Sentenze recenti Tribunale Gorizia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Gorizia Sezione Unica CIVILE Il Giudice, dott.ssa Laura Di Lauro, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 165/2021 R.Gen.Aff.Cont., assegnata in decisione all'udienza del 2/02/2023, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. TRA (...) (c.f.: (...)) ed (...), elett.te dom.ti in Portici (NA), alla Via (...) presso lo studio dell'Avv. (...), che li rappresenta e difende in virtù di procura in atti; - OPPONENTI E CONDOMINIO (...) (c.f.: (...)), sito in Gorizia, alla via (...), in persona dell'amministratore p.t., elett.te dom.to in Gorizia, alla VIA (...) presso lo studio dell'Avv. (...), dal quale è rappresentato e difeso, in virtù di procura in atti. - OPPOSTO Oggetto: Opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. 422/2020. Conclusioni: all'udienza del 2/02/2023, sostituita dal deposito di note scritte, il difensore degli opponenti ha così concluso: "L'Avv. (...), nell'interesse degli opponenti, conclude riportandosi all'atto introduttivo e a tutti i propri scritti difensivi. Impugna tutto quanto ex adverso richiesto, dedotto ed eccepito e ne chiede il rigetto poiché infondato in fatto e diritto". Il difensore del condominio opposto ha così concluso: "In via preliminare: Dichiarare l'inammissibilità della memoria istruttoria e dei documenti ad essa allegati, depositata dagli attori-opponenti il 17/2/2022, in quanto depositata oltre i termini di cui all'art. 183, VI° comma, c.p.c. Nel merito, in via principale: Contrariis reiectis, accertata e dichiarata l'assoluta infondatezza, in fatto e in diritto, dell'avversa opposizione, per i motivi esposti in atti, accertato l'avvenuto pagamento in corso di causa di quanto ingiunto con il decreto ingiuntivo opposto (competenze e spese liquidate comprese), rigettare integralmente la stessa opposizione e dichiarare la cessazione della materia del contendere, con la conseguente contemporanea dichiarazione di soccombenza virtuale dei signori (...). Nel merito, in via subordinata: Contrariis reiectis, accertare e dichiarare che i signori (...), nato il 28/1/1978 a Castellammare di Stabia (NA), C.F. (...), residente in 80057 Sant'Antonio Abate (NA), via (...), e (...), nata il 18/3/1979 a Torre del Greco (NA), C.F. (...), residente in 80057 Sant'Antonio Abate (NA), via (...), sono debitori, nei confronti del CONDOMINIO "(...)", C.F. (...), sito in Gorizia, via (...), in persona dell'amministratore condominiale pro tempore, (...) s.r.l., P IVA (...), con sede in Cividale del Friuli (UD), in persona del legale rappresentante pro tempore, dell'importo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all'esito del presente giudizio e, per l'effetto, condannare i signori (...), nato il 28/1/1978 a Castellammare di Stabia (NA), C.F. (...), residente in 80057 Sant'Antonio Abate (NA), via (...), e (...), nata il 18/3/1979 a Torre del Greco (NA), C.F. (...), residente in 80057 Sant'Antonio Abate (NA), via (...), a pagare al CONDOMINIO (...), la somma di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, ovvero di quella maggiore o minore che risulterà di giustizia all'esito del presente giudizio. In ogni caso: Spese, diritti ed onorari interamente rifusi, comprese quelle attinenti la fase monitoria e la fase di mediazione. Con la condanna dei signori (...) e (...) ai sensi dell'art. 96 c.p.c.". MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 10.11.2020, il Condominio "(...)", sito in Gorizia, alla via (...), in persona dell'amministratore p.t., ha adito il Tribunale di Gorizia, chiedendo l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di (...) ed (...), per l'importo complessivo di Euro 9.831,36, con gli interessi legali dalla scadenza al saldo, per spese condominiali straordinarie non pagate alla scadenza del 15/10/2020. Avverso il decreto ingiuntivo n. 422/2020, emesso dal Tribunale di Gorizia il 19.11.2020, hanno proposto opposizione (...) ed (...), eccependo, da un lato, il difetto di legittimazione attiva del condominio, per aver uno dei condomini provveduto a versare l'intera quota delle spese straordinarie di loro spettanza, e, dall'altro, l'omessa approvazione del bilancio (esercizio dal 1/10/2019 al 31/12/2020), del relativo piano di riparto e del prospetto delle rate, posti a fondamento della domanda monitoria. Si è costituito nel presente giudizio il Condominio "(...)", il quale ha chiesto, in via principale, il rigetto dell'opposizione, con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, e in subordine la condanna degli opponenti, in solido, al pagamento dell'importo di Euro 9.831,36 o la diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali dalla scadenza al saldo, nonché la condanna di (...) ed (...) ex art. 96 c.p.c. Ciò posto, si rileva che nel corso del presente giudizio di opposizione gli opponenti hanno provveduto all'integrale pagamento della somma di Euro 11.430,13, comprensivo della sorte capitale, interessi e spese legali, ivi comprese quelle relative all'atto di precetto (v. l'estratto conto depositato il 29.11.2021), sicché va dichiarata la cessazione della materia del contendere e il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. 422/2020 va revocato, alla luce dell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "Il pagamento della somma ingiunta comporta che il giudice dell'opposizione, revocato il decreto ingiuntivo, debba regolare le spese processuali, anche per la fase monitoria, secondo il principio della soccombenza virtuale, valutando la fondatezza dei motivi di opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto" (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8428 del 10/04/2014). Residua, dunque, la sola decisione sulla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. proposta dal condominio opposto e sul governo delle spese processuali, da compiersi alla stregua della cosiddetta soccombenza virtuale. Orbene, l'opposizione non risulta fondata. Il condominio ha, infatti, fornito adeguata dimostrazione del proprio credito, depositando il verbale dell'assemblea del 29.7.2019, del 10.10.2019 e del 30.9.2020 (doc. 3, 4 e 7 di parte opposta), da cui emerge l'approvazione, all'unanimità, sia dei lavori di straordinaria manutenzione del lastrico solare e della ripartizione delle spese, in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, che l'incremento del fondo costituito. Si rileva, peraltro, che gli opponenti hanno riconosciuto di essere debitori dell'importo di Euro 4.548,18, dovuto per spese straordinarie approvate dall'assemblea il 10.10.2019 (v. doc. 6 e 8 di parte opposta). Non può, inoltre, essere accolta l'eccezione degli opponenti di difetto di legittimazione del Condominio ad agire per il recupero delle spese condominiali anticipate da altro condomino. Ai sensi dell'art. 1130 c.c. e 63 disp. att. c.c., l'amministratore del condominio è, infatti, munito di legittimazione all'azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, pertanto, la circostanza che i condomini in regola con i pagamenti abbiano dovuto anticipare le quote non versate dai condomini morosi fa sorgere un'obbligazione di restituzione in capo al condominio. In altri termini, nessun rapporto si instaura, in tale evenienza, tra i condomini adempienti e quelli morosi e all'amministratore del condominio, in ragione dell'ufficio privato conferitogli con la nomina, ha il potere dovere di attivarsi per il recupero delle quote non versate. In ordine alla domanda di condanna ex art. 96 c.p.c., vale rammentare che la responsabilità aggravata discende da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta e, precisamente, per quanto riguarda il primo comma dell'articolo 96 c.p.c., dall'avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il terzo comma dello stesso articolo, dall'aver abusato dello strumento processuale. Nel caso di specie, si ritiene che non sussistano i presupposti per la condanna ai sensi dell'art. 96 c. 1 c.p.c., in mancanza di prova sia dell'ai che del quantum del danno, considerato che, in applicazione dell'art. 63 disp. att. c.c., è stata concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, confermata nel corso del giudizio di opposizione, a seguito del rigetto dell'istanza ex art. 649 c.p.c. Tantomeno può essere accolta la domanda di condanna ai sensi del successivo comma 3, tenuto conto del comportamento processuale degli opponenti, i quali hanno dato prova di aver provveduto al pagamento delle somme ingiunte nel corso della prima udienza, valutato, unitamente al comportamento processuale del Condominio opposto, che ha ritenuto di non accettare la proposta formulata dal mediatore (v. verbale di mediazione negativo depositato il 29.11.2021 dagli opponenti). In considerazione dell'esito complessivo del giudizio e del comportamento processuale delle parti, tanto in sede di mediazione quanto nel corso del presente giudizio di opposizione, le spese di lite vanno compensate per la metà, ponendo la restante metà, a carico degli opponenti in solido, che sono liquidate, complessivamente, ivi compresa la mediazione, come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 55/2014, come modificati dal D.M. 147/2022. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, Sezione Unica civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando così provvede: 1) dichiara la cessazione della materia del contendere; 2) revoca il decreto ingiuntivo del Tribunale di Gorizia n. 422/2020; 3) rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c.; 4) compensa tra le parti le spese di lite al 50% e condanna (...) ed (...), in solido, al pagamento della restante metà, in favore del Condominio opposto, in persona dell'amministratore p.t., che sono liquidate in Euro 122,00 per esborsi ed Euro 4.060,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%. Così deciso in Gorizia, il 29 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GORIZIA Riunito in Camera di Consiglio e composto dai seguenti Magistrati: 1) dott. Riccardo Merluzzi Presidente 2) dott.ssa Francesca Clocchiatti Giudice relatore 3) dott.ssa Laura Di Lauro Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta a ruolo con il n. 788/2020, promossa da (...), ricorrente, con l'avv. (...), contro (...), resistente, con l'avv. (...) - con l'intervento del Pubblico Ministero avente ad oggetto: scioglimento del matrimonio CONCLUSIONI DELLE PARTI: Parte attrice: nel merito: 1) pronunciare lo scioglimento del matrimonio tra i sig. (...) contratto a Monfalcone il giorno(...) 2) stabilire che il sig. (...), versi a titolo di assegno divorzile per il mantenimento della moglie l'importo di Euro 400,00 mensili, o la maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; spese di lite rifuse, attesa l'opposizione avversaria in via istruttoria: 1) ammettersi tutte le prove richieste nella memoria del 27 maggio 2021 ed in quella di replica di data 16.06.21. Parte convenuta: Nel merito: Disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione. Voglia l'ili.mo Tribunale adito, per i motivi esposti in narrativa: - Rigettare la domanda della ricorrente volta ad ottenere un assegno divorzile dell'importo di euro 400,00 mensili a carico del sig. (...) - Accertare e dichiarare che i coniugi sono economicamente autosufficienti, che non sussistono i presupposti per la previsione di un assegno di divorzio a favore della sig.ra (...) che le parti non hanno nulla da pretendere uno dall'altra sotto il profilo economico, con efficacia dalla data della presentazione della domanda di divorzio; - In via subordinata, nella denegatissima e non creduta ipotesi in cui l'Ill.mo Tribunale adito ritenga dovuto un assegno divorzile in favore della sig.ra contenere l'importo dello stesso nel limite massimo di euro 100,00 mensili, con efficacia dalla data di presentazione della domanda di divorzio; - Per l'effetto condannare la sig.ra (...) a restituire al sig. (...) tutti gli importi percepiti in eccedenza dalla data di presentazione della domanda di divorzio e sino alla definizione del presente giudizio; - Spese di lite rifuse o quantomeno compensate. In via istruttoria Si insiste per l'ammissione e l'accoglimento delle istanze istruttorie formulate con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. del 03.06.2022 e con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 3 c.p.c. del 23.06.2022. Si chiede che l'Ill.mo Giudice Voglia concedere i termini per il deposito di memorie conclusionali e di replica. Come disposto dal Giudice Istruttore con il verbale di udienza dd. 09.02.2022, si deposita, in allegato alla presente, la dichiarazione dei redditi riferita all'anno 2020 per il sig. (...) essendo già agli atti le dichiarazioni relative agli anni 2019 e 2018. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I) Con ricorso datato 29.08.2020 la sig.ra (...) avviava il procedimento per lo scioglimento del matrimonio contratto con il sig. (...) chiedendo che venisse disposto un assegno divorzile in suo favore dell'importo di euro 400,00 mensili. Con decreto presidenziale del 01.10.2020 veniva fissata l'udienza di comparizione delle parti per il 19.11.2020. Con memoria difensiva c di costituzione del 28.10.2020 si costituiva ritualmente in giudizio il sig. (...), il quale richiedeva il rigetto della domanda della ricorrente volta ad ottenere un assegno divorzile. L'udienza presidenziale si celebrava regolarmente e, attesa l'impossibilità di giungere a conciliazione, veniva nominato il G.I. e rinviata la causa per il giorno 12.02.2021, udienza che veniva rinviata d'ufficio al 17.02.2021. Tale udienza si svolgeva con trattazione scritta mediante scambio di brevi note, in seno alla quale le parti chiedevano concordemente la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. e parte resistente chiedeva venisse pronunciata sentenza non definitiva sullo scioglimento del matrimonio; il G.I., quindi, rimetteva la causa al Collegio per la decisione. In data 08.03.2021 veniva pubblicata la sentenza con la quale si dichiarava lo scioglimento del matrimonio celebrato tra le parti e con separata ordinanza venivano concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. con rinvio della causa al 08.07.2021 per la decisione sulle istanze istruttorie. L'udienza dell'08.07.2021 veniva rinviata d'ufficio al 15.07.2021 e ne veniva disposta la trattazione scritta mediante deposito di note scritte. All'udienza del 15.07.2021 il G.I. rinviava la causa al 21.10.2021 per l'interrogatorio libero delle parti e il tentativo di conciliazione, udienza che, per impedimento a comparire della sig.ra (...), veniva rinviata al 16.12.2021. In data 16.12.2021, quindi, le parti comparivano personalmente avanti al Giudice Istruttore e, dopo ampia discussione, veniva fissata nuova udienza di comparizione delle parti per il 09.02.2022 e disposto che il resistente depositasse la documentazione inerente la rendita INAIL percepita. All'udienza del 09.02.2022 il Giudice, ritenendo la causa matura per la decisione, fissava l'ulteriore udienza del 18.05.2022 per la precisazione delle conclusioni, all'esito della quale, venivano assegnati i termini di cui all'art. 190 c.p.c. e veniva rimessa la causa al Collegio per la decisione. II) Come noto, le Sezioni Unite della Suprema Corte con arresto dell'11.7.2018 n. 18287 sono intervenute ridefinendo i presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile in favore del coniuge economicamente più debole. Nello specifico, i giudici di legittimità, superando tanto il vecchio e consolidato orientamento riconducibile a Cass. SU 1149/1990 (giudizio di adeguatezza riferito al tenore di vita), quanto quello espresso da Cass. civ. n. 11504/2017 (giudizio di adeguatezza riferito all'autosufficienza economica), hanno affermato :" Posto che l'assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principi di eguaglianza e di solidarietà di cui agli art. 2 e 29 cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella detenni nativa (quantum debeatur), il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora ne risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 5, comma 6, prima parte, 1. n. 898 del 1970, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato". Quindi il giudice dovrà, in primo luogo, porre a confronto le situazioni economico-patrimoniali di ciascun coniuge e verificare se, a seguito del divorzio, sussista una situazione di rilevante squilibrio. Nel caso che non sia ravvisabile alcuna disparità economico patrimoniale, ovvero questa non sia rilevante o sia rilevante ma entrambi i coniugi vivano in una situazione di agiatezza o, all'opposto, di ristrettezza economica, nessun assegno sarà dovuto. Laddove invece emerga una situazione di squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi, si dovrà svolgere un'ulteriore verifica per accertare se detto squilibrio sia eziologicamente riconducibile a determinazioni comuni e a scelte di moli endofamiliari condivisi nel corso della vita coniugale. Si dovrà quindi accertare se la sperequazione reddituale sia riconducibile a scelte concordate di vita dei coniugi per effetto delle quali un coniuge abbia sacrificato le proprie aspettative professionali (e dunque reddituali) per dedicarsi alla famiglia, ovvero si sia fatto maggior carico dei compiti relativi alla vita familiari, così consentendo all'altro di realizzare le sue aspirazioni professionali, massimizzando la propria capacità reddituale. Qualora detto nesso causale venga allegato e provato da parte del coniuge che vanta il diritto al mantenimento, l'assegno divorzile dovrà assolvere a una funzione preminentemente perequativa - compensativa; esso sarà parametrato alla misura del contributo che il coniuge debole abbia dimostrato di avere fornito alla conduzione della vita familiare, tenuto conto della durata del matrimonio e delle prospettive di recupero delle aspettative professionali e della capacità reddituale. Nel caso in cui, invece non venga allegata e/o dimostrata dal coniuge istante l'esistenza del già detto nesso causale, nessun mantenimento potrà essere riconosciuto, salvo il caso in cui egli non disponga "di mezzi adeguati" e sia nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive (art. 5 co. 6 L 898/1907) potendosi riconoscere, in quest'ultima ipotesi, all'assegno divorzile in funzione assistenziale. I giudici di legittimità hanno chiarito che la nozione di "mezzi adeguati" va intesa né come semplice sopravvivenza, né come livello eccedente la normalità, bensì, proprio alla luce della funzione anche assistenziale dell'assegno divorzile, come sussistenza di mezzi tali da garantire al coniuge debole l'indipendenza economica e una vita dignitosa (Cass. 21234/2019). Come da giurisprudenza consolidata, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell'assegno divorzile ma non anche - salvo casi eccezionali in cui non si sia realizzata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi - sul riconoscimento dell'assegno (Cass. civ. n. 6164/2015). Con riferimento, poi, all'indicazione della situazione patrimoniale ed economica dei coniugi si osserva che in caso di separazione, ai fini della valutazione delle capacità economiche del coniuge obbligato al mantenimento nei confronti dell'altro, devono considerarsi tutte le utilità di cui questi dispone, compresa la rendita per inabilità permanente corrispostagli dall'INAIL, la quale, pur essendo un bene personale, concorre con gli altri redditi e col patrimonio a determinare la sua situazione complessiva. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 9718 del 23.4.2010. Secondo la Cassazione, infatti, il carattere risarcitorio, oltre che assistenziale, della rendita Inail, non esclude la sua computabilità ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento disposto in sede di separazione a favore del coniuge. Ciò perché detta rendita comporta pur sempre una disponibilità volta a far fronte alle esigenze di vita del beneficiario ed in definitiva anche della famiglia, con la conseguenza che di essa deve tenersi conto in caso di separazione ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento. L'esposto principio, già affermato dalla medesima Corte di Cassazione in relazione alla pensione di guerra (Cass. 788/99) ed alla pensione sociale (Cass. 1203/ 06), va ribadito anche per la rendita Inail per la quale, sotto il particolare profilo in questione, non v'è motivo per discostarsene. Una tale conclusione trova sostanziale riscontro del resto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 572 del 22 dicembre 1989 la quale, nell'equiparare ai fini della pignorabilità la pensione Inps con la rendita Inail, ha affermato che entrambe, attesa la loro natura previdenziale, non esauriscono i loro effetti nei confronti dell'assicurato ma sono finalizzate anche al sostentamento della famiglia a garanzia dei diritti che l'art. 29 della Costituzione intende tutelare. E non vi è motivo per non applicare tali principi con riferimento all'assegno divorzile. Conseguentemente, valutata la situazione economico-patrimoniale delle parti si deve rilevare che dagli atti di causa e dai documenti allegati, emerge che il sig. (...) può disporre di un reddito pensionistico mensile medio pari ad Euro 1.279,25. oltre alla pensione di inabilità erogata dall'Inail pari ad Euro 501,29. La sig.ra (...), invece, dispone di un reddito pensionistico medio mensile pari ad Euro 675,25 ed entrambi i coniugi hanno percepito la somma di Euro 40.000,00 ciascuno quale corrispettivo per la vendita dell'abitazione familiare, che il sig. (...) ha reinvestito per l'acquisto di altro immobile, mentre la sig.ra (...) non ha utilizzato continuando ad abitare in un immobile in locazione. Appare quindi evidente che la situazione patrimoniale è la medesima, diversamente da quella reddituale che presenta un sensibile squilibrio. Si dovrà pertanto valutare se detto squilibrio sia eziologicamente riconducibile a determinazioni comuni e a scelte di ruoli endofamiliari condivisi nel corso della vita coniugale. Sul punto la difesa della sig.ra ha dedotto che la diversità del reddito pensionistico è dipesa dal sacrificio delle proprie aspettative professionali essendosi dedicata alla famiglia e un tanto, seppur avversato da controparte, appare compatibile con l'attività svolta dal sig. (...) che lo costringeva ad allontanarsi dalla famiglia per mesi, in alcune occasioni, ovvero per l'intera settimana, salvo in alcuni periodi poter fare rientro ogni sera. Pertanto, considerato che dall'unione matrimoniale sono nate due figlie, e che le parti non hanno dedotto di essere stati aiutati da soggetti terzi nella cura della prole, pare verosimile che l'educazione e la custodia delle figlie sia stata adempiuta per la maggior parte del tempo dalla sig.ra (...) dovendosi quindi presumere che la madre abbia effettivamente sacrificato a tale scopo la propria vita professionale. Infine, si ricorda che la differenza di presupposti tra l'assegno divorzile e quello di separazione, ha trovato definitiva conferma anche di recente, essendosi ribadito che per quest'ultimo emolumento il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio trova giustificazione nella permanenza del vincolo coniugale, non riscontrabile nel caso dell'assegno divorzile il quale, a differenza dell'assegno di mantenimento, presuppone l'intervenuto scioglimento del matrimonio (Cass. n. 13408/2022; Cass. n. 20858/2021; Cass. n. 5605/2020). Per quanto sopra il Collegio ritiene congruo determinare l'assegno divorzile in Euro 200,00 mensili, da versarsi anticipatamente entro il giorno 5 di ogni mese, somma rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat. Considerato, infine, clic la sig.ra (...) aveva chiesto che l'assegno divorzile fosse determinato in Euro 400,00, ed attesa quindi la parziale soccombenza di parte attrice, le spese di lite vengono compensate per la quota di un terzo (1/3) e sono liquidate come in dispositivo secondo l'effettivo scaglione di pertinenza della lite. PQM Il Tribunale di Gorizia, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe nel contraddittorio delle parti e con l'intervento del P.M. presso il Tribunale, così provvede: - dispone che il sig. (...) versi alla sig.ra (...) a titolo di assegno divorzile la somma pari ad Euro 200,00 mensili, da versarsi anticipatamente entro il giorno 5 di ogni mese, somma rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat. - condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice due terzi (2/3) delle spese di lite che si liquidano in Euro 3.200,00 per compensi, oltre Iva, epa e spese generali come per legge. Così deciso in Gorizia nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GORIZIA Il Giudice Monocratico - Sezione del Lavoro in persona del dott. Gabriele Allieri ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa r.g. n. 136/2022 promossa da: (...), rappresentato e difeso, in forza di procura depositata telematicamente, dall'avv. Ot.Ro., presso il cui studio è elettivamente domiciliato ricorrente CONTRO Comune di Cormons, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura depositata telematicamente, dall'avv. Fr.De., presso il cui studio è elettivamente domiciliato resistente dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 429 c. 1 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato il 13 aprile 2022, (...), dipendente del Comune di Cormons dall'01.08.1988 con qualifica di Commissario di Polizia locale, categoria (...), posizione economica PLB4 del CCRL Comparto unico enti locali F.V.G., ha convenuto in giudizio l'ente per sentire dichiarare l'illegittimità della sua esclusione dalla graduatoria relativa alla progressione orizzontale del personale comunale per l'anno 2021, con conseguente condanna del Comune, previo ricalcolo della graduatoria, a riconoscergli il diritto alla progressione orizzontale predetta e a pagargli le relative differenze retributive asseritamente maturate. 