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  • TRIBUNALE DI IVREA in composizione collegiale Nella persona dei magistrati: Dott.ssa Stefania Frojo - Presidente Dott. Alessandro Petronzi - Giudice Dott.ssa Federica Lorenzatti - Giudice est. ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 2931/2019 promossa da: B. S.n.c. di B.D. e C., con sede in P. (N.) Viale dei T. n. 17 iscritta nel registro delle imprese di N., codice fiscale (...), in persona del socio amministratore e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, dagli avvocati S.B., domiciliata a Milano, via ... e dall'avv. M.A. R., giusta procura in calce all'atto di citazione; - ATTRICE - contro: la Sig.ra R.S., (C.F. (...)) residente in V. (T.), Via M. n. 16, rappresentata e difesa dall'avv. ... del Foro di Torino ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Torino, C.so ..., giusta procura rilasciata in calce alla comparsa di costituzione e risposta; - CONVENUTA - e contro: F.C., nato a C. (T.) il giorno (...), residente in C. (V.), via F. n. 33, c.f. (...); - CONVENUTO CONTUMACE- avente per oggetto: l'azione revocatoria e in via surrogatoria l'azione di riduzione Svolgimento del processo - Motivi della decisione All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). Con atto di citazione, ritualmente notificato, la B. S.n.c. di B.D. e C. ha evocato in giudizio la sig.ra R.S. e il sig. C.F. titolare dell'omonima Azienda Agricola al fine di sentire accogliere le conclusioni sopra articolate. Parte attrice ha premesso di essere creditrice della somma di Euro 45.302,35 nei confronti del sig. C.F. in forza decreto ingiuntivo esecutivo n. 426/2015 emesso dal Tribunale di Novara in data 01.04.2015 e di avere tentato invano plurime esecuzioni immobiliari nei riguardi di F.C. al fine di vedere soddisfatto il proprio credito senza sortire alcun esito positivo a causa delle complesse triangolazioni di denaro e trasferimenti dei crediti dell'azienda agricola. Deduceva ancora l'attrice che tutte le esecuzioni intraprese erano esitate negativamente non riuscendo ad aggredire il patrimonio del debitore e di aver appreso nel frattanto (in seguito ad alcune verifiche) che al decesso del signor A.C. (padre del debitore), avvenuto il 18 novembre 2015, i signori F.C. e R.S. (rispettivamente marito e moglie) avevano acquistato iure hereditatis la proprietà dei terreni già di proprietà del sig. A.C.. In particolare, evidenziava l'attrice che dalla denuncia di successione (trascritta in data 4 ottobre 2017 - R.G. 50846 R.P. 34318) risultava che il signor A.C. avesse trasmesso agli eredi i seguenti beni immobili, come di seguito suddivisi: a) al figlio, F.C.: porzione di 1/2 di proprietà delle Unità censite al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particella (...); - porzione di 1/2 di proprietà delle Unità censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...) e (...). b) alla nuora, R.S.: - l'intera proprietà delle Unità censite al Catasto Fabbricati del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particella (...), sub. (...), Foglio (...), particella (...), sub. (...), Foglio (...), particella (...), sub. (...); - intera proprietà delle Unità censite al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particella (...); - intera proprietà delle Unità censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...) Precisava ancora l'attrice che -sempre da verifiche eseguite presso i registri immobiliari- aveva appreso che il F.C. con atto notarile pubblico di accettazione tacita di eredità a rogito del notaio M.C.D.C. in data (...), rep n. (...), era quindi divenuto proprietario dei predetti beni: unità immobiliari censite al Catasto terreni del Comune di Chivasso (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); unità immobiliari censite al Catasto terreni del Comune di Verolengo (TO), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particella (...), (...), (...) e (...); beni dei quali aveva disposto proprio lo stesso giorno trasferendo la proprietà dei medesimi a titolo gratuito a R.S. con R.N. Dott. M.C.D.C. in data (...), rep n. (...). La predetta cessione a favore della sig.ra R.S. nel rogito notarile veniva contestualizzata quale atto di cessione a tacitazione di ogni pretesa patrimoniale fra i coniugi separati. In particolare, era evidenziata la seguente causale di trasferimento "a titolo di contributo al mantenimento della signora S. e a stralcio di ogni ulteriore pretesa tra le parti in ragione della loro separazione personale", in adempimento di un accordo di separazione consensuale ai sensi dell'art. 710 c.p.c., omologato da codesto Ill.mo Tribunale con decreto del 26 aprile 2016. Parte attrice evidenziava ancora -sotto distinto e connesso profilo- come il sig. A.C. avesse con testamento olografo nominato erede universale la nuora R.S., con un atto di disposizione chiaramente lesivo della quota di legittima del figlio; testamento che -contro ogni probabilità- non era stato né impugnato, né contestato. Concludeva, quindi, parte attrice evidenziando come l'atto di disposizione compiuto dai coniugi (con R.N. Dott. M.C.D.C. in data (...), rep n. (...)) fosse chiaramente lesivo delle ragioni dei creditori e posto in essere con evidente e pervicace intento elusivo dacché non era stata nemmeno presentata la domanda di divorzio fra i sigg. C.S., pur essendo decorso un ampio lasso temporale. Vi erano i presupposti, pertanto, per dichiarare l'inefficacia dell'atto dispositivo venendo in luce tutte le circostanze fattuali per invocare l'azione revocatoria. Del pari, in via subordinata, parte attrice evidenziava, in ogni caso, come vi fosse la possibilità ulteriore per l'odierna creditrice di agire in via surrogatoria e chiedere la riduzione delle disposizioni lesive del testamento olografo del sig. A.C., che avevano danneggiato la quota di legittima del figlio F.C. (e dunque i creditori dello stesso), lasciando quasi l'intero patrimonio relitto a favore del coniuge R.S.. Con comparsa di