Sentenze recenti Tribunale Grosseto

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GROSSETO SEZIONE LAVORO in persona del Giudice, dott. Giuseppe GROSSO, all'udienza del 25 gennaio 2023, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, 1 comma c.p.c., modificato dall'art. 53, comma 2 D.L. n. 112 del 2008, conv. in L. n. 133 del 2008, nella causa civile iscritta al n. 91 del Ruolo Generale Affari Lavoro dell'anno 2022, vertente TRA (...), nata a G. il (...) (C.F.: (...)) ed ivi residente in Piazza V. n. 12, rappresentata e difesa dagli avv.ti Li.Mi. e Ja.Fa., ed elettivamente domiciliata presso il primo procuratore con studio in Firenze, Viale (...), giusta delega in atti telematici. RICORRENTE E (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante, con sede legale in G., Via (...). CONVENUTA CONTUMACE NONCHÉ' I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Grosseto, alla via (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Ka.Le. in virtù di mandato generale alle liti, Notaio Ca. di Roma. CONVENUTO OGGETTO: accertamento qualifica, pagamento spettanze retributive e risarcimento del danno. FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato in data 3 marzo 2022 (...) rappresentava (i) d'aver iniziato a lavorare come direttrice per l'Hotel (...) sin dal 1 novembre 2007, quale lavoratrice subordinata, seppure non regolarizzata, ricevendo direttive da (...), socio di maggioranza e amministratore unico di (...) S.p.A., società proprietaria della struttura, di cui la stessa ricorrente è socia con quota di minoranza pari al 3,75% (doc. 1); (ii) d'essere stata nominata consigliere d'amministrazione di (...) dallo stesso mese di novembre 2007 sino all'aprile 2015, senza tuttavia percepire compensi; (iii) che di fatto, sin dal novembre 2007, aveva svolto unicamente mansioni di direttrice dell'Hotel (...), con tutte le caratteristiche tipiche di un lavoro di natura subordinata, assoggetta al potere gerarchico e disciplinare del (...), dal quale riceveva le direttive di massima sulla gestione dell'Hotel, seppur con l'autonomia connaturata alla propria posizione di quadro (e sebbene superiore gerarchico della ricorrente risultasse (...)); (iv) che solo a far data dal 1.10.2013 otteneva la formalizzazione del proprio rapporto di lavoro, inquadrata come vicedirettrice (doc. 16); (v) che da quando, nel novembre 2007, si era dimessa la precedente direttrice, (...), l'albergo non aveva avuto in organico altro direttore nonostante, nel corso dello stesso 2007, dopo alcuni lavori di ristrutturazione generale, la struttura si fosse molto ampliata, passando da hotel 3 stelle con 36 camere a hotel 4 stelle con 68 camere, 5 sale congressi, ristorante e centro benessere e (vi) che le mansioni di direttrice svolte dal 2007 rientrano in quelle tipiche di Quadro A del CCNL Turismo, mentre ella era stata inquadrata, come detto, solo a decorrere dal 1.10.2013 come vicedirettrice al livello Quadro B del medesimo contratto collettivo. Tanto premesso, concludeva come in epigrafe riportato. 2. Si è costituito tempestivamente l'INPS in relazione alla domanda di regolarizzazione contributiva, concludendo come in epigrafe per il caso in cui il Tribunale avesse ritenuto di accogliere le domande della ricorrente. 3. (...) S.p.A., pur ritualmente citata, non si è costituita e all'esito dell'udienza del 1.6.2022 ne è stata dichiarata la contumacia. Udienza nella quale veniva liberamente sentita la (...), che affermava di essere stata la compagna del (...) e che il loro rapporto si era concluso nel momento in cui aveva preteso d'essere messa in regola, di intrattenere tuttora rapporti di lavoro con il (...) e di non sapersi spiegare perché egli non avesse inteso costituirsi ("All'epoca in cui ho intrapreso il rapporto di lavoro - non regolarizzato - con (...) ero la compagna del l.r., (...). Il rapporto è andato in crisi nel momento in cui ho preteso d'essere formalmente assunta. Ciò è avvenuto nel mese di ottobre/novembre 2013. Il (...) è tuttora l.r. della società, io sono stata assunta come vicedirettrice, pur avendo continuato di fatto a esercitare mansioni di direttrice della struttura, priva di tale figura anche a livello formale. Ho tuttora rapporti di lavoro con il (...), non so spiegarmi perché egli, pur essendo bene a conoscenza della situazione, abbia deciso di non costituirsi. Temo che la compagine non navighi in buone acque"). Con istanza del 16.6.2022, il procuratore della ricorrente chiedeva l'anticipazione dell'udienza in ragione della grave situazione economica della società resistente; depositava, a riprova, documentazione attestante la rilevante esposizione bancaria di (...) Spa (per oltre 10 milioni e mezzo di Euro) e ulteriori atti comprovanti, di fatto, l'insolvenza della società, che non era in grado di onorare neppure incombenze minori. Accolta l'istanza d'anticipazione, veniva fissata nuova udienza al 13.9.2022 (anziché al 20.12.2022, come originariamente stabilito) per procedere all'interpello del l.r. della resistente, che tuttavia non si presentava. Escussi quindi i testi ammessi addotti dalla ricorrente, all'odierna udienza, acquisite le note conclusive depositate dalla sola (...), la causa è stata discussa e decisa mediante sentenza di cui è stata data lettura. 5. Va innanzitutto ricordato, circa la distribuzione dell'onere probatorio nelle fattispecie come quella in esame, che tanto nel caso in cui il lavoratore agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore quanto in quello in cui rivendichi solamente d'aver svolto un orario maggiore rispetto a quanto convenuto, egli ha l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda quali fatti costitutivi della pretesa fatta valere. Nel merito, la S.C. ha avuto modo di affermare, a più riprese, che nel procedimento logico - giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi da tre fasi successive, e cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (così le sentenze gemelle nn. 26233 e 26234 del 30.10.2008; si veda anche Cass. 28284/2009, 20272/2010 e 8589/2015). Il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica superiore ha quindi l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto (si veda ancora Cass. sez. lav. sent. 8025 del 21.5.2003 ove la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda proposta dal dipendente di un banca al fine di ottenere l'inquadramento superiore, in quanto questi non aveva indicato nel ricorso introduttivo gli elementi caratterizzanti la qualifica superiore omettendo altresì di procedere al raffronto tra le mansioni tipiche di quest'ultima e le mansioni svolte di fatto). 6. Ebbene, quanto ai passaggi del detto procedimento logico-giuridico, la (...) ha innanzitutto dedotto d'aver iniziato a lavorare presso l'Hotel in data 1.11.2007, quando all'epoca era sentimentalmente legata al l.r. (...), con mansioni di direttrice di fatto della struttura e di essere stata regolarizzata solo nel 2013, continuando a svolgere le medesime mansioni. La circostanza è stata confermata da tutti e quattro i testi escussi all'udienza del 13.9.2022 ovvero (...), (...) e (...) (la prima consulente del lavoro di (...) sin dal 2004, le altre due dipendenti dell'Hotel da lunga data, la (...) addirittura sin dal 1998), nonché dai due testi escussi alla successiva udienza del 2.11.2022 ovvero (...) e (...) (il primo dipendente della struttura, a conoscenza di fatti sin dal 2006 e il secondo titolare di un'azienda informatica che sin dal 2008 fornisce servizi in favore della struttura). In particolare, la (...) ha confermato (i) che fino al 2007 le funzioni di Direttrice dell'Hotel (...) erano svolte dalla (...) ("...inquadrata come impiegato di primo livello, tuttavia seguiva tutta la parte del personale dell'albergo, non so se seguisse altro. ADR: Ciò dico perché era la mia referente per ogni attività che riguardasse il personal (buste paga, livello d'inquadramento, documenti per l'assunzione etc."); (ii) che la struttura mai ha avuto nel proprio organico una figura inquadrata come direttore; (iii) che dal novembre 2007 la (...) è stata sostituita in tutto e per tutto dalla (...) ("Confermo che dal novembre 2007 le funzioni prima svolte dalla (...) sono state svolte dalla ricorrente. Anzi le sue mansioni erano più gravose e ampie, anche sotto un profilo dell'autonomia gestionale dal momento che l'albergo si era ampliato e occorreva assumere altro personale. Ricordo poi che ella ha svolto tali funzioni, sempre interfacciandosi con me quale consulente del lavoro (come prima faceva la E.), pur non essendo stata formalmente assunta (ricordo che aveva una partecipazione del capitale sociale); da una certa data in avanti è stata assunta come dipendente e inquadrata quale vice direttrice. Ricordo che, ad esempio, in occasione di nuove assunzioni, ricevevo dalla ricorrente una mail dall'indirizzo "direzione airone", cui fornivo risposta"); (iv) che non c'era una figura che svolgesse mansioni sovraordinate rispetto a quelle della ricorrente (ADR. Non c'era una figura "sopra" di lei, a parte l'amministratore (...)) e (v) che di fatto, pur essendovi la figura del (...), l'amministratore era il (...) ("Posso dire che l'amministratore di fatto era il (...), cui facevano capo diverse società. Era lui che prendeva le decisioni rilevanti; ricordo, nello specifico, che in occasione della formale assunzione della ricorrente (avvenuta , come mi si dice, nel 2013), fu il (...) a contattarmi e dirmi che aveva individuato la (...) e quali dovessero essere i suoi compiti. ADR: Sono certa che la (...) ha svolto le medesime funzioni per un periodo di tempo lungo prima dell'assunzione (compatibile con l'arco 2007/2013). Anzi sono stata io a far presente al (...) che la presenza costante della (...) in azienda avrebbe potuto comportare difficoltà nel caso di controlli dal momento che non aveva titolo a svolgere attività se non come dipendente. ADR. So che c'era un rapporto sentimentale tra i due. Non ero un segreto."). La teste (...), che lavora da circa 25 anni al ricevimento dell'Hotel, ha confermato che la (...) ha sempre fatto la direttrice dell'albergo sin dal 2007, gestendo l'hotel in autonomia, occupandosi dell'organizzazione e del coordinamento di tutta la struttura, sia con riferimento alle risorse economiche che ai servizi e al personale; ha così confermato nel dettaglio le mansioni svolte dalla (...) quali elencate al capitolo 9 (si veda anche la risposta al cap. 8 in relazione a quelli che erano i compiti della (...)). La teste ha inoltre precisato che l'ingresso della (...) nella compagine "è coinciso con la trasformazione dell'albergo da tre stelle nella struttura 4 stelle attuale". Circa l'autonomia operativa della ricorrente, ha riferito che il (...) "non ha mai partecipato in prima persona alla gestione operativa" (così precisando: "(...) so che c'erano riunioni tra la (...) e il (...) che precedevano le decisioni più importanti. A livello operativo era lei l'unica nostra referente. ADR. Di fatto la (...) dirigeva in tutto e per tutto la struttura ..."). Analoghe dichiarazioni sono state rese dalla (...), pure impiegata al ricevimento come segretaria sin dal 2008. La teste ha aggiunto d'essere stata selezionata dalla (...), con la quale ebbe a sottoscrivere il contratto di lavoro ("Io sono stata assunta dopo un colloquio con la (...); il mio contratto è stato firmato dalla (...). Per me è sempre stata la direttrice, nel senso che ha sempre operato come tale con noi dipendenti. Era la (...) che prendeva ogni decisione dentro l'albergo, dalla gestione del personale, alle convenzioni ai rapporti con i fornitori"). La (...) ha confermato infine il dettaglio delle mansioni svolte dalla (...), rispondendo affermativamente al cap. 9, nonché il ruolo del (...) all'interno della struttura (cap. 10). Lo stesso è a dirsi con riguardo al dichiarante (...), dipendente della struttura quale addetto al ricevimento, che pure ha reso testimonianza idonea a coprire tutto l'arco temporale dei fatti per cui è causa ("prima di essere assunto ho effettuato degli stage con la scuola alberghiera presso l'albergo in questione. Ricordo che la ricorrente illustrò, da direttrice, a me e ai miei compagni l'albergo e le relative funzioni. ADR Parlo degli anni 2006/2007."). Egli ha poi confermato i suddetti capp. 9 e 10, specificando, quanto ai rapporti con il (...) che questi "abitualmente non è presente; fa tutto la (...)". Infine, il teste A. - come detto, titolare di un'azienda informatica che fornisce servizi all'Hotel (...) dal 2008 - ha riferito che la (...) è il proprio esclusivo referente, colei che gli affida gli incarichi all'interno e per conto dell'Hotel ("Nella sostanza non ho trovato differenze dal 2008 in avanti; mi sono sempre interfacciato con lei, anche oggi è così ... Posso dire che la (...) mi contattava dandomi l'incarico di eseguire gli interventi necessari. Non ho avuto a che fare con il (...)"). 7. D'altronde, la mancata risposta della convenuta alla prova per interpello disposta con ordinanza ritualmente notificata, consente di ritenere, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., sostanzialmente ammesse tutte le circostanze allegate in ricorso, dedotte con sufficiente precisione. 8. In ragione di tutto quanto sopra - e all'esito del procedimento logico giuridico, cui si è fatto riferimento in premessa - deve dirsi comprovato lo svolgimento da parte della (...) sin da principio di mansioni tipiche di Direttrice di una struttura alberghiera di rilevante complessità gestoria, trattandosi di un hotel a 4 stelle, con 68 camere, 5 sale congressi, ristorante e centro benessere. Il che giustifica l'esclusione della legittimità dell'inquadramento come Quadro B del CCNL di comparto, ammissibile per gli alberghi la cui struttura organizzativa non sia complessa, e l'accordo della qualifica di Direttrice Quadro A, avendo la (...) sempre avuto la piena e autonoma responsabilità della gestione dell'Hotel (...) sin da quando esso è stato massicciamente ristrutturato e ampliato. 9. Va quindi accolta sia la domanda relativa al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato tra le parti sin dal 1 novembre 2007 (essendo questa la forma naturale del rapporto di lavoro in carenza di differenti previsioni espresse, in relazione al periodo dal 2007 al 2013 durante il quale la (...) ha lavorato senza essere stata regolarizzata), sia quella di superiore inquadramento al livello di Quadro A sin dall'inizio del rapporto perché, entrambe, adeguatamente comprovate. Ne consegue la condanna della società resistente al pagamento delle differenze retributive, come quantificate in atti dal consulente del lavoro (doc. 19 ric.) e non contestate, pari a Euro 238.480,69 (compreso TFR per Euro 25.373,28) in relazione al periodo dal 1.11.2007 al 31.12.2021, oltre interessi e rivalutazione e salve le differenze maturande per il periodo successivo. Deve altresì trovare accoglimento la domanda di condanna generica della resistente al risarcimento del danno da irregolarità contributiva ex art. 2116 c.c. per il periodo prescritto, in quanto esso rappresenta un'ipotesi di responsabilità contrattuale derivante da una specifica e indisponibile obbligazione imposta dalla legge (da ciò conseguendo che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria e quello di cui all'art. 2946 cod. civ.; vedi Cass. 15/6/2007 n.13997, Cass. 25/11/2009 n. 24768 e da ultimo Cass. 18661/2020). Parte resistente deve essere condannata altresì alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale e al pagamento nei confronti dell'Inps dei relativi contributi omessi, maggiorati delle sanzioni di legge, da quantificarsi separatamente. 10. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in base ai parametri per i compensi per l'attività forense, di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, pubbl. in GU n. 77 del 2.4.2014 e ss. modificazioni, seguono la soccombenza. Con la precisazione che la pronuncia di un'unica condanna alle spese di causa, con liquidazione cumulativa delle medesime, è consentita a carico di più parti soccombenti, secondo la previsione dell'art. 97 c.p.c., ma non anche in favore di più parti vittoriose, che siano state assistite da difensori diversi. Infatti, la solidarietà attiva, non essendo espressamente prevista, non si presume, per cui la responsabilità delle parti soccombenti comporta che ciascuna delle controparti, ove abbia presentato distinte comparse e memorie, abbia diritto al proprio rimborso, tanto più se la difesa sia stata espletata da difensori diversi (Cass. sent. 663/1999 e 13001/2005 e, da ultimo, ord. 18256/2017). 11. Essendo documentalmente emersa una situazione finanziaria della (...) S.p.A. connotata da estrema gravità, con rilevantissima esposizione debitoria e, di fatto, insolvenza anche rispetto a obbligazioni minori, si impone la trasmissione degli atti alla locale Procura della Repubblica per quanto di competenza. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: - accerta e dichiara che la ricorrente ha prestato attività lavorativa di natura subordinata alle dipendenze di (...) S.p.A. sin dal 1 novembre 2007; - accerta e dichiara che la ricorrente ha diritto a essere inquadrata al livello di Quadro A del CCNL Turismo sin dall'inizio del rapporto e, per l'effetto, - condanna la società resistente, in persona del suo l.r. pro tempore, al pagamento delle differenze retributive pari a Euro 238.480,69 (compreso TFR per Euro 25.373,28) in relazione al periodo dal 1.11.2007 al 31.12.2021, oltre interessi e rivalutazione, e salve le differenze maturande per il periodo successivo; - condanna la società resistente al risarcimento del danno da irregolarità contributiva ex art. 2116 c.c. per il periodo prescritto; - condanna parte resistente alla regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale con pagamento nei confronti dell'Inps dei relativi contributi omessi, maggiorati delle sanzioni di legge, da quantificarsi separatamente; - condanna la società resistente al pagamento, in favore di parte ricorrente e dell'INPS, delle spese di giudizio, che liquida in Euro 7.500 ciascuno, oltre spese forfettarie, I.V.A. e cpa, ove dovute, come per legge; - dispone trasmettersi copia degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto. Così deciso in Grosseto il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GROSSETO SEZIONE LAVORO in persona del Giudice, dott. Giuseppe GROSSO all'udienza del 5 ottobre 2022, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, 1 comma c.p.c., modificato dall'art. 53, comma 2 D.L. n. 112 del 2008, conv. in L. n. 133 del 2008, nella causa civile iscritta al n. 108 del Ruolo Generale Affari Lavoro dell'anno 2021, vertente TRA (...), ((...), - C.F. (...)) residente in M. A., loc. P. S. G. n. 13 (G.) rappresentato e difeso con il proprio ministero ex art. 86 c.p.c. OPPONENTE E ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE (I.N.P.S.), con sede in Roma, in persona del Presidente pro-tempore, in proprio e quale mandatario della (...) - S. S.p.A., con sede in Roma, difeso e rappresentato dall'Avv. Ka.Na. in virtù di procura generale alle liti notaio C. di R., ed elettivamente domiciliato in Grosseto, Via (...). OPPOSTO OGGETTO: opposizione ad avviso di addebito. FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 3 marzo 2021, (...) ha proposto opposizione avverso l'avviso di addebito n. (...), notificatogli in data 16.02.2021, con il quale è stato ingiunto all'istante il pagamento di contributi relativi all'anno 2012 per il complessivo importo di Euro 2.644,93. Il ricorrente eccepisce l'intervenuta prescrizione del credito azionato dall'INPS. 2. Si costituiva l'INPS, che contestando l'avvenuta prescrizione del credito, concludeva per il rigetto del ricorso con condanna di controparte al pagamento della somma portata nell'AVA opposto. 3. La causa, documentalmente istruita, è stata decisa all'odierna udienza mediante sentenza di cui è stata data lettura. 4. Il ricorso è fondato. 5. È utile ricordare che l'art. 3, co. 9, della L. n. 335 del 1995 ha introdotto il termine quinquennale di prescrizione in sostituzione di quello decennale per i contributi relativi a periodi successivi alla data di entrata in vigore di detta legge e anche per quelli precedenti per i quali non siano stati compiuti validi atti interruttivi entro lo stesso termine. Tale termine di prescrizione dei crediti previdenziali e assistenziali decorre dalla data di inadempimento/violazione; esso, a seguito di iscrizione a ruolo e cartella esattoriale (ora avviso di addebito), inizia nuovamente a decorrere dalla notifica della cartella. Come chiarito dalla circolare INAIL n. 32 del 10.05.1996, la prescrizione quinquennale si applica tanto ai crediti previdenziali vantati dall'INPS quanto ai crediti INAIL. È poi ormai noto che i giudici della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 23397 depositata in data 17.11.2016, hanno confermato che le pretese della Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni etc.) si prescrivono sempre nel termine "breve" di cinque anni, eccetto nei soli casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo. 6. Per quanto concerne il dies a quo della prescrizione per i contributi dovuti alla gestione separata, gli E. hanno ritenuto di sposare l'orientamento a norma del quale "in materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo" (cfr. Cass. n. 27950/2018, conforme Cass. n. 19403/2019). Sul punto, è stato affermato che in tema di contributi cd. "a percentuale", il fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva è rappresentato dall'avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito (Cass. n. 13463/2017). Pur sorgendo il credito sulla base della produzione del reddito, la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall'ulteriore momento in cui è dovuta la corrispondente contribuzione, e quindi dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa. Tale conclusione viene ritenuta conforme al principio generale in ambito di assicurazioni obbligatorie, secondo cui la prescrizione corre dal momento in cui i singoli contributi dovevano essere versati (art. 55 R.D.L. n. 1827 del 1935), valendo la regola, fissata dall'art. 18, co. 4, del D.Lgs. n. 241 del 1997 secondo cui "i versamenti a saldo e in acconto dei contributi dovuti agli enti previdenziali da titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate da enti previdenziali sono effettuati entro gli stessi termini previsti per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi ". Pertanto, il Collegio ha ritenuto che, tra il momento di esigibilità del credito e il successivo momento in cui interviene la dichiarazione dei redditi o comunque l'accertamento tributario, si determina una "difficoltà di mero fatto" rispetto all'accertamento dei diritti contributivi, il cui elemento costitutivo resta la produzione di redditi rilevante ai sensi di legge. 5.1. In relazione all'anno oggetto di contenzioso, le scadenze fiscali erano stabilite per il 17 giugno 2013 per il saldo 2012 e il primo acconto 2013 e 2 dicembre 2013 per il secondo acconto 2013. Il termine legale di versamento della contribuzione relativa all'anno 2012 era dunque fissato alla data del 17.06.2013. 7. Parte resistente eccepisce la mancata omessa compilazione del quadro RR da parte del ricorrente, come ipotesi di sospensione del decorso della prescrizione ai sensi dell'art. 2941 n. 8 c.c., per occultamento doloso del debito, richiamando a fondamento la sentenza della Corte di Cassazione n. 6677 del 7.3.2019. Tuttavia, la Cassazione, con la sentenza n. 1293 del 17 gennaio 2022, (si veda nello stesso senso anche Cass. 2490/2022) ha mutato orientamento circa la prescrizione dei contributi INPS e la sospensione della stessa per mancata comunicazione dei redditi all'Istituto Previdenziale. La Cassazione con sentenza 17 gennaio 2022 n. 1293 ha, infatti, confermato la sentenza d'appello che ha escluso che la mancata compilazione del "Quadro RR" potesse integrare un intenzionale occultamento doloso del debito contributivo rilevando che "l'appellata nel modello reddituale per l'anno 2011 ha dichiarato nel Quadro CM i redditi da lavoro autonomo della cui contribuzione si tratta, per cui deve essere esclusa l'intenzione di voler occultare l'esistenza degli stessi, così come l'impossibilità per l'Istituto di poter agire per far valere il proprio diritto di credito...". Ha ulteriormente rilevato come "l'omessa compilazione del Quadro RR (fosse) avvenuta in un contesto di incertezza in ordine alla sussistenza dell'obbligo di iscrizione alla Gestione Separata Inps, affermata solo negli anni successivi dalla Corte di Cassazione, a fronte di contrastante pregresso orientamento della giurisdizione di merito". La Cassazione ha quindi ritenuto che "Il motivo di ricorso dell'Istituto si colloca all'esterno del perimetro di cui citato art. 360 n. 5 ed anzi denuncia un errore di diritto (violazione degli artt. 2935 e 2941 c.c.), con la pretesa di affermare un inammissibile automatismo tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l'occultamento doloso del debito contributivo, già escluso da questa Corte" (v. Cass. n. 7254 del 2021, in motivazione) (Cfr. Cass. 17 gennaio 2022 n.1293) Nello stesso senso, precedentemente la Corte di Cassazione, Sez. 6 - L, Ordinanza n. 37529 del 30/11/2021 aveva statuito che "INPS avrebbe dovuto chiarire perché la condotta del professionista fosse tale da concretare il doloso occultamento del debito, valutabile ai sensi dell'art. 2941, n. 8 quale causa di sospensione del decorso della prescrizione ma apprezzabile solo se idonea a determinare un impedimento ad esercitare il diritto, non sormontabile con gli ordinari controlli. Nella specie, i giudici hanno escluso una tale evenienza perché il debitore aveva puntualmente presentato la propria dichiarazione dei redditi e l'Istituto avrebbe potuto avvalersi dei propri poteri ispettivi o chiedere informazioni all'Agenzia delle Entrate; l'INPS, senza confrontarsi specificamente con dette argomentazioni, si limita ad affermare la sussistenza di una "presunzione di occultamento" derivante dall'omessa compilazione del quadro RR, situazione, invece, che questa Corte esclude. È stato chiarito, infatti, come non sia predicabile "un automatismo ... tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l'occultamento doloso del debito contributivo" (v. Cass. nr. 7254 del 2021 e successive conformi di questa sesta sezione). Il relativo accertamento (id est: l'accertamento di un eventuale occultamento doloso del credito) configura, infatti, un giudizio rimesso al giudice di merito (v., in motivazione, quanto affermato, tra l'altro, dalla stessa ordinanza n. 6677 del 2019, richiamata in ricorso a fondamento delle censure) e, perciò, censurabile nei ristretti limiti tracciati da questa S.C. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.. (v. Cass., S.U. n. 5083 del 2014), qui non ritualmente prospettati". 8. Tutto ciò premesso, decorrendo il dies a quo per la prescrizione dalla data di scadenza della termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi a opera del titolare della posizione assicurativa e, non operando, nel caso di specie, la sospensione della prescrizione in caso di mancata compilazione del quadro RR, poiché l'INPS non ha provato il dolo dello (...) nell'occultamento della contribuzione, il credito vantato risulta prescritto in data 17.06.2018. 9. Risulta pertanto tardiva e improduttiva di effetti la messa in mora notificata all'opponente in data 27.09.2018. 10. Tenuto conto della peculiarità della questione sottoposta e dei non del tutto sopiti contrasti giurisprudenziali, frutto anche di recentissimi interventi, le spese di lite possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così provvede: - accerta e dichiara prescritto il credito dell'Inps e pertanto non dovute le somme di cui all'avviso di addebito n. (...), emesso dall'INPS per l'importo di Euro 2.644, 93; - compensa le spese di lite. Così deciso in Grosseto il 5 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Amedeo Russo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1508/2017 promossa da: (...) (già (...)) (...), (...) (sposata (...)), (...) (sposata (...)) e (...), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Fa.Br. ed elettivamente domiciliati presso il suo studio sito in Grosseto, Via (...) ATTORE/I contro (...) S.P.A. (C.F. (...) - (...) I.V.A. (...)), con sede legale in (...) V. (T.), Via (...), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Ga. (anche quale impresa incorporante (...) S.P.A. - C.F. (...)) CONVENUTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. i ricorrenti (...) (già (...)) (...), (...) (sposata (...)), (...) (sposata (...)) e (...) convenivano in giudizio (...) SpA e (...) SpA, al fine di sentirle condannare solidalmente al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di (...), (...) sposata (...), (...) sposata (...) e (...), ed in particolare al pagamento delle rispettive somme di Euro 100.000,00 a (...), ed Euro 50.000,00 a ciascuno degli altri tre, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; il tutto con vittoria di spese. Gli stessi ponevano a fondamento delle proprie pretese i danni non patrimoniali asseritamente patiti in conseguenza del sinistro stradale occorso alla prossima congiunta (...) (sposata (...), già (...)) il 2 marzo 2008. Premettevano i ricorrenti che, nella suddetta circostanza, quest'ultima viaggiava, in qualità di trasportata, nell'auto Ford Fiesta tg. (...), assicurata con polizza (...) S.p.A. e riportava delle lesioni poi quantificate in un successivo giudizio di merito dinanzi a questo Tribunale (R.G.N. 1853/2009), nella misura del 42% di invalidità permanente con 60 giorni di invalidità temporanea totale e 60 giorni di invalidità temporanea parziale. Tale sinistro avrebbe comportato gravi e dannose conseguenze per i ricorrenti, i quali hanno dunque agito per il risarcimento del danno morale permanente riflesso e/o esistenziale, anche per la grave lesione del rapporto parentale ed il grave pregiudizio per il rapporto dinamico relazionale con (...) indotto dal dimezzamento della di lei integrità psicofisica" (cfr.. Pag. 6 ricorso introduttivo). Si costituiva (...) S.p.A. (assumendosi soggetto giuridico in cui è "confluita" - presumibilmente per incorporazione - (...) S.p.A.), la quale eccepiva in via preliminare l'intervenuta prescrizione delle domande e dei relativi diritti azionati in giudizio e, nel merito, la manifesta infondatezza delle avverse pretese; il tutto con vittoria di spese. Alla prima udienza il Giudice, ritenendo che l'istruttoria della controversia non potesse essere sommaria, mutava il rito. La causa veniva quindi istruita con lo scambio delle memorie di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c. e con la successiva escussione testimoniale di (...) e (...) all'udienza del 12.02.3019 e, da ultimo, della Sig.ra (...), all'udienza del 17.11.2020, al cui esito le parti chiedevano ed ottenevano di poter precisare le proprie conclusioni. Alla medesima udienza del 17.11.2020 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. A seguito di interruzione del giudizio per decesso del procuratore di parte convenuta, avvenuto nelle more dei termini ex art. 190 c.p.c., il giudizio veniva riassunto ed alla successiva udienza il Giudice tratteneva nuovamente la causa in decisione. OSSERVATO CHE Va preliminarmente osservato che i ricorrenti hanno proposto domanda risarcitoria nei confronti di due distinti soggetti giuridici, ovvero (...) S.p.A. e (...) S.p.A.; la prima, nei propri scritti difensivi, ha dedotto che la seconda convenuta (...) S.p.A. (mai formalmente costituita nel presente giudizio) è "confluita" in (...) S.p.A. in virtù - apparentemente - di vicende societarie antecedenti all'instaurazione del presente giudizio. Tale circostanza non è stata contestata dalla parte ricorrente, sicchè ben può ritenersi che (...) S.p.A. sia l'unico soggetto giuridico destinatario dell'odierna domanda risarcitoria. Deve in proposito osservarsi che la titolarità attiva o passiva della situazione soggettiva dedotta in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, così che grava sull'attore l'onere di allegarne e provarne i fatti costitutivi, salvo che il convenuto li riconosca o svolga difese incompatibili con la loro negazione, ovvero li contesti oltre il momento di maturazione delle preclusioni assertive o di merito (cfr. Cassazione civile, sez. III, 27 Giugno 2018, n. 16904). Nella specie, (...) S.p.A. mai ha contestato la sussistenza ed operatività della polizza assicurativa stipulata in relazione all'auto Ford Fiesta tg. (...), sulla quale (...) viaggiava in qualità di terza trasportata, così palesando a questo giudice che la stessa polizza sia riferibile proprio a (...) S.p.A. Anche in merito alla coincidenza dei due soggetti giuridici convenuti, la dichiarazione mai messa in discussione circa il fatto che (...) S.p.A. è "confluita" in (...) S.p.A., rende pacifico che si tratti ad oggi di unico soggetto, individuabile, pertanto, nell'odierno convenuto (...) S.p.A. Sempre in via preliminare, va disattesa l'eccezione di prescrizione spiegata da parte convenuta. Nella specie, si osserva che il sinistro per cui è causa è avvenuto in data 2.03.2008, e che per lo stesso opera la prescrizione prevista dal terzo comma dell'art. 2947 c.c., trattandosi di illecito civile considerato dalla legge come reato, l'accertamento della cui esistenza, ancorché effettuata incidenter tantum del giudice civile, rende applicabile il più ampio termine prescrizionale (cfr. Cassazione, sez. III, 15 maggio 2012, n. 7543). Nella specie, questo Giudice ritiene, seppure all'esito di una valutazione incidenter tantum e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto - reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, ovvero quello di lesioni personali gravissime in capo a (...), il cui termine prescrizionale va dunque fissato in anni 6. Ciò in ragione sia dell'acclarato stato di alterazione psicofisica del conducente, Ferko Adriatic, del veicolo sul quale (...) viaggiava in qualità di trasportata (cfr. Rapporto dei carabinieri compagnia di Massa Marittima - doc. 1 in produzione parte ricorrente) sia dell'entità delle lesioni patite ed accertate in occasione del giudizio di risarcimento esitato con Sentenza n. 1008/2011 del Tribunale di Grosseto (cfr. doc 2 in produzione parte ricorrente). Ebbene, risulta che i ricorrenti formulavano una prima richiesta di risarcimento con lettera raccomandata del 17.02.2014 (cfr. doc 29-37 in produzione parte ricorrente) e successivamente, per quello che in questa sede interessa, veniva dai medesimi soggetti instaurato il presente giudizio di merito (ricorso introduttivo del 5.07.2017, con giudizio incardinato nel medesimo anno solare). Venendo dunque al merito, alla luce del quadro probatorio offerto dai ricorrenti (cfr. All. 1-58 in produzione parte ricorrente, nonché della prova testimoniale assunta in corso di causa) e degli esiti della perizia (a firma del dott. (...)) disposta nel giudizio recante RG 1853/2009 esitato con Sentenza del Tribunale di Grosseto n- 1008/2011 versata in atti, deve concludersi per la sussistenza di un diritto risarcitorio in capo ai ricorrenti per il sinistro oggetto di lite, seppure nei limiti che seguono. Si osserva che la perizia a firma del dott. (...) disposta nel giudizio recante RG 1853/2009 esitato con Sentenza del Tribunale di Grosseto n- 1008/2011, valutata in uno alle risultanze testimoniali raccolte in corso di causa, sia tale da far ritenere sussistente il diritto al risarcimento del danno anche in favore dei prossimi congiunti di (...), la quale, pur sopravvissuta a seguito del sinistro stradale per cui è causa, abbia tuttavia patito un danno talmente grave da comportare immediati riflessi anche sulle persone a sè più vicine. Sotto questo profilo, si osserva come sia essenziale che la parte attrice dia prova - come in effetti avvenuto nella specie - anche in via presuntiva del danno patito, dovendosi evitare qualsiasi forma di automatismo. Si ritiene opportuno premettere che la questione oggetto di odierno esame concerne la tematica del danno patito dai prossimi congiunti del macroleso, in ragione delle conseguenze negative che l'illecito altrui ha prodotto direttamente nella propria sfera giuridica. Conseguenze negative che, per poter assumere rilievo giuridico, devono essere serie e concrete e costituire conseguenza immediata e diretta dell'altrui comportamento. La giurisprudenza ha da tempo chiarito come ai prossimi congiunti della persona che abbia subito lesioni personali sia attribuibile il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile (cfr. Cass. S.S.U.U., 22 maggio 2002, n. 9556). E' stato inoltre affermato in giurisprudenza che la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall'altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l'esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell'atto introduttivo del giudizio (cfr. Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 2228 del 16/02/2012) e che lo stesso danno, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta (cfr. Cass. Civ., Sez. 3 - Sentenza n. 2788 del 31/01/2019: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto non provato il danno non patrimoniale patito dal marito per le lesioni subite dalla moglie a seguito di un intervento chirurgico, senza considerare in particolare, l'entità non lieve delle lesioni personali riportate dalla danneggiata, quantificate al 30%, in conseguenza delle quali le era stato riconosciuto un danno alla vita di relazione, in specie sessuale). Ancora, afferma la giurisprudenza, sempre in tema di danno non patrimoniale consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, che questo può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta (cfr. Cass. Civ., Sez. 3 - , Ordinanza n. 11212 del 24/04/2019). Giova richiamare, inoltre, la lettura costituzionalmente orientata data dalle Sezioni Unite in tema di presupposti e contenuti del risarcimento del danno non patrimoniale attraverso la quale, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, è stata estesa la tutela ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.); ciò con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. Tanto precisato, le SSUU hanno altresì ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972). Infine, è stato sottolineato che ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione o macrolesione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi (Cass. Sez. 3 17/07/2012, n. 12236). Quanto al criterio di liquidazione del danno, la Suprema Corte di Cassazione, proprio per sopperire al rischio di sperequazioni in sede di giudizi di merito, ha più volte indicato le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano (ad oggi nella versione aggiornata al 2021) quale strumento cui i Giudici possono fare riferimento, in quanto rispondono ai requisiti di equità che sono richiesti nella quantificazione del danno patrimoniale, naturalmente adeguandole oggettivamente al caso concreto e personalizzando il danno in relazione alla situazione soggettiva dei danneggiati: "una liquidazione adeguata e proporzionata che, muovendo da una uniformità pecuniaria di base, riesca ad essere adeguata all'effettiva incidenza della menomazione subita dal danneggiato nel caso concreto" (Cass. Civ. 5013/2017). Nel caso di specie, deve dunque farsi applicazione del parametro di cui alle Tabelle di Milano 2021, stante la non fruibilità del criterio tabellare di cui alle Tabelle di Roma, queste ultime - apparentemente - suggerite da una recentissima giurisprudenza di legittimità esclusivamente in relazione all'ipotesi di danno da perdita del rapporto parentale (cfr. Corte di Cassazione Sentenza n. 10579 del 21/04/2021 - Presidente Travaglino, relatore Sc.) e non, dunque, al danno riflesso sui prossimi congiunti indotto dalla diminuzione dell'integrità psicofisica del danneggiato. Va infatti tenuto conto del fatto che la medesima giurisprudenza ha precisato che la liquidazione del danno non patrimoniale, in assenza di specifica normativa, è sempre operata su base equitativa in ossequio all'art. 1226 del codice Civile sulla base delle circostanze del caso concreto; il ricorso al sistema tabellare è infatti unicamente volto a garantire l'uniformità di giudizio su tutto il territorio nazionale. Questa giurisprudenza ritiene che le tabelle di Milano, pur non essendo un precetto legislativo, costituiscono una sorta di clausola generale, con conseguente "conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno"; in tale ottica, anche l'eventuale ricorso alle Tabelle di Roma non esclude in ogni caso la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, "salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella" (cfr. Corte di Cassazione Sentenza n. 10579 del 21/04/2021). Da tanto deriva che si dovrà tenere necessariamente conto della gravità del fatto, dell'entità del dolore patito, delle condizioni soggettive della persona, del turbamento dello stato d'animo, dell'età della vittima e dei congiunti all'epoca del fatto, del grado di sensibilità dei danneggiati, della situazione di convivenza o meno con il danneggiato principale; tutte circostanze la cui prova grava sull'attore, non assumendo rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, rimanendo sempre necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi (Cass. Sez. 3 17/07/2012, n. 12236). Orbene, nel caso di specie i ricorrenti hanno agito per il risarcimento del danno morale permanente riflesso e/o esistenziale, anche per la grave lesione del rapporto parentale ed il grave pregiudizio per il rapporto dinamico relazionale con (...) indotto dal dimezzamento della di lei integrità psicofisica" (cfr. Pag. 6 ricorso introduttivo). Per la prova del danno azionato in questa sede, dunque, soccorrono tra l'altro le prove orali assunte in corso di causa. Ebbene, esse hanno condotto al seguente esito: Il tre testi indicati da parte attrice, (...) (amico dei ricorrenti), (...) (compagno convivente della (...)) e (...) (indifferente), fornendo dichiarazioni sostanzialmente conformi e prive di contraddizioni intrinseche, richiesti di fornire dichiarazioni in merito al rapporto familiare intercorrente tra i ricorrenti e la (...), hanno sostanzialmente confermato quanto dedotto in ricorso introduttivo. In particolare, in merito al fatto che la (...) sarebbe venuta dalla Romania subito dopo l'incidente per ricongiungersi alla figlia (...), recandosi all'Ospedale dove questa era ricoverata e che dopo le dimissioni dall'Ospedale sarebbe rimasta con lei a Piombino per circa 1 anno, assistendola ed occupandosi del nipotino (...), nato nel (...), figlio di (...), i testi escussi hanno sostanzialmente confermato la circostanza (il teste (...) precisando di saperlo per essergli stato raccontato da (...), gli altri due per diretta conoscenza - cfr. verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020) confermando altresì che negli anni successivi all'incidente la (...) è sempre stata con la figlia (...) a (...) almeno 6 mesi per ogni anno, anche continuativamente, salvo tornare in certi periodi in Romania, per custodire la proprietà della famiglia il di lei figlio (...) (cfr. verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). Risulta altresì confermata la circostanza per cui le sorelle (...) sposata (...) e (...) sposata (...) subito dopo l'incidente del 2/3/08 vennero la prima dalla Romania e la seconda da Trieste, dove abitava con il marito, e si recarono all'Ospedale dalla sorella (...), dandosi il cambio per assisterla ogni 1-2 mesi circa anche dopo che (...) fu dimessa e stava a casa, e ciò per circa 6 mesi. (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). In merito a (...), i testi escussi hanno confermato che nel 2013 questa prese l'aspettativa presso l'Impresa di cui era dipendente in Romania per stare con la sorella (...) a (...) per circa 6 mesi, e dall'autunno 2008 in poi, tornando a Piombino dalla Romania presso la sorella (...) almeno 3-4 volte l'anno ogni volta per 10-15 giorni, rarefacendo le sue visite solo nell'anno 2011, dopo la nascita del figlio avvenuta allora." (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). In merito a (...), i testi escussi hanno confermato che dall'autunno 2008 in poi si è portata da Trieste a Piombino presso la sorella (...) ogni 2-3 mesi ed ogni volta per 10-15 giorni, sinché verso la fine del 2010 con suo marito si è trasferita a Piombino, dove stava quotidianamente assieme alla sorella (...) (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). I testi escussi hanno altresì confermato che le sorelle (...) e (...), oltre ad assisterla per tutto il 2008, quando stavano assieme a (...), la aiutavano nei lavori di casa e nella cura del figlio N. e che (...) diede alla luce una bambina nel 2012 a Piombino, e nel 2013 tornò ad abitare a Trieste, avendo il marito perduto il lavoro a Piombino e trovatone un altro a Trieste, e da allora, non appena la bambina è stata in grado di viaggiare con lei, ha ripreso a tornare periodicamente a Piombino presso la sorella (...) con la stessa frequenza e durata delle permanenze del periodo precedente (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). Quanto al fratello (...), risulta confermato dai testi che questi cominciò a venire a Piombino dalla Romania nel 2006 per periodi di lavoro a tempo determinato, ritornando in Romania ogni volta che il lavoro cessava, mentre non risulta confermato quanto dedotto dai ricorrenti al capitolo di prova M) ("ovvero che egli finchè (...), la quale fino a quel momento svolgeva attività lavorative di vario genere, non ottenne degli acconti sul risarcimento dei danni, provvedette al pagamento del canone di locazione dell'alloggio in cui la sorella abitava, e ciò dal Marzo 2008 a fine 2009) non avendo i testi dichiarato di conoscere direttamente detta circostanza (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). Sempre quanto al fratello (...), i testi hanno invece sostanzialmente confermato che egli egli ha sempre coadiuvato in Piombino la madre e le sorelle, e, in loro assenza, ha provveduto direttamente ad accompagnare all'asilo e poi a scuola il nipotino (...), andando poi a riprenderlo e riportarlo a casa, ed anche attualmente aiuta la sorella (...) in questi compiti (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020) il tutto quasi tutti i giorni recandosi a casa della sorella (...), che non ha più avuto un lavoro, intrattenendosi con lei e con la madre o le altre sorelle quando queste sono presenti a Piombino (cfr. deposizione dei testi (...), (...) e (...) verbale del 12.02.2019 e 18.11.2020). Circa i rapporti tra (...) e la famiglia nel suo complesso, risulta confermato dalla teste (...) altresì che (...) venne in Italia a Piombino nel 2006 ed ogni due o tre mesi tornava in Romania dalla famiglia, sempre ogni 2 o 3 mesi venivano a trovarla per qualche giorno a Piombino la madre (...) (allora (...)) (...) e le sorelle (...) e (...), aiutandola nelle incombenze domestiche e di madre (cfr. deposizione della teste (...) - verbale del 18.11.2020). Alla luce degli esiti della prova testimoniale come innanzi riassunta, avendo i ricorrenti puntualmente allegato e provato le abitudini specifiche della famiglia de qua, e potendosi ricavare dal rapporto familiare nel suo complesso la prova presuntiva della sussistenza di un solido rapporto familiare tra i ricorrenti e la (...), si ritiene sussista il diritto al risarcimento in capo ai primi, il quale dovrà parametrarsi in relazione ai dati forniti, tenuto conto di una situazione di non stabile convivenza in tempo anteriore al sinistro tra ricorrenti e danneggiata principale, ed è dunque calcolato partendo dal valore monetario medio per la perdita del congiunto, calcolato in applicazione delle Tabelle di Milano 2021 e pari ad Euro 168.250,00 per il genitore ed Euro 24.350,00 per sorelle e fratello, ridotto al 50% in ragione dell'entità delle lesioni patite (42%) e dell'età della (...) al momento del fatto (23 anni) ed ulteriormente ridotto in via equitativa in misura del 20% in ragione della permanenza in vita della (...) (non essendo possibile considerare equipollente la morte del congiunto, con la perdita definitiva di ogni possibilità di relazione con lo stesso, alla lesione gravissima, con residua possibilità di mantenere un legame affettivo stabile e una relazione quotidiana). Il danno è dunque riconosciuto nei limiti seguenti, parametrato a tutte le caratteristiche del caso concreto, secondo quanto chiarito nelle Tabelle del Tribunale di Milano: P. (già (...)) (...): Euro 63.700,00; (...) (sposata (...)): Euro 9.740,00; (...) (sposata (...)): Euro 9.740,00; (...): Euro 9.740,00. Poiché si tratta di danno liquidato all'attualità, lo stesso deve essere maggiorato di soli interessi in misura legale, dalla data odierna al soddisfo. L'importo deve poi essere devalutato al 2 marzo 2008 e maggiorato di interessi in misura legale, sull'importo di anno in anno rivalutato secondo l'indice ISTAT, dal marzo 2008 alla data odierna. Tali somme devono essere poste a carico di (...) S.p.A., stante il fatto che, in relazione alla dinamica del sinistro de quo, risulta pacifico e mai contestato che (i) la (...) viaggiava, in qualità di trasportata, "nell'auto Ford Fiesta tg. (...), assicurata con polizza (...) S.p.A.", riportando delle lesioni poi quantificate in un successivo giudizio di merito dinanzi a questo Tribunale (R.G.N. 1853/2009), nella misura del 42% di invalidità permanente con 60 giorni di invalidità temporanea totale e 60 giorni di invalidità temporanea parziale; (ii) sul punto (...) S.p.A,, ha dichiarato che (...) S.p.A. sarebbe "confluita" in quest'ultima, mai contestando la sussistenza ed operatività della polizza assicurativa in parola e quindi che l'obbligo assicurativo in relazione alla vicenda de qua sia riferibile a (...) S.p.A. quale impresa che ha incorporato (...) S.p.A.. Pertanto, sebbene non sia stata offerta prova documentale del consolidamento di entrambi i convenuti in un unico soggetto giuridico, tenuto conto dei fatti non contestati, della sicura operatività della polizza assicurativa per cui è lite e della sua - pacifica - riferibilità a (...) S.p.A., si giustifica la condanna esclusivamente di quest'ultima al pagamento delle somme, meglio quantificate in dispositivo, in favore degli odierni ricorrenti. In ordine alle spese di lite tra ricorrenti e (...) S.p.A., si statuisce come da dispositivo secondo la soccombenza, in applicazione della quinta fascia della tabella n. 2 (giudizi ordinari e sommari di cognizione innanzi al tribunale) del D.M. n. 55 del 2014, con aumento del 20% per la presenza di più parti aventi stessa posizione processuale ed identico disegno defensionale (art. 4, comma 2 D.M. cit.). P.Q.M. Il Tribunale di Grosseto, sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta come in epigrafe, così provvede: 1) condanna (...) S.p.A. (anche quale impresa incorporante (...) S.p.A.). a corrispondere in favore dei ricorrenti la complessiva somma di Euro 92.920,00, così suddivisa: (...) (già (...)) (...): Euro 63.700,00; (...) (sposata (...)): Euro 9.740,00; (...) (sposata (...)): Euro 9.740,00; (...): Euro 9.740,00; ognuno di tali importi dapprima devalutati al 2 marzo 2008 e maggiorato di interessi in misura legale, sull'importo di anno in anno rivalutato secondo l'indice ISTAT, dal marzo 2008 alla data odierna; il tutto oltre gli interessi legali dalla sentenza al saldo; 2) condanna (...) S.p.A. (anche quale impresa incorporante (...) S.p.A.) a corrispondere in favore del procuratore antistatario avv. Fa.Br. le spese del presente giudizio che liquida complessivamente in Euro 1.022,74 per spese documentate; nonché complessivamente Euro 16.116,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, Iva e Cpa se dovute come per legge; Così deciso in Grosseto il 19 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GROSSETO SEZIONE LAVORO in persona del Giudice, dott. Giuseppe GROSSO all'udienza del 24 novembre 2021, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, 1 comma c.p.c., modificato dall'art. 53, comma 2 d.l. n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008, nella causa civile iscritta al n. 540 del Ruolo Generale Affari Lavoro dell'anno 2019, vertente TRA (...) S.p.A., in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. El.Cr., Servizio Legale di (...) S.p.A., ed elettivamente domiciliata presso (...) S.p.A. Filiale di Grosseto Piazza (...). RICORRENTE e (...), C.F. (...), nato (...) e residente in Via (...), Grosseto, rappresentato e difeso dall'Avv. Vi.So. del foro di Roma, ed elettivamente domiciliato in Grosseto alla Via (...), presso (...), giusta procura in atti telematici. CONVENUTA Oggetto: sanzione disciplinare. FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato in data 25 settembre 2019 (...) S.p.A. ha rappresentato che il proprio dipendente (...) non aveva provveduto a svolgere il servizio di recapito nel giorno 11.6.2019 con la dovuta diligenza, omettendo di recapitare 7 prioritari esteri, 2 prioritari nazionali e 13 invii a firma "come da rapportino palmare agli atti" (all. 6 e 7); ciò a fronte delle complessive consegne affidategli per quella giornata, pari a 15 recapiti esteri, 7 prioritari nazionali e 61 invii, lasciando quanto non consegnato sul tavolo nella stanza dei capisquadra portalettere. Il tutto come da addebito che costituisce all. 1 del ricorso. Tanto premesso, la ricorrente ha avanzato richiesta di voler riconoscere la legittimità della sanzione disciplinare conservativa irrogata ossia la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno, ai sensi degli artt. 2104 e 2015 c.c. nonché degli artt. 52/55 del CCNL di comparto (doc. 3 ric.). 2. Si è costituita in giudizio il convenuto, contestando nel merito la pretesa punitiva, negando in particolare l'addebitabilità della mancanza per stante la gravosità dell'impegno, in particolare dovuta alla "carenza di risorse umane, l'assenza per infortunio di una collega (Sig.ra (...)) e l'aumento della mole di lavoro". 3. Rifiutata da pare ricorrente la proposta giudiziale di ridurre la sanzione al solo richiamo verbale (cfr. verbale del 3.12.2019), escussi i testimoni ammessi e acquisita la documentazione prodotta, la causa è stata decisa mediante sentenza di cui è stata data integrale lettura. 4. Il ricorso è infondato. 4.1. Preliminarmente va detto che l'addebito disciplinare - che cristallizza i fatti contestati e che come tale risulta intangibile in corso di causa - non muove, nello specifico, un rimprovero per aver il portalettere lasciato quanto non recapitato sul tavolo dei capisquadra in violazione di una specifica disposizione in tal senso. Di tale comportamento (meramente descritto nella contestazione) la ricorrente non indica neppure la fonte (sia essa regolamentare o di prassi). Ad ogni modo, anche a voler estendere l'imputazione disciplinare anche a tale profilo, come la ricorrente ha dedotto nel proprio ricorso introduttivo - laddove ha rappresentato che il (...) avrebbe dovuto lasciare i prodotti non consegnati in una casetta presso la sezione registrate, indicando le ragioni della mancata consegna - esso tuttavia non risulta adeguatamente comprovato all'esito dell'istruttoria svolta. 5. Per quanto attiene al primo profilo, i riferimenti oggettivi risultano documentali e non contestati. In particolare deve confermarsi che al (...) erano stati affidati 15 recapiti esteri, 7 prioritari nazionali e 61 invii, quindi complessivamente 83 recapiti (dal che si desume che quanto sul punto riferito dal teste di parte ricorrente, ovvero dal dipendente (...), colui che ha materialmente effettuato all'azienda la segnalazione circa la mancata completa consegna, non è corretto dal momento che il (...) ha invece riferito in udienza che il (...) avrebbe dovuto effettuare complessivamente 60 consegne a fronte di una media di 80 consegne giornaliere dei portalettere). All'esito dell'istruttoria è emerso che il territorio di consegna assegnato al resistente è caratterizzato da aree a vocazione agricola con luoghi di consegna distanti tra loro. Sul punto anche il teste (...) ha dichiarato che al (...) è stato assegnato un "territorio vasto con significative percorrenze all'interno di zone di campagna, anche fuori dal Comune di Grosseto" (cfr. risposta del teste al cap. 6). La teste indicata da parte resistente, (...), ha confermato sul medesimo punto il capitolo 1 della memoria di costituzione del (...), precisando che per esperienza diretta "5 zone di cui 2 rurali per esperienza sono tante" (cfr. dichiarazioni della teste in risposta ai cap. 1 e 4). La teste (...) ha poi confermato che ella quel giorno era assente dal lavoro per infortunio, dato addotto dal resistente a giustificazione del maggior aggravio di lavoro che si era ritrovato a svolgere. In merito - si ricorda - che il (...) ha riferito come la media di consegne dei portalettere è di 80 recapiti, mentre nello specifico al (...) ne erano stati assegnati 83. Così stando le cose, a fronte di 22 complessive mancate consegne, non pare al Tribunale che la condotta del (...) possa definirsi negligente al punto da meritare una risposta sanzionatoria come quella in concreto irrogatagli. Tanto più che l'azienda non ha specificato se le consegne dovessero seguire un certo ordine di importanza né quindi distinto all'interno della contestazione le mancate consegne sotto un profilo qualitativo, bensì meramente quantitativo. Va tenuto poi in debito conto che la presenza di aree agricole con limiti di velocità, quali quelli indicati dal resistente (cfr. doc. nn. 2 e 3) e non contestati, ben potevano nello specifico di una giornata giustificare eventuali ritardi, data anche l'oggettiva, ricorrente, presenza di macchine agricole nelle aree in questione, che - notoriamente, come dedotto da parte resistente - rallentano gli altri veicoli, dilatando così i tempi di consegna. Nè la stessa media indicata dal teste (...) (80 consegne giornaliere) distingue peraltro tra aree urbane e inurbane o agricole. Viene così meno la contestazione della violazione del codice etico, indicata nella contestazione del 15.7.2019 (all. 1 ric.) relativamente alla qualità, diligenza e professionalità del lavoratore. 5. Come detto, la mancata consegna delle rimanenze nella sezione recapiti, e nello specifico dentro una apposita scatola (con riferimento in particolare ai prodotti esteri e prioritari non consegnati), e ancora la mancata giustificazione scritta sono profili che non stati espressamente contestati come mancanze di rilievo disciplinare nell'addebito sopra indicato. Peraltro l'istruttoria non ha neppure adeguatamente confermato l'esistenza di indicazioni in tal senso e anzi, con riferimento specifico alla detta scatola, è emerso che essa non era più in uso all'epoca dei fatti (sul punto, liberamente interrogato, il resistente ha pure lui affermato che la detta scatola "non c'era più da tempo e c'era la prassi di lasciare la posta sul tavolo; (...) solo in tempi recenti è stato introdotto l'obbligo di avvisare per iscritto" circa le ragioni delle mancate consegne; cfr. verbale interrogatorio libero del 19.11.2019). 6. Deve conseguentemente riconoscersi la non imputabilità delle contestazioni mosse al (...). Con il che deve ritenersi esclusa la configurabilità della violazione dei sopra citati articoli del CCNL invocati da parte ricorrente, non potendosi affermare che il convenuto abbia violato i principi dettati dall'art. 2104 c.c. (diligenza del prestatore di lavoro) e 2105 c.c. (obbligo di fedeltà), richiamati dagli artt. 52 e ss. del CCNL del 14 aprile 2011. La sanzione disciplinare applicata risulta quindi illegittima. 7. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in base ai parametri medi per i compensi per l'attività forense di cui al D.M. 10.3.2014 n. 55, pubbl. in GU n. 77 del 2.4.2014 avuto riguardo al valore della causa appartenente al primo scaglione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) S.p.a., così provvede: - rigetta il ricorso; - condanna (...) S.p.A. alla rifusione in favore dell'Avv. Vi.So., dichiaratosi antistatario, delle spese di giudizio che liquida in Euro 610 per compensi di avvocato, oltre spese forfettarie I.V.A. e cpa come per legge. Così deciso in Grosseto il 24 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di GROSSETO Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Paola Caporali ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2365/2015 tra: (...) con l'avv. (...) elettivamente domiciliati presso il difensore giusta delega in atti; -ATTORI- e CONDOMINIO (...), con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliato presso il difensore giusta delega in atti; -CONVENUTO- Oggetto: risarcimento danni conclusioni: come da fogli di udienza depositati a seguito di trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 29.09.2020 come da ordinanza del 21.08.2020 emessa ex art. 83 co 7 lett. h) DL 18/20 e specificamente: per parte attrice "Piaccia al Tribunale di Grosseto, ogni altra contraria, diversa, istanza, richieste, domanda, rigettata o disattesa, accertata l'esistenza delle immissioni pregiudizievoli, di cui alla narrativa che precede come riconosciuto dalla ordinanza di cotesto Tribunale del 25.05.2013 resa nella causa ex art. 700 cpc N. 2138/12; accertato che le stesse integrano danno alla salute, danno esistenziale, danno morale, lucro cessante, in pregiudizio degli attori; ritenuto che la fattispecie ricade sotto le previsioni degli artt. 844, 2043, 2051, 2059, 2909 c.c., 32 Cost.,. nonché dell'art. 674 e 659 c.p., viste le conclusioni raggiunte dalla espletata CTU medica; visto l'esito della prova per testi, tenuto conto della ordinanza resa dal Giudice all'udienza del 3.5.2017, dichiarare tenuto e condannare il Condominio di (...), Follonica in persona dell'Amministratore legale rappresentante protempore, al pagamento in favore dei coniugi (...), a titolo di risarcimento del danno pregresso, della somma di Euro 9.000,00, di cui Euro 4.500,00 a titolo di invalidità temporanea di (...), ed Euro 4.500,00 complessivamente per entrambi i coniugi, a titolo di risarcimento per il mancato o diminuito godimento dell'immobile a causa del rumore; salvo diversa valutazione equitativa del Tribunale, con interessi legali dal fatto al saldo, con vittoria di spese, compensi di causa, rimborso forfettario spese, cap ed Iva come per legge "; per parte convenuta "Piaccia al Giudice adito , ogni contraria istanza disattesa e reietta respingere la domanda attrice , in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque al momento non provata. Con vittoria del compenso e delle spese di lite". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto ritualmente notificato (...) citavano in giudizio il Condominio di via della Pace 45/53 in Follonica, in persona dell'amministratore pro tempore per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti dalle immissioni sonore provocate dal nuovo impianto di autoclave condominiale installato nel 2010 sottostante il primo piano dell'appartamento degli attori. Che lamentavano di essere stati costretti a proporre ricorso d'urgenza per ottenere l' adozione da parte del condominio degli accorgimenti necessari a far cessare i rumori, culminato in ordinanza con cui, in accoglimento del ricorso, il condominio era stato condannato ad eseguire le modifiche tecniche indicate dal CTU per eliminare le immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità. Evidenziavano quindi come il condominio aveva provveduto a conformarsi a quanto disposto dal Tribunale solo nel 2014 e chiedevano la refusione dei danni alla salute e a quelli corrispondenti al ridotto godimento dell'appartamento nel periodo estivo, che erano stati costretti a lasciare e non avevano potuto locare dato il continuo disturbo sonoro con particolare riferimento al riposo notturno, nonché il danno alla salute causato a (...). Si costituiva il condominio contestando la pretesa risarcitoria fatta valere sia in punto di an sia di quantum. In via istruttoria venivano prodotti documenti, acquisite le copie prodotte dalle parti del procedimento cautelare di urgenza ante causam, sentiti testimoni, deferito interrogatorio formale e disposta CTU medica. Nelle more, entravano in vigore il D.L. n. 11 dell'8.03.2020 avente ad oggetto 'misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID - 19' e il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostengo economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19) con cui veniva disposta la sospensione di tutti i termini processuali in un primo momento fino al 16.04.2020, quindi prorogato fino all'11.05.2020, con indicazione delle successive modalità alternative di trattazione tra cui la modalità scritta ex art. 83 comma 7 lett. h) D.L. 83/2020. Con ordinanza in data 21.08.2020 veniva disposta la trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni, disponendosi il trattenimento in decisione della causa all'esito del deposito del foglio sostitutivo della presenza in udienza, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Le parti depositavano 'foglio' in cui precisavano le conclusioni e chiedevano che il giudice trattenesse la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La ricostruzione del fatto - Dalle risultanze istruttorie è emerso che il condominio di via della Pace 49/53 in Follonica nel 2010 è stato interessato da lavori di rifacimento dell'impianto autoclave. Gli accertamenti espletati dal CTU nell'ambito del procedimento cautelare d'urgenza ante causam, hanno permesso di verificare che il suddetto impianto autoclave condominiale è stato allocato in un locale tecnico posto al piano sottostrada, sottostante una porzione del primo piano dell'appartamento degli attori, adibita a zona giorno. Espletati gli esami strumentali funzionali alla misurazione delle immissioni sonore nell'appartamento degli attori provenienti dall'apparecchiatura autoclave in oggetto, è risultato il costante superamento dei limiti di tollerabilità sia nel periodo diurno, sia in quello notturno. Il testimone (...) ha confermato che (...), in quanto costretto in sedia a rotelle, dormiva al piano terra della sua abitazione, proprio nel locale soggiorno soprastante l'autoclave. (...), medico, in sede di dichiarazioni testimoniali, confermava i problemi di insonnia manifestati dallo (...) a causa dei rumori, nonché le conseguenti prescrizioni di farmaci effettuate a causa di tale disturbo. Con ordinanza emessa il 25.05.2013 il giudice del Tribunale di Grosseto ordinava al condominio di eseguire, in via di urgenza, gli interventi di bonifica acustica indicate dal CTU onde eliminare le immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità all'interno dell'appartamento degli attori. Parte attrice ha dedotto che le opere di adeguamento indicate nell'ordinanza cautelare sono state eseguite dal condominio sono nell'anno 2014, circostanza non documentata altrimenti, ma non oggetto di espressa contestazione da parte del condominio convenuto. 2. La responsabilità - E' oramai principio consolidato che per determinare il limite di tollerabilità delle immissioni sonore e per valutare la sussistenza del presupposto oggettivo della illiceità dell'immissione, deve applicarsi il criterio cd. comparativo-differenziale, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti e interessanti una determinata zona, con quello del rumore rilevato sul luogo che subisce le immissioni, e nel ritenere superato il limite della normale tollerabilità per quelle immissioni che abbiano una intensità superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo, cosa che equivale al raddoppio dell'intensità di quest'ultimo (cfr. tra le tante Trib. Milano, 10-121992, Trib. Roma 16 marzo 1964; Cass. 1796/1976, Cass. 161/1996, App. Milano 28 febbraio 1995, Trib. Perugia 8 novembre 1997). La correttezza di tale criterio è stata più volte sottolineata dalla giurisprudenza, la quale ha evidenziato come, così operando, al contrario di ciò che avviene utilizzando il c.d. criterio assoluto - il quale giudica della tollerabilità o meno sulla base del mero superamento di un dato livello di rumorosità - si tiene nella debita considerazione la reale situazione dei luoghi. Né può ritenersi che su tale metodo di accertamento dell'intollerabilità abbia influito la sopravvenuta emanazione prima del d.p.c.m. 1° marzo 1991 (limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno), poi della l. 26 ottobre 1995 n. 447 (legge quadro sull'inquinamento acustico): infatti, le norme ivi previste disciplinano esclusivamente i rapporti fra imprese ed enti locali per la bonifica del territorio dall'inquinamento acustico e i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto dei livelli minimi di quiete, senza incidere sui rapporti di diritto soggettivo intercorrenti fra privati, e senza, quindi, porre eccezioni alle disposizioni di legge di portata generale in materia di tutela dei diritti patrimoniali e della salute che competono ad ogni persona e, in particolare, all'art. 844 c.c. (v. tra le tante, Pret. Monza 18 luglio 1991, Trib. Catania 13 dicembre 2001 e Cass., sez. II, 27-01-2003, n. 1151; Cass. n. 2319/2011). È possibile, così, affermare l'intollerabilità delle immissioni anche ove le immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse generale (v. da ultimo, Cass. 951/1999, Cass. 5398/1999, Cass. 1565/2000, Cass., sez. II, 27-01-2003, n. 1151). Tanto premesso, nel caso di specie non è contestato in punto di fatto la collocazione dell'appartamento degli attori rispetto all'impianto di autoclave condominiale, da cui è stato accertato - a mezzo CTU adeguatamente motivata e condivisibile - il propagarsi, alla soprastante porzione di immobile degli attori, di immissioni sonore superiori ai limiti di tollerabilità, nei termini sopra indicati. Ora, a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 247/74, come è noto, in caso di immissioni illecite sono ritenute esercitabili, alternativamente o cumulativamente, due azioni: una personale, fondata sull'art. 2043 c.c. e sull'art. 32 Cost. (disposizione, ormai ritenuta immediatamente precettiva in tutti i settori della responsabilità civile), che può essere esercitata, nei confronti del responsabile delle immissioni dannose per la salute, al fine di far cessare le immissioni stesse e ottenere il risarcimento del pregiudizio all'integrità psico-fisica da loro provocato; e l'altra, di natura reale, fondata sull'art. 844 c.c. e soggetta alla disciplina di tale disposizione, che può essere esercitata, nei confronti del proprietario del fondo vicino, per ottenere l'imposizione delle misure necessarie per far cessare le immissioni intollerabili in relazione a tutte le attività esercitabili sul fondo interessato. Nella prassi giudiziaria - così come anche nella fattispecie in esame - le due azioni tendono a sovrapporsi in quanto l'accertamento dell'illiceità delle immissioni spesso avviene in modo speculare ed in entrambe le azioni si esclude la rilevanza della normativa pubblicistica, in quanto riguardante i rapporti tra l'autore delle immissioni e la collettività (a tutela della quale vigila l'ente pubblico preposto), mentre l'azione ex art. 844 c.c. è finalizzata alla tutela del diritto dominicale nei rapporti tra privati e l'azione ex art. 2043 c.c. e 32 Cost. è finalizzata alla tutela del diritto alla salute sempre nei rapporti tra privati. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, peraltro, l'azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ex articolo 844 c.c. può essere iscritta anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni, che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano, quando soltanto a costui debba essere imposto un "facere" o un "non facere" suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego (cfr. Cass. 1.12.2000 n. 15.392). Nel caso di specie deve dunque ritenersi sussistente la responsabilità per i danni arrecati agli attori come conseguenza del collocamento di un impianto autoclave da cui provenivano immissioni rumorose, nell'appartamento degli attori, superiori alla normale tollerabilità, senza l'adozione delle necessarie cautele per ridurre l'impatto sonoro nell'abitazione, nonostante le ripetute richieste e lamentele come confermato dall'istruttoria. L'illiceità delle immissioni per cui è causa discende infatti non dallo svolgimento di un'attività produttiva rumorosa da valutarsi comparativamente rispetto al diritto alla salute ed alla serenità di vita, bensì dal collocamento dell'impianto condominiale di autoclave - della cui necessità e collocazione nessuna parte discute - senza adottare le necessarie e dovute cautele per attutire l'impatto sonoro sull'appartamento soprastante. 3. Il danno non patrimoniale - Il CTU, con motivazione adeguata e pertanto condivisibile, ha accertato che in conseguenza delle immissioni sonore di cui è causa, si è determinato nell'attore (...) un transeunte stato ansioso reattivo necessitante di farmacoterapia delle durata di tre mesi. La suddetta conclusione, comprovata anche dalla documentazione prodotta e dalle risultanze dell'istruttoria, è stata valutata dal CTU come tale da determinare nello (...) un periodo di invalidità temporanea parziale al 50% di tre mesi, senza invece residui di danno biologico permanente. Non rientrandosi nei danni da circolazione stradale cui è limitata l'applicazione dell'art. 139 legge sulle assicurazioni, successivamente richiamata limitatamente alla responsabilità medica, nel caso in esame la liquidazione deve dunque avvenire sulla base della tabella milanese, che individua il danno da inabilità temporanea, da valutarsi in maniera unitaria, come danno non patrimoniale "temporaneo" complessivo e comprensivo tanto del danno biologico quanto del morale temporaneo. In tal senso lo stesso va ritenuto corrispondente al valore base di euro 98 per un giorno di invalidità temporanea al 100%, non ritenendo sussistenti presupposti per addivenire ad un suo incremento con riferimento alla caratteristiche della fattispecie lesiva. In tal senso si perviene dunque alla complessiva quantificazione del danno da inabilità temporanea subito dallo (...) per complessive euro 4.410,00. Trattandosi di debito di valore, su tale somma già rivalutata debbono essere computati, quali danno per il danno per il ritardato pagamento, gli interessi legali, che dovranno essere calcolati sulla somma mediamente rivalutata, giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712. Quanto all'attrice (...) non è stato invece né allegato, né provato alcun danno biologico causalmente connesso alle immissioni sonore per cui è causa. Va quindi valutato con riferimento alla stessa ed anche allo (...) il danno inerente la compromissione della serenità di vita come conseguenza delle immissioni sonore superiori alla normale tollerabilità. Ed invero, secondo il più recente indirizzo della Cassazione, se è vero che il danno alla salute non può ritenersi sussistente in re ipsa, l'assenza di un danno biologico documentato, non osta al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite, allorché siano stati lesi il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, quali diritti costituzionalmente garantiti, nonché tutelati dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (cfr. Cass. 21554/2018; Cass. Ss.UU. 2611/2007). A tale proposito il teste (...) ha spiegato che gli attori già dal 2009 si erano trasferiti nella nuova casa di (...), mentre nell'abitazione di Follonica avevano continuato a venire solo d'estate negli anni 2010 e 2011, spiegando "poi hanno smesso per il rumore e non ci sono più tornati, neppure nelle ultime estati, almeno per quanto mi consta". La testimone (...) confermava che dal 2008 circa gli attori avevano la disponibilità di un'altra casa in Gavorrano, spiegando che da un certo punto in poi non li aveva più visti nell'immobile di Follonica. A tale proposito precisava "A dire il vero, io non li ho visti nemmeno d'estate, ogni tanto vedo la sola (...) che viene, ma lui no. Per quanto ne so, non c 'è né luce né acqua. Lo so perché dovevano fare dei lavori in garage e hanno chiesto la corrente, ciò è accaduto due anni fa. Garage ed appartamento sono collegati". Dalle risultanze istruttorie risulta dunque che anteriormente ed indipendentemente alla collocazione dell'impianto di cui è causa, gli attori non vivevano più stabilmente nell'appartamento di Follonica, utilizzato per trascorrere i soli periodi estivi e poi non più abitato successivamente all'estate del 2011. Deve pertanto ritenersi provata la sussistenza di un danno conseguente alle immissioni superiori alla normale tollerabilità provenienti dal contatore in termini di lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, concretizzatosi, nella fattispecie, nella perdita della facoltà di utilizzare liberamente ed in pieno l'appartamento in oggetto per il periodo estivo. Essendo questo un danno non patrimoniale che deve essere ritenuto accertato nell'an, ma di difficile quantificazione, appaiono sussistenti i presupposti per la valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. La valutazione equitativa può intervenire anche quando l'esperimento dei mezzi probatori non ha potuto dimostrare sufficientemente l'ammontare del danno. Questo non significa che ad ogni insufficienza probatoria deve corrispondere una valutazione equitativa, ma che detta liquidazione è legittima quando il giudice sia convinto dell'impossibilità o della estrema difficoltà per il danneggiato di fornire una prova dettagliata ed adeguata del preciso ammontare del danno. Ebbene, considerata la effettiva difficoltà nella quantificazione di tutti i danni subiti dagli attori in termini di limitazione delle proprie abitudini di vita, per essere stati privati della facoltà di fruire liberamente e compiutamente dell'abitazione di loro proprietà in zona di mare nei periodi estivi, si ritiene di quantificare il suddetto danno in euro 1500 per ciascuno degli attori. Trattandosi di debito di valore, su tale somma già rivalutata debbono essere computati, quali danno per il danno per il ritardato pagamento, gli interessi legali, che dovranno essere calcolati sulla somma mediamente rivalutata, giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712. 