclusione per la continuazione col capo 2) di rubrica ex art. 81 c.p., tenuto conto della natura della lesione subita dall'operante, ad una parte delicata del corpo come il cranio; - pena aumentata a mesi 9 di reclusione per la continuazione col capo 3) di rubrica, tenuto conto della gravità dell'offesa proferita nei confronti di più operanti; - pena aumentata di ulteriori 15 giorni per il capo 4) di rubrica, convertiti in pena pecuniaria con ragguaglio pari a Euro 100,00 al giorno, per un totale di Euro 1.500,00 di multa; - pena ridotta per il rito a mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa. In relazione al calcolo dell'aumento per la contravvenzione di cui all'art. 651 c.p., deve soltanto darsi atto che sono stati applicati i principi espressi da Cass. , S.U., n. 40938/2018, ai paragrafi 6.1 e 6.2, secondo cui, affinché la pena del reato continuato sia legale, occorre rispettare il genere della pena pecuniaria previsto per il reato satellite. 6.1. Per raggiungere tale obiettivo sono prospettabili due criteri di determinazione della pena: quello per addizione, auspicato dalla dottrina e applicato dalla sentenza Mangieri, sopra richiamata, consistente nell'affiancare alla pena detentiva inflitta per la violazione più grave, una quota della pena pecuniaria prevista per il reato meno grave; quello per moltiplicazione comportante l'aumento della pena base. Quest'ultimo, applicato dalla prevalente giurisprudenza tradizionale in materia, appare maggiormente in linea con la previsione, anche testuale, dell'art. 81 cod. pen., oltre che con la struttura unitaria, quoad poenam, del reato continuato. Per realizzare il rispetto del genere della pena prevista per il reato satellite facendo applicazione di tale metodo di computo, il Collegio ritiene allora che l'aumento debba effettuarsi, come auspicato anche in dottrina, in due fasi, dapprima sub specie di pena detentiva sulla pena detentiva del reato base, e, in seconda battuta, mediante ragguaglio a pena pecuniaria, ex art. 135 cod. pen., di tale aumento, secondo quanto a suo tempo prospettato da Sez. U Varnelli. Va aggiunto che, se la pena dei reati in continuazione è dello stesso genere (detentiva o pecuniaria) anche se di specie diversa (reclusione-arresto; multa-ammenda), l'aumento per moltiplicazione si effettuerà rendendo omogenea la pena per il reato satellite a quella dello stesso genere, sia pure più grave, del reato base. Se invece la pena detentiva base è la reclusione, e quella del reato satellite una pena pecuniaria, la specie di pena pecuniaria frutto del ragguaglio sarà la multa - anche se il reato satellite è punito con l'ammenda -, in linea con la previsione, relativa al cumulo materiale, che le pene di specie diversa concorrenti si considerano, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave (art. 76, secondo comma, prima parte, cod. pen.). 6.2. Conclusivamente, discende da quanto sopra, in relazione ai casi più frequenti e maggiormente significativi, ma senza pretesa di esaustività, che:a) se il reato più grave è punito con pena detentiva e il reato satellite soltanto con pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo, da effettuarsi sulla pena detentiva, va ragguagliato a pena pecuniaria in applicazione dell'art. 135 cod. pen. (...). Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Non sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, considerato che la presenza di precedenti penali - anche specifici e recenti - a suo carico, induce a non ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. Non vi sono i presupposti per la sostituzione pena della pena detentiva applicata ai sensi dell'art. 53 L. n. 689 del 1981, atteso che nessuna istanza è stata avanzata dalla difesa in tal senso (cfr. verbale d'udienza di data 23.1.2024). Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. visti gli artt. 438, 533 e 535 c.p.p., dichiara Ge.Al. responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica e, unificati i fatti nel vincolo della continuazione, tenuto conto della riduzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Gorizia il 23 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 23.1.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Sa.Io., nato in R. il (...), domiciliato ex art. 169 c.p.p. presso lo studio del suo difensore d'ufficio, avv. An.Fa., del Foro di Gorizia Libero assente imputato vedasi foglio allegato IMPUTATO Per il reato p. e p. dall' art. 648 c.p. perché al fine di trarne profitto, riceveva il telefono cellulare marca Wi. modello Rainbow Lite, con codice (...), di proprietà di Co.Cr., oggetto di denuncia di furto, sporta innanzi alla Stazione Carabinieri di Ronchi dei Legionari in data 31.03.2017 dalla stessa C., per la sottrazione avvenuta all'interno dell'albergo Fu. di Ronchi dei Legionari. Fatti commessi in Ronchi dei Legionari tra il 30.03,2017 ed il 02.04.2017. Con l'intervento del p.m. Di.Vi., v.p.o., e dell'avv. Fi.An., in sostituzione ex art. 102 c.p.p. dell'avv. An.Fa., difensore d'ufficio MOTIVI DELLA DECISIONE Va emessa sentenza di condanna dell'odierno imputato per il reato ascrittogli in rubrica. Dalla querela sporta da Co.Cr. è emerso che, in data 30.3.2017, la stessa aveva subito il furto del proprio cellulare, marca Wi., all'interno dell'hotel Fu., sito in Ronchi dei Legionari. Il teste Ma.Lo., operante di P.g., ha dichiarato di aver acquisito i tabulati telefonici relativi al codice IMEI del cellulare oggetto di furto e di aver così appurato che, dal 2 al 7 aprile 2017, allo stesso era associata l'utenza telefonica intestata all'odierno imputato. L'operante ha aggiunto che, dal registro delle presenze acquisito presso l'hotel Fu., era emerso che l'odierno imputato era stato ospite dell'hotel dal 30.3.2017 al 31.2.2017. Ritiene il Giudice che tali emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità de prevenuto in ordine al reato di rubrica. Giova preliminarmente osservare, sotto il profilo oggettivo, che la fattispecie di cui all'art. 648 c.p. richiede, in primo luogo, l'accertamento della provenienza delittuosa del bene: la necessità della prova di tale circostanza, derivante dalla sua natura di presupposto essenziale alla configurabilità del reato, non richiede tuttavia - a differenza di quanto argomentato dalle difese degli imputati - un accertamento giudiziale della commissione del delitto, né dei suoi autori, né della sua esatta tipologia, potendo il giudice affermarne 1'esistenza deducendola logicamente dalle risultanze processuali (cfr. Cassazione sez. IV penale, 7 novembre 1997, n. 11303; sez. II penale, 10 marzo 1999, n.3211; Cass., pen., Sez. II, 07/04/2004, sentenza n. 18034 e successive tutte conformi). Nel caso di specie, la provenienza delittuosa del bene in questione è attestata dalla querela di furto sporta da Co.Cr. (utilizzabile a fini decisori, stanti i principi espressi da Cass. 3211 del 12/03/1998 Ud., dep. 10/03/1999, Rv. 213597 - 01 e successive conformi, secondo cui è legittima l'acquisizione del verbale, in assenza della citazione del teste, di denuncia del furto dell'autovettura oggetto della successiva ricettazione, quale prova documentale di una dichiarazione di scienza, non ripetibile con le stesse forme, anche tenuto conto del fatto che la conoscenza storica ivi esternata non si riferiva direttamente alla responsabilità dell'imputato per il reato ascritto ma solo al reato presupposto). Ciò detto in ordine alla provenienza delittuosa della cosa e venendo alla condotta di ricezione di cui all'art. 648 c.p., è evidente che la stessa costituisce antecedente implicito del possesso: in ragione di ciò, si ritiene che dalla prova della disponibilità della cosa si possa trarre quella della sua ricezione (cfr. Cassazione, sez. II penale, 15 marzo 1997 n. 2534). Ebbene, nel caso di specie, risulta provato in capo all'imputato il possesso del cellulare rubato; invero, qualche giorno dopo il furto, i tabulati telefonici avevano rivelato, all'interno del cellulare, la scheda telefonica intestata all'imputato medesimo, peraltro presente in hotel il giorno del furto e anche quello successivo. Quanto all'elemento soggettivo, giova sottolineare che l'imputazione soggettiva della fattispecie presuppone la prova, oltre che del trarre profitto quale fine della condotta come espressamente previsto dal 648 c.p., della consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa ricevuta. Non si ritiene necessario che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto (cfr. Cassazione, sez. II penale, 7 aprile 2004 n. 18034), essendo invece sufficiente che l'autore sappia che il bene da lui ricevuto è provento di delitto. L'accertamento dell'elemento soggettivo del reato de quo deve essere frutto di una valutazione complessiva degli elementi emersi nel corso dell'attività istruttoria, tra cui assume rilievo anche il comportamento tenuto dall'imputato: la prova dell'elemento psicologico del reato può desumersi da qualsiasi elemento di fatto e da qualunque indizio giuridicamente apprezzabile, compreso il comportamento dell'imputato (cfr. Cassazione, sez. II penale, 28/06/1990 - 11/06/1991 n.6531). In particolare, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, anche delle Sezioni Unite (n. 12433 del 26.11.2009, dep. 2010, Rv. 246324), ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa indicazione della provenienza della cosa ricevuta, che costituisce prova della conoscenza dell'illecita provenienza della res, in quanto sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede. Non solo il principio è stato più volte ribadito (cfr. ad esempio, Sez. II, n. 37775 del l.6.2016, Rv. 268085; Sez. II, n. 43427 del 7.9.2016, rv. 267969; Sez. II, n. 52271 del 10.11.2016, Rv. 268643; Sez. II, n. 53017 del 22.11.2016, Rv. 268713), ma da ultimo la Suprema Corte ha anche chiarito che ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un vulnus alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell'indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della res, il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa. Tale motivazione non è censurabile, neppure sotto il profilo della violazione dei diritti della difesa tecnica, non potendo ritenersi che il ricorrente sia in tal modo gravato da un onere probatorio proprio dell'accusa. Osserva in proposito il collegio che non si richiede, in tal modo, all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (Cass., 20193 del 19/04/2017, Rv. 270120 - 01). Ebbene, nel caso di specie va sottolineato che l'imputato non ha reso alcuna giustificazione in ordine al possesso del telefonino; del resto, non si vede come poter escludere, in capo al prevenuto, la consapevolezza che il cellulare in questione fosse di illecita provenienza, posto che quest'ultimo si presentava privo di confezione o prova d'acquisto. Tali elementi inducono a ritenere che il bene fosse detenuto dall'imputato nella piena consapevolezza della sua provenienza furtiva. Non è possibile riqualificare il fatto in furto, posto che l'istruttoria non ha fornito elementi certi in tal senso e visto che tale fattispecie alternativa non è nemmeno stata rappresentata dall'imputato, il quale come detto non ha reso dichiarazioni sul punto. Ora, come noto, la mancata indicazione da parte dell'imputato di ricostruzione alternativa non può essere utilizzata come prova, ma non consente di avanzare dubbi sulla ricostruzione operata a mezzo delle prove fornite dalla pubblica accusa (cfr. Cass. 50542/19). Va pertanto affermata la penale responsabilità dell'imputato per il fatto ascrittogli in rubrica. E riconoscibile la circostanza attenuante di cui all'art. 648, c. 2 c.p., tenuto conto del verosimile modesto valore di un cellulare usato e di una marca secondaria coma la Wi.. Non possono essere riconosciute invece le circostanze attenuanti generiche, atteso che, da un punto di vista oggettivo, non si ravvisa in atti alcun elemento di fatto favorevole all'autore dell'illecito e idoneo ad attenuare la gravità del reato, riducendone il disvalore. Venendo al trattamento sanzionatorio e valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. - in particolare la proditorietà della condotta - è da ritenersi pena congrua quella di mesi 6 di reclusione ed Euro 300,00 di multa. Alla condanna consegue il pagamento delle spese processuali. Sussistono i presupposti per concedere all'imputato il beneficio della non menzione della pena nel Certificato del Casellario giudiziale e della sospensione condizionale della pena medesima, considerato che l'assenza di precedenti penali a carico induce a ritenere probabile la futura astensione dalla commissione di altri reati. Ai sensi dell'art. 143 c.p.p., sussistono i presupposti per disporre la traduzione della sentenza in lingua rumena. Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art. 544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate e al carico di lavoro dell'ufficio. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Sa.Io. responsabile del reato a lui ascritto in rubrica e, concessa la circostanza attenuante di cui all'art. 648, c. 2 c.p., lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Visto 1'art. 143 c.p.p., dispone la traduzione della sentenza in lingua nota all'imputato. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Gorizia il 23 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 30.1.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: 1) Bi.Ro., nato il (...) ad A. (N.), con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Bo.Al., del Foro di Reggio Emilia Libero assente 2) Di.Gu., nato il (...) a G. (T.), dom. dich. presso lo studio dell'avv. St.El., del Foro di Reggio Emilia Libero assente imputati vedasi foglio allegato IMPUTATI per il delitto di cui agli artt. 110, 640 c. 2 n. 2 bis c.p. perché, in concorso morale e materiale tra loro, inducendo in errore Bo.Ad. sulla serietà dell'offerta al pubblico avente ad oggetto una motocicletta Ducati Cross 125 pubblicata sul sito internet (...), si procuravano l'ingiusto profitto del pagamento di un acconto sul prezzo pari a Euro 202,00, che la persona offesa accreditava sulla carta Postepay n. (...). Condotte consistite per Di.Gu. nel pubblicare l'annuncio fittizio sul sito internet mediante un IP utilizzato dall'utenza n. (...) a lui intestata ed attivando l'email servita per la verifica della pubblicazione di detto annuncio mediante un IP utilizzato dalla medesima utenza n. (...) a lui intestata; per Bi.Ro. nell'essersi prestato per l'attivazione della carta Postepay n. (...) a lui intestata sulla quale è confluito il profitto del reato. Con l'aggravante dell'avere profittato di circostanze di luogo e tempo, in particolare dell'avere effettuato le trattative a distanza, che hanno determinato una posizione di favore, consentendo loro di schermare la propria identità, di non sottoporre il bene asseritamente venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell'acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della condotta. Fogliano Redipuglia (GO), il 25.1.2018 Con la recidiva reiterata per D.L.. Con l'intervento del p.m. Br.Gi., v.p.o., dell'avv. Ce.Il., in sostituzione ex art. 102 c.p.p. dell'avv. Ma.Gi., difensore d'ufficio di Bi.Ro., e dell'avv. Ba.Gu., in sostituzione ex art. 102 c.p.p. dell'avv. St.El., difensore di fiducia di Di.Gu. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento degli odierni imputati per il reato loro ascritto in rubrica, previa esclusione della contestata aggravante, per estinzione dello stesso dovuta a remissione di querela. Occorre innanzitutto chiarire perché non si ritiene sussistente, nel caso di specie, l'aggravante di cui all'art. 640, c. 2 n. 2 bis c.p. Secondo l'ipotesi accusatoria, gli imputati avrebbero posto in essere il reato di cui all'art. 640 c.p., con l'aggravante dell'aver profittato di circostanze di luogo e tempo, in particolare dell'avere effettuato le trattative a distanza, che hanno determinato una posizione di favore, consentendo loro di schermare la propria identità, di non sottoporre il bene asseritamente venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell'acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della condotta. L'impostazione accusatoria non è condivisibile perché, seguendo la stessa, l'esistenza dell'aggravante dipenderebbe de plano dalla distanza fisica intercorrente tra il venditore e il compratore, in quanto le trattative e il perfezionamento dell'accordo non possono avvenire tramite incontro diretto tra le parti. Tale impostazione stride con il tenore letterale dell'art. 640 c.p., norma che richiede di porre in essere "artifici e raggiri", con il rischio di confondere il raggiro, consistito proprio nel mostrare un oggetto in realtà inesistente, con la stessa aggravante, attribuendo in tal modo al medesimo dato una duplice funzione, quella di elemento tipico della fattispecie delittuosa, l'artificio, e quella di elemento aggravante. Nel caso di specie, peraltro, la mera lettura del capo di imputazione consente di escludere che alla base della contestazione dell'aggravante vi fossero stati altri e diversi elementi, oltre alla distanza fisica, che avevano in concreto comportato una minorata difesa da parte della persona offesa, come richiesto dalle più recenti pronunce di nomofilachia. Occorre funditus aggiungere che, leggendo attentamente la querela, nemmen si ravvisa una reale "distanza" tra l'acquirente e l'alienante: invero, dalla querela sporta da Bo.Ad., emerge che, in seguito al primo contatto on-line, vi erano stati plurimi contatti telefonici tra la persona offesa e l'imputato Bi.Ro., il quale aveva comunicato alla persona offesa addirittura il proprio codice fiscale. Non può quindi parlarsi di schermata identità dell'imputato e quindi, specularmente, di minorata difesa della vittima. A tale riguardo, la stessa Suprema Corte ha specificatamente chiarito che non sussiste l'aggravante della minorata difesa, ai sensi dell'art. 61, n. 5, cod. pen., nell'ipotesi in cui il primo contatto tra venditore e acquirente sia avvenuto su una piattaforma web per poi svilupparsi mediante messaggi telefonici, atteso che, a differenza delle trattative svolte interamente on-line, in tal caso non ricorre la costante distanza tra venditore e acquirente idonea a porre quest'ultimo in una situazione di debolezza quanto alla verifica dell'identità del venditore. Ciò posto in ordine all'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 640, c. 2 n. 2 bis c.p., che rende procedibile d'ufficio il reato di truffa, va dato atto che, all'udienza del 20.6.2023, la persona offesa Bo.Ad. ha dichiarato la propria volontà di rimettere la querela, in esito al risarcimento del danno ottenuto dagli odierni imputati. Nonostante non vi sia agli atti dichiarazione esplicita di accettazione della remissione della querela da parte degli imputati, rimasti assenti, tuttavia deve ritenersi che la volontà della persona offesa possa dispiegare i propri effetti, poiché non emergono elementi dai quali desumere, anche indirettamente, l'intenzione degli imputati di ricusare la remissione della querela (ai fini della remissione di querela non è indispensabile l'accettazione, essendo sufficiente che, da parte del querelato, non vi sia un rifiuto espresso o tacito dela remissione. Ne consegue che, in assenza di altri elementi, anche la contumacia dell'imputato può essere apprezzata quale indice dell'assenza della volontà di coltivare il processo", Cass. Pen., Sez. V, n.7072 del 12/1/2011, Pres.C., Est.F.; conformi n.30614 del 2008; n. 47483 del 2008; n.4696 del 2009; n.35620 del 2010; n.2776 del 2011; n.3359 del 2011). Come imposto dall'art.129 comma 2 c.p.p., richiamato dall'art. 531 c.p.p., in presenza di una causa di estinzione del reato, va verificata la possibilità di emettere una sentenza di assoluzione nel merito in favore degli imputati, come peraltro richiesto in via principale dalla difesa di Di.Gu.. A tal proposito, va osservato che, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., il proscioglimento nel merito in presenza di una causa estintiva del reato è consentito solo allorché l'insussistenza del fatto, la sua irrilevanza penale ovvero l'estraneità dell'imputato appaiano evidenti sulla base della lettura e della valutazione degli atti, senza che si debba procedere ad alcuna ulteriore indagine. Invero, come autorevolmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di una causa di estinzione del reato - quale è appunto la remissione di querela - il giudice è tenuto a pronunciare sentenza di assoluzione solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere la sussistenza del reato, la realizzazione da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontrovertibile, cosi che l'operazione che il giudice debba compiere al riguardo si limiti ad una percezione ictu oculi, senza necessità di operare alcun accertamento o approfondimento (si veda, tra le altre, Cass. Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Rv. 244274 -01). Detto altrimenti, l'evidenza richiesta dall'art. 129, comma 2, c.p.p. presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia. Quanto poi alla individuazione del momento processuale in cui l'evidenza (e non anche la contraddittorietà o l'insufficienza) della prova dell'innocenza dell'imputato impone al giudice, pur in presenza di una causa di estinzione del reato, di pronunciare la sentenza di proscioglimento, la Cassazione, richiamandosi alle motivazioni rese dalle Sezioni Unite nella sentenza De Rosa, ha ribadito che l'art. 129 c.p.p. è una prescrizione generale, applicabile dunque, secondo la lettera della disposizione, "in ogni stato e grado del processo". Dunque, la stessa opera anche all'esito della istruttoria dibattimentale, in presenza di una causa estintiva. Diversamente opinando, non si comprenderebbe il riferimento contenuto nel primo comma dell'art. 129 c.p.p., in relazione all'obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, ivi compresa, quindi, la causa di estinzione del reato, ad "ogni stato e grado del processo", così come non si comprenderebbe il richiamo, nel secondo comma dello stesso articolo, all'art. 531 c.p.p. - norma, questa, che segue l'art. 530 c.p.p. dedicato alla sentenza di assoluzione con l'indicazione delle relative formule -, secondo cui il proscioglimento nel merito deve prevalere sulla causa di estinzione del reato se dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che li fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato. Un tanto trova conferma anche nelle pronunce con cui la Corte di Cassazione ha affermato che, intervenuta la causa estintiva del reato di cui all'imputazione, non potrà il giudice, all'esito dell'istruttoria dibattimentale ed in presenza di un compendio probatorio insufficiente o contraddittorio, esercitare i poteri di ufficio ex art. 507 c.p.p. (possibilità ammessa anche per il giudice ritiratosi in camera di consiglio per la deliberazione della sentenza: cfr. Sez. 3, n. 8528 del 19/08/1993 Ud. - dep. 14/09/1993 - Rv. 195160), ma dovrà dichiarare l'estinzione del reato enunciandone la causa nel dispositivo. In definitiva, la regola probatoria di cui all'art. 530, comma 2, c.p.p. - cioè il dovere per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità - appare dettata esclusivamente per il normale esito del processo che sfocia in una sentenza emessa dal giudice al compimento dell'attività dibattimentale, a seguito di una approfondita valutazione di tutto il compendio probatorio acquisito agli atti; tale regola, per contro, non può trovare applicazione in presenza di una causa estintiva del reato: in una situazione del genere, vale invece la regola di giudizio di cui all'art. 129 c.p.p. Un tale argomentare, è bene precisarlo, non contrasta con il principio del diritto alla prova, tutelabile con la ricusazione della remissione di querela, ex art. 155 c.p., strumento efficace per l'esplicazione del diritto di difesa ai fini del perseguimento dell'interesse morale ad un'assoluzione con formula piena e di un interesse patrimoniale sul versante dei riflessi civilistici, a fronte dell'interesse a non più perseguire, informato invece al principio di economia processuale: maturata la causa di estinzione del reato ed a fronte della mancanza dell'evidenza della prova dell'innocenza, l'imputato, volendo, può far valere il suo diritto alla rinuncia alla remissione, correndo il rischio consapevole di un verdetto sfavorevole all'esito del richiesto approfondimento. Posto che, nel caso di specie, gli imputati non hanno ricusato la remissione di querela e ritenuto che dagli atti processuali non vi è evidenza di circostanze che impongano l'assoluzione degli imputati medesimi, va emessa una sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato dovuta a remissione di querela. Data l'assenza di un accordo diverso tra le parti, gli imputati devono comunque essere condannati a pagare le spese processuali, ai sensi dell'art. 340 comma 4 c.p.p. Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate e al carico di lavoro dell'ufficio. P.Q.M. Visto l'art. 531 c.p.p., dichiara di non doversi procedere nei confronti di Bi.Ro. e Di.Gu. per il reato loro ascritto in rubrica, esclusa la contestata aggravante, per estinzione dello stesso dovuta a remissione di querela. Visto l'art. 340 c.p.p., condanna gli imputati al pagamento delle spese processuali. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Gorizia il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 23.1.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Na.Ni., nato il (...) a T., con dom. dich. a G. d'I., via P. 32 libero presente imputato vedasi foglio allegato Con l'intervento del p.m. dott.ssa Di.Vi., v.p.o., e dell'avv. Za.Ch., del Foro di Udine, difensore di fiducia dell'imputato MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per il reato di rubrica. È documentalmente provato che - in risposta ad un commento pubblicato sul profilo Facebook da Li.Va. e da Ri.Fr., relativo all'operato dell'onorevole Se.De. - l'odierno imputato, in data 17.3.2020, aveva a sua volta pubblicato tale scritto: sta tr era a favore sui tagli alla sanità per destinarli al suo cavallo da monta ... face di cazz ... gente che ha tradito la patria (cfr. doc. depositato dal p.m. all'udienza del 26.9.2023). Il testimone Ga.Fa., operante di P.g., ha dichiarato che, all'esito degli accertamenti eseguiti su delega della Procura, era emerso come lo scritto fosse riconducibile all'odierno imputato. Quest'ultimo, in sede di esame dibattimentale, ha effettivamente riconosciuto la paternità del post in questione, aggiungendo che lo stesso non era riferito alla persona di Se.De., ma al suo operato politico e, in particolare, alla scelta di destinare denaro pubblico ad un maneggio intestato ad un amico. Ritiene il Giudice che le emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità del prevenuto in ordine al reato di rubrica. Certa risulta innanzitutto l'attribuibilità della pubblicazione incriminata all'odierno imputato, in virtù degli accertamenti operati dalla P.g. nonché delle dichiarazioni in tal senso rese dall'imputato in dibattimento. Provati risultano altresì i caratteri diffamatori della pubblicazione medesima, atteso che questa era stata apposta su un profilo Facebook aperto al pubblico e atteso che il relativo contenuto è da reputarsi senz'altro offensivo - nel suo tenore complessivo e per le singole espressioni usate - dell'altrui reputazione, intesa quale senso della dignità personale nell'opinione degli altri (cfr., tra le tante, Cass. 3247/1995). Né può ritenersi operante nel caso di specie - contrariamente a quanto sostenuto dalla Difesa - l'esimente del diritto di critica politica, mancandone i requisiti di applicabilità elaborati dalla giurisprudenza, secondo cui il diritto di critica, che può anche non essere obbiettivo, deve tuttavia sempre corrispondere all'interesse sociale alla comunicazione nei limiti della continenza e correttezza del linguaggio (cfr., tra le tante, Cass. 44359/2005). Le stesse Sezioni Unite della Suprema Corte hanno statuito che l'esercizio scriminante del diritto incontra limiti che vanno desunti dalla sua stessa fonte, oltre che dall'intero ordinamento: quando tali limiti sono superati, sono configurabili ipotesi di abuso del diritto, ed il comportamento dell'agente esula dall'ambito consentito dall'art. 51 cod. pen. (Sez. U., 32009/2006). In tale prospettiva, è stato affermato che il limite della continenza, consustanziale al diritto di critica, deve ritenersi superato quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine perseguito nell'espressione della libertà di pensiero (Cass., 19381/2005). Ancor più specificatamente, la Suprema Corte ha affermato che l'applicazione della scriminante, pur nell'ambito della polemica tra avversari di contrapposti schieramenti od orientamenti, di per sé improntata ad un maggior grado di virulenza, presuppone che la critica sia espressa con argomentazioni, opinioni, valutazioni, apprezzamenti che non degenerino in attacchi personali o in manifestazioni gratuitamente lesive dell'altrui reputazione, strumentalmente estese anche a terreni estranei allo specifico della contesa politica, e non ricorrano all'uso di espressioni linguistiche oggettivamente offensive ed estranee al metodo e allo stile di una civile contrapposizione di idee, oltre che non necessarie per la rappresentazione delle posizioni sostenute e non funzionali al pubblico interesse (Cass. 23805/2015). Ebbene, trasposti tali principi nel caso di specie, appare ictu oculi superato innanzitutto il limite della continenza del linguaggio, poiché lo scritto pubblicato dall'imputato era di fatto trasceso in un attacco personale, diretto a colpire la figura morale del soggetto criticato, con espressioni denigratorie e improntate al disprezzo più che alla critica costruttiva (ci si riferisce, evidentemente, alle espressioni "sta tr ... faccia di cazz"). Sicché, a ben vedere - oltre all'indubbia sussistenza di toni lesivi dell'altrui dignità personale - tale scritto, proprio in quanto diretto alla mera sfera morale e individuale del soggetto criticato, senza alcun contributo critico di pensiero rispetto al suo comportamento o idee politiche concrete, risulta mera espressione di pensiero, del tutto privo di interesse o rilevanza pubblicistica e, in quanto tale, non costituzionalmente tutelato e non idoneo a costituire valida causa di giustificazione della condotta posta in essere dall'imputato. Non convince l'argomentazione difensiva, basata sull'archiviazione pronunciata nei confronti di Li.Va. e Ri.Fr. dal G.i.p. del Tribunale di Udine, in applicazione del diritto di critica politica: sul punto, è sufficiente evidenziare che le espressioni pubblicate da Li.Va. e da Ri.Fr. erano diverse da quelle pubblicate dall'odierno imputato. Risultano quindi appurati gli elementi oggettivi del delitto di diffamazione contestato a Na.Ni.. Venendo all'elemento soggettivo del reato, è appena il caso di evidenziare che per integrare il delitto di diffamazione è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell'altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone (Cass., 16712/2014). Applicati tali principi, non si vede come poter escludere, in capo all'imputato, la consapevolezza della lesività dell'articolo - stante il calibro delle espressioni ivi esplicitamente riportate - nonché la volontà di portare siffatte espressioni a conoscenza di più persone, attesa la relativa pubblicazione su Facebook. Va pertanto affermata la penale responsabilità di Na.Ni. per il delitto ascrittogli in rubrica. Il fatto non può essere ritenuto di speciale tenuità, ai sensi dell'art. 131 bis c.p., attesa la gravità dell'offesa, sia in relazione al contenuto in sé, sia in relazione al ruolo pubblicistico ricoperto dalla persona offesa; l'imputato, peraltro, non appare nemmen meritevole della speciale esimente di cui all'alt. 131 bis c.p., stanti i plurimi precedenti penali, anche gravi, a suo carico (cfr. Certificato del Casellario giudiziale in atti). Non possono essere riconosciute all'imputato nemmeno le circostanze attenuanti generiche, atteso che non si ravvisa in atti alcun elemento di fatto favorevole all'autore dell'illecito e idoneo ad attenuare la gravità del reato, riducendone il disvalore. Sul piano soggettivo, la gravità delle espressioni proferite nei confronti della persona offesa sottende ad una corrispondente intensità volitiva; inoltre non può essere valutato a favore dell'imputato il comportamento processuale né altra condotta suscettibile di integrare l'attenuante di cui è chiesto il riconoscimento. Invero, l'imputato non ha risarcito il danno, nemmeno parzialmente o quanto meno con una lettera di scuse, non ha dimostrato alcuna resipiscenza e non ha dedotto alcuna circostanza idonea a diminuire la gravità del fatto realizzato, onde la concessione delle attenuanti generiche costituirebbe per l'imputato un premio del tutto immeritato, avulso da qualsiasi fatto che ne giustifichi il riconoscimento. Quanto al trattamento sanzionatorio, deve premettersi come in relazione alla fattispecie in esame non possa trovare applicazione la pena detentiva prevista dall'art. 595 c.p. e ciò in ossequio ai principi espressi nella sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 22.6.2021 nonché nella sentenza emessa il 7 marzo 2019 dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo, su ricorso n. 22350/13 per dedotta violazione dell'art. 10 Cedu. Siffatti principi - cfr. segnatamente paragrafi 9 e 62 della citata sentenza della Corte europea, da ritenersi criterio interpretativo anche nella dosimetria della pena - rendono necessario un conseguente adeguamento sanzionatorio della fattispecie, mercé l'applicazione della sola pena pecuniaria, prevista in alternativa a quella detentiva dalla norma in esame. Valutati anche i criteri di cui all'art. 133 c.p. - in particolare la gravità dell'offesa - è pertanto da ritenersi congrua la pena di Euro 600,00 di multa. Alla condanna consegue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Appare congrua l'assegnazione del termine di giorni 60 per il deposito della motivazione ex art.544, comma 3, avuto riguardo alle questioni trattate. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Na.Ni. responsabile del reato a lui ascritto in rubrica e lo condanna alla pena di Euro 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione in giorni 60. Così deciso in Gorizia il 23 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Cristina Arban, alla pubblica udienza del 1.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: 1) Ro.Al., nato a P. il (...), con domicilio dichiarato a F. in viale dello S. 16/p. libero, assente; 2) Co.Gi., nato a B. il (...), con domicilio eletto a P. in viale M. 30. libero, assente. imputati del reato di cui al foglio allegato. Con l'intervento del P.M. dott. Mi.De., V.P.O., e dell'avv. Va.Sa. del Foro di Pordenone, difensore degli imputati. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione a giudizio emesso dal PM in sede del 25 novembre 2019 gli imputati venivano tratti dinanzi all'intestato Tribunale per rispondere dei reati a loro rispettivamente ascritti in rubrica. Dichiarata l'assenza degli imputati, si procedeva all'apertura del dibattimento ed all'ammissione dei testi di lista. Con decreto adottato fuori udienza veniva disposto il rinvio del procedimento ai sensi del D.L. n. 11 del 1920 e successive modifiche. All'udienza del 19.2.2021 veniva sentito il teste Pi.Mi.. All'udienza dell'11.6.2021 veniva depositata la consulenza tecnica medico legale redatta dal dott. Lu.Fu.. L'udienza del 17.12.2021 veniva rinviata per l'assenza dei testi. All'udienza del 6.5.2022 veniva disposto lo stralcio della posizione processuale relativa all'impresa individuale Co. disponendo procedersi oltre. All'udienza del 16.12.2022 veniva sentito il teste L.P.. All'udienza del 3.2.2023 venivano sentiti i testi della difesa F.C. e M.F., con rinuncia ai residui testi ammessi. Il Pm produceva documentazione come da elenco. L'udienza del 21.4.23 fissata per la discussione veniva rinviata per l'adesione dei difensori all'astensione dalle udienze indetta dalle Camere Penali. L'udienza del 9 giugno veniva rinviata per l'assenza del giudice assegnatario del fascicolo. All'udienza dell'8 settembre 2023 si dava atto del mutamento del Giudice titolare del procedimento e l'udienza veniva rinviata per la discussione al 27.10.2023 quando, dichiarata conclusa l'istruttoria le parti discutevano concludendo nei termini riportati in epigrafe. All'esito, all'udienza del 1 dicembre 2023, in assenza di repliche, il Giudice pronunciava sentenza mediante lettura del dispositivo MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente deve essere rilevata l'intervenuta prescrizione del reato contestato al capo b dell'imputazione, trattandosi di fattispecie contravvenzionale ampiamente prescritta, anche tenuto conto della sospensione della prescrizione di giorni 64 in ragione del rinvio disposto in concomitanza dell'emergenza epidemiologica connessa al Covid-19 in virtù del quale si reputa che la prescrizione sia maturata in data 19.11.2021. Pertanto, preso atto dell'obbligo di immediata declaratoria della sussistenza di cause estintive del reato e dell'insussistenza di elementi evidenti onde desumere la possibilità di proscioglimento dell'imputato nel merito, ne deriva la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Quanto al reato di cui al capo a si rileva quanto segue. Va premesso che in tema di responsabilità colposa nell'ambito degli infortuni occorsi in ambiente lavorativo è necessario accertare non solo la violazione della regola cautelare ma anche la constatazione che il rischio che la cautela intende presidiare si sia concretizzato nell'evento (cd. causalità della colpa) poiché alla colpa dell'agente va ricondotto solo quell'evento che sia causalmente ricollegabile alla condotta omessa ovvero a quella posta in essere in violazione della regola cautelare (ex pluribus Sez. 4, 3 ottobre 2014 n. 1819 rv 261768). Nel caso di specie, come risulta dalle dichiarazioni del teste P.M., p.o. del reato, costui svolgeva il ruolo di responsabile del carico/scarico dei camion presso l'azienda Co. s.p.a. Il giorno del sinistro giungeva un camion del signor Co. che doveva fare un carico: P., come d'abitudine, gli indicava dove posizionarsi salendo con lui a bordo del camion e una volta arrivati sul punto, prima di fare la manovra P. scendeva dal camion e dopo qualche frazione di secondo si sentiva colpire alla schiena per essere stato urtato dal medesimo camion e si procurava lo schiacciamento del piede sinistro con una prognosi di circa tre mesi. Il teste L. (tecnico della prevenzione delegato allo svolgimento delle indagini in funzione di polizia giudiziaria), riferiva che al momento l'impatto tra il camion guidato da Co. e il P. si verificava poiché il P. dopo essere sceso dal camion si era posizionato in un angolo cieco, (lato dx anteriore del mezzo cfr pag 2 della relazione dell'ASS. n. 2 del 19.9.2016). Il teste riferiva altresì che nel documento di valutazione dei rischi la Co. aveva previsto il rischio di investimento causato dai mezzi di trasporto e aveva indicato, quale misura di prevenzione da adottare, la predisposizione di segnaletica a terra la quale tuttavia nel caso specifico era mancante sicché veniva elevata la sanzione amministrativa di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 81 del 2008. Risultava inoltre che l'infortunato al momento del fatto indossasse scarpe anti infortunistiche e indumenti ad alta visibilità. Tutto ciò premesso si reputa che pur a fronte della violazione dell'art. 163 contestata alla C., nel caso di specie detta misura di prevenzione non sarebbe stata sufficiente ad impedire l'evento lesivo. In altre parole difetta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della concreta evitabilità dell'evento atteso che il P., al momento della discesa dal mezzo non poteva che trovarsi nelle immediate vicinanze dello stesso sicché si reputa che l'infortunio si sia verificato in uno spazio di tempo di pochi istanti, verosimilmente in ragione della rapidità della manovra posta in essere dal conducente del mezzo. Tuttavia, sul punto non è stato possibile ricostruire se l'infortunio sia stato determinato dalla condotta imprudente dello stesso P. il quale si posizionava in un punto cieco rispetto alla visuale del C., agendo distrattamente, ovvero se il Co. abbia posto in essere la manovra, in ossequio a quanto disposto dallo stesso P. che era responsabile proprio della movimentazione, senza attendere un adeguato lasso di tempo affinché il P. potesse distanziarsi dal mezzo. Invero, a ben vedere, il punto dell'impatto tra l'infortunato e il camion e la mancanza di visibilità da parte del Co. (pur a fronte dell'utilizzo dell'abbigliamento ad alta visibilità) induce a ritenere che il sinistro sia stato determinato dalla condotta assunta dal P. che si collocava in una posizione del tutto inadeguata rispetto alla manovra che Co. avrebbe dovuto effettuare. In ogni caso, nella dinamica del sinistro, l'eventuale segnaletica da adottarsi non avrebbe sortito l'effetto di evitare il sinistro secondo un giudizio controfattuale, alla luce della condotta assunta dalla p.o. del reato. Deve ritenersi infatti che la condotta del lavoratore abbia interrotto il nesso di casualità rispetto all'omissione contestata gli imputati atteso che anche la corretta osservanza delle disposizioni dettate in materia di sicurezza non avrebbe consentito di evitare l'evento a fronte della condotta posta in essere dal lavoratore. Per i motivi esposti s'impone la declaratoria di assoluzione degli imputati perchè il fatto non sussiste. La motivazione viene riservata nel termine di giorni novanta per ragioni di natura organizzativa. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE Ro.Al. e Co.Gi. dal reato a loro ascritto al capo a) dell'imputazione perché il fatto non sussiste. DICHIARA di non doversi procedere nei confronti di Ro.Al. in ordine al reato ascrittogli al capo b) dell'imputazione poiché estinto per intervenuta prescrizione. Motivazione riservata in giorni novanta. Così deciso in Gorizia l'1 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione collegiale, in persona dei magistrati Dott. Marcello Coppari - Presidente dott.ssa Concetta Bonasia - Giudice rel. dott.ssa Caterina Caputo - Giudice alla pubblica udienza del 15.2.