costituzione e risposta si costituiva in giudizio la sig.ra R.S. contestando in fatto e in diritto quanto ex adverso dedotto ed evidenziando in sintesi che: - l'atto di trasferimento dei cespiti a favore dell'odierna convenuta era avvenuto del tutto legittimamente poiché la stessa S. aveva prestato per lungo tempo prestazioni di lavoro nell'azienda agricola del marito senza ricevere alcun emolumento; - i coniugi separandosi, per ovviare anche ad un contenzioso avanti al giudice del lavoro che avrebbe visto soccombente il C., avevano deciso di comune intesa di stipulare detto rogito (accordo a latere della separazione) in forza del quale il marito aveva trasferito gratuitamente detti cespiti a titolo di contributo al mantenimento e a saldo e stralcio di ogni ulteriore rapporto di debito/credito tra i coniugi; - l'atto, pertanto, non solo non era lesivo dei creditori ma rispettava un nobile intento; - del pari il testamento olografo non poteva dirsi lesivo della quota di legittima del figlio, poiché nello stesso il de cuius dava atto di avere versato cospicui acconti a favore del figlio in vita e che, in ogni caso, allo stesso spettavano molti beni mobili di rilevante valore; beni mai in concreto aggrediti dalla creditrice, pur avendone avuto piena facoltà. Nessuno si costituiva in giudizio per C.F. e ne veniva dichiarata la contumacia. Il Giudice - dopo aver invitato le parti ad esperire la mediazione obbligatoria, conclusasi con esito negativo - concedeva i termini di rito per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 183 co. VI c.p.c. La causa perviene ora in decisione dopo la precisazione delle conclusioni del 28.02.022 e concessione dei termini abbreviati per il deposito di conclusionali e repliche. In via preliminare, occorre dare conto che la presente controversia è riservata alla decisione Collegiale, tenuto conto che l'attrice in via principale ha chiesto, altresì, di agire in riduzione in via surrogatoria, allegando la lesione della quota di legittima del proprio debitore F.C. derivante dalle disposizioni testamentarie assunte dal padre sig. A.C., giusto testamento olografo pubblicato in data (...) Notaio A.D. n. 11306 repertorio, n. (...). Procedendo, però, con ordine verrà esaminata dapprima la domanda di revocatoria e solo in seguito verrà trattata la questione in ordine alla disposizione lesiva. I) L'azione revocatoria La domanda risulta fondata per le ragioni che si illustreranno nel prosieguo. I presupposti soggettivi Sussiste, innanzitutto, la posizione creditoria che legittima la B. S.n.c. di B.D. e C all'esercizio della actio pauliana. Dal doc. n 6 (fasc. attoreo) si evince chiaramente come la società B. snc abbia conseguito nei riguardi di F.C., titolo esecutivo n. 426/2015, in data 1 aprile 2015 emesso dal Tribunale di Novara, in forza del quale ha consacrato il proprio diritto di credito pari ad Euro 45302, 35, oltre interessi e spese di procedura Il prefato titolo risulta mai opposto dal C. e in forza dello stesso sono state radicate in odio al debitore le plurime procedure esecutive per cui è causa. Peraltro, occorre qui rilevare che ai fini del fruttuoso esercizio dell'azione revocatoria, non si richiede che il credito sia consacrato in un titolo esecutivo, essendo anzi sufficiente un credito illiquido, inesigibile oppure addirittura litigioso (cfr. Cass., Sez. Un., ordinanza n. 9440/2004: "Poiché anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare - sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito - l'insorgere della qualità di creditore che abilita all'esperimento dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. ..."). In conclusione, non solo sussiste la situazione giuridica soggettiva che legittima la B. snc all'esercizio dell'actio pauliana, ma anche l'anteriorità del credito stesso rispetto agli atti aggrediti: infatti l'atto dispositivo del patrimonio del C. è stato posto in essere nel mese di ottobre 2017 giusto rogito Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...). Sulle conseguenze di questa ricostruzione cronologica si dirà nel paragrafo dedicato al consilium fraudis. I presupposti oggettivi Il presupposto oggettivo dell'azione revocatoria è rappresentato dal c.d. eventus damni; ovvero il pregiudizio che dall'atto revocando può derivare alle ragioni del creditore. Secondo la giurisprudenza non deve ritenersi necessaria la prospettiva di un danno effettivo ed attuale, bastando che, in conseguenza dell'attività dispositiva posta fraudolentemente in essere dal debitore, si profili il semplice pericolo concreto che il debitore non adempia l'obbligazione e che l'azione esecutiva intentata nei suoi confronti si riveli infruttuosa (in tal senso: Cass., sentenza n. 16464/2009; Cass., sentenza 7452/2000). Quindi l'eventus damni non si concreta necessariamente in un depauperamento del patrimonio del debitore, né tantomeno nella totale compromissione della sua consistenza, potendo risolversi semplicemente in una maggiore difficoltà o incertezza o dispendiosità, per il creditore, nel realizzare quanto dovutogli (così Cass., sentenza n. 19234/2009; Cass., sentenza 27718/2005). Inoltre, il danno (o meglio, il pericolo di danno) può concernere anche la qualità dei beni che formano oggetto della garanzia patrimoniale: rileva, quindi, anche la sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore (immobili) con beni distraibili e non altrettanto facilmente aggredibili dai creditori (cfr. Cass., sentenza n. 25490/2008; Cass., sentenza n. 7767/2007). Nella specie il requisito dell'eventus damni (nell'accezione sopra evidenziata) può dirsi integrato, perché il C. ha disposto dei predetti cespiti (sottraendoli alla garanzia del creditore) cedendoli a tiolo gratuito alla di lui moglie, odierna convenuta e adducendo tale atto dispositivo come non foriero di danni, poiché sarebbero residuati ancora altri beni utilmente aggredibili dalla B. snc. In realtà tale affermazione appare del tutto destituita di fondamento, atteso che non è fornita alcuna prova