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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Imperia, dott. Fabio Favalli, in funzione di Giudice di I grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2471/2019 del ruolo generale degli affari contenziosi Civili del Tribunale di Imperia tra (...), rapp.ta e difesa dall'Avv. Ro.Be. Attrice E Condominio via (...) 34 rapp.to e difesa dagli Avv.ti Ma.Me. e Ri.Ca. Convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE In atto di citazione l'attrice ha chiesto l'annullamento della delibera assembleare del 22-10-2019 esclusivamente in ragione della circostanza per cui, a suo dire, il rendiconto consuntivo oggetto d'approvazione sarebbe stato privo del registro di contabilità e della nota esplicativa. Nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. si lamenta poi che alla missiva di convocazione inoltrata alla (...) erano stati allegati i succitati documenti e che 'amministratore aveva omesso di specificare che il rendiconto e relativi allegati erano depositati presso il proprio studio e che ciascun condomino aveva facoltà di visionarli, assumendosi pertanto che all'attrice era stato impedito d'avere contezza dell'effettiva situazione patrimoniale del condominio. Orbene, a tali argomentazioni supplementari, prospettanti ulteriori motivi d'invalidità della delibera, deve replicarsi che: - l'art. 66 disp. att così recita: 'L'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell'ora della stessa". Non è, dunque prescritto alcun dovere per l'amministratore d'accludere all'avviso anche copia dei bilanci da approvare. - alla luce di ciò lo scrivente ritiene di condividere pienamente quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità, espressamene richiamato dalla difesa del convenuto, secondo cui "..l'amministratore del condominio non ha l'obbligo di depositare integralmente la documentazione giustificativa del bilancio negli edifici, ma è soltanto tenuto a permettere ai condomini, che ne facciano richiesta, di prendere visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile, gravando sui condomini l'onere di dimostrare che l'amministratore non ha loro consentito di esercitare detta facoltà" (Cass. 33038/2018; cfr.: Cass. Sez. 2, 28/01/2004, n. 1544; Cass. Sez. 2, 19/05/2008, n. 12650); - parimenti, non v'è alcuna disposizione di legge che imponga all'amministratore di menzionare espressamente nell'avviso di convocazione che i condomini hanno facoltà di visionare preventivamente gli atti. Tale diritto è, infatti, già attribuito in termini generali a ciascun comproprietario dall'art. 1129 comma 2 c.c., il quale fa obbligo all'amministratore di comunicare (anche) "il locale ove si trovano i registri di cui ai numeri 6) e 7) dell'articolo 1130" contestualmente all'accettazione della nomina e al rinnovo dell'incarico e non, dunque, ad ogni invio dell'avviso di convocazione; - non consta poi, non avendo l'attrice allegato (e provato) ciò in corso di causa, che la (...) chiesto di prendere visione ed estrarre copia della documentazione e che tale istanza sia stata disattesa dall'amministratore; grava infatti sui condomini l'onere di dimostrare che l'amministratore non abbia loro consentito di esercitare detta facoltà (Cass. 33038/2018; Cass. Sez. 2, 28/01/2004, n. 1544; Cass. Sez. 2, 19/05/2008, n. 12650). Tutto ciò chiarito, l'impugnazione in esame s'incentra, in buona sostanza, sul principio per cui "Allorché il rendiconto non sia composto da registro, riepilogo e nota, parti inscindibili di esso, ed i condomini non risultino perciò informati sulla reale situazione patrimoniale del condominio quanto ad entrate, spese e fondi disponibili, può discenderne - indipendentemente dal possibile esercizio del concorrente diritto spettante ai partecipanti di prendere visione ed estrarre copia dei documenti giustificativi di spesa l'annullabilità della deliberazione assembleare di approvazione", come statuito in Cass. 33038/2018, pronuncia anch'essa richiamata dall'attrice in comparsa conclusionale a sostegno delle proprie ragioni. Al riguardo s'osserva che la Cassazione non ha chiarito se l'amministratore sia o meno tenuto a presentare all'assemblea il rendiconto per la propria approvazione. A parere di chi scrive tale dovere non sussiste poiché dal tenore del suddetto dictum s'evince che ciò che rileva è esclusivamente il fatto che l'amministratore abbia redatto un bilancio consuntivo conforme alle prescrizioni di legge, si da porre ciascun condomino in condizione di conoscere in termini adeguati l'andamento della gestione e la situazione patrimoniale del condominio. Ebbene, nel verbale assembleare in atti (all. 4 parte attrice) si legge che l'assembla approvò il bilancio dopo averlo brevemente esaminato e aver ascoltato alcuni chiarimenti da parte dell'amministratore, il che smentisce quanto sostenuto dalla (...) comparsa conclusionale laddove s'afferma che nel processo verbale della seduta non risulterebbe che l'amministratore avesse in alcun modo illustrato l'attività gestionale posta in essere nell'anno di riferimento né nella circostanza aveva messo a disposizione dei condomini la documentazione obbligatoria ex art. 1130 bis c.p.c.. Questa, invece, risulta essere stata per la maggior parte redatta. Si tratta dei doc. 4 e 5 prodotti dal Condominio, consistenti in un registro di contabilità alquanto semplificato e redatto secondo il principio di cd. cassa (come ritenuto debba essere fatto dalla giurisprudenza di merito maggioritaria) ossia riportante nelle rispettive colonne le entrate e le uscite sul c/c condominiale nel periodo fine 2017/2018-inizio 2018/2019, con l'indicazione delle relative causali, nonché d'una sintetica relazione di bilancio. Sul punto si prende atto che nessuna contestazione circa l'esaustività e l'intelligibilità di tali scritti è stata mossa dall'impugnante nella 1 memoria. Ciò che, invece, manca e che rende fondata l'impugnazione è il riepilogo finanziario, documento anch'esso prescritto dall'art. 1130 bis c.c. come obbligatoriamente facente parte del rendiconto. In materia condominiale tale atto si risolve nell'illustrazione dei costi e dei ricavi e dell'annotazione finale dell'avanzo o disavanzo di gestione ovvero dello stato patrimoniale del condominio, atto che secondo l'opinione giurisprudenziale maggioritaria, che lo scrivente ritiene di condividere, va redatto secondo il criterio di cd. competenza. A tal fine occorre riportare il conguaglio dell'esercizio in corso ossia l'importo totale di quanto dovuto dai condomini e da terzi e degli eventuali crediti vantati da costoro nei confronti del condominio, unitamente all'analogo conguaglio dell'esercizio precedente, per poi indicare la differenza ossia l'avanzo o il disavanzo. Inoltre, occorre annotare l'esistenza di fondi disponibili e d'eventuali riserve. Ebbene, avendo l'amministratore omesso di far ciò, il bilancio consuntivo relativo alla gestione 1/10/2018-30/9/2019 non rispondeva ai requisiti minimi prescritti dall'art. 1130 bis c.c. e pertanto non era idoneo a consentiva alla Viale, così come ad ogni altro condomino, di comprendere adeguatamente quale fosse l'effettiva situazione patrimoniale complessiva del Condominio. La domanda va pertanto accolta e l'impugnata delibera annullata. Ne consegue la condanna del convenuto al pagamento degli oneri processuali, che, determinati sulla base dei parametri legali applicabili per le cause dal valore indeterminabile e della complessità medio - bassa della causa, si quantificano come in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia definitivamente pronunciando sulle domanda proposta da (...) nei confronti di Condominio via (...) 34, Imperia, così provvede: Annulla la delibera del 22/10/2019 con cui Condominio via (...) 34, Imperia ha approvato il rendiconto consuntivo relativo al periodo fine 2017/2018-inizio 2018/2019. Condanna Condominio via (...) 34, Imperia, alla rifusione delle spese di causa che si quantificano in Euro 1800,00 per la fase di studio, Euro 1400,00 per la fase introduttiva, Euro 1800,00 per la fase di trattazione, Euro 2800,00 per la fase decisionale, oltre a spese generali IVA e CPA come da legge. Così deciso in Imperia il 9 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IMPERIA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del G.O.P. Avv. Andrea Saccone, ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 281 quinquies comma 2 c.p.c. nella causa n. 3504/2014 R.G. promossa da: - (...) e (...), anche quali eredi di (...), rappresentati e difesi dagli Avv.ti Ro.Ca. e Vi.Vi., come per procura alla lite in calce all'atto di citazione, elettivamente domiciliati presso lo studio del primo, in Sanremo - corso (...); - ATTORI - contro - (...) s.r.l. in liquidazione, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Va.Qu. e Lu.Ca., come per procura alla lite a margine della comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliata presso lo studio della prima in Ventimiglia - via (...); - CONVENUTA - - COMUNE DI BORDIGHERA, rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Ba., come per procura alla lite a margine della comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliato in Bordighera - via (...); - ALTRO CONVENUTO - - PROVINCIA DI IMPERIA, rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Cr., come per procura alla lite a margine della comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliata presso l'Ufficio Legale della Provincia di Imperia - viale (...); - TERZA CHIAMATA IN CAUSA - - (...) s.p.a., rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Ma., come per procura notarile alle liti del 3/2/2012 Notaio Lo.St., elettivamente domiciliata in Imperia - via (...); - TERZA CHIAMATA IN CAUSA - avente ad oggetto: risarcimento danni. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione del 20/11/2014, notificato a (...) s.r.l. e al Comune di Bordighera, (...) e (...), anche in qualità di eredi di (...), hanno esposto quanto segue. In data 1/11/2010, il treno condotto quale ferroviere da (...) deragliava in Comune di Bordighera a causa della frana di un muro e di un terreno, i cui detriti, insieme a quelli derivati da altri fondi confinanti, avevano invaso la massicciata; (...) riportava trauma cranico, frattura ossa del naso, frattura della corticale anteriore del mascellare con avulsione dentarie multiple arcata superiore e inferiore, frattura pluriframmentaria dell'acetabolo di sinistra del pilastro posteriore, distorsione del rachide cervico dorsale e contusione emicostato destro; rimaneva, altresì, permanentemente inabile alla specifica attività lavorativa di macchinista ferroviario e, al rientro nel gennaio 2012, era assegnato ad altra mansione, fino al momento del decesso, avvenuto il 28/3/2014, per altra causa. Gli attori hanno chiesto la condanna di (...) s.r.l. e del Comune di Bordighera in solido o secondo la graduazione di responsabilità meglio accertata e ritenuta al risarcimento del danno non patrimoniale da loro stessi patito quali congiunti di (...), nonché iure hereditatis, di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali dallo stesso subiti. (...) s.r.l. in liquidazione si è costituita in giudizio contestando in fatto e in diritto la domanda attrice, in particolare, negando ogni responsabilità ex art. 2053 cod. civ. e chiamando a titolo di manleva la Provincia di Imperia per omessa manutenzione degli scoli e per omessa custodia e vigilanza della soprastante sede stradale e delle sue pertinenze. Il Comune di Bordighera, a sua volta, si è costituito in giudizio contestando anch'esso la domanda attrice in fatto e in diritto; in particolare, ha rilevato la genericità delle domande formulate, stante l'assenza di ogni culpa in vigilando del Comune stesso. La Provincia di Imperia, nel costituirsi in giudizio, principalmente ha richiamato la sentenza n. 181/2012 del Tribunale di Sanremo, laddove era stato accertato che il muro di sostegno crollato sui binari era stato edificato abusivamente su terreno, in buona parte, di (...) (R.), con palesi difetti di costruzione; inoltre, asseriva che la regimazione delle acque spettava per legge e per convenzione a (...) s.r.l. (...) s.p.a., chiamata in causa a garanzia da parte della Provincia di Imperia, ha contestato, tra l'altro, ogni responsabilità dell'Ente medesimo. La causa è stata istruita a mezzo di prove documentali ed orali; all'esito è stata licenziata C.T.U. medico legale; quindi, precisate le conclusioni e previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., è stata trattenuta in decisione. Rimessa la causa sul ruolo a seguito di apposita ordinanza del 2/5/2021, al fine di consentire alle parti di precisare se i vari provvedimenti del Giudice penale prodotti, fossero o meno irrevocabili ovvero passati in giudicato, la causa è stata discussa e nuovamente trattenuta in decisione, ai sensi dell'art. 281 quinquies comma 2 c.p.c.. 2. In atto di citazione gli attori hanno domandato il risarcimento dei danni, da una parte, ai sensi dell'art. 2053 cod. civ. nei confronti di (...) s.r.l. e, dall'altra, ex art. 2043 cod. civ. con riferimento al Comune di Bordighera. 2.1 La difesa di (...) s.r.l. ha chiamato in causa la Provincia di Imperia, evidenziando come la causa del sinistro fosse da ricondurre alla mancata manutenzione e pulizia degli scoli della SS1 (...) posta a monte della proprietà, circostanza che aveva causato un incontrollato deflusso delle acque piovane dalla strada, inondando il terreno sottostante e favorendone lo smottamento; inoltre, ha allegato che il muro franato insisteva sui fondi identificati a C.T. con i mappali (...) e (...) di proprietà rispettivamente delle Ferrovie dello Stato e di (...) s.r.l. e che il movimento franoso aveva interessato al 90% il mapp. (...) e al 10% il mapp. (...). Peraltro, dall'esame della relazione dei periti del (...)P. del 30/7/2011, prodotta sub n. (...) da parte della difesa degli attori, è stato accertato che la predetta ripartizione è pari a 2/3 per il mapp. (...) e ad 1/3 per il mapp. (...) (pag. 2, all'inizio); che quest'ultimo mappale risulta di proprietà di (...) (ceduto dalla (...) s.r.l. il 27/7/2004) ed i sottostanti mapp. (...) e 212 di proprietà di (...), l'ultimo comprendente la sede ferroviaria e le opere di delimitazione (pag. 4, all'inizio); che vi erano opere di regimazione idraulica sul lato levante della frana per convogliare le acque reflue dalla Via (...) sino ad oltre la sede ferroviaria (sempre pag. 4, in fondo); che i deflussi provenienti dal tombino della Via (...) si disperdevano per andare a riversarsi sul fronte sottostante poi franato (pag. 5); che dalla consultazione della cartografia del Piano di Bacino sul sito della Provincia di Imperia, l'area in esame è individuata in "zona R4" ad alto rischio (pag. 8); che la piovosità del periodo 30/10 - 1/11/2010, rilevata dalle stazioni meteo di Sanremo e Ventimiglia, è stata pari a circa 110 mm, piogge persistenti, ma non particolarmente intense (pag. 10); che lo stato di emergenza aveva interessato, particolarmente, il territorio del centro levante della Regione Liguria e solo marginalmente l'estremo ponente (pag. 11); che sarebbe emerso, a carico del Comune di Bordighera, il mancato accertamento delle opere non conformemente realizzate ed il mancato controllo degli iter autorizzativi, mentre (...) non sarebbe intervenuta sulla realizzazione di opere effettuate nella sua proprietà né avrebbe operato i dovuti controlli su aree sensibili ai fini della sicurezza della sede ferroviaria (pag. 24, in fondo); che le opere di regimazione per lo smaltimento delle acque provenienti dalla Via (...) avrebbero carattere di opere e manufatti artificiali e non di rivi o scoli naturali (pag. 26); che, a fronte delle richieste di interventi di regimazione idraulica da parte di (...) s.r.l., la Provincia di Imperia ha dato un unico riscontro a mezzo della comunicazione del 10/9/2002, preannunciando operazioni di pulizia e manutenzione dei tombini della Via (...), ma demandando al privato le opere di canalizzazione delle acque (pagg. 26 e 27); che le cause della frana sono da attribuirsi alla arbitraria modifica della morfologia del tratto di versante con la costruzione di muri di fascia difformi dal titolo autorizzativo e con caratteristiche statiche del tutto non adeguate, stante l'anomalo e abusivo posizionamento (pagg. 27 e 28), nonché all'inefficienza della canalizzazione delle acque provenienti dalla Via (...) e dal modesto impluvio a monte della stessa, in particolare per il mapp. (...) (pag. 28). Al fine di individuare le responsabilità conseguenti al richiamato accertamento peritale, che questo Giudice ritiene utilizzabile quale prova atipica, occorre preliminarmente chiarire che la Suprema Corte ritiene che la responsabilità per rovina di edificio ex art. 2053 cod. civ., ha carattere di specialità rispetto a quella ex art. 2051 cod. civ., in quanto deriva dall'essere posta a carico del proprietario o di altro titolare di diritto reale di godimento in base al criterio formale del titolo, non essendo sufficiente il mero potere d'uso della res; inoltre, ha natura oggettiva e può essere esclusa solo dalla dimostrazione che i danni provocati dalla rovina non sono riconducibili a vizi di costruzione o a difetto di manutenzione, bensì ad un fatto dotato di efficacia causale autonoma, comprensivo del fatto del terzo o del danneggiato, ancorché non imprevedibile ed inevitabile (da ultimo, Cass. 9694/2020). Ne consegue che, in quanto proprietaria del muro all'epoca della rovina (il mapp. (...) è stato ceduto dalla (...) s.r.l. il 27/7/2004), deve essere dichiarata la responsabilità di (...) s.r.l., ex art. 2053 cod. civ., anche in relazione al fatto che detta Società ha comunicato la fine dei lavori al Comune di Bordighera, in relazione alle pratiche 5627 e 5628, così come risulta a pag. 24 della già richiamata relazione dei periti del (...)P. del 30/7/2011, prodotta sub n. 13 da parte della difesa degli attori. Secondo giurisprudenza pacifica della Suprema Corte "in tema di responsabilità del proprietario per danni derivanti ex art. 2053 c.c. da rovina dell'edificio, va considerata tale ogni disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente incorporati" (ex multis Cass. 23939/2009 e 7755/2007). La norma integra un'ipotesi particolare di danno da cose in custodia che impedisce l'applicazione dell'art. 2051 cod. civ. per il principio di specialità e può essere esclusa soltanto dalla prova, che il proprietario deve fornire, che la rovina non fu dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione; benché la norma non ne faccia menzione è consentita anche la prova del caso fortuito, di un fatto cioè dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, compreso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato (Cass. 1002/2010). I testi escussi hanno confermato che concause della rovina del muro in pietra sono state il non corretto smaltimento delle acque e l'imbibizione eccessiva del terreno (teste T. Ing. S., C.T.U. del (...)P. nella causa penale, cfr. verbale di udienza del 18/1/2017); che le opere erano abusive e che non erano stati presentati i relativi calcoli strutturali dai quali si sarebbe potuto correttamente verificare l'idoneità o meno delle opere di sostegno (teste (...) Ing. (...), perito di parte della Provincia di Imperia nel procedimento penale, cfr. verbale di udienza del 7/4/2017); che l'impianto di smaltimento delle acque meteoriche della sovrastante via (...) era sottodimensionato e che l'evento piovoso era stato di eccezionale portata, come da dichiarazione dello stato di emergenza (teste (...) Ing. (...), perito di parte di (...) s.r.l. nel procedimento penale, cfr. verbale di udienza del 7/4/2017); che l'opera era stata costruita da (...) s.r.l. senza permessi edilizi o, comunque, con grosse difformità e che vi erano carenze costruttive in sede di realizzazione del muro (teste (...), perito di parte del Dirigente della Provincia di Imperia nel procedimento penale, cfr. verbale di udienza del 22/6/2017); che la causa scatenante è stata la mancata regimazione delle acque provenienti dalla Via (...) e che, comunque, il terrapieno ed il muro che lo sosteneva erano abusivi, con palesi deficienze di ordine statico (teste (...) Ing. (...), cfr. verbale di udienza del 22/6/2017); che il muro era totalmente abusivo e che era stato realizzato senza fondamenta né pali né tiranti né ferro (testi (...) Ing. (...), Dirigente della Provincia di Imperia e (...), cfr. verbale di udienza del 22/6/2017). Occorre aggiungere che i testi escussi hanno riferito anche intorno all'esistenza in loco di un tombino in muratura e pietra con funzioni di scolo delle acque provenienti dalla sovrastante Via (...) (il teste (...) ha anche parlato di carenza strutturale dell'impianto), precisando che detto tombino è classificato come scolo naturale, non essendo ricompreso nell'elenco delle acque pubbliche, che la canaletta era ostruita da terra e materiale non identificabile ed attribuibile come provenienza (teste (...), occlusione confermata dal teste (...)) e che la Provincia di Imperia non aveva l'onere della relativa manutenzione nella parte privata, in quanto spettante a (...) s.r.l. La difesa di quest'ultima, all'udienza tenutasi il 12/10/2017 ha depositato le copie di tre denunce querele presentate nei confronti dei testi (...), (...) e (...) per falsa testimonianza riguardo alla circostanza che l'opera franata fosse stata edificata da (...) s.r.l., anziché da (...) s.r.l.: tuttavia, ai fini del decidere, nessuna rilevanza può essere attribuito al contenuto delle denunce querele, in quanto alla data dell'1/11/2010 la proprietà del muro franato era, ormai da circa sei anni, pacificamente intestata a (...) s.r.l., la quale, pertanto, deve rispondere quale proprietario ex art. 2053 cod. civ.. 2.2 Come già anticipato, la difesa di (...) s.r.l. ha chiamato in causa la Provincia di Imperia per la mancata manutenzione e pulizia degli scoli della SS1 (...) ed ha allegato che il muro franato insisteva, per gran parte, sul mappale (...) di proprietà delle Ferrovie dello Stato (rectius: (...)). La difesa della Provincia di Imperia ha prodotto copia della sentenza penale n. 909/2016 di questo stesso Tribunale, a mezzo della quale sono stati assolti, dal reato p. e p. dagli artt. 113, 430 e 449 comma 2 c.p., i Dirigenti della Provincia stessa per non aver commesso il fatto: in detta pronuncia (pagg. 6 e ss. della motivazione), la difettosa manutenzione della canaletta di scolo viene imputata a (...) s.r.l. che si era assunta l'onere relativo, mentre la regimazione delle acque spettava a (...) (peraltro, anche i Dirigenti di quest'ultima, sono stati assolti in grado di appello per non aver commesso il fatto). Al di là di quanto prevede l'art. 652 comma 1 c.p.p. in ordine all'efficacia di giudicato nel giudizio civile per il risarcimento del danno quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, vi è comunque evidente carenza di prova, in ordine al nesso di causalità tra le asserite omissioni della Provincia di Imperia e l'evento dannoso per cui è causa. Infatti, l'unico teste che ha riferito che l'impianto di smaltimento delle acque meteoriche della sovrastante via (...) era sottodimensionato e che l'evento piovoso era stato di eccezionale portata, come da dichiarazione dello stato di emergenza (teste (...) Ing. (...), perito di parte di (...) s.r.l. nel procedimento penale, cfr. verbale di udienza del 7/4/2017), è palesemente smentito dai dati riportati nella relazione dei periti del (...)P. del 30/7/2011, prodotta sub n. (...) da parte della difesa degli attori (piovosità del periodo 30/10 - 1/11/2010, rilevata dalle stazioni meteo di Sanremo e Ventimiglia, pari a circa 110 mm, piogge persistenti, ma non particolarmente intense - pag. 10; stato di emergenza che aveva interessato, particolarmente, il territorio del centro levante della Regione Liguria e solo marginalmente l'estremo ponente - pag. 11). Ne consegue che la Provincia di Imperia è esente da ogni responsabilità e, pertanto, non può essere accolta, da una parte, la domanda di manleva di (...) s.r.l. e, dall'altra, anche (...) s.p.a. va dichiarata esente da ogni obbligo di garanzia e manleva nei riguardi della Provincia di Imperia. 2.3 Parimenti deve essere respinta la domanda a mezzo della quale gli attori hanno chiesto dichiararsi la responsabilità del Comune di Bordighera, ex art. 2043 cod. civ., per mancato esercizio della vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia posta in essere da parte di (...) s.r.l., così come disposto dall'art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001. La difesa del Comune di Bordighera ha condivisibilmente richiamato le argomentazioni contenute nella richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero Dott. (...) del 28/12/2011 (prod. 14 degli attori e n. 2 di (...) s.r.l.), integralmente accolte dal (...) con decreto di archiviazione del 21/5/2012. In particolare, a pag. 2 della richiamata richiesta di archiviazione, si evidenzia per quale motivo "... al Comune non competeva accertare, sotto il profilo della tecnica costruttiva, l'idoneità statica delle opere realizzate, segnalando o sanzionando, in caso di verifica negativa la carenza dell'opera: al Comune spetta solamente una verifica formale - di conformità dell'opera al progetto - la cui omissione, se dolosa, potrebbe integrare altre fattispecie delittuose, senza che, tuttavia, tale condotta costituisca causa dell'evento realizzatosi." 3. Per quanto attiene al quantum debeatur, preliminarmente, va ricordato che gli attori hanno domandato il risarcimento sia del danno non patrimoniale dagli stessi subito quali congiunti di S.P. sia iure hereditatis di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali dallo stesso S.P. subiti in ragione dei fatti di causa. Il danno non patrimoniale reclamato iure proprio dagli odierni attori è del tutto carente di prova: infatti, gli stessi non hanno subito alcuna conseguenza diretta a seguito dell'evento dannoso che ha colpito il loro congiunto o, quantomeno, non è stato possibile dimostrarlo in corso di causa; pertanto, la relativa domanda deve essere respinta. La domanda riguardante i danni patrimoniali e non patrimoniali iure hereditatis, al contrario, può essere accolta, ma nei limiti del cosiddetto danno da premorienza, come verrà motivato tra breve. La prova dei danni non patrimoniali è stata conseguita a seguito dell'escussione del teste S.S. (cfr. verbale di udienza del 18/1/2017), il quale ha confermato che, dopo l'incidente, (...) era stato demansionato da macchinista, era divenuto claudicante e si appoggiava ad un bastone, aveva problemi di masticazione e di alimentazione. 4. Passando alla liquidazione del danno, il C.T.U. ha così risposto ai quesiti: "1)La Invalidità temporanea assoluta si è protratta per almeno mesi 3 La invalidità parziale al 50% per altri mesi 3 2)Lo stato di Invalidità ha impedito totalmente l'attività lavorativa svolta come macchinista ferroviere per almeno 430 gg. (certificato dall'INAIL) 3)Sussistevano esiti permanenti non migliorabili 4)Tali esiti incidevano negativamente sulla validità del periziando nella misura del 35% 5)L'Invalidità permanente incideva sull'esercizio dell'attività di lavoro creando incompatibilità tra le condizioni fisiche e neuropsichiche ed il lavoro svolto fino ad allora come conducente di treni. Oltre alle difficoltà di movimento in seguito alla ftt acetabolare è da ritenere incompatibile con il lavoro già svolto lo stress psichico che esso produce su una vittima di deragliamento 6)In fascicolo non ho rinvenuto spese sostenute ma solo 2 preventivi di spese odontoiatriche per riparare alla perdita dentaria multipla e ftt del mascellare, con lavori per 5.300,00 Euro nel primo caso e di 22.000 Euro nel secondo Non ho ricevuto osservazioni critiche dalle parti alla bozza di CTU inviata". Le predette conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. appaiono immuni da vizi ed essendo frutto di argomentazioni logiche, motivate e rispettose del principio del contraddittorio, sono del tutto condivisibili, tanto che i C.T. di parte non hanno neanche presentato osservazioni all'elaborato finale. Va osservato, peraltro, che (...) è deceduto 3 anni e 147 giorni dopo l'evento (1/11/2010 - 28/3/2014), per cause indipendenti: l'Osservatorio della Giustizia civile presso il Tribunale di Milano ha denominato tale fattispecie come "danno definito da premorienza". Con riferimento a tali ipotesi i Giudici di legittimità, con orientamento consolidato, hanno chiarito che "ove la persona danneggiata muoia ... per causa indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico che gli eredi del defunto richiedano iure successionis va effettuata non più con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva (così Cassazione civile sez. III, 07/07/2016, n.13920, che in motivazione ricorda il "principio già ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui "ove la persona danneggiata muoia nel corso del giudizio di liquidazione del danno per causa indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico che gli eredi del defunto richiedano "iure successionis" va effettuata non più con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva (Cass. 9/08/2001, n. 10980; Cass. 24/10/2007, n. 22338; Cass. 14/11/2011, n. 23739; Cass. 30/06/2015, n. 13331)". Si veda anche Cass. 25157/2018, ma più di recente è intervenuta Cass. 41933/2021, la quale ha ritenuto che il Giudice di merito è tenuto a liquidare il danno secondo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e d'invalidità, ad un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuirne l'importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. Ne discende che, a mezzo della ricordata pronuncia, la Suprema Corte ha volutamente disatteso le indicazioni dell'Osservatorio della Giustizia civile presso il Tribunale di Milano, di cui alle tabelle del "danno definito da premorienza" nella parte in cui assumono che il danno sia maggiore, quanto più vicino all'evento lesivo e che decresca col trascorrere del tempo fino a consolidarsi. Pertanto, secondo Cass. 41933/2021, per non incorrere in scelte inique, ove la vittima di un danno alla salute, conseguenza di un fatto illecito, sia deceduta prima della conclusione del relativo giudizio, per cause non ricollegabili alla menomazione sofferta, l'ammontare del risarcimento spettante agli eredi va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile. Il Giudice di merito è tenuto a liquidare il danno secondo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e d'invalidità, ad un danneggiato che sia rimasto in vita fino al termine del giudizio, per poi diminuirne l'importo in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. Pertanto, i conteggi per la liquidazione dei danni risarcibili, effettuati con riferimento all'anno 2014 (stante l'avvenuto decesso di (...) il 28/3/2014) sono i seguenti. Tabella di riferimento: Tribunale di Milano 2014 Età del danneggiato alla data del sinistro 56 anni Percentuale di invalidità permanente 35% Punto danno biologico Euro 4.701,23 Punto danno non patrimoniale Euro 7.051,85 Punto base I.T.T. Euro 96,00 Giorni di invalidità temporanea totale 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 0 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 90 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 0 Danno biologico risarcibile Euro 119.294,00 Danno non patrimoniale risarcibile Euro 178.941,00 Invalidità temporanea totale Euro 8.640,00 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 4.320,00 Totale danno biologico temporaneo Euro 12.960,00 Totale generale Euro 191.901,00 (...) aveva 56 anni all'epoca dell'incidente ed è deceduto all'età di anni 59: pertanto, essendo la speranza di vita degli uomini pari ad anni 80, il predetto importo, parametrato ad anni (80 - 56 =) 24, deve essere diminuito in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti che sono pari ad anni (59 - 56 =) 3. Pertanto, risulta la seguente proporzione 191.901,00 : 24 = X : 3 dove X = 23.987,62 che rappresenta l'importo dovuto per i tre anni di vita, a titolo di danno non patrimoniale: spettano inoltre gli interessi legali sul capitale originario (id est devalutato al momento dell'evento dannoso) rivalutato anno per anno secondo gli indici ISTAT dell'incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, dall'evento dannoso al saldo effettivo (SS. UU. 1712/1995). Tuttavia, occorre tenere conto del fatto che parte attrice ha ricevuto la somma di euro 80.426,52 da parte di INAIL, come da apposita attestazione acquisita a seguito di ordinanza ex art. 213 c.p.c. del 22/11/2016: detta somma è costituita dalla sommatoria dell'indennità di euro 54.033,91 per inabilità temporanea assoluta al lavoro per complessivi gg. 427, dal costo delle protesi per euro 62,80 e dal danno biologico per euro 8.865,84 nonché euro 17.463,97 per il ristoro del danno patrimoniale, importo da ritenersi congruo ed equo, in carenza di idonea quantificazione, non essendo sufficienti, a tal fine, le buste paga prodotte dagli attori che riguardano solo pochi mesi del periodo di demansionamento subito. Pertanto, le somme percepite da parte di INAIL risultano ampiamente satisfattive rispetto a quelle liquidate utilizzando le tabelle in vigore presso il Tribunale di Milano, motivo per cui le domande degli attori devono essere respinte in punto quantum debeatur. 5. In virtù delle reciproche soccombenze dovute anche ai revirements giurisprudenziali relativi al danno definito da premorienza, le spese di lite vanno interamente compensate, tranne per i compensi del C.T.U., già liquidati in corso di causa, che vengono posti definitivamente a carico degli attori, stante la mancata allegazione di quanto percepito da parte di INAIL. P.Q.M. il Tribunale di Imperia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione o deduzione: 1) respinge le domande di parte attrice; 2) spese di lite interamente compensate, tranne per i compensi del C.T.U., posti definitivamente a carico degli attori. Così deciso in Imperia il 20 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI IMPERIA il TRIBUNALE di Imperia in composizione monocratica, in persona del dott. Pasquale LONGARINI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.341/2019 RG del Tribunale di Imperia avente ad oggetto "azione di rivendicazione con domanda riconvenzionale di usucapione" promossa da CONDOMINIO (...) n.13 (CF: (...)), in persona dell'amministratore pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Lu.FU. presso il cui studio in Sanremo al corso (...) è eletto domicilio -attore- contro 1) (...) ((...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.MA. presso il cui studio in Ventimiglia alla via (...) è eletto domicilio 2) (...) SpA (PI: (...)), contumace -convenuti- RAGIONI DELLA DECISIONE (1) abstract Il CONDOMINIO "CORSO (...) N.13", in persona dell'amministratore pro-tempore, con atto di citazione ritualmente notificato, premesso di essere comproprietario pro-indiviso con la (...) SpA del tratto di strada privato denominato "(...)" posto a confine tra il Condominio (...) (particella n.(...)), lo stabile che occupa gli uffici della banca (...) (particella n.(...)), e parte di proprietà di (...) (particella n. (...)) e censito al CF del Comune di Sanremo alla Sezione SR/Foglio n.(...)/Particella (...)/(...) mq, sul quale (...) gode di una mera servitù di passaggio per accedere agli immobili censiti al CF del Comune di Sanremo alla Sezione SR/Foglio n.(...)/Particella (...)/Subb. (...)-(...)-(...)-(...)-(...), dedotto che (...) aveva "delimitato una parte della stradina meglio sopra specificata con paletti uniti da catene al fine di collocarvi auto e moto proprie e dei propri familiari, in assenza di qualsiasi diritto reale, diritto reale minore o di godimento, qualsiasi tipo di concessione e/o autorizzazione da parte del Condominio attore e del palazzo Carige, ledendo il diritto di proprietà di questi ultimi", allegato che (...) in diversa procedura di mediazione aveva assunto di aver usucapito il predetto tratto di strada privato denominato "(...)" volturandolo sine titulo a proprio nome presso l'Agenzia del Territorio, evocava in giudizio (...) e la comproprietaria (...) SpA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con azione di rivendicazione, per sentir condannare (...) all'immediato rilascio e restituzione ai proprietari CONDOMINIO (...) 13 e (...) SpA delle porzioni del bene immobile innanzi descritto, rimuovendo i paletti dallo stesso posti a delimitazione del tratto di strada dallo stesso illecitamente occupato, lasciandolo libero da persone o cose di sua pertinenza, e al risarcimento del danno per l'occupazione abusiva per una somma da valutarsi in via equitativa, con vittoria di spese e compensi professionali. 1.1) Si costituiva in giudizio (...) che, eccepito il difetto dello jus postulandi per mancanza di una autorizzazione rilasciata dall'assemblea condominiale con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c., dedotta la nullità/inammissibilità/infondatezza delle domande attoree per difetto di prova della proprietà del bene rivendicato essendo all'uopo insufficienti le risultanze catastali e le prove dichiarative, per indeterminatezza dell'oggetto non avendo individuato esattamente l'area in contestazione e difetto di prova del lamentato danno patrimoniale per occupazione sine titulo, svolta in via riconvenzionale domanda di acquisto per usucapione dell'area privata in parte adibita a strada carrabile ed in parte a parcheggio e spazio di manovra, allegate riparazioni e miglioramenti apportate all'immobile rivendicato, instava, in via pregiudiziale, per la declaratoria di nullità della domanda per (i) difetto dello jus postulandi, (ii) difetto di legittimazione quanto alla domanda di accertamento e rilascio anche nell'interesse della (...) SpA, (iii) indeterminatezza dell'oggetto, nel merito, per il rigetto della domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto, in via subordinata, per il rigetto delle domande in quanto infondate in fatto ed in diritto, in via riconvenzionale principale, per la dichiarazione di intervenuta usucapione dell'immobile catastalmente identificato al F.(...)/Part.(...) del NCEU del Comune di Sanremo, in via riconvenzionale subordinata, per la condanna dell'attore al versamento dei rimborsi e delle indennità dovute, da determinarsi in corso di causa, con diritto di ritenzione ex art. 1152 c.c. sino all'effettivo soddisfo, con vittoria di spese ed onorari di giudizio. 1.2) Nella contumacia della (...) SpA, assunta la prova dichiarativa (testi di parte attrice: (...); (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...); testi di parte convenuta: (...), (...), (...), (...). (...), (...), (...), (...), (...), (...)), la causa veniva assunta a decisione nell'udienza del 7.1.2022 sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate e con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. (2) sulla produzione documentale svolta nell'udienza di PC. La produzione documentale chiesta da parte convenuta nell'udienza del 12.01.2022 ("l'avv. (...) precisa come da ...e chiede l'acquisizione della missiva (...) del 15.07.2021"), peraltro indirizzata al figlio del convenuto, è palesemente inammissibile in quanto irrituale e inconferente, il cui contenuto è peraltro di significato diverso da quello voluto dal (...). Non va disposta, conseguentemente, neppure l'acquisizione della missiva di chiarimento della (...) all'avv. (...), riportata nel corpo della memoria di replica alle conclusionali di parte attrice. (3) sulle eccezioni pregiudiziali svolte dalla parte convenuta. Tutte le eccezioni di rito svolte da (...) sono destituite di fondamento e, dunque, vanno respinte. 3.1) jus postulandi. Ai sensi dell'art. 948 c.c., il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o la detiene. La rivendicazione è l'azione, di natura reale, di condanna con finalità tipicamente recuperatoria, attraverso la quale il proprietario di un bene, facendo valere il suo diritto di proprietà, agisce nei confronti del possessore o del detentore della stessa, al fine di ottenere il riconoscimento giudiziale del proprio diritto e di recuperare la cosa da altri illegittimamente posseduta o detenuta. La causa petendi dell'azione è la lesione del diritto di proprietà (cass. n. 15915/2007), mentre il petitum è la condanna del convenuto alla restituzione della cosa o al pagamento di un equivalente in danaro (cass. n. 21834/2007). 3.1.1) All'evidenza, l'azione di rivendica non rientra tra gli atti meramente conservativi al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4. All'uopo non coglie nel segno l'allegazione di parte attrice che "dal riconoscimento del bene di cui in causa quale area comune asservita all'uso condominiale discende altresì in modo inequivocabile la legittimità dell'azione esperita dall'amministratore, a prescindere dall'avvenuto conferimento di incarico da parte dell'assemblea condominiale", non trattandosi di azione con funzione conservativa. 3.1.2) In tema di condominio, le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4) possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea, ex art. 1131 c.c., adottata con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c. (cass. n. 21533/2020; cass. n. 12525/2018; cass. n. 14797/2014). Ove si tratti, invece, di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore trova il suo fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, e non anche nel predetto meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale - ad eccezione della (in tal caso equivalente) ipotesi di unanime deliberazione di tutti i condomini - atteso che il potere di estendere il dominio spettante ai singoli condomini in forza degli atti di acquisto delle singole proprietà (come nel caso di specie, relativo a domanda di rivendica proposta dall'amministratore per usucapione di un'area finitima al fabbricato) è del tutto estraneo al meccanismo deliberativo dell'assemblea condominiale e può essere conferito, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati (cass. n. 21533/2020; cass. n. 5147/2003; cass. n. 8774/2020; cass. n. 80/2015; cass. n. 14797/2014). 3.1.2.1) I singoli condomini possono conferire all'amministratore il potere di agire in nome e per conto, purtuttavia all'uopo occorre: (a) una preventiva deliberazione dell'assemblea, con l'autorizzazione all'amministratore a procedere a loro nome e per loro conto, nelle ipotesi in cui l'area da oggetto di rivendica è comune per legge o regolamento; (b) uno specifico mandato conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione, conferito all'infuori del meccanismo deliberativo dell'assemblea, ad eccezione dell'ipotesi di deliberazione unanime, qualora i condomini vantino la comproprietà di un'area esterna all'edificio condominiale, in forza di un titolo derivativo. 3.1.3) Nel caso di specie, la stradina privata, adibita a parcheggio e manovra, denominata (...) e catastalmente identificata al F.(...)/Part.(...) del NCEU del Comune di Sanremo, è certamente da ritenersi parte comune condominiale essendo funzionalmente e strutturalmente asservita all'utilizzo comune (all'utilizzo e alle necessità del Condominio (...) n.13 e del limitrofo palazzo (...)) atteso che sulla facciata prospiciente dell'area sono presenti l'ascensore per l'accesso agli studi medici condominiali, l'uscita di sicurezza dell'immobile al piano strada, le finestre delle cantine e le aperture per l'aerazione delle cantine al piano strada, soggetta alla presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117 c.c. in quanto bene necessario per l'utilizzo delle entrate laterali del condominio e del palazzo (...) nonché per l'esercizio della servitù del garage (...) n.19 (vedi documentazione fotografica, all. 21 di parte attrice): "Il diritto di condominio sulle parti comuni dell'edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l'esistenza dell'edificio stesso, ovvero che siano permanentemente destinate all'uso o al godimento comune, sicché la presunzione di comproprietà posta dall'art. 1117, che contiene un'elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all'uso o al godimento di una parte dell'immobile, venendo meno, in questi casi, il presupposto per il riconoscimento di una con titolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene prevale sull'attribuzione legale, alla stregua del titolo contrario" (cass. n.17993/2010); "In tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., trova applicazione anche nel caso di cortile esistente tra più edifici limitrofi ma strutturalmente autonomi appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano" (cass. n. 3739/2018); "in tema di condominio ai fini della presunzione di comproprietà del cortile per le unità immobiliari che vi si affacciano, è sufficiente che queste da esso traggano aria e luce, poiché la ratio della norma contenuta nell'art. 1117 c.c. si fonda sulla funzionalità oggettiva dei beni ivi indicati e cioè sulla loro attitudine a servire l'immobile condominiale" (cass. n.23670/2021) 3.1.3.1) l'elencazione di cui all'art. 1117 c.c. non è tassativa e, nello specifico, l'area esterna di un edificio condominiale, relativamente alla quale manca un'espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, va "ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell'art. 1117 c.c." (cass. n. 5831/2017; cass. n. 20612/2017). 3.1.4) La natura di spazio esterno asservito all'utilizzo comune del bene comune lo si desume, altresì, come correttamente osservato da parte attrice, dagli atti con i quali gli originari proprietari ne definivano la natura, laddove si legge "Il terreno così reso comune fra le due parti dovrà servire esclusivamente a strada privata di accesso al terreno retrostante le case (...) e F./Galleano, acquistato dal (...) con atto 9 Dicembre 1912, N.R.. La strada dovrà essere sempre libera in modo che i contraenti possano sempre utilizzarla in tutta la sua larghezza con assoluto divieto di ostruzioni di qualsiasi genere e forma, anche per il sottosuolo, senza il consenso scritto dell'altra parte" (atto del (...) a Rogito del Notaio (...)). 3.1.5) Orbene, non essendo necessario uno specifico mandato speciale conferito da ciascuno dei condomini interessati alla comunione, conferito all'infuori del meccanismo deliberativo dell'assemblea o una deliberazione unanime dell'assemblea che autorizzava il condominio ad agire in rivendica a nome e per conto dei singoli condomini, avendo nella specie parte attrice prodotto la delibera dell'assemblea con cui la maggioranza qualificata dei condomini aveva preventivamente autorizzato l'amministratore a conferire incarico professionale al difensore, l'amministratore, e per esso il difensore, ha la legittimazione, lo jus postulandi. 3.1.5.1) Dall'analisi dei documenti prodotti da parte attrice (docc. nn. 10, 11, 17, 18, 19, 20) si evince che il 10.05.2017 il Condominio (...) n. 13, a mezzo di delibera assembleare adottata a maggioranza qualificata di 683 millesimi, abbia formalmente conferito incarico all'amministratore al fine di esperire tentativo di mediazione obbligatoria e, all'esito negativo della mediazione, come l'assemblea condominiale veniva puntualmente informata dello stato della controversia, deliberando di procedere con la odierna azione, conferendo incarico - con successiva conferma e ratifica - all'attuale difesa di parte attrice. 3.2 citazione in giudizio (...). La citazione in giudizio della (...) si era resa necessaria in ragione che il (...), invitato alla mediazione dal Condominio, allegava l'intervenuta usucapione dell'immobile oggetto di controversia e, dunque, per evitare una sentenza inutiliter data nei confronti del comproprietario. Correttamente la parte attrice, ex art. 102 c.p.c., ha chiamato in giudice la comproprietaria (...). Come correttamente richiamato da parte attrice: "In tema di domanda di rivendica di un bene proposta da uno o più soggetti che assumono di esserne i comproprietari, la necessità dell'integrazione del contraddittorio dipende dal comportamento del convenuto. Infatti, qualora egli si limiti a negare il diritto di comproprietà degli attori, non si richiede la citazione in giudizio di altri soggetti, non essendo in discussione la comunione del bene; qualora, al contrario, eccepisca di esserne il proprietario esclusivo, la controversia ha come oggetto la comunione di esso, cioè l'esistenza del rapporto unico plurisoggettivo, e il contraddittorio deve svolgersi nei confronti dì tutti coloro dei quali si prospetta la contitolarità (litisconsorzio necessario), affinché la sentenza possa conseguire un risultato utile che, invece, non avrebbe in caso di mancata partecipazione al giudizio di alcuni, non essendo essa a loro opponibile" (cass. n.24234/2018); "La domanda diretta all'accertamento della usucapione di un bene richiede la presenza in causa di tutti i comproprietari in danno dei quali l'usucapione si sarebbe verificata perché comporta l'accertamento di una situazione giuridica (usucapione e proprietà esclusiva) confliggente con quella preesistente (comproprietà degli altri) della quale il giudice può solo conoscere in contradditorio di ogni interessato" (cass. n.15619/2018). 