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Is.Ka., C.U.I. (...), nato l'(...) in B., con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Ac.Ro., del Foro di Gorizia presente, attualmente sottoposto per questa causa alla misura della custodia cautelare in carcere imputato vedasi foglio allegato 1) per il reato previsto e punito dall'art. 572 commi 1 e 2 c.p. perché, agendo in qualità di marito convivente di Be.Ni. e di padre di Is.So. e dei minori O. (nato il (...)) e S. (nata il (...)), per futili motivi quali la scarsa pulizia in casa o il disordine creato dai figli minori, maltrattava la donna ponendo in essere agiti violenti nei suoi confronti, usandole violenza verbale e fisica, costringendola a vivere in un contesto di terrore quotidiano, temendo per l'incolumità propria e dei propri figlio. In particolare, in almeno 15 o 20 occasioni da giugno 2022, picchiava la moglie colpendola con schiaffi ed insultandola, sempre in presenza dei tre figli, cagionandole lividi, come in data 27.06.2022. Infine, in data 01.09.2023 aggrediva la moglie perché costei, avvertendo dolori all'addome, si rifiutava di uscire da casa con lui; l'Is. la insultava dicendole "SEI UNA PUTTANELLA, DONNACCIA, VAI A FANCULO", la colpiva con cinque pugni al viso e l'afferrava per la gola, tentando di strangolarla, costringendo la figlia maggiore S. a frapporsi tra lui e la madre, venendo anch'ella colpita dall'Is. con pugni in faccia ed un calcio all'addome; la Be. riusciva a divincolarsi ed a scappare coi tre figli rinchiudendosi in camera: l'Is., colpiva la porta cercando di sfondarla, minacciando atti di autolesionismo se i familiari non avessero obbedito ed aperto; di seguito, una volta aperta la porta, l'Is. brandiva un coltello da cucina lungo 33 cm, di cui 20 cm di lama, verso la moglie ed i tre figli, terrorizzandoli; intervenivano il fratello dell'Is., tale Is.Ta. e sua moglie Is.Ri., sopraggiunti su chiamata della figlia maggiorenne So.; la cognata Is.Ri. riusciva a disarmare l'Is.Ka. che si scagliava contro il proprio fratello Ta., lo colpiva con pugni al capo e lo scaraventava contro l'armadio, con forza tale da danneggiare l'anta che fuoriusciva dalle guide. Così facendo, tenendo questa condotta violenta e prepotente, costringeva i familiari a vivere in un contesto insopportabile di vessazioni e maltrattamenti, con costante terrore per l'incolumità di tutti. Con le aggravanti di aver agito: a) in presenza dei figli minori; b) utilizzando un'arma, quale il coltello. Fatti commessi in Monfalcone dal 27.06.2022 all' 1.9.2023 (data dell'avvenuto arresto). Persone offese: Be.Ni. (moglie), Is.So. (figlia maggiorenne), Is.Om. (figlio minorenne), Is.So. (figlia minorenne), tutti residenti in M. via Divisione A. J. n. 1 ; 2) per il reato previsto e punito dagli arti. 582, 585, 576 comma 3 n. 5 c 577 comma 1 n. 1 c.p. perché, agendo in occasione ed in esecuzione del delitto di maltrattamenti di cui al capo 1, aggrediva la propria moglie Be.Ni., sferrandole cinque pugni al volto, afferrandola poi per il collo, cagionandole lesioni quali "POLITRAUMATISMI DA VIOLENZA DOMESTICA, TRAUMA CRANIO-FACCIALE NON COMMOTIVO, TRAUMA CONTUSIVO EMITORACE SINISTRO E SPALLA DESTRA", con prognosi da quantificare a seguito degli esami clinici prescritti. Con le aggravanti: - di aver agito in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti; - di aver agito nei confronti della propria moglie convivente. Fatti commessi in Monfalcone il giorno 01.09.2023. Persona offesa: Be.Ni.. 3) per il reato previsto e punito dagli artt. 582, 585, 576 comma 1 n. 5 e 577 comma 1 n. 1 c.p. perché, agendo in occasione ed in esecuzione del delitto di maltrattamenti di cui al capo 1, aggrediva la propria figlia Is.So. che cercava di proteggere la propria madre, frapponendosi tra quest'ultima ed il padre; in particolare, l'Is. le sferrava dei pugni al volto ed un calcio all'addome, cagionandole lesioni quali "TRAUMA CRANICO NON COMMOTIVO e TRAUMA ADDOMINALE", con prognosi da quantificare a seguito degli esami clinici prescritti. Con le aggravanti: - di aver agito in esecuzione del delitto di cui al precedente capo 1; - di aver agito nei confronti della propria figlia. Fatti commessi in Monfalcone il giorno 01.09.2023. 4) per il reato previsto e punito dagli arti". 582, 585, 576 comma 1 n. 5 c.p. perché, agendo in occasione ed in esecuzione del delitto di maltrattamenti di cui al capo 1, aggrediva il proprio fratello Is.Ta., intervenuto presso l'abitazione dell'Is. per proteggere la cognata e la nipote; in particolare, gli sferrava dei pugni al capo e lo spingeva contro un armadio della camera da letto, con forza tale da danneggiare Vanta che fuoriusciva dalla propria guida. Così facendo gli cagionava lesioni quali "TRAUMA CRANICO NON COMMOTIVO e TRAUMA LOMBARE SINISTRO, TRAUMA CONTUSIVO ESCORIATO AL 2 DITO MANO DESTRA", con prognosi da quantificare a seguito degli esami clinici prescritti. Fatti cui seguiva l'immediato arrivo delle forze dell'ordine che procedevano all'arresto dell'Is.Ka.. Con le aggravanti: - di aver agito in esecuzione del delitto di cui al precedente capo 1; Fatti commessi in Monfalcone il giorno 01.09.2023. Con l'intervento del p.m., dott.ssa Io.Il., dell'imputato personalmente e dell'avv. Ma.Al., del Foro di Pordenone, suo difensore di fiducia SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Disposto il giudizio immediato nei confronti dell'odierno imputato, affinché rispondesse dei reati descritti in epigrafe, all'udienza del 14.12.2023 è stato dichiarato aperto il dibattimento; col consenso delle parti, è stato acquisito al fascicolo del dibattimento l'intero fascicolo delle indagini preliminari, con riserva del Collegio di sentire altresì i testi Is.So. e Is.Ta., in ordine alla condotta tenuta dall'imputato successivamente ai fatti e ai motivi sottostanti alla remissione di querela da parte delle persone offese, come richiesto dalle parti. All'udienza di data 11.1.2024, sciolta la riserva come da ordinanza a verbale, è stato escusso Is.Ta.. Indi, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni e il Tribunale ha pubblicato la sentenza mediante la lettura del dispositivo, avvertendo le parti, ai sensi dell'art. 545 bis c.p., della sussistenza dei presupposti per convertire la pena detentiva irrogata ai sensi dell'alt. 53 L. n. 698 del 1981. La difesa ha chiesto la sostituzione della pena detentiva con la detenzione domiciliare e, in subordine, con la semilibertà e il p.m. non si è opposto alla sanzione della semilibertà, purché con braccialetto elettronico. Il Tribunale, ritenuti sussistenti i presupposti per la sostituzione della pena detentiva con la semilibertà, visti gli artt. 55 L. n. 589 del 1981 e 545 bis c. 1 c.p.p., ha fissato udienza al 15.2.2024, al fine di consentire all'Uepe l'elaborazione del programma di trattamento. All'udienza del 15.2.2024, dato atto del deposito del programma di trattamento da parte dell'Uepe e sentite le parti, il Tribunale ha integrato il dispositivo emesso all'udienza dell'11.1.2024, pubblicandolo mediante lettura in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere pronunciata sentenza di condanna dell'odierno imputato per i reati di rubrica, per le seguenti motivazioni, che prendono le mosse dalla ricostruzione delle testimonianze acquisite al dibattimento. Be.Ni., moglie dell'imputato all'epoca dei fatti, ha dichiarato che - in data 1.9.2023, innanzi al suo rifiuto di uscire a fare una passeggiata fuori casa, a causa di un malessere fisico - il marito l'aveva insultata, con espressioni del tipo "puttanella, donnaccia, vai a fanculo"; dopodiché, l'aveva altresì colpita con cinque pugni in faccia e l'aveva afferrata per la gola. In sua difesa, era intervenuta la figlia Is.So., ma l'imputato aveva colpito anche lei, con pugni in faccia e un calcio all'addome. Terrorizzate, le due donne si erano chiuse a chiave in stanza, insieme a Is.Om. e Is.So., figli minorenni dell'imputato; da dietro la porta, l'imputato aveva minacciato la moglie, dicendole che aveva in mano un coltello e che, se lei non avesse aperto la porta, si sarebbe ucciso; la donna, dopo aver chiamato in aiuto tramite il cellulare Is.Ta., fratello dell'imputato, aveva allora aperto la porta e aveva visto il marito brandire il coltello con atteggiamento estremamente aggressivo. Fortunatamente, in quel momento era intervenuto presso l'abitazione Is.Ta., che aveva cercato di calmare il fratello: per tutta risposta, l'imputato lo aveva colpito con pugni al volto e lo aveva spinto contro un armadio in camera, con forza tale da scardinare l'anta. Si era calmato soltanto allorché aveva sentito che la figlia S., nel frattempo, era riuscita a contattare i Carabinieri, che difatti erano prontamente intervenuti nell'abitazione. La teste Be.Ni. ha aggiunto che questo non era stato l'unico episodio di violenza posto in essere nei suoi confronti dal marito, il quale, nell'ultimo anno di convivenza, l'aveva picchiata e insultata almeno 15/20 volte, sempre davanti ai figli minori; nel luglio 2022, per la forte aggressività del marito, lei aveva anche già richiesto l'intervento dei Carabinieri. La teste Is.So. ha integralmente confermato tali circostanze, specificando che i fatti dell'1.9.2023 erano accaduti sotto gli occhi suoi e dei fratelli minori; ha aggiunto che l'imputato aveva più volte percosso anche lei, allorché aveva cercato di difendere la madre. Il teste Is.Ta. ha a sua volta confermato tutte quante le circostanze di fatto riferite da Be.Ni. e da Is.So. (cfr. in particolare s.i.t. di data 2.9.2023); per quanto in dibattimento abbia cercato di ridimensionare i fatti, il teste ha infine chiarito di aver rimesso la querela, sporta nei confronti del fratello, in quanto quest'ultimo era l'unica fonte di reddito della famiglia, caduta in estrema difficoltà economica a seguito della carcerazione dell'imputato. Dal verbale di arresto di data 1.9.2023, emerge che gli operanti di P.g. - intervenuti presso l'abitazione dell'imputato su richiesta di intervento della figlia S. - avevano ivi rinvenuto quest'ultima, nonché la moglie e il fratello dell'imputato, con evidenti segni di percosse sul corpo; il minore Is.Om., visibilmente spaventato, aveva chiesto loro di portare via il padre. Gli operanti avevano inoltre constatato che l'armadio della camera da letto aveva le ante divelte, sintomo evidente che vi era stata una colluttazione, e avevano rinvenuto, ponendolo sotto sequestro, il coltello utilizzato poco prima dall'imputato per minacciare i familiari. Dalla c.n.r. di data 26.7.2022, emerge che, in pari data, Be.Ni. aveva richiesto l'intervento degli operanti in quanto era stata picchiata dal marito; gli operanti avevano rilevato sul suo braccio la presenza di un grosso livido. Ritiene il Collegio che siffatte emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità del prevenuto in ordine ad reati di rubrica. Tanto attendibili quanto lineari e dettagliate sono risultate in tale senso le dichiarazioni dei testi Be.Ni., Is.So. e Is.Ta., tenuto conto altresì che gli stessi non hanno mostrato alcun tipo di astio particolare nei confronti dell'imputato né sono stati rappresentati interessi specifici che essi dovrebbe avere nei confronti dell'imputato medesimo, verso il quale non hanno avanzato pretese risarcitorie di alcun genere e, anzi, hanno addirittura rimesso la querela. È appena il caso di aggiungere che nemmeno la remissione di querela può in qualche modo screditare quanto dichiarato dai testi in ordine ai fatti imputati al prevenuto, posto che - come ben evincibile dalla testimonianza di Is.Ta. - la remissione è stata determinata dalle difficoltà economiche derivate dalla famiglia a seguito della denuncia e della contestuale carcerazione dell'imputato. Peraltro, le dichiarazioni accusatorie rese da Be.Ni., Is.So. e Is.Ta. risultano estrinsecamente confermate: dal verbale di arresto di data 1.9.2023, con annessi sequestro del coltello e fascicolo fotografico dello stato dei luoghi al momento della colluttazione; dalla c.n.r. di data 26.7.2022; dai referti di Pronto Soccorso delle persone offese di data 1.9.2023, descrittivi di eventi patologici la cui compatibilità con il narrato dei testimoni sul punto risulta evidente. Non vi sono pertanto dubbi in ordine alla sussistenza materiale delle condotte contestate all'imputato e alla loro sussumibilità innanzitutto nella fattispecie di cui all'articolo 572, c. 1 c.p., atteso che, come si è evinto dall'istruttoria dibattimentale, i plurimi atti di violenza fisica e verbale, posti in essere dall'imputato nei confronti della moglie, anche in presenza dei figli minori, avevano reso intollerabile il regime di vita familiare, ledendo l'incolumità psico-fisica e la dignità stessa di Be.Ni.. Sul punto, è appena il caso di rammentare che, per pacifica giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. n. 6724 del 22/11/2017), integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo. Quanto all'elemento soggettivo, la condotta naturalistica degli episodi narrati evidenzia il dolo dell'imputato, che secondo l'interpretazione consolidata della Suprema Corte deve considerarsi generico (cfr. Cass. n. 15680 del 28/03/2012 , secondo cui il delitto di maltrattamenti richiede il dolo generico consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad un'abituale condizione di soggezione psicologica e di sofferenza; conformi: Cass., n. 14742 del 11/02/2016, secondo cui lo stato di nervosismo e di risentimento non esclude l'elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi dell'ipotesi delittuosa, e, da ultimo, Cass. n. 1508 del 16/10/2018, secondo cui: la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di maltrattamenti di cui all'art. 572 cod. pen. non implica l'intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell'agente di persistere in un'attività vessatoria). Applicati tali principi nel caso in esame, deve rilevarsi in particolare come la pluralità delle azioni poste in essere dall'imputato sono requisiti della condotta dell'imputato, dai quali si desume la consapevolezza e la volontà di sopraffare la persona offesa, ponendola in una condizione di abituale patimento psichico e fisico. Risultano pertanto appurati gli elementi oggettivi e soggettivi del reato contestato a Is.Ka. nel capo 1) d'imputazione. Passando ora al reato di cui al capo 2) di rubrica - e quindi alle lesioni aggravate di cui agli arti. 582 e 585 c.p., in relazione all'art. 576 c. 1 n. 5 c.p. e 577 c. 1 n. 1 c.p., patite da Be.Ni. 1'1.9.2023 - è sufficiente aggiungere che le stesse non possono ritenersi assorbite nel reato dei maltrattamenti in famiglia, attesa la diversa obiettività giuridica dei reati e tenuto conto che, nello specifico episodio contestato, l'imputato aveva avuto non solo l'intenzione di maltrattare, ma anche di ledere l'integrità fisica della moglie, percuotendola ex abrupto su diverse parti del corpo (cfr., tra le tante, Cass. n. 42599 del 18/07/2018, secondo cui il reato di lesioni personali lievi non è assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia se l'autore della condotta ha avuto non solo l'intenzione di maltrattare ma anche di ledere l'integrità fisica del soggetto passivo; cfr. altresì, da ultimo, Sez. 6-, Sentenzan. 17872 del 22/04/2022 Ud., dep. 04/05/2022, Rv. 283154 -01, secondo cui è configurabile il concorso formale - e non l'assorbimento - tra le fattispecie incriminatrici previste dagli artt. 572 e 582 cod. pen. quando le lesioni risultano consumate in occasione della commissione del delitto di maltrattamenti, con conseguente sussistenza dell'aggravante dell'art. 576, comma primo, n. 5, cod. pen.: in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso, per la cui configurabilità non è sufficiente che le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico determinino un'occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati, ma è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro). Sussistente deve ritenersi l'elemento soggettivo richiesto, sempre in termini di dolo generico, dalla norma di cui all'art. 582 c.p.; anche in tal caso, il dolo emerge dallo stesso comportamento dell'imputato: la sua aggressione risulta evidentemente finalizzata ad infliggere una lesione fisica ai danni della moglie. Analoghe considerazioni, in termini oggettivi e soggettivi, valgono con riferimento alle imputazioni sub capi 3) e 4) di rubrica, ossia con riferimento alle lesioni aggravate cagionate dall'imputato a Is.So. e Is.Ta. in data 1.9.2023. Non è fondata l'argomentazione difensiva, in merito all'insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 585, in relazione all'art. 576 n. 5) c.p., non essendo riscontrabile - in tesi difensiva - alcuna connessione teleologica, tra la condotta di maltrattamento, ai danni di Be.Ni., e le lesioni ai danni della figlia Is.So. e del fratello Is.Ta.. Sul punto occorre evidenziare, in stretto diritto, che l'aggravante di cui all'art. 576 n. 5) c.p. non richiede affatto, quale requisito di sussistenza, la connessione teleologica tra reati; la norma contempla invero, quale aggravante delle lesioni, la semplice circostanze che queste siano state commesse in occasione della commissione del delitto di cui all'art. 572 c.p. L'esegesi letterale e sistematica della norma - rapportata a quella di cui all'art. 61 n. 2 c.p. - impone allora di ritenere che, per la configurabilità dell'aggravante in esame, sia sufficiente la mera contestualità spazio-temporale tra i fatti (cfr., in tal senso, Sez. 1-, Sentenza n. 25964 del 02/03/2023 Ud., dep. 15/06/2023, Rv. 284833 - 01), ossia, in altri termini, che il fatto lesivo abbia costituito uno degli episodi attraverso cui è stato consumato il reato di maltrattamenti (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 3368 del 12/01/2016 Cc., dep. 26/01/2016, Rv. 266009 - 01). Applicati tali principi nel caso in esame, non si vede come poter escludere, in relazione ai capi 2), 3) e 4) di rubrica, l'aggravante di cui all'art. 576 n. 5) c.p., atteso che le lesioni ivi contestate erano state cagionate dall'imputato contestualmente alla condotta di maltrattamenti in atto, con tanto di violenza fisica, nei confronti della moglie e anzi - a dispetto della tesi difensiva sulla insussistenza di connessione teleologica - pure al fine di neutralizzare l'azione difensiva posta in essere da Is.So. e da Is.Ta.. L'imputato va pertanto riconosciuto responsabile di tutti i reati aggravati ascrittigli in rubrica. Nondimeno, ritiene il Collegio che possano essergli riconosciute le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti, tenuto conto del corretto contegno processuale del prevenuto, che ha prestato il consenso all'acquisizione di tutti atti di indagine, con apprezzabile risparmio di tempo e di energie in termini di economia processuale, anche nel rispetto delle persone offese. Tale condotta va dunque apprezzata quale indice di una capacità a delinquere temperata dalla condotta susseguente al reato (ex art. 133, co. 2 n. 3, c.p.), che rende necessario, a tal fine, un conseguente adeguamento sanzionatorio mercé il bilanciamento, nei termini predetti, delle circostanze. Venendo quindi al trattamento sanzionatorio, valutati i criteri di cui all'art. 133 c.p. - in particolare la pervicacia delle condotta, anche fisicamente molto violenta - e unificati i reati contestati nel vincolo della continuazione, potendo desumersi con ragionevole certezza l'unicità del disegno criminoso dall'omogeneità delle condotte e dal ristretto ambito temporale entro cui le stesse sono state commesse, è da ritenersi pena congrua quella di anni 4 di reclusione, così determinata: pena base anni 3 e mesi 6 di reclusione per il reato più grave di cui al capo 1) di rubrica, aumentata ad anni 3 e mesi 8 di reclusione per il reato di cui al capo 2), ad anni 3 e mesi 10 di reclusione per il reato di cui al capo 3) e alla pena finale predetta per il reato di cui al capo 4) di rubrica, ex art.81 cpv, c.p. Alla condanna conseguono il pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, ex art. 535 c.p., l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5, ex art. 29 c.p., nonché la sospensione dell'imputato dalla sua responsabilità genitoriale per la durata di anni 7, ai sensi degli artt. 34 e 77 c.p. La statuizione si rende necessaria a cagione degli innumerevoli episodi in cui i figli dell'imputato si erano trovati ad assistere non solo alla violenza verbale, da quest'ultimo posta in essere nei confronti della moglie, ma anche alla violenza fisica, degenerata in più occasioni addirittura in atti di violenza nei confronti della figlia S., picchiata dal padre solo perché intervenuta per difendere la mamma. Particolarmente grave risulta altresì la scena direttamente percepita dagli operanti in data 1.9.2023, allorché avevano rinvenuto il figlio minore dell'imputato terrorizzato dalla condotta del padre, che non aveva esitato a farsi vedere dal bambino col coltello in mano. Tal genere di condotte induce a sospendere l'esercizio della responsabilità genitoriale in capo all'imputato. Vale la pena, sul punto, richiamare una recente pronuncia della Corte di Legittimità (cfr. Sez. 5 - , Sentenza n. 34504 del 12/10/2020) che - dopo aver rammentato l'ampiezza dei beni giuridici coinvolti dalla fattispecie incriminatrice di reato di cui all'art. 572 cod. pen., costituiti dall'interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti e dalla difesa dell'incolumità fisica e psichica delle persone indicate nella norma, alle quali si deve riconoscere il diritto al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari - ha chiarito che anche la violenza assistita che integra la circostanza aggravante descritta dall'art. 61, comma 11-quinquies (ora, art. 572 c. 2 cod. pen.) è idonea a costituire la base giuridica per la sospensione della responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 34, comma secondo, cod. pen. Ed invero, come ha ben evidenziato la Corte, l'art. 34, comma secondo, cod. pen. costituisce una disposizione semanticamente e