4. Il danno patrimoniale - Allo (...) spetta altresì il danno patrimoniale pari ai costi per le spese mediche documentate e ritenute congrue dal c.t.u. con riferimento alla patologia manifestata e pari ad euro 29,90. Trattandosi di debito di valore, tale somma dev'essere rivalutata tenendo conto della svalutazione intervenuta dalla data degli esborsi ad oggi e sulla somma mediamente rivalutata debbono computarsi gli interessi legali. Il danno patrimoniale richiesto dagli attori in termini di perdita di contratti di locazione dell'immobile non risulta invece sostenuto da alcuna adeguata prova. Neppure risulta adeguatamente allegato e provato alcun ulteriore danno patrimoniale subito dagli attori in termini di costi per soggiorni nei periodi estivi in siti alternativi all'abitazione in oggetto. Dunque, per quanto il danno complessivamente subito dall'attore (...) a seguito delle immissioni sonore per cui è causa e che parte convenuta deve essere condannata a rifondergli è complessivamente pari ad euro 5939,90, oltre gli interessi come sopra specificati. Il danno subito da (...) e che deve essere risarcito alla stessa dal condominio convenuto è invece complessivamente pari ad euro 1500,00, oltre gli interessi come sopra specificati. 5. Spese di lite - Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in base al DM 55/14 con riferimento allo scaglione parametrato al quantum decisum. Sulla base dei medesimi presupposti le spese di CTU, liquidate come in atti, sono poste definitivamente a carico della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta tra le parti come in epigrafe emarginate, ogni diversa deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: - Condanna parte convenuta a risarcire in favore di (...) euro 5939,90 e in favore di (...) euro 1500, per entrambi per i titoli e con gli interessi di cui in parte motiva; - Condanna parte convenuta a rifondere agli attori le spese di lite che si liquidano in euro 4800 per compenso professionale, euro 237,00 per spese, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge; - Pone le spese di CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Grosseto, il 26 dicembre 2020. Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Paola Caporali ha pronunciato la seguente SENTENZA all'esito di trattazione scritta ex art. 83 lett. h) D.L. n. 18 del 1920 nella causa civile iscritta al n. r.g. 189/2016 tra: (...) (C.F. (...)), con l'avv. BO.DA. elettivamente domiciliata presso il difensore giusta delega in atti; - ATTORE - e COMUNE DI GROSSETO (C.F. non rilevato), con il patrocinio dell'avv. US.FR., elettivamente domiciliato presso il difensore giusta delega in atti; - CONVENUTO - oggetto: risarcimento danni. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, il Comune di Grosseto per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della caduta avvenuta il 16.03.2014 quando, intorno alle 21,30, stava attraversando nelle strisce pedonali in via M., all'altezza del civico 7 e cadeva, a causa di una buca nella sede stradale. Il comune si costituiva in giudizio contestando la pretesa ex adverso fatta valere sia in punto di an sia di quantum, evidenziando la carenza di prova e l'assenza di sua responsabilità. Deduceva che la caduta doveva essere piuttosto imputata alla condotta della danneggiata, ovvero alle problematiche alla caviglia dell'attrice riconducibili ad un precedente incidente. In via istruttoria veniva prodotta documentazione, assunte testimonianze ed espletata CTU medico legale. All'udienza del 22.05.2019, ritenuta la causa matura per la decisione, veniva quindi disposta udienza di discussione orale della causa ex art. 281 sexies c.p.c., fissata per il 15.01.2019, con concessione di termini antecedenti per note conclusive. L'udienza di discussione subiva differimenti di ufficio e, nelle more, entravano in vigore il D.L. n. 11 dell'8 marzo 2020 avente ad oggetto "misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID - 19" e il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostengo economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19) con cui veniva disposta la sospensione di tutti i termini processuali in un primo momento fino al 16.04.2020, quindi prorogato fino all'11.05.2020, con indicazione delle successive modalità alternative di trattazione tra cui la modalità scritta ex art. 83 comma 7 lett. h) D.L. n. 83 del 2020. Rilevato che entrambe le parti risultavano aver comunque depositato le note finali, il giudice disponeva quindi la trattazione scritta della presente decisione dando termine alle parti per deposito di note contenenti la precisazione delle conclusioni, l'indicazione degli argomenti della discussione e la contestuale rinuncia alla lettura della sentenza, stante la necessaria revoca della comparizione personale all'udienza. Entrambe le parti risultano aver depositato il suddetto "foglio", in luogo della presenza all'udienza, non tenuta e sostituita dalla trattazione scritta, in cui precisavano le conclusioni ed esponevano i propri argomenti di discussione. Stante difficoltà tecniche intervenute in sede di svolgimento dell'udienza con trattazione scritta del 14.10.2020, il giudice, con provvedimento in pari data, disponeva la revoca della decisione con la modalità della sentenza contestuale ex art. 281 sexies c.p.c. e contestualmente il trattenimento in decisione con le modalità ordinarie, sulle conclusioni rassegnate dalle parti e senza termini ex art. 190 c.p.c., stante la previa concessione di termini per note finali. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La ricostruzione del fatto - Il testimone (...), che premetteva di essere il fratello dell'attrice, confermava di trovarsi accanto alla sorella quando, verso le 21,30 del 16.03.2014, mentre stavano completando l'attraversamento sulle strisce pedonali che si trovano all'altezza del civico 7 di via M., l'attrice era caduta a terra a causa di una buca posta proprio in corrispondenza dell'ultima striscia pedonale. Il teste spiegava di aver visto che il piede dell'attrice si era storto e la stessa era caduta, aggiungendo "solo dopo che è caduta, guardando bene, ho visto che c'era la buca, che riconosco nelle foto mostratemi". Specificava che il tratto di strada in oggetto era scarsamente illuminato, ribadendo di aver visto la buca solo dopo la caduta della sorella perché era buio. Esponeva quindi di aver aiutato l'attrice a rialzarsi sorreggendola sotto braccio fino all'autovettura, in quanto non riusciva a reggersi in piedi, né a camminare autonomamente, spiegando che avevano pernottato presso amici e che per tutta la notte l'aveva medicata con somministrazioni di analgesici ed applicazioni di ghiaccio. E stata prodotta cartella clinica del Pronto soccorso in data 17.03.2014 in cui si dà atto che la paziente riferisce "trauma di ieri sera dolore alla caviglia destra, mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali su una buca del manto stradale". Nella medesima cartella del Pronto Soccorso risulta allegato il referto di esame strumentale con cui era stata osservata l'interruzione corticale ossea a livello del malleolo tibiale posteriore, con diagnosi finale di "distorsione caviglia destra con frattura". Il tal senso, il CTU ha ritenuto attendibile e congruo anche il ricorso al Pronto Soccorso solo il giorno successivo alla caduta, sia in relazione all'ora del sinistro avvenuto in tarda serata, sia tenuto conto della presenza di sintomi non ancora rilevanti al momento del fatto, ma successivamente aggravatisi. Il consulente dell'ufficio ha altresì affermato la compatibilità delle lesioni con la caduta per come rappresentata in atti. Non essendo emersi elementi oggettivi da cui far derivare l'inattendibilità dell'unico testimone oculare, e risultando le dichiarazioni testimoniali non in contrasto con le risultanze documentali e la CTU e, in particolare, con i referti del pronto soccorso e con le conclusioni del consulente dell'ufficio, deve ritenersi che la dinamica del sinistro sia quella descritta e che dunque l'attrice sia caduta dopo aver messo il piede in una buca - le cui caratteristiche emergono chiaramente dalle fotografie in atti - che si trovava in corrispondenza dell'ultima striscia del passaggio pedonale che la stessa stava attraversando. 2. La responsabilità - I fatti di causa sono sussumibili nella norma dell'art. 2051 c.c.. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. per tutte Cass. 2331/01), in particolare, nel caso di responsabilità ex art. 2051 c.c. è onere della parte danneggiata provare il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso e, ove abbia dedotto che il bene è suscettibile di produrre danni per certe sue specifiche caratteristiche o per l'insorgenza in esso di un agente esterno, ha l'onere di dimostrare tali specifiche circostanze. Una volta che sia stata raggiunta tale prova, il custode ha l'onere di dimostrare la sussistenza di un caso fortuito ovvero che il sinistro non s'è verificato come conseguenza normale della particolare situazione potenzialmente lesiva, ma per una circostanza del tutto estranea ad essa, che può consistere anche nel comportamento colposo del danneggiato, allorché questo abbia costituito la causa esclusiva dell'evento dannoso. Ebbene, nel caso di specie, in base alle complessive risultanze istruttorie, deve ritenersi provata la sussistenza di nesso causale tra la caduta dell'attrice e la sconnessione della sede stradale nel centro abitato, in corrispondenza di un avvallamento della superficie del marciapiede. La situazione di irregolarità del manto stradale nel punto della caduta, particolarmente insidioso, è poi documentato dalla fotografia prodotta da parte attrice, dovendosi dunque ritenere che il sinistro sia effettivamente avvenuto come conseguenza dell'anomalo stato del manto stradale. Ora, la responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa. In proposito si deve chiarire che la P.A. quale ente proprietario delle strade pubbliche, ha l'obbligo della relativa manutenzione (ex artt. 16 e 28 L. n. 2248 del 1865 all. F; art. 14 C.d.S.), non essendo pertanto condivisibile l'esclusione in tali casi dell'applicabilità dell'art. 2051 c.c. Tale assunto, giustificato da un certo filone giurisprudenziale, per lo più risalente nel tempo, con l'argomento che l'estensione dei beni demaniali ed il loro utilizzo diretto e generalizzato da parte della collettività impedirebbe di ravvisare in capo alla P.A. una vera e propria posizione di custodia, non appare condivisibile, quanto meno laddove la strada, anziché appartenere allo Stato, appartenga invece ad un Comune e, in quanto tale, abbia un ambito territoriale più limitato e suscettibile di un effettivo controllo. La stessa Corte Costituzionale, con la pronuncia 156/99, ha posto le premesse per un'apertura nel caso concreto all'applicazione della norma dell'art. 2051 c.c. e tale apertura è stata confermata da Cass. S.U. 10893/01, trovando poi espressa consacrazione in Cass. 29.5.2006 n. 1415. Più di recente, s'è assistito ad un ulteriore ampliamento della applicabilità della norma nella giurisprudenza di legittimità. In particolare, la Suprema corte ha affermato che "l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile" (cfr. Cass. 18.10.2011 n. 21508) e, soprattutto, ha distinto il caso in cui il pericolo sia creato dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere, da quello in cui derivi invece da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa medesima (cfr. Cass. 18.7.2011 n. 15720; 6.6.2008 n. 15042). In ultima analisi, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte affinché la P.A. possa andare esente dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., per i danni causati da beni demaniali, occorre avere riguardo non solo e non tanto all'estensione di tali beni od alla possibilità di un effettivo controllo su essi quanto, piuttosto, alla causa concreta (identificandosene la natura e la tipologia) del danno. Tale valutazione e cambio di prospettiva si è resa possibile anche per il contemporaneo cambiamento di concetto di responsabilità ex 2051 c.c. operato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 10 febbraio 2003 n. 1948, Cass. 20 agosto 2003 n. 12219; Cass. 28 ottobre 1995; Corte Cost. 156/99; Cass. 11 novembre 1991 n. 12019) che è arrivata a sostenere che il dovere di controllo e di custodia ex art. 2051 c.c. sussiste anche per le cose inerti e prive di proprio dinamismo proprio, ben potendo anch'esse essere idonee, in concorso con altri fattori causali, a cagionare danni. Ove il danno sia stato determinato da cause intrinseche alla cosa (come il vizio costruttivo o manutentivo), l'amministrazione ne risponde ai sensi dell'art. 2051 cod. civ.; per contro, ove l'amministrazione - sulla quale incombe il relativo onere - dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (come ad esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità per cose in custodia in relazione al cit. art. 2051 cod. civ.. Ebbene, nel caso in esame, alla luce, da un canto, del fatto che il sinistro s'è verificato all'interno dell'area urbana, e soprattutto, dall'altro, del fatto che la potenzialità lesiva del bene è derivata, evidentemente, da un non adeguato stato della sede stradale al momento del sinistro, si deve affermare l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. Allora, era onere del Comune convenuto dimostrare che il fatto si verificò per un caso fortuito, occorrendo a tal fine un evento eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, dotato di autonomo impulso causale, quale nella specie non è ravvisabile nel comportamento della danneggiata, né in altre situazioni. La condotta della vittima può infatti assumere efficacia causale esclusiva soltanto solo ove possa qualificarsi come abnorme e cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto (cfr. Cass. n. 15761/2016; Cass. n. 6550/2011). In tale prospettiva, il fatto che l'attrice stesse attraversando la strada sulle strisce all'interno del centro abitato di G., senza che vi fosse alcun cartello di divieto di percorrenza, né risultasse apposta alcuna effettiva barriera - trattandosi anzi del percorso consigliato per l'attraversamento della strada da parte dei pedoni - non integra alcuna peculiare imprevedibilità, con caratteristiche tali che esse si debbano ritenere eccezionali e cioè manifestamente estranee ad una sequenza causale ordinaria o "normale", corrispondente allo sviluppo potenzialmente possibile in un contesto dato secondo l'id quod plerumque accidit. 2.1 Esclusione del concorso della parte danneggiata - Ora, quando il comportamento del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno, costituita dalla cosa in custodia, ed il danno - come nel caso di specie - esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227 cod. civ., comma 1 con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante secondo l'incidenza della colpa del danneggiato (cfr. Cass. 08 maggio 2008, n. 11227; Cass. 06 luglio 2006, n. 15384). Il principio richiamato dalla giurisprudenza prevalente sul punto, è che quanto meno la cosa è pericolosa e quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista, tanto più incidente deve ritenersi il comportamento della vittima. Nel caso di specie anche tale concorso colposo della parte danneggiata deve tuttavia essere escluso. Non sono infatti emerse circostanze idonee ad addebitare alcuna colpa - neppure a livello di concorso - all'attrice, posto che l'anomalia dell'avvallamento della strada, in zona aperta al pubblico passaggio in un centro abitato, era assolutamente pericolosa, quanto difficilmente percepibile considerata la non particolare illuminazione della strada nel punto della caduta, nonché la mancanza di alcuna segnalazione. All'attrice spetta quindi l'integrale risarcimento del danno patito. 3. Il danno non patrimoniale - Con riferimento alla quantificazione del danno non patrimoniale il CTU, con motivazione che, in quanto logica, coerente va integralmente recepita, ha accertato che in seguito al sinistro l'attrice ha riportato "esiti di trauma distorsivo della caviglia destra con interessamento ligamentoso e sospetta frattura della corticale ossea del malleolo tibiale posteriore", ritenuto compatibile con la dinamica del sinistro descritta in atti. A tali lesioni il CTU ha accertato essere conseguiti un danno biologico permanente del 3%, un'invalidità temporanea assoluta di 20 giorni, un'invalidità temporanea parziale di 20 giorni al 50% e 24 giorni al 25%. Non rientrandosi nei danni da circolazione stradale cui è limitata l'applicazione dell'art. 139 legge sulle assicurazioni, successivamente richiamata limitatamente alla responsabilità medica, nel caso in esame la liquidazione deve dunque avvenire sulla base della tabella milanese, che individua un danno non patrimoniale unitariamente inteso, comprensivo della componente morale e di quella esistenziale (che altro non è che la dimensione dinamica del danno all'integrità psico-fisica), che pertanto non debbono essere ulteriormente liquidate ma, appunto, ove ne ricorrano i presupposti, personalizzate. Tale orientamento è pienamente condivisibile, tanto per la collocazione sistematica della disposizione, inserita nel "Codice delle assicurazioni private" e, in particolare, nel "Titolo X: Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti", quanto per la ratio legis, volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi (specie se si considera che, nel campo della r.c.a., i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazione per l'indennizzo delle cosiddette micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi). La liquidazione deve dunque avvenire sulla base della tabella milanese, che individua un danno non patrimoniale unitariamente inteso, comprensivo della componente morale e di quella esistenziale (che altro non è che la dimensione dinamica del danno all'integrità psico-fisica), che pertanto non debbono essere ulteriormente liquidate; in particolare, si ritiene di dover riconoscere un danno per la componente strettamente morale del danno permanente (ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p.) pari ad 1/4 di quello all'integrità fisica, come già determinato in via generale da tali tabelle. Invero, pur dovendosi escludere ogni automatismo, si può tuttavia ritenere che, in concreto, l'attrice abbia subito, oltre alla menomazione dell'integrità fisica, anche un patema d'animo, tanto per il trauma conseguente la caduta a terra, quanto, oggi, per la percezione della compromissione della propria salute. Come chiarito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 12.9.2011 n. 18641), "in tema di liquidazione del danno, la fattispecie del danno morale, da intendersi come "voce" integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale, trova rinnovata espressione in recenti interventi normativi (e, segnatamente, nel D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37 e nel D.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181), che distinguono, concettualmente, ancor prima che giuridicamente, tra la "voce" di danno cd. biologico, da un canto, e la "voce" di danno morale, dall'altro, con la conseguenza che di siffatta distinzione, in quanto recata da fonte abilitata a produrre diritto, il giudice del merito non può prescindere nella liquidazione del danno non patrimoniale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in base a motivazione esente da vizi logici e giuridici, aveva liquidato congiuntamente il danno biologico ed il danno morale secondo le tabelle "milanesi" antecedenti all'arresto delle Sezioni unite civili del 2008; la stessa S.C. ha, altresì, rilevato che le successive tabelle del Tribunale di Milano modificate nel 2009 - e applicabili dai giudici di merito su tutto il territorio nazionale - non hanno "cancellato" il danno morale, bensì provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale derivante da lesione permanente all'integrità psicofisica e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva, e cioè "la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale")". Tanto premesso, poiché la danneggiata al momento del fatto aveva 58 anni, il demoltiplicatore in ragione dell'età è dello 0,715 ed il danno non patrimoniale permanente, comprensivo del suddetto danno morale, ammonta ad Euro 3.587,00. Quanto alla richiesta personalizzazione, dall'istruttoria è emerso che l'attrice, a seguito del sinistro, non può più indossare scarpe con tacco, ha smesso di fare le passeggiate nelle montagne, è costretta a fare pause nella guida dell'autovettura ed ha dovuto diradare i tornei di burraco, che erano la sua passione, non riuscendo ad affrontare lunghi spostamenti in auto, al contrario di prima. Il CTU ha inoltre sottolineato come il sinistro abbia determinato un disagio nello svolgimento dell'attività lavorativa di fisioterapista domiciliare. Di tale aspetto, inerente le ricadute degli effetti del danno in aspetti tipici della vita della parte e dell'esplicazione della sua personalità, deve dunque tenersi conto ai fini della personalizzazione del danno biologico, che nella particolare fattispecie per postumi del 3% consente un aumento fino al 50%. Nello specifico può ritenersi che l'aver dovuto abbandonare il proprio modo di trascorrere il tempo libero, l'aver dovuto modificare le modalità di abbigliamento e la maggior fatica nello svolgimento delle incombenze quotidiane e della propria attività lavorativa, giustifichi un ulteriore aumento del danno biologico nella misura del 50%, con conseguente complessiva quantificazione del danno permanente in Euro 5.380,50. Ad esso deve aggiungersi il danno per la temporanea, anch'esso quantificato dal Tribunale di Milano in modo unitario, come danno non patrimoniale "temporaneo" complessivo e comprensivo tanto del danno biologico quanto del morale temporaneo, corrispondente a un giorno di invalidità temporanea al 100% secondo il valore base di Euro 98 al giorno, non ritenendo sussistenti presupposti per addivenire ad un suo incremento con riferimento alla caratteristiche della fattispecie lesiva. In tal senso si perviene dunque ad una somma complessiva di Euro 3.528,00 per danno temporaneo. Ne discende che il complessivo danno non patrimoniale ammonta ad Euro 8.908,50. Trattandosi di debito di valore, su tale somma già rivalutata debbono essere computati, quali danno per il danno per il ritardato pagamento, gli interessi legali, che dovranno essere calcolati sulla somma mediamente rivalutata, giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712. 4. Danno patrimoniale - All'attrice debbono poi essere riconosciute le spese mediche, documentate e ritenute congrue dal c.t.u. e pari ad Euro 310,00. All'attrice deve essere risarcito anche il costo della consulenza di parte funzionale alla predisposizione della causa come documentato in atto pari ad Euro 300. Il danno patrimoniale subito dall'attrice deve ritenersi dunque pari ad Euro 610,00. Non sono invece qualificabili come danno patrimoniale subito dall'attrice le spese di viaggio dei testimoni (richieste in sede di conclusionale), soggetti alla apposita normativa indennitaria, ovviamente su richiesta da parte del teste e non certo della parte. Trattandosi di debito di valore, tale somma dev'essere rivalutata tenendo conto della svalutazione intervenuta dalla data degli esborsi ad oggi e sulla somma mediamente rivalutata debbono computarsi gli interessi legali. Non si ritiene sussistano invece gli estremi per riconoscere all'attrice anche il danno patrimoniale da mancato guadagno dovuto a riduzione dell'attività lavorativa. Infatti, se i testimoni hanno riferito di aver appreso che successivamente al sinistro l'attrice aveva avuto meno incarichi professionali, tuttavia, a parte la genericità delle circostanze, non sono emersi elementi per poter ritenere provato il nesso causale tra il sinistro e la riduzione dei guadagni (che peraltro non risulta determinato/determinabile in base agli atti prodotti). Inoltre, il CTU ha evidenziato non una perdita né una riduzione della capacità lavorativa specifica, bensì un maggior disagio nello svolgimento della stessa che, come tale, è stato già fatto valere quale cenestesi lavorativa ai fini della personalizzazione del danno biologico, concessa nella percentuale massima consentita. La parte convenuta deve quindi essere condannata a rifondere all'attrice, a titolo di risarcimento dei danni come sopra specificati, l'importo complessivo di Euro 9.518,50 oltre gli interessi come sopra indicati. 5. Spese di lite - Le spese di lite, che seguono la soccombenza sostanziale, sono liquidate come in dispositivo, in base al D.M. n. 55 del 2014, avuto riguardo all'entità del credito risarcitorio effettivamente riconosciuto. Parimenti, le spese di c.t.u. in via definitiva debbono gravare sulla parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta tra le parti come in epigrafe emarginate, ogni diversa eccezione e deduzione disattesa e respinta, così provvede: - Condanna parte convenuta a corrispondere a parte attrice l'importo di Euro 9518,50 per il titolo e con gli interessi di cui in parte motiva; - Respinge nel resto le domande proposte da parte attrice; - Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite che si liquidano in Euro 4800,00 per compenso professionale, oltre Euro 145,00 per spese, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; - Pone le spese di CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Grosseto il 16 ottobre 2020. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Paola Caporali ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2090/2017 tra: CH.RU. (C.F. (...)), con l'avv. BO.DA. elettivamente domiciliato presso il difensore giusta delega in atti; - ATTORE - e UN. S.p.A. incorporante FO. S.p.A., quale impresa designata per la Toscana per la liquidazione dei sinistri a carico di FGVS (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GU.FR. elettivamente domiciliata presso il difensore giusta delega in atti; - CONVENUTA - Oggetto: risarcimento danni da circolazione stradale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato Ru.Ch. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, Un., quale impresa designata per la Toscana per il F.G.V.S., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti in ragione dell'incidente stradale causato per fatto e colpa di un veicolo rimasto non identificato. L'attore esponeva che in data 27.12.2015, mentre percorreva la via (...) nel comune di Monte Argentario, alla guida del motociclo Aprilia di proprietà del padre, giunto in corrispondenza di una curva, si vedeva improvvisamente invadere la propria corsia da una (...), proveniente dall'opposto senso di marcia. Aggiungeva che, onde evitare la collisione frontale con la vettura, cercava di portarsi ancora più sulla destra, ma veniva lo stesso urtato dalla vettura, che successivamente si dileguava senza prestare soccorso. L'attore deduceva quindi che il veicolo investitore era rimasto ignoto e per tale motivo veniva convenuto il Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada (o meglio, l'impresa per esso designata) tenuto al risarcimento per la disciplina di cui all'art. 19 della legge 990/1969. Un. s.p.A. si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la propria carenza di legittimazione passiva e, nel merito, contestando sia l'an che il quantum della pretesa avversaria. In particolare evidenziava la mancanza di prova del sinistro e in subordine la responsabilità concorrente anche del danneggiato. In via istruttoria venivano assunte prove testimoniali nonché disposta CTU medico legale. Nelle more, entravano in vigore il D.L. n. 11 dell'8.03.2020 avente ad oggetto "misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID - 19" e il D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostengo economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19) con cui veniva disposta la sospensione di tutti i termini processuali in un primo momento fino al 16.04.2020, quindi prorogato fino all'11.05.2020, con indicazione delle successive modalità alternative di trattazione tra cui la modalità scritta ex art. 83 comma 7 lett. h) D.L. 83/2020. Con ordinanza in data 17.04.2020 veniva disposta la trattazione scritta dell'udienza di precisazione delle conclusioni, disponendosi il trattenimento in decisione della causa all'esito del deposito del foglio sostitutivo della presenza in udienza, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. Entrambe le parti depositavano "foglio" in cui precisavano le conclusioni ed espressamente chiedevano che il giudice trattenesse la causa in decisione. Venivano quindi depositate le memorie e repliche ex art. 190 c.p.c. nei termini concessi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L'eccezione di carenza di legittimazione passiva del FGVS - La preliminare eccezione di carenza di legittimazione passiva del FGVS deve essere respinta, atteso che riguarda la mancata astratta coincidenza dell'attore e del convenuto con i soggetti destinatari della pronuncia richiesta. La questione relativa alla legittimazione, pertanto, si distingue nettamente dall'accertamento in concreto che l'attore ed il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio (cfr. Cass. civ. sent. n. 5912 del 24.3.2004). Si tratta quindi di una verifica intrinseca alla domanda giudiziale, mentre è invece questione soltanto di merito accertare se la dedotta responsabilità, o anche la sola competenza in materia del soggetto convenuto, sussistano o meno. Nel caso di specie è evidente che tale astratta coincidenza sussiste, dal momento che parte attrice ha evocato in giudizio il FGVS deducendo di essere stato urtato e danneggiato da un veicolo rimasto ignoto, in quanto fuggito subito dopo il sinistro senza prestare soccorso. Sarà poi questione di merito accertare la fondatezza della domanda in termini di sussistenza o meno dei presupposti per azionare la responsabilità del FGVS. 2. La ricostruzione del fatto - Deve quindi in primo luogo rilevarsi che l'intervento del Fondo di Garanzia per le vittime della strada - previsto attualmente dall'art. 283 dlgs 209/2005 e prima dall'art. 19 L. 990/69, al fine di consentire il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli per i quali vi è obbligo di assicurazione, nei casi di a) sinistro cagionato da veicolo o natante non identificato; b) veicolo o natante non coperto da assicurazione; c) veicolo o natante assicurato presso una impresa operante nel territorio della Repubblica, in regime di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi, e che al momento del sinistro si trovi in stato di liquidazione coatta o vi venga posta successivamente; d) veicolo posto in circolazione contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria - non incide sulla regola generale per cui il danneggiato deve provare il fatto generatore del danno. Ne consegue, dunque, che il danneggiato il quale promuova richiesta di risarcimento nei confronti del Fondo di Garanzia, sul presupposto che il sinistro sia stato cagionato da veicolo non identificato, deve, in primo luogo, provare le modalità del sinistro e l'attribuibilità dello stesso alla condotta dolosa o colposa (esclusiva o concorrente) del conducente di altro veicolo e, in secondo luogo, provare anche che tale veicolo è rimasto sconosciuto (cfr. Cass. 10762 del 19.9.92) e ciò perché la garanzia assicurativa predisposta dalla citata legge intende solo rafforzare la tutela sanzionatoria della responsabilità civile e non assicurare comunque un risarcimento al danneggiato, come negli ordinamenti stranieri ispirati al sistema del cosiddetto nofault (cfr. Cass. 25 luglio 1995 n. 8086; così anche Cass. 1860 del 1990 e più di recente Cass. n. 12304 del 10/06/2005). Tanto premesso, nel caso di specie, la testimone Ba.El. confermava che al momento dell'incidente si trovava ad essere trasportata a bordo del ciclomotore condotto dall'attore, specificando di non aver subito alcun danno e di non aver avanzato alcuna richiesta risarcitoria a seguito dell'incidente. Fatta tale premessa, la teste confermava altresì che il ciclomotore su cui viaggiava, stava percorrendo la via (...), in direzione Porto Ercole a velocità moderata, spiegando in proposito "non ho specificatamente guardato il contachilometri, ma posso confermare che la velocità era bassa anche perché eravamo in due in un cinquantino ed in un tratto un po' in salita". Dichiarava quindi che il Ru. aveva il casco e che procedeva accostato alla linea di margine destro della carreggiata, avendolo constatato direttamente. Confermava quindi che, giunti in prossimità di una curva destrorza, una (...), proveniente dall'opposto senso di marcia, invadeva la corsia di marcia di pertinenza del motociclo, che a quel punto tentava di spostarsi il più possibile verso la banchina, non riuscendo tuttavia ad evitare completamente l'urto con la Toyota, che con lo specchietto colpiva di striscio il motociclo, facendolo cadere a terra. Riferiva che sia lei, sia il conducente erano caduti a terra, ma che il conducente della Toyota non si era fermato a soccorrerli, proseguendo la sua marcia a dileguandosi, senza che riuscissero ad identificarne la targa. Aggiungeva che il Ru. era ferito e zoppicante ed entrambi si erano rialzati ed erano andati verso il guard rail dove, di lì a poco, erano soccorsi da delle auto che si erano fermate. Era stata quindi chiamato il 118 e Ru.Ch. era stato portato al Pronto Soccorso con l'ambulanza. Dalla documentazione prodotto risulta altresì che il genitore dell'allora minore Ru.Ch. ha sporto denuncia querela nei confronti di ignoti per le lesioni subite e l'omesso soccorso ed il Carabinieri hanno effettuato accertamenti, anche procedendo a sentire a sommarie informazioni oltre a Ba.El., che nell'immediatezza dei fatti forniva dichiarazioni assolutamente conformi a quelle poi rilasciata in corso di causa, anche altre persone intervenute a soccorrere i due ragazzi, ma che non avevano assistito direttamente alla dinamica del sinistro. In particolare, Ga.Lu., sentito dai Carabinieri, riferiva di essere intervenuto per soccorrere i due ragazzi rimasti coinvolti nel sinistro e di aver invitato gli altri presenti a non togliere il casco al ragazzo steso a terra. Spiegava che mentre sua moglie si occupava della ragazza rimasta coinvolta nell'incidente, lui aveva chiamato il 118 con il suo telefono cellulare, che poi aveva prestato alla ragazza per avvisare i familiari. So.El. riferiva ai Carabinieri di essere scesa dal suo veicolo e di essersi avvicinata al luogo del sinistro dove aveva visto il ragazzo steso per terra con ancora il casco in testa e vicino una ragazza che appariva visibilmente scossa. Vigliacco Valentina, che riferiva di essersi anche lei fermata sul luogo del sinistro, confermava di aver visto il ragazzo disteso per terra, con ancora il casco, vigile ed in posizione supina, che, nell'immediatezza, aveva detto di essere stato vittima di un sinistro provocato dall'invasione della corsia da parte di un veicolo non meglio identificato. Confermava altresì la presenza anche della ragazza rimasta anch'essa coinvolta nel sinistro. Le stesse circostanze venivano riferite ai Carabinieri dall'informatore Bruni Alessandro, che anch'esso riferiva di aver sentito il Ru. che nell'imminenza del sinistro diceva che una macchina rimasta sconosciuta aveva invaso la sua corsia. Dagli atti risulta quindi che era stato aperto dalla locale Procura della Repubblica un fascicolo a carico di ignoti e che il PM, sulla base delle suddette risultanze istruttorie, aveva richiesto l'archiviazione. Ciò posto, si ritiene che dalla istruttoria esperita risulti provato tanto il fatto illecito posto in essere dallo sconosciuto conducente dell'autovettura, quanto il danno a carico dell'attore ed il nesso causale tra il primo ed il secondo. A tale proposito, l'unica testimone oculare del sinistro è apparsa attendibile e, ancorché trasportata nel ciclomotore, non suscettibile di essere ritenuta incapace a testimoniare. In tal senso si osserva infatti che la teste, anche se risultata trasportata a bordo del ciclomotore al momento del sinistro, ha dichiarato di non aver subito danni e di non aver avanzato alcuna richiesta risarcitoria, di talché non si configura nei suoi confronti alcun interesse concreto a partecipare alla causa così come richiesto dall'art. 246 c.p.c. A ciò si aggiunge che, dal punto di vista strettamente procedurale, l'eccezione sollevata dalla convenuta nella memoria ex art. 183 co. VI c.p.c., non è stata poi riproposta subito dopo l'esame del teste, né in sede di precisazione delle conclusioni. Inoltre, dalla sommarie informazioni di persone informate sui fatti raccolte dai Carabinieri, risulta che lo stesso attore, nell'immediatezza del fatto, ha riferito di essere entrato in collisione con un'auto che veniva dall'opposto senso di marcia. A tale ultimo proposito deve evidenziarsi come la testimonianza c.d. de relato ex parte actoris può assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da ulteriori risultanze probatorie che concorrano a confermarne la credibilità (cfr. Cass. n. 18352/2013). Nel caso di specie la credibilità e valenza indiziaria delle suddette dichiarazioni, oltre che dalla sua collocazione temporale nell'imminenza del fatto, così da rendere non plausibile una sua predeterminazione in funzione di un futuro giudizio, anche da una molteplicità di riscontri fattuali oggettivi, quali la dichiarazione della testimone oculare al sinistro e le dichiarazioni rese alle forze dell'ordine da molteplici persone intervenute subito dopo l'incidente, che hanno confermato di aver visto l'attore steso a terra con ancora il casco. Alla luce dei suddetti elementi, deve inferirsi che sia stata l'auto rimasta sconosciuta ad invadere la corsia di marcia dell'attore provenendo dal senso opposto. Non risultano invece elementi per ritenere che Ru.Ch. avesse a sua volta invaso neppure parzialmente la corsia di pertinenza dell'altro veicolo. In tal senso la testimone ha confermato di aver verificato che viaggiavano tenendo strettamente la destra, aggiungendo che anzi il Ru. aveva tentato in tutti i modi di evitare l'impatto frontale con l'auto spostandosi tutto vero la banchina. Neppure è risultato che il Ru. viaggiasse ad una velocità non prudenziale, essendo la circostanza contraria stata affermata dalla testimone e comunque desumibile anche dall'entità dei danni. 