3.2.1) A.(...) svolto domanda riconvenzionale di intervenuta usucapione del bene oggetto di causa, la predetta sentenza non potrà che svolgere i suoi effetti, in ragione della sussistenza di una comunione pro-indiviso, sia su (...) che sul Condominio (...) 13. 3.3) nullità della domanda per indeterminatezza. La precisa individuazione dell'immobile oggetto di causa, mediante la produzione della documentazione catastale ed il puntuale riferimento operato sin dall'atto di citazione ai dati ivi riportati (Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, con tanto di estratto planimetrico), peraltro del tutto coincidente con l'area dei cui parte convenuta chiede il riconoscimento dell'acquisto per usucapione (Nel meritoRigettare comunque la domanda, siccome del tutto infondata, in fatto ed in diritto. In via riconvenzionale, principalmente dato atto che l'immobile catastalmente identificato al Foglio (...), Particella (...), del N.C.E.U. del Comune di Sanremo è stato posseduto continuativamente, pubblicamente, pacificamente ed ininterrottamente dal conchiudente, per oltre un ventennio, accertare che quest'ultimo ne è divenuto proprietario per intervenuta usucapione), rende del tutto priva di pregio l'eccezione di parte convenuta. (4) sulla domanda attorea di rivendicazione. Il bene immobile oggetto di causa, individuato nel tratto di strada privato denominato "(...)" posto a confine tra il Condominio (...) n.13 (particella n.(...)), lo stabile che occupa gli uffici della banca (...) (particella n.(...)) e parte di proprietà di (...) (particella n. (...)), è censito al Catasto Fabbricato del Comune di Sanremo alla Sezione SR/Foglio n.(...)/Particella (...)/(...) mq. Alle spalle dei due edifici vi sono altre costruzioni, una che in passato era la sede di un'autofficina ed oggi è un garage, nonché il (...) n. 21. 4.1) Con atto di permuta a R.N.R.D.S. rep. n. (...) trascritto in S. il (...) al numero 1355 vol. 111, (...)B. e (...) fu A., allora aventi diritto in quanto proprietari degli immobili con tale area confinanti, convenivano sulla predetta area una comunione pro-indiviso, mantenuta anche in occasione delle successive avvenute modificazioni. 4.1.2) Nello specifico, gli allora proprietari del condominio in oggi denominato "(...) n.13", (...), e del palazzo in oggi di proprietà della (...), (...) e (...), disponevano che "Il sig. (...) e sigg. (...), (...) rendono comuni i terreni che si trovano rispettivamente a sud e a nord delle loro case in Corso Umberto I di questa Città, e cioè il sig. (...) la striscia di terreno di circa mq 30 (metri quadrati trenta) confinante a mezzogiorno con la sua casa, a ponente col corso Umberto a levante col vicolo (...), ivi compresa la costruzione in muratura attualmente ad uso di passaggio ed i sigg. F.-Galleano l'attigua striscia di terreno nord della loro casa tra Corso Umberto e (...) di circa metri settanta compreso lo spazio della costruzione in muratura attualmente adibita a magazzino. Il terreno così reso comune fra le due parti dovrà servire esclusivamente a strada privata di accesso al terreno retrostante le case (...) e F.-Galleano, acquistato dal (...) con atto 9 Dicembre 1912, N.R.. La strada dovrà essere sempre libera in modo che i contraenti possano sempre utilizzarla in tutta la sua larghezza con assoluto divieto di ostruzioni di qualsiasi genere e forma, anche per il sottosuolo, senza il consenso scritto dell'altra parte". La predetta disposizione veniva riportata nella relativa nota di trascrizione. 4.1.2) Con atto a (...) del (...), rep. n. (...), (...)/(...) (vedova di (...) in R. e G.(...), divenuti proprietari dell'intero fabbricato oggi (...) civ. n. 27, vendevano ognuno per la propria quota di spettanza l'intero fabbricato. Nel dettaglio: "Rimane comunque stabilito tra tutti i contraenti che, nonostante qualsiasi diversa, incompleta od errata indicazione catastale, di confini o di consistenza, s'intende venduto dai sigg. (...), (...) ced. (...), (...) in R. e dott. ing. (...)G. ed acquistato dalla (...) l'intero stabile da cielo a terra, sito in (...), con ingresso dall'attuale civico n. 27 del (...) ? con tutti gli accessori, parti comuni e pertinenze, nulla escluso od eccettuato, compresi i diritti di comproprietà spettanti agli anzidetti venditori sulla strada privata senza nome a confine col palazzo della società T. e sul vicolo (...). ... La (...) consente al signor (...) ed ai suoi aventi causa la facoltà, sempre che essa risulti indispensabile e non sia esclusa da precedente titolo, di passaggio pedonale, per accedere allo stabile di esso sig. (...) sito in C.so (...) n. 19/b attraverso la strada privata senza nome, che separa lo stabile di (...) n. 27 dal palazzo della Società (...), ed attraverso il vicolo (...)". 4.1.2.1) l'atto veniva regolarmente trascritto il 20.04.1959 e la compravendita contemplava espressamente la cessione da parte (...) anche dei diritti di cui godeva sulla stradina per cui è causa, ossia della comproprietà pro indiviso con il Condominio (...) n. 13. Dunque, dal 1959 nessun diritto di proprietà spettava al (...) sulla strada, che dal 1914 era stata oggetto di specifica regolamentazione tra le parti proprietarie, ove era stato previsto che la stessa dovesse rimanere assolutamente sgombra e priva di intralci di qualsiasi ordine e genere. 4.1.3) Con successivo atto a (...) del (...), numero 61640 rep. (...), la (...), proprietaria dal 1959 del fabbricato sito in (...) n. 27, cedeva l'intero immobile alla Cassa di Risparmio di Genova e Imperia ((...)). Nell'atto testualmente si legge: "Il fabbricato in oggetto è venduto ed acquistato a corpo nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e come tenuto e posseduto dalla parte venditrice alla quale pervenne per atto a rogito del Notaio dr. (...) alla residenza di Imperia in data 17 aprile 1959 n. 12858 di repertorio, registrato ad Imperia il 4 Maggio 1959 al n. 201, trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di (...) in data 20 aprile 1959 ai n.ri 559/2242 - 1396/1884, atto che la parte acquirente dichiara di conoscere e di accettare senza riserve in ogni sua parte e particolarmente per quanto si riferisce alle servitù sia attive che passive, apparenti e non, ai diritti di passaggio ed agli accessi in genere, in detto atto ed in quelli in esso citati contenuti; il tutto per quanto attinente da aversi qui come riportato e trascritto". 4.2) Il Condominio (...) n.13, in persona dell'amministratore pro-tempore, a fronte della condotta di (...) che, pur godendo della sola mera servitù di passaggio pedonale per accedere agli immobili di sua proprietà siti nel medesimo (...) al civico 21, censite al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo Sez. SR, Foglio (...), Particella (...), subalterni (...), (...), (...), (...) e (...), indebitamente delimitava una parte della stradina con paletti uniti da catene al fine di collocarvi auto e moto proprie e dei propri familiari, agisce con azione di rivendicazione della stradina vicolo Pian di nave censita al CF del Comune di Sanremo alla sezione SR, Foglio (...), Particella (...), (...) mq, regolata come proprietà pro-indiviso tra lo stesso Condominio e con lo stabile dei proprietà di (...). (...) oppone la proprietà del predetto immobile con domanda riconvenzionale di acquisto dello stesso per usucapione ultraventennale. 4.2.1) La prova del diritto di proprietà è diversa a seconda se sia a titolo originario o derivativo: nel primo caso l'attore deve dimostrare i presupposti della fattispecie acquisitiva; nel caso di acquisto a titolo derivativo, ove gli eventuali vizi che inficiavano il titolo del precedente proprietario si trasferiscono sul titolo del successore secondo il principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis, sarà necessaria la dimostrazione dell'esistenza di un titolo idoneo (valido ed efficace) e che il dante causa sia effettivamente proprietario: "il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell'usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l'onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche nel caso in cui opponga un proprio di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla (più vantaggiosa) posizione di possessore" (cass. n.11555/2007). 4.2.2) L'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione, che rappresenta un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, mediante il possesso indisturbato protratto per un determinato periodo di tempo. Ai fini dell'acquisto della proprietà, il possesso continuato nel tempo deve essere pacifico, non violento e ininterrotto. Gli effetti giuridici della usucapione si producono come conseguenza di un fatto giuridico, la sentenza che accerta tali effetti, pertanto, ha valore solo dichiarativo. La proprietà dei beni immobili si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni. 4.2.2.1) L'usucapione rappresenta, dunque, un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, mediante il possesso indisturbato protratto per un determinato periodo di tempo. La ratio dell'usucapione va ricercata nell'opportunità, dal punto di vista sociale, di favorire chi, nel tempo, utilizza e rende produttivo il bene a scapito del proprietario che lo trascura. Perché si verifichi l'usucapione, debbono concorrere i seguenti presupposti, la prova della cui sussistenza grava su chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario: a) il possesso del bene; b) la continuità del possesso per un certo lasso di tempo. A tal fine il soggetto interessato non ha l'onere di fornire la prova di aver posseduto il bene giorno per giorno, minuto per minuto, per tutto l'arco di tempo richiesto. La legge, infatti, lo agevola con la "presunzione di possesso intermedio", in forza del quale basta che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in un tempo più remoto. Ciò e sufficiente per far presumere, iuris tantum, che abbia posseduto anche nel periodo intermedio; c) la non interruzione del possesso; d) il decorso di un certo lasso di tempo. Ai fini dell'acquisto della proprietà, il possesso continuato nel tempo deve essere pacifico, non violento e non interrotto. L'usucapione si realizza quando il possesso è esercitato, per l'intero periodo previsto dalla legge, in modo continuativo, ossia senza interruzioni. L'acquisto del diritto per usucapione avviene per legge, nel momento in cui matura il termine previsto dalle norme del codice civile che, per quanto riguarda i beni immobili, è di venti anni (art. 1158 c.c.). L'accertamento per via giudiziale dell'intervenuta usucapione dà luogo a una sentenza accertativa avente natura dichiarativa e non costitutiva (cfr. cass. n.2485/2007; cass. n.12609/2008). Gli effetti giuridici dell'usucapione si producono, dunque, quale conseguenza di un fatto giuridico: la sentenza che accerta tali effetti, pertanto, ha valore solo dichiarativo. La trascrizione, in base all'articolo 2651 del codice civile, della sentenza da cui risulta acquistato per usucapione la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi ha, pertanto, natura di pubblicità-notizia, in quanto assolve allo scopo di garantire completezza ai pubblici registri. 4.2.3) Tanto premesso, va innanzitutto osservato come il Condominio (...) n.13, con riferimento al bene la cui proprietà è controversa, ha assolto l'onere probatorio di cui era gravata allegando al proprio fascicolo di parte i titoli d'acquisto. In tema di rivendicazione, per l'individuazione del bene rivendicato, del quale si chiede il rilascio, la base primaria dell'indagine del giudice di merito è costituita dall'esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, quando essi sono stati esibiti in giudizio. Difatti solo la mancanza o insufficienza di indicazioni sui dati di individuazione delle unità rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione, giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ivi comprese le mappe catastali (cass. n. 21834/2007). 4.2.3.1) Sul punto va osservato che secondo un risalente e più consolidato indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte in tema di azione di rivendicazione, ove il convenuto spieghi una domanda ovvero un'eccezione riconvenzionale, invocando un possesso "adusucapionem" iniziato successivamente al perfezionarsi dell'acquisto ad opera dell'attore in rivendica (o del suo dante causa), l'onere probatorio gravante su quest'ultimo si riduce alla prova del suo titolo d'acquisto, nonché della mancanza di un successivo titolo di acquisto per usucapione da parte del convenuto, attenendo il "thema disputandum" all'appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell'invocata usucapione e non già all'acquisto del bene medesimo da parte dell'attore (ex multis cass. n. 8215/2016). Va tuttavia dato atto di un indirizzo giurisprudenziale allo stato minoritario, al quale non si intende aderire, secondo cui, nell' ipotesi in cui il possessore che propone in via riconvenzionale eccezione di usucapione si avvalga del principio "possideo quia possideo", non vi sarebbe alcuna attenuazione del rigore probatorio in tema di rivendicazione (cass. civ. n.14734/2018). In ogni caso, anche volendo seguire questo orientamento, deve osservarsi che nella fattispecie il convenuto, nella comparsa di costituzione e risposta, si è limitato ad affermare apoditticamente il suo possesso, non ha contestato i titoli d'acquisto della parte attrice, implicitamente riconoscendoli. 4.2.4) Vertendosi in fattispecie di diritto di proprietà a titolo derivativo, il Condominio, con le produzioni documentali offerte in prova e sopra evidenziate (nello specifico: atto di permuta a (...) rep. n. (...) trascritto in S. il (...) al numero 1355 vol. 111; atto a (...) rep. n. (...) trascritto in S. il (...) al numero 1355; nota di trascrizione ; atto a (...) del (...), rep. n. (...) regolarmente trascritto il 20/04/1959; atto a (...) del (...), numero 61640 rep. (...)), ha dimostrato l'esistenza di un titolo idoneo (valido ed efficace) e che i danti causa erano effettivamente proprietari: "il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell'usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l'onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio possideo quia possideo, anche nel caso in cui opponga un proprio di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla (più vantaggiosa) posizione di possessore" (cass. n.11555/2007). 4.2.4.1) Alcun pregio ha l'eccezione di parte convenuta relativa alla mancata apparizione del Condominio nei rogiti in atti atteso che questi risalgono ad un periodo in cui i condomìni non erano ancora sorti, infatti degli interi fabbricato ne disponevano i proprietari che, con il rogito Notaio (...) rep. n. (...) trascritto in S. il (...) al numero 1355 vol. 111, convenivano la comunione pro-indiviso di un tratto di strada limitrofo alle parti di loro proprietà, tratto di strada meglio specificato nel successivo atto di compravendita a rogito notaio (...)D.I. del (...) rep. (...) e trascritto in Sanremo il 20/04/1959 ("quanto i diritti di comproprietà che spettanti al medesimo venditore sulla strada privata senza nome, sita a confine col palazzo della Società T. e sul vicolo (...), strada privata che figura in catasto a pag. 37 foglio XLII n. (...) con mq. (...)"), esattamente l'immobile oggetto del presente giudizio. Dunque, a partire dal 1914, la proprietà della stradina vicolo (...), censita al Catasto fabbricati del Comune di Sanremo Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata regolata come proprietà pro indiviso tra il Condominio (...) 13 e in oggi con lo stabile di proprietà della (...) SpA. La condotta ascritta a (...), che godeva di una mera servitù di passaggio pedonale per accedere agli immobili di sua proprietà e non anche un diritto reale, diritto reale minore o di godimento, una qualsiasi tipo di concessione e/o autorizzazione da parte del Condominio attore e del palazzo Carige, delimitando una parte della stradina con paletti uniti da catene al fine di collocarvi auto e moto proprie e dei propri familiari, lede il diritto di proprietà di questi ultimi. (5) sulla domanda riconvenzionale di usucapione. Avendo la parte convenuta formulato domanda riconvenzionale di usucapione, occorre esaminare nel merito il relativo tema ovvero la questione dell'intervenuta usucapione dell'area contesa tra le parti. (...), convenuto in giudizio per il rilascio dell'immobile, fonda, infatti, la sua difesa invocando un titolo di acquisto diverso da quello che la parte attrice pone a sostegno della sua domanda e chiedendone in via riconvenzionale l'accertamento. Non si è limitato solo a chiedere il rigetto della domanda attorea ma chiede a sua volta una pronuncia in suo favore ovvero l'accertamento della maturata usucapione ex art. 1158 c.c. dell'immobile catastalmente identificato al Foglio (...), Particella (...), del N.C.E.U. del Comune di Sanremo. 5.1) È onere di colui che chiede l'accertamento della intervenuta usucapione dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto estrinsecatosi in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Questi non solo deve provare il corpus, dimostrando di essere nella disponibilità del bene, ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire. Ai fini della usucapione è, infatti, necessaria la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell'interessato attraverso un'attività apertamente contrastante e inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene (ex multis, cass. 20508/2019; cass. n. 23849/2018). 5.2) Ebbene, va osservato che (...) non ha offerta adeguata prova di aver posseduto "uti dominus" l'immobile descritto al NCEU del Comune di Sanremo al Foglio (...), Particella (...), per un periodo, continuativo, ininterrotto, pubblico e pacifico, di almeno venti anni. 5.3) (...) ha rimesso la dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell'invocata fattispecie acquisitiva a titolo originario del diritto di proprietà affermato nella domanda riconvenzionale sostanzialmente alla sola prova orale, deducendo la testimonianza di (...) (figlio del convenuto), (...), (...), (...) (figlia del convenuto), (...) (nipote del convenuto), (...) (genero del convenuto), (...) (cognata del convenuto), (...), (...), (...), non producendo alcun documento a supporto delle proprie argomentazioni (note di trascrizione, visura catastale, relazione tecnica, etcc.), all'esito della quale ha offerto la prova della disponibilità del bene conteso ma non anche del dominio esclusivo sul bene attraverso un'attività incompatibile con il possesso della parte attrice. 5.3.1) In ragione della circostanza non contestata che il (...) godeva sulla stradina oggetto di contesa di una servitù di passaggio, all'evidenza alcun rilievo assumono le testimonianze volte a provare come il convenuto abbia transitato sull'area per cui è causa per accedere al retrostante edificio utilizzando detta area anche per il parcheggio e la manovra, in quanto attività non corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. 5.3.2) (...) adduce a prova del possesso pacifico, pubblico, continuativo ed ininterrotto: (1) l'avvenuta delimitazione dell'area contesa con apposizione di paletti a far data dagli anni '80; (2) l'apposizione di cartelli riportanti la dicitura "proprietà privata" sui muri del condominio prospicenti sull'area contesa a far data dagli anni '70; (3) il riconoscimento della sua proprietà da parte del Comune di Sanremo e da parte di privati che avrebbero utilizzato l'area su sua concessione nonché dall'utilizzo continuativo dell'area quale zona di sosta per sé e i propri famigliari. 5.3.2.1) Quanto alla circostanza di cui al punto (1), non può dirsi offerta la prova rigorosa, secondo il criterio della prova "al di là di ogni ragionevole dubbio", applicabile nella fattispecie atteso che "almeno in materia immobiliare, la prova del titolo formale del diritto reale si basa su un elemento certo (salvi i casi di falsificazione) che è dato dall'atto scritto con cui si acquista il diritto; non è pensabile che tale certezza sia scalfita da testimonianze o presunzioni non dotate di un assai grado di plausibilità", ma neppure secondo la regola della "preponderanza dell'evidenza" o del "più probabile che non", che, a far data dagli anni 80, il convenuto (...) aveva delimitato l'area contesa con apposizione di paletti atteso che, fermo restando il giudizio di inattendibilità soggettiva delle dichiarazioni rese dalle persone in stretto rapporto di parentela o di affinità col convenuto che trarrebbero un indubbio vantaggio dal riconoscimento dell'acquisto per usucapione del bene immobile oggetto di contesa ((...), (...), (...), (...), (...)), le dichiarazioni rese dal teste neutro (...), laddove confermava di aver visto il (...) apporre i paletti (alla domanda Vero che all'inizio degli anni 80 il geom. (...) ha apposto i paletti e le catene che delimitano le zone di parcheggio e manovra e riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6)?, rispondeva: "il geom. (...) ha apposto i paletti e le catene che delimitano le zone di parcheggio e manovra. L'ho visto personalmente"), del teste non del tutto neutro in quanto gli era stato concesso da parte del convenuto di poter transitare nell'area contesa per accedere al retrostante magazzino locatogli dallo stesso convenuto, (...), laddove dichiarava di aver visto il (...) apporre i paletti (alla domanda Vero che dal 1978 ad oggi il geom. (...) transita con mezzi meccanici sull'area per cui è causa per accedere al retrostante edificio ed utilizza detta area anche per il parcheggio e la manovra, nelle zone delimitate con i paletti e le catene che riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6)?, rispondeva: "si è vero, con l'azienda di famiglia siamo stati in affitto da loro a far data dal 1968 fino al dicembre 1986. Anche noi li transitavamo"; alla domanda Vero che alla fine degli anni '70 il geom. (...) ha apposto sulla facciata del Condominio, i cartelli recanti la scritta "proprietà privata", che riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6)?, rispondeva: "è vero, l'ho constatato personalmente"; alla domanda Vero che all'inizio degli anni '80 il geom. (...) ha apposto i paletti e le catene che delimitano le zone di parcheggio e manovra e riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6)?, rispondeva: "si è vero, l'ho visto personalmente. Ovviamente non lui, ma gli operai che mettevano i paletti") e dal teste, anch'esso non del tutto neutro in quanto gli veniva concesso dal convenuto di utilizzare l'ultimo parcheggio posto sull'area contesa, (...) laddove dichiarava di ricordare la presenza di catene che delimitavano i posti auto, non venivano confermate dal teste neutro (...), a conoscenza dei luoghi in quanto collaboratore degli studi del dr. (...) e del notaio (...) siti al corso (...) e cliente dell'officina BMW sita la fondo del vicolo Pian di neve ove portava la moto per il tagliando, il quale non ricordava di aver mai visto alcuna area di parcheggio delimitata da catene e paletti (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, così rispondeva: "si è vero. Io avevo una moto BMW che vi portavo a fare regolare tagliando. Lo so in quanto collaboravo con lo studio (...) che della (...), dal 1990 al 2005, ed ho potuto osservare quanto in domanda"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, veniva occupata stabilmente dal signor (...) e dai suoi familiari dopo il 2009?, così rispondeva: "questo non lo so. Io mai ho visto paletti a delimitazione dello spazio auto dei parcheggi") e dal teste neutro (...), direttore dei lavori presso il condominio attore dal 1990 al 2003, che ricordava la presenza di veicoli ma non di paletti (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "conosco la zona, in quanto ho svolto direzione lavori per il condominio attore, e ciò a cavallo degli 2000, fine anni 1990 fino al 2003. Quando io ho frequentato per motivi professionali quella zona, effettivamente era utilizzata come nella domanda postami. Ricordo la presenza di veicoli ma non quella di paletti"). 5.3.2.2) Quanto alla circostanza di fatto di cui al punto 2), il teste (...), esercente attività lavorativa preso l'autofficina del padre dal 1978, ha dichiarato di non ricordare se il (...) aveva apposto sulla facciata del Condominio, i cartelli recanti la scritta "proprietà privata" (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si è vero. Lo so perché dal 1978 ho lavorato con mio padre che era il titolare dell'officina"; alla domanda Vero che alla fine degli anni '70 il geom. (...) ha apposto sulla facciata del Condominio, i cartelli recanti la scritta "proprietà privata", che riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6)?, rispondeva: "non lo ricordo"; alla domanda Vero che nel 1995 il sig. (...) ha apposto, sulla facciata del Condominio, il cartello recante la scritta "passo carraio", che riconosco nelle foto che mi vengono rammostrate (docc. 5-6), rispondeva: "non lo ricordo"). In ragione delle predette dichiarazioni, della cui attendibilità soggettiva ed oggettiva non è lecito dubitare in ragione dell'estraneità ai fatti e della prolungata frequentazione della zona, non può ritenersi provata la predetta circostanza all'esito delle dichiarazioni rese da (...) e (...) della cui attendibilità è lecito dubitare in ragione dello stretto rapporto di parentela che le legava al convenuto. Le medesime argomentazioni valgono per le deposizioni dei testi L., D.F. e R., in quanto generi e cognata di (...). 5.3.2.3) Né l'intervenuto acquisito per usucapione può inferirsi dal riconoscimento del (...) quale proprietario ad opera del Comune di Sanremo atteso che, ai fini che qui interessano, l'unilaterale intestazione a proprio nome dell'area in contesa presso il catasto del predetto comune non ha rilevanza probatoria alcuna, intestazione del mappale, peraltro, assunta in riserva. 5.3.2.4) Neppure a tal fine rileva l'asserito riconoscimento quale proprietario da parte del (...) il quale, proprietario di un immobile sito in fondo al vicolo Pian di nave (part. n.(...)) come atto di compravendita a Rogito Notaio (...) (rep. (...) registrato il (...) ai nn. 391/184) nel 1998 avrebbe richiesto al (...) l'autorizzazione alla realizzazione di un ascensore. La scrittura privata all'uopo invocata ed evocata ha soltanto valore obbligatorio tra le parti e non anche verso il Condominio proprietario. In ogni caso, l'immobile indicato nella scrittura privata prodotta da parte convenuta, veniva venduto dal (...) nel 2005 al (...) che lo concedeva in locazione a (...) fino al settembre del 2002 per l'utilizzazione ad officina BMW. Fino a quest'ultima data, lungo la stradina contesa, lato monte, venivano collocati i mezzi in attesa di essere riparati o pronti per essere consegnati ai clienti come inequivocabilmente si evince dalle dichiarazioni rese da (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si mi risulta in quanto io lavoravo in corso (...) al n.50 dal 1973 al 21.08.2020"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "assolutamente si, io stessa ivi mi sono recata per ritirare la macchina del dott. (...) per accompagnarlo"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dal Notaio (...), che aveva studio proprio in (...) n. 13, nonché dalle impiegate di quest'ultima, per parcheggiare le proprie autovetture?, rispondeva: "si mi risulta, io conoscevo la macchina della (...) in quanto era nostra cliente"), dal teste (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si è vero. Lo so perché dal 1978 ho lavorato con mio padre che era il titolare dell'officina"), dal teste (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "conosco la zona, in quanto ho svolto direzione lavori per il condominio attore, e ciò a cavallo degli 2000, fine anni 1990 fino al 2003. Quando io ho frequentato per motivi professionali quella zona, effettivamente era utilizzata come nella domanda postami. Ricordo la presenza di veicoli ma non quella di paletti") e dal teste (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si è vero. Io avevo una moto BMW che vi portavo a fare regolare tagliando. Lo so in quanto collaboravo con lo studio (...) che della (...), dal 1990 al 2005, ed ho potuto osservare quanto in domanda"). 5.4) Non potendo far risalire il possesso ad usucapionem per un periodo antecedente il settembre dell'anno 2002 in ragione del fatto che il locale presente sul fondo di vicolo Pian di nave (part. (...)) era condotto in locazione dal (...) che utilizzava la stradina oggetto di contesa per ivi collocare le autovetture e/o motocicli dei propri clienti, il (...) solo dopo tale data, inidonea all'integrazione della usucapione con riferimento al requisito temporale, può aver utilizzato il predetto spazio per ivi collocare in maniera stabile e continuativa le autovetture ed i motocicli propri e della propria famiglia. 5.4.1) A conferma della circostanza che il possesso sul bene oggetto di contesa non si fosse sviluppato in maniera pacifica ed interrotta per un periodo di venti anni, soccorre la circostanza che uno dei posti auto era stato utilizzato fino all'anno 2005 da (...) (amministratore del Condominio), dal notaio (...), che ivi aveva il proprio studio, e dalle sue impiegate. 5.4.1.1) L'utilizzo del posto auto almeno a far data al 2005 da parte (...), anche in qualità di amministratore del Condominio, è stato confermato da: (i) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si mi risulta in quanto io lavoravo in corso M. al n.50 dal 1973 al 21.08.2020"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "assolutamente si, io stessa ivi mi sono recata per ritirare la macchina del dott. (...) per accompagnarlo"); (ii) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "conosco la zona, in quanto ho svolto direzione lavori per il condominio attore, e ciò a cavallo degli 2000, fine anni 1990 fino al 2003. Quando io ho frequentato per motivi professionali quella zona, effettivamente era utilizzata come nella domanda postami. Ricordo la presenza di veicoli ma non quella di plaetti"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "ricordo di avere visto l'auto del dr. (...) in quella zona diverse volte"); (iii) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "ricordo che il (...) ci parcheggiava, ma non ricordo gli anni in cui lo faceva"); (iv) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "io lavoravo al primo piano presso il notaio (...) dal 1992 al 2008. Io potevo vedere il vicolo sotto dove c'era un'autorimessa in fondo. Ho visto che lungo la stradina , sul lato di sinistra, vi erano dei parcheggi liberi e li ho visto parcheggiate delle auto. Anche il notaio (...) ivi ha parcheggiato. Non sono in grado di dire se le auto ivi parcheggiate erano dei clienti dell'autofficina"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, così rispondeva: "si ce la vedevo"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dal Notaio (...), che aveva studio proprio in (...) n. 13, nonché dalle impiegate di quest'ultima, per parcheggiare le proprie autovetture?, rispondeva: "si come ho già detto per quanto riguarda la (...). Non sono in grado di dire se ci parcheggiassero anche le mie colleghe. Posso dire che qualche volta hanno citofonato in studio per lamentarsi che il Notaio avesse ivi parcheggiato"); (v) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "conosco i luoghi. Io lavoravo ed ancora oggi lavoro in corso (...) n.50 di fronte all'autofficina. Preciso che oggi non c'è più. Io lavorato lì dal 1981 ad oggi. Io vidi parcheggiate delle auto dove in fondo c'era la officina. Io vedevo le auto parcheggiate ma non posso dire se fossero dei clienti dell'autofficina"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "si è vero, posso dirlo con certezza"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dal Notaio (...), che aveva studio proprio in (...) n. 13, nonché dalle impiegate di quest'ultima, per parcheggiare le proprie autovetture?, rispondeva: "ricordo perfettamente che il notaio (...) ivi parcheggiasse"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, veniva occupata stabilmente dal signor (...) e dai suoi familiari dopo il 2009?, rispondeva: "conosco il signor (...). (...) posso dire che nei luoghi indicati parcheggia la signora della farmacia. Non sono in grado di dire quale tipo di auto parcheggiasse il notaio (...). IL (...) aveva una Peugeot rossa o arancione che si aprivano le porte con un bottone. Faccio presente che io lavoro per lo studio professionale (...)/(...)"); (vi) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata dagli esercenti l'autofficina sita in (...) n. 19 fino almeno al 2003 per la collocazione delle auto in attesa di essere riparate o pronte per la riconsegna?, rispondeva: "si è vero. Io avevo una moto BMW che vi portavo a fare regolare tagliando. Lo so in quanto collaboravo con lo studio (...) che della (...), dal 1990 al 2005, ed ho potuto osservare quanto in domanda"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "assolutamente si"; alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dal Notaio (...), che aveva studio proprio in (...) n. 13, nonché dalle impiegate di quest'ultima, per parcheggiare le proprie autovetture?, rispondeva: "assolutamente si"); (vii) (...) (alla domanda Vero che la stradina-cortile che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominata negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo, meglio censita al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, è stata utilizzata fino almeno al 2005 anche dall'allora amministratore del (...) n. 13, dott. (...) per parcheggiare la propria autovettura?, rispondeva: "si questo lo ricordo in quanto io diverse volte mi sono recato a prendere la macchina del dr. (...) ivi parcheggiata per condurlo in aereoporto. Ciò è avvenuto dal 2002 al 2006"). 5.4.1.2) L'utilizzo del posto auto almeno a far data al 2005 da parte del notaio P.R. e delle sue impiegate, è stato confermato: (i) (...) che, avendo lavorato in C.so (...) dal 1973 al 2020, conosceva quale fosse stata la vettura della (...) in quanto sua cliente; (ii) (...), impiegata presso lo studio del notaio (...) dal 1992 al 2008, la quale confermava come talvolta citofonassero in studio lamentando l'avvenuto parcheggio ad opera del notaio (...); (iii) (...), impiegata presso un ufficio sito in C.so (...) n.50; (iv) (...), collaboratore dal 1990 al 2005 degli studi (...) e (...), siti in C.so (...). 5.4.2) Le dichiarazioni rese dai testi di parte convenuta, anche in ragione di quanto dichiarato dai testi di parte attrice, all'evidenza non sono sufficienti a fornire la prova del possesso continuativo ventennale "uti dominus" chiesta dalla consolidata giurisprudenza in materia di usucapione, ai sensi della quale, al fine di dimostrare la sussistenza del possesso utile ad usucapire, non deve adottarsi il canone del "più probabile che non" ma occorre fare riferimento al criterio della prova "al di là di ogni ragionevole dubbio" atteso che "almeno in materia immobiliare, la prova del titolo formale del diritto reale si basa su un elemento certo (salvi i casi di falsificazione) che è dato dall'atto scritto con cui si acquista il diritto; non è pensabile che tale certezza sia scalfita da testimonianze o presunzioni non dotate di un assai grado di plausibilità" (cass. n. 21873/2018). 5.4.2.1) Dai richiamati costituti dichiarativi si inferisce solo l'asserito uso/detenzione della stradina da parte del (...) a far data dal settembre 2002, da sola insufficiente ad integrare sotto il profilo temporale la invocata fattispecie acquisitiva, restando invece indeterminati i termini essenziali della fattispecie acquisitiva in parola. Ma ai fini dell'usucapione non è sufficiente affermare genericamente di aver posseduto ed usato il bene per oltre venti anni: "colui che afferma di aver usucapito deve fornire la dimostrazione del come e del quando abbia cominciato a possedere "uti dominus", non essendo sufficiente a tal fine una semplice dichiarazione di aver posseduto" (cass. n. 21873/2018; cass. n. 9325/2011). Chi agisce per usucapione deve dare prova dei fatti storici integranti un possesso "uti dominus" e li deve collocare con sufficiente precisione nel tempo e nello spazio. 5.4.2.1.1) E all'uopo, l'apposizione di alcuni paletti in un arco spazio/temporale non accertato con la necessaria precisione, l'affermazione di essere proprietario, cortesi concessioni di sosta e di transito a terze persone in costanza di una servitù di passaggio, pur fatti idonei a provare il "corpus" (di essere, cioè, nella disponibilità del bene), non sono circostanze idonee, in assenza di altri indizi, assenti nel caso che ci occupa, ad integrare un possesso uti dominus ed a fornire la prova dell'animus possidendi per il tempo necessario ad usucapire (cass. n.23849/2018), atteso che il predetto uso non è di per sè espressivo in modo inequivocabile dell'intento del (...) di possedere per sé, non è stato accompagnati da un atto di interversione del possesso, che non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna (cass. n. 1376/2018) "ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, e detta manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso" (cass. 4931/2022), essendo necessario che l'attività materiale corrispondente al diritto di proprietà sia accompagnata almeno da indizi che consentano di desumere sia pure in via presuntiva che quell'attività è svolta "uti dominus"" (cass. n.18215/2013). Non ha dimostrato di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è estrinsecato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. 5.4.3) Non avendo la prova orale fornito elementi dai quali inferire in capo al convenuto un possesso qualificato della stradina privata controversa, dovendosi invece ritenere che "l'apprensione di parte del bene controverso "invito domino et in re aliena", limitata tutt'al più ad una mera tolleranza di fatto", la domanda riconvenzionale va rigettata ed il convenuto va condannato alla immediata restituzione al legittimo proprietario. (6) sul risarcimento del danno per occupazione sine titulo. La domanda è sfornita di qualsivoglia supporto probatorio e, pertanto, va respinta. (7) sul rimborso delle spese ed indennità ex art. 1150 c.c.. Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie nonché ha il diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purchè sussistano al momento della restituzione. L'indennità va corrisposta nella minor somma tra l'importo della spesa e l'aumento di valore. 7.1) La domanda, però, è sfornita di qualsivoglia supporto probatorio e, pertanto, va respinta. (8) sulle spese di giudizio. Principio cardine che regola la materia relativa alle spese processuali è il criterio della soccombenza, sancito dall'art. 91 c.p.c., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (cass. n. 25111/2006). Al criterio della soccombenza può derogarsi, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., in caso di reciproca soccombenza, ovvero, "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 77/18) è stato dichiarato incostituzionale il comma 2 dell'art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la compensazione anche laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate nella motivazione. Ne consegue che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore devono ritenersi paradigmatiche svolgendo "in sostanza una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale". 8.1) Pertanto, in ragione della soccombenza, (...) deve essere dichiarato tenuto e condannato a rimborsare in favore del CONDOMINIO (...) n.13, in persona dell'amministratore pro-tempore, le spese di lite del presente giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal (...) dell'8.3.2018. Sulla base del criterio del decisum, in ragione del quale il valore della causa è pari, per il primo grado, alla somma domandata con l'atto introduttivo se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se viene accolta (cass. n. 15857/2019), e tenuto conto della natura della controversia nonché dell'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate, i compensi vengono liquidati, sulla base dell'art. 5, co. 6, D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore indeterminabile a complessità bassa - per la fase di studio, Euro 1.620,00 - per la fase introduttiva, Euro 1.147,00 - per la fase istruttoria/trattazione, Euro 1.720,00 - per la fase decisionale, Euro 2.767,00 per un compenso complessivo pari ad Euro 8.342,10, di cui Euro 7.254,00 per compenso tabellare ed euro 1.088,10 per spese generali al 15%, oltre euro 518,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 8.2) Nulla per quanto riguarda i rapporti tra il CONDOMINIO (...) N.13 e la (...) SpA P.Q.M. Il Tribunale di Imperia, sezione civile, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando, nel contraddittorio delle parti: a) accoglie la domanda attorea e rigetta la domanda riconvenzionale e, per l'effetto, accertato il diritto di comproprietà pro-indiviso, unitamente alla (...) SpA, del Condominio (...) n.13, in persona dell'amministratore pro-tempore, della stradina che congiunge (...), tra i numeri civici 13 e 27, con (...) - talvolta denominato negli atti (...) o strada privata senza nome - sita in Sanremo e censito al Catasto Fabbricati del Comune di Sanremo alla Sezione SR, Foglio n. (...), Particella (...), (...) mq, ordina a (...) di rilasciare immediatamente il suddetto immobile, libero da persone e cose, in favore del Condominio (...) n.13 b) rigetta la domanda attorea di risarcimento del danno per occupazione abusiva c) rigetta la domanda riconvenzionale di parte convenuta (...) di rimborso a titolo di indennità per i miglioramenti recati alla cosa d) condanna (...) al pagamento in favore del CONDOMINIO (...) n.13, in persona del legale rappresentante pro-tempore, delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 8.342,10, di cui Euro 7.254,00 per compenso tabellare ed euro 1.088,10 per spese generali al 15%, oltre euro 518,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge e) nulla per le spese di giudizio nei rapporti tra il Condominio (...) e la (...) SpA f) rigetta nel resto g) visto l'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante rete di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati. Così deciso in Imperia il 6 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI IMPERIA il TRIBUNALE di Imperia in composizione monocratica, in persona del dott. Pasquale LONGARINI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.1707/2019 RG del Tribunale di Imperia avente ad oggetto "responsabilitàperdannicagionatidacoseincustodia" promossa da (...) (CF: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Fr.SO. presso il cui studio in Sanremo alla via (...) è eletto domicilio - attore - contro 1) (...) (PI: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Sa.RI. presso il cui studio in Sanremo al corso (...) è eletto domicilio 2) (...) SrL (PI: (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, contumace - convenuti - RAGIONI DELLA DECISIONE (1) abstract (...), con atto di citazione ritualmente notificato, premesso di essere caduto rovinosamente a terra a causa del muschio e alghe che ricoprivano la piattaforma in cemento che conduceva dalla spiaggia militare alla spiaggia denominata "(...)" riportando "la frattura ingranata del terzo distale del radio con interessamento intra-articolare - frattura della base del V metatarso - infrazione dell'apice del malleolo peronale" e di aver promosso una consulenza tecnica del preventiva ai fini della lite ex art. 696 aver bis c.p.c. (RG n.1678/18) nei confronti della "ditta individuale (...)", quale concessionaria della spiaggia dal Comune di Sanremo, e della (...) SrL, quale concessionaria del contratto di multi servizi per la Base tra cui quello relativo alla pulizia della zona di libero transito, che concludeva per una invalidità temporanea parziale di gg. 80 e per una invalidità biologica permanente nella misura dell'8%, dedotta la responsabilità ditta individuale (...)" e della (...) SrL per mancata custodia del tratto di spiaggia ovvero della passerella cementifera in mare priva di tappetino antiscivolo e ricoperta di strato di vegetali, evocava in giudizio la ditta individuale "(...)" e la società "(...) SrL" per sentirle condannare, in solido tra loro, al risarcimento in suo favore di tutti i danni, patiti e patiendi in conseguenza del sinistro occorso il 22.7.2017, , quantificati nella misura di Euro 22.128,03, con vittoria di spese ed onorari di causa anche in relazione alla procedura per ATP. 1.1) Si costituiva in giudizio la ditta individuale "(...)", in persona di (...), che, eccepita la improcedibilità della domanda non avendo promosso il procedimento di negoziazione assistita, dedotto che il manufatto non era da lui stato realizzato né costituiva oggetto di concessione demaniale, instava, in via preliminare, per la declaratoria di improcedibilità della domanda attorea, nel merito, per il rigetto della domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto e con condanna per lite temeraria, con vittoria di spese e compensi. 1.2) Nella contumacia della (...) SrL, rilevato l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita alla quale il convenuto costituito non aderiva, licenziata CTU ("accerti il CTU e descriva anche con documentazione fotografica la piattaforma di cemento sulla quale è caduto l'attore, la sua collocazione rispetto ai (...) e al Comando Militare, la sua funzione e se essa è parte della battiggia dei (...) o comunque entro i confini naturali o artificiali della spiaggia"), la causa veniva assunta a decisione nell'udienza del 11.01.2022 sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate e con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. (2) il fatto. La dinamica dell'evento non è contestata, tanto che, sull'accordo delle parti, le prove dichiarative, già ammesse, non venivano assunte. Si ha, dunque, per provato che, il 22 luglio 2017, (...), a causa del muschio e delle alghe che la rendevano viscida, scivolava sulla piattaforma in cemento posizionata tra la spiaggia Militare e quella dei (...)S., riportando "la frattura ingranata del terzo distale del radio con interessamento intra-articolare - frattura della base del V metatarso - infrazione dell'apice del malleolo peronale", con ITP di giorni 80 (gg. 30 al 75%, gg. 20 al 50%, gg. 30 al 25%) e con postumi funzionali e obiettivabili stabilizzati a carico del polso sinistro e della caviglia destra, danno biologico non patrimoniale permanente di rilevanza biologica del 8%. 2.1) Parte attrice invoca una responsabilità della ditta individuale "(...)", quale concessionaria della spiaggia dal Comune di Sanremo, e, invocando l'obbligo di custodia gravante anche sul custode di fatto, della società (...) SrL, quale concessionaria del contratto di multi servizi per la Base tra cui quello relativo alla pulizia della zona di libero transito, che troverebbe fondamento "nell'art. 2051 c.c. ma anche nell'art. 2043 c.c. e nell'art. 2050, poiché rientra tra i compiti specifici del gestore di un'attività di pubblico esercizio e di uno stabilimento balneare mettere in essere tutte le provvidenze necessarie per evitare a coloro, che accedono alla spiaggia, ogni rischio o pericolo di infortunio" (pag. 5, comparsa conclusionale parte attrice). (3) sulla RESPONSABILITÀ PER DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA. L'esame della domanda attorea rende opportuna una puntualizzazione dei principi in materia di responsabilità per danni da cose in custodia, come via via espressi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. 3.1) L'art. 2051 c.c. pone a carico del custode, l'obbligo di risarcire i danni cagionati a terzi dalla res custodita, salvo il caso fortuito. 