strutturalmente diversa dal primo comma della stessa norma: mentre il primo comma abbina il diverso istituto della decadenza dalla responsabilità genitoriale all'esistenza di un'espressa previsione di legge dettata per ciascun caso, alla sospensione della responsabilità genitoriale è ricollegata alla più generale clausola normativa di aver riportato condanna per un reato commesso con abuso della responsabilità genitoriale. A tale ultimo riguardo, secondo disciplina privatistica, la responsabilità genitoriale determina il dovere di crescere i figli tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni ed aspirazioni (cfr. art. 316 cod. civ.) con la conseguenza che, al venir meno del genitore a tali doveri, consegue la decadenza da tale responsabilità (art. 330 cod. civ.); differentemente, quando la condotta non sia tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza, il giudice può adottare "provvedimenti convenienti" ad interrompere l'agire del genitore comunque pregiudizievole al figlio (art. 333 cod. civ.). Nella citata sentenza, la Corte di Legittimità ha chiarito come, nella categoria dei reati commessi con abuso della responsabilità genitoriale, ai sensi del secondo comma dell'art. 34 cod. pen., possano essere inserite anche le fattispecie aggravate ai sensi dell'art. 61, comma 11-quinquies, c.p. (ora 572 c. 2 c.p.), in quanto rispondono ad un canone comportamentale abusivo della responsabilità genitoriale non solo le condotte di reato direttamente rivolte contro i figli minori (siano esse violente o solo moralmente vessatorie, maltrattanti ai sensi dell'art. 572 cod. pen. ovvero persecutorie o idonee ad integrare altri e diversi delitti), ma anche quelle indirettamente rivolte contro di loro, che, colpendo, come nel caso di specie, pervicacemente e brutalmente l'altro genitore, li costringono ad assistere, secondo parametri normativi dettati dall'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies, cod. pen., ad una violenza e sopraffazione destinate ad avere inevitabilmente conseguenze sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica, segnandone il carattere e la memoria. Dunque, l'abuso della responsabilità genitoriale sussiste non solo nel caso in cui la violenza assistita sia stata idonea a configurare di per sé una condotta di maltrattamenti ai danni dei minori, spettatori della violenza o della vessazione di un altro familiare, ma anche quando la violenza assistita sia configurata come aggravante di un reato commesso nei confronti di costui. Posto che l'art.34 co.2 c.p. indica la durata della pena accessoria in un periodo pari al doppio della pena inflitta e che a mente dell'art. 77 c.p. "per determinare le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, si ha riguardo ai singoli reati per i quali è pronunciata la condanna, e alle pene principali che, se non vi fosse concorso di reati, si dovrebbero infliggere per ciascuno di essi", il Collegio individua in anni 7 la durata della stessa, atteso che la pena per il reato di cui al capo 1) di imputazione è stata individuata in anni 3 e mesi 6 di reclusione. Non vi sono condizioni ostative alla sostituzione ex art.53 L. n. 689 del 1981 della pena detentiva applicata con quella della semilibertà, richiesta dall'imputato all'udienza dell'11.1.2024, ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p. Sul punto, deve considerarsi: da un lato, come l'imputato ne risulti meritevole, in considerazione della sua incensuratezza e dell'impegno dimostrato nel reperire prontamente un'attività lavorativa, che gli consenta - quale unica fonte di reddito per la famiglia - di sostenere economicamente la stessa, anche durante il periodo di espiazione della pena; dall'altro, come tale pena sostitutiva - in forza delle specifiche prescrizioni di cui al programma di trattamento elaborato dall'Uepe in data 9.2.2024 nonché al dispositivo di data odierna - risulti più idonea al reinserimento sociale e alla rieducazione dell'imputato, assicurando al contempo la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati nonché la tutela delle persone offese. Non si è ritenuto opportuno concedere all'imputato la detenzione domiciliare, per tre ordini di motivi: 1) certo questa non potrebbe essere eseguita presso l'abitazione familiare, essendo evidente il rischio di compromettere la tutela della persone offese; 2) la dichiarazione di ospitalità del connazionale, raccolta dal prevenuto, non è comunque estesa all'intero periodo di espiazione della pena; 3) in ogni caso, il fatto che l'imputato, anche innanzi agli operatori dell'Uepe, abbia cercato di ridimensionare la propria condotta, asserendo di aver usato violenza fisica sugli oggetti, ma non sulla persona dei familiari, induce a credere che egli non si sia completamente ravveduto per l'accaduto e, quindi, a ritenerlo ancora pericoloso per le persone offese e non meritevole della sostituzione meno afflittiva. Ai sensi dell'art. 240 c.p., sussistono i presupposti per disporre la confisca e la distruzione del coltello in sequestro, impiegato per la consumazione del reato di cui al capo 1 ) di rubrica. Ai sensi dell'art. 143 c.p., sussistono i presupposti per disporre la traduzione della sentenza in lingua bengalese, non comprendendo l'imputato a pieno la lingua italiana. Motivazione riservata ex art.544, comma 2, c.p.p., con sospensione della decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare in carcere durante la pendenza del termine per il deposito della motivazione, ai sensi dell'art. 304 c. 1 lett. c) c.p.p. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Is.Ka. responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, unificati i fatti nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p., dichiara Is.Ka. interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Visti gli art.art.34 co.2 e 77 c.p. dichiara la sospensione di Is.Ka. dalla responsabilità genitoriale per la durata di anni 7. Visto l'art. 240 c.p., dispone la confisca e la distruzione del coltello in sequestro. Visto l'art. 143 c.p.p., dispone la traduzione della sentenza in lingua bengalese. Visti gli artt. 545 bis c.p.p., 53 e ss. e 55 L. n. 689 del 1981, sostituisce la pena detentiva sopra indicata nella pena della semilibertà sostitutiva per anni 4, e per l'effetto dispone la sottoposizione del condannato al programma di trattamento predisposto dall'UEPE e, in ogni caso, visto l'artt. 56 ter L. n. 689 del 1981, IMPONE ALLO STESSO LE SEGUENTI PRESCRIZIONI: 1) non potrà detenere o portare a qualsiasi titolo armi, munizioni ed esplosivi, anche se è stata concessa la relativa autorizzazione di polizia; 2) non potrà frequentare, senza giustificato motivo, pregiudicati, soggetti sottoposti a misure di sicurezza o di prevenzione o comunque persone che lo espongano al rischio di commissione di reati, salvo si tratti dei familiari o di altre persone stabilmente conviventi; 3) dovrà permanere all'interno del territorio regionale stabilito nel provvedimento che dà esecuzione alla pena sostitutiva; 4) dovrà conservare e portare sempre con sé e presentare ad ogni richiesta degli organi di polizia copia del presente provvedimento (e di eventuali modifiche) e un documento di identificazione; DISPONE il ritiro del passaporto e la sospensione di validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente. AVVERTE il condannato alla semilibertà sostitutiva che, in caso di violazioni di legge o di violazioni gravi e reiterate degli obblighi e delle prescrizioni, la pena sostitutiva potrà essere revocata con conversione del residuo nella pena detentiva sostituita. Le FF.00. e l'UEPE segnaleranno immediatamente al magistrato di sorveglianza ogni eventuale inadempimento agli obblighi o violazione delle prescrizioni. Incarica l'Ufficio di Esecuzione Penale Esterna e le FF.00. competenti per territorio per la verifica della esecuzione e i controlli. Si comunichi la presente sentenza all'UEPE e all'Ufficio di sorveglianza competenti in relazione al domicilio del condannato. Si avverte che la presente sentenza non è immediatamente esecutiva fino alla pronuncia dell'ordinanza del magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 62 L. n. 689 del 1981. Visto l'art. 544, c. 2 c.p.p., indica in giorni 15 il termine per il deposito dei motivi. Visto l'art. 304 c. 1 lett. c) c.p.p., sospende la decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare in carcere durante la pendenza del termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Gorizia il 15 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Marcello Coppari, alla pubblica udienza del 29.11.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: De.Ca., nato a O. (V.) il (...), con domicilio dichiarato a G. (G.), Via S. P. D. 15; libero, già presente, non comparso; imputato dei reati di cui al foglio allegato. P.O.: Bu.Am., nato a T. il (...). IMPUTATO a) delitto p. e p. dall'artt. 582, 585 in relazione all'artt. 576 n. 1, e 61 n. 5 e 11 quinquies c.p. perché cagionava lesioni personali al minore Bu.Am., nato nel (...), cagionandoli trauma compressivo, dolore a livello sternale, ecchimosi lineare di circa 15 cm in corrispondenza degli alti quadranti addominali; giudicati guaribile in 24 - 36 ore s.c. In particolare, strattonava il minore, gli strappava di mano, una spada giocattolo con cui stava giocando le lo colpiva al petto. Fatto aggravato dall'essere stato commesso nei confronti di persona di minore età (al momento dei fatti 12 anni), con conseguenti condizioni di persona tali da ostacolare la privata difesa e al fine di eseguire il reato di cui al capo che segue. b) delitto p. e. p. dall'art. 610 c.p. perché con violenza (descritta, al capo che precede), costringeva Bu.Am. ad interrompere il gioco nel cortile di G. via S. P. D. 13. Commessi in Grado il 3.7.2017. Su denuncia - querela dd. 14.8.2017 di Bu.Ar. e Ma.Ma., genitori di Bu.Am., con l'Avv. Se.MA. del foro di Udine. Con l'intervento del P.M. GU.Ma., V.P.O. del., dell'avv. MA.Se. del Foro di Udine, difensore della parte civile, e dell'avv. SO.El. del Foro di Gorizia, sostituta del difensore di fiducia dell'imputato. MOTIVI DELLA DECISIONE De.Ca., nato a O. (V.) il (...), è stato citato nel presente processo, per rispondere dei reati di cui agli artt. 610 e 582 c.p., come contestati in rubrica, in danno di Bu.Am., nato a T. il (...), il quale si è costituito parte civile, rappresentato da Bu.Ar., nato ad I. (T.) il (...) e Ma.Ma., nata a C. (M.) esercenti sul predetto la propria responsabilità genitoriale, subentrando poi con atto depositato all'udienza del 29.11.2023, in quanto divenuto, nel frattempo maggiorenne. L'imputato - raggiunto da notifica del decreto di citazione diretta a giudizio presso l'indirizzo del domicilio dal medesimo eletto presso il proprio difensore di fiducia, ma non comparso all'udienza del 06.5.2019 - è stato dichiarato assente, non avendo, fra l'altro, addotto motivi di proprio legittimo impedimento, né risultando, nel frattempo, detenuto. All'udienza del: I) 22.6.2020, fissata a seguito di rinvio determinato dall'impedimento del Giudice: 1 ) è stato esaminato il testimone Bu.Ar., il quale, premesso di essere il padre della P.C., ha, fra l'altro, riferito che: a) mentre suo figlio e due suoi cuginetti, che erano in villeggiatura estiva da Torino, giocavano alla guerra, sotto un salice posto nel cortile condominiale, il primo con una spada di plastica, intervenne, improvvisamente, un signore, poi identificato in De.Ca., il quale, dopo aver detto al figlio del teste: "Perché giochi, spaccando i rami del salice?", gli tolse la spada giocattolo di mano e con l'impugnatura lo colpì al petto, lasciandogli ivi delle escoriazioni, di cui il teste verificò la presenza, dopo avergli tirato sù la maglietta (verb. fonoregistraz., pag. 4); b) poiché i due cuginetti rientrarono subito spaventati, dicendo: "Quel signore che abita lì vicino, ha picchiato A.!", il teste, allarmatosi, andò fuori e vide l'odierno imputato che stava rientrando sulla soglia della propria casa ed a cui contestò che, se vi fosse stato un problema con i bambini, lui non avrebbe dovuto intervenire personalmente, ma chiamare i genitori degli stessi (verb. fonoregistraz., pagg. 4 e 5); c) siccome l'imputato iniziò ad insultare il figlio del teste, dicendo che era un delinquente e la situazione andava scaldandosi, il teste decise di chiamare i Carabinieri (verb. fonoregistraz., pagg. 5 e 10); d) poi il teste tornò sotto il salice, verificando che non c'era a terra alcuna foglia staccata e che quindi l'albero predetto non era stato in alcun modo danneggiato (verb. fonoregistraz., pag. 5); e) anche l'anno precedente c'era stato un episodio di analoga aggressione da parte di un'altra condomina nei confronti dei ragazzini che giocavano vicino all'unica panchina del cortile ed anche il quell'occasione il teste aveva ribadito di essere chiamato quale genitore (verb., fonoregistraz., pag. 6); f) quando arrivarono i Carabinieri, l'imputato non fu da questi trovato; tuttavia, le FF.OO. consigliarono di far visitare il ragazzo ferito, cosa che fu fatta, dopo che col cellulare furono scattate delle foto delle lesioni all'odierna P.C., che il teste ha riconosciuto in aula, unitamente il certificato medico (verb. fonoregistraz., pag. 7); g) dopo quella vicenda, i ragazzini, compresa la P.C., erano così traumatizzati, che non giocarono più in quel luogo (verb. fonoregistraz., pag. 6); 2 ) è stata esaminato Bu.Am., il quale ha confermato la ricostruzione sopra esposta ed indicata in imputazione, specificando che: a) solo lui aveva la spada giocattolo, mentre i due cuginetti delle pistole giocattolo (verb. fonoregistraz., pagg. 19 e 20); b) quando l'imputato gli ordinò di non giocare più in quel luogo, il teste gli chiese il perché, visto che il giardino era di tutti (verb. fonoregistraz., pag. 23); c) a quella risposta l'imputato spinse - violentemente, contro lo sterno di Bu.Am. - la spada che aveva strappato a quest'ultimo, con la parte più dura, di plastica, posto che la lama era di gommapiuma, dicendogli, al contempo, di andare via da lì (verb. fonoregistraz., pagg. 19, 20 e 23); b) ha precisato che fu sua madre a scattargli le foto esibitegli in aula e dal medesimo riconosciute come quelle rappresentanti gli effetti del colpo predetto (verb. fonoregistraz., pagg. 21 e 22); 3) è stato esaminato B.P., in servizio, all'epoca dei fatti, presso la Stazione CC di Grado (GO), il quale, premesso di essere intervenuto per una lite tra vicini, nel corso di un servizio perlustrativo con due tirocinanti, e di non aver identificato direttamente l'imputato, verificando solo dove stesse di casa, anche in ragione della situazione molto tesa che si era venuta a creare, così cercando di evitare che le parti si rincontrassero, ha riferito di aver notato il rossore del torace di Bu.Am. e di aver consigliato i genitori di portarlo in ospedale (verb. fonoregistraz., pagg. 25 - 28); 4) sentite le parti, sono stati acquisiti: a) il certificato emesso il 03.7.2017 dal dott. R.A., in servizio presso la Guardia Medica di Grado (GO), attestante la presenza sia di "modesto dolore a livello sternale dovuto a trauma compressivo", sia "ecchimosi lineare di circa 15 cm verosimilmente causata dalla pressione di un corpo estraneo in corrispondenza degli alti quadranti addominali", con "prognosi: 24 - 36 ore"; b) 4 fotogrammi a colori rappresentativi della parte del corpo del minore in questione; II) 15.3.2021: 1) è stata esaminata T.B., nata a G. (G.) il (...), la quale ha saputo riferire solo di aver visto, prima del fatto di cui si discute, sia l'imputato, il quale giocava con due gemelli, nei pressi del salice della corte condominiale, provocando del rumore con un oggetto che aveva in mano, sia la P.C. e di aver poi sentito che venivano chiamati i Carabinieri, i quali poi intervennero (verb. fonoregistraz., pagg. 4 - 15); 2) è stata esaminata Ma.Ma., madre della P.O., la quale, ha, fra l'altro, riferito che: a) dapprima, i gemelli, L.S. ed E., cugini di Bu.Am. e con cui questi stava giocando, corsero da lei, gridando, impauriti: "Zia, corri, corri, un signore ha picchiato A.!", poi arrivò il figlio in lacrime (verb. fonoregistraz., pagg. 16 e 20); b) la teste chiese loro spiegazioni, ma quelli le dissero di venir presto fuori con loro; tuttavia, dovendo mettere il tutore al piede, stante la lesione del tendine, mandò il marito che li seguì nel cortile (verb. fonoregistraz., pagg. 16); c) vide, poi, che il marito ed il vicino di casa De.Ca. - quest'ultimo indicato dal figlio come autore del colpo di spada subito al petto - si avvicinarono l'uno all'altro e, sentì delle urla che provenivano dal cortile: siccome c'erano una sedia di metallo, la P.O., impaurita dell'uso improprio che l'imputato potesse fare di detto oggetto nei confronti del proprio padre, chiamò i Carabinieri che arrivarono circa 20 minuti dopo, alle 11.40/45 (verb. fonoregistraz., pagg. 16 - 18); d) in particolare, l'imputato urlava che i bambini non potevano giocare sotto il salice e che il minore qui P.C. era un ragazzo maleducato che non portava rispetto; a tale scena assistette anche P.S., la madre dei due gemelli (verb. fonoregistraz., pagg. 19 e 22); e) poi, quando vennero i Carabinieri, l'imputato rientrò nella propria casa, mentre il Maresciallo B. cercava di tranquillizzare gli animi; dopo che furono scattate delle foto, Bu.Am. venne, infine, condotto presso la Guardia Medica, dove gli fu rilasciato un certificato (verb. fonoregistraz., pagg. 23 e 24); 4) sentite le parti, è stata acquisita documentazione; III) 28.5.2021: è stata esaminata la testimone C.G., nata a G. (G.) il (...), moglie dell'imputato, la quale, ammonita della propria facoltà di non rispondere e non avendo inteso avvalersene, ha, fra l'altro, solo riferito che: 1) il marito era uscito da casa in bicicletta intorno alle ore 09:15, per farvi ritorno alle ore 11:40 circa (verb. fonoregistraz., pagg. 4 - 7); 2) vide Bu.Am. che era nel cortile con i due gemelli e poi con la propria madre, la quale disse alla teste che sarebbero arrivati i Carabinieri (verb. fonoregistraz., pagg. 4 - 7); 3) poi, dopo che suo marito era rientrato a casa ed era, nel frattempo, andato nel locale magazzino, uno dei Carabinieri venne a casa della teste e chiede se abitava lì De.Ca. e la teste rispose affermativamente, poi alla domanda della teste, su che cosa sarebbe successo, il Carabiniere rispose che ci avrebbero pensato i genitori dell'odierna P.O. (verb. fonoregistraz., pag. 15 e 18); 4) già in un'altra occasione la teste aveva detto alla P.O. di andare a giocare da un'altra parte e non sotto il salice, ma Bu.Am. le aveva risposto che lui faceva quello che voleva, perché lì comandava anche lui (verb. fonoregistraz., pag. 15); IV) 24.5.2023, fissata a seguito di rinvii determinati, dapprima, dall'applicazione di quanto previsto dal decreto n. 15/2021 del Presidente del Tribunale di Gorizia e, poi, dalla cessazione dal servizio del precedente giudice: 1) è stata esaminata la testimone D.M.C., in servizio, all'epoca dei fatti, presso la Stazione CC di Grado (GO), la quale, premesso di essere intervenuta con due suoi colleghi, B.P. e G.A., per una lite di vicinato, ha, fra l'altro, riferito che: a) i coniugi B. andarono incontro agli operanti, dicendo loro che il proprio figlio era stato aggredito e colpito al petto da De.Ca. (verb. fonoregistraz., pagg. 16 e 20); b) sul posto, la teste non ricorda che vi fosse il minore ferito, ma solo i due gemelli (verb. fonoregistraz., pag. 5); c) il Maresciallo B. riferì alla teste e all'altro collega di conoscere già l'imputato, così che non vi era necessità di identificarlo sul posto, e disse ai due genitori che portassero al pronto soccorso il bambino, se era stato ferito (verb. fonoregistraz., pag. 6); V ) 20.9.2023: 1) è stata esaminata ai sensi dell'art. 195 c.p.p., P.S., nata a G. (G.) il (...), la quale ha, fra l'altro, riferito che: a) quando sentì i figli che le riferirono dell'aggressione del cuginetto - odierna P.C., colpita da De.Ca. con una spada, essendosi quest'ultimo infastidito nel vedere giocare Bu.Am. sulla panchina sotto il salice, con una spada di plastica -, fece solo in tempo a vedere l'imputato che rientrava velocemente dentro la propria abitazione (verb. fonoregistraz., pag. 4); b) dall'anno dopo mandò i propri figli al Centro Estivo, perché non avessero più contatti con i vicini di casa (verb. fonoregistraz., pag. 5); c) vide l'arrossamento provocato dal colpo dato dall'imputato al busto di Bu.Am. (verb. fonoregistraz., pag. 6); VI) 11.10.2023: 1) è stato esaminato G.A., in servizio, all'epoca dei fatti, presso la Stazione CC di Grado (GO), il quale non è stato in grado di riferire nulla più di quanto già esposto dai propri colleghi; 2) dichiarata chiusa la fase istruttoria, in quanto sufficientemente svolta ai fini del decidere, all'esito della discussione, le parti hanno concluso come sopra riportato; VII) 29.11.2023, fissata per eventuali repliche, il giudice ha emesso sentenza, dando lettura del dispositivo e riservandosi il deposito della motivazione nel termine di gg. 90, stante la sussistenza dei presupposti di cui all'art.544, co. III, c.p.p., in ragione, della gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato, del numero e della natura degli incombenti processuali da svolgersi, come pure, dall'altro, del grado di articolazione e complessità delle questioni giuridiche da decidersi. Orbene, De.Ca. va dichiarato responsabile del delitto di violenza privata e di lesioni personali