3.1 La responsabilità: in diritto - Ciò premesso in fatto, va osservato in diritto che la fattispecie in esame risulta sussumibile nell'ambito dell'art. 2054 c.c.. Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che si intende condividere, una corretta lettura della norma di cui all'art. 2054 c.c. conduce infatti a ritenere del tutto indifferente, affinché lo si possa considerare "in circolazione", che un veicolo sia in marcia ovvero in sosta in luoghi ove si svolga il traffico veicolare, dovendosi qualificare come "scontro" qualsiasi urto tra due (o più) veicoli in marcia ovvero tra uno in moto ed uno fermo (cfr. Cass. n. 281 del 13.01.2015; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3437). Si rileva quindi che l'art. 2054, comma 2, c.c. prevede una presunzione di responsabilità di entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti in un incidente. In tal senso, va evidenziato in generale che la giurisprudenza ha sottolineato che la citata norma non configura a carico del conducente un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma una responsabilità presunta da cui il medesimo può liberarsi dando la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero dimostrando non l'impossibilità di una condotta diversa o la diligenza massima, bensì di avere osservato, nei limiti della normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. Civ. Sez VI-3 ordinanza 16.02.2017 n. 4130). La presunzione di colpa nel senso appena specificato ha funzione meramente sussidiaria ed opera soltanto quando è impossibile determinare la concreta misura delle rispettive responsabilità, in modo che, ove risulti accertata l'esclusiva colpa di uno di essi, l'altro conducente è esonerato dalla presunzione e non è tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (cfr. Cass. Civ. Sezione III, 22.09.2015 n. 18631). Al contrario, quando la dinamica del sinistro è stata ricostruita in fase istruttoria, il mero accertamento della colpa di uno dei conducenti, non può esonerare il giudicante dalla verifica in concreto relativa al rispetto da parte dell'altro di una condotta di guida corretta. Conseguentemente il soggetto che abbia riportato danni da un incidente stradale, anche in presenza di una conclamata responsabilità perfino ove prevalente dell'altra parte, deve dimostrare in concreto di essersi quanto meno attenuto alle regole di prudenza a suo carico per vedere esclusa, mediante un accertamento in concreto, ogni sua corresponsabilità nel verificarsi del danno (cfr. Cass. Civ. Sezione III, 28.06.2016 n. 13271; Cass. Civ. Sezione III, 15.07.2011 n. 15674). In tal senso, va evidenziato che la giurisprudenza ha delineato un orientamento genericamente restrittivo in ordine alla citata norma affermando che, per escludere l'applicazione della presunzione di corresponsabilità, il danneggiato coinvolto in uno scontro tra veicoli deve provare non solo che il conducente dell'auto investitrice sia in colpa, ma altresì che egli si sia uniformato alle norme di circolazione ed a quelle di comune prudenza, ed abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente (cfr. Cass. sez. 3, n. 4639 del 2/04/2002). Quindi, la "prova liberatoria" di cui all'art. 2054, comma 2, c.c. deve ritenersi fornita solo laddove il danneggiato dimostri che il comportamento illegittimo della controparte assorba in sé l'intero profilo causale del sinistro e, quindi, di avere osservato, nei limiti della normale diligenza, un comportamento esente da colpa e conforme alle regole del codice della strada, da valutarsi dal giudice con riferimento alle circostanze del caso concreto (cfr. Cass. Civ. Sez. VI-3 ordinanza 16.02.2017 n. 4130). In particolare, la prova liberatoria per il superamento di detta presunzione di colpa non deve necessariamente essere fornita in modo diretto - e cioè dimostrando di non aver arrecato apporto causale alla produzione dell'incidente - ma può anche indirettamente risultare tramite l'accertamento del collegamento eziologico dell'evento dannoso con il comportamento dell'altro conducente (cfr. Cass. Civ. Sezione III, 31.07.2013 n. 18340; Cass. Civ. Sezione VI ordinanza 26.01.2012 n. 1144). 3.2 La responsabilità: in fatto - Fatta tale premessa in diritto, nel caso di specie, deve ritenersi superata la suddetta presunzione di pari responsabilità, considerato che lo stesso evento dannoso deve ritenersi interamente assorbito dal punto di vista causale dalla condotta dell'ignoto conducente del veicolo che, per come emerso dalle risultanze istruttorie, non ha tenuto la necessaria prudenza e diligenza di guida e, impegnando una curva, ha invaso l'opposta corsia di marcia dove viaggiava il ciclomotore condotto dall'attore. Deve, inoltre, ritenersi provato anche l'altro presupposto per l'insorgere dell'obbligo risarcitorio in capo al FGVS, ossia che il veicolo sia rimasto sconosciuto. In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, la vittima di un sinistro stradale causato da un veicolo non identificato non ha, infatti, alcun obbligo, per ottenere il risarcimento da parte dell'impresa designata per conto del Fondo di garanzia vittime della strada, di presentare una denuncia od una querela contro ignoti, la cui sussistenza o meno non è che un mero indizio, da valutare insieme a tutti gli altri eventualmente esistenti, per stabilire se sussista il diritto al risarcimento (cfr. Cass. 9939 del 18/06/2012). La prova che il danneggiato è tenuto a fornire che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, può essere offerta mediante la denuncia o querela presentata contro ignoti alle competenti autorità, ma senza automatismi, sicché il giudice di merito può sia escludere la riconducibilità della fattispecie concreta a quella del danno cagionato da veicolo non identificato, pur in presenza di tale denuncia o querela, sia affermarla, in mancanza della stessa (cfr. Cass. 18532 del 03/09/2007). La Cassazione si è inoltre espressa nel senso che "la prova può essere fornita dal danneggiato anche sulla base di mere "tracce ambientali" o di "dichiarazioni orali non essendo alla vittima richiesto di mantenere un comportamento di non comune diligenza ovvero di complessa ed onerosa attuazione, avuto riguardo alle sue condizioni psicofisiche e alle circostanze del caso concreto" (cfr. Cass. 24449 del 18/11/2005). Nel caso di specie si ritiene che tale conclusione possa essere raggiunta sulla base dei suesposti elementi di prova, oltre che dalle dichiarazioni del testimone oculare e dall'annotazione dei Carabinieri, dal procedimento aperto dal PM anche sulla base della denuncia del genitore del Ru., conclusosi con richiesta di archiviazione per mancata individuazione del soggetto responsabile. 4. Il danno non patrimoniale - Il c.t.u., con motivazione che, in quanto logica, coerente, approfondita, va integralmente recepita, ha accertato che in seguito al sinistro l'attore ha riportato "trauma cranio facciale con ferita mentoniera, frattura del malleolo peroneale e scafoide tarsale della caviglia destra"; a tali lesioni sono conseguiti un periodo di invalidità temporanea assoluta valutabile di giorni 50, ulteriori giorni 340 di inabilità temporanea parziale al 50%, oltre a postumi permanenti pari al 4,5%. Nel quantificare tale danno si deve fare applicazione della tabella ex art. 139 cod. ass. aggiornata al D.M. 20.6.2014. Allora, considerato che al momento del sinistro l'attore aveva 17 anni, gli deve essere riconosciuta a titolo di invalidità permanente la somma di Euro 4.989,64 (a cui si è pervenuti facendo la media tra il danno pari al 5% pari ad Euro 5893,28 ed il danno del 4% pari ad Euro 4086,01). Tale importo, poi, dev'essere aumentato per dar conto del danno morale per i patimenti fisici e per la percezione della compromissione della propria integrità fisica, essendovi una presunzione che lesioni di una certa consistenza abbattano e addolorino chi le patisce. Secondo quello che, ormai, è diritto vivente, qualora, come nel caso di specie, la lesione debba essere liquidata in base alla tabella ministeriale, il danno non patrimoniale da micropermanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dall'art. 139 cod. ass.. Benvero, la Suprema Corte (v. Cass. 12408/11) ha affermato che "ai postumi di lieve entità derivati invece da lesioni verificatesi per sinistri stradali, il citato art. 139 va applicato in linea coi principi enunciati dalle Sezioni unite del 2008, le quali (al paragrafo 4.9 delle sentenze più volte citate) hanno affermato: che costituisce componente del danno biologico "ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca"; che determina dunque duplicazione del risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale inteso come turbamento dell'animo e dolore intimo; che il giudice che si avvalga delle note tabelle dovrà procedere ad un'adeguata personalizzazione del risarcimento al fine di indennizzare le sofferenze fisiche o psichiche patite dal soggetto leso. Ora, l'art. 139, comma 2, cod. assic., stabilendo che "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato ...", ha avuto riguardo ad una concezione del danno biologico anteriore alle citate sentenze del 2008, nel quale il limite della personalizzazione - costituente la modalità attraverso la quale, secondo le Sezioni unite, è possibile riconoscere le varie "voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico" - è fissato dalla legge: e lo è in misura non superiore ad un quinto. Quante volte, dunque, la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micropermanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle attività produttive (ex art. 139, comma 5), salvo l'aumento da parte del giudice, "in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" (art. 139, comma 3). Solo entro tali limiti si ritiene di poter condividere il principio enunciato da Cass. 17 settembre 2010, n. 19816, che ha accolto il ricorso in un caso nel quale il risarcimento del danno "morale" era stato negato sul presupposto che la tabella normativa non ne prevede la liquidazione". Tale orientamento, poi, è stato avallato e giustificato dalla stessa Corte Costituzionale, nella nota pronuncia 235/14. Poiché, dunque, tale norma consente un aumento nella misura di un quinto, e poiché, nel caso concreto, la sofferenza a carico del danneggiato è stata certamente di un certo rilievo, stante l'incidenza delle lesioni sia sul movimento, sia sulla funzionalità dentale e sull'aspetto estetico, in soggetto di giovanissima età, si ritiene di aumentare la liquidazione del danno permanente di 1/5 per la complessiva somma di Euro 5.987,56. Per quanto appena detto non sussistono invece spazi interpretativi per dar luogo ad alcuna ulteriore personalizzazione del danno non patrimoniale, da ritenersi completamente assorbito per legge nel suddetto aumento di 1/5. Per ciò che attiene, invece, alla temporanea, tale tabella riconosce la somma di Euro 47,49 per ogni giorno d'invalidità assoluta (ed una somma proporzionalmente inferiore per ogni giorno d'invalidità parziale) e, dunque, a tale titolo dev'essere liquidata l'ulteriore somma di Euro 3086,85. Ne discende che il complessivo danno non patrimoniale ammonta alla somma (arrotondata) di Euro 9.074,41. Su tale somma complessiva, già rivalutata, dev'essere computato il danno per il ritardato pagamento, equitativamente determinato nella media tra gli interessi legali calcolati sulla somma interamente rivalutata e quelli calcolati sul capitale puro (che si determina devalutando alla data del fatto la somma rivalutata), giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712. 5. Il danno patrimoniale - All'attore debbono poi essere riconosciute le spese mediche sostenute, documentate e ritenute congrue dal c.t.u., nella misura di Euro 839,00. Discorso a parte va invece fatto per le spese odontoiatriche, sia sostenute, sia future, ma rese necessarie dalle lesioni subite, per le quali il CTU si è avvalso anche di consulenza specialistica odontoiatrica. In tale sede sono risultate necessarie spese ricostruttive per complessive Euro 3700. Quanto al bite, inizialmente ricompreso dal consulente nelle spese future ritenute necessarie, in sede di chiarimenti è emerso trattarsi di un supporto utile, per cui si è indicata "la discreta probabilità della necessità di utilizzo futuro del bite, altamente probabile il vantaggio di un utilizzo preventivo futuro del bite". In tal senso non si ritiene che nella fattispecie sussistano sufficienti elementi per ritenere anche la suddetta spesa causalmente conseguente alle lesioni verificatesi in sede di sinistro. All'attore deve infine essere risarcita la spesa per l'ausiliario nella consulenza tecnica pari ad Euro 204,00 Il danno patrimoniale complessivamente subito dall'attore ammonta dunque ad Euro 4.743,00. Trattandosi di debito di valore, tale somma dev'essere attualizzata tenendo conto della svalutazione monetaria intervenuta dalla data degli esborsi ad oggi; sulla somma rivalutata anno per anno, poi, debbono computarsi anche gli interessi legali quali danno da ritardato pagamento, giusta Cass. S.U. 1712/95. Dunque, la parte convenuta deve essere condannata a rifondere, complessivamente, a parte attrice l'importo di Euro 13.817,41, oltre agli interessi come sopra indicati. 6. Le spese di lite - Le spese di lite, che seguono la soccombenza, sono liquidate come in dispositivo in applicazione degli ordinari parametri di cui al DM 55/2014, tenuto conto dei valori medi riferiti allo scaglione parametrato al quantum decisum. Sulla base dei medesimi presupposti le spese di CTU, liquidate come in atti sono poste definitivamente a carico di parte convenuta in relazione alla soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta tra le parti come in epigrafe emarginate, ogni diversa eccezione e deduzione disattesa e respinta, così provvede: - Dichiara che il sinistro per cui è causa (meglio descritto in parte motiva) è attribuibile ad esclusiva responsabilità del conducente di un'autovettura rimasta non identificata; Per l'effetto, Condanna la Un. Ass.ni S.p.A. - (quale impresa designata ai sensi dell'art. 20 della legge 990/1969 e succ. modif. per i sinistri a carico del "Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada") al pagamento in favore di parte attrice, dell'importo complessivo di Euro 13.613,41, per il titolo e con gli interessi di cui in parte motiva; Condanna la convenuta a rifondere all'attrice le spese processuali che si liquidano in Euro 4.800,00 per compenso professionale, Euro 237,00 per spese, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; Pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese delle CTU liquidate come in atti. Così deciso in Grosseto il 10 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Paola Caporali ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2131/2012 tra: OL. (C.F. (...)), con l'avv. NA.MA. elettivamente domiciliata presso il difensore giusta delega in atti; - ATTRICE - e (...) GROSSETO (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SE.CO. elettivamente domiciliata presso il difensore giusta delega in atti; - CONVENUTA - nonché GI.EG. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. VA.PA. e dell'avv. SA.MA., elettivamente domiciliato presso il difensore avv. VA.PA. giusta delega in atti; - TERZO CHIAMATO - SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, Ce.Ol. conveniva dinanzi a questo Tribunale ASL per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito della non corretta esecuzione dell'intervento chirurgico di sinoviectomia del polso effettuato dal dott. Gi. il 3.12.2003 presso l'ospedale di Massa Marittima. Si costituiva (...) contestando la pretesa ex adverso fatta valere, sia in punto di an sia di quantum, chiedendo in ogni caso di essere autorizzata a chiamare in causa il dott. Gi. che, quale professionista legato alla ASL da contratto di lavoro autonomo, doveva essere ritenuto l'unico responsabile dell'eventuale danno subito dall'attrice, ovvero tenuto a manlevare la convenuta per il caso di sua condanna. Autorizzata la chiamata in causa, si costituiva il Gi. contestando la pretesa spiegata nei suoi confronti e chiamando a sua volta in causa le proprie compagnie di assicurazioni per essere dalle stesse manlevato nell'ipotesi di condanna. Autorizzate anche le suddette chiamate in causa, si costituivano entrambe le compagnie di assicurazioni, Gr. e Mi., contestando la sussistenza delle rispettive coperture assicurative. La causa era istruita mediante produzione di documenti, espletamento di CTU medica, esame di testi anche ex art. 281 ter c.p.c., nonché integrazioni di CTU. La causa veniva trattenuta una prima volta in decisione all'udienza del 4.04.2017 e decisa con sentenza parziale n. 665/2017 con la quale erano respinte tutte le domande spiegate dal Gi. nei confronti di entrambe le compagnie di assicurazioni, con condanna del Gi. alla refusione delle spese in favore delle chiamate in causa. Con contestuale ordinanza, la causa era quindi rimessa sul ruolo per la decisione sul merito sia della domanda dell'attrice, sia della domanda di Asl nei confronti del Gi., stante il mancato rinvenimento del deposito telematico dell'ulteriore supplemento di CTU. Depositata la richiesta integrazione di CTU, la causa era ritenuta matura per la decisione e all'udienza dell'11.02.2020 le parti precisavano le conclusioni ed il giudice tratteneva la causa in decisione concedendo termini ex art. 190 c.p.c.. Nelle more del decorso dei suddetti termini intervenivano i DL n. 11 dell'8.03.2020, il D.L. 17.03.3030 n. 18 e succ. modifiche, con i quali tra le altre cose veniva disposta la sospensione di tutti i termini processuali dal 9.03.2020 all'11.05.2020. Veniva quindi atteso il decorso dei termini ex art. 190 c.p.c. all'esito della sospensione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. La ricostruzione dei fatti - Dalla documentazione medica prodotta in atti, nonché dalla ricostruzione effettuata dai CTU, risulta che Ce.Ol., in data 9.12.2003, si sottopose ad intervento chirurgico di sinoviectomia al polso sinistro in day surgery presso l'ospedale di Massa Marittima, a seguito di una iniziale sindrome di tunnel carpale bilaterale, come rilevato dall'esame EMG eseguito nell'ottobre dello stesso anno. L'intervento, eseguito dal dott. Gi., risulta così descritto "tenosinovite polso sinistro. incisione volare. tenolisi e sinoviectomia. neurolisi nervo mediano emostasi. sutura. medicazione". Il CTU ha quindi rilevato come nella documentazione medica prodotta in atti si legge "durante la degenza ha avuto il seguente trattamento: sezione legamento trasverso. Lisi aderenze tendine e n. mediano". Risulta quindi che il 13.02.2004 la Ce. si sottoponeva a visita ortopedica dal dott. Bu., il quale diagnosticava "neuropatia post intervento chirurgico di tunnel carpale sinistro", prescrivendo tutore ortopedico e successivo controllo. In occasione della successiva visita veniva certificato "riferito dolore primo dito mano sinistra post intervento chirurgico per tunnel carpale". Il 6.03.2004 l'attrice si rivolgeva quindi all'U.O. di chirurgia della mano e microchirurgia funzionale dell'ASL Pisana dove veniva visitata dalla dott.ssa Gi., che diagnosticava "esiti di intervento di decompressione del nervo mediano al polso sinistro e incapacità alla flesso estensore del 1 sx per deficit di scorrimento del tendone fl del pollice...è ipotizzabile una residua compressione del n mediano e quindi si rende necessaria una revisione chirurgica". In data 18.03.2004 veniva quindi eseguito presso l'U.O. pisana un secondo intervento chirurgico al polso sinistro che era così descritto "incisione interthenare al polso sinistro, si individua il legamento trasverso che appare completamente integro, sia nella sua porzione prossimale che distale, incisione dello stesso e neurolisi del n. mediano che dimostra notevoli note di sofferenza e conformazione a clessidra nella sua parte centrale; incisione alla base del là, isolamento del flessore apertura della guaina; sutura e bendaggio elastocompressivo". Dall'indagine ENG effettuata il 2.04.2004 veniva rilevato che "è modestamente ridotta la conduzione sensitiva distale del n. mediano sin (M4); ai limiti superiori della norma la latenza motoria distale del n. mediano, già sede del pregresso intervento per sindrome del tunnel carpale... "Dall'esame RM eseguito il 18.04.2005 risultava "esiti d'intervento di tunnel carpale con tessuto cicatriziale che oblitera il tessuto adiposo sul versante palmare. Tale alterazione giunge in contiguità con il nervo mediano a carico del quale non si riconoscono chiare alterazioni della morfologia o del segnale. E'presente modesta reazione sinoviale nella radio carpica". Lo studio elettrofisiologico della mano sinistra, prescritto dal dott. Cu.Ga. ed effettuato il 5.10.2005 rilevava "aumento significativo della latenza motoria del nervo mediano sinistro, mentre risulta sostanzialmente invariata la velocità di conduzione sensitiva del medesimo nervo". Sulla base dei suddetti reperti strumentali di aggravamento del quadro generale, era consigliato "reintervento di neurolisi e protezione del nervo". Eseguita anche una scintigrafia il 27.02.2006, da cui risultava "verosimile componente flogistica a carico dell'articolazione metacarpo falangea sn", l'attrice si rivolgeva al policlinico di Modena dove, il 16.03.2006, era sottoposta ad ecografia del polso che evidenziava "presenza di cicatrice che dal piano cutaneo si estende in profondità e circonda sul versante radiale il nervo mediano. Su tale sede il nervo stesso appare ispessito (spessore 0,4 cm) ed eco struttura ipoecogena in relazione a flogosi. Durante manovra di flesso estensione attiva e passiva delle dita si rileva netta riduzione della mobilità del nervo in senso longitudinale e trasversale. Si segnala inoltre che la guaina del tendine flessore del 1 dito aderisce al nervo mediano. Il legamento trasverso del carpo appare discontinuo, ma è anch'esso adeso al nervo mediano. Modesto ispessimento della guaina dei restanti tendini flessori". Il 17.04.2007 la Ce. si sottoponeva ad ulteriore intervento chirurgico di liberazione del tunnel carpale, presso la casa di cura Fa.Ma. di Roma, che veniva così descritto "accesso sulla cicatrice del pregresso intervento con ampliamento prossimale ulnare. Si reperta nervo mediano completamente adeso al tetto del canale carpale e si procede ad accurata neurolisi. Protezione dorsale e volare del nervo con due lamine di divide più lembo micro vascolare adiposo ipotenare a protezione del nervo...". 2. L'an debeatur della responsabilità medica - Così ricostruita la cronologia degli eventi, il CTU ha evidenziato come, nella specie, la Ce. risultasse affetta da sindrome del tunnel carpale al polso sinistro, descritta come frequente sindrome canalicolare derivante dalla compressione del nervo mediano all'interno del tunnel carpale a livello del polso. Esponeva quindi come, in relazione alla suddetta patologia, l'intervento di tenolisi, avente la finalità di ridurre la pressione sul nervo mediano aumentando lo spazio a disposizione all'interno del canale, era quello indicato nella fattispecie. Nel primo elaborato depositato (del 12.12.2014) il CTU valorizzava quindi il contenuto della scheda chirurgica del primo intervento, prodotta in atti, il cui il dott. Gi. riferisce "sezione legamento traverso. Lisi aderenze tendine e n mediano" deducendo che a fronte di tale documento non poteva dubitarsi circa l'effettiva esecuzione della sezione del legamento traverso. A tale proposito interpretava l'espressione utilizzata dalla dott. Gi. in occasione dell'intervento presso la U.O. pisana dicendo che "quella che viene descritta come completa integrità del legamento trasverso, non sia da intendersi come una mancata sezione del legamento stesso nel corso del precedente intervento ...ma la risultanza dei complessi fenomeni riparativi cicatriziali tesi a ripristinare la continuità del legamento stesso, che apparentemente tende a riacquistare le caratteristiche morfologiche di partenza...". Richiesto di chiarimenti, il CTU (integrazione del 10.02.2015) precisava che "l'avvenuta sezione del legamento traverso" riportata nella scheda di dimissione del day surgery non risultava in alcuna altra parte della documentazione sanitaria e che la lettura fatta del referto redatto dalla dott. Gi. era all'evidenza una interpretazione dello scritto. Successivamente sentita come testimone su iniziativa dell'ufficio ex art. 281ter c.p.c., la dott.ssa Margherita Gi., spiegava "con il termine "appare" intendevo dire che il legamento era integro, cioè che non era mai stato precedentemente sezionato. In particolare, il piano di clivaggio si presentava del tutto integro. Aggiungo che l'incisione precedente era prossimale al polso il che può comportare difficoltà di accesso alla fascia e quindi non escludo che il medico che aveva operato potesse aver scambiato la fascia superficiale per il legamento, incidendo quella e non questo". Veniva individuato e sentito sempre ex art. 281 ter c.p.c., il soggetto che aveva formato la scheda del primo intervento chirurgico in Massa Marittima, Am.Gi., il quale, pur premettendo di non ricordare nulla del caso, né del fatto che qualcuno lo avesse o meno informato che era stata effettuata la sezione, spiegava "Posso solo dire che noi solitamente con quella diagnosi effettuiamo la sezione del legamento. Forse vidi l'annotazione nel registro dell'intervento o forse lo chiesi al dr. Gi.. Confermo però che se la sezione fu fatta dovrebbe risultare dal registro dell'intervento". All'esito della suddetta integrazione istruttoria, veniva chiesto un supplemento di indagine al CTU che con il successivo elaborato (del 9.11.2015) esponeva "Alla luce delle nuove prove testimoniali introdotte agli atti in occasione dell'udienza del 09.06.2015, con particolare riferimento alle dichiarazioni della dott.ssa Gi., si ritiene di poter rivalutare la vicenda come segue: è ' possibile affermare allo stato attuale che il legamento trasverso al polso sinistro non fu sezionato dal dott. Gi. in occasione dell'intervento del dicembre 2003, configurandosi un difetto tecnico di esecuzione dello stesso"". In proposito il consulente dell'ufficio esponeva altresì che "La mancata sezione del legamento trasverso da parte del dott. Gi. ha impedito la decompressione del nervo mediano al polso, contribuendo ad un ulteriore peggioramento della patologia di base per la persistenza dell'insulto meccanico sul nervo nel corso dei tre mesi successivi (lasso di tempo intercorrente tra primo intervento chirurgico - dicembre 2003 - e secondo intervento a Pisa - marzo 2004)". Tanto premesso in fatto, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. 9.10.2012 n. 17143), nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato ha l'onere di allegare e di provare il contratto (o il "contatto"), l'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) ed il relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, nonché l'onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico; quest'ultimo, invece, ha l'onere di provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. Quanto alla prova del nesso causale tra l'eventuale errore del medico e le lesioni, la giurisprudenza costante afferma che è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso eziologico, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (cfr. da ult. Cass. 15.2.2018 n. 3704; 7.12.2017 n. 29315). In base al recente orientamento della Suprema Corte, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica si delinea "un duplice ciclo causale", l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all'evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392). Ne consegue, dunque, che la c.d. causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, mentre resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerta la causa del danno o dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull'attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l'onere di provare che l'inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall'attore, è stato determinato da causa non imputabile" (cfr. Cass. n. 19204 del 2018, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit., nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01). Ora, nel caso di specie, può dirsi acclarata la sussistenza di nesso causale tra l'omessa compiuta esecuzione di tutte le operazioni tecniche necessarie in occasione del primo intervento (in particolare la mancata sezione del legamento trasverso) e le complicanze successivamente insorte. In proposito si osserva che dalle emergenze in atti, come sopra descritte, deve ritenersi sussistente la prova dell'omessa sezione, in un primo momento esclusa dal CTU, sulla base di quanto trovato scritto sulla scheda di intervento chirurgico del 17.12.2003. A tale proposito va evidenziato che la scheda di intervento prodotta in atti da parte attrice (come all. 2), nella parte retrostante l'attestazione dell'effettuazione dell'intervento nell'U.O. di Massa Marittima, per come chiarito anche in sede testimoniale non è risultata redatta direttamente dal soggetto operante, per cui non vi si dà tecnicamente atto delle operazioni fatte dal sanitario, bensì si traccia un resoconto dei trattamenti cui la paziente è stata sottoposta durante la degenza. Pertanto, tale documento non può ritenersi avere in tale parte tutti i requisiti richiesti per la fede privilegiata che caratterizza la cartella clinica con riferimento alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento. La parte di documento in cui sono annotati i trattamenti avuti durante la degenza ha infatti la forma non dell'attestazione del pubblico ufficiale circa le operazioni e le manovre da lui stesso effettuate, ma la veste di missiva indirizzata al medico curante del paziente (inizia con 'egregio collega...' e termina con l'invito a conservare la scheda e presentarla in occasione di controlli). A fronte di ciò deve confermarsi l'ammissibilità delle testimonianze introdotte ai fini dell'accertamento della circostanza relativa all'omessa sezione. A tale ultimo proposito, deve ritenersi utilizzabile e attendibile la testimonianza della dott. Gi. (con riferimento alla quale peraltro non è stata tempestivamente proposta eccezione di incapacità nei termini richiesti dall'art. 246 c.p.c.) che non appare inficiata da profili di inattendibilità. Peraltro la teste si è limitata a dare una chiara e plausibile lettura di quanto dalla stessa scritto con data 18.03.2004, nella lettera di dimissioni della paziente, indirizzata al medico curante (quindi in documento avente sostanzialmente lo stesso valore di quello in cui sono stati annotati i trattamenti eseguiti in occasione del primo ricovero a Massa Marittima) nella parte in cui ha chiarito che laddove è scritto "il legamento trasverso appare completamente integro" doveva intendersi che lo stesso non era mai stato sezionato. In tale sede peraltro la teste fornisce anche una plausibile spiegazione circa l'annotazione fatta in occasione del primo intervento circa l'avvenuta incisione "...il che può comportare difficoltà di accesso alla fascia... non escluso che il medico che aveva operato potesse aver scambiato la fascia superficiale per il legamento..." A fronte di ciò si sottolinea che nella parte della scheda dedicata alla descrizione dell'atto operatorio del 9.12.2003, non si fa invece riferimento al legamento trasverso. Deve dunque ritenersi da escludere la diversa lettura data nella prima stesura della CTU in cui si attribuisce alla frase "completamente integro" il significato dell'osservazione dei "complessi fenomeni riparativi cicatriziali". A fronte di tale ricostruzione del nesso causale, era onere dell'azienda ospedaliera dimostrare di aver adottato tutte le cautele esigibili e che quindi le complicanze erano intervenute per cause alla stessa non imputabili. All'esito dell'espletata istruzione della causa deve ritenersi che una tale prova non sia stata in alcun modo fornita dalla convenuta. Deve dunque essere ritenuta la sussistenza della responsabilità dell'ASL con riferimento al danno subito dall'attore come conseguenza della lesione determinatasi in occasione dell'intervento chirurgico presso l'ospedale di Massa Marittima. 