3.2) Al fine di circoscrivere il campo di applicazione dell'art. 2051 c.c. da quello residuale dell'art. 2043 c.c. occorre: (i) in primis, distinguere tra "fatto della cosa" e "fatto dell'uomo", dovendosi considerare il danno cagionato dalla cosa quando è prodotto da essa per effetto del suo "intrinseco dinamismo", al di fuori di un'azione diretta dell'uomo; (ii) in secondo luogo tenere presente che il requisito della custodia non implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto, ad esempio, in tema di contratto di deposito, atteso che la norma fa riferimento, piuttosto, ad uno stato di fatto. Per cui, l'art. 2051 c.c. imputa la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, ovverosia in capo al soggetto che di fatto controlla le modalità di uso e conservazione della stessa ed ha, pertanto, il "governo della res". Ad integrare la responsabilità è necessario (e sufficiente) che il danno sia stato "cagionato" dalla cosa in custodia, assumendo rilevanza il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, mentre non occorre accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio del suo potere sul bene, giacché il profilo della condotta del custode è del tutto estraneo al paradigma della responsabilità delineata dall'articolo 2051 c.c. (ex multis, cass. n. 4476/2011). 3.3) Pertanto, la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è basata sul positivo riscontro del solo nesso di causalità tra la cosa causativa del pregiudizio e l'evento dannoso, a prescindere, pertanto, dal comportamento colpevole del custode stesso, il quale, per escludere la propria responsabilità, ha l'onere di provare che l'evento è stato cagionato da fatto estraneo alla cosa, che può dipendere anche dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (c.d. fortuito incidentale), del tutto eccezionale, secondo il principio della regolarità e probabilità causale in quelle circostanze di tempo e di luogo, si dà essere imprevedibile e perciò inevitabile. 3.4) Gli elementi essenziali di questa ipotesi di responsabilità sono: (i) la cosa, che non deve necessariamente essere pericolosa, infatti il dovere di controllo e di custodia sussiste anche in relazione alle cose prive di un dinamismo proprio e, nondimeno, suscettibili in concorso di altri fattori causali, di cagionare danni; (ii) il custode. Quanto al rapporto di custodia, il fondamento della responsabilità ex art. 2051 risiede nella relazione tra persona e res, intesa come potere fisico del soggetto sulla cosa, al quale inerisce il dovere di vigilare sulla stessa per impedire che produca danni a terzi. La custodia, dunque, è quel potere effettivo, è la disponibilità di fatto e giuridica, che si esercita e si ha su una res che si sostanzia in tre elementi: il potere di controllare la cosa (non solo, dunque, il proprietario, ma anche il semplice possessore ed anche il detentore della cosa), il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si è determinata e quello di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno in quanto titolare di un potere di intervento e di controllo su eventuali rischi connessi al dinamismo o, in ogni caso, al'in in sé della res (cass. n.15761/2016); (iii) il danno prodotto dalla cosa, o perché questa sia per intrinseca natura suscettibile di produrlo, o perché siano insorti agenti dannosi. È richiesta, infine, la sussistenza di un nesso eziologico tra la res e l'evento dannoso, la cui prova grava sul danneggiato e può assolta anche attraverso la dimostrazione di circostanze dalle quali sia possibile dedurre, in via presuntiva, il nesso causale. All'uopo basta provare che la cosa sia stata la causa e non la mera occasione del danno, invece prodotto da diverso fattore eziologico, occorrendo dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, originariamente posseduta, o successivamente assunta, dalla cosa considerata nella sua globalità. Spetta, invece, al convenuto che intenda liberarsi dalla responsabilità addebitatagli provare l'intervento del caso fortuito, ovvero di un fattore idoneo ad interrompere il predetto nesso. E tale è sia il "fortuito autonomo", quello che si verifica quando il danno è direttamente cagionato da una causa che, indipendentemente dalla condotta del custode o dalla cosa medesima, è da sola idonea a provocare l'evento, sia il "fortuito incidente", quello che si verifica quando la cosa in custodia ha assunto un ruolo di mera occasione del danno, in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che aveva in sé tutta la potenzialità dannosa. Non esclude la responsabilità del custode, bensì eventualmente la attenua potendo dar luogo ad un concorso di responsabilità ex art. 1227 c.c., il "fortuito concorrente", quello in cui alla determinazione del fatto dannoso concorre, con il fattore esterno, anche la cosa che per effetto del fattore esterno ha assunto un dinamismo dannoso. Nella ipotesi in cui la causa produttiva dei danni sia rimasta ignota, in ragione della finalità ridistributiva e di riequilibrio assegnata alle responsabilità speciali tipizzate dal legislatore alternativamente con l'introduzione di ipotesi in cui opera una presunzione di colpa o una presunzione di responsabilità, le conseguenze economiche pregiudizievoli derivate dal fatto dannoso vanno poste a carico del danneggiante. 3.5) Si tratta, dunque, di un'ipotesi di responsabilità oggettiva (per tutte, cass. n. 12027/2017) con possibilità di prova liberatoria, nel cui ambito il caso fortuito interviene come elemento idoneo ad elidere il nesso causale altrimenti esistente fra la cosa e il danno. Non può escludersi, invero, che un'eventuale colpa venga fatta specificamente valere dal danneggiato, ma, trattandosi di azione ex articolo 2051 c.c., la deduzione di omissioni o violazioni di obblighi di legge, di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode può essere diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini dell'allegazione e della prova del rapporto causale tra la prima e il secondo; né è da escludere che, viceversa, sia il custode a dedurre la conformità della cosa agli obblighi di legge o a prescrizioni tecniche o a criteri di comune prudenza al fine di escludere l'attitudine della cosa a produrre il danno: in entrambi i casi si tratta di deduzioni volte a sostenere oppure a negare la derivazione del danno dalla cosa e non, invece, a riconoscere rilevanza al profilo della condotta del custode. Resta dunque fermo che, prospettato e provato dal danneggiato il nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l'assenza di colpa del custode rimane del tutto irrilevante ai fini dell'affermazione della sua responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c.. Quanto ai criteri di accertamento del nesso causale, va richiamato il consolidato orientamento di legittimità (cfr., per tutte, cass., S.U. n. 576/2008) secondo cui: (i) ai fini dell'apprezzamento della causalità materiale nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, va fatta applicazione dei principi penalistici di cui agli articoli 40 e 41 c.p., sicché un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cd. teoria della condicio sine qua non); (ii) tuttavia, il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'articolo 41 c.p. (in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale), trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal capoverso della medesima disposizione, in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta ove questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto; (iii) al contempo, neppure è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che appaiano idonee a determinare l'evento secondo il principio della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d. regolarità causale, che individua come conseguenza normale imputabile quella che, secondo l'id quod plerumque accidit e quindi in base alla regolarità statistica o ad una probabilità apprezzabile ex ante (ancorché riscontrata con una prognosi postuma), integra gli estremi di una sequenza costante dello stato di cose originatosi da un evento iniziale (sia esso una condotta umana oppure no), che ne costituisce l'antecedente necessario. Tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale fattore estraneo alla sequenza originaria, avente idoneità causale assorbente e tale da interrompere il nesso con quella precedente, sovrapponendosi ad essa ed elidendone l'efficacia condizionante. È pacifico che il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o "teatro" della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente. Quando, poi, la condotta del danneggiato non assuma i caratteri del fortuito, si dà elidere il rapporto causale fra cosa e danno, residua comunque la possibilità di configurare un concorso causale colposo, ai sensi del primo comma dell'articolo 1227 c.c. (applicabile anche in ambito di responsabilità extracontrattuale, in virtù del richiamo compiuto dall'articolo 2056 c.c.), che potrà essere apprezzato, al pari del fortuito, anche sulla base di una valutazione officiosa (per tutte, cass. n. 20619/2014). Quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso; se è vero, infatti, che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità custodiale si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita, in funzione di prevenzione dei danni che da essa possono derivare, è altrettanto vero che l'imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde a un principio di solidarietà (ex articolo 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile. (4) sul merito della domanda nei confronti della società (...) SrL. La domanda è fondata e, dunque, va accolta. 4.1) Con la dimostrazione che la piattaforma in cemento ricoperta da muschio ed alghe svolgeva una funzione di servizio anche a favore della spiaggia militare consentendo l'accesso al mare agli avventori della medesima, con la documentazione del rapporto contrattuale intercorso tra il Comando Militare e la (...) in ragione del quale quest'ultima riceveva in concessione una serie di servizi tra i quali quello relativo alla pulizia della zona di libero transito, circostanza confermata dall'autorizzazione che il Comando Militare aveva ricevuto dal Comune di Sanremo per posizionare sulla piattaforma oggetto di causa un tappetino antiscivolo ed altri accorgimenti volti ad eliminare la situazione di pericolo, parte attrice ha offerto la prova della relazione tra la (...) SrL e la piattaforma in cemento ricoperta da muschio ed alghe, intesa come potere fisico del soggetto sulla cosa, alla quale ineriva il dovere di vigilare sulla stessa per impedire che producesse danni a terzi. Ha offerto la prova della disponibilità di fatto e giuridica della res, concretamente sostanziatasi nel potere di controllare la cosa, nel potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o che in essa si era determinata e nel potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si era prodotto il danno, in quanto titolare di un potere di intervento e di controllo su eventuali rischi connessi al dinamismo o, in ogni caso, al'in in sé della res. 4.2) A fronte di ciò, causa anche la scelta di restare contumace, la (...) SrL non ha offerto la prova liberatoria ovvero l'intervento del caso fortuito, di un fattore idoneo ad interrompere il nesso di causa tra lo stato di manutenzione della cosa custodita e il danno lamentato e documentato da parte attrice. 4.3) Quanto al quantum debeatur, non può prescindersi dagli esiti della consulenza medico legale in sede di ATP, pienamente condivisibili dal giudicante in quanto basati su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, valutata con criteri medico-legali immuni da errori e vizi logici. La CTU in ATP, ha riscontrato nel (...), quale conseguenza diretta dell'evento traumatico del 22.07.2017, la "la frattura ingranata del terzo distale del radio con interessamento intra-articolare - frattura della base del V metatarso - infrazione dell'apice del malleolo peronale", con ITP di giorni 80 (gg. 30 al 75%, gg. 20 al 50%, gg. 30 al 25%) e con postumi funzionali e obiettivabili stabilizzati a carico del polso sinistro e della caviglia destra, danno biologico non patrimoniale permanente di rilevanza biologica del 8%. 4.3.1) Secondo l'ausiliario del giudice, dalla predetta lesione è derivata al danneggiato un'inabilità temporanea parziale al 75% per giorni 30, un'inabilità temporanea parziale al 50% per giorni 20 e un'inabilità parziale al 25% per giorni 30, con postumi di rilevanza biologica permanente nella misura del 8%. 4.3.2) Il danno biologico viene liquidato attraverso il c.d. "punto tabellare", basato su un criterio progressivo in relazione alla gravità della menomazione ed uno regressivo in relazione all'età del danneggiato, utilizzando all'uopo le tabelle elaborate nel 2009 dal Tribunale di Milano e aggiornate nell'anno 2018, le quali tengono conto che la lesione all'integrità psicofisica implica altresì una naturale sofferenza che, pur non potendo essere configurata come autonomo danno di natura morale, deve ottenere adeguato ristoro. 4.3.3) L'adozione dei criteri milanesi non vale ad escludere la possibilità di personalizzare il trattamento liquidatorio sulla base, però, delle allegazioni delle parti e delle prove raggiunte, con esclusione di ogni tipo di automatismo essendo giuridicamente erronea l'affermazione "secondo cui la misura standard del risarcimento del danno biologico debba essere aumentata sempre e comunque, per il sol fatto che l'invalidità causata dalle lesioni sia di grado elevato" (cass. n.21939/2017; cass. n.20630/2016; cass. n. 16788/2015). Infatti, l'ammontare non patrimoniale, quantificato attraverso i meccanismi tabellari in uso presso i Tribunali, è destinato alla riparazione delle conseguenze dannose ordinarie, ossia ai pregiudizi che qualunque vittima con lesioni analoghe normalmente subirebbe. Invece, la personalizzazione del danno non patrimoniale è finalizzata a sopperire a specifiche circostanze di fatto "peculiari" al solo caso in esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e risarcite tramite la liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assolta dai meccanismi tabellari, da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nel caso concreto (cass. n. 21939/2017). Conseguentemente, è preciso onere del preteso danneggiato evidenziare, valorizzare e dimostrare specifiche circostanze personalizzanti che non possono astrattamente riferirsi a qualunque altro soggetto che fosse ordinariamente incorso nelle medesime conseguenze lesive. Nel caso di specie, parte attrice non ha dedotto e provato elementi personalizzanti, tali da indurre il giudicante ad aumento personalizzato, come richiesto da parte attrice. 4.3.4) Per quanto riguarda l'invalidità temporanea, la somma dovuta all'attrice, ammonta ad Euro 1.899,61 (30 gg. al 75%= Euro 1.068,53; gg. 20 al 50% = 4.74,00; giorni 30 al 25% = Euro 356,18). Tenuto conto che al momento della causazione del danno C.R. aveva 63 anni, secondo le tabelle meneghine la somma dovuta a titolo di danno biologico permanente differenziale da lesione all'integrità psicofisica ammonta ad Euro 10.054,61. A titolo di danno morale va liquidata la somma di Euro 3.984,34 4.3.4.1) Pertanto, la somma totale dovuta ammonta ad Euro 15.938,56. 4.4) Quello del risarcimento del danno per equivalente, consistente nella dazione di una somma di danaro in misura tale da compensarlo del pregiudizio sofferto, costituisce tipico debito di valore (cass. n. 12288/2016), è oggetto di un'obbligazione di valore, cioè di un debito che fin dal momento in cui sorge è per sua natura non quantificabile né monetizzabile con criteri oggettivi. Scopo dell'obbligazione risarcitoria è quello di reintegrare la perdita arrecata al patrimonio del danneggiato, consentendo di pervenire ad una condizione patrimoniale analoga a quella che vi sarebbe stata se il danno non si fosse verificato. Qualora il danno consista nella perdita di un bene suscettibile di valutazione economica, il ripristino di tale condizione avverrà surrogando la perdita con un importo monetario pari al controvalore del bene perso. Controvalore che dev'essere espresso non avendo riguardo al momento in cui si è verificato il danno ma a quello in cui avviene la liquidazione, con la conseguenza che qualora questa non avvenga con valori monetari correnti sarà necessario attualizzare il valore che il bene aveva all'epoca del danno (cass. n. 15856/2019; cass. n.21764/19; cass. n.9631/2005; cass. n.3125/1990; cass. n. 2830/1986). La rivalutazione del credito risarcitorio, tuttavia, non è il solo passaggio in cui si articola l'operazione di liquidazione del danno. Qualora la liquidazione avvenga a distanza di tempo dal sinistro, al danneggiato, oltre al capitale rivalutato, può spettare infatti anche un ulteriore risarcimento: quello per l'ulteriore pregiudizio subito a causa del ritardato pagamento del credito. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che tale ritardo nell'adempimento causa al creditore un danno ulteriore e diverso rispetto a quello primario, identificabile nell'impossibilità di investire la somma dovutagli e di ricavarne un lucro ulteriore. In difetto di specifici criteri la liquidazione di tale voce di danno avverrà necessariamente in via equitativa, anche se la forma più diffusa è indubbiamente il ricorso ad un tasso d'interesse. Il giudice chiamato ad operare in concreto tale liquidazione, procederà di regola in base a tre parametri: periodicità, saggio e base di calcolo, i cui criteri di individuazione sono stati stabiliti dalla stessa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995, ove si legge che: la periodicità è sempre annuale; il saggio è determinato in via equitativa dal giudice in base alle circostanze concrete, dando particolare rilevo all'entità del capitale (in rapporto di proporzionalità diretta tra importo del credito e lucro finanziario perso dal creditore); la base di calcolo può essere determinata o applicando il saggio sul capitale dell'anno in corso, previa devalutazione, per ogni anno di mora, oppure su un valore medio. 4.4.1) Tanto premesso, la liquidazione dell'obbligazione "di valore" va effettuata, secondo la giurisprudenza prevalente, attraverso una triplice operazione (cass. n. 11899/16; cass. n. 9950/2017): (a) la quantificazione in termini monetari del valore che la prestazione oggetto dell'obbligazione aveva all'epoca in cui è sorta l'obbligazione stessa (c.d. estimatio); (b) la successiva rivalutazione di detto importo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione (cass. n.13225/2016), attraverso l'applicazione degli indici ISTAT di variazione del costo della vita (c.d. taxatio); (c) la liquidazione dell'ulteriore danno da ritardo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione, nell'ottenimento della prestazione: cd interessi compensativi. Questi ultimi, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della prestazione via via rivalutata (cass. UU, n.1712/1995). Va, dunque, altresì, riconosciuto il danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario che, in difetto di diversi elementi probatori, si ritiene di compensare adottando quale parametro quello degli interessi legali da calcolarsi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n.1712/95), sulla somma via via rivalutata dalla produzione dell'evento di danno sino ad oggi, tempo della liquidazione. Così, tenuto conto di questo criterio, previa devalutazione alla data del fatto (22.07.2017) della somma espressa in moneta attuale, vanno aggiunti alla somma via via rivalutata annualmente gli interessi compensativi nella misura legale fino alla data odierna. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma sopra liquidata complessivamente. 4.5) Va altresì liquidata, a titolo di danno patrimoniale per spese mediche e di pernottamento, la ulteriore somma di Euro 6.054,53, oltre interessi al tasso legale a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo 4.6) Conclusivamente, la società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, va condannato al risarcimento in favore di (...): (i) della somma di Euro 15.938,56, a titolo di danno non patrimoniale patito per causa del sinistro occorsogli il 22.7.2017. Su di essa, devalutata alla data dell'evento lesivo (22.07.2017) e quindi annualmente rivalutata, sono dovuti interessi al tasso legale sino alla data di pubblicazione della sentenza. Su tutte le somme liquidate a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo; (ii) della somma di Euro 6.054,53, oltre interessi al tasso legale a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo, a titolo di danno non patrimoniale patito per causa del sinistro occorsogli il 22.7.2017 (5) sul merito della domanda nei confronti della ditta individuale "(...)". La domanda è infondata e, dunque, va respinta. 5.1) Nessun obbligo o dovere di custodia aveva la ditta individuale "(...)" in relazione al manufatto oggetto di contesa, mai essendogli stato dato in concessione dal Demanio e neppure dal Comune di Sanremo, non essendo all'uopo sufficiente, in ragione degli esiti della perizia svolta in corso di causa, la mera allegazione che il manufatto fosse aderente senza soluzione di continuità alla battigia e che, per tale ragione, costituisse una pertinenza della spiaggia affidata alla predetta ditta individuale. 5.1.1) Invero il CTU, all'esito di un idoneo sopralluogo, laddove parte convenuta faceva verbalizzare "... che la piattaforma in questione risulta essere ubicata completamente al di fuori dell'area in concessione allo stabilimento balneare denominato (...)" (CTU, pag. 1), descritto l'oggetto del contendere in "una piattaforma cementifera parzialmente dotata di mancorrente in corda (nella parte prospiciente il muro) e metallico (nella parte verso il muro), edificata in aderenza al muro di sostegno dell'area con cabine dei (...). La stessa piattaforma mette in comunicazione (mediante gradini con rivestimento in cotto e mancorrente questa volta metallico) la zona in uso allo Stabilimento Balneare (...) attualmente di competenza della Base Logistica dell'Esercito corrente in Sanremo (c.d. Soggiorno Militare), che si trova ad una quota più elevata rispetto al livello del mare, con il sottostante pelo dell'acqua" (CTU, pag. 2), accertato che lo stabilimento balneare "(...)" era "dotato di concessione demaniale relativa all'occupazione di mq. 2627 di area demaniale marittima, con un fronte mare di ml. 73, rilasciata in data 19 marzo 2007 (Pratica 5022 - Registro Licenze n. 12/2007) come esemplificato nella planimetria allegata alla concessione stessa, che sotto si riporta", mentre la Base Logistica dell'Esercito aveva "in consegna lo Stabilimento Balneare (...), come da verbale di consegna di pertinenza di demanio pubblico marittimo del 19/02/1987, al quale è allegata una planimetria sommaria dei luoghi che nulla aggiunge a quanto già relazionato" (CTU, pag.5), dopo aver sovrapposto la mappa catastale con la planimetria allegata alla concessione demaniale, perentoriamente concludeva che "- La piattaforma è collocata al di fuori di quella che è la concessione dei (...), così come parrebbe (ma la planimetria già citata non è molto dettagliata) anche fuori dalla concessione dello Stabilimento Balneare (...) - Non fa parte della battigia dei (...) (ancorchè questa, rappresentata come detto dal mapp. (...), non faccia parte della concessione demaniale in essere) - Non ricade, comunque, entro I confini naturali o artificiali della spiaggia - La passerella, vista la sua collocazione, non serve sicuramente ai clienti dei (...) per accedere allo Stabilimento Balneare del Soggiorno Militare (in quanto non c'è una ragione logica perché debbano fare ciò) ma piuttosto serve ai clienti dello Stabilimento Balneare (...) per accedere al mare, non avendo questo altro facile accesso trovandosi, come detto, ad una quota ben superiore al livello del mare)" (CTU, pagg. 8/9), conclusioni ribadite in sede di chiarimenti sui punti oggetto di contestazione da parte del CTP di parte attrice, laddove, nell'atto integrativo del 10.5.2021, confermava quanto già in precedenza specificato ovvero che " ...per le motivazioni riportate qui sopra e nella CTU, la passerella non è dentro i confini naturali o artificiali della spiaggia e non rientra nella concessione demaniale dei (...)". 5.1.2) A fronte di ciò, parte attrice non ha offerto la prova della sussistenza del rapporto di custodia, comportante l'effettivo potere sulla cosa e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa tale da comportare il potere-dovere di intervento su di essa, con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, non essendo in ogni caso a tal fine sufficiente la disponibilità della cosa non comportando essa necessariamente il trasferimento in capo a questo della custodia (cass. n. 8408/2022). Non essendovi la prova che il manufatto fosse oggetto al potere fisico della ditta individuale "(...), la domanda va respinta. 5.2) Ma neppure è fondata la domanda risarcitoria di parte convenuta ex art. 96 c.p.c.. A giudizio della ditta individuale (...) " il pervicace atteggiamentodicontropartechedifronteall'evidenzadocumentaleedaltresìinspregioancherispettoaduna valutazione logica alla luce dello stato dei luoghi.... ha ritenuto di perseverare nel proprio intento di proseguire un giudizio chiaro negli effetti fin dall'origine.." costituirebbe un abuso del processo e una violazione degli obblighi di buona fede. 5.2.1) L'istituto della responsabilità processuale aggravata, disciplinato dall'art. 96 c.p.c., tutela l'interesse della parte a non subire pregiudizi per effetto dell'azione o della resistenza dolosa o colposa del contraddittore. La c.d. responsabilità aggravata per temerarietà della lite, abbracciando in sé tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali delle parti e coprendo ogni effetto pregiudiziale che da questi ne derivi, contempla tutti gli illeciti correlati alla qualità di parte del processo. Disciplinata dall'art. 96 c.p.c., la suddetta responsabilità costituisce una ipotesi peculiare sussumibile nella più ampia categoria della responsabilità aquiliana extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., rispetto alla quale si atteggia con carattere di specialità in modo che "pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina dell'art. 96 c.p.c." (cfr. cass. n.12029/2017; cass. n.3573/2002). Fra i presupposti onde ottenere la condanna della controparte al risarcimento del danno di cui all'art. 96 c.p.c. vi è il carattere temerario della lite ovvero la coscienza dell'infondatezza delle tesi sostenute o il difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta consapevolezza (cass. n.9060/2003) o l'ignoranza colpevole in ordine a detta fondatezza (cass. n.327/2010; cass. n. 13071/2003). La lite temeraria ex art. 96 c.p.c. disciplina una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal c.d. illecito processuale. L'archetipo di tale illecito è sicuramente aquiliano: verte sull'impulso della parte danneggiata che deve assolvere all'onere di allegare almeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, anche se equitativa, del danno cha assume patito. La temerarietà, nel bilanciamento degli interessi in gioco tra le parti contendenti, è ravvisabile tutte le volte in cui si ha non solo coscienza dell'infondatezza della lite intrapresa, ma anche quando vi è difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta coscienza. Il danno aquiliano, secondo questa prospettiva, è dato dal pregiudizio eziologicamente determinato (causa-effetto) dell'instaurazione del processo. In linea di principio, secondo la prevalente giurisprudenza, il presupposto per l'applicabilità della norma di cui all'art. 96 c.p.c. - nel rispetto del principio secondo cui la responsabilità processuale aggravata si sostanzia in una forma di danno punitivo teso a scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie - è la presenza, in capo al destinatario della condanna, della mala fede o della colpa grave previsti per la lite temeraria di cui al comma 1 di detta norma. In particolare, si richiede: a) un requisito oggettivo costituito dalla soccombenza (totale), con la conseguente condanna alle spese; b) un requisito soggettivo costituito dalla mala fede o colpa grave del soccombente, il verificarsi di un conseguente danno a carico del vincitore. L'ampia formulazione del comma 3 consente, inoltre, al giudice di emettere condanna anche d'ufficio della parte soccombente (e quindi a prescindere da una specifica domanda in tal senso) al pagamento, a favore della controparte, di una "somma equitativamente determinata" e quindi sganciata dalla prova del quantum del danno riportato dalla parte vittoriosa. Quanto al regime probatorio per l'accoglimento della domanda per lite temeraria, avendo la responsabilità per lite temeraria natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96 c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa. 5.2.2) Nel caso di specie, non essendo stata provata la ricorrenza della mala fede o della colpa grave nella condotta della parte attrice non potendo evincersi il carattere temerario della lite dalla mera opinabilità del diritto fatto valere e dalle prospettazioni giuridiche riconosciute errate da questo giudice (cass. n. 19298/2016; cass. n.3376/2016; cass. n. 15030/2015), non può dirsi integrata la invocata fattispecie di responsabilità aggravata non solo di cui al comma 1, bensì anche di cui al comma 3, atteso che l'agire in giudizio per far valere una pretesa che poi si rileva infondata non è in re ipsa condotta rimproverabile per l'ordinamento giuridico (cass. n. 21570/2010). (6) sulle spese di causa. Principio cardine che regola la materia relativa alle spese processuali è il criterio della soccombenza, sancito dall'art. 91 c.p.c., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (cass. n. 25111/2006). Al criterio della soccombenza può derogarsi, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., in caso di reciproca soccombenza, ovvero, "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 77/2018) è stato dichiarato incostituzionale il comma 2 dell'art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la compensazione anche laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate nella motivazione. Ne consegue che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore devono ritenersi paradigmatiche svolgendo "in sostanza una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale". 6.1) Le spese di causa seguono la soccombenza e sono liquidate, con riferimento al presente giudizio, nonché al precedente procedimento ex art. 696bis c.p.c., in conformità dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. 6.1.1) Le spese dell'accertamento tecnico preventivo ante causam vanno poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito (ove l'accertamento stesso venga acquisito) come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di possibile compensazione totale o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto (cass. n. 15672/2005; cass. n. 1690/2000). In particolare, procedimento di ATP ex art. 696 bis c.p.c. si conclude col deposito della relazione di consulenza tecnica, cui segue la liquidazione del compenso al consulente nominato dal giudice, senza che possa essere adottato alcun provvedimento relativo al regolamento delle spese tra le parti, attesa la mancanza dei presupposti sui quali il giudice deve basare la propria statuizione in ordine alle spese ex artt. 91 e 92 c.p.c.. 6.2) Pertanto, in ragione della soccombenza, la società (...) SrL, in persona dell'amministratore pro-tempore, deve essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare in favore di (...): 6.2.a) le spese di lite del presente giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018. Sulla base del criterio del decisum, in ragione del quale il valore della causa è pari, per il primo grado, alla somma domandata con l'atto introduttivo se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se viene accolta (cass. n.15857/2019), e tenuto conto della natura della controversia nonché dell'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate e dall'assenza di una fase istruttoria/trattazione, i compensi vengono liquidati, sulla base dell'art. 5, co. 6, D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00: - per la fase di studio, Euro 875,00 - per la fase introduttiva, Euro 740,00 - per la fase decisionale, Euro 1.620,00 per un compenso complessivo pari ad Euro 3.720,25, di cui Euro 3,235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali al 15%, oltre Euro 518,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 6.2.b) le spese del procedimento ex art. 696bis c.p.c. n. 1678/2018 RG così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018. Tenuto conto del valore e della natura della controversia nonché dell'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate e dell'assenza di una fase istruttoria/trattazione, i compensi vengono liquidati, sulla base dell'art. 5, co.6, D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00: - per la fase di studio, Euro 540,00 - per la fase introduttiva, Euro 675,00 per un compenso complessivo pari ad Euro 1.397,25, di cui Euro 1.215,00 per compenso tabellare ed Euro 182,25 per spese generali al 15%, oltre contributo unificato, anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge. 6.3) Pertanto in ragione della soccombenza, (...) deve essere dichiarata tenuto e condannato a rimborsare in favore della ditta individuale (...) le spese di lite del presente giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018. Sulla base del criterio del decisum, in ragione del quale il valore della causa è pari, per il primo grado, alla somma domandata con l'atto introduttivo se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se viene accolta (cass. n.15857/2019), e tenuto conto della natura della controversia nonché dell'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate e dall'assenza di una fase istruttoria/trattazione, i compensi vengono liquidati, sulla base dell'art. 5, co.6, D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00: - per la fase di studio, Euro 875,00 - per la fase introduttiva, Euro 740,00 - per la fase decisionale, Euro 1.620,00 per un compenso complessivo pari ad Euro 3.720,25, di cui Euro 3,235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali al 15%, oltre cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge (7) sulle spese delle CTU in ATP. Per le ragioni suesposte, le spese della CTU in ATP vanno poste definitivamente a carico della società (...) SrL, in persona dell'amministratore pro-tempore (8) sulle spese delle CTU in corso di causa. Per le ragioni suesposte, le spese della CTU in ATP vanno poste definitivamente a carico della società (...) SrL, in persona dell'amministratore pro-tempore P.Q.M. Il TRIBUNALE di IMPERIA, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando: 1) rigetta la domanda attorea svolta nei confronti della ditta individuale (...) 2) accoglie la domanda attorea svolta nei confronti della società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, e, per l'effetto, condanna la società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di (...): (i) della somma di Euro 15.938,56, a titolo di danno non patrimoniale patito per causa del sinistro occorsogli il 22.7.2017. Su di essa, devalutata alla data dell'evento lesivo (22.07.2017) e quindi annualmente rivalutata, sono dovuti interessi al tasso legale sino alla data di pubblicazione della sentenza. Su tutte le somme liquidate a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo; (ii) della somma di Euro 6.054,53, oltre interessi al tasso legale a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo, a titolo di danno non patrimoniale patito per causa del sinistro occorsogli il 22.7.2017 3) condanna la società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di (...) delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.720,25, di cui Euro 3,235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali al 15%, oltre Euro 518,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 4) condanna la società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di (...) delle spese del procedimento per ATP RG 1678/2918 che liquida in Euro 1.397,25, di cui Euro 1.215,00 per compenso tabellare ed Euro 182,25 per spese generali al 15%, oltre contributo unificato, anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 5) condanna (...) al pagamento in favore della ditta individuale (...) delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.720,25, di cui Euro 3,235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali al 15%, oltre cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 6) pone definitivamente a carico della società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, le spese della CTU in ATP 7) pone definitivamente a carico della società (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, le spese della CTU in corso di causa 8) visto l'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante rete di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati Così deciso in Imperia il 5 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 6 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IMPERIA Sezione Civile- Ufficio Fallimentare in composizione collegiale, in persona dei magistrati: Dott.ssa Paola Cappello - Presidente Dott.ssa Maria Teresa De Sanctis - Giudice rel. Dott.ssa Martina Badano - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio per l'ammissione tardiva di credito allo stato passivo ex artt. 101 e 99 l.fall. nella versione antecedente al D.Lgs. n. 5 del 2006, iscritto al n. 2229/2020 RG., assunto in decisione all'udienza del 4.11.2021 svoltasi nelle forme della trattazione scritta promosso da: (...), nato a (...) il (...) (C.F. (...)), residente in (...), Via S. n. 8, rappresentato e difeso dall'Avv. Ro.Ta. del Foro di Monza (Cod. Fisc. (...) fax (...) Pec (...)) presso il cui studio, in Monza, Via (...), è elettivamente domiciliato giusta procura in calce all'atto di costituzione di nuovo difensore del 21.3.2021; ricorrente nei confronti di FALLIMENTO "(...) e del socio accomandatario (...), in persona della Curatrice, Rag. (...), rappresentata e difesa dell'Avv. Gi.Gi. (c.f.: (...)) (fax (...); pec: (...)) giusta procura in calce alla memoria di costituzione dell'11.12.2020, presso il cui studio in Sanremo, C.so (...), è elettivamente domiciliata; resistente MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorrente Sig. (...) ha chiesto il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'acquisto ex art. 586 c.p.c. di un immobile del tutto diverso, per mancanza di idoneità statica, rispetto a quello indicato nel decreto di trasferimento emesso in proprio favore dal giudice dell'esecuzione. In particolare, ha domandato il risarcimento del pregiudizio quantificato in un importo pari al valore di stima del bene promesso per Euro 490.000,00 ovvero il pagamento dei costi di demolizione e ricostruzione del bene pari ad Euro 496.494,36, nonché il risarcimento dei costi delle sanatorie, il rimborso dei costi sostenuti per gli accertamenti tecnici sulla reale situazione dell'immobile acquistato, il pregiudizio per mancato godimento del bene ed i maggiori compensi ed imposte di trasferimento. Il ricorrente assume che tali pregiudizi debbano ricondursi a responsabilità del Fallimento per omessa diligente custodia del curatore fallimentare in capo al quale la custodia dei beni pignorati si sarebbe trasferita automaticamente sin dal momento della dichiarazione di fallimento del debitore esecutato (Sig. (...)), ex artt. 42, 117 legge fall. e 559 cod. proc. civ., non essendo stato nominato, nella procedura espropriativa immobiliare già pendente, un custode diverso dal debitore; sostiene il ricorrente, in particolare, che i danni subiti debbano ricondursi all'inadempimento da parte del curatore agli obblighi "non solo di vigilare e conservare l'immobile, ma anche di assicurarsi che la rappresentazione fornitane ai potenziali acquirenti sia effettivamente rispondente alla realtà materiale e, quindi, di consegnarlo nello stesso stato rappresentato" (c.f.r. pg. 18 dell'atto introduttivo). Tanto premesso, occorre preliminarmente osservare che dalla natura pubblicistica della vendita forzata deriva che non possono trovare ad essa applicazione, oltre alle regole riguardanti i vizi della volontà e i correlati rimedi negoziali, anche la garanzia per vizi o mancanza di qualità. L'esclusione della garanzia per i vizi della cosa, espressamente prevista dall'art. 2922 c. 2 c.c., si riferisce, tuttavia, alle fattispecie previste dagli artt. 1490-1497 c.c. (vizi della cosa e mancanza di qualità), mentre l'art. 2922 c.c. nulla prevede in merito alla garanzia per vendita di aliud pro alio. Il Tribunale ritiene di dover aderire alla interpretazione prevalente per cui la norma limitatrice di responsabilità riguarda solo i vizi e gli eventuali difetti strutturali dell'immobile messo in vendita, mentre l'aliud pro alio, invero non integrante un vizio, non si sottrae alle regole generali vigenti per la vendita volontaria che danno rilievo alla diversità sostanziale del bene consegnato (cfr. Cass., n. 7233/1983; n. 1698/1981; e, più in generale, n. 2724/1969). Va pertanto affermata l'ammissibilità della proposizione della domanda risarcitoria del danno da aliud pro alio nei casi di vendita forzata. Nella specie, la domanda risarcitoria risulta pertanto ammissibile, non rilevando il rispetto del termine di legge previsto dall'art. 617 c.p.c. in quanto afferente al diverso piano della tutela restitutoria del bene. Giova osservare che è configurabile un aliud pro alio, per costante giurisprudenza, sia quando la cosa appartenga a un genere del tutto diverso rispetto a quello indicato nell'ordinanza di vendita (ovvero manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere la sua naturale funzione economico-sociale), sia quando risulti del tutto compromessa la destinazione della cosa all'uso che, preso in considerazione nell'ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l'offerta d'acquisto (ex multis Cass., n. 11018/1994; Cass., n. 10015/1998). La giurisprudenza di legittimità ha, in particolare, chiarito che la destinazione dell'immobile è un profilo attinente all'identità del bene, con la conseguenza che la consegna di un immobile che sia privo dei requisiti strutturali necessari alla destinazione promessa integra consegna di aliud pro alio (Cass., n. 5448/1978; n. 3592/75; Cass., n. 1141/73). Ritiene il Tribunale che nel caso di specie risulti dimostrata, sulla base della documentazione prodotta, l'esistenza di aliud pro alio, in quanto l'immobile descritto nella perizia del 17.1.2008 redatta dall'Arch. (...) nel senso che "nella sua globalità ben si presta ad una fruibilità, come l'attuale, ad abitazione e risulterebbero necessarie unicamente opere di manutenzione ordinaria per rendere le due unità abitative del tutto idonee ad una immediata abitabilità, con la sola eccezione di parte del piano terreno, che necessiterebbe di un seppur contenuto intervento di manutenzione straordinaria", è risultato invece inagibile; la relazione tecnica in data 30.10.2010, depositata in esito all'ATP promosso dal ricorrente, ha accertato che l'edificio per cui è causa, sito in S. in via (...) V. n. 63, "per le sue gravi carenze statiche (..) non risulta idoneo a soddisfare le condizioni minime di sicurezza" (pg. 16 della relazione) e che "le condizioni attuali dell'edificio sono comunque di una gravità tale da rendere impossibile un riutilizzo del fabbricato attraverso una serie di semplici interventi migliorativi localizzati", evidenziando come il fabbricato sia stato realizzato in fasi successive senza un progetto strutturale organico, con l'impiego di una pessima tecnica costruttiva e di materiali di scarsa qualità ed evidenziando come "il motivo dello sbilanciamento si dovrebbe ricercare nella sagoma dell'edificio, con il suo baricentro spostato verso monte e fondato sul suo retro su suoli superficiali e poco addensati, di natura argillosa e soggetti alle azioni delle acque sub superficiali". Tali risultanze tecniche, accertate a suo tempo nel contraddittorio delle parti e con giudizio tecnicamente adeguato e pertanto condivisibile, portano indubbiamente a ritenere configurata nella specie la consegna di un aliud pro alio, stante la situazione di grave e generalizzato dissesto statico dell'edificio richiedente interventi di ristrutturazione, eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria, che comportano la inagibilità totale del bene a scopo abitativo, pur se ovviabile con i predetti lavori. 