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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di IVREA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. r.g. (...)/2023 promossa da: (...) ATTORE CONTRO (...) CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto Con ricorso ex artt. 14 D.Lgs. 150/2011 e 281-undecies c.p.c. del 4 luglio 2023 l'avv. (...) deduceva di aver svolto attività difensiva in favore di (...) consistente nello svolgimento di attività stragiudiziale volta ad una trattativa con la (...) d'(...) e (...) per la riduzione dell'ipoteca che gravava l'immobile sito in (...), Via (...) di proprietà della resistente, nell'espletamento dell'attività difensiva per un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere la riduzione dell'ipoteca per intervento dell'autorità giudiziaria, nell'espletamento di un giudizio di cognizione sommaria ex art. 702-bis c.p.c. avente il medesimo oggetto del cautelare, nell'espletamento di un'opposizione a precetto ex artt. 615 e 617 c.p.c. con successivo raggiungimento di un accordo che implicava l'abbandono di tali ultimi due giudizi. Per l'attività svolta la ricorrente emetteva parcella per complessivi Euro.6.890,60 che rimaneva impagata dalla resistente e di cui domandava la condanna al pagamento. Nessuno si costituiva per (...) e all'udienza del 22 gennaio 2024 ne veniva dichiarata la contumacia. La domanda della ricorrente è fondata nei limiti di cui si dirà nel prosieguo. Con riguardo all'attività svolta da parte dell'avvocato (...) deve evidenziarsi come risulta comprovata l'attività stragiudiziale svolta a favore della cliente dalle missive prodotte sub. docc. 1 e 2 da cui si evince l'effettiva instaurazione delle trattative volto a ridurre l'ipoteca giudiziale che affliggeva l'odierna parte resistente. In ordine al procedimento cautelare deve evidenziarsi che in atti è prodotto l'atto introduttivo del giudizio (doc. 4) mentre null'altro è rammostrato in ordine alle fasi di trattazione e decisoria non essendo prodotti in atti i verbali della relativa controversia e la partecipazione dell'avvocato alle attività difensive successive a quella introduttiva con lo svolgimento di una qualche attività difensiva utile nell'interesse dalla propria assistita. In ordine al procedimento sommario di cognizione e all'atto di opposizione a precetto risultano prodotti in atti gli atti introduttivi redatti dalla ricorrente (docc. 9 e 12) a comprova della fase introduttiva oggetto della domanda di liquidazione dei compensi avanzata nella presente sede. Passando all'analisi del quantum della domanda attorea deve premettersi come tutta l'attività difensiva sopra svolta è stata resa dalla professionista in data antecedente al 23 ottobre 2022, di talchè non risulta applicabile alla liquidazione dei compensi il D.M. n. 147 del 13.8.2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08.10.2022 e in vigore dal 23 ottobre 2022, bensì Il D.M. 55/2014 che è stato pubblicato sulla (...) n. 77 del 2.4.2014 ed è in vigore dal 3.4.2014 (come modificato dal D.M. 37/2018) ratione temporis vigente. Con riguardo all'attività stragiudiziale i compensi oggetto di domanda da parte della ricorrente sono pari ad Euro.500,00 (per quanto indicato nel dettaglio della proposta di parcella sub. doc. 17) mentre il valore minimo applicabile ai sensi del D.M. 55/2014, tenendo conto che l'attività espletata ha riguardato la cancellazione dell'ipoteca su di un immobile, il cui valore può essere approssimativamente ricondotto ad Euro.35.500,00 per quanto si evince dal valore di vendita della res immobiliare che emerge dall'atto transattivo sub. doc. 35, ovvero rientra nello scaglione previsto per le cause di valore da Euro.26.001,00 - a Euro.52.000,00, è pari ad Euro.1.148,00, di talchè la relativa somma deve trovare accoglimento per come richiesta. Con riguardo all'attività svolta per la tutela cautelare della parte resistente deve evidenziarsi che la somma di Euro.2.000,00 oggetto di domanda da parte ricorrente, da rapportarsi alle sole fasi di studio e introduttiva del giudizio, non sussistendo alcuna prova dell'attività professionale svolta dalla ricorrente nelle fase di trattazione/istruzione e decisoria del cautelare, risulta superiore al valore minimo liquidabile (Euro.1.250) tenendo conto dello scaglione di riferimento già sopra individuato ma inferiore al valore medio (Euro.2.500,00). Tenuto conto della complessità fattuale e giuridica sottesa al cautelare atipico domandato in materia di riduzione dell'ipoteca risulta congrua la richiesta di liquidazione avanzata dalla ricorrente per la somma di Euro.2.000,00 con conseguente accoglimento della domanda avanzata nella presente sede. Passando, infine, all'analisi dei compensi attinenti ai due procedimenti di cognizione deve evidenziarsi come per le fasi di studio e introduttiva la somma minima liquidabile sia pari ad Euro.1.384,00 ai sensi della normativa protempore vigente, di talchè la somma domandata dalla ricorrente nella misura di Euro.1.000,00 per ciascun giudizio è di valore inferiore al minimo con conseguente accoglimento della domanda. Conclusivamente gli onorari da riconoscersi a favore di parte ricorrente ammontano ad Euro.4.500,00. Con riguardo agli oneri accessori (I.V.A. e C.p.a.), nonché alle spese generali è indubbio che le stesse siano legittimamente chieste in aggiunta al valore pattuito tra le parti a titolo di compenso professionale. Sul punto giova richiamare l'espresso tenore dell'art. 2 comma 2 del D.M. 10 marzo 2014, n.55 a mente del quale "oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all'avvocato è dovuta - in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale - una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta.". Le spese generali fanno, infatti, riferimento ai costi di organizzazione connesse alla gestione dello studio e comunque necessari per lo svolgimento dell'opera professionale, non suscettibili, proprio per il loro carattere di generalità e continuità, di essere minutamente e dettagliatamente documentabili in relazione a ciascun incarico, i quali spettano automaticamente all'avvocato anche in assenza di allegazione specifica e di espressa richiesta. (...) parte, in ordine alla spettanza di tali spese, anche nel caso in cui le parti determinino consensualmente il correspettivo dovuto al difensore, senza nulla prevedere espressamente sulle spese, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, sez. VI, 13/04/2018, n. 9242) con orientamento che deve condividersi. (...). (...) ha, poi, dedotto di aver anticipato gli esborsi necessari per i vari giudizi di cui sopra ed in particolare risultano comprovate documentalmente le seguenti somme: Euro.286,00 a titolo di contributo e marca versati per il procedimento cautelare (doc. 5), Euro.286,00 a titolo di contributo e marca versati per il procedimento sommario di cognizione (doc. 10), Euro.545,00 a titolo di contributo e marca per il giudizio di opposizione a precetto (doc. 13) e così per complessivi Euro.1.117,00. La maggior somma oggetto di domanda attorea per Euro.1.181,00 è, invece, rimasta sprovvista di prova per la parte di Euro.51,00 ricondotta a visure camerali e ipotecarie i cui costi non sono documentati in atti e contraria ai documenti prodotti per le maggiori somme domandate a titolo di contributo unificato e marche da bollo rispetto alle prove di versamento prodotte in atti e sopra analizzate. Ne consegue che la domanda attorea deve essere accolta limitatamente alla somma di Euro.1.117,00. Con riguardo agli interessi legali sul capitale, deve condividersi l'orientamento più recente espresso dalla Suprema Corte di Cassazione (Sentenza n. 24973 del 19/08/2022 ed Ordinanza n. 8611 del 16/03/2022), che ha affermato come "Nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall'esercente la professione forense, gli interessi di cui all'art. 1224 c.c. competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all'esito del procedimento sommario di cui all'art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore.". Nel caso di specie, non risulta alcuna missiva di messa in mora, antecedente all'invio della negoziazione assistita, in quanto lo scambio di missive elettroniche di cui al documento 19 è stato effettuato con tale (...) di talchè l'avv. (...) ha proceduto a domandare il pagamento dei corrispettivi per l'attività professionale svolta a favore di (...) al di lei marito, quando nel nostro ordinamento permane una distinzione giuridica soggettiva delle persone fisiche, anche laddove unite dal vincolo di coniugo. Detto in altri termini, la richiesta di pagamento avanzata dalla ricorrente al (...) non vale a mettere in mora l'odierna resistente in quanto rivolta a soggetto giuridico diverso dal debitore. Ne consegue che la prima intimazione di pagamento della professionista ricorrente è da ricondursi all'invito alla negoziazione assistita che viene ricevuto dalla resistente in data 17 aprile 2023 (doc. 20), di talchè solo dal giorno successivo di tale messa in mora decorrono gli interessi al saggio legale di cui all'art. 1284 comma 1 c.c. sulle somme capitali sopra liquidate e fino alla data della domanda giudiziaria avvenuta con notifica del ricorso in data 24 luglio 2023 e da tale data al saggio di cui all'art. 1284 comma 4 c.c. fino al soddisfo. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e la liquidazione del compenso va effettuata ai sensi del D.M. 55/2014 (come modificato dal D.M. 37/2018 e dal D.M. 147/2022), tenuto conto dei parametri per la sua determinazione di cui all'art. 4 e, in particolare, delle caratteristiche, dell'urgenza e del valore dell'affare, nonché del numero e della complessità delle questioni giuridiche trattate. La liquidazione deve avvenire in base allo scaglione da Euro.5.201,00 - a Euro.26.000,00, in considerazione del valore della controversia (Euro.6.646,60), determinato in base alla somma liquidata a parte attrice (art. 5), e con applicazione dei compensi minimi previsti per le fasi di studio, introduttiva, e decisionale, stante la non complessità delle questioni fattuali e giuridiche sottese alla controversia e la prossimità del valore della causa al minimo dello scaglione di riferimento e con esclusione della fase di trattazione/istruttoria non svoltasi nel presente giudizio per l'assenza di udienze differenti dalla prima rientrante nella fase introduttiva e da quella di discussione rientrante nella fase decisionale. Devono, inoltre, aggiungersi i compensi per la negoziazione assistita, liquidati prendendo in riferimento il valore minimo della sola fase di attivazione stante la mancata adesione della controparte alla procedura conciliativa. Gli onorari vengono, pertanto liquidati in Euro.289,58 per esborsi e in Euro.1.921,00 per compensi, oltre oneri accessori e rimborso spese forfettarie del 15% ai sensi dell'art. 2, co. 2, D.M. 55/2014. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - condanna (...) (CF: (...)) al pagamento in favore dell'avv. (...) della somma di Euro.1.117,00 a titolo di rimborso spese e alla somma di Euro.4.500,00 a titolo di compensi, oltre (...) Cpa e spese generali come per legge, per i motivi di cui in parte narrativa, oltre interessi al saggio legale di cui all'art. 1284 comma 1 c.c. dal 18 aprile 2023 fino alla data della domanda giudiziaria e successivamente al tasso di cui all'art. 1284 comma 4 c.c. fino al soddisfo; - condanna (...) (CF: (...)) alla refusione delle spese di lite del presente giudizio in favore dell'avv. (...) che liquida nella somma di Euro.289,58 per esborsi e in Euro.1.921,00 per compensi, oltre (...) Cpa e spese generali come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 686 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020 posta in decisione all'udienza del 18.05.2023 e vertente tra Co.Ac. (C.F./P. IVA (...)), in persona dell'amministratore pro tempore geom. Fi.Ca., rappresentato e difeso dagli avv.ti Mi.Ca. e Lo.Fe.; Attore e Ed. s.p.a. (C.F./P. IVA (...)), con sede legale in M., F. B., 31, in persona dell'amministratore delegato e legale rappresentate pro tempore, dott. Ma.Qu., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pa.Pa. e Co.De.; Convenuta e It. s.p.a. (C.F./P. IVA (...)), con sede legale in T., L. R. P., 11, in persona del legale rappresentate pro tempore; Terza chiamata contumace OGGETTO: ripetizione di indebito; contratto di fornitura MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma 2, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c., come modificato dall'art. 45, comma 17 della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). I fatti che hanno dato origine al presente giudizio, negli stringenti limiti di ciò che assume rilievo in questa sede, possono essere come di seguito ricostruiti. Il Condominio Ac. ha convenuto in giudizio la società Ed. s.p.a. onde ottenere la restituzione della somma di Euro 9.638,06 (comprensiva di interessi legali e rivalutazione monetaria), corrisposta per consumi di gas metano erroneamente conteggiati e fatturati dalla convenuta in relazione alle stagioni termiche 2013, 2014 e 2015, nonché il risarcimento di tutti i danni patrimoniali patiti a causa della condotta della società convenuta, quantificati in Euro 8.919,06. Il Condominio attore ha allegato di aver sottoscritto, nel mese di gennaio 2013, un contratto di fornitura del gas con Ed. s.p.a. e che, all'apertura della stagione termica 2013-2014, l'amministrazione condominiale ha rilevato malfunzionamenti del gruppo di misura, sollecitandone, tramite il servizio call center della convenuta, la sostituzione (cfr. Contratto di fornitura gas con la società Ed. s.p.a. e Lettera geom. C. del 12.02.15, prodotti rispettivamente sub. (...)) e sub. (...)) da parte attrice). Secondo la prospettazione dei fatti offerta da parte attrice, la società fornitrice, nonostante i plurimi solleciti susseguitisi a far data dall'ottobre 2013, ha provveduto alla sostituzione del gruppo di misura esclusivamente il 5 marzo 2015, avvalendosi della società di distribuzione It. s.p.a., la quale, contestualmente, ha anche provveduto a comunicare al Condominio la stima presunta del consumo di gas nei periodi in cui era stato accertato il malfunzionamento del contatore (cfr. Stima consumi da parte It., prodotta sub. (...)) da parte attrice). Il Condominio Ac. ha contestato la legittimità delle modalità di conteggio dei consumi e di stima dei costi adottate dalla convenuta, atteso che quest'ultima si è avvalsa delle misurazioni compiute nell'anno termico 2009-2010 e, senza fornire alcuna spiegazione in merito alla scelta del criterio di calcolo adottato, con fattura n. (...) del 25.05.2015 ha sollecitato al Condominio Ac. il pagamento della complessiva somma di Euro 40.402,50. Nonostante i plurimi inviti rivolti sia alla società Ed. S.p.A., in qualità di venditrice della fornitura, sia alla società It. S.p.A., in qualità di gestore della rete, a stipulare una convenzione di negoziazione onde pervenire all'individuazione dell'effettivo consumo di gas da parte del Condominio negli anni 2013, 2014 e 2015, l'odierno attore ha allegato di aver comunque saldato l'importo di cui alla fattura, senza nulla riconoscere e al solo fine di evitare il distacco dalla rete, riservandosi di ottenere la ripetizione degli importi versati in eccedenza. Sennonché, dati i vani tentativi di ricostruire in contraddittorio i conteggi degli effettivi consumi di gas per le stagioni termiche sopraindicate, il Condominio Ac. ha introdotto ricorso per accertamento tecnico preventivo ex artt. 696 e 696-bis c.p.c. nei confronti di Ed. S.p.A. e a It. S.p.A., rimaste entrambe contumaci. Nel corso della procedura di istruzione preventiva, il consulente tecnico nominato ha accertato che i consumi dell'impianto caldaia del Condominio Ac., nelle stagioni termiche 2013, 2014 e 2015, siano stati pari a 37576 mc, in luogo dei 48404,06 mc presuntivamente stimati da parte di Ed. s.p.a. e indicati nella fattura oggetto di contestazione. Conseguentemente, il perito ha determinato l'ammontare complessivo del consumo in Euro 33.013,92 al lordo di IVA, in luogo della maggior somma richiesta e corrisposta dal Condominio pari ad Euro 40.402,50. Si è costituita nel presente giudizio Ed. s.p.a., la quale, preliminarmente ha eccepito l'omesso svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Servizio Conciliazione dell'Autorità, per l'En. e Sistema Idrico nonché ha chiesto di essere autorizzata chiamare in giudizio la società It. s.p.a.; nel merito, la società convenuta ha contestato la fondatezza delle domande avversarie, chiedendone il rigetto. In particolare, la convenuta ha, in primo luogo, dedotto come il Condominio abbia contestato esclusivamente il rilevamento dei consumi effettuato da It. s.p.a. per il periodo in cui il contatore è rimasto bloccato (o, comunque, non ha registrato i consumi effettivi), precisando che tanto il rilevamento dei consumi e loro determinazione, quanto la manutenzione e la sostituzione del gruppo di misura siano operazioni di esclusiva competenza del distributore locale (nella specie, It. s.p.a.). In secondo luogo, la convenuta ha eccepito l'inammissibilità dell'accertamento tecnico preventivo, rilevando come la procedura de qua dovesse essere disposta esclusivamente in situazioni caratterizzate "dall'urgenza di verificare lo stato di luoghi o la condizione di cose", per nulla riscontrabili nel caso di specie. La convenuta ha, inoltre, contestato le risultanze della espletata consulenza, sostenendo che il C.T.U. nominato abbia eseguito i propri accertamenti fondandosi su criteri di calcolo arbitrari. Quanto alla richiesta di restituzione della somma indebitamente corrisposta, Ed. s.p.a. ha rilevato come la controparte abbia fatto una mera proporzione tra l'importo della fattura e i smc contabilizzati, trascurando che la materia prima rappresenta solo una componente dell'importo indicato in fattura. Invero, secondo la ricostruzione operata dall'odierna convenuta, il quantum della bolletta non è dato da una mera moltiplicazione dell'importo unitariamente determinato per ogni smc per il numero degli smc conteggiati, atteso che al medesimo deve essere aggiunto anche il prezzo del gas, che rappresenta una voce variabile nel corso del tempo. Quanto, infine, all'ulteriore importo richiesto dal Condominio a titolo di risarcimento dei danni patiti in virtù della condotta tenuta dalla società fornitrice del gas nel corso della presente vicenda, la convenuta ha osservato come nulla sia dovuto, in quanto trattasi di ulteriori oneri che il Condominio ha scelto liberamente di affrontare anziché introdurre, sin da subito, un giudizio di merito. Con ordinanza del 22.10.2020, è stato assegnato termine alle parti onde procedere al tentativo obbligatorio di conciliazione presso il Servizio Conciliazione dell'Autorità, per l'Energia Elettrica Gas e Sistema Idrico, riservando, all'esito, ogni determinazione in ordine alla chiamata del terzo invocata da parte convenuta. All'udienza del 10.02.2021, preso atto che il tentativo di conciliazione ha sortito esito negativo, è stata autorizzata la chiamata in causa del terzo, It. s.p.a. Nel corso dell'udienza del 16.06.2021, è stata dapprima dichiarata la contumacia della terza chiamata, It. s.p.a., ritualmente citata, ma non costituitasi nel presente giudizio; dopodiché sono stati assegnati alle parti i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. Acquisito il fascicolo dell'accertamento tecnico preventivo (R.G. n. 1060/2017 - Dott.ssa Re.) e tentata senza esito la conciliazione delle parti, anche a mezzo proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., la causa, istruita mediante acquisizione documentale nonché integrazione dell'elaborato peritale già depositato in sede di A.T.P., è stata trattenuta in decisione all'udienza in epigrafe indicata, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. Preliminarmente deve essere dichiarata la contumacia della terza chiamata It. s.p.a., ritualmente citata e non costituitasi nel presente giudizio. Venendo al merito della vicenda per cui è causa, la domanda di ripetizione dell'indebito spiegata dal Condominio Ac. è fondata e deve essere accolta per quanto di ragione. Le questioni giuridiche prospettate dalle parti rendono necessarie alcune brevi considerazioni di ordine generale volte a orientare la decisione. Secondo un principio di diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, qualora, in tema di contratti di somministrazione, sussistano contestazioni in ordine al mal funzionamento delle apparecchiature di misurazione dei consumi, grava in capo al somministrante l'onere di fornirne la prova del corretto funzionamento, mentre spetta al somministrato dimostrare, ove lamenti l'eccessività dei consumi rilevati, che la medesima rispetto ai consumi medi precedenti è dipesa da cause esterne alla sua volontà e, pertanto, a lui non imputabili (cfr. Cass. Civ., Sez VI -3 Ord., 24 giugno 2021 n. 18195; Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 09 gennaio 2020, n. 297; Cass. civ., Sez. III, Ord., 19 luglio 2018, n. 19154; Cass. Civ., Sez. III, Sent., 22 novembre 2016, n. 23699). Il presente riparto dell'onus probandi si pone in linea con l'insegnamento delle Sezioni Unite sulla c.d. vicinanza della prova, in virtù del quale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass., Sez. Un., sent. n. 13533 del 30.10.2001). Invero, in tema di contratti di somministrazione di energia, i mal funzionamenti ovvero i guasti dei sistemi di misurazione dei consumi (quali, a titolo esemplificativo, contatori e misuratori) comportano una serie di verifiche che non sono direttamente eseguibili dall'utente, il quale appare spesso sprovvisto delle necessarie competenze tecniche. Per queste ragioni, la giurisprudenza ritiene che l'utente debba limitarsi a contestare il malfunzionamento del contatore, mentre grava sul fornitore l'onere di dimostrare che il contatore fosse regolarmente funzionante. I termini della questione, peraltro, non mutano ove si proponga un'azione di accertamento negativo del credito ex adverso vantato, giacché, in tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo (ex multis, Cass., ord. n. 16197 del 4.10.2012). Ciò posto, la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione della fattura da parte dell'utente, grava sul fornitore di energia elettrica (anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito) l'onere di provare il corretto funzionamento del contatore e, dunque, la corrispondenza tra il consumo rilevato e quello indicato in fattura. Diversamente, il fruitore deve limitarsi a dimostrare che l'eccessività dei consumi è dipesa da fattori esterni alla sua sfera di controllo, che non avrebbe potuto evitare nemmeno attraverso un'attenta custodia dell'impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi (Cass. n. 19154 del 2018; Cass. n. 297 del 2020). Facendo applicazione dei principi di diritto sopraesposti, si ritiene come il Condominio Ac. abbia assolto compiutamente il proprio onere probatorio, allegando il mal funzionamento del gruppo di misura. Invero, le contestazioni sollevate da parte attrice in ordine alle bollette emesse da Ed. s.p.a. si fondano proprio su misurazioni ritenute anomale e, al riguardo, il Condominio, nella sua qualità di utente della fornitura, ha dimostrato, anche avvalendosi di produzioni fotografiche, che tali anomalie sono ascrivibili a guasti occulti del contatore, per nulla imputabili alla propria condotta. All'opposto, Ed. s.p.a., pur non negando il mal funzionamento del misuratore e la conseguente sostituzione (avvenuta il 5.03.2015 per il tramite di It. s.p.a.), circostanza che ex sé contrasta la predetta difesa, ha tuttavia omesso di fornire alcuna valida spiegazione in ordine alla eccessività dei consumi riferiti alle stagioni termiche 2013-2015 e alla correttezza delle stime contenute nella fattura n. (...) del 25.05.2015. In particolare, la società convenuta si è limitata, da un lato, a contestare le risultanze raggiunte dal consulente tecnico nel corso della procedura ex art. 696-bis c.p.c., ritualmente svolto sia pur nella contumacia delle società resistenti e, dall'altro, ad osservare che tanto la rilevazione dei consumi quanto la manutenzione e/o la sostituzione del gruppo di misura guasto siano operazioni di esclusiva competenza del distributore locale (nella specie, It. s.p.a.). Sennonché le contestazioni mosse da Ed. appaiono assai generiche e prive di oggettivo riscontro probatorio, rivelandosi inidonee a dimostrare tanto la validità dei criteri adottati per valutare e stimare l'effettività dei consumi nelle stagioni termiche di riferimento quanto la correttezza dei ricalcoli operati. Sulla scorta di tali premesse e ad integrazione delle risultanze già raggiunte nel corso dell'A.T.P., è stato affidato al consulente tecnico, già nominato nel corso del procedimento R.G. n. 1060/2017, il seguente quesito: "indicare in modo analitico il criterio adottato sia nella stima dei gradi riscontrati sia nella quantificazione del consumo, con particolare riguardo alla determinazione del maggior costo in funzione delle varie componenti energia e dell'andamento del costo della materia prima nel tempo, avendo cura, inoltre, di riscontrare le osservazioni depositate dal consulente di parte convenuta ed allegate alle note di trattazione scritta del 03.10.2022". Il C.T.U., all'esito di un elaborato congruamente motivato al quale si rimanda integralmente, ha rilevato la non congruità dei criteri di stima e di calcolo adottati da parte convenuta nella emissione della fattura n. (...), atteso che il consumo complessivo di metano da parte del Condominio nel periodo oggetto di perizia (i.e. 1.01.2013-5.03.2015) è stato stimato in 37.644 mc, con conseguente quantificazione del valore della fornitura in Euro 33.013,92. In particolare, nell'ambito della relazione integrativa disposta con l'ordinanza del 12.12.2022, l'ing. Ga.Se., nell'esaminare la questione prospettata, ha dapprima chiarito il criterio posto a fondamento del rilevamento dei gradi riscontrati, precisando che "il grado giorno è la differenza tra la temperatura dell'ambiente riscaldato, convenzionalmente fissata pari a 20 C per gli edifici residenziali, e la temperatura dell'aria esterna media giornaliera" e che per "la stagione di riscaldamento a Brandizzo (TO), dal 15 ottobre al 15 aprile, i giorni complessivi di attivazione dell'impianto sono 183", sicché "per ottenere i gradi giorno totali della stagione di riscaldamento occorre calcolare la differenza succitata per ogni giorno e sommare tutti i valori. I valori delle temperature dell'aria esterna medie giornaliere furono ricavati dai dati misurati dalla stazione Arpa di Brandizzo-Malone ?"; dopodiché il consulente ha offerto chiarimenti in ordine al criterio adottato per la quantificazione effettiva dei consumi, osservando che "i gradi giorno effettivi del periodo considerato furono calcolati partendo dalle temperature medie dell'aria esterna" e che "dividendo il consumo totale di gas metano rilevato per i gradi giorno, fu possibile calcolare il consumo specifico di metano dell'edificio riferito al grado giorno" (denominato "consumo specifico di metano/GG"). Secondo la valutazione compiuta dall'ing. S., il parametro individuato consente di legare i consumi dell'edificio alle variazioni della temperatura esterna e, pertanto, "di valutare i consumi di metano dell'edificio di passate stagioni di riscaldamento, noti i gradi giorno effettivi delle stesse" (cfr. pag. 2, Relazione peritale integrativa). Ciò posto, il consulente ha aggiunto che, per le stagioni termiche oggetto di perizia, si è reso necessario distinguere la stagione termica compresa tra il 1.01.2013 e il 15.04.2014, ove si è rivelato corretto il consumo specifico di metano/GG, dal periodo decorrente dal 15.10.2014, caratterizzato da un differente rendimento di regolazione dell'impianto a seguito dell'installazione delle valvole termostatiche sui radiatori. Pertanto, "in base alle ipotesi adottate, come indicato nella relazione di perizia del 24/1/2018, il fattore correttivo venne calcolato pari a una maggiorazione del 28% del valore 5,318 mc/GG valutato per il periodo dal 4/12/2017 al 6/1/2018. Fu pertanto assunto un valore del consumo specifico di metano/GG pari a: 5,318 mc/GG x 1,28 = 6,807 mc/GG", sicché i consumi complessivi di metano si sono rivelati, per l'anno 2013, pari a 18.209 mc, per l'anno 2014 di 13.788 mc, e, infine, quanto all'anno 2015, di 5.579 mc (cfr. pag. 3, Relazione peritale integrativa). Alla luce dei calcoli eseguiti, l'ing. S. ha concluso che il consumo di metano dell'edificio nel periodo compreso tra il 1.01.2013 e il 5.03.2015 debba esser quantificato nel minor valore di 37.576 mc, e che, conseguentemente, l'importo complessivo dei consumi debba esser stimato in Euro 33.013,92 al lordo di IVA. Le argomentazioni svolte dal consulente devono essere pienamente condivise, poiché, oltre ad essere motivate in modo approfondito, risultano ancorate ai riscontri effettuati suoi luoghi e posti in correlazione con le risultanze documentali. In proposito, giova osservare come la giurisprudenza di legittimità abbia a più riprese affermato che il mancato esame delle risultanze della C.T.U. integra un vizio della sentenza, che può essere fatto valere, nel giudizio di Cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ribadendo come le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e che risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del C.T.U. (ex multis, Cass. Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 13770 del 31.05.2018; Cass. Sez. III, sentenza n. 13922 del 7.07.2016; Cass. sez. I, sentenza n. 5148 del 3.03.2011). Peraltro, giova osservare come le conclusioni raggiunte dal C.T.U. non siano state efficacemente contrastate dal consulente nominato da Ed. s.p.a., il quale si è limitato a proporre le proprie tesi senza incidere significativamente sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. In particolare, in ordine alla contestazione mossa dal C.T.P. sulla scelta del periodo per la rilevazione dei consumi (i.e. dal 4.12.2017 al 6.01.2018), ritenuto troppo breve oltreché comprendente svariate e ravvicinate festività tali da far emergere un dato "parziale e poco adatto ad essere utilizzato come base di partenza sulla quale effettuare calcoli", l'ing. S. ha rilevato che l'arco temporale che va dal 4 dicembre al 6 gennaio rappresenta una scelta adeguata, atteso che, oltre a corrispondere ad un mese su sei della usuale stagione di riscaldamento, è altresì uno dei periodi più freddi dell'anno e, pertanto, di significativa importanza per raccogliere maggiori informazioni sui consumi (cfr. pag. 4, Relazione integrativa). Quanto alla seconda critica svolta dal consulente di parte e inerente alla mancata individuazione dell'orario di rilevazione dei segnanti del misuratore (specificatamente alle date di inizio e di fine rilevazione), atteso che "in assenza di tale informazione, risulta impossibile stabilire se la rilevazione sia stata effettuata ad inizio o a fine giornata, pertanto non è possibile stabilire se il consumo effettivo dei giorni 4.12.2017 e 6.1.2018 sia stato preso in considerazione o meno, e quindi se i gradi giorno nelle rispettive date, debbano essere conteggiati ?", il consulente ha replicato evidenziando come le letture del contatore siano state eseguite nella tarda mattinata "con risultante consumo di metano relativo solo a metà giornata, .. calcolando la temperatura esterna media giornaliera solo relativamente al periodo di osservazione, dodici ore e non ventiquattro ore (cfr.: Allegato 1), e precisamente: a) 3 C per la data 04/12/2017, considerando i valori di temperatura dalle ore 13 alle ore 24; b) 5,2 C per la data 06/01/2018 considerando i valori di temperatura dalle ore 1 alle ore 12. Non è quindi necessario ricorrere ad ulteriori coefficienti correttivi per il calcolo dei gradi giorno delle suddette date" (cfr. Valutazioni delle osservazioni delle parti). Ciò posto, la Suprema Corte ha affermato a più riprese come il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento. Non è, quindi, necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. da ultimo Cass., sent. n. 1815/2015). Alla luce delle considerazioni tutte sinora svolte e in assenza di ulteriori e soprattutto idonee spiegazioni fornite dalla parte convenuta in ordine alla scelta dei parametri adottati per il computo dei consumi, deve concludersi che il Condominio A., nel periodo 1.01.2013-5.03.2015, ha complessivamente consumato 37.576 mc di metano per un importo pari ad Euro 33.013,92, di talché la domanda spiegata da parte attrice e volta a ottenere la restituzione della somma di Euro 9.638,28, quale somma per consumi indebitamente corrisposta a Ed. s.p.a., debba essere accolta. Su tale somma sono dovuti gli interessi ex art. 1284 comma 1 c.c. dalla richiesta stragiudiziale di restituzione dell'importo sino all'introduzione del presente giudizio e comma 4 della predetta disposizione dalla notificazione dell'atto introduttivo sino al saldo. Quanto all'applicazione degli interessi ex art. 1284 c.c. alle azioni restitutorie, la Suprema Corte, dopo aver ricostruito l'evoluzione normativa e la ratio della medesima, ha osservato che anche in base al precedente indirizzo "non è affatto esclusa, anzi è espressamente riconosciuta l'applicabilità dell'art. 1284, comma 4, c.c., alle obbligazioni restitutorie, quando esse trovano la loro fonte in un rapporto contrattuale, essendosi in quella sede affermato, infatti, che "il saggio d'interesse legale stabilito nella disposizione normativa presente nell'art. 1284, comma 4, c.c., trova applicazione esclusivamente quando la lite giudiziale ovvero arbitrale ha ad oggetto l'inadempimento di un accordo contrattuale anche in re-lazione alle relative obbligazioni restitutorie". Pare evidente che, con tale ultima precisazione, si sia inteso fare riferimento (quanto meno) alle obbligazioni restitutorie derivanti dalla eventuale invalidità di un contratto o di determinate clausole contrattuali che abbiano dato luogo a prestazioni rimaste prive di causa (cd. condictio ob causam finitam). Orbene, la specifica obbligazione oggetto del titolo esecutivo posto a base del precetto opposto, qualunque natura si possa attribuire all'azione esperita dalla società attrice nel sottostante giudizio di merito ed al genus cui essa potrebbe in astratto ricondursi, è certamente un'obbligazione che trova la sua fonte in un sottostante rapporto contrattuale" (cfr. in termini Cass. sez. 3 - , Ordinanza n. 61 del 03/01/2023). Passando all'esame dell'ulteriore domanda di risarcimento dei danni patiti dal Condominio Ac. in relazione al contegno tenuto dalla società Ed. s.p.a. nel corso dell'intera vicenda per cui è causa, la medesima è suscettibile di parziale accoglimento per le ragioni di seguito esposte. Com'è noto, le spese di assistenza stragiudiziale, sostenute dalla parte in favore del proprio legale nella fase che precede l'instaurarsi del contenzioso, hanno natura di danno emergente. Invero, secondo quanto osservato recentemente dalla Suprema Corte, l'attività stragiudiziale va tenuta distinta rispetto a quella giudiziale e la liquidazione delle spese della prima deve essere valutata nell'ottica del presumibile esito futuro del giudizio. Ne deriva, conseguentemente, che le spese legali sostenute nella fase stragiudiziale non possono essere considerate un danno emergente ogniqualvolta l'attività svolta dall'avvocato in tale fase sia valutata come inutile o superflua per la risoluzione della controversia ovvero non idonea ad assicurare una tutela più rapida al proprio assistito o, ancora, a evitare la fase giudiziale. Quanto all'onere della prova, la Corte ha avuto modo di precisare che, qualora una parte intenda ottenere la liquidazione delle spese legali stragiudiziali (inclusi i compensi del proprio difensore), essa avrà l'onere di fornire prova, in giudizio, dell'avvenuto versamento, allegando alla propria domanda la relativa documentazione, atteso che le spese stragiudiziali, diversamente da quelle processuali, costituiscono una componente del danno emergente e, come quest'ultimo, deve esserne dimostrata l'esistenza ad opera della parte che l'abbia subito o, nel caso delle spese, che le abbia sostenute (Cass., ord. n. 15732 del 17.05.2022). Nel caso di specie, il Condominio Ac. ha allegato di essersi rivolto, prima di incardinare il procedimento ex artt. 696 e 696-bis c.p.c. nonché il presente giudizio, ad un legale, onde vagliare l'opportunità di intraprendere un'azione nei confronti di Ed. s.p.a. e di It. s.p.a. Sennonché il Condominio non ha prodotto alcunché a riprova dell'attività stragiudiziale espletata dal professionista, non specificando così se la medesima sia consistita in una mera attività di consulenza ovvero in contatti mediante corrispondenza elettronica o posta ordinaria con i referenti delle società, né tantomeno alcuna documentazione (quale, a titolo esemplificativo, una distinta di bonifico, ecc.) a giustificazione dell'avvenuto versamento del compenso al legale medesimo, limitandosi esclusivamente a depositare copia della fattura recante l'importo dovuto a titolo di parcella. Peraltro, alle considerazioni sopra svolte deve aggiungersi che le spese inerenti a prestazioni stragiudiziali possono essere rimborsate al cliente esclusivamente laddove le medesime non siano connesse e complementari con quelle giudiziali, sì da costituirne il naturale completamento (Cass., sent. n. 8571 del 27.03.2023). Di talché, nel caso in esame, non avendo il Condominio fornito la prova dell'esborso di denaro per l'attività di assistenza stragiudiziale, la quale peraltro non rivesta un'autonoma rilevanza rispetto all'attività giudiziale, la domanda in parte qua non può essere accolta, tenuto conto anche del riconoscimento delle spese di lite per il giudizio ex artt. 696 e 696 bis c.p.c. Medesime considerazioni devono valere per le spese sostenute per l'amministratore in relazione all'attività integrativa svolta, tenuto conto da un lato che non sussiste prova della diretta ed esclusiva riconducibilità delle medesime alle questioni per cui è causa e, dall'altro, dell'effettivo esborso. Di contro, deve essere riconosciuto all'odierno attore il rimborso degli esborsi effettuati per onorari di CTP e di CTU, nel corso sia del procedimento ex artt. 696 e 696-bis c.p.c. sia del presente giudizio, per le ragioni che saranno successivamente illustrate. Venendo ora all'esame della domanda spiegata, in via subordinata ed eventuale, da Ed. s.p.a., volta a ottenere una condanna nei confronti di It. s.p.a. a tenere manlevata e indenne l'odierna convenuta per ogni importo da versare in favore del Condominio "per fatti e colpa di It. o comunque da questa determinati", si ritiene che la medesima non sia suscettibile di positiva valutazione per le ragioni che seguono. Con la fattura n. (...) del 25.05.2015, Ed. s.p.a. ha sollecitato al Condominio Ac. il pagamento della somma di Euro 40.402,50, comprensiva tanto dei consumi di gas stimati per il periodo compreso tra febbraio-aprile 2015, quanto di un ricalcolo operato per le stagioni termiche in cui il misuratore, a causa di un guasto, è rimasto bloccato. Ciò posto, atteso che il ricalcolo, sia pur sulla base delle stime effettuate da It. s.p.a., è operazione che è stata compiuta interamente dall'odierna convenuta, nessuna responsabilità può essere invocata nei confronti della società terza chiamata. Invero, la terza chiamata si è limitata a compiere rilievi in ordine al potenziale consumo di gas naturale del condominio nel periodo di riferimento. Trattasi, tuttavia, di un'operazione che deve essere tenuta distinta dalla fatturazione, atteso che quest'ultima non tiene conto esclusivamente della misurazione dei consumi e del costo della materia prima gas nel singolo periodo di riferimento, bensì di ulteriori voci di calcolo che vanno a comporre la bolletta. Di talché, rilevato che la parte convenuta si è limitata a contestare un mero errore di conteggio consumi operato dalla società It., senza volgere alcuna considerazione in ordine al maggior danno ovvero alle spese sopportate in conseguenza della condotta tenuta dalla terza chiamta, la domanda di maleva nei termini in cui è stata formulata da Ed. s.p.a. debba essere respinta. Quanto alla determinazione sulle spese di lite, le medesime sono poste, in ragione del principio della soccombenza, a carico della società convenuta e sono liquidate, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come aggiornati dal D.M. n. 147 del 2022 per il giudizio di merito e applicando il precedente D.M. n. 37 del 2018 per l'istruzione preventiva, tenuto conto dello svolgimento della procedura ex artt. 696 e 696-bis c.p.c., della sostanziale medesimezza delle questioni trattate nel procedimento ante causam e nel giudizio di merito, del mancato svolgimento di attività istruttoria orale nonché del valore della controversia (scaglione 5.201,00-26.000,00), applicando i valori prossimi ai medi previsti dalla tabella di riferimento, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, oneri previdenziali e fiscali e spese vive (Euro 2.500,00 per giudizio ex artt. 696 e 696 bis; Euro 4.800,00 per il giudizio di merito). Inoltre, le spese di C.T.U., liquidate nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo, sostenute interamente dal Condominio attore, devono essere poste a carico della società convenuta. Come è noto, infatti, le spese dell'accertamento tecnico preventivo ante causam vanno poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente e vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito (ove l'accertamento stesso venga acquisito) come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di possibile compensazione totale o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto (Cass. sent. n. 15672 del 27.07.2005). Sono, inoltre, rimborsabili le spese sostenute da parte attrice per la consulenza di parte nella misura di Euro 3.625,92, attesa la documentazione prodotta a supporto, non potendo ritenersi le medesime eccessive né superflue. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato a più riprese che le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, la quale ha natura di allegazione difensiva tecnica, rientrano tra quelle che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate, a meno che il giudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, comma 1 c.p.c. della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass., Sezione II, Sentenza 18 maggio 2015, n. 10173; Cass. 3-1-2013 n. 84; Cass. 16-6-1990 n. 6056; Cass. 11-6-1980 n. 3716). P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 686/2020 R.G., così provvede: in parziale accoglimento della domanda spiegata dal Condominio A., in persona dell'amministratore pro tempore, condanna Ed. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore della parte attrice, della somma di Euro 9.638,28, oltre agli interessi come in motivazione; condanna la società convenuta al pagamento in favore dell'attrice delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano, tenuto conto del procedimento ex artt. 696 e 696-bis c.p.c., in complessivi Euro 7.300,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, in Euro 264,00 per spese vive ed Euro 3.206,40 a titolo di rimborso delle spese necessarie alla consulenza tecnica di parte; rigetta la domanda spiegata da Ed. s.p.a. nei confronti di It. s.p.a.; pone definitivamente a carico della società convenuta le spese di C.T.U., così come liquidate nel corso del giudizio ex artt. 696 e 696-bis c.p.c. e con decreto del 28.06.2023 (totale Euro 3.009,07). Così deciso in Ivrea il 3 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 416 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2019 posta in decisione all'udienza del 19.04.2023 e vertente tra Ci.Ca. (cod. fisc. (...)), Gi.Ca. (cod. fisc. (...)) e Ve.Ca. (cod. fisc. (...)), rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall'Avv. Lu.Ca., dall'Avv. Ma.Me. e dall'Avv. St.Me.; Opponenti e Da.Mo., titolare Ditta Individuale La., (C.F. (...) ), in S. T. Via V. n. 23, rappresentato e difeso dall'Avv. Pa.Ru.; Opposto nonché An.Be., (C.F. (...) ), rappresentato e difeso ai fini del presente giudizio dall'Avv. Fr.Da.; terzo chiamato e To. S.A., in persona di Va.An., nella qualità di Head of Claims e Procuratrice speciale della predetta società, Rappresentanza Generale per l'Italia (P.IVA (...)), domiciliata per la carica in M., Via T. 2, rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Va.; terza chiamata OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo; contratto di appalto MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). Con ricorso ex artt. 633 e ss. D.M., quale titolare della ditta individuale La., premettendo di essere creditore nei confronti di Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. della somma di Euro 106.028,00, quale saldo del corrispettivo pattuito per l'esecuzione di lavori inerenti al "contratto di appalto per intervento di nuova costruzione di un fabbricato bifamiliare in S. T., via B. n. 17" del 09.12.2015, ha chiesto al Tribunale di Ivrea di ingiungere il pagamento della suddetta somma oltre interessi nella misura legale dalla data della fattura sino al saldo. In data 27.11.2018, il Tribunale adito ha emesso il decreto ingiuntivo n. 1629/2018 per il pagamento della somma richiesta. Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. hanno proposto tempestiva opposizione, assumendo l'insussistenza della avversa pretesa creditoria. In sintesi, e nei limiti di ciò che rileva in questa sede, affrontando nel proseguo le specifiche contestazioni, gli opponenti hanno dedotto come le opere oggetto del contratto di appalto, il cui compenso, pattuito in complessivi Euro 196.950,00 oltre I.V.A., già corrisposto nella misura di Euro 95.000,00, non solo non siano state completate bensì presentino plurimi vizi e difetti strutturali, denunciati alla controparte all'esito dello svolgimento di una perizia di parte. Ciò posto, i committenti hanno spiegato domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti, così come partitamente indicati nell'atto introduttivo e nelle conclusioni sopra rassegnate, stimati in Euro 142.308,42, richiedendo, altresì, l'autorizzazione alla chiamata in causa del Direttore dei Lavori, geom. An.Be., per sentirlo condannare al risarcimento in via solidale con l'appaltatore. Si è costituito in giudizio Da.Mo., chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto. In particolare, l'appaltatore ha offerto una ricostruzione dei fatti sostanzialmente antitetica rispetto a quella prospettata dalla controparte, assumendo di aver correttamente eseguito tutte le opere commissionate sino a quando i committenti, in data 30.06.2017, a seguito di un sopralluogo effettuato degli ispettori dell'A.T., hanno chiuso il cantiere impedendogli di proseguire nei lavori e trattenendo, altresì, il materiale che era presente all'interno e impedendo al contempo di ottemperare alle prescrizioni disposte dall'autorità amministrativa, con conseguenti danni per i quali ha richiesto il ristoro nella prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.. L'opposto, pertanto, nell'ambito della prima memoria istruttoria ha ampliato la domanda originariamente formulata in via monitoria, richiedendo, altresì, il risarcimento dell'ulteriore importo di Euro 27.651,93, di cui Euro 3.600,00 a titolo di sanzione amministrativa emessa dall'As., Euro 14.000,00 per la sottrazione e conseguente rottamazione degli attrezzi da lavoro rimasti nel cantiere e la retante somma per il noleggio del gruppo elettrogeno e per l'acquisto del gasolio. A seguito della chiamata in causa, si è costituito il geom. An.Be. assumendo l'infondatezza sia della domanda di chiamata in causa sia delle domande attoree, chiedendo comunque in via preliminare di essere autorizzato a chiamare in causa la To. S.A. con la quale ha stipulato polizza assicurativa per la responsabilità civile. Il direttore dei Lavori ha spiegato domanda riconvenzionale nei confronti dei committenti, richiedendo il saldo delle proprie competenze professionali per l'importo di Euro 4.557,50, come da preventivo concordato del 27.03.2015. A seguito di ulteriore differimento e chiamata in causa di terzo, si è costituita la compagnia assicurativa contestando l'operatività della polizza in tutto ovvero in parte rispetto ai danni richiesti; nel merito, la compagnia ha contestato le avverse domande per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle spiegate dal proprio assicurato. Tentata senza esito la conciliazione della lite, anche a mezzo proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c., la causa, istrutita mediante svolgimento di prova orali e di consulenza tecnica, è stata assunta in decisione in data 13.07.2022. Con ordinanza del 24.01.2023 la causa è stata rimessa in istruttoria, disponendo un supplemento della consulenza tecnica. All'esito del deposito dell'elaborato integrativo, la causa è stata assunta in decisione ai sensi dell'art. 281-quinquies c.p.c., con concessione dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. In via preliminare devono essere confermate le ordinanze con le quali sono state respinte le ulteriori istanze istruttorie formulate dalle parti, con particolare riguardo sia alla richiesta di ammissione delle ulteriori prove orali, atteso che i capitoli articoli sono irrilevanti ai fini del decidere, investendo in parte circostanze già oggetto di consulenza tecnica ed in parte circostanze valutative, generiche e documentali, sia alla integrazione ovvero rinnovazione della consulenza tecnica tenuto conto che il consulente, anche all'esito dell'elaborato integrativo, ha offerto gli elementi utili ai fini della presente decisione. Venendo al merito giova svolgere alcune considerazione preliminari che devono orientare la decisione. Come è noto, nel procedimento di ingiunzione, colui che promuove il giudizio di opposizione può essere parificato all'attore dell'ordinario giudizio di cognizione solo da un punto di vista formale, poiché da un punto di vista sostanziale è, viceversa, l'opposto che avanza in giudizio la pretesa creditoria; ai fini della distribuzione dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., occorre, allora, dare rilievo all'effettiva e naturale posizione delle parti, restando a carico dell'opposto la prova dell'esistenza del credito ed a carico dell'opponente quella degli eventuali fatti estintivi dell'obbligazione. Da ciò consegue che, secondo i principi generali in tema di onere della prova, incombe a chi fa valere il diritto in giudizio fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009). In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell'art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell'onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove l'art. 1218 introduce una presunzione in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell'altrui pretesa; es. l'avvenuto esatto adempimento). Nell'azione di adempimento, dunque, il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza della fonte (negoziale o legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l'adempimento, ma non anche l'inadempimento da parte dell'obbligato, che va meramente allegato, dovendo infatti essere quest'ultimo, cioè il debitore convenuto a provare il fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell'altrui pretesa, costituito - quest'ultimo- di regola dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. SU 13533/01; Cass. 9439/08; Cass. 15677/09; Cass. 3373/10). In via preliminare deve essere dichiarata inammissibile la domanda formulata dalla parte opposta con la prima memoria ex art. 183 comma 1 c.p.c., con la quale ha richiesto la condanna degli opponenti al pagamento "dell'importo di Euro 27.651,93 a titolo di risarcimento danni subiti", di cui Euro 3.600,00 per la sanzione applicata dalla As. per le irregolarità rinvenute nel cantiere e non rimosse per l'estromissione operato dalla committenza, Euro 14.000,00 per il valore degli "attrezzi da lavoro" rimasti in cantiere e non ritirati ed Euro 10.051,00 per il noleggio di un gruppo elettrogeno e per l'acquisto del gasolio per attivarlo. In proposito la giurisprudenza di legittimità, di recente, nel ricostruire e coordinare i principi espressi in tema di modificazione della domanda originaria nell'ambito della prima memoria ex art. 183 c.p.c. (cfr. Cass. Sezioni Unite 15 giugno 2015, n. 12310) con il rito monitorio, ha affermato che all'ingiungente opposto in fase di opposizione ex art. 645 c.p.c. è concesso, sostanzialmente per insuperabili ragioni di economia processuale (art. 111 Cost.), di proporre domande nuove (dunque di cambiare l'allegazione della causa petendi del credito), anche in assenza di domande o eccezioni riconvenzionali da parte dell'opponente, purché siffatte nuove domande traggano comunque origine dalla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio e siano connesse per incompatibilità a quelle originariamente proposte (cfr. Cass. Civ. Sez. I Sent., 24/03/2022, n. 9633: "In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui l'opponente non abbia proposto una domanda o un'eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezionichiedendo la revoca del decreto opposto, qualora tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all'opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all'attore formale e sostanziale dall'art. 183 c.p.c.."; cfr. altresì Cass. Sez. U, Sentenza n. 22404 del 13/09/2018). Nel caso di specie, la domanda risarcitoria è stata proposta dalla parte opposta non solo con la prima memoria istruttoria e, dunque, oltre il termine ultimo fissato nella comparsa di costituzione e risposta, bensì non è connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, risolvendosi in una domanda nuova e come tale inammissibile. Passando ad esaminare nel merito le ulteriori prospettazioni delle parti, non essendo in contestazione tanto la sussistenza del rapporto contrattuale, nella specie il contratto di appalto stipulato tra le parti in data 09.12.2015, quanto lo svolgimento di almeno di parte delle opere descritte nel capitolato, occorre soffermare l'attenzione sugli inadempimenti reciprocamente allegati e sulle conseguenti domande rispettivamente formulate. Sempre in termini generali giova richiamare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di appalto gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall'art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, una totale "restitutio in integrum". Ne consegue che, nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell'appaltatore, quest'ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva condannato il committente a versare quanto dovuto per le prestazioni eseguite prima della risoluzione sul presupposto che, trattandosi del pagamento di un compenso e non del richiesto corrispettivo, difettasse autonoma domanda dell'appaltatore; Cass. civ. Sez. II Ord., 30/10/2018, n. 27640; cfr. in senso conforme Cass. n. 15705 del 2013; Cass. n. 3455 del 2015; Cass. n. 13405 del 2015). L'obbligazione restitutoria non ha, quindi, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni (nei sensi suddetti, tra le tante: Cass. n. 7829 del 2003; Cass. n. 3555 del 2003; Cass. n. 341 del 2002; n. 7470 del 2001), di talché nel caso di risoluzione del contratto di appalto, sebbene pronunciato per colpa dell'appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (cfr. anche, Cass. n. 5444 del 1997). In altri termini, l'appaltatore ha comunque diritto ad ottenere il pagamento del corrispettivo per le opere realizzate e ciò indipendentemente anche da una eventuale pronuncia di risoluzione, tanto per inadempimento quanto consensuale, chiaramente al netto sia delle opere contrattualmente previste ma non eseguite sia dell'importo necessario per eliminare i vizi dei lavori non correttamente eseguiti. Proprio sulla scorta dei predetti principi è stata svolta la consulenza tecnica finalizzata da un lato a determinare l'esatto ammontare dei lavori eseguiti dall'appaltatore e, dall'altro, ad accertare la sussistenza dei vizi allegati dalla parte committente. Proseguendo in ordine logico appare opportuno esaminare dapprima la questione inerente alla cessazione del rapporto contrattuale atteso che sul punto le prospettazioni delle parti divergono recisamente e la medesima assume rilievo dirimente su parte delle domande risarcitorie formulate dagli opponenti. In proposito, infatti, i committenti assumono come l'appaltatore, successivamente all'attività ispettiva effettuata dal personale del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell'A.T. svolta in data 30.06.2017, cui ha fatto seguito l'accertamento di violazioni e la conseguente applicazione delle sanzioni amministrative, abbia interrotto i lavori abbandonando il cantiere. I Ca., in dipendenza di tale circostanza ed in particolare in relazione alla ritardata esecuzione delle opere, hanno invocato la condanna della controparte, tra l'altro, al pagamento dell'importo di Euro 28.500,00 a titolo di penale contrattuale. Di contro, Da.Mo. ha allegato come la controparte successivamente al controllo effettuato dagli ispettori dell'A.S.L. abbia chiuso l'area di cantiere, apponendo un lucchetto al cancello di ingresso, estromettendolo definitivamente. L'esame complessivo delle risultanze istruttorie non consente di affermare che vi sia la prova dell'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore né del ritardo nell'esecuzione dei lavori che legittimi sia l'applicazione della penale sia il riconoscimento delle voci di danno invocate dalla committenza. In primo luogo, si osservi come l'unico teste in grado di riferire in ordine alla chiusura del cantiere, Al.Ca., dipendente dell'appaltatore, abbia rappresentato che successivamente al controllo effettuato dagli ispettori del lavoro, nell'ambito del quale è stata contestata la sua presenza in cantiere, poiché sprovvisto del contratto di assunzione, si è recato unitamente al titolare presso gli immobili in corso di costruzione e di non essere riuscito ad entrare atteso che il cancello di ingresso era stato chiuso con lucchetto, senza che fosse al contempo presente alcuno dei committenti per consentire l'accesso (cfr. udienza del 06.05.2022 Al.Ca.: "ricordo che sono venuti gli Ispettori dell'As. e dopo avermi controllato e verificato che non ero in regola mi hanno detto di allontanarmi dal cantiere; sono andato prima di pranzo e nella giornata non sono più tornato; ricordo che il giorno seguente, dopo che Mo. mi aveva messo in regola, con un'assunzione, siamo andati sul cantiere la mattina ed abbiamo trovato chiuso il cantiere con un lucchetto di cui non avevamo le chiavi, lucchetto diverso da quello che c'era prima; prima avevamo le chiavi noi del lucchetto ed entravamo sia autonomamente sia alcune volte ci apriva il sig. Ci.Ca., il padre del Ca. presente in udienza; non riuscendo ad entrare ho visto Da.Mo. chiamare qualcuno dei committenti, non so se padre o figlio, e ricordo di una discussione al telefono, di cui non posso dire il contenuto; nessuno dei Ca. è venuto in cantiere e ricordo che siamo poi andati via). Le predette dichiarazioni, pur dovendo essere vagliate con rigore, tenuto del rapporto che ha legato il teste al committente, da un lato non sono state contrastate da ulteriori dichiarazioni testimoniali, tenuto conto che nessuno degli altri testi escussi è stato in grado di riferire specificamente sulla circostanza, e dall'altro, per quel che maggiormente rileva, hanno trovato riscontro documentale nel contenuto della lettera di contestazione formulata dagli opponenti a mezzo di legale incaricato in data 03.07.2017 (cfr. doc. 4 C.). Invero, dall'esame della predetta comunicazione, inoltrata a distanza di soli tre giorni dall'accertamento ispettivo (30.06.2017) e dal contestato abbandono del cantiere, di cui peraltro due ricadenti nelle giornate di sabato e domenica, si evince come i committenti non abbiano in alcun modo sollecitato l'appaltatore nel proseguire i lavori ovvero nell'eliminare eventuali vizi delle opere realizzate, bensì abbiano sollecitato esclusivamente la controparte a prendere contatti con il legale incaricato per ottenere il risarcimento del danno. In altri termini, l'esame congiunto tra le risultanze delle prove orali e soprattutto il contenuto della predetta missiva consente di affermare che la risoluzione del rapporto contrattuale sia avvenuta sostanzialmente per volontà dei committenti, i quali anche a seguito del controllo ispettivo dell'A. e delle contestazioni effettuate nel mese di giugno 2017 da parte del Direttore dei Lavori, avevano perso fiducia nel corretto svolgimento dei lavori da parte dell'appaltatore. Del pari, nella complessiva valutazione del comportamento delle parti e nell'esame dei rispettivi inadempimenti, deve escludersi che l'inadempimento contestato all'appaltatore possa dirsi non solo di gravità tale da legittimare una pronuncia risolutoria bensì sia di gravità superiore a quello imputabile ai committenti stessi, i quali, come si vedrà di seguito, al momento della cessazione del rapporto erano comunque in debito con la controparte, non avendo corrisposto l'importo dei lavori eseguiti pur al netto dei vizi riscontrati. A ciò si aggiunga come la domanda di condanna al pagamento della penale contrattuale, così come al risarcimento dei danni causalmente riconducibili ad un contestato ritardo nel completamento delle opere, non sia suscettibile di accoglimento per ulteriori ragioni. In primo luogo, le parti all'art. 14 del contratto avevano pattuito che le opere avrebbero dovuto "essere ultimate entro 12 mesi dall'inizio dei lavori", con la precisazione che "dal computo dei giorni utili saranno esclusi quelli in cui le avversità atmosferiche avranno impedito la regolare esecuzione dei lavori nonché i periodi di sospensione determinata da causa di forza maggiore". Secondo la prospettazione degli opponenti (cfr. pagina 3 atto di citazione) i lavori sarebbero iniziati nel mese di giugno 2016; l'opposto in sede di costituzione ha allegato che dal mese di luglio 2016 al mese di giugno 2017 "vi sono stati ben 100 giorni di pioggia (tre mesi e mezzo), durante i quali i lavori sono stati, per forza maggiore, interrotti", producendo documentazione a supporto dell'allegazione (cfr. pagina 3 della comparsa e documento 5 parte convenuta). La predetta circostanza non è stata specificamente ed efficacemente contestata dagli opponenti nei successivi scritti difensivi, di talché deve trovare applicazione il principio di cui all'art. 115 c.p.c. Ciò posto alla data dell'invio della missiva del 03.07.2017 e comunque al momento del contestato abbandono del cantiere non vi è prova che il termine contrattuale pattuito per il completamento dei lavori fosse spirato, con conseguente inapplicabilità della penale invocata dai committenti. Alle medesime conclusioni deve giungersi anche valorizzando una ulteriore pattuizione contrattuale. In particolare gli odierni contendenti, nel disciplinare le modalità di pagamento in correlazione con le tempistiche di esecuzione delle opere, all'art. 15 del contratto, dopo aver partitamente indicato i lavori da eseguire con il relativo costo, all'ultimo comma hanno espressamente pattuito che "le opere contemplate nei punti 5, 6, 7, 8 non potranno essere iniziate prima della vendita degli immobili di proprietà dei signori Ci.Ca. e Gi.Ca. in S. T. Strada R. n. 48, al N.C.E.U. censiti al fog. (...), mappale (...), sub (...) l'alloggio, e mappale (...) sub (...), il box". Nei rispettivi atti difensivi nessuna delle parti ha preso posizione in ordine a tale circostanza, e in particolare gli opponenti non hanno allegato e conseguentemente fornito la prova che la condizione specificamente dedotta in contratto per poter dar corso alle opere indicate ai punti 5, 6, 7 e 8, ovverosia la vendita degli immobili di Ci.Ca. e Gi.Ca. siti in S. T. Strada R. n. 48, si sia effettivamente verificata, con la conseguenza che non può essere imputato all'appaltatore un ritardo nel completamento delle opere che legittimi l'applicazione della penale contrattuale. Per ragioni sostanzialmente speculari deve essere respinta la domanda risarcitoria spiegata dagli opponenti avente ad oggetto il minor valore della vendita dell'immobile sito S. T.se, via B. n. 19 rispetto a quanto convenuto in contratto (cfr. punto 4 dell'art. 15), atteso da un lato che la medesima trae origine dal contestato ritardo nel completamento delle opere e, dall'altro, che la determinazione di alienare il bene a terzi ad un prezzo inferiore rispetto a quanto stimato in contratto è conseguenza di una libera scelta degli opponenti che non può essere riversata sull'appaltatore. Del resto, i committenti avrebbero comunque potuto offrire in luogo del pagamento del saldo del corrispettivo, che, come si vedrà di seguito, è comunque almeno in parte dovuto, la cessione del bene, facendo in tal modo salvo il valore contrattualmente pattuito. Devono essere a questo punto esaminate le opere oggetto del contratto di appalto al fine di verificare l'esatto ammontare di quelle effettivamente eseguite sino alla interruzione dei lavori ed accertare la presenza di vizi che legittimino l'accoglimento della domanda risarcitoria spiegata dai committenti. Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione di prescrizione e decadenza sollevata dalla difesa del terzo chiamato geom. An.Be., tanto sotto il profilo ex art. 1667 c.c. che 1669 c.c. atteso che le opere non sono state ultimate. Nel contratto di appalto concernente l'esecuzione di un'opera, l'azione di garanzia per vizi può essere esercitata solo dopo la consegna dell'opera stessa, quale momento di adempimento della prestazione dell'appaltatore che ne presuppone, ovviamente, l'ultimazione. Quanto sopraesposto si desume dal tenore letterale dell'art. 1667, comma 3 c.c. che fa decorrere la prescrizione della relativa azione "dal giorno della consegna dall'opera", afferente alla fase dell'esecuzione contrattuale. Conseguentemente la prescrizione non opera fino a quando non avvenga, a seguito della ultimazione dei lavori, la consegna definitiva subordinata alla verifica e all'accettazione dell'opera (Cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Cass. Civ. sez. II n. 13631/2013; Cass. n. 271/2004; n. 14584/04). Invero, nel caso in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 c.c.; mentre, la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti. Ne consegue che, in caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è comunque consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina dell'anzidetta garanzia, che, per l'appunto, richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011). In tema di inadempimento del contratto d'appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrano - senza escluderne l'applicazione - i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l'opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può - al fine di paralizzare la pretesa avversaria - opporre le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum, richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., anche allorquando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa si sia prescritta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4446 del 20/03/2012 e cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019, nonché Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 26365 del 26/11/2013, secondo cui, in tema di appalto, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all'eliminazione dei vizi dell'opera, invocando l'eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 cod. civ., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purché il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede). Passando al merito è necessario premettere che l'accertamento peritale si è dovuto confrontare con un immobile completato successivamente da parte dei committenti mediante l'intervento di altra ditta appaltatrice, senza che alcuna delle parti abbia promosso prima del giudizio un procedimento di accertamento tecnico preventivo ex artt. 696 e 696 bis c.p.c. Tuttavia, il C.T.U. nominato, arch. Giovanni Rosotto, è stato in grado di svolgere l'esame peritale prendendo come elemento di partenza la perizia di parte opponente (cfr. doc. 6), non oggetto di contestazione almeno con riguardo allo stato dei luoghi successivamente alla cessazione del rapporto contrattuale, e ponendolo a confronto con l'ulteriore documentazione prodotta dalle parti, ivi compreso il progetto esecutivo delle opere redatto dall'arch. S.Z. (doc. 14 parte opponente). Sempre in termini di metodo giova osservare come non possa essere condivisa l'impostazione offerta dai consulenti tecnici di parte opponente e conseguentemente ripresa dalla difesa nelle conseguenti allegazioni e nelle correlate domande, laddove pretendono di accomunare l'omessa conclusione dei lavori ed il relativo ammontare con il costo per il ripristino delle opere viziate. Invero, un conto sono i vizi presenti nelle opere realizzate, per i quali laddove accertati giudizialmente il committente ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, sub specie di costo per l'esecuzione delle opere di ripristino, altro conto sono le opere non completate per le quali da un lato l'appaltatore non ha diritto a percepire alcun compenso e, dall'altro, il committente non può richiederne il valore a titolo di risarcimento del danno, laddove non abbia corrisposto l'importo contrattualmente pattuito in relazione alle medesime. Sulla scorta di tali premesse è stato affidato al consulente tecnico il seguente quesito: " letti ed esaminati gli atti di causa, valutate le rispettive prospettazioni delle parti ed effettuato il sopralluogo sui luoghi di causa il CTU; 1) descriva i luoghi di causa anche a mezzo di rappresentazioni fotografiche; 2) descriva i lavori eseguiti dalla società opposta in esecuzione del contratto di appalto, così come dettagliati nel capitolato d'appalto (doc. 1 e 2 parte opponente), quantifindone il relativo importo alla luce delle previsioni contrattuali; 3) accerti la sussistenza dei vizi dedotti dalla parte opponente nell'atto di citazione, nelle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., così come dettagliati nella perizia dell'ing. La.Pa. e del geom. Fi.Be. (cfr. doc. 6), avendo cura di ripartire tra committente e direttore lavori l'eventuale concorso di responsabilità; 4) in caso di risposta positiva al quesito sub 3) descriva il c.t.u. le opere necessarie ad ovviare a tali difetti, avendo cura di indicare la soluzione tecnica che sia in grado di risolvere le problematiche riscontrate, quantificando con precisione e specificità quanto a ciascun intervento il costo secondo i prezzi attuali di mercato; 5) tenti la conciliazione della lite". In sostanza l'incarico conferito al consulente aveva ad oggetto da un lato la stima delle opere effettivamente realizzate dall'appaltatrice e, dall'altro, l'accertamento dei vizi prospettati dalla committenza, con quantificazione del costo per gli interventi di ripristino. Il C.T.U., all'esito di un elaborato congruamente motivato al quale si rimanda integralmente, ha stimato la percentuale delle opere eseguite nel 58,00 % in relazione a quelle commissionate, di talché il credito maturato dall'appaltatore al netto delle somme pacificamente già percepite (Euro 95.000,00) è pari ad Euro 70.309,73 oltre I.V.A. nella misura del 4%. Nel caso di specie, le argomentazioni svolte dal CTU devono essere pienamente condivise, poiché, oltre ad essere motivate in modo approfondito, risultano ancorate ai riscontri effettuati suoi luoghi e posti in correlazione con le risultanze documentali. In proposito, giova osservare come la giurisprudenza di legittimità abbia a più riprese affermato che il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ribadendo come le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (cfr. tra le tante Cass. Cassazione Civile, Sez. III, 31 maggio 2018, n. 13770; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13922 del 07/07/2016; Cass. sez. 1, sentenza n. 5148 del 03.03.2011). A ciò si aggiunga come le medesime non siano state contrastate efficacemente dai rispettivi consulenti di parte, i quali si sono limitati a riproporre le rispettive tesi senza incidere sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. Nell'esaminare la questione particolarmente dibattuta dalla parte opponente inerente all'esatto calcolo della quantità di calcestruzzo impiegato per la realizzazione delle strutture (cfr. art. 5, voci numero 6, 8 e 9 del capitolato di appalto), l'arch. Giovanni Rosotto, nell'ambito della relazione integrativa disposta con l'ordinanza di rimessione sul ruolo, da un lato ha provveduto ad emendare l'errore di calcolo, riducendolo rispetto a quello indicato nella relazione precedente e, dall'altro, ha diversamente quantificato gli oneri di cassettatura, stimati ai sensi dell'art. 5 del capitolato contrattuale nel maggior somma di Euro 26.141,57 in luogo della precedente aliquota pari ad Euro 4.868,53. Il C.T.U., nel riscontrare le osservazioni formulate dal consulente tecnico degli opponenti, ha fornito una spiegazione razionale osservando di aver "effettuato la verifica analitica delle quantità di calcestruzzo e delle relative operazioni necessarie al confezionamento delle strutture che, dall'art. 5 del capitolato, sono riassumibili in: formazione del cassero; getto e vibratura", aggiungendo di non aver potuto "effettuare rilievo geometrico né accertamento diretto degli elementi strutturali in calcestruzzo armato, perché occultati dal compimento delle opere di finitura, nella stesura della consulenza d'Ufficio lo scrivente aveva ritenuto di forfettizzare i costi di fornitura di calcestruzzo e delle opere accessorie (casserature, getto e vibratura) allo scopo di rendere compatibile l'importo definito in modo parametrico per la realizzazione delle strutture con quello ottenuto dalla procedura analitica?". Il consulente ha aggiunto di aver "provveduto all'analisi del progetto strutturale per definire in modo analitico: i) la superficie di casseri necessari al contenimento del calcestruzzo; ii) il volume di calcestruzzo necessario per la realizzazione delle strutture; iii) il volume delle operazioni di getto; iv) il volume delle operazioni di vibratura", precisando, per quel che maggiormente rileva, "che la realizzazione dei casseri risulta essere un'opera necessaria e propedeutica alla realizzazione della struttura portante in cemento armato e rientra nell'art. 5 del capitolato oggetto della presente che, in sede di prima stesura, era stata forfettizzata attraverso l'implementazione della fornitura del calcestruzzo". In sostanza, il consulente tecnico spiega in modo razionale per quale ragione all'esito della rivisitazione dei calcoli della quantità di calcestruzzo, originariamente sovrastimato, l'importo finale non si è ridotto in proporzione alla minore quantità di calcestruzzo, avendo necessariamente dovuto tenere conto del valore dei casseri, specificando come i medesimi siano opera "necessaria e propedeutica alla realizzazione della struttura portante in cemento armato". Sul punto la parte opponente, in sede di controdeduzioni, non formula specifiche contestazioni nel merito del diverso calcolo effettuato, né contrasta in modo efficace l'affermazione secondo cui i casseri sono opera necessaria per il completamento della struttura, assumendo esclusivamente come il consulente abbia ecceduto il mandato ricevuto con l'ordinanza di rimessione sul ruolo. L'arch. Giovanni Rosotto, nel riscontrare le controdeduzioni del consulente di parte opponente, ha osservato che "L'art. 5, oggetto di specifico chiarimento, definisce la realizzazione della struttura portante del fabbricato e comprende le seguenti voci: - voce n. 6: fornitura di calcestruzzo a prestazione garantita; - voci n. 7 e 8: getto in opera di calcestruzzo cementizio; - voce n. 9 vibratura di calcestruzzo cementizio armato; - voce n. 10 casseratura; Data l'incompatibilità di dati analitici e dati parametrici, con lo scopo di effettuare una valutazione congrua ed efficace, lo scrivente ha ritenuto opportuno omogenizzare i calcoli effettuando in manieraanalitica non solo la fornitura di calcestruzzo a prestazione garantita con i relativi getto e vibratura ma anche il calcolo delle casserature ritenendo implicitamente compresa anche la verifica degli oneri di casseratura. Si precisa, inoltre, che la casseratura, come sopra riportato, rientra tra le opere necessarie per la realizzazione della struttura portante e, pertanto, lo scrivente ha ritenuto necessario effettuare il calcolo analitico della stessa avendo dovuto verificare, su espressa richiesta delle parti, con modalità analitica la quantificazione del calcestruzzo e delle relative operazioni di getto. Gli oneri di casseratura definiti secondo l'art. 5 del capitolato allegato al contratto e calcolati con modalità analitica risultano pari ad Euro 26.141,57 (voce 10 art. 5 importo da prezzario regionale- vedi allegato 1). La Consulenza Tecnica d'Ufficio osservata riportava in modo esplicito solo un'aliquota dei casseri pari ad Euro 4.868,53. La differenza complessiva tra i due importi ammonta ad Euro 21.273,04. Il minore importo riportato nella CTU in modo esplicito alle casserature è dovuto al fatto che lo scrivente aveva ricondotto tali importi alle quantità di calcestruzzo?" (cfr. pagina 20 della relazione integrativa del 10.04.2023). Le predette conclusioni devono essere pienamente condivise atteso come l'incarico integrativo conferito a seguito della rimessione della causa sul ruolo non fosse volto a verificare esclusivamente la correttezza dei calcoli del quantitativo di calcestrutto bensì fosse finalizzato ad una più generale e complessiva valutazione e stima delle opere strutturali realizzate. Del pari, il C.T.U. ha specificamente riscontrato la richiesta di integrazione con riguardo alle ulteriori questioni prospettate con l'ordinanza del 24.01.2023, fornendo adeguata motivazione al cui contenuto integralmente si rinvia. La Suprema Corte ha affermato a più riprese come il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. da ultimo Cass. 1815/2015). In parziale accoglimento dell'opposizione formulata dai committenti, dunque, il decreto ingiuntivo deve essere revocato e gli opponenti devono essere condannati al pagamento della somma suddetta pari ad Euro 70.309,73 oltre I.V.A. nella misura del 4%, maggiorata degli interessi nella misura legale ex art. 1284 c.c. dalla notificazione del ricorso monitorio sino al saldo. Invero, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione esteso all'esame non solo delle condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio ma anche della fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi offerti dal medesimo e contrastati dall'ingiunto. Ne consegue che, qualora il giudice revochi in tutto o in parte il decreto opposto, egli può - e, se richiesto, deve - pronunciare sul merito della domanda, venendo la sentenza di condanna a sostituirsi all'originario decreto ingiuntivo quale titolo su cui si fonda il diritto al pagamento della parte vittoriosa. Passando all'esame dell'ulteriore domanda di risarcimento del danno da parziale inadempimento per la presenza di vizi delle opere, la medesima è suscettibile di parziale accoglimento esclusivamente nei confronti dell'appaltatore, dovendo, di contro, essere respinta rispetto alla posizione del direttore dei lavori. Il CTU, previa analitica descrizione delle opere, ha quantificato il costo necessario per ovviare ai vizi riscontrati nella somma di Euro 10.535,27, oltre IVA nella misura del 22% e tale determinazione non è stata posta in efficace contestazione dalle parti. Quanto all'IVA, giova osservare come, nel ristoro del pregiudizio patrimoniale a favore del danneggiato, occorra ricomprendere anche gli oneri accessori e consequenziali con la consequenziale necessità di includervi anche il pagamento di tale imposta: quest'ultima, infatti, in quanto onere futuro e certo al tempo della stipulazione del contratto, concorre a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito (Cass. 2.04.2009 n. 8035, Cass. 27.01.2010 n. 1688). Gli ulteriori danni devono essere esclusi sia per le ragioni sistematiche sopra indicate, non essendo sovrapponibile l'omessa esecuzione di parte delle opere con la sussistenza del vizio, sia per assenza di un adeguato riscontro probatorio, in parte anche conseguenza del mutamento dello stato dei luoghi. Giova osservare come la parte attrice avrebbe potuto attivare - prima dell'intervento di riparazione - i rimedi all'uopo predisposti dall'art. 696 c.p.c. o dall'art. 696-bis c.p.c. per la verifica tecnica in contraddittorio delle cause del guasto, sicché la scelta unilaterale di procedere al completamento dell'opere ed alla eliminazione di ulteriori vizi, eventualmente non più riscontrabili, senza il previo esperimento di tali rimedi non può che nuocere alla parte stessa. La somma sopra richiamata assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio del danneggiato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che essa deve essere rivalutata con riferimento al periodo intercorso tra la data di redazione della perizia e fino al momento della decisione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25015 del 06/11/2013). Alla complessiva somma liquidata in conto capitale deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante un ulteriore importo, per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. A tal uopo, quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio messo a punto nella nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezione Unite 17.2.1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell'illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base dei citati indici ISTAT. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi la somma capitale come sopra determinata deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'esecuzione dell'opera, e sulla somma così ottenuta, progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo In difetto di espressa domanda di compensazione reciproca tra le diverse ragioni di credito, tenuto conto anche della diversa decorrenza degli interessi e della rivalutazione in ragione della natura dei crediti, rispettivamente di valore quello della parte opponente e di valuta quello dell'opposto, nel dispositivo le somme sono tenute distinte. La domanda risarcitoria deve essere, di contro, respinta nei confronti del direttore dei lavori, geom. An.Be., mentre deve essere accolta la domanda riconvenzionale formulata da quest'ultimo volta ad ottenere il pagamento del saldo del corrispettivo pattuito. A tal riguardo è sufficiente ricordare come in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto". Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 - , Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020). All'esito dell'istruttoria è possibile affermare come il geom. An.Be. abbia fornito la prova di aver adempiuto alle obbligazioni nascenti dal contratto professionale, deponendo in tal senso non solo le risultanze delle prove orali (cfr. dichiarazioni dei testi S.Z. e E.G. da cui si evince una costante presenza del terzo chiamato sul cantiere durante i lavori; cfr. materiale fotografico doc. 8-25), bensì le prove documentali fornite dal predetto. Invero, il direttore dei lavori ha depositato in giudizio le comunicazioni inoltrate nel corso dei lavori (cfr. missive via pec del 04.01.2017, 24.02.2017; doc. 10 e 17), da cui si evince come il medesimo abbia impartito specifiche direttive all'appaltatore. Di assoluto rilievo si appalesa la comunicazione via pec del 16.06.2017 (doc. 19; terzo chiamato), nell'ambito della quale il terzo chiamato ha svolto analitiche contestazioni all'operato dell'opposto, al cui contenuto si rinvia, ordinando l'immediata risoluzione delle carenze riscontrate (cfr. altresì ulteriore contestazione del 24.05.2017; doc. 17 geom. An.Be.). All'esito della consulenza tecnica, inoltre, è emerso come i presunti vizi dell'opera da un lato riguardassero sostanzialmente una minima parte delle opere realizzate (Euro 10.535,27 a fronte di Euro 165.000,00 di lavori complessivi) e, dall'altro, fossero coincidenti con quelli contestati dalla direzione lavori. A supporto delle predette conclusioni depone, altresì, il contenuto della missiva sopra già ricordata del 03.07.2017 (cfr. doc. 4 C.), con la quale gli opponenti a mezzo del legale incaricato hanno contestato all'appaltatore il grave inadempimento che avrebbe legittimato la cessazione del rapporto, richiamando a supporto, tra l'altro, le contestazioni formulate proprio dal direttore dei lavori ("in primo luogo i miei assistiti lamentano gravi vizi e difetti nell'esecuzione delle opere di cui al contratto di appalto in oggetto, così come già contestato direttamente dai miei assistiti e formalmente a mezzo PEC in data 16 giugno u.s. dal direttore dei lavori, geom. An.Be., che riceve in copia la presente"). Ciò posto, non solo gli opponenti non hanno formulato alcuna contestazione al direttore dei lavori prima dell'introduzione del presente giudizio, bensì, per quel che maggiormente rileva, hanno fondato le doglianze sollevate all'appaltatore proprio sull'operato del terzo chiamato. In ultimo, giova osservare come sussista un evidente argomento di ordine logico che consente di confermare le predette conclusioni. E' processualmente pacifico come gli opponenti successivamente alla cessazione del rapporto con l'odierno opposto abbiano confermato il geom. An.Be. nella direzione dei lavori affidati alla nuova impresa incaricata, Er.Da. e Ca. S.n.c.., circostanza che conduce a ritenere infondata sia la domanda risarcitoria sia la correlata eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. In definitiva, dunque, gli opponenti devono essere condannati al pagamento in favore del geom. An.Be. dell'importo di Euro 4.557,50, oltre interessi nella misura legale dalla formulazione della domanda sino al saldo. In difetto di accoglimento della domanda risarcitoria spiegata nei confronti del terzo chiamato nulla deve essere disposto in ordine alla domanda di manleva spiegata da quest'ultimo nei confronti della To. S.A. Quanto alle spese di lite, la parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese nella misura di 1/3 tra gli opponenti e l'opposto, dovendo essere posta le residua quota a carico dei Ca. stante la prevalenza della somma riconosciuta alla controparte. La quota residua è liquidata in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come aggiornati dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto della natura delle questioni trattate, dello svolgimento della consulenza e delle prove orali, applicando gli importi ricompresi tra i valori minimi e medi atteso che l'importo del credito liquidato è prossimo al valore minimo dello scaglione relativo al credito oggetto di causa (Euro 52.000,00 - Euro 260.000,00). L'importo complessivo, già ridotto sino alla quota di spettanza in ragione della parziale compensazione, è pari ad Euro 5.500,00, a cui deve essere aggiunto il rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, oneri previdenziali e fiscali. Le spese inerenti alla consulenza tecnica, così come liquidate in corso di causa, sono compensate nella medesima misura di 1/3, ponendo la residua quota a carico esclusivo degli opponenti. Le spese di lite seguono la soccombenza anche nell'ambito del rapporto processuale tra gli opponenti ed il geom. An.Be., risultando i primi integralmente soccombenti, e si liquidano in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come aggiornati dal D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto della natura delle questioni trattate, dello svolgimento dell'istruttoria orale e della consulenza tecnica nonchè del valore del giudizio relativo alla domanda risarcitoria formulata (importo domanda risarcitoria Euro 104.758,42; scaglione Euro 52.000,00 - Euro 260.000,00). Sussistono, infine, giustificate ragioni stante l'assorbimento della domanda di manleva per disporre l'integrale compensazione delle spese tra la compagnia assicurativa. To. S.A. e tutte le altre parti. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 416/2019 R.G., così provvede: revoca il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ivrea n. 1629 del 27.11.2018; condanna Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca., in solido fra loro, al pagamento in favore di Da.Mo. della somma di Euro 70.309,73 oltre I.V.A. nella misura del 4%, maggiorata degli interessi nella misura legale dalla notificazione del ricorso monitorio sino al saldo; accoglie parzialmente la domanda risarcitoria proposta da Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. e, per l'effetto, condanna Da.Mo. al pagamento in favore dei predetti della somma di Euro 10.535,27, maggiorata dell'IVA nella misura del 22%, oltre interessi e rivalutazione come in parte motiva; rigetta le domande risarcitorie proposte da Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. nei confronti del geom. An.Be.; in accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dal geom. An.Be., condanna Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 4.557,50 oltre interessi nella misura legale dalla formulazione della domanda sino al saldo; compensa nella misura di un terzo le spese di lite tra gli opponenti e la parte opposta, ponendo la residua parte a carico di Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. che si liquida in complessivi Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per rimborso forfetario, C.A. ed IVA nella misura di legge; condanna Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. al pagamento delle spese di lite in favore del geom. An.Be. che si liquidano in complessivi Euro 8.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per rimborso forfetario, I.V.A. e C.P.A. nella misura di legge; compensa le spese di lite tra tutte le altre parti; pone le spese di consulenza tecnica, come liquidate in corso di causa, a carico di Ci.Ca., Gi.Ca. e Ve.Ca. nella misura di due terzi ed a carico di Da.Mo. per la residua quota. Così deciso in Ivrea il 18 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 18 settembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Sezione Civile nella persona del Giudice Unico, dott. Andrea Ghio ha pronunziato all'udienza del 13.9.2023 la seguente SENTENZA ex art. 281 sexies c.p.c. nella causa civile iscritta al n. 69/2022 R.G. promossa da (...), cod. fise. (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...), presso cui è elettivamente domiciliata giusta procura in atti ATTORE IN OPPOSIZIONE contro (...) cod. fisc. (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, e, per essa, (...) cod. fisc. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...), elettivamente domiciliato presso l'avv. (...) dello studio dell'avv. (...) del foro di Ivrea giusta procura in atti CONVENUTA IN OPPOSIZIONE con l'intervento di (...), cod. fisc. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, e, per essa, (...) cod. fisc. (...) - P. Iva partita (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) presso cui è elettivamente domiciliata giusta procura in atti INTERVENUTA parole chiave: cessione in blocco crediti - prova titolarità del credito - errata indicazione TAEG per omessa inclusione costi polizza: onere della prova RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con decreto ingiuntivo n. 1282/2021 del 8.11.2021 (R.G. 3143/2021) il Tribunale di Ivrea ingiungeva a (...) il pagamento a favore di (...) dell'importo di Euro 35.924,49, oltre interessi (al tasso contrattuale sull'importo di Euro 35.445,44 dal 29.6.2019) e spese. A fondamento della propria pretesa (...) (e, per essa, (...)) allegava di essere cessionaria del credito vantato da (...) nei confronti di (...) in ragione del contratto di mutuo concluso tra le parti. 2. (...) proponeva opposizione esponendo che: a) l'opposta non aveva fornito prova della titolarità del credito per cui aveva richiesto tutela monitoria, non essendo stato prodotto il contratto di cessione e non essendo a tal fine sufficiente l'avviso di cessione dei crediti oggetto di cartolarizzazione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; b) il documento prodotto dall'opposta non è un estratto conto certificato, bensì estratto di saldaconto certificato che non presenta i requisiti richiesti dall'art. 50 t.u.b. ed è inidoneo a fondare l'ingiunzione di pagamento e, a maggior ragione, è inidoneo a fornire la prova del credito nel giudizio di opposizione; c) errata indicazione del TAEG in quanto non tiene conto dei premi delle polizze stipulate a garanzia del finanziamento che sebbene indicate come facoltative devono essere obbligatoriamente sottoscritte per ottenere il finanziamento. 3. Costituitasi in giudizio (...) (e, per essa, (...)) chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo opposto. 4. Documentalmente istruita la controversia, con ordinanza 22.5.2023 è stata fissata l'odierna udienza di discussione ex art. 281 sexies c.p.c.. 5. Con atto di intervento depositato in data 25.7.2023 si costituiva nel presente giudizio (...) (e, per essa (...)) allegando di essere successore a titolo particolare di (...) nel credito per cui è causa e chiedendo l'estromissione di (...) s.p.a. 6. Posto che all'odierna udienza l'opponente (...) non acconsentito all'estromissione di (...) questa non può essere disposta (art. 111, comma 3, c.p.c.). 7. Sulla titolarità del credito. Ritiene questo giudice che nel presente giudizio sia stata raggiunta la prova dell'avvenuta cessione a (...) del credito di cui era titolare (...). Ciò in applicazione dei principi enunciati da Cass. VI-1, 20 luglio 2022, n. 22754 (in motivazione punto 3.2) cui si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c.. Deve infatti evidenziarsi che l'opposta ha prodotto, anche se omissato, il contratto di cessione di crediti in blocco tra (...) a (...) datato 17 aprile - 17 giugno 2018 (doc. 8 opposta), ossia le medesime date indicate nell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (doc. 5 monitorio pag. 6); inoltre, il credito per cui è causa rientra tra quelli oggetto della cessione in ragione dei seguenti concorrenti elementi: - il credito è specificatamente indicato nell'allegato all'atto di cessione (doc. 9 opposta), ove al nominativo (...) è associato il NDG (...) e l'importo di Euro 35.445,44, ossia il medesimo NDG e il medesimo importo (prima dell'applicazione di interessi) indicati nel saldaconto (doc. 7 monitorio) ove è indicato il numero di contratto (...) presente sul documento sottoscritto da (...) (doc. 3 monitorio); - deve ritenersi che il credito presenti le caratteristiche indicate nell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, indicate sub i-xvi) nel medesimo avviso (doc. 5 monitorio pagg. 6-7), tenuto conto in particolare che: 1 ) il contratto da cui origina la pretesa è stato concluso tra l'opponente e (...); 2) parte opponente non ha allegato di non aver ricevuto l'importo indicato dal contratto né ha mai messo in discussione che l'importo le sia stato dato a mutuo da (...) e non da altri soggetti; 3) il contratto con (...) è regolato dal diritto italiano e la valuta indicata è espressa in Euro; 4) non risulta garantito da ipoteca né garanzia consortile; il n. di NDG dell'opponente non è tra quelli compresi nell'elenco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. 8. Sul quantum. Nel caso di specie risultano irrilevanti ai fini della decisione le doglianze sollevate dall'opponente relative alla non riconducibilità del doc. 7 fascicolo monitorio (o dei docc. 6 e 7 opposta) all'estratto conto di cui all'art. 50 d.lgs. 385/1993 (t.u.b.). Sul punto è sufficiente osservare che, traendo origine il credito da un contratto di mutuo, l'opposta non aveva alcun onere di produrre l'estratto conto certificato conforme ex art. 50 t.u.b., essendo sufficienti, per assolvere all'onere probatorio su di essa gravante, la produzione del contratto di finanziamento con il relativo piano di ammortamento: documenti che sono stati prodotti dall'opposta (doc. 3 monitorio; doc. 6 opposta). Inoltre, deve evidenziarsi che nessuna contestazione è stata effettuata dall'opponente in punto quantum e dei criteri impiegati per giungere alla determinazione del credito: tale assenza di contestazione è particolarmente significativa posto che l'opponente ha prodotto relazione tecnica di parte in cui nulla viene detto (salvo quanto si dirà infra sull'indicazione del TAEG con riferimento ai costi per l'assicurazione) circa l'errata determinazione del credito da parte dell'opposta. È inoltre incontestato che (...) abbia ricevuto l'importo indicato nel contratto di mutuo (doc. 3 monitorio), risultando irrilevante la circostanza che l'importo ottenuto sia stato eventualmente impiegato dall'opponente per estinguere debiti nei confronti di (...), posto che oggetto della presente controversia è esclusivamente l'accertamento dell'inadempimento dell'opponente al contratto del 15.4.2016 (doc. 3 monitorio). Ebbene, pacifica l'avvenuta erogazione delle somme mutuate, deve richiamarsi il consolidato orientamento secondo cui è onere del debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo del diritto azionato, ovvero dell'avvenuto adempimento, potendo il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, dare la sola prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l'inadempimento di controparte (cfr. SS. UU. 13533/2001); (...) non ha allegato (né provato) l'adempimento al contratto di mutuo per cui è causa né fatti estintivi dell'obbligazione assunta. 9. Sulla errata indicazione del TAEG. La tesi dell'opponente secondo cui il TAEG sarebbe stato erroneamente indicato in quanto non comprensivo anche dei costi per polizza assicurativa non è meritevole di favorevole apprezzamento. L'opponente espone che la conclusione dell'assicurazione, seppur espressamente definita "facoltativa", sarebbe stata in realtà imposta dall'istituto di credito per l'ottenimento del finanziamento. Ritiene, tuttavia, questo giudice che parte opponente non abbia fornito sufficiente prova di tale assunto. Infatti, affrontando espressamente tale questione, il collegio di coordinamento dell'ABF con decisione del 12 settembre 2017 n. 10621 (i cui principi sono stati condivisi anche dalla giurisprudenza di merito: Trib. Torino, sez. I, 22 febbraio 2022, n. 747 in causa R.G. 4752/2020; Trib. Torino, sez. I, 13 aprile 2023, n. 1605 in causa R.G. 1605/2023) ha condivisibilmente affermato quanto segue: "Premesso che in presenza di un contratto di finanziamento nel quale le parti hanno indicato come facoltativa la polizza assicurativa abbinata spetta al mutuatario dimostrare che essa rivesta invece carattere obbligatorio, quantomeno nel senso che la conclusione del contratto di assicurazione abbia costituito un requisito necessario per ottenere il credito alle condizioni concretamente offerte, è consentito al ricorrente assolvere l'onere della prova attraverso presunzioni gravi precise e concordanti desumibili dai concorso delle seguenti circostanze: - che la polizza abbia funzione di copertura del credito; - che vi sia connessione genetica e funzionale tra finanziamento e assicurazione, nel senso che i due contratti siano stati stipulati contestualmente e abbiano pari durata; - che l'indennizzo sia stato parametrato al debito residuo. Per contrastare il valore probatorio di tali presunzioni, ancor più rilevanti quando contraente e beneficiario sia stato lo stesso intermediario e a questo sia stata attribuita una significativa remunerazione per il collocamento della polizza, la resistente è tenuta a fornire elementi di prova di segno contrario attinenti alla fase di formazione del contratto, in particolare documentando, in via alternativa: - di aver proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l'offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o senza polizza; - ovvero di avere offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio; - ovvero che sia stato concesso al ricorrente il diritto di recesso dalla polizza, senza costi e senza riflessi sul costo del credito, per tutto il corso del finanziamento". Ebbene, in applicazione di tale principio deve ritenersi che parte opponente non abbia assolto l'onere probatorio di cui era gravata posto che non è stata prodotta la polizza relativa al contratto di assicurazione (contratto che deve essere provato per iscritto ex art. 1888 c.c.) e, pertanto, non è possibile verificare il ricorrere, nel caso di specie, delle circostanze individuate dall'ABF da cui ricavare l'obbligatorietà della conclusione del contratto di assicurazione ai fini della concessione del finanziamento e superare, quindi, il dato testuale del contratto di finanziamento stesso ove la l'assicurazione è indicata come facoltativa. All'assenza della polizza di assicurazione non è possibile supplire attraverso il richiesto ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. non potendo tale istanza istruttoria essere accolta. Infatti, l'ordine di esibizione non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante e non può essere disposto allorquando l'interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa. Ebbene, nel caso di specie, (...) non ha allegato che, al momento della conclusione del contratto di finanziamento, non le sia stata consegnata copia della polizza relativa al contratto di assicurazione e, inoltre, l'opponente non ha allegato (né provato) di aver richiesto a (...) copia di siffatta polizza (arg. Ex Cass. I, 13 settembre 2021, n. 24641). 10. Spese. Le spese del giudizio di opposizione si compensano integralmente tra tutte le parti in quanto: i) a fondamento della decisione sono stati posti anche documenti non prodotti nella fase monitoria dall'opposta; ii) la precisa individuazione del rapporto per cui è stata richiesta tutela monitoria è stata possibile solo all'esito delle difese svolte nel giudizio di opposizione dall'opposta, dato che, effettivamente, dalla semplice lettura del testo del ricorso per decreto ingiuntivo - unico atto che unitamente al decreto viene notificato all'opponente - non era agevole l'individuazione di quali rapporti l'opposta lamentasse l'inadempimento. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, 1) rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1282/2021 del 8.11.2021 (R.G. 3143/2021) del Tribunale di Ivrea, che conferma integralmente e di cui dispone l'esecutorietà; 2) compensa integralmente tra tutte le parti le spese del giudizio di opposizione. Così deciso in Ivrea il 13 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2023.