dell'esistenza reale di beni mobili, utili a soddisfare il credito dell'odierna attrice in capo al F.C. e, del pari, comunque si ha motivo di argomentare che il soddisfacimento del credito appare gravemente compromesso atteso che il debitore si è comunque spogliato dei propri beni sottraendoli alle garanzie dei creditori, beni che secondo un ordine pratico certamente rappresentano una maggior utilità di soddisfacimento rispetto a sparuti beni mobili di cui, peraltro, non si ha contezza del valore. La sig.ra S. ha obiettato che la B. snc avrebbe potuto pur sempre rivalersi sui beni mobili del C.F. ma, in senso contrario, è agevole obiettare che nulla è dato sapere in ordine all'effettivo valore degli stessi, che potrebbe anche essere pari a zero. A tale proposito si osserva che, secondo la giurisprudenza, l'onere probatorio del creditore che agisce in revocatoria si riduce alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l'entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione: a tal punto l'onere della prova dell'insussistenza dell'eventus damni graverà sul convenuto, che dovrà dimostrare l'insussistenza del rischio di una più incerta o difficile soddisfazione del credito in ragione delle ampie residualità patrimoniali del debitore in rapporto all'entità della sua complessiva situazione debitoria (cfr. Cass., sentenza n. 7767/2007; Cass., sentenza n. 15265/2006). In definitiva, spettava al sig. C.F. dimostrare che il suo patrimonio comprendeva altri cespiti immobiliari e/o mobiliari e che, pertanto, gli atti di disposizione patrimoniale aggrediti con l'actio pauliana non possano ritenersi pregiudizievoli. Tale dimostrazione non è stata fornita, perché il convenuto è rimasto contumace e, dunque, non ha allegato, né offerto di provare la consistenza del suo patrimonio; la sig.ra S., dal canto suo, non ha fornito alcun contributo all'indagine. Ne consegue che l'onere probatorio gravante sull'attore deve ritenersi assolto e che l'eventus damni può dirsi integrato. c) L'ATTO DI DISPOSIZIONE SOGGETTO A REVOCATORIA Chiarito quanto precede, occorre soffermarsi sulle peculiari caratteristiche dell'atto dispositivo di cui si discute. Già si è detto in ordine all'idoneità dello stesso ad incidere in senso negativo sulla consistenza (anche in termini qualitativi) della garanzia patrimoniale generica, ma in questa sede occorre approfondire il profilo della sua effettiva revocabilità. Il trasferimento della proprietà degli immobili di proprietà del C. a favore della S. è stato posto in essere in adempimento dell'obbligo assunto dal sig. C.F. in sede di separazione (cfr. rogito prodotto doc. 24 fasc. attoreo pagina 3, che richiama le premesse ove si fa cenno al verbale di separazione consensuale del 12 aprile 2016 innanzi al Tribunale di Ivrea RG 417/2016, omologato con decreto del medesimo Tribunale in data 26.04.2016). Ciò non toglie che l'atto dispositivo in esame sia senz'altro assoggettabile a revocatoria, in ossequio al seguente principio di diritto: "È ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento di un immobile, effettuato da un coniuge a favore dell'altro in ottemperanza a patti assunti in sede di separazione consensuale, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene dovuto solo in conseguenza di un impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l'accordo separativo, in tal caso, costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c." (Cass., sentenza n. 17612/2018; cfr. anche, tra le tante: Cass., sentenza n. 1144/2015; Cass., sentenza n. 1404/2016; Cass., sentenza n. 13364/2015). Il principio enunciato dalla Cassazione costituisce applicazione della regola generale secondo cui la non assoggettabilità ad azione revocatoria dell'adempimento di un debito scaduto, stabilita dall'art. 2901, comma 3, c.c., deve intendersi riferita all'adempimento in senso tecnico e non trova, pertanto, applicazione con riguardo agli atti estintivi dell'obbligazione di natura negoziale, quale ad esempio la datio in solutum. Rimane il problema di stabilire se il trasferimento dei cespiti a favore della S. possa essere qualificato come atto a titolo oneroso ovvero a titolo gratuito. Il dubbio sorge perché l'onerosità dell'atto rilevante ai sensi e per gli effetti dell'art. 2901 c.c. dipende dall'esistenza di un immediato vantaggio patrimoniale in favore del disponente, che non deve necessariamente radicarsi in un contratto a prestazioni corrispettive e nemmeno deve necessariamente corrispondere alla perdita subita, purché sia capace di costituirne la ragione giustificativa. In effetti, come ha chiarito la Suprema Corte: "gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o ai tratti propri della "donazione" e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale" il quale, sfuggendo - in quanto tale - da un lato alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio, e dall'altro a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della "gratuità", in ragione dell'eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale" (Cass., sentenza n. 5741/2004; cfr. anche, tra le tante: Cass., sentenza n. Cass., sentenza n. 11914/2008; Cass., sentenza n. 15603/2005). Non è questa la sede per interrogarsi sull'effettività della crisi coniugale, anche se desta perplessità il tempismo perfetto con cui sono seguiti gli eventi. Peraltro, è significativo notare come dopo l'omologa non sia seguita la domanda di divorzio. Occorre, piuttosto, concentrarsi sul carattere oneroso o gratuito del trasferimento. Il criterio per stabilire in concreto se l'atto dispositivo in esame si inserisca "nell'ambito di una più ampia sistemazione "solutorio-compensativa" di tutti i rapporti aventi riflessi patrimoniali" (Cass., sentenza n. 10443/2019) è stato ben delineato dalla più attenta giurisprudenza di merito, la quale ha rilevato come, nel caso di trasferimento immobiliare effettuato nell'ambito della separazione personale tra coniugi, si sia in presenza di un negozio a titolo oneroso laddove il trasferimento