2) Sulla responsabilità del Fallimento. Va a questo punto vagliata la fondatezza del ricorso sotto il profilo della responsabilità attinente alla custodia dei beni inventariati, che viene invocata a carico del fallimento in quanto correlata al compimento di atti tipici rientranti nelle attribuzioni del curatore - custodia, che si inserisce nel contesto della procedura esecutiva immobiliare contro il sig. (...) e la di lui sorella, in cui la curatela è intervenuta instando per la vendita, in quella sede, della quota del 50% dei cespiti di pertinenza del fallito. Secondo il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 16 luglio 2005, n. 15103), è indubbio, almeno con riguardo ai fallimenti c.d. vecchio rito - qual è quello della (...) sas e del suo socio accomandatario - che una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore subentri ex lege, a norma dell'art. 107 l. fall., al creditore procedente, in quanto si tratta, come chiarito dalla citata giurisprudenza, di una sostituzione che opera di diritto, senza necessità di alcun intervento del curatore o autorizzazione del giudice dell'esecuzione. Ne consegue che, ove non sia stato nominato un custode diverso dal fallito, anche la custodia dei beni pignorati si trasferisce immediatamente in capo al curatore, ex artt. 42 l. fall. e 559 c.p.c.. Nella specie, dunque, per quanto qui interessa, il Curatore fallimentare è subentrato, senza necessità di nomina da parte del giudice dell'esecuzione, nella custodia dell'immobile già pignorato quanto alla quota appartenente al (...). E' evidente che, trattandosi della titolarità in capo al fallito della quota del 50% dell'intero fabbricato indiviso, la custodia della curatela ha riguardato anche l'abitazione posta al secondo piano (pur se in concorso con la comproprietaria in bonis). E' opportuno a questo punto osservare che nella fase liquidatoria delle vendite forzate, che realizzano congiuntamente l'interesse pubblicistico, connesso a ogni processo giurisdizionale, e quello privato, dell'aggiudicatario, la legge pretende dall'organo gestorio notevoli cautele, anche alla luce della professionalità dell'incarico. Nella specie è vero che la gestione delle vendite non faceva capo al curatore, purtuttavia è indubbio che il curatore fosse tenuto ai doveri discendenti dalla custodia, rientranti ex art. 42 l.fall. nelle sue funzioni, strumentali alla conservazione del bene come pure al buon esito della liquidazione nell'interesse della massa dei creditori. Tali doveri sono suscettibili di rilevanza, pertanto, anche sotto il profilo di una corretta verifica ed informativa sulle condizioni dell'immobile posto in vendita. Ciò detto, occorre osservare in diritto che, secondo consolidata giurisprudenza, sebbene la vendita forzata non sia equiparabile alla vendita volontaria, non è incompatibile con la natura dell'espropriazione forzata la norma dell'art. 1477 c.c.. E' bene rammentare che tale norma prevede l'obbligo di consegna e correlativa custodia come dovere strumentale, che si aggiunge alla prestazione principale, imponendo al venditore ogni attività necessaria a far conseguire al compratore il possesso: in primo luogo l'obbligo del venditore di custodire la cosa, già trasferita ma non ancora consegnata al momento della prestazione del consenso, fino al momento della consegna. L'art. 1477 c.c. esplicita in altri termini l'obbligo del venditore come dovere di mantenere inalterato fino alla consegna lo stato quali-quantitativo della cosa esistente al momento della vendita. Con riguardo alle vendite forzate, la giurisprudenza di legittimità, alla quale si aderisce, ritiene che nella vendita coattiva l'aggiudicatario sia titolare di una legittima aspettativa alla conformità del bene acquistato rispetto a quello indicato nel provvedimento ex art. 586 c.p.c., nel senso che gli sia riconoscibile il diritto alla consegna della cosa nello stato in cui si trovava al momento dell'aggiudicazione. In questo segmento temporale tra l'aggiudicazione provvisoria ed il decreto di trasferimento sono, infatti, richiesti obblighi di diligenza e buona fede che incombono sul custode (oltre che sul debitore) aventi ad oggetto la conservazione della res nello stato in cui si trovava al momento dell'aggiudicazione (c.f.r. Cass. civ., Sent. 1, 17 febbraio 1995 n. 1730; Cass. civ., Sez. 1, 18 giugno 2010 n. 14760). Date tali premesse, pur se non venga in questione nella fattispecie la perdita del bene, per colpa dell'omessa custodia, a causa di danneggiamento operato da terzi o dal debitore, né il dissesto dell'immobile dovuto ad omessa manutenzione (posto che, come emerge dalla relazione tecnica, in atti, dei CTU ing. Fiorenzo (...) e dott. geol. Ma.Ma. del 30.10.2010, "le cause principali e determinanti che hanno portato l'immobile nella sua attuale grave situazione di degrado sono attribuibili sostanzialmente alle gravi deficienze statiche e realizzative (...) infatti la semplice mancanza di manutenzione può influire solo sulle parti accessorie di un edificio, ma non viene ad intaccare l'integrità statica al punto in cui si trova l'immobile in oggetto" (c.f.r. pg. 25 della relazione), tuttavia risulta fondato l'addebito al curatore di negligenza per omesso rilievo, nello svolgimento dell'attività di custodia e relativa rendicontazione, di una situazione dei luoghi recante segnali di allarme sulle condizioni degli immobili posti in vendita. Dalla relazione tecnica di a.t.p. emerge che ancora alla data del sopralluogo effettuato il 3.8.2010 "risulta ancora in fase di evoluzione" la situazione di degrado statico presente nel fabbricato (c.f.r. punto 10 a pg. 15 della relazione del 30.10.2010). Tale fenomeno degenerativo era già stato accertato come grave al punto da determinare l'emissione da parte del Comune di Sanremo di un ordine di inagibilità (c.f.r. ordinanza comunale recante l'ordine di inagibilità n. 96 dell'11.2.2010 - doc. 21 di parte attrice) alla data del 25.01.2010, quando (c.f.r. doc. 23) il sopralluogo dei Vigili del Fuoco del Comando Provinciale aveva constatato "lesioni interne, alcune delle quali presenti anche sugli elementi strutturali. Erano visibili anche delle lesioni di non recente formazione sui muri esterni di contenimento. Le lesioni interne più gravi si riscontravano al II piano del fabbricato nella zona a monte. Tali lesioni, dovute al cedimento del terreno sottostante, sono presumibilmente peggiorate a causa delle recenti piogge intense". Considerato dunque che l'ATP ha confermato che l'edificio si trovava esposto durante l'alternanza dei cicli di siccità-piovosità alla formazione di lesioni dovute all'abbassamento del terreno e constatato che il dissesto è apparso suscettibile di evolvere sulla lunga durata (tra gennaio 2010 ed ottobre 2010), ritiene il tribunale che sia ragionevole dalla gravità delle lesioni riscontrate nel gennaio 2010 presumere che si fossero già formate con elevata probabilità nel periodo compreso tra l'aggiudicazione (22 luglio 2009) e l'emissione del decreto di trasferimento (20 ottobre 2009), vale a dire soltanto cinque mesi prima della dichiarazione di inagibilità da parte del Comune. In tal senso convergono anche le dichiarazioni del teste (...) rese nel processo penale che si è svolto a carico del perito (arch. (...)), nel quale il fallito, che ha abitato la casa sino al suo rilascio avvenuto il 17.02.2010 e certamente ha posseduto le chiavi del secondo piano (terzo fuori terra) dal mese di aprile 2009, ha dichiarato che le lesioni passanti sulla parete nord ovest del fabbricato e quelle più significative alle strutture si erano verificate nell'ultimo anno prima del rilascio dell'immobile, allorquando in data 25.1.2010 il fallito aveva effettuato la segnalazione alla protezione civile per manlevarsi da responsabilità in caso di danni a terzi. A ciò si aggiunga che talune lesioni, come quella della lunghezza di quattro, cinque metri posta sulla parete nord a livello del secondo piano è indicata dal teste (...), nell'esame testimoniale anzidetto, come già esistente anche al momento del sopralluogo dell'arch. (...), ossia nel gennaio 2008, con dichiarazione intrinsecamente attendibile, avendo il (...) riferito che, a motivo del posizionamento della fessurazione ad una altezza di 2,80 mt, non era riuscito a cementarla e tinteggiarla di rosa. Tali risultanze probatorie, complessivamente valutate, fondano il convincimento che il fenomeno di dissesto statico dell'edificio si fosse verificato nel corso dell'anno 2009 e avesse manifestato segnali visibili di gravità già al momento dell'aggiudicazione, percepibili dal curatore attraverso l'accesso all'interno dell'abitazione posta al secondo piano. Sono pertanto ravvisabili nella specie i presupposti per affermare la responsabilità del Fallimento per inadempimento agli obblighi di custodia. 3) Sul risarcimento del danno. Ritiene il Tribunale, innanzitutto, che in caso di alienazione di aliud pro alio ove l'acquirente non intenda addivenire alla risoluzione del contratto - nel caso di specie all'annullamento della vendita forzata - possa prospettarsi un danno laddove sia riscontrabile uno scarto tra il prezzo corrisposto ed il minor valore di mercato del bene derivante dalla sua concreta e diversa (rispetto a quella promessa) identità. Occorre verificare dunque quale fosse al momento dell'alienazione e cioè alla data del 20.10.2009 il valore effettivo del bene alienato. La consulenza tecnica d'ufficio elaborata nel giudizio n. 1217/2011 RG, acquisita agli atti, ha inquadrato - alla luce della normativa tecnica cogente alla data della vendita (le norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. del 14 gennaio 2008, cap. 8.4, in vigore dal 1.7.2009) - le opere necessarie al ripristino dell'immobile nella categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione del fabbricato, anche non estesa alla totalità del fabbricato (ma certamente non riguardanti porzioni limitate della costruzione), che richiedono, come previsto dalla normativa tecnica per gli interventi di adeguamento, apposita valutazione della sicurezza da parte del progettista incaricato, dovendo il progetto essere riferito all'intera costruzione e riportare le verifiche dell'intera struttura post intervento. Il c.t.u. Arch. Ma.Be. ha infatti determinato la stima del valore di mercato del bene con procedimento sintetico comparativo, individuando il valore base nel valore medio OMI della zona D4 del primo e secondo semestre anno 2009 ed attribuendo, a correzione di tale valore, allo stato di criticità strutturale che imporrebbe opere edilizie trasformative importanti, un coefficiente di detrazione in misura del - 44%, nonché detraendo i costi per le regolarizzazioni urbanistico - edilizie e catastali quantificati in Euro 12.122,00 ed operando una riduzione del 6% per gli ulteriori fattori incidenti sul valore (assenza di regimazione delle acque, per l'incuria della corte e l'impianto GPL non a norma etc.). Correttivi in aumento sono stati operati per la posizione, in misura complessivamente pari a + 5,5%. Il valore dei terreni è stato determinato tenendo conto del dissesto dei terrazzamenti secondo una riduzione del 15% sul valore medio OMI. Conclusivamente il CTU ha stimato il valore commerciale dei cespiti alla data della vendita in complessivi Euro 269.831,37 per il fabbricato ed Euro 17.350,00 per i terreni e così per un valore complessivo pari ad Euro 287.181,87. Il Tribunale ritiene di dover condividere e fare proprio il giudizio conclusivo espresso dal C.T.U., in quanto esso trae origine da una meditata valutazione degli elementi di fatto e documentali, è sorretto da metodica corretta, è rispondente ai criteri tabellari e sorretto da valide considerazioni tecniche, oltre ad essersi svolto nel rispetto del contraddittorio tecnico. Essendo il valore dell'immobile derivante dalla sua concreta e diversa identità pari ad Euro 287.000,00 nessun danno ha subito il ricorrente, il quale ha corrisposto per il trasferimento un prezzo pari a complessivi Euro 285.300,00. Ove si utilizzasse, per la stima del bene alla data della vendita, il diverso criterio del valore di trasformazione, pari alla differenza tra il valore del fabbricato edificabile sull'area ed il suo costo di costruzione, si perverrebbe ad un valore di Euro 253.080,00, ottenuto come differenza tra il valore dei beni supposti finiti di Euro 758.728,00 (= 2.160 Euro/mq x 290,30 mq + 21% coefficiente merito per fabbr. nuovo) - in cui Euro 2.160,00 è il valore unitario massimo/mq, da ritenersi maggiormente adeguato allo scopo di tener conto della più appetibile condizione edilizia - ed i costi di demolizione e ricostruzione pari ad Euro 505.648,00, così quantificati integrando le voci elencate dall'Arch. (...) (inclusa la voce allacciamenti di Euro 3.000) con quelle ulteriori desunte dalla ctu dell'ing. (...), come dedotto dall'attore a pg. 23 della memoria di parte ricorrente del 21.3.2021. Ne deriva un margine di oscillazione del valore "attuale" (al 4.9.2015 data della c.t.u.) del bene scarsamente significativo, che conferma la validità del risultato di Euro 287.000,00 quale più probabile valore di mercato del bene, tenuto conto di quanto allegato e provato dalle parti al momento della presente decisione. Non sono condivisibili le deduzioni di parte ricorrente volte a dimostrare che il valore di trasformazione sarebbe molto lontano da quello attribuito dal CTU al bene, in quanto l'operazione seguita per la determinazione del valore di trasformazione omette, senza giustificazione teorica e metodologica, l'applicazione del coefficiente di aumento per nuovo fabbricato. Ciò detto, occorre altresì considerare che il ricorrente lamenta che il danno subito in conseguenza dell'acquisto dell'aliud pro alio debba consistere nel risarcimento dei costi di demolizione e ricostruzione, in quanto necessari ad essere messo nel possesso dell'immobile così come descritto nella relazione peritale e chiede dunque la condanna al pagamento di Euro 496.494,36. A pg. 25 della comparsa conclusionale si legge che "Al sig. (...), dovevano essere consegnati lotti del valore di E. 490.000,00, ma soprattutto, dovevano essere consegnati due lotti così come indicati nelle relazioni peritali dell'Arch. (...) pronti per essere abitati con interventi di ordinaria manutenzione". A ben vedere le ragioni della doglianza sono connesse alla mancanza dell'abitabilità del bene trasferito quale fonte di pregiudizio. Si vuol dire che non sussiste un diritto dell'aggiudicatario di un bene venduto all'asta a fare affidamento sul valore economico del bene indicato nella stima del perito, atteso che nel sistema delle vendite forzate il prezzo che dovrebbe assicurare proporzionalità tra mezzo e scopo è il prezzo di aggiudicazione che risulta dagli esiti della vendite e che è determinato dall'incontro tra l'interesse del mercato e la ripetizione dei tentativi di vendita con ribassi di prezzo giustificati sia per le minori garanzie offerte all'acquirente, sia per le esigenze di contenimento della durata del processo e soddisfo dei creditori. Tuttavia merita tutela l'affidamento sulla appartenenza del bene venduto al genere "immobile ad uso abitativo". Ciò conduce alle seguenti brevi considerazioni. Va premesso in diritto che, fermo il principio della riparazione integrale del danno, nella disciplina codicistica tale riparazione può assumere la forma di risarcimento per equivalente o di risarcimento in forma specifica; e ciò anche nella responsabilità contrattuale. L'art. 2058 c.c. stabilisce infatti, al primo comma, che "il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile" ed al successivo comma afferma che "tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". Dalla lettura della norma emerge che "il risarcimento per equivalente e la reintegrazione in forma specifica sono forme riparatorie che hanno in comune il presupposto del danno inteso come diminuzione patrimoniale e vanno commisurate alla diminuzione stessa. Sicchè all'unitarietà dell'obbligazione risarcitoria corrispondono due modalità del risarcimento che garantiscono entrambe l'attuazione del principio della riparazione integrale del danno come equivalente della perdita economica subita" (Cass. civ., sez. III, 21.5.2004 n. 9709). Il risarcimento per equivalente può essere disposto dal Giudice, anche in caso di domanda di reintegrazione in forma specifica, quando quest'ultima forma di tutela sia eccessivamente onerosa per il debitore, nel senso che il costo della reintegrazione in forma specifica risulti superiore a quello del risarcimento per equivalente, ovvero quando il sacrificio economico necessario al fine del ripristino della situazione quo ante, sia nella forma del ripristino materiale che nella corresponsione della somma di danaro corrispondente alle spese necessarie per tale ripristino, superi in misura eccessiva, date le circostanze del caso, il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente. Al proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 8052 del 22/05/2003) ha affermato che: "il principio di diritto desumibile dal combinato disposto degli art. 2058 e 2056 c.c. è che il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana, quale che sia il criterio adottato su richiesta del creditore (forma specifica o equivalente pecuniario) ha la funzione di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato ove l'illecito non si fosse verificato, trovando il suo presupposto ed il suo limite nell'effettiva perdita subita da quel patrimonio (Cass. civ. sez. 3 n. 2402/1998). Perciò l'art. 2058 c.c. attribuisce al giudice la facoltà di disporre che il risarcimento avvenga per equivalente (quindi secondo i criteri richiamati dall'art. 2056 c.c.), qualora "la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". Detto principio che si sostanzia in quello della corrispondenza tra danno e risarcimento e che in quanto tale vieta di fare conseguire al danneggiato un'indebita locupletazione comporta che le spese necessarie alla reintegrazione in forma specifica non possono essere superiori alla somma calcolata ai sensi dell'art. 2056 c.c. E sicuramente si avrebbe violazione di tale principio allorché si consentisse al creditore di sostituire i componenti usurati del veicolo con pezzi di ricambio nuovi". Principio enunciato anche nella sentenza n. 211012 del 12.10.10, Cass. Civ., sez. III, secondo cui: "La domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, quando abbia ad oggetto la somma necessaria per effettuare la riparazione dei danni, deve considerarsi come richiesta di risarcimento in forma specifica, con conseguente potere del giudice, ai sensi dell'art. 2058, secondo comma, cod. civ., di non accoglierla e di condannare il danneggiante al risarcimento per equivalente, ossia alla corresponsione di un somma pari alla differenza di valore del bene prima e dopo la lesione, allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo". Più di recente, con l'ordinanza n. 27546 del 21/11/2017, Cass. civ., sez. III, si è ribadito che: "Ai sensi del comma 2 dell'art. 2058 c.c., in virtù del quale, anche se il danneggiato abbia chiesto, quando possibile, la reintegrazione in forma specifica, il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente ove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per il debitore, la differenza fra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente consiste nel fatto che, nel primo, la somma dovuta è calcolata sui costi occorrenti per la riparazione, mentre, nel secondo, è riferita alla differenza fra il bene integro (e cioè nel suo stato originario) ed il bene leso o danneggiato". Facendo applicazione di tali principi al caso di specie, ritiene il Tribunale che la domanda di pagamento dei costi di demolizione e ricostruzione pari ad Euro 496.494,36, ove accolta, farebbe conseguire al danneggiato un'indebita locupletazione, sostituendo il nuovo fabbricato del valore di Euro 758.728 (c.f.r. relazione finale di c.t.u. del procedimento n. 1217/2011 rg. dell'arch. Be., pg. 18) all'immobile ad uso abitativo descritto nel decreto di trasferimento, e supererebbe in misura eccessiva il valore da corrispondere in base al risarcimento per equivalente. Si ritiene di determinare tale risarcimento per equivalente nella differenza tra il valore di mercato alla data del 20.10.2009 dell'edificio supposto abitabile, che appare congruo assumere pari al valore di stima determinato dall'arch. (...) nella perizia del 2008 in Euro 469.000,00 (secondo i valori O. "medi" della zona D4, anno 2009, di Euro 1.750,00 Euro/mq, valori confermati anche nella c.t.u. del 2015) ed il valore di mercato del bene effettivamente trasferito, pari ad Euro 287.000,00. Va riconosciuto pertanto in favore del ricorrente un importo a titolo di danno per aliud pro alio pari ad Euro 182.000,00 oltre interessi e rivalutazione dalla data del trasferimento. 4) Sul danno da mancato godimento dell'immobile; Il risarcimento del danno richiesto dal ricorrente è prospettato come conseguenza del ritardo nel conseguimento dell'immobile promesso ed è parametrato al c.d. valore locativo del bene, considerato nella sua interezza, prescindendo espressamente dai costi di locazione di fatto sostenuti per le proprie esigenze abitative. Tale domanda va rigettata atteso che detta posta risarcitoria non è provata quanto all'an del pregiudizio, emergendo anzi dagli atti l'intenzione del ricorrente di avviare nell'immobile un'attività di bed & breakfast, il che fa presumere, al contrario, che l'immobile non fosse destinato all'immediato utilizzo a scopo abitativo o locatizio da parte del ricorrente, essendo ragionevole presumere che l'esercizio dell'attività di Bed & Breakfast avrebbe comportato l'effettuazione di lavori funzionali al rinnovo dell'immobile. 5) Sul danno emergente da rimborso dei costi sostenuti. Con riguardo al pregiudizio consistente nella perdita economica sofferta in relazione ai costi causati dall'acquisto dell'aliud pro alio, spetta il risarcimento delle seguenti poste di danno, che si reputano documentate e causalmente conseguenti ex art. 1223 c.c. all'illecito: Euro 4.572,82 costi per completamento condono (c.f.r. doc. 38 e 39 di parte attrice) Euro 4.368,00 costi per accatastamento ampliamento fabbricato (c.f.r. doc. 41 fattura n. (...) del 7.2.2011; doc. 42 fatt. n. (...) del 7.2.2011); Euro 8.896,10 onorario del CTU Ing. (...) (doc. 32 fatt. n. (...) del 10.1.2011) Euro 2.692,80 onorario geol. Ma.Ma. (doc. 33 parcella n. (...) del 14.1.2011) Euro 2.203,20 compenso ing. (...) per perizia di parte (doc. 34 fatt. n. (...)) Euro 1.872,00 compenso CTP rg. 1226/2010 (doc. 35 fatt. n. 7/2011) Euro 1.468,80 compenso geol. (...) (doc. 36 fatt. (...)) Euro 8.426,05 spese legali ATP come da compensi tabellari medi (esclusi gli accessori, stante la mancata produzione di parcella) Euro 651,48 spese vive ATP (doc. 37 b) Euro 4.551,80 onorario CTU Arch. (...) rg. 1217/2011. Detta voce di costo si reputa integrare un danno emergente conseguente all'illecito contrattuale per cui è causa, in quanto, pur se il giudizio rg. 1217/11 debba ritenersi ascrivibile a colpa dell'odierno attore stante la definitività della pronuncia che ha dichiarato l'inammissibilità della domanda, la consulenza tecnica a firma dell'Arch. (...), acquisita al presente giudizio, è risultata utile alla presente decisione, che, essendo di accoglimento, pur se parziale, della domanda attorea comporta, in punto di spese ctu, che esse debbano essere poste a carico di parte convenuta. Il danno emergente ammonta, pertanto, complessivamente all'importo di Euro 39.703,05. 6) Sui maggiori costi per imposte e compenso del notaio delegato Per ciò che concerne il rimborso dei maggiori costi per imposte e compenso del notaio delegato rispetto ai costi parametrati sul valore di ipotetica aggiudicazione del bene nel suo reale stato, la domanda va rigettata in quanto, optando per la sola azione risarcitoria l'attore ha invero manifestato la volontà di conservare l'acquisto del, sia pure diverso, bene trasferitogli. Chiedere il rimborso di una parte delle imposte pagate sul trasferimento si traduce in una richiesta di ristoro di danni da inutile dispendio di somme spese per l'acquisto del bene, ossia di un pregiudizio derivante dall'annullamento del contratto (recte del decreto di trasferimento). Ne deriva la limitazione del risarcimento al pregiudizio determinato secondo il parametro di commisurazione del c.d. interesse positivo e l'impossibilità di cumulare quest'ultimo con la richiesta di risarcimento del danno secondo il c.d. interesse negativo. In ogni caso, il minor prezzo assunto dall'attore a parametro del danno per maggiori spese di trasferimento è privo di rilievo giuridico in quanto meramente ipotetico (non consentendo l'aliud pro alio di proiettare la volontà dell'aggiudicatario su ipotesi omogenee, pur se difformi), non potendo che farsi riferimento al valore di mercato del bene nel suo stato reale, che è sostanzialmente corrispondente al prezzo pagato. 7) Sull'equiparabilità del credito prededucibile di cui si chiede l'ammissione ai crediti con prelazione ex art. 112 l. fall. Venendo alla domanda dell'attore affinchè venga dichiarato anche il diritto del Sig. (...) di ottenere nei successivi riparti anche le quote che gli sarebbero spettate, quale creditore prededucibile, nelle precedenti ripartizioni, premesso che il credito risarcitorio per cui è causa va ascritto all'ambito delle prededuzioni chirografarie, si ritiene che per esso valga quanto previsto per i creditori muniti di titolo di prelazione dall'art. 112 l. fall. di c.d. vecchio rito nei termini che seguono. Varrà dunque il principio secondo cui i creditori per i quali l'art. 112 l.f. enuncia le due eccezioni possono prelevare le quote che sarebbero loro spettate nelle eventuali precedenti ripartizioni, sempre nei limiti delle disponibilità residue nel senso che il creditore tardivo-privilegiato (al quale si ritiene assimilabile il creditore tardivo-prededucibile) non può pretendere di incrementare le disponibilità residue del riparto cui partecipi mediante la riduzione dei riparti ricevuti dagli altri creditori, né pretendere, a seguito della presentazione della domanda tardiva, accantonamenti. Tuttavia nel primo riparto cui partecipi dopo l'ammissione, va effettuata una preventiva ed autonoma assegnazione della quota eventualmente assegnata ai creditori di pari grado e rango nei riparti precedenti all'insinuazione tardiva, e poi va inserito, per la parte residua, nel riparto in corso nel grado di competenza. 8) Sulla domanda riconvenzionale del Fallimento. Il Fallimento convenuto ha proposto domanda riconvenzionale di condanna della controparte alla restituzione alla procedura della somma di Euro 124.730,66 proveniente dal pagamento del prezzo della vendita, indebitamente trattenuta dal sig. (...) nonostante il sequestro sia stato revocato con sentenza divenuta cosa giudicata. Il Fallimento ha chiesto che a tal fine venga dichiarata in via incidentale la nullità radicale dell'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione ha, in sede di attuazione del sequestro conservativo, assegnato la somma giacente sul conto corrente del fallimento al Sig. (...). Rileva il Collegio che l'actio nullitatis non ha natura di mezzo di impugnazione ed è pertanto possibile la sua proposizione nell'ambito del giudizio di merito, anche in via di azione. Al riguardo, costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (c.f.r. di recente: Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 3810 del 07/02/2022; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 22334 del 15/10/2020) afferma la natura di azione di accertamento della querela nullitatis. In tal senso, si veda Cassazione, Sez. 6 - L, Ordinanza n. 9910 del 15/04/2021 secondo cui "La cd. inesistenza giuridica o la nullità radicale di una sentenza può essere fatta valere o mediante un'autonoma azione di accertamento negativo ("actio nullitatis") esperibile in ogni tempo, oppure attraverso gli ordinari mezzi di impugnazione (...)". E' pertanto ammissibile la proponibilità della querela nullitatis nella presente sede. Non appare, pertanto, fondata l'eccezione di incompetenza a favore del giudice ordinario, sollevata dalla difesa della parte ricorrente, essendo la querela nullitatis stata proposta in via incidentale rispetto alla riconvenzionale di restituzione delle somme, stante la pregiudizialità logica del detto accertamento rispetto alla domanda principale, di modo che la competenza a conoscere dell'azione di nullità viene attratta al Giudice della riconvenzionale, ossia al tribunale fallimentare. Ed è indubbio che nell'ambito del giudizio di accertamento in fase contenziosa della domanda tardiva di ammissione al passivo possano essere proposte dal fallimento convenuto domande riconvenzionali. Anche con riferimento alla legge fallimentare di c.d. vecchio rito, invero, la giurisprudenza di legittimità (c.f.r. Cass. civile, sez. VI, 27 Ottobre 2020, n. 23472) ha avuto modo di chiarire che: "nel regime anteriore alle riforme la "relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale "dal titolo dedotto in giudizio dall'attore", che giustifica la trattazione simultanea delle cause, si configura non già come identità della causa petendi, ma comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale con quello posto a base di una eccezione, così da delinearsi una connessione oggettiva della domanda riconvenzionale con l'azione o l'eccezione proposta" (Cass., 11 aprile 2016, n. 7070). Ciò detto, va rilevato come l'ordinanza datata 3.07.2011 con cui il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Sanremo, nel procedimento di attuazione del sequestro conservativo presso terzi n. 483/2011 RGE. MOB., ha assegnato al creditore sequestrante le somme di cui era stato autorizzato il sequestro (con ordinanza del tribunale ordinario di Sanremo del 1.6.2011, doc. 9 del convenuto) sia da considerarsi abnorme in quanto il giudice dell'esecuzione, attribuendo le somme al Sig. (...), ha eseguito una sentenza di condanna esecutiva che non esisteva, pur essendo privo del potere di decidere sulla esistenza del diritto di credito al risarcimento. In altri termini l'assegnazione è abnorme perché pretenderebbe di costituire essa stessa il titolo (la sentenza di condanna esecutiva) che invece presuppone e che non esisteva. Le circostanze di fatto dedotte dal Fallimento inerenti al sequestro delle somme pervenute al fallimento dall'incasso del prezzo della vendita (mai annullata), l'assegnazione al (...) da parte del G.E. delle somme sequestrate, il prelievo delle stesse da parte dell'interessato mediante giroconto dal conto corrente della procedura non risultano specificamente contestate e si hanno pertanto per provate, anche a prescindere dalle produzioni documentali offerte. Va dunque dichiarata la nullità radicale dell'ordinanza 13.7.2011 di assegnazione della somma di Euro 124.730,66 al creditore sequestrante Sig. (...) (doc. 9 del convenuto). Ciò premesso, essendo intervenuta in data 4.08.2020 sentenza del Tribunale di Imperia che ha definito la causa di merito di accertamento del credito risarcitorio, dichiarando inammissibile per violazione dell'art. 52 l. fall. la domanda di condanna al risarcimento del danno formulata dal Sig. (...), e che ha "revocato il sequestro conservativo disposto in favore di parte attrice con ordinanza del Tribunale di Sanremo in data 1 giugno 2011 sui beni del Fallimento convenuto", ne deriva l'inefficacia del provvedimento cautelare di sequestro a decorrere dalla data di deposito della sentenza cui consegue l'obbligo di restituzione al fallimento dell'importo di Euro 124.730,66, oltre interessi legali dal 4.8.2020 al saldo effettivo. E' bene ricordare che tanto l'art. 669 novies co. 3 c.p.c. quanto l'art. 669 novies co. 1 c.p.c. prevedono l'inefficacia del provvedimento cautelare di natura conservativa, qual è il sequestro conservativo, anche in caso di pronuncia di inammissibilità. A ciò si aggiunga che l'ultimo comma dell'art. 669 octies c.p.c. espressamente prevede che "l'autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo". Ne deriva che il sequestro conservativo è divenuto inefficace il 4.8.2020 e che con ogni evidenza a nulla rileva il successivo accertamento nel presente diverso giudizio ex art. 101 l. fall. del credito risarcitorio, che di certo non potrebbe determinare la conversione in pignoramento di un sequestro inefficace, la cui autorità è già stata revocata in via definitiva. Quanto alla richiesta di compensazione avanzata dal ricorrente per l'ipotesi di accoglimento della domanda riconvenzionale avversaria, la stessa non può essere accolta in quanto in caso di incapienza dell'attivo anche i crediti prededucibili devono essere graduati secondo le rispettive cause di prelazione ed il grado corrispondente, dovendosi provvedere pertanto al pagamento del credito prededucibile di rango chirografario del ricorrente in sede di riparto. In conclusione il danno subito dal ricorrente va determinato, come sopra detto, in Euro 221.703.05 (= Euro 182.000,00 + Euro 39.703,05) che, devalutati al 20.10.2009 (in Euro 187.724,85) e rivalutati di anno in anno con aggiunta degli interessi compensativi al tasso legale sino al momento della decisione, determinano un totale di capitale rivalutato ed interessi pari ad Euro 244.439,50 (=Euro 187.724,85 per capitale + Euro 33.978,20 per rivalutazione + Euro 22.736,45 per interessi). Il credito restitutorio accertato in capo al fallimento ammonta, sulla base della domanda ed alla luce di quanto allegato e provato in giudizio, ad Euro 124.730,66, oltre interessi legali dal 4.8.2020 al soddisfo. Al momento della presente decisione il credito ammonta a complessivi Euro 125.020,61. Va precisato che il saggio di interesse previsto dall'art. 1284 co. 4 c.c. non è dovuto perché inapplicabile qualora, come nel caso di specie, le obbligazioni derivino da illecito, non essendo ipotizzabile neppure in astratto un accordo delle parti nella determinazione del saggio la cui mancanza costituisce presupposto indefettibile di operatività della disposizione, e perché ai sensi dell'art. 1 del D.Lgs. n. 231 del 2002 le disposizioni del decreto non si applicano per a) debiti oggetto di procedure concorsuali aperte a carico del debitore e per b) pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno. Quanto al governo delle spese del presente procedimento, si ritiene che la reciproca soccombenza delle parti conduca alla loro integrale compensazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa, così provvede: - dichiara la responsabilità del Fallimento nella causazione dei danni subiti dal ricorrente in seguito all'acquisto all'asta degli immobili per cui è ricorso; - per l'effetto, ammette al passivo del Fallimento (...) S.a.s. di (...) e del socio accomandatario (...) il credito risarcitorio vantato dal ricorrente in prededuzione e, nell'ambito delle prededuzioni, in chirografo, per l'importo di Euro 244.439,50 all'attualità (comprensivo di rivalutazione ed interessi), oltre interessi dalla sentenza al saldo; - accerta che il ricorrente ha diritto di ottenere nei successivi riparti anche le quote che eventualmente gli sarebbero spettate, quale creditore prededucibile chirografario, nelle precedenti ripartizioni ex art. 112 l.f. nel senso che nel primo riparto cui partecipi dopo l'ammissione va effettuata una preventiva ed autonoma assegnazione della quota eventualmente assegnata ai creditori di pari grado e rango nei riparti precedenti all'insinuazione tardiva, e poi va inserito, per la parte residua, nel riparto in corso nel grado di competenza; - dichiara la nullità dell'ordinanza datata 3.07.2011 resa dal giudice dell'esecuzione del Tribunale di Sanremo nel procedimento di attuazione del sequestro conservativo presso terzi n. 483/2011 Rge mob., per le ragioni esposte in motivazione; - condanna il Sig. (...) a restituire alla curatela la somma di Euro 124.730,66 oltre interessi dal 4.8.2020 al saldo; - compensa integralmente le spese del presente giudizio. Manda al Curatore per la variazione dello stato passivo. Così deciso in Imperia il 3 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI IMPERIA il TRIBUNALE di Imperia in composizione monocratica, in persona del dott. Pasquale LONGARINI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.2393/2015 RG del Tribunale di Imperia promossa da (...) (CF: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ar.Ar. presso il cui studio in Sanremo alla via (...) è eletto domicilio - attore - contro (...) (CF: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. An.AR. presso il cui studio in Sanremo alla via (...) è eletto domicilio - convenuto - RAGIONI DELLA DECISIONE (1) abstract (...), con atto di citazione ritualmente notificato, premesso di essere stato vittima di numerosi e protratti episodi di violenza commessi in suo danno da (...) marito di seconde nozze della madre (...) durante il periodo in cui questo aveva convissuto con lui e con le quattro sorelle, in relazione ai quali il (...) veniva definitivamente condannato in sede penale dalla Corte di Appello di Genova con sentenza n. 3802 del 15.12.2011 in ordine al reato di maltrattamento continuato contro familiari e conviventi (artt. 81 cpv, 572 c.p.) e al reato di estorsione continuata (artt. 81 cpv., 629 c.p.) nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, con provvisionale di euro 5.000,00, da determinarsi nel loro esatto ammontare in sede civile, dedotto gravi danni morali per essere stato costretto a vivere un'infanzia di privazioni e vessazioni che avevano influenzato in negativo la propria vita di relazione, evocava in giudizio (...) per sentirlo condannare al risarcimento in suo favore di tutti i danni, patiti e patiendi, quantificati nella misura di euro 30.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, con vittoria di spese ed onorari di causa. 1.1) Si costituiva in giudizio (...) che, premesso di aver interamente scontato la pena inflittagli dalla Corte di Appello di Genova e di versare in stato di indigenza, osservato che il giudicato penale aveva efficacia nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno promosso dalla persona offesa/danneggiata dal reato ivi costituita parte civile solamente quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso e dunque all'accertamento dei fatti materiali oggetto dell'imputazione, allegato di essere stato assolto dal Tribunale di Imperia con sentenza n.878/15 resa nel RGNR 1308/14 promosso a seguito di querele sporte dalla moglie e dal (...) in ordine al reato di minaccia, contestata nell'an e nel quantum la pretesa risarcitoria di parte attrice, instava, in via principale, per il rigetto della domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto, in via subordinata, per la condanna a minor somma ritenuta di giustizia anche in ragione del proprio stato di indigenza, con vittoria di spese e compensi. 1.2) Assunta la prova dichiarativa (testi: (...), mamma dell'attore), licenziata CTU medicolegale/psicologica sulla persona di (...) ("esaminatigli atti e i documenti medici, descriva il CTU, previa acquisizione della documentazione medica: a)i danni patiti dal sig. (...) e le ripercussioni psicologiche che su lo stesso, sulla sua crescita e sulla vita di relazione hanno avuto i comportamenti posti in essere da parte del sig. (...), in relazione ai fatti per il cui il convenuto è stato condannato con sentenza della Corte di Appello di Genova n. 380/2012, e descritti negli atti di parte attrice: precisi il CTU: a)le ripercussioni psicologiche che i comportamenti reiterati del signor (...) hanno cagionato in relazione all'infanzia del signor (...)"), convocato il CTU per chiarimenti forniti per iscritto con nota integrativa del 15.07.2020 ("Sulla base della documentazione medica esibita e del racconto anamnestico si può ritenere che il signor (...), per quanto riferito, abbia patito nei trascorsi adolescenziali di stati ansiosi reattivi a seguito di riferiti comportamenti posti in essere da parte del compagno della madre con ripercussioni nella vita di relazione e della propria autonomia con difficoltà di concentrazione, con calo del rendimento scolastico per l'ansia con somatizzazioni dovute ai maltrattamenti(riferiti)subiti. Al colloquio la rievocazione dei fatti accaduti, anche se ad oggi il periziando si presenta tranquillo, evocano allo stesso"senso di angoscia"configurabile, per quanto può concernere una valutazione del danno permanente in una "Sindrome post traumatica da stress" valutabile percentualmente nella misura del 10% della validità biologica del soggetto"), la causa veniva assunta a decisione nell'udienza del 7.1.2022 sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate e con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. (2) sul merito della domanda. La domanda attorea è fondata e, pertanto, va accolta. 2.1) La richiesta risarcitoria trae fondamento dalla sentenza GIP Tribunale di Sanremo n. 44/11 del 31/03/2011, confermata dalla sentenza di Corte d'Appello di Genova n. 3802 del 15/12/2012, con la quale (...) veniva giudicato colpevole dei reati di maltrattamenti familiari e estorsione con conseguente condanna al risarcimento dei danni patiti dalla parti civili, con riferimento all'intero protrarsi dell'azione delittuosa, con provvisionale di euro 5.000,00, da determinarsi nel loro esatto ammontare in sede civile. 2.2) Secondo il fermo orientamento del giudice di legittimità, in tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento civile: (i) per l'esistenza del diritto al risarcimento del danno può non bastare la condanna penale, in quanto non tutti i reati producono un danno; (ii) la sentenza penale non può essere rimessa in discussione, nel relativo giudizio civile o amministrativo, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, la sua illiceità penale e la sua commissione da parte del condannato; (iii) tuttavia, quando si afferma che l'esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell'accertamento del "fatto-reato", il riferimento, sulla base delle regole di diritto civile, è al danno evento, ma non anche al danno conseguenza, per il quale l'indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli, ex art. 1223 c.c.; (iv) in relazione all'accertamento del danno conseguenza, sotto il profilo dell'esistenza del nesso di causalità, dell'esistenza e della quantificazione del danno, all'esito del giudicato penale, resta quindi ferma la competenza del giudice civile anche con riferimento all'ipotesi del reato cosiddetto di danno (cass. UU, n. 4549/2010). 2.3.1) Pertanto, la sentenza del giudice penale che, accertando l'esistenza del reato, abbia altresì pronunciato condanna definitiva dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, demandandone la liquidazione ad un successivo e separato giudizio, spiega, in sede civile, effetto vincolante in ordine alla "declaratoria iuris" di generica condanna al risarcimento ed alle restituzioni, ferma restando la necessità dell'accertamento, in sede civile, della esistenza e della entità delle conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto individuato come "potenzialmente" dannoso e del nesso di derivazione causale tra questo e i pregiudizi lamentati dai danneggiati (cass, ordinanza n. 8477/2020; cass. n. 5660/2018; cass. n. 4318/2019). 2.4) Tanto premesso, i fatti emersi in sede penale hanno trovato riscontro anche nel presente procedimento civile in sede testimoniale, atteso che la teste (...), madre di (...), confermava che quest'ultimo, nel periodo di convivenza col (...) e per ben 25 anni, aveva subito durante l'infanzia e l'adolescenza un peggioramento della vita di relazione a causa di privazioni dal punto di vista affettivo/relazionale, essendogli impedito di intrattenere rapporti di amicizia con coetanei, di svolgere attività ludico -sportive, al contempo subendo vessazioni e minacce che gli procuravano stati ansia e paura, dovendo altresì assistere ad episodi di continui litigi con aggressioni fisiche e verbali alla madre, situazioni di panico per continue minacce di morte, vissute insieme alle di lui sorelle, oltre a gravi danni economici per essere stato costretto dal (...) a consegnargli i risparmi ricevuti dal proprio defunto padre e il denaro che la madre gli consegnava per l'acquisto della merenda. 2.5) Lo stato di profondo disagio psico-fisico vissuto dalla parte attrice ad opera del convenuto ha trovato altresì conferma nella espletata CTU laddove l'ausiliario del giudice, dopo aver affermato nell'elaborato del 11.12.2019 che "sulla base di quanto esposto e dalla documentazione medica esibita si può ritenere che il signor (...), per quanto riferito, abbia patito nei trascorsi adolescenziali di stati ansiosi reattivo a seguito di riferiti comportamenti posti in essere da parte del compagno della madre con ripercussioni nella vita di relazione e della propria autonomia con difficoltà di concentrazione, con calo del rendimento scolastico per l'ansia con somatizzazioni dovute ai maltrattamenti (riferiti) subiti. Ad oggi, dopo l'allontanamento del compagno della madre il periziando si presenta tranquillo e non manifesta più segni d'ansia sia libera che somatizzata", in sede di chiarimenti scritti meglio circostanziava che ("Sulla base della documentazione medica esibita e del racconto anamnestico si può ritenere che il signor (...), per quanto riferito, abbia patito nei trascorsi adolescenziali di stati ansiosi reattivi a seguito di riferiti comportamenti posti in essere da parte del compagno della madre con ripercussioni nella vita di relazione e della propria autonomia con difficoltà di concentrazione, con calo del rendimento scolastico per l'ansia con somatizzazioni dovute ai maltrattamenti (riferiti) subiti. Al colloquio la rievocazione dei fatti accaduti, anche se ad oggi il periziando si presenta tranquillo, evocano allo stesso "senso di angoscia" configurabile, per quanto può concernere una valutazione del danno permanente in una "Sindrome post traumatica da stress" valutabile percentualmente nella misura del 10 % della validità biologica del soggetto" 2.6) Per tutto quanto sopra esposto, essendo le condotte vessatorie svolte dal convenuto nei confronti del (...), interpretate in proiezione della grave esperienza vissuta, realmente sorrette dalla volontà del (...) di produrre nel suo animo un perdurante stato d'ansia, di paura o di timore per la incolumità propria e della madre e delle sorelle, essendo stato provato il nesso di causa tra le predette manifestazioni invasive del convenuto e lo stato d'ansia e la compromissione della vita di relazione lamentati dal (...), la domanda di parte attrice merita il pieno accoglimento, dovendosi conseguentemente procedersi alla quantificazione del danno individuato dal CTU nell'elaborato peritale, dai cui esiti non può prescindersi. 2.7) Il danno biologico viene liquidato attraverso il cd. "punto tabellare", basato su un criterio progressivo in relazione alla gravità della menomazione ed uno regressivo in relazione all'età del danneggiato, utilizzando all'uopo le tabelle elaborate nel 2009 dal Tribunale di Milano e aggiornate nell'anno 2021, le quali tengono conto che la lesione all'integrità psicofisica implica altresì una naturale sofferenza che, pur non potendo essere configurata come autonomo danno di natura morale, deve ottenere adeguato ristoro. 2.7.1) L'adozione dei criteri milanesi non vale ad escludere la possibilità di personalizzare il trattamento liquidatorio sulla base, però, delle allegazioni delle parti e delle prove raggiunte, con esclusione di ogni tipo di automatismo essendo giuridicamente erronea l'affermazione "secondo cui la misura standard del risarcimento del danno biologico debba essere aumentata sempre e comunque, per il sol fatto che l'invalidità causata dalle lesioni sia di grado elevato" (cass. n.21939/2017; cass. n.20630/2016; cass. n. 16788/2015). Infatti, l'ammontare non patrimoniale, quantificato attraverso i meccanismi tabellari in uso presso i Tribunali, è destinato alla riparazione delle conseguenze dannose ordinarie, ossia ai pregiudizi che qualunque vittima con lesioni analoghe normalmente subirebbe. Invece, la personalizzazione del danno non patrimoniale è finalizzata a sopperire a specifiche circostanze di fatto "peculiari" al solo caso in esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e risarcite tramite la liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assolta dai meccanismi tabellari, da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nel caso concreto (cass. n. 21939/2017). Conseguentemente, è preciso onere del preteso danneggiato evidenziare, valorizzare e dimostrare specifiche circostanze personalizzanti che non possono astrattamente riferirsi a qualunque altro soggetto che fosse ordinariamente incorso nelle medesime conseguenze lesive. Nel caso di specie, parte ricorrente non ha provato elementi personalizzanti tali da giustificare l' aumento personalizzato. 2.7.2) Quanto al danno biologico permanente, il CTU ha concluso stimandolo nella misura del 10%. Per tale titolo, tenuto conto dell'incremento per sofferenza soggettiva, va allora liquidata la somma di euro 26.197,00 tenuto conto dell'età di 16 anni del danneggiato al momento dell'inizio dei fatti vessatori (gennaio 2000) protrattisi per oltre 10 anni e cessati nell'ottobre del 2010. 2.8) Così, in definitiva, va complessivamente liquidata in favore di (...) per i titoli discussi la somma di euro 26.197,00. 2.8.1) Quello del risarcimento del danno per equivalente, consistente nella dazione di una somma di danaro in misura tale da compensarlo del pregiudizio sofferto, costituisce tipico debito di valore (cass. n.12288/2016), è oggetto di un'obbligazione di valore, cioè di un debito che fin dal momento in cui sorge è per sua natura non quantificabile né monetizzabile con criteri oggettivi. Scopo dell'obbligazione risarcitoria è quello di reintegrare la perdita arrecata al patrimonio del danneggiato, consentendo di pervenire ad una condizione patrimoniale analoga a quella che vi sarebbe stata se il danno non si fosse verificato. Qualora il danno consista nella perdita di un bene suscettibile di valutazione economica, il ripristino di tale condizione avverrà surrogando la perdita con un importo monetario pari al controvalore del bene perso. Controvalore che dev'essere espresso non avendo riguardo al momento in cui si è verificato il danno ma a quello in cui avviene la liquidazione, con la conseguenza che qualora questa non avvenga con valori monetari correnti sarà necessario attualizzare il valore che il bene aveva all'epoca del danno (cass. n. 15856/2019; cass. n.21764/19; cass. n.9631/2005; cass. n.3125/1990; cass. n. 2830/1986). La rivalutazione del credito risarcitorio, tuttavia, non è il solo passaggio in cui si articola l'operazione di liquidazione del danno. Qualora la liquidazione avvenga a distanza di tempo dal sinistro, al danneggiato, oltre al capitale rivalutato, può spettare infatti anche un ulteriore risarcimento: quello per l'ulteriore pregiudizio subito a causa del ritardato pagamento del credito. Sul punto la giurisprudenza ha precisato che tale ritardo nell'adempimento causa al creditore un danno ulteriore e diverso rispetto a quello primario, identificabile nell'impossibilità di investire la somma dovutagli e di ricavarne un lucro ulteriore. In difetto di specifici criteri la liquidazione di tale voce di danno avverrà necessariamente in via equitativa, anche se la forma più diffusa è indubbiamente il ricorso ad un tasso d'interesse. Il giudice chiamato ad operare in concreto tale liquidazione, procederà di regola in base a tre parametri: periodicità, saggio e base di calcolo, i cui criteri di individuazione sono stati stabiliti dalla stessa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995, ove si legge che: la periodicità è sempre annuale; il saggio è determinato in via equitativa dal giudice in base alle circostanze concrete, dando particolare rilevo all'entità del capitale (in rapporto di proporzionalità diretta tra importo del credito e lucro finanziario perso dal creditore); la base di calcolo può essere determinata o applicando il saggio sul capitale dell'anno in corso, previa devalutazione, per ogni anno di mora, oppure su un valore medio. 