2. Costituitosi in giudizio, il Comune di Cormons ha chiesto il rigetto della domanda perché infondata. 3. Istruita documentalmente, la causa è stata discussa dai difensori delle parti che si sono riportati alle rispettive conclusioni. 4. Così ricostruito l'iter processuale, va osservato che sono pacifiche tra le parti la sussistenza del rapporto di lavoro, l'anzianità di servizio del ricorrente e la circostanza che questi sia stato colpito da sanzione disciplinare conservativa (multa) il 19.11.2019. E' parimenti pacifico il fatto che il Comune di Cormons abbia proceduto alle attività prodromiche alla progressione orizzontali dei suoi dipendenti per il 2021 e che essa ha avuto effetto dal 01.01.2021; non è controverso che la relativa procedura si sia conclusa allorché è stata adottata la graduatoria, approvata in un primo tempo il 09.12.2021 e, dopo l'introduzione di correzioni, il successivo 21.02.2022 cfr. doc. 1, 3 ricorrente e 4 resistente. È tuttavia controverso tra le parti il diritto di (...) a vedere considerata la sua figura tra gli aspiranti alla progressione - affermata dal ricorrente ma negata dal Comune - in ragione di una divergente interpretazione dell'art. 1 del Contratto collettivo decentrato integrativo deputato a governare la procedura, e segnatamente del relativo comma 4, in base al quale "non partecipano alle selezioni coloro i quali abbiano subito l'irrogazione di una sanzione disciplinare superiore al richiamo scritto nei 24 mesi antecedenti la formazione della graduatoria...". 4.1 Infatti, il ricorrente sostiene che il dies a quo da cui calcolare a ritroso i 24 mesi per verificare che la mancanza di precedenti disciplinari rilevanti coincida con il momento di "approvazione" della graduatoria, da intendersi come sinonimo della sua "formazione". Così valorizzato il tenore letterale della norma, e considerato che tra la data della sanzione comminatagli e quella di approvazione della graduatoria è trascorso il biennio, egli ha affermato la mancanza dei presupposti per la sua esclusione. 4.2 Per converso, il Comune ha dedotto che il dies a quo vada identificato con il momento a partire dal quale l'esito della procedura ha prodotto i propri effetti, a nulla rilevando il fatto dell'"approvazione" della graduatoria, in tesi nient'affatto coincidente con la sua "formazione", posto che così opinando, oltre a fornirsi un'interpretazione della norma inidonea ad apprezzare il complessivo iter forgiato, si finirebbe per ancorare il dato temporale d'interesse non ad un momento certo, bensì variabile ed arbitrario, ossia quello in cui il Comune conclude le operazioni necessarie. 5. Ciò posto, la prospettazione del ricorrente non coglie nel segno perché fondata su un'interpretazione meramente letterale della disposizione applicabile che finisce per trascurare, ponendola nel nulla, la fattispecie a formazione progressiva da essa prevista. 5.1 L'art. 1 del Contratto collettivo, dedicato alla selezione dei dipendenti, stabilisce al comma 2 che "le selezioni vengono svolte con riferimento al contingente del personale in servizio...al 1 gennaio dell'anno in cui si producono gli effetti economici". Dopo aver precisato al comma 3 i requisiti d'anzianità, anche con riguardo alla categoria d'appartenenza, la norma al comma 4 stabilisce, come detto, che "non partecipano alle selezioni coloro i quali abbiano subito l'irrogazione di una sanzione disciplinare superiore al richiamo scritto nei 24 mesi antecedenti la formazione della graduatoria...". 5.2 La nozione di "formazione" della graduatoria non coincide dunque con il suo atto terminale, ossia la sua "approvazione" finale, bensì con l'insieme delle attività necessarie per elaborarla, vale a dire la selezione della platea di possibili destinatari della progressione, la valutazione individuale e comparata delle loro posizioni, la loro classificazione ordinata nella graduatoria e, infine, la sua approvazione. Ciò si evince in modo nitido dal fatto che ciò che la norma preclude al dipendente precedentemente sanzionato non è la (successiva) valorizzazione della posizione in graduatoria, che implicherebbe la sua considerazione al momento della selezione, bensì la stessa possibilità di essere selezionato tra gli aspiranti. Infatti, i soggetti che versino in tale condizione, come (...), "non partecipano alle selezioni". 5.3 Del resto, se si opinasse nel senso proposto dal ricorrente, e dunque si facesse riferimento alla formazione (recte, approvazione) della graduatoria, la disposizione si presenterebbe del tutto eccentrica rispetto al canone d'economicità dell'azione amministrativa, visto che il selettore dovrebbe considerare anche i dipendenti che, in quel momento, non potrebbero essere selezionati perché destinatari di una sanzione, salvo verificare se, nel frattempo, e in particolare al momento della formazione (recte, approvazione) della graduatoria, il biennio sia trascorso e la loro posizione possa ritenersi "risorta". Con la precisazione, correttamente formulata anche dal Comune resistente, che in tal caso si finirebbe per ancorare il calcolo del biennio ad un dato del tutto incerto (il momento dell'approvazione della graduatoria), esponendo la procedura anche a dubbi in ordine alla sua trasparenza ed imparzialità in ragione della rilevanza che potrebbe assumere la "scelta" del momento d'approvazione. Ne deriva che il tenore della norma, da interpretarsi non sulla base di un mero criterio letterale ma alla luce di un criterio sistematico, smentisce gli assunti del ricorrente. 5.4 Essi sono del resto infondati anche riflettendo sulla ratio della preclusione che lo riguarda, ossia quella di escludere dalla progressione prevista per un certo anno coloro che nel biennio anteriore abbiano riportato sanzioni d'una certa gravità. Invero, posto che il beneficio economico, a prescindere dal momento in cui è stato avviato e concluso l'iter, è destinato a produrre effetto dal 01.01.2021, lo scopo della norma è coerente con l'individuazione di quest'ultima data quale dies a quo, non potendosi per converso accreditare una tesi secondo cui il ricorrente, sanzionato nel novembre 2019, ossia ampiamente entro il biennio, abbia diritto a godere dei benefici economici accordati a partire da un momento collocato entro il biennio medesimo. 5.5 Per le ragioni che precedono il ricorso va dunque respinto. 6. La peculiarità della questione interpretativa coinvolta, derivante anche dal lessico poco nitido impiegato dall'impianto normativo di riferimento, giustifica la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio. Così deciso in Gorizia il 6 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

  • TRIBUNALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca DE MITRI alla pubblica udienza del 18 marzo 2022 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: T.F., nato a C. (G.), il (...), ivi residente, in Via G., nr. 42. Libero, presente. imputato (vedi foglio successivo) IMPUTATO Per il delitto di cui all'art. 591 c.p. perché, nella sua qualità di amministratore di sostegno nominato con decreto del Giudice Tutelare presso ii Tribunale di Gorizia di data 9.2.2015 e dunque titolare della posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale di T.V. secondo quanto espressamente stabilito dal decreto di nomina (si veda il punto b di pag. 3), abbandonava T.V. (nato il (...)) rendendosi inadempiente ai propri doveri di cura e di assistenza, cosi esponendo il beneficiario a situazioni di pericolo per la propria vita ed incolumità individuale. In particolare, T.F. ometteva di esercitare qualsivoglia attività di cura e di assistenza di T.V. e si rendeva irreperibile quando gli operatori del Servizio sociale competente per territorio tentavano di contattarlo; in conseguenza di tali omissioni T.V. era costretto a sopravvivere in condizioni abitative ed igieniche gravemente compromesse, in quanto in più occasioni veniva visto girovagare per strada da solo e senza assistenza di alcuno, pernottava presso panchine o sportelli bancomat del centro di ... (GO), in più occasioni si presentava presso la Casa comunale di ... (GO) in condizioni igieniche precarie e in un'occasione, in data 14.10.2016, si sporgeva dal balcone al primo piano dell'edificio comunale e si impossessava della bandiera italiana, esponendosi al concreto pericolo di vita. In ... (G), dal 9.2.2015 fino al novembre 2016 Con l'intervento del Pubblico Ministero: dott.ssa L. SANTAGIULIANA, VPO del., e dell'avv. D. PANICO, difensore di fiducia dell'imputato. Svolgimento del processo Con decreto che dispone il giudizio ritualmente notificato F.T. veniva tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Gorizia per rispondere del reato ascrittogli in rubrica. All'udienza del 18.11.2019, dichiarata l'assenza dell'imputato, venivano ammesse le prove richieste dalle parti. L'udienza del 28.09.2020 veniva rinviata dal Giudice onorario e all'udienza del 09.04.2021, dato atto del mutamento del giudice persona fisica, venivano sentiti i testi A.P., P.C., E.B., nonché acquisita la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero. All'udienza del 02.07.2021 l'istruttoria proseguiva con l'escussione dei testi L.P., E.P. e K.B. e con l'acquisizione di ulteriore documentazione al fascicolo del dibattimento. Il 17.12.2021 venivano sentiti i testi della difesa S.M.. M.M., F.C. e C.S. e depositati documenti dalla difesa. All'udienza del 15.03.2022 l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni e, acquisita ulteriore documentazione prodotta dalla difesa, veniva dichiarata formalmente chiusa l'istruttoria. Indi il Giudice invitava le parti a rassegnare le proprie conclusioni, udite le quali, pronunciava sentenza dando lettura del dispositivo. Motivi della decisione All'esito dell'istruttoria dibattimentale svolta, si ritiene non provata la responsabilità penale dell'odierno imputato per il fatto ascrittogli. Si impone, pertanto, una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste. Con decreto del Giudice Tutelare del Tribunale di Gorizia del 09.02.2015. F.T. veniva nominato amministratore di sostegno dello zio, V.T. (d'ora in poi solo "V." per non confonderlo con l'imputato), nato nel 1927 e già in carico al C.S.M. di competenza, venendo riconosciuta una situazione di grave indigenza di quest'ultimo e di sua non autosufficienza nello svolgimento delle attività della vita quotidiana (si veda il decreto di nomina prodotto dal Pubblico Ministero all'udienza del 09.04.2021). Le testimonianze raccolte in dibattimento convergono nel descrivere la situazione di forte disagio personale, indigenza e di radicale rottura rispetto alle reti sociali in cui versava V. all'epoca dei fatti. Già in sede di audizione dell'amministrando, come si legge nel decreto di nomina dell'A.d.S., V. appariva "trascurato nell'aspetto...in atteggiamento diffidente e conflittuale" e dichiarava che l'unica sua volontà era quella di tornare a casa e di poter essere libero. V. viene unanimemente descritto dai testimoni escussi come un uomo gravemente trascurato nell'aspetto, maleodorante, refrattario a qualsiasi tipo di aiuto a livello sociale e personale, molto testardo, spesso aggressivo, intrattabile. La situazione iniziò a degenerare nel 2014, dunque prima della nomina dell'odierno imputato come A.d.S., quando con Ordinanza del Sindaco n. 5 del 23.07.2014, la casa di V., sita in via B. n. 10 a C. (G.), venne dichiarata inagibile per motivi igienico sanitari e ne venne ordinato lo sgombero. Restava salva la possibilità di ottenere un nuovo certificato di agibilità, previa esecuzione dei lavori necessari per il ripristino delle condizioni di sicurezza dell'immobile. Al signor V. venne quindi offerta ospitalità presso la casa di riposo comunale, ma, dopo la prima notte, V. uscì dalla struttura e non vi fece più ritorno. Da quel momento cominciò a vivere per le strade, vagando giorno e notte e facendo i suoi bisogni dove capitava. La situazione era tale che nel 2015, su ricorso del Pubblico Ministero, venne richiesta e ottenuta l'amministrazione di sostegno, alla quale il signor V. si manifestò da subito contrario. Per risolvere il problema abitativo fino alla ripristinata agibilità dell'appartamento di proprietà, vennero proposte più soluzioni da parte dei servizi sociali che vennero tutte rifiutate. A detta dell'assistente sociale E.P., le capacità economiche di V. erano tali che avrebbe potuto permettersi un'abitazione in affitto, cui si sarebbe accompagnato un servizio di assistenza domiciliare per i pasti, ma l'odierno imputato la ritenne una spesa inutile perché lo zio non ci avrebbe in ogni caso dormito. Infine, V. rifiutò categoricamente e ripetutamente di essere ricoverato in una casa di riposo. Tutti i testi sentiti sul punto hanno dichiarato che V. continuava a dire di voler rientrare a casa propria e non potendolo fare si era abituato alla condizione di homeless in giro per ... senza accettare alternative. Pressoché quotidianamente si presentava presso il Comune di., sin dall'orario di apertura degli uffici e stazionava lì, seduto nei corridoi, sulle scale o negli uffici. Per farlo uscire era necessaria una complicata e lunga opera di convincimento da parte di impiegati comunali e assistenti sociali che spesso aveva esito negativo, tanto da richiedere l'intervento dei Carabinieri. La presenza di V. era mal tollerata a causa del suo odore sgradevole e dell'atteggiamento talvolta molesto. Sul punto è stato sentito l'allora Sindaco di ..., L.P., il quale ha dichiarato che V. "rappresentava un problema"; "era proprio una persona mal ridotta mal sistemata che dormiva per le strade, purtroppo, se la faceva addosso, quindi anche quando entrava in un locale pubblico c'erano dei problemi, chiamavano il Comune.. la sua presenza ostacolava in qualche modo anche la normale attività degli uffici" (cfr. pag 4 trascrizioni udienza 02.07.2021). I testi P., P. e P. hanno ricostruito un particolare episodio accaduto in uno dei vari accessi al Comune di V., episodio cui fa anche riferimento il capo di imputazione. Precisamente il 14 ottobre 2016 V. vagava per il Comune indisturbato fino a quando giunto al primo piano aprì le finestre affacciate sulla piazza, dove sono appese le bandiere istituzionali, afferrò l'asta portabandiera estraendola dal sostegno e portandola all'interno degli uffici. Per togliergli dalle mani la bandiera e allontanare V. intervenne la Polizia locale. Come ricordato dai rispettivi esponenti. P. e C., plurimi furono gli interventi della Polizia locale e dei Carabinieri diretti ad allontanare V. da uffici pubblici o esercizi commerciali, dove lo stesso si intratteneva senza motivo e spesso importunando impiegati e utenti. Le condizioni personali e di salute di V. degenerarono progressivamente. Come si legge nel decreto del Giudice Tutelare del 11.11.2015, il dottor ...psichiatra del C.S.M., diagnosticò una patologia psicotica, con atteggiamento di rifiuto e di sospetto nei confronti di terzi "in particolare nei confronti del nipote A.d.S.". Prima ancora dell'intervento delle Forze dell'Ordine era richiesto l'ausilio dell'amministratore di sostegno. Le asserite difficoltà di mettersi in contatto con quest'ultimo da parte degli assistenti sociali, riportate in dibattimento dalle testi P. e B., sfociarono in segnalazioni al Tribunale e portarono infine alla rimozione dell'odierno imputato dall'ufficio di A.d.S., con decreto del Giudice Tutelare del 12.12.2016. e alla contestazione odierna. Ha dichiarato la P.: "-prima dei Carabinieri ho cercato il nipote, anche nella figura di nipote, non solo di amministratore di sostegno e alcune volte non l'ho trovato. Quindi ho segnalato spesso al Tribunale che il rapporto era difficoltoso: non era facilmente reperibile né via telefono né via mail e due perché le indicazioni che venivano date dal servizio spesso non venivano accolte. Si, era complessa la collaborazione con lui "... (cfr. pag. 15 trascrizioni dell'ud. 02.07.2021, nonché note a firma dalla P. acquisite agli atti all'udienza medesima). Nel tentativo di quantificare le volte in cui il T. non rispondeva alle telefonate degli assistenti sociali la teste P. ha precisato che saranno state circa una ventina le occasioni in cui si chiese il suo intervento per gestire la situazione ma solo in tre o cinque volte si presentò. Le altre volte non rispondeva alle chiamate oppure adduce va giustificazioni. Anche il Comandante C. ha confermato le difficoltà di mettersi in contatto con il T., pur sottolineando che quando riuscivano a contattarlo aveva un atteggiamento collaborativo (pag. 21 trascrizioni ud. 09.04.2021). Sul punto è stato sentito anche l'agente P., il quale, a differenza delle testimonianze sopra riportate, ha ribadito più volte di non aver mai avuto problemi a contattare il T.: "lui è quasi sempre intervenuto, dico quasi tranne una volta che se ben ricordo disse che aveva un impegno inderogabile di lavoro, perché svolgeva un'attività autonoma. (...) Devo dire la verità lui è intervenuto, ha cercato, si è adoperato, e qualche volta con successo dove noi non eravamo riusciti ad allontanare l'uomo dal Municipio, però dopo il problema si ripresentava a intermittenza no? ...Mi ricordo di aver letto anche che una volta chiamavano l'amministratore di sostegno i Carabinieri, non mi ricordo se di... o..., perfino la notte, e l'amministratore di sostegno venne anche in quell'occasione" (pag. 5 trascrizioni udienza 09.04.2021). Ha proseguilo il teste P.: "Si, si occupava. questo l'ho già detto l'ho visto io stesso diverse volte all'interno della sede municipale. Naturalmente si occupava nei limiti in cui poteva occuparsi di una persona fisica un amministratore di sostegno: cercava di convincere il parente ad allontanarsi, di non disturbare". E.B. è stata nominata A.d.S. di V. dopo la rimozione dall'ufficio dell'odierno imputato. Escussa in dibattimento in ordine alle condizioni e allo stile di vita di V. durante la sua amministrazione, la stessa ha descritto un quadro non troppo diverso da quello esistente durante la amministrazione del T.. La teste si è soffermata sulle condizioni dell'appartamento di V., nel quale il T. aveva fatto rifare l'impianto elettrico, i bagni e comprato dei mobili nuovi per la cucina, ma che era tenuto da V. in condizioni di igiene precarie (l'immondizia era sparsa per la casa, il parquet era rotto perché V. lo utilizzava per accendere il fuoco nonostante vi fossero dei termosifoni elettrici, cucinava a fuoco vivo così annerendo i muri della cucina ecc..). Nonostante l'appartamento ottenne un nuovo certificato di abitabilità, poi, V. era costantemente in giro per .... La teste assunse una signora che ogni giorno andasse a cercarlo in giro, nelle zone da lui abitualmente frequentate, ma dopo un mese e mezzo circa la licenziò perché V. non si faceva trovare. La situazione degenerò ulteriormente finché l'anziano venne ricoverato a Villa .. ...dove rimase fino al giorno in cui si spense. La B. ha descritto V. come un uomo molto colto, intelligente che tuttavia mal sopportava le costrizioni, voleva essere libero, diffidava dalle persone. Così ricostruito il quadro probatorio offerto dall'accusa, la difesa, dal canto suo, ha depositato copiosa documentazione attestante l'impegno impiegato dall'imputato nel suo ufficio di A.d.S., dalle relazioni indirizzate al Giudice Tutelare, al contratto di assistenza domiciliare firmato con i servizi sociali, alle fatture relative al servizio di pulizie dell'abitazione del T., ma soprattutto la documentazione relativa ai lavori fatti eseguire dal T. per restituire dignità, oltreché l'abitabilità, all'appartamento di proprietà di V., da semplici lavori edili, al rifacimento dell'impianto elettrico e termoidraulico (cfr. testimonianze M., C. e S.. udienza 17.12.2021). Dalla testimonianza della P. è peraltro emerso che il T. aveva stipulato un particolare accordo con il titolare del supermercato presso il quale V. si recava abitualmente per consentire allo zio di comprare quello che voleva senza pagare e poi avrebbe saldato i conti il T.. Veniamo quindi alla contestazione. F.T. è oggi imputato del reato di cui all'art. 591 c.p. perché, nella sua qualità di amministratore di sostegno e dunque titolare della posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del T.V., si rendeva inadempiente ai propri doveri di cura e assistenza, così esponendo il beneficiario a situazioni di pericolo. In particolare, secondo l'accusa, F.T. ometteva di esercitare qualsivoglia attività di cura e di assistenza di T.V. e si rendeva irreperibile quando gli operatori del Servizio sociale tentavano di contattarlo; in conseguenza di tali omissioni T.V. era costretto a sopravvivere in condizioni abitative ed igieniche gravemente compromesse, in quanto in più occasioni veniva visto girovagare per strada da solo e senza assistenza di alcuno, pernottava presso panchine o sportelli bancomat del centro di ..., in più occasioni si presentava presso la Casa comunale di ... in condizioni igieniche precarie e in un'occasione in data 14.10.2016 si sporgeva dal balcone al primo piano dell'edificio comunale e si impossessava della bandiera italiana, esponendosi al concreto pericolo di vita. Preliminarmente in diritto, non è in discussione il fatto che, nel caso di specie, il T. rivestisse una posizione di garanzia con riguardo all'incolumità individuale dell'amministrato: tra i compiti espressamente riconosciuti all'amministratore, infatti, è menzionato alla pag. 3 lett. b) del decreto di nomina quello di cura e assistenza del beneficiario (sulla necessità di una tale specificazione affinché l'A.d.S. possa rispondere del reato di cui all'art. 591 c.p. vedasi Cass. Sez. 5, n. 7974 del 19/10/2015, Rv. 265920). Si ritiene tuttavia che non vi siano state, da parte del T., carenze e omissioni sussumibili nel reato contestato. V., anziano e già con problemi di salute, è un uomo che venne sradicato dalla propria abitazione, dai propri affetti e dai propri ricordi, così sviluppando uno stile di vita fuori dagli schemi e dalle reti sociali, senza accettare l'aiuto di nessuno. Nemmeno la sinergia tra servizi sociali, sanitari e amministrativi riuscì a trovare soluzioni adatte ed efficaci per un miglioramento delle condizioni di vita di V.. Il fallimento dei plurimi tentativi fatti in tal senso non è in alcun modo addebitabile al T.. che si è oltretutto prodigato per sistemare l'appartamento dello zio e offrirgli, anche dal punto di vista assistenziale, tutto ciò di cui poteva aver bisogno, come emerge dalla documentazione depositata dalla difesa. Nonostante l'isolata deposizione del teste P., il quale ha dichiarato di essere sempre riuscito a contattare il T., anche a voler ritenere provata la difficoltà di reperire l'imputato quando era richiesto il suo ausilio per "gestire" V., tale difficoltà trova attendibile spiegazione nelle spontanee dichiarazioni dell'imputato, il quale ha ammesso di non essere potuto intervenire tutte le volte a causa della sua attività agricola, gestita in totale autonomia senza dipendenti (cfr. visura camerale depositata dalla difesa). In ogni caso, tali difficoltà di reperimento, potranno al più integrare delle negligenze tali da giustificare la rimozione dall'ufficio di A.d.S. del T., ma non sono certamente sufficienti a integrare la condotta di abbandono punita dalla fattispecie incriminatrice contestata. La situazione di V., aggravatasi con l'avanzare dell'età e con l'acuirsi della patologia psicotica di cui soffriva, era destinata a degenerare senza che un qualunque amministratore di sostegno, badante o assistente sociale potesse influire in maniera incisiva sul suo stile di vita. Lo ha confermato la deposizione della B., sotto la cui amministrazione di sostegno non vi furono sviluppi in positivo, nonostante la stessa avesse tentato di assumere una persona che andasse a cercare quotidianamente V. per le vie di .... Solo il definitivo ricovero dell'anziano in casa di riposo, soluzione più volte proposta e sempre rifiutata da V. stesso senza che l'odierno imputato potesse peraltro costringerlo ad accettare, pose fine al suo girovagare e, in breve tempo, anche alla sua vita. In conclusione, deve escludersi la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato. Non può che concludersi per una pronuncia di assoluzione nei confronti dell'odierno imputato perché il fatto non sussiste. Visto l'art. 544 comma 3 c.p.p., si riserva il deposito della motivazione in giorni 60. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE T.F. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata in giorni 60. Conclusione Così deciso in Gorizia, il 18 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GORIZIA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandro Longobardi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al N.R.G. 170/2019 promossa da (...) S.R.L. (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. Ca.Be. ATTRICE OPPONENTE contro (...) S.R.L. (C.F. (...)) in qualità di mandataria con rappresentanza di (...) S.R.L. (P.IVA e C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ma.Cl. CONVENUTA OPPOSTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione si adegua ai canoni previsti dagli artt. 132 comma secondo n. 4) cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., che prevedono una concisa esposizioni delle ragioni di fatto e di diritto, con possibilità di fondarsi su precedenti conformi e su una motivazione succinta. (...) S.r.l. ha proposto opposizione ex art. 615, comma 1, cod. proc. civ. avverso il precetto dd. 10 gennaio 2019 con cui (...) S.r.l., in qualità di mandataria con rappresentanza di (...) S.r.l., le ha intimato il pagamento di Euro 402.947,55 - oltre interessi di mora e spese - in forza del contratto di mutuo fondiario dd. (...) a rogito notaio dott. D.H. rep. (...) racc. (...) stipulato tra (...) S.p.a. e (...) S.r.l.. A fondamento della opposizione, l'attrice ha dedotto a) la carenza di legittimazione attiva in capo ad (...) S.r.l., in qualità di mandataria con rappresentanza di (...) S.r.l., per avere (...) S.p.a. ceduto il credito a (...) S.r.l., b) l'indeterminatezza/indeterminabilità del tasso base del mutuo in quanto parametrato all'EURIBOR, c) la presenza di due tassi diversi tra contratto e piano di ammortamento, d) il superamento del tasso soglia usura nell'accordo del 2012 (c.d. usura soggettiva), e) l'indicizzazione dei canoni e l'applicazione dell'Interest Rate Floor implicito, f) l'usurarietà del tasso di mora, g) il computo della commissione di estinzione anticipata ai fini dell'usurarietà, h) l'indicazione di un I.S.C. errato. (...) S.r.l., in qualità di mandataria con rappresentanza di (...) S.r.l., si è costituita in giudizio e ha chiesto il rigetto della domanda attorea deducendone l'infondatezza. Rigettata l'istanza per la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo e concessi i termini ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., la causa è stata istruita tramite C.T.U. contabile. Ritenuta la causa matura per la decisione è stata fissata udienza per la discussione orale e la decisione nelle forme di cui all'art. 281 sexies cod. proc. civ.. L'opposizione è infondata per le ragioni di seguito esposte e va, pertanto, rigettata. a) Sulla eccepita carenza di legittimazione attiva in capo al creditore procedente. Con il primo motivo di opposizione (...) S.r.l. ha eccepito la carenza di legittimazione attiva deducendo che il credito derivante dal contratto di mutuo oggetto della vertenza, di cui l'intimante assume essere titolare per effetto di cessione da parte della banca mutuante (...) S.p.a. in data 9 agosto 2017, è stato ceduto precedentemente a (...) S.r.l., come comunicato dalla stessa (...) S.p.a. in data 1 giugno 2010 (doc. 3 di parte attrice opponente). Va da subito precisato che, in assenza di chiara e specifica contestazione, deve ritenersi pacifico il fatto che (...) S.p.a. in data 9 agosto 2017 ha stipulato un atto di cessione avente ad oggetto il credito in esame in favore di (...) S.r.l.. È, invece, contestato il fatto che il suddetto credito fosse, in quel momento (ossia alla data del 9 agosto 2017), nella titolarità di (...) S.p.a., attesa la precedente cessione del medesimo credito in favore di (...) S.r.l.. Quanto sopra precisato si desume sia, come detto, dal tenore letterale delle contestazioni svolte dall'attrice sia dalle conseguenze paventate dalla stessa opponente (cfr. pag. 3 dell'atto di citazione "Ciò comporta che (...) non ne può essere titolare, e che la pretesa di (...) di incassare somme per conto di quest'ultima potrebbe esporre (...) srl al rischio di dover ripagare le stesse somme a (...) s.r.l."). Ciò premesso, l'eccezione deve ritenersi infondata. Ed invero, contrariamente a quanto dedotto da parte attrice opponente, il credito derivante dal contratto di mutuo oggetto di causa, sebbene sia stato ceduto in precedenza a (...) S.r.l., risulta essere stato successivamente riacquistato da (...) S.p.a., come si evince dalla documentazione in atti (cfr. doc. 3 di parte attrice opponente e doc. 3 di parte convenuta opposta). In particolare, nel documento 3 di parte attrice opponente (lettera di (...) S.p.a. dd. 01.06.10) si legge che in data 11 Febbraio 2010 (...) S.p.a. ha concluso con (...) S.r.l. un contratto di cessione di crediti pecuniari individuabili in blocco ai sensi della L. n. 130 del 1999 e dell'art. 58 del Testo Unico Bancario, come comunicato anche mediante l'avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Parte II n. 19 del 13 febbraio 2010. Nel documento 2 prodotto dalla convenuta opposta (avviso pubblicato sulla G.U. del 14 dicembre 2013) si legge che (...) S.p.a. comunica di aver acquistato pro soluto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 58 del Testo Unico Bancario, in base ad un contratto di cessione di crediti pecuniari individuabili "in blocco" concluso in data 9 dicembre 2013 con (...) S.r.l. un portafoglio di crediti derivanti da contratti di leasing e mutui che soddisfacevano il seguente criterio: "tutti i crediti in precedenza ceduti da (...) S.p.a. ai sensi dell'avviso di cessione pubblicato da (...) S.r.l. nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, parte II del 13 febbraio 2010, numero 19, unitamente agli interessi e a ogni diritto accessorio che non sono stati integralmente rimborsati al 1 novembre 2013 (incluso)". Vi è, quindi, perfetta identità tra i crediti ceduti da (...) S.p.a. a (...) S.r.l. nel febbraio 2010 e quelli viceversa ceduti da (...) S.r.l. a (...) S.p.a. a dicembre 2013. Sul punto va, peraltro, precisato che qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta (in relazione, prima di ogni altra cosa, al necessario rispetto del principio di determinatezza dell'oggetto e contenuto contrattuali ex art. 1346 cod. civ.), sui crediti inclusi/esclusi dall'ambito della cessione, detto contenuto può risultare in concreto idoneo, secondo il "prudente apprezzamento" del giudice del merito, a dimostrare la titolarità di un credito in capo al cessionario (cfr. Cass. 28 febbraio 2020, n. 5617; Cass. 13 giugno 2019, n. 15884) sicché, contrariamente a quanto dedotto da parte attrice opponente con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 cod. proc. civ., nel caso in esame il doc. 3 di parte attrice (avviso pubblicato sulla G.U.) deve ritenersi idoneo, atteso il suo inequivoco contenuto letterale, a dimostrare il ritrasferimento del credito oggetto di causa da (...) S.r.l. a (...) S.p.a.. b) Indeterminatezza/indeterminabilità del tasso base del mutuo in quanto parametrato all'EURIBOR. Parte attrice opponente ha eccepito l'indeterminatezza/indeterminabilità del tasso degli interessi applicato al contratto di mutuo in quanto parametrato all'EURIBOR, evidenziando come tale parametro abbia formato oggetto di una pratica violativa della normativa sulla tutela della concorrenza e del mercato (ossia di una "manipolazione" per effetto di un'intesa anticoncorrenziale) accertata dalla Commissione Europea con decisione del 4 dicembre 2013. Va, tuttavia, rilevato che la mutuante, sulla scorta di quanto allegato dalle parti, non risulta essere destinataria della citata decisione della Commissione Europea né risulta aver fatto parte di qualche cartello sicché il rinvio al tasso EURIBOR, concordemente stabilito da entrambe le parti, di per sé, non rappresenta motivo di nullità né fonte di risarcimento del danno. Né appare applicabile al caso di specie il rimedio ex art. 1349, comma 1 secondo periodo, cod. civ. invocato in subordine da parte attrice opponente. c) Presenza di due tassi diversi tra contratto e piano di ammortamento. Facendo riferimento al contenuto di una perizia econometrica, parte attrice opponente ha eccepito che M.F. ha strutturato un piano di ammortamento, allegandolo al contratto come parte integrante e sostanziale dello stesso, ad un tasso del 6% non dichiarato, e diverso da quello effettivo pattuito, nel caso del 4,05%; da ciò conseguirebbe la violazione dell'art. 117 del D.Lgs. n. 385 del 1993 che chiede l'indicazione del tasso di interesse del contratto, e non di più tassi, di cui taluno implicito, a scelta della banca; così come sarebbe violato l'art. 8 del medesimo art. 117, in quanto l'indicazione del tasso in trasparenza è richiesta dalla normativa secondaria della (...) come contenuto obbligatorio del contratto, a pena di nullità. Conseguentemente dovrebbero trovare applicazione i tassi sostitutivi di cui all'art. 117, settimo comma, del D.Lgs. n. 385 del 1993 per inosservanza del comma quattro del medesimo articolo ovvero, in subordine, il risarcimento del danno derivante dalla violazione della normativa di trasparenza bancaria e dei principi di correttezza e buona fede nella stipulazione ed esecuzione del contratto. La domanda è infondata. Ed invero, come si evince dalla relazione redatta all'esito della C.T.U. svolta sul punto, in caso di mutuo a tasso variabile, come nel caso di specie, il piano di ammortamento allegato al contratto - che nella fattispecie concreta, peraltro, prevede solamente la descrizione delle quote capitale e il degrado del debito (cfr. doc. 2 di parte attrice opponente - allegato E) - non riveste un ruolo rilevante per l'individuazione delle condizioni contrattuali atteso che - essendo il tasso variabile nel tempo - quel determinato piano di rimborso del capitale calcolato aprioristicamente sottenderà sempre lo stesso tasso di interesse (quello iniziale appunto) e non sarà mai rappresentativo del tasso effettivo di periodo (variabile, per definizione); ciò premesso, va rilevato che il C.T.U. ha concluso affermando che "il contratto di mutuo in oggetto contiene all'art. 7 tutte le informazioni necessarie in linea anche con la prassi bancaria per la determinazione del tasso di interesse variabile di periodo, pertanto la previsione contrattuale si presterebbe, a parere della scrivente, ad una applicazione univoca" e che "la metodologia di determinazione degli interessi prevista contrattualmente (art. 7) è stata di fatto applicata regolarmente della Banca con utilizzo di un tasso varabile in base all'andamento dell'Euribor 360 a 6 mesi moltiplicato per il coefficiente 360/365 incrementato di uno spread pari a 140 bps e applicazione del tasso finito di periodo al capitale residuo risultante dal piano di ammortamento allegato al contratto"; sicché "i tassi di interesse applicati nel concreto dalla Banca risultano coerenti con il dettato contrattuale, in base a quanto previsto dall'art.7 del contratto stipulato tra le parti in data 13 dicembre 2005". d) Superamento del tasso soglia usura nell'accordo del 2012 (c.d. usura soggettiva). Parte attrice opponente ha, inoltre, dedotto che, perdurando le difficoltà aziendali, ben note alla mutuante (...) S.p.a., in esito ai gravi danni subiti dagli eventi alluvionali del 2010, è stato stipulato un Acc. in data 5 giugno 2012 con cui, pur non essendo superata la soglia oggettiva dell'usura, sarebbero state applicate al contratto di mutuo condizioni economiche tali da superare i tassi medi del periodo per operazioni similari, configurando in tal modo un'ipotesi di usura soggettiva ai sensi dell'art. 644 cod. pen.. La contestazione in esame deve ritenersi priva di fondamento probatorio non risultando dimostrati i presupposti per la configurazione della c.d. usura soggettiva. Ed invero, la mera allegazione - peraltro, nel caso in esame del tutto generica - di una situazione di difficoltà economica o finanziaria del cliente della banca, di per sé considerata, non vale a dimostrare lo stato soggettivo di approfittamento, così come lo stesso non può essere desunto sic et simpliciter dalla misura elevata del tasso di interesse pattuito, considerato come risponda alle più elementari regole di mercato che i tassi di interesse applicati dagli intermediari finanziari oscillino in rapporto inversamente proporzionale rispetto alla solidità economica del cliente, essendo collegati al rischio imprenditoriale corso dal mutuante di non riuscire a ottenere la restituzione di quanto erogato (cfr. ex multis C. App. Milano 9 marzo 2017, n.1001; Trib. Monza 2 maggio 2019, n. 1004). e) Indicizzazione dei canoni e applicazione dell'Interest Rate Floor implicito. Con ulteriore motivo di opposizione (...) S.r.l. ha eccepito che la previsione di un tasso base minimo, come stabilito al quarto comma dell'Art. 7 del contratto in esame, configurerebbe l'introduzione nel rapporto contrattuale di un Interest Rate Floor, ovvero di un contratto derivato, senza l'osservanza delle norme di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998. La contestazione è infondata. Ed invero, contrariamente a quanto dedotto dall'attrice opponente, la presenza di una clausola di tasso "floor" non fa assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, con conseguente applicabilità di tutta la disciplina del c.d. T.U.F. e, in particolare, degli obblighi informativi in esso previsti a carico dell'intermediario finanziario (cfr. ex multis Trib. Bologna 6 marzo 2018, n.20222). f) Usurarietà del tasso di mora. Parte attrice opponente ha eccepito che nel contratto oggetto di controversia è stato pattuito un tasso di interesse moratorio superiore al tasso soglia all'epoca rilevato per la tipologia di contratto in esame; sulla base di tale premessa ha, quindi, dedotto la nullità della clausola relativa al tasso di mora, con la conseguenza che nulla è dovuto a tale titolo o, in subordine, è dovuto al tasso legale. La tesi dell'opponente non può trovare condivisione per difetto del presupposto stesso invocato al fine di sostenere il carattere usurario degli interessi pattuiti, ossia la base di raffronto utilizzata quale tasso soglia (cfr. ex multis Trib. Milano 31 maggio 2019, n. 5194). In proposito, infatti, si deve rilevare come tanto la giurisprudenza di legittimità che la stessa (...) siano sostanzialmente concordi nel ricordare come anche gli interessi moratori, al pari di quelli corrispettivi, debbano sottostare ai limiti derivanti dalla disciplina in materia di usura e, quindi, siano suscettibili di essere pattuiti in misura usuraria. Tale premessa si fonda su quanto ricordato dal legislatore con il D.L. n. 394 del 2000, il quale, con riferimento alla disciplina in materia di usura, ha fatto esplicito riferimento agli interessi a qualunque titolo convenuti. Sebbene, quindi, profondamente differente sia la natura e la funzione degli interessi corrispettivi rispetto a quelli moratori, anche questi ultimi sono suscettibili di essere etichettati come usurari. Se tale principio non può che essere condiviso nella sua affermazione astratta, sicuramente più problematico diventa l'accertamento in concreto del carattere usurario, quando la verifica viene effettuata con riferimento agli interessi di mora. Il problema, infatti, nasce per il fatto che con la L. n. 108 del 1996 si è inteso "oggettivizzare" la nozione di usura, introducendo l'istituto del tasso soglia, in modo che, superando le difficoltà probatorie in precedenza riscontrate in materia, gli interessi dovessero essere riconosciuti come usurari per il solo fatto che fossero stati pattuiti in misura superiore al tasso soglia rilevato per la tipologia di contratto omogenea a quella in verifica. Precisato ancora come il tasso soglia è stato determinato attraverso la rilevazione del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) praticato nel periodo per la specifica tipologia di contratto e, quindi, operando su di esso la maggiorazione prevista (inizialmente il 50%, dal 14.5.2011 il 25% maggiorato a sua volta di 4 punti percentuali e con il limite di una maggiorazione finale rispetto al TEGM non superiore all'8%), deve osservarsi come le rilevazioni del TEGM vengano effettuate trimestralmente dalla (...) secondo le indicazioni e le prescrizioni impartite dal Ministero delle Finanze. Ebbene, dette prescrizioni hanno sempre previsto e disposto che le rilevazioni statistiche fossero condotte con riferimento esclusivamente ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato con riferimento a tali interessi, in considerazione della loro natura e funzione di retribuzione del denaro e, quindi, di prezzo corrisposto in relazione all'erogazione del credito. Al contrario, analoga rilevazione non è stata effettuata con riferimento agli interessi di mora, in considerazione della loro differente natura di prestazione non necessaria, ma solo eventuale, in quanto destinata a operare solo in caso di inadempimento del debitore, nonchè in ragione della funzione non corrispettiva, ma risarcitoria del danno derivante dall'inadempimento e, quindi, di una funzione che può portare a quantificare la pattuizione in forza di variabili e di componenti estremante eterogenee e non strettamente e direttamente collegate al costo del denaro e all'erogazione del credito. Il fatto, quindi, che il TEGM, e conseguentemente il Tasso Soglia che dal primo dipende, siano determinati in forza di rilevazioni statistiche condotte esclusivamente con riferimento agli interessi corrispettivi (oltre alle spese, commissioni e oneri accessori all'erogazione del credito), porta a concludere come non si possa pretendere di confrontare la pattuizione relativa agli interessi di mora con il Tasso Soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari. Così operando, infatti, si giungerebbe a una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità scientifica e logica, prima ancora che giuridica, in quanto si pretenderebbe di raffrontare fra di loro valori disomogenei (il tasso di interesse moratorio pattuito e il tasso soglia calcolato in forza di un TEGM che non considera gli interessi moratori, ma solo quelli corrispettivi). L'esigenza di omogeneità dei termini da raffrontare, del resto, si ricava indirettamente anche dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di rilevanza delle commissioni di massimo scoperto ai fini della rilevazione dell'usura anche per il periodo antecedente al 2010 (sent. n. 16303/2018): con tale pronuncia, infatti, la Corte Suprema, al fine sostanziale di salvaguardare l'omogeneità del raffronto, ha chiarito come la commissione addebitata in contratto debba essere raffrontata non con riferimento al Tasso Soglia determinato attraverso la maggiorazione sul TEGM rilevato, ma in prima battuta con il cd. Tasso Soglia c.m.s. e, solo in caso di superamento dello stesso, l'eccedenza dovrà essere raffrontata con il margine residuo disponibile negozialmente rispetto al Tasso Soglia, specificando come in tale modo si eviti di incorrere nell'aporia logica di raffrontare un TEG comprensivo di c.m.s. con un Tasso Soglia che è "costruito" su un TEGM che dichiaratamente non ricomprendeva sino a tutto il 2009 anche le c.m.s. In sostanza, quindi, quanto meno ad oggi una verifica in termini oggettivi del carattere usurario degli interessi moratori risulta preclusa dalla mancanza di un termine di raffronto, ossia di un tasso soglia, che sia coerente con il valore che si vuole raffrontare. Nè il problema potrebbe essere superato invocando la rilevazione condotta dalla (...) nel 2001 e "pubblicata" con il D.M. 25 marzo 2003, con riferimento ai tassi di interesse moratori praticati sul mercato; l'Istituto di vigilanza bancaria, infatti, anche con la propria Circolare del 3.7.2013, ha fatto richiamo a tale rilevazione, ricordando come fosse stato verificato come in media gli interessi moratori fossero pattuiti in misura maggiorata di 2,1 punti percentuali rispetto ai tassi medi concordati per gli interessi corrispettivi (dato oggi "aggiornato" dalla (...), così come riportato nel D.M. 21 dicembre 2017, a una maggiorazione per i mutui ipotecari ultraquinquennali di 1,9%, per i leasing del 4,1% e per gli altri prestiti del 3,1%, rispetto all'interesse corrispettivo). Sennonchè detta rilevazione, oltre a essere "ufficiosa", in quanto condotta in assenza di una istruzione in tal senso disposta dal Ministero delle Finanze in attuazione a quanto dettato dalla L. n. 108 del 1996, non solo non può considerarsi neppure scientificamente attendibile, non essendo conosciute le modalità di rilevazione statistica utilizzate e, al contrario, risultando essere stata condotta attraverso l'acquisizione di dati a campione, ma soprattutto non è stata aggiornata e rivisitata trimestralmente, come invece preteso dal legislatore. Tali considerazioni, secondo il condivisibile orientamento del Tribunale di Milano (cfr. Trib. Milano 2 febbraio 2022, n.888; Trib. Milano 28 ottobre 2020, n. 6737) cui si intende aderire, non possono mutare neppure dopo avere preso atto della decisione sul punto adottata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 19597/2020). Ed invero, "Dopo, infatti, avere ribadito e confermato il principio di simmetria o di omogeneità dei dati da raffrontare, le Sezioni Unite hanno affermato come tale esigenza possa trovare soddisfazione proprio raffrontando il tasso di mora pattuito in contratto con il TEGM maggiorato della rilevazione a campione effettuata di propria iniziativa dalla (...), costituendo la stessa, una volta recepita nei Decreti Ministeriali, comunque un indicatore oggettivo per una soglia usura in materia di interessi moratori, a maggior ragione alla luce della distinzione del dato operata per alcune tipologie contrattuali, così come effettuato con la rilevazione dell'ultimo trimestre 2017. A detta delle Sezioni Unite, quindi, nel caso in cui fosse stato pattuito un tasso di mora superiore al Tasso Soglia così ricavabile dai Decreti Ministeriali, la sanzione dettata dall'art. 1815 c.c. dovrebbe trovare applicazione solo per l'interesse di mora convenzionale, con l'effetto che, qualora la pattuizione degli interessi corrispettivi fosse lecita, al posto del tasso di mora illecito dovrebbe trovare applicazione in forza dell'art. 1224 c.c. un interesse di mora pari all'interesse corrispettivo pattuito; venuta meno, infatti, la clausola relativa agli interessi di mora, permarrebbe comunque un danno da inadempimento del mutuatario, danno che troverebbe la lecita risposta sanzionatoria nella disposizione di cui all'art. 1224 c.c.. Tale conclusione è stata giustificata con il richiamo a quanto previsto in sede comunitaria con la Direttiva 93/13 e ribadito dalla Corte UE, la quale più volte ha affermato il principio che gli interessi vadano pagati sino al rimborso della somma; tale esigenza, quindi, giustificherebbe una parziale deroga alla sanzione di cui all'art. 1815 c.c., la quale, pertanto, opererebbe solo per il quantum di eccedenza esistente tra l'interesse di mora convenzionale usurario e l'interesse corrispettivo infra soglia. Per ultimo le sezioni Unite hanno chiarito come, nel caso in cui, a fronte di una pattuizione degli interessi di mora ultra soglia, fosse stato applicato in concreto un tasso di mora inferiore non usurario, l'interesse ad agire del mutuatario rimarrebbe relegato a una pronuncia meramente dichiarativa di nullità della pattuizione, mentre non si avrebbe effetto alcuno rispetto agli interessi di mora in concreto pagati, rimanendo gli stessi nei limiti della liceità. Come si è anticipato, pur consapevole dell'autorità della pronuncia sopra sintetizzata, deve confermarsi la non condivisibilità della soluzione adottata, la quale non appare appagante sono diversi profili. Le Sezioni Unite, infatti, premettono e riconoscono una volta per tutte (superando in tal modo la decisione adottata con l'ordinanza 27442/2018) come gli interessi corrispettivi e moratori rispondano a distinte funzioni, configurandosi come istituti autonomi sul piano causale, avendo l'interesse di mora una funzione sostanzialmente equiparabile a quella della clausola penale, tanto che le direttive comunitarie (art. 19 Direttiva 2008/48/CE e art. 14, comma 13 Direttiva 2014/17/UE) hanno sempre precisato come il TEG dovesse essere determinato senza considerare eventuali penali per inadempimento. Tale premessa, tuttavia, già di per sé confligge con l'obiettivo di trovare un correttivo al TEGM ai fini di mantenere osservanza al principio di simmetria in materia di usura e interessi di mora, dal momento che TEG e TEGM dovrebbero essere istituti del tutto estranei e non collegabili alla mora, neppure quale punto di riferimento per un suo aggiustamento a posteriori. In secondo luogo la sentenza, dopo avere riconosciuto come la rilevazione effettuata dalla (...) abbia un valore meramente conoscitivo e non sia il frutto dell'applicazione di un criterio statistico scientifico, essendo ricavata da un esame a campione che dichiaratamente esclude pattuizioni da ritenersi in modo non meglio precisato come "anomali", chiarisce come essa, una volta recepita nei Decreti Ministeriali, comunque costituisca una indicazione oggettiva e unitaria utilizzabile per determinare la soglia usura in materia di mora. Sennonchè, così ragionando, si riduce il problema dell'individuazione di un tasso soglia calibrato per gli interessi di mora, tale da essere previsto e conforme al dato normativo, a una questione di oggettiva determinatezza del dato di riferimento, senza chiedersi a monte se tale dato abbia una sua dignità e coerenza con la previsione di legge, neanche si trattasse di una questione mera trasparenza contrattuale. Né, d'altra parte, le Sezioni Unite spiegano come si possa conciliare dal punto vista sistematico il fatto che per 14 anni la rilevazione informativa fosse unitaria (maggiorazione di 2,1%, senza distinzioni) e che solo dalla fine del 2017 il dato sia stato scomposto in tre tipologie (operazione, peraltro, salutata con apprezzamento dalle stesse Sezioni Unite, che così implicitamente hanno riconosciuto la portata insoddisfacente del dato precedente): la differente qualità dell'informazione, infatti, non crea problemi sul piano ricostruttivo solo se la soluzione indicata venga proposta in una ingannevole