trovi titolo unicamente nei pregressi rapporti di natura economica e nella necessità di darvisi stimazione, e solo nel momento della dissoluzione del vincolo; più precisamente, l'onerosità della attribuzione patrimoniale non può farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma deve emergere dall'esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato da un coniuge al ménage familiare e non adeguatamente rappresentato dalla situazione patrimoniale formalmente in essere fino al momento della separazione (Trib. Frosinone 24/1/2020). Ebbene, nel caso di specie non emerge - a giustificazione della cessione gratuita dei beni - alcuna esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo apportato dalla sig.ra S.. Per meglio dire, pur essendo menzionata la cessione dei beni, per far fronte e retribuire in qualche modo il lavoro svolto dalla moglie all'interno dell'azienda agricola, in realtà non viene allegata alcuna prova della circostanza che tale cessione sia avvenuta per siffatta ragione e che sia vero e reale che la signora non abbia mai percepito redditi. Resta fermo che, in ossequio al criterio della vicinanza della prova, gli elementi utili per effettuare l'operazione di qualificazione giuridica dell'atto dispositivo in esame nel senso dell'onerosità avrebbero dovuto essere forniti dal sig. C.F. che però è rimasto contumace e, pertanto, non ha allegato alcunché. Ed infatti tutte le circostanze rilevanti al fine di quantificare l'eventuale credito della convenuta costituita (ammesso e non concesso che questo credito sia effettivamente sussistente) sono state introdotte soltanto con la seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., quindi dopo il maturare della preclusione per l'attività assertiva. In conclusione, il trasferimento dei cespiti a favore della S. deve considerarsi atto a titolo gratuito (come espressamente dichiarato nel Rogito notarile) e, comunque, privo di reale giustificazione. D) LA POSIZIONE DEL DEBITORE Affinché l'atto venga revocato è necessario, altresì, che il comportamento del debitore sia caratterizzato, sotto il profilo soggettivo, da un intento fraudolento. Tuttavia, in caso di atto di disposizione successivo al sorgere del credito, come nel caso di specie, per aversi consilium fraudis non è necessaria la specifica conoscenza, nel debitore, del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del titolare del credito per la cui tutela la revocatoria è stata proposta, rivelandosi sufficiente l'effettiva consapevolezza del carattere pregiudizievole del proprio comportamento, che investa genericamente la riduzione della consistenza del patrimonio del debitore in pregiudizio dei creditori complessivamente considerati (cfr. Cass., sentenza n. 2792/2002; Cass., sentenza n. 7262/2000; Cass., sentenza n. 987/1989). La prova di tale consapevolezza può essere fornita anche mediante presunzioni (Cass., sentenza n. 17867/2007; Cass., sentenza n. 1759/2006). Nel caso di specie, il consilium fraudis può desumersi con certezza dalle seguenti circostanze, munite di elevato valore sintomatico: - il signor F.C. si è progressivamente spogliato del proprio patrimonio in danno al creditore non appena ricevuta la notifica del titolo esecutivo emesso il 01.04.2015 dal Tribunale di Novara. - con contratto del 16 aprile 2015 F.C. e la moglie R.S. hanno concesso in affitto ultranovennale pro quota tutti i terreni agricoli di loro proprietà all'Azienda A.S. S.r.l., della quale la sig.ra S. è socia e amministratrice (doc. 8 fascicolo attoreo); - con contratto stipulato nella stessa data del 16 aprile 2015 F.C. ha concesso in affitto alla Società A.S. il ramo di azienda della propria impresa individuale, avente ad oggetto i terreni condotti in affitto e i titoli necessari per l'ottenimento dei contributi PAC; anche qui è evidente l'intento elusivo delle ragioni creditorie (doc. (...)); - con atto in data 8 giugno 2015 F.C. ha ceduto tutti i crediti nei confronti dell'Azienda A.S. in favore di B. s.r.l.s., come dichiarato nel proc. esecutivo presso terzi n. 1388/2015 R.G.E. proposto da B. s.n.c. (docc. 12 - 14 fascicolo attoreo); - ed ancora il 18 novembre 2015 è deceduto il signor A.C., padre del debitore e comproprietario dei beni immobili concessi in affitto all'Azienda A.S.; - il 4 ottobre 2017 F.C. e R.S. hanno presentato denuncia di successione, in qualità di eredi del signor A.C. (doc. 21); - in data 19 ottobre 2017 C. e R.S. hanno stipulato atto di accettazione tacita dell'eredità (doc. 23); - con atto stipulato nella stessa data del 19 ottobre 2017 F.C. ha trasferito a R.S. la proprietà di tutti i beni immobili dei quali era proprietario (doc. 24); Le operazioni compiute dimostrano che il signor C. era indubbiamente consapevole del pregiudizio che stava arrecando alle ragioni creditorie di B. s.n.c. e tale consapevolezza, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, integra da sola il presupposto della scientia damni ai sensi dell'art. 2901, n. 1, cod. civ. (Cass. 27 settembre 2018 n. 23326); Gli indizi di cui sopra superano ampiamente la soglia di gravità, precisione e concordanza fissata dall'art. 2729, comma 1, c.c., perciò inducono a ritenere provato che il sig. F.C. fosse consapevole del carattere pregiudizievole del proprio comportamento. Anzi, a ben vedere la cronologia degli eventi è talmente significativa da indurre a ravvisare addirittura la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni di quel determinato creditore, cioè il dolo specifico. Anche a non voler condividere questa conclusione, sarebbe comunque sufficiente considerare che l'atto dispositivo compiuto ha avuto ad oggetto, per quanto consta, gli unici beni immobili di rilievo che confluivano nel patrimonio del sig. C.; quindi - visto lo "svuotamento" della garanzia patrimoniale generica, privata dei beni di maggior valore e facilmente aggredibili - è gioco forza concludere nel senso che l'odierno convenuto era ben conscio del carattere pregiudizievole del proprio comportamento rispetto