2.8.2) Tanto premesso, la liquidazione dell'obbligazione "di valore" va effettuata, secondo la giurisprudenza prevalente, attraverso una triplice operazione (cass. n.11899/16; cass. n.9950/2017): (a) la quantificazione in termini monetari del valore che la prestazione oggetto dell'obbligazione aveva all'epoca in cui è sorta l'obbligazione stessa (cd. estimatio); (b) la successiva rivalutazione di detto importo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione (cass. n.13225/2016), attraverso l'applicazione degli indici ISTAT di variazione del costo della vita (cd. taxatio); (c) la liquidazione dell'ulteriore danno da ritardo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione, nell'ottenimento della prestazione: cd interessi compensativi. Questi ultimi, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della prestazione via via rivalutata (cass. UU, n.1712/1995). Va, dunque, altresì, riconosciuto il danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario che, in difetto di diversi elementi probatori, si ritiene di compensare adottando quale parametro quello degli interessi legali da calcolarsi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n.1712/95), sulla somma via via rivalutata dalla produzione dell'evento di danno sino ad oggi, tempo della liquidazione. Così, tenuto conto di questo criterio, previa devalutazione alla data del fatto (01.01.2000) della somma espressa in moneta attuale, vanno aggiunti alla somma via rivalutata annualmente gli interessi compensativi nella misura legale fino alla data odierna. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma sopra liquidata complessivamente. (3) sulle spese di causa. Principio cardine che regola la materia relativa alle spese processuali è il criterio della soccombenza, sancito dall'art. 91 c.p.c., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (cass. n. 25111/2006). Al criterio della soccombenza può derogarsi, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., in caso di reciproca soccombenza, ovvero, "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 77/2018) è stato dichiarato incostituzionale il comma 2 dell'art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la compensazione anche laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate nella motivazione. Ne consegue che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore devono ritenersi paradigmatiche svolgendo "in sostanza una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale". 3.1) Pertanto, in ragione della soccombenza, (...) deve essere dichiarato tenuto e condannato a rimborsare in favore dello Stato, in quanto (...) è stato ammesso al gratuito patrocinio, le spese di lite del presente giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal (...) dell'8.3.2018. Tenuto conto del valore e della natura della controversia nonché dell'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate, i compensi vengono liquidati, sulla base dell'art. 5, co. 6, D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da euro 26.00,01 ad euro 52.000,00: per la fase di studio, Euro 1.620,00 per la fase introduttiva, Euro 1.147,00 per la fase istruttoria/trattazione, Euro 1.720,00 per la fase decisionale, Euro 2.767,00 per un compenso complessivo pari ad Euro 4.171,05, di cui Euro 3.627,00 per compenso tabellare al netto della riduzione del 50% ex art. 130 D.P.R. n. 115 del 2002 ed euro 544,05 per spese generali al 15%, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge. (4) sulle spese della ctu. Le spese della CTU vanno direttamente anticipate dallo Stato in ragione della circostanza che la parte soccombente è stata ammessa al gratuito patrocinio. P.Q.M. Il TRIBUNALE di IMPERIA, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando: 1) accoglie la domanda attorea, e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento in favore di (...) della somma di euro 26.197,00 oltre interessi al tasso legale annuo da applicarsi sulla predetta somma, devalutata al 01.01.2000 e di anno in anno rivalutata sino alla data della presente decisione e oltre interessi legali dalla decisione all'effettivo soddisfo, per il titolo di cui in motivazione 2) condanna (...) al pagamento in favore dello Stato delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.171,05, di cui Euro 3.627,00 per compenso tabellare al netto della riduzione del 50% ex art. 130 D.P.R. n. 115 del 2002 ed euro 544,05 per spese generali al 15%, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 3) le spese di CTU vanno direttamente anticipate dallo Stato 4) visto l'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante rete di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati. Così deciso in Imperia il 29 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 30 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Imperia, dott. Fabio Favalli, in funzione di Giudice di I grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 45/2018 del ruolo generale degli affari contenziosi Civili del Tribunale di Imperia TRA Comune di Ventimiglia, rapp.to e difeso dall'Avv. ... Attore in opposizione Contro E.A. Cooperativa Sociale Onlus, rapp.ta e difesa dall'Avv. ... Convenuta in opposizione Oggetto Opposizione a decreto ingiuntivo. Contratto d'appalto di servizi Svolgimento del processo - Motivi della decisione Preliminarmente, così rettificandosi le considerazioni illustrate nell'ordinanza del 16-5-2018, deve rilevarsi l'inammissibilità della domanda riconvenzionale avanzata ai sensi dell'art. 2041 c.c. da EDA. Invero l'art. 183 comma 5, 1 pt., stabilisce che "Nella stessa udienza l'attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto". Nel caso di specie la pretesa in questione, spiegata in via riconvenzionale alternativa, è stata invece espressamente e formalmente proposta per la prima volta nella 1 memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. (in comparsa di costituzione v'è soltanto un fugace cenno all'arricchimento procurato alla p.a.) e dunque tardivamente, atteso che la memoria in questione è deputata soltanto a precisare le domande ed eccezioni originarie oppure sollevare eccezioni nuove. Va poi preso poi atto che, come riconosciuto da parte opposta medesima, prima dell'instaurazione del presente giudizio il Comune di Ventimiglia ha provveduto a saldare le fatture n. (...), (...) del 2016 nonché le n. (...), (...), (...), (...) poste dalla controparte a fondamento del ricorso monitorio. L'unico punto di divergenza tra le parti verte sull'effettivo importo corrisposto, atteso che l'opponente afferma d'aver erogato la somma Euro 61.215,00, mentre EDA asserisce d'aver ricevuto il minore importo di Euro 60.710,00, il quale, in effetti, coincide pienamente con quello totale portato nelle fatture. Comunque sia, la questione è irrilevante poiché l'effettivo oggetto della controversia inerisce esclusivamente al pagamento delle prestazioni di cui alle ulteriori fatture n., (...), (...), (...), (...), (...), per complessivi Euro 27.090,00. A dire dell'ente tale ammontare non spetterebbe poiché maturato per l'attività d'accoglienza/permanenza nelle strutture della cooperativa di soggetti extracomunitari maggiorenni, giunti in Italia come tali e/o che hanno compiuto i 18 anni nel corso della permanenza. S'assume infatti che secondo la legislazione vigente che i Comuni sarebbero tenuti per conto dello Stato ad accogliere e a prestare cure soltanto ai minori non accompagnati e non anche agli stranieri maggiorenni, soggiungendosi che già al 28-6-2016 il Comune di Ventimiglia aveva comunicato a E.A. (all. 3 di parte opposta) che non sarebbe stato più possibile sostenere il costo della retta dopo il compimento della maggiore età. Tali circostanze sono state oggetto d'istruttoria testimoniale, la quale, melius re perpensa, non avrebbe dovuto essere espletata in quanto irrilevante ai fini della decisione. Vale comunque la pena evidenziare che le risultanze hanno delineato un quadro del tutto contraddittorio. M.L. dipendente dal comune di Ventimiglia ha riferito che a fine giugno 2016 l'ente locale inoltrò all'odierna opponente e ad altre 2 cooperative una missiva formale, la quale fu seguita nel mese di luglio da una riunione con i responsabili delle coop allo scopo di rappresentare loro che i minori divenuti maggiorenni avrebbero dovuto essere dimessi per legge e che i fondi pubblici per l'accoglienza erano esauriti. Di tale ultima circostanza ha dato conto anche B.G., anch'egli in forza all'ente convenuto, dichiarando che al colloquio presero parte sia il referente di EPA sia una collaboratrice di questa. Di tenore diametralmente opposto è la versione riportata da F.G., F.C.C.C. e C.C. e M.M., tutti soci nonché educatori della cooperativa. In sintesi, essi hanno negato che controparte mise loro a conoscenza delle suddette problematiche già nell'anno 2016; ciò avvenne, invece, nel 2017. Parimenti, tutti i testi, in particolare i F. e il C., hanno escluso che nel 2016 le parti s'incontrarono personalmente per discutere della questione. Il thema decidendum, a ben vedere, è però un'altro. In primo luogo va rilevato che non è stato prodotto un provvedimento dirigenziale - oppure adottato dai competenti organismi comunali - d'affidamento del servizio d'accoglienza a EPA, né tantomeno consta che si svolse una gara d'appalto. Tuttavia, dalle premesse riportate nella determinazione generale n. 708 e della disposizione generale n. 726 (all. 6 e 7 di parte opponente) s'evince che la convenuta fu incaricata di ciò tramite un atto formale d'incarico/designazione (in caso contrario il contratto/convenzione sarebbe nullo), tant'è che nessuna delle parti ha sollevato questioni sul punto. Ebbene, benché non siano note le concrete condizioni della convenzione (ad es. durata della stessa), i 2 suddetti provvedimenti attestano che il Comune di Ventimiglia liquidò alla cooperativa i compensi per le prestazioni di tutela e sostegno rese soltanto in favore dei minori stranieri presenti sul territorio. In tal senso depone la ripetuta locuzione "minori stranieri non accompagnati" più volte riportata, mentre non v'è alcun riferimento a giovani maggiorenni extracomunitari eventualmente destinatari del servizio d'accoglimento e d'assistenza. Non è un caso, dunque, che la convenuta in opposizione non abbia mai sostenuto il contrario. Semmai, come è dato leggere in comparsa di costituzione e nella 1 memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., il fondamento della domanda s'incentra pressoché esclusivamente su considerazioni di natura sociale e solidaristica, affermandosi, in buona sostanza, che la cessazione del sostegno ai minori divenuti nelle more maggiorenni costituirebbe un'illecita violazione delle norme umanitarie poiché li lascerebbe "a loro stessi e in mezzo ad una strada". Si tratta, tuttavia, con ogni evidenza, d'argomentazioni di tenore generico nonché prive di spessore giuridico. Opportuno al riguardo sintetizzare il quadro normativo vigente all'epoca dei fatti di causa, quadro disciplinato inizialmente dal D.Lgs. n. 142 del 2015 e successivamente modificato dalla L. n. 47 del 2017. L'art. 19 comma 1 cpv. del D. Lgs dispone(va) che "Per le esigenze di soccorso e di protezione immediata, i minori non accompagnati sono accolti in strutture governative di prima accoglienza a loro destinate, istituite con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del D.Lgs. 27 agosto 1997, n. 281, per il tempo strettamente necessario, comunque non superiore a trenta giorni, all'identificazione, che si deve concludere entro dieci giorni, e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere, con modalità adeguate alla loro età, ogni informazione sui diritti riconosciuti al minore e sulle modalità di esercizio di tali diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale. Le strutture di prima accoglienza sono attivate dal Ministero dell'interno, in accordo con l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura, e gestite dal Ministero dell'interno anche in convenzione con gli enti locali. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per i profili finanziari, sono fissati le modalità di accoglienza, gli standard strutturali, in coerenza con la normativa regionale, e i servizi da erogare, in modo da assicurare un'accoglienza adeguata alla minore età, nel rispetto dei diritti fondamentali del minore e dei principi di cui all'articolo 18...." Così il comma 3: "In caso di temporanea indisponibilità nelle strutture di cui ai commi 1 e 2, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dalla pubblica autorità del Comune in cui il minore si trova, fatta salva la possibilità di trasferimento del minore in un altro comune, secondo gli indirizzi fissati dal Tavolo di coordinamento di cui all'articolo 16, tenendo in considerazione prioritariamente il superiore interesse del minore. I Comuni che assicurano l'attività di accoglienza ai sensi del presente comma accedono ai contributi disposti dal Ministero dell'interno a valere sul Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di cui all'articolo 1, comma 181, della L. 23 dicembre 2014, n. 190, nel limite delle risorse del medesimo Fondo e comunque senza alcuna spesa o onere a carico del Comune interessato all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati." A seguito dell'introduzione della L. n. 47 del 2017 ("Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati"), l'assetto normativo è il seguente: Il minore straniero non accompagnato che abbia raggiunto la maggiore età aveva (e ha diritto) a continuare a beneficiare del programma di accoglienza/protezione soltanto se: - sia stato inserito nello SPAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati" poi divenuto SIPROIMI, "Sistema di Protezione per Titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) ai sensi della L. n. 47 del 2017" - ove sia così, egli ha diritto di continuare ad usufruire dell'accoglienza e dell'assistenza sino 6 mesi dopo il compimento dei 18 anni (Decreto del Ministero dell'Interno 10.8.2016, art. 36, co. 2.8). - successivamente, egli può continuare a beneficiare del progetto SPAR/SIPROIMI soltanto nei casi in cui: sia richiedente asilo in attesa della decisione della Commissione Territoriale; titolare dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria o umanitaria; titolare di permesso di soggiorno per ragioni speciali (studio/lavoro/attesa occupazione o affidamento); se al compimento dei 18 anni è stato disposto il prosieguo amministrativo in suo favore dal Tribunale per i Minorenni (D.M. 10 agosto 2016, art. 36, co. 2., art. 13 L. n. 47 del 2017); - i neomaggiorenni che invece durante la minore età sono stati accolti in comunità educative o altre strutture per minori gestite dai Comuni al di fuori dello SPAR/SIPROIMI, in centri FAMI di prima accoglienza o in CAS per minori, hanno diritto di restare nella struttura per minori solo fino al compimento dei 18 anni. Ebbene, come già rilevato, dalle rispettive allegazioni - e in particolare di quelle della convenuta -nonché dalla documentazione prodotta dalle parti non risulta affatto, deponendo semmai il complesso degli elementi in senso contrario, che l'accordo concluso tra le parti contemplava che EPA avrebbe svolto attività d'accoglienza, di tutela e d'integrazione anche in favore di stranieri maggiorenni in possesso dei succitati requisiti. Inoltre, e ancor prima di ciò, non è dato sapere se costoro avevano titolo per continuare ad usufruire del sistema d'accoglienza. Se così è, deve concludersi che EPA ha reso alcune prestazioni non commissionatele, le quali, pertanto, esulano dall'oggetto dell'affidamento/convenzione. Ne consegue che nessuna remunerazione può esserle riconosciuta dall'ente locale. Questo ha, a propria volta, proposto domanda riconvenzionale volta ad ottenere il rimborso dell'importo di Euro 25.137,00 che sarebbe stato indebitamente corrisposta a controparte. Le ragioni, esposte alle pag. 6-7 della comparsa di costituzione, sono principalmente le stesse sulle quali s'incentra l'opposizione ossia sull'aver EPA ospitato presso la propria struttura alcuni soggetti già maggiorenni e altri divenuti tali nel corso della permanenza. Di ciò, tuttavia, non è stata fornita alcuna prova, non avendo l'opponente né prodotto documentazione attestante l'età degli ospiti, il tempo in cui costoro fecero ingresso sul territorio nazionale, l'epoca in cui furono ricoverati nella struttura, ecc., né tantomeno formulato apposite istanze istruttorie sul punto, dovendosi soggiungere che in relazione alla maggior parte delle fatture che s'assume essere state erroneamente pagate (n. 80, 90, 123, 124, 136, 172) il Comune di Ventimiglia non ha neppure indicato le generalità dei soggetti che avrebbero usufruito dell'accoglienza. La domanda va pertanto respinta. Considerato: che il ricorso monitorio risulta fondato nella misura di circa 60.000,00 rispetto alla somma di Euro 87.800,00 richiesta; che l'opponente ha corrisposto tale importo subito dopo la notificazione del decreto ingiuntivo; che le domande riconvenzionali avanzate dalle parti sono risultate rispettivamente inammissibili e infondate unitamente all'entità della somma chiesto in restituzione dal Comune di Imperia, si ritiene equo compensare integralmente le spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta dal Comune di Ventimiglia nei confronti del decreto ingiuntivo n. 520/2017 emesso dal Tribunale di Imperia in favore di E.A. Cooperativa Sociale Onlus, così provvede: Revoca il decreto ingiuntivo opposto. Dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata da E.A. Cooperativa Sociale Onlus. Rigetta la domanda riconvenzionale spiegata dal Comune di Ventimiglia. Compensa integralmente le spese di lite. Conclusione Così deciso in Imperia, il 22 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI IMPERIA Il TRIBUNALE di Imperia in composizione monocratica, in persona del dott. Pasquale LONGARINI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.199/2019 RG del Tribunale di Imperia promossa da 1) CONDOMINIO (...) (PI: (...)), in persona dell'amministratore pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. An.GR. presso il cui studio in Bergamo al viale (...) è eletto domicilio 2) (...) (CF: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. An.GR. presso il cui studio in Bergamo al viale (...) è eletto domicilio 3) (...) (CF: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. An.GR. presso il cui studio in Bergamo al viale (...) è eletto domicilio -attori - contro (...) Srl (PI: (...)), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Pe. presso il cui studio in Cremona alla via (...) è eletto domicilio - convenuta - RAGIONI DELLA DECISIONE 1. abstract Il Condominio (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, ed i condomini (...) e (...), con atto di citazione ritualmente notificato, premesso di aver affidato alla (...) SrL i lavori di impermeabilizzazione della copertura dell'immobile condominiale di via P. G. n.19 di (...) per i quali il condominio versava la somma complessiva di Euro 15.433,35, dedotta l'erronea soluzione tecnica adottata e l'erronea esecuzione materiale dei lavori, lamentati danni patrimoniali alle parti comuni e danni alle unità immobiliari site all'ultimo piano, evocavano in giudizio la società (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, per sentirla condannare, in via principale, previa risoluzione del contratto di appalto ex art. 1668 c.c. per grave inadempimento contrattuale ex artt. 1218 c.c. e 1667 c.c. non avendo correttamente eseguito la prestazione oggetto del contratto, (i) alla restituzione in favore del Condominio della somma corrisposta per i lavori pari ad Euro 15.433,35 e della somma di Euro 9.615,21 a titolo di danno patrimoniale per i danni alle parti comuni/costi rimozione e smaltimento nonché alla restituzione in favore dei condomini (...) e (...) della somma di Euro 836,00 a titolo di danno patrimoniale per il rispristino degli appartamenti di loro proprietà, in via subordinata, previo accertamento della responsabilità contrattuale ex artt. 1667/2018 c.c. e previa proporzionale riduzione del prezzo, (ii) alla restituzione ex art. 1668 c.c. a favore del Condominio di parte dell'importo versato in ragione del contratto di appalto in ragione del grado di responsabilità e della e della somma di Euro 9.615,21 a titolo di danno patrimoniale per i danni alle parti comuni/costi rimozione e smaltimento nonché alla restituzione in favore dei condomini (...) e (...) della somma di Euro 836,00 a titolo di danno patrimoniale per il rispristino degli appartamenti di loro proprietà, in via di ulteriore subordine, previo accertamento della responsabilità contrattuale ex art. 1669 c.c. in ragione dei gravi difetti dell'opera, (iii) al pagamento a favore del Condominio della somma di Euro 9.615,21 a titolo di danno patrimoniale per i danni alle parti comuni/costi rimozione e smaltimento nonché alla restituzione in favore dei condomini (...) e (...) della somma di Euro 836,00 a titolo di danno patrimoniale per il rispristino degli appartamenti di loro proprietà, con vittoria di spese, diritti e compensi di lite. 1.1) Si costituiva in giudizio la società appaltatrice (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, che, premesso di essere stata incaricata della sola impermeabilizzazione della copertura dell'immobile condominiale e non anche del rifacimento del lastrico solare, dedotto di aver eseguito correttamente i lavori come da proposta commerciale sotto la supervisione di un direttore che mai ha mosso alcuna contestazione, allegato che il committente aveva accettato l'opera, invocata la dinamica dei fatti contenta nella espletata CTU in ATP, instava per il rigetto delle domande attoree in quanto infondate in fatto ed in diritto, con vittoria di spese e competenze professionali. 1.2) Integrato il contraddittorio, acquisiti gli atti del giudizio di ATP n. 736/2017, licenziata CTU volta ad accertare "le cause dello scoperchiamento della copertura del Condominio (...) e se esse siano riconducibili ad errori, omissioni e comunque mancanza di diligenza e perizia nell'esecuzione dell'opera di impermeabilizzazione della copertura da parte di (...) srl; .... quali sono i lavori necessari per l'eliminazione dei riscontrati vizi, difetti e danni, quantificandone i costi ...", disposta un'integrazione della CTU, respinta l'istanza di rinnovazione della CTU (" in tema di rinnovazione di CTU va rilevato che rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il CTU sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in toto, le indagini, sostituendo l'ausiliario del giudice ...... Ciò quando i risultati della perizia risultino insoddisfacenti o idonei al raggiungimento dello scopo per cui era stata ordinata l'indagine del CTU, oppure quando la consulenza sia affetta da vizi di forma tali da aver comportato la lesione del diritto si difesa di una delle parti. Questioni meramente relative alla chiarezza della relazione, invece, possono essere risolte dal giudice con una semplice richiesta di chiarimenti. Nella fattispecie, in assenza di vizi di forma tali da aver comportato la lesione del diritto di difesa di parte convenuta ed avendo il CTU fornito adeguate, logiche e convincenti risposte ai quesiti posti, attraverso un percorso tecnico e logico immune da vizi, non ricorre l'opportunità di disporre la rinnovazione delle operazioni peritali"), la causa veniva assunta a decisione nell'udienza del 21.09.2021 sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate e con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2. Sul contratto di appalto. L'art. 1655 c.c. definisce l'appalto come il contratto con il quale una parte, ossia l'appaltatore, assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio, commissionatogli dall'appaltante o committente, verso un corrispettivo in danaro. È un contratto ad esecuzione prolungata ove l'interesse del committente trova soddisfazione al momento della produzione dell'effetto traslativo, nonostante l'esecuzione sia dilatata nel tempo e la durata della prestazione dell'appaltatore sia determinata in funzione dell'opus dovuto, avendo inizio con la consegna dei lavori e terminando con l'ultimazione di questi e, quindi, con il passaggio della proprietà in capo all'appaltante. Si tratta di un contratto tipicamente oneroso atteso che, come previsto dall'art. 1655c.c., il compimento dell'opera o del servizio avviene verso un corrispettivo in danaro, nonché di un contratto a prestazioni corrispettive ed essenzialmente obbligatorio, facendo nascere in capo ad entrambe le parti l'obbligo di eseguire una prestazione. 2.1) Connotazione del contratto di appalto, oltre la non aleatorietà data dal fatto che il rischio della gestione che l'appaltatore assume su di sé rientra pur sempre nell'alea normale del contratto, essenziale ai fini della riconducibilità al tipo, è, infine, l'autonomia dell'appaltatore, "dominus nell'organizzare e regolare lo svolgimento del lavoro nell'ambito delle finalità previste dal contratto ed al fine di conseguirle" (cass. n.3050/92), senza che in generale sia ammessa un'ingerenza del committente. Trattasi di un carattere strettamente connesso all'assunzione del rischio in capo all'appaltatore che esclude ogni rapporto istitutorio fra committente ed appaltatore, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2049 c.c. (cass. n.1234/2016). È tuttavia possibile che le parti convengano di riservare al committente il potere di ingerirsi nella direzione dei lavori. In tal caso, lungi dal venir meno il requisito dell'autonomia, si assiste semplicemente ad una compressione della stessa, con la conseguenza che l'appaltatore sarà comunque tenuto ad attenersi alle regole dell'arte (cass. n. 1154/2002; cass. n. 3932/2008), dovendo segnalare eventualmente la contrarietà a tali regole delle prescrizioni impartitegli (cass. n. 8813/2003). In particolar modo, l'appaltatore, "anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell'arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente. Ne consegue che la responsabilità dell'appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili aderrori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto" (cass. n. 8813/2003; cass n. 7515/2005). 2.1.1) L'autonomia dell'appaltatore, esclusa solo allorché sia ridotto a nudus minister dovendo eseguire la prestazione sotto la diretta e penetrante direzione del committente, non è neppure esclusa dalla presenza di un direttore dei lavori, che è un rappresentante del committente limitatamente alla materia tecnica (cass. n. 7370/2015). All'uopo, La Corte di Cassazione ha ribadito che qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni (cass. n. 18521/2016), essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse. 2.1.2) Invero, l'art. 1669 c.c., in materia di rovina e difetti di cose immobili, dispone che "l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa". La giurisprudenza prevalente ha tuttavia ritenuto che la (...) di cui all'art. 1669 c.c. configuri una responsabilità extracontrattuale, di ordine pubblico, sancita per ragioni e finalità di pubblico interesse, e di conseguenza l'art. 1669 risulta applicabile anche quando manchi tra danneggiante e danneggiato l'intermediazione di un contratto di appalto, e può essere invocato dal terzo, estraneo al contratto di appalto, che tuttavia abbia subito danni dalla rovina dell'immobile. Ne consegue che la norma dell'art. 1669 si estende a quanti abbiano collaborato alla costruzione, sia nella sua fase ideativa con la redazione del progetto, sia in quella attuativa, tutte le volte che si dimostri che i vizi si siano verificati in dipendenza e a causa di errori commessi nella progettazione, ovvero nei calcoli, oppure, nel contempo, nell'una e negli altri. 2.2) La cessazione del rapporto contrattuale si ha con l'ultimazione dei lavori ed il passaggio dell'opera in proprietà del committente. All'accettazione, che costituisce negozio unilaterale recettizio con il cui il committente manifesta, anche per facta concludentia, il gradimento dell'opera, seguono molteplici effetti: oltre al diritto al pagamento del corrispettivo a favore dell'appaltatore, il passaggio del rischio per perimento o deterioramento dell'opera (art. 1673 c.c.) e l'esonero dell'appaltatore dalla garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera, ove i vizi fossero conosciuti o riconoscibili, purché, in questo ultimo caso, non taciuti in mala fede (art. 1667 c.c.). 3. sul merito della causa. Il CTU, in relazione alle cause del lamentato scoperchiamento della impermeabilizzazione, ravvisava una serie di anomalie in parte riconducibili a omissioni da parte del Condominio (...) nel far eseguire un lavoro di impermeabilizzazione senza un adeguato progetto esecutivo e di una conseguente Direzione Lavori delle opere, in parte a errori e mancanza di diligenza da parte dell'impresa posatrice che, comunque, avrebbe dovuto seguire delle verifiche di carattere generale prima di eseguire la posa della poliurea. 3.1) Nello specifico, il CTU, dopo aver premesso che (i) "il Condominio (...), prima di far eseguire i lavori, avrebbe dovuto provvedere alla nomina di un tecnico specializzato, il quale avrebbe dovuto redigere un progetto esecutivo secondo quanto richiesto dalla norma UNI 11540. Il progetto avrebbe dovuto contenere un Capitolato dei lavori, le schede tecniche dei prodotti utilizzati, i disegni esecutivi, nonché l'elenco degli interventi manutentivi eseguiti in passato"; (ii) " in mancanza di un progetto esecutivo corredato della documentazione, l'impresa esecutrice dei lavori di impermeabilizzazione avrebbe dovuto provvedere ad una attenta analisi particolareggiata preliminare finalizzata alla ricostruzione della situazione reale preesistente, analisi che avrebbe permesso di valutare se lo stato della copertura consenta un intervento diretto o, in alternativa, richieda preparazioni adeguate, quali l'adozione di apprestamenti correttivi o compensativi anche di carattere geometrico, o la necessità di demolizioni parziali o totali"; (iii) " in generale, prima di iniziare i lavori di ripristino, in presenza di anomalie e/o patologie riscontrate, bisognerebbe capire esattamente quali siano le cause primarie e secondarie che le abbiano determinate e provvedere a eliminare sia le cause che gli effetti (anomalie e patologie). Se, per qualsiasi motivo non fosse possibile capire quali siano le cause primarie e secondarie, bisognerà pensare a una rimozione totale del sistema di copertura presente, fino al supporto strutturale di base. Queste indicazioni sono riportate nel Codice di Pratica di cui sopra quale guida indispensabile sia per quanto concerne Progettisti e Direttori dei Lavori sia per le imprese chiamate a preparare i piani di posa e realizzare le opere", evidenziava che "dall'esame della documentazione ricevuta dalle parti e in particolare di alcune foto realizzate successivamente allo scoperchiamento della copertura risultano inequivocabilmente presenti diffuse anomalie di cui non si è tenuto conto prima di eseguire l'intervento di impermeabilizzazione", all'uopo richiamando la foto n. 6 "vista del lastrico solare dopo lo scoperchiamento dell'impermeabilizzazione" , la foto n. 7 "vista del lastrico solare con nuova impermeabilizzazione"2, la foto n. 8 "vista del lastrico solare dopo lo scoperchiamento. A destra, sopra la scossalina in metallo, è ancora visibile, sulla vecchia membrana, la pellicola in plastica a dimostrazione di una cattiva posa e quindi di u sistema instabile" , foto n. 9 "vista del lastrico solare dopo lo scoperchiamento. E' ancora visibile, sulla vecchia membrana, la pellicola in plastica a dimostrazione di una cattiva posa e quindi di un sistema instabile" e foto n. 10 "vista del lastrico solare dopo lo scoperchiamento", per poi, non prima di aver risposto alle osservazioni del CTP (...) "il sottoscritto CTU rimanda alle conclusioni della presente relazione sottolineando che prima di iniziare i lavori di ripristino di una impermeabilizzazione esistente, in presenza di anomalie e/o patologie, sia necessario capire, esattamente, quali siano le cause primarie e secondarie che le hanno determinate e provvedere a eliminare sia le cause che gli effetti (anomalie e patologie). Se, per qualsiasi motivo non fosse possibile capire quali siano le cause primarie e secondarie dei difetti, bisognerà pensare a una rimozione totale del sistema di copertura presente, fino al supporto strutturale di base. Uno specialista del settore, anche in mancanza di un progetto esecutivo, non può esimersi dal compiere le indagini necessarie alla buona riuscita dell'intervento", perentoriamente concludere "Il problema in questione dimostra come la realizzazione di una impermeabilizzazione debba essere affrontata da tecnici e ditte specializzate già a partire dalla progettazione del sistema. La mancanza di una progettazione esecutiva non sgrava comunque il posatore, quale specialista del settore, dall'eseguire le analisi dei supporti preesistenti e quindi di verificare l'idoneità degli stessi a ricevere un nuovo manto impermeabilizzante. Posto che la stessa ditta posatrice ha facoltà di far redigere un progetto esecutivo, come precedentemente evidenziato, il posatore, prima di applicare un nuovo strato impermeabile, avrebbe dovuto esaminare il sistema di tenuta degli strati preesistenti verificandone la stabilità con ogni mezzo e, se impossibilitato a far ciò, optare per la rimozione totale del vecchio sistema. In mancanza di dati sufficientemente attendibili, a parere dello scrivente, uno specialista dovrebbe rifiutarsi di eseguire un lavoro se non ha la piena certezza che le norme siano rispettate. A tal proposito, si richiama quanto più volte sottolineato: prima di applicare un sistema impermeabile ad un sistema impermeabile già esistente occorrerebbe capire quali siano le patologie presenti sul sistema esistente. Inoltre, un sistema di impermeabilizzazione nuovo potrà essere posato su un sistema preesistente una sola volta: non si possono eseguire, in base al Codice di Pratica, due rifacimenti uno sull'altro. Nel caso in esame, sembra evidente che siano state poste in opera più rifacimenti. In merito ai lavori necessari per l'eliminazione dei vizi si ribadisce che al momento del sopralluogo i lavori di ripristino erano già stati eseguiti attraverso la totale rimozione degli strati impermeabili preesistenti e la messa in opera di un nuovo sistema di impermeabilizzazione". 3.2) La garanzia per le difformità e i vizi dell'opera è disciplinata dall'art. 1667 c.c., evocato dalle parti attrici, la cui operatività è peraltro limitata ai soli casi in cui l'opera sia in ogni caso compiuta e completa, come nel caso che ci occupa. Come già osservato, la garanzia non è dovuta laddove il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati taciuti in mala fede dall'appaltatore. In ragione della natura occulta dei vizi dell'opera realizzata dall'appaltatore, nella specie l'accettazione senza riserve da parte del committente non costituisce fatto impeditivo al sorgere della responsabilità dell'appaltatore. 3.2.1) Ritualmente il committente, una volta scoperti i vizi occulti, ha denunciato la mancanza di qualità che doveva inerire ai lavori di impermeabilizzazione della copertura condominiale e nei termini prescrizionali ha svolto la relativa domanda giudiziale. 3.3) Orbene, l'art. 1668 c.c., quale contenuto della garanzia per difetti dell'opera, prevede l'azione di eliminazione dei vizi, la riduzione del prezzo, il risarcimento del danno e, infine, la risoluzione del contratto, rimedi tutti attivabili anche in assenza di colpa dell'appaltatore (cass. n. 21269/2009). 3.3.1) Nella specie, la domanda di risoluzione, che può essere richiesta nel caso in cui il vizi e le difformità siano tali da rendere l'opera inadatta alla sua destinazione, in ragione del concorrente inadempimento della parte attrice, che non provvedeva alla nomina di un tecnico specializzato che avrebbe dovuto redigere un progetto esecutivo, secondo quanto richiesto dalla norma UNI 11540, contenente un Capitolato dei lavori/le schede tecniche dei prodotti utilizzati/i disegni esecutivi/ l'elenco degli interventi manutentivi eseguiti in passato, e del direttore dei lavori, che, pur dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto, non denunciava al committente i vizi nell'esecuzione dell'opera da parte dell'appaltatore e non manifestava formalmente il proprio dissenso, non può essere accolta per difetto del requisito della gravità dell'inadempimento della società appaltatrice atteso che "ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell'opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l'art. 1668 c.c. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l'art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all'art. 1455 c.c., secondo cui l'inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all'interesse del creditore" (cass. 7942/2012). 3.3.2) Va invece riconosciuta la legittimazione del Condominio (...) ad ottenere una proporzionale riduzione del prezzo a fronte della presenza di vizi nell'appalto che, in ragione dei concorrenti inadempimenti contrattuali della società appaltatrice, del Condominio (...) e del Direttore dei Lavori, va quantificata nella quota di 1/3. Pertanto la (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, va condannata a restituire al Condominio (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, la somma di Euro 5.144,45 a far data dal pagamento effettuato dal Condominio all'effettivo soddisfo. 3.3.3) Va altresì riconosciuta la legittimazione del Condominio (...) ad ottenere, in proporzione della ritenuta quota di corresponsabilità nella causazione dei vizi dell'opera, la quota di 1/3 a titolo di danno patrimoniale per i danni alle parti comuni/costi rimozione e smaltimento, complessivamente provato in Euro 9.615,21. Pertanto la (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, va condannata al pagamento in favore del Condominio (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, della somma di Euro 3.205,07 a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo. 3.3.4) Va da ultimo riconosciuta la legittimazione (...) e (...) ad ottenere, in proporzione della ritenuta quota di corresponsabilità nella causazione dei vizi dell'opera, la quota di 1/3 a titolo di danno patrimoniale per il rispristino degli appartamenti di loro proprietà, complessivamente provato in Euro 836,00. Pertanto la (...) Srl va condannata al pagamento in favore di (...) e (...) della somma di Euro 278,66 a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo. 4. sulle le spese di giudizio Principio cardine che regola la materia relativa alle spese processuali è il criterio della soccombenza, sancito dall'art. 91 C., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (cass. n. 25111/2006). Al criterio della soccombenza può derogarsi, ai sensi dell'art. 92 C., in caso di reciproca soccombenza, ovvero, "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 77/18) è stato dichiarato incostituzionale il comma 2 dell'art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la compensazione anche laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate nella motivazione. Ne consegue che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore devono ritenersi paradigmatiche svolgendo "in sostanza una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale". 4.1) Pertanto, in ragione della, seppur limitata, soccombenza, (...) SrL, in persona del legale rappresentante pro-tempore, deve essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare a al CONDOMINIO (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, (...) e (...) le spese di giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018, tenendo però conto del "criterio del decisum", proporzionando cioè gli onorari all'effettiva consistenza della lite (cass. SSUU n.19014/2007; cass. n. 21256/2016). All'uopo, tenuto conto della natura della controversia, caratterizzata dall'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate nonché dall'assenza di una fase istruttoria, i compensi vengono liquidati sulla base del D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00 e precisamente: fase di studio, Euro 875,00 fase introduttiva, Euro 740,00 fase decisionale, Euro 1.620,00 per un compenso complessivo di Euro 3.720,25, di cui 3.235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali (15% sul compenso totale), oltre Euro 237,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 7. sulle spese di CTU. In ragione della quota di corresponsabilità, le spese di CTU in ATP e della CTU svolta in corso di causa vanno poste definitivamente a carico di (...) Srl, in persone del legale rappresentante pro-tempore, nella misura del 33,33% ed a carico del CONDOMINIO (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, nella misura del 66,66%. P.Q.M. Il TRIBUNALE di IMPERIA, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando: 1) rigetta la domanda di risoluzione svolta da parte attrice 2) condanna la (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire al Condominio (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, la somma di Euro 5.144,45 a far data dal pagamento effettuato dal Condominio all'effettivo soddisfo nonché al pagamento della somma di Euro 3.205,07 a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo. 3) condanna la (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di (...) e (...) della somma di Euro 278,66 a far data dalla domanda all'effettivo soddisfo 4) condanna la (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di CONDOMINIO (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, (...) e (...) delle spese di giudizio che liquida in Euro 3.720,25, di cui 3.235,00 per compenso tabellare ed Euro 485,25 per spese generali (15% sul compenso totale), oltre Euro 237,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 5) pone le spese di CTU in ATP e di CTU svolta in corso di causa definitivamente a carico di (...) Srl, in persone del legale rappresentante pro-tempore, nella misura del 33,33% ed a carico del CONDOMINIO (...), in persona dell'amministratore pro-tempore, nella misura del 66,66% 6) visto l'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante rete di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati Così deciso in Imperia il 15 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Imperia, dott. Fabio Favalli, in funzione di Giudice di I grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1996/2017 del ruolo generale degli affari contenziosi Civili del Tribunale di Imperia TRA (...) e (...), rapp.ti e difesi dall'Avv.to Pa.Pr. Attori Contro (...) S.p.A. rapp.ta e difesa dall'Avv.to Lu.Cr. Convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è fondata. Gli attori hanno agito rivendicando non già il risarcimento d'un danno provocato da una condotta illecita, bensì il riconoscimento ai sensi degli artt. 46, L. n. 2359/1865 e 44, D.L. 327/2001 d'un indennizzo derivante da un cd. fatto lecito, assumendo che la costruzione della nuova Stazione ferroviaria della città di Imperia nelle vicinanze del proprio appartamento, sito in Imperia, Via Vecchia Piemonte n. 124, interno 18, avrebbe arrecato una permanente e significativa diminuzione del valore del cespite a causa delle sopravvenuta compromissione d'alcune delle caratteristiche del quale esso era dotato. La pretesa si fonda su quello che ormai appare un consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo cui l'operatività della L. n. 2359 del 1865, art. 46, non può essere esclusa "...neppure nelle situazioni in cui, pur in mancanza d'immissioni in senso stretto, la presenza dell'opera pubblica provochi di per sè una limitazione delle facoltà di godimento da parte del proprietario per la riduzione di luce, aria e veduta dell'immobile "giacché "la posizione soggettiva cui si deve avere riguardo non è quella del proprietario rispetto alla pubblica strada o allo spazio aereo che circonda la propria abitazione, ma quella che deriva dal rapporto tra lo stesso soggetto e l'immobile di sua proprietà". Proseguendo il ragionamento, la Suprema Corte ha osservato "che, per effetto della legittima costruzione di un'opera pubblica, il proprietario può ben essere privato di utilità che, lungi dall'essere "marginali", ineriscono giuridicamente al contenuto intrinseco della sua proprietà, quali la luminosità, la panoramicità e, in definitiva, la godibilità dell'immobile, con conseguente diminuzione della capacità abitativa, che si traduce in una riduzione dell'appetibilità e quindi del suo potenziale valore commerciale. Si è quindi riconosciuto che la privazione di queste utilità o facoltà da parte della Pubblica Amministrazione, determinando una diminuzione o comunque una ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà (secondo la terminologia adottata dall'art. 46 cit., ed oggi dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 327, art. 44), con conseguente diminuzione del valore venale del bene, comporta l'obbligo d'indennizzare il proprietario per la perdita subita, e ciò proprio in virtù del richiamato principio di giustizia distributiva, desumibile dall'art. 42 Cost., il quale esige che le conseguenze economiche pregiudizievoli causate da opere dirette al conseguimento di vantaggi pubblici non ricadano su un solo privato o su una ristretta cerchia di privati, ma siano sopportate dall'intera collettività..." (Cass. 26/05/2017,n.13368., nella quale si richiamano Cass. sez 1, 3/07/2013, n. 16619; e, Cass. Sez. 3, 3/07/2014, n. 15223). Non esprime un diverso principio giuridico Cass. 07/09/2020, n. 18581, espressamente citata in comparsa conclusionale dalla convenuta a sostegno delle proprie difese, nella parte in cui, con riferimento alla perdita o diminuzione subite da soggetti estranei al procedimento espropriativo di facoltà inerenti al proprio diritto dominicale in conseguenza dell'esecuzione di un'opera pubblica, s'è ribadito che "l'indennizzo non mira a compensare integralmente l'obiettiva diminuzione del valore di uso a di scambio della proprietà per l'avvenuta costruzione nelle vicinanze di un'opera pubblica, ma si fonda su un principio di giustizia distributiva, sicché non è consentito soddisfare l'interesse generale attraverso il sacrificio del singolo senza che questi venga indennizzato di una significativa compressione del diritto di proprietà (Cass. 06/06/2019 n. 15401; Cass. 26/05/2017 n. 13368; "Cass. n. 23865 cit.; Cass. SU 11/06/2003, n. 9341". Tale dictum conferma la diversità tra la ratio del risarcimento per fatto illecito - risarcimento che deve essere integrale poiché volto a ripristinare per equivalente in toto l'utilità perduta - e quella dell'indennizzo, il cui riconoscimento si fonda su ragioni di "giustizia sociale" ovvero sull'esigenza di compensare un "sacrificio" imposto lecitamente ad un terzo. Che poi l'indennizzo "non mira a compensare integralmente l'obiettiva diminuzione del valore di uso a di scambio della proprietà" implica semplicemente che il Legislatore ben può legittimamente porre un limite-limite - purché costituzionalmente "ragionevole" - al tetto massimo del relativo importo, ma non anche che questo debba necessariamente e sistematicamente, ossia in tutte le ipotesi di produzione d'un cd. danno lecito, essere inferiore a quello liquidabile a titolo risarcitorio, tant'è che per quanto concerne il caso di specie non consta l'esistenza di disposizioni che, disciplinando specificamente la materia, pongano criteri di determinazione dell'indennizzo diversi da quelli basati sulla valutazione della riduzione del pregio di mercato del bene. Tutto ciò chiarito, le indagini peritali hanno rivelato che a seguito della messa in funzione del tratto ferroviario, l'immobile dei Beccaria/Cavalera ha effettivamente subito un deprezzamento provocata da una rilevante diminuzione della comodità abitativa. Nel premettere che "L'alloggio di proprietà diparte attrice occupa i lati Sud, Est ed Ovest del 6 piano di un fabbricato condominiale in via Vecchia Piemonte al n. 124 e confina a Nord con i terreni di proprietà R.F.I. ove è stato costruito l'impalcato ferroviario e la sottostante infrastruttura stradale. L'appartamento che occupa una superficie di 125 mq. ed è composto da 7,5 vani, dotato di bagno e doppio servizio, si presenta in buono stato di conservazione; le rifiniture interne, la pavimentazione, gli infissi e gli impianti -regolarmente funzionanti - sono quelli originariamente realizzati all'epoca della costruzione negli anni 60; l'esposizione a Sud è incontrastata, mentre due finestre a Nord e a Est si affacciano sull'infrastruttura ferroviaria con veduta