2.1 La responsabilità dell'azienda sanitaria - Deve ritenersi del tutto irrilevante ai fini dell'esclusione della responsabilità della convenuta azienda ospedaliera, la circostanza relativa alla sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo tra ASL e professionista che ebbe ad eseguire l'intervento. Infatti, nel caso di colpa medica nell'esecuzione di un intervento chirurgico, l'azienda sanitaria dove il paziente è stato ricoverato risponde dei danni in solido col medico, quand'anche ciascuno di essi abbia stipulato col paziente un contratto distinto ed autonomo, poiché la prestazione dell'azienda sanitaria e quella del medico sono collegate così strettamente da configurare una obbligazione soggettivamente complessa con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta, con la conseguenza che ciascuno di uno soltanto dei coobbligati obbliga anche l'altro al risarcimento (cfr. Cass. n. 10616/2012). Al riguardo, deve osservarsi che il contratto avente ad oggetto prestazioni di ricovero per assistenza terapeutica costituisce un negozio atipico: infatti l'interesse del paziente (che è quello di farsi curare e/o comunque di risolvere un problema) non rimane appagato con l'apprestamento dei locali, la erogazione dei servizi alberghieri e di assistenza e con la messa a disposizione degli strumenti e delle apparecchiature sanitarie, ma riceve integrale soddisfazione soltanto con la contestuale esecuzione della prestazione professionale del medico. Si tratta, allora, di verificare se nella ipotesi in esame si sia in presenza di un collegamento funzionale tra negozi che conservano la loro rispettiva autonomia in quanto fonti di distinti rapporti obbligatori, ovvero, come sembra più corretto, si sia in presenza di una obbligazione plurisoggettiva ex latere debitoris, inquadrabile nella categoria delle "obbligazioni soggettivamente complesse con prestazione indivisibile ad attuazione congiunta" (in quanto una esecuzione parziaria o non simultanea sarebbe inutiliter data, non essendo in grado di realizzare l'interesse del creditore). Infatti, se è vero che la unitarietà del risultato finale non è sufficiente a dimostrare l'esistenza di un unitario rapporto obbligatorio, potendo sempre il creditore realizzare il suo interesse anche mediante rapporti negoziali non collegati e non interdipendenti, tale ipotesi non sembra ricorrere nel caso di contratto di ricovero, in quanto: (a) da un lato, l'obbligazione del professionista si estende anche all'attività preliminare di verifica della idoneità della struttura sanitaria in cui deve operare (funzionalità degli apparecchi, alle dotazioni di emergenza, alla adeguata sterilizzazione dei locali); (b) dall'altro, l'azienda sanitaria accetta il paziente esclusivamente in relazione al tipo di trattamento terapeutico che questi deve ricevere (valutandolo compatibile con l'organizzazione e le strutture aziendali) ed in relazione alla capacità professionale del medico curante, a disposizione del quale dovranno essere messe le strutture tecniche e le risorse umane (infermieri, addetti alla assistenza in sala operatoria, addetti alla assistenza nel decorso post-operatorio) della azienda. Il concreto atteggiarsi dei rapporti di questo tipo dimostra pertanto che il professionista si determina ad eseguire la prestazione in favore del paziente solo se può avvalersi della struttura organizzativa, mentre, normalmente, l'azienda sanitaria si determina a concludere il contratto di ricovero per assistenza terapeutica soltanto se l'intervento viene eseguito nella propria struttura da un professionista con il quale sussiste un rapporto di prestazione professionale. Il rapporto avente ad oggetto il ricovero in funzione di assistenza sanitaria può quindi configurarsi come obbligazione unitaria a carico di una pluralità di parti (il medico e l'azienda sanitaria) che, nella esecuzione della prestazione, si articola in una serie di attività distinte (che non si identificano pertanto in altrettanti rapporti obbligatori) che si caratterizzano per il fatto della "indivisibilità temporale", non potendo essere attuata la prestazione se non congiuntamente, mediante il simultaneo svolgimento di tali attività, ed il coordinamento delle quali costituisce l'indispensabile momento organizzativo della esecuzione della prestazione dovuta in favore del paziente-creditore. Né è ostativa a tale schema la riferibilità delle singole attività a ciascuno dei soggetti della parte complessa (il medico esegue materialmente l'intervento, l'azienda sanitaria predispone e somministra i servizi), in quanto la contitolarità di una unica obbligazione non esclude che l'esecuzione di essa renda necessarie attività materiali diverse, eseguite da soggetti diversi. Se dunque l'obbligazione dell'azienda sanitaria e quella del medico costituiscono una unica obbligazione soggettivamente complessa, ad attuazione congiunta, la responsabilità per inadempimento deve essere ricavata in via analogica da quella dettata in materia di obbligazioni gravanti sui partecipanti alla comunione (in quanto fenomeno assimilabile alla contitolarità dei diritti/debiti) che prevede la responsabilità solidale per le obbligazioni assunte a favore della comunione (art. 1015 c.c.). Il medico e l'azienda sanitaria risponderanno dunque in solido in caso di insuccesso dell'intervento, rimanendo indifferente per il paziente titolare della posizione creditoria, in caso di inadempimento della obbligazione soggettivamente complessa, su quale dei soggetti debba gravare, nei rapporti interni, il peso economico del risarcimento del danno. Per quanto detto deve ritenersi che la dedotta colpa del medico che ebbe ad eseguire l'intervento può semmai fondare un'azione di regresso/rivalsa della struttura nei confronti del medesimo, senza però incidere sulla sussistenza della struttura nei confronti del paziente. 2.2 La domanda di "rivalsa" dell'azienda sanitaria nei confronti del medico - Come di recente ribadito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 24167/2019) laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto ad un intervento chirurgico all'interno della struttura stessa, sostenga che l'esclusiva responsabilità dell'accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l'operazione, agendo in garanzia impropria e chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata, ed in regresso nei confronti del chirurgo, affinché, nei rapporti interni si accerti l'esclusiva responsabilità di questi nella causazione del danno, è sul soggetto che agisce in regresso a fronte di una responsabilità solidale che grava l'onere di provare l'esclusiva responsabilità dell'altro soggetto. Ciò posto, l'azione di rivalsa della Asl nei confronti del medico è subordinata al dolo o alla colpa grave del sanitario, mentre non è mai esercitabile qualora questi abbia agito con colpa lieve. Nella valutazione della prestazione medico-specialistica (com'è quella del medico competente), la giurisprudenza finisce per utilizzare il criterio d'imputazione stabilito dall'art. 2236 c.c., non già al fine di attenuare o ridurre la responsabilità risarcitoria del professionista, ma più semplicemente quale direttiva per l'apprezzamento del singolo caso concreto. Nel senso che, il grado di diligenza-perizia richiesto al medico specialista - "per quanto sia da intendersi in termini astratti ed oggettivi" - dev'essere valutato in considerazione delle difficoltà tecniche e delle particolari circostanze nelle quali egli abbia prestato la propria opera, incluse le dotazioni strumentali ed organizzative poste a sua disposizione. Tuttavia la Cassazione ha precisato che la limitazione della responsabilità del medico ai casi di dolo o colpa grave ex art. 2236 c.c. non si applica all'imprudenza e alla negligenza: "infatti, anche nei casi di speciale difficoltà, tale limitazione non sussiste con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso". Pertanto, egli è responsabile anche per colpa lieve quando "per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione provochi un danno". L'attenuazione della responsabilità ai sensi dell'art. 2236 c.c. finisce per applicarsi unicamente alle ipotesi che trascendono la preparazione media (quindi, alla prestazione medica specialistica), quando "la particolare complessità discende dal fatto che il caso non è stato ancora studiato a sufficienza, o non è stato ancora dibattuto con riferimento ai metodi da adottare". Nel caso di specie in proposito il CTU, interpellato in sede di chiarimenti (supplemento del 29.03.2018) ha osservato che "la sezione del legamento trasverso fa parte della tecnica chirurgica che dovrebbe essere stata adottata, per cui mal si spiega l'omissione". Ora, se all'osservazione circa la necessaria sezione del legamento in tale tipo di intervento, si unisce il fatto che lo stesso CTU (nel primo elaborato del 2012) ha definito la sindrome del tunnel carpale come patologia frequente, descrivendo le caratteristiche dell'intervento come operazione della durata di pochi minuti, consistente 'in un'incisione della lunghezza di 3 cm a livello del palmo della mano, seguita da una sezione del legamento traverso ...ed una verifica delle condizioni del nervo mediano..." deve ritenersi sussistere la colpa grave del sanitario nell'aver omesso di eseguire la sezione ritenuta doverosa e necessaria nel tipo di intervento, noto e non di particolare complessità. Altra e distinta questione deve invece essere considerata l'incidenza della predisposizione della paziente, circostanza che opera nel diverso piano della quantificazione del danno. Per quanto detto deve essere accolta la domanda di rivalsa dell'azienda sanitaria nei confronti del medico. 3. Il quantum debeatur. 3a) A titolo di danno non patrimoniale - Il c.t.u., con motivazione che, in quanto logica, coerente va integralmente recepita, ha accertato che la Ce. a seguito della lesione per cui è causa, ha subito postumi permanenti quantificabili nella misura del 5%, considerando il CTU che, come conseguenza dell'intervento cui l'attrice si era sottoposta, erano conseguiti postumi complessivi dell'8 - 9%, ricomprendendo in essi anche gli esiti della patologia da cui l'attrice era affetta. Il periodo di inabilità temporanea, da considerarsi come prolungamento abnorme rispetto al fisiologico periodo di convalescenza post operatoria, è da computarsi in 5 giorni di inabilità temporanea totale, 30 giorni di inabilità temporanea parziale al 25%. Deve nel caso in esame specificarsi che, in base alle risultanze della CTU il 3 - 4% dei postumi, non era eliminabile come conseguenza della patologia da cui era affetta l'attrice; il danno-evento cagionato dal non corretto svolgimento della profilassi in occasione dell'intervento, si è concretato nell'essere stata portata la situazione di menomazione all'integrità fisica dal 3 - 4% all'8 - 9%, laddove la prestazione medica eseguita al meglio avrebbe dovuto lasciare l'attrice nella situazione invalidante al 3 - 4%. Come chiarito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 19.3.2014 n. 6341), "allorquando un intervento medico si esegua su una situazione di compromissione dell'integrità fisica del paziente e risulti, secondo le regole di una sua esecuzione ottimale e per quanto accertato a posteriori, che la situazione avrebbe potuto essere ripristinata soltanto in parte e non integralmente, e che, dunque, l'intervento comunque avrebbe lasciato al paziente una percentuale di compromissione della integrità, qualora la cattiva esecuzione dell'intervento abbia determinato una situazione di compromissione dell'integrità fisica del paziente ulteriore rispetto alla percentuale che non si sarebbe potuta eliminare, il danno-evento dev'essere individuato nella compromissione della integrità dal punto percentuale corrispondente a quanto non sarebbe stato eliminabile fino a quello corrispondente alla compromissione effettivamente risultante. Ne consegue che, ai fini della liquidazione con il sistema tabellare deve assumersi come percentuale di invalidità non quella corrispondente al punto risultante dalla differenza fra le due percentuali, bensì la percentuale corrispondente alla compromissione effettivamente risultante, di modo che da quanto monetariamente indicato dalla tabella per esso deve sottrarsi quanto indicato per la percentuale di invalidità non riconducibile alla responsabilità". Dunque, il danno iatrogeno del 5% non deve essere liquidato nel sistema tabellare considerando l'equivalente di un'invalidità del 5%, perché ciò significherebbe considerare un danno-evento diverso da quello cagionato dal responsabile, posto che la condotta ha cagionato il danno-evento rappresentato non dalla perdita dell'integrità fisica da zero al 5%, bensì in quella dal 3 - 4% al 8 - 9%. L'equivalente da considerare è, dunque, quello pari al 5%, ma non già nella integrità, bensì solo in quello che, secondo le tabelle applicate, rappresenta la differenza fra il valore dell'invalidità del 3 - 4% e quello del 8 - 9%. Ciò detto, nel quantificare tale danno si deve fare applicazione della tabella ex art. 139 cod. ass. aggiornata al D.M. 20.6.2014. Benvero, la cd. "legge Balduzzi", ovvero la L. 8 novembre 2012, n. 189 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), prevede, all'art.3 comma III, che "il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo". La norma ha, dunque, esteso l'applicabilità delle tabelle liquidatone previste per i danni da circolazione stradale anche ai danni iatrogeni. Tale disposizione deve trovare applicazione al caso in esame, posto che le tabelle di liquidazione del danno - siano esse di fonte legale o pretorile - non strutturano la nozione sostanziale di danno alla salute e nemmeno si saldano con il regime giuridico delle prove, ma arricchiscono lo strumentario processuale del giudice per la liquidazione del pregiudizio all'interno del procedimento civile. Esse, dunque, mantengono una natura squisitamente processuale. A ciò s'aggiunga che l'applicabilità dell'art. 139 Cod. Ass. al danno iatrogeno è stata esclusa per via giurisprudenziale, dall'indirizzo maggioritario, ma non è rimasta estranea ad una corrente minoritaria, di talché la legge Balduzzi, in questa dimensione, avalla una certa interpretazione in luogo di un'altra: trattandosi di attività meramente interpretativa non è, dunque, possibile discorrere di efficacia nel tempo delle nuove norme in senso tecnico-giuridico. Il principio è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 28990/2019) che ha sottolineato come l'articolo 3, comma 3, del Decreto-legge n. 158/12, convertito con modificazioni nella Legge n. 189/12 (cd. Legge Balduzzi), trova diretta applicazione in tutti i casi in cui il giudice sia chiamato a fare applicazione, in pendenza del giudizio, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, con il solo limite della formazione del giudicato interno sul quantum. Detta previsione - che dispone l'applicazione, nelle controversie concernenti la responsabilità contrattuale o extracontrattuale per esercizio della professione sanitaria, del criterio di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le tabelle elaborate in base agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private - non interviene dunque a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile. Rispetto a tale applicazione - ha precisato la Corte - "non è ostativa la circostanza che la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno sia stato prodotto, anteriormente alla entrata in vigore della legge, o che l'azione risarcitoria sia stata promossa prima dell'entrata in vigore del predetto decreto legge". Allora, considerato che al momento del sinistro l'attrice aveva 58 anni,, gli deve essere riconosciuta, nei termini sopra indicati, a titolo di invalidità permanente la somma di Euro 8.880,43 pari alla differenza tra la somma di Euro 11603,35 (pari alla media tra 8 - 9%) e quella di Euro 2722,92 (pari alla media tra 3 e 4%) Tale importo, poi, dev'essere aumentato per dar conto del danno morale per i patimenti fisici e per la percezione della compromissione della propria integrità fisica, essendovi una presunzione che lesioni di una certa consistenza abbattano e addolorino chi le patisce. Secondo quello che, ormai, è diritto vivente, qualora, come nel caso di specie, la lesione debba essere liquidata in base alla tabella ministeriale, il danno non patrimoniale da micropermanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dall'art. 139 cod. ass.. Benvero, la Suprema Corte (v. Cass. 12408/11) ha affermato che ai postumi di lieve entità derivati invece da lesioni verificatesi per sinistri stradali, il citato art. 139 va applicato in linea coi principi enunciati dalle Sezioni unite del 2008, le quali hanno affermato: che costituisce componente del danno biologico "ogni sofferenza fisica o psichica per sua natura intrinseca" che determina dunque duplicazione del risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale inteso come turbamento dell'animo e dolore intimo; che il giudice che si avvalga delle note tabelle dovrà procedere ad un'adeguata personalizzazione del risarcimento al fine di indennizzare le sofferenze fisiche o psichiche patite dal soggetto leso. Ora, l'art. 139, comma 2, cod. assic., stabilendo che "per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato ...", ha avuto riguardo ad una concezione del danno biologico anteriore alle citate sentenze del 2008, nel quale il limite della personalizzazione - costituente la modalità attraverso la quale, secondo le Sezioni unite, è possibile riconoscere le varie "voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico" -è fissato dalla legge: e lo è in misura non superiore ad un quinto. Quante volte, dunque, la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micropermanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal Ministro delle attività produttive (ex art. 139, comma 5), salvo l'aumento da parte del giudice, "in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato" (art. 139, comma 3). Solo entro tali limiti il collegio ritiene di poter condividere il principio enunciato da Cass. 17 settembre 2010, n. 19816, che ha accolto il ricorso in un caso nel quale il risarcimento del danno "morale" era stato negato sul presupposto che la tabella normativa non ne prevede la liquidazione". Tale orientamento, poi, è stato avallato e giustificato dalla stessa Corte Costituzionale, nella nota pronuncia 235/14, di talché appare ormai doveroso uniformarsi a tali autorevoli voci. Poiché, dunque, la suddetta norma consente un aumento nella misura di un quinto, e poiché, nel caso concreto, considerata la sofferenza a carico della parte danneggiata, tenuto conto dell'incidenza delle lesioni rispetto al movimento del soggetto, dovendosi ovviamente non tenere conto della parte di sofferenze insite nella stessa patologia da cui la paziente era affetta, si ritiene di aumentare la liquidazione del danno permanente nella misura media, pervenendo così alla somma arrotondata di Euro 9.000,00. Per quanto appena detto non sussistono invece spazi interpretativi per dar luogo ad alcuna ulteriore personalizzazione del danno non patrimoniale. Per ciò che attiene, invece, alla temporanea, tale tabella riconosce la somma di Euro 47,49 per ogni giorno d'invalidità assoluta (ed una somma proporzionalmente inferiore per ogni giorno d'invalidità parziale) e, dunque, a tale titolo dev'essere liquidata l'ulteriore somma di Euro 593,63 Ne discende che il complessivo danno non patrimoniale ammonta alla somma di Euro 9.593,63. Su tale somma complessiva, già rivalutata, dev'essere computato il danno per il ritardato pagamento, equitativamente determinato nella media tra gli interessi legali calcolati sulla somma interamente rivalutata e quelli calcolati sul capitale puro (che si determina devalutando alla data del fatto la somma rivalutata), giusta Cass. Sez. Un. 22.4.94-17.2.95 n. 1712. 3b) A titolo di danno patrimoniale - All'attrice debbono poi essere riconosciute le spese mediche sostenute, documentate e ritenute congrue dal c.t.u., limitatamente a quelle per visita specialistica presso l'UO di Pisa e all'intervento chirurgico presso l'UO pisana, pari ad Euro 885,00. Il CTU ha invece ritenuto non pertinenti al caso di cui alla presente controversia le ulteriori spese allegate in atti o perché non inerenti alla fattispecie in esame (costi per farmaci ipertensivi e ansiolitici) o perché inerenti costi che l'attrice avrebbe comunque dovuto sostenere per controlli e terapia conseguenti la predisposizione della stessa alla fibrosi cicatriziale reattiva. E altresì dovuto il rimborso delle spese sostenute per le spese di consulenza di parte, da ritenersi anch'essa causalmente connessa al sinistro, per complessive Euro 600,00. Il complessivo danno patrimoniale ammonta quindi ad Euro 1485,00. Trattandosi di debito di valore, tale somma dev'essere rivalutata tenendo conto della svalutazione intervenuta dalla data degli esborsi ad oggi e sulla somma mediamente rivalutata debbono computarsi gli interessi legali. La complessiva somma che parte convenuta ASL deve rifondere a parte attrice è dunque complessivamente pari ad Euro 11.078,63 oltre gli interessi come sopra specificati. Per quanto detto sopra il terzo chiamato Gi. dovrà quindi essere condannato a rifondere alla convenuta Asl la medesima somma dalla stessa corrisposta all'attrice a titolo di risarcimento danni, in forza della spiegata rivalsa. 4. Le spese di lite - le spese seguono la soccombenza della parte convenuta nei confronti dell'attrice e del terzo chiamato nei confronti della convenuta e si liquidano come in dispositivo con riferimento alla normativa applicabile ratione temporis in base al DM 55/14, tenuto conto dello scaglione parametrato al quantum decisum. Sulla base dei medesimi presupposti le spese di CTU sono poste definitivamente a carico di parte convenuta e di parte terza chiamata in pari misura tra loro. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, sulle domande proposte tra le parti come in epigrafe emarginate, ogni diversa eccezione o deduzione disattesa e respinta, così provvede: - Condanna parte convenuta a corrispondere a parte attrice l'importo di Euro 11.078,63 per il titolo e con gli interessi di cui in parte motiva; - Condanna il terzo chiamato Gi. a rifondere alla convenuta quanto da questa corrisposto all'attrice a titolo di risarcimento danni; - Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite che si liquidano in Euro 4800,00 per compenso professionale, Euro 450,00 per spese, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; - Condanna parte terzo chiamato Gi. a rifondere alla convenuta le spese di lite che si liquidano in Euro 4800,00 per compenso professionale, oltre rimb. forf., IVA e CPA come per legge; - Pone le spese di CTU, liquidate come in atti, a carico di parte convenuta e terza chiamata in pari misura tra loro. Così deciso in Grosseto il 7 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI GROSSETO Sezione Lavoro in persona del Giudice, dott. Giuseppe GROSSO all'udienza del 12 settembre 2017, all'esito della camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429, 1° comma c.p.c., modificato dall'art. 53, comma 2 d.l. n. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008, nella causa civile iscritta al n. 421 del Ruolo Generale Affari Lavoro dell'anno 2014, vertente TRA (...) residente in (...) elettivamente domiciliata in (...), presso lo studio dell'Avv. (...) che la rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso introduttivo. RICORRENTE E (...), con sede in (...) persona del Direttore Generale (...) rappresentata e difesa anche disgiuntamente tra loro dagli Avv.ti (...), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'ultimo in (...) giusta delega in calce alla comparsa di costituzione. CONVENUTA Oggetto: sanzione disciplinare e differenze retributive. Conclusioni delle parti: Ricorrente: chiede che... "l'Ill.mo Tribunale di Grosseto, Giudice del Lavoro, accerti e dichiari che: i. la Ricorrente ha diritto ad osservare e praticare l'orario di lavoro quale emergente dal Contratto da lei sottoscritto e contraddistinto al n.3 degli Allegati al presente Ricorso presso il nosocomio cittadino; ii. le sanzioni disciplinari a lei applicate sono tutte nulle, illegittime e/o infondate siccome fondate sull'arbitraria ed unilaterale modificazione dell'orario di lavoro imposta dalla Resistente; iii. la Ricorrente non ha mai chiesto ne goduto di 9 ore di "permessi sindacali" nel mese di gennaio 2014 o in altro mese e che la trattenuta a tale titolo di operata in suo danno nella busta paga di febbraio 2014 e illegittima ed indebita, per l'effetto condanni la (...), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con sede in (...) a corrispondere, a titolo di differenze retributive e restituzioni, la somma di Euro 976,08 in favore della Ricorrente, ovvero le diverse somme, maggiori o minori, che, all'esito dell'istruttoria e/o dell'occorrenda Ctu contabile, risulteranno di giustizia. Con vittoria di spese e di onorario da corrispondersi al sottoscritto Procuratore antistatario". Convenuta: Voglia il giudice del Lavoro: "1. Rigettare le avversarie domande, perché infondate, in fatto ed in diritto (...); 2. con vittoria di spese, diritti ed onorari FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso depositato il 15 aprile 2014 (...) rappresentava che il proprio orario part-time convenuto con la datrice di lavoro (...) su 20 ore settimana, con distribuzione orizzontale dalie 6 alle 10, subiva una modifica unilaterale allorché la cooperativa le riduceva l'orario predetto di 2,5 ore settimanali; lamentava poi l'illegittimità delle sanzioni disciplinari applicatele invocando a titolo restitutorio la complessiva somma di Euro 976,08 (di cui 132,10 euro pari a complessive 18 ore trattenute per sanzioni disciplinari e permessi sindacali non chiesti né goduti e ulteriori euro 843,98 pari alle ore lavorate in meno rispetto alle 20 concordate). Sulla scorta di tali assunti concludeva come in epigrafe riportato. 2. Si costitutiva in giudizio la (...) chiedendo il rigetto dell'altrui domanda e precisando a tal fine: (i) che la riduzione dell'orario di lavoro era stata adottata a seguito di accordo del 8.5.2013 stipulato con le organizzazioni sindacali più rappresentative allo scopo di evitare di procedere a licenziamenti collettivi, stanti le difficoltà congiunturali manifestatesi nel tempo. Tale accordo veniva accettato da tutti i lavoratori tranne la ricorrente (cfr. doc. 4 allegato alla memoria di costituzione); (ii) che la ricorrente aveva svolto attività lavorativa nel periodo maggio 2013 giugno 2014, allorché si assentava continuativamente per malattia, nella fascia temporale dalle ore 6,00 alle ore 9,30 (anziché 10) presso (...) e di aver proposto alla ricorrente (proposta tuttavia non accettata) di recuperare le 2,5 ore settimanali mancanti effettuando attività lavorativa una volta a settimana dalle 13 alle 15,30 sempre in Grosseto nel contesto del medesimo appalto; (iii) che i provvedimenti disciplinari adottati erano più di quelli impugnati e che erano tutti motivati e perfettamente legittimi; (iv) che la somma di euro 7,33 dovuta alla ricorrente all'esito del lodo arbitrale, che aveva derubricato la multa in ammonizione, era stata restituita con la busta paga di luglio 2014; (v) che infine nulla era dovuto per permessi sindacali in quanto le voci erroneamente indicate nella busta paga di febbraio 2014 come trattenute sindacali (4,5 ore) e competenze sindacali (4,5 ore) erano state riconosciute come entrambe non dovute e si equivalevano non comportando dunque alcuna detrazione in busta paga. Riservandosi azioni risarcitone per le ore di lavoro rifiutate dalla lavoratrice nell'arco temporale indicato (maggio 2013/giugno 2014, atteso che poi dal 1 agosto 2014 è stato ripristinato l'originario orario di lavoro a seguito di nuovo accordo sindacale), concludeva come in epigrafe riportato. 3. All'udienza del 16.9,2014 parte ricorrente depositava note scritte ampliando il thema decidendum riguardo ad azioni disciplinari ulteriori non originariamente impugnate, chiedendo che il Giudice si volesse pronunciare su tutte le sanzioni applicate alla ricorrente sino al 9.6.2014 anche alla luce di nuova documentazione che chiedeva di produrre. All'udienza del 10.12.2014 il Tribunale riteneva inammissibili le nuove domande e la produzione documentale ad esse afferente, ammettendo poi una circoscritta attività istruttoria, che veniva espletata con i testi ammessi. La causa, rinviata per mancanza del giudice titolare, veniva discussa e decisa all'odierna udienza. 4. Il ricorso è infondato. 4.1 In tema di orario di lavoro, parte ricorrente richiama la previsione di cui al D.l.vo 61/00, sostanzialmente trasfusa nel CCNL di riferimento, ricordando come la modifica dell'orario a tempo parziale sia rimessa alla concorde volontà delle parti. Pur tuttavia il Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138 recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", convertito con la L. 14 settembre 2011, n. 148, tra le misure a sostengo dell'occupazione ha ampliato le possibilità di intervento della contrattazione collettiva territoriale di prossimità prevedendo la possibilità che le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative possano stipulare specifiche intese volte a superare crisi aziendali e a sostengo, appunto, dell'occupazione (cfr. art. 8). Tali intese sono vincolanti a condizione che siano state sottoscritte in base a un criterio maggioritario di rappresentatività (sull'efficacia vincolante erga omnes di tali accordi collettivi decentrati cfr. ad es. Trib. Torino 23.1.2012). Nel caso di specie, la rappresentatività è certamente stata rispettata come emerge dal verbale di accordo depositato al doc. 4 di parte convenuta, trattandosi di accordo periferico, o di prossimità come prevede la legge, e ciò a prescindere da un espresso richiamo alla stessa. L'accordo è stato accettato poi da tutti i lavoratori, tranne la ricorrente, ed è stato ratificato dagli stessi nei corso di un'assemblea sindacale ad hoc, come confermato dai testi (...) e (...) e in risposta ai capitoli 13 e 15 della memoria di costituzione. L'intesa con la quale le parti hanno concordato una riduzione dell'orario di lavoro pari al 12,5% per i lavoratori operanti nell'area di Grosseto in quanto sottoscritta dalla cooperativa convenuta e dalle organizzazioni sindacali, poi ratificata dall'assemblea dei lavoratori, è dunque pienamente legittima ed efficace. Per l'effetto, nessuna illegittima riduzione di orario di lavoro può dirsi realizzata in danno della ricorrente, che, peraltro, ha di fatto rifiutato la proposta formulata dal datore di lavoro (allo scopo di venire incontro alle sue richieste specifiche) di integrare l'orario mancante effettuando 2,5 ore una volta a settimana in fascia oraria però non gradita dalla ricorrente. Né può dirsi fondata - per quel che qui può valere - la lagnanza relativa al rifiuto di prestare attività lavorativa di pulizia ospedaliera in luogo diverso da quello ove era stata prima prestata perché tale diverso luogo è comunque nella città di Grosseto (sebbene in struttura diversa) e attinee all'oggetto del contratto (pulizia ospedaliera). 4.2 In merito alle sanzioni disciplinari. Premesso che non può che essere confermata l'ordinanza del 10.12.2014 atteso che con le note integrative del settembre '14 parte ricorrente vorrebbe procedere non già a una mera (e teoricamente ammissibile) emendatici libelli, ma ad una mutatio libelli, ampliando oltre i limiti consentititi la domanda che verrebbe a configurarsi come nuova con riferimento a ulteriori sanzioni non impugnate con l'originario ricorso (cfr. per tutte Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 15/06/2015 n. 12310). Quanto dunque alle contestazioni disciplinari oggetto dell'originario ricorso, parte ricorrente le collega tutte espressamente al contesto del rifiuto della ricorrente di accettare la modifica oraria quale illegittima ritorsione datoriale. Ebbene tale assunto non è condivisibile e ciò già per una mera ragione di natura temporale. Il primo e il secondo provvedimento disciplinare (ovvero quello del 3.2.2012 e quello del 16.6.2012) sono ampiamente antecedenti rispetto alla modifica contrattuale di cui all'accordo del 8.5.2013. Nel dettaglio, con l'illecito del febbraio 2012 (cfr. doc. 4 di parte ricorrente) parte datoriale contestava alla ricorrente che: "il giorno 2 febbraio 2012 bei, in turno al lavoro dalle ore 6 alle ore 10... non si è presentata in servizio omettendo di comunicare la Sua assenza. Tale Sua mancanza ha causato gravi danni all'organizzazione del servigio di pulizia. Per quanto sopra bei risulta assente ingiustificata nella giornata del 02 febbraio 2012". Nel merito non si rileva alcuna plausibile giustificazione in ordine alla contestazione mossa per cui la sanzione irrogata (ammonizione scritta) deve ritenersi legittima. Altrettanto è a dirsi riguardo alla seconda contestazione del giugno 2012. La ricorrente nella giornata del 16 giugno 2012 (quindi, si ripete, in precedenza rispetto alla modifica dell'orario contrattuale), in turno dalle 6 alle ore 10, ha timbrato l'ingresso alle 6.02, ma ha iniziato l'attività lavorativa alle ore 6.20 circa. La (...) si giustificava (cfr. doc. 8 all. al ricorso) deducendo di non essere in grado di "ricordare esattamente il motivo per il quale ha iniziato la propria prestatone lavorativa alle 6.20 pur avendo timbrato alle 6.02..." La Società comminava quindi la sanzione dell'ammonizione scritta (cfr. doc. 9 all. al ricorso). Il teste ha confermato che la (...) ha iniziato la propria prestazione lavorativa in ritardo rispetto al previsto, peraltro timbrando comunque 18 minuti prima di dare inizio alla propria attività. Anche tale sanzione deve ritenersi motiva, proporzionata e dunque legittima. In realtà anche il terzo procedimento disciplinare è antecedente all'accordo sindacale richiamato perché data 6 maggio 2013, allorché parte datoriale contestava alla (...) quanto segue (cfr. doc. 11 all. al ricorso): "in data 4 maggio 2013 Lei era in servigio dalle ore 6,00 alle ore 10,00 presso gli ambulatori infettivi, chiesa, e reparto psichiatria dell'Ospedale (...). A. seguito di controllo espletato dalla capo cantiere., è stato riscontrato che Lei ometteva la pulizia del Reparto Psichiatria, come da Lei stessa ammesso verbalmente alla Sua referente. Tale mancanza ha reso necessario l'immediato ripristino del servigio, con conseguente disagio all'organizzazione del servigio di pulizie". La lavoratrice si giustificava con la lettera di cui al doc. 12 all. al ricorso; ciononostante veniva adottata la sanzione di un'ora di multa (doc. 16). La lavoratrice avviava quindi procedura di arbitrato ex art. 7 l. 300/70, che si concludeva con il lodo in atti. Tale lodo non è stato impugnato e pertanto la domanda sul punto è inammissibile. Parte convenuta ha poi chiarito che c'è stato un ritardo contabile nella restituzione a seguito del lodo dell'ora di multa comminata (e poi convertita in richiamo scritto), che è stata restituita con la busta paga di luglio '14. Quanto ai procedimento disciplinare di cui al doc. 28 di parte ricorrente risalente al 12.3.2014 (un'ora di multa), la contestazione fa rifermento a mancate presentazioni a lavoro nel turno nel turno dalle 13 alle 15,30 senza giustificazione dell'assenza. Analogamente, con riferimento infine all'ultimo procedimento disciplinare oggetto del ricorso (il quinto), esso riguarda le assenze della (...) in data 3 marzo 2014 ed in data 11 marzo 2014 allorché la lavoratrice non si presentava in servizio nel turno dalle ore 13 alle 15,30 presso il Distretto Socio Sanitario (...) senza comunicare la sua assenza e senza fornire giustificazione. Tanto veniva contestato con lettera del 13 marzo 2014 con la quale si contestava anche la recidiva. In mancanza di giustificazioni della lavoratrice veniva applicata la sanzione di 3 ore di multa (cfr. doc. 33 di parte ricorrente). Come già detto, parte datoriale aveva previsto l'adibizione della ricorrente a un turno pomeridiano settimanale di recupero e ciò per andare incontro alla sua volontà di non vedersi ridotto l'orario di lavoro come avvenuto per tutti gli altri a seguito del predetto accordo aziendale volto al superamento della crisi societaria. Pacifica l'assenza dal luogo di lavoro, tale comportamento non può ritenersi legittimo. E' anzi assolutamente arbitrario il comportamento del lavoratore che di propria iniziativa e senza alcuna preventiva comunicazione rifiuti la prestazione. Se è vero che nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, pur tuttavia -proprio per il suo carattere di tutela immediata senza preventivo intervento giudiziale - il principio per cui inadimplenti non est adimplendum deve trovare giusto contemperamento e può ritenersi legittimo solo in presenza di una marcata gravità dell'altrui inadempimento, cui deve corrispondere una "reazione" comparativamente accettabile della controparte, risolvendosi -diversamente - in una reazione, appunto, arbitraria e come tale illegittima. In tal senso, Cass. Sez. L, Sentenza n. 11430 del 16/05/2006 (Rv. 589056 -01) ha stabilito che giudice, ove venga proposta dalla parte l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum", deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche alio loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460, secondo comma, cod. civ. Tale valutazione rientra nei compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria. Nello stesso senso anche, tra le altre, Cass. 14905/12 che, in applicazione dei suddetti principi, ha ritenuto contraria a buona fede la condotta di una lavoratrice che aveva rifiutato la prestazione e si era assentata dal lavoro per quaranta giorni dopo la scadenza del periodo di astensione per maternità, limitandosi ad eccepire l'inadempimento del datore di lavoro concernente una sola mensilità di retribuzione. Nel caso di specie, non v'è dubbio che tutti i comportamenti contestati alla dipendente siano di oggettiva rilevanza, alla stregua anche dell'id quod plerumque accldit e il loro disvalore ben avrebbe dovuto e potuto essere percepito dalla stessa e le reazioni datoriali, come detto, appaiono proporzionate e adeguate. Quanto al tema del rispetto dei canoni di buona fede e correttezza appena richiamati, non può non rilevarsi come dal complessivo comportamento della lavoratrice emerga una certa avversione verso la controparte, come deve necessariamente dedursi dal rifiuto (l'unico) di qualsiasi soluzione concordata (individuale o collettiva), dal rifiuto poi di svolgere prestazioni che non fossero nel luogo esatto in cui si erano svolte le precedenti, pur in presenza del medesimo tipo di attività (pulizia ospedaliera), nel contesto dell'originario contratto di appalto e pur sempre nel territorio di Grosseto. Non è dato comprendere poi a cosa si riferisca la pretesa di non svolgere le pulizie in un certo reparto piuttosto che quella di svolgerle unicamente in una determinata sede e non anche in altre strutture ospedaliere cittadine. Del pari, non si riesce a spiegare diversamente le reiterate assenze dal lavoro che, seppur motivabili dal punto di vista della ricorrente nel rifiuto di un orario diverso da quello originario, non avrebbero dovuto esimerla, proprio nel rispetto di qui canoni di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, dal preavvisare parte datoriale della propria assenza onde consentirle di provvedere diversamente all'importante attività di pulizia. Va ricordato (in tema, appunto, di gravità dell'inadempimento e, dunque, di valutazione giudiziale del necessario contemperamento dei rispettivi interessi rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, come richiesto dalia S.C.) che l'attività lavorativa della ricorrente aveva a oggetto non attività (pur rilevante) di pulizia all'interno di strutture private (es. un condomino), bensì all'interno di strutture pubbliche sanitarie con connesse, rilevanti, esigenze di rispetto di standard minimi di igiene e decoro. Per tutte le suesposte ragioni il ricorso va respinto. 5. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in base ai parametri per i compensi per l'attività forense di cui al D.M. 10.3.2014 n.55, pubbl. in GU n. 77 del 2.4.2014 (applicabile ratione temporis alla presente liquidazione giusta quanto previsto all'art. 28 del citato D.M.), seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) - disattesa ogni diversa istanza o eccezione, così provvede: 1) rigetta il ricorso; 2) condanna la ricorrente in epigrafe alta rifusione, in favore di (...), delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 610 per compensi di avvocato, oltre IVA e CPA come per legge. Così deciso in Grosseto, 12 settembre 2017. Depositata in Cancelleria il 12 settembre 2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO in composizione monocratica nella persona del magistrato Dott. Gian Marco DE VINCENZI ha deliberato e pubblicato alla udienza del giorno 22/12/2016, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nel procedimento penale celebrato nei confronti di Sc.Fr. nato (...), residente a Meta di Sorrento (NA) Vico San Cristoforo n. 10 - elettivamente domiciliato c/o lo studio dell'avv. Do.LA. sito a Portici (NA) via (...) Libero assente con l'assistenza difensiva dell'avv. Do.LA. e dell'avv. Sa.SE. entrambi del foro di Napoli, di fiducia IMPUTATO R.G.N.R. 458/13 R. DIB. 546/15 1) del reato p. e p. dall'art. 7 comma 1 lett. e) D.Lvo 271/1999, in quanto, quale Comandante della Motonave Co.Co., in occasione del naufragio accaduto in Isola del Giglio il (...), non adottava tutte le misure necessarie ed idonee a limitare al minimo i rischi per i lavoratori marittimi imbarcati. 2) del reato p. e p. dall'art. 8 1 comma lett. g) D.L.vo 271/99, in quanto, nella medesima qualità di cui al capo che precede, non attuava con diligenza le procedure di emergenza emesse dall'armatore in caso di sinistro marittimo e previste dall'art. 5 lett. h) e 6 del predetto Decreto Legislativo. R.G.N.R. 1391/13 R. DIB. 1239/15 Del reato p. e p. dall'art. 110 e 734 c.p., perché quale Comandante della nave Co.Co., in concorso tra di loro con AM.Ci. quale primo ufficiale di coperta della nave Co.Co., capo del turno di guardia tra le ore 20.00 e le ore 24.00 e poi in sottordine dopo l'assunzione del comando da parte di Fr.Sc. e Co.Si. quale terzo ufficiale di coperta della nave Co.Co. e Ja.Ru. quale timoniere, in sottordine nel turno di guardia tra le ore 20.00 e le ore 24.00 (nei cui confronti si procede separatamente), a seguito del naufragio, della Motonave Co.Co. causato per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia e in violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, ed in particolare e tra l'altro: SCHETTINO - omettendo di assicurarsi che la rotta prevista fosse stata pianificata usando adeguate e appropriate carte nautiche e altre pubblicazioni nautiche necessarie per il viaggio previsto, contenenti precise, complete ed aggiornate informazioni riguardanti quelle restrizioni per la navigazione ed i rischi che sono di natura permanente o prevedibile e che sono pertinenti per la sicura navigazione della nave; - omettendo di prendere in adeguata considerazione i pericoli conseguenti ad una navigazione non compiutamente pianificata e comunque poi effettuata in concreto senza avere in dotazione e comunque senza la materiale disponibilità di adeguata cartografia tradizionale di maggiore dettaglio e in particolare della necessaria carta nautica n. 119 - scala 1:20.000 - dell'Istituto Idrografico della Marina Militare Italiana; - avvicinandosi eccessivamente ed immotivatamente alla costa dell'Isola del Giglio, omettendo di verificare che la nave seguisse una rotta sicura, discostandosi dalla rotta precedentemente tracciata in rettifica a quella originaria e non percependo per tempo - né direttamente, né mediante la strumentazione di bordo - la presenza di scogli e bassi fondali in prossimità della nuova rotta al momento seguita; - mantenendo, in navigazione in acque ristrette e con la prua quasi perpendicolare alla linea di costa, una velocità prossima ai 16 nodi, nonostante la prossimità di ostacoli, la presenza di bassi fondali, le condizioni di manovrabilità della nave - con speciale riferimento alla distanza di arresto ed alle sue qualità evolutive nelle condizioni del momento - e l'ora notturna; - dando al timoniere con elevatissima frequenza ordini sulla rotta da seguire, senza specificare la velocità dell'accostata e in genere il tempo massimo di esecuzione dell'ordine impartito (ed anzi, in una occasione, indicando che l'ordine doveva essere eseguito lentamente e in maniera non brusca); - non eseguendo, con decisione ed ampio margine di tempo e con il dovuto rispetto delle buone regole dell'arte marinara, ogni manovra opportuna per evitare la collisione della nave contro un basso fondale, così da aprire una falla nella parte sinistra dello scafo (e pertanto anche in violazione della Regola n. 8 del suddetto Regolamento Colreg); ... (omissis) ... In Isola del Giglio, dal 13 gennaio 2012 al 23 luglio 2014 con intervento di parte civile costituita in persona del Ministero dell'Ambiente in persona del Ministro pro - tempore con l'assistenza difensiva dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze ed in particolare dell'avv. Pa.PI. del foro di Grosseto, con intervento di parte civile costituita in persona dell'Associazione Le. ONLUS con l'assistenza difensiva dell'avv. Lu.PE. del foro di Roma con intervento di parte civile costituita in persona dell'Associazione Ente Protezione Animali con l'assistenza difensiva dell'avv. Cl.RI. del foro di Roma con intervento di parte civile costituita in persona dell'Associazione Nazionale Mutilati Invalidi del Lavoro ONLUS con l'assistenza difensiva dell'avv. Ma.GA. del foro di Roma con intervento del responsabile civile in persona di Co. S.p.A. con l'assistenza difensiva dell'avv. Ma.DE. del foro di Milano FATTO E DIRITTO Il Giudice, all'esito dell'esperita istruttoria, osserva: deve essere dichiarata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai fatti - reato oggetto dei procedimenti riuniti nn. 458/13 e 1391/13 RGNR, entrambi originati dal noto naufragio della Motonave "Co.Co.", occorso il 13.1.2012 nei pressi dell'Isola del Giglio (GR) ed a seguito del quale perivano 32 persone, tra i quali cinque membri dell'equipaggio, mentre almeno altre 193 riportavano lesioni. In questa sede, a Fr.Sc., quale comandante (ed al contempo lavoratore marittimo) della detta imbarcazione, sono in primo luogo ascritte le contravvenzioni di cui agli artt. 7 c. 1 lett. e) ed 8 c. 1 lett. g) del D. L.vo n. 271/99 per non aver adottato, in occasione del naufragio de quo, tutte le misure necessarie ed idonee a limitare al minimo i rischi per i lavoratori marittimi imbarcati sulla motonave, non attuando altresì con la dovuta diligenza le procedure d'emergenza previste dall'armatore. Molteplici sono le fonti normative, internazionali ed inteme, dettate in tema di sicurezza della navigazione, cui si aggiungono le prescrizioni necessariamente adottate dalla singola compagnia di navigazione, concernenti, tra l'altro, la gestione dell'emergenza cagionata dall'eventuale sinistro marittimo. Le principali fonti internazionali sono costituite dalla Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (Convention for the Safety of Life at Sea, c. d. "SOLAS") e dal Codice Internazionale di gestione della sicurezza (International Safety Management Code c.d. "ISM"), nel mentre, sul fronte interno, si segnala il D.M. 218.12.95, il quale, recependo il disposto delle richiamate convenzioni, impone alle compagnie di navigazione la redazione di un "Safety Management System" (c.d. SMS), manuale, disponibile anche a bordo delle navi, soggetto al controllo dell'autorità ministeriale preposta al rilascio del c.d. certificato ISM. In ottemperanza al detto D.M. la "Co. S.p.A." emanava apposito manuale "SMS", contenente in particolare le procedure per la gestione della sicurezza a bordo, linee guida delle operazioni da attuare in caso di emergenza la cui applicazione ricade nella responsabilità del comandante. Rilevante si appalesa altresì il D.P.R. n. 435/91, il cui art. 293 prevede che il Comandante, prima della partenza dell'imbarcazione, proceda a redigere il c. d. "ruolo d'appello", nel quale sono determinati i compiti di ciascun membro dell'equipaggio qualora si manifesti una situazione di crisi. Nel caso di specie, la condotta dell'imputato, contrassegnata colposamente da numerose violazioni alle prescrizioni di sicurezza individuate a livello normativo e dall'armatore, può essere esaurientemente ricostruita grazie ai dati forniti dal "Voyage Data Recorder - VDR" (c.d. scatola nera), oggettiva registrazione di quanto accaduto nella plancia di comando, nonché del funzionamento dei sistemi di bordo, i cui dati sono stati estrapolati dai periti nel corso dell'incidente probatorio pertinente al procedimento n. 285/12, nel quale l'attuale prevenuto era imputato, tra l'altro, di naufragio e parziale sommersione colposa della nave, oltre che di omicidio e lesioni colpose, abbandono della nave ed omissione di soccorso, reati per i quali Schettino era giudicato colpevole in primo ed in secondo grado, rispettivamente, dal Tribunale di Grosseto e dalla Corte d'Appello di Firenze. Nel corso del detto procedimento i tecnici procedevano altresì a perizia fonica per l'individuazione delle voci registrate dall'apparecchio nonché alla c. d. "timeline", con la sincronizzazione delle registrazioni provenienti dalle postazioni microfoniche interne alla plancia, assegnando un preciso riferimento temporale ad ogni intervento dei vari soggetti presenti. Tutte le richiamate relazioni peritali sono state prodotte dal Pubblico Ministero, ai sensi dell'art. 238 c.p.p. e con il consenso delle parti, nel presente giudizio. Orbene, sulla base del richiamato compendio probatorio, cui si aggiungono le considerazioni espresse dal teste Gi., tecnico del servizio prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro dell'ASL, escusso all'udienza del 13.9.2016, emergono a carico dello Schettino, nella concitata fase successiva all'impatto della "Co." con gli scogli denominati "Le.", verificatosi alle ore 21:45:07 ed all'origine della falla venutasi a creare nell'imbarcazione, i seguenti profili di colpa, rilevanti ai fini della normativa posta a tutela della sicurezza ed incolumità dei lavoratori marittimi: 1) omesso invio del segnale in codice "Delta-Xray" e conseguente mancata attivazione e coordinamento della procedura antifalla; 2) omessa tempestiva attivazione della Centrale Operativa (COP), composta dal comandante in seconda, dal primo ufficiale di macchina e dal primo elettricista, da inviare nei locali interessati dalla falla per verificarne i danni, attivando le squadre preposte alle necessarie operazioni; 3) omessa nomina di uno Ship Crisis Coordinator (SCC) delegato a mantenere le comunicazioni con l'armatore, onde potersi dedicare unicamente alla gestione dell'emergenza; 4) omessa costituzione del Crisis Commitlee Shipside (CC-Ship), impedendo così la necessaria circolazione delle informazioni e non avvalendosi del supporto tecnico di figure quali il già richiamato direttore di macchina; 5) ritardo nell'emettere il segnale di emergenza generale, impedendo così l'efficiente e tempestivo raduno (anche) dei membri dell'equipaggio nei punti raccolta, operazione preliminare all'imbarco sulle scialuppe di salvataggio; 6) omessa comunicazione personale del segnale di emergenza, dato infine irritualmente e senza gli avvisi complementari; 7) ritardo nell'emissione dei segnali (distress e mayday) volti ad assicurare tempestivi ed efficienti soccorsi estemi; 8) reiterate false comunicazioni (anche) all'equipaggio (in specie facendo riferire l'esistenza di un mero blackout elettrico), così impedendo nuovamente il tempestivo svolgimento delle operazioni di raccolta e salvataggio; 9) omesso tempestivo ordine di abbandono nave, ritardo all'origine dei problemi verificatisi nell'ammaino delle scialuppe di salvataggio in ragione dell'inclinazione ormai assunta dalla nave; 10) omessa personale comunicazione dell'abbandono della nave, ordine dato infatti "ritualmente e senza gli avvisi complementari dal comandante in seconda, omissioni e ritardi costituenti, tutti, violazioni al disposto della Convenzione SO., del regolamento di sicurezza adottato con il D.P.R. n. 435/91 nonché delle procedure contenute nel manuale SMS predisposto dall'armatore. Se la generalità delle menzionate condotte omissive integrano i reati di cui agli artt. 7 ed 8 del richiamato D.L.vo n. 271/99, concementi in modo specifico il Comandante della nave, in ragione della posizione di garanzia da questi assunto per la tutela dell'incolumità del personale in servizio, di particolare rilevanza si appalesano le violazioni di cui ai punti nn. 5) e 9), omissioni e ritardi ingiustificati forieri di gravissimi rischi, come poi rivelatosi nella concreta dinamica di quanto accaduto a bordo della "Co.Co.". Riguardo al punto 5), come emerge dalle comunicazioni, registrate dal VDR ed in atti, tra le ore 21.49 e le 21.52 l'imputato, presente in plancia, a seguito dei contatti intrattenuti con il direttore di macchina Pi., era consapevole della falla creatasi a seguito della collisione con gli scogli, del venir meno della propulsione e del governo del timone, dell'allagamento di due compartimenti, di cui uno, il n. 6) ove era ubicato il quadro elettrico, eventi implicanti, tra l'altro, come disposto dall'armatore ed indicato dai periti, l'immediata comunicazione con la Direzione Marittima di Livorno e, soprattutto, l'invio del segnale di emergenza generale, omesso anche alle successive ore 22, quando al Comandante era ancora comunicato l'allagamento di ben tre compartimenti contigui, con conseguente superamento della c.d. soglia di galleggiabilità dell'imbarcazione, come indicato dalla documentazione di bordo. Solo alle ore 22.33 veniva disposta l'emergenza generale, peraltro con modalità irrituali ed in assenza dei prescritti avvisi complementari, ritardo all'origine del mancato tempestivo ed ordinato raduno dell'equipaggio in prossimità delle scialuppe di salvataggio. Circa poi il punto sub 9), pur sapendo dalle ore 22 che, a seguito dell'allagamento di tre compartimenti contigui, ed a cagione delle ulteriori gravi avarie, non era più assicurata la galleggiabilità ed il governo della nave, nuovamente in palese violazione del manuale redatto dalla "Co. S.p.a.", il prevenuto ritardava fino alle 22.54 l'ordine di abbandono dell'imbarcazione, annuncio dato irritualmente, su indicazione dello Schettino, dal Comandante in seconda Bosio solo via radio ed in inglese, consentendo ai capi-lancia di aprire i cancelletti ed imbarcare (anche) il personale sulle scialuppe quando ormai tuttavia l'inclinazione del naviglio, in parte già sommerso, rendeva pericolosa o talora impossibile l'accesso alle lance. Così riassunte le emergenze istruttorie, non possono esservi dubbi riguardo la penale responsabilità dell'imputato in ordine alle plurime violazioni delle disposizioni normative, regolamentari e predisposte dall'armatore, previste a tutela del personale imbarcato. Egualmente, il prevenuto è riconosciuto responsabile, quale Comandante della "Co.Co.", in concorso con i soggetti indicati nel relativo capo d'imputazione, nei confronti dei quali si è proceduto separatamente, del reato di alterazione di bellezze naturali di cui all'art. 734 c.p., verificatosi a seguito del naufragio e della parziale sommersione dell'imbarcazione. Come più sopra ricordato infatti, attorno alle ore 21.45 del 13.1.2012 la nave urtava gli scogli denominati "Le.", affioranti a poca distanza dall'Isola del Giglio, riportando una deformazione nello scafo e due lacerazioni, implicanti l'entrata di migliaia di metri cubi d'acqua al minuto, cui seguiva il venir meno della galleggiabilità, finendo il naviglio per incagliarsi e parzialmente capovolgersi a circa trenta metri dalla punta denominata della Ga., ivi giacendo il relitto fino alla difficoltosa rimozione. Anche in questo caso, numerosi sono i profili di colpa, generica e specifica, ascrivibili allo Schettino e causalmente determinanti, unitamente alle condotte dei correi ex art. 41 c.p., nel provocare il naufragio in esame. Nuovamente, si evince dalla documentazione di bordo, dalle perizie e dalle registrazioni effettuate dal sistema VDR, in atti, che l'imputato, omesso di pianificare la rotta utilizzando adeguata cartografia, di cui non aveva la materiale disponibilità, si avvicinava eccessivamente, dopo aver assunto il comando, alla costa dell'isola, non verificando in modo adeguato la sicurezza della rotta, ciò al fine di impressionare, come espressamente dichiarato dallo Schettino agli altri ufficiali presenti in plancia, un proprio ex superiore, il comandante Palombo, con il quale si vantava infatti telefonicamente della manovra poco prima dell'urto fatale per il naviglio. Inoltre, discostandosi in modo imperito ed imprudente dalla corrette regole di navigazione, manteneva una velocità prossima ai 16 nodi, nonostante l'ora notturna, le difficili condizioni di manovrabilità proprie dell'enorme imbarcazione, la presenza di scogli e di bassi fondali, di cui non si avvedeva neppure mediante la strumentazione di bordo, non riuscendo infine ad evitare la collisione con il basso fondale, dopo aver impartito confusi ordini al timoniere sulla rotta da seguire in prossimità degli ostacoli naturali. Peraltro, nel presente giudizio non vi sono state, da parte dell'imputato e del responsabile civile "Co. S.p.A.", sostanziali contestazioni riguardo le responsabilità dello Schettino nel naufragio, concentrandosi la discussione sull'effettiva sussistenza del reato in parola, prospettando le difese la supposta assenza di reale nocumento alle bellezze naturali e negando in ogni caso che i luoghi in concreto oggetto di eventuale deturpamento siano, come previsto dalla norma incriminatrice, soggetti alla speciale protezione dell'Autorità. In questo senso, le difese richiamavano le conclusioni degli stessi consulenti del Pubblico Ministero, i quali, escussi all'udienza del 12.7.16, premesso come a seguito del naufragio siano riscontrabili danni al solo ambiente marino, ed in particolare ai fondali prossimi alla punta Ga., evidenziavano l'esistenza di provvedimenti amministrativi volti ad istituire forme di particolare tutela unicamente per la parte terrestre dell'Is. Rilevano infatti i periti come la delibera n. 35/11 adottata dalla Regione Toscana escluda il mare circostante il Giglio, a differenza di quello pertinente ad altre isole vicine quali ad esempio Montecristo, dai siti d'importanza comunitaria (SIC) valutati zone di protezione speciale (ZPS), protezione riservata invece alla sola parte emersa, con esclusione dei centri abitati, già ricompresa nel Parco Naturale dell'Arcipelago Toscano, il cui territorio parimenti non ricomprende neppure la totalità dell'estensione terrestre dell'isola, escludendo ancora i tecnici che l'area marina circostante sia inserita nel c.d. "Santuario dei mammiferi marini", zona di particolare protezione dei cetacei, (cifr. relazione datata 20.11.13 alle pagg. 16 e segg., depositata all'udienza del 12.7.16). Giova altresì sottolineare come non sia utilizzabile, al fine di estendere anche agli ambienti acquatici la speciale protezione richiesta dall'art. 734 c.p., il disposto dell'art. 142 c. 1 lett. a) del D. L.vo n. 42/04, nonna la quale, a differenza di quanto sostenuto dal Pubblico Ministero nel capo d'imputazione in esame, limita la tutela ex lege delle bellezze naturali e paesaggistiche ai territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, non ricomprendendo quindi gli specchi d'acqua antistanti la costa. Dovendosi quindi limitare, nel caso concreto, alle sole terre emerse dell'Isola, ricomprese nel SIC e nell'area del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano, la rilevanza dell'eventuale distruzione o deturpamento di bellezze naturali, il reato deve ritenersi comunque integrato. In primo luogo, come pacificamente riconosciuto dalla generalità dei consulenti, l'impatto dell'imbarcazione con "Le.", scogli emergenti dal mare da considerarsi quindi parte della piattaforma terrestre dell'isola, ha provocato il distacco di parte del materiale roccioso costitutivo, con conseguente parziale distruzione degli stessi. Ancora, come rileva il consulente nominato dal Ministero dell'Ambiente nella propria deposizione resa all'udienza del 12.7.16, la presenza per anni del relitto della motonave in prossimità della costa dell'isola, cui si aggiungeva la complessa attività di cantiere necessaria alla rimozione dell'imbarcazione, implicante la costante presenza di uomini e mezzi tecnici, ha influito negativamente sul prospiciente territorio terrestre, sottoposto, unitamente alla flora ed alla fauna ivi insediata, ad un prolungato stress dovuto all'inquinamento acustico ed antropico delle aree, significativamente alterate nel loro equilibrio naturalistico, conclusioni che, a parere del giudicante, non possono ritenersi confutate neppure dalle avverse considerazioni espresse dal consulente del responsabile civile. In terzo luogo, e sopra tutto, rileva l'esteso ambito d'applicazione del disposto dell'art. 734 c.p., nel suo elemento materiale, come interpretato dalla pressoché unanime dottrina e giurisprudenza, anche di legittimità. Non soltanto infatti non occorre, per integrare la contravvenzione in esame, la materiale ed irreparabile distruzione del paesaggio, nelle sue componenti naturali e culturali, essendo sufficiente un deturpamento anche temporaneo e transitorio del bene protetto, ma neppure è necessario che l'alterazione si concretizzi in attività edificatorie, sbancamenti, demolizioni, distruzione di vegetazione ecc., bastando l'avvenuta rottura dell'equilibrio paesaggistico, ivi compresa l'alterazione panoramica o la diminuzione del godimento estetico insito nella natura caratterizzante il territorio oggetto di particolare protezione. Nel caso di specie, il naufragio della "Co.Co." e le conseguenti attività di cantiere, volte alla rimozione del relitto ed al ripristino dei fondali, protrattesi per anni e localizzate a poca distanza dalla linea costiera, hanno certamente provocato, pur restringendo l'analisi alle sole terre emerse, quella "turbativa della visione di bellezza estetica e panoramica offerta dalla natura" cui, da ultimo si riferisce Cass. Pen. sez. III n. 10030/2015 nel delineare l'elemento oggettivo del reato contestato, tenuto conto della particolare bellezza e peculiarità storico - ambientali del paesaggio e dell'ecosistema dell'area gigliese. Sussistono quindi integralmente i presupposti materiali e psicologici richiesti dalla norma incriminatrice. Deve inoltre escludersi che i reati contestati all'imputato possano ritenersi tra loro uniti dal vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., non essendo configurabile da parte del prevenuto, data la natura colposa delle condotte, l'ideazione di un medesimo disegno criminoso. Riguardo il trattamento sanzionatorio, tenuto conto della particolare gravità dei fatti, delle modalità delle condotte poste in essere, dell'elevato grado di colpa dimostrato dall'imputato nelle circostanze in esame e di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., in assenza di ragioni atte a fondare la concessione delle attenuanti generiche, appare adeguato determinare le pene come segue: - per il reato di cui all'art. 7 D.L.vo n. 271/99, mesi tre di arresto; - quanto alla contravvenzione prevista dall'art. 8 D.L.vo n. 271/99, giorni quindici di arresto; - in relazione infine al reato di cui all'art. 734 c.p., Euio 5.000 di ammenda. Ne consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Sussistono allo stato i presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Venendo infine alle conseguenze civili del reato, giusto il disposto degli artt. 538 e segg. c.p.p., l'imputato è inoltre condannato, in solido con il responsabile civile ed armatore "Co. S.p.a.", in persona del legale rappresentante protempore ed ai sensi degli artt. 2049 c.c. e 274 c.nav., alle riparazioni e/o al risarcimento dei danni arrecati alle costituite parti civili Ministero dell'Ambiente, associazione "Le. Onlus", associazione "Ente Protezione Animali" ed "Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro", uniche fra le originarie parti civile a formulare ritualmente le conclusioni, quanto al fatto-reato rispettivamente oggetto di costituzione. Non vi è dubbio infatti che il disposto dibattimento abbia consentito di stabilire, riguardo l'an della pretesa risarcitoria, l'avvenuta lesione degli interessi e dei beni giuridici tutelati dagli apparati istituzionali, enti ed associazioni rappresentative di cui sopra, per ciò legittimati all'intervento nel processo, ed in particolare dell'integrità territoriale - naturalistica quanto al Ministero dell'Ambiente, "Le." ed "Ente Protezione Animali", la salvaguardia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro per "ANMIL". Difettano invece allo stato elementi sufficienti per l'individuazione degli strumenti riparatori (e ciò vale in particolare per il Ministero dell'Ambiente) e/o per la quantificazione del danno, da determinarsi in separata sede, anche al fine di evitare duplicazioni con le voci di danno e le modalità reintegratorie conseguenti alla condanna già formulata in primo e secondo grado nel procedimento n. 285/12 RGNR, escludendo in ogni caso l'ammissibilità nel nostro ordinamento dei darmi c.d. "punitivi" prospettati da "ANMIL". Sc.Fr. e "Co. S.p.a." debbono infine essere condannati alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalle dette parti civili, liquidate, in ragione della natura, complessità e durata del procedimento oltre che dell'impegno professionale profuso, in Euro 2.500 ciascuno, oltre oneri di legge, per "Le.", "Ente Protezione Animali" ed "ANMIL" ed Euro 5.000 oltre oneri di legge per il Ministero dell'Ambiente. P.Q.M. visto P articolo 533 c.p.p. DICHIARA l'imputato responsabile dei reati ascrittigli, condannandolo perciò: - quanto alla contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. alla pena di Euro 5.000 di ammenda; - in relazione alla violazione di cui all'art. 7 D.L.vo n. 271/99 alla pena di mesi tre di arresto: - circa infine il reato di cui all'art. 8 D. Lvo n. 271/99 alla pena di giorni quindici di arresto. Ne consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. visti gli artt. 538 e segg. c.p.p. CONDANNA altresì il prevenuto ed il responsabile civile "Co. S.p.a.", in solido tra loro, al risarcimento dei danni arrecati alle parti civili Ministero dell'Ambiente, associazione "Le.", associazione "Ente Protezione Animali" ed "Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro" e quanto al fatto - reato oggetto di costituzione, da liquidarsi in separata sede. Condanna ancora i predetti al pagamento delle spese di giudizio sostenute dalle indicate parti civili, liquidate in: - Euro 5.000 oltre oneri di legge per il Ministero dell'Ambiente; - Euro 2.500 oltre oneri di legge per "Le.", "Ente Protezione Animali" ed "ANMIL". Deposito della motivazione entro giorni 90. Così deciso in Grosseto il 22 dicembre 2016. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO insediato in composizione monocratica nella persona del magistrato Dott. Marco MEZZALUNA ha deliberato e pubblicato alla udienza del giorno 06/07/2015, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nel giudizio relativo al procedimento penale celebrato nei confronti di GI.RI. nata (...), residente a Grosseto viale (...) - domicilio dichiarato Libera assente con l'assistenza difensiva dell'avv. Ri.LO. del foro di Grosseto, di fiducia sulla base della imputazione così formulata dal pubblico ministero: del delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. cp e 2 D.L. 12.09.1983 n. 463 convertito in legge 11.11.1983 n. 638 per avere, con più azioni consecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di titolare della Ditta "AN.", con sede in Monte Argentario (GR) Loc. Pozzarello Via (...), e quindi di datore di lavoro omesso di versare all'I.N.P.S. le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori nei mesi di aprile, giugno, luglio, agosto, ottobre, novembre e dicembre 2008; gennaio e febbraio 2009 per la somma complessiva di Euro 785,00. MOTIVAZIONE L'imputata Gi.Ri. è stata citata dinanzi a questo Tribunale a seguito dell'opposizione presentata avverso il decreto penale di condanna n. 201/13, emesso dal GIP di questo Tribunale in data 19/3/2013, che la condannava al pagamento della somma di Euro 867,00 di multa per il reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv. c.p. e 2 D.L. n. 463/1983, convertito in L. n. 638/1983, per non versato all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori nei mesi di aprile, giugno, luglio, agosto, ottobre, novembre e dicembre 2009, nonché nel mese di gennaio e febbraio 2009, per un importo complessivo di Euro 785,00. L'omesso versamento costituisce fatto pacifico e provato, così come pacifica è la determinazione del debito contributivo sulla base dei modelli DM 10 provenienti dallo stesso datore di lavoro. Con specifico riferimento, infatti, a quest'ultimo aspetto nonché a quello ad esso strettamente connesso della prova dell'effettivo pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti, si osserva quanto segue. L'effettivo pagamento delle retribuzioni costituisce il presupposto del reato, non configurabile in assenza del materiale esborso delle somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione. Ciò in quanto il riferimento letterale alle "ritenute operate" sulla retribuzione contenuto nel precetto, va necessariamente inteso nel senso che non può essere operata alcuna ritenuta senza il correlativo pagamento della somma dovuta al creditore (cfr. Cass. Sez. Un. n. 27641 del 28/5/2003 Rv. 224609). Ciò chiarito, questa prova può essere desunta dalla documentazione aziendale ed in particolare da quella predisposta dal medesimo datore di lavoro. Ed invero, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti ed i correlativi obblighi contributivi verso l'I.N.P.S. (i cosiddetti modelli DM 10) "hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale all'attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi" (Cfr. Cass. Sez. 3 n. 37145 del 10/4/2013 Rv. 256957). Nel caso di specie, il modello DM 10 inviato dall'imputata attesta l'esistenza ed esigibilità di tale obbligo, a fronte del versamento ivi dichiarato delle retribuzioni ai dipendenti (cfr. documentazione prodotta dal PM all'udienza del 6/7/2015). Tanto basta per ritenere integrato il reato contestato, sussistendone tutti i relativi presupposti (rituale invio della diffida, scadenza del termine per provvedere al pagamento, omesso volontario pagamento delle somme attestate nel DM 10). Così accertata l'esistenza di un fatto tipico, antigiuridico ed integrante la fattispecie astratta prevista dal legislatore, si tratta di valutare se nella condotta sopra descritta sia dato rinvenire la speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, recentemente introdotta dal D.L.vo 16 marzo 2015, n. 28, pubblicato in GU 18 marzo 2015, n. 64, con il quale è stato inserito l'art. 131 bis c.p., destinato ad operare in tutti i procedimenti in corso (Cfr. sull'immediata applicabilità della nuova disciplina a tutti i processi in corso, Cass. Sez. III 8 aprile 2015, dep. 15 aprile 2015, n. 15449). L'art. 131 bis cp prevede, com'è noto, una nuova causa di non punibilità, già prevista nel processo minorile dall'art. 27 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che va inquadrata tra le cause di non punibilità in senso stretto, fondate su considerazioni di opportunità politica che inducono il legislatore a rinunziare all'inflizione della pena (pur in presenza di un fatto tipico e antigiuridico, colpevole) per ragioni di particolari qualità dell'imputato, come nel caso dell'immunità di diritto internazionale; ovvero per i rapporti con l'offeso, come accade nella speciale causa di non punibilità nei delitti contro il patrimonio ex art. 649 c.p.; o ancora per ragioni di politica criminale, come nel caso di specie, al fine di consentire la rapida fuoriuscita dal circuito penale di quei soggetti la cui condotta deviante appare una sorta di incidente di percorso, con ricadute minime in termini di danno o allarme sociale. Accanto a questa finalità vi è anche un chiaro intento deflattivo, perseguito nel caso di specie con la previsione di cui all'art. 469 comma 1 bis c.p.p., introdotto dall'art. 3, comma 1 lett. b) D.Lvo n. 28/2015, che consente il proscioglimento predibattimentale alla ricorrenza dei presupposti previsti dall'art. 131 bis c.p. e, prima ancora, con le norme che consentono analoga pronuncia sin dalle indagini preliminari, con il decreto di archiviazione, soggetto ad iscrizione nel casellario giudiziale al pari delle sentenze pronunciate per tale motivo. Primo presupposto per l'applicazione dell'istituto è che la pena detentiva prevista dalla norma sanzionatoria non superi i cinque anni, anche laddove prevista congiuntamente ad una pena pecuniaria che, quindi, di per sé non influisce sulla quantificazione della pena, consentendo sempre l'applicazione della causa di non punibilità, a prescindere dalla sua entità. Si tratta di un limite di pena assai elevato (in astratto sarebbe possibile ricorrere addirittura a misure cautelari nella fase delle indagini preliminari), che indubbiamente rende arduo ritenere che con tale causa di non punibilità il legislatore abbia inteso perseguire una strategia di c.d. diversion, ovvero evitare di far ricorso alla sanzione penale per reati ed bagatellari; viene, viceversa, valorizzata l'altra finalità, ovvero quella di evitare il ricorso a sanzioni penali per reati occasionali e senza allarme sociale, per assenza di danno e/o pericolo, al contempo perseguendo una esigenza deflattiva, senza i costi e le difficoltà, in termini politici, di una depenalizzazione. Quanto alla quantificazione della pena detentiva, non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle ad effetto speciale o per le quali è prevista una pena di specie diversa (quindi anche della recidiva, purché ovviamente contestata, di cui all'art. 99 commi secondo e seguenti c.p., con esclusione di quella semplice in quanto l'aumento è limitato ad un terzo), ma in tal caso non opera il giudizio di bilanciamento delle circostanze ai sensi dell'art. 69 c.p. Il requisito fondamentale è dato dalle modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo che, valutati secondo il parametro stabilito per la determinazione della gravità del reato dall'art. 133 comma 1 c.p., devono condurre ad un giudizio di particolare tenuità dell'offesa arrecata e ad una valutazione di non abitualità del comportamento deviante. La particolare tenuità del fatto scaturisce, pertanto, da una convergenza tra la particolare tenuità dell'offesa arrecata al bene giuridico oggetto di tutela da parte della norma incriminatrice, da un lato, e comportamento non abituale, dall'altro. In questo giudizio devono essere utilizzati i parametri normativi stabiliti dall'art. 133 comma 1 c.p. e, quindi, in primo luogo la consistenza oggettiva della condotta (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo luogo ed ogni altra modalità dell'azione), sia essa commissiva od omissiva; la gravità delle conseguenze arrecate alla persona offesa ed, infine, l'intensità del dolo ovvero il grado della colpa. Il legislatore ha effettuato una predeterminazione legale sia della non particolare tenuità del fatto che dell'abitualità del comportamento, prevedendo espressamente al secondo comma dell'art. 131 bis c.p. che l'esistenza di motivi abietti o futili, l'aver agito con crudeltà, anche nei confronti di animali, l'aver adoperato sevizie ovvero l'aver approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche con riferimento alla sua età, non possono mai condurre ad un giudizio di particolare tenuità dell'offesa e, quindi, del fatto ascritto. Alla medesima conclusione si giunge anche nel caso in cui dalla condotta siano scaturite, quali conseguenze non volute secondo il modello d'imputazione previsto dall'art. 586 c.p. (con la necessità, quindi, che l'evento sia in concreto prevedibile e, quindi, prevenibile), la morte o le lesioni gravissime di una persona. Quanto al requisito della non abitualità del comportamento, il terzo comma dell'art. 131 - bis c.p. fornisce all'interprete tre criteri predeterminati dai quali desumere l'abitualità del comportamento, a partire dalla dichiarazione di cui agli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p. (delinquenza abituale, professionale o per tendenza), costituente predeterminazione legale di abitualità del comportamento, al pari del secondo criterio della commissione di più reati della stessa indole (anche se ciascun fatto può essere considerare di particolare tenuità). Questi due criteri attengono, a parere di questo giudicante, alla storia per così dire criminale dell'agente, riferendosi il primo all'evenienza più grave che vi sia stata una statuizione dichiarativa di una delle qualità soggettive sopra citate, di per sé costituente presunzione assoluta di abitualità del comportamento. Il secondo parametro attiene, viceversa, alla circostanza che l'agente abbia commesso più reati della stessa indole, da individuarsi necessariamente secondo la nozione legale contenuta nell'art. 101 c.p. I reati della stessa indole sono, infatti, identificati attraverso due distinti criteri, il primo, di tipo formale, che individua l'omogeneità tra reati sulla base della violazione della medesima disposizione di legge, mentre il secondo criterio è di tipo sostanziale ed attiene alla comunanza dei caratteri fondamentali, desumibili, alternativamente, dalla natura dei fatti costitutivi, attraverso quindi un criterio oggettivo, ovvero dai motivi che ne hanno determinato la commissione, così ricorrendo ad un criterio soggettivo. Quanto al criterio ed oggettivo, il termine "fatto" va inteso come l'insieme degli elementi oggettivi caratterizzanti il reato come specifica forma di offesa ad un bene giuridico e nella sua esatta determinazione non si può prescindere dal