alla classe dei creditori complessivamente considerati; atteggiamento psicologico, questo, sufficiente ad integrare il consilium fraudis nell'accezione accolta dalla consolidata giurisprudenza sopra citata. L'esigenza di certezza del traffico giuridico impone che, a fronte di un atto di disposizione caratterizzato dall'eventus damni e dal consilium fraudis del debitore, la posizione dei terzi trovi protezione solamente laddove il suo acquisto sia stato a titolo oneroso (e comunque, anche in questo caso, alla sola condizione che essi non siano stati compartecipi dell'intento fraudolento del debitore). Quindi per l'azione revocatoria di atti a titolo gratuito non occorre che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore (Cass., sentenza n. 12045/2010; Cass., sentenza n. 5072/2009; Cass., sentenza n. 29869/2008). Nel caso in esame, per le ragioni esposte sopra, si è in presenza di un atto dispositivo a titolo gratuito, quindi nessuna indagine deve essere espletata in ordine alla partecipatio fraudis della sig.ra S., la quale comunque, tenuto conto delle molteplici circostanze fattuali rappresentate, non si ha ragione di dubitare che fosse perfettamente consapevole di ledere le ragioni creditorie. Sussistendo - con riferimento all'atto contestato con la atcio pauliana - tutti i requisiti richiesti dall'art. 2901 c.c., la domanda della B. snc merita integrale accoglimento. Conseguentemente, devono essere dichiarati inefficaci nei confronti dell'attrice: - l'atto di cessione di diritti reali a titolo gratuito a rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927, con il quale il signor F.C. ha trasferito alla signora R.S. le seguenti unità immobiliari site nei Comuni di Verolengo e Chivasso e precisamente: - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...). II) L'azione surrogatoria ai sensi degli artt. 553 e 2900 c.c. Sempre in via principale la creditrice ha chiesto di esercitare l'azione surrogatoria ai sensi degli artt. 553 e 2900 cod. civ. in relazione alle disposizioni contenute nel testamento olografo del sig. A.C. (pubblicato in data (...) al n. 11306 del repertorio n. (...) della raccolta notaio A.D.D.S.) il quale aveva nominato sua erede universale la signora S.R., estromettendo di fatto in larga parte dall'eredità l'unico figlio F.C.. La domanda astrattamente fondata non può essere accolta stante la genericità delle allegazioni, nonché tenuto conto che non si è in presenza di una vera e propria inerzia del debitore. Ed infatti, pur essendo ammissibile per il creditore agire in via surrogatoria per ottenere la riduzione di una disposizione testamentaria lesiva del patrimonio del proprio debitore, in punto vedasi diffusamente Cassazione civile , sez. II, 20/06/2019, n. 16623 a tenore della quale: "È ammissibile l'esercizio in via diretta dell'azione surrogatoria - prevista dall'art. 2900 c.c. - nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un'interferenza di natura eccezionale - ma legittima - nella sfera giuridica del debitore; infatti, l'azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori, occorre tuttavia che il creditore alleghi specificamente le ragioni del perché la disposizione per cui si agisce in riduzione sia lesiva. Nel merito, ritiene questo Collegio che la domanda risulti infondata perché l'attrice non ha sviluppato allegazioni specifiche in punto lesione di legittima e, quindi, non ha messo in condizione il giudice di accertare il pregiudizio a cui fa riferimento l'articolo 2900 c.c. In punto vedasi la più accorta giurisprudenza di merito, Tribunale, Pesaro 11/08/2005 , n. 604 la quale ha chiarito quanto segue: "premesso che l'azione di riduzione degli atti lesivi della quota di riserva può essere esercitata anche in via surrogatoria, nel caso di specie, manca la dimostrazione - il cui onere grava sui creditori - di uno dei presupposti fondamentali per l'esercizio dell'azione surrogatoria, vale a dire la prova del pregiudizio, derivante alle ragioni dei (figli) creditori, dall'inerzia del genitore debitore, che non ha esercitato l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie per lui lesive. Manca quindi un interesse, in assenza di detta prova, che giustifichi l'ingerenza dei creditori nella sfera giuridica del debitore". D'altra parte, il legittimo esercizio dell'azione surrogatoria postula che, a fini di conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c., il creditore si sostituisca al proprio debitore, in caso di inerzia di quest'ultimo, onde recuperare al patrimonio di questi (somme o beni (Cass. 22.3.2001, n. 4075). Ovviamente, la condizione di inerzia è altra rispetto alla ritenuta insufficienza qualitativa delle modalità di esercizio di un diritto. Come giustamente è stato sostenuto in giurisprudenza, la surrogatoria non può costituire un mezzo di controllo dell'efficienza dell'attività del debitore, giacché, altrimenti verrebbe irragionevolmente vanificata l'autonomia privata di questi, cosicché deve confermarsi che l'inerzia è rappresentata dal fatto oggettivo della trascuranza dei diritti: ovvero dall'inattività totale del debitore. In questi termini possono utilmente essere richiamati i seguenti principi di diritto: "L'azione surrogatoria è lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad elementare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori. La detta azione, conferendo al creditore la legittimazione all'esercizio di un diritto altrui, realizza un'interferenza di natura eccezionale nella sfera giuridica del debitore onde, pur essendo nel campo patrimoniale un'azione di carattere generale, esclusa solo per i diritti che non consentono sostituzioni nel loro esercizio, può tuttavia essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge." Cass. 18.2.2000, n. 1867). Ne discende che, nel caso di specie, viene a mancare il presupposto perché al debitore C.F. possa sostituirsi il creditore atteso che : "Il presupposto per l'esperibilità dell'azione surrogatoria è l'inerzia del debitore; pertanto, un