laterale sul ponte e sui binari, dai quali distano circa 25 metri.....Il fabbricato composto da 7 piani f.t., è dotato di ascensore, ha ampi spazi condominiali con parcheggi e aree verdi, ed è attualmente dotato di strade di accesso adeguate. In passato, prima dell'intervento effettuato dalla R.F.I., il fabbricato, come gli altri due limitrofi -aventi analoghe caratteristiche ed edificati nello stesso periodo - si affacciava a Nord su un ampio spazio non edificato ed era asservito dalla sola stradina comunale a Sud -via Vecchia Piemonte - rimasta invariata. Ilfabbricato composto da 7piani f.t., è dotato di ascensore, ha ampi spazi condominiali con parcheggi e aree verdi, ed è attualmente dotato di strade di accesso adeguate. In passato, prima dell'intervento effettuato dalla R.F.I., il fabbricato, come gli altri due limitrofi -aventi analoghe caratteristiche ed edificati nello stesso periodo - si affacciava a Nord su un ampio spazio non edificato ed era asservito dalla sola stradina comunale a Sud, via (...), rimasta invariata........", il Ctu ha dato conto che "L'immobile di cui trattasi, a seguito della costruzione del nuovo ponte ferroviario, viene a trovarsi nella fascia di rispetto di 30 mt. di cui al D.P.R. 753/80, ed in relazione all'estrema vicinanza dell'edificio alla nuova opera ferroviaria, l'immobile risulta gravato da servitù perpetue consistenti in limitazione di luci e vedute, immissioni acustiche maggiori rispetto alle condizioni ante operam, vibrazioni e ulteriori interferenze ambientali derivanti dall'esercizio della nuova sede ferroviaria. ", precisando che "Le principali cause di impatto ambientale nell'esercizio dei sistemi di trasporto terrestre stradali e ferroviari, sia superficiali che sotterranei, sono il rumore e le vibrazioni, nel caso specifico altri effetti che influiscono sulle caratteristiche estrinseche dell'edificio sono il peggioramento della qualità dell'aria - a causa della produzione di polveri sottili - la riduzione di luminosità e panoramicità conseguenti alla realizzazione delle strutture della linea ferroviaria e il disturbo arrecato dall'illuminazione della linea ferroviaria e della sottostante arteria stradale, per poi illustrare che "Nel traffico su gomma o su rotaia, la fonte del disturbo può essere identificata sia nei meccanismi vibrazionali propri del moto dei veicoli e legati alla trasformazione dell'energia meccanica in energia cinetica, sia dagli effetti secondari del rumore generato dal moto e dalla sua interazione con l'ambiente circostante. Tali effetti poi si propagano nell'ambiente attraverso le mutue interazioni ruota/piano di rotolamento e strada/edificio. L'Ing. (...) così prosegue: "Dall'analisi dei dati relativi ai rilievi effettuati si evince che, l'aumento delle immissioni di rumore, vibrazioni e di polveri conseguenti all'esercizio della linea ferroviaria e i danni conseguenti alla sua costruzione quali la riduzione della luminosità e della panoramicità, influiscono, seppure con incidenze diverse, sia sugli alloggi che si affacciano direttamente sull'infrastruttura ferroviaria sia su quelli con vista laterale su essa, come quello in esame, infatti benché si sia riscontrata una differenziazione dei valori relativi all'immissione di rumore e vibrazioni, in tutti i casi si sono registrati valori che superano i limiti di accettabilità e tollerabilità, analogamente per le privazioni di utilità quali la luminosità e la panoramicità, le quali incidono anche sugli alloggi che benché non prospettino direttamente sull'infrastruttura si affacciano su di essa tramite aperture esterne....". Il nuovo assetto dei luoghi ha pregiudicato anche la fruibilità dell'immobile per cui è causa in ragione della posizione rilevata "a vista" dell'alloggio rispetto all'infrastruttura (luminosità, panoramicità, inquinamento luminoso), dal rilievo celerimetrico (distanza dall'impalcato), dai rilievi fonometrici (rumori e vibrazioni)". I fattori pregiudizievoli sono stati così descritti dal Ctu: - "riduzione della luminosità e soleggiamento..", valutata in riferimento alle "Linee guida TAV" redatte da RFI stessa; - "... riduzione dell'ampiezza di veduta per l'interferenza dell'impalcato..." "- inquinamento luminoso. Tale interferenza è stata rilevata visivamente e risulta derivare dal posizionamento dei fari di illuminazione della strada sottostante l'impalcato e di quelli della banchina ferroviaria. Essenzialmente ne sono influenzati gli alloggi con affaccio - anche parziale - verso le infrastrutture e ubicati ai piani sino al 4"; - ".... peggioramento del clima acustico dell'immobile per effetto dell'emissione sonora derivante dall'esercizio della nuova linea ferroviaria e della strada sottostante, discende dai rilievi e dall'analisi fonometrica effettuata. Dalla relazione tecnica acustica dell'ing. (...) allegata si evince che il rumore prodotto sia dal passaggio dei treni che dal traffico veicolare, non rientra nei limiti di accettabilità secondo il criterio differenziale ex art. 4 del D.P.C.M. 14-11-1997"; - "I dati relativi alla valutazione della qualità dell'aria effettuata dalla ARPAL si riferiscono ad una zona di Imperia distante e con caratteristiche non affini a quella in esame, per cui in mancanza di dati diretti si è valutato un incremento della media giornaliera di PM10 a causa dell'esercizio delle nuove infrastrutture derivato dalla letteratura scientifica per casi similari alla situazione in oggetto e pari al minimo trattato, ovvero dell'1% parametrato ad un coefficiente d'incidenza variabile in funzione della distanza dall'infrastruttura e dal piano in cui si trova l'alloggio, che in questo caso si trova al 4° piano e dista poco meno di 25 metri dall'impalcato". I risultati delle indagini, la metodologia seguita e gli indici della valutazione dell'incidenza di ciascuno dei fattori forieri di "danno" sono stati illustrati alle pag. 11-13 della relazione, alla quale scrivente rimanda in toto. La misura del deprezzamento, quantificata in Euro 30.857,20, e i parametri adoperati dall'Esperto del Tribunale sono stati diffusamente criticati dal Ct di RFI con argomentazioni, puntualmente ribadite in comparsa conclusionale, che lo scrivente ritiene per la maggior parte infondate poiché: - l'aver il Ctu preso in considerazione oltre ai valori Omi, anche altri indici di stima, quali "Guida Valore Casa" della Fiap, "Borsino Immobiliare" nonché eseguito "indagini presso le locali agenzie immobiliari" è elemento ininfluente in concreto giacché la convenuta ha lamentato la presunta violazione del diritto di difesa in termini puramente astratti, senza cioè illustrare i termini nei quali sarebbe stato precluso al proprio Ct d'interloquire adeguatamente con il Ctu in ordine alla determinazione del pregio commerciale del bene; - inoltre, a ancor prima di ciò, il Ctu, lungi dall'aver introdotto e utilizzato di propria iniziativa circostanze nuove suscettibili di fondare/avallare la pretesa attorea nonché acquisito autonomamente documenti specificamente inerenti ai fatti di causa, s'è limitato a ricorrere agli "strumenti del mestiere" ovvero a fare applicazioni dei parametri tecnici d'ordine generale vigenti nella materia oggetto d'indagine, parametri comunemente adoperati dai professionisti incaricati di valutare il pregio d'un alloggio, analogamente a quanto è solito fare il consulente medicolegale con la letteratura scientifica, oppure, ad es., il professionista investito del compito di quantificare le opere d'un appalto alla stregua delle tariffe di mercato vigenti, ecc. - circa il censurato utilizzo dei dati dei dati Omi relativi al 2 semestre 2006 e non invece di quelli al 1 semestre 2008, nel prendersi atto delle ragioni di ciò illustrate alla pag. 10 dell'elaborato, deve replicarsi che il quesito demandato al Ctu si riferiva all'anno 2008 poiché è in tale epoca che fu realizzato il "grosso" della struttura (ossia la costruzione del ponte ferroviario). Sul punto si rileva che l'Ing. (...) ha appositamente e opportunamente formulato una stima alternativa (pag. 10) ed è a questa che lo scrivente farà riferimento; - quanto poi all'adozione dei parametri relativi al 1° semestre del 2018 e non di quelli vigenti nel 2016 (in base ai quali, a dire della convenuta, l'appartamento avrebbe avuto un valore inferiore) come prescritto nel quesito, questo Giudice ritiene di dover modificare il proprio convincimento - ovvero il contenuto dell'incarico - poiché, se è vero che la linea ferroviaria fu attivata nel 2016, l'indennizzo va calcolato al tempo della domanda ossia al momento della stabilizzazione del "danno". - ebbene, l'atto di citazione è stato notificato nel settembre del 2017; considerato poi che gli attori hanno quantificato il ristoro nella misura di Euro 50.000,00 e che il petitum e la causa petendi si cristallizzano definitivamente con il deposito della 1 memoria, corretto è l'utilizzo degli indici di stima del 2018; - l'aver il Ctu applicato i valori Omi relativi alle abitazione di tipo civile e non, invece, di quelli previsti per gli alloggi di tipo economico è operazione esesente da critiche; invero che l'immobile risulti accatastato sotto la suddetta seconda categoria è aspetto del tutto irrilevante, dovendosi, come già detto, aversi riguardo alle concrete caratteristiche del bene e al suo deprezzamento commerciale subìto nell'ambito della libera contrattazione tra privati; Ulteriore punto di contrasto è costituito dall'entità del coefficiente di vetustà. Secondo il Ctp della convenuta il pregio dell'immobile andrebbe abbattuto del 30% in quanto lo stesso fu costruito negli anni 60 e risulta tuttora dotato degli originari impianti, pavimentazioni, infissi e rifiniture. Al riguardo il Ctu ha puntualizzato che "oltre che in base alla posizione al limite della zona C5, il coefficiente di vetustà nell'analisi svolta è stato applicato adottando il valore minimo della valutazione e non applicando il 10% indicato dal CTP ing. Pino, percentuale utilizzata invece come coefficiente correttivo ad ulteriore decremento del valore in funzione dello stato di conservazione e manutenzione riscontrato. Si vuole comunque precisare che malgrado non siano state riscontrate ristrutturazioni attuate negli anni, non si è ravvisata una mancanza di manutenzione generale tale da rendere necessarie opere di manutenzione e riparazione rilevanti e tali da giustificare il deprezzamento del 30% indicato dal CTP". Anche su ciò lo scrivente ritiene di concordare giacché, a dispetto della sua epoca di costruzione, la casa versa tuttora in buone condizioni ossia è ancora confortevole e comodamente abitabile, il che non giustifica il, invero notevole, abbattimento del valore propugnato dalla convenuta. RFI ha poi censurato la misura della diminuzione della panoramicità in quanto il Ctu avrebbe dovuto considerare che prima dell'edificazione della stazione innanzi allo stabile in cui è ubicato l'immobile non v'era un mero terreno incolto, ma una discarica, come parrebbe raffigurato nelle foto accluse all'all. 4 (verbale di consegna e immissione nel possesso). L'assunto, oltre ad essere esposto in termini sostanzialmente generici, atteso che nulla è stato allegato e provato in ordine al periodo di tempo per il quale s'è protratto l'accumulo di rifiuti - si da poter verificare se la naturalezza della veduta fu compromessa per un lasso cronologico apprezzabile e sia perdurata sino all'epoca d'instaurazione del presente giudizio, in termini tali da comportare una stabile diminuzione della qualità dell'appartamento - risulta inconferente giacché la creazione da parte di terzi d'una discarica "a cielo aperto" non costituisce una intrinseca e permanente caratteristica del territorio, bensì un'illecita sua alterazione transitoria, di rilevanza anche e specialmente penale, alterazione della quale, conseguentemente, non può tenersi conto alcuno, non constando che essa fu autorizzata dalle autorità competenti. Si ritiene poi disattendere l'argomento di RFI, secondo cui il Ctu avrebbe dovuto considerare anche le utilità derivate dalla presenza della nuova struttura, utilità costituite dalla creazione d'un parco, dell'incremento dell'illuminazione, della creazione di parcheggi e della possibilità dei residenti d'accedere in tempi rapidi alla nuova stazione ferroviaria. Invero, nell'evidenziare che le nuove illuminazioni, lungi dall'aver apportato vantaggi, sono state identificate dal Ctu come uno dei fattori "inquinanti", deve replicarsi che prima del 2006 Via (...) si trovava notoriamente in una zona che può essere definita quasi "residenziale" poiché notoriamente non particolarmente trafficata e già dotata di verde ossia sostanzialmente "tranquilla". Non è dato, pertanto, vedere quali benefici possa aver apportato ai residenti la nuova opera, visto che la realizzazione di nuovi posti auto in adiacenza della stazione (e non già nei pressi dello stabile per cui è causa) non può che implicare maggior traffico automobilistico, con conseguente aumento dei rumori o delle polveri. Quanto poi alla sopravvenuta maggior "centralità" dell'abitazione rispetto al tratto ferroviario, deve replicarsi che si tratta d'un vantaggio pressocchè irrisorio giacchè Imperia, il fatto è notorio, annoverava in precedenza 2 stazioni (la principale sita in Porto Maurizio e l'altra ad Oneglia), entrambe facilmente raggiungibili in una piccola città con mezzi privati o pubblici in tempi brevi. Contrariamente a quanto asserito dalla difesa di R.F.I., il Ctu non ha affatto esorbitato dal suo incarico laddove egli ha preso in considerazione anche l'incremento rumore stradale del traffico veicolare causato dalla costruzione della strada sottostante alla linea ferroviaria, costituendo anche tale fattore una conseguenza immediata e diretta "dannosa" dell'edificazione della struttura, atteso che il nuovo tracciato costituisce infrastruttura strettamente collegata e funzionale all'utilizzo della stazione da parte della collettività. Non controvertendosi in ordine al ristoro d'un pregiudizio illecito e pertanto dunque, dell'individuazione della responsabilità d'un fatto dannoso, irrilevante è poi l'appartenenza nonché la "gestione" della strada non già a R.F.I. ma verosimilmente al Comune di Imperia, ente del tutto estraneo al procedimento amministrativo d'approvazione e di costruzione. Al punto 4 del paragrafo 4 della relazione l'Ing. (...) Ctu ha riportato che "Dalla relazione tecnica acustica dell'ing. (...) allegata si evince che il rumore prodotto sia dal passaggio dei treni che dal traffico veicolare, non rientra nei limiti di accettabilità secondo il criterio differenziale ex art. 4 del D.P.C.M. 14-111997 e neanche nei limiti di tollerabilità definiti dall'art. 844 C.C...", per poi esporre le risultanze della analisi fonometriche, le quali hanno rivelato che "il rumore immesso dal passaggio dei treni negli alloggi del fabbricato, avviene in quota parte per via solida, attraverso trasmissione della vibrazione nel terreno, da questo propagata alle strutture e da queste viene poi restituito all'interno degli ambienti abitativi". La convenuta ha censurato (pag. 17-18 della comparsa conclusionale) l'utilizzo dei parametri previsti dall'art. 4 del D.P.C.M. 14-11-1997 giacché l'art. 3 prescrive che "Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alla rumorosità prodotta: dalle infrastrutture stradali, ferroviarie,aeroportuali e marittime". Tale disposizione deve ritenersi richiamata dall'art. 6 ter del D.L. dicembre 2008, n. 208, convertito dalla L. 13/2009, il quale dispone che "Nell'accertare la normale tollerabilità delle immissioni e delle emissioni acustiche, ai sensi dell'articolo 844 del codice civile, sono fatte salve in ogni caso le disposizioni di legge e di regolamento vigenti che disciplinano specifiche sorgenti e la priorità di un determinato uso". Tra le previsioni di legge figura, infatti, in primo luogo la 445/1995, denominata "Legge quadro sull'inquinamento acustico", della quale il D.P.C.M. 14-11-1997 costituisce normativa attuativa. L'argomento risulta però privo di pregio in quanto: - la giurisprudenza in materia ha statuito - peraltro proprio in caso di disturbi causati dal passaggio di treni - che "in tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità anche a seguito dell'entrata in vigore del D.L. n. 208 del 2008, art. 6 ter, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 13 del 2009, al quale non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell'art. 844 c.c., con l'effetto di escludere l'accertamento in concreto del superamento del costituzionalmente orientata, il soddisfacimento dell'interesse ad una normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione (Cassazione civile 07/10/2016, n. 20198); - nella motivazione si puntualizza che "l'osservanza delle normative tecniche speciali, quali quelle qui invocate da (...), non può ritenersi dirimente nell'escludere l'intollerabilità delle immissioni. In tale ambito, la fattispecie deve infatti essere vagliata secondo l'ordinario criterio di cui alla disposizione generale dell'art. 844", reputandosi non criticabile l'accertamento delle immissioni operato dal Giudice del merito sulla base di "un apprezzamento in concreto ancorato al criterio del cd. "differenziale" (nella specie, incremento massimo di 5 decibel, sulla scorta del D.P.C.M. 14 novembre 1997, art. 4, comma 1), ritenendo le immissioni sonore prodotte dalla movimentazione dei vagoni superiori alla normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c..". Ne consegue che non è censurabile l'operato del Ctu, il quale ha rilevato il superamento della soglia della normale tollerabilità all'esito d'una serie di verifiche incentrate sull'adozione di indici tecnici e normativi, tra i quali anche quelli contemplati dal DPCM, concludendo nella fattispecie che le immissioni risultano insopportabili "in concreto" ossia avendo riguardo alla condizione dei luoghi, conformemente al principio posto dall'art. 844 c.c., il quale, secondo la costante interpretazione fornita dalla giurisprudenza, va interpretato nel senso che per immissioni intollerabili devono intendersi quelle che interferiscono in senso peggiorativo sulle facoltà dominicali del vicino, limitando in misura apprezzabile o impedendo il pieno godimento dell'immobile. Opportuno dare anche conto che la Legge di Bilancio 2019 (L.145/2018) ha aggiunto all'art. 6 ter della legge 13/009 la seguente previsione: "Ai fini dell'attuazione del comma 1, si applicano i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla legge 26 ottobre 1995, n. 447, e alle relative norme di attuazione", tra le quali vi sono quelle contenute nel D.P.C.M. 14/11/1997. Nulla, dunque è mutato nel quadro normativo, che resta pienamente compatibile con la succitata elaborazione giurisprudenziale. Inconferente è poi l'assunto secondo cui il Ctu avrebbe dovuto tenere conto soltanto della percentuale di deprezzamento relativa a vani e ai locali concretamente interessati dalle interferenze ambientali. Nell'evidenziare che le Linee Guida Tav, prescriventi tale criterio d'indennizzo, lungi da costituire un parametro giuridicamente vincolante per i terzi, ossia una fonte di diritto, si risolvono in meri criteri orientativi "interni" unilateralmente adottati, deve replicarsi che ciò che viene in rilievo è un bene unitario, tendenzialmente inscindibile (a non meno di metter mano ad opere divisionali) nei propri ambienti, ciascuno funzionale al godimento e alla vivibilità dell'altro; va da sé pertanto che, come indicato nel quesito, la valutazione del Ctu non può che inerire all'immobile nel suo complesso. Considerato che al 2008 il valore commerciale al mq dell'appartamento, dall'estensione di mq 125, ammontava a Euro 1341,90, il calcolo è il seguente: Euro 1341,90 x 18,225% (demoltiplicatore frutto della combinatoria delle varie percentuali di deprezzamento legati ai diversi fattori) x 125 mq = Euro 30.570,16. Tal è, dunque, l'importo da riconoscere agli attori. Dall'accoglimento della domanda discende la condanna della convenuta alla rifusione della spese di lite nella misura che si indica come in dispositivo, tenendosi conto ai fini della relativa quantificazione che gli attori hanno agito per ottenere la maggior somma di Euro 50.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) e (...), così provvede: Condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 30.570,16, oltre ad interessi legali a far data dalla pubblicazione del presente provvedimento sino al saldo. Condanna (...) al rimborso delle spese di lite, che si determinano in Euro 1100,00 per la fase di studio, Euro 800,00 per la fase introduttiva, Euro 1100,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 2100,00 per la fase decisionale, Euro 604,33, per spese vive, oltre a Iva e Cpa, come da legge. Pone le spese di Ctu a carico di (...) S.p.A. Così deciso in Imperia il 7 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria l'8 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Imperia, dott. Fabio Favalli, in funzione di Giudice di I grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2208/2017 del ruolo generale degli affari contenziosi Civili del Tribunale di Imperia TRA (...), rapp.to e difeso dall'Avv. Ro.Va. Attore Contro (...) S.p.A. rapp.ta e difesa dell'Avv. Ma.Bo. Convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è in gran parte fondata. Il (...) ha agito in giudizio al fine di vedersi riconosciuto l'indennizzo assicurativo richiesto a seguito d'un incidente occorsogli il 28-7-2015 mentre era alla guida della sua moto lungo il tratto di strada che collega Località Molini a (...), frazione di (...). La circostanza è stata confermata dal teste (...), il quale ha dichiarato: di essersi trovato nel frangente a bordo del proprio motociclo Aprilia rx250 dietro il veicolo condotto del (...); che, costui nel procedere a velocità moderata, scivolò, perdendo il controllo del mezzo (un KTM); che l'attore fu sbalzato su d'una fascia sottostante, sbattendo violentemente la testa; d'aver, insieme al proprietario del terreno, soccorso il malcapitato, che comunque si rialzò; che sul luogo sopravvennero i VV.GG e i Carabinieri. Ciò premesso, le resistenze di (...) si fondano sull'assunto che il danneggiato si sarebbe infortunato mentre praticava l'attività sportiva di motocross, così invocandosi l'operatività della clausola n. 1.5, lett. i. del contratto d'assicurazione, clausola che esclude la copertura in caso di lesioni conseguenti all'esercizio di sport comportanti l'uso di veicoli, intendendosi per "pratica di sport, anche l'effettuazione di "prove libere - amatoriali e non - all'interno di impianti sportivi appositamente attrezzati ...". La tesi, tuttavia, risulta destituita d'ogni fondamento. Non v'è, infatti, alcun elemento in base al quale ipotizzare che - escludendosi, ovviamente, l'ipotesi dello svolgimento d'una gara sportiva - il (...) fosse intento ad allenarsi nel motocross in un luogo attrezzato a tal fine. Il teste (...) ha riferito d'essersi trovato insieme al (...) per "fare un giro". Non consta poi che il sinistro si verificò in una zona privata, eventualmente sterrata e predisposta a tale sport, essendo invece pacificamente emerso che l'attore percorreva una stradina provinciale di collegamento tra 2 frazioni di (...). Che poi entrambi gli uomini guidassero ciclomotori da cross è di per sé dato privo di significatività, trattandosi di veicoli frequentemente circolanti anche nei centri urbani e spesso utilizzati da numerosi abitanti delle zone rurali del Ponente Ligure poiché particolarmente idonei a superare le asperità del territorio. Deve poi confermarsi il rigetto della richiesta, avanzata da (...), d'acquisizione della relazione di V.V.F.F. intervenuti in loco, trattandosi d'una istanza sostanzialmente esplorativa, non avendo la convenuta chiarito quale sarebbe la rilevanza del suo contenuto ai fini della decisione, atteso che i p.u. intervennero successivamente agli accadimenti di causa e che, pertanto, nulla potrebbero riferire sulla dinamica. Quanto alle lesioni riportate dall'attore, si prende atto che: - la documentazione medica (all. b) attesta che nel medesimo giorno egli fu ricoverato, alle h. 22.06, presso l'Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, reparto Medicina d'Urgenza, e che fu dimesso con la diagnosi di "politrauma da incidente stradale con fratture costali multiple a sx e singola a dx; pneumotorace sx drenato; frattura piatto somatico superiore di D1; frattura clavicola sx"; - le attuali condizioni del danneggiato sono state così descritte dal Ctu: "profilo anatomico alterato da callo deformante la clavicola con ipomiotrofia del cingolo e limitazione dei movimenti, soprattutto intrarotazione con braccio retroposto ed extrarotazione. Torace: dolore pressorio sul passaggio D-L e sull'emicostato sin ove si palpano calli sulle costole fratturate. Rumori respiratori normotrasmessi. Cervicale: rigidità residua con limitazione dell'articolarità di circa 1/5". - alla luce di tale quadro clinico il Ctu ha quantificato l'inabilità temporanea totale in 90 giorni e quella temporanea, in termini di verosimiglianza, in 110 giorni al 50%. I postumi permanenti sono stati stimati nella misura del 16%, considerandosi anche la lesione alla cd. capacità lavorativa generica. Orbene, nel rilevarsi che nessuna contestazione è stata sollevata dalle parti in ordine alle conclusioni peritali, la liquidazione dell'indennizzo va effettuata alla stregua dei parametri stabiliti alla pag. 2 della nota informativa acclusa al contratto d'assicurazione e dagli art. 1.10, 1.16 e 1.17 delle. condizioni di assicurazione. La clausola 1.17 relativa all'inabilità temporanea prevede le seguenti franchigie: dal sesto giorno per la parte di somma assicurata non eccedente Euro 30,00; dal sedicesimo giorno per la parte di somma eccedente Euro 30,00. Quantificandosi in polizza un'indennità giornaliera di Euro 80,00 per la ITT, il calcolo è il seguente: - 85 giorni (al 100%) x Euro 30 = Euro 2550,00 - 75 giorni (al 100%) x Euro 50 = Euro 3750,00 - 105 giorni (al 50%) x Euro 30 = Euro 3150,00 - 95 giorni (al 50%) x Euro 10 = Euro 950,00 per un totale di Euro 10.400,00. Quanto all'invalidità permanente, l'art. 1.10 stabilisce una franchigia del 3% sulla prima parte di somma assicurata sino a Euro 104.000,00, una del 6% sino all'importo compreso tra Euro 104.000,00 ed Euro 207.000,00 e una del 10% per la parte eccedente. Essendo l'attore assicurato per un massimale di Euro 300.000,00, il calcolo è il seguente: 13 % x Euro 1040 (valore punto sino a Euro 104.000) = 13.520,00; 11 % x Euro 1030 (valore punto sino a Euro 207.000) = Euro 11.330,00 6 % x Euro 930 (valore punto eccedente Euro 207.000) = Euro 5580,00 per un totale di Euro 30.430,00. Il Ctu ha poi reputato congrue nella misura di Euro 4114,40 le spese sanitarie documentate. Prevedendosi alla clausola n. 1.13, la prededuzione d'un scoperto a carico dell'assicurato pari al 20%, l'indennizzo ammonta ad Euro 3.291,92. L'importo totale da riconoscere all'attore è dunque Euro 44.121,92. Va soggiunto che, secondo la giurisprudenza (Cass. Ord. 9666/2018; Cass. 4138/2018; Cass. Ord. 10221/2017; Cass. 13537/2014), l'obbligazione indennitaria dell'assicuratore costituisce debito di valuta, ma deve essere liquidata come se si trattasse d'un debito di valore ove l'importo risulti inferiore al massimale giacché l'indennizzo alla funzione di reintegrare l'assicurato/danneggiato della perdita subita per la compromissione della propria integrità fisica o dei propri beni. Ne consegue che al (...) deve essere attribuita anche l'ulteriore voce risarcitoria costituita dagli interessi cd. compensativi, da computare sul capitale rivalutato di anno in anno, conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda la pronuncia n. 1712 del 1995), secondo il quale, negandosi il cumulo tra rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata, la Cassazione ha demandato al giudice, anche in via equitativa, l'individuazione del metodo più corretto per liquidare tale posta di danno, il quale, in assenza della prova d'un pregiudizio superiore (come previsto dall'art. 1224 comma 2 c.c.), deve essere ricercato nel tasso legale d'interesse. L'operazione di rivalutazione a far data dal giorno successivo al 25-1-2017, epoca di inoltro della pec di diffida in atti, (lo scrivente, infatti, non ritiene che la mora sia automatica, non controvertendosi in tema d'illecito contrattuale), sino al 31-8-2021 conduce al totale finale di Euro 46.492,62. La soccombenza della convenuta implica che costei si faccia carico degli oneri processuali, i quali si determinano come in dispositivo alla stregua della misura dell'accoglimento della domanda attorea. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia, definitivamente pronunciando sulle domande proposta da (...) nei confronti di (...) S.p.A., così provvede: Condanna (...) S.p.A. al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 46.492,62, oltre a interessi legali a far data dall'1-9-2021 sino al saldo. Condanna (...) S.p.A. al pagamento delle spese di lite, che si determinano in Euro 1620,00 per la fase di studio, Euro 1147,00 per la fase introduttiva, Euro 1720,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 2767,00 per la fase decisionale, Euro 518,00 per spese vive oltre a spese generali IVA e CPA come da legge. Pone le spese di Ctu a carico di (...) S.p.A. Così deciso in Imperia il 4 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Imperia, in persona del dott. Roberto De Martino, ha emesso, all'udienza di discussione del 3 febbraio 2021, la seguente SENTENZA a definizione del procedimento iscritto al n. 2319/2018 R. Gen., vertente TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Fu., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Sanremo (IM) - C.so (...) - ATTRICE - E (...), rappresentata e difesa dall'avv. Al.Pe., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Sanremo (IM) - Via (...) - CONVENUTA - Avente ad oggetto: sfratto per morosità. ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ex art. 658 c.p.c. notificato il 25 settembre 2018, (...) ha intimato a (...) sfratto per morosità da un immobile sito in Sanremo - Via (...), oggetto di un contratto di locazione concluso in forma verbale registrato in data 3/7/2017. All'uopo, la locatrice imputava alla controparte un debito complessivo di Euro 3.209,30 a titolo di canoni, oneri condominiali e costi relativi all'utenza del gas. L'intimata si è ritualmente costituita in giudizio, rassegnando le conclusioni riportate in epigrafe. Come già esposto, l'odierna attrice ha introdotto il presente giudizio mediante la notifica di un'intimazione di sfratto per morosità, ove ha prospettato l'inadempimento di un contratto di locazione concluso oralmente in data 1 marzo 2015 - come desumibile anche dalla relativa denuncia in atti. In seguito al mutamento del rito disposto con ordinanza 24/10/2018, la medesima parte ha tuttavia introdotto una causa petendi affatto diversa, proponendo una serie di domande basate invece su di un'asserita occupazione senza titolo - postulando così l'assenza del vincolo contrattuale. Siffatto revirement ha comportato la formulazione di richieste dotate del carattere della novità, rispetto a quella originaria, appunto in ragione del cambiamento dei fatti posti a fondamento delle relative pretese. Non vi è dubbio, infatti, che l'inosservanza dell'obbligo di corrispondere il canone locatizio è un fatto ben diverso rispetto alla perdurante occupazione di un immobile dopo la scadenza del titolo che ne aveva giustificato l'apprensione. In casi del genere, questo Tribunale reputa le domande proposte non ammissibili, proprio perché nuove. In tal senso depone il chiaro tenore letterale dell'art. 426 comma 1 c.p.c. che, nel consentire l'eventuale integrazione degli atti soltanto mediante il deposito di "memorie e documenti", preclude implicitamente alle parti la proposizione di domande nuove rispetto a quelle formalizzate nella fase processuale iniziale. Diversamente opinando, peraltro, l'unità del procedimento in questione risulterebbe gravemente inficiata, laddove la fase successiva all'ordinanza ex art. 426 cit. potrebbe comportare l'instaurazione di un processo del tutto svincolato dal thema decidendum introdotto dalle procedure speciali delineate dagli artt. 657 e 658 c.p.c.. Detta unità deve invece assolutamente essere preservata, siccome chiaramente disposta dallo stesso legislatore - arg. ex art. 667 c.p.c., secondo cui, dopo il mutamento del rito, il giudizio "prosegue" nelle forme del rito speciale. In via riconvenzionale, per così dire principale, la parte convenuta ha richiesto a sua volta la riconduzione ai termini di legge del contratto di locazione concluso verbalmente in data 1 marzo 2015. Tale domanda, ad avviso del Giudicante, non è fondata in diritto. La Suprema Corte, a sezioni unite, ha avuto modo di chiarire in materia che la nullità del contratto di locazione dotato di forma orale assume una valenza cd. protettiva del conduttore solo in presenza di un abuso, da parte del locatore, della sua posizione "dominante", imponendosi in tal caso un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole, pregiudicato dalla eccessiva asimmetria negoziale - cfr. Cass. n. 18214/2015. Sarà pertanto necessario - secondo il Giudice di legittimità - che il locatore abbia esercitato una inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale: quando, invece, detta forma sia stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal conduttore) torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. Nel caso presente, la parte interessata, pur lamentando di avere subito un abuso contrattuale, nulla ha dedotto di specifico in merito ad eventuali pressioni indebite della controparte, al fine di non formalizzare l'accordo. Risulta anzi dagli atti che, al momento della instaurazione del rapporto in questione (cioè al 1 marzo 2015), la (...) era già nella detenzione dell'immobile, in forza di un contratto di locazione per finalità turistica, della durata di un mese, concluso in data 1 febbraio 2015. Considerando che la posizione di debolezza strutturale del conduttore deriva essenzialmente dall'esigenza dello stesso di procurarsi un'abitazione, appare davvero remota l'eventualità di un abuso a suoi danni, da parte del locatore, quando egli già abbia la materiale disponibilità dell'immobile di cui ha bisogno. In applicazione delle regole generali, il contratto per cui è causa deve quindi ritenersi radicalmente nullo, ciò che non consente di apportarvi le modifiche richieste, in via necessariamente conservativa, dalla parte convenuta. Le ulteriori domande riconvenzionali non sono infine suscettibili di essere delibate, perché formulate dalla conduttrice solo in via subordinata - cioè in caso di accoglimento della domanda attorea. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese di lite. P. Q. M. Il Tribunale di Imperia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) dichiara inammissibili tutte le richieste di parte attrice; b) rigetta la domanda riconvenzionale; c) compensa le spese; d) fissa il termine di gg. 60 per il deposito della sentenza. Così deciso in Imperia il 3 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI IMPERIA il TRIBUNALE di Imperia in composizione monocratica, in persona del dott. Pasquale LONGARINI ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n.2862/2018 RG del Tribunale di Imperia avente ad oggetto "recesso ad nutum" promossa da FALLIMENTO (...) SrL (CF: (...)/PI: (...)), in persona del curatore fallimentare, rappresentato e difeso dall'avv. La.CA., presso il cui studio in Sanremo alla via (...) è eletto domicilio - attore - contro (...) COMPANY SrL (PI: (...)), in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...) (CF: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. An.CE. e dall'avv. Lu.D'A. presso il cui studio in Como alla via Milano n.162 è eletto domicilio RAGIONI DELLA DECISIONE 1. ABSTRACT Rappresentato la (...) SrL (I) di aver comunicato alla (...) COMPANY SrL in data 03.11.2011 la sospensione dei lavori ex art. 16 n. 5 del contratto di appalto concluso con la predetta società, avente ad oggetto la realizzazione di fabbricati di civile abitazione ed edilizia agevolata in loc. P. del Comune di San Bartolomeo al Mare, per mancato pagamento della fattura n.(...) relativa al S.A.L. 4, (II) che con lettera raccomandata del 4.11.2011, ricevuta in data 9.11.2011, la società (...) COMPANY SrL esercitava il diritto di recesso ad nutum contrattualmente previsto dall'art. 11, comunicandoLe altresì la sospensione dei pagamenti che sarebbero stati regolarizzati sulla base dei lavori effettivamente svolti allo spirare del termine di 90 giorni di preavviso (art. 12), (III) la contestazione della sospensione dei pagamenti insistendo per la regolarizzazione di quelli medio tempore scaduti, (IV) l'intervenuta dichiarazione di fallimento della (...) SrL con sentenza del 15.04.2015, il FALLIMENTO (...) SrL, in persona del curatore fallimentare, premesso di aver formalizzato apposita diffida di pagamento e costituzione in mora contestata dalla società (...) COMPANY SrL che lamentava di aver subito danni derivanti dalla tardiva riconsegna del cantiere da parte della società in bonis, dedotto di aver sollecitato una sopralluogo congiunto al fine della quantificazione delle opere realizzate dalla società in bonis all'esito del quale veniva attestato che le opere eseguite ammontavano ad Euro 324.000,00, allegato che veniva accertato in contraddittorio un credito a favore del fallimento pari ad Euro 78.000,00 oltre IVA di legge (determinato sottraendo dal valore delle opere eseguite la somma degli acconti corrisposti dalla ITC per i primi tre SAL e pari ad Euro 246.000,00), lamentato il rifiuto, pure all'esito di una nuova formale diffida di pagamento, della (...) Company SrL di corrispondere il dovuto, con atto di citazione ritualmente notificato, evocava in giudizio la società (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...), per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 78.000,00 oltre IVA oltre al risarcimento del danno ex art. 1671 c.c. quantificato in Euro 57.600,00, pari al 10% del corrispettivo pattuito per la esecuzione del contratto, con vittoria di spese. 1.1) Si costituiva in giudizio la società (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...) che, ammesso di aver esercitato il recesso dal contratto ex art. 11 delle condizioni contrattuali ed ex art. 1671 c.c., divenuto efficace il 7.2.20212 al termine del periodo di preavviso di 90 giorni contrattualmente previsto dal medesimo articolo 11, dedotto di avere in epoca precedente svolto contestazione di vizi e difetti dei lavori effettuati e di aver sollecitato i lavori non effettuati che mai venivano realizzati, lamentato l'inadempimento contrattuale da parte della (...) in bonis, contestato il valore probatorio della consulenza tecnica di parte stragiudiziale, contestata la fondatezza della richiesta di risarcimento del danno ex art. 1671 c.c., instava per la dichiarazione dell'inadempimento contrattuale da parte della (...) SrL in bonis quale causa della risoluzione del contratto di appalto e, per l'effetto, per la dichiarazione che nulla era da Essa dovuto alla società appaltatrice, con vittoria di spese. 1.2) Integrato il contraddittorio, respinta la prova orale svolte dalle parti, licenziata CTU tecnica, convocato il CTU per chiarimenti, respinta l'istanza di rinnovazione della CTU, la causa veniva trattenuta per la decisione nell'udienza del 16.04.2021 sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate e con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. 2. sulla RIMESSIONE DELLA CAUSA IN ISTRUTTORIA. L'istanza di rimessione della causa in istruttoria per l'espletamento della prova orale va respinta in quanto le circostanze capitolate da parte convenuta sono o irrilevanti, o valutative, o implicanti valutazioni tecniche da riservare alla CTU, o da provare per documento, come motivato nell'ordinanza del 29.10.20219 che a tali fini si richiama. 3. sulla ESTINZIONE DEL RAPPORTO CONTRATTUALE. Il rapporto negoziale tra le parti, contrariamente a quanto invocato dalla società (...) Company SrL, è venuto meno per volontà del committente, a fronte dell'esercizio del diritto di recesso ad nutum previsto dall'art. 11 del contratto di appalto per la "realizzazione di fabbricati per civile abitazione ed edilizia agevolata in Comune di San Bartolomeo al Mare (IM) in località P. ..." (art. 2) che testualmente recita "Qualora la committenza decida di rescindere il contratto unilateralmente dovrà comunicarlo all'impresa 90 giorni prima, saranno riconosciuti all'impresa tutti i lavori e le finiture a piè d'opera presenti alla data di riconsegna delle opere. Qualora la committenza non ottemperi a quanto previsto ai successivi articoli 13 e 14 l'impresa avrà facoltà unilaterale di sospendere i lavori e rescindere in danno il contratto ed avrà diritto alle spettanze maturate alla data di rescissione successivamente al pagamento dovrà consegnare immediatamente le aree alla committenza". 3.1) Il recesso è l'atto mediante il quale una delle parti contraenti manifesta la volontà di sciogliere il contratto. Di regola, le parti non sono legittimate a recedere unilateralmente dal contratto, poiché quest'ultimo ha forza di legge tra i contraenti (art. 1372 c.c.). Il recesso unilaterale può essere esercitato solo se tale facoltà è stata espressamente pattuita convenzionalmente, come nel caso che ci occupa in ragione del citato art. 11, o se è previsto dalla legge. 3.1.1) E' lo stesso committente ad ammettere di aver esercitato il diritto potestativo di recesso riconosciutogli convenzionalmente, mediante un atto unilaterale recettizio, subordinato all'osservanza di un periodo di preavviso (che, nella specie, si pone come limite temporale all'efficacia del recesso con la funzione di tutelare l'appaltatore dalle conseguenze negative di un recesso immediatamente efficace), laddove: (I) a pagina 3 della comparsa di costituzione, testualmente dichiara "il recesso da parte dell'odierna convenuta è divenuto efficace ... in data 07.02.2012, al termine del periodo di preavviso di 90 giorni contrattualmente previsto all'art. 11"; (II) mentre alle pagine 4 e 5 della comparsa si legge, rispettivamente: "in data 04.11.2011 il Dott. (...) ... ai sensi e per gli effetti dell'art. 11 del contratto di appalto ... comunicava recesso dello stesso alla ditta appaltatrice (...) s.r.l. ... l'odierna convenuta ha esercitato il diritto di recesso contrattualmente previsto ai sensi dell'art. 11 e normativamente sancito dall'art. 1671 c.c."; (III) alle pagine 15 e seguenti della comparsa di costituzione dedica un intero paragrafo all'intervenuto esercizio del diritto di recesso ex art. 1671 del codice civile. 3.1.2) Atteso che la facoltà di recesso è intesa come diritto potestativo che consente ad una parte di provocare unilateralmente lo scioglimento del vincolo contrattuale per il quale il suo interesse è venuto meno trattenendo la parte di opera o di servizio già eseguiti, senza necessità di giustificazione alcuna purché esercitato con modalità conformi al principio di buona fede, il legislatore ha contemperato questa esigenza con quella dell'appaltatore a non essere pregiudicato da un atto che non esige nemmeno una giustificazione: pertanto, questi ha diritto al compenso per quanto già eseguito e trattenuto dal committente nonché a ciò che avrebbe dovuto percepire se l'opera fosse stata compiuta per l'intero. 3.1.3) Nella specie, dunque, l'appaltatore ha acquisito automaticamente il diritto a conseguire il pagamento delle opere eseguite , oltre al rimborso delle spese sostenute e al risarcimento per il mancato guadagno: "Il diritto di recesso esercitabile "ad nutum" dal committente in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto di appalto non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto, ma, al contrario, stante l'ampiezza di formulazione della norma di cui all'art. 1671 cod. civ., può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine al rapporto, da un canto, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera (avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto dalla detta norma), e, d'altro canto, rispondendo il compimento dell'opera esclusivamente all'interesse del committente. Ne consegue che il recesso può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, e, poiché il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente, non è in tal caso necessaria alcuna indagine sull'importanza dell'inadempimento, viceversa dovuta quando il committente richiede anche il risarcimento del danno per l'inadempimento già verificatosi al momento del recesso" (Corte d'Appello di Milano, sentenza n. 857 del 03.04.2020). 3.1.4) Essendo il recesso espressione dell'esercizio del diritto potestativo del committente, esercitabile senza necessità di giustificazioni (cass. n. 10400/2008) in qualunque momento posteriore alla conclusione del contratto (cass. n.17340/2003), logico corollario è che l'obbligo di pagamento all'appaltatore dell'indennizzo ex art. 1671 c.c., costituisce effetto automatico della decisione di scioglimento dal vincolo adottata unilateralmente dal convenuto" (cass. n. 23558 del 09.10.2017). E', infatti, previsto a favore dell'appaltatore il pagamento di una indennità, che costituisce debito di valore e che si giustifica in ragione che il recesso, negozio unilaterale recettizio, produce effetti ex nunc, con la conseguenza di far conseguire al committente la proprietà dell'opera fino al quel momento realizzata. 3.1.5) All'uopo, nessun pregio assumono le asserite contestazioni di vizi e /o difetti, tanto che il committente non ha mai attivato le verifiche in corso d'opera sullo svolgimento dei lavori espressamente previste dall'art. 16621 c.c., a norma del quale "Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. ", né ha mai fissato un congruo termine intimando alla (...) SrL in bonis di conformarsi alle condizioni stabilite dal contratto ed a regola d'arte come espressamente previsto dal secondo comma del citato articolo 1662 c.c. in ragione del quale "Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno". 3.1.5.1) Del resto, solo all'esito della notificazione dell'atto di citazione, la società (...) Company SrL deduceva che il recesso /risoluzione del contratto di appalto era stato esercitato a causa di evocati ed invocati inadempimenti della società appaltatrice in bonis. In ogni caso, a prescindere dalla circostanza che nella fattispecie non vi è prova di vizi e/o difetti dell'opera, la giurisprudenza, in ragione della circostanza che i rapporti tra azione di risoluzione e azione di recesso si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale, è univoca nell'affermare che: "Ove ... il committente abbia dapprima optato per il recesso, determinando lo scioglimento del rapporto, gli rimane preclusa la successiva proposizione della domanda di risoluzione" (cass. n. 16404/2017). Comunicata l'intenzione di recedere, non può più essere richiesta la risoluzione del contratto (cass. n. 7649/1994), né il recesso può essere esercitato dopo che sia stata richiesta la risoluzione (cass. n. 5237/1983). 3.1.6) Neppure hanno pregio le contestazioni di parte convenuta circa i presunti inadempimenti della ditta appaltatrice, asseritamente consistenti nella (I) tardiva consegna del computo metrico, (II) nel ritardo nell'esecuzione di alcune opere e (III) nella ritenzione del cantiere. 3.1.6.1) Quanto alla tardiva consegna del computo metrico, nel caso di appalto a corpo, come nel caso che ci occupa, conta solo il prezzo finale che, allorché accettato, è vincolante per l'appaltatore, mentre "il richiamo ai prezzi unitari e ai calcoli contenuti nel computo metrico ha valore di semplice traccia indicativa delle modalità di formazione del prezzo globale che è destinata a restare fuori dal contenuto del contratto" (cass. n. 5262/2015). Del resto, non menzionandolo l'art. 19 tra gli allegati costituenti parte integrante dell'accordo, autorizzando il committente l'avvio dei lavori senza di esso e provvedendo ai pagamenti dei primi tre stati di avanzamento, l'irrilevanza del computo metrico trova conferma nel contenuto del contratto di appalto e nella condotta di parte convenuta. 3.1.6.2) Dalla lettura della missiva del 17.10.2011 (doc. 8 di parte convenuta), non è dato desumere, come vorrebbe il committente, l'ammissione da parte dell'appaltatore di mancanze nei lavori effettuati, atteso che il riferimento allo "stato d'avanzamento scarsamente produttivo" era relativo alla pendenza di un procedimento avviato dal Comune di San Bartolomeo al Mare a seguito di una segnalazione di terzi. 