prospettiva di determinatezza e unitarietà del dato e non, invece, in quella antecedente della conformità ai dati normativi nazionali e comunitari sopra richiamati. Del tutto insoddisfacente, inoltre, è la soluzione offerta per spiegare a quale Tasso Soglia in materia di interessi di mora si debba fare riferimento per i contratti conclusi successivamente all'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, ma prima dell'aprile 2003, ossia in un periodo in cui la rilevazione a campione effettuata dalla (...) non era stata ancora ripresa nei Decreti Ministeriali. Anche per tale finestra temporale, infatti, ragionando come in thesi, si porrebbe il problema di "costruire" un Tasso Soglia specifico per gli interessi di mora, in omaggio alla disciplina dell'usura dettata dalla L. n. 108 del 1996, senza tuttavia disporre di alcun riferimento utile per "alterare" il Tasso Soglia ufficiale calibrato sugli interessi corrispettivi. Le Sezioni Unite sembrano risolvere la questione ritenendo che per tali anni il Tasso Soglia per gli interessi di mora debba essere individuato sic et simpliciter nel Tasso Soglia "costruito" sulla base del TEGM incrementato con la maggiorazione prevista (all'epoca del 50%); tale soluzione appare ancora una volta rispondente all'esigenza di oggettività e unitarietà del dato di riferimento, ma contraddice in modo insanabile le premesse della non sovrapponibilità degli interessi corrispettivi con quelli di mora e dell'estraneità di questi ultimi, quali penali per l'inadempimento, al concetto stesso di TEGM. Quanto meno contraddittoria risulta la decisione in analisi anche con riferimento agli effetti che dovrebbero discendere sugli interessi di mora, qualora pattuiti in misura superiore al Tasso Soglia moratorio: la sanzione dettata dall'art. 1815 c.c. dovrebbe trovare applicazione limitatamente al quantum di eccedenza tra il tasso convenzionale illecito di interessi di mora e il tasso di interesse corrispettivo lecito concordato, applicando ex art. 1224 c.c. tale tasso di interesse quale mora giustificata dal permanere di un danno conseguente all'inadempimento del mutuatario. Ma se si ritiene che l'applicazione integrale della sanzione di cui all'art. 1815 c.c., con conseguente esclusione del versamento di alcunchè a titolo di interessi di mora, sia confliggente con i principi comunitari che prevedono che gli interessi vadano pagati sino al rimborso della somma, a maggior ragione dovrebbe affermarsi tale conclusione anche per gli interessi corrispettivi, escludendo anche per questi la sanzione ex art. 1815 c.c., a meno di non riconoscere come la differente funzione dei due tipi di interessi giustifichi un trattamento differente in caso di usura, sconfessando, però, tutte le premesse della decisione adottata dalle Sezioni Unite. Pretendere, in ogni caso, che la sanzione ex art. 1815 c.c. debba cadere solo sulla maggiorazione dell'interesse di mora rispetto a quello corrispettivo è l'ennesimo equivoco logico, dato che i due interessi rispondono a funzioni distinte e in caso di inadempimento si sostituiscono l'uno all'altro, mentre di "maggiorazione" si può parlare solo in termini matematico espositivi. La contraddittorietà della sentenza delle Sezioni Unite si palesa, infine, nella soluzione adottata in caso di pattuizione di un tasso di mora usurario e di una applicazione in concreto di un tasso di mora infra soglia, per cui quest'ultimo rimane dovuto, in quanto in concreto lecito, sconfessando la sua già non condivisibile riconduzione a un tasso pari a quello corrispettivo ex art. 1224 c.c. In sostanza, quindi, anche la soluzione di raffrontare il tasso degli interessi moratori con un tasso soglia specifico costruito con riferimento agli interessi di mora, se dal punto di vista logico matematico risulterebbe sicuramente più condivisibile, non trova comunque giustificazione sul piano propriamente giuridico, facendo richiamo a un tasso di riferimento sì oggettivo e unitario, ma "creato" da una ricostruzione interpretativa che non trova sostegno sul piano normativo. Deve, pertanto, concludersi che, sino a quando non verrà commissionata dal Ministero delle Finanze una rilevazione di un TEGM specifico per gli interessi di mora, per questi ultimi non risulti possibile procedere a una qualificazione in termini "oggettivi" dell'interesse usurario, ferma restando la possibilità che tali interessi possano essere riconosciuti comunque come usurari in chiave soggettiva, ossia là dove, richiamando quanto dettato dall'art. 644 c.p., si dimostri che detti interessi siano stati pattuiti in termini tali da creare una sproporzione delle prestazioni, con approfittamento delle condizioni di difficoltà economiche e finanziarie del debitore. Ad oggi, quindi, la premessa ricavabile dalla L. n. 394 del 2000 e ribadita reiteratamente dalla giurisprudenza e dalla stessa (...) circa la possibilità di sottoporre a un vaglio di usurarietà anche gli interessi moratori, per forza di cose non può che essere circoscritta alla dimensione "soggettiva" dell'usura, così come ricavabile dalla disciplina penalistica dell'istituto (si veda, da ultimo, anche la sentenza della Corte d'Appello di Milano n. 1133/2017, pronunciata a conferma di precedente decisione di primo grado nei medesimi termini dell'odierna decisione). La tesi sopra esposta, relativa all'impossibilità di raffrontare il tasso di interesse moratorio con il Tasso Soglia ai fini di verificarne l'usurarietà, oggi appare ulteriormente confortato dal D.L. n. 132 del 2014 convertito con la L. 10 novembre 2014, n. 162, il quale ha introdotto un quarto comma all'art. 1284 c.c. con la previsione di un interesse legale di mora per le ipotesi in cui lo stesso non fosse stato oggetto di specifica pattuizione ad opera delle parti; tale interesse legale è stato parametrato con richiamo al tasso di interesse legale per le transazioni commerciali di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, determinando in tal modo un tasso di interesse che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore al Tasso Soglia trimestralmente rilevato dalla (...). Se, pertanto, si dovesse opinare per l'ammissibilità di un raffronto degli interessi moratori con il Tasso Soglia attualmente disponibile, arriveremmo alla conclusione paradossale e per evidenti ragioni non condivisibile, per cui il tasso di interesse moratorio previsto dallo stesso legislatore risulterebbe usurario per una molteplicità di contratti, con l'effetto di qualificare come illegittimo un tasso di interesse imposto dal legislatore. Tale aspetto, sebbene richiamato dalle Sezioni Unite sopra richiamate nel novero delle argomentazioni prospettate dalla giurisprudenza di merito a conforto della non parametrabilità dell'interesse di mora al Tasso Soglia usura, non è poi stato affrontato nella motivazione della decisione" (cfr. Trib. Milano 2 febbraio 2022, n. 888). Peraltro, la funzione degli interessi di mora, quale strumento risarcitorio del danno in misura predeterminata e forfettaria, ne consente una sostanziale assimilazione nell'ambito delle obbligazioni pecuniarie all'istituto negoziale generale in materia di obbligazioni rappresentato dalla clausola penale, con la conseguenza che rimane astrattamente percorribile la possibilità per il debitore di avanzare istanza di riduzione ex art. 1384 cod. civ., prospettandone i presupposti di manifesta eccessività riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento (Cass., 23273/2010). Nel caso di specie, tuttavia, in difetto di allegazione in tal senso, deve considerarsi preclusa l'applicazione ufficiosa dell'istituto da ultimo richiamato. Pur essendo quanto sopra esposto assorbente, per completezza va, in ogni caso, rilevato che anche applicando i principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la domanda di (...) S.r.l., tenuto conto dell'onere probatorio cui è gravato il debitore (Cass. S.U. 18 settembre 2020, n.19597: "Nelle controversie relative alla spettanza e alla misura degli interessi moratori, l'onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che il debitore che intenda dimostrare l'entità usuraria degli stessi è tenuto a dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale relativa agli interessi moratori e quelli applicati in concreto, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato e gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento, mentre la controparte dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto"), risulta infondata considerato che parte opponente nulla ha dimostrato e neppure ha specificamente allegato in concreto in merito all'effettiva applicazione degli interessi moratori. g) Computo della commissione di estinzione anticipata ai fini dell'usurarietà. Parte opponente ha, inoltre, esposto che nelle condizioni generali del contratto è prevista una commissione di estinzione anticipata nella misura del 0,5% calcolato sul capitale rimborsato, per ogni semestre, o frazione di semestre, di vita residua dell'operazione, con un minimo del 2% e ha eccepito che tale previsione andrebbe ad incidere sul tasso effettivo del contratto con riferimento ad ogni singola scadenza contrattuale, fino a portare allo sforamento del tasso soglia usura alla stipula. La doglianza non merito accoglimento essendo assorbente rilevare che tale commissione resta estranea al tema dell'usura. Ed invero, la pattuizione della commissione di estinzione anticipata del contratto di mutuo, prevista in caso di recesso anticipato del mutuatario, non assume rilevanza ai fini della valutazione dell'usurarietà del contratto, in quanto la sua funzione non è quella di remunerare l'erogazione del credito, bensì quella di compensare la Banca mutuante delle conseguenze economiche dell'estinzione anticipata del debito da restituzione, nell'ipotesi in cui il mutuatario intenda esercitare tale sua facoltà (cfr. C. App Torino 2 dicembre 2021 n. 1319; C. App. Torino 23 luglio 2020, n.741; Trib. Roma 27 settembre 2018, n.18278; Trib. Torino 20 settembre 2017, n. 4434). h) Indicazione di un I.S.C. errato. Con un ultimo motivo di opposizione (...) S.r.l. ha eccepito l'errata indicazione dell'I.S.C. nel contratto di mutuo in esame, affermando in particolare che la Banca mutuante non avrebbe tenuto conto degli oneri assicurativi obbligatori che fanno parte dell'aggregato rilevante pervenendo a una indicazione dell'I.S.C. nella misura del 4,145% anziché del 4,366%; sicché dovrebbe trovare applicazione la nullità di cui all'ultimo comma dell'art. 117 del D.Lgs. n. 385 del 1993, con conseguente applicazione dei tassi sostitutivi di cui al medesimo articolo. La contestazione è infondata. Ed invero, è assorbente rilevare che, contrariamente a quanto dedotto da parte attrice opponente, l'erronea indicazione dell'I.S.C. non determina alcuna invalidità del contratto di mutuo (cfr. Cass. 9 dicembre 2021, n. 39169: "Poiché, come appena detto, l'ISC/TAEG è un indicatore del costo complessivo del finanziamento, avente lo scopo di mettere il cliente in grado di conoscere il costo totale effettivo del credito che gli viene erogato mediante il mutuo, la sua inesatta indicazione non comporta, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, quanto piuttosto l'erronea rappresentazione del suo costo complessivo, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati nel contratto; pertanto, stante il suo valore sintetico, l'ISC non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui erronea indicazione è sanzionata dall'art. 117 TUB mediante la sostituzione dei tassi d'interesse normativamente stabiliti a quelli pattuiti"; Trib. Milano 9 febbraio 2022, n.1072; Trib. Bari 17 gennaio 2022, n. 204; Trib. Bologna 20 febbraio 2018, n.20123). Spese di lite. In applicazione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., (...) S.r.l. deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di parte convenuta opposta, che si liquidano, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, avuto riguardo allo scaglione di valore della controversia (da Euro 260.000,01 a Euro 520.000,00), secondo valori compresi tra i minimi e i medi, in complessivi Euro 15.450,00 (di cui Euro 3.300,00 per la fase di studio, Euro 2.200,00 per la fase introduttiva, Euro 6.950,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione, Euro 3.000,00 per la fase di decisione) per compensi professionali, oltre rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%, contributi previdenziali e I.V.A. come per legge. Le spese di C.T.U., liquidate con separato provvedimento, vanno definitivamente poste a carico dell'attrice opponente. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, definitivamente pronunciando nella causa civile di I grado iscritta al N.R.G. 170/2019, ogni altra domanda, istanza, eccezione o deduzione disattesa e assorbita: - rigetta l'opposizione; - condanna parte attrice opponente a rifondere alla convenuta opposta le spese del presente procedimento, che si liquidano in Euro 15.450,00 per compenso, oltre rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%, contributi previdenziali e I.V.A. come per legge; - pone le spese di C.T.U., liquidate con separato provvedimento, definitivamente a carico di (...) S.R.L.. Così deciso in Gorizia il 23 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giudice, dott.ssa Laura Di Lauro, pronunzia la seguente SENTENZA ai sensi dell'art. 281sexies c.p.c. nella causa iscritta al n. 349/2019 r.g.a.c. TRA (...) (c.f.: (...)), elett.te dom.to in Trieste, alla VIA (...), presso lo studio dell'Avv. SA.AN. (c.f.: (...)), dal quale è rappr.to e difeso in virtù di procura in calce all'atto di citazione - ATTORE E CONDOMINIO (...) DI VIA (...) (c.f.: (...)), elett.te dom.to in Udine, alla VIA CAIROLI n. 10, presso lo studio dell'Avv. ST.PA. (c.f.: (...)), dal quale è rappr.to e difeso in virtù di procura in atti; - CONVENUTO OGGETTO: risarcimento del danno ex art. 2051 c.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha agito in giudizio al fine di ottenere la condanna del condominio "(...)" di via delle V. n. 34 al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di una caduta occorsagli, in data 27.12.2014, mentre percorreva le scale condominiali esterne, che conducono alle autorimesse, rese scivolose a causa dell'umidità, con la presenza di formazioni calcaree e muschio, in assenza di corrimano, cartelli per segnalare il pericolo e strisce antiscivolo e in generale in cattivo stato di manutenzione. Si è tempestivamente costituito il Condominio "(...)", chiedendo il rigetto dell'avversa domanda ed in subordine la riduzione del risarcimento nei limiti del danno effettivamente provato, all'esito del giudizio. La causa è stata istruita con il deposito di documentazione, l'assunzione di prove testimoniali e l'espletamento di una C.T.U. medico-legale. Nel merito, la fattispecie dedotta in lite va ricondotta nell'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., il quale, secondo il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, basata unicamente sulla relazione di custodia intercorrente tra il soggetto e la cosa e sulla relazione causale tra res e danno, non assumendo rilievo la violazione da parte del custode dei doveri di vigilanza e controllo sulla cosa, in quanto comportamento del tutto estraneo alla struttura normativa dell'art. 2051 c.c., da cui si evince che il danno è cagionato non da un comportamento omissivo del custode ma dalla cosa (Cfr. Cass. Sez. III 20.5.1998 n. 5031, Cass. Sez. III 12.5.1999 n. 4689 , Cass. Sez. III 17.01.2001 n. 584 e Cass. civile Sez. III n. 10641 del 2.7.2002 e Cass. n. 472 del 15.01.2003). L'unico limite alla configurabilità della responsabilità del custode è rappresentato dal caso fortuito, da intendersi come fattore o elemento interruttivo o eliminativo del nesso eziologico tra res e danno, fattore che ben può identificarsi anche con il comportamento del terzo e con il fatto colposo del danneggiato. In altri termini, si sostiene che la rilevanza del caso fortuito attenga al profilo causale e non a quello soggettivo della colpa. Sotto il profilo probatorio, al danneggiato spetta provare non solo il danno e il nesso eziologico tra danno e la res ma anche che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2660; Cass. civ., Sez. VI, 27 novembre 2014, n. 25214; Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18317 e Cass. civ., Sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 21212); il custode deve, invece, fornire la prova del caso fortuito, da intendersi quale fatto esterno ed imprevedibile, idoneo ad interrompere o eliminare il nesso causale. Nel caso di specie, la domanda attorea può essere accolta, nei limiti di seguito precisati. La prova della dinamica del sinistro può ritenersi raggiunta in base alle dichiarazioni rese dal teste (...), condomino del condominio convenuto. Deve, infatti, ritenersi poco attendibile la testimonianza resa da (...), quale coniuge in comunione legale dei beni - nei cui confronti non è stata eccepita l'incapacità a testimoniare - la quale ha riferito di trovarsi, il giorno del sinistro, nel garage, nei pressi delle scale e in maniera contraddittoria ha dapprima dichiarato di aver improvvisamente sentito un tonfo e visto il marito a terra e subito dopo di aver visto il marito in fase di caduta, ossia cadere all'indietro con la gamba sinistra sotto la gamba destra (v. verbale di udienza del 4.2.2020). Il teste (...) ha, invece, riferito di non aver assistito alla caduta ma di aver visto l'attore scendere le scale di accesso al garage e di essersi avvicinato dopo aver udito all'improvviso un tonfo, seguito da lamenti, precisando di aver trovato (...) per terra sugli scalini, circa a metà della scalinata, con la gamba piegata. Il teste ha, inoltre, confermato lo stato dei luoghi come descritto dall'attore, ossia la presenza di umidità, di macchie scure sui i gradini, nella parte vicino al muro, e di formazioni calcaree di colore bianco sulla maggior parte dei gradini, poste sui margini della scala, che si estendevano verso il centro, risultante anche dalla documentazione fotografica in atti (v. doc. 24 fascicolo parte attrice). Orbene, in considerazione della particolare potenzialità dannosa dello stato dei luoghi, emersa all'esito dell'istruttoria, e della posizione in cui il danneggiato è stato trovato, ossia lungo la scala condominiale che conduce al garage, è possibile ritenere, anche mediante il ricorso a presunzioni, che (...) sia caduto mentre percorreva la predetta scala. Per altro verso, nessun significativo elemento di prova è stato offerto dal condominio convenuto, idoneo a dimostrare che tale episodio abbia avuto il carattere del fortuito, né sono emersi profili di colpa addebitabili all'attore, dal momento che l'istruttoria non ha evidenziato alcun elemento sulla base del quale poter ritenere che l'evento dannoso si sia verificato a causa, o anche a causa, di comportamenti imprudenti dello stesso o di suoi comportamenti non giustificabili nel contesto in cui l'evento si è verificato, stante anche l'assenza di un corrimano. Per tali motivi, va rigettata la richiesta di espletamento di una CTU per accertare lo stato dei luoghi, in quanto meramente esplorativa. Alla luce delle considerazioni che precedono, va, dunque, affermata la responsabilità esclusiva del convenuto condominio in ordine all'evento dannoso di cui è causa, ai sensi dell'art. 2051 c.c. Ciò posto, ai fini quantificazione del risarcimento del danno, il C.T.U. medico-legale dott. Guido Neri, con motivazione immune da vizi logici e scientifici, ha accertato che, in conseguenza del sinistro, l'attore ha riportato un severo trauma contusivo - distrattivo al ginocchio sinistro, riportando lesioni personali che hanno causato una I.T.P. di giorni 30, valutabile nella misura del 75%, seguiti da 60 giorni nella misura del 50% e ulteriori 180 giorni al 25%, ritenendo sussistente, a seguito della stabilizzazione dei postumi, una riduzione permanente dell'integrità psicofisica nella misura del 14%. Orbene, in applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano, aggiornate al 2021, e tenuto conto dell'età del danneggiato al momento della stabilizzazione dei postumi (45 anni), il danno non patrimoniale va quantificato in Euro 29.045,00 cui vanno aggiunti complessivi Euro 9.652,50 per I.T.T., accertata dal C.T.U., ed Euro 1.847,20, a titolo di danno patrimoniale per le spese mediche sufficientemente documentate. Null'altro va liquidato a titolo di danno non patrimoniale, sia sotto il profilo del danno morale che esistenziale, non avendo il danneggiato allegato né tantomeno provato di aver patito conseguenze peculiari e maggiori, che abbiano reso il pregiudizio diverso rispetto ai casi consimili, in applicazione del più recante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento" (cfr. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 5865 del 04/03/2021). Al predetto importo - complessivamente pari ad Euro 40.544,70 - va tuttavia scomputato quanto riscosso dal danneggiato a titolo di indennità, dalla compagnia di assicurazione, pari ad Euro 22.500,00 in conseguenza del medesimo fatto, in applicazione del principio di recente enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 12565/2018, secondo cui "nell'assicurazione contro i danni, l'indennità assicurativa è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso: essa soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito". A tal fine, è necessario 1) devalutare alla data dell'illecito il credito risarcitorio e l'indennizzo riscosso dalla compagnia di assicurazione, per consentire la sottrazione di importi omogenei, 2) detrarre l'indennizzo dal credito risarcitorio e 3) calcolare gli interessi compensativi sull'intero capitale rivalutato anno per anno, per il periodo che va dalla data dell'illecito al pagamento dell'indennizzo e sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto (anche in questo caso rivalutata anno per anno), per il periodo che va dal suo pagamento fino alla liquidazione definitiva. In applicazione dei predetti criteri, parte convenuta va, dunque, condannata al risarcimento del danno, in favore di (...), liquidato in Euro 16.808,11, cui vanno aggiunti gli interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come modificati con D.M. n. 37 del 2018 (scaglione compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00), diversamente dalla nota spese depositata, tenuto conto dell'attività effettivamente espletata dai difensori (in assenza dello scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c.). Vanno, inoltre, rimborsate all'attore le spese per la consulenza medica di parte, a firma del dott. A.S. (doc. 43 fascicolo parte attrice), con esclusione di quelle per la relazione tecnica sullo stato dei luoghi (doc. 44 fascicolo parte attrice), in quanto superflue ex art. 92 c.p.c. Le spese per la CTU medico legale, come liquidate con separato decreto, vanno definitivamente poste a carico del condominio convenuto. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - dichiara l'esclusiva responsabilità del Condominio "(...)" di via delle V. 34, in persona dell'amministratore p.t., e per l'effetto condanna quest'ultimo al risarcimento del danno, in favore di (...), liquidato in Euro 16.808,11, oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo; - condanna il Condominio "(...)" di via delle V. 34, in persona dell'amministratore p.t., al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che sono liquidate, in Euro 1.396,00 per esborsi (di cui Euro 610,00 per la relazione tecnica di parte) ed Euro 4.025,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%; - pone definitivamente a carico del Condominio "(...)" di via delle V. 34, in persona dell'amministratore p.t., le spese per la CTU, come liquidate con separato decreto. Così deciso in Gorizia il 15 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Gorizia - Sezione Civile - in persona del giudice unico dr.ssa Laura Di Lauro ha pronunziato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n.688 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2020 avente ad OGGETTO: Risoluzione del contratto di locazione - riconvenzionale per risarcimento del danno. TRA (...) (c.f. (...)), elett.te dom.ta in Monfalcone, alla Via (...), presso lo studio dell'avv. BR.RO., che la rappresenta e difende in virtù di procura in atti; RICORRENTE E (...) (C.F. (...)), elett.e dom.to in Monfalcone, alla via (...), presso lo studio dell'avv. Fe.Ce., che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha agito in giudizio per la convalida dello sfratto per morosità dell'immobile, sito in M., alla via (...) n. 96 e concesso in locazione ad uso abitativo a (...), con contratto stipulato in data 26.4.2016, regolarmente registrato, per l'omesso pagamento, da parte di quest'ultimo, dei canoni dal mese di agosto del 2019 sino al mese di marzo del 2020, oltre mancato integrale pagamento del canone di locazione relativo al mese di maggio del 2019, avendo il conduttore provveduto al versamento di soli Euro 150,00. Si è costituito, nel procedimento per convalida di sfratto, (...), il quale si è opposto alla convalida dello sfratto ex art. 665 c.p.c., deducendo l'inadempimento della locatrice all'obbligo di mantenere l'immobile in buono stato di manutenzione, a causa della presenza di estesi spandimenti di acqua, provenienti dagli appartamenti soprastanti, sempre di proprietà dell'odierna ricorrente, e localizzati, in particolare, nell'ingresso e nella zona cucina dell'appartamento locato, con problemi di umidità, la creazione di muffe ed il cedimento di una parte del controsoffitto dell'ingresso. Il resistente ha, inoltre, posto a fondamento dell'opposizione la mancanza, sin dall'origine, dei requisiti di agibilità dell'immobile, in quanto privo del bidet, nel servizio igienico, e del foro di ventilazione nella cucina. Il conduttore ha, dunque, chiesto, in via principale, il rigetto della domanda di condanna al pagamento dei canoni e, in via riconvenzionale, la condanna della controparte al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, subito in conseguenza dell'inadempimento della locatrice, quantificato in Euro 5.