principale criterio ermeneutico costituito dal bene e/o interesse giuridico protetto dalla norma incriminatrice. Sussiste, pertanto, la stessa indole tra reati, ancorché contenuti in diverse disposizione di legge, laddove il bene e/o interesse giuridico leso dalla condotta sia lo stesso o quantomeno appartenente al medesimo genus. Con riferimento, poi, ai motivi, si tratta di una nozione più ampia di quella dell'elemento psicologico del reato, che consente di rinvenire l'omogeneità tra reati anche in caso di affinità di motivazioni alla base della condotta in concreto posta in essere, purché tale da conferire ai reati caratteri psicologici fondamentali comuni. Il terzo criterio predeterminato dal legislatore per stabilire l'abitualità del comportamento attiene, a differenza dei primi due, al reato commesso che non deve avere ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, pena la qualificazione del comportamento come abituale e, quindi, l'esclusione dall'area di operatività della causa di non punibilità in questione. Si tratta di un criterio che potremo definire ontologico in quanto ha riguardo all'essenza del reato commesso, escludendo dall'ambito di applicazione della causa di non punibilità un'ampia e rilevante fetta di reati, tutti caratterizzati dal fatto che le condotte costitutive devono necessariamente essere plurime, abituali e reiterate, come nel caso del reato previsto dall'art. 612 bis o di quelli previsti dagli artt. 570 e 572, 1 comma cp. Mentre con riferimento al primo criterio sopra esposto, non sorgono problemi interpretativi, con riferimento sia al secondo che, soprattutto, al terzo si pongono non pochi problemi di esatta determinazione dell'ambito di applicazione, con particolare riferimento al reato continuato ovvero al concorso formale di reati. Per quello che rileva in questa sede il problema da risolvere è se in presenza di un reato continuato sia in radice esclusa la possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità introdotta dall'art. 131 - bis c.p., potendo la continuazione rientrare sia nel secondo (sotto il profilo della ricorrenza della medesima indole tra i più reati commessi) che nel terzo (quale reiterazione di condotte) dei criteri sopra esposti. Qui di seguito verranno esposti i motivi per i quali questo giudicante ritiene non conforme tale soluzione alla lettera ed alla ratio della legge. Come si desume dai lavori parlamentari e dalla relazione di accompagnamento, il legislatore delegato ha scrupolosamente osservato l'indicazione della delega, nella parte in cui ha utilizzato un concetto diverso da quello più usuale di "occasionalità" del fatto. Il non aver utilizzato quest'ultimo concetto e, viceversa, essersi richiamato ad un comportamento abituale, lascia chiaramente intendere che l'abitualità ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto sia quella collegata ad un rapporto di seriazione del reato oggetto del processo, con uno o più episodi criminosi passati, ad essi collegato da sorta di catena comportamentale. L'aver eliminato, tra le cause ostative, la recidiva che, quindi, di per sé non è ostativa all'applicabilità della causa di non punibilità (salvo l'applicazione del secondo criterio sopra esposto), lascia intendere che ciò che il legislatore ha inteso perseguire è un ambito assai esteso di operatività dell'istituto, escludendo dalla sua applicazione solo i comportamenti che sono espressione di una abitudine del soggetto a violare la legge, desumibile dagli indici rilevatori a tal scopo predisposti nel comma terzo della norma in questione. Il primo criterio, come visto, è meramente formale e desumibile dal certificato del casellario giudiziale. Quanto all'aver commesso più reati della stessa indole, ritiene questo giudicante che il concetto di reato della stessa indole non sia sovrapponibile in tutto e per tutto a quello della commissione di più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Proprio perché l'intento effettivo perseguito dal legislatore è stato quello di escludere dal benefico solo quei soggetti per i quali si può affermare che il reato commesso sia espressione di una sorta di usuale comportamento di vita (oggettivizzato dalla ricorrenza di uno dei tre criteri sopra esposti), se ne deve concludere che l'aver commesso più reati in continuazione tra loro, non sia di per sé espressione di quella abitualità nel comportamento richiesta dalla norma per escluderne l'operatività. In altri termini il criterio in esame si riferisce, a parere di questo giudicante, all'esistenza di più reati nella storia personale del soggetto che, sulla base dei criteri predisposti dall'art. 101 c.p., consentono di ritenerlo abitualmente dedito alla commissione di quel tipo di reati, anche in assenza di una dichiarazione giudiziale in tal senso. In questa prospettiva interpretativa si tratta di una ulteriore specificazione del primo criterio, meramente formale, previsto dal terzo comma dell'art. 131 bis, con il quale si pone in continuità logica, consentendo al giudice di ricorrere ai parametri previsti dall'art. 101 c.p., per escludere la causa di non punibilità, pur in assenza dei presupposti formali per la declaratoria giudiziale di abitualità, professionalità o per tendenza. In questa prospettiva, rafforzata dall'uso della congiunzione "ovvero" per legare i due periodi della medesima frase, i due criteri in realtà sono espressione di una medesima ratio, tesa ad escludere dall'ambito di operatività dell'istituto non già il reato continuato tout court, bensì solo quelle reiterazioni di condotte che, in base al parametro normativo sopra esposto, consentono di ritenere l'agente abitualmente dedito al crimine, ancorché i singoli comportamenti possano essere considerati di per sé di particolare tenuità (si pensi al soggetto che commette un furto e che ha già commesso altri reati ed bagatellari contro il patrimonio, in una serialità comportamentale che porta il giudice a concludere per l'abitualità del comportamento, pur in assenza di una declaratoria pregressa ed anche prescindendo dal dato formale della contestazione della recidiva). In questa prospettiva il terreno di elezione del secondo criterio, strettamente connesso al primo, è quello della recidiva specifica di cui all'art. 99, comma secondo cp, ma anche in questo caso i due istituti non sono perfettamente sovrapponibili, poiché la valutazione di abitualità sottesa all'aver commesso più reati della stessa indole può portare ad escludere dal beneficio un soggetto nei cui confronti non sia stata contestata la recidiva, nonostante la presenza di precedenti. Maggiori difficoltà sorgono, apparentemente, con il terzo criterio laddove richiama la reiterazione di condotte, unitamente alle condotte plurime ed abituali, per desumerne l'abitualità del comportamento e, quindi, la non applicabilità della causa di non punibilità. La chiave di lettura sopra esposta a parere di questo giudicante consente di risolvere il problema poiché la norma va riferita a quei reati che per la loro struttura presuppongono la commissione di condotte reiterate nel tempo ovvero abituali. Del resto se lo scopo del legislatore è stato quello di escludere dall'area di operatività della causa di non punibilità solo le condotte seriali, espressione di uno stile di vita abitualmente dedito alla commissione di quel tipo di reati, tanto da non prevedere di per sé la recidiva come causa di esclusione, inizialmente inserita nel progetto legislativo ma poi esclusa dal testo definitivo, ne consegue che a maggior ragione l'aver commesso più reati avvinti dal vincolo della continuazione (istituto, peraltro, previsto in favore del reo e che realizza una unificazione legislativa) di per sé non può portare al medesimo risultato. In questa prospettiva, pertanto, l'aver commesso più reati unificati dal vincolo della continuazione ed oggetto del processo nel quale il giudice deve valutare l'applicabilità della causa di non punibilità, di per sé non costituisce circostanza ostativa alla sua applicazione, a meno che il giudice ritenga che dal complesso degli elementi a sua disposizione ed in particolare dai precedenti penali e giudiziari, il soggetto sia abitualmente dedito a comportarsi nel medesimo modo per il quale è sottoposto a processo. Venendo al caso in esame questo giudicante, accertata la commissione da parte dell'imputata di un fatto tipico e, quindi, offensivo, antigiuridico e colpevole, osserva: - L'offesa arrecata è di particolare tenuità, in relazione all'ammontare della somma non versata, pari ad Euro 785,00 per le mensilità indicate nel capo d'imputazione. A tal proposito un valido parametro per stabilire l'esiguità del danno arrecato può essere rinvenuto nella Legge Delega emanata dal parlamento. Come è noto, invero, l'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 ha conferito al Governo la delega per la riforma del sistema sanzionatorio. Per quel che qui interessa, l'art. 2 lett. c) del predetto provvedimento ha sancito la trasformazione in illecito amministrativo del delitto di cui all'art. 2, comma 1 bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, laddove il mancato versamento delle ritenute previdenziali non superi la soglia di 10.000 Euro annui. E' pur vero che in assenza del decreto delegato, il precetto in questione non ha efficacia vincolante e non è applicabile come specifica ipotesi di abolito criminis, ma costituisce pur sempre una precisa indicazione normativa della volontà del legislatore di considerare penalmente irrilevanti le omissioni contributive che si situano sotto quella soglia. Ritiene, pertanto, questo giudicante che quella medesima soglia ben possa essere utilizzata per valutare la speciale tenuità del fatto, tanto più che la sentenza di assoluzione in questione ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo a norma dell'art. 651 bis cpp; - L'imputata è incensurata e non ha altri carichi pendenti per reati della stessa indole. La circostanza che in un lasso di tempo ben individuato, compreso tra la primavera estate dell'anno 2008 e l'inizio del 2009, non abbia versato all'INPS le somme dovute, tenuto conto del contesto socio economico e della notoria crisi economica che proprio in quel periodo ha iniziato a far sentire i suoi pesanti effetti, non può fondare un giudizio di abitualità della condotta, sulla base di quanto sopra esposto. Alla luce delle considerazioni che precedono questo giudicante ritiene che l'imputata debba essere assolta in applicazione della speciale causa di non punibilità prevista dal citato art. 131 bis cp. P.Q.M. Visto l'art. 530 comma c.p.p. ASSOLVE Gi.Ri. dal reato contestato perché non punibile per speciale tenuità del fatto a norma dell'art. 131 bis c.p. Così deciso in Grosseto il 6 luglio 2015. Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2015.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GROSSETO SEZIONE CIVILE La dott.ssa Paola Caporali, giudice unico in funzione monocratica, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3463/08 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi, vertente tra M. V., P. C., sia in proprio che quali esercenti patria potestà sulla minore M. C.; S. L. , O. G., sia in proprio che quali esercenti patria potestà sul minore S. F.; G. E. sia in proprio che quali esercenti patria potestà sui minori G. M. e G. E.; S. F., G. E., sia in proprio che quali esercenti patria potestà sulla minore S. I., elettivamente domiciliati in Grosseto via (...), presso lo studio dell'avv. (...) dal quale sono rappresentati e difesi in forza di procura in calce all'atto di citazione; - Attori - (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Grosseto via (...) presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e in forza di procura in calce alla copia notificata dell'atto introduttivo; - Convenuta - Nonché (...) S.p.A. in amministrazione straordinaria in persona del commissario straordinario ed amministratore pro tempore; Convenuta contumace Oggetto: risarcimento danni. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, gli attori convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Grosseto, (...) S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore per sentirla condannare al risarcimento di tutti i danni conseguenti ai ritardi degli aerei, relativamente sia al volo di andata che di ritorno dalle Mauritius. Esponevano di aver stipulato con la convenuta contratto di viaggio alle Mauritius per il periodo 23 - 31 dicembre 2007, con partenza in aereo da Roma Fiumicino e ritorno in aereo a Roma Fiumicino con la compagnia aerea (...) S.p.A. Lamentavano che la partenza avveniva con aeromobile di diversa compagnia aerea e con cinque ore di ritardo, mentre il ritorno, programmato per il 31 dicembre, veniva posticipato al 1 gennaio, con arrivo a Fiumicino alle 12,35 del 2 gennaio, con 30 ore di ritardo e la perdita dei programmati festeggiamenti dell'ultimo dell'anno organizzati in un ristorante romano. La (...) S.r.l. si costituiva contestando la propria responsabilità per ritardi dovuti alla compagnia aerea (...), chi chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa per essere dalla stessa tenuta indenne. Contestava inoltre la genericità delle pretese risarcitorie e l'eccessività delle somme richieste. Nessuno si costituiva per la terza chiamata di cui deve pertanto essere dichiarata la contumacia. La causa veniva istruita mediante produzioni documentali ed esame di testimoni. All'udienza del 14.02.2012 le parti rassegnavano le conclusioni ed il Giudice tratteneva la causa per la decisione concedendo termini ex art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Dagli atti risulta documentato che gli attori hanno acquistato per il tramite della società convenuta un pacchetto di viaggio turistico alle Mauritius per il periodo dal 23 al 31 dicembre 2007. Dai documenti di viaggio prodotti dagli attori risulta unicamente la previsione della partenza da Roma ed il ritorno a Roma, senza alcuna specificazione circa orari e tipo di volo prenotato. In mancanza di produzione dell'opuscolo informativo esplicativo con i dettagli del viaggio (espressamente previsto dall'art. 88 codice consumo), ovvero delle matrici dei biglietti aerei, le uniche notizie che si hanno delle modalità del viaggio aereo, si traggono dalla missiva inviata agli attori da (...) e dalla stessa non disconosciuta, con la quale veniva genericamente evidenziato che il ritardo era stato determinato da "un piccolo guasto tecnico" non imputabile a (...), ma unicamente alla compagnia aerea (...) S.p.A. Dall'espletata istruttoria risulta che. quanto al ritardo della partenza da Roma, l'unico testimone sentito sul punto, M. F., sorella di uno degli attori, ha riferito di aver saputo dal fratello che il decollo era avvenuto con cinque ore di ritardo ed a bordo di aeromobile battente bandiera polacca. Con riguardo a tale testimonianza va precisato che in tema di rilevanza probatoria delle deposizioni di persone che hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso, occorre distinguere i testimoni "de relato actoris" e quelli "de relato" in genere: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli "de relato" in genere, depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. Nel caso di specie, tale unica testimonianza de relato actoris, in mancanza di qualsiasi documento da cui evincere, quale fosse il tipo di volo concordato con la convenuta, ovvero quale fosse l'orario di partenza previsto e quello invece effettivo, conseguenza del ritardo, non può essere ritenuta sufficiente prova della lamentata divergenza di volo e ritardo della partenza rispetto a quanto pattuito. Con riferimento al ritardo del volo di ritorno, la teste M. F. ha invece riferito per conoscenza diretta, spiegando di aver atteso il fratello e gli altri compagni di viaggio in quanto avrebbero dovuto trascorrere insieme la sera dell'ultimo dell'anno. La medesima testimone confermava che avevano prenotato la cena dell'ultimo dell'anno in un ristorante romano, noleggiando altresì un autobus privato per lo spostamento dall'aeroporto al ristorante e quindi a Grosseto. Il teste G. E., titolare della G. autonoleggi di Grosseto, confermava che gli attori "avevano prenotato un autobus della mia società che avrebbe dovuto raccoglierli il 31.12 alle ore 19,30 per condurli a Roma in un ristorante per il cenone e poi a Grosseto, senonchè l'autista del mio autobus raccolse i turisti il 2.01 anziché il 31.12". Il testimone confermava che l'autista dell'autobus si era dovuto recare all'aeroporto una prima volta il 31.12.2007 come pattuito, e quindi, in conseguenza del ritardo dell'aereo, una seconda volta la sera tra l'1 ed il 2 gennaio 2008, con un costo totale di Euro 950,00. Ciò posto in fatto, si rileva in iure che la fattispecie rientra nel c.d. contratto di organizzazione di viaggio disciplinato attualmente nella parte terza del D.Lgs. 6.09.2006 n. 206 (c.d. codice del consumo) dedicata ai "servizi turistici", nel quale è nella sostanza stato trasfuso il D.Lgs. 111/95, attuativo della direttiva CEE 90/314. In particolare, si ritiene che il caso in esame possa essere sussunto nella disciplina che regola, in adempimento della direttiva n. 90/314/CEE, i "pacchetti turistici", disciplina contenuta prima nel D.Lgs. n. 111 del 1995, poi riprodotta, senza modificazioni (per la parte di interesse), nel D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice di consumo) e da ultimo, in una visione d'insieme, nel D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (Codice del turismo). Secondo la previsione normativa, si ha "pacchetto turistico" quando: si vende, o si offre in vendita, il risultato della "prefissata combinazione" di almeno due, dei tre elementi individuati: trasporto, alloggio, servizi turistici "non accessori"; i suddetti elementi sono venduti, o offerti in vendita, "a un prezzo forfettario", sempre che, qualora elemento che compone il pacchetto siano i servizi "non accessori", questi, individuati mediante il rinvio alle lett. i) ed m) art. 7, costituiscano "parte significativa" dei pacchetti. Nella specie, pacificamente concernente l'acquisto presso un'agenzia, di un viaggio con soggiorno di otto giorno alle Mauritius, con pattuizione di prezzo forfetario, sussistono tutte le condizioni richieste dalla legge per la configurabilità dell'acquisto di un pacchetto turistico. Ciò posto, l'art. 93 D.L.vo 206/06, riprendendo la precedente formulazione dell'art. 14 L. D.Lgs. n. 111/1995 (primo comma), ricalca la formulazione dell'art. 1218 cc, adottando così il modello di responsabilità che caratterizza le obbligazioni contrattuali di risultato. L'art. 93 al primo comma dispone infatti che: "fermi restando gli obblighi previsti dall'articolo precedente, in caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l'organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità ...", ed il secondo comma della stessa norma: "l'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti" ed ancora l'art. 96 prevede al primo comma che: "l'organizzatore ed il venditore sono esonerati dalla responsabilità, quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto è imputabile al consumatore ...". Ai sensi della suddetta normativa - analogamente all'art. 1218 c.c. - è a carico dell'organizzatore (e/o del venditore) l'onere della prova dell'esistenza di una causa allo stesso non imputabile, prova che - comunque - nel caso di specie, è stata soltanto indicata in un guasto all'aeromobile, ma non specificamente dimostrata dalla parte convenuta come era suo onere (il medesimo principio, seppure con riferimento alla L. 21.12.1977 n. 1084, è espresso da Cass. 27.10.2003, n. 16090; nello stesso senso Cass. 460/1999; Cass. 4636/1997; Cass. 9643/1996). La disposizione è infatti chiara nello stabilire, in caso di mancato od inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, la responsabilità - con il consequenziale risarcimento dei danni - dell'organizzatore (e del venditore secondo le loro rispettive responsabilità), se questi non prova che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa allo stesso non imputabile. In più l'art. 93 codice del consumo prevede infatti comunque la responsabilità dell'organizzatore (o del venditore) anche per il fatto del terzo prestatore di servizi della cui opera sia avvalso nell'organizzazione del viaggio, a meno che non venga provato il caso fortuito e salvo il diritto di rivalersi nei suoi confronti. Per quanto detto la parte convenuta è tenuta a risarcire agli attori i danni derivanti dai ritardi aerei ricompresi nel pacchetto di viaggio turistico organizzato, nei limiti in cui sia stata fornita adeguata prova del lamentato ritardo. Con riferimento al lamentato ritardo del volo di andata e alla non corrispondenza dello stesso a quanto pattuito, per come sopra detto la sola dichiarazione di una teste de relato actoris, ovvero di sole circostanze riferitele da una parte, in mancanza di alcuna adeguata produzione documentale ovvero di altri elementi integrativi, non è sufficiente a costituire prova adeguata né del fatto lesivo e dell'inadempimento (ritardo e non corrispondenza del volo) né del conseguente danno. E' stato invece pienamente provato il ritardo del volo di ritorno, programmato per la sera del 31 dicembre 2007 e slittato al 2 gennaio 2008. Dunque, quanto al comprovato ritardo del viaggio di ritorno, la società convenuta organizzatrice del viaggio non ha provato che lo stesso è stato determinato dal fatto alla stessa non imputabile e, comunque, essendo fatto concernente l'opera di compagnia aerea di cui il tour operator si è avvalso nell'organizzazione del pacchetto di viaggio, lo stesso organizzatore del viaggio è comunque tenuto a risponderne nei confronti del turista - consumatore. Ciò posto, non si ritiene che il ritardo del volo di ritorno possa determinare il diritto ad una riduzione del prezzo corrisposto per l'intero viaggio, non essendo emersa alcuna incidenza del suddetto fattore nel godimento dei precedenti otto giorni di vacanza pagati alle Mauritius. Sicuramente invece il suddetto ritardo ha comportato la forzata rinuncia da parte degli attori a trascorrere la sera dell'ultimo dell'anno con gli amici ed in locale da loro prescelto e prenotato, con tanto di apposita organizzazione degli spostamenti mediante noleggio di autobus privato. Si osserva che il danno ritenuto astrattamente configurabile nella fattispecie, per la sua natura del tutto peculiare, costituisce un tipico caso di pregiudizio "... che non può essere provato nel suo preciso ammontare..." ex art. 1226 c.c., considerato che si tratta di valutare e accertare il danno derivante dalla rinuncia al cenone di fine anno previamente organizzato e dal l'aver dovuto trascorrere la suddetta festività tra alberghi di fortuna e scali aerei. Una volta assodata l'impossibilità o l'estrema (ovvero anche rilevante) difficoltà nella specie di fornire questa prova precisa il Giudicante non può, senza violare la suddetta norma, affermare puramente e semplicemente che la domanda non può essere accolta in quanto le prove acquisite non sono sufficientemente precise: essendo i danni generici, ma sussistenti, il giudice è dunque tenuto a liquidarli in via equitativa. Nel sistema dell'art. 1226 c.c. il ricorso alla valutazione equitativa del danno interviene infatti per sopperire alla difficoltà tecnica di una analitica e precisa individuazione di uno o più fattori del danno stesso, una volta che l'esistenza di questo sia stata già accertata. La valutazione equitativa può intervenire anche quando l'esperimento dei mezzi probatori non ha potuto dimostrare sufficientemente l'ammontare del danno. Questo non significa che ad ogni insufficienza probatoria deve corrispondere una valutazione equitativa, ma che detta liquidazione è legittima quando il giudice sia convinto dell'impossibilità o della estrema difficoltà per il danneggiato di fornire una prova dettagliata ed adeguata del preciso ammontare del danno. Si ritengono dunque applicabili i canoni di diritto che impongono per il caso in esame, stante la difficoltà a provare l'esatto ammontare del quantum, di procedere con il criterio equitativo ex art. 1226 c.c. Tutto quanto premesso, dal punto di vista patrimoniale il danno deve essere ritenuto pari al maggior prezzo del noleggio dell'autobus, che è stato provato essere andato per due volte all'aeroporto, attendendo gli attori fino al loro arrivo con quasi due giorni di ritardo, dunque pari a complessive Euro 475,00, metà del prezzo di Euro 950,00 richiesto per l'intero servizio. Per il resto la perdita della programmata festa in non meglio precisato locale romano, in mancanza di prova alcuna di perdite economiche di sorta, deve essere ritenuta produttiva unicamente di danno non patrimoniale. Secondo il recente e condiviso orientamento della Suprema Corte, consacrato nelle sentenze a Sezioni Unite dell'11.11.2008 n. 26972 il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. Il suo risarcimento postula la verifica della sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c. L'art. 2059 c.c. non delinea pertanto una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva), elementi che consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno - conseguenza, secondo opinione ormai consolidata; Corte cost. n. 372/1994; Cass. S.U. n. 576, 581, 582, 584/2008). L'art. 2059 c.c. è norma di rinvio alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato. Altri casi di risarcimento anche dei danni non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla compromissione di valori personali (art. 21. n. 117/1998: danni derivanti dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni giudiziarie; art. 299, L. n. 675/1996 (ora art. 152 D.Lgs. 196/2003): impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 447, D.Lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; art. 2 l. n. 89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo). Al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione. Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (Cass. n. 15022/2005; 23918/2006). La rilettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cc, come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 cc) (Cass. 8827/2003; 15022/2005; 23918/2006). Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (Cass. n. 15022/2005; n. 23918/2006): deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata. Di conseguenza, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere: in assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona. Ipotesi che si realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.). Inoltre, requisito ulteriore per l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili è la gravità dell'offesa. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile (dato che, in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.). ogni persona inserita nel complesso contesto sociale deve accettare pregiudizi connotati da futilità). Entrambi i requisiti devono essere accertati secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Infine, il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Costituendo il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., una categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie, dev'essere accertata l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. A tale proposito, dev'essere accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, ma, qualora l'illecito costituisca (anche astrattamente) reato, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale risarcibile (es. il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza). Qualora, invece, siano dedotti danni suscettibili di valutazione medico-legale, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso. Deve, invece, procedersi ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Alla luce di quanto sopra nella fattispecie il ritardo dell'aereo di quasi due giorni, va indubbiamente a toccare aspetti della personalità tali da incidere sulla stessa integrità psico fisica costi frizionai mente tutelata. In tale prospettiva va considerato il diritto di chi sia costretto a trascorrere, senza preavviso alcuno, la sera dell'ultimo dell'anno ed il primo giorno dell'anno tra attese in aeroporto e albergo di fortuna. Data la peculiarità del periodo dell'anno e il prolungamento del ritardo per quasi due giorni, nella fattispecie non si è infatti trattato di un mero ritardo o contrattempo di voli e scali, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto essendo da ritenersi il pregiudizio subito non futile e superato il livello di tollerabilità imposto dalla compagine della convivenza sociale. Dal punto di vista del quantum il danno da liquidarsi equitativamente, può essere ritenuto pari, considerata l'assistenza che gli attori hanno dato atto essergli stata comunque prestata, ad Euro 500 per ogni persona. Pertanto, il danno complessivo riconosciuto agli attori per l'inadempimento contrattuale della convenuta deve essere ritenuto pari ad Euro 6.475,00 oltre interessi legali dal dovuto al saldo effettivo. Sulla predetta somma, in quanto convertita con la liquidazione in credito di valuta, spettano gli interessi legali dalla data della pubblicazione della sentenza al saldo. Quanto alla domanda di rivalsa proposta da parte convenuta nei confronti della terza chiamata rimasta contumace, la stessa non può invece essere accolta per totale mancanza di prova. Dagli atti e dalle risultanze dell'istruttoria il coinvolgimento nel caso di specie della compagnia volare è stato soltanto affermato dalla convenuta, citando la compagnia aerea in oggetto come effettiva responsabile del ritardo, ma senza nulla allegare o documentare circa l'effettiva programmazione del viaggio con la medesima compagnia (non vi nessun riferimento alla stessa neppure nei moduli contrattuali prodotti dagli attori). Le spese di parte attrice seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo; quanto alle spese di lite tra convenuta e terza chiamata devono invece essere tra loro compensate, stante i motivi della decisione ed il comportamento processuale ed extraprocessuale delle parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dalle parti così come in epigrafe, così provvede: - Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice il danno nella misura di Euro 6.475,00 per il titolo e con gli interessi di cui in parte motiva; - Rigetta nel resto la domanda attrice; - Rigetta la domanda di parte convenuta nei confronti di parte terza chiamata - Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite che si liquidano in Euro 186,00 per spese, Euro 1.800 per onorari, Euro 1500 per competenze, oltre rimborso forfettario 12,5% spese gen., IVA e CPA come per legge; - Dichiara interamente compensate le spese tra parte convenuta e parte terza chiamata. Così deciso in Grosseto il 9 giugno 2012. Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2012.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GROSSETO Il Giudice di Grosseto Dott. Giovanni PULIATTI alla pubblica udienza del 16 marzo 2007 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: Ma.Fe., nato il (...) a Pi., elett. dom.to in Ce., Co.Ma. (...) bis, presso lo studio dell'Avv. Lu.Ra., del foro di Livorno. Libero Presente Difeso di fiducia dall'Avv. Lu.Ra. del foro di Livorno Pubblico Ministero: Dr. Alessandro Leopizzi. IMPUTATO Del delitto p. e p. dall'art. 589 c. 2 c.p. perché, alla guida della vettura Fiat Uno tg. (...) sulla vecchia Au. in direzione Fo. - Pi., per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e per violazione dell'art. 143 c.d.s., omettendo di mantenere il veicolo nel lato destro della carreggiata invadeva la semicarreggiata di pertinenza del veicolo Peugeot 306 tg. (...) condotto da Br.Ro. e proveniente dalla opposta direzione, scontrandosi con lo stesso all'altezza del km 47 100; a seguito dell'urto decedeva presso l'ospedale di Piombino In.Il., trasportata del Ma. In.Fo., 30.12.2000. CONCLUSIONI Pubblico Ministero chiede: condanna otto mesi di reclusione; trasmissione degli atti al P.M. per falsa testimonianza del teste Ra. Difesa chiede: assoluzione. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito dell'udienza in data 10 giugno 2005 il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Grosseto traeva con decreto Ma.Fe. al giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica, competente per materia e territorio, per rispondere del reato di cui alla rubrica. L'udienza del 24 novembre 2005 si svolgeva in contumacia dell'imputato, non comparso senza addurre alcun motivo di legittimo impedimento. All'udienza del 17 febbraio 2006 veniva aperto il dibattimento. Il Pubblico Ministero ed il difensore chiedevano prove per testi consulenze tecniche e documenti. Venivano sentiti il teste dell'accusa Br.Ro., con le garanzie di cui all'art. 197 bis c.p.p., ed i testi della difesa Ra.Iv., Ci.An., Ba.En., Pe.An..All'udienza del 21 aprile 2006 su accordo delle parti venivano acquisiti e resi utilizzabili i verbali delle operazioni effettuate dai testi della difesa Pi.Sa. e Sc.Se., entrambi in servizio presso la Stazione dei carabinieri di Fo., con rinuncia alla loro escussione; venivano acquisiti anche i negativi dei rilievi fotografici operati dal Pi. All'udienza del 20 ottobre 2006 veniva quindi disposta Perizia di ufficio e veniva conferito l'incarico al perito nominato, Ing. Gu.An. All'udienza del 19 gennaio 2007 veniva assunta la deposizione del teste della difesa Re.Bi.; venivano infine sentiti il perito ed il C.T. della difesa, Gr.Cl., che depositavano la relazione scritta. Su accordo delle parti veniva acquisita la C.N.R. del 10 gennaio 2001; veniva depositata dalla difesa la quietanze del risarcimento da parte della RAS. All'odierna udienza il P.M. ed il difensore concludevano quindi come da separato verbale. All'esito dell'istruttoria, il Giudice ritiene conforme a giustizia affermare la penale responsabilità dell'imputato. Ed invero va premesso che non è contestato che il sinistro stradale si verificava in Fo. in data 30 dicembre 2000 alle ore 2,10 circa sulla via vecchia Au. all'altezza del km 47 100 per l'urto frontale tra l'autovettura Fiat Uno tg. (...) in direzione Fo.