allo stesso ascritti, nei termini e per le ragioni in fatto e diritto di seguito esposti. Va, invero, osservato che dall'esame delle risultanze degli atti del presente processo, legittimamente assunti per via testimoniale ed acquisiti sul piano documentale e, quindi, utilizzabili per la decisione del presente caso - quali, in particolare, le dichiarazioni rese dalla P.O., dai suoi genitori, dagli operanti e dalle persone che hanno assistito ai fatti, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, risultando chiare e congruenti fra loro, oltre che provenienti da testimoni oculari diretti, da soggetti qualificati e privi d'interesse nell'esito del presente giudizio, come gli operanti intervenuti e come riscontrate obiettivamente dalla documentazione fotografica e medica acquisita - è stata fornita la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'odierno imputato, sotto il profilo dell'elemento, sia oggettivo che soggettivo, di entrambe le fattispecie criminose contestate, essendo risultati pienamente confermati i fatti e la dinamica descritti nell'imputazione. Né risultano, al contempo, emerse cause di non punibilità ovvero di giustificazione da valutarsi a favore di De.Ca.. Più in particolare, dall'articolato compendio probatorio a disposizione, risulta accertato che in data 03.7.2017, a Grado (GO): 1) la P.O. stava giocando con altri due bambini, suoi cugini, nel cortile condominiale del complesso immobiliare sito in Via S. P. d'O., 13; 2) l'odierno imputato, allorché vide che Bu.Am. stava colpendo i rami ricadenti di un salice piangente con una spada giocattolo, evidentemente infastidito dalla suddetta circostanza, intervenne, prendendo la spada dalle mani del ragazzino, rivolgendogliela contro e spingendola contro il petto della P.O.; 3) a seguito di ciò, s'interrompeva il gioco di ogni bambino; la P.O., dopo essere corsa a casa ed aver riferito quanto accaduto ai propri genitori, veniva, poi, condotta alla Guardi medica di Grado (GO), dove le veniva diagnosticato un trauma compressivo a livello degli alti quadranti addominali con ecchimosi lineare di 15 cm con prognosi di 24-36 ore. La prima delle suddette attività criminose è da qualificarsi come delitto di violenza privata, posto che il bene giuridico oggetto di tutela della norma in esame è la libertà morale e, dunque, la libertà psichica, cioè, nel caso di specie, la libera autodeterminazione della P.O. di deambulare nel cortile condominiale ed ivi giocare, senza vedersi aggredito dall'odierno imputato. In particolare, attraverso un atto di violenza propria, vale a dire l'impiego di energia fisica sulla persona Bu.Am., esercitata direttamente da De.Ca., come sopra descritto, è stata coartata la volontà e la possibilità del primo di continuare a giocare, annullandone, al contempo, la capacità di determinazione e reazione, vista l'imperiosità del gesto e tenuto conto della grande differenza di età e, quindi, di forza fisica fra i due soggetti, essendo la P.O. , all'epoca dei fatti un ragazzino di nemmeno 12 anni, mentre l'imputato un uomo di ben 75 anni di corporatura robusta e ancora pronto nei movimenti. Non vi è dubbio, infatti, che autore della violenza sia da individuarsi nell'odierno imputato, il quale, non solo è stato visto e riconosciuto dai genitori della P.O. e dalla teste P.S., nel mentre si allontanava dal luogo del fatto, ma ha avuto, altresì, occasione di avere una discussione col padre di Bu.Am., qualificando quest'ultimo, fra l'altro, come un bambino senza rispetto, proprio per via del fatto che giocando con la spada, colpiva i rami del salice del giardino condominiale e che pur essendo stato ripreso dall'imputato per tale gesto, il minore aveva risposto che lui faceva quello che voleva. Pertanto, sebbene non identificato immediatamente sul posto dalle FF.OO. - le quali agirono in tal modo, per non far venire di nuovo in contatto le parti dell'odierno processo, stante il forte clima di tensione che si era venuto a creare, limitandosi a verificare dove abitasse l'imputato - quest'ultimo è, senz'altro, il soggetto che ha strappato di mano la spada alla persona qui costituita parte civile e che ha ad essa provocato le lesioni documentate, sia a livello fotografico che in base al certificato emesso a stretto giro dai fatti da parte della Guardia medica di Grado (GO). Peraltro, che la condotta sopra descritta sia da sussumere nell'ambito della fattispecie prevista dall'alt. 610 c.p. lo si ricava anche dai principi ermeneutici elaborati in proposito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: 1) "Integra il delitto di violenza privata la condotta preordinata a rendere anche solo disagevole una lecita modalità di esplicazione del diritto della persona offesa" (Cass. pen. n. 1053/2021 e Cass. pen. n. 21019/2021); 2) "L'elemento oggettivo del reato di violenza privata è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare od omettere una condotta determinata, diversa dal fatto in cui si esprime la violenza" (Cass. pen. n. 6208/2020); 3) "Il delitto di violenza privata è reato istantaneo e si consuma nel momento in cui si realizza la limitazione coattiva della libertà di determinazione ed azione della vittima, essendo irrilevante che gli effetti della imposizione si protraggano nel tempo e l'offeso possa successivamente eliminarli" (Cass. pen. n. 1174/2020); 4) "Ai fini dell'integrazione del delitto di violenza privata (art. 610 cod. pen.) è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo" (Cass. pen. n. 4526/2011); 5) "Ai fini della configurazione del reato di violenza privata (art. 610 c.p.) è sufficiente la coscienza e volontà di costringere taluno, con violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa, senza che sia necessario il concorso di un fine particolare: il dolo è, pertanto, generico" (Cass. pen. n. 2013/2010); 6) "Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata è necessaria l'estrinsecazione di una qualsiasi energia fisica immediatamente produttiva di una situazione idonea ad incidere sulla libertà psichica (di determinazione e azione) del soggetto passivo" (Cass. pen. n. 40983/2005); 7) "In tema di violenza privata (art. 610 c.p.), il requisito della violenza, ai fini della configurabilità del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà" (Cass. pen. n. 21530/2018); 8) "Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione" (Cass. pen. n. 1195/1998). Tale azione violenta dell'imputato, comprese, come si vedrà, le successive lesioni personali, è risultata sorretta dalla coscienza e volontà - inteso come dolo generico da parte dell'imputato - di usare violenza o minaccia, al fine di costringere, dapprima, la vittima a tollerare la propria mossa di bloccaggio, per poi sottoporlo all'atto di aggressione fisica predetta, in quanto De.Ca. si era irritato, dapprima, per il fatto che il ragazzino giocasse con la spada di plastica e gommapiuma nel luogo dove era il salice piangente, all'interno del cortile condominiale e, poi, per la risposta dallo stesso ricevuta. Nel caso di specie, deve, altresì, ritenersi sussistente il delitto di lesioni personali volontarie, le quali possono concorrere col reato di violenza privata, essendo diversi i beni giuridici tutelati: la libertà morale nel primo reato, e l'integrità fisica nel secondo (Cass. pen. n. 1786/2017). Invero, l'escoriazione lunga 15 cm, attestata dal certificato medico, costituisce lesione rilevante ai fini dell'art. 582 c.p., da porsi in immediata correlazione eziologica con il colpo inferto dall'imputato con l'impugnatura della spada nella zona dello sterno del ragazzino. Entrambe le condotte non risultano giustificate, atteso che, anche a voler considerare la prospettiva dell'imputato, questi non avrebbe potuto, ad alcun titolo, recare violenza e lesioni ad un minore, posto che, laddove infastidito dal comportamento del ragazzino, avrebbe dovuto recarsi dai di lui genitori, al fine di farli intervenire. Peraltro, al di là del carattere assorbente del predetto rilievo, non risulta nemmeno provato che il salice piangente del giardino condominiale in questione abbia subito, o potesse subire, alcun danno dal gioco compiuto dalla P.O., atteso che la spada-giocattolo impiegata da quest'ultimo era costituita da una lama di gommapiuma, materiale notoriamente morbido e flessibile, quindi non in grado di recidere rami o foglie e che nessuna foglia o ramo è stata, poi, in effetti, rinvenuta al suolo, dopo i fatti di cui si discute come riferito dai testimoni escussi. Venendo ora alla determinazione della pena da irrogarsi, va osservato che: 1) va ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all'articolo 61, n.11, quinquies, del codice penale, posto che la condotta lesiva è stata in concreto realizzata, nei confronti di un soggetto minore, mentre manca la prova delle altre circostanze contestate; 2) stante, poi, l'unicità del disegno criminoso sottostante ai due delitti qui contestati, in considerazione dell'identità del contesto spazio-temporale degli stessi, come pure del movente posto alla loro base, cioè quello di imporsi sulla P.O., strappandogli la spada di mano ed infliggendogli la lesione contestata, devono essere unificati i reati di cui ai capi a) e b) sotto il vincolo della continuazione, considerandosi più grave il reato di cui al capo b), in ragione della propria maggior pena massima; 3) quindi, in ragione delle circostanze di fatto e delle considerazioni in diritto sopra richiamate, applicati i criteri di cui agli artt. 27 Cost. e 133 c.p., desunto il concreto grado di gravità del delitto di violenza privata e d'intensità del dolo dalle modalità, di breve durata, delle condotte e dal peculiare contesto di rapporti di vicinato, in cui detto reato è maturato, tenuto conto della giovane età della P.O., come pure della natura, entità ed effetti delle lesioni arrecate, anche in ragione della diagnosi e prognosi riportate in referto, va ritenuta congrua quale pena finale quella di mesi sei di reclusione: al fine del computo di detta sanzione va considerata quale base la pena di mesi quattro di reclusione, per il reato di cui all'art. 610 c.p., aumentata alla pena di mesi 5 e giorni 15 di reclusione, per l'aggravante contestata ed alla pena finale per la continuazione col reato di cui al capo a) d'imputazione, tenuto conto della natura lieve della lesione e della brevità della relativa prognosi. A ciò va aggiunta la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali dell'odierno processo. Infine, sussistono i presupposti per la concessione del beneficio di cui all'art. visto 165 c.p., ai fini della sospensione dell'esecuzione della predetta pena, da sottoporsi alla condizione del risarcimento di seguito determinato, da versarsi entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza, posto che De.Ca. non ha provveduto in tutto questo arco di tempo, neppure in parte, ad eliminare le conseguenze del proprio agire illecito ed anche in considerazione - dal punto di vista oggettivo e soggettivo, come accertato nel presente processo - del difficile e teso rapporto di vicinato che lega le parti e che, in difetto della predetta condizione, potrebbe dare causa al verificarsi di nuove occasioni di condotte criminose, ad opera dell'odierno imputato. Quanto alle statuizioni civili, va condannato ai sensi degli artt. 538 e ss. c.p.p. al risarcimento del danno morale subito dalla parte civile in base alla suddetta condotta, che, in mancanza di puntuali criteri di riferimento ed in ragione degli elementi a disposizione, per valutare il grado di sofferenza psichica subita dal minore, tenuto conto dell'età che quest'ultimo aveva e del fatto che il luogo di commissione dei reati era quello di villeggiatura estiva del predetto, si liquidano in Euro.5.000,00, in via equitativa e provvisoriamente esecutiva, tenuto conto, a quest'ultimo riguardo, dell'ampio periodo trascorso, senza che l'imputato abbia provveduto ad alcuna offerta risarcitoria. Infine, visto l'art. 540 c.p.p. De.Ca., va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla P.C. come liquidate in dispositivo. P.Q.M. visti gli artt.533 e 535 c.p.p.; DICHIARA De.Ca., in atti generalizzato, responsabile dei reati a lui ascritti e, ritenuta l'aggravante contestata oltre che unificati i reati col vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; visti gli art. 538 e ss. c.p.p.; CONDANNA il predetto al risarcimento dei danni alla P.C. oggi costituita, che si liquidano in Euro 5.000,00, in via equitativa e provvisoriamente esecutiva, oltre alla rifusione delle spese dalla suddetta sostenute nel presente processo, che si liquidano in complessivi Euro 3.592,00, per onorari, oltre al 15% per spese generali, Euro 11,79, per spese imponibili, I.V.A. e C.P.A., come per legge; visto l'art. 165 c.p.; dispone la sospensione dell'esecuzione della predetta pena a condizione del risarcimento sopra determinato da versarsi entro 90 gg. dal passaggio in giudicato della presente sentenza. Motivi in gg. 90. Così deciso in Gorizia il 29 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

  • TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice COPPARI Marcello, alla pubblica udienza del 29.11.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: P.G., nato a P. (U.) il (...), con ivi domicilio dichiarato in Via C., 15; libero, presente; imputato del reato di cui al foglio allegato. P.O.: V.L., nata a J. (S.) il (...). per il delitto di cui all'art. 570 c. 1 c.p. perché, serbando una condotta contraria all'ordine della famiglia, si sottraeva agli obblighi di assistenza materiale inerenti la propria qualità di coniuge previsti dall'art. 143 c.civ., omettendo di corrispondere alla moglie V.L. qualsiasi contributo al suo mantenimento, nonostante quest'ultima non percepisse alcun reddito. Gorizia, dal gennaio 2018 al novembre 2019 Con l'intervento del P.M. GUALTERONI Maila, V.P.O. del., e dell'avv. PA.Ro. del Foro di Udine, difensore di fiducia dell'imputato. Svolgimento del processo - Motivi della decisione P.G., nato a P. (U.) il (...), è stato citato nel presente giudizio, per rispondere del reato di cui agli artt. 570, co. I, cod. pen., come contestato in rubrica, in danno di V.L., nata a J. (S.) il (...), che non si è costituita parte civile, pur regolarmente raggiunta dall'avviso della pendenza del presente processo. L'imputato - effettivamente, reso edotto della pendenza del presente processo, mediante notifica, a mani, del decreto di citazione diretta a giudizio, all'indirizzo dal medesimo dichiarato - è comparso all'udienza del 05.10.2022, partecipando all'odierno processo. All'udienza del: I) 22.3.2023: 1) è stata esaminata la P.O., la quale, confermato di aver sporto denuncia-querela in data 07.11.2019, per gli omessi versamenti del contributo di mantenimento a favore della stessa, da parte dell'odierno imputato, per cui è qui processo, e premesso di essersi sposata con l'imputato, ha, fra l'altro, riferito che: a) dalla relazione coniugale, iniziata nel 2010 e conclusasi nel 2012, per via del tradimento del marito, non sono nati figli (verb. fonoregistraz., pag. 4); b) nel periodo tra il 2018 ed il 2019, ma anche prima e dopo tali anni, l'imputata non ha mai avuto un impiego stabile e regolare, pur avendolo cercato, ma non essendo riuscita a trovarlo, anche perché senza patente, occupandosi così solo di piccola intermediazione immobiliare ovvero lavorando in qualche bar, così da doversi spostare dall'appartamento di Via R. a quello, attuale, di Via G., per ridurre le spese di affitto e vivendo del modesto aiuto degli amici per il vitto quotidiano, oltre che accumulando debiti per l'abitazione di Via M., il cui canone era di Euro.500,00; nel periodo tra il 2012 ed il 2018 guadagnava una media 600 euro mensili (verb. fonoregistraz., pagg. 4, 5, 8, 10 e 11); c) all'inizio del rapporto, il canone di locazione dell'abitazione, ove convivevano a Gorizia, era pagato dalla P.O., poi fu condiviso fra le parti, insieme alle bollette, contribuendo in modo paritario alle spese (verb. fonoregistraz., pag. 5); d) dopo che V.L.. venne a sapere del tradimento, l'accordo verbale raggiunto fra le parti fu che l'imputato avrebbe dovuto versare alla prima un importo mensile di Euro.300,00; dapprima, l'importo predetto fu pagato, tramite ricariche Postepay, ovvero in contanti, ma non sempre nei termini pattuiti; poi, dal 2018 non vi fu più nessun contributo (verb. fonoregistraz., pagg. 6 - 8 e 12); e) nel periodo in questione la P.O. ha ricevuto solo qualche occasionale sovvenzione pubblica da parte del Comune di Gorizia, ma nessun aiuto da altre persone, essendo, fra l'altro, morti i propri genitori ed avendo un figlio, in Slovenia, con la propria famiglia da mantenere; né V.L. ha, nel frattempo, trovato un altro compagno o convivente; (verb. fonoregistraz., pagg. 9, 12 e 14); f) la P.O. richiese all'imputato di versargli i 300 euro a lei dovuti, ma questi rispondeva che glieli avrebbe dati, quando avrebbe potuto, finché la prima non fu costretta a rivolgersi a due avvocati, senza, tuttavia, dar corso ad azioni legali o alla separazione (verb. fonoregistraz., pag. 12); 2) previamente ammonito nei termini di legge e non avendo inteso avvalersi della facoltà di non rispondere, è stato esaminato l'imputato, il quale, premesso che, dopo l'episodio del tradimento cercò di riappacificarsi, ma venne cacciato di casa dalla P.O. e confermato quanto da quest'ultima riferito, ha, fra l'altro, dichiarato che: a) nel periodo in questione l'imputato ha lavorato presso un'impresa, dove tutt'ora è impiegato, con un reddito di Euro.1.100,00 - 1.200,00, tornando a vivere nella casa dei propri genitori (verb. fonoregistraz., pag. 16); b) ha subito dei pignoramenti per il mancato adempimento da parte sua di debiti erariali (verb. fonoregistraz., pag. 16); c) l'accordo raggiunto con V.L. non aveva un termine finale, ma aveva la funzione di assistenza della moglie, finché questa non si fosse sistemata, trovando un'attività regolare e stabile (verb. fonoregistraz., pag. 16); d) dal 2018 il contributo di Euro.300,00 non è stato più da lui versato, per via dei pignoramenti e del fatto che erano già passati 4 anni e V.L. non aveva ancora un'attività, così che ricevette, poi, le diffide degli avvocati incaricati dalla P.O. (verb. fonoregistraz., pagg. 17 e 18); II) 13.9.2023: 1) sentite le parti, è stata acquisita documentazione relativa agli atti di pignoramento, ricevuti dall'imputato, negli anni 2016 - 2019, a cui lo stesso ha fatto riferimento nel corso del suo esame; 2) è stato disposto rinvio ad altra udienza, su richiesta del difensore dell'imputato, al fine di poter definire, nel frattempo, le questioni civilistiche connesse all'oggetto dell'odierno processo ed ancora pendenti; III) 29.11.2023: dichiarata chiusa la fase istruttoria, in quanto sufficientemente svolta ai fini del decidere, all'esito della discussione: 1) le parti hanno concluso come sopra riportato in epigrafe; 2) è stata emessa sentenza, con lettura del dispositivo e riserva di deposito della motivazione nel termine di gg.70, stante la gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato nonché l'articolazione e l'impegno delle questioni da decidersi. Orbene P.G. va dichiarato responsabile del reato a lui ascritto e condannato nei termini e per i motivi di seguito esposti. Invero, va osservato nel merito che dall'esame degli atti acquisiti nel corso dell'istruttoria e legittimamente utilizzabili per la decisione - quali, in particolare, la documentazione sopra richiamata, nonché le dichiarazioni testimoniali rese dalla P.C. - è emersa la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza dell'imputato, sotto il profilo dell'elemento, sia oggettivo che soggettivo, del reato di cui all'art.570, co. I, cod. pen. con riguardo all'anno di riferimento di cui all'imputazione, senza che siano emerse, al contempo, cause di giustificazione o di non punibilità da valutarsi a suo favore. Deve, infatti, rilevarsi, in proposito, che la ricostruzione dei fatti nel senso descritto dal capo d'imputazione ha trovato piena conferma sia nei riscontri fomiti nell'escussione della P.O., le cui dichiarazioni: 1) da un lato, sono attendibili, in quanto provenienti da persona che non ha dimostrato interesse nell'esito del processo, non costituendosi parte civile e neppure avviando il procedimento di separazione e di divorzio, né, tantomeno, caricando emotivamente le circostanze esposte nel proprio riferito; 2) dall'altro, risultano coerenti e complementari, non solo fra di loro, ma anche con quanto riconosciuto dall'imputato nel corso del proprio esame. Invero, da queste fonti di prova si ricava che P.G., pur puntualmente richiesto di ciò ed avendone, almeno in parte, l'obiettiva disponibilità, si è - pressoché completamente e continuativamente - sottratto all'obbligo di assistenza materiale, che aveva assunto su di sé sposando la P.O., a norma dell'art. 143 cod. civ., nell'ambito del principio di solidarietà familiare tutelato dall'art. 2 Cost. In particolare, mediante apposito accordo consensuale, che ebbe esecuzione da parte dell'imputato, fino al 2018, da quest'ultima data, P.G. non versò più alcuna somma, ammettendo e giustificando ciò, sulla base del fatto che, a suo parere, che era già decorso un periodo di tempo sufficiente a considerare esaurito il proprio obbligo, pur sapendo che, nel frattempo, V.L. non aveva mutato le proprie condizioni economiche. In tal modo, dal 2018 fino al 2019 ed oltre, l'imputato fece così mancare i mezzi di sussistenza, necessari