3.1.6.2.1) Quanto alla mancata ultimazione dei lavori, all'evidenza essa è la conseguenza dell'intervenuto recesso. Del resto, come già osservato, la società (...) Company SrL non ha mai azionato i rimedi previsti dall'art. 1662 c.c.. 3.1.6.3) Parimenti infondata è l'allegazione di una asserita ritenzione del cantiere da parte della (...) SrL in quanto il cantiere rientrava nella disponibilità della committenza tanto che in data 5.7.2012 una impresa terza procedeva "al completamento delle nuova recinzione, posta in opera nella posizione concordata" (doc. 10 di parte convenuta). 3.1.6.4) Del resto, la società convenuta non svolgeva alcuna domanda riconvenzionale per la compensazione delle somme richiesta in pagamento dal fallimento con quelle corrispondenti ai pretesi danni sofferti, anzi espressamente rinunciava a formulare richieste economiche contro il fallimento. Quanto osservato rende del tutto ultronea la produzione n.14 di parte convenuta relativa alla quantificazione del danno derivante dall'asserito inadempimento. 3.2) In ragione del fatto che all'esercizio del diritto di recesso segue l'automatico diritto dell'appaltatore a percepire l'indennizzo delle voci indicate nell'art. 1671 c.c. e in ragione della mancata prova degli asseriti inadempimenti della società appaltatrice, l'invocata eccezione di inadempimento, peraltro mai svolta in costanza del rapporto contrattuale, è priva di qualsivoglia pregio. 3.3) Solo "la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente per inadempimento già verificatosi al momento dell'esercizio del recesso ex art. 1371 c.c. può vanificare l'obbligo del committente recedente di indennizzare l'appaltatore" (cass. n.11642/2003). 3.4) Conseguentemente, non avendo il committente formulato alcuna domanda riconvenzionale di accertamento o di quantificazione del danno asseritamente sofferto e non avendo eccepito neppure in compensazione l'esistenza di un proprio diritto al risarcimento, la domanda attrice sul punto va accolta e, per l'effetto, la società (...) Company SrL è tenuta a pagare al fallimento della (...) SrL l'indennizzo previsto dall'art. 1671 c.c. quale "effetto automatico della decisione di scioglimento adottata unilateralmente dal convenuto" (cass. n. 23558/2017). 3.4.1) Come già anticipato, l'obbligazione indennitaria costituisce debito di valore. La liquidazione dell'obbligazione "di valore" va effettuata, secondo la giurisprudenza prevalente, attraverso una triplice operazione (cass. n. 11899/16; cass. n. 9950/2017): (a) la quantificazione in termini monetari del valore che la prestazione oggetto dell'obbligazione aveva all'epoca in cui è sorta l'obbligazione stessa (cd. estimatio); (b) la successiva rivalutazione di detto importo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione (cass. n.13225/2016), attraverso l'applicazione degli indici ISTAT di variazione del costo della vita (cd. taxatio); (c) la liquidazione dell'ulteriore danno da ritardo, dall'epoca in cui è sorta l'obbligazione al momento della liquidazione, nell'ottenimento della prestazione: cd interessi compensativi. Questi ultimi, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della prestazione via via rivalutata (cass. UU, n.1712/1995). Va, dunque, altresì, riconosciuto il danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell'equivalente pecuniario che, in difetto di diversi elementi probatori, si ritiene di compensare adottando quale parametro quello degli interessi legali da calcolarsi, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (n.1712/95), sulla somma via via rivalutata dalla produzione dell'evento di danno sino ad oggi, tempo della liquidazione. Così, tenuto conto di questo criterio, previa devalutazione alla data del fatto, ovvero del momento in cui diveniva efficace il recesso (07.02.2012), della somma espressa in moneta attuale, vanno aggiunti alla somma via via rivalutata annualmente gli interessi compensativi nella misura legale fino alla data odierna. Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma sopra liquidata complessivamente. 4. sulla QUANTIFICAZIONE DELL'INDENNIZZO SPETTANTE AL FALLIMENTO. Il CTU ha quantificato il corrispettivo per i lavori eseguiti dalla (...) SrL in bonis, basato sull'effettivo stato di avanzamento e non sul raffronto proporzionale dei prezzi, nella somma di Euro 307.782,46 oltre IVA. 4.1) Ai sensi dell'art. 11 del contratto di appalto, la determinazione del corrispettivo delle opere svolte, in caso di recesso del committente, deve avvenire mediante valutazione di "tutti i lavori e forniture a piè d'opera presenti alla data di riconsegna delle opere". 4.1.1) In ragione della circostanza che la (...) COMPANY SrL ha versato acconti pari ad Euro 246.000,00, il Fallimento vanta un credito, a titolo di lavori svolti e non saldati, pari ad Euro 61.782,46 oltre IVA. Su di essa, devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, sono dovuti interessi al tasso legale sino alla data di pubblicazione della sentenza. Sulla somma liquidata a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo. 4.2) Alla società appaltante spetta, altresì, l'indennizzo delle spese tecniche e di sicurezza. Dal documento n.8 di parte convenuta si evince che la società (...) SrL in bonis ha sostenuto esborsi per spese tecniche pari ad Euro 27.400,00 oltre IVA nonché oneri per la sicurezza pari ad Euro 6.578,97 oltre IVA, per un totale complessivo di Euro 33.978,97 oltre IVA. Su di essa, devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, sono dovuti interessi al tasso legale sino alla data di pubblicazione della sentenza. Sulla somma liquidata a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo. 4.3) Quanto alla voce mancata guadagno, ossia dell'utile netto che l'appaltatore avrebbe conseguito a seguito dell'esecuzione del contratto, dell'indennizzo dovuto ex art. 1671 c.c., va determinata in via equitativa sulla base di criteri presuntivi e non effettivi (cass. n.5879/2017). 4.3.1) Secondo il consolidato indirizzo del giudice di legittimità, in ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1671 c.c., grava sull'appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi, ovvero gli ha procurato vantaggi diversi (cass. 9132/2012; cass. n.5879/2017). Nella liquidazione di tale indennizzo, peraltro, il giudice del merito ha facoltà di applicare il criterio equitativo che, se costituisce il metodo normale per la valutazione del lucro cessante (ex art. 2056 c.c.), può essere utilizzato per qualsiasi danno, quando sia impossibile o assai difficoltoso, sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, fornire la prova precisa dell'entità del pregiudizio sofferto (cass. 2608/2003; cass. n.5879/2017). 4.3.2) A tale fine, questo giudice ritiene che l'utile netto possa essere commisurato, ex art. 1226, al 5% del corrispettivo contrattuale pari ad Euro 900.000,00 oltre IVA. 4.3.2.1) Pertanto, considerato che l'importo di Euro 246.000,00 è già stato pagato dalla società (...) COMPANY SrL e che la stessa viene condannata a pagare la somma di Euro 61.782,46 a titolo di saldo dei lavori svolti e la somma di Euro 33.978,97 oltre IVA per spese tecniche e di sicurezza, il mancato guadagno, conteggiato sulla differenza tra il corrispettivo totale (900.000,00 + IVA) meno la somma di Euro 341.761,43 (246.000,00 + 61.782,46 + 33.978,97), pari al 5%, è di Euro 27.911,92 oltre IVA se dovuta. Su di essa, devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, sono dovuti interessi al tasso legale sino alla data di pubblicazione della sentenza. Sulla somma liquidata a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo. 5. sulla RESPONSABILITÀ PROCESSUALE AGGRAVATA PER TEMERARIETÀ DELLA RESISTENZA IN GIUDIZIO. A giudizio della società attrice, la società convenuta avrebbe resistito in giudizio in modo temerario, con abuso del processo e in violazione degli obblighi di buona fede. 5.1) L'istituto della responsabilità processuale aggravata, disciplinato dall'art. 96 c.p.c., tutela l'interesse della parte a non subire pregiudizi per effetto dell'azione o della resistenza dolosa o colposa del contraddittore. La c.d. responsabilità aggravata per temerarietà della lite, abbracciando in sé tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali delle parti e coprendo ogni effetto pregiudiziale che da questi ne derivi, contempla tutti gli illeciti correlati alla qualità di parte del processo. Disciplinata dall'art. 96 c.p.c., la suddetta responsabilità costituisce una ipotesi peculiare sussumibile nella più ampia categoria della responsabilità aquiliana extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., rispetto alla quale si atteggia con carattere di specialità in modo che "pur rientrando concettualmente nel genere della responsabilità per fatti illeciti, ricade interamente, in tutte le sue ipotesi, sotto la disciplina dell'art. 96 c.p.c." (cfr. cass, n.12029/2017; cass, n.3573/2002). Fra i presupposti onde ottenere la condanna della controparte al risarcimento del danno di cui all'art. 96 c.p.c. vi è il carattere temerario della lite ovvero la coscienza dell'infondatezza delle tesi sostenute o il difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta consapevolezza (cass., n.9060/2003) o l'ignoranza colpevole in ordine a detta fondatezza (cass., n.327/2010; cass., n. 13071/2003). 5.2) La lite temeraria ex art. 961 c.p.c. disciplina una fattispecie risarcitoria con funzione compensativa del danno cagionato dal c.d. illecito processuale. L'archetipo di tale illecito è sicuramente aquiliano: verte sull'impulso della parte danneggiata che deve assolvere all'onere di allegare almeno gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, anche se equitativa, del danno cha assume patito. La temerarietà, nel bilanciamento degli interessi in gioco tra le parti contendenti, è ravvisabile tutte le volte in cui si ha non solo coscienza dell'infondatezza della lite intrapresa, ma anche quando vi è difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta coscienza. Il danno aquiliano, secondo questa prospettiva, è dato dal pregiudizio eziologicamente determinato (causa-effetto) dell'instaurazione del processo. In linea di principio, secondo la prevalente giurisprudenza, il presupposto per l'applicabilità della norma di cui all'art. 96 c.p.c. - nel rispetto del principio secondo cui la responsabilità processuale aggravata si sostanzia in una forma di danno punitivo teso a scoraggiare l'abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia con la censura di iniziative giudiziarie avventate o meramente dilatorie - è la presenza, in capo al destinatario della condanna, della mala fede o della colpa grave previsti per la lite temeraria di cui al comma 1 di detta norma. In particolare, si richiede: a) un requisito oggettivo costituito dalla soccombenza (totale), con la conseguente condanna alle spese; b) un requisito soggettivo costituito dalla mala fede o colpa grave del soccombente, il verificarsi di un conseguente danno a carico del vincitore. L'ampia formulazione del comma 3 consente, inoltre, al giudice di emettere condanna anche d'ufficio della parte soccombente (e quindi a prescindere da una specifica domanda in tal senso) al pagamento, a favore della controparte, di una "somma equitativamente determinata" e quindi sganciata dalla prova del quantum del danno riportato dalla parte vittoriosa. 5.3) Quanto al regime probatorio per l'accoglimento della domanda per lite temeraria, avendo la responsabilità per lite temeraria natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 961 c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa. 5.4) Nel caso di specie, non essendo stata provata la ricorrenza della mala fede o della colpa grave nella condotta della parte convenuta e non potendo evincersi il carattere temerario della lite dalla mera opinabilità del diritto fatto valere e dalle prospettazioni giuridiche riconosciute errate da questo giudice (cass., n. 19298/2016; cass. n.3376/2016; cass. n.15030/2015), non può dirsi integrata la invocata fattispecie di responsabilità aggravata non solo di cui al comma 1, bensì anche di cui al comma 3, atteso che l'agire in giudizio per far valere una pretesa che poi si rileva infondata non è in re ipsa condotta rimproverabile per l'ordinamento giuridico (cass. n.21570/2010). 6. sulle ULTERIORI QUESTIONI. Le ulteriori domande, eccezioni e questioni proposte dalle parti devono ritenersi assorbite, anche in ossequio al c.d. "criterio della ragione più liquida", in forza del quale la pronuncia viene emessa sulla base di un'unica ragione, a carattere assorbente, che da sola è idonea a regolare la lite (cfr. per tutte: cass. UU n.26242/2014; cass. UU n. 26243/2014; cass. n. 16630/2013; cass. n. 11356/2006) 7. sulle SPESE DI GIUDIZIO Principio cardine che regola la materia relativa alle spese processuali è il criterio della soccombenza, sancito dall'art. 91 c.p.c., laddove prevede che il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi (cass. n. 25111/2006). Al criterio della soccombenza può derogarsi, ai sensi dell'art. 92 c.p.c., in caso di reciproca soccombenza, ovvero, "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Con l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 77/18) è stato dichiarato incostituzionale il comma 2 dell'art. 92 nella parte in cui non prevede che il giudice possa disporre la compensazione anche laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere specificamente indicate nella motivazione. Ne consegue che le ipotesi espressamente indicate dal legislatore devono ritenersi paradigmatiche svolgendo "in sostanza una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale". 7.1) In ragione della soccombenza, (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...), deve essere dichiarata tenuta e condannata a rimborsare in favore del FALLIMENTO della società (...) SrL, in persona del curatore fallimentare, le spese del presente giudizio, così come liquidate in dispositivo, in conformità del D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come aggiornato dal D.M. n. 37 dell'8 marzo 2018, tenendo però conto del "criterio del decisum", proporzionando cioè gli onorari all'effettiva consistenza della lite (cass. SSUU n.19014/2007; cass. n. 21256/2016). All'uopo, tenuto conto della natura della controversia, caratterizzata dall'esiguo numero e limitata complessità delle questioni di fatto e di diritto trattate e dall'assenza di una fase istruttoria, i compensi vengono liquidati sulla base del D.M. n. 55 del 2014, secondo il valore medio di liquidazione previsto per le cause di valore da Euro 52.001,00 ad Euro 260.000,00 e precisamente: - fase di studio, Euro 2.430,00 - fase introduttiva, Euro 1.550,00 - fase decisionale, Euro 4.050,00 per un compenso complessivo di Euro 9.234,50, di cui Euro 8.030,00 per compenso tabellare ed Euro 1.204,50 per spese generali (15% sul compenso totale), oltre Euro 759,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 8. sulle SPESE DI CTU Le spese di CTU, in ragione della soccombenza, vanno poste definitivamente a carico di (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...) P.Q.M. Il TRIBUNALE di IMPERIA, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunziando: 1) accoglie la domanda attrice e, per l'effetto condanna la società (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...), al pagamento in favore del Fallimento della società (...) SrL, in persona del curatore fallimentare, delle sottoindicate somme di danaro ex art. 1671 c.c.: 1.1) Euro 61.782,46 oltre IVA, se dovuta, a titolo di lavori svolti e non saldati, oltre interessi compensativi da calcolarsi al tasso legale sulla somma devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, e decorrenti dalla medesima data di efficacia del recesso alla data di pubblicazione della sentenza. Su tutte le somme liquidate a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo; 1.2) Euro 33.978,97 oltre IVA, se dovuta, a titolo spese tecniche e di sicurezza , oltre interessi compensativi da calcolarsi al tasso legale sulla somma devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, e decorrenti dalla medesima data di efficacia del recesso alla data di pubblicazione della sentenza. Su tutte le somme liquidate a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo; 1.3) Euro 27.911,92 oltre IVA, se dovuta oltre IVA, a titolo di mancato guadagno, oltre interessi compensativi da calcolarsi al tasso legale sulla somma devalutata alla data di efficacia del recesso (07.02.2012) e quindi annualmente rivalutata, e decorrenti dalla medesima data di efficacia del recesso alla data di pubblicazione della sentenza. Su tutte le somme liquidate a titolo di capitale, rivalutazione ed interessi sono dovuti ulteriori interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di reale soddisfo. 2) respinge la domanda di risarcimento del danno svolta da parte attrice per lite temeraria 3) condanna (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...), al pagamento in favore del Fallimento della società (...) SrL, in persona del curatore fallimentare, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 9.234,50, di cui Euro 8.030,00 per compenso tabellare ed Euro 1.204,50 per spese generali (15% sul compenso totale), oltre Euro 759,00 per contributo unificato, Euro 27,00 per anticipazioni forfettarie, cassa avvocati e IVA su imponibile, come per legge 4) pone le spese di CTU definitivamente a carico di (...) COMPANY SrL, in persona dell'Amministratore Unico pro-tempore in qualità di Trustee del (...) 5) visto l'art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante rete di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati Così deciso in Imperia il 13 luglio 2021. Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Imperia quale Giudice del Lavoro, in persona del dott. Roberto De Martino, ha emesso, all'udienza di discussione del 7 gennaio 2021, la seguente SENTENZA a definizione del procedimento iscritto al n. 744/2016 R. Gen., vertente TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Ge., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Genova - Via (...) - RICORRENTE - E M.I.U.R. - Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliato, in Genova - Viale (...) - RESISTENTE - E GUIDI Debora, rappresentata e difesa dall'avv. Al.Vi., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Sanremo (IM) - Via (...) - CHIAMATA IN CAUSA - Avente ad oggetto: assegnazione posto di lavoro. Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato il 12 ottobre 2016, (...) Alessandra, dipendente a tempo indeterminato dal M.I.U.R. fin dal 2007, ha agito contro il proprio datore di lavoro, avanzando nei suoi confronti la domanda riportata in epigrafe. In fatto, la ricorrente esponeva che, in data 25/3/2012, aveva richiesto il passaggio di ruolo dalla scuola di infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, ma che la sua istanza non era stata accolta per la mancanza di posti disponibili. Lamentava che, a decorrere dal 1 settembre 2012, tale (...) era stata immessa in ruolo, per la classe di concorso A036, oggetto della sua domanda. Il Ministero convenuto si è ritualmente costituito in giudizio ed ha contestato la pretesa vantata ex adverso. Con ordinanza emessa il 6/10/2018, è stata disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta (...), reputata litisconsorte necessaria. Il ricorso in esame, ad avviso del Giudicante, non è fondato. La prof. (...) assume, in buona sostanza, la violazione del proprio diritto all'assegnazione del posto occupato dalla collega chiamata in causa, deducendo, per converso, l'illegittimità del provvedimento con cui il Ministero ha assegnato alla stessa detto posto. La tesi è tuttavia priva di pregio, dovendosi infatti condividere, a giudizio del Tribunale, le argomentazioni articolate in senso contrario dalle altre parti. In primo luogo, va considerato che, secondo il comma 6 dell'art. 6 del C.C.N.I. sulla mobilità del 29 febbraio 2012, non è disponibile (appunto per le operazioni di mobilità) l'eventuale posto dispari: nella fattispecie, viene in rilievo un unico posto vacante, appunto quello assegnato alla (...), per cui risulta applicabile la clausola appena citata. Più in generale, come evidenziato dalla chiamata in causa, occorre precisare che le operazioni di mobilità professionale cui ha partecipato la (...) sono state regolate dalla O.M. del 5/3/2012, che ha fissato la data del 12/7/2012 quale termine ultimo per l'espletamento della relativa procedura. Ed è dato pacifico che, all'epoca, non vi fossero posti disponibili in relazione alla classe di concorso A036 richiesta dalla ricorrente: pertanto, la P.A., in data 26/7/2012, ha correttamente adottato un provvedimento negativo. Inoltre, per lo stesso motivo, le vicende successive alla conclusione delle operazioni di mobilità sono del tutto ininfluenti ai fini presenti: segnatamente, non assume alcuna rilevanza la liberazione del posto conseguita al passaggio del prof. (...) ad altra cattedra, siccome intervenuto soltanto nel mese di agosto - quando la fase della mobilità per l'anno di riferimento si era ormai esaurita. Né pare superfluo rimarcare la radicale diversità delle posizioni giuridiche della ricorrente e della (...): mentre la prima era già in ruolo ed ha partecipato ad una procedura di mobilità cd. professionale, la seconda era una lavoratrice precaria, immessa in ruolo attingendo alle G.A.E. Tale netta distinzione di status consente di ancor meglio comprendere le ragioni della totale ininfluenza dell'una procedura sull'altra. La domanda proposta dalla (...) va perciò respinta. L'assoluta novità della questione trattata, certamente singolare, giustifica la compensazione integrale tra tutte le parti in causa delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) rigetta la domanda; b) compensa le spese tra tutte le parti; c) fissa il termine di gg. 60 per il deposito della sentenza. Così deciso in Imperia il 7 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IMPERIA SEZIONE CIVILE in composizio ne monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Maria Teresa De Sanctis, ha pronunciato la seguente SENTENZA a definizione del giudizio iscritto al n. 2157 /2018 R.G. , assunto in decisione, con i termini, all'udienza del 27 .01.2021 e vertente TRA (...) nata a T. il (...) e residente in I. Via (...) (c.f. (...)), elettivamente domiciliata in Imperia Via (...) presso e nello studio dell'Avv. (...) (c.f. (...)) che la rappresenta e difende per delega su separato foglio allegato all'atto di citazione ; - PARTE ATTRICE - E CONDOMINIO (...) sito in I., Via (...) (c.f. (...) ), in persona del l'V. pro tempore , G eom. B. O., elettivamente domiciliato in I., Via (...) 18/5 rappresentat o e difeso dall'Avv. (...) ((...) avvocati (...); c.f. (...)), in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione ; - PARTE CONVENUTA - MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Oggetto del processo è la domanda proposta dalla condomina Sig.ra (...) nei riguardi del Condominio (...), sito in I. Via (...), volta alla declaratoria di nullità o vvero all'annullamento della delibera assembleare adottata in data 01.02.2018 con riguardo ai punti da 1) a 8) per violazione del disposto degli artt. 1137 e 1123 c.c.. Parte attrice deduce due motivi di impugnazione avverso la anzidetta delibera. Giova premettere in fatto che con tale delibera l'Assemblea condominiale, in seconda convocazione, ha approvato il computo metrico redatto dall'Ing. (...) per l'adeguamento alla normativa tecnica antincendio dell'autorimessa sita al piano interrato dell'edificio condominiale e le lavorazioni in esso contenute ; ha quindi deliberato l'affidamento dei lavori alla Ditta (...) snc, approvando altresì l'importo dei lavori stimato in EUR 16.193,25 oltre iva ; dopo aver e concordato all'unanimità dei presenti (9 condomini su 19, rappresentanti 509,72 mm/gen), compreso il delegato dell'odierna attrice , che i condomini non titolari di unità immobiliari site al piano interrato non sia no tenuti a partecipare alle spese per l'adeguamento dell'autorimessa interrata alla normativa di prevenzione degli incendi, ha deliberato di ripartire la spesa tra i soli condomini titolari di box -auto con il voto favorevole di 6 condomini su un totale di 11 titolari d i box - auto e cantine nell'interrato, rappresentanti 30,45 MM/INTERRATO su 72,63 totali , contrario il delegato dell'attrice (mm/interrato 22,29) (e assenti i restanti 4 condomini) e d ha, quindi, de liberato di ripartire la spesa tra le sole unità immobiliari con destinazione garage, con il voto favorevole di 5 condomini su 8 titolari di box - auto, rappresentanti 26,23 millesimi generali dei locali destinati a garage (MM/BOX) su 57,16 totali, contrario il delegato dell'attrice (mm/box 22,29). Tanto premesso, assume nella specie rilievo la qualificazione dei vizi dedotti dall'attrice, attraverso i due motivi di impugnazione proposti, in termini di nullità o invece di annullabilità , atteso che è fondato il rilievo sollevato dal condominio convenuto circa l'intervenuta decadenza della Sig.ra (...) dal potere di impugnare la delibera assembleare assunta in data 1.2.2018 per vizi di annullabilità, avendo l'Amministratore di condominio ricevuto la comunicazione della domanda di mediazione, ai fini dell'impedimento ai sensi dell'art. 5 comma 6 D.Lgs. n. 28 del 2010 della decadenza dal termine di trenta giorni di cui all'art. 1137 c.c. u.c., in data 22.3.2018 e dunque oltre il termine del 3.3.2018. 2. Con il primo motivo di doglianza, parte attrice deduce che la delibera assembleare del 1.2.2018 avrebbe modificato il criterio legale di ripartizione delle spese in difetto della necessaria unanimità del consenso di tutti i condomini. L'attrice deduce , in primo luogo, che l'adeguamento dell'edificio alla normativa antincendio investe la struttura del fabbricato nel suo complesso e , come tale , non consente di esonerare i condomini che non abbiano proprietà esclusive nel piano interrato interessato dalle opere di adeguamento alla normativa di settore. Tale allegazione è generica ed al limite della ammissibilità in quanto l'attrice non ha specificato il diverso criterio normativo d'applicazione al caso di specie, ossia non ha specificato se l'intera spesa di cui ai lavori contenuti nel computo metrico sia stata adottata in violazione dell'art. 1223 comma 1 c.c. e le ragioni per cui ciò sarebbe, per ipotesi, avvenuto. Sotto ulteriore aspetto l'attrice adduce che parte dei lavori oggetto della delibera devono essere eseguiti su porzione di fabbricato costituente l'ex loca le caldaia, su porzione di scala condominiale e su porzione di immobile facente parte dell'impianto di ascensore, ossia su beni comuni rientranti nel novero della disciplina di cui all'art. 1117 c.c., da ciò desumendo che anche i condomini dei piani superiori al seminterrato debbano partecipare a i relativi costi. Ritiene il giudicante che tale motivo di impugnazione debba essere qualificato in termini di nullità, in quanto con esso viene prospettata la violazione del diritto della condomina attrice a concorrere alle spese in misura non superiore a quella dovuta per legge. Sul punto si richiama l'orientamento giurisprudenziale per cui "in via di principio sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto e perciò pure impugnabili indipendentemente dall'osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c. tutte le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e dunque in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppure limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale" (Cass. 6 Sez. Civ. - 2, ord. 10.02.2017 - 09.03.2021 n. 6128). Nella specie, tuttavia, non può sostenersi nel merito che l'assemblea del condominio (...) abbia esulato dalle proprie attribuzioni e modificato i criteri di riparto delle spese di adeguamento antincendio dell'autorimessa stabiliti dalla legge, sicché deve escludersi la nullità della delibera. Al riguardo va rilevato che in sede di interpretazione del l'art. 1123 c.c., riferito alle parti comuni dell'edificio che provocano l'obbligo di spesa, secondo l'assetto offerto da stabile giurisprudenza, devono diversificarsi gli ambiti di operatività del primo e del secondo comma, in quanto vi sono beni che producono utilità in senso oggettivo in favore delle unità di proprietà esclusiva, in forza della loro unione materiale o destinazione funzionale assolutamente necessaria al servizio collettivo dei condomini e dunque indipendentemente da qualsiasi attività umana compiuta dal singolo partecipante. Altre parti comuni, per contro, arrecano utilità solo per effetto dell'attività personale potenzialmente svolta dai titolari delle unità immobiliari individuali. Su tali basi, le spese per la conservazione della prima categoria di beni, rientranti, per la loro funzione, fra le cose comuni, sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123 , mentre le spese correlate ai beni della seconda categoria, giacché suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, giustificano il ricorso agli altri due metodi di ripartizione contemplati dalla medesima disposizione (c.f.r. ex multis Cass. II, n. 6010/2019; Cass. n. 2946/2005; Cass. n. 1420/2004). Occorre evidenziare che questa contrapposizione tra i primi due commi dell'art. 1123 c.c. costituisce conferma della rilevanza del fine che l'obbligazione di contribuire alle spese persegue nel regime condominiale. In definitiva, l'obbligo del condomino di contribuire ex art. 1123 co. 1 c.c., in proporzione della rispettiva quota, indipendentemente dalla misura dell'uso alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio ha origine nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio ed il criterio di riparto applicabile è basato sul valore della proprietà di ciascun condomino, per contro il criterio dell'uso differenziato offerto dal comma 2 dello stesso articolo , il quale prevede che se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono espressamente ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne , è correlato al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune, in base all'oggettiva destinazione impressa alla stessa. Nel caso di specie , le spese da ripartire concernono lavori obbligatori in forza del decreto 16 febbraio 1982 del Ministero dell'Interno per i titolari di autorimesse private della superficie inferiore a 300 mq e con massimo nove autoveicoli, incidenti sul piano interrato dell'edificio (sul quale si aprono i singoli box). Si tratta dell'adeguamento dell'autorimessa coperta situata al piano interrato dell'edificio condominiale alle regole tecniche di sicurezza prescritte per la costruzione e l'esercizio delle autorimesse. L'adeguamento a tale normativa - entrata in vigore, secondo quanto desumibile dall'interrogatorio formale dell'Amministratore di condominio, (...), assunto all'udienza del 16.7.2020, successivamente alla realizzazione del piano interrato del fabbricato condominiale, la cui sanatoria edilizio -urbanistica in relazione alle part i comuni sarebbe stata presentata di recente (c.f.r. verbale di interrogatorio formale) - è diretto allo scopo di consentire l'utilizzo della stessa per il ricovero, la sosta e la manovra dei veicoli. Ne deriva che si tratta di interventi necessari affinchè il piano interrato possa essere utilizzato come autorimessa, posto che un 'eventuale carenza dei requisiti prescritti dalle norme tecniche del D.M. 16 febbraio 1982 renderebbe l'(...) di Condominio responsabile del l'impedimento all'uso dei propri garage s da parte di tutti i condomini proprietari di box nell'interrato, oltre ad imporre all'(...) l'obbligo di diffida al corretto utilizzo del bene nei confronti di singoli condomini che, per ipotesi, utilizzassero veicoli in difetto di adeguamento alle misure antiincendio, e ciò sotto il profilo dei rapporti condominiali, in di sparte il profilo amministrativistico inerente a possibili provvedimenti dei Vigili del Fuoco inibitori o recanti prescrizioni al condominio. Non è discusso tra le parti che i sistemi di protezione (estintori, porte tagliafuoco, ecc.) debbano essere presenti e che l'Amministratore di condominio sia responsabile del mantenimento delle condizioni di efficienza delle attrezzature e degli impianti di protezione antincendio. Ciò detto, lo scopo dei lavori oggetto di approvazione da parte dell'assemblea con la de libera dell'1.2.2018 è consentire ai condomini titolari di box di poter fruire dell'autorimessa interrata, mentre solo indirettamente e di riflesso viene perseguita la conservazione delle strutture comuni contro i rischi di incendio. In tal caso, quindi , il metro di riparto delle spese non è quello previsto dal comma 1 dell'art. 1123 c.c., ma quello prescritto dal comma 2, trattandosi di spese per l'uso delle parti comuni che trovano il proprio fondamento negli esborsi correlati al godimento dell'autorimessa interrata. In tal senso , si richiama l'orientamento espresso dal la Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7077 del 22/06/1995 ), secondo cui: "In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalità tra spese ed u so di cui al secondo comma dell'art. 1123 cod. civ., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell'uso che ciascuno può farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, può servire ad uno o più condomini possano essere poste anche a carico di quest'ultimi (Nella specie, si trattava delle spese di installazione della porte tagliafuoco dell'atrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in proprietà esclusiva di singoli condomini, secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982)". In particolare, si legge nelle motivazioni della sentenza che: " (...) il fatto che le porte tagliafuoco e l'impianto di ventilazione dei box siano stati installati nella parte del piano seminterrato sulla quale si aprono le autorimesse di proprietà esclusiva di alcuni condomini, parte ritenuta comune dal regolamento condominiale, se consente di affermare che le spese relative alle opere poste in essere sono attinenti a cosa comune, non comporta che esse debbano essere sopportate pro quota da tutti i condomini (...) dal momento che l'uso della parte di seminterrato in oggetto non è destinato a tutti, ma solo ai proprietari delle autorimesse (...)". Ed ancora: "Il fatto poi che le opere poste in essere nei locali garage , oltre ad esplicare una funzione di prevenzione e di sicurezza a favore dei condomini che utilizzano i garage, in quanto costituiscono un ostacolo alla diffusione degli incendi, indirettamente servano anche agli altri condomini non influisce sul criterio di ripartizione delle spese che l'art. 1223, comma 2, c.c. pone solo a carico di coloro che usano i locali fonte di pericolo" (c.f.r. altresì più di recente Cass. civ., Sez. II, sentenza del 30.4.2015/28.08.2015 n. 17268). Ritiene lo scrivente che , nella specie, le spese deliberate dall'assemblea del Condominio (...) attengano a lavori necessari per l'uso del piano interrato come autorimessa, sicché debba trovare applicazione il criterio normativo dettato dal comma 2 dell'art. 1123 c.c. , con conseguente legittimità della omessa partecipazione alla spesa dei condomini dei piani superiori al seminterrato, che non usano i local i fonte di pericolo. Del resto la struttura dell'interrato non prevede aree di parcheggio comuni e, secondo il regolamento condominiale, la rampa di accesso al piano interrato è ad uso esclusivo dei condomini proprietari di immobili al piano interrato, sicché non è fondato l'invocato obbligo di partecipazione alle spese dei condomini che non abbiano proprietà esclusive nella zona interessata dalle opere di adeguamento alla normativa di settore. Nessuna specifica censura l'attrice muove con riguardo alla partecipazione alle spese da parte dei proprietari di immobili ad uso cantina nell'interrato (anche considerato che avrebbe avuto l'onere di allegare e dimostrare il proprio interesse ad agire), sicché non si tratta di profilo oggetto d i scrutinio. Valga , poi, anche nella fattispecie che ci occupa la considerazione svolta dal richiamato precedente giurisprudenziale, per cui non influisce sul criterio di ripartizione delle spese, che l'art. 1223, comma 2, c.c. pone solo a carico di coloro che usano i locali fonte di pericolo, il fatto che le opere poste in essere ne gli spazi di manovra comuni, oltre ad esplicare una funzione di prevenzione e di sicurezza a favore dei condomini che utilizzano i garage, in quanto costituiscono un ostacolo alla diffusione degli incendi, indirettamente servano anche a tutti gli altri condomini. A ciò si aggiunga che tanto le porte taglia fuoco che separano l'autorimessa dall'ex locale caldaia, quanto il rivestimento con pannelli silicati sulle pareti dell'autorimessa che la dividono dalle scale e dal fine corsa ascensore rispondono alla necessità di isolare l'autorimessa interrata, nell'interesse di chi la usa come autorimessa , dalla restante porzione di piano, sicché si tratta di una spesa per l'uso dell'autorimessa e non di spesa generale per i l godimento e la conservazione, rispettivamente, delle scale, dell'ascensore e dell'ex locale caldaia. Ferme le considerazioni che precedono, si osserva che in ogni caso non vi è prova che i muri interessati dalla posa in opera delle lastre ai silicati per il conferimento di resistenza al fuoco pari a REI 60 (c.f.r. il computo metrico redatto dall'Ing. (...) del 19.1.2018) siano muri portanti, posto che d agli atti emerge soltanto che si tratta di pareti di divisione dell'autorimessa dalla restante porzione di piano, di modo che è tutto da dimostrare che si tratti di strutture portanti. In ogni caso la sola presenza dell'ex locale caldaia non può valere a ritenere superato il disposto dell'art. 1123 co. 2 c.c., il quale prevede che se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono espressamente ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne, essendo notevolmente diverso e preponderante l'uso dell'autorimessa da parte dei proprietari di box auto. La delibera condominiale non è pertanto affetta da nullità, dovendo escludersi che l'assemblea abbia violato l'art. 1123 co. 1 c.c.. per avere escluso i condomini non proprietari di unità immobiliari nel piano interrato dalla partecipazione alla spesa dei lavori di adeguamento alla normativa antincendio. 3. Con il secondo motivo di impugnazione della delibera assembleare, l'attrice ha dedotto la nullità della delibera "in quanto assunta attribuendo alla stessa (attrice) l'obbligo di partecipare alla spesa di adeguamento in quanto proprietaria di un'unità immobiliare ad uso autorimessa", lamentando la non inerenza all'attrice delle spese di adeguamento alla normativa antincendio, non trattandosi di proprietaria di immobile ad uso garage. Parte attrice , secondo quanto specificamente allegato, contesta esclusiva mente di dover sopportare il costo delle opere da eseguire, in base alla quota di comproprietà dei millesimi generali box, sul presupposto di non essere proprietaria di unità immobiliare nell'interrato destinata a box. L'assunto attoreo non può essere accolto in quanto a fronte della produzione in atti, da parte del condominio convenuto, di istanza di accertamento di conformità urbanistica datata 07.11.2018 indirizzata al Comune di Imperia dalla Sig.ra (...), relativa al garage interrato di Via (...), ove testualmente si legge "In considerazione delle disposizioni contenute nell'art. 22 della L.R. n. 16 del 2008 e sue modificazioni ed integrazioni si ritiene che in considerazione (del fatto) che le opere sono state realizzate antecedentemente al 17 marzo 1985, come è dimostrato dal certificato di agibilità in data 27.05.1971 n. 1342/72/T/71, siano applicabili le disposizioni dell'art. 22 indicato in premessa. Pertanto, tanto comunica, richiedendo di mantenere in atti la documentazione a suo tempo presentata integrata dalla presente istanza alla quale si allega una copia della apposita relazione e una copia degli elaborati grafici, la dichiarazione dei proprietari in ordine alla data di esecuzione dell'interrato e certificato catastale ove si evince la ricevuta dell'accatastamento e la destinazione d'uso", l'odierna attrice si è limitata in giudizio ad invocare genericamente ed in linea astratta la norma dell'art. 23 ter del D.P.R. n. 380 del 2001 senza fornire alcuna specifica allegazione né dare dimostrazione del fatto che - diversamente da quanto sostenuto nella comunicazione al Comune di Imperia e non constando comunque agli atti provvedimenti sanzionatori o inibitori della Pubblica Amministrazione - nella concreta fattispecie il cambio di destinazione d'uso dell'immobile di proprietà dell' attrice da cantina a garage comporti il passaggio da una categoria urbanistica ad un'altra o rientri, comunque, tra gli interventi edilizi per i quali sia necessario il rilascio del permesso di costruire. L'affermazione per cui l'unità di proprietà dell'attrice non sarebbe urbanisticamente un garage - con conseguente esclusione della potenzialità di utilizzo dell'autorimessa interrata - è rimasta pertanto indimostrata, con conseguente infondatezza del motivo di impugnazione de quo. Il governo delle spese di lite segue l a soccombenza, con relativo addebito, per l'importo dettagliato in dispositivo, in favore del condominio convenuto. P.Q.M. definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti del Condominio (...), sito in I., via (...) in persona del suo V. p.t., (...), ogni differente istanza ed eccezione disattesa, così provvede: rigetta la domanda e condanna (...) al pagamento, in favore del Condominio convenuto , delle spese processuali che determina in Euro 3. 300,00 per compensi di avvocato, oltre IVA, CA e rimborso ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014. Così deciso in Imperia il 6 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Imperia, dott. Fabio Favalli, in funzione di Giudice di I grado, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 256/2017 del ruolo generale degli affari contenziosi Civili del Tribunale di Imperia TRA (...), (...), (...) e (...) in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla minore (...), rapp.ti e difesi dall'Avv.to Da.Be. Attori Contro (...) I., rapp.ta e difesa dall'Avv. Em.Va., (...) e (...), rapp.ti e difesi dall'Avv.to Al.Mo. e Sc.Ma., rapp.to e difeso dall'Avv. Al.Ma. Convenuti MOTIVI DELLA DECISIONE L'iter clinico che ha condusse al decesso di Ga.Gi. è stato così ricostruito dai Ctu: - "Dopo un esauriente inquadramento clinico-laboratoristico-strumentale, che ha incluso ETG e TC addome (19/5/2012) che hanno confermato il sospetto clinico di appendicite acuta il Pz. è stato avviato ad antibioticoterapia empirica e sottoposto nella medesima giornata ad intervento chirurgico VLS di appendicectomia. - "Già in giornata post-op (20/5/2012) è stata constatata un'abbondante perdita siero-ematica attorno al drenaggio a caduta superiore destro, ragion per cui è stata praticata emostasi con un punto di sutura, apparentemente con successo. Nel prosieguo degli eventi clinici tale procedura si è rivelata, tuttavia, del tutto inefficace vista la persistenza dell'emorragia locale, la comparsa di ipotensione con de-saturazione arteriosa (ed una più che evidente anemizzazione ,con dati di laboratorio ematologici in ulteriore peggioramento ai controlli successivi eseguiti in giornata." - "Di fatto, ancora in III giornata post-op (22/5/2012) venivano segnalati nel drenaggio sup dx 200 cc di liquido di aspetto ematico; obiettivamente era apprezzabile l'infarcimento emorragico della parete addominale dx e, alla TC addome (con mdc e.v.), è stato documentato un vasto ematoma della parete addominale dx con presenza di alcune bolle aeree nel contesto." - "In IV giornata post-op (23/5/2012) la situazione si è relativamente stabilizzata sotto il profilo clinico-strumentale, persistendo comunque drenaggio (150 cc) di tipo ematico, maleodorante, sempre a destra, con valori di Hb pari a 9 g/dl, pur dopo trasfusione di emazie e plasma." - "In V giornata post-op (24/5/2012) il Pz., in base a quanto si evince dal diario infermieristico, è invece nettamente peggiorato risultando tachicardico, ipoteso, febbrile (37,8 C) pur con antibioticoterapia in corso adeguata - in maniera mirata - sulla scorta dei risultati microbiologici. Ma, soprattutto, è stato constatato il drenaggio di ben 500 cc di materiale biliare - quindi, di derivazione enterica - dal drenaggio inferiore dx. E' stata eseguita, pertanto, TC addome (questa volta senza mdc e.v. e, quindi, con minor potere di risoluzione diagnostica) che ha evidenziato un netto incremento della quota gassosa nel contesto della parete addominale destra, estesa alla regione ombelicale ed alla porzione inferiore della parete addominale rispetto al quadro TC precedente del 22/5/2012." - "Il Dr. (...) ha proposto re-intervento d'urgenza, i Dr. (...) e (...) hanno annullato tale indicazione optando per un drenaggio chirurgico in fossa iliaca destra in anestesia locale, con fuoriuscita di abbondante quantità di liquido ematico, non recente"; -"In VI giornata post-op (25/5/2012) si assisteva ad un sensibile peggioramento delle condizioni generali del Pz con incremento degli indici di sepsi, oliguria e deterioramento della funzionalità renale, dispnea nonostante la somministrazione di O2, ulteriore fuoriuscita di materiale verdastro dalla ferita addominale e, quindi, con caratteristiche simili a quello precedentemente segnalato come di tipo "biliare"; - "Consultato al proposito nella notte (h. 3,00) il Medico reperibile questi, anziché prendere diretta visione della situazione clinica, ha dato esclusivamente indicazione telefonica di medicare la ferita chirurgica. Nel frattempo, dalla ferita chirurgica continuava a gemere materiale verdastro - come specificamente indicato dalla Dr.ssa B. alle h. 10,24 del 25/5/2012 - di più che verosimile derivazione enterica, tanto da richiedere dapprima posizionamento di sacchetto enterostomale ma, visto l'insuccesso della manovra, a tamponamento diretto con garze"; - "A questo punto il Pz., come poi ben descritto nel diario clinico della TI, "...prima d'essere trasferito in so si presentava in stato di shock settico, anurico, ipoteso e con importante desaturazione periferica". ...In altri termini, da uno stato di "sepsi" - ovvero, Sindrome di Risposta Infiammatoria Acuta (SIRS) con segni di infezione sospetta o presunta - ben documentato in data 24/5/2012, si è passati il giorno successivo ad un franco stato di "shock settico"; - "Si arriva così al primo re-intervento eseguito nella medesima giornata (25/05/2012 h. 16.30-18,31) nel corso del quale è stata diagnosticata una peritonite stercoracea da perforazione del cieco in prossimità del moncone appendicolare - su sospetto diverticolo; si è proceduto a sutura della stessa con copertura del sito mediante un lembo di peritoneo parietale, oltre ad abbondante lavaggio e drenaggio dell'area settica"; - "Il successivo decorso presso il reparto di TI (25-31/5/2012) è stato sostanzialmente contrassegnato da un inesorabile deterioramento delle condizioni cliniche del (...), con necessità di un secondo re-intervento, in data 29/5/2012, dato il riscontro di materiale fecaloide fuoriuscito dalla ferita chirurgica addominale. All'intervento sono state rinvenute ulteriori tracce di liquido enterico in cavità peritoneale, pur non venendo evidenziato alcun cedimento della precedente riparazione del cieco che, tuttavia, è stata prudentemente rinforzata con punti di sutura e derivata a monte con ileostomia, al fine di escludere il transito colico a valle."; - "Ciò nonostante, le condizioni del Pz. sono ulteriormente peggiorate fino all'exitus per arresto cardio-circolatorio (31/5/2012; h. 9,20) con diagnosi clinica di "Appendicectomia, perforazione addominale, peritonite stercoracea, shock settico, depressione miocardica, ipossiemia acuta". I dati forniti dall'esame autoptico giudiziario (8/6/2012; h. 12,30) sono coerenti con l'evoluzione ingravescente ed irreversibile di uno stato settico a partenza addominale correlato ad un'emorragia addominale ma, soprattutto, ad una peritonite stercoracea secondaria a perforazione intestinale, ben documentata all'atto del primo re-intervento del 25/5/2012, che ha determinato l'insorgenza di uno shock settico, causa maggiormente rilevante nel determinismo del decesso". Nel passare all'individuazione d'eventuali responsabilità dei medici convenuti, Ctu e ausiliario hanno evidenziato la sussistenza d'un duplice profilo di colpa in ciò: 1) Emorragia post-operatoria precoce con formazione di ematoma della parete addominale destra e con diffusione del versamento ematico alla cavità peritoneal: "Per quanto riguarda l'emorragia post-operatoria precoce, si tratta di un evento avverso relativamente infrequente seppur atteso, e quindi prevedibile, in questo tipo di chirurgia, riportata con una frequenza variabile dallo 0,25% al 2,3% dei casi, correlata per lo più a lesione dei vasi epigastrici della parete addominale. Proprio in quanto prevedibile, è necessario adottare la massima cautela nelle manovre intraoperatorie al fine di evitare tale evento avverso che, per lo più, è riconducibile ad una scorretta introduzione e/o rimozione dei trocar. Che, del resto, si sia trattato di un sanguinamento dal sito di introduzione dei trocar è stato sostanzialmente confermato all'atto del primo re-intervento del 25/5/2012 dall'Operatore stesso che ha testualmente descritto "... il sangue in cavità è dovuto a probabile sanguinamento precedente di parete dai fori di ingresso dei trocars. Sul punto la doss.tta (...) ha illustrato a titolo esemplificativo alcune delle cautele "standard" da adottare: "..per evitare di lacerare i vasi epigatrici all'atto dell'inserzione dei trocar è bene posizionarli lateralmente al m. retto addominale, ad almeno 6-8 cm dalla linea mediana e, nei pazienti obesi, in sede ancora più laterale.... Inoltre, dopo l'introduzione del primo trocar in sede peri-ombelicale con tecnica open, i trocar accessori andrebbero introdotti previa trans-illuminazione della parete addominale, al fine di evitare il decorso dei vasi epigastrici stessi sebbene, nel paziente obeso, tale norma precauzionale possa essere di limitata utilità. Talora, il sanguinamento dai vasi della parete addominale può risultare evidente solo alla rimozione del trocar, poiché lo strumento può transitoriamente tamponare la lacerazione vascolare. Proprio per tale ragione, oltre che ispezionare la sede di inserzione del trocar in fase di introduzione dello strumento, è altrettanto importante controllare la porta di uscita del trocar all'atto della sua rimozione, al termine dell'intervento, mantenendo l'ottica in sede endo-addominale per almeno 20-30 secondi, proprio per verificare l'assenza di sanguinamenti tardivi", dando atto che "nella fattispecie...non è ben definibile a seguito dei ripetuti interventi la posizione di inserimento dei trocars accessori, ragion per cui questo aspetto non può essere verificato". Si soggiunge, tuttavia che "...dalla descrizione dell'intervento del 19/5/2012 non risulta affatto che i Chirurghi si siano diligentemente soffermati su questi dettagli di tecnica né in fase di introduzione né di rimozione dei trocar che, come abbiamo visto sopra, sono fondamentali proprio per evitare di misconoscere sanguinamenti dal sito di introduzione del trocar. In altri termini, sarebbero stati omessi dei dettagli tecnici atti a prevenire e/o riconoscere tempestivamente un sanguinamento dal sito di introduzione di uno o più trocar accessori, controllando tempestivamente la fonte del sanguinamento ed evitando, così, la protratta emorragia post-operatoria - per ben 6 giorni - sintomatica fino al re-intervento del 25/5/2012. Ciò ha determinato la grave anemia documentata in fase post-operatoria precoce che, indubbiamente, ha inciso negativamente sulle condizioni cliniche generali del Pz., peggiorando quanto poi determinato dalla successiva complicanza peritonitica". Segue poi l'indicazione dei rimedi chirurgici da adottare in "caso di sanguinamento documentato all'atto della rimozione del trocar": "sarebbe stato possibile, infatti, ottenere l'immediata emostasi mediante applicazione di clips o elettrocoagulazione; in alternativa, si poteva introdurre nella cavità peritoneale, attraverso il lume del trocar, un catetere di Foley per poi gonfiarlo con aria o soluzione fisiologica al fine di tamponare il focolaio emorragico. Infine, è eventualmente prevista l'apposizione a scopo emostatico di punti transfissi a tutto spessore, controllando con l'ottica il sito emorragico per constatarne l'avvenuta emostasi". All'esito di tali rilievi il Ctu così conclude: "Su queste basi, l'emorragia postoperatoria che si qui è verificata va intesa come un evento sì prevedibile ma evitabile mediante un'accurata tecnica chirurgica che, per lo meno in base alla descrizione dell'intervento, è risultata in parte disattesa e va, pertanto, interpretata come una lesione iatrogena propriamente detta. Tale emorragia è stata, oltretutto, tardivamente riconosciuta e trattata aggravando ulteriormente il decorso clinico del Pz.". 