- Pi., condotta dal prevenuto, e l'autovettura Peugeot 306 tg. (...) condotto da Br.Ro. e proveniente dalla opposta direzione. Similmente non è contestato che In.Il., trasportata del Ma. a seguito delle lesioni riportate nell'urto decedeva presso l'ospedale di Piombino. Il contrasto tra le tesi dell'accusa e della difesa verte invece sulla ricostruzione della meccanica dell'incidente in particolare sul punto della posizione delle vetture all'atto dell'impatto e di conseguenza sull'attribuzione all'uno piuttosto che all'altro dei due conducenti della responsabilità del sinistro. Tale contrasto era già presente, mutatis mutandis, nella sede del precedente giudizio conclusosi con la sentenza di assoluzione del conducente Br. da parte di questo stesso Tribunale in composizione monocratica (Giudice dott. Molino) in data 28 aprile 2004. Giova per comodità espositiva riportare in questa sede il testo di detta decisione. " ... La dinamica del sinistro si ricava agevolmente dalle deposizioni dei Carabinieri Intervenuti, dai rilievi dagli stessi redatti ed acquisiti agli atti dei processo, nonché dalle affermazioni rese dai consulenti in ordine alla collocazione dei danni sui veicoli coinvolti. Giova premettere che Il tratto di strada interessato è a carreggiata unica a doppio senso di circolazione, con andamento rettilineo e pianeggiante; la carreggiata è delimitata, su entrambi i margini, da una striscia bianca mentre gli opposti sensi di marcia sono separati da striscia bianca discontinua; la strada è provvista di pubblica illuminazione. Ciò posto, i due veicoli sopra menzionati venivano a collidere l'uno contro l'altro frontalmente, subendo entrambi per effetto dello scontro un moto all'indietro con traslazione del proprio asse, fino a raggiungere la posizione finale successivamente constatata dai Carabinieri intervenuti e riportata nei rilievi redatti; inoltre, a seguito del cozzo, alcuni rottami staccatisi dalle due vetture incidentate colpivano il cofano motore della autovettura BMW 320 condotta da Ra.Iv. (e con bordo Ci.An.) viaggiante nello stesso senso di marcia della Fiat Uno. In conseguenza dell'incidente decedeva la passeggera della Fiat Uno In.Il., mentre il guidatore Ma.Fe. riportava lesioni gravi (tra le altre, fratture ossee certificate in atti). Ferma ed incontestata tale ricostruzione del siffistro, il Br. è accusato di aver colposamente provocato la morte della In.Il. e le lesioni subite da Ma.Fe. - rispettivamente passeggera e conducente della vettura Fiat Uno per colpo generica e specifica, quest'ultima consistita nella violazione delle norme di condotta di guida prescritte dal Codice della Strada, e segnatamente: - per avere marciato sulla semicarreggiata di sinistra, ossia su quella di pertinenza dei veicoli provenienti dall'opposto senso di circolazione, cosi violando l' art. 143 C.d.S.; - per avere omesso di fare uso dei dispositivi di illuminazione, nonostante l'ora notturna e l'assenza di illuminazione artificiale, cosi contravvenendo all'art. 152 C.d.S. Tutto quanto premesso, all'esito dell'istruttoria non vi è alcuna prova della penale responsabilità dell'imputato, emergendo al contrario elementi per ritenere che la causazione dei sinistro possa essere addebitata alla condotta dell'altro conducente coinvolto. Gli argomenti posti a sostegno dell'accusa sono concentrati per un verso - ossia con riferimento all'asserita invasione della corsia altrui - nella individuazione dei punto d'urto operata sulla base dei rilievi eseguiti dai militari intervenuti; per altro aspetto - ovvero con riguardo al mancato uso dei dispositivi di illuminazione - nelle dichiarazioni testimoniali rese dai testi Ra. e Ci. Orbene, con riguardo al primo aspetto, è opportuno rimarcare che i dubbi sulla correttezza delle rilevazioni eseguite dai Carabinieri - perplessità condivise dallo stesso Pubblico Ministero già all'esito della non chiara deposizione resa dall'Appuntato Pi.Sa. ed ulteriormente rafforzate in seguito alla audizione del consulente tecnico difensivo - hanno spinto alla nomina di un consulente tecnico d'ufficio, In. Tr.Do. incaricato di stabilire con certezza il punto d'urto tra i veicoli. Il consulente tecnico d'ufficio - le cui conclusioni sono apparse estremamente affidabili per la lucidità e esaustività dei percorso argomentativo - ha stabilito che: - la planimetria allegata ai rilievi dei Carabinieri è stata eseguita da un geometra dagli stessi militari incaricato, il quale ha rappresentato in modo graficamente più visibile le rilevazioni apposte sul primo ed immediato schizzo planimetrico redatto sul luogo dei sinistro; - il controllo "in scala" delle misure (ossia il raffronto tra le misure indicate dai Carabinieri all'atto della rilevazione e quelle poi riportate nella planimetria del geometra incaricato) segnala evidenti incongruenze: per fare solo un esempio, la Fiat Uno, la cui lunghezza nello schizzo planimetrico è pari a mt. 3,69, nella successiva planimetria porta una lunghezza "in scala" di mt. 1,90, evidentemente inverosimile (può dirsi dato notorio che la vettura in questione abbia una lunghezza ben superiore a tale ultima misura); - emergono ulteriori errori nella rappresentazione delle vetture, riguardanti in particolare la Fiat Uno, disegnata a cavallo della striscia di mezzeria, laddove le fotografie che dipingono la posizione finale dei veicoli dimostrano che la vettura dei Ma. era posizionata completamente all'interno della corsia Li./Fo.; - il punto d'urto, generalmente individuato nella zona dove sono localizzati i rottami delle auto, è da individuarsi in una piccola area posta a circa mt. 1,30 dalla striscia di mezzeria, totalmente all'interno della semicarreggiata di pertinenza della Peugeot. Il consulente tecnico d'ufficio ha poi abilmente ricostruito, sulla base dell'analisi delle deformazioni riportate, la posizione dei veicoli al momento dell'urto, stabilendo che: - la Peugeot viaggiava nella propria corsia, perfettamente allinea all'asse stradale, pur non tenendo strettamente la destra ed anzi marciando in prossimità della linea di mezzeria; - la Fiat Uno al momento della collisione aveva completamente invaso l'opposta semicarreggiata, ed era leggermente inclinata rispetto all'asse longitudinale della strada da destra verso sinistra: il CTU lo deduce dal fatto che la scocca della Fiat riporta danni cd. "diretti" principalmente nella parte anteriore sinistra (lato passeggero), evidentemente immediatamente attinta dal cozzo. Le posizioni finali dei veicoli, entrambi interessati da un movimento di arretramento e rotazione, confermano la ricostruzione del sinistro e collimano con la ricostruzione del punto d'urto, laddove l'ipotesi inversa - ossia quella di un impatto avvenuto all'interno della corsia percorsa dalla Fiat Uno - si dimostra totalmente inconciliabile con le misure registrate dai Carabinieri e con la posizione finale del mezzi. Inoltre sempre l'assetto terminale dei veicoli testimonia di una energia cinetica posseduta - e conseguentemente di una velocità - praticamente identica, tenuto conto della massa e del peso delle vetture, valori anch'essi assimilabili: in particolare, il CTU ha stimato la velocità della Fiat Uno in 60/65 Km/h. e quella della Peugeot in circa 50 km/h. Per ultimo, il consulente Ing. Tr. ha ipotizzato le conseguenze di un diverso comportamento del Br. (conducente della Peugeot) consistente nella stretta aderenza del suo veicolo al margine destro della carreggiata: se è certo che avrebbe condotto ad un impatto non "frontale", non può invece affermarsi con certezza che tale differente ed alternativo comportamento - proprio in virtù del diverso e quasi trasversale asse di marcia mantenuto dal veicolo antagonista - avrebbe evitato completamente l'urto. Le emergenze appena riferite consentono di escludere ogni valenza colposa nella condotta di guida del Br. Intanto, è emerso con chiarezza ed evidenza che lo scontro è avvenuto nella corsia di pertinenza dell'imputato. L'equivoco che ha determinato le iniziali perplessità nasce allora dal fatto che il punto d'urto è stato graficamente contrassegnato - nella planimetria allegata ai rilievi dei Carabinieri - con la lettera "H", lettera materialmente disegnata (per contingenti necessità di spazio) nella corsia opposta: laddove invece l'area che detta lettera contrassegna - ossia quel ristretto perimetro segnato dalla presenza dei maggiori rottami che si depositano sull'asfalto al momento del crash - è stata correttamente raffigurata nella semicarreggiata percorsa dal Br. Dunque, fermo restando che la prima responsabilità dei sinistro è evidentemente ascrivibile al Ma.Fe., colpevole di aver indebitamente invaso la corsia di pertinenza del Br., si tratta di capire se residui una concorrente responsabilità dell'imputato per non aver, pur viaggiando all'interno della propria semicarreggiata, mantenuto strettamente la destra. A parere di questo Tribunale la domanda merita sicura risposta negativa. Intanto, l'obbligo imposto dall'art. 143 dei codice della strada - che prescrive di circolare in prossimità del margine destro della medesima - deve essere interpretato alla luce delle condizioni di tempo e di luogo che condizionano e determinano la condotta prudenziale complessiva. Nel caso specifico, la strada presenta dopo il margine destro una piccola banchina asfaltata non transitabile, seguita da un ciglio erboso che declina in un fosso di scolo delle acque notturne: dunque, se è vero che esiste una norma specifica che impone un obbligo di stretta aderenza al margine destro, è allo stesso modo indubitabile che la regola prudenziale generale potesse e dovesse consigliare - visto l'orario notturno e l'essenza di impianti di Illuminazione - di tenersi non troppo vicini al margine destro, quale distanza di sicurezza idonea a consentire di rientrare agevolmente sulla carreggiata in caso di sbandata anche accidentale, al fine di evitare ogni possibile deragliamento e ribaltamento nei fosso limitrofo. In ogni caso, anche a voler ritenere l'imperatività incondizionata dell'obbligo codicistico di stretta aderenza al margine destro, si deve ricordare come il CTU abbia escluso che una tale condotta potesse evitare con certezza l'urto tra i veicoli: ciò sta a significare che manca una prova del nesso causale, nel senso che difetta una dimostrazione certa che il comportamento alternativo lecito avrebbe certamente evitato l'evento lesivo. Esclusa dunque ogni responsabilità per quanto riguarda la condotta colposa contestata in termini di violazione dell'art. 143 C.d.S., rimane in discussione la questione relativa all'omesso uso dei dispositivi di illuminazione. L'accusa tre origine dalle dichiarazioni rese dai testimoni Ra. e Ci., rispettivamente guidatore e passeggera della vettura che seguiva la Fiat Uno e che riuscì fortunatamente ad evitare di essere coinvolta anch'essa nel sinistro, pur rimanendo attinta dai rottami dei due mezzi interessati. Al riguardo (a tacere del fatto che le dichiarazioni provengono da soggetti coinvolti in rapporti amicali con il Ma.), è appena il caso di rimarcare come l'oggetto dell'accusa - ossia il fatto che la Peugeot marciasse a fari spenti - è stata riferita in termini dubitativi: nessuno dei due testimoni ha detto di essere sicuro del fatto, dichiarando di non poter confermare la circostanza con assoluta certezza. Sul piano oggettivo, poi, intanto sembra veramente poco verosimile che un soggetto quale il Br. - persona non affetta da patologie psichiche croniche o solo contingenti e nemmeno versante al momento del fatto in una condizione di alterazione da assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti - abbia potuto guidare nottetempo in una strada provinciale priva di illuminazione senza adoperare i propri dispositivi luminosi. Per altro verso, sono le stesse conclusioni del consulente tecnico d'ufficio a spiegare la ragione della percezione riferita dai testi Ra. e Ci.: il consulente Ing. Tr. ha infatti detto che è ben possibile che i due testimoni abbiano avuto l'impressione che la vettura proveniente dal senso opposto avesse le luci non attivate proprio in virtù del fatto che tale vettura era sostanzialmente coperta alla visuale dei testi proprio dalla Fiat Uno del Ma., vettura che - si ricordi - viaggiava con asse scostato rispetto alla propria corsia, in posizione trasversale e configgente con la Peugeot del Br. (tanto è vero che l'urto che ne deriverà sarà praticamente frontale). È possibile, cioè, che in perfetta buonafede il Ra. e la Ci. abbiano parlato di "luci spente" - circostanza in sé come detto poco credibile ma comunque possibile - solo per la repentinità della vicenda unita alla particolare posizione degli altri veicoli, tale da cagionare una faIsa convinzione non supportata da elementi logici. A conclusione di quanto esposto, si può in definitiva affermare che nella fattispecie il fattore causale dell'evento mortale risiede sostanzialmente nell'improvvida manovra del conducente del Fiat Uno, mentre nessun rimprovero - a di colpa generica a specifica - può essere mosso all'odierno imputato. ... " Alla luce dell'attività istruttoria svolta ed in particolare delle deposizioni testimoniali, della documentazione planimetrica e fotografica, degli atti del fascicolo del P.M., acquisiti e resi utilizzabili con il consenso delle parti ed infine e particolarmente delle conclusioni del perito nominato in questa sede si deve concludere che deve essere totalmente condivisa la ricostruzione della dinamica dell'incidente come operata dal primo giudice e che devono essere totalmente condivise le accurate motivazioni portate a sostegno dei singoli punti della decisione. Bisogna quindi soffermarsi solo sui punti di novità emersi nella istruttoria e sulle tesi avanzate nella discussione dalla difesa. Non si condivide l'assunto di quest'ultima che cerca di ribadire un punto d'urto diverso da quello poi accertato nella sede del precedente procedimento e in questa sede dalle convincenti conclusioni del perito Ing. Gu. La critica ormai assodata della planimetria dei carabinieri si basa sull'evidenza di un copiatura "in bella" dello schizzo redatto pro memoria, ma senza cura del rispetto di tutta le dimensioni di scala. Risulta indubbia la collocazione sulla semicarreggiata di pertinenza della Peugeot del punto d'urto, basata sulla lettura ragionata dei rilievi e sulle tracce sul terreno quali risultano dalle fotografie in atti. Così come risulta significativa l'area di posa dei detriti in conseguenza delle caratteristiche di un urto pressoché frontale tra le due vettura, che consente solo ad una minima parte di resti (cinque, dieci per cento) di schizzare fuori del punto di compressione delle due vetture. Perfette risultano a questo punto le ricostruzioni planimetriche del perito basate sulla "triangolazione" utilizzando i capisaldi e le misure indicate dai carabinieri nei loro rilievi. Ovviamente la difesa dell'odierno imputato ha cercato di dare una spiegazione a sostegno della tesi di segno opposto, ma non è assolutamente credibile che i residui materiali dell'urto possano essere stati spostati accidentalmente per il calpestio e il passaggio dei soccorritori. Sarebbe occorso un inconcepibile piano, coinvolgente più persone ed in presenza di testimoni, volto a mutare le tracce del sinistro "spazzandole" per ottenere uno spostamento di tutti i resti del sinistro su una parte della strada per ricomporli in quel modo assolutamente tipico di un urto tra veicoli con la concentrazione di tutti in quella piccola area posta a circa m. 1,30 dalla striscia di mezzeria. Non si palesano nemmeno convincenti le deposizioni dei testi Ci. e Ra., ribadite anche in questa sede, per i quali valgono ancora oggi le considerazioni sulla attendibilità della loro versione dei fatti operata nella citata decisione. Lungi dal ritenere una mala fede degli stessi - il loro racconto è il medesimo nella sua sostanza sin dall'immediatezza del fatto e non è ipotizzabile che in quei momenti drammatici avessero già compreso i rischi penali che avrebbe corso l'amico coinvolto nel sinistro ed elaborato una tesi per favorirlo - la loro contraddizione nel posizionare le due vetture - la loro dietro quella del prevenuto a distanza di sicurezza - con quanto emerso dalla ricostruzione dei fatti tramite tracce e risultanze materiali è spiegabile solo con una confusione involontaria nel percepire e ricordare i concitati attimi del sinistro. A parte il sicuro posizionamento del punto d'urto sull'altra corsia e non di fronte a loro, come ha lucidamente rilevato il perito, i segni sulla carrozzeria della loro autovettura sono chiaro segno che la stessa transitava a fianco degli altri due veicoli nell'istante dell'urto, venendo così colpita da parte dei frammenti, ma prima che la rotazione degli stessi creasse impedimento alla prosecuzione della marcia. È quindi vero che hanno visto "saltare" la vettura dell'amico per l'urto, ma in realtà la stessa era spostata a fianco e non completamente di fronte, e per questo motivo erano riusciti ad evitare l'urto pur nella ristrettezza dei tempi di reazione. Il mistero dei fari spenti è sicuramente spiegabile solo e banalmente con un difetto di percezione e ricordo da parte degli stessi - è ovvio che prima del sinistro la loro era una normale marcia su una normale strada in orario notturno senza intenzione di superare altri veicoli, il che abbondantemente spiega perché non avevano prestato attenzione alla presenza di luci ed altri veicoli in arrivo nell'altra corsia - anche perché non era possibile che il conducente della Peugeot potesse aver percorso tanti chilometri senza luci e senza accorgersi che erano spente, né che le avesse spente volontariamente nel rettilineo prima del sinistro. Dalle argomentazioni sopra svolte consegue peraltro che all'oggettiva inattendibilità delle loro testimonianze possa non corrispondere una intenzionalità di rendere una falsa testimonianza. Va poi spesa qualche osservazione sul tentativo difensivo di rilevare a posteriori e solo sulla base dello schiarimento di una delle foto una traccia di frenata sulla carreggiata. Non vi è alcuna diffidenza rispetto allo strumento ed all'operazione eseguita. Però sicuramente la traccia non è stata notata o rilevata come significativa dagli operanti all'atto dei rilievi. E comunque non pare riferibile con certezza né ad alcuno dei veicoli coinvolti nel sinistro, né a quel momento storico e non piuttosto ad altro evento verificatosi in precedenza senza conseguenze a cose e persone. In conclusione non pare che in alcun modo sia tale da poter mutare la ricostruzione dei fatti come sinora compiuta. Deve darsi credito quindi all'unica ricostruzione logica che riporta ad unità e riesce a far combaciare tutti i tasselli del complessivo quadro del sinistro, e cioè quella operata dal perito ing. Gu., basata anche sui contributi delle precedenti consulenze tecniche e con alcuni ritocchi critici sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio dell'altro procedimento. Non è condivisibile al riguardo la critica della difesa, riferita principalmente all'elemento nuovo apportato dal perito rispetto al cospicuo materiale probatorio ed argomentativi già acquisito, e cioè della manovra di sorpasso; è ovvio infatti che la stessa è una operazione deduttiva per dare una spiegazione ad alcuni degli elementi della ricostruzione (i segni sulla carrozzeria della BMW ed il mancato coinvolgimento di detto veicolo nel sinistro per essere "passato" lo stesso prima che gli altri veicoli compissero le loro rotazioni e assumessero una posizione di quiete atta ad impedirgli di passare), ma sicuramente non è frutto di una operazione inversa, e cioè di una apodittica conclusione, che poi viene provata utilizzando arbitrariamente alcuni degli elementi probatori. In conclusione è sicuro che l'autovettura Fiat Uno condotta dal prevenuto invadeva la corsia opposta di pertinenza mentre sopraggiungeva la Pe. condotta dal Br., proveniente dalla opposta direzione, e determinava un urto frontale tra i due veicoli. La causa dell'urto non era da individuarsi nella velocità dei due veicoli, rientrante nei limiti previsti dalla norma (solo la Fiat forse aveva una velocità di poco superiore, ma ne manca prova e comunque la differenza non pare significativa rispetto alla causazione del sinistro), ma unicamente nella posizione della Fiat, dovuta all'aver operato una improvvisa manovra di sorpasso della vettura dell'amico che la precedeva, procedendo affiancato, del tutto o quasi, alla stessa. Ma anche in ipotesi a dare per assodato che non vi fosse stata tale manovra di sorpasso, la presenza dell'autovettura nella corsia opposta con un senso di marcia fondamentalmente rettilineo e non obliquo o trasversale, potrebbe essere spiegata solo con una perdita di controllo della marcia del veicolo in modo progressivo, vuoi per un colpo di sonno, o per altro evento, con violazione quindi dell'obbligo del conducente di guidare solo in condizioni tali che gli consentano il pieno governo del mezzo. Nessun dubbio vi può essere quindi sul carattere colposo della condotta del conducente di detta Fiat Uno. Per completezza si precisa che non si ravvisano elementi di concorso di colpa da parte del Br., che si vedeva parare di fronte ed in modo non evitabile il veicolo antagonista. Si condividono al riguardo tutti gli argomenti esposti nella riportata decisione del Giudice Molino. A questi può aggiungersi la considerazione che in orario notturno può giustificarsi il mancato rispetto dell'assoluto obbligo di tenersi il più vicino possibile al margine destro della propria carreggiata, per consentire manovre per evitare ostacoli che si parino improvvisamente su quel lato, a parte l'ipotesi più rara del viandante notturno, per l'attraversamento di animali selvatici, ipotesi più frequente in strade come quella. Il prevenuto, quindi, va dichiarato responsabile del reato a lui ascritto e condannato alla pena ritenuta equa di mesi otto di reclusione, cosi determinata avuto riguardo ai criteri tutti di cui all'art. 133 c.p. e tenuto conto delle attenuanti generiche, che gli possono essere concesse per l'incensuratezza, che possono essere ritenute equivalenti alla contestata aggravante. Per tipologia e data di commissione del reato la pena deve essere interamente condonata per l'indulto di cui alla Legge 31.7.2006 n. 241. Nella ragionevole presunzione che la presente condanna possa valere quale remora al compimento di nuovi reati, possono essere concessi al prevenuto i benefici della sospensione della pena sospesa e della non menzione. Inoltre, dalla condanna consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo, stimato equo, di mesi tre. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA Ma.Fe. colpevole del reato ascritto, e, concesse le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, lo CONDANNA alla pena di mesi otto di reclusione, oltre al pagamento di giudizio. NON MENZIONE ex art. 175 c.p. PENA SOSPESA ex art. 163 c.p. e INTERAMENTE CONDONATA ex art. 1 Legge 31 Luglio 2006, n. 241. Visto l'art. 222 D.L.vo 30 Aprile 1992, n. 285 APPLICA a Ma.Fe. la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo di mesi tre. Deposito della motivazione della decisione nel termine di giorni sessanta.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GROSSETO Il Giudice di Grosseto Dott. Giovanni Puliatti alla pubblica udienza del 9 febbraio 2007 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA Nei confronti di: Va.Fa.: nato il (...) Si. Residente ivi, via Al.Da.Si. (...) LIBERO ASSENTE Difeso di fiducia dagli avvocati Pa.Sa. e Ma.Ro. entrambi del foro di Siena. P.M. dr.ssa Pa.Di.Gu. IMPUTATO del delitto previsto e punito dall'art. 6 bis, comma 1 legge 401/89 perché dalle gradinate dello stadio lanciava una sedia e un secchio di plastica. In Sa.Fi. il 25-7-2004. CONCLUSIONI Il Pubblico Ministero chiede assoluzione ai sensi del 2° comma dell'art. 530 c.p.p. il difensore dell'imputato si associa alla richiesta del P.M. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione a giudizio emesso dal Pubblico Ministero in data 7.6.2005 Va.Fa. veniva tratto al giudizio del Tribunale di Grosseto in composizione monocratica, competente per materia e territorio, per rispondere del reato di cui alla rubrica. L'udienza del 13 gennaio 2006 si svolgeva in contumacia dell'imputato, non comparso senza addurre alcun motivo di legittimo impedimento. Veniva aperto il dibattimento. Il P.M. e le difese chiedevano ammettersi prova per testi e documenti. All'udienza del 29 settembre 2006 si presentava il prevenuto e ne veniva revocata la dichiarazione di contumacia; veniva sentito il teste dell'accusa Mo.Ma., luogotenente dei carabinieri. All'odierna udienza sull'accordo delle parti veniva acquisito il verbale di interrogatorio del Va.; il P.M. ed i difensori concludevano quindi come da separato verbale. All'esito dell'istruttoria dibattimentale il Giudice ritiene conforme a giustizia mandare assolto l'imputato con formula ampiamente liberatoria. Ed invero dalla deposizione del teste è emerso che effettivamente verso la fine di un incontro amichevole di calcio dalle gradinate dello stadio venivano lanciate una sedia e un secchio di plastica verso il campo di gioco, che finivano sulla pista di atletica che si trovava tra le tribune ed il terreno di gioco, e che uno dei due autori del gesto era l'odierno prevenuto, sostenitore di una delle squadre impegnate nell'incontro e identificato quando alla fine si era recato presso i giocatori per ottenere in ricordo una delle maglie. Deve peraltro concludersi che detto deprecabile comportamento non vale a configurare l'ipotesi di reato contestata. Ha infatti precisato il teste che gli oggetti finivano in una area estranea al gioco, ove non si trovava nessuno, e che coloro che erano impegnati nella partita non si accorgevano nemmeno del lancio; difetta sicuramente il requisito richiesto dalla norma di un lancio effettuato "in modo da creare un pericolo per le persone". Al di là quindi di una censura sotto il profilo morale, che non compete a questo giudicante, l'imputato va assolto dal reato ascritto perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'articolo 530 c.p.p. ASSOLVE Va.Fa. dal reato a lui ascritto, perché il fatto non sussiste. Deposito della motivazione della decisione nel termine di giorni trentacinque.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GROSSETO Il Giudice di Grosseto Dott. Giovanni Puliatti alla pubblica udienza dell'8 febbraio 2007 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: Pe.Da.: nato il (...) a Ge., Residente ivi, via Qu. (...) LIBERO ASSENTE Con l'intervento del difensore di fiducia avv. Lu.Gi. del foro di Grosseto; dell'avv. Cl.Ma. per la persona offesa Mo.Ma.; del P.M. dr.ssa Fidelia Dompetrini IMPUTATO Del reato di cui all'articolo 590 c.p., perché, alla guida del veicolo Chrysler Vojager tg. (...), percorrendo la via Be., giunto all'intersezione con la SS n. 322, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per violazione delle norme del CDS, segnatamente per non avere dato la precedenza, in presenza del segnale di STOP, al conducente del motociclo Aprilia, Mo.Ma., che procedeva lungo la SS n. 322 in direzione Ca.De.Pe.-Fo., cagionava al predetto lesioni personali gravi consistite in "Trauma cranico-facciale-fratture multiple agli arti superiori ed inferiori" con riserva di prognosi. Accertato in Ca.De.Pe. (così corretto in data 7-7-2005) il 18-8-2001:CONCLUSIONI DELLE PARTI: Il Pubblico Ministero: chiede la condanna a mesi tre di reclusione. Il difensore dell'imputato chiede assoluzione ai sensi dell'articolo 530 secondo comma c.p.p.. MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto in data 8 ottobre 2002 del Pubblico Ministero di Grosseto, Pe.Da. veniva tratto in giudizio al giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica, competente per materia e territorio, per rispondere del reato di cui alla rubrica. L'udienza del 22 maggio 2003 si svolgeva in contumacia dell'imputato, non comparso senza addurre alcun motivo di legittimo impedimento. Dopo vari rinvii, concessi su loro richiesta per dare la possibilità alle parti di definire la controversia bonariamente, pendendo trattative, all'udienza del 29 ottobre 2004 veniva aperto il dibattimento. Il Pubblico Ministero ed il difensore dell'imputato chiedevano prove per testi e documenti. All'udienza del 14 aprile 2005 veniva sentito il teste dell'accusa Mo.Ma., persona offesa. All'udienza del 7 luglio 2005 si presentava il prevenuto e ne veniva revocata la dichiarazione di contumacia; si assumeva quindi la deposizione del teste dell'accusa, Ri.Pa.An. Veniva disposta la correzione del luogo di commissione del reato. All'udienza del 9 febbraio 2006 si procedeva all'esame dell'ingegnere Gu.An., consulente della difesa dell'imputato. All'udienza del 6 luglio 2006 si assumeva la deposizione del teste della difesa, Lh.Fr.Ma. All'udienza del 10 novembre 2006 sull'accordo delle parti veniva resa utilizzabile la documentazione proveniente dal teste dell'accusa, Bo.Pa., agente sc. della Polizia Stradale, con rinuncia alla sua escussione. All'odierna udienza il P.M. ed il difensore concludevano quindi come da separato verbale. All'esito dell'istruttoria, il Giudice ritiene conforme a giustizia affermare la penale responsabilità dell'imputato. Ed invero va premesso che non è contestato che il sinistro stradale si verificava in data 18-8-2001 alle ore 20,25 sulla SS n. 322, viale Ke., un lungo rettilineo che consentiva perfetta visibilità, all'incrocio con la via Be. (località Ri.de.So., zona Le.Du., nel territorio urbano di Ca.De.Pe.) tra il motociclo Aprilia, condotto dal Mo., che procedeva lungo detta Statale in direzione Ca.De.Pe.-Fo. e l'autovettura Ch.Vo. tg. (...), condotta dal prevenuto, che si immetteva nella strada statale proveniente dalla via Be. con obbligo di dare la precedenza, in presenza del segnale di STOP. Similmente non è contestato che il Mo. nell'occorso riportava lesioni personali gravi consistite in "Trauma cranico-facciale-fratture multiple agli arti superiori ed inferiori" con riserva di prognosi. Alla luce dell'attività istruttoria svolta ed in particolare delle deposizioni testimoniali e della documentazione planimetrica e fotografica è stato possibile ricostruire con la dovuta univocità la dinamica dell'incidente. La vettura del prevenuto, ferma sulla linea dello STOP, impegnava detto incrocio per immettersi nel viale Ke. e dirigersi verso il centro di Ca.De.Pe., in direzione di marcia cioè opposta a quella tenuta del motociclo, mentre sopraggiungeva quest'ultimo. Avveniva quindi l'urto tra la parte frontale del motociclo e la fiancata sinistra dell'autoveicolo, all'altezza della portiera del conducente (vedi foto numero 12 e 13 delle rilevazioni della Polizia). La difesa e la polizia nella loro ricostruzione hanno collocato il punto presumibile d'urto (vedi punto tre della planimetria della Polizia, dato fatto proprio dal C.T. della difesa) al centro della carreggiata opposta a quella percorsa dal motociclo (e di destinazione della manovra dell'autovettura), poiché ivi si trovavano (foto numero due delle rilevazione della Polizia) il più delle tracce rimaste sul terreno (macchie di sangue, frammenti di vetro e plastica, tranci di pizza trasportati dal giovane, il casco). L'interpretazione di tali tracce è, ovviamente e come sempre, indispensabile, ma soprattutto nel caso in esame poiché il motociclo non lasciava alcun segno di frenata. Il Giudicante non condivide del tutto la conclusione di cui sopra. Deve tenersi in conto infatti che il motociclo sicuramente nella sua posizione di quiete si trovava a cavallo della linea di mezzeria (foto da 1 a 3 delle rilevazione della Polizia) e che la perfetta corrispondenza di tale posizione (vedi punto 1 della planimetria della Polizia) con l'area dell'incrocio e la presumibile traiettoria leggermente obliqua dell'autovettura (che si dirigeva verso sinistra), induce a ritenere che il punto d'urto va collocato sì, come sopra sostenuto, nella carreggiata di sinistra, ma in un punto molto più vicino alla linea divisoria (se non a cavallo) tra le due carreggiate, nella considerazione che il motoveicolo può essere leggermente "rimbalzato" indietro dopo l'urto. Le tracce di frammenti della struttura del motociclo (vetro e plastica) e i pezzi della pizza trasportati inoltre non possono non aver risentito del fenomeno di proiezione dopo l'urto per effetto dell'energia cinetica, ovviamente risultando più "compatte" per l'effetto "muro" della fiancata dell'autovettura. Ed infine la macchia di sangue ed il casco risultano ancor più spostate in obliquo, perché rappresentano il punto di caduta del corpo ed il rotolamento del casco, anche loro necessariamente sottoposti allo scarico dell'energia cinetica. Ancora va rilevato per la centralità delle tracce lasciate sulla fiancata dell'autovettura (sia sotto il profilo della collocazione nell'ambito della fiancata, che per il tipo di affossamento, non tangente rispetto alla direzione dell'altro veicolo) che quest'ultima al momento dell'urto non solo non aveva già compiuto la sua manovra di svolta a sinistra, ma era ancora nel pieno della stessa. Il teste Ri., come si vedrà più avanti riferisce di un assetto perpendicolare dell'autovettura rispetto all'asse stradale, e ciò comporterebbe che la collocazione del punto d'urto nel centro di una carreggiata di metri 3,60 è incompatibile con i danni ad un veicolo colpito nella sua fiancata centrale: si dovrebbe altrimenti ritenere che l'autovettura stesse attraversando perpendicolarmente la strada (circostanza negata da tutti) e si trovasse con il muso sul margine della strada opposto. Quanto poi alla ricostruzione della velocità tenuta dai due veicoli, posto che - come già sopra sottolineato - non vi sono tracce di frenata, l'unico dato tecnico utile è rappresentato dall'entità dei danni. Giova sul punto precisare che le conseguenze lesive per la persona del conducente sono da rapportare ovviamente alla condizione di motociclista, necessariamente privo di ripari in caso d'urto con un veicolo di ben maggiore massa e corrisponde nel caso di specie ad un urto frontale contro un muretto, un ostacolo praticamente fisso. Né di particolare rilievo sono stati i danni per la fiancata e assenti le conseguenze per le persone a bordo dell'autovettura. Sulla base di quanto esposto ritiene il Giudicante che la velocità del motociclo sia stata sicuramente superiore a quanto reso necessario dalle circostanze di luogo e traffico (sul punto si tornerà più avanti), ma sicuramente molto inferiore agli ottanta chilometri orari indicati dal C.T. di parte (in caso di un urto a tale velocità, non mitigata da alcuna frenata, la moto sarebbe risultata completamente distrutta e il motociclista avrebbe subito esiti ancor più gravi di quelli riportati e sarebbe stato proiettato a metri e metri di distanza). Le considerazioni di cui sopra incidono negativamente anche sulla condivisibilità delle conclusioni del C.T. della difesa in merito al tempo di attraversamento della carreggiata da parte dell'autovettura: i ricostruiti otto chilometri orari possono anche esser condivisi, ma ovviamente non i tre secondi e rotti complessivi, dovendosi tenere conto che la partenza avveniva da fermo e vi era una minor lunghezza della traiettoria tenuta dalla vettura rispetto al punto d'urto. Deve osservarsi che le deposizioni testimoniali non risultano essere state decisive: la persona offesa - come normale in incidenti di tale rilievo e con stato di incoscienza dopo l'urto - non ricorda l'esatto momento dell'urto, mentre il teste Ri. riferisce dell'urto, della direzione dell'autovettura, ma non è in grado di descrivere l'esatta posizione di quiete di quest'ultima (certamente perpendicolare - il che conferma le considerazioni di cui sopra sulla fase iniziale della manovra dell'automobilista - ma non ricorda se al centro della strada o della carreggiata). La teste della difesa Lh., moglie dell'imputato e da lui trasportata descrive l'arrivo del motociclo a "velocità sostenuta ... molto veloce, non meno di 50 km/ora" e una manovra finale di "semicurva sulla sinistra per pensare di sorpassarci" dando "un'accelerazione". Tutto ciò premesso, può così descriversi compiutamente la condotta tenuta dai due conducenti. Il prevenuto si fermava regolarmente allo STOP, vedeva venire di lontano il motociclista, e seppur l'aveva visto venire veloce (così era stata in grado di giudicare la sua trasportata) calcolava di poter attraversare la strada ed effettuare la svolta in senso contrario prima del suo arrivo. Il motociclista procedeva a velocità di "non meno di 50" kmh, sicuramente qualcosina in più, ma non certo gli 80 kmh accreditati dal C.T., vedeva improvvisamente l'autovettura partire e tagliargli la strada, non effettuava una frenata, anzi forse accelerava, e deviava la sua marcia leggermente verso sinistra nella convinzione di passare davanti al veicolo (da cui certo si aspettava una frenata che lo facesse fermare nella carreggiata di destra). Avveniva invece l'urto tra i due veicoli. Nessun dubbio vi può essere quindi sul carattere colposo della condotta del conducente dell'autovettura, che non dava la dovuta precedenza ad un veicolo che vedeva sopraggiungere e decideva di riprendere la marcia, calcolando male la sua possibilità di attraversare la strada e costituendo improvviso ingombro nella carreggiata di pertinenza del motociclo. Sicuramente non si tratta di un caso di precedenza di fatto, che il conducente avrebbe conseguito solo qualora la manovra di attraversamento fosse stata già ben iniziata e in atto al momento dell'avvistamento del veicolo avente invece il diritto di precedenza. Così sicuramente non può essere da lui invocato il principio dell'affidamento, laddove era lui a dovere rispettare l'obbligo assoluto di dare la precedenza. Un appunto può essere mosso anche nei confronti del conducente del motoveicolo. Certo non sotto il profilo della opzione della manovra di emergenza, poiché vi era forse l'accelerazione, ma sicuramente il piegamento sulla sinistra per passare davanti alla vettura ostacolo. A parte ogni considerazione sul rischio di una brutale frenata per un motociclo, è noto che è insindacabile la scelta di una improvvisa manovra d'emergenza. Tanto meno sul presupposto sostenuto dalla difesa che avrebbe dovuto scegliere il lato opposto ove effettuare la manovra elusiva: egli avrebbe cioè dovuto lanciarsi nel lato in quel momento ingombro dalla sagoma dell'autovettura, calcolando, conto ogni legittimo affidamento, che il conducente della stessa avrebbe continuato il comportamento vietato. Doveva, invece e certamente, il motociclista tenere una velocità più moderata, laddove anche il rispetto del limite genericamente imposto era non adatto alle condizioni di luogo - incrocio in centro abitato, con insediamenti abitativi sui due lati della strada, un ristorante, le strisce pedonali - e di tempo - orario di prima serata in una località turistica particolarmente frequentata in quel periodo. E se è vero che nei suoi confronti valeva il principio generico dell'affidamento relativamente al rispetto del suo diritto di precedenza, la vista dell'autovettura all'incrocio lo doveva indurre a rallentare notevolmente la velocità. Non essendovi stata costituzione di parte civile e non dovendosi procedere a quantificazione della misura del risarcimento, non deve procedersi nemmeno ad una esatta quantificazione anche del concorso di colpa della persona offesa. Rileva peraltro sotto il diverso profilo della quantificazione della misura della responsabilità del prevenuto, il rilievo se da parte sua la persona offesa, abbia adottato una condotta di guida ispirata alla massima prudenza. Per questo, alla luce delle considerazioni svolte sul carattere colposo delle condotte dei due conducenti, va riconosciuto che, sia pure in misura ridotta, vi è stato un contributo di imprudenza anche da parte del Mo. Il Pe., quindi, va dichiarato responsabile del reato a lui ascritto e condannato alla pena ritenuta equa di mesi uno di reclusione, così determinata avuto riguardo ai criteri tutti di cui all'art. 133 c.p. e tenuto conto delle attenuanti generiche, che gli possono essere concesse per l'incensuratezza e per il comportamento processuale, essendovi stato un acconto nel pagamento in favore della persona offesa, e che possono essere ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti (p.b. mesi uno e giorni quindici di reclusione meno 1/3 ex ex art. 62 bis c.p.). Per tipologia e data di commissione del reato la pena deve essere interamente condonata per l'indulto di cui alla Legge 31.7.2006 n. 241. Nella ragionevole presunzione che la presente condanna possa valere quale remora al compimento di nuovi reati, possono essere concessi al prevenuto i benefici della sospensione della pena sospesa e della non menzione. Inoltre, dalla condanna consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo, stimato equo, di mesi uno. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA Pe.Da. colpevole del reato ascritto, e, concesse le attenuanti di cui all'articolo 62 bis c.p., ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, lo CONDANNA alla pena di mesi uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. NON MENZIONE PENA SOSPESA ex art. 163 c.p. e INTERAMENTE CONDONATA ex artt. 1 e segg. legge 31 luglio 2006, n. 241. Visto l'articolo 222 D.lvo 30 aprile 1992 n. 285 APPLICA a Pe.Da. la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo di mesi uno. Deposito della motivazione della decisione nel termine di giorni trentacinque.

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