alla P.O. - la cui situazione economico-personale non solo non si era, nel frattempo, modificata, ma era andata anche peggiorando, per via della difficoltà di reperire anche un lavoro irregolare, per via della mancanza della patente. Pertanto, nel periodo in contestazione, l'imputato risulta aver omesso completamente di provvedere al versamento del contributo sopra pattuito, come ad ogni somma necessaria per la sussistenza di V.L., pur essendo materialmente in grado di farlo. Si rileva, infatti, a quest'ultimo proposito, che: 1) il patto fra le parti non ha subito modificazioni, anche perché l'imputato, dal canto proprio, non risulta aver richiesto, nel frattempo, alcuna revoca o modifica delle condizioni economiche previste dalle parti e sopra riportate con riguardo alla debenza ed alla determinazione dell'ammontare del contributo di mantenimento; 2) l'imputato percepiva, all'epoca dei fatti, uno stipendio pari a complessivi 1.200,00 euro mensili, che gli garantiva la disponibilità economico - finanziaria, per far fronte al predetto obbligo, anche in ragione del fatto che aveva assai ridotto le proprie spese, essendo tomato a vivere a casa dei propri due genitori e ben potendo, in ogni caso, accedere al canale del credito pubblico; 3) i pignoramenti documentati da parte della difesa come subiti dall'imputato negli anni 2016 - 2019 non possono, peraltro, giustificare il suo sottrarsi all'obbligo di contribuzione per le necessità primarie del proprio coniuge, posto che: a) detti atti si riferivano, comunque, a fatti non riconducibili alla vicenda coniugale d'interesse, ma a debiti contratti dall'imputato con l'Erario; b) per riconoscere rilevanza a proprio favore in ordine ai predetti pignoramenti, laddove avesse ritenuto di non essere più tenuto a versare alcunché alla P.O, P.G. avrebbe dovuto instaurare il procedimento di separazione e divorzio, al fine di far emergere la predetta circostanza e far intervenire il Tribunale di Gorizia, ai fini della disciplina della questione - come, invece, non risulta aver fatto -, non potendo, diversamente, procedere egli, in via unilaterale ed in senso diverso e contrario, rispetto a quanto oggetto del precedente accordo concluso con la P.O., in attuazione dell'obbligo di assistenza derivante dall'essere ancora sposato con V.L.. Né sono emerse, al contempo, cause di giustificazione o di non punibilità, da valutarsi a favore dell'imputato, anche sotto il profilo di cui all'art. 131 bis c.p., tenuto conto che, in virtù delle predette osservazioni, va, di certo, esclusa la particolare tenuità del fatto, in ragione: 1) da un lato, del non irrilevante ammontare del mancato versamento nel tempo del contributo, già stabilito in misura non eccessiva e proporzionata alle effettive condizioni economiche dei due coniugi, caratterizzate da disparità a netto favore dell'imputato; 2) dall'altro, dell'aver dato causa l'imputato stesso alla fine del rapporto di fiducia coniugale col proprio tradimento, violando l'obbligo di fedeltà, sancito anch'esso dall'art. 143 c.c., nell'ambito dei doveri reciproci dei coniugi, determinando - con la propria predetta iniziativa, unitamente a quella di non versare più alcunché - la situazione di indigenza in cui si venne poi a trovare la P.O., la quale, comprensibilmente, non potè accettare di continuare la convivenza con l'odierno imputato. Ne deriva che, accertato il fatto come sopra ricostruito, risulta corretta la qualificazione giuridica dello stesso operata nel capo d'imputazione: pertanto, in ragione di quanto fin qui evidenziato in fatto e considerato in diritto, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., P.G. è da ritenersi responsabile del reato al medesimo ascritto a norma dell'art. 570, co. I, c.p. Quanto alla determinazione della pena da irrogarsi, va osservato che: 1) possono essere concesse allo stesso le circostanze attenuanti generiche a norma dell'art.62 bis c.p., in ragione: a) sotto il profilo sostanziale, della peculiarità del contesto in cui sono stati omessi i versamenti dovuti, tenuto conto delle evidenti difficoltà economiche, in cui si è trovato l'odierno imputato nel periodo di riferimento, valutato, altresì, il proprio pregresso comportamento di adempimento dell'obbligazione di assistenza materiale sul medesimo gravante per quattro anni; b) sotto il profilo processuale, dell'ammissione delle proprie responsabilità, avvenuta in sede di proprio esame dibattimentale, così da aver prestato fattiva collaborazione, ai fini dell'accertamento del fatto illecito di cui si discute; 2) pertanto, va condannato alla pena della sola multa di Euro.400,00, sanzione pecuniaria, da ritenersi, invero, congrua ai sensi dei criteri di cui agli artt. 27 Cost. e 133 cod. pen., tenuto conto della gravità del reato e dell'intensità del dolo, valutati rispetto all'entità dei mancati versamenti ed alla loro durata nel tempo; detta pena è stata così computata: a) pena base di Euro.600,00 di multa; b) ridotta alla pena finale, previa applicazione delle nella loro massima portata, in ragione di quanto sopra osservato. P.G. va, altresì, condannato al pagamento delle spese processuali del presente processo. Può, infine, essere concessa la sospensione condizionale della predetta pena, posto che: 1) ne sussistono i presupposti di legge, tenuto conto della natura ed entità della sanzione irrogata e del fatto che i precedenti risultano essere stati, nel frattempo, depenalizzati; 2) alla luce di quanto sopra considerato, in relazione alla condotta ed alle motivazioni addotte dall'imputato in sede di proprio esame, può legittimamente presumersi che l'imputato si asterrà dalla commissione di altri reati. P.Q.M. visti gli artt.533 e 535 c.p.p.; DICHIARA P.G., in atti generalizzato, responsabile del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze ai sensi dell'art. 62 bis c.p., lo condanna alla multa di Euro.400,00, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa ex art. 163 c.p. Motivi in gg. 90. Così deciso in Gorizia, il 29 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale di Gorizia, in composizione collegiale, in persona dei magistrati: Concetta Bonasia - Presidente Cristina Arban - Giudice Caterina Caputo - Giudice rel. alla pubblica udienza del 1 febbraio 2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Ba.Se., nato il (...) ad A. (S.), residente a M., via V. n.102; - sottoposto p.q.c. a misura cautelare, presente; - difeso d'ufficio dall'avv. Ro.Ge. del Foro di Gorizia; IMPUTATO 1. Delitto p. e p. dagli arti. 99, 628 co. 1, co. 3 nn. 3 bis) e 3 quinquies), co. 4 c.p. perché, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, dopo aver seguito a bordo della propria autovettura la macchina guidata da Pa.An. (nata il (...)) sino all'abitazione di quest'ultimo in M., Via R. n. 32 e dopo averla convinta con un pretesto a lasciarlo accedere nell'ingresso condominiale, aggrediva la donna con violenza consistita nell'afferrarle le braccia, strattonarla, pestarle i piedi e scaraventarla a terra, così da sottrarle una borsa di cuoio marrone marca Bridge (contenente il telefono, il portafoglio, un borsellino e due paia di occhiali) che la stessa portava a tracolla. Terminata l'azione, si dava quindi alla fuga a bordo del proprio veicolo,assicurandosi il possesso dei predetti beni. Con le aggravanti di aver commesso il fatto all'interno dell'androne condominiale (luogo di privata dimora e tale da ostacolare la pubblica e privata difesa) e nei confronti di persona ultrasessantacinquenne. Con la recidiva reiterata e specifica. Commesso in Monfalcone (GO) il 31.07.2023. 2. Delitto p. e p. dagli arti. 61 co. 1 nn. 2) e 5), 99, 582, 585 in relazione all'art. 576 co. 1 n. 1) c.p. perché cagionava a Pa.An. lesioni personali consistenti in "contusioni spalla sinistra e ginocchio destro e sinistro" da cui è derivata una malattia nel corpo avente 7 (sette) giorni di prognosi. Con le aggravanti di aver commesso il fatto per eseguire il reato di cui al superiore capo 1) e approfittando di circostanze di persona (anziana età) tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Con la recidiva reiterata e specifica. Commesso in Monfalcone (GO) il 31.07.2023. in cui è parte offesa per i capi 1) e 2) Pa.An., nata a M. (G.) in data (...) 3. Delitto p. e p. dagli arti. 99, 628 co. 2, co. 3 nn. 3 bis) e 3 quinquies), co. 4 c.p. perché, procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, dopo aver seguito a bordo della propria':,;: autovettura la macchina guidata da G.S. (nata il (...)) sino al cortile condominiale pertinente all'abitazione di quest'ultimo in M., Via B. n. 12, mentre la donna stava scaricando la spesa dal bagagliaio si avvicinava alla stessa e repentinamente apriva lo sportello della macchina, afferrando e sottraendo una borsa (contenente occhiali da vista, telefono cellulare, portafoglio con documenti e banconote, chiavi di casa). Successivamente si dava alla fuga e raggiungeva la propria autovettura, parcheggiata appena fuori dal cortile condominiale, ma veniva inseguito dalla persona offesa la quale, nel tentativo di fermarlo, afferrava la maniglia dello sportello del passeggero anteriore aprendolo, provocando la reazione dell'indagato che - per assicurarsi il possesso della borsa e guadagnarsi l'impunità - accelerava e fuggiva, così trascinando e facendo cadere a terra la vittima, cagionandole le lesioni di cui al successivo capo 4). Con le aggravanti di aver commesso il fatto all'interno del cortile condominiale (luogo di privata dimora e tale da ostacolare la pubblica e privata difesa) e nei confronti di persona ultrasessantacinquenne. Con la recidiva reiterata e specifica. Commesso in Monfalcone (GO) il 05.08.2023. 4. Delitto p. e p. dagli arti. 61 co. Inn. 2) e 5), 99, 582, 585 in relazione all'art. 576 co. 1 n.1) c.p. perché cagionava a G.S. lesioni personali consistenti in "dolore acuto da trauma" da cui è derivata una malattia nel corpo avente 7 (sette) giorni di prognosi. Con le aggravanti di aver commesso il fatto per eseguire il reato di cui al superiore capo 3) e approfittando di circostanze di persona (anziana età) tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Con la recidiva reiterata e specifica. Commesso in Monfalcone (GO) il 05.08.2023. In cui è parte offesa per i capi 3) e 4) G.S., nata a M. (G.) il (...) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Ba.Se., siccome imputato dei reati a lui ascritti in epigrafe, con decreto che dispone il giudizio immediato emesso in data 2 novembre 2023, è stato citato per l'udienza dibattimentale del successivo 21 dicembre, nel corso della quale, presente l'imputato, il Tribunale ha dichiarato aperto il dibattimento e ha ammesso le prove richieste dalle parti. All'udienza dell'1 febbraio 2024 le parti hanno acconsentito all'acquisizione dell'intero fascicolo delle indagini, con rinuncia all'escussione di tutti i testi e l'imputato ha reso spontanee dichiarazioni; successivamente, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, il Tribunale ha invitato le parti a svolgere la discussione, al cui esito le medesime hanno rassegnato le conclusioni sopra riportate e; indi, dopo la deliberazione in camera di consiglio, il Tribunale ha pronunciato sentenza, dando lettura del dispositivo, indicando in giorni quarantacinque il termine per la redazione della sentenza e disponendo la sospensione del termine di cui all'art. 303, co. 1, lett. c), n. 1), c.p.p. durante la pendenza di quello stabilito per il deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE All'imputato sono ascritti due fatti di rapina e due fatti di lesioni, realizzati- con modalità similari - a distanza di pochi giorni. Gli elementi di prova traibili dal compendio probatorio rilevante in vista della decisione, composto dagli atti del fascicolo delle indagini - acquisito con il consenso delle parti - unitamente alle dichiarazioni confessorie dell'imputato, hanno consentito di ricostruire la vicenda oggetto di giudizio nei termini di seguito riportati. Muovendo dal primo episodio in ordine temporale, la vicenda origina dalla querela sporta da Pa.An. in data 1.8.2023, con la quale la donna lamentava di essere stata avvicinata e aggredita da un uomo sconosciuto nell'androne del proprio condominio. Nello specifico, la P. riferiva che la sera precedente, alle ore 19:00 circa, uscita dal negozio L.M. e salita a bordo della sua vettura per rincasare, si era accorta della presenza di una macchina scura, posizionata dietro il suo mezzo in maniera tale da impedirle di uscire dal parcheggio del negozio, la quale dopo qualche istante si era spostata, consentendole di effettuare le dovute manovre e mettersi in marcia. Giunta innanzi alla propria abitazione, la donna si era intrattenuta qualche istante a conversare con la vicina di casa, S.F., e in tale frangente aveva notato un'automobile, molto simile a quella che poco prima le aveva ostacolato il passaggio negli stalli della Lidi, arrivare nella zona e parcheggiare; dall'auto era sceso un uomo - poco più che quarantenne, alto circa 170 cm, dai capelli scuri e con indosso una maglia grigio chiaro a maniche corte e un paio di pantaloni scuri - il quale aveva chiesto alle due conversanti se conoscessero un tale "G." e, alla loro risposta negativa, si era allontanato. Spiegava, dunque, la P. che il predetto era sopraggiunto pochi istanti dopo, quando, salutata la vicina, stava entrando nell'androne condominiale e le aveva riferito che tale "G." abitava proprio nel suo stabile, cosi che la dichiarante lo aveva lasciato entrare all'interno del condominio, convinta che lo stesso dovesse raggiungere l'abitazione dell'amico; tuttavia, all'improvviso e repentinamente, lo sconosciuto l'aveva afferrata con forza, le aveva cinto il corpo con le braccia e l'aveva strattonata, afferrando nel mentre la borsa che la donna indossava a tracolla e, quando lei aveva tentato di resistere all'aggressione e di trattenere la borsa a sé, l'uomo le aveva pestato un piede e l'aveva scaraventata a terra. Conseguentemente, in preda allo spavento, la vittima aveva chiesto aiuto, attirando l'attenzione della vicina S.F., mentre l'aggressore si era allontanato a bordo della propria auto, scappando in direzione Trieste. La borsa asportata alla vittima, di color cuoio e marca "The bridge", conteneva al suo interno i suoi effetti personali, quali un cellulare, un portafogli con al suo interno la somma contante di Euro 250,00, i suoi documenti (patente, bancomat, carta di identità, codice fiscale proprio e del marito), un borsellino di plastica con dei soldi spiccioli e due paia di occhiali. A causa dell'aggressione, la donna aveva riportato le lesioni descritte nel capo 2) di imputazione. Dagli atti del fascicolo delle indagini emerge poi che S.F., sentita nell'immediatezza dei fatti dagli investiganti sopraggiunti sui luoghi, aveva confermato quanto raccontato dalla vittima, descrivendo il tale che aveva interrotto le due mentre conversavano in un uomo di circa 45 anni, di carnagione chiara con capelli corti neri, alto circa 165-170 cm, il quale indossava pantaloni neri lunghi e una maglietta grigia. Le indagini, dunque, si erano snodate tramite l'acquisizione delle immagini di videosorveglianza del supermercato Lidl e delle telecamere posizionate sulle vie percorse dalla donna per fare rientro a casa. Dalla disamina dei filmati, era possibile accertare che, uscita dal supermercato alle 18:56 e salita a bordo della sua vettura Renault Clio targata (...), la querelante era stata seguita lungo tutto il tragitto percorso per raggiungere la propria abitazione - ossia lungo Via B., Via Delle M. e Via R. - da una Ford Focus targata (...) di colore grigio scuro, dunque da un mezzo del tutto corrispondente a quello descritto dalla querelante come la vettura che le aveva bloccato temporaneamente l'uscita dal parcheggio e a bordo della quale il suo aggressore era fuggito. La visione dei filmati tratti dalle telecamere collocate in Via R., consentivano inoltre di ricostruire alcuni segmenti salienti precedenti e successivi all'aggressione della vittima. Più in particolare, si accertava: che Pa.An. era giunta presso la propria abitazione al civico 32 alle ore 19:03:35; che, dopo meno di 30 secondi, il veicolo scuro che l'aveva seguita lungo tutto il tragitto aveva parcheggiato innanzi all'abitazione della donna e dallo stesso era sceso un uomo, il quale - coerentemente a quanto raccontato dalla P. - si era diretto verso il suo condominio; che alle ore 19:09:11 il medesimo uomo era corso verso la macchina scura, stringendo in mano una borsa e si era allontanato a bordo della stessa. Gli investiganti, sempre a mezzo della visione dei filmati delle telecamere cittadine, accertavano poi che la macchina, allontanatasi da Via R., aveva raggiunto la rotatoria di Via C. per raggiungere infine Via V., dove l'uomo era entrato in uno stabile sito al civico n. 102 (ore 19:11:03). Da alcuni dei frame tratti dai predetti filmati, era possibile altresì intravedere alla guida un uomo con indosso una maglietta grigia a maniche corte e con una borsa marrone appoggiata sul sedile passeggero, il che confermava sia la descrizione dell'abbigliamento del ladro resa dalla P. che il possesso, da parte dell'uomo, della borsa sottrattale. Gli accertamenti eseguiti sulla targa della Ford Focus consentivano di appurare che la predetta vettura risulta cointestata a D.N.A.M. e Ba.Se., tra loro conviventi e residenti proprio in M., Via V. n. 102. Infine, sottoposte ad individuazione fotografica, sia Pa.An. che S.F., riconoscevano senza dubbio alcuno l'autore del fatto nell'effige ritraente l'imputato. Venendo agli episodi di rapina e lesioni commessi in data 5 agosto 2023 ai danni di G.S., gli atti d'indagine hanno consentito di accertare pienamente i fatti. Nella querela sporta il 5.08.23 innanzi alla Stazione dei Carabinieri di Monfalcone, G.S. riferiva che quello stesso giorno, giunta a bordo della propria autovettura Volkswagen Polo nel cortile condominiale della propria abitazione alle ore 17:30 circa, dopo essersi recata a fare spesa presso il supermercato E.M., mentre era intenta a prelevare le borse della spesa dal bagagliaio aveva notato una macchina scura condotta da un uomo entrare e subito dopo uscire dal cortile. Pochi secondi dopo, lo stesso uomo si era avvicinato a piedi alla sua automobile e, aperta la portiera anteriore lato passeggero, aveva prelevato la borsa della querelante, dandosi subito dopo alla fuga. La donna, quindi, si era posta al seguito dell'uomo, nel frattempo salito a bordo della sua vettura, il quale, nonostante la vittima fosse riuscita ad aprire la portiera lato anteriore passeggero, aveva messo in moto l'auto e accelerato, così facendola precipitare a terra e provocandole le lesioni meglio descritte al capo 4) di imputazione. Riferiva la donna in sede di querela che la borsa sottrattale dal malvivente custodiva i propri documenti, le chiavi di casa, il telefono cellulare, circa Euro 35 in banconote e pochi altri spiccioli. Anche in tal caso, le indagini si erano concentrate nell'immediatezza sull'esame delle immagini tratte dalle telecamere di videosorveglianza pubbliche poste lungo il percorso seguito dalla vittima per portarsi dal supermercato verso la propria abitazione: dalle stesse si accertava che l'autovettura Ford Focus grigio scura targata (...) - cointestata all'imputato e alla sua convivente - aveva seguito la vettura della persona offesa lungo tutta la via percorsa per giungere presso la propria abitazione, e dunque lungo via I., via A. e via B.. Sempre la visione dei filmati consentiva altresì di accertare il percorso seguito dall'imputato per allontanarsi dai pressi dell'abitazione della vittima. G.S., inoltre, sottoposta ad individuazione fotografica, aveva riconosciuto nell'effige ritraente l'imputato il soggetto che l'aveva aggredita e le aveva sottratto la borsa. All'esito del vaglio delle prove acquisite, va affermata la responsabilità dell'imputato per i reati al medesimo ascritti poiché ne ricorrono tutti gli elementi costitutivi. Nessun dubbio si pone in ordine all'ascrivibilità delle condotte all'imputato, non solo in virtù delle prove sopra analizzate che conducono univocamente in tal senso - ossia dai riconoscimenti effettuati dalle persone offesa e dalla teste S.F. nonché dalle riprese del sistema di videosorveglianza dei locali commerciali e cittadino, oltre che dagli accertamenti relativi all'intestazione del veicolo - ma in forza delle dichiarazioni rese spontaneamente dall'imputato. Questi, invero, si è detto pentito e avvilito per la condotta tenuta, riferendo di aver agito in una fase di astinenza dall'assunzione di stupefacenti, in tal modo implicitamente assumendosi la paternità degli episodi ora ricostruiti. Corretta appare inoltre la qualificazione giuridica dei fatti operata dalla Pubblica Accusa. Quanto al capo 1), le modalità dell'azione descritte dalla persona offesa, non lasciano residuare alcun dubbio in ordine all'integrazione della fattispecie contestata. In punctum iuris è sufficiente richiamare l'insegnamento della Corte di legittimità a mente del quale "la violenza necessaria per l'integrazione dell'elemento materiale della rapina può consistere anche in una spinta o in un semplice urto in danno della vittima, finalizzati a realizzare l impossessamento della cosa" (cfr., ex plurimis, Cass. 3366/2013). Ebbene, traslati tali principi nel caso di specie, non residuano dubbi in ordine al fatto che la condotta realizzata dal B. integri gli estremi