2)Peritonite stercoracea secondaria alla perforazione del cieco: Come rilevabile dalla documentazione in atti, in V giornata post-op (24/5/2012) il decorso clinico del Pz. ha subito un netto peggioramento data la segnalazione - nel diario infermieristico - di tachicardia, ipotensione, febbre (37,8 C) nonostante l'antibioticoterapia in corso ma, soprattutto, drenaggio di ben 500 cc di materiale "BILIARE" - che non poteva esser altro che di derivazione enterica - riscontrato dal tubo di drenaggio addominale inferiore dx....". Avendo poi preso atto che "i CC.TT. di parte convenuta hanno seriamente posto in discussione la veridicità di tale riscontro, attribuendolo ad un errore di valutazione da parte del personale infermieristico", il Ctu ha così replicato: "tale reperto è stato nuovamente segnalato nel diario infermieristico alle h. 5,30 del 25/5/2012 oltre che nel diario medico alle h. 10,24 del 25/5/2012, ragion per cui sarebbe difficilmente contestabile. Non ultimo, per quanto superfluo, può valer la pena di ricordare che, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, la cartella clinica costituisce un atto pubblico di fede privilegiata con valore probatorio contrastabile solo con querela di falso" per poi esporre le proprie valutazioni sulla condotta tenuta dai dottori (...)e (...): - "nonostante: a. la chiara evidenza clinica di una fistolizzazione intestinale; b. la dimostrazione alla TC addome del 24/5/2012 (seppur meno risolutiva rispetto ad un esame effettuato con somministrazione di mdc e.v.) di un netto incremento della quota gassosa nel contesto della parete addominale destra rispetto all'esame del 22/5/2012, del tutto suggestiva di un evento perforativo viscerale; c. l'indicazione al re-intervento d'urgenza proposta dal Dr. (...); i Colleghi chirurghi (Dr. (...) e (...)) hanno annullato tale indicazione optando per un drenaggio chirurgico di superficie in fossa iliaca destra (in anestesia locale), ottenendo esclusivamente la fuoriuscita di abbondante quantità di sangue esito della pregressa emorragia intraparietale." E' fin troppo evidente che con un minimo accesso come questo si poteva, al più, drenare parte della nota raccolta di parete ma ben difficilmente sarebbe stato possibile identificare o, tanto meno, riparare la più che probabile perforazione viscerale sottostante, agevolmente anticipabile sulla base del repentino peggioramento delle condizioni cliniche generali, dell'abbondante drenaggio enterico e dei dati dell'imaging addominale". - "Conseguentemente, il giorno successivo (25/5/2012) si è assistito ad un sensibile peggioramento delle condizioni generali del Pz con incremento degli indici di sepsi, oliguria e deterioramento della funzionalità renale, dispnea (nonostante la somministrazione di O2), ulteriore fuoriuscita di materiale verdastro (enterico) dalla ferita addominale", evidenziando altresì il comportamento gravemente imperito del medico reperibile questi "consultato, oltretutto, nella notte...anziché prendere visione della situazione clinica, ha imprudentemente e negligentemente dato indicazione telefonica di procedere a sola medicazione della ferita chirurgica. Nel frattempo, dalla ferita chirurgica continuava a gemere materiale di verosimile derivazione enterica, tanto da richiedere dapprima posizionamento di sacchetto enterostomale ma, visto l'insuccesso della manovra, a tamponamento diretto con garze." Le conseguenze di tale "catena" di "malpractices" e d'errori diagnostici sono state le seguenti: "A questo punto il Pz., come ben descritto nel diario clinico della Terapia Intensiva (TI) "...prima d'essere trasferito in so si presentava in stato di shock settico, anurico, ipoteso e con importante desaturazione periferica". In altri termini, da uno stato di "sepsi", ben documentato in data 24/5/2012, si è passati il 25/5/2012 ad un franco "shock settico" trattato chirurgicamente solo nel tardo pomeriggio (h. 16.30-18,31). In occasione del re-intervento è stata diagnosticata una peritonite stercoracea da perforazione del cieco in prossimità del moncone appendicolare - su sospetto diverticolo", evidenziando il Ctu "...il sensibile ritardo col quale si è pervenuti alla diagnosi ed al trattamento della perforazione intestinale che ha determinato la progressione naturale del quadro infettivo addominale fino ad uno stato di peritonite stercoracea diffusa." Alla luce di ciò la dott.ssa (...) ha formulato la seguente considerazione: "si può affermare che il caso clinico del Sig.re Giovanni Gagliardi, nella fase iniziale della complicanza verificatasi in sito operatorio (sepsi da perforazione cieco), vada collocato tra le fattispecie a prognosi relativamente favorevole e la mancata esecuzione di un tempestivo, quanto doveroso, re-intervento già il 24/5/2012 - come invece raccomandato del resto dal Dr. (...) - è da ritenersi causa determinante del successivo decorso clinico ad evoluzione ingravescente fino al decesso del Pz, quanto meno in base al criterio del "più probabile che non", superando nessologicamente anche l'ipotesi di perdita di chances....", puntualizzando che: "trattasi assai probabilmente di evento avverso inquadrabile nell'ambito delle complicanze post-operatorie propriamente dette anziché di una lesione iatrogena evitabile mediante una più attenta conduzione dell'atto chirurgico. Il problema, invece, come detto sopra, è stato quello del ritardo diagnostico-terapeutico nella gestione della complicanza perforativa che ha sensibilmente peggiorato le possibilità di guarigione del Pz. causandone verosimilmente il decesso. Le conclusioni definitive tratte dal Ctu unitamente al consulente ausiliario, dott. M. Gipponi, alle pag. 40-48 della relazione ripropongono testualmente per la maggior parte i rilievi e le valutazioni già espressi nella parte motivazionale cosicché si ritiene di riportare soltanto i seguenti passaggi: - l'emorragia post-operatoria che si qui è verificata va intesa come un evento sì prevedibile ma evitabile mediante un'accurata tecnica chirurgica che, per lo meno in base alla descrizione dell'intervento, è risultata in parte disattesa e va, pertanto, interpretata come una lesione iatrogena propriamente detta. Tale emorragia è stata, oltretutto, tardivamente riconosciuta e trattata aggravando ulteriormente il decorso clinico del Pz."; - "Per quanto riguarda, invece, la successiva perforazione del cieco con peritonite stercoracea secondaria, l'Operatore ha ritenuto, in prima ipotesi, che la perforazione del cieco riscontrata in prossimità del moncone appendicolare sezionato con EndoGia potesse dipendere da una perforazione di un diverticolo del cieco, per quanto di tale diverticolo non si abbia evidenza alcuna né all'atto del primo intervento, eseguito proprio in quella sede, né tanto meno ai successivi esami TC del 19/5/2012, 22/5/2012 e 24/5/2012. Assai più probabile una malacia della parete intestinale correlata alla patologia appendicolare di base o la deiscenza parziale del moncone appendicolare, nonostante l'uso di una suturatrice meccanica, evento per altro atteso in chirurgia del colon fin nel 20% dei casi 24-25. In altri termini, trattasi assai probabilmente di evento avverso inquadrabile nell'ambito delle complicanze post-operatorie propriamente dette anziché di una lesione iatrogena evitabile mediante una più attenta conduzione dell'atto chirurgico"; - "Come detto sopra (risposta al quesito n. 4) il Pz. doveva essere avviato tempestivamente a re-intervento laparotomico già in data 24/5/2012 anziché ad un drenaggio in anestesia locale della raccolta della parete addominale". Infine, nel valutare la correttezza dell'operato di ciascun sanitario convenuto i Ctu hanno così chiosato: "Il Dr. (...), in qualità di primo Operatore, è responsabile della lesione iatrogena arrecata ai vasi della parete addominale in corso di appendicectomia VLS con secondario ematoma della parete addominale; inoltre, rinviando in accordo col Dr. (...) il re-intervento raccomandato dal Dr. (...), ha colposamente aggravato le condizioni settiche del Pz. Il Dr. (...) ha correttamente raccomandato il re-intervento in data 24/5/2012 e poi eseguito correttamente l'intervento del 25/4/2012.". Tali conclusioni del sono state oggetto di contestazione, in particolare dal CT di (...)1. Si sostiene, in buona sostanza, che diversamente da quanto opinato dalla dott.ssa (...) e dal dott. (...), il sanguinamento derivò verosimilmente dai vasi parietali, ponendosi come una complicanza alquanto frequente e indipendente dall'abilità dell'operatore. Inoltre, trattandosi di un vaso dal calibro ridotto, la perdita sarebbe stata lenta e progressiva, sì da condurre al quadro di anemizzazione cronica riscontrato a distanza di 4/5 giorni. S'afferma poi che dal contento dagli scritti clinici si non ricaverebbe alcun elemento dal quale desumere che, nel posizionare il trocar, fu arrecata una lesione iatrogena ai vasi epigastrici inferiori, tant'è che, come dato conto dal Ctu stesso, il preciso posizionamento dello strumento è dato non verificabile. Sul punto i dott. (...)/(...) hanno ribadito la propria opinione, evidenziando che "Quanto al tipo di sanguinamento, questo è stato descritto fin dalla I giornata post-op in sede peri-drenaggio -facendo quindi presupporre, in prima ipotesi, che si potesse trattare di sanguinamento da vasi parietali del sottocute -ma al re-intervento del 25/5/2012 è stato chiaramente indicato che "... il sangue in cavità è dovuto a probabile sanguinamento precedente di parete dai fori di ingresso dei trocars ...". Questo lascia ragionevolmente presupporre che il sanguinamento fosse determinato, in prevalenza o in toto, da un'emorragia da lacerazione iatrogena dei vasi epigastrici inferiori all'atto dell'introduzione dei trocar e che, per tale ragione, non poteva essere dominato dalla semplice applicazione di punti di sutura esterni, oltretutto in un soggetto in eccesso ponderale e con uno spesso pannicolo adiposo sottocutaneo". In sintesi, i Ctu hanno fondato il proprio convincimento sulla base d'una diagnosi/ipotesi formulata, secondo un giudizio di verosimiglianza, formulato dagli stessi sanitari al momento del secondo intervento. Orbene, a ben vedere, la non corretta compilazione della cartella clinica è circostanza che non esclude la responsabilità dell'ente convenuto per un duplice ordine di ragioni. Uno dei fattori che ha provocò la morte del (...) alla morte fu, infatti, la "la grave anemia documentata in fase post-operatoria precoce che, indubbiamente, ha inciso negativamente sulle condizioni cliniche generali del Pz., peggiorando quanto poi determinato dalla successiva complicanza peritonitica". Qualora, dunque, il dott. (...) non lesionò i vasi epigastrici, soltanto costui sarebbe assolto da ogni responsabilità, ma non anche A. 1, essendo evidente che altri sanitari avrebbero dovuto monitorare il sanguinamento e adottare ogni terapia, farmacologica o chirurgica, atta a scongiurare la verificazione del quadro emorragico e la conseguente grave anemia. Tale doglianza è stato espressamente allegata dagli attori in atto di citazione (pag. 5-6) in termini, per così dire, generali ossia non riferiti esclusivamente all'(...) e/o agli altri convenuti. Deve poi puntualizzarsi che il titolo di responsabilità dell'ente è, del tutto pacificamente, di natura contrattuale (cd. contratto di spedalità). Quanto alla questione dei limiti dell'onere dell'allegazione e della dimostrazione dell'inadempimento della struttura sanitaria, la Suprema Corte ha chiarito che"il paziente danneggiato deve provare l'esistenza del rapporto contrattuale e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non", potendosi limitare ad allegare (ma non provare) l'inadempimento, ancorché qualificato, ossia astrattamente efficiente alla produzione del danno. Ricade viceversa sulla struttura, che intenda liberarsi dall'obbligazione risarcitoria, l'onere di provare di aver correttamente adempiuto o che quegli esiti siano derivati da un evento imprevisto o imprevedibile, non imputabile o non riconducibile alla condotta sanitaria", in accordo, dunque, con "...i criteri fissati in materia contrattuale, alla luce del principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell'inadempimento e dell'inesatto adempimento" (Cass. SU 11.1.2008 n. 577). Nel fare applicazione dei principi generali in tema d'onere della prova, la Cassazione ha, pertanto, statuito che "spetta a chi si assume danneggiato fornire la prova del nesso di causa fra l'inadempimento ed il pregiudizio alla salute, giacché se così non fosse dalla fattispecie costitutiva del diritto verrebbe espunto l'elemento della causalità materiale con la conseguenza che se la causa dell'evento di danno, in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie, resta ignota, in applicazione delle regole del riparto dell'onus probandi, le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore della prestazione professionale (Cass. 11/11/2019, n. 28992). Tuttavia, tale onere del creditore/danneggiato incontra dei limiti qualora la cartella clinica presenti omissioni tali da rendere impossibile l'individuazione del nesso di causalità materiali. In tali ipotesi, secondo la Suprema Corte, tali omissioni "non conducono automaticamente a ritenere adempiuto l'onere probatorio da parte di chi adduce di essere danneggiato, pur dovendosene tener conto, perchè diversamente l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che con inadempimento al proprio obbligo di diligenza" tale incompletezza ha creato.", salvo puntualizzare che "Il rilievo della difettosa tenuta della cartella clinica è tale da far ritenere provato il nesso di causalità materiale solo quando proprio l'incompletezza della cartella clinica abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno (così Cass. 14/11/2019, n. 29498). L'attenzione va, dunque, focalizzata sulla condotta dei sanitari al fine di verificare se essa abbia avuto una astratta idoneità alla causazione dell'evento dannoso, essendo logicamente il primo elemento da vagliare, in quanto, se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale. (Cassazione civile sez. III, 08/07/2020, n.14261). Il dictum risulta pienamente in linea con Cassazione civile sez. III, 14/11/2019, n.29498, nella quale si legge: "In tal senso, da ultimo, Cass. sez. 3, 21 novembre 2017 n. 27561 ha ribadito proprio che "l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno". Il che significa che l'incompletezza della cartella incide soltanto se va ad innestarsi in un contesto specifico che è proprio la fonte della sua rilevanza". Particolarmente significativo è il seguente passaggio: "la conformazione della condotta del sanitario nel senso di astratta idoneità alla causazione dell'evento dannoso è logicamente il primo elemento da vagliare, in quanto, se, al contrario, la condotta del sanitario fosse astrattamente - id est assolutamente - inidonea a causarlo, non occorrerebbe alcuna ulteriore ricostruzione fattuale; dopo di che, se si è superato questo stadio di indagine, in secondo luogo l'incompletezza della cartella deve essere tale da impedire la ricostruzione fattuale sul piano concreto, e in particolare nel suo nucleo centrale, identificabile nella connessione materialmente eziologica fra condotta sanitaria commissiva od omissiva ed evento. Sotto quest'ultimo profilo, la valenza della incompletezza della cartella si pone, attraverso il mezzo presuntivo - su cui, a ben guardare, si riflette in concreto il principio della prossimità della prova -, a favore di chi adduce di essere stato danneggiato, giacché diversamente l'incompletezza verrebbe a giovare proprio a colui che, inadempiendo al proprio obbligo di diligenza (Cass. sez. 3, 18 settembre 2009 n. 20101 precisa che "il medico ha l'obbligo di controllare la competenza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei relativi referti allegati, la cui violazione comporta la configurazione di un difetto di diligenza rispetto alla previsione generale contenuta nell'art. 1176 c.c., comma 2 e, quindi, un inesatto adempimento della sua corrispondente prestazione professionale"; conformi, p. es., Cass. sez. 3, 26 gennaio 2010 n. 1538 e Cass. sez. 3, 5 luglio 2004 n. 12273), tale incompletezza ha creato. Sempre tra gli arresti recenti, quindi, Cass. sez. 3, 31 marzo 2016 n. 6209 insegna che "la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico, ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le conseguenze dannose subite dal paziente"; e sulla stessa linea si collocano Cass. sez. 3, 27 aprile 2010 n. 10060, Cass. sez. 3, 26 gennaio 2010 n. 1538, Cass. sez. 3, 21 luglio 2003 n. 11316". Come già riportato, il Ctu ha rilevato che "nella fattispecie...non è ben definibile a seguito dei ripetuti interventi la posizione di inserimento dei trocars accessori, ragion per cui questo aspetto non può essere verificato.", censurando l'operato dei propri colleghi in quanto "...dalla descrizione dell'intervento del 19/5/2012 non risulta affatto che i Chirurghi si siano diligentemente soffermati su questi dettagli di tecnica né in fase di introduzione né di rimozione dei trocar che, come abbiamo visto sopra, sono fondamentali proprio per evitare di misconoscere sanguinamenti dal sito di introduzione del trocar. In altri termini, sarebbero stati omessi dei dettagli tecnici atti a prevenire e/o riconoscere tempestivamente un sanguinamento dal sito di introduzione di uno o più trocar accessori, controllando tempestivamente la fonte del sanguinamento ed evitando, così, la protratta emorragia post-operatoria - per ben 6 giorni - sintomatica fino al reintervento del 25/5/2012." Ebbene, l'assenza nella cartella clinica d'una puntuale descrizione proprio delle manovre relative all'inserimento e alla rimozione del trocar nonché all'individuazione della fonte del sanguinamento costituisce elemento alquanto anomalo e, a posteriori, fortemente "sospetto" sia in considerazione della successiva diagnosi di lesione iatrogena dei vasi epigastrici formulata dal Ctu che, e in particolare, dell'annotazione "il sangue in cavità è dovuto a probabile sanguinamento precedente di parete dai fori di ingresso dei trocars" apposta sulla cartella al tempo del 2 intervento eseguito il 25/5/2012 poiché, come osservato dalla dott.ssa (...), "Questo lascia ragionevolmente presupporre che il sanguinamento fosse determinato, in prevalenza o in toto, da un'emorragia da lacerazione iatrogena dei vasi epigastrici inferiori all'atto dell'introduzione dei trocar e che, per tale ragione, non poteva essere dominato dalla semplice applicazione di punti di sutura esterni". A parere dello scrivente s'è in presenza proprio d'un caso riconducibile ai principi giurisprudenziali sopra riportati ossia ad un'ipotesi in cui "la difettosa tenuta della cartella clinica è tale da far ritenere provato il nesso di causalità materiale solo quando proprio l'incompletezza della cartella clinica abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno". Invero, le suddette lacune della cartella rendevano di per sé impossibile accertare l'eventuale commissione d'una condotta chirurgica dannosa, condotta che, a propria volta, in via di principio non poteva neppure essere esclusa proprio in ragione dell'assenza di qualsiasi dato utile a tal fine. Se a ciò si aggiunga che proprio uno dei sanitari dell'Ospedale ipotizzò in termini di verosimiglianza che il sanguinamento proveniva dai fori d'ingresso del troncar e che ciò è stato ritenuto dal Ctu -con argomentazioni solide dal punto di vista del riferimento ai principi scientifici e alle letteratura in materia nonché insuscettibili d'essere confutati da alcuno dei dati esaminati - indice d'un comportamento gravemente imperito, ritiene questo Giudice logicamente corretto dedurre che nel corso del primo intervento il dott. (...), quale primo operatore, danneggiò per davvero i vasi epigastrici inferiori del paziente, così provocando la cospicua emorragia che deteriorò in maniera irreparabile le condizioni di (...). Da ciò consegue la concorrenziale responsabilità di (...) 1 e del sanitario convenuto. Non concludenti sono anche le argomentazioni svolte dai Ct dell'(...) e dell'(...) in ordine alla pretesa correttezza della scelta di procrastinare un immediato il secondo intervento chirurgico. Al riguardo basti avere riguardo esclusivamente al solo fatto che in presenza del quadro clinico manifestatosi il 5 giorno postoperatorio l'altro collega, il dott. (...), prescrisse d'intervenire immediatamente e che tale opzione è stata giudicata a posteriori doverosa anche dai Ctu al fine di salvare la vita del paziente, per ritenere, sulla base d'un giudizio prognostico formulato ex ante, che l'indicazione fornita dallo (...) era tutt'altro che espressione d'uno mero scrupolo o timore personale non avallato dalla letteratura e dalla casistica scientifica e che, per contro, furono gli altri 2 convenuti a dimostrarsi gravemente superficiali. Inoltre, a fronte dell'obiezione secondo cui il liquido di drenaggio non fu qualificato dalla equipe come enterico, potendo lo stesso essere interpretato come materiale ematico "trasformato" anche dall'E. Coli, i dott. (...)/(...) hanno replicato che "Come ben specificato nel diario infermieristico, la prima segnalazione del 24/5/2012 indica testualmente un drenaggio di 500 cc di materiale biliare, il che evidentemente indica una provenienza dal tratto digestivo e non una semplice trasformazione cromica di sangue coagulato (peraltro solitamente rosso-brunastro) in verde per l'azione di germi contaminanti. Oltretutto, è ben nota la sola "sfumatura verdastra" che possono acquisire le garze di una medicazione di una ferita infetta da Pseudomonas aeruginosa che, in questo caso, non risulta esser stato isolato, per lo meno nelle prime fasi della storia clinica; qui, invece, si trattava di un liquido francamente e ripetutamente indicato come "verdastro". Ciò nonostante, se non la certezza ma, quanto meno, il forte dubbio che potesse trattarsi di liquido di provenienza enterica conseguente a perforazione intestinale avrebbe dovuto orientare ed allertare diversamente dal punto di vista diagnostico-terapeutico i Chirurghi che avevano in cura il Sig.re (...), come più diffusamente illustrato nella pre-relazione". Inconsistente è anche il richiamo dei convenuti all'esimente di cui all'art. 2236 c.c., ipotesi che per la giurisprudenza ricorre allorché "...l'esecuzione della prestazione d'opera implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, nozione che ricomprende non solo la necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l'esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media, o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza (tra le varie: Cass. civ. n. 16275/2015). Nel caso in esame viene, invece, in rilievo un'operazione d'appendicite acuta ossia un intervento, se non routinario, comunque praticato comunemente da lungo tempo in ogni nosocomio, il che esclude del tutto la ricorrenza delle peculiari caratteristiche richieste dalla norma. Quanto poi al ritardo nel'effettuazione del secondo intervento s'osserva che anche il quadro clinico - tachicardia, ipotensione, febbre a 37,8 C pur con antibioticoterapia in corso adeguata, drenaggio di ben 500 cc di materiale biliare, tac all'addome che evidenziò un netto incremento della quota gassosa nel contesto della parete addominale destra, estesa alla regione ombelicale ed alla porzione inferiore della parete addominale rispetto al quadro TC precedente del 22/5/2012 - era ben lungi dal comportare sforzi diagnostici implicanti un impegno intellettuale e/o la padronanza di conoscenze superiori alla media, tant'è che già all'epoca dei fatti di causa il dott. (...) lo interpretò correttamente, disponendo immediatamente un secondo intervento, il che avrebbe dovuto, a maggior ragione, indurre in particolare l'(...), primo operatore, nonché l'(...) a prendere in seria considerazione l'opinione del collega e non già, in maniera gravemente superficiale, "annullare" l'intervento. Ulteriori contestazioni sono state sollevate da (...) 1 circa la prova della sussistenza d'un nesso eziologico tra la condotta dei 2 professionisti e il decesso del (...) laddove si nega che il ritardo nel reintervento abbia comportato una perdita di chances di sopravvivenza superiore al 50% poiché il proprio Ct ha stimato tale perdita nell'inferiore misura del 30%. Tale impostazione della questione non è conferente. Nell'elaborazione giurisprudenziale la perdita di chances di sopravvivenza attiene alle ipotesi in cui la condotta dei medici abbia dato luogo ad una situazione di cd. danno incerto, situazione per cui non è possibile accertare se, in assenza del trattamento sanitario, lo sviluppo della malattia sarebbe stato più lento, la vita sarebbe durata maggiormente e con minori sofferenze, EC. Soltanto a fronte di tale incertezza è legittimo parlare di perdita di chance, la quale si risolve nella "privazione della possibilità di conseguire un vantaggio sperato, incerto ed eventuale, che può variamente atteggiarsi in termini di migliori opportunità di cura o di maggiore durata della vita o di sopportazione di minori sofferenze; in altri termini, nel "sacrificio della possibilità di un risultato migliore" (Cass. 24883/2019; conforme Cass. 26/06/2020, n. 12928). Nella fattispecie viene, invece, in rilievo un fatto certo, il decesso del (...), e l'esigenza di verificare se i convenuti apportarono un contributo causale all'evento secondo il noto principio giurisprudenziale del "più probabile che non" ossia verificare se la vita del paziente avrebbe potuto essere salvata ove i sanitari avessero adottato una condotta diversa. Questa, a fronte di quanto ritenuto dai Ctu, va chiaramente individuata nella tempestiva diagnosi suscettibile d'essere formulata quantomeno al 5 giorno di degenza, 24-5-2012, dai dott. (...) e (...) nonché nella pronta esecuzione d'un secondo intervento allorché le condizioni del (...) peggiorarono nei termini descritti in precedenza, accusando il paziente la perdita di ben 500 cc di materiale biliare -come tale di derivazione enterica - spia d'una peritonite stercoracea secondaria alla perforazione del cieco, degenerata nella generalizzata infezione dell'organismo. Come già anticipato, la risposta dei Ctu è stata positiva, essendo il rischio di morte del (...) in caso di diagnosi e trattamento tempestivo della complicanza intra-addominale stato quantificato nella misura di circa il 60% inferiore in data 24/5/2012 rispetto al 25/5/2012, giorno in cui il l'uomo fu sottoposto ad intervento d'urgenza. Orbene, considerato che la seconda operazione fu eseguita correttamente, ma che a dispetto di ciò e delle adeguate terapie e somministrate al paziente, lo shock settico sopravvenne egualmente, deve ritenersi con un elevato margine di probabilità elevata che se i dott. (...) e (...) avessero prontamente diagnosticato l'esistenza d'un quadro clinico che imponeva un immediato intervento chirurgico il (...) sarebbe sopravvissuto. Vale la pena soggiungere che ove così non fosse e volendosi ipotizzare che il secondo intervento non avrebbe scongiurato la morte del paziente, (...) 1, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., e l'(...) ex art. 2043 - e dunque entrambi ai sensi dell'art. 2055 c.c. - risponderebbero egualmente in solido dei fatti di causa poiché il costante sanguinamento - proveniente dai vasi epigastrici inferiori - rappresentò una della cause efficienti che scatenarono lo shock settico. In sintesi, (...) 1, il dott. (...) e il dott. (...) devono essere ritenuti solidalmente responsabili per la morte di (...). Quanto all'(...), ciò che gli deve essere ascritto è l'aver egli, in concorso con il collega, erroneamente dissentito, revocandola, dalla prescrizione del collega (...) di sottoporre urgentemente il paziente ad un nuovo intervento. Va invece esclusa ogni responsabilità a carico del dott. (...). Costui è stato convenuto sulla base d'una presunta culpa in vigilando nella qualità di primario sull'operato dei proprio collaboratori. L'assunto è stata sommariamente esposto in atto di citazione, per poi non avere alcun seguito nelle successive deduzioni. Soltanto in comparsa conclusionale (6,7), evidentemente allo scopo d'impedire di subire una scontata condanna al pagamento delle spese, gli attori hanno sviluppato la propria tesi con argomentazioni, tuttavia, irricevibili poiché implicanti del tutto tardivamente un ampliamento del thema decidendum nonché in ogni caso palesemente infondate. Non consta, infatti, che nell'ordinamento civilistico sussista un obbligo del Primario ospedaliero di sindacare le scelte squisitamente tecniche dei propri colleghi, i quali non sono dei "subordinati" in senso tecnico, bensì ma anch'essi veri e propri professionisti dotati d'autonomia decisionale. Non risulta poi che il dott. (...) prese "in carico" personalmente il (...), salvo delegare ai procuratori collaboratori l'esecuzione di prescrizioni terapeutiche. Inoltre, non v'è prova del fatto che il convenuto venne a conoscenza del "contrordine" in tempo utile a poter assumere il controllo della situazione, sì da poter operare in tempi brevissimi. Posto, pertanto, che gli attori stessi hanno dichiarato in citazione che il medico a seguito dell'esito della tac effettuata il 24/5/2012 "improvvisamente...specificava che vi era assoluta necessità di operare quanto prima in quanto dietro all'ematoma presente nel paziente poteva celarsi un infezione in atto" e che i dottori (...) e (...) che, specificando che l'infezione era localizzata, annullavano annullavano il programmato intervento in urgenza ed effettuavano un'anesteria locale e procedevano ad aprire e ripulire il paziente nella sua stessa camera, a detta loro al fine di eliminare l'infezione" (pag. 2-3) e che egli pacificamente diresse senza errore alcuno il secondo intervento quando le condizioni del (...) erano già divenute irrimediabilmente compromesse, la domanda in esame va respinta, discendendo da ciò la condanna in solido di tutti gli attori al rimborso degli oneri processuali, i quali determinati sulla quota di ¼ del valore complessivo della domanda (poco più di Euro. 250.000,00), si quantificano come in dispositivo in termini quasi del tutto conformi alla notula in atti, la quale risulta del sostanzialmente congrua. Nel venire all'esame delle richieste risarcitorie si ritiene opportuno svolgere comunque alcune considerazioni sul loro fondamento giuridico. Secondo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "...il principio in ragione del quale il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale tipico danno - conseguenza non coincide con la lesione dell'interesse (ovvero non è in re ipsa) e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza allegata (cfr. Cass. Sez. 3, 11/11/2003, n. 16946; Cass. Sez. 3, 06/09/2012 n. 14931). ...e, per effetto di tale estensione, è stata ricondotta nell'ambito dell'art. 2059 c.c., anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2,29 e 30 Cost.) con la precisazione che il danno non patrimoniale da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto consiste nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito della irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto. Tanto precisato, hanno altresì ribadito che il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendo condividersi la tesi che trattasi di danno in re ipsa, sicché dovrà al riguardo farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva (Cass. Sez. U. 11/11/2008, n. 26972). Circa i criteri di risarcimento del danno cd. parentale la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che liquidazione del danno ex art. 2059 c.c., avviene "in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza allegata (tra le ultime: Cass, sez. III, ord. n. 907/2018) nonché "La liquidazione finalisticamente unitaria del danno alla persona (non diversamente da quella prevista per il danno patrimoniale) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l'aspetto della sofferenza interiore (cui potrebbe assimilarsi, in una suggestiva simmetria legislativa, il danno emergente, in guisa di vulnus "interno" arrecato al patrimonio del creditore), quanto sotto quello dell'alterazione/modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass. civ., sez. III, n. 23469/2018). Riguardo l'estensione dell'onere probatorio in tempi recenti è sopravvenuta la pronuncia n.7748/2020, con la quale la Suprema Corte ha espresso chiaramente quello che era un principio sotteso in termini non univoci e chiari in numerose statuizioni precedenti ovvero che "Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni riportate dal congiunto prossimo", puntualizzando che "Nè v'è bisogno....che queste sofferenze si traducano in uno "sconvolgimento delle abitudini di vita", in quanto si tratta di conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato d'animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca o meno sulle abitudini di vita". A fortiori, dunque, deve farsi applicazione di tale dictum nel caso di morte del congiunto. Ebbene, posto che tale presunzione non opera per i parenti prossimi, ne discende che ai fini dell'accoglimento della domanda proposta da (...), nipote che all'epoca della morte di (...) non aveva neppure 2 anni, avrebbe dovuto allegarsi ben di più del rapporto di parentela "non stretta" e limitarsi ad asserire in citazione che la bimba non ha potuto "giovarsi" del rapporto con il nonno (il che è del tutto ovvio), senza altro soggiungere, non essendo automaticamente riconoscibile in suo favore il risarcimento del danno non patrimoniale. Sul punto deve, dunque, richiamarsi quanto statuito in Cass. 06/09/2012 n. 14931, particolarmente precisa in tema nell'affermare che "il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, quale tipico danno - conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (non è in re ipsa)... come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia, trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni, sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire. La sua liquidazione avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti". I medesimi principi sono stati così ribaditi da Cass. 17/01/2018, n.907: "..ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento del danno subito a causa della uccisione di un prossimo congiunto non hanno rilievo le qualificazioni adoperate dagli interessati, ma è necessario che il pregiudizio venga compiutamente descritto e che ne vengano allegati e provati gli elementi costitutivi ....tenuto conto che la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento da darne concreta allegazione e prova". Soltanto nella 2 memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. l'attrice ha formulato un unico capitolo di prova (n. 24) volto a dar conto d'alcuni aspetti del rapporto nipotina-nonno. Tale capitolazione, tuttavia, risulta inidonea allo scopo sia in quanto nulla è stato dedotto in ordine agli eventuali turbamenti/disagi quotidiani, alterazioni del comportamento, ecc., riconducibili al trauma della perdita dell'ascendente sia in quanto le relative circostanze sono del tutto nuove poiché non introdotte in causa nella precedenti fasi processuali nonché dotate di rilevanza primaria in quanto volte a precisare/specificare i fatti costitutivi della domanda. Si tratta, dunque, d'una attività assertiva tardivamente operata poiché non consequenziale alle difese spiegate dai convenuti nella 1 memorie ex art. 183 c.p.c.; solo in tale ipotesi, infatti, la 2 memoria è preordinata anche a "replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte" nonché "per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime...". Non è questo il caso poiché l'allegazione delle circostanze oggetto di capitolazione risultano "scollegate" dalle controdeduzioni svolte dalle convenute. S'è, dunque, in presenza della violazione della cd. preclusioni assertive, segnate dallo spirare del termine di cui all'art. 183 comma 1 c.p.c., entro il quale di regola si cristallizza il cd. thema decidendum, come ripetutamente statuito dalla constante giurisprudenza di merito, secondo cui sono inammissibili le richiese probatorie relative a fatti primari dedotti per la prima volta nella 2 memoria ex art. 183 comma VI (Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 23 maggio 2013; Tribunale Torino, Sez. Dist. Ciriè, 31-03-2003; Tribunale Piacenza 6-3-2012. Tribunale di Piacenza 30-11- 2009; Tribunale di Reggio Emilia, sez. Civile, sentenza 14-6-2012). Ne consegue il rigetto della domanda in questione e la condanna dei (...)/(...), genitori della minore, al rimborso degli oneri processuali, i quali, quantificati alla stregua dell'importo richiesto (Euro 130.000,00) e tenuto contro della pluralità delle parti convenute, si determinano come in dispositivo. Fondata, seppure in misura di gran lunga inferiore al richiesto è la domanda spiegata dalla (...) e da (...), rispettivamente moglie e figlio di (...). Invero, né in citazione né nella 1 memoria gli attori - ad eccezione della (...), come ci accinge a dire - hanno allegato alcuna peculiare circostanza utile a personalizzare il danno derivato dalla perdita esistenziale da loro subita. Gli unici concreti elementi a disposizione sono, dunque, costituiti dall'età di ciascun attore, rispettivamente di anni 62 e 36 al momento dei fatti di causa, nonché dell'età del defunto, anni 63, dati in base ai quali è possibile determinare il periodo successivo per il quale essi avrebbero potuto continuare a coltivare e consolidare il rapporto familiare-affettivo con il congiunto, tenendo conto dell'età media che, secondo le statistiche nazionali, costui avrebbe potuto raggiungere (circa 81 anni). Nel fare applicazione dei parametri tabellari elaborati dal Tribunale di Milano, parametri solitamente adottate da questo Tribunale, si ritiene di riconoscere al (...) e alla (...) l'importo, comprensivo di rivalutazione monetaria e interessi legali, di Euro 200.000,00 ciascuno, stante la sostanziale identità dell'intensità del vincolo familiare. Oltre al danno cd. tanatologico la (...) ha reclamato anche il ristoro del danno cd. psichico occorsole a seguito della perdita del coniuge. La circostanza è stata positivamente verificata dal Ctu (dott.ssa B.Ro.), la quale ha diagnosticato l'insorgenza d'un quadro sintomatologico tipico d'un disturbo depressivo maggiore reattivo, disturbo giudicato nel corso degli anni come "sensibilmente migliorato...con sintomi tali da non causare più disagio clinicamente significativo e ripercussioni sul funzionamento sociale", riscontrandosi comunque la persistenza d'una invalidità permanente stimata nella misura del 6%. L'invalidità temporanea è stata valutata in stimata in totale in 240 giorni, di cui 30 al 75%, 90 al 50% e 120 al 25%. Posto che all'epoca dei fatti di causa le tabelle milanesi riconoscevano per ciascun giorno d'invalidità al 100 %, un importo di Euro 91,00, il calcolo è il seguente: Euro.2047,50 + Euro 4095,00 + Euro 2730,00, per un totale di Euro 9232,50, Alla danneggiata deve essere anche attribuita l'ulteriore voce risarcitoria costituita dagli interessi cd. compensativi, da computare sul capitale rivalutato di anno in anno, conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (in particolare si veda la pronuncia n. 1712 del 1995), secondo il quale, negandosi il cumulo tra rivalutazione ed interessi sulla somma rivalutata, la Cassazione ha demandato al giudice, anche in via equitativa, l'individuazione del metodo più corretto per liquidare tale posta di danno, il quale, in assenza della prova d'un pregiudizio superiore (come previsto dall'art. 1224 comma 2 c.c.), va ricercato nel tasso legale d'interesse. La maggiorazione della somma con la rivalutazione e gli interessi a far data dall'1-6-2012 sino al tempo attuale conduce all'ammontare a Euro 10.306,72. L'importo risarcitorio dovuto ad un soggetto di 63 anni a titolo d'invalidità permanente del 6% ammontava all'aprile del 2013 (epoca di stabilizzazione dell'inabilità temporanea) a Euro 8314.00, importo che, incrementato secondo i medesimi criteri a far data dall'1-4-2013, va quantificato al tempo attuale in Euro 9.010,44. L'ammontare finale da attribuire alla (...) è pertanto pari a Euro 219.317,16. Da respingere invece è la domanda con cui è stato richiesto anche il risarcimento dei danni patrimoniali. Le allegazioni operate al riguardo alle pag. 15-17 dell'atto di citazione si sono, infatti, rivelate inconcludenti nel descrivere prima le elevate capacità di floricoltore di (...) e nell'affermare poi che il suo decesso "avrà conseguentemente pesantissimi riflessi economici sugli stretti congiunti", soggiungendosi che "i danni patrimoniali futuri...sono da una parte ravvisabili nella perdita o nella diminuzione per gli attori di quei contribuiti patrimoniali o di quelle utilità economiche che per solidarietà familiare e di costume il de cuius avrebbe apportato, dall'altra parte per la minore redditività dell'azienda". Invero, tali asserzioni, di per sé alquanto generiche, sono rimaste del tutto "lettera morta", non avendo nelle successive fasi processuali i (...)/(...)/(...) né addotto né allegato alcunché in ordine all'entità e alla frequenza dei presunti contributi economici che il defunto avrebbe apportato alla famiglia. In ragione della misura dell'accoglimento delle domande rispetto a quanto originariamente richiesto in atto di citazione, ben Euro 700.000,00 per ciascun attore - somma palesemente spropositata - nonché al minore importo domandato in sede di p.c. Euro 450.000,00 ciascuno, si ritiene equo compensare per metà le spese di lite e di porre il residuo, da calcolare alla stregua degli importi effettivamente riconosciuto, a carico dei convenuti in solido. P.Q.M. Il Tribunale di Imperia, definitivamente pronunciando sulle domande rispettivamente proposte da (...), (...) nonché da (...) e (...) nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla minore (...), così provvede: Rigetta le domande proposte nei confronti nei confronti di (...). Condanna (...), (...) nonché (...) e (...) nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla minore (...) al pagamento in solido delle spese di causa, che si liquidano in Euro 2194,00 per la fase di studio, Euro 1448,00 per la fase introduttiva, Euro 8000,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 3816,00 per la fase decisionale, oltre a Iva e Cpa, come da legge. Rigetta la domanda proposta da (...) e (...), nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla minore (...), nei confronti di (...), (...) e (...). Condanna (...) e (...) alla rifusione in solido degli oneri processuali, che si liquidano in Euro 2430,00 per la fase di studio, Euro 1550,00 per la fase introduttiva, Euro 4200,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 4050,00 per la fase decisionale, oltre a Iva e Cpa, come da legge. Accoglie parzialmente la domanda proposta da (...) e (...) in proprio e, per l'effetto, condanna (...), (...) e (...) al pagamento in solido degli importi di Euro 219.317,16, da corrispondere a (...), e di Euro 200.000,00, da corrispondere, a (...), oltre agli interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente sentenza sino al saldo Compensa per 1/2 le spese di lite, ponendo a carico di (...), (...) e (...) in solido tra loro la residua metà, che si liquida in Euro 6000,00 per la fase di studio, Euro 5000,00 per la fase introduttiva, Euro 9000,00 per la fase di trattazione e istruttoria, Euro 8500,00 per la fase decisionale, oltre a Iva e Cpa, come da legge,importi da ripartirsi in parti eguali a favore di ciascun attore. Pone le spese di Ctu a carico di (...), (...) e (...) in misura eguale. Così deciso in Imperia il 21 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2021.

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