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia. In subordine, il resistente ha chiesto la compensazione di quanto dovuto a (...) per i canoni di locazione non pagati, con l'importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno. Negata l'emissione dell'ordinanza provvisoria di rilascio e disposto il mutamento del rito, le parti hanno provveduto al deposito delle note integrative. Preliminarmente, va dichiarata la procedibilità della domanda, in quanto preceduta dal tentativo obbligatorio di mediazione. Vanno, inoltre, rigettate le istanze istruttorie reiterate da parte ricorrente nelle note di discussione autorizzate, con integrale conferma dell'ordinanza del 30.11.2020, alla cui motivazione integralmente si rinvia. Nel merito, va accolta la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, non essendo contestato tra le parti che (...) non abbia provveduto all'integrale pagamento del canone del mese di maggio del 2019 e abbia del tutto omesso il pagamento dei canoni maturati dal mese di agosto del 2019 all'attualità. Per altro verso, non può ritenersi legittima la sospensione, da parte del conduttore, del pagamento del canone di locazione per un così lungo periodo di tempo, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "In tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede" (cfr. Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 16918 del 25/06/2019). Sulla natura dell'istituto previsto dall'art. 1460 c.c., invocato da parte resistente, si è, inoltre, di recente pronunciata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che l'eccezione di inadempimento è un rimedio di carattere necessariamente temporaneo e con effetti sospensivi (non liberatori), dal quale può derivare una delle tre seguenti ipotesi: 1) se l'inadempimento che l'ha provocata persiste, esso condurrà alla risoluzione del contratto, e l'eccipiente sarà liberato dalla propria obbligazione; 2) se l'inadempimento di controparte cessa, cessa anche il diritto di autotutela dell'eccipiente, il quale sarà perciò obbligato all'adempimento; 3) se l'inadempimento di controparte risulta insussistente oppure inidoneo a giustificare l'eccezione, l'eccipiente sarà tenuto all'adempimento, ovvero sarà esposto all'azione di risoluzione per inadempimento (cfr. Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 16918 del 25/06/2019). Nel caso di specie, all'esito dell'attività istruttoria, è emerso un comportamento del conduttore contrario al principio di buona fede (in senso oggettivo), per non aver consentito al locatore l'accesso all'immobile per effettuare le necessarie riparazioni, quale circostanza non espressamente contestata dal conduttore, il quale ha, sul punto, dedotto l'esistenza dei vizi lamentati sin dal mese di novembre del 2018, nonostante gli interventi (mai risolutivi) posti in essere dalla locatrice, e che quest'ultima "pretendeva di fare lavori in assoluta economia, con i conduttori presenti in casa (ovvero senza dare loro un alloggio alternativo nelle giornate di lavoro) e senza presentare al conduttore delle certificazioni sui lavori da effettuare" (v. pag. 4 della memoria integrativa). Orbene, tale comportamento si pone non solo in contrasto con il dovere di tollerare l'esecuzione degli interventi manutentivi urgenti, previsto all'art. 1583 c.c., salvi i diritti riconosciuti all'art. 1584 c.c., in presenza dei relativi presupposti, ma con il più generale principio di buona fede. Tanto emerge anche dalla documentazione versata in atti ed in particolare dalla comunicazione del 6.3.2020 (n. prot. (...)) dell'(...), ove si dà atto che il conduttore aveva impedito l'accesso all'immobile ai propri incaricati e al tecnico addetto al controllo della caldaia, nonché, dalla risposta del 18.5.2020, pervenuta dal Comune di Monfalcone, il quale ha negato la dichiarazione di inagibilità dell'immobile, oggetto di causa, richiesta da (...), avendo la locatrice provveduto alla sostituzione degli impianti idrici e di scarico degli immobili sovrastanti, rendendosi disponibile ad eseguire le ulteriori riparazioni, qualora le fosse stato consentito l'acceso all'immobile, stante il perdurante rifiuto opposto dal conduttore (v. doc. 15 fascicolo parte ricorrente). Tale circostanza trova ulteriore conferma nella relazione di servizio redatta dalla Polizia Locale del Comune di Monfalcone del 9.3.2020, in cui il comportamento del conduttore - tenuto in occasione della richiesta di accesso da parte degli agenti e del sig. (...) (marito della ricorrente) per effettuare le riparazioni - viene descritto come provocatorio ed oppositivo, con la richiesta di "un documento attestante lo sfratto per poi procedere con la richiesta di una casa popolare" (v. doc. 7 fascicolo parte ricorrente). Alla luce delle considerazioni che precedono, il contratto oggetto di causa deve essere dichiarato risolto per fatto e colpa del conduttore, con conseguente condanna, a carico del resistente, al rilascio del bene indicato in contratto libero e vuoto da persone e cose ex art. 56 L. n. 392 del 1978 entro il 20.4.2022. (...) va, altresì, condannato al pagamento dei canoni di locazione scaduti e non pagati dal mese di agosto del 2019 all'attualità, pari ad Euro 9.920,00 (ossia Euro 320,00 per 31 mensilità), cui va aggiunto l'importo residuo di Euro 170,00, relativo al mese di maggio del 2019, per complessivi Euro 10.090,00, come richiesto in atti, oltre al pagamento dei canoni a scadere sino alla data di effettivo rilascio del bene, con gli interessi al tasso legale dalle singole scadenze al saldo effettivo. Non può, invece, essere accolta la domanda di risarcimento del danno proposta dal resistente, in quanto formulata genericamente e non provata. Posto che alcun pregiudizio di natura patrimoniale è stato, in concreto, allegato dal conduttore, il quale si è limitato a quantificare il danno subito in Euro 5.000,00, non può, tantomeno, essere accolta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale. Sul punto, occorre richiamare il principio giurisprudenziale, formatosi a seguito delle pronunce delle Sezioni Unite n.26972 e 26973 dell'11 novembre 2008, secondo cui il danno non patrimoniale è risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c. solo qualora l'illecito, contrattuale o extracontrattuale, cagioni una grave lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati mentre deve escludersi la risarcibilità dei pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale. Il danno non patrimoniale derivante da infiltrazioni è, in particolare, risarcibile qualora sia connesso a una lesione del diritto alla salute obiettivamente apprezzabile o a una violazione del diritto di proprietà che abbia comportato un effettivo mancato pieno godimento dell'unità immobiliare; il diritto di cui si assume la lesione deve essere, tuttavia, inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. In punto di riparto dell'onere della prova, spetta, dunque, al danneggiato allegare e provare, anche mediante il ricorso a presunzioni, un'effettiva lesione del diritto alla salute o al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed al diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Nel caso di specie, anche alla luce delle prove testimoniali espletate, deve ritenersi, da un lato, che il conduttore non abbia adeguatamente allegato né provato il pregiudizio non patrimoniale asseritamente subito e, dall'altro, va esclusa, in radice, la sussistenza dell'elemento psicologico di qualunque responsabilità contrattuale per assenza di dolo ovvero colpa (lieve o grave) della locatrice, essendosi resa disponibile ad effettuare le necessarie riparazioni, come sopra evidenziato. Ogni ulteriore questione, pur sollevata dalle parti in causa rimane assorbita nella motivazione che precede. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al (...) n. 55 del 2014, come modificati con (...) n. 37 del 2018 (scaglione compreso tra Euro 5.201,00 a Euro 26.000,00), ivi comprese quelle per la mediazione, diversamente dalla nota spese depositata, tenuto conto dell'attività effettivamente svolta dai difensori. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - in accoglimento della domanda, dichiara risolto per grave inadempimento del conduttore il contratto di locazione oggetto di causa, relativo all'immobile sito in M., alla via (...) n. 96, (meglio indicato e descritto in citazione e nel contratto in atti), con conseguente condanna di (...) al rilascio dell'immobile libero e vuoto da persone e cose in favore di parte ricorrente, fissando per l'esecuzione la data del 20.4.2022; - condanna (...) al pagamento, in favore della ricorrente, della somma complessiva di Euro 10.090,00, a titolo di canoni di locazione non corrisposti sino al mese di febbraio 2022, oltre al pagamento dei canoni a scadere sino alla data di effettivo rilascio del bene, con gli interessi al tasso legale dalle singole scadenze al saldo effettivo; - rigetta le domande di parte resistente; - condanna (...) al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite (ivi compresa la mediazione), liquidate complessivamente in Euro 163,23 per spese ed Euro 4.835,00 per compensi, oltre IVA, se dovuta, CPA e spese generali al 15%. Così deciso in Gorizia il 3 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GORIZIA SEZIONE UNICA CIVILE Il Tribunale di Gorizia, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Riccardo Merluzzi - Presidente dott.ssa Laura Di Lauro - Giudice Relatore dott.ssa Francesca Clocchiatti - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 690/2016 promossa da: (...) (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. Ga.Ab., in virtù di procura in atti, ed elett.te dom.ta in Monfalcone alla via (...), presso lo studio dell'avv. Da.Mi.; ATTRICE contro (...) (c.f. (...)) e C.F. (c.f. (...)), elett.te dom.te in Gorizia alla via (...), presso lo studio dell'avv. An.Pe., che le rappresenta e difende in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTE Nonché (...), nato a (...) il (...) e (...), nata a (...) il (...), quali eredi di (...). CONVENUTI CONTUMACI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, A. in (...), nella qualità di erede testamentaria della madre (...) - premesso di aver accettato con beneficio di inventario l'eredità materna - ha agito in giudizio nei confronti della sorella (...) e di (...), quest'ultima nella qualità di erede di (...) (fratello dell'attrice), deceduto in data 28.9.2013, chiedendo 1) previa resa del conto, la ricostruzione della massa ereditaria, relitta da (...), tenendo conto di tutti gli atti di disposizione compiuti in vita dalla defunta e conseguentemente effettuare la reintegrazione di quanto ad ella spettante, mediante la proporzionale riduzione di tutti gli atti di liberalità, indicati nell'atto introduttivo, eccedenti la quota di cui la madre poteva disporre, nei limiti della quota, o della diversa somma accertata dal Tribunale; 2) accertare e dichiarare la nullità degli atti di liberalità effettuati direttamente e/o indirettamente, per mancanza dei requisiti normativamente previsti, con ogni conseguenza di legge; 3) condannare le convenute a restituire all'asse tutto quanto sottratto, con relativo risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, il tutto oltre interessi ex art. 1284 comma 4 c.c., esponendo: - che, in data 26.4.2011, era deceduta a (...), la quale, con testamento olografo dell'8.9.2007, "pentita delle donazioni fatte solo a L. e (...)", aveva nominato sua erede universale ella attrice (v. doc. 1 fascicolo parte attrice); - che la defunta aveva sostanzialmente disposto in vita del suo intero patrimonio, mediante donazioni in favore dei due figli (...) e (...); - che (...) ed i suoi due figli hanno rinunciato all'eredità, mentre (...) avrebbe dapprima accettato tacitamente l'eredità - cedendo gli effetti personali della defunta alla casa di cura, ove quest'ultima era stata ospitata, e movimentando il conto corrente della madre, avvalendosi della delega bancaria rilasciata in proprio favore - e successivamente rinunciato alla stessa; - che, nonostante la rinuncia all'eredità, da parte di (...), quest'ultima sarebbe comunque "chiamata all'eredità" materna (v. pag. 10 dell'atto di citazione); - che (...) era titolare in vita di un cospicuo patrimonio mobiliare ed immobiliare, tra cui villa Adria di Grignano, acquistata nel 1956, e oggetto di quattro donazioni in favore della sorella L. (v. doc. 2 fascicolo di parte attrice); - che, in forza di una transazione conclusa nel 2002, (...) era inoltre divenuta piena proprietaria dell'intero "compendio immobiliare di Largo Promontorio n. 1" (non meglio indentificato), con riserva del diritto di abitazione in favore della madre (...), a seguito di una complessa operazione immobiliare, lesiva dei diritti di ella attrice (v. doc. 4-1, erroneamente indicato sub 3 fascicolo parte attrice); - che, a seguito dell'allontanamento della madre dalla sua abitazione, sita in T., al L. del P., sin dal mese di novembre del 2008, (...) avrebbe continuato a provvedere al pagamento delle utenze e delle spese condominiali, relative al predetto immobile, per un importo non inferiore ad Euro 5.968,30, con denaro presente sul conto corrente n. (...), intestato alla madre, da cui emergerebbero ulteriori prelievi in eccesso rispetto al "prevedibile budget domestico", nel periodo compreso tra il mese di novembre del 2008 e il mese di dicembre del 2010, asseritamente effettuati da quest'ultima, per l'importo di Euro 44.112,37 (v. pag. 7 dell'atto di citazione); - che (...) avrebbe poi concesso in locazione il predetto immobile a (...), incassando il relativo canone sino al mese di giugno 2010, di spettanza della madre; - che, con atto di compravendita del 4.6.1986, (...), anche quale procuratrice speciale della madre (...), quest'ultima titolare del diritto di usufrutto, vendeva (...), sita in località Prosecco (meglio identificata alla pag. 5 dell'atto introduttivo), ad (...), al prezzo di Lire 1.800.000.000 (v. doc. 8 fascicolo parte attrice), che sarebbe stato interamente incassato dalla convenuta; - che, con successivo atto di compravendita dell'1.6.2010, (...), in proprio e quale procuratrice della madre - titolare del diritto di abitazione - vendeva l'immobile sito in T., al L. del (...) al prezzo di Euro 620.000,00 (v. doc. 8 fascicolo parte attrice), incassandone interamente il corrispettivo, ivi compresa la quota della madre, quantificata nella misura del 10% (v. doc. 9 fascicolo parte attrice); - che, relativamente ai beni mobili, (...) si sarebbe appropriata della somma di Euro 8.960,69, afferente al fondo di investimento Intesa (...); - che nel 1986 la defunta avrebbe donato ai figli (...) e L. somme di denaro, mediante l'intestazione del conto corrente (n. 247/493252) presso la (...), sul quale era stato versato il ricavato della vendita di 80 kg. di lingotti d'oro, con delega ad operare a sé stessa; - che nel 2002 la madre avrebbe donato ai due figli (...) e (...) somme di denaro (non meglio precisate), prelevandole dal conto corrente svizzero 247/493252, dividendole tra i due figli, senza rispettare la forma solenne prevista all'art. 782 c.c.; - che i fratelli L. e (...) si sarebbero anche appropriati dei beni presenti all'interno della cassaforte posta all'interno dell'appartamento sito in T., al L. del (...) 1, ritenendo tale circostanza dimostrata dalla rinuncia, da parte dei due fratelli, all'eredità materna, al fine di non dover rispondere "della collazione generale" dei beni ricevuti (v. pag. 9 dell'atto di citazione); - che (...) dovrebbe, inoltre, "essere chiamata a rispondere" della sottrazione degli arredi presenti all'interno dell'abitazione di Largo del Promontorio n. 1, tra cui un pianoforte del valore non inferiore ad Euro 1.500,00 (v. pag. 10 dell'atto di citazione). Si sono tempestivamente costituite (...) e (...), le quali hanno contestato quanto dedotto dalla controparte, eccependo: - il loro difetto di legittimazione passiva, atteso che la prima ha rinunciato all'eredità della madre con atto del 24.11.2011, mentre, per la seconda, moglie del defunto (...), va esclusa la chiamata all'eredità relitta da (...), avendo peraltro il marito rinunciato all'eredità materna; - l'assenza, in ogni caso, di atti costituenti chiara espressione della volontà di (...) di accettare l'eredità, non assumendo a tal fine rilevanza né l'aver donato alle suore della casa di riposo i pochi effetti personali lasciati dalla defunta, né il pagamento della retta della casa di riposo, pari ad Euro 800,00, in quanto effettuato con denaro proprio, mediante versamento della somma sul conto corrente intestato alla madre; - l'inammissibilità della domanda attorea, per essere l'attrice decaduta dall'accettazione con beneficio di inventario, avendo quest'ultima già accettato tacitamente l'eredità, come si desume dal contenuto del ricorso ex art. 671 c.p.c., proposto ante causam, e per aver la stessa "intrattenuto rapporti con diversi uffici" (v. pag. 26 dell'atto di costituzione e risposta); - l'inammissibilità della domanda di resa del conto proposta dall'attrice ex art. 723 c.c., per non essere le convenute eredi di (...) ed, in ogni caso, per intervenuta prescrizione del relativo diritto; - la falsità del testamento olografo, in quanto "redatto sotto l'azione dominante di una volontà e di una mano esterna" (v. pag. 8 della comparsa di costituzione), da cui discenderebbe l'indegnità a succedere dell'attrice, ai sensi dell'art. 463 c.c.; - che, ove si interpreti la domanda attorea come volta ad ottenere la reintegrazione della quota di legittima, la stessa, ai sensi dell'art. 537 c. 2 c.c., sarebbe pari a 2/9 e non ad 1/3, come indicato nell'atto di citazione; - che (...) avrebbe, altresì, provveduto, unitamente al fratello, al pagamento delle spese funerarie pari ad Euro 4.470,00, quale credito da porre eventualmente in compensazione (v. pag. 6 della comparsa di costituzione); - che, in ogni caso, l'odierna attrice avrebbe ricevuto numerose donazioni in denaro dalla madre, pari a complessive Lire 1.028.000.000, tra cui L. 100.000.000, versato per "integrare" il prezzo di acquisto dell'appartamento di Largo del Promontorio, complessive Lire 800.000.000, tra gli anni 1981 e 1984, "per coprire varie scadenze sottoscritte da (...) e marito, (...) per gestione Baker", nonché Lire 60.000.0000 per la costruzione di una piscina nel 1981, come dimostrato dallo scritto di (...) risalente al 13.6.1984 (v. doc. 7 fascicolo parte convenuta); - che all'attrice sarebbero stati, inoltre, donati alcuni gioielli, rappresentati nelle fotografie di cui al doc. 9 del fascicolo di parte convenuta, del valore di circa Euro 100.000,00, oltre ad un anello con diamante di valore inestimabile; - che l'attrice avrebbe altresì "incassato" altre somme di denaro (non meglio precisate), prelevandole dal conto corrente svizzero intestato alla defunta; - che, con riferimento ai beni immobili, il prezzo di vendita di (...) sarebbe stato diviso tra le parti venditrici, ossia (...) e la figlia L., mentre, per quanto riguarda l'immobile sito a T., in L. del (...) - gravato solo dal diritto di abitazione e non di usufrutto (cfr. art. 4 del contratto di compravendita) - in data 14.11.1996, (...) aveva acquistato dalla madre e dal fratello (...) la quota complessiva di 7/18 al prezzo di Lire 156.000.000 (v. doc. 10 fascicolo di parte convenuta); - che, tantomeno, possono essere ricomprese, nella ricostruzione dell'asse ereditario, le somme percepite a titolo di canone di locazione di tale ultimo immobile, essendo stata la defunta titolare del solo diritto di abitazione; - che, relativamente all'investimento nel fondo "(...)", pur risultando (...) formale intestataria del fondo d'investimento, i relativi rimborsi sarebbero avvenuti con accredito, mediante bonifico bancario, sul conto corrente n. 04523/0367033301/07, intestato alla madre; - che, in ogni caso, deve ritenersi operante la dispensa dalla collazione, come espressamente dichiarato dalla defunta (v. doc. 17 fascicolo parte convenuta); - che, al più, il valore delle donazioni in favore di (...) ammonterebbe ad Euro 1.200.000,00, mentre il valore delle donazioni in favore dell'attrice sarebbe pari ad Euro 1.300.000,00, importo superiore alla quota dei 2/9 ad ella spettante. La convenute hanno, dunque, chiesto dichiararsi inammissibili le avverse domande ed in subordine il rigetto nel merito. 1. Questioni preliminari. Preliminarmente, vanno rigettate le istanze istruttorie reiterate all'udienza di precisazione delle conclusioni e nelle comparse conclusionali, con integrale conferma dell'ordinanza del 2.12.2019, alla cui motivazione integralmente si rinvia. Va, inoltre, dichiarata la contumacia di Cesare ed (...), quali eredi di (...), nei cui confronti è stato integrato il contraddittorio con ordinanza del 7.9.2020. Deve essere, infine, dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, la domanda di risarcimento del danno, proposta da parte attrice per la prima volta nella memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. 2. Nel merito. Si discute, nella presente sede, della successione di (...), nata il (...) e deceduta a Gorizia il 26.4.2011, la quale, pur avendo disposto in vita, mediante donazioni, del proprio intero patrimonio, con testamento olografo dell'8.9.2007, ha nominato erede universale la figlia (...). Atteso che la defunta aveva avuto tre figli, ossia (...) (odierna attrice), (...) (deceduto a Trieste il 28.9.2013) e (...) e ritenuta la validità del testamento olografo, in assenza di domanda di accertamento negativo della sua autenticità, da parte delle odierne convenute, secondo i principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 12307/2015, deve escludersi che, in virtù delle disposizioni testamentarie, L. e (...) siano mai stati chiamati all'eredità materna. Appaiono, pertanto, irrilevanti le difese svolte dall'attrice che ritengono sussistente o presuppongono tale qualità, come anche di seguito meglio precisato. Ciò chiarito, (...) - deducendo la lesione della quota di legittima ad ella spettante - ha agito nei confronti della sorella L. e di (...), quale erede del defunto (...), previa redazione del rendiconto, 1) per la riduzione e la collazione delle donazioni ai sensi degli artt. 555 e 737 e ss. c.c., al fine di ottenere la reintegrazione della quota di riserva, come chiarito nella memoria ex art. 183 c. 1 c.p.c., ove si afferma che la domanda "sottende tanto un'istanza di collazione quanto di riduzione"; 2) l'accertamento della nullità degli atti di liberalità dirette o indirette, per mancanza della forma solenne ex art. 782 c.c.; 3) la condanna delle convenute a restituire all'asse tutto quanto sottratto e al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, oltre interessi al tasso legale ex art. 1284 c. 4 c.c. (v. memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. di parte attrice). Tanto premesso, non può, innanzitutto, essere accolta la domanda di accertamento della nullità delle donazioni dirette o indirette, effettuate dalla defunta in favore dei figli L. e (...), per difetto di forma solenne, in quanto formulata in maniera del tutto generica. Più precisamente, in assenza di una chiara indicazione dell'oggetto della domanda di nullità, sulla base delle difese svolte nell'atto introduttivo e delle precisazioni contenute nella memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c., deve ritenersi che l'odierna attrice abbia inteso chiedere la declaratoria di nullità delle donazioni aventi ad oggetto somme di denaro (non meglio precisate), effettuate nel 2002 in favore di L. e (...) (v. pag. 8 e 9 dell'atto di citazione), nonché la donazione indiretta avente ad oggetto le somme di denaro presenti sul conto corrente svizzero n. (...), ove sarebbe confluito il corrispettivo derivato dalla vendita di 80 kg d'oro, in precedenza asseritamente custodito all'interno della cassetta di sicurezza n. 31252, presso la banca UBS di Lugano, in relazione alla quale la madre aveva nominato i due figli quali procuratori, con gli stessi poteri del titolare del contratto di locazione della cassetta (v. doc. 14 fascicolo parte attrice). Ciò posto, nulla è stato allegato dall'attrice in ordine al quantum delle asserite donazioni effettuate da (...), neanche al momento delle precisazioni delle conclusioni. Analoghe considerazioni valgono per i beni presenti all'interno della cassaforte, presente all'interno dell'immobile sito in T., al (...) del (...), essendosi l'attrice limitata ad affermare che ne sarebbero entrati in possesso i due fratelli ed i loro rispettivi figli. Parimenti, non può essere accolta la domanda di riduzione delle donazioni. Sul punto, vale rammentare che gli 554 e 555 c.c. non prevedono e regolano due distinte azioni, bensì un'unica azione, e cioè l'azione di riduzione, concessa ai legittimari, a tutela dei diritti che la legge ad essi riserva, qualora siano lesi da disposizioni testamentarie (art. 554 c.c.) ovvero da donazioni (art. 555 c.c.), prevedendosi per entrambe che "sono soggette a riduzione" (Cass. sez. 2, Sentenza n. 11873 del 1993, in motivazione). L'art. 564 c.c., oltre a prevedere, quale condizione dell'azione, l'accettazione dell'eredità con beneficio di inventario, salvo che l'azione sia stata proposta nei confronti di soggetti chiamati come coeredi, impone al legittimario, che agisce in riduzione, di imputare le donazioni ricevute in vita dal de cuius. Orbene, la domanda - pur ammissibile, avendo l'attrice accettato, con beneficio di inventario, l'eredità materna - va rigettata nel merito, in mancanza di adeguata dimostrazione della lesione asseritamente subita in conseguenza delle donazioni effettuate in vita dalla defunta, la quale deve, pur sempre, essere enunciata in termini concreti e non come pura eventualità. Nel caso di specie, si rileva, in primo luogo, che l'attrice non ha fornito adeguata rappresentazione del patrimonio della defunta, in considerazione della genericità e talvolta della non pertinenza delle relative allegazioni. Si fa, in particolare, riferimento alla transazione del 2002 (v. doc. 3 fascicolo parte attrice), dalla quale non emerge, invero, alcun atto di liberalità, lesivo del diritto dell'attrice, trattandosi di un atto con il quale sono stati definiti due giudizi, incardinati da (...), nei confronti della madre (...) e dei due fratelli (...) e (...), dinanzi al Tribunale di Trieste, per la reintegrazione della quota di riserva ad ella spettante, a seguito dell'apertura della successione del padre. In secondo luogo, non risulta adeguatamente dimostrata, nei termini anzidetti, la lesione della quota di legittima, a fronte della puntuale allegazione, da parte delle odierne convenute, dell'esistenza di donazioni in favore dell'attrice, aventi ad oggetto cospicue somme di denaro: in particolare, quella ricevuta da (...) per integrare il prezzo di acquisto dell'immobile sito in (...), al (...), di Lire 100.000.000,00, la donazione di circa Lire 800.000.000,00 tra gli anni 1981 e 1984, nonché la donazione di circa Lire 60.000.000,00 per la costruzione di una piscina, come dimostrato dallo scritto del 13.6.1984 (v. doc. 7 e depositato anche in originale), proveniente dalla defunta (...), finalizzato a "testimoniare" che la decisione di donare alla figlia (...) il compendio immobiliare sito in (...) era stata effettuata in considerazione dei numerosi aiuti economici che la defunta aveva fornito all'attrice, oltre che dalle copie dei due assegni emessi da (...) (di cui al doc. 8 fascicolo parte convenuta). Né è possibile addivenire a diverse conclusioni per effetto del generico disconoscimento contenuto nella memoria ex art. 183 c. 6 n. 1 c.p.c. di parte attrice, alla luce del prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "l'onere di disconoscimento della scrittura privata previsto dagli artt. 214 e 215 cod. proc. civ. presuppone che il documento prodotto contro una parte del processo provenga dalla parte stessa, mentre non opera nel diverso caso della scrittura proveniente da un terzo, non producendosi in tal caso l'effetto di inutilizzabilità della scrittura che - disconosciuta - non sia stata fatta oggetto di verificazione ex art. 216 cod. proc. civ." (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23155 del 31/10/2014; Cass. Sez. U, Sentenza n. 15169 del 23/06/2010). In altri termini, nel caso di specie, tenuto conto, da un lato, della carente rappresentazione patrimoniale della defunta, e, dall'altro, della mancanza di prova del fatto negativo dell'esistenza di attribuzioni patrimoniali destinate ad incrementare il donatum, si ritiene che l'attrice non abbia, neanche in maniera presuntiva, soddisfatto l'onere della prova posta a suo carico. Alla luce delle considerazioni che precedono, non è possibile sopperire al mancato assolvimento dell'onere probatorio incombente sull'attrice mediante l'espletamento di una C.T.U., atteso che "la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze", con la conseguenza che "il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (cfr. Cass. n. 3130/2011). Da ultimo, va rigettata tanto la domanda di resa del conto, quanto quella di collazione. La prima, prevista all'art. 723 c.c., tra le norme in materia di divisione, può essere, infatti, proposta nei confronti dei coeredi, al fine di rendere definiti e quindi liquidi i debiti e i crediti di ciascun comunista verso gli altri, per il godimento individuale di beni comuni o derivanti da atti di amministrazione compiuti nell'interesse comune. Parimenti, va escluso che, nel caso di specie, possa trovare applicazione l'istituto della collazione, il quale, nell'ambito del giudizio di divisione, presuppone, ai sensi dell'art. 737 c.c., l'accettazione dell'eredità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11831 del 30/10/1992). Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. n. 37 del 2018 (scaglione da Euro 52.001,00 a Euro 260.000,00), da versare in favore dell'Erario, stante l'ammissione provvisoria di entrambe le convenute al Patrocinio a Spese dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così dispone: - rigetta la domanda attorea; - condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite, in favore di (...) e (...), che si liquidano, un'unica volta, in Euro 13.430,00 per compensi, oltre IVA, CPA e spese generali al 15%, se dovuti, come per legge, da versare in favore dell'Erario; - nulla per spese di lite in favore di (...) ed (...), rimasti contumaci. Così deciso in Gorizia il 28 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca DE MITRI alla pubblica udienza del 11 febbraio 2022 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: Ditta individuale (...), con sede legale in via T. n. 55 a F. (P.), difesa d'ufficio dall'avv. F.SA.; imputata (vedi foglio successivo) Con l'intervento del Pubblico Ministero, dott.ssa M.GU. (V.P.O.) e dell'avv. F.SA.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto che dispone il giudizio del G.u.p. presso il Tribunale di Gorizia, la Ditta Individuale (...) veniva chiamata a rispondere dell'illecito amministrativo ascritto in rubrica, in relazione al reato presupposto ascritto ai coimputati (...), (...) e (...). Aperto il dibattimento all'udienza del 23.9.2019 e rinviata l'udienza del 27.04.2020 ai sensi del D.L. n. 18 del 2020 emanato per fronteggiare la diffusione del virus Covid-19, alle successive udienze del 22.1.2021 e 01.10.2021, aveva inizio l'istruttoria con l'audizione dei testi (...), (...), (...), (...) e (...). All'udienza dell'11.02.2022 il difensore dell'impresa chiedeva pronunciarsi immediata declaratoria di insussistenza dell'illecito per non assoggettabilità dell'impresa individuale alle norme di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Il Pubblico Ministero sull'istanza si rimetteva. In virtù dell'orientamento già in precedenza assunto da questo Tribunale, l'istanza difensiva va accolta. Sulla assoggettabilità delle imprese individuali alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001 basti richiamare il chiaro principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 30085 del 2012: "la normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli soggetti collettivi" (cfr. Cass. Sez. 6, n. 30085 del 16/05/2012, Rv. 252995). Senza volersi soffermare in questa sede sulle questioni maggiormente dibattute in relazione alla responsabilità amministrativa introdotta dal sopra citato decreto, è certo che si tratti di una responsabilità riferita ai soli "enti", termine che evoca soggetti di diritto collettivi, dotati di una struttura organizzata e complessa, che non appartiene di certo alle imprese individuali. Come giustamente osservato nella sentenza n. 18941/2004 dalla Corte di Cassazione, le imprese individuali e gli enti collettivi presentano spiccati caratteri di diversità, con la conseguenza che non c'è alcuna disparità di trattamento nel ritenere le prima non soggette alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001; in ogni caso, un'interpretazione estensiva dell'ambito di applicazione della normativa richiamata costituirebbe una violazione del divieto di analogia in malam partem di cui all'art. 25 Cost. Tali principi devono trovare applicazione in relazione alla Ditta (...) in considerazione della natura di impresa individuale della stessa. In conclusione, previo stralcio della relativa posizione, deve essere pronunciato l'immediato proscioglimento ai sensi degli artt. 129 c.p.p. e 66 D.Lgs. n. 231 del 2001 della Ditta Individuale (...) per l'illecito di cui al capo d) di rubrica, in quanto non soggetta alla normativa di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Ai sensi dell'art. 544 comma 2 c.p.p. si indica il termine di giorni 15 per il deposito della motivazione. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, visti gli artt. 129 c.p.p. e 66 del D.Lgs. n. 231 del 2001, DICHIARA che l'illecito amministrativo contestato a Ditta Individuale (...) non sussiste per essere la stessa non soggetta alla normativa di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001. Visto l'art. 544, comma 2 c.p.p. indica il termine di giorni 15 per il deposito della motivazione della sentenza. Così deciso in Gorizia l'11 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GORIZIA in persona del Giudice dr.ssa Francesca Clocchiatti ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle causa civile iscritta al n. 562/2020 di Ruolo Generale il 26.06.2020 vertente tra (...) - rappresentata e difesa, per mandato allegato all'atto di citazione in opposizione dall'avv. BL.ER. - parte attrice opponente - e (...) S.P.A. - rappresentata e difesa, per mandato allegato alla comparsa di risposta dall'avv. RO.MA. - parte convenuta opposta - Oggetto: Pagamento del corrispettivo - Indennita di avviamento - Ripetizione di indebito. MOTIVI DELLA DECISIONE I) Con ricorso per decreto ingiuntivo ex. artt. 633, 642 e ss. c.p.c. la (...) S.p.A. chiedeva di ingiungere al sig. (...) il pagamento della somma di Euro 21.181,03 oltre interessi di mora da calcolare fino all'effettivo soddisfo, nonché il pagamento delle spese del procedimento monitorio e successive occorrende ed a supporto delle proprie pretese, l'Istituto di credito asseriva: - di essere creditore nei confronti della sig. (...) dell'importo di Euro 314,63 corrispondente alla somma delle rate non riscosse in ordine al contratto di finanziamento n. (...), stipulato con la (...) S.p.A., poi ceduto pro soluto alla società procedente con atto del 18/09/2019; - di aver notificato la suddetta cessione con contestuale intimazione di pagamento alla parte debitrice con lettera raccomandata; - di essere creditore nei confronti del sig. (...) dell'importo di Euro 20.866,40 corrispondente alla somma delle rate non riscosse in ordine al contratto di finanziamento n. (...), stipulato con la (...) S.p.A., poi ceduto pro soluto alla società procedente con atto del 18/09/2019; - di aver notificato la suddetta cessione con contestuale intimazione di pagamento alla parte debitrice con lettera raccomandata; Pertanto la convenuta opposta dichiarava il credito azionato in via monitoria certo, liquido ed esigibile ed a seguito di un tanto con decreto ingiuntivo del 20/04/2020, il Tribunale di Gorizia, ingiungeva al sig. (...) di pagare entro 40 giorni dalla notifica dell'atto la somma di Euro 21.181,03 oltre interessi come da domanda e spese di procedura pari ad 540,00 per compenso professionale, Euro 145,00 per esborsi, nonché il 15% per spese generali, i.v.a. e c.p.a. e successive occorrende. Tutto ciò posto il sig. (...) spiegava formale opposizione ai sensi dell'art. 645 c.p.c., avverso il decreto ingiuntivo al fine di sentirne dichiarata la nullità e comunque la revoca per i seguenti motivi in fatto: - Il sig. (...) aveva effettivamente sottoscritto con la (...) S.p.A. contratto di finanziamento n. (...), capitale finanziato pan i ad Euro 21.256,00, da restituire con 84 rate mensili, dell'importo di Euro 358,00, a partite dal 31/01/2014 fino alla scadenza prevista per il 04/05/2017, per un totale complessivo finale pan i ad Euro 30.072,00; - dal riepilogo contabile del rapporto di controparte sul contratto di finanziamento n. (...), benché anch'esso in contestazione, risulta alla data del 04/05/2017 un credito residuo pan ad Euro 16.153,41; - successivamente il sig. (...) rinegoziava il suddetto finanziamento n. (...) sottoscritto con la (...) s.p.a. attraverso l'intermediario (...) in data 24/10/2017, rifinanziando il capitale residuo pan i ad Euro 16.728,00, da restituire con 24 rate mensili, dell'importo di Euro 51,00, a partire dal 30/01/2018 ed a seguire con ulteriori 51 rate mensili, dell'importo di Euro 304,00, a partire dal 30/01/2020 fin° alla scadenza, per un totale finale pan i ad Euro 16.153,41 per capitale e Euro 574,59 per interessi; - successivamente provvedeva a pagare le rate concordate e rinegoziate per un totale sino a oggi di Euro 510,00; - pertanto il sig. (...) risulterebbe ad oggi avere un debito residuo di Euro 16.218,00 comprensivo di interessi riferito al contratto di finanziamento n. (...); - II sig. (...) ha anche effettivamente sottoscritto con la (...) s.p.a. contratto di finanziamento n. (...), capitale finanziato pan i ad Euro 1.399,00, da restituire con 24 rate mensili, dell'importo di Euro 58,33, a partite dal 25/08/2016 fino alla scadenza prevista per il 27/04/2018, per un totale complessivo finale pan i ad Euro 1.399,00; - di fatto, l'odierno opponente, su un debito totale di Euro 1.399,00 ha onorato lo stesso per Euro 1.085,35, con un debito residuo di Euro 314,63; - non vi è i riconoscimento di quanto dal sig. (...) ha versato successivamente al 04/05/17. - nulla e la notifica di cessione del credito e contestuale intimazione di pagamento sui contratti di finanziamento in quanto l'allegato 4 depositato da controparte quale notifica di cessione del credito e contestuale intimazione di pagamento su contratto di finanziamento n. (...) e l'allegato 8 notifica di cessione del credito e contestuale intimazione di pagamento su contratto di finanziamento n. (...) sono identici nel contenuto e supportati dalla medesima cartolina di notifica n. (...) indirizzata al sig. (...). Si costitutiva la convenuta la quale contestava le difese attoree. II) Con riferimento all'eccepita nullità del decreto ingiuntivo qui impugnato si deve ricordare che per pacifica giurisprudenza di legittimità, l'opposizione prevista dall'art. 645 c.p.c. non è una "actio nullitatis" o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore - anche se eventuale - del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Cass. 927 del 2022). Pertanto ogni questione svolta a tal proposito dalla difesa dell'opponente dovrà essere rigettata ed esaminate nel merito le pretese avanzate dalle parti. Non potrà trovare accoglimento nemmeno quanto dedotto da parte attrice con riferimento all'infondatezza della pretesa di parte opposta a causa della nullità del contratto di finanziamento per mancata produzione in giudizio della copia del contratto firmata dal funzionamento dell'istituto di credito. SI ricorda, infatti, che "Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall'art. 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuto" (Cass. S. U. 898 del 2018). Nel caso in oggetto il consenso dell'intermediario è sicuramente desumibile dal comportamento, anche processuale, di quest'ultimo che ha coltivato la propria pretesa creditoria. Rispetto alle dedotta nullità delle clausole relative agli interessi compensativi moratori, si deve rilevare che la domanda svolta dall'opponente risulta assolutamente generica e sul punto giova rammentare che è onere della parte che adduce l'usurarietà del tasso allegare ed indicare quali i modi, i tempi e la misura del superamento del tasso-soglia, in difetto dei quali la doglianza deve considerarsi una mera illazione dilatoria. Devono dunque essere rigettate le domande in ordine alla asserita applicazione di interessi usurari quando genericamente formulate e totalmente sfornite di adeguato supporto probatorio nell'an e nel quantum, essendo palesemente insufficiente richiamare la normativa relativa ai tassi di interesse usurari in assenza di circostanziati e documentati riscontri probatori. Non potrà quindi essere vagliata la doglianza attorea considerata la generica deduzione in atti. La parte opponente, inoltre, contesta la legittimità del piano di ammortamento cd. 'alla francese', con imputazioni di pagamenti a quote di interessi progressivamente decrescenti e a quote di capitale progressivamente crescenti, con la conseguenza che vi sarebbe incertezza sul tasso in concreto applicato e rischio di anatocismo. Contrariamente a quanto esposto, il piano di ammortamento in questione non genera incertezza sull'interesse applicato e quindi sulla remunerazione dell'investimento né interessi anatocistici, "atteso che, nella prima rata, gli interessi corrispettivi si calcolano sulla somma concessa a mutuo e in ciascuna delle rate successive la quota degli interessi viene computata sul debito residuo del periodo precedente. Pertanto, tale metodologia non genera nessuna discordanza tra il tasso pattuito e quella applicato né dunque una capitalizzazione degli interessi, già che gli stessi vengono quantificati soltanto sulla quota capitale progressivamente decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata" (Tribunale Salerno 30 gennaio del 2015, Tribunale Pavia del 30/10/2017). Più di recente, la giurisprudenza di merito ha ulteriormente chiarito che 'il piano di ammortamento "alla francese" null'altro è che la predisposizione volontaria da parte dei contraenti di un piano di pagamento a rata costante, laddove all'interno di ciascuna rata la quota capitale e la quota interessi non sono identiche: gli interessi da corrispondersi sono maggiori nelle prime rate e via via decrescono con le rate successive. Ma è questo il prezzo che va pagato se si vuole mantenere una rata costante ed unica nel tempo. Se il piano di ammortamento alla francese può ritenersi più costoso, ciò comunque non comporta la sua illiceità, essendo vantaggioso sotto un altro profilo per il debitore, nel senso che consente di avere rate (ad interessi costanti) uguali e dunque gestire meglio i flussi di cassa'(Tribunale Roma sez. XVII, 04/12/2020, n.17383, v. anche Trib. Siena n.824/19). Del resto non risulta sostenibile quando dedotto con riferimento alla carenza di legittimazione ad agire della convenuta opposta: come correttamente sottolineato da controparte l'atto di rinegoziazione del 24.10.2017 è pur sempre riferibile a (...), si veda infatti l'intestazione, e la firma del documento che rinvia all'originaria creditrice (...). Nuova è poi la circostanza dedotta soltanto con la comparsa di risposta e con cui si è contestata la mancata comunicazione del beneficio del termine riferibile al finanziamento sorto a seguito di negoziazione. Non potrà quindi essere considerato ai fini decisori, e comunque nel merito infondata, posto che l'atto di rinegoziazione deve ritenersi negozio collegato all'originario contratto di finanziamento, pertanto valida ed efficace la comunicazione di decadenza del beneficio del termine inviata con riferimento al contratto originario. III) Sul quantum parte opposta riferisce che il conteggio esposto con il decreto monitorio deriva dal capitale residuo non ancora versato, oltre agli interessi. Ritiene però lo scrivente che la somma rinegoziata nel 2017 debba intendersi comprensiva degli interessi dovuti per la durata del prestito convenzionalmente stabilita. Si osservi, infatti, che nel documento in atti vengono riportate le singole rate dovute dal debitore con indicazione del periodo temporale e della parte dovuta per capitale e per interessi. Dalla somma di tali importi risulta un debito residuo pari ad Euro 16.218,00, in considerazione del pagamento di Euro 510,00 avvenuto al momento della sottoscrizione del negozio. Conseguentemente, l'attore opponente dovrà essere condannato al pagamento di Euro 16.218,00 oltre interessi dalla domanda al saldo, e non della somma richiesta da parte creditrice con il d.i. qui impugnato, Il decreto ingiuntivo va quindi revocato e parte opponente condannata al pagamento, in favore di parte opposta, dell'importo di Euro 16.218,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. L'esito del giudizio, nonché la revoca del d.i. opposta e il rigetto delle eccezioni di parte opponente, ad esclusione di quella riferibile alla rideterminazione del quantum dovuto, legittimano l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa n. 562/2020 R.G., ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2. condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta, della somma di euro 16.218,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo; 3. dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite. Così deciso in Gorizia il 21 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GORIZIA Il Tribunale di Gorizia in composizione collegiale e composto dai sig.ri magistrati Dott. Riccardo Merluzzi - Presidente Dott.ssa Francesca Clocchiatti - Giudice Dott. Alessandro Longobardi - Giudice rel., est. riunito in Camera di Consiglio in data 9 febbraio 2022, sentita la relazione del giudice relatore e viste le conclusioni delle parti costituite e dell'Ufficio di Procura, ha pronunciato la seguente SENTENZA definitiva nel procedimento iscritto al n.668 dell'anno 2019, pendente tra (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. Al.Ce. attrice contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. Gi.Li. convenuta nonché contro (...) (C.F. (...)) convenuto contumace e con l'intervento dell'Ufficio di Procura CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione si adegua ai canoni previsti dagli artt. 132 comma secondo n. 4) cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., che prevedono una concisa esposizioni delle ragioni di fatto e di diritto, con possibilità di fondarsi su precedenti conformi e su una motivazione succinta. (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...) esponendo - di essere figlia di (...) nato il (...) e deceduto in Australia il 29 aprile 1988; - che (...) era figlio di (...) nata a T. il (...), residente in vita a R. dei L. (G.) e deceduta a Monfalcone (GO) in data 5 gennaio 2014; - che, con testamento pubblico datato (...) rep. n.(...) Notaio M., (...) ha istituito suoi eredi universali (...) e (...); - che la de cuius ha lasciato gli immobili identificati come segue: Ufficio Tavolare di Monfalcone C.C. Ronchi dei Legionari P.T. 6390 c.t. 1, E.I. 114/2 Sub (...) con 74/1000 p.i. del c.t. 1 in pt 6269 (art. 1117 c.c.) - c.t. 2 E.I. 114/2 Sub (...) con 22/1000 p.i. del c.t. 1 in P.T. 6269 (art. 1117 c.c.) - c.t. 3 E.I. 114/2 sub (...) con 2/1000 p.i. del c.t. 1 in P.T. 6269 (art. 1117 c.c.); identificati in catasto come segue: Sezione A Foglio (...) particella (...) sub (...) categoria (...) Classe (...) vani 3 Rendita 302,13 via G. S. n.15 - p.1 Sezione A Foglio (...) particella (...) sub (...) categoria (...) Classe (...) 24 Mq Rendita 80,57 via G. S. n.15 Sezione A Foglio (...) particella (...) sub (...) categoria (...) Classe (...) 2 Mq Rendita 3,20 via G. S. n.15; - che la de cuius ha, altresì, lasciato un saldo attivo sul conto corrente ordinario n. (...) presso la (...) del F.V.G. per Euro 5.593,74 e un deposito amministrativo n.(...) presso la medesima banca del valore di Euro 80,65. Sulla scorta di quanto dedotto, l'attrice ha chiesto sia dichiarato il proprio status di erede legittimario e sia accertata la lesione della quota di legittima a sé spettante con conseguente condanna degli eredi testamentari alla restituzione dei beni mobili e immobili compresi nel patrimonio ereditario fino alla concorrenza della quota di legittima. (...) si è costituita in giudizio eccependo il difetto di procura in capo al difensore di parte attrice in quanto priva di traduzione in lingua italiana, la improcedibilità della domanda per mancato rituale svolgimento del procedimento di mediazione, il difetto di legittimazione attiva di parte attorea (rectius la carenza di titolarità del diritto fatto valere in giudizio) nonché la avvenuta rinuncia tacita all'eredità da parte della attrice. (...), nonostante la regolarità della notificazione, è invece rimasto contumace. All'esito della prima udienza, su richiesta del Giudice istruttore, parte attrice ha provveduto a depositare traduzione asseverata della documentazione relativa alla procura alle liti. In assenza, invece, di documentazione attestante il conferimento dei poteri di rappresentanza sostanziale in capo al difensore per l'esperimento della procedura di mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28 del 2010 alla quale (...) non ha personalmente partecipato, il Giudice istruttore, con ordinanza del 22 ottobre 2020, dato atto che il menzionato procedimento non poteva ritenersi esperito, ha assegnato alle parti termine di giorni 15 per la presentazione della domanda di mediazione rinviando all'udienza del 3 marzo 2021 (cfr. verbale dell'udienza del 22 ottobre 2020). Alla successiva udienza del 3 marzo 2021 parte attrice ha dato atto dell'esito negativo del procedimento di mediazione, come da verbale dell'incontro del 14 dicembre 2020 innanzi all'Organismo di Mediazione. La convenuta (...) ha, invece, eccepito che il procedimento di mediazione è stato attivato soltanto in data 11 novembre 2020 e, quindi, ben oltre il termine perentorio di 15 giorni fissato con l'ordinanza del 22 ottobre 2020 dal Giudice istruttore; sicché la convenuta ha eccepito l'improcedibilità della domanda. Su richiesta della parti è stata fissata udienza di precisazione delle conclusioni. La causa è stata, quindi, rimessa in decisione al Collegio con la concessione dei termini ex art. 190 cod. proc. civ. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. In via preliminare di rito, deve ritenersi infondata l'eccezione, formulata dalla convenuta, di improcedibilità per mancato rispetto del termine di 15 giorni fissato dal giudice istruttore per l'introduzione del procedimento di mediazione. Ed invero, come affermato dalla Corte di Cassazione, "In ipotesi di mediazione delegata ex art. 5, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, ciò che rileva, ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità, è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione - da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo - ", come effettivamente avvenuto nel caso in esame, "e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che la dispone" (Cass. 14 dicembre 2021, n. 40035). Nel merito, si osserva quanto segue. Secondo giurisprudenza, in materia di lesione della quota di riserva, il legittimario leso che intenda proporre l'azione di riduzione ha l'onere di allegare e provare la propria qualità di legittimario, l'avvenuta lesione della legittima e gli atti da ridurre (Cass. 17 ottobre 1992, n.11432; Cass. 2 settembre 2020, n. 18199). Orbene, tenuto conto dei richiamati principi, ritiene il Collegio che l'onere di allegazione e prova gravante in capo all'attrice non sia stato soddisfatto e che, dunque, la domanda di riduzione non possa trovare accoglimento. In primo luogo, deve ritenersi che la documentazione offerta da (...) non sia sufficiente per dimostrare, in capo a sé, la qualità di soggetto legittimario. L'attrice ha allegato di essere figlia di (...) e ha rappresentato che quest'ultimo era il figlio premorto della de cuius (...); a dimostrazione di quanto allegato, parte attrice ha depositato il doc. 4a ("certificato di nascita di (...)") e il doc. 4b ("certificato di morte di (...)"), entrambi formati all'estero, in particolare in Australia. Orbene, l'art. 33 del D.P.R. n. 445 del 2000 prevede che le firme sugli atti e sui documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero. La legalizzazione deve essere conforme al modello previsto dall'art. 30 dello stesso D.P.R.. Esso è derogato nei rapporti tra i Paesi che aderiscono alla Convenzione dall'Aja (tra cui anche l'Australia) del 5 ottobre 1961, ratificata dall'Italia con L. n. 1253 del 1966, potendo, nei rapporti tra tali Paesi, la legalizzazione sugli atti e sui documenti essere sostituita dalla cd. "apostille", vale a dire dalla formula che attesti l'autenticità della firma, la qualità dei firmatari e, all'occorrenza, l'autenticità del timbro o del sigillo apposto sull'atto, rilasciata dall'autorità competente dello Stato dove è emesso il documento, secondo quanto previsto, in particolare, dagli artt. 3, 4 e 5 della Convenzione. Dato quanto sopra, si deve concludere nel senso che chi intenda valersi in Italia di un certificato dello stato civile rilasciato in Australia, come nel caso di specie, debba richiederne la legalizzazione alla rappresentanza consolare o diplomatica italiana ovvero l'apposizione della cd. "apostille" alla competente autorità australiana. Deve ritenersi che l'esistenza di legalizzazione o di "apostille", conformi ai rispettivi modelli, sia requisito indispensabile perché il certificato abbia il valore legale che ad esso è riconosciuto secondo l'ordinamento italiano. A tale valore legale corrisponde il valore probatorio in sede processuale (cfr. Cass. 3 maggio 2011, n. 9687). Nel caso di specie, i menzionati documenti prodotti dall'attrice (docc. 4a e 4b di parte attrice) non risultano legalizzati dalla rappresentanza consolare o diplomatica italiana né risultano muniti di "apostille" e come tali, facendo applicazione dei principi sopra richiamati, non possono ritenersi idonei a dimostrare i fatti dedotti dall'attrice. Inoltre, tenuto conto che chi agisce in riduzione ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se sia, o meno, avvenuta, ed in quale misura, la lesione della sua quota di riserva, va rilevato che parte attrice neppure ha specificato la quota astratta (in termini di valore frazionario) prevista dalla legge, limitandosi a chiedere la "quota spettante ex lege" e non ha fornito sufficienti elementi di fatto per individuarla; l'attrice si è, infatti, limitata a rappresentare di essere la nipote della de cuius (figlia del figlio premorto di (...)) e nulla ha allegato in merito alla composizione della famiglia di quest'ultima (né ha prodotto un certificato storico di famiglia della de cuius) e, quindi, nulla ha dedotto in ordine alla esistenza o (in conformità del principio per cui anche i fatti negativi, quando costituiscono il fondamento del diritto che si vuol far valere in giudizio, debbono essere, per lo meno, allegati dall'attore come i fatti positivi) inesistenza di altri eventuali soggetti legittimari, circostanza da ritenersi necessaria tenuto conto del fatto che la quota di riserva prevista dagli art. 536 ss. cod. civ. varia a seconda del numero e della qualità dei legittimari. Le domande di parte attrice, carenti sotto il profilo assertivo e probatorio, vanno, pertanto, rigettate. Spese del procedimento. In applicazione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., l'attrice deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della convenuta (...), che si liquidano, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, avuto riguardo allo scaglione di valore della controversia (da Euro 26.000,01 a Euro 52.000,00), secondo valori minimi, attesa la non particolare complessità della controversia, in complessivi Euro 2.767,00 (di cui Euro 810,00 per la fase di studio, Euro 573,50 per la fase introduttiva, nulla per la fase istruttoria/trattazione, Euro 1.383,50 per la fase di decisione) per compensi professionali, oltre rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%, contributi previdenziali e I.V.A. come per legge. Attesa l'ammissione al Patrocinio a spese dello Stato di parte convenuta (...), va disposta la distrazione delle spese di lite, come sopra liquidate, in favore dello Stato. Quanto al rapporto processuale tra l'attrice e il convenuto (...), attesa la contumacia di quest'ultimo, le spese di lite vanno dichiarate irripetibili. P.Q.M. il TRIBUNALE DI GORIZIA in composizione collegiale, definitivamente pronunciando in camera di consiglio nel procedimento iscritto al n.668 dell'anno 2019, - dichiara la contumacia del convenuto (...); - rigetta le domande di parte attrice; - condanna (...) a rifondere a (...) le spese di lite che si liquidano complessivamente in Euro 2.767,00 per compenso, oltre rimborso forfettario per spese generali in misura del 15%, contributi previdenziali e I.V.A. come per legge, da distrarsi in favore dello Stato; - dichiara irripetibili le spese di lite tra l'attrice e il convenuto contumace. Così deciso in Gorizia il 9 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GORIZIA in persona del Giudice dr.ssa Francesca Clocchiatti ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle causa civile iscritta al n. 1106/2018 di Ruolo Generale il 25.10.2018 vertente tra (...) - rappresentato e difeso, per mandato a margine all'atto di citazione dall'avv. ZI.RO. - parte attrice - e (...) SPA - rappresentata e difesa, per mandato a margine della comparsa di risposta dall'avv. GR.MI. - parte convenuta - e (...) - parte convenuta contumace - Oggetto: lesione personale MOTIVI DELLA DECISIONE I) Con atti notificati in data 24/10/18 il sig. (...) conveniva in giudizio (...) S.p.A. e il sig. (...) al fine d'ottenere il risarcimento dei danni tutti subiti nel sinistro stradale avvenuto nel Comune di Duino Aurisina, SP1, in data 09/04/17. Esponeva L'attore che, nel giorno suindicato, procedeva in sella al motoveicolo Yamaha X-City tg. (...) quando, all'altezza del ristorante Pettirosso in Località Santa Croce, si vedeva tagliare la strada dal furgone Dacia Doker tg. (...) di proprietà e condotto dal sig. (...), che procedeva in senso opposto e che svoltava improvvisamente alla sua sinistra per imboccare la strada comunale che lambisce il predetto ristorante. Sulla scorta di quanto sopra l'attore domandava la condanna dei convenuti alla liquidazione dei danni materiali e alla persona subiti a seguito dell'incidente per complessivi Euro 77.291,00, oltre a riduzione della capacità lavorativa generica e specifica, mancato guadagno e perdita di chance. Precisa l'attore che la compagnia convenuta ha corrisposto l'importo di Euro 13.160,00, accettato a titolo d'acconto. Con comparsa di risposta di data 06.02.2019 si costituiva La S.p.A. (...), in pers. del suo legale rappr. pro tempore, facendo innanzitutto presente che, dopo aver ricevuto dall'attore la doverosa dichiarazione ex art. 142 C.d.A., aveva integrato la precedente offerta di Euro 13.160,00 corrispondendo al sig. (...) l'ulteriore somma di Euro 25.325,00. Nel merito, la Compagnia convenuta contestava l'integrale responsabilità del suo assicurato nella causazione del sinistro e contestava specificatamente la quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali dedotti in atto di citazione. La causa veniva istruita con acquisizione di vario materiale documentale, verbale dell'autorità intervenuta a seguito del sinistro e c.t.u. medico Legale. All'esito della udienza scritta di data 27.10.21 la causa veniva trattenuta in decisione. II) Deve preliminarmente essere ricostruita la dinamica del sinistro stradale in oggetto. Sul punto pare opportuno ricordare che l'accertamento della responsabilità di uno dei due conducenti coinvolti in un sinistro stradale non esclude automaticamente la corresponsabilità dell'altro. L'art. 2054 c.c., al comma secondo, prevede una presunzione di pari responsabilità dei conducenti coinvolti in un sinistro, e tale presunzione vale fino a prova contraria. Su ciascuno dei conducenti grava dunque l'onere di dare la prova di avere fatto tutto quanto in sua facoltà per impedire il sinistro, e tale onere rimane invariato, per uno dei conducenti, anche ove vi sia la prova positiva della responsabilità dell'altro conducente (v. tra le più recenti, Cass. 7479/2020, la cui massima recita: "In tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell'altro dall'art. 2054, comma 2, c.c., ma è tenuto a verificare in concreto se quest'ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta"; v. anche Cass. 23431/2014; 12472016). Nel caso di specie risulta provato dagli elementi emersi dal verbale redatto dai Carabinieri di Aurisina intervenuti nell'immediatezza in prossimità dei fatti che il convenuto (...) abbia impegnato l'intersezione ed effettuato una manovra omettendo di date la precedenza al veicolo, condotto da (...), che proveniva da destra, così contravvenendo a quanto disposto dall'art. 145/2 del D.Lgs. n. 285 del 2002. Resta da valutare se la condotta tenuta dal sig. (...), che giungeva a bordo del motoveicolo, possa essere ritenuta scevra da errori e conforme alle norme di prudenza e diligenza stabilite dal Codice della Strada. A tal proposito deve essere evidenziato quanto riferito nella relazione di incidente stradale e precisamente quanto dichiarato dal sig. (...), le cui dichiarazioni non sono state contestate, secondo cui "c'era un motociclista che procedeva davanti a me di circa un centinaio di metri, a velocità non moderata. In prossimità dell'incrocio con (...) ho notato che un furgone che procedeva in direzione opposta stava effettuando una svolta alla sua sinistra. Ho visto che il motociclo continuava la corsa in avanti, non percepivo alcuno scostamento di traiettoria, il motociclo collideva con il furgone nella sua parte posteriore. Per come ho visto la scena ho immediatamente avuto la sensazione che nessuno dei due conducenti si fosse accorto dell'altro". Considerato che le parti non hanno contestato quanto riportato nel verbale anzidetto, né hanno chiesto l'esame testimonaile del sig. Rozza, si può ragionevolmente ritenere che l'attore abbia tenuto una velocità non adeguata al contesto che stava percorrendo anche considerato che stava attraversando un centro abitato ove il limite di velocità è di 50 km/h, in presenza di una duplice intersezione a sinistra per l'abitato di Santa Croce, ove vige il limite di 30 km/h e a destra per l'abitato di (...). Si deve ulteriormente rilevare che secondo quanto riferito innanzi il sig. (...), nonostante l'automobile avesse iniziato la manovra di svolta, continuava la propria corsa, senza alcuna deviazione o frenata, con ciò dovendosi ritenere che non si fosse avveduto della manovra del veicolo con cui successivamente si è verificata al collisione, con ciò dimostrando una condotta di guida disattenta. Irrilevante risulta del resto la sentenza di patteggiamento n. 1448/2019 resa ai sensi dell'art. 444 cpp dal Tribunale di Trieste nel procedimento Rgnr. 2126/2018. Sul punto si ricorda che la sentenza di patteggiamento ha la natura di elemento di prova, poiché contiene un accertamento ed un'affermazione di responsabilità impliciti sul merito dell'imputazione, giustificati dal fatto che il giudice penale non si è limitato a certificare la volontà delle parti, ma ha altresì valutato le risultanze degli atti, anche se rebus sic stantibus e non all'esito d'una attività istruttoria. Come tale, la sentenza di patteggiamento costituisce elemento di cui è possibile tener conto nel giudizio civile. Tenerne conto significa che il giudice civile può valutare, nel contraddittorio tra le parti del processo civile, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale è stato definito ai sensi dell'art. 444 c.p.p., in ragione dell'assenza nel giudizio civile di un principio di tipicità della prova. Del resto la sentenza innanzi indicata non si esprime in alcun modo sulla condotta tenuta dal sig. (...) e non la considera ai fini decisori. Dovrà pertanto essere ascritta a carico del sig. (...) una percentuale di colpa nella causazione del sinistro pari al 25% e a carico del sig. (...) pari al 75%. II) Con riferimento al quantum del risarcimento, deve innanzitutto essere richiamato quanto accertato dalla CTU alla dott.ssa (...), elaborata con metodo ed argomentazioni corrette ed esaurienti e le cui conclusioni vengono condivise e recepite dal Tribunale. Secondo quanto rilevato "Con specifico riferimento ai quesiti richiesti, ritengo che: - le lesioni refertate e/o successivamente certificate (frattura scomposta del pilone tibiale e del malleolo personale sinistro con lussazione dell'articolazione tibio-peroneo-astragalica) sono in rapporto causale, secondo i criteri medico-legali di giudizio, con il fatto lesivo come risultante dagli atti, - le lesioni hanno cagionato un peggioramento temporale delle generali condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti; la durata dell'inabilità temporanea totale è giustificata in dodici giorni (giornate di ricovero), seguita da quella parziale giustificata in sessanta giorni al settantacinque per cento seguita da sessantacinque giorni al cinquanta per cento e successivi centoquindici al venticinque per cento, per i successivi periodi comprensivi della inabilitazione progressivamente decrescente fino alla stabilizzazione del quadro clinico. - sussiste rapporto causale tra le lesioni rilevate e un peggioramento permanente delle generali condizioni del soggetto rispetto a quelle residue; non sussistano precedenti morbosi rilevanti; i postumi rilevati possono essere ritenuti attendibili in riferimento alle lesioni riportate; - il grado percentuale di invalidità permanente è, complessivamente valutata, in ordine al tredici-quattordici per cento, secondo le linee guida alla valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico; - i postumi non possono essere suscettibili di miglioramento mediante ulteriori eventuali trattamenti; - dopo il sinistro subito, si è verificata una riduzione della idoneità lavorativa permanente per alcune mansioni lavorative a cui potrebbe essere adibito in futuro con l'opportunità che il leso possa essere quindi adibito solo a mansioni di tipo leggero; - le spese sanitarie sostenute sono state congrue e necessarie". Il danno biologico e il danno non patrimoniale dovranno, quindi, essere liquidati sulla base delle "Tabelle di Gorizia", secondo i criteri applicativi adottati dal Tribunale di Pordenone, nonché sulla base di quanto accertato dalla CTU, elaborata con metodo ed argomentazioni corrette ed esaurienti e le cui conclusioni vengono condivise e recepite dal Tribunale. Considerato inoltre che nella condotta del convenuto (...) sono astrattamente ravvisabili gli elementi costitutivi del reato di lesioni personali colpose, atteso che il convenuto ha cagionato alla ricorrente lesioni personali violando colposamente le norme volte a disciplinare la circolazione dei veicoli, il risarcimento del danno patito dovrà essere calcolato utilizzando il punto danno "non patrimoniale". La maggior pretesa avanzata da parte attrice con riferimento alla perdita della capacità lavorative della perdita di chance, deve essere valutata ricordando che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica (danno patrimoniale) che, in un soggetto non ancora in età lavorativa, si può presumere in termini di perdita di chances solo ove il danno biologico vada oltre una determinata soglia (Cass. sez. 3, sentenza 5880/2016). Pertanto, il principio di diritto richiamato dal ricorrente in merito alla "perdita presunta" di capacità lavorativa specifica, espresso in Cass. sez. 3, sentenza n. 5880/2016, non è pertinente in relazione al caso de quo, ove il danno biologico non supera la soglia del 30%, ritenuta a titolo orientativo idonea a far presumere una compromissione della capacità lavorativa specifica. Ove invece la lesione risulti inferiore a detta percentuale vale certamente il principio da ultimo fatto proprio da Cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 12572 del 22/05/2018, in base al quale ".... il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e va liquidato omnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto" (cfr. anche Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 20312 del 09/10/2015; Cass. sent. n. 17411 del 28/06/2019; ord. n. 12572 del 22/05/2018; ord. n. 20312 del 09/10/2015). La medesima giurisprudenza ha altresì sancito che un siffatto danno si risolve in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo e per tale ragione esso deve essere inevitabilmente liquidato omnicomprensivamente come danno alla salute, nei limiti di quanto è stato effettivamente provato dal danneggiato. Dovrà quindi essere apportato un aumento al punto base che si stima equo quantificare in una percentuale pari al 25%. Tenuto conto di quanto sopra, dovranno essere liquidate alla ricorrente le seguenti somme: invalidità temporanea parziale al 100% per gg. 12 per Euro 99,00 al giorno 1.188,00 Euro invalidità temporanea parziale al 75% per gg. 60 per Euro 99,00 al giorno 4.445,00 Euro invalidità temporanea parziale al 50% per gg. 65 per Euro 99,00 al giorno 3.217,50 Euro invalidità temporanea parziale al 25% per gg. 115 per Euro 99,00 al giorno 2.846,25 Euro invalidità permanente del 13-14% (danno biologico e danno non patrimoniale) con personalizzazione 25% 47.356,87 Euro spese mediche 813,00 Euro totale 48.169,87 Euro Il quantum risarcitorio dovrà poi essere quantificato tenendo conto delle percentuali di responsabilità innanzi riportate, quindi in Euro 36.127,40. Da tale somma devono poi essere detratti gli acconti versati dalla convenuta assicurazione e precisamente 13.160,00 Euro in data 28.09.2018 ed Euro 25.325,00 in data 1010.2018. Tali importi devono essere rivalutati alla data odierna, e quindi in Euro 13.646,92 ed Euro 25.983,45, per un totale di Euro 39.630,37, somma superiore al risarcimento innanzi liquidato. La domanda attorea andrà, conseguentemente, rigettata. Le spese seguono la soccombenza di parte attrice e sono liquidate come in dispositivo, secondo i valori minimi attesa la non particolare complessità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa n. 1106/2018 R.G., ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. rigetta la domanda; 2. condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta (...) Spa, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 3.972,00 per compensi, oltre spese forfettarie, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Gorizia il 13 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA SEZIONE DIBATTIMENTO Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza dell'8.2.2022 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: (...), nato l'(...) a C. (T.), con dom. dich. presso lo studio dell'avv. Bu.Fr., difensore di fiducia Libero presente Con l'intervento dei p.m. dott.ssa Co.La. e Ma.An., dell'avv. Bu.Fr. e dell'avv. Mo.An., in sostituzione dell'avv. Pe.St. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE Disposto il rinvio a giudizio di (...), affinché rispondesse del reato descritto in epigrafe, dichiarato aperto il dibattimento, sono stati ammessi i mezzi di prova. All'udienza odierna, col consenso delle parti, è stata acquisita al fascicolo del dibattimento la consulenza effettuata dal p.m. in sede di indagini preliminari. Indi, le parti hanno chiesto pronunciarsi declaratoria immediata di non punibilità dell'imputato, per insussistenza del fatto e il Tribunale ha pronunziato e pubblicato sentenza, mediante lettura del dispositivo, per le seguenti motivazioni. La valutazione complessiva della consulenza tecnica effettuata dalla pubblica accusa, a firma del dottor (...), impone di pronunciare declaratoria immediata di non punibilità a favore di (...), poiché non risulta possibile una ricostruzione del fatto oggetto dell'imputazione connotata dalla necessaria certezza. Invero, dalla citata consulenza emerge che: 1) la storia professionale di (...) è indicativa di un'esposizione ad amianto certa, avvenuta nell'attività svolta come addetto all'installazione di pannelli di amianto presso la ditta (...), all'interno del cantiere navale CRDA di Monfalcone tra il 1956 e il 1957 e con le mansioni di manutentore di officina meccanica dal 1960 al 1976, presso l'industria (...), poi (...), di (...); 2) questa esposizione, sotto il profilo qualitativo, ha riguardato tutte le tipologie commerciali di amianto, con esposizione anche ad anfiboli e con durata complessiva dell'attività lavorativa certamente esponente ad amianto altrettanto significativa, circa 15 anni totali; 3) questa esposizione, considerate le caratteristiche di dosi, durata e latenza, è stata sufficiente a causare la patologia, un mesotelioma maligno, che ha provocato il decesso del lavoratore; 5) è inoltre pressoché certa l'esposizione ad amianto subita in ambito familiare da (...), avendo questi vissuto con il padre e due fratelli che lavoravano su una ricostruzione del cantiere navale Monfalcone e portavano a casa le tute da lavare; 4) per converso, l'esposizione ad amianto come capo officina presso la ditta (...) dal 1960 al 1990 è solo possibile; 6) conseguentemente, la sussistenza di una relazione causale tra l'esposizione ad amianto subita da (...) nelle mansioni di capo officina nel periodo 1983/1990 presso la (...) è debole, solo possibile. Ciò detto in punto di ricostruzione del fatto, in punctum iuris è sufficiente considerare come il caso oggetto del presente procedimento debba essere ricondotto ad un'ipotesi di reato omissivo improprio in cui, in base alla c.d. clausola di equivalenza di cui all'art. 40 comma 2 c.p., l'agente potrà essere ritenuto responsabile dell'evento lesioni "per non avere impedito l'evento che aveva l'obbligo giuridico di impedire". Senza che sia in questa sede necessario approfondire i principi generali del reato omissivo improprio, per quel che qui interessa, in relazione a quanto verrà di seguito esposto, si deve solo ricordare che la fattispecie tipica del reato omissivo improprio comprende innanzitutto la situazione tipica (intesa come il complesso dei presupposti di fatto che danno vita ad una situazione di pericolo per il bene da proteggere e che pertanto rendono attuale l'obbligo di attivarsi del "garante"); la condotta omissiva di mancato impedimento e l'evento non impedito; una connessione giuridicamente rilevante tra l'evento e la condotta omissiva; la violazione di un obbligo giuridico di impedire l'evento. In particolare, la causalità esprime un'esigenza imprescindibile del diritto penale moderno e razionale che appartiene ai primordi della civiltà giuridica e che trova ulteriore avallo nell'art.27 della Costituzione: tale norma, nel sancire il principio del carattere personale della responsabilità penale, esprime, secondo una prima interpretazione per così dire minimale, il divieto della responsabilità per fatto altrui, cioè il divieto di una responsabilità per un evento che non è conseguenza dell'azione o della omissione dell'agente e che, di conseguenza, non è sua opera. Secondo la elaborazione della giurisprudenza della Suprema Corte, il procedimento di accertamento causale, disciplinato dagli artt.40 e 41 c.p., si presenta come un procedimento complesso che ingloba in sé oltre ad una fase di verifica puramente materiale ed eziologica una fase di tipo valutativo e critico; in altri termini, in un primo momento è necessario individuare la causa