  • TRIBUNALE DI IVREA in composizione collegiale Nella persona dei magistrati: Dott.ssa Stefania Frojo - Presidente Dott. Alessandro Petronzi - Giudice Dott.ssa Federica Lorenzatti - Giudice est. ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 2931/2019 promossa da: B. S.n.c. di B.D. e C., con sede in P. (N.) Viale dei T. n. 17 iscritta nel registro delle imprese di N., codice fiscale (...), in persona del socio amministratore e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, dagli avvocati S.B., domiciliata a Milano, via ... e dall'avv. M.A. R., giusta procura in calce all'atto di citazione; - ATTRICE - contro: la Sig.ra R.S., (C.F. (...)) residente in V. (T.), Via M. n. 16, rappresentata e difesa dall'avv. ... del Foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Torino, C.so ..., giusta procura rilasciata in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - CONVENUTA - e contro: F.C., nato a C. (T.) il giorno (...), residente in C. (V.), via F. n. 33, c.f. (...); - CONVENUTO CONTUMACE- avente per oggetto: l'azione revocatoria e in via surrogatoria l'azione di riduzione Svolgimento del processo - Motivi della decisione All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). Con atto di citazione, ritualmente notificato, la B. S.n.c. di B.D. e C. ha evocato in giudizio la sig.ra R.S. e il sig. C.F. titolare dell'omonima Azienda Agricola al fine di sentire accogliere le conclusioni sopra articolate. Parte attrice ha premesso di essere creditrice della somma di Euro 45.302,35 nei confronti del sig. C.F. in forza decreto ingiuntivo esecutivo n. 426/2015 emesso dal Tribunale di Novara in data 01.04.2015 e di avere tentato invano plurime esecuzioni immobiliari nei riguardi di F.C. al fine di vedere soddisfatto il proprio credito senza sortire alcun esito positivo a causa delle complesse triangolazioni di denaro e trasferimenti dei crediti dell'azienda agricola. Deduceva ancora l'attrice che tutte le esecuzioni intraprese erano esitate negativamente non riuscendo ad aggredire il patrimonio del debitore e di aver appreso nel frattanto (in seguito ad alcune verifiche) che al decesso del signor A.C. (padre del debitore), avvenuto il 18 novembre 2015, i signori F.C. e R.S. (rispettivamente marito e moglie) avevano acquistato iure hereditatis la proprietà dei terreni già di proprietà del sig. A.C.. In particolare, evidenziava l'attrice che dalla denuncia di successione (trascritta in data 4 ottobre 2017 - R.G. 50846 R.P. 34318) risultava che il signor A.C. avesse trasmesso agli eredi i seguenti beni immobili, come di seguito suddivisi: a) al figlio, F.C.: porzione di 1/2 di proprietà delle Unità censite al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particella (...); - porzione di 1/2 di proprietà delle Unità censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...) e (...). b) alla nuora, R.S.: - l'intera proprietà delle Unità censite al Catasto Fabbricati del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particella (...), sub. (...), Foglio (...), particella (...), sub. (...), Foglio (...), particella (...), sub. (...); - intera proprietà delle Unità censite al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particella (...); - intera proprietà delle Unità censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...) Precisava ancora l'attrice che -sempre da verifiche eseguite presso i registri immobiliari- aveva appreso che il F.C. con atto notarile pubblico di accettazione tacita di eredità a rogito del notaio M.C.D.C. in data (...), rep n. (...), era quindi divenuto proprietario dei predetti beni: unità immobiliari censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); unità immobiliari censite al Catasto terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particella (...), (...), (...) e (...); beni dei quali aveva disposto proprio lo stesso giorno trasferendo la proprietà dei medesimi a titolo gratuito a R.S. con R.N. Dott. M.C.D.C. in data (...), rep n. (...). La predetta cessione a favore della sig.ra R.S. nel rogito notarile veniva contestualizzata quale atto di cessione a tacitazione di ogni pretesa patrimoniale fra i coniugi separati. In particolare, era evidenziata la seguente causale di trasferimento "a titolo di contributo al mantenimento della signora S. e a stralcio di ogni ulteriore pretesa tra le parti in ragione della loro separazione personale", in adempimento di un accordo di separazione consensuale ai sensi dell'art. 710 c.p.c., omologato da codesto Ill.mo Tribunale con decreto del 26 aprile 2016. Parte attrice evidenziava ancora -sotto distinto e connesso profilo- come il sig. A.C. avesse con testamento olografo nominato erede universale la nuora R.S., con un atto di disposizione chiaramente lesivo della quota di legittima del figlio; testamento che -contro ogni probabilità- non era stato né impugnato, né contestato. Concludeva, quindi, parte attrice evidenziando come l'atto di disposizione compiuto dai coniugi (con R.N. Dott. M.C.D.C. in data (...), rep n. (...)) fosse chiaramente lesivo delle ragioni dei creditori e posto in essere con evidente e pervicace intento elusivo dacché non era stata nemmeno presentata la domanda di divorzio fra i sigg. C.S., pur essendo decorso un ampio lasso temporale. Vi erano i presupposti, pertanto, per dichiarare l'inefficacia dell'atto dispositivo venendo in luce tutte le circostanze fattuali per invocare l'azione revocatoria. Del pari, in via subordinata, parte attrice evidenziava, in ogni caso, come vi fosse la possibilità ulteriore per l'odierna creditrice di agire in via surrogatoria e chiedere la riduzione delle disposizioni lesive del testamento olografo del sig. A.C., che avevano danneggiato la quota di legittima del figlio F.C. (e dunque i creditori dello stesso), lasciando quasi l'intero patrimonio relitto a favore del coniuge R.S.. Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio la sig.ra R.S. contestando in fatto e in diritto quanto ex adverso dedotto ed evidenziando in sintesi che: - l'atto di trasferimento dei cespiti a favore dell'odierna convenuta era avvenuto del tutto legittimamente poiché la stessa S. aveva prestato per lungo tempo prestazioni di lavoro nell'azienda agricola del marito senza ricevere alcun emolumento; - i coniugi separandosi, per ovviare anche ad un contenzioso avanti al giudice del lavoro che avrebbe visto soccombente il C., avevano deciso di comune intesa di stipulare detto rogito (accordo a latere della separazione) in forza del quale il marito aveva trasferito gratuitamente detti cespiti a titolo di contributo al mantenimento e a saldo e stralcio di ogni ulteriore rapporto di debito/credito tra i coniugi; - l'atto, pertanto, non solo non era lesivo dei creditori ma rispettava un nobile intento; - del pari il testamento olografo non poteva dirsi lesivo della quota di legittima del figlio, poiché nello stesso il de cuius dava atto di avere versato cospicui acconti a favore del figlio in vita e che, in ogni caso, allo stesso spettavano molti beni mobili di rilevante valore; beni mai in concreto aggrediti dalla creditrice, pur avendone avuto piena facoltà. Nessuno si costituiva in giudizio per C.F. e ne veniva dichiarata la contumacia. Il Giudice - dopo aver invitato le parti ad esperire la mediazione obbligatoria, conclusasi con esito negativo - concedeva i termini di rito per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 183 co. VI c.p.c. La causa perviene ora in decisione dopo la precisazione delle conclusioni del 28.02.022 e concessione dei termini abbreviati per il deposito di conclusionali e repliche. In via preliminare, occorre dare conto che la presente controversia è riservata alla decisione Collegiale, tenuto conto che l'attrice in via principale ha chiesto, altresì, di agire in riduzione in via surrogatoria, allegando la lesione della quota di legittima del proprio debitore F.C. derivante dalle disposizioni testamentarie assunte dal padre sig. A.C., giusto testamento olografo pubblicato in data (...) Notaio A.D. n. 11306 repertorio, n. (...). Procedendo, però, con ordine verrà esaminata dapprima la domanda di revocatoria e solo in seguito verrà trattata la questione in ordine alla disposizione lesiva. I) L'azione revocatoria La domanda risulta fondata per le ragioni che si illustreranno nel prosieguo. I presupposti soggettivi Sussiste, innanzitutto, la posizione creditoria che legittima la B. S.n.c. di B.D. e C all'esercizio della actio pauliana. Dal doc. n 6 (fasc. attoreo) si evince chiaramente come la società B. snc abbia conseguito nei riguardi di F.C., titolo esecutivo n. 426/2015, in data 1 aprile 2015 emesso dal Tribunale di Novara, in forza del quale ha consacrato il proprio diritto di credito pari ad Euro 45302, 35, oltre interessi e spese di procedura Il prefato titolo risulta mai opposto dal C. e in forza dello stesso sono state radicate in odio al debitore le plurime procedure esecutive per cui è causa. Peraltro, occorre qui rilevare che ai fini del fruttuoso esercizio dell'azione revocatoria, non si richiede che il credito sia consacrato in un titolo esecutivo, essendo anzi sufficiente un credito illiquido, inesigibile oppure addirittura litigioso (cfr. Cass., Sez. Un., ordinanza n. 9440/2004: "Poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. ..."). In conclusione, non solo sussiste la situazione giuridica soggettiva che legittima la B. snc all'esercizio dell'actio pauliana, ma anche l'anteriorità del credito stesso rispetto agli atti aggrediti: infatti l'atto dispositivo del patrimonio del C. è stato posto in essere nel mese di ottobre 2017 giusto rogito Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...). Sulle conseguenze di questa ricostruzione cronologica si dirà nel paragrafo dedicato al consilium fraudis. I presupposti oggettivi Il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria è rappresentato dal c.d. eventus damni; ovvero il pregiudizio che dall'atto revocando può derivare alle ragioni del creditore. Secondo la giurisprudenza non deve ritenersi necessaria la prospettiva di un danno effettivo ed attuale, bastando che, in conseguenza dell'attività dispositiva posta fraudolentemente in essere dal debitore, si profili il semplice pericolo concreto che il debitore non adempia l'obbligazione e che l'azione esecutiva intentata nei suoi confronti si riveli infruttuosa (in tal senso: Cass., sentenza n. 16464/2009; Cass., sentenza 7452/2000). Quindi l'eventus damni non si concreta necessariamente in un depauperamento del patrimonio del debitore, né tantomeno nella totale compromissione della sua consistenza, potendo risolversi semplicemente in una maggiore difficoltà o incertezza o dispendiosità, per il creditore, nel realizzare quanto dovutogli (così Cass., sentenza n. 19234/2009; Cass., sentenza 27718/2005). Inoltre, il danno (o meglio, il pericolo di danno) può concernere anche la qualità dei beni che formano oggetto della garanzia patrimoniale: rileva, quindi, anche la sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore (immobili) con beni distraibili e non altrettanto facilmente aggredibili dai creditori (cfr. Cass., sentenza n. 25490/2008; Cass., sentenza n. 7767/2007). Nella specie il requisito dell'eventus damni (nell'accezione sopra evidenziata) può dirsi integrato, perché il C. ha disposto dei predetti cespiti (sottraendoli alla garanzia del creditore) cedendoli a tiolo gratuito alla di lui moglie, odierna convenuta e adducendo tale atto dispositivo come non foriero di danni, poiché sarebbero residuati ancora altri beni utilmente aggredibili dalla B. snc. In realtà tale affermazione appare del tutto destituita di fondamento, atteso che non è fornita alcuna prova dell'esistenza reale di beni mobili, utili a soddisfare il credito dell'odierna attrice in capo al F.C. e, del pari, comunque si ha motivo di argomentare che il soddisfacimento del credito appare gravemente compromesso atteso che il debitore si è comunque spogliato dei propri beni sottraendoli alle garanzie dei creditori, beni che secondo un ordine pratico certamente rappresentano una maggior utilità di soddisfacimento rispetto a sparuti beni mobili di cui, peraltro, non si ha contezza del valore. La sig.ra S. ha obiettato che la B. snc avrebbe potuto pur sempre rivalersi sui beni mobili del C.F. ma, in senso contrario, è agevole obiettare che nulla è dato sapere in ordine all'effettivo valore degli stessi, che potrebbe anche essere pari a zero. A tale proposito si osserva che, secondo la giurisprudenza, l'onere probatorio del creditore che agisce in revocatoria si riduce alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l'entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione: a tal punto l'onere della prova dell'insussistenza dell'eventus damni graverà sul convenuto, che dovrà dimostrare l'insussistenza del rischio di una più incerta o difficile soddisfazione del credito in ragione delle ampie residualità patrimoniali del debitore in rapporto all'entità della sua complessiva situazione debitoria (cfr. Cass., sentenza n. 7767/2007; Cass., sentenza n. 15265/2006). In definitiva, spettava al sig. C.F. dimostrare che il suo patrimonio comprendeva altri cespiti immobiliari e/o mobiliari e che, pertanto, gli atti di disposizione patrimoniale aggrediti con l'actio pauliana non possano ritenersi pregiudizievoli. Tale dimostrazione non è stata fornita, perché il convenuto è rimasto contumace e, dunque, non ha allegato, né offerto di provare la consistenza del suo patrimonio; la sig.ra S., dal canto suo, non ha fornito alcun contributo all'indagine. Ne consegue che l'onere probatorio gravante sull'attore deve ritenersi assolto e che l'eventus damni può dirsi integrato. c) L'ATTO DI DISPOSIZIONE SOGGETTO A REVOCATORIA Chiarito quanto precede, occorre soffermarsi sulle peculiari caratteristiche dell'atto dispositivo di cui si discute. Già si è detto in ordine all'idoneità dello stesso ad incidere in senso negativo sulla consistenza (anche in termini qualitativi) della garanzia patrimoniale generica, ma in questa sede occorre approfondire il profilo della sua effettiva revocabilità. Il trasferimento della proprietà degli immobili di proprietà del C. a favore della S. è stato posto in essere in adempimento dell'obbligo assunto dal sig. C.F. in sede di separazione (cfr. rogito prodotto doc. 24 fasc. attoreo pagina 3, che richiama le premesse ove si fa cenno al verbale di separazione consensuale del 12 aprile 2016 innanzi al Tribunale di Ivrea RG 417/2016, omologato con decreto del medesimo Tribunale in data 26.04.2016). Ciò non toglie che l'atto dispositivo in esame sia senz'altro assoggettabile a revocatoria, in ossequio al seguente principio di diritto: "È ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento di un immobile, effettuato da un coniuge a favore dell'altro in ottemperanza a patti assunti in sede di separazione consensuale, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene dovuto solo in conseguenza di un impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l'accordo separativo, in tal caso, costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c." (Cass., sentenza n. 17612/2018; cfr. anche, tra le tante: Cass., sentenza n. 1144/2015; Cass., sentenza n. 1404/2016; Cass., sentenza n. 13364/2015). Il principio enunciato dalla Cassazione costituisce applicazione della regola generale secondo cui la non assoggettabilità ad azione revocatoria dell'adempimento di un debito scaduto, stabilita dall'art. 2901, comma 3, c.c., deve intendersi riferita all'adempimento in senso tecnico e non trova, pertanto, applicazione con riguardo agli atti estintivi dell'obbligazione di natura negoziale, quale ad esempio la datio in solutum. Rimane il problema di stabilire se il trasferimento dei cespiti a favore della S. possa essere qualificato come atto a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito. Il dubbio sorge perché l'onerosità dell'atto rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 2901 c.c. dipende dall'esistenza di un immediato vantaggio patrimoniale in favore del disponente, che non deve necessariamente radicarsi in un contratto a prestazioni corrispettive e nemmeno deve necessariamente corrispondere alla perdita subita, purché sia capace di costituirne la ragione giustificativa. In effetti, come ha chiarito la Suprema Corte: "gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o ai tratti propri della "donazione" e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale" il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio, e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della "gratuità", in ragione dell'eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale" (Cass., sentenza n. 5741/2004; cfr. anche, tra le tante: Cass., sentenza n. Cass., sentenza n. 11914/2008; Cass., sentenza n. 15603/2005). Non è questa la sede per interrogarsi sull'effettività della crisi coniugale, anche se desta perplessità il tempismo perfetto con cui sono seguiti gli eventi. Peraltro, è significativo notare come dopo l'omologa non sia seguita la domanda di divorzio. Occorre, piuttosto, concentrarsi sul carattere oneroso o gratuito del trasferimento. Il criterio per stabilire in concreto se l'atto dispositivo in esame si inserisca "nell'ambito di una più ampia sistemazione "solutorio-compensativa" di tutti i rapporti aventi riflessi patrimoniali" (Cass., sentenza n. 10443/2019) è stato ben delineato dalla più attenta giurisprudenza di merito, la quale ha rilevato come, nel caso di trasferimento immobiliare effettuato nell'ambito della separazione personale tra coniugi, si sia in presenza di un negozio a titolo oneroso laddove il trasferimento trovi titolo unicamente nei pregressi rapporti di natura economica e nella necessità di darvisi stimazione, e solo nel momento della dissoluzione del vincolo; più precisamente, l'onerosità della attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma deve emergere dall'esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al ménage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione (Trib. Frosinone 24/1/2020). Ebbene, nel caso di specie non emerge - a giustificazione della cessione gratuita dei beni - alcuna esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato dalla sig.ra S.. Per meglio dire, pur essendo menzionata la cessione dei beni, per far fronte e retribuire in qualche modo il lavoro svolto dalla moglie all'interno dell'azienda agricola, in realtà non viene allegata alcuna prova della circostanza che tale cessione sia avvenuta per siffatta ragione e che sia vero e reale che la signora non abbia mai percepito redditi. Resta fermo che, in ossequio al criterio della vicinanza della prova, gli elementi utili per effettuare l'operazione di qualificazione giuridica dell'atto dispositivo in esame nel senso dell'onerosità avrebbero dovuto essere forniti dal sig. C.F. che però è rimasto contumace e, pertanto, non ha allegato alcunché. Ed infatti tutte le circostanze rilevanti al fine di quantificare l'eventuale credito della convenuta costituita (ammesso e non concesso che questo credito sia effettivamente sussistente) sono state introdotte soltanto con la seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., quindi dopo il maturare della preclusione per l'attività assertiva. In conclusione, il trasferimento dei cespiti a favore della S. deve considerarsi atto a titolo gratuito (come espressamente dichiarato nel Rogito notarile) e, comunque, privo di reale giustificazione. D) LA POSIZIONE DEL DEBITORE Affinché l'atto venga revocato è necessario, altresì, che il comportamento del debitore sia caratterizzato, sotto il profilo soggettivo, da un intento fraudolento. Tuttavia, in caso di atto di disposizione successivo al sorgere del credito, come nel caso di specie, per aversi consilium fraudis non è necessaria la specifica conoscenza, nel debitore, del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del titolare del credito per la cui tutela la revocatoria è stata proposta, rivelandosi sufficiente l'effettiva consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento, che investa genericamente la riduzione della consistenza del patrimonio del debitore in pregiudizio dei creditori complessivamente considerati (cfr. Cass., sentenza n. 2792/2002; Cass., sentenza n. 7262/2000; Cass., sentenza n. 987/1989). La prova di tale consapevolezza può essere fornita anche mediante presunzioni (Cass., sentenza n. 17867/2007; Cass., sentenza n. 1759/2006). Nel caso di specie, il consilium fraudis può desumersi con certezza dalle seguenti circostanze, munite di elevato valore sintomatico: - il signor F.C. si è progressivamente spogliato del proprio patrimonio in danno al creditore non appena ricevuta la notifica del titolo esecutivo emesso il 01.04.2015 dal Tribunale di Novara. - con contratto del 16 aprile 2015 F.C. e la moglie R.S. hanno concesso in affitto ultranovennale pro quota tutti i terreni agricoli di loro proprietà all'Azienda A.S. S.r.l., della quale la sig.ra S. è socia e amministratrice (doc. 8 fascicolo attoreo); - con contratto stipulato nella stessa data del 16 aprile 2015 F.C. ha concesso in affitto alla Società A.S. il ramo di azienda della propria impresa individuale, avente ad oggetto i terreni condotti in affitto e i titoli necessari per l'ottenimento dei contributi PAC; anche qui è evidente l'intento elusivo delle ragioni creditorie (doc. (...)); - con atto in data 8 giugno 2015 F.C. ha ceduto tutti i crediti nei confronti dell'Azienda A.S. in favore di B. s.r.l.s., come dichiarato nel proc. esecutivo presso terzi n. 1388/2015 R.G.E. proposto da B. s.n.c. (docc. 12 - 14 fascicolo attoreo); - ed ancora il 18 novembre 2015 è deceduto il signor A.C., padre del debitore e comproprietario dei beni immobili concessi in affitto all'Azienda A.S.; - il 4 ottobre 2017 F.C. e R.S. hanno presentato denuncia di successione, in qualità di eredi del signor A.C. (doc. 21); - in data 19 ottobre 2017 C. e R.S. hanno stipulato atto di accettazione tacita dell'eredità (doc. 23); - con atto stipulato nella stessa data del 19 ottobre 2017 F.C. ha trasferito a R.S. la proprietà di tutti i beni immobili dei quali era proprietario (doc. 24); Le operazioni compiute dimostrano che il signor C. era indubbiamente consapevole del pregiudizio che stava arrecando alle ragioni creditorie di B. s.n.c. e tale consapevolezza, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, integra da sola il presupposto della scientia damni ai sensi dell'art. 2901, n. 1, cod. civ. (Cass. 27 settembre 2018 n. 23326); Gli indizi di cui sopra superano ampiamente la soglia di gravità, precisione e concordanza fissata dall'art. 2729, comma 1, c.c., perciò inducono a ritenere provato che il sig. F.C. fosse consapevole del carattere pregiudizievole del proprio comportamento. Anzi, a ben vedere la cronologia degli eventi è talmente significativa da indurre a ravvisare addirittura la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni di quel determinato creditore, cioè il dolo specifico. Anche a non voler condividere questa conclusione, sarebbe comunque sufficiente considerare che l'atto dispositivo compiuto ha avuto ad oggetto, per quanto consta, gli unici beni immobili di rilievo che confluivano nel patrimonio del sig. C.; quindi - visto lo "svuotamento" della garanzia patrimoniale generica, privata dei beni di maggior valore e facilmente aggredibili - è gioco forza concludere nel senso che l'odierno convenuto era ben conscio del carattere pregiudizievole del proprio comportamento rispetto alla classe dei creditori complessivamente considerati; atteggiamento psicologico, questo, sufficiente ad integrare il consilium fraudis nell'accezione accolta dalla consolidata giurisprudenza sopra citata. L'esigenza di certezza del traffico giuridico impone che, a fronte di un atto di disposizione caratterizzato dall'eventus damni e dal consilium fraudis del debitore, la posizione dei terzi trovi protezione solamente laddove il suo acquisto sia stato a titolo oneroso (e comunque, anche in questo caso, alla sola condizione che essi non siano stati compartecipi dell'intento fraudolento del debitore). Quindi per l'azione revocatoria di atti a titolo gratuito non occorre che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore (Cass., sentenza n. 12045/2010; Cass., sentenza n. 5072/2009; Cass., sentenza n. 29869/2008). Nel caso in esame, per le ragioni esposte sopra, si è in presenza di un atto dispositivo a titolo gratuito, quindi nessuna indagine deve essere espletata in ordine alla partecipatio fraudis della sig.ra S., la quale comunque, tenuto conto delle molteplici circostanze fattuali rappresentate, non si ha ragione di dubitare che fosse perfettamente consapevole di ledere le ragioni creditorie. Sussistendo - con riferimento all'atto contestato con la atcio pauliana - tutti i requisiti richiesti dall'art. 2901 c.c., la domanda della B. snc merita integrale accoglimento. Conseguentemente, devono essere dichiarati inefficaci nei confronti dell'attrice: - l'atto di cessione di diritti reali a titolo gratuito a rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927, con il quale il signor F.C. ha trasferito alla signora R.S. le seguenti unità immobiliari site nei Comuni di Verolengo e Chivasso e precisamente: - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...). II) L'azione surrogatoria ai sensi degli artt. 553 e 2900 c.c. Sempre in via principale la creditrice ha chiesto di esercitare l'azione surrogatoria ai sensi degli artt. 553 e 2900 cod. civ. in relazione alle disposizioni contenute nel testamento olografo del sig. A.C. (pubblicato in data (...) al n. 11306 del repertorio n. (...) della raccolta notaio A.D.D.S.) il quale aveva nominato sua erede universale la signora S.R., estromettendo di fatto in larga parte dall'eredità l'unico figlio F.C.. La domanda astrattamente fondata non può essere accolta stante la genericità delle allegazioni, nonché tenuto conto che non si è in presenza di una vera e propria inerzia del debitore. Ed infatti, pur essendo ammissibile per il creditore agire in via surrogatoria per ottenere la riduzione di una disposizione testamentaria lesiva del patrimonio del proprio debitore, in punto vedasi diffusamente Cassazione civile , sez. II, 20/06/2019, n. 16623 a tenore della quale: "È ammissibile l'esercizio in via diretta dell'azione surrogatoria - prevista dall'art. 2900 c.c. - nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un'interferenza di natura eccezionale - ma legittima - nella sfera giuridica del debitore; infatti, l'azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori, occorre tuttavia che il creditore alleghi specificamente le ragioni del perché la disposizione per cui si agisce in riduzione sia lesiva. Nel merito, ritiene questo Collegio che la domanda risulti infondata perché l'attrice non ha sviluppato allegazioni specifiche in punto lesione di legittima e, quindi, non ha messo in condizione il giudice di accertare il pregiudizio a cui fa riferimento l'articolo 2900 c.c. In punto vedasi la più accorta giurisprudenza di merito, Tribunale, Pesaro 11/08/2005 , n. 604 la quale ha chiarito quanto segue: "premesso che l'azione di riduzione degli atti lesivi della quota di riserva può essere esercitata anche in via surrogatoria, nel caso di specie, manca la dimostrazione - il cui onere grava sui creditori - di uno dei presupposti fondamentali per l'esercizio dell'azione surrogatoria, vale a dire la prova del pregiudizio, derivante alle ragioni dei (figli) creditori, dall'inerzia del genitore debitore, che non ha esercitato l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per lui lesive. Manca quindi un interesse, in assenza di detta prova, che giustifichi l'ingerenza dei creditori nella sfera giuridica del debitore". D'altra parte, il legittimo esercizio dell'azione surrogatoria postula che, a fini di conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., il creditore si sostituisca al proprio debitore, in caso di inerzia di quest'ultimo, onde recuperare al patrimonio di questi (somme o beni (Cass. 22.3.2001, n. 4075). Ovviamente, la condizione di inerzia è altra rispetto alla ritenuta insufficienza qualitativa delle modalità di esercizio di un diritto. Come giustamente è stato sostenuto in giurisprudenza, la surrogatoria non può costituire un mezzo di controllo dell'efficienza dell'attività del debitore, giacché, altrimenti verrebbe irragionevolmente vanificata l'autonomia privata di questi, cosicché deve confermarsi che l'inerzia è rappresentata dal fatto oggettivo della trascuranza dei diritti: ovvero dall'inattività totale del debitore. In questi termini possono utilmente essere richiamati i seguenti principi di diritto: "L'azione surrogatoria è lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad elementare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori. La detta azione, conferendo al creditore la legittimazione all'esercizio di un diritto altrui, realizza un'interferenza di natura eccezionale nella sfera giuridica del debitore onde, pur essendo nel campo patrimoniale un'azione di carattere generale, esclusa solo per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può tuttavia essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge." Cass. 18.2.2000, n. 1867). Ne discende che, nel caso di specie, viene a mancare il presupposto perché al debitore C.F. possa sostituirsi il creditore atteso che : "Il presupposto per l'esperibilità dell'azione surrogatoria è l'inerzia del debitore; pertanto, un qualsivoglia comportamento positivo posto in essere del debitore, ancorché lesivo delle aspettative del creditore, in quanto atto di amministrazione del proprio patrimonio spettante unicamente al debitore stesso, esclude "ab origine", la possibilità d'interferenza da parte del creditore con l'azione surrogatoria" (Cass. 4.8.1997, n. 7187). Nel caso di specie, è assolutamente evidente che il convenuto C.F. non possa ritenersi inerte tout court nel senso indicato dall'art. 2900 c.c., avendo questi accettato l'eredità paterna e finanche disposto dei predetti beni a favore della sig.ra S.. Nel caso di specie, poi, e questo appare l'aspetto assorbente non sono state allegate precise e puntuali ragioni da cui ricavare il pregiudizio del creditore dall'inerzia del figlio F.C. il quale non ha esercitato l'azione di riduzione. Pur non revocandosi in dubbio che effettivamente desti qualche perplessità il fatto che sia stata lasciata buona parte dell'eredità alla nuora, ciò non vale ad escludere che il sig. F.C. sia stato destinatario già di altri cespiti e di plurime donazioni in vita, tali da giustificare un testamento di siffatto tenore. Consegue, dunque, il rigetto della predetta domanda. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e debbono essere poste a carico dei convenuti tenuto conto che gli stessi hanno occasionato la lite e comunque, in ottica prognostica, la soccombenza principale è imputabile ai convenuti medesimi. La quantificazione delle spese deve tenere conto del valore, della natura controversia, dell'attività processuale effettivamente svolta. Le spese vanno liquidate come indicato in dispositivo secondo i valori prossimi ai medi (decurtati del 30%) per le cause di valore indeterminato previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. in relazione alle ragioni sopra indicate. P.Q.M. Il TRIBUNALE DI IVREA in composizione Collegiale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. R.G. 2931/2020 nel contraddittorio delle parti: 1) DICHIARA inefficace nei confronti dell'attrice B. snc di B.D. e C.: -l'atto di cessione di diritti reali a titolo gratuito a rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927, con il quale il signor F.C. ha trasferito alla signora R.S. le seguenti unità immobiliari site nei Comuni di Verolengo e Chivasso e precisamente: - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a ½ degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); 2) RIGETTA la domanda di accertamento della lesione di legittima del sig. F.C. esercitata dall'attrice ex art. 2900 e 553 c.c.; 3) Visto l'art. 2655 c.c. ordina al competente Conservatore dei Registri Immobiliari, manlevandolo da ogni responsabilità, di procedere all'annotazione della presente sentenza in margine della trascrizione del suddetto atto di cessione rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927; 4) CONDANNA i convenuti in solido al pagamento delle spese di lite a favore dell'attrice che liquida in Euro 9.401,00 oltre esposti documentati Euro 545,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e c.p.a. come per legge. Così deciso nella camera di consiglio del 3 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IVREA Sezione Civile Unica Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. ALESSANDRO PETRONZI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 3644/2021 tra (...) (C.F. (...) ) rappresentata e difesa dall'Avv. VE.PI., come in atti domiciliata -parte attrice- nei confronti di: (...) (C.F. (...) ) -parte convenuta contumace- RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) esponendo di aver concluso con quest'ultimo un contratto preliminare di compravendita (doc. 1) avente ad oggetto il terreno agricolo, sito in B. in via B., identificato al catasto terreni partita n. 2967, foglio (...), particella n. (...), RDL. 73.796 RL.65.818. Esponeva l'attrice che le parti determinavano il corrispettivo in Euro 5.000,00, di cui: Euro 2.000,00 versati, a titolo di caparra, all'atto del preliminare a mezzo assegno bancario intestato a (...); Euro 3.000,00 da versare contestualmente alla stipula del contratto definitivo. La parte attrice evidenziava ancora che il promissario acquirente, nonostante la diffida intimata (doc. 4) e pur occupando il terreno oggetto del compromesso, non adempieva all'obbligo di contrarre. Chiedeva pertanto di accertare l'obbligazione del convenuto ad acquistare la proprietà del terreno sopra descritto; di accertare che il convenuto non ha adempiuto a tale obbligazione; di emettere sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. e conseguentemente di condannare il convenuto al pagamento del corrispettivo ancora dovuto, oltre ogni maggior danno. All'udienza figurata del 02.03.2022, dichiarata la contumacia del convenuto, veniva sottoponeva alle parti una questione rilevabile d'ufficio e decisiva per l'esito della controversia, consistente nella mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica previsto dall'art. 30 D.P.R. n. 380 del 2001. Con memoria autorizzata, parte attrice rilevava la non applicabilità della norma in questione, attesa la superficie del terreno oggetto di controversia, inferiore a 5.000 mq. Evidenziava, in ogni caso, di aver acquisito il documento in data 21.03.2022 dal Comune di Brandizzo e chiedeva che ne venisse ordinata la produzione. Con ordinanza del 07.04.2022, rilevato che il terreno in questione non costituisce pertinenza di alcun fabbricato - con conseguente inoperatività della deroga alla obbligatoria produzione del certificato di destinazione urbanistica di cui all'art. 30, co. II, secondo periodo, del T.U. edilizia -, veniva fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni, nella quale l'attrice argomentava in ordine alla fondatezza della propria istanza ex art. 210 c.p.c. ed insisteva per l'accoglimento delle domande svolte. Deve premettersi che il contratto preliminare concluso tra le parti (doc. 1) risulta valido ed efficace. Il contratto è stato stipulato mediante scrittura privata, non autenticata, e reca le sottoscrizioni delle parti e di (...), figlia dell'attrice. Nel regolamento negoziale le parti hanno previsto che l'attuale attrice "si impegna a vendere il terreno" sopra indicato; all'opposto, non è espressamente previsto l'obbligo del convenuto di acquistare il bene. In altri termini, difetta una proposizione analoga a quella riportata. Tuttavia, sulla base dei criteri di interpretazione del contratto ex art. 1362 ss c.c. - ed in particolare il preminente criterio della volontà delle parti - non vi è dubbio che il convenuto abbia inteso contrarre l'obbligazione di stipulare il contratto definitivo. In questo senso milita anche l'intestazione del contratto (denominato, per l'appunto, "compromesso di compravendita"). Risulta, in secondo luogo, l'inadempimento del promissario acquirente all'obbligo di stipulazione del definitivo di pagamento del corrispettivo residuo. Si consideri che le parti, nel contesto del preliminare, peraltro stipulato nel 2018 (ossia tre anni prima dell'introduzione della presente controversia), non hanno previsto un termine cd. dilatorio per la conclusione del contratto definitivo, pertanto deve ritenersi che l'obbligo a contrarre sia immediatamente esigibile ex art. 1183 c.c. La parte promittente venditrice ha nondimeno intimato l'adempimento, contestualmente invitando la controparte alla stipula del rogito entro quindici giorni dal ricevimento della intimazione, invito che dagli atti di causa risulta inevaso. Ciononostante, non può essere accolta la domanda di parte attrice volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre. Ad essa osta infatti la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica che, per giurisprudenza pacifica, rappresenta condizione dell'azione ex art. 2932 c.c. In questo senso, ex multis, Cass. n. 21721/2019: "in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su di un immobile e su un terreno, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza, rispettivamente, della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia relativa all'immobile e del certificato di destinazione urbanistica relativo al terreno, trattandosi di condizioni dell'azione, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio". Nella specie, in assenza del certificato di destinazione urbanistica, l'azione svolta risulta giuridicamente impossibile, difettando così l'omonima condizione dell'azione: in difetto del documento amministrativo in esame, la posizione soggettiva fatta valere in giudizio non trova infatti tutela all'interno dell'ordinamento, sicché la relativa domanda deve essere dichiarata inammissibile. Neppure può accogliersi l'istanza ex art. 210 c.p.c. promossa dalla parte attrice avente ad oggetto il certificato di destinazione urbanistica medio tempore ottenuto dal Comune. Basti sul punto rammentare che, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'ordine di esibizione è rivolto dal giudice alla controparte o ad un terzo che sia in possesso di documenti necessari per l'istruzione della causa e non rinvenibili aliunde. L'istanza risulta perciò inammissibile quando la parte istante e la parte destinataria del richiesto ordine di esibizione coincidano, come nel caso di specie, nel quale la parte attrice chiede che le venga ordinato di produrre il certificato di destinazione urbanistica: tale ipotesi, infatti, implica che la parte istante sia nel possesso del documento e sia pertanto onerata - in virtù del principio dispositivo - della relativa produzione in giudizio. In conclusione, la domanda ex art. 2932 c.c. promossa dalla parte attrice risulta inammissibile. Nulla sulle spese attesa la mancata costituzione della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza reietta e disattesa: a) Accerta l'impegno ad acquistare in capo al convenuto, in ragione del contratto preliminare di compravendita concluso tra le parti il 28.04.2018 ed avente ad oggetto il terreno individuato in parte motiva; b) Accerta l'inadempimento della parte convenuta in relazione al suddetto contratto preliminare di compravendita; c) Dichiara l'inammissibilità della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. d) Nulla sulle spese di lite. Così deciso in Ivrea il 16 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Unico dott.ssa Paola Cavarero ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 2383/2019 R.G. promossa da: (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ro.Co., come da procura in atti - attore - contro (...) SNC (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Ca., come da procura in atti - convenuta - con la chiamata in causa di (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Ma.Or., come da procura in atti - terzi chiamati - MOTIVI DELLA DECISIONE I. Il Sig. (...) conveniva in giudizio (...) Snc domandando, previo accertamento della responsabilità della società convenuta, la condanna della stessa, ex art. 1669 c.c. (in subordine, ex artt. 2043 o 2049 c.c.), al risarcimento dei danni subiti a causa della condotta negligente ed imperita dell'impresa nell'esecuzione dei lavori di costruzione dell'immobile ubicato in S. B. (...) (T.), C.so (...) n. 15 e 17, facente parte del complesso edilizio denominato "(...)", acquistato con rogito notarile del (...), Notaio Dott. (...), rep. n. (...) - raccolta n. (...), così come quantificati dal C.T.U. nel procedimento per accertamento tecnico preventivo R.G. n. 414/2017, oltre al rimborso delle spese - legali e peritali - sostenute dall'attore, come specificate in atti. La società convenuta si costituiva in giudizio e contestava quanto ex adverso dedotto e argomentato, eccependo la prescrizione e/o la decadenza dell'azione e delle domande svolte in subordine, il difetto di legittimazione attiva del Sig. (...) in merito ai fenomeni riscontrati dal CTU in sede accertamento tecnico preventivo con riguardo alle parti comuni del fabbricato, il difetto di legittimazione passiva della società convenuta per aver subappaltato le opere alla (...) srl. La società domandava pertanto la condanna dell'attore al rimborso delle spese tecniche e legali tutte sostenute nel procedimento A.T.P., ovvero, in via subordinata, per l'ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande formulate da parte attrice, la riduzione delle pretese risarcitorie per effetto del concorso con le altre parti del giudizio, i.e. l'attore (danni imputabili ad un difetto di manutenzione dell'immobile) e i Sig.ri (...) e (...), in qualità di soci della (...) srl, nei cui confronti chiedeva l'autorizzazione alla chiamata in causa. Autorizzata la chiamata in causa, con comparsa di costituzione e risposta del 10.02.2020 si costituivano in giudizio i Sig.ri (...) e (...), i quali, dando atto di non aver percepito alcuna somma in base al bilancio finale di liquidazione della (...) srl, cancellata dal Registro delle Imprese in data 08.01.2016, chiedevano il rigetto delle avversarie pretese; in ogni caso, eccepivano l'improcedibilità dell'azione, la decadenza della (...) Snc per omessa comunicazione della denunzia ex art. 1670 c.c., nonché la cessazione della materia del contendere alla luce degli accordi di cui alla transazione del 24.05.2011. II. Deve in primo luogo dichiararsi, come richiesto dalle parti (estranea parte attrice che non ha formulato domande nei confronti dei sig.ri (...) e (...)), la cessazione della materia del contendere tra parte convenuta ed i terzi chiamati in causa (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 03.02.2021 e fogli di precisazione delle conclusioni depositati telematicamente in data 17.02.2022). Con riguardo, invece, alla domanda risarcitoria formulata da parte attrice nei confronti della società convenuta, la stessa merita parziale accoglimento per i seguenti motivi. Occorre in primo luogo esaminare le eccezioni formulate da parte convenuta. Con riferimento all'eccezione attinente all'applicabilità nella specie dell'art. 1669 c.c., secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale costituiscono gravi difetti costruttivi quelli che, pur non pregiudicando la stabilità dell'edificio, incidono sulla struttura e sulla funzionalità del bene e ne inficiano in modo apprezzabile il godimento (cfr. Cass. civ. S.U. n. 7756/2017); nella fattispecie in esame, le contestazioni attengono in parte a difetti strutturali non secondari (difetto di isolamento acustico) ed in parte a vizi costruttivi (presenza di ponti termini) che pregiudicano il normale godimento del bene da parte dell'acquirente (cfr. elaborato peritale in atti). Risulta parimenti infondata l'eccezione di decadenza e prescrizione formulata da parte convenuta, posto che: a) l'art. 1669 c.c. prevede un doppio termine (qualora sia mancato il rispetto di uno solo di essi, la responsabilità ex art. 1669 c.c. non può essere fatta valere): il primo, a pena di decadenza, per la denuncia dei vizi, da effettuare entro un anno dalla loro scoperta (da intendersi quale piena comprensione del fenomeno e chiara individuazione ed imputazione delle sue cause - cfr. Cass. civ. n. 4364/2015), il secondo, di prescrizione, per il diritto al risarcimento, di un anno dalla suddetta denuncia; b) nella specie, l'ultimazione dei lavori risale al 2008 (circostanza pacifica), la relazione peritale di parte risale al 18.03.2016 (cfr. doc. 8 - da intendersi quale data di decorrenza dei termini di cui all'art. 1669 c.c.: come anticipato il dies a quo deve essere individuato non nel momento di verificazione del danno, bensì in quello logicamente successivo di acquisizione da parte del danneggiato di un apprezzabile grado di conoscenza circa la gravità dei difetti e la loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera), la denuncia attorea è datata 24.08.2016 (doc. 9), il procedimento ex art. 669 bis c.p.c. è stato instaurato entro un anno dalla denuncia (ricorso notificato in data 8.3.2017 - cfr. Cass. civ., sez. II, n. 11087/2000) e si è concluso con il deposito dell'elaborato peritale datato 22.06.2018, comunicato il 26.06.2018 (docc. 15 e 16), cui è seguita la notificazione dell'atto di citazione in data 17.06.2019 (cfr. artt. 2943 e 2945 c.c.). La domanda, pertanto, deve ritenersi tempestiva ed alcuna decadenza o prescrizione ex art. 1669 c.c. può considerarsi maturata. Risulta, inoltre, infondata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dalla società convenuta, potendo il danneggiato acquirente, avente causa del committente, attesi il tenore letterale dell'art. 1669 c.c. e la natura dell'azione in esame, agire direttamente contro l'appaltatore per i vizi costruttivi dell'opera, salvo regresso nei confronti dei subappaltatori ex art. 1670 c.c. - azione definita mediante declaratoria di cessazione della materia del contendere (cfr. Cass. civ. n. 27250/2017 e Cass. Civ. n. 4319/2016). Risulta, invece, fondata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva con riguardo ai danni relativi alle parti comuni del complesso condominiale ("presenza, nelle parti comuni, di umidità e di crepe sui muri della rampa d'accesso e avvallamenti nella pavimentazione esterna antistante il fabbricato"), posto che, secondo un condivisibile orientamento interpretativo, occorre "distinguere tra domande tendenti ad esercitare atti conservativi di difesa dei beni comuni e domande di natura risarcitoria; infatti con riferimento al primo ordine di domande non si dubita della sussistenza della legittimazione attiva del singolo condomino, considerato che, essendo il Condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'amministratore del Condominio non esclude che ciascun condomino possa provvedere direttamente ad agire per la tutela dei diritti inerenti alle parti comuni (Cass. 16-9-1991 n. 9629; Cass. 14-12-1993 n. 12304; Cass. 12-3-1994 n. 2393; Cass. 6-8-1999 n. 8479); a diverse conclusioni deve invece giungersi in punto legittimazione attiva del singolo condomino con riguardo al secondo tipo di domande, posto che esse tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione di un servizio comune, senza quindi attinenza diretta all'interesse esclusivo dei singoli partecipanti, con la conseguenza che in tali controversie la legittimazione attiva spetta in via esclusiva all'amministratore del Condominio." (Cass. civ. n. 8173/2012). Nella specie, trattandosi di pretesa di natura risarcitoria la legittimazione attiva spetta al Condominio. Si consideri peraltro che il Condominio ha autonomamente agito in giudizio nei confronti del costruttore ex art. 1669 c.c. e l'accoglimento nell'integralità della domanda risarcitoria determinerebbe una duplicazione risarcitoria (inammissibile), mentre la limitazione della stessa ai millesimi di proprietà risulta priva di adeguato supporto normativo (le tabelle millesimali rilevano, invero, ai diversi fini della formazione della volontà dell'organo assembleare e della ripartizione delle spese comuni). Ciò posto, può ora procedersi alla disamina dei singoli vizi tenendo conto delle risultanze dell'elaborato del C.T.U. acquisito agli atti, pienamente condiviso dal Tribunale salvo quanto precisato nel prosieguo, in quanto immune da vizi logici e scientifici, anche nella parte relativa alla disamina delle osservazioni dei c.t.p. In particolare, il C.T.U., per quanto maggiormente interessa in questa sede (esclusi i vizi relativi alle parti comuni), ha così descritto i vizi accertati: "Nel corso delle operazioni peritali il CTU ha accertato la presenza di muffe localizzate negli angoli di intersezione delle pareti e dei solai delle stanze ed attorno ai serramenti dell'abitazione del Sig. (...). Ha quindi accertato, mediante l'esecuzione di saggi parzialmente demolitivi, la presenza di ponti termici non corretti negli angoli di intersezione delle pareti e dei solai delle stanze ed attorno ai serramenti. ... Il CTU ha rilevato la presenza di efflorescenze e subflorescenze localizzate sulla muratura esterna e sui rivestimenti in mattoni esterni fino ad una altezza massima di circa cm 50 dal pavimento del marciapiede esterno. Queste efflorescenze e subflorescenze sono imputabili, a parere dello scrivente, a non adeguata impermeabilizzazione del marciapiede e del raccordo dello stesso con la muratura esterna dell'edificio e conseguente infiltrazione di umidità di risalita sulla muratura stessa. ... Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento acustico per via aerea tra ambienti sulla partizione verticale (parete) che separa la "camera 3" dell'unità immobiliare attorea dalla "camera 8" dell'unità immobiliare adiacente ... Le prove eseguite in loco hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento acustico per via aerea su tutte le facciate misurate dell'unità immobiliare attorea.Lo scrivente ritiene di ricondurre il vizio riscontrato (indice di facciata non sufficiente) alla non corretta posa in opera del gruppo serramento-vetro, che rappresenta il punto debole del sistema di facciata ed ipotizza la non perfetta sigillatura degli spazi tra muratura e falso telaio e tra falso telaio e telaio del serramento. Risulta inoltre significativa la presenza del foro di ventilazione nella muratura di facciata della cucina, realizzato mediante tubo in pvc passante verso l'esterno, privo di qualsiasi dispositivo di abbattimento acustico ... Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento dal rumore di calpestio sulla partizione orizzontale (solaio) che separa il "soggiorno 6" piano primo dal "soggiorno 1" piano rialzato e sulla partizione orizzontale (solaio) che separa il "soggiorno 6" piano primo dalla "camera 2" piano rialzato. Il limitato scostamento dei valori misurati dai valori ammessi dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, fa ritenere allo scrivente che le problematiche riscontrate derivino dalla presenza di "ponti acustici", conseguenti ad una non corretta posa in opera del "pavimento galleggiante" e/o dello zoccolino battiscopa. ? Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi al WC della mansarda situato nel sottotetto sopra il locale 5 dell'unità immobiliare sub (...).". Si precisa sul punto che: - a prescindere dalla sussistenza di un obbligo di legge circa la correzione dei ponti termici - formazione delle muffe all'epoca dell'intervento, le norme tecniche UNI EN ISO 13788:2003 (parametro per valutare l'esecuzione a regola d'arte dell'opera - il parametro cui ancorare la relativa valutazione non è invero la - sola - sussistenza o meno di un obbligo di legge, bensì anche le buone prassi del settore, compendiate nelle regole citate) ne prescrivevano la verifica e, pertanto, l'accertamento della mancata correzione dei ponti termici determinano la responsabilità del costruttore; - non risulta adeguatamente provata la corresponsabilità dell'attrice nella causazione del danno lamentato, non potendosi trarre una differente conclusione alla luce delle considerazioni - mere ipotesi non riscontrate - svolte dal CTU; - i vizi non emendabili (presupponendo la realizzazione di interventi in immobili di proprietà di soggetti terzi o in ogni caso di impossibile esecuzione) relativi ai difetti di insonorizzazione acustica riscontrati verranno quantificati separatamente, costituendo un'autonoma voce di danno. Parte attrice ha, pertanto, diritto al risarcimento dei danni rappresentato dai costi degli interventi necessari all'eliminazione dei difetti costruttivi accertati (esclusi i vizi relativi alle parti comuni del complesso condominiale, risultando legittimato a proporre l'azione risarcitoria il Condominio e ciò a prescindere dalle scelte processuali dell'Amministrazione condominiale nel separato giudizio instaurato nei confronti del costruttore per i difetti relativi alle parti comuni; esclusi altresì i vizi non emendabili, nel prosieguo autonomamente quantificati). I costi stimati dal CTU (cfr. pagg. 102 ss. della relazione) per l'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei difetti accertati ammontano ad Euro 18.796,00 (8.398,00 + 9.577,00 + 821,00), oltre a IVA al 10% (1.879,60) e "una maggiorazione percentuale del 3% per "oneri di sicurezza" 563,88 ed una maggiorazione del 10% per "prestazioni professionali'1.879,60" (sul costo delle opere, esclusa IVA) e così per complessivi Euro 23.119,08 (la maggiorazione del 20% proposta con riguardo ai difetti di insonorizzazione acustica non pare motivata e non vi sono gli estremi per applicarla nella specie, tenuto conto della separata quantificazione dei vizi non emendabili). Deve infine essere liquidato il danno correlato alla sussistenza di vizi non emendabili (in quanto la loro esecuzione - trattasi di interventi in parte da effettuare presso immobili di proprietà di soggetti terzi - non risulta allo stato autorizzata), che può essere parametrato al deprezzamento dell'immobile a causa della presenza degli stessi. A tal fine, tenuto conto che si tratta di superamenti in alcuni casi non significativi (così il CTU "Il limitato scostamento dei valori misurati dai valori ammessi dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, fa ritenere allo scrivente che le problematiche riscontrate derivino dalla presenza di "ponti acustici", conseguenti ad una non corretta posa in opera del "pavimento galleggiante" e/o dello zoccolino battiscopa"), del tempo necessario per avvertire la sussistenza del difetto sotto il profilo dell'isolamento acustico e del prezzo di compravendita, si stima equo determinare il danno da deprezzamento in Euro 22.500,00, pari al 10% del prezzo di compravendita (escluse imposte). Importo soggetto a rivalutazione e interessi dalla data di acquisto dell'immobile: complessivi Euro complessivi Euro 30.581,82. In definitiva, sommando le varie voci di danno, come innanzi quantificate, in parziale accoglimento della pretesa attorea, parte convenuta deve essere condannata al versamento in favore del sig. (...) dell'importo di Euro 53.700,90. Sono altresì passibili di ripetizione le spese legali e peritali, d'ufficio e di parte (in tale ultimo caso con riduzione dell'importo relativo alle spese peritali di parte ex art. 92, comma 1 c.p.c., da quantificare ai fini che ci occupano in misura pari al compenso liquidato al CTU, a tal fine includendo l'attività svolta sia in sede stragiudiziale che in sede di A.T.P.), sostenute da parte attrice nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, per complessivi Euro 19.758,73 (di cui: per costi CTU e CTP Euro 16.537,10 = Euro 8.268,55 x 2; per spese legali Euro 2.910,00, liquidate in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014; per costi vivi Euro 306,10 - cfr. docc. 19-22). Alla luce delle considerazioni svolte parte convenuta deve essere condannata a versare a parte attrice l'importo complessivo di Euro 73.459,63, oltre interessi dalla pronuncia sino all'effettivo soddisfo. III. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, inferiori ai medi per la fase istruttoria (considerate le produzioni documentali ed il contenuto delle memorie istruttorie - assente l'istruzione orale), tenuto conto della complessità delle questioni trattate. Non vi sono gli estremi per la condanna ex art. 96 c.p.c. di parte convenuta, atteso il pregio delle difese svolte. Deve invece disporsi, come da domanda, l'integrale compensazione delle spese di lite tra parte convenuta e i terzi chiamati in causa. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Dichiara la cessazione della materia del contendere tra (...) SNC, (...) e (...), con integrale compensazione delle spese di lite; - Accerta la responsabilità della (...) SNC ex art. 1669 c.c. e per l'effetto condanna la convenuta al versamento in favore di (...) dell'importo di Euro 73.459,63, oltre interessi dalla pronuncia sino all'effettivo soddisfo; - Condanna (...) SNC a rimborsare a (...) le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 545,00 per esborsi ed Euro 9.650,00 per compensi professionali, oltre 15% rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge e successive occorrende di registrazione e notificazione. Così deciso in Ivrea il 13 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Unico dott.ssa Paola Cavarero ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 436/2019 R.G. promossa da: (...) S.R.L. (codice fiscale e p.iva (...)), in persona del legale rappresentante p.t., sig.ra (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Ca., come da procura in atti - ATTRICE - - contro - (...) S.R.L. (codice fiscale e p.iva (...)), in persona le legale rappresentante p.t., Sig. (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.Br. e Da.Gr., come da procura in atti - CONVENUTA - - nonché nei confronti di - (...) PUBLIC LIMITED COMPANY (codice fiscale (...)), in persona del procuratore, dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Pr., come da procura in atti - TERZA CHIAMATA - MOTIVI DELLA DECISIONE I. (...) S.R.L. ha agito in giudizio domandando l'accertamento della responsabilità della (...) S.R.L. nella causazione dell'infortunio verificatosi in data 03.10.2015 a causa di un malfunzionamento del macchinario venduto dalla società convenuta, con conseguente condanna di quest'ultima al rimborso dell'importo corrisposto all'INAIL in sede di rivalsa, pari ad Euro 16.831,69, oltre interessi e spese. (...) S.R.L. si è costituita in giudizio deducendo l'infondatezza delle avversarie allegazioni, eccependo ex art. 1227 c.c. la corresponsabilità della società attrice nella causazione del sinistro e domandando la chiamata in causa del proprio assicuratore. (...) P.L.C., costituendosi in giudizio, ha aderito alle difese della società convenuta in punto responsabilità, confermando l'operatività della garanzia, soggetta alla franchigia e allo scoperto indicati in polizza. II. Occorre in primo luogo definire l'oggetto del contendere. Parte attrice ha domandato il ristoro dei danni subiti a causa dell'inadempimento avversario, contestando in particolare quanto segue: "Al momento dell'incidente il dipendente Sig. (...) stava provvedendo alla periodica sostituzione dei "coltelli" della cesoia, in giornata di sabato, a forno spento, con la macchina in funzionamento manuale e con l'ausilio del "gruppo sollevamento lame" che è un accessorio opzionale, detto anche servo muto, fornito dalla (...) e progettato appositamente per l'operazione di sostituzione dei coltelli. Posizionato il predetto accessorio, il dipendente iniziava ad operare sulla macchina per sostituire le lame, quando una parte mobile del macchinario denominata calibro si muoveva improvvisamente e colpiva l'operatore, schiacciandogli il polso sinistro tra il detto calibro e l'accessorio denominato servo muto ... l'inopinato movimento avveniva in modo autonomo ancorché essendo la macchina in manuale non fossero stati azionati i comandi di posizionamento del "calibro" e avveniva in modo del tutto imprevisto e imprevedibile per l'operatore ... La criticità non fu dunque accidentale, ma conseguenza di un serio errore strutturale e/o di programmazione del sistema di automazione a PLC della cesoia, che consentì l'effettuazione di un movimento in modalità automatica, benché la modalità impostata fosse esplicitamente indicata dai dispositivi della macchina come manuale". Circostanze puntualizzate come segue in sede di prima memoria istruttoria: "il sinistro occorso al dipendente della (...) è ascrivibile unicamente a un grave errore strutturale e/o di programmazione del sistema di automazione del macchinario fornito dalla ridetta convenuta". Risulta pertanto contestata tempestivamente la consegna di un macchinario non correttamente funzionante (errore strutturale e/o di programmazione), non anche un difetto di formazione del personale addetto al macchinario (trattasi di circostanza nuova dedotta per la prima volta in sede di seconda memoria istruttoria e dunque tardivamente, con conseguente declaratoria di inammissibilità delle prove sul punto formulate da parte attrice). Tanto chiarito, occorre procedere alla ricostruzione della dinamica del sinistro. Secondo quanto dedotto da parte attrice, il sinistro per cui è causa è imputabile ad un difetto strutturale del macchinario acquistato dalla (...), risultando il selettore, posto nel pulpito del quadro comandi, privo di una terza posizione (oltre a quelle volte ad impostare il ciclo automatico e manuale) di disattivazione totale del macchinario durante gli interventi di manutenzione (nella specie, sostituzione delle lame con l'ausilio dell'accessorio denominato servo muto), nonché l'attivazione automatica del c.d. calibro nella fase di funzionamento manuale (movimento, non prevedibile da parte dell'operatore, che ha causato il sinistro). Parte convenuta ha contestato specificamente le deduzioni avversarie, argomentando come segue: "In data 09.09.2015 (...) provvedeva alla messa in funzione ed al collaudo della cesoia presso lo stabilimento della società attrice, consegnando il libretto di istruzione alla titolare della (...), Sig.ra (...), ed al responsabile di produzione, Sig. (...) (all. 5). In data 03.10.2015, dopo circa un mese dall'installazione della cesoia, si verificava l'infortunio al dipendente (...), il quale, posizionandosi con una scala al di sotto delle lame, dopo aver rimosso le protezioni d'acciaio di sicurezza, tentava di allentare i bulloni di serraggio, in ciò coadiuvato dal direttore di produzione sig. (...), il quale, posto al quadro di comandi della cesoia, azionava il teleruttore manuale/automatico del funzionamento della cesoia. Il Sig. (...), mantenendo l'impianto in funzione, azionando il teleruttore manuale/automatico di avvio della macchina provocava lo spostamento del calibro ... il quale andava a colpire il polso del lavoratore causandogli la lesione. ... Al momento dell'infortunio, invece, risulta che il Signor (...), responsabile degli impianti della (...), contravvenendo alle prescrizioni del manuale di uso e delle normali regole di prudenza e diligenza, abbia mantenuto acceso l'impianto e volutamente ed erroneamente azionato il teleruttore manuale/automatico del movimento del calibro, non tenendo in considerazione né curando che l'operaio era all'interno della cesoia per la sostituzione delle lame, azione questa gravemente imprudente che ha causato l'infortunio del dipendente". Ciò posto, dalla documentazione in atti - in particolare, gli accertamenti compiuti nell'immediatezza del sinistro, prodotti in data 16.11.2020 (A.T. - Dipartimento di prevenzione - prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) - si evince la mancanza, all'epoca del sinistro, nel selettore che comanda il ciclo di lavoro di una terza posizione, denominata "0" o "servo muto", volta ad evitare movimenti della cesoia pur consentendo la manovra del sollevatore nelle fasi di manutenzione del macchinario. La necessaria presenza di una terza posizione nel quadro comandi - selettore per poter effettuare la sostituzione lame con il gruppo sollevamento lame (optional (...) utilizzato in occasione del sinistro per cui è causa) in sicurezza risulta, peraltro prescritta dal manuale di istruzioni d'uso consegnato all'attrice, ove si precisa che "Durante l'operazione di sostituzione lame tramite gruppo sollevamento lame, contrariamente a quanto avviene durante la medesima operazione eseguita manualmente, è indispensabile mantenere l'impianto acceso per consentire il corretto funzionamento della centrale idraulica ma è assolutamente necessario posizionare il selettore interbloccato a 3 posizioni dal pulpito di comando su "SERVO MUTO" così da inibire tutte le possibili movimentazioni della macchina; si consiglia inoltre di rimuovere le chiavi del selettore per l'intera durata dell'operazione così da evitare eventuali interferenze da parte di terzi. PERICOLO È assolutamente vietato apprestarsi a sostituire le lame con il selettore interbloccato in qualsiasi posizione diversa da "SERVO MUTO". Un'inadempienza di questa operazione potrebbe causare danni gravi all'operatore e persino la morte". (cfr. doc. 5, pag. 28 di parte convenuta). La stessa società che vende il macchinario prescrive pertanto la presenza di un selettore a tre posizioni nel quadro di comando e l'utilizzazione del gruppo sollevamento lame esclusivamente dopo aver posizionato il selettore su "servo muto", terza posizione assente all'epoca del sinistro, evidenziando i pericoli connessi all'utilizzazione del gruppo sollevamento lame con selettore bloccato in altra posizione. Il difetto costruttivo evidenziato ha concorso alla causazione del sinistro, ponendo la società acquirente nell'impossibilità di porre in sicurezza il macchinario durante le operazioni di sostituzione lame. Parte convenuta eccepisce tuttavia la responsabilità attorea, quantomeno ex art. 1227 c.c., per aver il sig. (...) azionato il macchinario durante l'operazione di sostituzione lame, causando il movimento del calibro. Dalle testimonianze assunte si evince che, durante l'operazione di sostituzione delle lame, in occasione della quale si è verificato il sinistro per cui è causa, il sig. (...) si trovava in prossimità del quadro comandi della cesoia ed azionava il selettore, causando un movimento che determinava lo spostamento del calibro e la verificazione dell'infortunio. In particolare, il teste all'udienza del 23.11.2020 ha dichiarato quanto segue: "Preciso che in quel periodo io ero il responsabile della manutenzione e mi trovavo ai comandi del macchinario mentre il sig. (...) era intento alla sostituzione dei coltelli. Preciso ulteriormente che stavamo provando la sostituzione dei coltelli in quanto era la prima volta. ... Sul capo 3) Non è vero, il selettore di controllo era in posizione automatico quando io sono andato a vedere. ADR GOP Posso dire che ero al quadro comando e ricordo di aver detto al (...) che il selettore doveva essere messo in modalità manuale prima di operare. ... Sul capo 9) Posso dichiarare che quando il selettore passava dalla posizione automatica a manuale il calibro partiva e questa era un'anomalia ... Posso dichiarare che nella circostanza il selettore era in posizione automatico ed io l'ho spostato in posizione manuale. Preciso che solo lo spostamento da automatico a manuale fa partire il calibro", circostanze che trovano conferma nelle dichiarazioni rese dal teste agli ispettori (...) (cfr. pag. 5 inchiesta infortunio n. 2197/15/SO del 03.10.2015), nonché nella deposizione del sig. (...), resa in pari data. Trattasi di testimonianze soggettivamente ed oggettivamente attendibili, avendo i testi, informati sui fatti di causa, reso dichiarazioni puntuali e coerenti (anche rispetto a quanto riferito nell'immediatezza del sinistro). La decisione datoriale di procedere alla sostituzione delle lame mediante gruppo di sollevamento lame (optional (...)) con macchinario acceso ed in mancanza della terza posizione "0" o "servo muto", prescritta dal manuale di istruzioni d'uso consegnato all'attrice in data 09.09.2015 (circostanza allegata da parte convenuta in sede di comparsa di costituzione e non specificamente contestata da parte attrice entro la prima memoria istruttoria, con conseguente applicazione dell'art. 115 c.p.c.), determina una concorrente responsabilità della società attrice nella causazione dell'infortunio. L'imprenditore è invero, ai sensi dell'art. 2087 c.c., "tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" e nella specie la pericolosità dell'operazione eseguita dal lavoratore infortunato, i.e. utilizzazione del gruppo sollevamento lame con selettore in posizione diversa da "servo muto", era chiaramente evidenziata nel manuale di istruzioni d'uso (doc. 5 di parte convenuta). L'acquirente, avvedutosi del difetto costruttivo, evincibile da un semplice raffronto tra macchinario consegnato e prescrizioni d'utilizzo di cui al manzionato manuale, avrebbe dovuto dolersi della mancanza con il venditore, senza procedere, al fine di tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, all'effettuazione di un operazione di manutenzione in condizioni non sicure. Pare pertanto corretto determinare la percentuale di concorso nella causazione del sinistro nella misura del 50%. Alla luce delle considerazioni svolte la domanda attorea può essere accolta nel limite dell'importo di Euro 8.415,85 (pari al 50% della pretesa di Euro 16.831,69, come da documentazione prodotta sub n. (...)), di cui, attese la domanda di manleva formulata da parte convenuta nei confronti della terza chiamata in causa e l'assenza di contestazioni circa la copertura assicurativa, Euro 2.500,00 (scoperto di cui all'art. 6 pag. 19 della polizza in atti - doc. 9 di parte convenuta - risultando la responsabilità dedotta riconducibile al disposto dell'art. 1 pag. 18 "responsabilità civile prodotti", non anche alla diversa fattispecie di cui all'art. 2 pag. 10 del doc. 9, con conseguente inoperatività della franchigia ivi prevista) a carico della società convenuta ed il residuo importo di Euro 5.915,85 a carico di (...) Public Limited Company, oltre interessi legali dalla domanda (cfr. note scritte del 11.02.2022 di precisazione delle conclusioni) al saldo effettivo. Non merita infine accoglimento la pretesa attorea di risarcimento del maggior danno "da liquidarsi in via equitativa". Ed invero, secondo un consolidato orientamento interpretativo, la discrezionalità riconosciuta dagli artt. 1226 e 2056 c.c. non esime invero il danneggiato dall'onere di dimostrare non solo l'an debeatur, ma anche ogni elemento utile alla quantificazione del danno di cui possa ragionevolmente disporre, dovendosi, in caso contrario (carenza di allegazione e prova riscontrabile nella fattispecie in esame) rigettare la domanda. III. Con riguardo alle spese di lite, per ciò che concerne parte attrice e parte convenuta, attesa la soccombenza reciproca di tipo quantitativo, vi sono gli estremi per disporne la parziale compensazione nella misura del 50%, ponendo il residuo 50% a carico della parte terza chiamata in considerazione della domanda di manleva formulata da parte convenuta. Le spese sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, scaglione da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00, valori medi per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale, attese la complessità delle questioni trattate e l'attività processuale concretamente svolta; e così per complessivi Euro 2.417,50 (pari al 50% dell'importo di Euro 4.835,00), oltre ad accessori di legge ed esborsi documentati. Considerate le pretese formulate da parte convenuta nei confronti dell'assicurazione chiamata in causa e le difese di quest'ultima - in particolare, l'assenza di contestazioni circa la copertura assicurativa - vi sono gli estremi per disporre tra le parti l'integrale compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Condanna (...) S.R.L. a corrispondere a (...) S.R.L. l'importo di Euro 2.500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; - Condanna (...) PUBLIC LIMITED COMPANY a corrispondere a (...) S.R.L. l'importo di Euro 5.915,85, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; - Rigetta le ulteriori pretese; - Dispone la parziale compensazione delle spese di lite tra parte attrice e parte convenuta nella misura del 50%, ponendo il residuo 50%, attesa la domanda di manleva, a carico di (...) PUBLIC LIMITED COMPANY, con conseguente condanna di quest'ultima al versamento in favore di (...) S.R.L. dell'importo di Euro 132,00 per esborsi ed Euro 2.417,50 per compensi professionali, oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge. - Dispone l'integrale compensazione delle spese di lite tra (...) S.R.L. e (...) PUBLIC LIMITED COMPANY. Così deciso in Ivrea il 5 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 7 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA SEZIONE CIVILE - LAVORO nella persona del Giudice dott. Nicola Tritta ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 129/2021 promossa da: (...) (C.F./P.I. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Co., elettivamente domiciliato in Torino - corso (...), presso lo studio del difensore; RICORRENTE Contro (...) (C.F./P.I. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Al.An., elettivamente domiciliata in Torino, corso (...), presso il difensore; CONVENUTO Avente ad oggetto: pubblico impiego - sanzione disciplinare CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 12/02/2021 il dott. (...) ha impugnato la sanzione disciplinare inflittagli dall'(...) con delibera del collegio arbitrale del 27.11.2020 (doc. 14 di parte convenuta) consistente nella riduzione del 20% del trattamento economico per cinque mesi. La sanzione si fonda sulla contestazione disciplinare del 22.10.2020 (doc. 10 di parte convenuta) con la quale sono state addebitate: 1. la violazione delle prescrizioni aziendali e regionali in materia di prevenzione e gestione dell'emergenza sanitaria, per mancato rispetto del distanziamento tra i pazienti presso lo studio medico, per mancato uso delle mascherine e per avere invitato a recarsi presso lo studio medico pazienti in isolamento fiduciario in quanto positivi al Covid-19; 2. la violazione dei doveri minimi di diligenza, lealtà e buona condotta per effetto della diffusione sulla piattaforma digitale (...) di un video in cui il dott. (...) svolge apprezzamenti in merito all'interferenza del vaccino antinfluenzale sulla diffusione del Covid-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica nella composizione dei vaccini; detto video si porrebbe in contrasto con: - L'obbligo del medico di conformare la sua attività ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza, astenendosi da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui suoi assistiti che possano nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione, obbligo sancito dall'art. 3 D.P.R. n. 62 del 2013; - l'obbligo del medico di diligenza nell'espletamento dell'incarico con l'adozione di un comportamento organizzativo adeguato all'assolvimento dell'incarico (art. 13 D.P.R. n. 62 del 2013). Alla luce delle osservazioni svolte dal dott. (...) nel procedimento disciplinare, il collegio arbitrale ha fondato il provvedimento sanzionatorio esclusivamente sulla creazione del video indicato in contestazione, in cui vengono rilasciate dichiarazioni ritenute idonee, nel periodo di pandemia, a creare "disorientamento ed allarme sociale nella popolazione" e sull'omessa adozione di misure adeguate a tenere in sicurezza il video e a impedirne la diffusione. Il ricorrente contesta la legittimità della sanzione per i seguenti motivi: 1. genericità della contestazione; 2. omessa indicazione nel provvedimento che applica la sanzione delle norme violate; 3. modifica, nel provvedimento che applica la sanzione, della condotta contestata rispetto alla contestazione del 22.10.2020 (essendo inizialmente contestata la pubblicazione su (...) del video e poi l'omessa adozione di misure idonee ad impedirne la diffusione); 4. nullità della delibera che applica la sanzione per difetto di sottoscrizione; 5. insussistenza di alcun comportamento disciplinarmente rilevante; 6. difetto di proporzionalità della sanzione adottata rispetto alla condotta ascritta al dott. (...) 1. Premessa. Il potere sanzionatorio dell'(...) Sebbene la questione non sia controversa tra le parti, giova premettere che il ricorrente svolge la propria attività lavorativa di medico in convenzione con l'(...). In proposito si osserva che "i rapporti tra i medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, disciplinati dall'art. 48 L. 23 dicembre 1978, n. 833 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, sono rapporti di lavoro libero-professionali "parasubordinati", che si svolgono su un piano di parità, non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all'infuori di quello di sorveglianza" (cfr. Cass. S.U. nn. 20344 del 21.10.2005). La delibera di conferimento di incarico (doc. 1 bis di parte convenuta) richiama espressamente l'applicazione al rapporto in questione del regime normativo delineato dall'accordo collettivo nazionale (di séguito, ACN) per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell'art. 8 D.Lgs. n. 502 del 1992 (doc. 16 di parte convenuta), accordo che all'art. 30 istituisce il potere sanzionatorio dell'(...) in caso di inosservanza, da parte del medico convenzionato, degli obblighi previsti dall'accordo collettivo stesso e degli accordi regionali e aziendali. In merito all'art. 30 ACN si è affermato che detta disposizione "ha carattere sanzionatorio e si conforma nello svolgimento al procedimento disciplinare previsto per il rapporto di lavoro dipendente" nonostante la natura autonoma del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, atteso che detto rapporto ha sempre avuto natura privatistica e disciplina contrattuale (Cass. civ. sez. lav., 09/03/2022, n. 7672). La previsione del potere sanzionatorio si giustifica anche alla luce del vincolo fiduciario "sul quale - ancor più che nel rapporto di lavoro subordinato - riposa una relazione di collaborazione professionale" (app. Perugia, 17/08/2015, n. 107). 2. Sulla asserita genericità della contestazione disciplinare e sulla individuazione delle norme violate La contestazione disciplinare (doc. 10 di parte convenuta) contiene l'esposizione di due fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti: 1) l'omesso rispetto, presso lo studio medico del sig. (...), dell'obbligo di distanziamento sociale e di uso delle mascherine, nonché dell'obbligo di isolamento fiduciario di pazienti, invece invitati dal dott. (...) a recarsi presso lo studio; 2) la condivisione, da parte del dott. (...), sul sito (...) di un video in cui si fanno "apprezzamenti pesanti sull'interazione fra il vaccino antinfluenzale e la diffusione di virus COVID-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica negli stessi". Rispetto alle due condotte riportate, l'(...) afferma nella contestazione disciplinare la violazione, per il primo fatto, delle "specifiche disposizioni aziendali e regionali (tutte, come sempre, pubblicate sul portale regionale di Medicina Generale) in materia di prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica in corso e di campagna di vaccinazione antinfluenzale" e per il secondo fatto, dei "doveri minimi di diligenza, lealtà e buona condotta sanciti dal D.P.R. n. 62 del 2013 ... arrecando un pregiudizio, anche morale, all'(...)". Sempre con riferimento alla seconda condotta, è stata contestata la violazione dell'art. 3 che impone al pubblico dipendente l'obbligo di conformare la propria attività ai principi di buon andamento della PA, nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza, per non essersi astenuto da azioni arbitrarie che potessero avere effetti negativi sui suoi pazienti e che potessero nuocere agli interessi o all'immagine dell'(...); nonché dell'art. 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 che impone al dirigente pubblico il dovere di svolgere "con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico". Poiché il provvedimento sanzionatorio emesso all'esito del procedimento disciplinare ha fatto unicamente riferimento al secondo dei due fatti contestati, si omette ogni considerazione in merito alla dedotta genericità della contestazione concernente l'omesso rispetto delle disposizioni sul distanziamento sociale, sull'isolamento fiduciario e sull'obbligo di uso della mascherina presso lo studio medico del dott. (...). La condotta posta a fondamento della sanzione appare, invece, compiutamente individuata nella contestazione disciplinare, sia sotto il profilo fattuale (pubblicazione sul web di un video realizzata dal dott. D.), sia sotto il profilo delle disposizioni di legge violate. Appare di lineare evidenza che l'(...), con la contestazione disciplinare del 22.10.2020 abbia inteso rimproverare al dirigente medico la diffusione di un video idoneo a ingenerare pregiudizio in capo ai pazienti del dott. (...) e dell'(...) in generale, nonché un pregiudizio all'immagine dell'(...) stessa, in violazione delle disposizioni espressamente citate. La giurisprudenza di legittimità afferma che "l'esigenza di specificità della contestazione non è così rigida come nel processo penale ma si uniforma al principio di correttezza vigente nei rapporti contrattuali ed obbedisce all'interesse dell'incolpato ad esercitare il diritto di difesa (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27842). A tal fine è necessario che dal capo d'incolpazione risultino con certezza non soltanto il fatto addebitato ma, quando si tratta di norme di livello legislativo o regolamentare, e tanto più di norme di livello inferiore, è necessaria, se non l'indicazione precisa della norma violata, almeno una descrizione del fatto tanto precisa da risultarne chiara la sussumibilità sotto una regola determinata" (Cass. civ. sez. lav., 25/05/2015, n. 10727). Peraltro, nel caso di specie, le disposizioni ritenute violate sono espressamente individuate negli artt. 3 e 13 D.P.R. n. 62 del 2013 il quale, in forza dell'art. 2 co. 3 del d.P.R. stesso e dell'art. 2 co. 3 del codice di comportamento dell'(...) (doc. 2 bis di parte ricorrente), deve ritenersi vigente anche per il medico convenzionato. Il fatto che gli artt. 3 e 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 contemplino obblighi formulati mediante clausole generali non rende di per sé "arbitrario" l'esercizio del potere disciplinare, laddove, come nel caso di specie, la deduzione della violazione si accompagni alla dettagliata descrizione del fatto, che secondo la tesi di chi irroga la sanzione, risulti integrare la violazione in parola ed essendo in caso di contestazione rimessa al giudice la valutazione circa corretta sussunzione del fatto alla previsione sanzionatoria di carattere generale (Cass. civ., sez. VI, ord. 27/05/2021, n. 14777, con riferimento finanche alla sanzione espulsiva). Le doglianze circa l'omessa indicazione delle norme violate e circa la genericità della contestazione devono essere pertanto dichiarate infondate. 3. Sulla modifica della contestazione in sede di irrogazione della sanzione Parte ricorrente deduce la violazione del principio di immutabilità della contestazione atteso che nella lettera del 22.10.2020 il dott. (...) viene incolpato di avere "postato" un video in cui si fanno "apprezzamenti pesanti" sull'interazione fra il vaccino antinfluenzale e la diffusione del virus COVID-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica negli stessi, mentre nel provvedimento disciplinare l'addebito viene limitato alla sola imprudente registrazione del video contenente dichiarazioni idonee a generare allarme sociale e alla omessa adozione di idonee misure per tenere in sicurezza il video ed impedirne la diffusione. La doglianza non coglie nel segno. Rappresenta orientamento giurisprudenziale pacifico quello secondo cui "non può certo ritenersi violato il principio dell'immutabilità della contestazione quando, come nella specie, il fatto contestato resta invariato e mutano solo l'apprezzamento e la valutazione che dello stesso fatto vengono dati, richiamandosi gli ulteriori esiti istruttori solo per meglio circoscrivere l'addebito, che resta ontologicamente identico. Questa Corte ha, del resto, già affermato che la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere ravvisata in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui tale divergenza comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore, per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa (v. Cass. 12 marzo 2010, n. 6091)" (Cass. civ. sez. lav., 09/05/2018, n.11159). È stato recentemente ribadito che, in tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito (Cassazione civile sez. lav., 15/06/2020, n.11540). Nel caso di specie, sotto il profilo fattuale, tra contestazione disciplinare e provvedimento applicativo della sanzione vi è una riduzione delle condotte ascritte al dott. (...): nella contestazione si rimprovera al dott. (...) di avere condiviso un video, dando per implicito che il video condiviso sia stato dallo stesso realizzato. Nel provvedimento sanzionatorio, si rimprovera, sempre sotto il profilo fattuale, la sola realizzazione del video e la sua condivisione, condotta dunque già ricompresa in quella riportata nella contestazione. Sotto il profilo giuridico, tra contestazione e sanzione si assiste ad una "derubricazione" del fatto addebitato al dott. (...), da diffusione intenzionale del video su (...) a intenzionale registrazione del video e omessa adozione delle misure idonee ad evitare la diffusione del video. Il fatto contestato è il medesimo: la realizzazione e la diffusione del video. Ciò che muta è l'elemento soggettivo attribuito al ricorrente e la condotta (per omissione, anziché mediante un comportamento attivo). Non solo tale modifica non altera il fatto addebitato e il suo disvalore (restando ferma la conseguenza del comportamento commissivo o omissivo), ma non ha comportato alcuna lesione del diritto di difesa: al contrario, l'incolpazione per una condotta connotata da un differente elemento soggettivo del ricorrente è proprio conseguenza dell'esercizio da parte del dott. (...) del proprio diritto di difesa nel corso della procedura disciplinare. Per le ragioni sopra esposte non si ravvisa la violazione dedotta del principio di immutabilità della contestazione disciplinare. 4. Sull'asserita illegittimità della delibera che irroga la sanzione per assenza di sottoscrizione Il motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità del provvedimento sanzionatorio per difetto di sottoscrizione è infondato. Emerge documentalmente (doc. 15 di parte convenuta) che il provvedimento risulta sottoscritto digitalmente ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2015 nonché pubblicato sul sito dell'(...), circostanza non contestata dalla parte ricorrente. Peraltro, si osserva che ai sensi dell'art. 55 bis co. 9 ter D.Lgs. n. 165 del 2001 "La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare ne' l'invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell'azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività". Anche tale motivo di ricorso, pertanto, non può trovare accoglimento. 5. Sulla dedotta insussistenza di una condotta disciplinarmente rilevante La questione giuridica che il caso in esame pone è se sia disciplinarmente rilevante la condotta del medico convenzionato con l'(...) che, in stato di pandemia registri un video destinato ai colleghi ma del quale auspica la diffusione, esponendo tesi sulla pandemia in corso da Covid 19 prive di riscontro empirico e non rispettose di alcun metodo scientifico, che siano idonee a ingenerare un pregiudizio per l'incolumità pubblica e un danno all'immagine dell'(...) presso la quale il medico opera in regime di convenzione. La questione così come prospettata dà per accertato un fatto (il coinvolgimento per via legislativa e regolamentare dei medici di base nell'attuazione del programma terapeutico nazionale di contrasto alla pandemia) e per assunti due giudizi, l'assenza di metodo scientifico nel riferire le tesi riportate e l'idoneità di tale condotta a ledere l'immagine dell'(...) e la salute pubblica, giudizi dei quali viene di seguito fornita una giustificazione. 5.1 In ordine al coinvolgimento dei medici di base nel piano di contrasto alla pandemia, si osserva che la circostanza, oltre a non essere contestata dal dott. (...) (si v. punto 1.2 della memoria di costituzione), è confermata dall'ampio ricorso fatto in sede normativa (primaria e secondaria, a partire dall'ordinanza contingibile e urgente n. 1 del Ministero della salute d'intesa con il Presidente della Regione Piemonte del 23.2.2020) non solo alle (...) (per il monitoraggio dei contagi) ma anche ai medici "di base" quali attori essenziali, all'epoca dei fatti, per la prescrizione dei tamponi (strumento indispensabile per il contenimento del contagio) e per la somministrazione delle cure, ove possibile, ai pazienti in isolamento domiciliare. I fatti si collocano temporalmente in epoca prossima all'avvio della campagna vaccinale contro il covid-19. Dall'istruttoria è altresì emerso che l'attuazione delle prescrizioni in materia di monitoraggio e contenimento della pandemia è stata programmata e gestita dalle (...) e dai medici di base, tramite le strutture di équipe. Sul punto si vedano le dichiarazioni: della teste (...), dirigente medico - direttore del distretto dell'(...), rese all'udienza del 25.1.2022: "da prassi e da organizzazione dell'(...) (vengono riconosciuti dei rimborsi al referente) vengono organizzate riunioni mensili; le riunioni sono gestite dal singolo gruppo; ogni mese i referenti individuano una sede e organizzazione queste riunioni con i medici delle rispettive équipe; a riunirsi sono i referenti dell'équipe che fanno il calendario degli incontri con i medici dei rispettivi gruppi; questi incontri servono per riportare ai vari medici le indicazioni date a livello aziendale, sanitario, vengono dati gli obiettivi, vengono riportate le modifiche terapeutiche; i medici si confrontano anche sui loro dubbi; questi referenti poi incontrano noi della direzione con l'ufficio di coordinamento, sempre una volta al mese; mi risulta che tranne nel mese di agosto i referenti abbiano fatto degli incontri mensilmente e hanno verbalizzato quanto detto, come fanno di norma, poi sottoscritto dai presenti; in queste riunioni si è certamente discusso delle campagne vaccinali; i verbali delle riunioni di équipe vengono archiviati nella segreteria del distretto, a C. in via M. n. 13, qualora vengano consegnati, perché non sempre vengono consegnati tutti; la direzione ha interloquito sul tema delle vaccinazioni e sull'emergenza sia con i referenti nelle riunioni mensili, sia con i singoli medici attraverso le comunicazioni email o attraverso un portale"); e della teste (...), medico di medicina generale convenzionata presso l'(...), rese all'udienza del 10.2.2022: "l'équipe ha un capo che è uno di noi, che abbiamo scelto noi; il capo ogni mese si riunisce con tutti i capi équipe insieme al capo di distretto, al servizio farmaceutico, e poi ci riporta quello che stato detto nella loro riunione (riunione UCAD); dall'inizio della pandemia noi non sapevamo come comportarci con la popolazione; all'inizio abbiamo continuato a vedere i pazienti fino ai primi di marzo; con i pazienti parlavo poi solo tramite telefono; dall'inizio della pandemia io e i colleghi ci siamo sentiti continuamente, via telefono, con la chat whatsapp di équipe". Alla luce delle considerazioni sopra esposte deve ritenersi che a partire dal mese di febbraio 2020 le (...), insieme ai medici di base, hanno istituzionalmente svolto un ruolo essenziale per il rilevamento, contenimento, cura e monitoraggio dell'infezione da COVID-19. 5.2 Nel percorso argomentativo volto a verificare la rispondenza della condotta del dott. (...) all'esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, si farà riferimento alla recente sentenza Cass. civ. sez. lav., 31/05/2022, n. 17689 che, per chiarezza e completezza espositiva verrà assunta, mutatis mutandis, come traccia del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in esame nelle previsioni sanzionatorie applicata dall'(...). A fondamento della sanzione è stata posta la violazione dell'art. 3 del D.P.R. n. 62 del 2013, che impone al pubblico dipendente (per l'applicabilità anche al medico convenzionato si veda quanto sopra argomentato) l'obbligo di conformare la propria attività ai principi di buon andamento della PA, nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza. In particolare, è stato addebitato al dott. (...) di non essersi astenuto da azioni arbitrarie che potessero avere effetti negativi sui suoi pazienti e che potessero nuocere agli interessi o all'immagine dell'(...). É stata altresì contestata la violazione dell'art. 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 che impone al dirigente pubblico il dovere di svolgere "con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico". Tutto ciò premesso, occorre valutare: a) se il dott. (...) possa rivendicare, nel caso di specie, per affermare l'illegittimità della sanzione ricevuta, l'esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, diritto tutelato non solo dall'art. 21 della Costituzione, ma anche dall'art. 10 CEDU; b) se i doveri previsti dal ACN, dal codice di comportamento aziendale, dal codice civile in materia di esecuzione del contratto, possano limitare tale diritto; c) se nel caso di specie, il diritto di manifestazione del pensiero in termini di dissenso rispetto alle politiche di contrasto della pandemia sia stato esercitato in concreto nel rispetto degli obblighi previsti dagli artt. 3 e 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 e, più in generale, se vi sia stato un corretto contemperamento del diritto costituzionale del dott. (...) di esprimere il proprio pensiero, con altri diritti di rango costituzionale. Nel video oggetto di sanzione il dott. (...) esercita una critica al piano terapeutico imposto dalla normativa nazionale, recepito dall'(...) e imposto ai medici del distretto, ai suoi presupposti (pseudo-pandemia) e ai mezzi impiegati (tamponi e vaccini). É pacifica nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui il diritto di cui all'art. 21 Cost. deve essere contemperato "con altri diritti concernenti beni di pari rilevanza costituzionale, tra i quali, in particolare, i diritti della personalità all'onore ed alla reputazione, stabilendo che: "Il comportamento del lavoratore, consistente nella divulgazione di fatti ed accuse, ancorché vere, obiettivamente idonee a ledere l'onore o la reputazione del datore di lavoro, esorbita dal legittimo esercizio del diritto di critica, quale espressione del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, e può configurare un fatto illecito, e quindi anche consentire il recesso del datore di lavoro ove l'illecito stesso risulti incompatibile con l'elemento fiduciario necessario per la prosecuzione del rapporto, qualora si traduca in una condotta che sia imputabile al suo autore a titolo di dolo o di colpa, e che non trovi, per modalità ed ambito delle notizie fornite e dei giudizi formulati, adeguata e proporzionale giustificazione nell'esigenza di tutelare interessi di rilevanza giuridica almeno pari al bene oggetto dell'indicata lesione" (Cass. n. 1173/1986). Ancora di recente si è affermato (Cass. n. 5523 del 2016) e ribadito (Cass. n. 14527 e 18176 del 2018) che l'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, sebbene sia garantito dall'art. 21 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana, sicché, ove tali limiti siano superati, con l'attribuzione all'impresa datoriale od ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, così come l'attribuzione di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione. Ad avviso di chi scrive, gli artt. 3 e 13 D.P.R. n. 62 del 2013, nell'imporre (anche) al medico di base l'obbligo di conformare la propria condotta ai principi di: - buon andamento dell'azione amministrativa - rispetto della legge, - correttezza, obiettività e ragionevolezza - diligenza nello svolgimento delle funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, perseguendo gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato all'assolvimento dell'incarico, individuano interessi di rango costituzionale rispetto ai quali deve conformarsi il diritto individuale del medico di base di manifestazione del pensiero. In particolare, il richiamo al buon andamento dell'amministrazione rimanda all'art. 97 Cost., mentre il complesso degli obblighi di diligenza e conformazione dell'attività al perseguimento degli obiettivi assegnati mira a tutelare il diritto alla salute, nella sua declinazione dell'interesse della collettività, ai sensi dell'art. 32 Cost. Il buon andamento dell'amministrazione e la salvaguardia del diritto alla salute della collettività si aggiungono ai diritti all'onore e alla reputazione tra gli interessi di rango costituzionale ai quali deve conformarsi il diritto del lavoratore (nel caso di specie, del medico di base) di manifestare liberamente il proprio pensiero. Occorre evidenziare che l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, al secondo paragrafo, precisa che l'esercizio della libertà di espressione, "poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario". La Corte europea dei diritti dell'uomo (sez. II 9.7.2013, c. D.G. contro Italia), pronunciandosi in materia di limitazione della libertà di espressione dei magistrati italiani, ha evidenziato che l'art. 10 CEDU persegue il fine di garantire "un giusto equilibrio tra il diritto fondamentale dell'individuo alla libertà di espressione e l'interesse legittimo di uno Stato democratico a vigilare affinché la sua funzione pubblica operi per le finalità enunciate all'articolo 10 2". Tale equilibrio, considerato che il potere disciplinare per il medico convenzionato è previsto dalla legge (art. 48 co. 3, n. 8) L. n. 833 del 1978) può ravvisarsi, secondo il giudizio di chi scrive, applicando al medico di base i limiti ricavati dalla giurisprudenza al diritto di critica (quale forma del più ampio diritto di manifestazione del pensiero) del lavoratore, tenendo però conto delle peculiarità legate alla particolare natura dell'attività prestata dal medico di base e alla finalità perseguita. La giurisprudenza ha specificato i limiti di continenza formale e sostanziale del legittimo esercizio del diritto di critica, legati rispettivamente alla rilevanza costituzionale dei beni che si intende tutelare attraverso la critica e alla veridicità dei fatti e alla correttezza del linguaggio adoperato (v. Cass. n. 21362/2013; n. 29008/2008; n. 23798/2007; n. 11220/2004; più recentemente, Cass. n. 5523/2016; n. 19092/2018; n. 14527/2018; n. 18176/2018). In particolare, si afferma che il diritto di critica del lavoratore rispetto al datore di lavoro trova i seguenti limiti: 1. continenza in senso sostanziale; 2. continenza in senso formale; 3. pertinenza, intesa come rispondenza della critica ad un interesse meritevole in confronto con il bene suscettibile di lesione (cfr. Cass. n. 1173 del 1986). Ad avviso di questo Tribunale, i principi giurisprudenziali sopra richiamati e riferiti al lavoratore che critichi il datore di lavoro, possono essere riadattati alla fattispecie in esame, con le opportune precisazioni. In particolare, nel caso di specie, le critiche non si appuntano al datore di lavoro, essendo il medico di base un lavoratore autonomo, bensì al piano di contrasto alla pandemia predisposto dalle autorità nazionali del quale il medico di base, per legge è chiamato a dare attuazione (in prima linea); tale circostanza, tuttavia, non pare mutare i termini del ragionamento, essendo il medico di base soggetto all'obbligo di conformare il proprio operato nell'esercizio della sua attività ad obblighi di legge e contrattuali esattamente come il lavoratore dipendente è limitato, nel proprio comportamento, da obblighi di legge (artt. 2104 e 2105 c.c.) e contrattuali. Inoltre, nel caso in esame la critica non si fonda solo su fatti che possono affermarsi come accaduti o non accaduti, ma anche su ipotesi asseritamente scientifiche, sicché il diritto di manifestazione del pensiero del dott. (...) andrà valutato anche alla luce del principio di libertà della ricerca scientifica (sancita dall'art. 33 Cost., che fa da contraltare all'affermazione del ruolo promotore della Repubblica della ricerca scientifica, art. 9 Cost.); L'affermazione di un medico, che si rivolge, indossando un camice medico e parlando dal proprio studio, ad una pluralità indeterminata (come si vedrà in séguito) di persone qualificandosi come "medico di famiglia con attività anche in ambiente ospedaliero" (sec. 7 e s.s. del video in atti) di contenuto scientifico circa la sussistenza o meno di una pandemia in corso, sulle sue cause, sulla efficacia dei mezzi sinora adottati per contrastarla e di quelli che verranno a breve messi in campo, non è l'opinione del quisque de populo, ma rappresenta, in ragione della formazione scientifica posseduta, del ruolo ricoperto (di soggetto preposto alla cura della salute dei suoi pazienti) e dei destinatari cui il messaggio sarebbe rivolto (una indeterminata platea di medici), tesi in materia medica, idonea ad essere posta dalla pluralità dei suoi pazienti destinatari a fondamento di scelte idonee ad incidere sul proprio diritto alla vita e alla salute. Quest'ultima peculiarità (concernente il contenuto asseritamente scientifico delle dichiarazioni) si riverbera sul primo limite al diritto di critica del lavoratore subordinato, individuato dalla giurisprudenza di legittimità nella verità sostanziale del fatto oggetto di critica, che andrà quindi diversamente declinato nel caso di specie. Sul punto, si osserva che ove la critica del lavoratore dipendente si sostanzi nell'attribuzione di condotte che si assumono come storicamente verificatesi, in ragione del canone della continenza sostanziale, tali fatti narrati devono corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma corrispondente ad un prudente apprezzamento soggettivo di chi dichiara gli stessi come veri (Cass. civ. sez. lav., 18/07/2018, n.19092), per cui viene in rilievo l'atteggiamento anche colposo del lavoratore. L'osservanza di tale canone attenua la sua cogenza nel caso in cui la critica si sostanzi propriamente in una espressione di opinione, che per la sua natura meramente soggettiva ha carattere congetturale e non si presta ad una valutazione in termini di alternativa vero/falso: mentre l'esistenza di un fatto può essere oggetto di prova, l'espressione di una opinione non può esserlo perché non si può dimostrare la verità di un giudizio che implichi opzioni di valore. Orbene, il dissenso del dott. (...) rispetto al piano di contrasto alla pandemia si è esplicitato, in parte con l'affermazione di fatti (dei quali può valutarsi l'alternativa vero/falso), quali: - l'insussistenza dei numeri (sui contagi da Covid 19) necessari per qualificare quella in corso in termini di pandemia (min. 3,44 del video in atti "questa pseudo pandemia, perché non ci sono i numeri per chiamarla pandemia... questa pandemia, chiamiamola pandemia, pseudo-pandemia pilotata pianificata ha fatto meno di 400.000 morti"); - l'erroneità degli esiti dei tamponi (min. 4,25 "oltre l'80% dei tamponi danno risultati falsamente positivi e nel 15% dei casi risultati falsamente negativi"); in parte con l'affermazione di tesi quali: - quella secondo cui il coronavirus sarebbe attivato dal vaccino contro l'influenza (sec. 40 del video in atti: "si sa con certezza da un sito del P. che il coronavirus subisce un'attivazione per azione del vaccino antinfluenzale"); - quella secondo cui "i morti di Bergamo dell'anno scorso erano stati tutti vaccinati con il vaccino per l'influenza..." (sec. 51 del video in atti), affermazione sulla base della quale il dott. (...) ricava per ragionamento induttivo che in tutti i soggetti deceduti nella città di Bergamo ad inizio Pandemia, il coronavirus sia stato attivato dal vaccino antinfluenzale; - il vaccino in corso di sperimentazione renderebbe i pazienti "organismi transgenici" e provocherebbe "terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati" (min. 2,08 "non si tratta in questo caso di un vaccino, per quanto riguarda il COVID, di un vaccino a virus attenuato come per l'influenza, ma di frammenti di RNA che vanno a combinarsi con il nostro DNA trasformandoci in organismi transgenici e provocando delle terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati"); infine, in parte con opinioni di contenuto "politico", nella parte in cui la pandemia o la "pseudo pandemia" sarebbe "pilotata, pianificata" (min. 3,44 del video in atti) ed in parte di contenuto "scientifico" nella parte in cui, dopo avere evidenziato che un tale dott. Montanari avrebbe trovato nel vaccino antimeningococcico del DNA di feti abortiti si afferma: "se noi dovessimo trovare nel prossimo vaccino antinfluenzale di queste impurezze, è chiaro che ci renderemmo responsabili di un crimine, di un atto lesivo nei confronti dei nostri pazienti e quindi saremmo anche punibili chiaramente penalmente" (min. 2,38 della registrazione). Di opinione, anche se a contenuto scientifico, si tratta, poiché tra il rilievo di "impurità" nel vaccino antimeningococco e della possibilità di rinvenire identiche "impurità" nel vaccino anti Covid-19 il dott. (...) non fornisce alcuna relazione scientifica. Quanto al profilo della continenza sostanziale, si ritiene che la qualità personale del dichiarante, spesa in premessa alla dichiarazione ed il ruolo rivestito nell'ambito del sistema sanitario nazionale, inducono a ritenere sussistente un dovere di estremo rigore nell'esame delle fonti poste a fondamento delle proprie dichiarazioni, nella loro selezione in ragione della attendibilità e verificabilità della loro provenienza, nella fedeltà della loro esposizione e nella commistione tra tesi asseritamente scientifiche e opinioni. Se è vero che nel caso di specie il diritto di manifestazione del pensiero del dott. (...) va ad intersecare il diritto di libertà della ricerca scientifica, deve ritenersi altrettanto vero, allora che la continenza sostanziale andrà valutata sulla base delle rigorose regole del metodo scientifico, che impongono la verifica delle fonti e fedeltà nella esposizione delle fonti (verificate) e citate nella loro pluralità. Non pare ultroneo, anche al fine di non dovere scomodare nozioni di metodo scientifico offerte dall'epistemologia, riferire al medico che esercita attività di divulgazione di tesi di contenuto scientifico, il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia del diritto di cronaca, secondo cui l'articolista è tenuto ad "effettuare un controllo della fonte, giacché l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca implica la verità anche solo "putativa" della notizia, "ma purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca" del giornalista (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 25 agosto 2014, n. 18174, Rv. 633036-01; Cass. Sez. 3, sent. 4 settembre 2012, n. 14822, Rv. 623667-01), oppure - potendo il "dovere di verifica" essere "tanto meno accurato, quanto più autorevole sia la fonte dell'informazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 ottobre 2019, n. 27592, Rv. 655572-01) assicurare la "fedeltà della pubblicazione rispetto al contenuto" della fonte" (Cass. civile sez. III, 20/04/2021, n.10347). Esaminando il rispetto o meno, da parte del dott. (...) del dovere di continenza sostanziale, non pare potersi negare, ad oggi, in fatto che il numero di contagi da Covid 19 sia tale da poter parlare di pandemia, che l'uso dei tamponi sia stato strumento indispensabile per l'individuazione della malattia e per il contenimento dei contagi, né parte ricorrente si è offerta di provare in giudizio il contrario. Con riferimento al tema dell'interferenza, si osserva che per indicazione del Ministero della Salute risulta addirittura possibile procedere alla somministrazione contestuale del vaccino antinfluenzale e del vaccino anti Covid-19, il che consentirebbe di escludere la fondatezza della tesi propalata dal dott. (...) nel video oggetto di sanzione. Tuttavia, anche a voler valorizzare il diritto, nel dibattito scientifico, di sostenere tesi minoritarie, si ritiene del tutto violato il dovere di continenza formale sul tema dell'interferenza, osservandosi come, sotto il profilo epistemologico, discorrendo di scienza, l'aspetto sostanziale e quello formale diventino tutt'uno, laddove si dia per assunto che una tesi assume dignità scientifica (al di là della sua fondatezza o meno, ovvero al di là della resistenza ai tentativi di falsificazione) qualora rispetti nella sua esposizione un rigido metodo scientifico che ne consenta, per l'appunto, la sottoposizione a falsificazione. Ora, tralasciando il fatto che lo studio del dipartimento della difesa americana invocato dal dott. (...) (doc. 1 di parte ricorrente) e dai professionisti dallo stesso citati (doc. 2 di parte ricorrente) parrebbe concludere affermando che "i risultati complessivi dello studio non hanno mostrato prove a sostegno dell'associazione tra interferenza virale e vaccinazione antinfluenzale. L'esame delle interferenze da parte di specifici virus respiratori ha mostrato risultati contrastanti e alcune interferenze del virus confutate. Inoltre, coloro che ricevevano il vaccino antinfluenzale avevano maggiori probabilità di non avere contratto alcun patogeno e di ridurre il rischio di influenza rispetto agli individui non vaccinati. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l'interferenza virale e convalidare o confutare la validità della teoria dell'interferenza virale", e che quindi la tesi espressa parrebbe contraddetta dall'esame della stessa fonte citata, in ogni caso appare gravemente violato l'obbligo di continenza formale. Da un lato, la trattazione, in veste di medico, di tesi scientifiche imponeva al dott. (...) il ricorso a tutti i crismi del metodo scientifico, che richiede la precisa segnalazione della fonte citata, della verifica che trattasi di pubblicazione scientifica, della corretta esposizione dell'evidenza riscontrata in sede empirica dell'ipotesi scientifica formulata, la corretta esposizione dei risultati conseguiti dall'autore citato, l'esposizione (e possibilmente la confutazione) delle tesi scientifiche opposte certamente esistenti nella letteratura. Dall'altro, la situazione contingente, che vedeva il dott. (...) chiamato in prima persona a somministrare il vaccino antinfluenzale e, di lì a qualche settimana, il vaccino anti Covid19, imponeva allo stesso ulteriore rigore nell'esprimere tesi contrarie a quelle poste a fondamento del piano terapeutico non solo dall'(...) di appartenenza, ma da tutte le autorità nazionali e sovranazionali. Ciò non si è verificato nel caso di specie: quella che nello studio americano citato veniva riportata come un'ipotesi di studio, conclusasi, all'esito di una sperimentazione, senza l'effettivo riscontro della fondatezza della tesi formulata e con l'indicazione della necessità di ulteriori approfonditi studi sul punto è stata riferita dal dott. (...) come una tesi pienamente validata ("si sa con certezza da un sito del P. che il coronavirus subisce un'attivazione per azione del vaccino antinfluenzale"). Sul punto appaiono particolarmente pregnanti le dichiarazioni rese dalla teste (...) all'udienza del 10.2.2022: "ho visto l'articolo di cui aveva parlato il dott. (...) in un filmato messo su (...); io ho trovato l'articolo, ma era vecchio e non era riferito alla pandemia, non ricordo chi fosse l'autore né l'editore; era sicuramente un articolo scientifico, ma cose vecchie, che avevo studiato all'università; il problema dell'interferenza nelle malattie virali c'è sempre stato; dipende dallo stato immunitario del paziente, ma è raro". Con riferimento all'affermazione contenuta nel video "i morti di Bergamo dell'anno scorso erano stati tutti vaccinati con il vaccino per l'influenza..." (sec. 51 del video in atti) si rimanda allo stesso doc. 2 prodotto dal ricorrente. L'intervista al dott. T. (del quale parte ricorrente nemmeno si premura di fornire indicazioni in merito alla formazione scientifica) riporta l'affermazione "nelle province di Bergamo e Brescia, duramente provate dalla "covid-19" ... si sente parlare delle vaccinazioni di massa che potrebbero aver avuto un ruolo nell'incidenza di ricoveri e decessi. Non abbiamo dati certi per smentire o accreditare questa tesi: il numero di morti è stato altissimo e non abbiamo capito perché". Anche in questo caso l'affermazione appare gravemente lacunosa nel riportare una tesi, quella della correlazione tra somministrazione del vaccino antinfluenzale e il numero dei decessi verificatisi nei primi giorni della pandemia, come certa, nonostante la fonte citata abbia precisato che di tale correlazione non vi sia alcuna prova. Del tutto indimostrata, e priva di riferimenti scientifici appare l'affermazione secondo cui il vaccino (all'epoca) in corso di sperimentazione provocherebbe "terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati". Rispetto a tale affermazione e rispetto ad un rischio di contaminazione del vaccino di prossima autorizzazione (all'epoca della contestazione disciplinare) con cellule di feti abortiti, tesi poi smentite con l'approvazione dei vaccini da parte dell'EMA e dell'AIFA, questo Tribunale esclude di potere seriamente prendere a riferimento le dichiarazioni estrapolate da internet, in assenza di alcun riferimento in merito all'attendibilità delle fonti, agli studi compiuti dagli autori citati per addivenire a siffatte conclusioni (blog o interviste su siti non accademici, doc. 3 di parte ricorrente; l'intervista alla dott.ssa B. risulta peraltro parzialmente tagliata, rendendo impossibile l'integrale lettura). L'affermazione, poi, da parte di un medico deputato alla cura nell'ambito dei piani di cura nazionale e regionale, della natura "pilotata" e "pianificata" della pandemia appare di particolare gravità, non trovando tali affermazioni riscontro alcuno nella documentazione versata in atti. Più in generale, la gravità della condotta del dott. (...) deve essere ravvisata nella dolosa o gravemente colposa (non rileva) selezione (secondo il procedimento indicato dagli studiosi come "cherry-piking") e distorsione delle fonti citate, nel richiamo a fonti prive di connotati scientifici, nell'accostamento tra rilevamento di impurità in precedenti vaccini e la possibilità di rilevare le medesime impurità nel vaccino all'epoca in fase di sperimentazione, senza specificare le ragioni di tale accostamento, nell'accusa di pianificazione della pandemia (senza indicare da parte di chi), circostanze tutte queste che rendono plasticamente l'assenza di qualunque continenza sostanziale e formale delle dichiarazioni rese. Tutto ciò premesso in ordine all'impossibilità di ricondurre le dichiarazioni rese dal dott. (...) al diritto di manifestazione del pensiero, per difetto di contemperamento con interessi di rango costituzionale contrapposti, occorre infine valutare se la condotta del dott. (...), nella sua componente commissiva (registrazione del video asseritamente destinata alla diffusione tra medici) e nella sua componente omissiva (con riferimento alle cautele non adottate per impedire la diffusione virale del video) integri le fattispecie del codice disciplinare poste dall'(...) a fondamento della sanzione impugnata. Spostando l'attenzione dal significato delle dichiarazioni rese al significante, occorre valutare se lo strumento impiegato dal dott. (...) per veicolare il proprio messaggio sia lesivo dei principi di buon andamento della PA, di correttezza, obiettività e ragionevolezza tutelati dall'art. 3 D.P.R. n. 62 del 2013. Ad avviso di chi scrive, il mezzo stesso impiegato dal dott. (...) si pone in violazione di quell'obbligo di continenza formale di cui sopra si è detto. Se il dott. (...) avesse voluto esprimere una tesi scientifica ai propri colleghi (pag. 3 del ricorso introduttivo), avrebbe potuto impiegare altre forme, quali ad esempio, un saggio o un articolo scientifico, che peraltro gli avrebbero consentito un maggiore spazio di approfondimento sulle fonti citate, sull'esito delle sperimentazioni richiamate, tenuto conto del livello di conoscenza dei presunti interlocutori. Non appare pertanto in alcun modo rimproverabile la condotta dell'(...) che, per effetto della consultazione dei responsabili di équipe, si sia rifiutata di interloquire in termini scientifici rispetto a tesi la cui esposizione aveva ben poco di scientifico e dunque la condotta del dott. (...) non può ritenersi in alcun modo giustificata, invocando il rifiuto dell'(...) di prendere in considerazione le proprie dichiarazioni. Appare poi condivisibile il giudizio compiuto dall'(...) circa la gravità del comportamento del dott. (...) per avere veicolato le proprie tesi tramite un video destinato sì ai propri colleghi (min. 2,38 "volevo proporre a voi colleghi l'analisi di alcuni campioni di questi vaccini che arriveranno"), ma certamente suscettibile di ulteriore condivisione presso la pluralità degli utenti del servizio sanitario nazionale, come poi in effetti è stato (è lo stesso dott. (...), al min. 3:28 della registrazione, a chiedere a tutti "di diffondere questo video"; la presentazione iniziale "mi chiamo (...), sono un ex ufficiale medico dell'aeronautica e attualmente sono un medico di famiglia con attività anche nell'ambiente ospedaliero" e la frase conclusiva "ci risentiremo in seguito, perché questo sarà il primo di una serie di video che io continuerò a fare" appaiono denotare la volontà del dichiarante di raggiungere una platea di uditori ben maggiore rispetto a quella rappresentata da soli medici). Si osserva, peraltro, che sui destinatari del video vi è stata una rappresentazione quantomeno "fumosa": nella lettera di giustificazioni alla contestazione disciplinare il dott. (...) riferisce di avere inviato il video "ai colleghi medici" (doc. 8); nella denuncia del 12.10.2020 il dott. (...) dichiara " preciso di avere inviato il video tramite messaggio whatsapp ad alcuni miei amici" (doc. 6); al cap. 11 del ricorso, il dott. (...) dichiara di avere inviato il messaggio tramite whatsapp "ad un gruppo chiuso di amici, perché lo inoltrassero a medici del territorio di loro conoscenza". La mancata precisazione e documentazione in giudizio dei destinatari del video denota una grave colpa del dott. (...): l'impossibilità da parte del dott. (...) di ricostruire la catena degli invii e, vieppiù, l'invito a diffondere il video stesso, confermano la grave negligenza contestata dall'(...) e giustificano l'applicazione della sanzione oggetto di impugnazione. 5.3 Infine, venendo alla proporzionalità della sanzione, giova evidenziare che nell'elenco delle sanzioni contenuto dall'art. 30, quella inflitta al dott. (...) (art. 30 co. 7 lett. a), è la più grave, prima della revoca del rapporto (esclusa l'ipotesi di recidiva che non ricorre nel caso di specie). La sanzione appare proporzionata, tenendo conto della posizione ricoperta del dott. (...), dal momento storico in cui la condotta è stata tenuta, dalla situazione soggettiva (di colpa grave) del ricorrente, dell'intenzione manifestata nello stesso video di voler reiterare la condotta oggetto di sanzione, dagli interessi tutelati dalle norme violate (buon andamento dell'amministrazione pubblica al fine di tutelare la salute degli utenti del SSN) e dal danno che la condotta del ricorrente ha causato all'immagine dell'(...) (Cass. civile sez. lav., 14/09/2007, n. 19232) e che può avere causato alla salute degli utenti del servizio sanitario nazionale. Deve infatti ritenersi che la condotta posta in essere dal dott. (...) abbia ingenerato "disorientamento e allarme sociale" avendo egli registrato un video, del quale lo stesso chiedeva ai colleghi di dare diffusione, prospettando tesi fondate su una lettura distorta delle fonti citate o che facevano riferimento a fonti non meglio precisate, presentate come incontrovertibili ed avendo egli negato la gravità della situazione pandemica ("pseudo-pandemia"). In sede di discussione la difesa di parte ricorrente ha evidenziato che con tale termine il ricorrente avrebbe negato solo la pandemia, ma non l'epidemia. È tuttavia notorio che l'OMS ha dichiarato la sussistenza della pandemia sin dal mese di marzo 2020. Particolarmente grave, sotto il profilo dell'allarme sociale, appare poi la messa in discussione, della attendibilità dei tamponi Covid con percentuali prive di riferimento scientifico, in un momento in cui ancora non era stata autorizzata la somministrazione dei vaccini covid e in cui il test per la rilevazione del virus risultava strumento accessibile ad un ampio numero di persone e pertanto idoneo a consentire il contenimento del contagio. L'aver destato tale allarme sociale, seppure solo colposamente, ha inciso certamente sull'immagine dell'(...), non solo perché non risponde al vero il fatto che non vi sia stata interlocuzione tra i medici sulle questioni poste dal dott. (...) (si vedano il doc. 3 di parte convenuta e le deposizioni dei testi escussi), ma anche perché quest'ultimo ha espresso posizioni difformi da quelle adottate da enti nazionali e sovranazionali, recepite dalla stessa (...), senza precisare che trattavasi di tesi in parte minoritarie e in parte non suffragate da argomenti scientifici. La gravità della condotta si palesa poi dal fatto che i vizi della comunicazione "scientifica" provengono dal soggetto preposto alla salute pubblica, in capo al quale incombeva un maggior rigore nell'accertare l'attendibilità delle fonti e nell'illustrare il carattere minoritario o non ancora suffragato da dati scientifici di alcune delle tesi propalate. 6. Le spese di lite La novità e la complessità delle questioni trattate, che implicano un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. respinge il ricorso; 2. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite; 3. fissa termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Così deciso in Ivrea il 21 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa Federica Lorenzatti ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 4641/ 2019 promossa da: (...), nato a T. il (...), c.f. (...), residente in Via G. R. n.2 - 10078 V. R. (T.), rappresentato e difeso, dall'AVV. DO.RO., del Foro di Benevento, in virtù di mandato in calce all'originale dell'atto introduttivo; -parte attrice- contro (...) PLC ((...)) - già (...) Plc, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 1 C. Place, L. E14 5HP, R. U., iscritta al n. 1026167 del Registro delle Società di Inghilterra e Galles (Companies House) rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ma.Ri. e Fr.Ca. giusta procura alle liti estesa su foglio separato in calce alla comparsa di costituzione e risposta -parte convenuta- avente per oggetto: contratti bancari MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. il sig. (...) ha convenuto in giudizio (...) PLC ((...)) - già (...) Plc, al fine di sentire accogliere le conclusioni come in epigrafe trascritte. Allegava parte attrice di avere sottoscritto in qualità di consumatore con (...) s.p.a (poi credito ceduto a (...)) contratto di cessione del quinto n. 110306 del 24.06.2009, per l'importo mutuato complessivo pari ad Euro 12.180,00, da restituirsi in numero 60 rate di importo pari ad Euro 203,00 (Il prefato contratto riportava un TAN fisso del 2,50%, un TAEG/ISC pari al 18,048% ed un TEG pari al 13,069%), Assumeva parte attrice che il contratto sottoscritto conteneva violazioni di legge, in particolare avuto riguardo al calcolo del TEG perché la resistente non aveva inserito nella voce il costo del premio assicurativo connesso all'erogazione del credito, di tal ché sommando detto costo agli altri ne sortiva, sulla base della consulenza tecnica di parte, che il valore del TEG, comprensivo della polizza assicurativa, risultava essere pari al 17,936%, dunque usurario, perché superiore al tasso soglia del 13,455%, fissato ai sensi della L. n. 108 del 1996 (All.D alla CTP-All.1). In forza di tale profilata nullità parte ricorrente (attrice) domandava, ai sensi dell'art. 1815 c.c., che venissero restituiti al consumatore tutti gli interessi e i costi accessori al credito per l'importo di Euro 3.945,44 (All.1 fasc. parte attrice- pag.7). Sotto distinto e connesso profilo, parte attrice chiedeva, altresì, il risarcimento del danno da reato per l'usura commessa, quantificato in via prudenziale ed equitativa, in Euro 3.000,00, o nella maggior o minor somma ritenuta di giustizia. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 13.05.2020 si costituiva in giudizio la (...) P.L.C., la quale contestava tutto quanto ex adverso dedotto, allegando in sintesi che: - non sussisteva la legittimazione passiva di (...) alle richieste di rimborso dei premi polizza, atteso che il soggetto "legittimato attivo" di tale azione è il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione (c.d. solvens), mentre il soggetto "legittimato passivo" è quello che ha ricevuto i pagamenti di cui si richiede la restituzione medesima (c.d. accipiens). Conseguentemente, l'unico soggetto passivamente legittimato in ordine alla richiesta di restituzione o rimborso del premio era da individuarsi nell'impresa assicuratrice (...) e non l'ente erogatore del finanziamento. - nessuna nullità si poteva profilare in relazione alla violazione contestata da parte attrice, atteso che la finanziaria si era scrupolosamente attenuta alle indicazioni di (...) vigenti ratione temporis; la legge, infatti, affermava chiaramente che, fino al 31 dicembre 2009, l'indice da prendere in considerazione per finanziamenti contro cessione del quinto, ai fini della comparazione con il tasso soglia usura, è il T.E.G., calcolato ai sensi delle Istruzioni della (...) pro tempore vigenti, e non il diverso T.A.E.G.; - L'esclusione dei costi assicurativi dal calcolo del T.E.G. ai fini usura risultava sancita altresì da un'altra fonte normativa, il D.P.R. n. 180 del 1950, il quale contiene la regolamentazione dei finanziamenti tramite cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) stabilendo che "Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del titolo II e del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego". Conseguentemente, trattandosi di un obbligo imposto ex lege, tale voce non poteva essere conteggiata come costo del credito. - Tale conclusione risultava pienamente conforme alle Istruzioni di (...) emanate nell'agosto 2009, le quali precisavano che: "fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispettodel limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della L. 7 marzo 1996, n. 108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della (...) e dell'UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006. ? restano pertanto esclusi dal calcolo del TEG per la verifica del limite di cui al punto precedente: ... gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (anche per tramite dell'intermediario)". - Nessun danno da reato era riconoscibile non essendosi in presenza alcun contratto usurario e, in ogni caso, alcun danno era stato allegato e/o dimostrato. Chiedeva, quindi, conclusivamente la convenuta di rigettarsi la domanda poiché infondata in fatto e in diritto. Il Giudice -con provvedimento reso a verbale in data 12.10.2020- disponeva ex art. 702 ter comma III c.p.c. il mutamento del rito e concedeva alle parti, dappoi, i termini di legge per il deposito delle memorie ex art. 183 co. VI c.p.c. Il giudice con distinta ordinanza del 06.07.2021, ritenendo la causa matura per la decisione e superflua la CTU contabile richiesta, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Le parti all'udienza del 13.04.2022 precisavano le conclusioni come in epigrafe indicate e il Giudice tratteneva la causa in decisione concedendo termini per il deposito della comparsa conclusionale e delle memorie di repliche. In primo luogo, vanno disattese le reiterate istanze istruttorie così come formulate in sede di precisazione delle conclusioni, non essendo stati allegati elementi novitari, né indicate le ragioni per cui appaia necessario istruire la causa, la quale a ben vedere ha carattere eminentemente documentale e involge in primo luogo a questioni di diritto. Sulla carenza di legittimità passiva della resistente La prima eccezione appare destituita di fondamento. La c.d. "restituzione" chiesta da parte attrice afferisce non ad una richiesta di oneri non goduti (in caso di estinzione anticipata del rapporto) e/o ripetizione di indebito ma discende direttamente dall'applicazione della sanzione prevista dall'art.1815 c.c. che prevede che -qualora sia accertata l'usura del contratto- le clausole siano dichiarate nulle e in conseguenza dell'accertata nullità la parte mutuante sia obbligata alla restituzione degli oneri a favore del mutuatario. Ed infatti "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". Il costo assicurativo e il contratto n. contratto di cessione del quinto n. 110306 Ciò posto, occorre ribadire come a differenza del predicato argomentativo sostenuto dalla convenuta, il costo assicurativo vada, senz'altro, incluso e inglobato nel TEG. Nel merito, infatti, la convenuta ha contestato la domanda dell'attore, deducendo che, secondo le istruzioni di (...) vigenti all'epoca del contratto i premi di polizza non dovevano essere considerati ai fini della rilevazione del tasso medio effettivo globale (TEGM) e, per conseguenza, nemmeno ai fini della verifica del rispetto del limite di legge, con riguardo al tasso effettivo globale della singola operazione creditizia (TEG). La ragione di siffatta esclusione consisteva nel fatto che, nei prestiti contro cessione del quinto dello stipendio/pensione, "il costo assicurativo non è imposto dal mutuante a suo favore, ma rappresenta una tutela del cliente prevista da una previsione normativa alla luce di considerazioni di carattere pubblicistico che prescindono dalla volontà delle parti, ed in particolare dalla scelta del mutuante, il quale non acquisisce neanche i proventi. In questa ottica, vi sono palesi ragioni per ritenere il costo in esame (de facto) quanto più simile alle altre "imposte e tasse" di cui all'art. 644 c.p., e non assimilabile agli altri costi e spese inclusi nella verifica di usurarietà che sono invece unilateralmente determinati ed applicati dall'istituto di credito". In questo senso occorre, in primo luogo, affermare come la natura obbligatoria della polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo non sia incompatibiletout court con una connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta che va accertata in concreto ai fini del calcolo della soglia usura. (Corte d'appello, Milano , sez. I , 11/02/2021). Ed, invero, pur considerando che nel prestito contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione), l'art. 1 D.P.R. n. 180 del 1950 subordina la conclusione dei prestiti alla "garanzia dell'assicurazione sulla vita che assicuri il recupero del residuo credito in caso di decesso del mutuatario" va rammentato come questo costo sia coessenziale e collegato all'erogazione del credito e non possa essere qualificato impropriamente come una cd. "imposta o tassa" essendo rimessa la sua libera determinazione alle variabili di mercato. (cfr. Ordinanza Trib. di Torino estAstuni 13.01.2022) Né appare rilevante nel senso dedotto dalla banca la circostanza che le Istruzioni anteriori all'agosto 2009 non considerassero anche tale voce per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dal settore bancario e finanziario. Secondo la convenuta, infatti, le Istruzioni della (...) all'epoca vigenti espressamente richiamate dall'art. 3 del D.M. Tes., pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24.03.2004 attestante il Tasso Soglia rilevante per la categoria "cessione del quinto" per il periodo, sancivano che "1) le spese per assicurazioni e garanzie non sono ricomprese quando derivino dall'esclusivo adempimento di obblighi di legge; 2) Nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilate indicate nella categoria (...) le spese per assicurazione in caso di morte,invalidità infermità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché siano certificate da apposita polizza". Sul punto giurisprudenza pressoché granitica, avvalorata da numerose pronunce di legittimità e di merito, ha chiarito, invece, come tale costo assicurativo vada incluso nel TEG. Nei termini, vedasi la pronuncia di Cassazione sent. n. 17466 pubblicata il 20/08/2020 la quale ha stabilito che "ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4, c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito"; (...) "La disciplina della misura usuraria del prezzo complessivo del denaro (art.1815, co. 2, cod . proc. civ.) trova sede non solo nella L. n. 108 del 1996, il cui art. 2, individua la soglia non superabile nel tasso medio, rilevato trimestralmente dal Ministero del Tesoro (oggi MEF), sentiti la (...) e l'Ufficio italiano dei cambi, aumentato della metà, ma altresì nell'art. 644, co. 4, cod. pen., siccome novellato dalla legge predetta (sull'unitarietà della disciplina si sofferma la citata sentenza n. 8806); norma, quest'ultima, che al fine di impedire, tanto prevedibili quanto agevoli, aggiramenti del divieto, a prescindere dal nome con il quale il contratto qualifica la dazione, prescrive che "Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate allaerogazione del credito". Qui non è dubbio che si tratti di una spesa (a qualsiasi titolo dice la legge) collegata alla "erogazione del credito""; che "Al contrario di quel che sostiene la ricorrente incidentale il comma 2 dell'art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2/09, non ha influenza sul caso al vaglio ... ... trattandosi del regolamento transitorio riguardante esclusivamente i tassi praticati nei conti correnti bancari". Di per sé, poi, il fatto che la convenuta si sia conformata alle direttive della (...) (difesa sviluppata diffusamente dalla convenuta) non ha alcun valore esimente. Ed infatti, il ragionamento che sta alla base di queste pronunce è sostanzialmente incentrato sulla natura e sul rango di fonte regolamentare da attribuire alle istruzioni della (...), Autorità Indipendente la quale -come correttamente rilevato dalla giurisprudenza maggioritaria- non ha potestà regolamentare né gli è stata mai demandata dalla L. n. 108 del 1996. La L. n. 108 del 1996 si era limita, infatti, a prevedere che B.D. fosse sentita ai fini dell'elaborazione dei tassi effettivi globali medi applicati e rilevati per categorie omogenee contrattuali. Le Istruzioni della (...), di cui si discute nella presente causa, non erano infatti dettate al fine di indicare in generale come debba essere conteggiato il TEG, ossia il tasso effettivo globale applicato dalla banca sulla singola operazione con il cliente, ma erano rivolte alle banche e agli operatori finanziari per rilevare il TEGM, ossia tasso effettivo globale medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo. In ogni caso, evidenzia la giurisprudenza più accorta, la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo, in specie dei decreti ministeriali emanati con cadenza trimestrale, non pregiudica anche nel caso di specie (a discapito di quanto assume l'ABF in alcuni pronunciamenti) il potere-dovere del giudice ordinario di disapplicare il provvedimento, per intero o per la parte in cui esso sia eventualmente affetto da illegittimità. Sempre negli stessi termini anche Cassazione del 24.9.2018 n. 22458 che, pronunciandosi su un contratto di prestito contro cessione del quinto dello stipendio ha confermato la sentenza di merito, statuendo che la polizza assicurativa, ancorché obbligatoria per legge, ha o può avere una "connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta, che va accertata in concreto utilizzando il diverso canone della sua effettiva incidenza economica diretta ed indiretta - sulle obbligazioni assunte dalle parti in relazione al contratto di finanziamento" e che il revirement di (...)contenuto nelle Istruzioni dell'agosto 2009 non prova che tali polizze assicurative dovessero, per il passato, escludersi dal calcolo del TEG, semmai dimostra "la acquisita consapevolezza da parte dell'Istituto della complessità e della delicatezza dello snodo valutativo inerente alle spese accessorie, e segnatamente del loro carattere remunerativo, risolto in maniera tranciante mediante la loro espressa inclusione tra gli elementi di calcolo del TEG, alle condizioni indicate". In senso conforme, da ultimo, è ancora intervenuta la Cass. 1.2.2022 n. 3025 la quale evidenzia, in sintesi, che: a) l'unica fonte normativa che definisce la fattispecie usuraria è quella contenuta nell'art. 644 comma 5 cod. pen. - secondo cui "per la determinazione del tasso di interessi si tiene conto delle commissioni remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito" - e ad essa si devono necessariamente uniformare, e raccordare, le diverse disposizioni che intervengono in materia; b) non ha dunque nessun rilievo il fatto che la (...), ai fini del calcolo del T.E.G. del singolo rapporto di credito, non abbia inserito nelle Istruzioni per la rilevazione del T.E.G.M. i costi assicurativi, atteso che trattasi di fonti normative secondarie che il giudice deve disapplicare ove contrastanti col dato normativo secondario; c) la circostanza per cui i decreti ministeriali di determinazione del TEGM, conformemente alle Istruzioni della banca d'Italia 2006, non includessero i costi assicurativi potrebbe incidere piuttosto sulla validità degli stessi, quali provvedimenti amministrativi, per non essere conformi alla legge di cui costituiscono applicazione, riportando una rilevazione effettuata senza tenere conto di tutti i fattori che la legge impone di considerare; d) non essendo le Istruzioni della (...) finalizzate a stabilire il TEG relativo al singolo specifico rapporto, avendo esse il solo scopo di richiedere agli intermediari dati da fornire al Ministero del Tesoro al fine di valutare il TEGM da osservarsi per il trimestre successivo e non essendo possibile ritenere che tali disposizioni possano essere attuate in deroga alla legge ed, in particolare, all'art. 644 c.p., il quale indica le componenti da considerarsi per il computo del tasso effettivo globale praticato, è evidente che esse non hanno alcuna efficacia precettiva nei confronti del Giudice nell'ambito dell'accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari nei casi in cui esse stabiliscono tassi di interesse di un determinato rapporto. Il TEG applicato alla singola operazione va quindi accertato dal Giudice unicamente sulla base dell'art. 644 c.p. e, ove presenti, di eventuali disposizioni di legge aventi pari forza normativa (cfr. App. Milano n. 3238/2013; App. Milano n. 1070/2014; App. Torino 20.12.2013). In conclusione, il tasso indicato in contratto, formato inglobandovi anche il premio di polizza deve essere utilizzato come "succedaneo" del TEG ai fini del confronto col tasso soglia (e risulta essere pari al 17,936%) dunque usurario, perché superiore al tasso soglia del 13,455%, fissato ai sensi della L. n. 108 del 1996. Il contratto è quindi usurario, senza che sia necessario lo svolgimento di una perizia per accertare tale profilo atteso che spettava alla banca -quale onere di specifica contestazione- non limitarsi alla generica contestazione dell'an (limitandosi a reiterare le difese sulla non doverosità di inclusione del costo assicurativo nel TEG) ma dovendo la stessa prendere specifica posizione anche in ordine al quantum. Sul punto vedasi Cass. 945/2006 la quale afferma: "(...) l'onere di contestare specificamente i conteggi relativi al quantum - la cui inosservanza costituisce elemento valutabile dal giudice in sede di verifica del fondamento della domanda - opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato". (Cass., 7 luglio 1999 n. 7089; 8 aprile 2000 n. 4482; 29 maggio 2000 n. 7103). Il principio sopra lumeggiato, mutuato dal giudizio del lavoro, ben può essere applicato anche nel caso di specie tenuto conto che a fronte della perizia di parte prodotta e di quantificazione della somma vi è onere di specifica contestazione delle risultanze dell'elaborato peritale da parte della convenuta (sull'onere di specifica contestazione vedasi Corte D'appello Torino n.1323/2021, depositata in data 01.12.2021). Pertanto, in accoglimento della domanda promossa, parte attrice avrà diritto di ripetere l'importo pari ad Euro 3.945,44, oltre interessi legali dalla costituzione in mora (19.09.2019 doc. 2-3- fasc. attoreo) alla domanda giudiziale, e interessi ex art. 1284 co. 4 dalla domanda al saldo. Sui danni da reato Secondo le prospettazioni di parte attrice, la mancata inclusione nel TEG del costo assicurativo avrebbe determinato, altresì, il danno da reato, essendo integrato il reato di usura e per tale fatto sarebbe dovuto il risarcimento del danno. Evidentemente, tale conclusione non può essere sposata acriticamente, non potendo il danno essere in re ipsa, ma essendo sempre necessario allegarlo e compiutamente provarlo. Vi è da dire, infatti, che tale tipologia di danno è di spettanza a favore della vittima del reato sol che siano allegate circostanze tali da fondare, anche in via soltanto presuntiva, che i fatti accertati abbiano provocato nella medesima un sensibile turbamento d'animo (cfr. Cass. 13 gennaio 2016, n. 339; Cass. 19 gennaio 2015, n. 777) nel caso di specie non vi è stata alcuna allegazione in punto. Sulle spese di lite In ragione della soccombenza di parte convenuta (tenuto conto della domanda principale promossa dall'attrice) la stessa deve essere condannata alla refusione delle spese di lite a favore di parte attrice, così come liquidate in dispositivo, nel limite dell'accolto, tenendo conto dei parametri prossimi ai valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. (ridotti nella misura del 30%), in ragion dell'attività processuale effettivamente svolta e della sostanziale assenza della fase istruttoria. Non potranno, per converso, essere riconosciute le spese asseritamente sostenute da parte attrice per la redazione della perizia atteso che non vi è prova né della proposta di parcella del professionista, né dell'effettivo esborso. Le spese di lite andranno liquidate a favore di parte attrice e non già distratte a favore dell'avvocato patrocinatore il quale con comparsa conclusionale del 16.06.2022 ha chiesto espressamente il rimborso delle competenze legali senza distrazione. P.Q.M. Il TRIBUNALE DI IVREA in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 4641/2019 R.G. promossa da (...) contro (...) PLC nel contraddittorio delle parti: DICHIARA l'usurarietà del TEG applicato al contratto di cessione del quinto n. 110306 del 24.06.2009 stipulato dal sig. (...) e (...) SPA e, per l'effetto, ai sensi del comma 2 dell'art. 1815 c.c. DICHIARA TENUTA e CONDANNA (...) PLC (già (...) PLC) a restituire a (...) la somma di Euro 3.945,44 oltre interessi legali dalla costituzione in mora (19.09.2019) alla domanda giudiziale e interessi ex art. 1284 co. 4 dalla domanda al saldo; RIGETTA la domanda di risarcimento del danno da reato formulata dal sig. (...) CONDANNA la convenuta (...) PLC a rimborsare all'attore (...) le spese di lite che liquida in Euro 145,50 per C.U. e marca, Euro 1.701,00 per compensi ex D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. oltre rimborso spese generali 15%, CPA come per legge e IVA se dovuta. Così deciso in Ivrea l'11 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Sezione Civile - Lavoro in persona della dott.ssa Magda D'Amelio, all'udienza del 1/07/2022, ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa n. 157/2022 RGL, promossa da (...), c.f (...), ass. avv. (...) - PARTE RICORRENTE - contro ASL DI COLLEGNO E PINEROLO TO3, c.f. 09735650013, ass. avv. (...) - PARTE CONVENUTA - Oggetto: sospensione per inadempimento obbligo vaccinale CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor (...) dalla ASL TO 3 per non avere ottemperato all'obbligo vaccinale anti Sars Cov 2 previsto dall'art. 4 D.L. 44/2021. Il signor (...) è dipendente della ASL TO 3 con formale inquadramento di OSS. Egli, tuttavia, a decorrere dal 1.9.2018, dopo essere stato ritenuto idoneo alla mansione con prescrizioni, è stato adibito ad attività di tipo esclusivamente amministrativo presso l'anagrafe zootecnica e degli animali da affezione ubicata in Venaria Reale. Entrato in vigore il D.L. 44/2021, il SISP inviava al signor (...) lettera raccomandata con la quale gli chiedeva di produrre la documentazione attestante l'effettuazione della vaccinazione anti Sars - CoV - 2 ovvero la documentazione attestante l'esonero o il differimento dall'obbligo nel termine di cinque giorni dal ricevimento della stessa. Il signor (...) rispondeva facendo presente di svolgere da oltre tre anni mansioni esclusivamente amministrative e chiedeva, pertanto, di essere sollevato dall'obbligo anche per timore che il vaccino potesse interferire con le pluripatologie di cui lo stesso è portatore. Al che il SISP chiedeva una formale dichiarazione da parte del datore di lavoro attestante il suo stato lavorativo. Il signor (...) trasmetteva, dunque, le dichiarazioni della dott.ssa Barbara Galla, direttore della S.C. Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di Lavoro dell'ASL TO 3, e del dott. Giovanni Tedde, sostituto del direttore della S.C. Sanità animale, con le quali gli stessi attestavano che il lavoratore svolgeva mansioni "esclusivamente di tipo amministrativo'' pur essendo formalmente inquadrato quale OSS. Nonostante ciò, con provvedimento del 23.11.2021 il datore di lavoro disponeva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per inosservanza dell'obbligo vaccinale previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui al D.L. 44/2021 sino al 31 dicembre 2021. Il signor (...) contestava il provvedimento ribadendo di svolgere funzioni meramente amministrative e ne chiedeva la revoca. Tuttavia, la missiva rimaneva priva di riscontro. L'impugnazione veniva, dunque, reiterata a mezzo del proprio difensore. In data 24 dicembre 2021 l'ASL TO 3 confermava il proprio provvedimento sulla scorta della considerazione che il signor (...), essendo ancora formalmente inquadrato come Operatore Socio Sanitario e non avendo mai chiesto il formale passaggio ad un diverso profilo, rientrava nel novero dei destinatari dell'obbligo vaccinale. In data 28 dicembre 2021, stante l'approssimarsi dell'originario termine di scadenza del provvedimento sospensivo, l'ASL comunicava al ricorrente che per effetto del D.L. 172/2021 il termine di efficacia della sospensione era stato differito al 14 giugno 2022. Il signor (...), dunque, nel preannunciare la propria volontà di impugnare giudizialmente i provvedimenti di sospensione di cui era risultato destinatario, chiedeva il pagamento degli assegni previsti dall'art. 82 D.P.R. 3/1957. L'ASL, però, rigettava anche detta richiesta. In data 25 gennaio 2022 egli chiedeva, poi, di essere riammesso in servizio svolgendo la propria attività da remoto; anche questa volta, però, l'ASL riscontrava negativamente la richiesta del lavoratore. Il signor (...) instaurava, dunque, il presente giudizio lamentando l'illegittimità del provvedimento di sospensione irrogatogli per i seguenti motivi: a) egli non rientrerebbe nel novero dei soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale atteso che le sue mansioni sono di tipo esclusivamente amministrativo; b) in ragione delle pluripatologie da cui è affetto e del suo status di invalido civile al 67% e portatore di handicap ex art. L 104/1992 egli è qualificabile quale lavoratore fragile e, dunque, da un lato non sarebbe assoggettato all'obbligo vaccinale e dall'altro l'asl avrebbe il dovere di fargli svolere le proprie mansioni da remoto; c) la vaccinazione sarebbe una misura del tutto inefficace nel prevenire il contagio e, dunque, la limitazione dei diritti costituzionali del lavoratore sarebbe priva di giustificazione; d) l'ASL non aveva adempiuto al proprio onere di verificare la presenza di mansioni disponibili che non prevedessero contatti interpersonali a cui adibire il ricorrente. Infine, il ricorrente lamentava il diniego opposto dall'ASL a corrispondergli durante il periodo di sospensione gli assegni previsti dall'art. 82 D.P.R. 3/1957. Il signor (...) chiedeva, pertanto, che il giudice - accertata l'illegittimità dei provvedimenti di sospensione - ordinasse all'ASL di riammetterlo in servizio e la condannasse a pagare le differenze retributive medio tempore maturate. L'ASL TO 3 si costituiva tempestivamente in giudizio difendendo la correttezza del proprio operato. La stessa deduceva che, a fronte del formale inquadramento del ricorrente come OSS, nessun rilievo potesse ascriversi alle mansioni effettivamente espletate, anche il ragione dello ius variandi del datore di lavoro che in qualsiasi momento avrebbe potuto reimpiegarlo nelle originarie mansioni: egli, dunque, era a pieno titolo destinatario dell'obbligo vaccinale e, non avendovi adempiuto, necessariamente era stato sospeso. Osservava, inoltre, come le mansioni espletate implicassero contatti con i due veterinari del complesso, nonché con i proprietari degli animali da affezione e con gli allevatori; dunque, anche con riferimento alle mansioni specifiche espletate, sussisteva quelle condizioni di rischio di propagazione del virus che giustificava l'obbligo vaccinale. Deduceva, poi, come l'art. 2 D.L. 172/2022 a decorrere dal 15 dicembre 2021 avesse esteso l'obbligo vaccinale previsto nel D.L. 44/2021 anche al personale amministrativo operante nelle strutture sanitarie e che il successivo D.L. 1/2022 avesse introdotto l'obbligo vaccinale per tutti i lavoratori che avessero compiuto il cinquantesimo anno di età. Alla luce della normativa sopravvenuta, dunque, l'ASL non avrebbe comunque potuto ricevere la prestazione lavorativa del signor (...) posto che l'assoggettamento all'obbligo vaccinale discendeva anche da dette norme. Contestava, inoltre, la possibilità del ricorrente di svolgere la propria mansione in modalità agile e rilevava come l'ASL avesse affidato ad un'apposita commissione il compito di individuare mansioni alternative per i soggetti non vaccinati. Tale indagine aveva, tuttavia, avuto esito negativo, con la conseguenza che nulla poteva essere rimproverato al datore di lavoro neanche in termini di mancato assolvimento dell'obbligo di repechage. Da ultimo eccepiva l'infondatezza della domanda volta ad ottenere il pagamento degli assegni ex art. 82 D.P.R. 3/1957 atteso che detta norma si riferisce al lavoratore sospeso in via cautelare e, dunque, ad una fattispecie diversa da quella oggetto di giudizio. All'udienza odierna le parti davano atto che il lavoratore era stato riammesso in servizio in data 19 aprile 2022 avendo egli contratto la malattia ed essendone poi guarito. L'art. 4 D.L. 44/2020 nella versione ratione temporis applicabile recita: "1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano 6. Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 5, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. 9. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021". La disposizione in commento, al dichiarato fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza ha previsto l'obbligatorietà del vaccino per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario che operino all'interno di strutture ospedaliere, RSA o studi privati, considerando la vaccinazione per il Covid-19 requisito essenziale per l'esecuzione della prestazione lavorativa. Come noto, al momento dell'introduzione della disposizione, non vi erano altre categorie professionali assoggettate all'obbligo vaccinale. È evidente, dunque, che la scelta della categoria cui è stato imposto l'obbligo vaccinale non è stata casuale: si tratta, infatti, di soggetti che operano a stretto contatto con quella categoria di persone che, una volta infettatasi, sconta un'alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali. Il legislatore ha, quindi, scelto di limitare la libertà di autodeterminazione dell'appartenente a dette categorie al fine di salvaguardare il bene salute dei soggetti più fragili che si trovano costretti ad avere contatti con i primi in quanto bisognosi di cure. La sospensione dal servizio, nell'ottica del legislatore, non si configura, dunque, come una misura punitiva; la stessa, invece, risponde all'esigenza di allontanare il lavoratore che, in quanto non vaccinato, viene considerato una fonte di rischio per quei soggetti fragili che con lo stesso devono necessariamente venire a contato. Così ricostruita la ratio della norma è allora evidente che, al fine di determinare se in capo al lavoratore sussista o meno l'obbligo in oggetto, ciò che rileva non è il suo formale inquadramento, ma le mansioni in concreto esercitate. Infatti, solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisi quel rischio specifico che il legislatore ha voluto neutralizzare risulta giustificata la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo e può configurarsi l'obbligo vaccinale. Nel caso di specie è pacifico, oltre che provato documentalmente, che il signor (...) svolge mansioni amministrative. In ragione di ciò non può che concludersi che lo stesso sfugge dal campo di applicazione del disposto di cui all'art. 4 D.L. 44/2021. Non porta a conclusioni diverse l'obiezione fatta dall'ASL secondo la quale il signor (...) entra a contatto con svariati soggetti quali allevatori e proprietari di animali i quali ben potrebbero essere soggetti anziani o portatori di gravi patologie. Non è, infatti, questo il rischio specifico che ha indotto il legislatore a introdurre l'obbligo vaccinale; i soggetti con cui si relazione il signor (...) non sono necessariamente anziani e/o uno stato di salute compromesso e non sono esposti necessariamente a contatti stretti e ravvicinati con il lavoratore. Un conto è, infatti, l'impiegato in attività di front office (quale è il ricorrente) che può tenersi a distanza dagli utenti e può anche essere fisicamente separato da questi mediante barriere fisiche di plexiglass; altro è il medico o l'operatore sanitario che visita il paziente, gli somministra la terapia e si occupa della sua igiene personale, con un conseguente contatto prolungato e ravvicinato. Il rischio che si correla all'attività lavorativa del ricorrente non è dunque dissimile - ed anzi appare decisamente inferiore - a quello proprio della cassiera al supermercato, ovvero a quello dell'impiegato delle poste o della banca. Tutti questi lavoratori entrano giornalmente a contatto con una pluralità di clienti, molti dei quali anziani e probabilmente anche con patologie. Eppure il legislatore non ha previsto l'obbligo vaccinale per queste categorie di persone. Non può, dunque, che concludersi nel senso che, mancando il rischio specifico che la norma mira a neutralizzare, è inconfigurabile un obbligo di vaccinarsi a carico del lavoratore e conseguentemente non risulta giustificata la sua sospensione dal servizio. Quanto si qui detto sarebbe sufficiente per accogliere la domanda. Il datore di lavoro ha giustificato la sospensione dal servizio richiamando l'inadempimento all'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4 D.L. 44/2021. È, dunque, in relazione a detta fattispecie che deve essere vagliata la legittimità del provvedimento e non con riferimento a distinte fattispecie introdotte da norme sopravvenute. In ogni caso, e a meri fini di completezza, si prosegue nell'analisi delle tesi difensive esposte dall'ASL al fine di dimostrarne l'infondatezza. L'ASL fonda la salvezza del provvedimento di sospensione sulla normativa sopravvenuta che, estendendo l'obbligo vaccinale dapprima a quanti svolgano attività amministrativa nell'ambito di strutture sanitarie e poi a tutti i lavoratori ultracinquantenni, avrebbe comunque reso la prestazione del ricorrente irricevibile. L'art. 4 ter D.L. 44/2021 nella versione prevista dall'art. 2, comma 1, L 172/2021 recita: "Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie: c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis (...) I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento del predetto obbligo vaccinale acquisendo le informazioni necessarie anche secondo le modalità definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021". A sua volta, l'art. 8 ter, comma 1, D.Lgs. 502/1992 recita: "La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all'adattamento di strutture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all'ampliamento o alla trasformazione nonché al trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie: a) strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti; b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio; c) strutture sanitarie e socio-sanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno". Si è detto che il signor (...) svolge la sua mansione presso l'Anagrafe zootecnica e degli animali da affezione della S.C. Sanità Animale del Dipartimento di Prevenzione dell'A.S.L. TO3, ubicata a Venaria Reale nell'ex Presidio Ospedaliero. È pacifico che dal dicembre del 2019 l'edificio non è più destinato alla cura o all'assistenza dei pazienti ed è altresì ubicato a distanza dalle strutture ospedaliere. Pertanto la fattispecie oggetto di giudizio non può essere sussunta nella fattispecie astratta invocata; anche sotto questo aspetto, dunque, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo in quanto irrogato ad un lavoratore non sottoposto ad obbligo vaccinale. Infine, l'art. 1, comma 1, D.L. 1/2022 ha introdotto l'art. 4 quater il quale, nella sua formulazione originaria, recita: "1. Dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino al 15 giugno 2022, (...) l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, di cui all'articolo 3-ter, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter. 3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche a coloro che compiono il cinquantesimo anno di età in data successiva a quella di entrata in vigore della presente disposizione, fermo il termine del 15 giugno 2022, di cui al comma 1". Il richiamato art. 3 ter chiarisce che "L'adempimento dell'obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute". Non vi è dubbio che il ricorrente, alla data di entrata in vigore della disposizione, avesse già compiuto cinquant'anni. Tuttavia, ciò non è sufficiente al fine di ritenere legittimo il provvedimento di sospensione. È, infatti, necessario rinvenire il fondamento normativo che giustifichi la misura. Si ricorda, infatti, che in relazione ai sanitari e alle altre categorie professionali per le quali è stato di volta in volta introdotto l'obbligo vaccinale, il legislatore ha espressamente chiarito che il vaccino costituiva un requisito per l'esercizio della professione e ha previsto l'automatica sospensione dello stesso a seguito dell'avvenuto accertamento dell'inottemperanza all'obbligo vaccinale. Nel caso di specie il legislatore si è mosso in direzione diversa: non ha considerato il vaccino requisito per l'espletamento della mansione e non ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di sospendere il soggetto non vaccinato dal servizio; ha, invece, introdotto una sanzione pecuniaria e disciplinato i requisiti per l'accesso ai luoghi di lavoro. L'art. 4 quinquies, infatti, nella sua versione originaria, richiedeva ai lavoratori ultracinquantenni di essere in possesso e di esibire la certificazione verde Covid 19 da vaccinazione o guarigione al fine di accedere sul luogo di lavoro. In difetto, il lavoratore sarebbe stato considerato assente ingiustificato, senza diritto alla retribuzione, ma con diritto alla conservazione del posto. Successivamente la norma è stata modificata e, a decorrere dal 25 marzo 2022, ai fini dell'accesso sui luoghi di lavoro è stato ritenuto sufficiente il possesso del cd. green pass base, ovvero quello ottenuto mediante semplice test. L'art. 8 del D.L. 24/2022, comma 6, dispone, infatti, che: " L'articolo 4-quinquies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, è sostituito dal seguente: Art. 4-quinquies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nei luoghi di lavoro per coloro che sono soggetti all'obbligo vaccinale ai sensi degli articoli 4-ter.1, 4-ter.2 e 4-quater). - 1. Fermi restando gli obblighi vaccinali e il relativo regime sanzionatorio di cui all'articolo 4-sexies, i soggetti di cui agli articoli 4-ter.1, 4-ter.2, comma 3, ultimo periodo, e 4-quater, fino al 30 aprile 2022, per l'accesso ai luoghi di lavoro, devono possedere e, su richiesta, esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 da vaccinazione, guarigione o test, cosiddetto green pass base di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 9-ter.1, 9-ter.2, 9-quinquies, 9-sexies, 9-septies, 9-octies e 9-novies del decreto-legge n. 52 del 2021." Così ricostruito il quadro normativo, risulta chiaro come il legislatore non abbia mai previsto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per i lavoratori ultracinquantenni. In origine il vaccino costituiva uno dei presupposti - insieme all'avvenuta guarigione - per ottenere il cd. green pass rafforzato, necessario per accedere sul luogo di lavoro. In ogni caso, poi, a decorrere dal 23 marzo 2022 il lavoratore avrebbe potuto accedere al luogo di lavoro sottoponendosi ai test antigenici o molecolari e ottenendo così il cd. green pass base. Possibilità, tuttavia, che al signor (...) è stata preclusa dall'illegittimo provvedimento di sospensione. In sintesi e per concludere: il ricorrente non può essere ricompreso tra i destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 4 D.L. 44/2021 in quanto attende a mansioni squisitamente amministrative; egli, inoltre, non può essere ricompreso tra i destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 4 ter D.L. 44/2021 in quanto non svolge le sue mansioni presso strutture dedicate all'assistenza e al ricovero dei pazienti; da ultimo, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest'ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. In ragione di quanto sin qui esposto, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo; l'ASL deve, dunque, essere condannata a pagare al ricorrente le somme maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione, maggiorate degli interessi di legge, dal dovuto al saldo effettivo. Non si annulla il provvedimento di sospensione e non si dispone la riammissione del lavoratore in servizio atteso che sul punto la materia del contendere risulta cessata; il ricorrente è, infatti, già stato riammesso in servizio a far data dal 19 aprile 2022 dopo aver contratto la malattia. Tutte le ulteriori questioni rimangono assorbite. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014, tabella cause di lavoro, valore indeterminabile - complessità bassa (scaglione Euro 26.000 - 52.000) valori medi, omessa la fase istruttoria che non si è tenuta, in Euro 7.025, oltre 15% spese generali, Iva e c.p.a., nonché Euro 259 per esposti. Non viene rimborsata la marca da bollo da Euro 27 in quanto nelle cause di lavoro non è dovuta. P.Q.M. visto l'art. 429 c.p.c., ogni altra domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa: - Accerta e dichiara l'illegittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor (...) con provvedimento del 23.11.2021, poi prorogato con provvedimento del 28.12.2021 e per l'effetto - Condanna l'ASL TO 3 e pagare al signor (...) le somme che avrebbe percepito nel periodo in cui lo stesso è risultato illegittimamente sospeso dal servizio, maggiorate degli interessi legali dalle singole scadenze al saldo effettivo - Condanna l'ASL TO 3 a rifondere al signor (...) le spese di lite, liquidate in Euro 7.025, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, oltre CPA ed IVA come per legge, oltre Euro 259 per contributo unificato. Ivrea, 1 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Meri Papalia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4558/2017 promossa da: (...) (C.F. (...) ) ATTORE contro (...) (C.F. (...) ) CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 27 novembre 2017 (...) deduceva di aver stipulato un contratto di appalto con (...), avente ad oggetto la realizzazione di un immobile in Via B. a S. F. al C., sulla base di un progetto redatto dal Geom. (...), poi, incaricata anche della direzione dei lavori di appalto sino al 14 agosto 2014, data alla quale rassegnava le proprie dimissioni. I lavori non venivano completati, né eseguiti ad opera d'arte da parte dell'appaltatore con responsabilità anche del direttore dei lavori. Con comparsa del 21 febbraio 2018 si costituiva in giudizio (...), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, rilevando che il contratto si era risolto per inadempimento imputabile al committente che aveva impedito la prosecuzione dei lavori, come da lettera stragiudiziale del 4 maggio 2015. Inoltre, rilevava che con riguardo ai difetti delle tegole, la responsabilità era da imputarsi alla (...) S.r.l., che si era resa disponibile alla sostituzione, negando la sussistenza di qualsiasi comportamento emulativo, asserito sul punto dall'attore. Il convenuto esperiva, poi, domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore domandando il pagamento della fattura n. (...) del 26.5.14 di Euro.42.190,18 rimasta insoluta, e di ulteriori somme per spese di noleggio e installazione del ponteggio, approntamento del cantiere e sigillatura del tetto. Eccepiva la decadenza e la prescrizione del diritto fatto valere dall'attore, rilevando che lo stesso, in qualità di responsabile della sicurezza aveva dettagliatamente esaminato il progetto e controllato l'esecuzione dei lavori, nonché approvato i SAL. Contestava, poi, il quantum dei danni subiti dall'attore in quanto in sede di ATP nulla era stato riscontrato sulla somma di Euro 650.000,00 per vizi strutturali della res. Rilevava che, con il presente giudizio, l'attore aveva esercitato una garanzia per vizi che era esclusa dalla successiva pattuizione intercorsa tra le parti, dopo il contratto originario di appalto, con il quale si era avvantaggiato di uno sconto pari al 10% e così per Euro 15.828,68. Contestava le risultanze tecniche a cui era pervenuto l'ATP e domandava la chiamata in causa della (...) S.r.l. per essere dalla stessa manlevato, per quanto ad essa imputabile, con riguardo ai vizi relativi alle tegole dell'immobile. Con comparsa del 19 febbraio 2018 si costituiva in giudizio il Geom. (...) deducendo l'indebita ingerenza del committente nelle competenze altrui e l'accesso al cantiere da parte di persone non autorizzate, tra cui il cognato che viveva all'interno di una roulotte ivi collocata, e richiedendo lo svolgimento di opere non conformi, a cui seguivano aggressioni verbali a causa del rifiuto che la convenuta aveva opposta al committente, che la inducevano alla rinuncia al proprio incarico di direttore dei lavori. Inoltre, la stessa non aveva partecipato all'ATP con conseguente inopponibilità degli accertamenti svolti in tale sede per violazione del principio del contraddittorio. Eccepiva la decadenza e la prescrizione del diritto fatto valere dall'attore deducendo che il dies a quo decorreva dalla data delle dimissioni rassegnate dalla stessa (14.8.2014). Nel merito, rilevava l'esatto adempimento delle proprie prestazioni, con estraneità ai vizi attinenti alle opere strutturali e di quanto realizzato successivamente, sotto la direzione di altro direttore dei lavori e sollevava censure tecniche su quanto documentato nell'elaborato peritale redatto in esito all'ATP. Sul quantum rilevava che sia la perizia redatta in seno all'ATP che quanto dedotto dagli attori come danno strutturale e come altri tipi di danno, era privo di alcun parametro di riferimento idoneo a verificare la correttezza della quantificazione. Rilevava, inoltre, un concorso di colpa del committente che aveva rilevato la non correttezza delle opere e l'aveva sottaciuta al direttore dei lavori. In via subordinata, esperiva domanda di manleva verso (...) S.p.a. in forza della polizza assicurativa n. (...). Con comparsa del 2 febbraio 2018 si costituiva in giudizio l'Ing. (...) deducendo un comportamento ostruzionistico da parte del committente e che, in data 10 novembre 2014, lo stesso aveva redatto una variante su espressa richiesta della committenza ma che la proprietà si era rifiutata di sottoscrivere i documenti necessari da presentare al Comune per la presentazione della relativa pratica, così ostacolando l'attività dello stesso e rendendo impossibile il collaudo dell'opera. Sollevava l'inopponibilità delle risultanze dell'ATP a cui non aveva partecipato con conseguente violazione del principio del contraddittorio e sollevava censure tecniche alla perizia di parte attrice prodotta in atti. Rilevava che i lavori non erano stati completati a causa dell'ostruzionismo del committente, facendo così scadere il permesso triennale di costruire rilasciato dal Comune e che l'attore, da tempo, gli impediva qualsiasi accesso al cantiere. Eccepiva l'intervenuta decadenza e prescrizione del diritto attoreo in quanto gli stessi erano certamente stati scoperti dalla committenza al momento di redazione della perizia da parte Geom. B. (26 agosto 2014). Nel merito rilevava di aver adempiuto alla propria prestazione secundum legis artis, sollevando eccezioni tecniche alle perizie in atti e contestando il quantum dei danni dedotto nella perizia redatta in seno all'ATP in quanto apodittico per mancanza di riferimenti ai valori di quantificazione ed eccependo che lo stesso si riferiva a soli vizi architettonici e non strutturali. Esperiva domanda di manleva nei confronti della (...) S.p.a. in forza della polizza professionale n. (...) (...) S.p.a.. A seguito di autorizzazione giudiziale veniva chiamata in causa la (...) S.p.a. e la (...) S.r.l.. Con comparsa del 29 giugno 2018 si costituiva in giudizio (...) S.p.a. eccependo l'inoperatività della polizza professionale n. (...) in quanto trattavasi di danni materiali alle opere, esclusi dal punto 5 del contratto e che sussisteva un massimale pari ad Euro.250.000,00 e, comunque, uno scoperto del 10% per ogni sinistro con il minimo di Euro 2.500 e massimo di Euro 7.500. Eccepiva, inoltre, che in forza dell'art. 8, l'assicurazione copriva nei limiti della colpa e dei danni imputabili direttamente all'assicurato con esclusione di quelli derivanti dalla solidarietà. Infine, rilevava l'omessa copertura, ex art. 5, per le spese legali e per i tecnici che non fossero stati nominati dalla compagnia. Nel merito si associava genericamente alle eccezioni dell'assicurato, rilevando l'inutilizzabilità dell'ATP in cui né l'Ing. (...), né la compagnia assicurativa erano state parti. Con comparsa del 2 luglio 2018 (...) S.p.a. depositava una seconda comparsa costitutiva attinente alla chiamata in manleva esperita dal Geom. (...) eccependo l'inoperatività della polizza professionale in quanto trattavasi di danni materiali alle opere, esclusi dal punto 5 e 11 del contratto, per i quali non si rinviene alcun rischio di rovina dell'edificio. Rilevava che sussisteva una franchigia pari ad Euro 1.000,00 e che l'assicurazione copriva nei limiti della colpa e dei danni imputabili direttamente all'assicurato con esclusione di quelli derivanti dalla solidarietà. Infine, rilevava l'omessa copertura, ex art. 5, per le spese legali e per i tecnici che non fossero stati nominati dalla compagnia. Nel merito, si associava genericamente alle eccezioni dell'assicurato, rilevando l'inutilizzabilità dell'ATP in cui né il Geom. (...), né la compagnia assicurativa erano state parti. Con comparsa del 14 gennaio 2019 si costituiva in giudizio la (...) S.r.l. deducendo la carenza di legittimazione passiva in quanto le doglianze attoree attenevano alla non esatta esecuzione di opere a cui la stessa era estranea in quanto rivenditore indiretto delle tegole. Nel merito, rilevava che le era stato impedito di fornire le tegole in forza del sopravvenuto contenzioso di cui al presente giudizio. Rilevava l'irrilevanza ed inopponibilità dell'ATP in quanto la stessa non vi aveva partecipato e che, nel tempo, potevano esservi state modifiche dei luoghi tali da sollevare la stessa da ogni responsabilità di quanto originariamente fornito. Rilevava l'inapplicabilità dell'art. 1669 c.c. in quanto non trattavasi di vizi attinenti al rischio di rovina dell'edificio ed eccepiva la decadenza e la prescrizione dei vizi. All'udienza del 13 marzo 2019 veniva dichiarata la cessata materia del contendere con riguardo alla posizione della terza chiamata, (...) S.r.l.. All'udienza del 17 febbraio 2021 cessava, altresì, la materia del contendere nei confronti dei convenuti, Geom. (...) e Ing. (...), con rinuncia delle domande da parte dell'attrice e accettazione da parte dei convenuti, nonché in conseguenza delle relative domande in manleva esperite da tali convenuti verso le proprie compagnie assicurative. Preliminarmente, deve rilevarsi come la controversia attenga, a seguito di parziali conciliazioni tra le parti in causa, alle sole domande poste dall'attore nei confronti dell'impresa appaltatrice e alla domanda riconvenzionale posta da (...) nei confronti del primo. Infatti, la condanna richiesta dall'attore nei confronti del Geom. (...) e Ing. (...) rappresenta una difesa temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c., essendo tali parti, non più presenti nel processo a seguito della loro estromissione per rinuncia agli atti e particolarmente grave è il comportamento attoreo che ha insistito, in sede di p.c., nella condanna in danno di tali convenuti dopo aver precedentemente rinunciato agli atti del giudizio nei loro confronti. Il primo punto attiene ai motivi di inadempimento del contratto che in tesi dell'attore è imputabile all'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore mentre in tesi di quest'ultimo è avvenuto a seguito di risoluzione del contratto in forza della diffida stragiudiziale del 4 maggio 2015, a seguito di impedimento del committente nella prosecuzione dei lavori. L'appaltatore ha, quindi, espressamente ammesso il proprio inadempimento, eccependo la sussistenza di un fatto impeditivo, imputabile al comportamento attoreo, del quale, tuttavia, nessuna prova ha fornito nel presente giudizio. In particolare, (...) si è rimesso sul punto ad richiesta del tutto esplorativa di CTU, del seguente tenore "l'opera commissionata non è stata terminata per volontà della parte committente" senza avvedersi di come, la volontà di una delle parti in causa, non rientra tra le competenze tecniche che possano essere oggetto di alcuna valutazione da parte di un perito, esperto in alcuna materia, e la CTU non è strumento probatorio nella disposizione delle parti per sopperire alle carenze probatorie, i cui oneri gravano sulle stesse. Deve concludersi che parte convenuta non ha, pertanto, assolto all'onere probatorio, che su di lei gravava, in ordine all'impedimento alla prosecuzione delle opere, quale fatto estintivo posto in essere dal committente, e non può essere in ciò alleviata attraverso il ricorso alla consulenza tecnica, posto che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 10373 del 12/04/2019; Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017; Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006). A ciò si aggiunga che il CTU, in risposta al paragrafo 1, non ha evidenziato la sussistenza di alcuna opera da ultimare, pertanto, nel caso di specie non si è in presenza di opere incomplete, intese quali opere parzialmente eseguite che dovevano essere completate nella loro esecuzione da parte dell'appaltatore ma, piuttosto, di opere viziate, già eseguite dall'appaltatore nel loro complesso ma non conformi; con l'unica eccezione da individuarsi nel collaudo, pacificamente non eseguito, ma che, come meglio si dirà nel prosieguo, è imputabile alla sussistenza di opere viziate, che devono essere preliminarmente emendate. Ne consegue che deve affermarsi l'insussistenza di alcun fatto impeditivo al completamento dei lavori da parte dell'appaltatore e l'inadempimento di quest'ultimo che non ha realizzato, secundum legis artis, le opere oggetto di appalto. Infatti, tale inadempimento deriva dalla stessa affermazione dell'appaltatore che ha ammesso il mancato completamento delle opere asserendo il fatto impeditivo del committente che avrebbe impedito l'accesso al cantiere; fatto che è rimasto sprovvisto di prova da parte del convenuto. Una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento (Cass., sez. III, 18/07/2016, n. 14652; Cass., sez. III, 10/07/2014, n. 15759; Cass., sez. III, 24/11/2010, n. 23816; Cass., sez. II, 12/02/2004, n. 2699; Cass., sez. II, 17/11/200, n. 17371). Nel caso di specie, asserire il mancato completamento dei lavori per impedimento imputabile alla controparte, presuppone, necessariamente, l'implicito riconoscimento della mancata ultimazione ad opera d'arte dei lavori di appalto di che trattasi. A cui, peraltro, si aggiunge l'onere probatorio, gravante sempre sull'appaltatore, di esatta esecuzione della propria prestazione contrattuale, a fronte dell'azione di inadempimento fatta valere dall'attore, sul quale grava il mero onere di allegazione delle opere non eseguite ad opera d'arte, che è stato assolto per tutte le doglianze specificatamente riportate nell'atto di citazione e che verranno meglio analizzate nel prosieguo. (...) lamenta, poi, che l'attore ricopriva il ruolo di responsabile della sicurezza dei lavori nell'ambito del cantiere in essere per l'appalto asserendo presunti oneri probatori in ordine al riscontro dei vizi di che trattasi. Le doglianze sono del tutto prive di pregio. Sul responsabile della sicurezza gravano specifici compiti definiti dal D.Lgs. n. 81 del 2008 che attengono alla sicurezza delle persone presenti in cantiere e che nulla hanno a che vedere con l'esecuzione ad opera d'arte delle opere di oggetto di appalto. In diritto deve affermarsi come "Il responsabile dei lavori è una figura incaricata dal committente per fare le sue veci su aspetti tecnici -professionali inerenti solo la sicurezza in cantiere, dunque deputato a svolgere compiti solo in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Diversamente, il direttore dei lavori ha delle funzioni più generali, involgenti l'accertamento della conformità dell'opera al progetto, le modalità tecniche di esecuzione che devono rispondere al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi" (Tribunale Reggio Emilia sez. I 23 giugno 2021 n. 805). In altri termini, nessuna conformità tecnica od edilizia può e deve essere verificata o contestata dal responsabile della sicurezza che si occupa solo di garantire la sicurezza delle persone che agiscono in cantiere, nell'esecuzione delle opere, anche laddove le stesse siano eseguite in totale spregio delle norme tecniche e dei progetti di esecuzione concordati con il committente. Le figure tenute, invece, ad adempiere con professionalità alla costruzione sono semmai l'appaltatore e il direttore dei lavori, quale rappresentanza tecnica del committente, ma con la dovuta precisazione che quest'ultimo è onerato di una sorveglianza dell'operato dell'appaltatore, del cui comportamento omissivo risponde verso il committente ma che non esonera l'appaltatore, quale imprenditore che agisce con autonomia di competenze e mezzi, a dover provvedere in proprio a realizzare un opera esente da difformità e vizi, indipendentemente dal comportamento di "sorveglianza" che il direttore dei lavori adempia o meno, e del cui inadempimento, risponde nei soli confronti della committeza. Ne consegue che (...) era tenuto ad adempiere alle opere secundum legis artis indipendentemente da ruolo di responsabile della sicurezza ricoperto dal committente che non ha alcuna interferenza con quello tecnico di esecuzione dell'opera da parte del convenuto, né esonera l'appaltatore dal compimento dell'opera con professionalità e diligenza tecnica nel settore. Strettamente connesse alla doglianza di cui sopra, è quanto, poi, lamentato dal convenuto in termini di eccezione di decadenza e prescrizione dai vizi, solo tardivamente denunciati da parte del committente in tesi dell'appaltatore. Le eccezioni sono infondate e non meritano accoglimento. Infatti, "In tema di garanzia per difformità e vizi nell'appalto, l'accettazione dell'opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche "per facta concludentia", spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l'art. 1667 cod. civ. indica nel medesimo committente la parte gravata dall'onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova." (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013). Ne consegue che, non essendo state completate le opere, né collaudate, né consegnate da parte dell'appaltatore che ha semplicemente, di fatto, interrotto il proprio operato senza completamento della prestazione, non trova alcuna applicazione la disciplina di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. invocata per la decadenza e la prescrizione dei vizi. In altri termini, fino al momento di completamento dell'opera in capo all'appaltatore si configura un inadempimento alle proprie prestazioni, attinente all'esecuzione ad opera d'arte della costruzione e relativa consegna che soggiace alle regole generali in materia di inadempimento, sia in termini di risoluzione contrattuale che in termini di risarcimento del danno provocato dal proprio comportamento inadempiente mentre, a seguito del completamento delle opere e della consegna della res a mani del committente, l'appaltatore è gravato di una garanzia per vizi dell'opera realizzata, sottoposta a stringenti termini di decadenza e prescrizione, decorrenti dalla scoperta dei vizi, volti a tutelare l'appaltatore che non è più in possesso del bene. Su tale distinzione giova richiamare il principio di diritto, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "In tema di appalto, quando sia richiesta l'eliminazione dei vizi per le opere già eseguite, ma non ancora ultimate, è esclusa l'operatività della speciale garanzia ex art. 1668 cod. civ., la quale presuppone il totale compimento dell'opera, mentre può essere fatta valere la comune responsabilità contrattuale ex artt. 1453 e 1455 cod. civ., non preclusa dalle disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1668 cod. civ., in quali integrano, senza negarli, i normali rimedi in materia di inadempimento contrattuale" (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9198 del 13/04/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3302 del 15/02/2006). Nel caso di specie, l'appaltatore non ha mai completato l'opera, abbandonando il cantiere senza provvedere ad alcun collaudo e consegna formale res, di talché trovano applicazione le regole generali in materia di inadempimento del contratto, con conseguente inesistenza di alcun termine di decadenza per l'esercizio dell'azione risarcitoria fatta valere dall'attore, così come, in forza del disposto dell'art. 1667, comma 3 c.c., che fa decorrere la prescrizione della relativa azione "dal giorno della consegna dall'opera" , consegue che la prescrizione non opera fino a quando non avvenga, a seguito della ultimazione dei lavori, la consegna definitiva subordinata alla verifica ed all'accettazione dell'opera da parte del committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13631 del 2013). Ne consegue che, l'unico termine di prescrizione individuabile è quello ordinario, decennale, di cui all'art. 2946 c.c. decorrente dal definitivo inadempimento dell'appaltatore. Nel caso di specie, anche a voler sottacere l'esistenza di atti interruttivi della prescrizione (primo tra tutti l'azione giudiziaria esercitata nella presente sede), e senza voler meglio analizzare il dies di decorrenza, coincidente con il definitivo inadempimento dell'appaltatore all'opera (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13631 del 2013), certamente il termine decennale di prescrizione non è decorso alla data della presente pronuncia a fronte di un contratto stipulato nell'anno 2013. Deve, quindi, concludersi con il rigetto dell'eccezione di decadenza e prescrizione sollevata da parte convenuta. Con riguardo alle prestazioni dell'appaltatore deve evidenziarsi che tra le parti è intercorso un precedente ATP (R.G. 2068/15 del Tribunale di Ivrea), le cui risultanze sono state integrate, nella presente sede, da elaborato peritale depositato in data 14 febbraio 2022. Il primo dei vizi lamentati dall'attore attiene alla mancanza di due pilastri in cemento armato, in luogo dei quali vi è la presenza di un pilastro in scatolare metallico rettangolare e una staffa metallica a sostegno della trave di colmo. Il punto, già oggetto di precedenti doglianze in sede di ATP è stato modificato con l'atto introduttivo del presente giudizio in cui gli attori precisano che, oltre all'assenza di che trattasi, le travi di colmo realizzate dall'appaltatore erano troppo corte e non andavano ad innestarsi nel muro. Conseguentemente, in tesi attorea, la realizzazione dei due pilastri di cemento armato mancati, come meglio descritta in sede di ATP (- puntellamento del trave di copertura; - rimozione delle attuali strutture portanti in metallo (pilastrino e piastra); - demolizione in traccia delle pareti per far posto ai pilastri; - casseratura, armatura e getto in cls dei due nuovi pilastri.) si configura erronea e inutile in quanto tali pilastri non potrebbero, comunque, sorreggere le travi di colmo. La tesi è erronea in quanto come ben accertato e specificato dal CTU, al paragrafo 2, tale intervento è possibile con le seguenti operazioni "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - (...)", con un costo pari ad Euro.7.000,00. In secondo luogo, gli attori lamentano l'installazione di tegole difettose, che si sfogliano e perdono colore. Tale difetto è pacifico tra le parti, in quanto espressamente riconosciuto come vizio oggettivo dallo stesso appaltatore, che ne ha, tuttavia, imputato il vizio a difetto di costruzione riconducibile al costruttore, come sostenuto in sede di comparsa costitutiva. Tuttavia, non giova analizzare la problematica di che trattasi in quanto tutte le parti in causa avevano, limitatamente a tale punto, raggiunto un accordo stragiudiziale, prodotto in atti dall'appaltatore convenuto, come documento 21, allegato alla seconda memoria istruttoria del 2 luglio 2019, con conseguente rinuncia da parte del committente a far valere tale doglianza, anche per ciò che rileva nella presente decisione, nei confronti di (...), di talché ci si deve limitare a prendere atto dell'intervenuta cessazione della materia del contendere, limitatamente a tale vizio. Alla problematica di cui al punto precedente è strettamente connessa quella relativa al cattivo fissaggio del materiale coibentante, con specifico riguardo ai pannelli isolanti del tetto, tanto che il perito, in sede di ATP ha individuato un unico intervento riparatore, prevedendo la rimozione della copertura delle tegole viziate e contestuale corretto fissaggio dei pannelli di copertura con chiodatura supplementare per un costo, unico e complessivo di Euro 18.000,00. Meglio analizzando il vizio di che trattasi, deve rilevarsi come trattasi di "posa delle lastre "Isotec" in modo allineato e non sfalsato come consigliato dal produttore" e di "utilizzo di chiodi non sufficientemente lunghi da garantire un idoneo ancoraggio delle lastre isolanti alla struttura lignea del tetto". Parte convenuta, in sede di comparsa costituzione, nulla ha contestato in ordine alla mancata sfalsatura dei pannelli di che trattasi, fatto che, quindi, deve intendersi pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., ma ha, piuttosto rilevato che, sul piano tecnico si è compensato con un raddoppio dei chiodi utilizzati (8 anziché 4), ottenendo il medesimo risultato secundum legis artis. La tesi deve essere condivisa a seguito degli accertamenti tecnici precisati dal CTU, in risposta al paragrafo 3, in cui non ha ravvisato alcun vizio di tenuta della copertura a fronte del tipo di lastre che, per il loro peso, offrono un'adeguata tenuta e senza che sia possibile individuare un esatto utilizzo o meno dei chiodi, la cui tipologia (misure, diametri, etc.) è lasciata alla discrezione del posatore e non definita nelle schede tecniche, così da risultare il frutto di una relazione di calcolo dell'appaltatore, ritenuta tecnicamente corretta dal CTU. In quarto luogo l'attore lamenta la presenza di ponti termici tra murature e pilastri, come accertato in sede di ATP mentre parte convenuta lamenta come lo spessore finale di 3 centimetri, anziché 4, come previsto nel contratto di appalto, si sia reso necessario in forza dello spessore finale della muratura di tamponamento in quanto la differenza di trasmittanza è praticamente nulla, così come la differenza di presso. La doglianza è manifestamente infondata e temeraria in quanto non si pone in riscontro alla doglianza attorea, la quale, riportandosi ai vizi emersi in sede di ATP, attiene ad una differente questione. In particolare, l'attore non si duole, nel caso di specie, del centimetro di differenza nella realizzazione dell'isolante ma di una corretta posa in opera derivante sia da una completa fasciatura dei pilastri, sia dall'insussistenza di ponti termici. In altri termini, per come già accertato in sede di ATP svolto tra le parti, si configura la posa di un isolante non conforme a legis artis in quanto "La corretta realizzazione prevede alcuni accorgimenti nella posa dell'isolante tali da evitare il nascere di "ponti termici" fra: - la muratura in laterizio; - i pilastri in cemento armato; - il pannello di isolante.". Su tale aspetto fattuale nulla è stato contestato dal convenuto in sede di comparsa costitutiva, di talché l'omessa realizzazione secondo il modus operandi di cui sopra, è fatto pacifico tra le parti. Su tale aspetto viene, invece, eccepito da (...) che il difetto di che trattasi non possa essere imputato alla parte superiore dell'edificio e, specificatamente, al sottotetto in cui non è possibile abitare, rilevando in punto di quantum di come nell'elaborato peritale non sia possibile verificare se la somma di Euro.8.000,00, prevista dal perito per la risoluzione del vizio di che trattasi, tenga o meno in considerazione tale differenza per il sottotetto. Sul punto il CTU, in sede di paragrafo 4, ha rappresentato come i locali del sottotetto non siano abitabili, confermando, tuttavia, la somma di Euro.8.000,00 per i vizi riscontrati, escluso il sottotetto. In quinto luogo l'attore lamenta che il rivestimento del sottotetto in perline di legno non risulta essere in tipo lamellare come concordato in sede di appalto mentre il convenuto rileva che in forza di accordi, sopravvenuti in data 30 novembre 2013, le parti avevano stabilito l'utilizzo di perline di 1,8 centimetri, non in legno lamellare. In particolare, in tesi dell'appaltatore lo spessore di 1,8 centimetri non permette la realizzazione di una perlina in lamellare, di talché la pattuizione sopravvenuta ha superato quanto originariamente previsto nel contratto di appalto per stessa volontà del committente. Analizzando nel dettaglio il verbale n. 1 del 30.11.2013 (doc. 20 convenuto) si evince, al punto 1, che il committente comunica il colore della copertura (larice) in legno lamellare mentre al punto 2 viene stabilito lo spessore in 1,8 centimetri, di talché la tesi sostenuta da parte convenuta e manifestamente temeraria e contraria al chiaro tenore letterale della scrittura intercorsa dalle parti che deve essere oggetto di lettura nel suo significato complessivo, con collegamento logico dei vari punti tra di loro. Ne consegue che da tale scrittura non è evincibile alcuna deroga; al contrario, al punto 1 viene espressamente ribadito che deve trattarsi di lego lamellare, a conferma che le perline, indicate, poi, nello spessore di 1,8 centimetri, dovevano essere proprio in legno lamellare come da pattuizioni tra le parti. L'impossibilità tecnica di pervenire, invece, alla realizzazione di una perlina di 1,8 centimetri in legno lamellare non trova alcun fondamento tecnico, ed è conforme alla tesi temeraria e priva di minima diligenza e perizia sostenuta sul punto dal convenuto, in quanto la perlina con tali caratteristiche ben può essere realizzata e utilizzata dalla ditta appaltatrice mentre la minor reperibilità in commercio e il maggior costo non influiscono sugli adempimenti contrattuali dell'appaltatore che era tenuto a rispettare gli accordi pattizi intercorsi tra le parti, senza avanzare impossibilità tecniche che, semmai, evidenziano l'imperizia e negligenza dell'impresa nello svolgimento della prestazione di appalto come contrattualmente stabilita tra le parti, laddove non si sia avvista della perfetta realizzabilità tecnica delle perline in legno lamellare dello spessore di 1,8 centimetri. Parte convenuta eccepisce, poi, l'intervenuta accettazione dell'opera, così come realizzata a seguito dell'intervenuto pagamento della fattura n. (...), relativa alla posa di questi panelli. La tesi è manifestamente temeraria e non si avvede di come, il committente che rispetti i pagamenti dovuti alle scadenze prestabilite, senza avvalersi dell'eccezione di inadempimento nei confronti della controparte, non provoca alcuna rinuncia all'esecuzione dell'esatta prestazione come pattuita tra le parti. In altri termini, il committente con il pagamento ha eseguito la prestazione dovuta senza che l'adempimento di una parte possa mai compromettere il diritto della stessa a ricevere l'esatta prestazione eseguita in difformità alle pattuizioni contrattuali dalla controparte. Con tale tema parte convenuta ripropone la stessa eccezione di decadenza dai vizi già sopra respinta, seppur rapportandola ad un diverso profilo, ovvero l'esatta prestazione di pagamento della controparte. La decadenza dai vizi palesi avviene solo a seguito di consegna dell'opera completata e collaudata a mani del committente, evento che non si è mai verificato nel caso di specie, per inadempimento di (...) che non ha dato prova dell'esatto adempimento della propria prestazione e l'intervenuto pagamento del corrispettivo (quale prestazione corrispettiva gravante sul committente), nel rispetto del sinallagma contrattuale, altro non provoca, se non il dovere contrattuale dell'appaltatore di rendere la propria prestazione nel rispetto delle pattuizioni contrattuali, senza che il committente in presenza di un inesatto adempimento debba essere onerato ad avvalersi dell'eccezione di inadempimento e sospendere a sua volta la propria prestazione. Ne consegue che, l'eccezione deve essere respinta e non può trovare alcun accoglimento. Il mancato utilizzo di legname di tipo non lamellare ha comportato conseguenze di deprezzamento dell'opera come accertato dal CTU in risposta al paragrafo 5, di talché deve essere riconosciuta a favore degli attori la somma di Euro.3.500,00. Parte attrice lamenta, poi, il disassamento dei pilastri, il quale per fatto pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., risulta sussistente mentre le parti controvertono in ordine all'incidenza del vizio sulle caratteristiche strutturali dell'immobile. Orbene, sul punto, il CTU ha ben rilevato, in risposta al paragrafo 1, come tale disassamento non abbia alcun effetto sulla capacità portante, stante il modesto carico a cui sono sottoposti i pilastri mentre incide sul lato estetico, che deve essere emendato attraverso un rivestimento degli stessi con apposita rifinitura, per un costo di Euro 3.000,00. Infine, con riguardo alle doglianze attoree attinenti alle difformità nell'utilizzo dell'acciaio presente nelle armature deve rilevarsi come il CTU, previ appositi esami di laboratorio di campioni peritamente prelevanti dall'opera, ne abbia sancito non solo la conformità a quello con sigla (...), della cui omissione di duole l'attore ma, altresì, la conformità alla normativa vigente. Come correttamente eccepito da parte convenuta, le risultanze erronee a cui è giunta la perizia di parte attrice, derivano da un'erronea ed imperita campionatura, in forza del prelievo dai pilastrini, unici elementi risultati non idonei e per i quali è necessario un intervento di irrobustimento per la somma di Euro 1.500,00 per ciascun pilastrino, e così per complessivi Euro 7.500,00. Strettamente connesso al punto che precede sono le doglianze attinenti all'aspetto sismico avanzate da parte attrice, che sono prive di pregio. Infatti, come accertato dal CTU le strutture in cemento armato sono state eseguite secondo un passo costante delle staffe e l'opera risulta idonea senza alcuna necessità di demolizione ma di mero aggiornamento della relazione di calcolo dell'intero fabbricato, per un costo pari ad Euro 3.000,00. Da ultimo l'attore ha mosso doglianze attinenti all'impossibilità di procedere al collaudo dell'opera in forza dei vizi in essere, imputabili all'appaltatore, come riscontrato dal CTU, in risposta al paragrafo 2 aggiunto, che ha rilevato la necessità di procedere al rinforzo dei pilastrini e alla relazione aggiornata di calcolo dell'intero fabbricato, per poter procedere al collaudo, a seguito dei vizi di cui sopra. Ne consegue che le doglianze attoree inerenti l'impossibilità di procedere al collaudo sono fondate e meritano accoglimento in quanto il comportamento del convenuto che ha imperitamente eseguito le opere con i vizi di che trattasi comporterà a carico del committente la necessità di provvedere a emendare gli stessi con i costi di cui sopra ma, altresì, a dover sostenere ulteriori spese per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, nonché ad ulteriori costi professionali per il collaudo della res. Con riguardo al primo aspetto deve rilevarsi come le sanzioni applicabili hanno un costo pari ad un'aliquota forfetaria fissa del 5% da applicarsi ad 1/3 del costo di costruzione. Nel caso di specie, il costo di costruzione, per come pattuito tra le parti nella scrittura del 30 novembre 2013, era pari al valore originario del contratto di appalto di Euro.193.137,19, detratto uno sconto del 10% pari ad Euro.19.313,72, di talché il valore delle sanzioni deve essere calcolato applicando ad un terzo della somma di Euro.173.823,47 (Euro.193.137,19-Euro.19.313,72), pari ad Euro.57.941,16, l'aliquota del 5%, e così per Euro.2.897,06. A tale somma si aggiungono i costi professionali per l'esecuzione del collaudo per Euro.7.000,00. Infine, parte attrice lamenta la sussistenza di un comportamento emulativo da parte di (...) che avrebbe impedito la sostituzione delle tegole da parte della (...) S.r.l.. La tesi attorea è incomprensibile e priva di alcun fondamento giuridico. A seguito dell'inadempimento dell'appaltatore che ha abbandonato il cantiere, il committente non necessita di alcuna autorizzazione per la modifica dello stato dei luoghi e nessun "impedimento" può opporre l'appaltatore a che il committente si rivolga a terzi per il compimento delle opere che ritiene opportune e necessarie a limitare l'aggravarsi del danno, dovuto all'altrui inadempimento. In altri termini, (...) ben poteva procedere alla sostituzione delle tegole prive di vizi, senza alcuna autorizzazione dell'appaltatore, né alcun comportamento ostruzionistico concreto è meglio dedotto dall'attore a seguito dell'abbandono del cantiere dei lavori da parte di (...). Ne consegue che la domanda è priva di alcun fondamento in quanto non si ravvisa alcun specifico comportamento del convenuto che abbia impedito al committente di procedere in autonomia alla sostituzione delle tegole dietro offerta della (...) S.r.l., né alcuna autorizzazione doveva essere richiesta, né attesa da parte del committente, di talché la domanda risarcitoria avanzata sul punto deve essere respinta. Da ultimo parte attrice avanza domanda di risarcimento dei danni derivanti da "immobilizzazione finanziaria del capitale investito", da parametrarsi al tasso di interesse legale per il maggior tempo impiegato rispetto a quello che sarebbe stato congruo utilizzare per l'ultimazione delle opere. La domanda è erronea in fatto e in diritto. Non sussiste alcun "tempo congruo" per l'ultimazione di un'opera ma piuttosto un termine che le parti possono pattuire nell'ambito dell'assoluto arbitrio contrattuale e pari a qualsiasi valore temporale, di talché il riferimento generico utilizzato dall'attore, rende già di per sé, del tutto indeterminata la domanda. Passando all'analisi giuridica della stessa, risulta addirittura manifestamente infondata in quanto non vi è alcuna immobilizzazione di denaro destinato a ritornare in futuro circolante a mani del committente. L'investimento del prezzo è definitivo e perpetuo a seguito della costruzione dell'opera. Piuttosto la domanda attorea così posta tende ad aggirare gli stringenti oneri probatori in ordine all'utilizzo della res gravanti sul committente. Infatti, certamente la consegna tardiva dell'opera appaltata può ingenerare in capo al committente un danno ma questo è parametrato all'impossibile utilizzo del bene per il periodo di ritardo nella consegna della res. Ne consegue che il committente deve fornire precisa allegazione, prima ancora che prova, in ordine all'utilizzo del manufatto e della conseguente perdita di utilizzo, fonte di danni. Per come posta la domanda attorea presuppone che (...) fosse in grado di investire redditiziamente il bene, ottenendo quale "prezzo" di scambio la corresponsione di interessi sul valore dell'opera ma così non è, non essendo nemmeno allegato quale utilizzo il committente intende porre in essere sul mercato per ottenere tale valore periodico del tutto inverosimile. Se ne deve, quindi, concludere che la domanda è del tutto erronea facendo riferimento ad un'immobilizzazione di denaro che nulla ha a che vedere con il ritardo nell'adempimento della prestazione della controparte, avente ad oggetto la realizzazione di un bene immobile, come tale oggetto di possibile tutela risarcitoria nei limiti di cui ne sia privato un qualche godimento da parte del committente. La domanda attorea deve, quindi, essere integralmente rigettata sul punto. Passando all'analisi della domanda riconvenzionale avanzata da (...) la stessa attiene al pagamento della fattura n. (...) del 26.5.14 di Euro 42.190,18 rimasta insoluta, oltre al pagamento delle somme di Euro 5.754,60, oltre Iva, (Euro 5.984,78) per il noleggio ed installazione del ponteggio e della somma di Euro 2.000,00, oltre Iva, (Euro 2.080,00) per l'approntamento del cantiere e, da ultimo, della somma di Euro 1.000,00, oltre Iva, (Euro 1.040,00) per saldo della sigillatura del tetto. La domanda è parzialmente fondata nei limiti di cui si dirà nel prosieguo. Il prezzo originario dell'appalto (doc. 1 attore), pattuito tra le parti, era pari ad Euro.193.137,19, il quale è stato successivamente modificato come da accordi intercorsi tra le parti in data 30 novembre 2016 (doc. 16 convenuto), con riconoscimento di uno sconto del 10% a favore del committente, pari ad Euro 19.313,72. Inoltre, per fatto pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., l'attore ha provveduto a saldare le fatture prodotte in atti di cui ai documenti da 8 a 14 di parte convenuta, per un ammontare complessivo di Euro 117.719,32. Ne consegue che il prezzo residuo dell'appalto è pari ad Euro 56.104,15, oltre I.v.a. al 4%, e così per complessivi Euro 58.348,32. La domandata avanzata da parte convenuta, limitatamente alla minor somma di Euro.51.294,96 è, quindi, fondata, dovendosi riconoscere a favore di (...) l'omesso versamento del prezzo, nei limiti della domandata riconvenzionale esperita. Parte convenuta domanda, altresì, la restituzione dello sconto pari al 10% del prezzo versato dal committente in quanto ricollegato alla rinuncia ai vizi sulle opere, in forza degli accordi intercorsi tra le parti, e cessati a seguito della presente azione giudiziaria in cui il committente ha inteso esercitare la garanzia a cui aveva rinunciato. La tesi è manifestamente temeraria e priva di una minima diligenza e perizia della parte nell'analisi fattuale della questione e nella lettura dei documenti presenti in atti. In particolare, il convenuto ha falsamente dedotto la sussistenza di una rinuncia alla garanzia per vizi in forza del documento 16 versato dallo stesso in atti, che non trova alcuna riscontro all'interno di tale documentazione. Infatti, si legge testualmente al punto 2 di tale scrittura che "il committente rinuncia alla garanzia del 15% alla fine di ogni lavorazione ..." versando, peraltro, a mani dell'appaltatore un assegno di Euro 2.508,27 per le garanzie precedentemente trattenute. In altri termini, con tale scrittura le parti hanno annullato il primo capoverso di pagina 7 del contratto di appalto che prevedeva "Il prezzo verrà corrisposto a stati di avanzamento lavoro, con deduzione dell'acconto e del 15% a garanzia dei lavori ancora da eseguire ...". Tali trattenute sugli acconti versati sul prezzo a favore dell'appaltatore, e volte a garantire una garanzia contro l'inadempimento dell'appaltatore, vengono meno, e quanto già trattenuto a tale titolo viene restituito con l'assegno che il committente consegna all'appaltatore. Nessuna rinuncia alla garanzia dei vizi (rectius esatto adempimento delle prestazioni contrattuali gravanti sull'appaltatore di cui si discute nella presente sede) è mai stato oggetto di alcuna rinuncia da parte di (...) e quanto così dedotto dal convenuto risulta frutto di un totale stravolgimento del significato della scrittura privata intercorsa tra le parti in causa. Ne consegue che, lo sconto ivi pattuito del prezzo permane valido e vincolante tra le parti per come pattuito mentre in capo al committente è venuto meno il solo diritto di trattenere il 15% sugli acconti versati, dovendo, invece, lo stesso versare i vari acconti integralmente per come ripattuiti con lo sconto del 10% e alle scadenze anch'esse modificate con la scrittura integrativa e, per il caso di inadempimento, come, poi verificatosi, lo stesso mantiene il diritto di agire in sede cognitiva prima, ed esecutiva poi, per il soddisfacimento del dovuto, pur avendo perso il margine di trattenimento di una parte del prezzo, quale somma di denaro a proprie mani su cui soddisfarsi immediatamente, per quanto dovuto dalla controparte a seguito del relativo inadempimento. La doglianza di parte convenuta deve, quindi, essere integralmente respinta sul punto. Alla luce dell'analisi delle suddette inadempienze gravanti sulle parti, la domanda attorea di esecuzione ad opera d'arte delle opere con emendamento da tutti i vizi sopra riscontrati deve trovare accoglimento nei limiti di cui segue. (...) deve essere condannato all'esecuzione dei due pilastri di cemento armato mancanti con le seguenti modalità "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - (...)", all'esecuzione della corretta fasciatura dei pilastri e all'interruzione dei ponti termici, al rivestimento dei pilastri per risolvere il difetto estetico di disassamento, all'irrobustimento dei pilastrini per renderli conformi ai valori di resistenza. Al ripristino delle opere di cui sopra deve aggiungersi la condanna di (...) al pagamento della somma di Euro 3.500,00 per il minor valore dell'opere realizzata mediante impiego di legno di tipo non lamellare in difformità agli accordi intercorsi tra le parti. La condanna al risarcimento del danno da ritardo, avanzata da parte attrice, deve trovare accoglimento con riguardo ai danni futuri che si produrranno in capo alla stessa per la necessità di procedere all'aggiornamento della relazione di calcolo dell'intero fabbricato, all'ottenimento di un nuovo permesso di costruire in sanatoria e per i costi professionali attinenti al collaudo e a tale pratica, già sopra quantificati in Euro 12.897,06 (3.000+2.897.06+7.000). Gli stessi derivano, infatti, dal ritardato e, ad oggi permanente, inadempimento dell'appaltatore, che in forza dei vizi di cui sono affette le opere, ha impedito il tempestivo collaudo con conseguente scadenza del permesso di costruire all'epoca concesso dal Comune e necessità delle attività di cui sopra. La domanda riconvenzionale di parte convenuta è fondata per la somma, già sopra quantificata di Euro.51.304,97, la quale, tuttavia, in forza delle espresse pattuizioni intercorse tra le parti era subordinata ai vari stati di avanzamento lavori. In particolare, per come pattuito nella scrittura del 30 novembre 2013, "alla fine della realizzazione ..." di vari "step" dell'opera, dovevano intervenire i pagamenti del committente in deroga alle originarie pattuizioni. Orbene, per come sopra emerso, tutte le opere sono risultate viziate, con accoglimento della domanda attorea di condanna dell'appaltatore all'eliminazione dei vizi ed esecuzione secundum legis artis delle opere, di talché la domanda riconvenzionale del convenuto deve trovare accoglimento subordinatamente al compimento delle suddette opere a favore di (...), il quale è tenuto al pagamento del corrispettivo solo in esito all'esecuzione della controprestazione dell'appaltatore, in forza degli accordi pattizi, che hanno subordinato l'esecuzione della prestazione di pagamento gravante sul committente alla preventiva esecuzione delle opere gravante sull'appaltatore. Infine, giova precisare che l'intervenuta transazione intercorsa tra l'attore e gli altri soggetti che erano parte della presente controversia, che ha comportato l'intervenuta rinuncia agli atti e relativa accettazione, verificata e dichiarata dal Giudice all'udienza del 17 febbraio 2021, non rilevano nei rapporti tra il committente e l'appaltatore per espressa volontà e scelta di quest'ultimo. Infatti, tra appaltatore e direttore dei lavori sussiste una responsabilità solidale nei confronti del committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29218 del 06/12/2017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14650 del 27/08/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8016 del 21/05/2012), di talché l'intervenuta transazione da parte dell'attore con uno dei debitori in solido, lungi dal poter pregiudicare la posizione del debitore rimasto estraneo, come infondatamente eccepito da (...) all'udienza del 4 marzo 2020, comporta per lo stesso la possibilità di profittarne ai sensi dell'art. 1304 comma 1 c.c.. In particolare, in diritto, deve richiamarsi il principio espresso della giurisprudenza di legittimità secondo cui "Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l'ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all'importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l'accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13877 del 06/07/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23418 del 17/11/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 30174 del 30/12/2011). Ne consegue che la transazione, sia che abbia ad oggetto l'intero credito di cui all'obbligazione solidale, sia che riguardi la sola quota di credito di pertinenza di uno dei debitori solidale, produce sempre e solo effetti a favore del debitore solidale rimasto estraneo e sempreché lo stesso dichiari che intenda approfittarne. Laddove, invece, il debitore non intende profittarne la sua posizione rimane semplicemente neutra, come nel caso di specie, in cui l'accordo transattivo deve essere del tutto ignorato per volontà di (...) che non ha inteso dichiarare di voler avvalersi degli effetti delle transazioni intervenute tra l'attore e gli altri responsabili in solido. Sussiste la soccombenza reciproca delle parti, in considerazione dell'accoglimento parziale della domanda attorea di corretto adempimento alle prestazioni di cui al contratto intercorso tra le parti, limitatamente a soli alcuni dei vizi di cui si era lamentato (...) e parziale accoglimento della domanda di risarcimento danni, e contemporaneo accoglimento della domanda riconvenzionale di pagamento del prezzo esperita da parte convenuta, stante il mancato saldo del prezzo delle opere da parte del committente, con conseguente compensazione integrale delle spese di lite. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016; Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 21684 del 23/09/2013; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009). Le spese di CTU, come già liquidate con decreto del 5 marzo 2022, devono gravare su entrambe le parti, sia in ragione della reciproca soccombenza, sia in ragione del comportamento processuale delle stesse che vi ha dato origine. In particolare, deve evidenziarsi come (...) avesse già esperito un precedente ricorso per ATP (R.G. 2068/15 del Tribunale di Ivrea) che si è reso insufficiente nel presente giudizio a seguito dell'estensione delle doglianze attoree che ha inteso individuare nuovi e ulteriori vizi nell'esecuzione ad opera d'arte dell'opera di appalto, mai lamentati in sede di precedente ricorso. Dal canto suo parte convenuta ha, altresì, reso necessario lo svolgimento della CTU nel presente giudizio, muovendo doglianze all'elaborato peritale reso in seno all'ATP che ben potevano essere peritamente e diligentemente mosse nel precedente giudizio, dando così causa a parte del quesito sottoposto al CTU con ordinanza del 19 febbraio 2021. Ne consegue che le spese del CTU devono gravare per il 50% su ciascuna parte, con i conseguenti obblighi restitutori. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara cessata la materia del contendere tra (...) (C.F. (...) ) e il Geom. (...) ((...)E.) per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore e accettazione della convenuta a spese di lite compensate e per l'effetto rigetta integralmente la domanda di condanna attorea avanzata nei confronti del Geom. (...) (C.F. (...)); - dichiara cessata la materia del contendere tra (...) (C.F. (...) ) e l'Ing (...) (C.F. (...) ) per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore e accettazione del convenuto a spese di lite compensate e per l'effetto rigetta integralmente la domanda di condanna attorea avanzata nei confronti del l'Ing. (...) (C.F. (...) ); - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) all'esecuzione dei due pilastri di cemento armato mancanti con le seguenti modalità "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - R.", all'esecuzione della corretta fasciatura dei pilastri e all'interruzione dei ponti termici, al rivestimento dei pilastri per risolvere il difetto estetico di disassamento e all'irrobustimento dei pilastrini per renderli conformi ai valori di resistenza a favore di (...) (C.F. (...) ); - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ) della somma di Euro 3.500,00 per il minor valore dell'opera realizzata mediante impiego di legno di tipo non lamellare; - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ) della somma di Euro 12.897,06 a titolo di risarcimento del danno; - condanna (...) (C.F. (...) ) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)), della somma di Euro 51.294,96 subordinatamente all'esecuzione delle opere di cui al primo capo della presente sentenza da parte di (...) (C.F. (...) ) a titolo di prezzo dell'opera appaltata; - dichiara l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti; - pone definitivamente le spese di CTU in capo a (...) (C.F. (...) ) nella misura del 50% e in capo a (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)), nella misura del 50%, come già liquidate con separato decreto del 5 marzo 2022, con i conseguenti obblighi restitutori. Così deciso in Ivrea l'1 giugno 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2000 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018 posta in decisione all'udienza del 05.01.2022 e vertente tra (...), cod. fisc. (...), residente in A. (S.), elettivamente domiciliato in O., Via A. n. 18, rappresentato e difeso dall'Avv. Il.Ma.; Opponente e (...) S.a.s., in persona del socio accomandatario sig. (...), (P.IVA (...)), con sede in R., Frazione C., Via V. E. n. 9, rappresentata e difesa dall'avv. So.Ca.; Opposta nonché (...), (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. El.LO.; terzo chiamato e (...) S.p.A. (P. IVA (...)) con sede legale in M. V. (T.), Via M., n. 14, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in T., C.so V. E. II n. 194, rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Pr.; terza chiamata OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo; contratto di appalto MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). Con ricorso ex artt. 633 e ss. la società (...) S.a.s., premettendo di essere creditrice nei confronti di (...) della somma di Euro 6.886,00, quale saldo del corrispettivo pattuito per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione dell'unità immobiliare sita in R. (T.), piazza A. n. 1, ha chiesto al Tribunale di Ivrea di ingiungere il pagamento della suddetta somma oltre interessi nella misura legale. In data 15.03.2018, il Tribunale adito ha emesso il decreto ingiuntivo n. 436/2018 per il pagamento della somma richiesta. (...) ha proposto tempestiva opposizione, assumendo l'insussistenza della avversa pretesa creditoria. In sintesi, e nei limiti di ciò che rileva in questa sede, l'opponente ha dedotto come le opere oggetto del contratto di appalto stipulato con la società appaltatrice, il cui compenso è stato già corrisposto nella misura di Euro 121.200,00 oltre IVA (Euro 133.320,00), non solo non erano state completate, bensì presentano plurimi vizi e difetti strutturali, denunciati alla controparte all'esito dello svolgimento della perizia resa dal proprio tecnico di fiducia. Il dott. (...), inoltre, ha allegato di aver richiesto all'appaltatore di porre rimedio ai vizi contestati e di completare le opere commissionate ed a fronte dell'avverso rifiuto ha invocato la risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. con conseguenti obbligazioni restitutorie ex art. 1458 c.c. L'opponente, inoltre, ha invocato la condanna della controparte al risarcimento del danno per i vizi e difetti delle opere, quantificato in Euro 61.759,62. Si è costituita in giudizio la (...) S.a.s., chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto. In particolare, la società opposta ha offerto una ricostruzione dei fatti sostanzialmente antitetica rispetto a quella prospettata dalla controparte, assumendo di aver correttamente eseguito tutte le opere, sia quelle originariamente commissionate sia quelle di volta in volta eseguite a seguito delle modifiche richieste dal committente stesso, con conseguente insussistenza dei profili di responsabilità invocati dalla controparte. La società opposta, inoltre, ha eccepito l'intervenuta prescrizione e decadenza dalle azioni spiegate ex artt. 1667 e 1668 c.c., richiedendo comunque di chiamare in giudizio il geom. (...), quale progettista e direttore dei lavori, al fine di "di vederlo riconosciuto esclusivo responsabile - per il denegato caso di fondatezza delle avverse pretese - di qualsivoglia danno subito dalla committenza e derivante dalle causali in discorso e/o al fine di vederlo condannare (eventualmente anche in manleva) alla rifusione di qualsivoglia somma (...) S.a.s. fosse tenuta a corrispondere all'attore". A seguito della chiamata in causa, si è costituito il geom. (...) assumendo l'infondatezza sia della domanda di chiamata in causa sia delle domande attoree, chiedendo in ogni caso di essere autorizzato a chiamare in causa la (...) s.p.a., con la quale ha stipulato apposita polizza assicurativa per la responsabilità civile. A seguito di ulteriore differimento della prima udienza di comparizione, si è costituita la (...) s.p.a. contestanto l'operatività della polizza in tutto ovvero in parte rispetto ai danni richiesti; nel merito, la compagnia ha contestato le avverse domande per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle sostenute dall'assicurato. Con ordinanza del 26.06.2019 è stata respinta l'istanza di concessione della provvisoria esecitorietà del decreto ingiuntivo. La causa, istrutita mediante svolgimento di consulenza tecnica, è stata assunta in decisione dapprima all'udienza del 14.04.2021 e successivamente all'esito della rimessione della causa sul ruolo è stato disposto un quesito integrativo. La causa, dunque, è stata nuovamente trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c., con concessione dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. In via preliminare devono essere confermate le ordinanze con le quali sono state respinte le istanze istruttorie formulate dalle parti, con particolare riguardo alla richiesta di ammissione delle prove orali, atteso che i capitoli articoli sono irrilevanti ai fini del decidere, investendo in parte circostanze già oggetto di consulenza tecnica ed in parte circostanze valutative, generiche e documentali. Venendo al merito giova svolgere alcune considerazione preliminari che devono orientare la decisione. Come è noto, nel procedimento di ingiunzione, colui che promuove il giudizio di opposizione può essere parificato all'attore dell'ordinario giudizio di cognizione solo da un punto di vista formale, poiché da un punto di vista sostanziale è, viceversa, l'opposto che avanza in giudizio la pretesa creditoria; ai fini della distribuzione dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., occorre, allora, dare rilievo all'effettiva e naturale posizione delle parti, restando a carico dell'opposto la prova dell'esistenza del credito ed a carico dell'opponente quella degli eventuali fatti estintivi dell'obbligazione. Da ciò consegue che, secondo i principi generali in tema di onere della prova, incombe a chi fa valere il diritto in giudizio fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009). In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell'art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell'onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove l'art. 1218 introduce una presunzione in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell'altrui pretesa; es. l'avvenuto esatto adempimento). Nell'azione di adempimento, dunque, il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza della fonte (negoziale o legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l'adempimento, ma non anche l'inadempimento da parte dell'obbligato, che va meramente allegato, dovendo infatti essere quest'ultimo, cioè il debitore convenuto a provare il fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell'altrui pretesa, costituito - quest'ultimo- di regola dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. SU 13533/01; Cass. 9439/08; Cass. 15677/09; Cass. 3373/10). Nel caso in esame, non essendo in contestazione tanto la sussistenza del rapporto contrattuale, nella specie il contratto di appalto stipulato tra le parti in data 07.10.2013 (doc. 2 parte opponente), quanto lo svolgimento delle prestazioni, sia pur con le allegazioni dei vizi e delle carenze dedotte da parte opponente, occorre soffermare l'attenzione dapprima sulle domande spiegate in via riconvenzionale dal committente-opponente. In particolare, occorre in primo luogo esaminare la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. con le relative conseguenze giuridiche e successivamente la domanda di risarcimento del danno per i vizi dell'opera, valutando la compatibilità sia astratta sia concreta delle predette petizioni. Esaminando nel merito la domanda ex art. 1662 c.c. ritiene questo giudice come la medesima non sia suscettibile di accoglimento per diversi ordini di ragioni. La predetta disposizione prevede espressamente: "il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno". La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'art. 1662 cod. civ. attribuisce al committente il diritto di sorvegliare l'operato dell'appaltatore allo scopo di consentirgli di porre riparo alle difformità e ai vizi mentre è ancora in corso l'esecuzione del contratto, onde evitare lo scioglimento del rapporto per inadempienze non aventi carattere definitivo (v. sent. 26 marzo 1983 n. 2153). Questo controllo rappresenta una mera facoltà e non un onere, come emerge dal capoverso della norma che consente, ma non impone, al committente di assegnare un termine per l'eliminazione dei vizi riscontrati al fine di provocare l'automatica risoluzione del contratto al momento dell'inutile decorso del termine. Trattandosi di facoltà, il suo mancato esercizio non comporta alcuna preclusione o decadenza (v. sent. 5 dicembre 1978 n. 5726; 9 gennaio 1980 n. 163). Pertanto, il committente che si astenga dal controllare i lavori durante il loro svolgimento o, pur vigilando, ometta di far rilevare all'appaltatore i difetti dell'opera, non incorre nella perdita del diritto di ottenere la loro eliminazione a lavori ultimati, la quale si verifica soltanto in caso di accettazione senza riserve dell'opera, per i vizi palesi, o di tardiva denuncia dopo la consegna dell'opera, per i vizi occulti. La disposizione, dunque, disciplina una specifica ipotesi di risoluzione del contratto di appalto, nel caso in cui l'appaltatore non adempia nel "congruo" termine assegnato dal committente. Tuttavia, è la stessa prospettazione offerta dalla parte opponente sin dalla fase stragiudiziale ad escludere la sussistenza dei presupposti per poter procedere alla risoluzione del contratto di appalto. Invero, non è assolutamente revocabile in dubbio e, del resto, è insito nelle contestazioni stesse formulate dal dott. (...), come le opere per le quali il committente abbia formulato le richieste di intervento siano ulteriori ed estranee rispetto a quelle descritte partitamente nel capitolato di appalto, risultando sul punto la fase progettuale stessa carente. In particolare, infatti, per come emerge sia dalla relazione dell'ing. Rondoletti, tecnico di parte (...), sia del CTU nominato nel presente giudizio, la copertura in legno non è stata realizzata secondo l'originario contratto, nel quale "era previsto lo smontaggio ed il rifacimento della copertura con il materiale di recupero del tetto esistente, utilizzando quindi le stesse tecniche ed accorgimenti di posa adottati nella fattura originaria del tetto", bensì mediante smaltimento della vecchia copertura e posa di una nuova struttura in legno lamellare "sui vecchi e nuovi maschi murari senza la realizzazione di un cordolo sommitale o realizzazione di vincoli strutturali ai maschi murari sottostanti, secondo la vecchia modalità di posa tipica delle zone considerate non sismiche" (cfr. relazione integrativa del CTU del 26.11.2021; pagina 5). Il CTU ha precisato, tuttavia, come tali opere, pur da considerare "opere accessorie e funzionali", "non erano previste in contratto e tanto meno nel progetto presentato in Comune dal Geometra (...), ed in quanto tali non risultano quotate nell'offerta". A fronte delle predette risultanze istruttorie, non oggetto di specifica contestazione da parte dell'opponente e su molti aspetti conformi alle stesse allegazioni dell'opponente, non può in alcun modo essere ritenuto "congruo" il termine di giorni dieci assegnato con la missiva del 02.11.2017. A tal proposito è sufficiente osservare come la società appaltatrice nell'esiguo termine assegnato per poter completare le opere, non certamente di modesta entità e non previste espressamente in contratto, avrebbe dovuto essere in possesso il titolo edilizio, mai richiesto ed ottenuto dalla committenza stessa. Non appare revocabile in dubbio che l'ottenimento dei titoli edilizi sia un onere che grava sul committente e, dunque, la medesima parte non può imputare all'appaltatore il ritardo nel completamento di opere che non avrebbe potuto eseguire in difetto del titolo edilizio. A ciò si aggiunga come ai fini della pronuncia di risoluzione e conseguentemente per valutare la gravità dell'inadempimento e la buona fede dell'intimante il termine assegnato deve essere congruo in correlazione con i vizi lamentati. Nel caso di specie, tale requisito risulta evidentemente assente, non solo e non tanto perché assolutamente iniquo rispetto alla natura delle opere da eseguire, bensì soprattutto perché per completare l'opera a regola d'arte era necessario richiedere ed ottenere il titolo edilizio, adempimento che grava sul committente stesso. A fortiori, si osservi come anche la prospettazione astratta della domanda, con particolare riguardo all'importo richiesto dall'opponente in restituzione, non è coerente con gli effetti della pronuncia di risoluzione e con i principi dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, il committente ha preteso non solo di cumulare la richiesta di restituzione dell'importo corrisposto con la richiesta di risarcimento dei danni subiti, bensì ha richiesto l'intera somma versata senza detrarre il valore delle opere eseguite. A tal riguardo la Suprema Corte ha affermato che in tema di appalto, gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall'art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, una totale "restitutio in integrum". Ne consegue che, nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell'appaltatore, quest'ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva condannato il committente a versare quanto dovuto per le prestazioni eseguite prima della risoluzione sul presupposto che, trattandosi del pagamento di un compenso e non del richiesto corrispettivo, difettasse autonoma domanda dell'appaltatore; Cass. civ. Sez. II Ord., 30/10/2018, n. 27640; cfr. anche Cass. n. 15705 del 2013; Cass. n. 3455 del 2015; Cass. n. 13405 del 2015). L'obbligazione restitutoria non ha, quindi, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni (nei sensi suddetti, tra le tante: Cass. n. 7829 del 2003; Cass. n. 3555 del 2003; Cass. n. 341 del 2002; n. 7470 del 2001), di talché nel caso di risoluzione del contratto di appalto, sebbene pronunciato per colpa dell'appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (cfr. anche, Cass. n. 5444 del 1997). Alla luce delle suddette considerazioni, dunque, la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. nei termini in cui è stata formulata dall'opponente deve essere respinta. Passando ad esaminare la domanda di risarcimento dei danni per i vizi dell'opera giova osservare dapprima come, a seguito della chiamata in causa del progettista e direttore dei lavori, svolta non ai fini di garanzia quanto piuttosto alla stregua di una c.d. individuazione di terzo responsabile, la domanda formulata dall'opponente nei confronti della società appaltatrice, anche in mancanza di espressa istanza, si intende estesa automaticamente nei confronti del professionista terzo chiamato (cfr. Cass. sez. 2, sentenza n. 8811 del 30.05.2003). Invero, nell'ipotesi in cui un terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda di quest'ultimo si estende automaticamente ad esso senza necessità di una istanza espressa, costituendo oggetto necessario del processo, nell'ambito di un rapporto oggettivamente unico, l'individuazione del soggetto effettivamente obbligato (cfr. Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5057 del 2010; Cass. 26.1.2006 n. 1522; Cass. 11.8.2004 n. 15563; Cass. 10.5.2002 n. 6771). Il principio dell'estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo venga individuato come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso (cfr. Cass. sentenza 31066 del 28.11.2019). La conclusione non muta anche quando il terzo chiamato in giudizio sia ritenuto non responsabile esclusivo, ma corresponsabile del danno, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell'evento dannoso non danno luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell'oggetto della domanda ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio (da ultimo in tal senso cfr. Cass. 25/06/2019, n. 16919). Passando ad esaminare la domanda di risarcimento del danno devono essere in primo luogo respinte le eccezioni di prescrizione e decadenza ex art. 1667 c.c. sollevate dalla difesa di parte opposta. Come è noto, nel contratto di appalto concernente l'esecuzione di un'opera, l'azione di garanzia per vizi può essere esercitata solo dopo la consegna dell'opera stessa, quale momento di adempimento della prestazione dell'appaltatore che ne presuppone, ovviamente, la ultimazione. Tanto si desume dal disposto dell'art. 1667 c.c., comma 3, che fa decorrere la prescrizione della relativa azione "dal giorno della consegna dall'opera", afferente alla fase dell'esecuzione contrattuale; conseguentemente la prescrizione non opera fino a quando non avvenga, a seguito della ultimazione dei lavori, la consegna definitiva subordinata alla verifica ed all'accettazione dell'opera (Cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Cass. Civ. sez. II n. 13631/2013; Cass. n. 271/2004; n. 14584/04). Invero, nel caso in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti. Ne consegue che, in caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è comunque consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina dell'anzidetta garanzia che, per l'appunto, richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011). Nel caso in esame il C.T.U., ing. Davide Enrione, nel rispondere al quesito integrativo disposto con l'ordinanza di rimessione sul ruolo del 06.09.2021, volto a chiarire se le opere oggetto del contratto di appalto "possano essere considerate completate ovvero ancora in corso di esecuzione..", ha ossevato come "le opere previste un contratto non risultano a tutt'oggi completate a causa della mancanza di realizzazione degli intonaci, dei pavimenti, dei rivestimenti e delle soglie", evidenziando come "in offerta non fossero presenti le opere impiantistiche (idrauliche ed elettriche) necessarie per poter concludere la ristrutturazione dell'edificio e consentire la chiusura della pratica edilizia sino alla richiesta della relativa agibilità. Stante quanto esposto al punto 1, ai sensi delle norme tecniche vigenti ai tempi della realizzazione della copertura, le opere di legatura dei muri nuovi ai muri vecchi e del pilastro sono da considerarsi opere accessorie e funzionali ed in quanto tali necessarie al completamento delle opere a tutt'oggi eseguite". Tali considerazioni non sono state poste in efficace contestazione dai consulenti della parte opposta e dei terzi chiamati, i quali si sono limitati a riproporre le rispettive tesi senza incidere sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. Ciò posto, l'eccezione di prescrizione e decadenza deve essere respinta. Passando ad esaminare nel merito la domanda di risarcmento del danno per i vizi dell'opera commissionata, la medesima è suscettibile di parziale accoglimento nei termini di seguito precisati. In termini generali e con particolare riguardo al riparto dell'onere della prova in tema di vizi dell'opera appaltata, giova ricordare come di recente le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale formatosi circa il soggetto tenuto a provare l'esistenza dei vizi della cosa nel contratto di compravendita (venditore o compratore), hanno affermato importanti principi anche in tema di garanzia per i vizi dell'opera disciplinata dagli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. (cfr. Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 11748/2019). A tal riguardo, la Suprema Corte ha stabilito in lineare applicazione del principio di vicinanza della prova che, in tema di garanzia per difformità e vizi, l'accettazione dell'opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche per facta concludentia, spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate (cfr. in senso conforme cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013). Il C.T.U. nominato, ing. Davide Enrione, all'esito di un elaborato motivato in modo approfondito ed immune da vizi logici, dopo aver provveduto al sopralluogo e ad un analitico esame delle opere oggetto del contratto stipulato tra le parti, comparandole con quelle riscontrate, ha da un lato accertato che la società abbia appaltatrice abbia realizzato integralmente le opere dettagliate nel capitolato e, dall'altro, ha riscontrato la presenza di vizi dell'opera realizzata, sub specie di omessa realizzazione di opere strutturali necessarie alla luce della normativa vigente. Tali approdi determinano sia il diritto dell'appaltatore a ricevere il saldo per il compenso pattuito, ed in particolare l'importo della fattura emessa a saldo per l'attività resa, sia il diritto del committente ad ottenere il risarcimento del danno per le carenze dell'opera sia pur con le precisazione di seguito indicate. Quanto all'importo azionato in via monitoria si osservi come la giurisprudenza di legittimità abbia affermato che in tema di appalto, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi nell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo non viene messo in discussione e, di conseguenza, il relativo, mancato soddisfacimento dà luogo a condanna del committente al pagamento dello stesso (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5496 del 17/04/2002; Cass. Sez. 2, sentenza n. 6009 del 17.04.2012). Nel caso di specie, per come emerge anche dalla relazione dell'ing. Rondoletti, tecnico di parte opponente, le contestazioni spiegate non investono specificamente le opere eseguite, quanto invece l'omessa realizzazione di interventi che alla luce della normativa vigente avrebbero dovuto essere dapprima progettati e successivamente realizzati. Ciò posto, l'importo richiesto a saldo dall'appaltatore deve essere riconosciuto. Al contempo, tuttavia, le predette censure sono risultate anche a seguito della relazione integrativa svolta dal CTU parzialmente fondate. Invero, l'ing. Enrione ha osservato come i vizi dell'opere non riguardino tanto l'esecuzione delle opere descritte analiticamente nel preventivo quanto l'omessa previsione e conseguente esecuzione di interventi di carattere strutturale, obbligatori secondo la normativa vigente. In particolare il CTU, nella relazione depositata in data 05.02.2021, dopo aver evidenziato "come tutte le opere previste in appalto e contabilizzate con gli stati di avanzamento lavori dalla direzione lavori, siano state eseguite dalla ditta appaltatrice in maniera completa", ha tuttavia rilevato come "tali opere presentano dei vizi dovuti alla mancanza di esecuzione degli interventi strutturali necessari, i quali però non erano previsti né in progetto, né in contratto. In particolare non era prevista la realizzazione del cordolo di sommità in c.a. prima della posa dell'orditura lignea della copertura, che è stata posata direttamente sui vecchi e nuovi maschi murari in muratura". L'ing. Enrione, nella relazione depositata a seguito della rimessione della causa sul ruolo per gli ulteriori chiarimenti, ha indicato i riferimenti normativi posti a fondamento delle conclusioni rassegnate nelle precedenti relazioni ("Nella realtà, invece, la copertura non è stata realizzata come previsto nel contratto d'appalto, ma è stata smaltita la vecchia copertura e posataex-novo una nuova struttura in legno lamellare, preventivamente dimensionata dal fornitore di concerto con il direttore lavori geom G. (comunicato al CTU verbalmente dal fornitore). Tale copertura è stata posata sui vecchi e nuovi maschi murari senza la realizzazione di un cordolo sommitale o realizzazione di vincoli strutturali ai maschi murari sottostanti, secondo la vecchia modalità di posa tipica delle zone considerate non sismiche. Con l'entrata in vigore dell'ordinanza sismica D.P.C.M. 3431 (maggio 2005) emanata in seguito alla classificazione sismica dell'Italia, tutta l'Italia è diventata "sismica" e la zona in cui ricade l'edificio è stata considerata a bassa sismicità (Zona 4). Nel paragrafo 9.7 del D.P.C.M. 3431 (Maggio 2005) si scriveva espressamente: "Per le strutture di legno in zona sismica dovrà essere redatta apposita relazione di calcolo relativa, in particolare, ai requisiti e alle condizioni assunte per il progetto, all'impostazione generale della progettazione strutturale con riferimento al comportamento strutturale assunto (dissipativo o scarsamente dissipativo), agli schemi di calcolo e alle azioni considerate, alle verifiche delle singole fasi costruttive. I disegni di progetto devono riportare obbligatoriamente i seguenti elementi, fornendo per essi le istruzioni per i controlli specifici durante la fase costruttiva: a) collegamenti degli elementi tesi e qualsiasi collegamento alle strutture di fondazione; b) elementi utilizzati quali elementi di controvento; c) collegamenti tra impalcati (diaframmi orizzontali) ed elementi verticali di controvento; d) collegamenti tra i pannelli e le intelaiature lignee nei diaframmi orizzontali e verticali." Con l'uscita delle Norme Tecniche sulle Costruzioni del 2008, quanto contenuto nel DPCM è diventato norma tecnica..."). Il CTU, infine, ha concluso osservando da un lato che "ai sensi delle norme tecniche vigenti ai tempi della realizzazione della copertura, le opere di legatura dei muri nuovi ai muri vecchi e del pilastro erano da considerarsi opere accessorie e funzionali" e, dall'altro, che "tali opere, tuttavia, non erano previste in contratto e tanto meno nel progetto presentato in Comune dal Geometra (...), ed in quanto tali non risultano quotate nell'offerta". Queste ultime considerazioni incidono immediatamente sia sull'an dell'azione risarcitoria sia sul quantum del danno invocato. La peculiarità della fattispecie per cui è causa risiede nella seguente circostanza: se è certamente vero che i lavori di completamento di natura strutturale avrebbero dovuto essere oggetto dapprima di progettazione e successivamente di esecuzione, essendo vincolante la normativa antisismica, è altrettanto vero che il danno risarcibile non può essere identificato sic et simpliciter nel costo complessivo delle opere, atteso che le medesime non erano state indicate nell'offerta, il cui costo, compresa la fase di progrettazione, avrebbe comunque gravato sul committente, bensì esclusivamente nel maggior costo che il dott. A. è chiamato a sostenere eseguendole attualmente ovverosia successivamente all'esecuzione dell'opera principale. Sulla scorta di tale impostazione è stato, dunque, richiesto al CTU di quantificare il correlato maggior costo per eseguire gli interventi di consolidamento. Il consulente, dopo aver descritto analiticamente le opere necessarie per il completamento strutturale, individuandone il costo complessivo, ha stimato il maggior costo determinato "dalla necessità di esecuzione dei lavori di consolidamento dovendo intervenire in presenza della copertura già realizzata" in Euro 7.778,87. A tali importi devono essere aggiunti quelli stimati per la sanatoria strutturale (Euro 6.234,85) e per gli oneri di cantierizzazione e sicurezza (Euro 4.905,71), causalmente riconducibili all'inadempimento del progettista-direttore dei lavori e della società appaltatrice, mentre non può essere riconosciuta la somma necessaria per l'ottenimento del permesso di costruire, essendo spesa che avrebbe comunque gravato sul committente. Per ragioni sostanzialmente speculari nulla deve essere riconosciuto, invece, per il consolidamento strutturale dei solai atteso che, come meglio chiarito dal consulente nella relazione integrativa del 26.11.2021, tale opera non solo e non tanto non era prevista nel contratto bensì, per quel che maggiormente rileva, non è obbligatoria secondo la normativa vigente. Ciò posto, l'esecuzione della medesima rientrava ampiamente nella discrezionalità sia del progettista sia dell'appaltatore e come tale non è suscettibile di ristoro. Le argomentazioni svolte dal CTU devono essere complessivamente condivise, poiché, oltre ad essere motivate in modo adeguato, risultano ancorate ai riscontri effettuati suoi luoghi. In proposito, giova osservare come la giurisprudenza di legittimità abbia a più riprese affermato che il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ribadendo come le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (cfr. tra le tante Cass. Cassazione Civile, Sez. III, 31 maggio 2018, n. 13770; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13922 del 07/07/2016; Cass. sez. 1, Sentenza n. 5148 del 03/03/2011). A ciò si aggiunga come le medesime non siano state contrastate efficacemente dai consulenti di parte i quali, sia pur sotto profili antitetici, si sono limitati a riproporre le rispettive tesi senza incidere sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. La Suprema Corte ha affermato a più riprese come il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. da ultimo Cass. 1815/2015). Sussiste una concorrente responsabilità ex art. 2055 c.c. dell'impresa appaltatrice e del progettista e direttori dei lavori. Quanto al posizione dell'impresa appaltatrice, giova osservare come la medesima non abbia fornito la prova di aver rispettato l'obbligo di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c., che si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, comprese le competenze tecniche funzionali al controllo ed alla correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli dal committente. La conoscenza adeguata nella normativa vigente costituisce un necessario ed imprescindibile presupposto per poter svolgere l'attività di impresa e rientra appieno nel dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. A ciò si aggiunga come l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 - , Ordinanza n. 777 del 16/01/2020). Tali specifiche circostanze non risultano allegate nemmeno in astratto ed in ogni caso l'appaltatore, anche laddove sia il committente sia il direttore lavori avessero prospettato l'esecuzione di opere non solo non coerenti con la normativa vigente bensì sprovviste di titolo edilizio, avrebbe dovuto astenersi dall'eseguirle. Del pari, sussiste la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, il quale si è limitato a formulare generiche contestazioni alle risultanze peritali, pretendendo di riversare sulla controparte l'onere della prova che, come è noto, in materia contrattuale grave sul professionista obbligato. A tal riguardo è sufficiente ricordare come in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto". Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 - , Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020). Il geom. (...), progettista e direttore dei lavori, non ha allegato né tanto meno fornito la prova di aver correttamente adempiuto alle obbligazioni assunte, sia al momento della progettazione sia in sede di direzioni lavori, né che i danni riscontrati siano dipesi da cause a lui non imputabili. Deve, dunque, essere affermata la responsabilità dei due soggetti che hanno contribuito a cagionare il danno dedotto dal committente, ciascuno per il proprio titolo, e comunque in via solidale tra loro ai sensi dell'art. 2055 c.c. A tal proposito, la Suprema Corte ha statuito che in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass., ord. 3.12.2017, n. 29218). In difetto di qualsivoglia allegazione che consenta di graduare le singole responsabilità trova applicazione la presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all'ultimo comma dell'art. 2055 c.c. In definitiva, dunque, l'importo complessivo delle opere necessarie per eliminare i danni riscontrati dal C.T.U. è pari ad Euro 18.919,43 già comprensiva dell'I.V.A. nella misura di legge. Quanto all'IVA, giova osservare come nel ristoro del pregiudizio patrimoniale a favore del danneggiato occorre comprendere anche gli oneri accessori e consequenziali con la conseguente necessità di includere anche il pagamento di tale imposta: quest'ultima, in quanto onere futuro e certo al tempo della stipulazione del contratto, concorre a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito (Cass. 2.04.2009 n. 8035, Cass. 27.01.2010 n. 1688). La somma sopra richiamata assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio del danneggiato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che essa deve essere rivalutata con riferimento al periodo intercorso tra la data di redazione della perizia e fino al momento della decisione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25015 del 06/11/2013). Alla complessiva somma liquidata in conto capitale deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante un ulteriore importo, per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio messo a punto nella nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 17.2.1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell'illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base dei citati indici ISTAT. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi la somma capitale come sopra determinata deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'esecuzione dei lavori (2016) e sulla somma così ottenuta, progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. Riassumendo, dunque, il decreto ingiuntivo deve essere revocato ed il committente deve essere condannato al pagamento nei confronti dell'appaltatore dell'importo di Euro 6.886,00 oltre interessi nella misura legale dalla notificazione del decreto ingiuntivo sino al saldo, mentre l'appaltatore ed il direttore dei lavori devono essere condannati in via solidale tra loro al pagamento in favore del dott. A. della somma di Euro 18.919,43. I due importi vengono tenuti separati atteso da un lato l'assenza di espressa domanda di compensazione tra le diverse ragioni di credito e, dall'altro, della diversa decorrenza degli interessi e della rivalutazione in ragione della natura dei crediti, rispettivamente di valore quello del committente e di valuta quello dell'appaltatore. E' fondata la domanda di garanzia spiegata dal geom. (...). Invero, le contestazioni sollevate dalla difesa della compagnia convenuta, oltre ad essere stata formulate in forma generica e sostanzialmente perplessa ("Nell'ipotesi in cui, ferme restando tutte le contestazioni del caso di cui infra in punto assoluta mancanza di responsabilità in capo al Geom. (...), nel corso della disponenda fase istruttoria dovesse emergere che i comportamenti professionalmente non corretti del Geom. G. siano collocabili temporalmente prima del 09.02.2012"), risultano smentite delle risultanze processuali atteso che l'inadempimento tanto in fase di progettazione quanto di esecuzione della direzione lavori è riconducibile ad un periodo di operatività della polizza (cfr. permesso di costruire depositato il 28.06.2012 e rilasciato il 04.08.2013; doc. 3 parte G.). Quanto alla applicazione dell'invocato art. 9 comma 2 del contratto di assicurazione a tenore del quale "nel caso di responsabilità concorrente o solidale? l'assicurazione opera esclusivamente per la quota di danno direttamente all'Assicurato in ragione della gravità della propria colpa e dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate, mentre è escluso dalla garanzia l'obbligo di derivante da mero vincolo di solidarietà", dal contenuto non immediatamente perspicuo, non essendo chiaro quale possa essere l'ipotesi in cui un soggetto sia chiamato a rispondere a titolo di "mero vincolo di solidarietà", giova osservare come la compagnia dovrà essere chiamata a garantire il geom. G. sino all'importo complessivo della somma riconosciuta al committente a titolo di risarcimento del danno, potendo agire la compagnia in regresso nei confronti del condebitore nel caso di pagamento dell'intera somma. La predetta interpretazione è l'unica che possa attribuire un senso coerente alla disposizione e che è coerente con la natura della responsabilità solidale. A ciò si aggiunga come la Suprema Corte abbia più volte affrontato la problematica relativa alla ambiguità nella formulazione delle clausole contenute nei contratti assicurativi, privilegiando, in forza della granitica giurisprudenza sull'operatività dei criteri interpretativi del contratto di cui agli artt.li 1362-1371 c.c., l'interpretazione più favorevole al consumatore, il quale, trovandosi in una posizione inferiore rispetto alla Compagnia, sostanzialmente sottoscrive per adesione un modulo già interamente predisposto dalla controparte contrattuale. Il contratto di assicurazione, dinanzi ad una clausola lessicalmente ambigua, non potendo trarre un significato autentico dalla semplice connessione delle parole, va interpretato secondo il criterio ex art. 1370 c.c. concernente l'interpretazione contro il predisponente (Cass Sez. III, n. 668 del 18/01/2016: "Nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., e, in particolare, a quello dell'interpretazione contro il predisponente, di cui all'art. 1370 c.c."; Cass. Civ.- Sez. II, Ordinanza 12/02/2020 n. 3367; Cass. sez. 3, Sentenza n. 10825 del 05/06/2020; Cass. Civ. Sez. III n. 866 del 17/01/2008). In definitiva, dunque, la (...) S.p.a. deve essere condannata a manlevare il geom. (...) dal pagamento della somma da quest'ultimo dovuta al committente a titolo di risarcimento danni sino all'importo di Euro 17.028,00, oltre agli interessi e rivalutazione come sopra determinati, applicando lo scoperto contrattuale del 10% (Euro 18.919,43 detratto il 10%), facendo salvo l'eventuale diritto di regresso nei confronti della società appaltatrice, quale condebitore solidale. La reciproca soccombenza (rigetto della domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c.; riduzione sensibile degli importi richiesti da parte del committente a titolo di risarcimento del danno; accoglimento della domanda di pagamento del saldo del corrispettivo) giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti, ivi comprese quelle della consulenza tecnica. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 2000/2018 R.G., così provvede: revoca il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ivrea n. 436 del 15.03.2018; condanna (...) al pagamento in favore della società (...) S.a.s. della somma di Euro 6.886,00 oltre interessi nella misura legale dalla domanda sino al saldo; accoglie parzialmente la domanda proposta da (...) e, per l'effetto, condanna la società (...) S.a.s. in persona del legale rappresentante pro tempore ed il geom. (...) al pagamento in via solidale tra loro al pagamento della domanda di Euro 18.919,43 oltre rivalutazione ed interessi come in motivazione; rigetta le ulteriori domande spiegate dalle parti; in accoglimento della domanda di garanzia spiegata da (...) condanna la (...) s.p.a. in persona del legale rappresentante, a manlevare e tenere indenne il predetto sino all'importo di Euro 17.028,00; compensa integralmente tra tutte le parti le spese di lite, ivi comprese quelle liquidate al C.T.U. in corso di causa. Così deciso in Ivrea il 26 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IVREA Sezione Civile Unica Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. ALESSANDRO PETRONZI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 179/2020 tra (...) (C.F. (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. (...), come in atti domiciliata -parte opponente- nei confronti di: CONDOMINIO "(...)" (C.F./P.IVA (...)), in persona dell'Amministratorep.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), come in atti domiciliato -parte opposta- Sulle seguenti conclusioni delle parti rassegnate dalle parti nel verbale di udienza del 02.02.2022: Per parte opponente: - voglia l'Ecc.mo Tribunale Ivrea, - disattesa ogni contraria e diversa istanza, eccezione e deduzione, - emesse le più opportune pronunce e declaratorie, - previa ammissione delle istanze istruttorie di cui alla memoria ex art. 183 c.p.c. in data 11 dicembre 2020, - previo accertamento della nullità delle delibere assembleari che hanno disposto la ripartizione degli oneri di riscaldamento e di gestione in violazione dell'art. 1123 cod.civ. e dell'art. 9 D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102, e successive integrazioni, e in particolare di quella del 20 marzo 2018, - accertare il pagamento della somma di Euro 200,00 da parte dell'opponente in data 25 marzo 2019, da imputare in aggiunta a quella riconosciuta di Euro 500,00 in data 12 agosto 2019, - revocare l'opposto decreto ingiuntivo del Tribunale di Ivrea n. 1523 del 30 ottobre 2019, - condannare l'opposto al rimborso della somma di Euro 7.872,24 (settemilaottocentosettantadue/24), o della diversa somma accertata in corso di causa, - in ogni caso, con vittoria di esborsi e compensi di lite". Per parte opposta: "- Respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione = Voglia l'Ill.mo Giudice Unico del Tribunale - Accertata la inammissibilità e comunque l'infondatezza dell'opposizione avversaria - Rigettare tutte le domande di parte attrice opponente e per l'effetto = Confermare il decreto ingiuntivo opposto n. 1523/2019, dando atto che l'opponente ha integralmente corrisposto la somma ingiunta = Col favore delle spese del presente giudizio, oltre rimborso spese forfetarie 15% ex art. 2 D M. 55/2014, C.P.A., I.V.A. e successive occorrende" RAGIONI DELLA DECISIONE Il condominio opposto ha ingiunto alla opponente, con decreto ingiuntivo n. 1523/2019 emesso dal Tribunale di Ivrea in data 30.10.2019, il pagamento della somma di euro 6.139,00, a titolo di pagamento delle spese di riscaldamento relative all'anno 2018, quantificate in forza di preventivi di spesa approvati con delibera del 16.03.2018 (che la opponente ha interamente saldato con riserva di ripetizione). La condomina ha contestato il monitorio rilevando la insussistenza delle condizioni di emissione del decreto ingiuntivo, atteso che esso era stato emesso solo in forza di preventivi di spesa, in mancanza di consuntivo, giammai approvato dall'assemblea condominiale a causa del disordine contabile del condominio, imputabile ad un precedente amministratore revocato infatti dal Tribunale con decreto in data 8 gennaio 2020. Ha altresì eccepito la nullità dell'assemblea del 16.03.2018 che aveva approvato la ripartizione delle spese di riscaldamento in violazione dei criteri legali di cui all'art. 1123 c.c. ed all'art. 9 D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102, vale a dire, trattandosi di spese di riscaldamento, non sulla base dei consumi realizzati nelle singole unità immobiliari computati alla stregua delle risultanze dei ripartitori di calore; ha esposto altresì che alcuni condomini improvvidamente avevano provveduto a manomettere ed eliminare i contabilizzatori di calore, nella più completa inerzia dell'organo amministrativo, che, anziché ripristinarli, aveva preferito adottare un diverso, ma illegittimo, criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento. Il condominio si è costituito chiedendo la conferma del decreto opposto; in via preliminare ha eccepito la inammissibilità della opposizione siccome preclusa in ragione della mancata impugnazione del verbale assembleare; nel merito, ha dedotto la, infondatezza, non potendosi attribuire rilievo alla revoca dell'amministratore con riguardo alla posizione del singolo condomino, essendo state le irregolarità accertate dal Tribunale relative alla gestione di altre annualità e non avendo la revoca alcun effetto sulle delibere adottate. Ha rilevato che il preventivo di spesa è titolo di per sé idoneo a fondare la pretesa azionata, irrilevante essendo l'assenza del consuntivo, e contestato che vi fosse stata violazione del D.Lgs. 102/2014 nella elaborazione dei criteri di riparto o che vi fossero stati errori nei conteggi e nel computo delle calorie. La causa, di puro diritto, è stata istruita con sole produzioni documentali. La opposizione è fondata e merita pieno accoglimento per le ragioni che seguono. Risultano assorbenti le seguenti considerazioni. E' granitico e consolidato l'orientamento giurisprudenziale, richiamato sin dal libello introduttivo dalla parte opponente, secondo cui il bilancio preventivo è di per sé idoneo a fondare la richiesta monitoria del condominio, ai sensi dell'art. 63 disp. att. cod. civ., soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato, dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale (in tale senso Cass. 1789 del 12/02/1993). Tale risalente e consolidato orientamento non è peraltro smentito, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte opposta, dal più recente arresto della Suprema Corte (Cass. 24299 del 29/09/2008), che, in una ipotesi (del tutto dissimile rispetto alla presente fattispecie) in cui il consuntivo era stato regolarmente approvato dall'assemblea, andando così a sostituire il preventivo, il giudice del provvedimento impugnato aveva affermato erroneamente la generale inidoneità del preventivo di spesa a fondare la richiesta monitoria. Con tale pronuncia, invero, la Suprema Corte ha infatti affermato, perpetuando l'orientamento del 1993, che: "uno dei principi informatori della materia condominiale deve ritenersi quello relativo alla legittimità della riscossione dei contributi condominiali da parte dell'amministratore, sulla base del bilancio preventivo regolarmente approvato sino a quando questo non sia stato sostituito dal bilancio consuntivo. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di pace, pronunciata secondo equità, per essersi fondata sull'opposto principio dell'illegittimità della riscossione dei contributi condominiali, ripartiti sulla base del bilancio preventivo, prima della scadenza del relativo esercizio)". Né tantomeno risulta pertinente il richiamo all'altra pronuncia di legittimità (Cass. 10621/2017) richiamata dal Condominio opposto nella comparsa conclusionale, ove la questione oggetto di esame della Corte riguardava la legittimazione dell'amministratore del Condominio a richiedere un decreto ingiuntivo sulla scorta del bilancio preventivo di spesa (facoltà che nessuno nega) in un caso, ancora una volta diverso da quello di specie, in cui si contestava la affermazione contenuta nella sentenza del giudice di appello, che aveva ritenuto che "l'approvazione del prospetto di riparto doveva ritenersi implicita nell'avvenuto pagamento da parte di tutti gli altri condomini". Nel caso di specie, è pacifico ed incontestato che il decreto opposto è stato richiesto durante la vigenza dell'esercizio 2019 in base a due semplici preventivi di spesa relativi all'esercizio 2018, ai quali non ha mai fatto seguito la approvazione del bilancio consuntivo, né entro l'esercizio 2018, né entro l'anno dal preventivo, né a tutt'oggi. E la ragione della mancata approvazione del consuntivo risiede nella altrettanto pacifica circostanza del complessivo "disordine" contabile del Condominio imputabile ad un precedente amministratore, poi infatti revocato dal Tribunale con decreto dell'8.01.2020. Ne consegue che sebbene sia indiscutibile facoltà dell'amministratore del condominio richiedere ed ottenere la emissione in favore del Condominio di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., sulla scorta del mero preventivo di gestione, poiché tale possibilità contempera esigenze di "funzionamento" dell'ente gestorio, è altrettanto vero che tale prerogativa viene meno con la chiusura dell'esercizio, atteso che a norma del combinato disposto di cui agli artt. 1130 n. 10 e 1130 bis c.c., l'amministratore è tenuto al rendiconto annuale, che consente ai condomini di valutare la gestione patrimoniale. In assenza di tale approvazione del consuntivo, mai avvenuta, deve ritenersi ab origine insussistente il titolo idoneo alla richiesta monitoria. Con la conseguente revoca del monitorio illegittimamente emesso. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte opposta. Esse sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei principi dettati dal D.M. Giustizia 10.03.2014, n. 55 che ha stabilito le modalità di determinazione del compenso professionale per l'attività svolta, applicando, nel caso di specie, i valori medi per lo scaglione di riferimento (da 5.200,00 a 26.000,00) ed esclusa la Fase Istruttoria, di fatto non espletata. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza reietta e disattesa: 1) In accoglimento della opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 1523 emesso dal Tribunale di Ivrea in data 30 ottobre 2019; 2) condannare il Condominio opposto, in persona dell'Amministratore p.t., al rimborso in favore della parte opponente della complessiva somma di Euro 7.872,24 (settemilaottocentosettantadue/24); 3) condanna il Condominio opposto, in persona dell'Amministratore p.t., alla rifusione in favore della parte opponente delle spese di lite, che si liquidano in euro 150,00 per spese ed euro 3.235,00 oltre rimborso forf. al 15%, iva e cpa, come per legge, per compensi professionali. Così deciso in Ivrea, 2 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Ordinario di Ivrea in composizione monocratica, in persona del dott. Matteo Buffoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 2912/2019 R.G., promossa da (...), C.F. (...), residente in (...) (T.), Via C. (...) n. 23, rappresentato e difeso dagli Avv.ti En.Ca. e St.Sc. del Foro di Torino ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Torino, Corso (...), il tutto come da procura in calce al ricorso ex art. 702-bis c.p.c. - attore - contro B.D. (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con studio in (...) (T.), Corso T. n. 134, elettivamente domiciliati in Ivrea (TO), Piazza (...) presso lo studio degli Avv.ti Cl.D'A. e Ma.Ch. del Foro di Ivrea, che li rappresentano e difendono come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - convenuti - e contro (...) S.A. RAPPRESENTANZA G.I. (P.IVA (...)) in persona del procuratore dott. F.R., con sede legale in M., Piazza V. n. 17, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Cl.Ca. e Fu.De. del Foro di Milano ed elettivamente domiciliata in Torino, Via (...) presso lo studio dell'Avv. An.Pe., il tutto come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - terza chiamata - oggetto: prestazione d'opera intellettuale MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato il 29/7/2019 il sig. (...), titolare della ditta individuale "(...)", esponeva le seguenti circostanze: - il ricorrente affidava alla dott.ssa (...) e al dott. (...) la tenuta della contabilità ordinaria relativa alla propria impresa, e si avvaleva delle prestazioni professionali dei medesimi per la predisposizione e l'invio delle proprie dichiarazioni dei redditi; - la sola dott.ssa (...) emetteva di volta in volta le parcelle per le prestazioni effettuate da entrambi i professionisti negli anni 2012 e 2013; - il 27/12/2017 venivano notificati al sig. (...) gli avvisi di accertamento nn. (...) (relativo all'anno 2012) e (...) (relativo all'anno 2013); - con i suddetti atti impositivi, l'Agenzia delle Entrate contestava al ricorrente: per l'anno 2012, un maggior reddito di euro 367.848,00 (con maggiore imposta di euro 105.594,00) e un omesso versamento IVA di euro 22.684,00; per l'anno 2013, un maggior reddito di euro 294.545,14 (con maggior imposta di euro 113.563,00) e un omesso versamento IVA di euro 3.177,00; - gli avvisi di accertamento traevano origine da una verifica fiscale generale che si concludeva con processo verbale di constatazione in data 24/10/2017; - tale processo verbale faceva emergere, per entrambi gli anni sottoposti a verifica, gravi irregolarità nella tenuta della contabilità, tanto da far ritenere totalmente inattendibile la contabilità stessa; - a seguito della notifica degli atti impositivi, il sig. (...) formulava istanza di accertamento con adesione e, a conclusione del conseguente procedimento, corrispondeva la somma di euro 44.354,93 a titolo di sanzioni per l'anno 2012 e la somma di euro 43.827,54 a titolo di sanzioni per l'anno 2013, mentre l'Agenzia delle Entrate accordava la rateizzazione delle somme dovute a titolo di tributi e interessi nella misura di 120 rate; - di fatto, la materiale tenuta della contabilità della ditta S. era affidata alla sig.ra (...), dipendente dello studio professionale a cui si era rivolto il sig. (...); - il dott. (...), presa contezza degli accertamenti eseguiti dall'Agenzia delle Entrate, promuoveva un procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra (...), contestandole le gravi negligenze emerse in occasione della verifica ispettiva. Tanto permesso, il sig. (...) deduceva che i convenuti si erano resi responsabili di un grave inadempimento delle obbligazioni assunte a seguito del conferimento dell'incarico professionale. In ogni caso, anche a voler individuare nella sola dott.ssa (...) la sola effettiva controparte contrattuale, il dott. (...) avrebbe dovuto rispondere nei confronti del ricorrente ai sensi dell'art. 2049 c.c., vista la riconducibilità del danno all'attività svolta dalla sua dipendente. Il sig. (...) domandava dunque al Giudice di dichiarare la risoluzione del contratto d'opera intellettuale ex art. 1453 c.c., con condanna della dott.ssa (...) alla restituzione delle somme ricevute a titolo di corrispettivo (per complessivi euro 7.600,00), invocando altresì la condanna di entrambi i convenuti (in solido tra loro) al risarcimento del danno cagionatogli, da quantificarsi in euro 133.619,47. La dott.ssa (...) e il dott. (...) si costituivano in giudizio l'8/11/2019 mediante il deposito di una comparsa, con la quale replicavano nei seguenti termini alle deduzioni attoree: - il rapporto contrattuale concernente la tenuta della contabilità era intercorso tra il sig. (...) e la sola dott.ssa B.; - il ricorrente non aveva assolto il suo onere probatorio, non avendo prodotto in giudizio le scritture contabili della ditta individuale (asseritamente tenute in modo negligente); - la mancanza di prova dell'inadempimento discendeva altresì dal fatto che i rilievi cristallizzati negli avvisi di accertamento avrebbero potuto essere contestati in giudizio, ma il sig. (...) aveva autonomamente deciso di fare ricorso al procedimento di accertamento con adesione (senza premurarsi di esplorare altre vie, come ad esempio quella della c.d. "pace fiscale" di cui infra); - era comunque ravvisabile un concorso di colpa del sig. G., il quale da un lato aveva contribuito alla formazione delle scritture contabili (anche con l'ausilio della propria madre, sig.ra (...), "la quale si teneva in costante contatto con la dipendente dello studio, sig.ra (...), fornendo i dati e la documentazione utile alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi"), e dall'altro lato - con la scelta di promuovere il procedimento di accertamento con adesione - si era precluso non solo la possibilità di contestare in giudizio la pretesa impositiva, ma anche quella di usufruire del condono fiscale varato con il D.L. n. 119 del 2018 (che gli avrebbe consentito di realizzare un risparmio del 50% della somma corrisposta all'Agenzia delle Entrate). Tanto premesso, i convenuti concludevano per il rigetto delle domande attoree e, in subordine, per la riduzione del danno risarcibile ex art. 1227 c.c.; in ogni caso chiedevano l'autorizzazione a chiamare in causa la loro compagnia di assicurazioni ((...) S.A. Rappresentanza G.I.) onde esperire azione di manleva. Con decreto del 15/11/2019 il Giudice concedeva la suddetta autorizzazione e differiva l'udienza di comparizione. Ricevuta la notifica, (...) si costituiva in giudizio il 30/1/2020 mediante il deposito di una comparsa, con la quale da un lato faceva proprie le difese svolte dai convenuti e dall'altro deduceva la carenza di copertura assicurativa, evidenziando come si fosse in presenza di un contratto claims made con validità dal 30/6/2018 in avanti e come gli assicurati avessero contezza della problematica oggetto di causa quantomeno da novembre 2017 (epoca in cui essi avevano promosso il procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra (...)). In ogni caso le polizze prevedevano delle franchigie e comunque la copertura non poteva estendersi alle spese legali di resistenza in giudizio (visto il "patto di gestione della lite" di cui all'art. 28 delle condizioni generali di contratto) né alla restituzione del compenso percepito. Tanto premesso, (...) concludeva invocando il rigetto delle domande attoree nonché il rigetto della domanda di manleva, ferma restando - in estremo subordine - la prospettata riduzione dell'indennizzo assicurativo per le ragioni esposte nel corpo della comparsa. All'udienza del 12/2/2020 il Giudice, ritenendo che le difese svolte dalle parti richiedessero un'istruttoria non sommaria, disponeva il mutamento del rito ex art. 702-ter, comma 3, c.p.c. La fase istruttoria si esauriva con il deposito delle memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., perché il Giudice - con ordinanza del 10/2/2021 - rigettava tutte le istanze istruttorie formulate dalle parti, ritenendo che la causa fosse matura per la decisione. Dunque all'udienza del 6/10/2021 i difensori precisavano le loro conclusioni e il Giudice rimetteva la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito degli scritti difensivi finali. 2. Le domande del sig. (...) sono fondate. 2.1. Dal punto di vista della legittimazione passiva (in senso sostanziale), si osserva che il rapporto contrattuale avente ad oggetto la prestazione da cui è derivato il danno di cui si discute (cioè la tenuta della contabilità dell'impresa individuale "(...)") è intercorso tra il sig. (...) e la sola dott.ssa (...), come si desume dalle parcelle emesse dalla convenuta e prodotte sub 1 fasc. attore. Il dott. (...) non risponde, quindi, ex art. 1218 e 1228 c.c., bensì ai sensi dell'art. 2049 c.c., perché l'attività in questione è stata pacificamente svolta da una sua dipendente, sig.ra (...) (come del resto si evince dalla lettera di contestazione disciplinare prodotta sub 8 fasc. attore, sul cui contenuto si tornerà infra). Su questi profili, del resto, non si registra alcuna contestazione da parte dei convenuti. 2.2. Venendo ora all'inadempimento contrattuale lamentato dal sig. G., occorre innanzitutto considerare che l'attore ha sviluppato specifiche allegazioni volte a illustrare gli aspetti di negligenza che hanno dato luogo all'emissione degli avvisi di accertamento. In particolare, nel ricorso ex art. 702-bis c.p.c. sono state evidenziate le seguenti criticità: - come constatato in sede di verifica ispettiva, la contabilità della ditta individuale era del tutto inattendibile, in quanto caratterizzata dall'anomalia di due libri giornale contenenti annotazioni molto differenti tra loro; - le scritture di fine anno erano addirittura "stravaganti"; - il libro giornale/libro inventari "bollato" e lo stralcio del libro giornale "stampa di prova" utilizzato per la dichiarazione dei redditi riportavano dati contrastanti. In particolare, nel libro giornale "stampa di prova" erano riportati acquisti di merci per un valore superiore alle fatture d'acquisto regolarmente registrate; - il conto cassa a fine anno presentava un saldo negativo in un prospetto, e un saldo negativo in un altro prospetto; - la registrazione delle fatture d'acquisto veniva effettuata in modo estemporaneo, tanto da generare un apparente credito della ditta individuale nei confronti di un fornitore senza contestuale emissione di alcuna nota di credito; - sotto il profilo della registrazione delle fatture attive e degli incassi, spiccavano la mancata registrazione di un incasso da FCA in data 19/12/2012 e la registrazione di un incasso di euro 101.080,61 in data 31/12/2012 in realtà mai avvenuto. Situazioni analoghe erano riscontrabili anche nella contabilità del 2013; - in alcuni casi venivano indicate - quali spese deducibili - voci indeducibili, oppure venivano dedotte percentuali non consentite (es. spese relative al carburante, al lubrificante e alle spese di manutenzione riferibili agli automezzi aziendali: voci dedotte integralmente anziché al 40%, come consentito). Ciò detto, si rammenti che, "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ... Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento" (Cass., Sez. Un., sentenza n. 13533/2001). È dunque decisivo considerare che, a fronte delle specifiche allegazioni attoree, la dott.ssa (...) non ha provato né offerto di provare di aver correttamente adempiuto l'obbligazione assunta con il contratto d'opera intellettuale. A tale proposito si precisa che nessuno dei capitoli di prova per interpello e testi enucleati nella seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. dei convenuti attiene a questo aspetto (di talché le istanze istruttorie reiterate in sede di precisazione delle conclusioni devono essere nuovamente rigettate). Ne discende la configurabilità dell'invocata responsabilità contrattuale della dott.ssa (...), venendo in rilievo l'art. 1228 c.c. (essendosi la convenuta avvalsa dell'opera della sig.ra (...), e non essendo necessario interrogarsi sulla natura giuridica del rapporto tra loro intercorso, sussistendo pacificamente l'assunzione del "rischio specifico" da parte della debitrice: cfr. Cass., sentenza n. 4298/2019). 2.3. Trattandosi senz'altro di inadempimento di non scarsa importanza, in considerazione delle numerose e gravi irregolarità riscontrate nella contabilità (sulle quali, per non appesantire la trattazione, si rinvia a quanto si dirà infra), il contratto d'opera intellettuale - in accoglimento della domanda del sig. (...) - va risolto giudizialmente ex art. 1453 c.c. L'attore ha quindi diritto alla ripetizione del corrispettivo versato, perché l'effetto retroattivo della risoluzione (cfr. art. 1458 c.c.) toglie valore alla causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali già effettuate. Non è contestato che la somma complessivamente pagata dal sig. (...) in favore della dott.ssa (...) ammonti ad euro 7.600,00 (come emerge anche dalle parcelle prodotte sub (...) fasc. attore). Dal punto di vista degli "accessori", si osserva innanzitutto che la fattispecie va esaminata sotto la lente di ingrandimento rappresentata dalla disciplina dell'istituto dell'indebito oggettivo, perché, come si è detto, sono venute meno le giustificazioni causali delle attribuzioni patrimoniali effettuate dal sig. (...). In sede di applicazione dell'art. 2033 c.c. la giurisprudenza ha chiarito che, qualora la prestazione abbia avuto per oggetto denaro o suoi rappresentativi, il debito di restituzione è di valuta (Cass., sentenza n. 195/1995). Spettano all'attore, dunque, solo gli interessi al tasso legale e non anche la rivalutazione monetaria. Dal punto di vista del dies a quo si rammenti che colui il quale ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno del pagamento, se chi l'ha ricevuto era in malafede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda. La giurisprudenza ha precisato che anche nella fattispecie di indebito oggettivo trova applicazione il principio secondo cui la buona fede si presume (Cass., sentenza n. 10815/2013; Cass., sentenza n. 10297/2007; Cass., sentenza n. 11259/2002). Nel caso in esame il sig. (...) non ha svolto alcuna specifica deduzione in punto malafede della dott.ssa (...), e comunque dagli atti non emergono elementi idonei a smentire la presunzione di buona fede. Quindi gli interessi devono essere conteggiati dal giorno della domanda. Sul punto le Sezioni Unite hanno precisato che, "In tema di ripetizione dell'indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l'espressione dal giorno della "domanda", contenuta nell'art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219 c.c." (Cass., Sez. Un., sentenza n. 15895/2019). Nella specie, le PEC prodotte sub 10 fasc. attore non assurgono ad atti idonei a costituire in mora la dott.ssa (...), non contenendo richieste di pagamento ma soltanto solleciti a prendere contatto con il difensore dell'odierno attore per "definire le modalità di ristoro dei danni" dallo stesso patiti. Ne discende che la costituzione in mora non può che farsi risalire alla data in cui la convenuta ha ricevuto la notifica del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. unitamente al decreto di fissazione della prima udienza. Questa data non emerge dagli atti, perché non sono stati prodotti ricorso e decreto notificati; è però certo che la vocatio in ius dei convenuti non può essere avvenuta successivamente all'8/11/2019, data in cui essi si sono costituiti in giudizio. Proprio l'8/11/2019, dunque, rappresenta il dies a quo per il calcolo degli interessi. 2.4. Esaurito il ragionamento relativo alla domanda di risoluzione e alla restituzione del corrispettivo, va ora affrontata la questione del risarcimento del danno. Visto che sotto questo profilo il sig. (...) ha invocato la responsabilità solidale dei convenuti, occorre rammentare che il dott. (...) risponde ex art. 2049 c.c.; quindi il ragionamento svolto nel paragrafo 2.3 a proposito della posizione della dott.ssa (...) va integrato come segue, gravando sull'attore l'onere di provare i presupposti della responsabilità aquiliana dell'altro convenuto, e segnatamente l'illecito commesso dalla dipendente dello studio professionale. In quest'ottica si osserva che il sig. (...) ben può giovarsi della relevatio ab onere probandi in cui si sostanzia il principio di non contestazione, visto che il dott. (...) non ha in alcun modo negato che la sig.ra (...) abbia tenuto la contabilità in modo negligente. Né - a ben vedere - avrebbe potuto farlo in modo convincente, visto il tenore della già citata lettera di contestazione disciplinare prodotta sub (...) fasc. attoreo. Tale missiva, proveniente dall'odierno convenuto e recante la data del 28/11/2017, così recita: "? le contestiamo quanto segue: grave negligenza nella gestione della contabilità della ditta (...) di (...) affidata a lei da lungo tempo, emersa in seguito all'accertamento fiscale da parte dell'Agenzia delle Entrate dove è stata presentata una documentazione alterata e inattendibile provata da stampe di prova dei libri contabili, nello specifico: a) mancata tenuta di tutta la documentazione fiscale dall'anno 2011 al 2013 (libro giornale, libro inventario, registri iva e altro), nonché dal 2014 al 2016 b) rilevazioni contabili assolutamente incomprensibili senza acquisizione di idonea documentazione giustificativa c) scritture contabili anomale e "stravaganti" di fine anno assolutamente incomprensibili d) registrazioni doppie senza senso e) disallineamento nel riporto dati (...) L'accertamento fiscale in capo alla ditta (...) di (...) è tutt'oggi in corso con rilevanti contestazioni da parte dell'Agenzia Entrate Direzione Provinciale II Di Torino pertanto non abbiamo ancora ricevuto una quantificazione dell'ammontare del debito (...)". Peraltro, anche a voler prescindere dall'operatività del principio di non contestazione e dal valore probatorio della lettera di contestazione disciplinare, occorre comunque constatare che l'irregolare tenuta della contabilità emerge dalla documentazione prodotta dal sig. (...) a sostegno della sua pretesa, e precisamente: - dal processo verbale di constatazione in data 24/10/2017 prodotto sub 4 fasc. attore; - dagli avvisi di accertamento nn. (...) e (...) prodotti rispettivamente sub 2 e 3, emessi sulla scorta delle risultanze del summenzionato processo verbale nonché a seguito dell'accoglimento delle osservazioni svolte dallo stesso dott. (...) nella memoria difensiva prodotta sub (...) (atteso che l'odierno convenuto ha assunto le difese del sig. (...) in sede di accertamento ispettivo, non contestando in radice gli esiti delle verifiche ma limitandosi a formulare puntuali rilievi critici i quali - sebbene condivisi dall'Agenzia delle Entrate - non hanno permesso all'odierno attore di evitare il danno patrimoniale di cui si discute in questa sede); - dai verbali ispettivi, dalle scritture contabili e dalla perizia stragiudiziale prodotti (sub (...) - (...)) a corredo della seconda memoria attorea ex art. 183, comma 6, c.p.c. Sussiste, quindi, l'illecito colposo della dipendente del dott. (...), concretizzatosi - come acclarato in sede di verifica ispettiva sfociata nell'emissione degli avvisi di accertamento - nella negligente tenuta della contabilità della ditta individuale del sig. (...). Lo stesso è a dirsi quanto al nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni affidate alla sig.ra (...) e l'evento dannoso, perché l'incombenza affidata lo ha reso possibile (Cass., sentenza n. 20924/2015) e configurandosi non certo una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass., sentenza n. 1516/2007), ma, anzi, una prestazione lavorativa rientrante a pieno titolo nell'incarico affidato alla dipendente (come si desume dalla contestazione disciplinare). Ricorrendo tutti i presupposti di applicabilità dell'art. 2049 c.c., sussiste la responsabilità extracontrattuale del dott. (...) (invocata dall'attore, sia pure in via subordinata). 2.5. Il danno subito è stato quantificato dal sig. (...) facendo correttamente riferimento ai soli importi versati a titolo di sanzioni e interessi, e cioè in complessivi euro 133.619,47 (nemmeno su questo punto, del resto, si registrano contestazioni da parte dei convenuti). Vanno disattese le argomentazioni svolte dalla dott.ssa (...) e dal dott. (...) in punto riduzione del danno risarcibile. Siffatta riduzione non può avvenire ex art. 1227, comma 1, c.c., cioè sulla base del prospettato concorso di colpa del danneggiato. Infatti: - i convenuti hanno dedotto che il sig. (...) avrebbe sostanzialmente collaborato (con l'ausilio di sua madre, sig.ra (...)) alla formazione delle scritture contabili, concorrendo, così, alla negligente tenuta della contabilità della ditta individuale; - quand'anche ciò fosse effettivamente avvenuto, si tratterebbe di una circostanza irrilevante, perché il sig. (...) si è rivolto allo studio professionale proprio per sopperire alla sua incapacità di tenere la contabilità della ditta individuale (che rendeva indispensabile l'affidamento alla competenza tecnica altrui); - dalle stesse allegazioni svolte dai convenuti, peraltro, non risulta che il sig. (...) si sia reso responsabile dell'inosservanza dei più elementari canoni di prudenza e oneri di cooperazione (arg. ex Cass., sentenze nn. 9892/2016, 8394/2016 e 18613/2015, che hanno delineato i limiti entro i quali può parlarsi di concorso di colpa dell'investitore nell'ottica della riduzione del risarcimento dovuto dall'intermediario finanziario inadempiente). I convenuti non possono utilmente invocare nemmeno il secondo comma del citato art. 1227 c.c. Infatti: - non è sostenibile che il sig. (...), prima di attivare il procedimento di accertamento con adesione, avrebbe dovuto verificare la possibilità di usufruire della c.d. "pace fiscale": il D.L. n. 119 del 2018 è stato emanato il 23/12/2018, mentre gli avvisi di accertamento di cui si discute (che costituiscono, si rammenti, atti impositivi immediatamente esecutivi) sono stati notificati all'odierno attore il 27/12/2017; - nemmeno è sostenibile che il sig. (...) avrebbe dovuto impugnare gli avvisi di accertamento per contestare la pretesa impositiva: prima di tutto, in linea generale esula dalla diligenza richiesta dall'art. 1227, comma 2, c.c. l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria (Cass., ordinanza n. 3797/2019, nonché Cass., sentenze nn. 470/2014 e 10895/2010); in secondo luogo, lo stesso dott. (...) - come già detto - ha assunto le difese del sig. (...) in sede di verifica ispettiva e, con la summenzionata memoria prodotta sub (...) fasc. attore, è riuscito a ottenere solo una riduzione della pretesa impositiva, evidentemente perché non vi erano i presupposti per contestarla in radice; in terzo luogo, i convenuti non hanno indicato sotto quali profili e con quali motivazioni il sig. (...) avrebbe potuto fruttuosamente impugnare in sede giudiziale gli avvisi di accertamento, così contravvenendo a un loro specifico onere (cfr. in tal senso la motivazione della sentenza citata alle pagg. 8 e ss. della comparsa di costituzione e risposta). 2.6. Chiarito che il danno risarcibile non può essere ridotto ex art. 1227 c.c., occorre altresì precisare che lo stesso deve gravare su entrambi i convenuti, in solido tra loro. Come è noto, i presupposti della solidarietà passiva sono, oltre alla pluralità soggettiva (di debitori), l'idem debitum e la eadem causa obligandi. Non è necessario affrontare le numerose questioni sottese al requisito dell'idem debitum, perché nel caso di specie la prestazione dovuta è unica (i.e. pagamento del sopra indicato importo di euro 133.619,47). Quanto alla eadem causa obligandi, giova rammentare che il titolo (cioè la fonte del rapporto obbligatorio) di regola è unico e quindi comune alle parti, ma, secondo la prevalente dottrina e la consolidata giurisprudenza, la pluralità di titoli non osta alla solidarietà quando tra di essi sussista uno stretto nesso di interdipendenza (cfr. Cass., sentenza n. 2120/1996; Cass., sentenza n. 13022/1995). Addirittura il principio secondo cui i condebitori sono tenuti in solido, ove dalla legge non risulti altrimenti, non è escluso dal fatto che i titoli della responsabilità facente capo agli obbligati siano diversi, l'uno di natura contrattuale e l'altro di natura extracontrattuale (cfr. Cass., sentenza n. 18939/2007). Si consideri poi che la responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale, sussiste anche se l'evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, con diverso grado di efficienza causale (cfr. Cass., sentenza n. 15431/2005). Di certo, dunque, la solidarietà passiva sussiste nel caso di specie, caratterizzato dal fatto che l'evento dannoso è causalmente riconducibile all'operato di un soggetto (sig.ra (...)) del quale entrambi i convenuti devono rispondere in virtù del principio cuius commoda, eius et incommoda (sia pure declinato nell'art. 1228 c.c. quanto alla dott.ssa (...) e nell'art. 2049 c.c. quanto al dott. (...)), a nulla rilevando il diverso titolo della responsabilità (rispettivamente contrattuale ed extracontrattuale). 2.7. Dunque i convenuti, da considerarsi obbligati in solido, vanno condannati al pagamento in favore del sig. (...) della somma di euro 133.619,47. Si precisa che, trattandosi di somma liquidata a titolo risarcitorio, si è in presenza di un debito di valore (cfr. Cass., sentenza n. 2335/2001; Cass., sentenza n. 2534/1982; Cass., sentenza n. 4776/1980, secondo le quali l'obbligazione di risarcimento del danno non costituisce un debito di valuta neppure quando il danno consiste nella perdita di una somma di denaro). Per calcolare gli "accessori di legge" occorre dunque applicare il criterio messo a punto nella nota sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell'illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Si precisa che, secondo la più attenta giurisprudenza, questo criterio vale non solo in caso di illecito aquiliano, ma anche in caso di illecito contrattuale (Cass., sentenza n. 11265/1997). Occorre però considerare che il sig. (...) ha provato di aver effettivamente corrisposto la somma di euro 44.354,93 a titolo di sanzioni per l'anno 2012 e la somma di euro 43.827,54 a titolo di sanzioni per l'anno 2013 (cfr. docc. 5 e 6 fasc. attore), ma non ha dimostrato di aver onorato il piano di rateizzazione in 120 tranches accordato dall'Agenzia delle Entrate con riferimento alle somme dovute a titolo di tributi e interessi (cfr. doc. 11 fasc. attore). Ciò non incide sulla risarcibilità del danno nella parte eccedente la somma corrisposta a titolo di sanzioni, perché, quand'anche il sig. (...) non avesse versato quanto dovuto a titolo di interessi, il pregiudizio patrimoniale sarebbe comunque di certa (benché futura) verificazione. La mancata produzione dei documenti comprovanti il pagamento degli interessi incide semplicemente sugli "accessori", nel senso che, mancando il dies a quo al quale ancorare il decorso di rivalutazione monetaria e interessi compensativi, queste voci non possono essere liquidate in sentenza. Viceversa, rivalutazione e interessi devono essere calcolati sulle somme effettivamente corrisposte (di cui ai citati docc. 5 e 6 fasc. attoreo, dai quali si evince che le sanzioni - per complessivi euro 88.182,47 - sono state interamente versate il 25/5/2018). In conclusione sulla somma di euro 88.182,47, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dal 25/5/2018 (giorno dell'esborso) fino alla data di deposito della sentenza, vanno conteggiati gli interessi compensativi al tasso legale. L'importo così calcolato ammonta ad euro 96.188,47 (corrispondente a capitale + rivalutazione + interessi). Al suddetto importo va sommato quello di euro 45.437,00, dovuto a titolo di interessi (sul quale, per le ragioni anzidette, non è possibile calcolare rivalutazione monetaria e interessi compensativi). L'importo finale dovuto ammonta quindi ad euro 141.625,47. È bene precisare che l'attore, nelle sue conclusioni, non ha chiesto gli "accessori di legge", ma la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: "Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito (...), hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall'art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria del danno medesimo (che, per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale). Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria - quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni - e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l'altro anche se nonespressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione" (Cass., sentenza n. 18243/2015). Spettano infine al sig. (...) gli interessi corrispettivi, da calcolare al tasso legale sulla somma finale sopra indicata (euro 141.625,47) a partire dalla data di deposito della sentenza fino al soddisfo. 3. Venendo ora alle domande di manleva proposti dai convenuti nei confronti della terza chiamata, si osserva quanto segue. 3.1. La copertura assicurativa invocata dalla dott.ssa (...) non sussiste con riferimento alla restituzione del corrispettivo conseguente alla risoluzione del contratto d'opera intellettuale. Infatti l'art. 1 delle condizioni di polizza, rubricato "Oggetto dell'Assicurazione", recita (cfr. doc. 1 fasc. convenuti): "L'Assicurazione è prestata per la responsabilità civile ai sensi di legge derivante all'Assicurato nell'esercizio dell'attività professionale connessa con la sua qualità di Dottore Commercialista ed Esperto Contabile svolta nei modi e nei termini previsti dal D.Lgs. n. 139 del 28 giugno 2005 e successive modifiche legislative e/o regolamenti, nonché da ogni altra norma di Legge applicabile. La Società si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di ogni somma che questi sia tenuto a pagare o a rimborsare a terzi, compresi i clienti, i mandanti, i committenti e coloro dai quali ha ricevuto l'incarico, a titolo di risarcimento per danni colposamente cagionati a ragione di negligenza o imprudenza o imperizia lievi o gravi, dei quali sia civilmente responsabile nell'esercizio delle sue attività ...". Ne discende che il rischio assicurato consiste nel danno che il professionista possa aver cagionato a terzi, o al proprio cliente, per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività di commercialista ed esperto contabile; esula dall'oggetto del contratto, quindi, l'obbligazione restitutoria derivante dalla risoluzione del contratto per inadempimento del professionista. La domanda della dott.ssa (...) va pertanto rigettata in parte qua. 3.2. Al contrario, la copertura assicurativa sicuramente sussiste con riferimento ai danni riportati dal sig. (...) in conseguenza della negligente tenuta della contabilità. Non ha pregio, infatti, l'argomento difensivo di (...), secondo cui l'indennizzo non sarebbe dovuto perché - essendosi in presenza di un contratto claims made con validità dal 30/6/2018 in avanti - gli assicurati avrebbero avuto contezza della problematica oggetto di causa quantomeno da novembre 2017 (epoca in cui essi avevano promosso il procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra R.). A tale proposito si osserva che l'art. 2 delle condizioni di polizza (rubricato "Inizio e termine della garanzia") recita: "L'Assicurazione vale per i Sinistri pervenuti all'Assicurato per la prima volta e notificati all'Assicuratore nel corso del periodo di efficacia dell'Assicurazione, a condizione che tali Sinistri siano conseguenti a comportamenti colposi posti in essere durante il periodo di assicurazione o di retroattività riportato nel frontespizio della presente polizza e che non siano ancora note o conosciute al Contraente e/o Assicurato". Ebbene: nel frontespizio della polizza è riportata, sotto la voce "Data di Retroattività", la dicitura: "Illimitata"; quindi non rileva che il comportamento colposo sia stato posto in essere prima del periodo di assicurazione (il quale, stando alla voce n. 3 del frontespizio, ha avuto inizio il 30/6/2018). Vista la retroattività illimitata, non rileva nemmeno che - prima della data del 30/6/2018 - i convenuti fossero a conoscenza della problematica causata dalla sig.ra (...) (come si desume dalla più volte citata lettera di contestazione disciplinare prodotta sub (...) fasc. attore, recante la data del 28/11/2017). Oltretutto, viste le già menzionate diffide stragiudiziali prodotte sub (...) fasc. attore, i convenuti non risultano essere stati destinatari di alcuna doglianza da parte del sig. (...) prima del 7/2/2019. Infine non rileva che la "circostanza nota" in esame non sia stata indicata dagli assicurati nei questionari prodotti sub (...) e (...) fasc. terza chiamata, perché (...) non ha invocato i rimedi di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c. 3.3. Chiarito che la copertura assicurativa sussiste, occorre delimitare l'ambito della manleva invocata dai convenuti. A tale proposito giova richiamare il seguente principio di diritto: "L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali: (a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice; (b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea; (c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute perconvenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato" (Cass., ordinanza n. 10595/2018). Alla luce dell'insegnamento della Suprema Corte, bisogna ragionare nei seguenti termini: - le "spese di soccombenza" vengono certamente in rilievo ai fini della presente decisione, perché, come si dirà nel paragrafo 4, i convenuti devono essere condannati alla rifusione delle spese di lite sostenute dal sig. (...). Secondo l'ordinanza n. 10595/2018 citata poc'anzi, tali spese "? non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall'assicurato, e perciò l'assicurato ha diritto di ripeterle dall'assicuratore, nei limiti del massimale". I convenuti hanno pertanto diritto ad essere tenuti indenni dalla propria compagnia assicuratrice con riferimento al relativo esborso; - quanto alle "spese di chiamata in causa dell'assicuratore", esse "? non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c." (cfr. ancora la sopra citata ordinanza n. 10595/2018). Anche sotto tale profilo, pertanto, si rinvia a quanto si dirà nella opportuna sedes materiae, cioè nel paragrafo 4; - si considerino in ultimo le "spese di resistenza". Secondo la sopra citata ordinanza della Cassazione, esse "... non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenuteper un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore. Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall'art. 1917, comma terzo, c.c.". Ciò premesso, ai fini della presente sentenza la questione delle spese di resistenza (la cui rifusione è stata invocata dai convenuti, i quali hanno chiesto di essere tenuti indenni da "qualsivoglia conseguenza negativa derivante dal presente giudizio") va risolta tenendo presente che, come ha correttamente osservato (...), le polizze prevedevano - all'art. 30 - un "patto di gestione della lite" che non è stato onorato dai professionisti, i quali si sono costituiti in giudizio con il ministero di un legale autonomamente incaricato. Ebbene: come ha chiarito la Suprema Corte (cfr. Cass., ordinanza n. 14107/2019), il patto in questione costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell'obbligo di rimborso delle spese di resistenza sancito dall'art. 1917, comma 3, c.c.; per dare adempimento a questo patto, l'assicurato deve nominare l'avvocato indicato dall'assicuratore e rilasciargli apposito mandato, cosa che non è avvenuta nel caso di specie (benché l'art. 30 cit. prevedesse in capo all'assicurato la facoltà di "suggerire" all'assicuratore il nominativo di un difensore gradito). Si configura, pertanto, un inadempimento contrattuale degli assicurati dott.ssa (...) e dott. (...), con la conseguenza per cui (...) può legittimamente rifiutarsi - ex art. 1460 c.c. - di rimborsare le spese di resistenza sostenute dai convenuti. 3.4. Per concludere l'esame della questione, va detto che (...) Groupama ha correttamente invocato la franchigia prevista nelle condizioni di polizza, pacificamente stabilita in euro 500,00 quanto alla posizione della dott.ssa (...) e in euro 750,00 quanto alla posizione del dott. B.. Visto che i convenuti (per ragioni esposte supra) sono obbligati in solido nei confronti del sig. G., la conclusione che precede - concernente i limiti dell'indennizzo che dovrà essere corrisposto in loro favore - va coordinata con il seguente principio di diritto: "In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso in cui l'assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, nei limiti del massimale, non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell'assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma concerne l'intera obbligazione dell'assicurato nei confronti del terzo danneggiato, ivi compresa quella relativa alle spese processuali cui l'assicurato, in solido con il coobbligato, venga condannato in favore del danneggiato vittorioso, solo in tal modo risultando attuata - attraverso la conformazione della garanzia sulla obbligazione - la funzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile di liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento, ferma restando la surroga dell'assicuratore, ex art. 1203, n. 3, cod. civ., nel diritto di regresso dell'assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale" (Cass., sentenza n. 20322/2012; cfr. anche Cass., sentenza n. 8686/2012). 4. Venendo in ultimo alle questioni relative alle spese di lite, si consideri quanto segue. 4.1. Per quanto riguarda il rapporto processuale intercorso tra l'attore e i convenuti, in ossequio al criterio oggettivo della soccombenza (e non ravvisandosi "gravi ed eccezionali ragioni" ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. così come manipolato dalla sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale) le relative spese di lite devono gravare integralmente sulla dott.ssa (...) e sul dott. (...), da considerarsi obbligati in solido in virtù del loro "interesse comune" ex art. 97, comma 1, c.p.c. Per la liquidazione del compenso del difensore del sig. (...) occorre avere riguardo ai parametri stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 per i giudizi ordinari di cognizione dinanzi al tribunale di valore compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00. Le caratteristiche delle questioni di fatto e di diritto trattate (certo non semplici, ma nemmeno troppo complesse) inducono a liquidare importi corrispondenti ai valori medi previsti per le fasi di studio, introduttiva e decisionale. Invece, visto che la fase istruttoria si è esaurita con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., per il corrispondente segmento processuale si stima congruo riconoscere un importo inferiore al valore medio. Il tutto secondo il seguente schema: fase di studio euro 2.430,00 fase introduttiva euro 1.550,00 fase istruttoria euro 2.970,00 fase decisionale euro 4.050,00 Si perviene così alla liquidazione del compenso di euro 11.000,00, al quale vanno aggiunti, oltre alle spese non imponibili (solo contributo unificato e marca, non essendo state documentate le spese di notifica), il 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge. 4.2. Per quanto riguarda il rapporto processuale intercorso tra la dott.ssa (...) e (...), le "spese di chiamata in causa dell'assicuratore" vanno distribuite sulla scorta del seguente principio di diritto: "La regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell'unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento" (Cass., sentenza n. 3438/2016). Nel caso di specie si è verificata un'ipotesi di soccombenza reciproca, perché (...) ha ottenuto ragione dal punto di vista dell'insussistenza della copertura assicurativa relativa all'obbligazione restitutoria, nonché in merito all'applicabilità della franchigia (che ha determinato una riduzione del quantum). In ipotesi di tal fatta, la distribuzione del carico delle spese deve avvenire sulla base del seguente criterio: "Occorre cioè procedere alla individuazione della parte cui siano eventualmente imputabili in prevalenza, per avervi dato causa, agendo o resistendo alle altrui pretese infondatamente, gli oneri processuali ricollegabili all'attività svolta per la istruzione e decisione delle varie domande proposte, o dei vari capi dell'unica domanda, o anche dell'unica domanda che sia risultata solo in parte fondata" (cfr. già citata Cass., sentenza n. 3438/2016, in motivazione). Si tratta, cioè, di fare applicazione del principio di causalità, del quale la soccombenza costituisce solo un'applicazione ovvero un elemento rivelatore, secondo una tesi autorevolmente sostenuta in dottrina e giurisprudenza (cfr. Cass., sentenza n. 3438/2016; Cass., sentenza n. 8329/2011; Cass., sentenza n. 13430/2007; Cass., sentenza n. 5539/1986). In base al principio in questione, la distribuzione del carico delle spese di lite presuppone che il giudice risalga al fatto causativo del giudizio e quindi identifichi la parte che, avendo causato determinati costi, è tenuta a sopportarli. Si osserva allora che l'origine del presente giudizio deve essere interamente imputata ad (...), la quale ha resistito in giudizio con difese rivelatesi infondate in ordine alla questione dirimente, in quanto economicamente preponderante (sussistenza della copertura assicurativa con riferimento all'obbligazione risarcitoria sorta a seguito della negligente tenuta della contabilità della ditta individuale dell'attore). In effetti la questione dell'obbligazione restitutoria, e a maggior ragione quella relativa alla franchigia, hanno inciso in misura non significativa sull'esito del giudizio, vista la notevole sproporzione dei valori economici in gioco (si rammenti che l'importo dell'obbligazione risarcitoria, per la quale opera la copertura assicurativa, ammonta ad euro 141.625,47 oltre a interessi). Ne discende che (...) deve essere condannata alla integrale rifusione delle "spese di chiamata in causa" sostenute dalla dott.ssa B.. 4.3. La stessa conclusione si impone a fortiori con riferimento alla posizione dell'altro convenuto: anche in questo caso si configura una soccombenza reciproca, vista l'applicabilità della franchigia, ma il dott. (...) è estraneo alla questione dell'obbligazione restitutoria (con riferimento alla quale non sussiste la copertura assicurativa); quindi (...) va senz'altro condannata alla rifusione delle "spese di chiamata in causa" da lui sostenute. 4.4. Le conclusioni sopra raggiunte con riferimento al rapporto processuale intercorso tra i convenuti e (...) non mutano nemmeno considerando la questione delle "spese di resistenza". A tale proposito si osserva in primo luogo che tali spese, pur incluse nella generica formulazione delle conclusioni dei convenuti (i quali, lo si ribadisce, hanno chiesto di essere tenute indenni da "qualsivoglia conseguenza negativa derivante dal presente giudizio"), non sono state espressamente rivendicate; in secondo luogo, e soprattutto, va ancora una volta sottolineato che la questione dirimente - in quanto economicamente preponderante - non può che essere individuata in quella concernente la sussistenza della copertura assicurativa in ordine all'obbligazione risarcitoria, quindi il principio di causalità depone senz'altro nel senso della conclusione sopra raggiunta (secondo cui il carico delle "spese di chiamata" deve gravare integralmente sulla Compagnia). 4.5. Tutto ciò premesso, anche per la liquidazione del compenso del difensore dei convenuti occorre avere riguardo ai parametri stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 per i giudizi ordinari di cognizione dinanzi al tribunale di valore compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00. Le questioni di fatto e di diritto afferenti alla "chiamata in causa" sono di minor complessità rispetto a quelle inerenti al rapporto processuale intercorso tra attore e convenuti, quindi si stima congruo liquidare importi inferiori ai valori medi non solo per la fase istruttoria (la quale, come già detto, si è esaurita con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.), ma anche per le fasi di studio, introduttiva e decisionale. Il tutto secondo il seguente schema: fase di studio euro 2.000,00 fase introduttiva euro 1.000,00 fase istruttoria euro 2.900,00 fase decisionale euro 3.100,00 Si perviene così alla liquidazione del compenso di euro 9.000,00, al quale vanno aggiunti, oltre alle spese non imponibili (contributo unificato), il 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Non si fa luogo all'aumento discrezionale di cui all'art. 4, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, vista la sostanziale sovrapponibilità delle posizioni dei due convenuti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: Accoglie le domande proposte dal sig. (...) e conseguentemente: - dispone la risoluzione per inadempimento del contratto d'opera intellettuale stipulato dall'attore con la dott.ssa B.; quindi dichiara quest'ultima tenuta, e per l'effetto la condanna, al pagamento in favore del sig. (...) - a titolo di restituzione del corrispettivo percepito - della somma di euro 7.600,00, oltre agli interessi al tasso legale calcolati dall'8/11/2019 fino al saldo effettivo; - dichiara la dott.ssa (...) e il dott. (...) tenuti in solido, e per l'effetto li condanna, al pagamento in favore del sig. (...) - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale - della somma di euro 141.625,47, oltre agli interessi al tasso legale calcolati dalla data di deposito della presente sentenza fino al saldo effettivo; Accoglie parzialmente le domande di manleva proposte dalla dott.ssa (...) e dal dott. (...) nei confronti di (...) e conseguentemente dichiara quest'ultima tenuta, e per l'effetto la condanna, a manlevare e tenere indenne gli assicurati da ogni e qualsiasi esborso che i medesimi fossero costretti ad affrontare in conseguenza della presente pronuncia a titolo di capitale, accessori e "spese di soccombenza", ad esclusione delle "spese di resistenza" e fatta salva l'operatività delle franchigie contrattualmente previste (pari ad euro 500,00 per la posizione della dott.ssa (...) e ad euro 750,00 per la posizione del dott. B.); Con riferimento al rapporto processuale intercorso tra il sig. (...) e i convenuti, condanna questi ultimi (da considerarsi obbligati in solido) alla integrale rifusione delle spese di lite sostenute dall'attore, che si liquidano in euro 406,50 per spese non imponibili e in euro 11.000,00 per compenso professionale ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. cit., I.V.A. e C.P.A. come per legge; Con riferimento al rapporto processuale intercorso tra i convenuti e (...), condanna quest'ultima alla integrale rifusione delle "spese di chiamata in causa dell'assicuratore" sostenute dagli assicurati, che si liquidano in euro 379,50 per spese non imponibili e in euro 9.000,00 per compenso professionale ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. cit., I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Ivrea il 25 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022.

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