del reato di cui agli artt. 628 c.p.: l'imputato, invero, attraverso la condotta violenta consistita nel cingere il corpo della persona offesa, nel pestarle un piede e nello spintonarla a terra, ha ottenuto per tal via il possesso della borsa della donna. La violenza esercitata sulla donna è altresì riscontrabile dalle lesioni dalla stessa riportate alla spalla e alle due ginocchia a seguito delle lesioni e refertate dai sanitari del Pronto Soccorso il giorno dei fatti. Ricorre l'aggravante ex art. 628 comma 3 n. 3-quinquies, in quanto la vittima aveva ottant'anni al momento dei fatti e il superamento della soglia di anni sessantacinque era certamente conoscibile dall'imputato, considerato che l'età della persona offesa era superiore di ben dieci anni. Al di là del mero dato anagrafico, peraltro, la persona offesa dal reato - presente in aula all'udienza del 1 febbraio 2024 - mostra (va) un'apparenza assolutamente coerente con la propria età, trattandosi di una donna di media statura, canuta, dalle movenze proprie di una persona di un'età certamente superiore ai sessantacinque anni. Peraltro, alla luce dell'istruttoria complessiva e dunque dell'analisi di entrambi gli episodi di rapina, pare indubbio che l'imputato abbia scelto di agire ai danni di persone anziane, al fine di assicurarsi la riuscita delle rapine, soverchiando inevitabilmente la forza e la reattività delle persone offese. Ricorre altresì l'aggravante ex art.628 comma 3 n. 3-bis c.p., essendosi l'azione consumata all'interno dell'androne condominiale ove era collocata l'abitazione della persona offesa. In parte qua, la giurisprudenza di legittimità, anche recente, ha statuito che si può qualificare come luogo di privata dimora non solo "l'abitazione", ma anche ogni luogo nel quale si può dimorare - con modalità riservate - per un tempo apprezzabile ed in relazione al quale si può esercitare lo ius excludendi alios. Sviluppando tale linea interpretativa deve ritenersi che le "pertinenze" dell'abitazione - come i garage, gli androni, i cortili condominiali e gli ascensori - devono essere considerati luoghi di "privata dimora", sempre che l'accesso agli stessi sia consentito solo se autorizzato e la permanenza al loro interno possa durare per un tempo apprezzabile e con modalità riservate (Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17/02/2022) 26-04-2022, n. 15889). Ebbene, nel caso di specie, la persona offesa è stata chiara nel riferire che l'aggressione era avvenuta all'interno dell'androne condominiale, luogo pertinenziale della propria abitazione, ove peraltro l'imputato aveva ottenuto accesso - ciò che acclara che lo stesso dovesse essere acconsentito - solo dopo aver riferito alla persona offesa che il suo conoscente "G." ivi abitava. Parimenti, sussistono i requisiti di tipicità della rapina impropria quando all'editto imputativo formulato al capo 3). Invero, l'imputato, dopo aver realizzato sottrazione della refurtiva - nella specie perfezionatasi con l'asportazione della borsa della persona offesa G.S. dal sedile anteriore destro dell'autovettura della donna - ha usato violenza nei confronti di quest'ultima al fine di garantirsi il possesso di quanto rubato oltre che l'impunità; più in particolare, la donna - nel tentativo di ostacolare la fuga dell'autore del furto e di rientrare nel possesso della propria borsa, aveva aperto lo sportello del veicolo a bordo del quale si era affrettato l'imputato ed era caduta a terra in seguito all'accelerazione del ladro, operata nella piena coscienza della presenza della donna. In parte qua merita richiamarsi l'insegnamento della Corte di legittimità a mente del quale "di fini della sussistenza del reato di rapina impropria, la violenza deve essere esercitata nei confronti della persona e deve tendere ad impedire al derubato di ritornare in possesso della cosa sottrattagli ovvero a procurare l'impunità all'agente. La violenza consiste nell'estrinsecazione di energia fisica che arrechi pregiudizio alla persona e può essere esercitata con qualsiasi strumento, e quindi, anche con un mezzo meccanico, quale la automobile, non destinato per sua natura all'offesa. Nel caso di fuga, bisogna verificare, quindi, se non sono stati travalicati i limiti normali di uso dell'autoveicolo ovvero se sono state attuate manovre dirette ad ostacolare l'attività di persone non incombente minaccia alla loro incolumità" (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 4761 del 27/1 1/1989 Ud. (dep. 03/04/1990) Rv. 183914 - 01). Ebbene, nel caso di specie possono certo dirsi travalicati i limiti normali di uso di autoveicolo, avendo l'imputato impresso accelerazione allo stesso quando la persona offesa aveva già aperto lo sportello anteriore destro e stava accingendosi a rientrare nel possesso della borsa. Anche nel caso di specie sussistono entrambe le aggravanti di cui all'art. 628 co. 3 nn. 3-bis e 3-quinquies, avendo l'imputato realizzato la condotta nel cortile condominiale e ai danni di una donna ottantacinquenne; anche la G. era invero presente in udienza, e aveva delle fattezze fisiche e motorie assolutamente coerenti con la propria età anagrafica. Quanto all'aggravante di cui all'art.628 co.3 n.3-bis c.p., si intendono richiamate le argomentazioni sopra esposte circa la nozione di privata dimora, che ricomprende certamente anche il cortile condominiale. Sono, infine, da ritenersi pienamente provati i reati di lesione contestati all'imputato ai capi 2) e 4), come emerge sia dalle dichiarazioni delle persone offese che dai referti agli atti. A seguito della condotta violenta agita dall'imputato, Pa.An. riportava invero contusioni alla spalla sinistra e ad entrambe le ginocchia (cfr. referto PS del 31.7.2023). La persona offesa G.S., invece, a seguito dell'episodio del 5 agosto 2023, si recava in Pronto Soccorso, posto che, a seguito della caduta a terra, si procurava una contusione alla spalla sinistra e delle ferite ad entrambe le mani, lesioni riscontrate dal referto in atti (cfr. referto PS del 6.8.2023). I delitti possono ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione sia perché commessi nel medesimo contesto spazio-temporale sia perché è ragionevole presumere, stante le analoghe modalità impiegate nell'azione predatoria, che l'imputato si fosse già rappresentato, al momento della deliberazione dell'originario proposito furtivo, di realizzarne ulteriori. E' possibile concedere all'imputato le circostanze attenuanti generiche in considerazione del pentimento mostrato nel corso delle spontanee dichiarazioni rese innanzi al Collegio, della condotta processuale tenuta - stante il consenso prestato dalla difesa all'acquisizione del fascicolo delle indagini, con conseguente riduzione dei tempi del processo - ed infine della condizione soggettiva del B., avendo la difesa dimesso documentazione comprovante problemi di tossicodipendenza dell'imputato, a tal ragione seguito dal Servizio dipendenze area Isontina. Tali aggravanti vanno bilanciate in equivalente rispetto alla contestata recidiva. Invero, l'imputato è gravato da molteplici precedenti (recidiva reiterata) aventi ad oggetto principalmente reati contro il patrimonio, commessi anche con violenza (recidiva specifica), di alcuni dei quali ha altresì scontato la relativa pena (cfr. punti n.4 e 6). A tal ragione, oltreché correttamente contestata, la recidiva va anche applicata poiché la circostanza che il prevenuto abbia commesso il reato per cui si procede dopo aver già subito delle condanne ed aver scontato le conseguenze delle stesse, induce a ravvisare quella più accentuata pericolosità sociale e colpevolezza individuale del reo che valgono a giustificare l'operatività dell'aggravante, volta appunto a remunerare il maggiore disvalore soggettivo del delitto dal medesimo commesso. Non è ravvisabile, nel caso di specie, la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità - peraltro non richiesta dalla difesa - sia perché l'importo sottratto, perlomeno alla persona offesa Pa.An., non appare affatto modesto sia perché, come condivisibilmente sostenuto dalla Suprema Corte, non può ravvisarsi la circostanza in questione nel caso di asportazione del portafogli contenente i documenti identificativi e ciò in considerazione tanto del valore indeterminabile dei medesimi quanto dei pregiudizi connessi alle pratiche necessarie per la loro duplicazione cfr., sul punto, Cass., Sez. IV, 21 settembre 2021, n. 37795 (dep. 21/10/2021) Rv. 281952 - 02: "in caso di furto di un portafogli contenente bancomat e documenti di identità non è applicabile la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, in considerazione del valore non determinabile, o comunque di non speciale tenuità, del documento, che non si esaurisce nello stampato, nonché degli ulteriori effetti pregiudizievoli subiti dalla persona offesa, quali le pratiche relative alla duplicazione dei documenti sottratti"). All'accertamento della responsabilità dell'imputato consegue l'irrogazione di una pena che, valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., deve essere determinata nella misura di anni 9 mesi 4 di reclusione ed Euro 3.600,00 di multa. La pena irrogata costituisce, almeno con riferimento alla componente detentiva, la sanzione minima applicabile all'imputato in relazione ai reati dal medesimo commessi ed è stata individuata nei termini che seguono: - pena base per il più grave reato di rapina propria di cui al capo 1 ) di imputazione, anni 7 di reclusione ed Euro 2.700,00 di multa. Ed invero, a mente dell'art.628 co.4 "Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo. ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sette a venti anni, e della multa da Euro 2.500 euro a Euro 4.000". Nel caso di specie si verte proprio in tale ipotesi, concorrendo le circostanza aggravanti di cui all'art.628 co.3 n.3-bis e 3-quinquies, le quali non sono assoggettabili al giudizio di bilanciamento con le riconosciute attenuanti generiche in forza del comma 4 della stessa disposizione incriminatrice, che recita "Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti". Sul punto vanno poi richiamate le coordinate ermeneutiche rese dalla sentenza della Corte di Cassazione, nella sua massima composizione, in forza delle quali "Le circostanze attenuanti che concorrono sia con circostanze aggravanti soggette a giudizio di comparazione ai sensi dell'art. 69 cod. pen. che con circostanza che invece non lo ammette in modo assoluto, devono essere previamente sottoposte a tale giudizio e, se sono ritenute equivalenti, si applica la pena che sarebbe inflitta - per il reato aggravato da circostanza "privilegiata" - se non ricorresse alcuna di dette circostanze" (cfr. SU 42414/2021). In ragione dell'applicazione di tale principio, le circostanze attenuanti generiche sono state ritenute equivalenti alla contestata recidiva e la pena base è stata calcolata partendo dalla pena minima prevista per il reato aggravato dalle circostanze privilegiate; - aumenti ex art.81 co.2 c.p.: anni 2 mesi 4 di reclusione ed Euro 900,00 di multa. Detto incremento corrisponde, almeno con riferimento alla pena detentiva, al minimo aumento irrogabile al prevenuto per la continuazione con i delitti di cui ai capi 2), 3) e 4). L'imputato risulta infatti recidivo reiterato, sicché l'incremento minimo per la continuazione va individuato, a norma dell'art. 81, co. 4, c.p., nella misura di 1/3 della pena irrogata per il reato base (per la riferibilità del limite minimo di 1/3 all'aumento complessivo per la continuazione e non a quello applicato per ciascuno dei reati satellite, si veda Cass., sez. II, 26 novembre 2010, n. 44366), essendo irrilevante in parte qua che le circostanze attenuanti generiche siano state riconosciute equivalenti alla recidiva medesima ( "in tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall'art. 81, comma quarto, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti". Cfr. Sez. U, Sentenza n. 31669 del 23/06/2016 Ud. (dep. 21/07/2016) Rv. 267044 - 01).Tale aumento di pena è coerente anche con il limite di cui all'art. 81, co. 3, c.p. poiché, qualora fosse stato riconosciuto il concorso materiale tra tutti i delitti contestati, sarebbe stata applicata, per i reati di cui ai capi 1) e 3), una sanzione complessiva di certo superiore, posto che per entrambi i capi la pena base sarebbe stata per ciascuno - in ragione delle circostanze aggravanti privilegiate - di anni 7 di reclusione e che a un tanto si sarebbero aggiunti gli aumenti per i due reati di lesione. Considerata la maggiore gravità del delitto di rapina impropria, il citato aumento è stato ripartito imputando la pena di anni 2 di reclusione al reato di cui all'art. 628 co.2 c.p. e di mesi 2 a ciascuno dei due delitti di lesioni. La pena pecuniaria, che deve essere incrementata anche qualora i reati satellite non la contemplino (cfr. Cass., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 40983), è stata invece irrogata nella misura di Euro 600,00 per il capo 3) ed Euro 150,00 per i capi 2) e 4). L'irrogazione di una pena per il reato principale non inferiore ad anni cinque di reclusione importa la condanna alla pena accessoria dell'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici. Consegue infine per legge la condanna al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare. Va infine disposta la restituzione dei beni sottoposti a sequestro (di cui al verbale di perquisizione e sequestro del 19 agosto 2023); in particolare va disposta la restituzione del denaro alle due persone offese, in misura di cui al dispositivo nonché la restituzione di quanto altro in sequestro all'imputato. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ba.Se. responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica, e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, tenuto conto dell'aumento per 1'aggravante privilegiata di cui all'art. 628 c. 3 nn. 3 bis e 3 quinquies c.p., unificati i fatti nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni 9 e mesi 4 di reclusione ed Euro 3.600,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare. Visto l'art. 29 c.p., dichiara l'imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Visto l'art. 262 c.p.p. dispone il dissequestro del denaro e la restituzione di Euro 35,00 a G.S. e della restante parte a Pa.An.; dispone il dissequestro e la restituzione all'imputato di quanto altro in sequestro. Visto l'art. 304 c.p.p., dispone la sospensione del termine di cui all'art. 303 c.p.p. durante la pendenza del termine per il deposito della motivazione. Motivazione in giorni 45. Così deciso in Gorizia l'1 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 13.2.2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: De.Na., nata a M. l'(...), con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Pe.An., difensore di fiducia Libera assente imputata vedasi foglio allegato IMPUTATA a) per il delitto di cui agli artt. 643, 61 n. 7 c.p. perché, allo scopo di procurarsene il profitto, abusando dello stato di infermità e di deficienza psichica del marito Di.Se. - conseguente alla sua condizione di progressiva non autosufficienza ed alla concomitante presenza di un quadro di progressivo deterioramento cognitivo, di uno stato depressivo e di episodi di confusione mentale - tale da limitarne la capacità di intendere e di volere indebolendo il suo potere di critica e volitivo tanto da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione, in data 25.7.2018 induceva Di.Se. a sottoscrivere l'atto che la nominava sua procuratrice speciale affinché, in nome e per conto del mandante, ella alienasse anche a se stessa e per il prezzo che ella avrebbe ritenuto più conveniente la quota spettante a Di.Se. pari ad un mezzo dell'intero compendio immobiliare sito in M. (G.), via F. n. 3, immobile di cui De.Na. era già comproprietaria, atto sottoscritto all'interno della camera dell'ospedale di M. (G.) ove Di. si trovava ricoverato fin dal 25.6.2018. Atto dal quale è derivato per Di.Se. e per i suoi eredi universali un effetto dannoso, in quanto in data 8.8.2018 De.Na. stipulava con se stessa acquistando tale quota pari ad un mezzo dell'intera proprietà per il prezzo di Euro 27.000, che pagava in data 7.8.2018 mediante un bonifico addebitato sul c/c (...) a lei intestato ed accreditato sul c/c (...) cointestato a D. e Di. con le modalità di cui al capo b), per poi alienare la nuda proprietà dell'immobile alla propria figlia M.M. riservandosi il diritto di usufrutto. Con l'aggravante dell'avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Monfalcone (GO), 25.7.2018 b) per il delitto di cui agli artt. 81 c. 2, 646, 61 n. 7 c.p. perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, quale cointestataria insieme a Di.Se. del c/c (...) acceso presso la B.N.L. filiale di M. (G.), per procurarsene il profitto ed in particolare allo scopo di creare la provvista utilizzata per l'acquisto della quota pari ad un mezzo del compendio immobiliare sito in M. (G.), via F. n. 3, si appropriava delle seguenti somme di denaro: - in data 28.6.2018 (tre giorni dopo il ricovero in ospedale di Di.Se.) effettuava un bonifico di Euro 9.000 verso il c/c (...) a lei intestato ed acceso allo scopo in data 27.6.2018; - in data 2.8.2018 effettuava un bonifico di Euro 10.000 verso il c/c (...) a lei intestato ed acceso allo scopo in data 27.6.2018; - in data 10.8.2018 effettuava un bonifico di Euro 20.000 verso il c/c (...) a lei intestato ed acceso allo scopo in data 27.6.2018; - tra il 3.7.2018 ed il 16.8.2018 effettuava plurimi prelevamenti in contanti presso lo sportello bancomat della B.N.L. filiale di M. (G.) a mezzo della carta n. (...) per un importo totale di Euro 6.000. Con l'aggravante dell'avere cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità. Monfalcone (GO), tra il 28.6.2018 ed il 16.8.2018 e nei confronti di: Di.Se., nato a M. (G.) l'(...), e Di.F., nato a M. (G.) il 10.5.2001, domiciliati ex lege presso lo studio dell'avv. Coppo Paolo, del Foro di Gorizia, che li rappresenta e difende per delega in calce all'atto di costituzione Parti civili Con l'intervento del Pubblico Ministero dott. Brizzi Gianluca, V.P.O. del., dell'avv. Co.Pa., difensore delle le parti civili, e dell'avv. Pe.An., difensore di fiducia dell'imputata. SVOLEGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto ritualmente notificato, De.Na. è stata rinviata a giudizio per rispondere dei reati ascrittile in rubrica. All'udienza del 12.10.2021, dichiarata l'assenza dell'imputata, sono state ammesse le prove richieste dalle parti, come da ordinanza a verbale. All'udienza del 21.6.2022, sono stati escussi Sa.Al. e Di.Se.; sono state altresì acquisite, ex art. 512 c.p.p., la querela sporta da Di.Ro. nonché, col consenso delle parti, l'annotazione a firma dell'operante Ci.Vi.. All'udienza del 25.10.2022, è stato escusso il consulente del p.m. To.Ma.. All'udienza del 14.2.2023, sono stati escussi Di.F. e To.Ma.. All'udienza del 30.5.2023, è stato escusso Ma.Co. e la difesa dell'imputata ha rinunciato a tutti i propri testi residui. All'udienza del 14.11.2023 e con successive repliche all'udienza del 13.2.2024, le parti hanno illustrato le rispettive conclusioni, come riportate in epigrafe. MOTIVI DELLA DECISIONE A De.Na. sono imputati i reati di cui agli artt. 643 e 646 c.p., commessi ai danni del marito Di.Se. e dei figli di quest'ultimo, ossia Di.Ro. e Di.Se., nati dal precedente matrimonio di Di.Se.. In particolare, alla prevenuta viene contestato, al capo a) di rubrica, di aver abusato dello stato di deficienza psico-fisica del marito Di.Se. e di averlo così indotto a firmare una procura speciale in proprio favore e a danno del marito e dei suoi eredi universali; al capo b), viene contestato all'imputata di aver effettuato plurimi prelievi indebiti dal conto corrente cointestato a lei e al marito. Trattasi di reati contro il patrimonio, in relazione ai quali l'art. 649 comma 1 c.p. prevede una speciale causa di non punibilità, qualora i fatti siano commessi in danno del coniuge o di un affine in linea retta. Ora, pacifico che Di.Se. fosse coniuge dell'imputata al momento dei fatti, deve altresì ritenersi che i suoi figli, ossia Di.Ro. e Di.Se., fossero affini in linea retta dell'imputata medesima. Invero, ai sensi dell'art. 74 c.c., la parentela è il "vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite; ai sensi dell'art. 75 c.c., sono parenti in linea retta le persone di cui una discende dall'altra ; infine, ai sensi dell'art. 78 comma 1 c.c., l'affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge e, ai sensi del successivo comma 2, nella linea e 'nel grado in cui taluno è parente d'uno dei coniugi, egli è affine dell 'altro coniuge. Ai sensi combinato disposto delle citate disposizioni normative, può dunque affermarsi che i figli di Di.Se., in quanto suoi parenti in linea retta, all'epoca dei fatti erano altresì affini, in linea retta, dell'odierna imputata De.Na., moglie di Di.Se.. Con la conseguenza, che deve ritenersi applicabile a quest'ultima la speciale esimente di cui all'art. 649 comma 1 c.p. La conclusione è confortata da quanto statuito dalla giurisprudenza di nomofilachia, secondo cui, nel caso in cui uno dei coniugi abbia un figlio nato da precedente matrimonio, ai fini dell'operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 649, comma primo, n. 2, seconda ipotesi, il figlio del coniuge è affine in linea retta dell'altro coniuge (Sez. 2, Sentenza n. 24643 del 21/03/2012 Ud., dep. 21/06/2012, Rv. 252831 - 01; massime precedenti conformi: N. 13694 del 2005 Rv. 231051 - 01, N. 16023 del 2005 Rv. 231785 - 01, N. 18273 del 2011 Rv. 250083 - 01, N. 24643 del 2012 Rv. 252833 - 01). Non può ritenersi che l'esimente in parola sia esclusa, nel caso di specie, in forza del comma 3 dell'art. 649 c.p., che ne elide l'operatività in caso di fatti commessi "con violenza alle persone". Senz'altro non è emersa in istruttoria alcuna forma di violenza fisica posta in essere dall'imputata ai danni del marito; invero - contrariamente all'ipotesi formulata dalla parte civile, secondo cui non si potrebbe comunque escludere che De.Na. avesse fisicamente forzato il marito, nel momento di apposizione della firma al rilascio della procura speciale - deve darsi atto che in dibattimento non è emersa simile possibilità, atteso che la procura speciale era stata siglata da Di.Se. avanti al notaio Ma.Co.. Non può peraltro sottacersi come, nell' imputazione in esame, non venga contestata, a De.Na., alcuna forma di violenza fisica, sicché la stessa non può nemmeno essere presa in considerazione, pena la violazione del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, sancito dall'art. 521 c.p.p. Né può ritenersi che l'operatività dell'esimente di cui all'art. 649 c.p. sia esclusa in quanto ravvisabile, nel caso di specie, una condotta di violenza psichica dell'imputata nei confronti del coniuge. Va innanzitutto chiarito, in punto di stretto diritto, che la violenza psichica esula dal concetto di "violenza alle persone", di cui al citato comma 3 dell'art. 649 c.p. Invero, secondo l'orientamento maggioritario e più recente della giurisprudenza di legittimità, la minaccia o la mera violenza psichica non escludono la configurabilità della causa di non punibilità in quanto la clausola derogatoria prevista dall'art. 649, comma terzo, cod. pen., opera solo quando il fatto sia commesso con violenza fisica (Sez. 2 -, Sentenza n. 22930 del 09/03/2023 Ud., dep. 25/05/2023, Rv. 284533 - 01; conformi: N. 32354 del 2013 Rv. 255982 - 01; N. 13694 del 2005 Rv. 231051 - 01, N. 16023 del 2005 Rv. 231785 - 01, N. 18273 del 2011 Rv. 250083 - 01, N. 24643 del 2012 Rv. 252833 - 01). Non appare condivisibile l'orientamento minoritario, per il quale nella nozione di "violenza alle persone", di cui all'ultima parte dell'art. 649 c.p., comma 3, rientrerebbe anche la violenza morale (Cass, pen., sez. 6, 18 dicembre 2007, n. 19299/2008, Rv. 240500; Cass. 4 luglio 2008, n. 35528, Rv. 241512; Sez. 2 , Sentenza n. 18997 del 27/04/2021 Cc., dep. 14/05/2021, Rv. 281231 - 01). Deve infatti osservarsi che tutte le fattispecie criminose a cui si riferisce la causa di non punibilità si connotano per l'equiparazione della violenza alla minaccia. Il legislatore mostra dunque inequivocabilmente di distinguere la valenza della violenza fisica e della violenza morale o psichica quale possibile elemento costitutivo di reati contro il patrimonio; la loro contemporanea menzione, ai fini dell'integrazione della materialità dei delitti di cui agli artt. 628, 629 e 630 rivelerebbe allora, accogliendo l'orientamento non condiviso, meramente tautologica, piuttosto che - come è necessario ritenere - descrittiva di due condotte ben distinte, la cui distinzione assume necessariamente rilievo anche ai fini dell'interpretazione dell'art. 649 c.p., comma 3, ult. parte (cfr., in questi termini, già Cass., 24643 del 21/03/2012, cit). In ogni caso, anche a voler prescindere dall'orientamento maggioritario e favor rei, deve evidenziarsi che l'istruttoria non ha dato prova certa, oltre ogni ragionevole dubbio, della sussistenza di condotte di violenza morale, da parte dell'imputata nei confronti del marito. Ciò vale ictu oculi per le condotte di appropriazione indebita, contestate all'imputata al capo b) di rubrica, per aver effettuato plurimi prelievi e bonifici, in proprio favore, dal conto corrente (...). Invero, in quanto cointestataria di questo conto, l'imputata aveva effettuato simili prelievi in piena autonomia, essendo legittimata ad operare sul conto medesimo: non è quindi ravvisabile una qualche forma di violenza nei confronti di Di.Se., in nessun modo coinvolto nelle operazioni bancarie suddette. Quanto all'ipotesi delittuosa contestata all'imputata ai sensi dell'art. 643 c.p., deve premettersi che la fattispecie normativa richiede, accanto all'abuso dello stato d'infermità o di deficienza psichica del soggetto passivo, l'induzione di tale soggetto a compiere un atto giuridico, che può essere intesa come un'attività apprezzabile di pressione morale, di suggestione o di persuasione, cioè di spinta psicologica nei confronti del soggetto passivo a compiere un atto giuridico (tra le tante, cfr. Cass., 28.10.1994 n. 1195; cfr. altresì Cass., Sez. Un., 15 dicembre 1973, n. 1669, cfr., da ultimo Cass., sez. II, 26 marzo 2018 n. 2834). Ora, nel caso di specie non v'è dubbio in ordine alla deficienza psichica di Di.Se., attesi gli esiti della consulenza del dott. Sa.Al. - ivi da intendersi integralmente richiamata per evitare inutili ripetizioni o parafrasi - e atteso che non è richiesto dalla norma che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione (cfr. Cass., Sez. II, 20.12.2013, n. 3209). Per tale motivo, non costituisce smentita alle conclusioni del dottor S. la deposizione del notaio Ma.Co. - secondo cui l'anziano era lucido, al momento della stipula dell'atto - trattandosi, peraltro, di testimonianza intrinsecamente poco attendibile a cagione della superficialità del giudizio espresso, trattandosi di giudizio implicante valutazioni mediche, quindi non di competenza notarile. Ciò detto, può altresì riconoscersi che l'imputata avesse operato nei confronti del coniuge un'attività di persuasione o quanto meno di spinta psicologica, visto che questi aveva firmato l'atto su un letto di ospedale, in stato di malattia fisica e mentale e a pochi giorni dalla morte. Tuttavia - venendo al cuore del problema, ossia alla verifica della sussistenza di fatti commessi mediante violenza psichica - deve ribadirsi che l'istruttoria non ha certamente fornito elementi probatori in ordine alla condotta minacciosa, intimidatoria o moralmente coartante della prevenuta, ossia ad un quid pluris rispetto al mero abuso della condizione di deficienza psichica del marito, da un lato, e alla mera persuasione o spinta psicologica nei suoi confronti, dall'altro. E indubbio che il marito avesse firmato la procura speciale, ma è dubbio il tipo di condotta concreta posto in essere l'imputata a tale fine, non essendo stata raccolta alcuna prova - nemmeno in forza delle deposizioni testimoniali delle parti civili, ad hoc escusse in questo dibattimento - in punto di atteggiamenti minatori o moralmente costrittori da parte della prevenuta. Innanzi a questo dubbio, non si può nemmen parlare di violenza, pena il rischio di confondere l'effetto della condotta (ossia il nocumento della libertà morale del soggetto) con la condotta medesima (ossia l'azione moralmente violenta del soggetto), unico elemento preso in considerazione dal comma 3 dell'art. 649 c.p. E, tornando all'esegesi di tale norma, per chiudere il cerchio delle argomentazioni, è proprio la struttura normativa del comma 3 dell'art. 649 c.p. - nel momento in cui pone quale limite, all'operatività dell'esimente, ogni fatto "commesso con violenza alle persone" - che dimostra come, in ogni caso, debba guardarsi solo alle modalità della condotta e non alle conseguenze della stessa. Se così non fosse, al legislatore sarebbe bastato includere l'art. 643 c.p. nel novero dei reati di cui al comma 3, prima parte dell'art. 649 c.p., cosa che invece non ha fatto. Può quindi senz'altro concludersi che, nel caso in esame, non trovi applicazione il limite, previsto al comma 3 dell'art. 649 c.p., all'operatività dell'esimente concessa dal comma 1 dell'art. 649 c.p. Per quanto di eventuale rilievo in sede civilistica, i fatti in esame non sono pertanto passibili di sanzione penale, essendo l'imputata non punibile ai sensi dell'art. 649 c. 1 c.p. Motivazione riservata ex art. 544, c. 2 c.p.p. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p. assolve De.Na. dai reati ascrittile in rubrica, per essere l'imputata non punibile ai sensi dell'art. 649 c.p. Motivazione in giorni 15. Così deciso in Gorizia il 13 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice COPPARI Marcello, alla pubblica udienza del 13.12.2023 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Br.Ve., nata a N. il (...), con domicilio eletto presso lo studio del proprio difensore di fiducia, Avv. DE.Ca. del Foro di Napoli; libera, assente; imputata dei reati di cui al foglio allegato. P.O.: Br.Se., nata a S. D. del F. (U.) il (...). Con l'intervento del P.M. GU.Ma., V.P.O. del., e dell'Avv. MA.Pa. del Foro di Gorizia, sostituto del difensore di fiducia dell'imputata, DE.Ca. del Foro di Napoli. MOTIVI DELLA DECISIONE Br.Ve., nata a N. il (...), è stata citata nel presente processo, per rispondere dei reati di cui agli artt. 640 e 476 c.p., come descritti nei rispettivi capi d'imputazione, nei confronti di Br.Se., nata a S. D. del F. (U.) il (...), la quale non si è costituita parte civile, pur validamente raggiunta dall'avviso della pendenza del presente processo. L'imputata - anch'essa resa edotta, in modo regolare ed effettivo dell'odierno giudizio, mediante notifica presso il domicilio dalla stessa eletto presso il proprio difensore di fiducia, Avv. DE PASCALE Carlo del Foro di Napoli, -, ma non comparsa all'udienza del 14.7.2021 - è stata dichiarata assente, non avendo addotto alcun legittimo impedimento, né risultando, nel frattempo, detenuta. All'udienza del: I) 12.4.2023, fissata a seguito di rinvii determinati dalia duplice mancata comparizione della P.O., di cui è stata, pertanto, disposto l'accompagnamento coattivo, è stata esaminata quest'ultima, la quale ha rimesso la querela, mediante apposita dichiarazione in calce al verbale della predetta udienza; II) 13.9.2023: 1) è stato esaminato C.S., nato ad A. il (...), in servizio, all'epoca del fatto per cui è qui processo, presso la G.d.F. di Gorizia, il quale, autorizzato alla consultazione di propri appunti e premesso di aver verificato, se fosse genuino, o meno, il contratto di accettazione per l'accesso ad un F.S.E. (F.) concesso alla P.O. di cui all'imputazione, ha. fra l'altro, riferito che: - a) pur riportando il predetto atto la data del 2017, uno dei suoi sottoscrittori risultava deceduto nel 2013, mentre l'altro era andato in pensione, nel 2015 e non era mai stato dirigente dell'Ufficio della regione Camoania che ha readtto l'atto di cui sopra (verb. fonoregistraz., pagg. 4 e 5); - b) il contratto in esame non fu poi ritenuto genuino, anche perché emesso dalla Regione Campania, invece che dalla società da quest'ultima partecipata, la quale di regola provvedeva al suddetto incombente, e non corrispondendo ad alcun atto o provvedimento assunto dalla Regione, oltre al fatto che il bando era scaduto già nel 2014 e che(verb. fonoregistraz., pagg. 5 e 6); 2) è stato esaminato P.L., nato a V. il (...), in servizio, all'epoca del fatto per cui è qui processo, presso la C.C. di Gradisca d'Isonzo (GO), il quale pur confermando quanto sopra, ha riferito di non aver svolto autonoma attività d'indagine (verb. fonoregistraz., pagg. 7 e 8); 3) è stato esaminato R.C., nato a N. il (...), il quale, premesso di essere impiegato presso un'impresa, per conto della quale venne in contatto con la A.C., essendo quest'ultima cliente della prima, quale locataria, non ha saputo riferire in ordine a circostanze rilevanti ai fini del decidere 4) sentite le parti, è stata acquisita la seguente documentazione: - a) contratto di incarico lavorativo a favore dell'A.C. sottoscritto dalla P.O.; - b) contratto di accettazione per cui è qui processo; II) 06.12.2023, fissata a seguito di rinvio determinato dal legittimo impedimento del difensore dell'imputata: dichiarata chiusa la fase istruttoria, in quanto sufficientemente svolta, previa acquisizione della documentazione prodotta dal P.M. alla scorsa udienza e della memoria difensiva, all'esito della discussione, le parti hanno concluso come sopra riportato in epigrafe; III) 13.12.2023, fissata per eventuali repliche, è stata, quindi, emessa sentenza, con lettura del dispositivo e riserva di deposito della motivazione in gg. 70, stante la sussistenza nella fattispecie dei presupposti di cui all'art.544, co. III. c.p.p., in ragione della gravosità del ruolo della predetta udienza, tenuto conto, da un lato, del numero e della natura degli incombenti processuali da svolgersi, e, dall'altro, del grado di articolazione ed impegno delle questioni giuridiche da decidersi. Orbene, da un lato, va emessa sentenza di non doversi procedere per il reato di cui al capo a), dall'altro. Br.Ve. va assolta dal reato di cui al capo b), nei termini e per i motivi di seguito esposti. Invero, con riguardo al reato di cui al capo a), occorre, preliminarmente, rilevarsi che: 1) con dichiarazione sottoscritta a verbale, è stata rimessa dalla P.O. la querela dalla medesima proposta nei confronti dell'odierna imputata; - b) il difensore dell'imputata, munito, a tal fine di procura speciale, ha dichiarato di accettare la suddetta remissione di querela con dichiarazione sottoscritta a verbale. Orbene, l'avvenuta regolare remissione della querela sporta dalla predetta P.O. nei confronti dell'imputata, da questi, altrettanto, regolarmente accettata, comporta che non si debba procedere nei confronti di quest'ultima per il reato alla medesima ascritto al capo a) dell'imputazione, in quanto estinto per intervenuta remissione della predetta querela. Questo perché: 1) da un lato, il reato di cui all'imputazione è procedibile a querela, trattandosi di delitto contestato a norma dell'art. 640, co. I, c.p.; 2) dall'altro, non sono emersi, nell'ambito dell'istruttoria svolta nel corso del presente processo, fatti procedibili d'ufficio. In difetto di fattori ostativi emergenti dall'accordo delle parti del presente processo, le spese di quest'ultimo vanno poste, come per legge, a carico dell'imputata. In secondo luogo, con riguardo al reato di falso di cui al capo b) d'imputazione, come correttamente osservato ed argomentato da parte della difesa ed alla stregua di quanto emergente dall'esame delle risultanze degli atti legittimamente utilizzabili per la decisione - quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali sopra richiamate e la documentazione acquisita - non è dato evincersi, oltre ogni ragionevole dubbio, la prova della colpevolezza di Br.Ve. già sotto il profilo della materialità della condotta criminosa ascritta. Preliminarmente, occorre osservare che con la disposizione di cui all'art. 482 c.p., il legislatore ha inteso estendere ai privati la punibilità di quelle condotte che compromettono la fiducia dei consociati nei riguardi degli atti pubblici, specificatamente in ordine alla garanzia di veridicità. Trattasi, invero, di reato comune, i cui elementi strutturali sono i medesimi di quelli previsti dall'art. 476 c.p. Orbene, al di là del rilievo per cui il delitto di falso di cui si discute è stato contestato all'imputata, per il solo fatto di essere la legale rappresentante dell'impresa che ha presentato la richiesta di micro-credito a nome dell'odierna P.O., senza altro accertamento, dal punto di vista dell'autore del suddetto delitto, va, innanzitutto, considerato che la fattispecie criminosa assume a proprio oggetto il "contratto di accettazione richiesta microcredito", prodotto in copia dal P.M. sub doc. (...)). In relazione a tale atto deve evidenziarsi, con valore dirimente rispetto ad ogni altra questione processuale e sostanziale, che, non risulta positivamente accertato che: 1) in primo luogo, la copia del documento prodotto corrisponda all'originale dello stesso, mancando ogni attestazione di ciò e difettando il compimento di verifiche al riguardo, anche in sede di attività di P.G. delegata; 2) in secondo luogo, l'atto, di cui si contesta la non genuinità, rientri fra quelli aventi effetti giuridici rilevanti ai fini dell'applicazione della normativa sanzionatoria di cui al combinato disposto degli artt. 476 e 482 c.p. In effetti, sotto il primo profilo, si osserva che, già dal suo esame ictu oculi, risulta evidente che il contratto di cui si discute è una copia non autenticata del documento oggetto di imputazione e non in grado di assumere l'apparenza del documento originale, così che, come tale, non è in grado di costituire idoneo elemento di riscontro a favore dell'ipotesi accusatoria (Cass. pen. n. 35814/2019). Peraltro, sotto il secondo profilo, va considerato che detta copia si riferisce ad un contratto di accettazione", cioè ad un atto che, per la propria qualificazione ed in ragione del concreto contenuto, esula da quelli tutelati dalle norme in discussione, non conformandosi al principio giurisprudenziale, per cui l'atto, di cui si contesta la falsità, al di là del proprio nomen juris, deve, pur sempre, avere "attitudine ad assumere rilevanza giuridica e/o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione" (Cass. pen. n. 15901/2021), caratteristiche e finalità che, invero, non solo non sono state provate, ma risultano, anzi, smentite dagli elementi riscontrati e sopra esposti. In effetti, va, in proposito, evidenziato che il predetto atto - privo di qualsiasi intestazione ufficiale relativa, in primis, all'ente pubblico emittente, salvo un numero di repertorio -, è caratterizzato, per un verso, da errori ortografici e di lay-out che evidenziano grande e grave grossolanità, dall'altro, da una redazione assolutamente disordinata e non conforme all'ordinaria struttura degli atti emanati dalla P.A., anche per la procedura del tutto anomala ivi seguita, laddove, dopo una premessa del tutto generale sull'"Ente Nazione per il Microcredito", estesa per varie facciate, nell'ultima pagina: 1) si dà atto che: - a) è presente il "Direttore Generale per la sezione finanziaria della Regione Campania", in persona di tale "B.R.", "autorizzato alla stipula del presente atto in virtù del combinato disposto delle deliberazioni della Giunta Regionale", mai richiamate, salvo poi che a firmare è altra persona tale "A.F."; - b) "La regione Campania dopo aver preso visione e analizzato il business plan n. 8645D, dichiara che: Il proggetto è conforme all'erogazione di Euro 35.000,00 (trentacinquemila/00) che verranno concretamente sul conto corrente bancario ad un mese dalla firma di questo atto"; 2) parte richiedente dichiara di accettare la somma così messale a disposizione dall'ente pubblico, su sua stessa precedente richiesta, mediante sottoscrizione del contratto di accettazione. in questione. Orbene, già dai predetti passaggi - da cui già si evince l'evidente difformità del "contratto di accettazione" da qualsiasi schema e stilema burocratico, stante l'assoluta confusione, disorganicità ed improprietà di termini e linguaggio - si ricava, altresì, come sia difficile comprendere la stessa finalità e natura dell'atto in esame, anche in termini di "contratto redatto in forma pubblica amministrativa" ai sensi dell'art. 16 R.D. n. 2440 del 1923. Infatti, non è neppure dato comprendersi il motivo per cui sarebbe stato optato per l'adozione dello schema contrattuale - peraltro, dal contenuto negoziale del tutto incomprensibile, posto che la valutazione di conformità del progetto di finanziamento non può riferirsi ad una somma di denaro, ma, semmai, alle norme di legge relative al possesso dei requisiti, alle modalità ed al perseguimento delle finalità previste per l'ottenimento del contributo pubblico -, allorché, a fronte della richiesta effettuata dall'odierna P.O., la P.A. avrebbe potuto rispondere con proprio provvedimento di accoglimento o rigetto della stessa. Ne risulta che non sia qui applicabile quanto previsto in tema di falso, il quale qui non si configura già per i motivi anzidetti. Non può, quindi, ritenersi provato che sussistono nel caso concreto gli elementi costitutivi in base ai quali si sarebbe perfezionato il reato contestato a Br.Ve., non essendo stato provata l'avvenuta alterazione di un documento originale della Regione Campania, avente una qualche ed effettiva rilevanza giuridica, non valendo il contratto di diritto privato prodotto in atti a supportare la tesi accusatoria, a fronte delle suddette considerazioni, di fatto e di diritto. Pertanto, già in ragione di quanto fin qui evidenziato in fatto e considerato in diritto, deve concludersi che Br.Ve. va assolta ai sensi dell'art. 530, co. II, cod. proc. pen., perché il fatto alla medesima ascritto non sussiste, non essendosi formata nel corso dell'istruttoria dibattimentale, per quanto si è detto, idonea ed adeguata prova, ai fini della dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della propria colpevolezza in ordine alla fattispecie di cui all'art.482 cod. pen., così come contestatale, già sotto il profilo dell'elemento oggettivo di detta fattispecie. P.Q.M. visto l'art. 129 c.p.p.; DICHIARA non doversi procedere nei confronti di Br.Ve., in atti generalizzata, per il reato di cui al capo a) d'imputazione, in quanto estinto per remissione della querela; spese come per legge; visto l'art. 530 c.p.p.; ASSOLVE la predetta dal reato a lei ascritto al capo b) d'imputazione, perché il fatto non sussiste. Motivi in gg. 70. Così deciso in Gorizia il 13 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2024.

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