penalmente rilevante, secondo il modello della condicio sine qua non (art. 40 c.p.), ed in un secondo momento è necessario verificare la sussistenza di paradigmi con funzione correttiva e delimitativa dei risultati a cui conduce il concetto di condizione necessaria (art. 41 c.p.). Secondo la elaborazione della Giurisprudenza "nell'esperienza giuridica causa è ogni circostanza che si inserisca nel corso normale degli eventi provocando un cambiamento nel loro usuale succedersi: riferita alla condotta dell'uomo, è causale quella condotta alla quale segue sempre o, almeno, secondo l'id quod plerumque accidit, il verificarsi dell'evento dannoso o pericoloso, e ciò indipendentemente dal concorrere di condizioni preesistenti o simultanee ovvero sopravvenute, a meno che queste ultime risultino da sé sufficienti a determinare l'evento" (Cass. Pen., Sez. IV, 21 maggio 1998). E, con riferimento all'accertamento relativo al primo momento sopra evidenziato, si sostiene che "il tema di nesso di causa lo strumento per individuarlo, rispetto all'evento lesivo, è rappresentato dal giudizio controfattuale, nel senso che, mediante l'eliminazione mentale di tale fattore dato per condizionante, si verifica se, alla luce della massima di esperienza applicabile al caso, l'evento dato per lesivo sarebbe accaduto ugualmente oppure no" (cfr. ex plurimis Cass. Pen., Sez. IV, 26 gennaio 1998). Fatte queste premesse di carattere generale e venendo al caso di specie, deve considerarsi quanto segue: il consulente del p.m. ha, da un lato, qualificato come meramente "possibile" l'esposizione ad amianto del lavoratore (...) dal 1960 al 1990 presso la (...); dall'altro lato, ha qualificato come "certa" l'esposizione ad amianto subita dal lavoratore in ambito familiare, nonché dal 1956 al 1976, presso aziende diverse da quelle rappresentate dall'odierno imputato, aggiungendo che, per la qualità e la qualità di tale esposizione, la stessa "è stata sufficiente a causare la patologia" per la quale il lavoratore è deceduto. Stanti tali considerazioni e ritornando allo schema della condicio sine qua non, si deve concludere: da un lato, che non è certa la sussistenza dell'omissione contestata all'imputato; dall'altro, che questa, in ogni caso, non ha avuto incidenza causale sul decesso del lavoratore. In altri termini, alla luce delle risultanze della consulenza in atti, non vi sono motivi per ritenere, oltre ogni ragionevole dubbio, che (...) non avesse adottato le misure necessarie alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore (...) o che, comunque, la condotta omissiva dell'imputato avesse determinato il decesso del lavoratore. Tutto ciò considerato, mancando la prova di un elemento essenziale del fatto - l'omissione ovvero il nesso di causa tra l'omissione e l'evento - s'impone (S.U. 35490/1990) declaratoria immediata di non punibilità a favore di (...), che va dunque assolto dal reato ascrittogli in rubrica, perché il fatto non sussiste. Non sussistono motivi per la condanna della parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dal responsabile civile, come richiesto da quest'ultimo, mancando il presupposto legittimante la condanna medesima, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., stante la revoca dell'atto di costituzione di parte civile. Motivazione riservata ex art. 544, comma 2. P.Q.M. Visto l'art. 129 c.p.p., assolve (...) dal reato ascrittogli in rubrica, perché il fatto non sussiste. Motivazione in giorni 15. Così deciso in Gorizia l'8 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI GORIZIA DISPOSITIVO DI SENTENZA E CONTESTUALE MOTIVAZIONE - artt. 554 e segg. e 549 c.p.p. - Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Concetta Bonasia alla pubblica udienza del 15.2.2022 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nei confronti di: 1) (...), nato il (...) a (...), con dom. dich. in via Divisione A. J. 6 a (...) Libero assente 2) (...), nato il (...) a (...), con dom. dich. presso ,o studio dell'avv. Ba.Gu., difensore di fiducia Libero presente IMPUTATI per il delitto di cui agli artt. 110, 73 c. 1 e 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 perché, in concorso morale e materiale tra loro, illecitamente detenevano, fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75, gr. 14,39 netti di sostanza stupefacente del tipo eroina, contenente un quantitativo di principio attivo eroina pari a 1.288,48 m.g., corrispondente a n. 52 dosi medie singole, e un quantitativo di principio attivo 6-MAM (6-monoacetilmorfina) pari a 165,92 m.g., sostanza destinata ad uso non esclusivamente personale, come si desume dall'occultamento in un vano nascosto del cruscotto dell'autovettura e dal contestuale sequestro di n. 5 ritagli di plastica da utilizzare per il confezionamento delle singole dosi. Con la recidiva specifica e infraquinquennale per (...). Prescrizione: 27.11.2024 Con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa Santagiuliana, V.P.O., dell'avv. Bo.Ca., difensore d'ufficio di (...), e dell'avv. Ba.Gu., difensore di fiducia di (...). MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze dell'attività istruttoria hanno condotto a dimostrare la responsabilità penale di (...) per il reato in contestazione, mentre non hanno consentito di provare la penale responsabilità di (...) per il delitto di rubrica. Il testimone (...), operante di P.g., ha dichiarato che, in data 27.11.2018, in occasione di un controllo su strada, aveva rinvenuto, nascosta nell'automobile condotta da (...) e di sua proprietà, sostanza stupefacente del tipo eroina. Più precisamente, la sostanza era occultata in un sacchetto nero posto tra lo sterzo e il volante dell'automobile; era dunque stata sequestrata e sottoposta ad analisi chimica, dalla quale è emerso che la sostanza in questione era eroina, per un totale di 52 dosi. Effettuata una perquisizione personale nei confronti del (...), è emerso che questi occultava all'interno del proprio portafogli n. 5 ritagli di plastica da utilizzare per il confezionamento delle singole dosi. Ritiene il Giudice che le emergenze processuali consentano con sicuro convincimento di affermare la penale responsabilità di (...) in ordine al reato di rubrica. Giova premettere che v'è certezza innanzitutto sulla natura della sostanza di cui l'imputato era in possesso: nessun dubbio è stato sollevato dalle parti o è altrimenti emerso in ordine alla credibilità del teste (...) e all'attendibilità delle sue dichiarazioni, peraltro confermate dal verbale di sequestro agli atti, né vi è stata contestazione di sorta sugli esiti della consulenza effettuata dalla dottoressa (...), alla quale questo giudice ritiene di aderire per la scrupolosità con cui sono stati acquisiti e vagliati i dati di base e per la completezza del procedimento logico tecnico seguito nella valutazione degli elementi così acquisiti. Ciò detto, può ritenersi altresì indubbio che la sostanza era detenuta dal prevenuto al fine di cessione a terzi. Depone univocamente in tale senso innanzitutto il fatto che la sostanza stupefacente fosse occultata all'interno dell'autovettura: non si spiegherebbero tali accurate e specifiche modalità di detenzione della sostanza, se il prevenuto avesse dovuto fame uso personale. Ulteriormente, sono chiaro indice della destinazione allo spaccio i ritagli di plastica occultati nel portafogli di (...), attesa la chiara utilizzabilità degli stessi per il confezionamento delle singole dosi. Né si può trascurare, nella medesima prospettiva, il numero ingente delle dosi detenute del prevenuto: non è verosimile che una persona si assuma il rischio di andare in giro con tale quantità di droga senza plausibili motivi, aumentando la possibilità di essere controllato e di subire poi, contestazioni penali o quanto meno amministrative. Tali circostanze, analizzate singolarmente e nel loro complesso, rendono dunque evidente come l'imputato detenesse i pacchettini di sostanza non per uso personale, ma per la futura e prossima cessione a terzi. (...) va pertanto ritenuto responsabile del reato ascrittogli in rubrica e, per l'effetto, visto l'art. 133 c.p. - in particolare il non trascurabile numero delle dosi prevenute, che induce ad innalzare la pena rispetto ai minimi - va condannato alla pena di mesi 9 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa. Ai sensi dell'art. 240 c.p. e dell'art. 85 D.P.R. n. 309 del 1990, si dispone la confisca e la distruzione di quanto in sequestro, a cura della P.g. operante. A conclusioni differenti deve pervenirsi in relazione alla posizione di (...). Come è emerso sempre dalla deposizione testimoniale dell'operante di P.g. (...), nel corso di un controllo stradale (...) era stato rinvenuto a bordo dell'automobile condotta da (...), di proprietà di quest'ultimo. Effettuata una perquisizione personale del (...), la stessa aveva dato esito negativo. Ciò posto in punto di fatto, giova richiamare l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento ed il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare - Fattispecie nella quale è stata annullata senza rinvio la sentenza di condanna dell'imputato, in difetto di elementi concreti per fondare il suo concorso nell'altrui illecita detenzione di droga, desunto dai giudici di merito dal solo fatto che l'imputato viaggiasse, in qualità di passeggero, a bordo di una autovettura sulla quale era nascosta la droga" (Cass., Sez. 4, sentenza n. 4948 del 22/01/2010 e successive tutte conformi, tra cui Cass., Sez. 4, sentenza n. 34754 del 20/11/2020: "la distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 cod. pen., è invece richiesto un consapevole contributo"). Orbene, ammesso che (...) fosse consapevole della detenzione di droga nell'autovettura da parte del (...), deve in ogni caso darsi atto come l'istruttoria sin qui espletata non abbia portato elementi concreti da cui desumere con certezza - aldilà di meri sospetti o presunzioni sul suo stato di nervosismo al momento del controllo, in ogni caso non idonei a sostenere una sentenza di condanna - che (...) avesse concorso a livello materiale o morale in siffatta specifica detenzione. In altri termini, e precisamente quelli di cui alle citate sentenze della Suprema Corte, non è provato che il (...) avesse fornito un contributo partecipativo positivo alla condotta criminosa del (...), agevolandone la detenzione, l'occultamento ed il controllo della droga ovvero assicurandogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi poteva contare, posto che: - l'automobile, ove era stata occultata la droga, era di proprietà del (...) e, in occasione del fatto, era da questi condotta; - non sono emersi, per esempio a mezzo del telefonino dell'imputato, suoi particolari contatti con possibili acquirenti; - non è stato accertato da dove provenisse l'automobile e dove fosse diretta, né sono stati successivamente effettuati servizi di osservazione, pedinamento e controllo; - non sono stati rinvenuti, nella disponibilità di (...), strumenti idonei a confezionare la sostanza, a fini di spaccio. Rispetto a tale quadro dibattimentale, del tutto carente in punto di certezza del concorso materiale o morale contestato a (...) in relazione alla detenzione di droga da parte di (...), deve invece ritenersi raggiunta la prova, in forza della testimonianza resa da (...) e dalla documentazione dimessa dalla difesa, che il 27.11.2018 (...) si trovava a bordo dell'automobile del (...) soltanto poiché necessitava di un passaggio automobilistico per raggiungere lo studio del proprio legale, in vista di un imminente processo a suo carico. Tutto ciò considerato, s'impone sentenza assolutoria a favore di (...) in ordine al reato di rubrica, per non averlo commesso. Si stila motivazione contestuale. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) responsabile del reato a lui ascritto in rubrica e lo condanna alla pena di mesi 9 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 240 c.p. e 85 D.P.R. n. 309 del 1990, ordina la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Visto l'art. 530 c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto in rubrica, per non averlo commesso. Così deciso in Gorizia il 15 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GORIZIA in persona del Giudice dr.ssa Francesca Clocchiatti ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle causa civile iscritta al n. 352/2021 di Ruolo Generale il 02.04.2021 vertente tra (...) - rappresentata e difesa, per mandato in calce all'atto d'appello dall'avv. SC.JE. - parte appellante - e PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI GORIZIA ex lege dall'avv. AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI TRIESTE - parte appellata - Oggetto: Altri istituti e leggi speciali Causa assunta in decisione all'udienza del 10.11.2021 sulle seguenti MOTIVI DELLA DECISIONE I) In data 21 maggio 2019, con i verbali n. 770044122 (doc. 2) e n. 77004024 (doc. 3) venivano contestate alla sig.ra (...), rispettivamente, la violazione dell'art. 169 comma 9 C.d.S. e la violazione dell'art. 116 commi 15 e 17 C.d.S. in quanto obbligata in solido al pagamento della sanzione irrogata per la violazione commessa dal sig. (...). Le contestazioni traevano origine da quanto accaduto in data 19 maggio 2019 quando, in tarda serata, la pattuglia della Compagnia Carabinieri di Monfalcone composta dall'Appuntato sc. Q.S. (...) e dall'App. sc. (...) interveniva in un appartamento sito a (...), in via V. n. 100, per placare una furiosa litigata sfociata in comportamenti violenti del sig. (...) nei confronti della compagna (...). Quest'ultima, poco dopo l'intervento di un'ulteriore pattuglia delle forze dell'ordine - che aveva nel frattempo proceduto all'identificazione di tutti i presenti, compresi (...), (...) e la loro figlia minore (...), tre amici della (...) che si trovavano nell'appartamento - contattava l'amico (...) chiedendogli di intervenire in suo soccorso. Il (...), giunto sul luogo alla guida dell'autovettura di proprietà della sig.ra (...) (che sedeva al posto del passeggero), scendeva precipitosamente dal veicolo per avventarsi sul sig. (...): ne scaturiva una violenta colluttazione tra i due uomini che veniva, poco dopo, sedata dalle pattuglie del Carabinieri presenti. Interveniva, nel frattempo, una terza pattuglia del Commissariato di P.S. di Monfalcone e, dopo qualche ulteriore minuto di discussione tra i due uomini, il (...) decideva di allontanarsi dal luogo dei fatti salendo sul veicolo con il quale era giunto, questa volta condotto dalla proprietaria (...). A bordo dell'autovettura, omologata per il trasporto di cinque persone, peraltro, salivano anche la sig.ra (...) e i suoi amici (...) e (...) con la figlia (...), per un totale di sei occupanti. Impegnati a completare il delicato intervento, i militari, tuttavia, non riuscivano nell'immediatezza a contestare alla (...) l'evidente violazione di cui all'art. 169 comma 9 C.d.S.. A seguito agli avvenimenti, i militari, nell'eseguire le verifiche di rito sui soggetti coinvolti nei fatti motivo di intervento, constatavano che al sig. (...) - giunto sul luogo della colluttazione alla guida dell'autovettura della sig.ra (...) - era stata precedentemente revocata la patente di guida con provvedimento della Prefettura di Trieste di data 10.12.2015 a seguito di violazione dell'art. 128 C.d.S. (doc. 4). In data 21 maggio 2019 venivano dunque redatti i verbali n. 770044122 e n. 77004024 con cui veniva contestata alla sig.ra (...) non solamente la violazione di cui all'art. 169 comma 9 C.d.S. da lei commessa per aver trasportato un numero di persone superiore a quello consentito dalla carta di circolazione del veicolo ma, in via solidale ed in qualità di proprietaria del veicolo, anche l'infrazione di cui all'articolo 116 commi 15 e 17 C.d.S. commessa dal sig. (...). La notifica dei suddetti verbali, inizialmente, veniva infruttuosamente tentata - da parte della Compagnia Carabinieri di Monfalcone - presso la residenza indicata nei documenti esibiti dall' appellante la sera in cui si erano svolti i fatti nonché nei pubblici registri automobilistici ((...), via (...) G. 13/4). Successivamente, si appurava che la (...) risultava invero residente presso (...) nel comune di Duino Aurisina e, pertanto, i verbali venivano trasmessi alla Stazione dei Carabinieri di Duino per la notifica presso tale indirizzo. I militari tentavano tre volte (14.07.2019; 16.07.2019; 21.7.2019) la notifica a mani presso il diverso indirizzo Duino 25/B (doc. 5), ove il 22 luglio 2019 veniva spostata anche la residenza anagrafica (doc. 6). Falliti anche ulteriori due tentativi di notifica a mani successivi al 22 luglio 2019 (il 26 luglio e il 3 agosto) presso la medesima residenza di D. 25/b (doc.5), il 17 agosto 2019 il Comandante della Stazione di Duino, impegnato presso lo stadio N. Rocco di Trieste nei servizi di ordine pubblico, incontrava casualmente l'odierna appellante che, invitata a presentarsi personalmente presso il Comando per ritirare il verbale, ivi si recava in data 29 agosto 2019, data di perfezionamento della notifica. Avverso i verbali la sig.ra (...) proponeva quindi opposizione innanzi al Giudice di Pace di Gorizia con ricorso depositato in data 27 settembre 2019 (doc. 7) eccependo in via preliminare la nullità dei verbali per mancata immediata contestazione della violazione e per tardività della loro notifica e, nel merito, l'inesistenza della violazione di cui al verbale n. (...) e la sussistenza della scriminante riconducibile all'ordine o comunque all'autorizzazione degli agenti con riferimento alla condotta di cui al verbale n. (...). In data 9 novembre 2019 la Prefettura di Gorizia si costituiva quindi in giudizio contestando espressamente le ragioni avversarie e chiedendo il rigetto del ricorso e la conferma delle sanzioni irrogate (doc. 8). Il Giudice di Pace di Gorizia, accertata la regolarità delle notifiche dei verbali, accoglieva parzialmente l'opposizione nel merito statuendo, con sentenza n. 112/2020, l'annullamento del verbale riferito alla violazione di cui all'art. 169 comma 9 C.d.S.. Avverso tale pronuncia controparte proponeva appello lamentando nuovamente la tardività della notificazione di entrambi i verbali e ribadendo l'inesistenza della condotta di cui al verbale n. 77004024. Con comparsa di risposta del 16 maggio 2021, l'Amministrazione si costituiva in giudizio sostenendo la legittimità dei provvedimenti impegnati e chiedendo, in via riconvenzionale, la parziale riforma della sentenza del GdP nella parte in cui ha annullato il verbale n. (...). Al termine dell'istruzione della causa, il giudice assegnava i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle relative comparse conclusionali. II) Con riferimento al primo motivo d'appello pare opportuno rammentare che la Corte di Cassazione con recente sentenza (n. 36969 del 2021) ha statuito che "In tema di contravvenzioni stradali, qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall'art. 201 cod. strada, salvo che ricorra il caso previsto dall'ultima parte del citato art. 201 e, cioè, che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita, per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell'Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile; in tale ipotesi residuale, invocabile soltanto in presenza di situazioni di difficoltà di accertamento addebitabili al trasgressore, il termine per la notifica decorre, infatti, dal momento - da valutare in base a criteri oggettivi, senza che possano assumere rilievo vicende di carattere meramente soggettivo - in cui l'Amministrazione è posta in condizione di identificare il trasgressore o il suo luogo di residenza". Ritiene questo Giudice che l'eccepita tardività della notifica non abbia trovato riscontro. Si ricorda, infatti, che il trasgressore qui parte appellante ha modificato la propria residenza due volte in pochi giorni, risultando residente a (...) sino al 18.06.2013, dal 21.07.2019 al 25 luglio 2019 a Sistiana e dal 25 luglio 2019 a Duino, senza peraltro mai comunicare la variazione di indirizzo al pubblico registro automobilistico. Si deve pertanto ritenere che l'appellante abbia creato una situazione di incertezza tale da rendere difficoltosa la notifica del verbale e pertanto il termine per tale adempimento deve farsi decorrere dal momento in cui l'amministrazione fu posta effettivamente in grado di conoscere esattamente il luogo di residenza. Conseguentemente deve essere rigettata l'eccezione di nullità della notifica dei verbali. II) Non potrà essere accolto nemmeno il secondo motivo d'appello. Correttamente, infatti, il giudice di prime cure ha rilevato che il verbale d'accertamento della violazione dell'art. 116 C.d.S. è coperto da fede privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c.. Per costante ed assolutamente consolidata giurisprudenza il verbale di accertamento, in quanto redatto dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, fa piena prova fino a querela di falso (cfr. da ultimo Cass. 15966/2012). Tanta e tale è l'efficacia probatoria riconosciuta a tale documento da precludere al giudice ogni sindacato di merito su fatti e circostanze ivi riportate: il costante riferimento della giurisprudenza in materia alla necessità di precludere al giudice ogni valutazione sulle modalità dell'accertamento (Sez. Un. 3936/2012) ben può ritenersi fondato, oltre che sul principio di salvaguardia della discrezionalità della pubblica amministrazione, anche sul rilievo, di ordine processuale e sostanziale, della impossibilità di spingere l'apprezzamento dei fatti di causa al di là di quanto risulti da un atto fidefaciente non ritualmente contestato. In altri termini, finché non sia proposta e definita la querela di falso, e non sia pertanto caducata, insieme con l'atto, la sua forza preclusiva di ogni contrario accertamento, non possono essere ammessi mezzi istruttori tesi a contrastare il contenuto dell'atto a fede privilegiata. L'atto pubblico, non impugnato con querela di falso, non essendo contestabile dalle parti, implica l'inammissibilità delle prove orali contrarie (ciò che vale peraltro in linea generale per ogni prova documentale). L'efficacia probatoria del verbale deriva dall'art. 2700 c.c., che attribuisce all'atto pubblico l'efficacia di piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Tale efficacia concerne tutti gli accadimenti e le circostanze pertinenti alla violazione menzionati nell'atto indipendentemente dalle modalità statica o dinamica della loro percezione, fermo l'obbligo del pubblico ufficiale di descrivere le particolari condizioni soggettive e oggettive dell'accertamento, giacché egli deve dare conto nell'atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l'attestazione. La questione relativa all'ammissibilità della contestazione e della prova nel giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione non va, conseguentemente, esaminata con riferimento alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze che esulano dall'accertamento, quali l'identificazione dell'autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell'elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l'atto non è suscettibile la fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è attribuita). Ogni diversa contestazione, dev'essere, invece, svolta nel procedimento di querela di falso, che consente di accertare senza preclusione di alcun mezzo di prova qualsiasi alterazione nell'atto pubblico, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali, della realtà degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi ed il cui esercizio è imposto, oltre che dalla già menzionata tutela della certezza dell'attività amministrativa, anche dall'interesse pubblico alla verifica in sede giurisdizionale della correttezza dell'operato del pubblico ufficiale che ha redatto. Pertanto, considerato che nel verbale impugnato i Carabinieri della Compagnia di Monfalcone i verbalizzanti hanno attestato che in loro presenza il (...) era sceso al lato conducente, la sanzione comminata alla (...) dovrà essere confermata. Invero, e così stando le cose, il Giudice di prime cure non avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale e procedere all'assunzione della testimonianza richiesta dalle parti, trattandosi di prova dedotta su circostanze inammissibili. II) In ultimo deve essere valutato l'appello incidentale proposto da parte appellata. Il Giudice di primo grado ha correttamente escluso la punibilità della condotta tenuta dalla (...) per aver fatto salire cinque persone sulla propria autovettura. Pare infatti corretto ritenere sussistente la scriminante della situazione di pericolo imminente, non altrimenti evitabile, per il trasgressore e gli altri occupanti del veicolo. Dagli atti di causa emerge, infatti, che al momento in cui la (...) si era allontanata la situazione appariva piuttosto concitata e vi era in atto un'aggressione tra i vari soggetti presenti sul luogo dei fatti. Per quanto sopra l'appello principale e quello incidentale vanno rigettati. Atteso il rigetto dei motivi d'appello svolti da entrambe la parti, le spese di lite del secondo grado di giudizio dovranno essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa n. 352/2021 R.G., ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. Rigetta l'appello principale; 2. Rigetta l'appello incidentale; 3. dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite. Così deciso in Gorizia il 5 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2022.

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