qualsivoglia comportamento positivo posto in essere del debitore, ancorché lesivo delle aspettative del creditore, in quanto atto di amministrazione del proprio patrimonio spettante unicamente al debitore stesso, esclude "ab origine", la possibilità d'interferenza da parte del creditore con l'azione surrogatoria" (Cass. 4.8.1997, n. 7187). Nel caso di specie, è assolutamente evidente che il convenuto C.F. non possa ritenersi inerte tout court nel senso indicato dall'art. 2900 c.c., avendo questi accettato l'eredità paterna e finanche disposto dei predetti beni a favore della sig.ra S.. Nel caso di specie, poi, e questo appare l'aspetto assorbente non sono state allegate precise e puntuali ragioni da cui ricavare il pregiudizio del creditore dall'inerzia del figlio F.C. il quale non ha esercitato l'azione di riduzione. Pur non revocandosi in dubbio che effettivamente desti qualche perplessità il fatto che sia stata lasciata buona parte dell'eredità alla nuora, ciò non vale ad escludere che il sig. F.C. sia stato destinatario già di altri cespiti e di plurime donazioni in vita, tali da giustificare un testamento di siffatto tenore. Consegue, dunque, il rigetto della predetta domanda. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e debbono essere poste a carico dei convenuti tenuto conto che gli stessi hanno occasionato la lite e comunque, in ottica prognostica, la soccombenza principale è imputabile ai convenuti medesimi. La quantificazione delle spese deve tenere conto del valore, della natura controversia, dell'attività processuale effettivamente svolta. Le spese vanno liquidate come indicato in dispositivo secondo i valori prossimi ai medi (decurtati del 30%) per le cause di valore indeterminato previsti dal D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. in relazione alle ragioni sopra indicate. P.Q.M. Il TRIBUNALE DI IVREA in composizione Collegiale, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. R.G. 2931/2020 nel contraddittorio delle parti: 1) DICHIARA inefficace nei confronti dell'attrice B. snc di B.D. e C.: -l'atto di cessione di diritti reali a titolo gratuito a rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927, con il quale il signor F.C. ha trasferito alla signora R.S. le seguenti unità immobiliari site nei Comuni di Verolengo e Chivasso e precisamente: - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la piena proprietà degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a ½ degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Chivasso (TO): Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...), Foglio (...), particella (...), Foglio (...), particelle (...), (...) e (...); - la propria quota di proprietà pari a 1/2 degli immobili censiti al Catasto Terreni del Comune di Verolengo (TO): Foglio (...), particelle (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...), Foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...); 2) RIGETTA la domanda di accertamento della lesione di legittima del sig. F.C. esercitata dall'attrice ex art. 2900 e 553 c.c.; 3) Visto l'art. 2655 c.c. ordina al competente Conservatore dei Registri Immobiliari, manlevandolo da ogni responsabilità, di procedere all'annotazione della presente sentenza in margine della trascrizione del suddetto atto di cessione rogito del Notaio M.C.D.C.D.T., in data (...), rep. (...), trascritto presso l'Ufficio Provinciale di T. dell'Agenzia del Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare di T. 2, in data 14 novembre 2017 R.G. 45980 R.P. 30927; 4) CONDANNA i convenuti in solido al pagamento delle spese di lite a favore dell'attrice che liquida in Euro 9.401,00 oltre esposti documentati Euro 545,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e c.p.a. come per legge. Così deciso nella camera di consiglio del 3 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IVREA Sezione Civile Unica Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. ALESSANDRO PETRONZI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 3644/2021 tra (...) (C.F. (...) ) rappresentata e difesa dall'Avv. VE.PI., come in atti domiciliata -parte attrice- nei confronti di: (...) (C.F. (...) ) -parte convenuta contumace- RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) esponendo di aver concluso con quest'ultimo un contratto preliminare di compravendita (doc. 1) avente ad oggetto il terreno agricolo, sito in B. in via B., identificato al catasto terreni partita n. 2967, foglio (...), particella n. (...), RDL. 73.796 RL.65.818. Esponeva l'attrice che le parti determinavano il corrispettivo in Euro 5.000,00, di cui: Euro 2.000,00 versati, a titolo di caparra, all'atto del preliminare a mezzo assegno bancario intestato a (...); Euro 3.000,00 da versare contestualmente alla stipula del contratto definitivo. La parte attrice evidenziava ancora che il promissario acquirente, nonostante la diffida intimata (doc. 4) e pur occupando il terreno oggetto del compromesso, non adempieva all'obbligo di contrarre. Chiedeva pertanto di accertare l'obbligazione del convenuto ad acquistare la proprietà del terreno sopra descritto; di accertare che il convenuto non ha adempiuto a tale obbligazione; di emettere sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c. e conseguentemente di condannare il convenuto al pagamento del corrispettivo ancora dovuto, oltre ogni maggior danno. All'udienza figurata del 02.03.2022, dichiarata la contumacia del convenuto, veniva sottoponeva alle parti una questione rilevabile d'ufficio e decisiva per l'esito della controversia, consistente nella mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica previsto dall'art. 30 D.P.R. n. 380 del 2001. Con memoria autorizzata, parte attrice rilevava la non applicabilità della norma in questione, attesa la superficie del terreno oggetto di controversia, inferiore a 5.000 mq. Evidenziava, in ogni caso, di aver acquisito il documento in data 21.03.2022 dal Comune di Brandizzo e chiedeva che ne venisse ordinata la produzione. Con ordinanza del 07.04.2022, rilevato che il terreno in questione non costituisce pertinenza di alcun fabbricato - con conseguente inoperatività della deroga alla obbligatoria produzione del certificato di destinazione urbanistica di cui all'art. 30, co. II, secondo periodo, del T.U. edilizia -, veniva fissata l'udienza di precisazione delle conclusioni, nella quale l'attrice argomentava in ordine alla fondatezza della propria istanza ex art. 210 c.p.c. ed insisteva per l'accoglimento delle domande svolte. Deve premettersi che il contratto preliminare concluso tra le parti (doc. 1) risulta valido ed efficace. Il contratto è stato stipulato mediante scrittura privata, non autenticata, e reca le sottoscrizioni delle parti e di (...), figlia dell'attrice. Nel regolamento negoziale le parti hanno previsto che l'attuale attrice "si impegna a vendere il terreno" sopra indicato; all'opposto, non è espressamente previsto l'obbligo del convenuto di acquistare il bene. In altri termini, difetta una proposizione analoga a quella riportata. Tuttavia, sulla base dei criteri di interpretazione del contratto ex art. 1362 ss c.c. - ed in particolare il preminente criterio della volontà delle parti - non vi è dubbio che il convenuto abbia inteso contrarre l'obbligazione di stipulare il contratto definitivo. In questo senso milita anche l'intestazione del contratto (denominato, per l'appunto, "compromesso di compravendita"). Risulta, in secondo luogo, l'inadempimento del promissario acquirente all'obbligo di stipulazione del definitivo di pagamento del corrispettivo residuo. Si consideri che le parti, nel contesto del preliminare, peraltro stipulato nel 2018 (ossia tre anni prima dell'introduzione della presente controversia), non hanno previsto un termine cd. dilatorio per la conclusione del contratto definitivo, pertanto deve ritenersi che l'obbligo a contrarre sia immediatamente esigibile ex art. 1183 c.c. La parte promittente venditrice ha nondimeno intimato l'adempimento, contestualmente invitando la controparte alla stipula del rogito entro quindici giorni dal ricevimento della intimazione, invito che dagli atti di causa risulta inevaso. Ciononostante, non può essere accolta la domanda di parte attrice volta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre. Ad essa osta infatti la mancata produzione del certificato di destinazione urbanistica che, per giurisprudenza pacifica, rappresenta condizione dell'azione ex art. 2932 c.c. In questo senso, ex multis, Cass. n. 21721/2019: "in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto preliminare di compravendita su di un immobile e su un terreno, è preclusa al giudice la possibilità di disporre il trasferimento coattivo della proprietà (o di altri diritti reali) in assenza, rispettivamente, della dichiarazione degli estremi della concessione edilizia relativa all'immobile e del certificato di destinazione urbanistica relativo al terreno, trattandosi di condizioni dell'azione, la cui mancanza è rilevabile d'ufficio". Nella specie, in assenza del certificato di destinazione urbanistica, l'azione svolta risulta giuridicamente impossibile, difettando così l'omonima condizione dell'azione: in difetto del documento amministrativo in esame, la posizione soggettiva fatta valere in giudizio non trova infatti tutela all'interno dell'ordinamento, sicché la relativa domanda deve essere dichiarata inammissibile. Neppure può accogliersi l'istanza ex art. 210 c.p.c. promossa dalla parte attrice avente ad oggetto il certificato di destinazione urbanistica medio tempore ottenuto dal Comune. Basti sul punto rammentare che, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'ordine di esibizione è rivolto dal giudice alla controparte o ad un terzo che sia in possesso di documenti necessari per l'istruzione della causa e non rinvenibili aliunde. L'istanza risulta perciò inammissibile quando la parte istante e la parte destinataria del richiesto ordine di esibizione coincidano, come nel caso di specie, nel quale la parte attrice chiede che le venga ordinato di produrre il certificato di destinazione urbanistica: tale ipotesi, infatti, implica che la parte istante sia nel possesso del documento e sia pertanto onerata - in virtù del principio dispositivo - della relativa produzione in giudizio. In conclusione, la domanda ex art. 2932 c.c. promossa dalla parte attrice risulta inammissibile. Nulla sulle spese attesa la mancata costituzione della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza reietta e disattesa: a) Accerta l'impegno ad acquistare in capo al convenuto, in ragione del contratto preliminare di compravendita concluso tra le parti il 28.04.2018 ed avente ad oggetto il terreno individuato in parte motiva; b) Accerta l'inadempimento della parte convenuta in relazione al suddetto contratto preliminare di compravendita; c) Dichiara l'inammissibilità della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. d) Nulla sulle spese di lite. Così deciso in Ivrea il 16 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Unico dott.ssa Paola Cavarero ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 2383/2019 R.G. promossa da: (...) (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ro.Co., come da procura in atti - attore - contro (...) SNC (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Ca., come da procura in atti - convenuta - con la chiamata in causa di (...) (c.f. (...)) e (...) (c.f. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Ma.Or., come da procura in atti - terzi chiamati - MOTIVI DELLA DECISIONE I. Il Sig. (...) conveniva in giudizio (...) Snc domandando, previo accertamento della responsabilità della società convenuta, la condanna della stessa, ex art. 1669 c.c. (in subordine, ex artt. 2043 o 2049 c.c.), al risarcimento dei danni subiti a causa della condotta negligente ed imperita dell'impresa nell'esecuzione dei lavori di costruzione dell'immobile ubicato in S. B. (...) (T.), C.so (...) n. 15 e 17, facente parte del complesso edilizio denominato "(...)", acquistato con rogito notarile del (...), Notaio Dott. (...), rep. n. (...) - raccolta n. (...), così come quantificati dal C.T.U. nel procedimento per accertamento tecnico preventivo R.G. n. 414/2017, oltre al rimborso delle spese - legali e peritali - sostenute dall'attore, come specificate in atti. La società convenuta si costituiva in giudizio e contestava quanto ex adverso dedotto e argomentato, eccependo la prescrizione e/o la decadenza dell'azione e delle domande svolte in subordine, il difetto di legittimazione attiva del Sig. (...) in merito ai fenomeni riscontrati dal CTU in sede accertamento tecnico preventivo con riguardo alle parti comuni del fabbricato, il difetto di legittimazione passiva della società convenuta per aver subappaltato le opere alla (...) srl. La società domandava pertanto la condanna dell'attore al rimborso delle spese tecniche e legali tutte sostenute nel procedimento A.T.P., ovvero, in via subordinata, per l'ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande formulate da parte attrice, la riduzione delle pretese risarcitorie per effetto del concorso con le altre parti del giudizio, i.e. l'attore (danni imputabili ad un difetto di manutenzione dell'immobile) e i Sig.ri (...) e (...), in qualità di soci della (...) srl, nei cui confronti chiedeva l'autorizzazione alla chiamata in causa. Autorizzata la chiamata in causa, con comparsa di costituzione e risposta del 10.02.2020 si costituivano in giudizio i Sig.ri (...) e (...), i quali, dando atto di non aver percepito alcuna somma in base al bilancio finale di liquidazione della (...) srl, cancellata dal Registro delle Imprese in data 08.01.2016, chiedevano il rigetto delle avversarie pretese; in ogni caso, eccepivano l'improcedibilità dell'azione, la decadenza della (...) Snc per omessa comunicazione della denunzia ex art. 1670 c.c., nonché la cessazione della materia del contendere alla luce degli accordi di cui alla transazione del 24.05.2011. II. Deve in primo luogo dichiararsi, come richiesto dalle parti (estranea parte attrice che non ha formulato domande nei confronti dei sig.ri (...) e (...)), la cessazione della materia del contendere tra parte convenuta ed i terzi chiamati in causa (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 03.02.2021 e fogli di precisazione delle conclusioni depositati telematicamente in data 17.02.2022). Con riguardo, invece, alla domanda risarcitoria formulata da parte attrice nei confronti della società convenuta, la stessa merita parziale accoglimento per i seguenti motivi. Occorre in primo luogo esaminare le eccezioni formulate da parte convenuta. Con riferimento all'eccezione attinente all'applicabilità nella specie dell'art. 1669 c.c., secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale costituiscono gravi difetti costruttivi quelli che, pur non pregiudicando la stabilità dell'edificio, incidono sulla struttura e sulla funzionalità del bene e ne inficiano in modo apprezzabile il godimento (cfr. Cass. civ. S.U. n. 7756/2017); nella fattispecie in esame, le contestazioni attengono in parte a difetti strutturali non secondari (difetto di isolamento acustico) ed in parte a vizi costruttivi (presenza di ponti termini) che pregiudicano il normale godimento del bene da parte dell'acquirente (cfr. elaborato peritale in atti). Risulta parimenti infondata l'eccezione di decadenza e prescrizione formulata da parte convenuta, posto che: a) l'art. 1669 c.c. prevede un doppio termine (qualora sia mancato il rispetto di uno solo di essi, la responsabilità ex art. 1669 c.c. non può essere fatta valere): il primo, a pena di decadenza, per la denuncia dei vizi, da effettuare entro un anno dalla loro scoperta (da intendersi quale piena comprensione del fenomeno e chiara individuazione ed imputazione delle sue cause - cfr. Cass. civ. n. 4364/2015), il secondo, di prescrizione, per il diritto al risarcimento, di un anno dalla suddetta denuncia; b) nella specie, l'ultimazione dei lavori risale al 2008 (circostanza pacifica), la relazione peritale di parte risale al 18.03.2016 (cfr. doc. 8 - da intendersi quale data di decorrenza dei termini di cui all'art. 1669 c.c.: come anticipato il dies a quo deve essere individuato non nel momento di verificazione del danno, bensì in quello logicamente successivo di acquisizione da parte del danneggiato di un apprezzabile grado di conoscenza circa la gravità dei difetti e la loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera), la denuncia attorea è datata 24.08.2016 (doc. 9), il procedimento ex art. 669 bis c.p.c. è stato instaurato entro un anno dalla denuncia (ricorso notificato in data 8.3.2017 - cfr. Cass. civ., sez. II, n. 11087/2000) e si è concluso con il deposito dell'elaborato peritale datato 22.06.2018, comunicato il 26.06.2018 (docc. 15 e 16), cui è seguita la notificazione dell'atto di citazione in data 17.06.2019 (cfr. artt. 2943 e 2945 c.c.). La domanda, pertanto, deve ritenersi tempestiva ed alcuna decadenza o prescrizione ex art. 1669 c.c. può considerarsi maturata. Risulta, inoltre, infondata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dalla società convenuta, potendo il danneggiato acquirente, avente causa del committente, attesi il tenore letterale dell'art. 1669 c.c. e la natura dell'azione in esame, agire direttamente contro l'appaltatore per i vizi costruttivi dell'opera, salvo regresso nei confronti dei subappaltatori ex art. 1670 c.c. - azione definita mediante declaratoria di cessazione della materia del contendere (cfr. Cass. civ. n. 27250/2017 e Cass. Civ. n. 4319/2016). Risulta, invece, fondata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva con riguardo ai danni relativi alle parti comuni del complesso condominiale ("presenza, nelle parti comuni, di umidità e di crepe sui muri della rampa d'accesso e avvallamenti nella pavimentazione esterna antistante il fabbricato"), posto che, secondo un condivisibile orientamento interpretativo, occorre "distinguere tra domande tendenti ad esercitare atti conservativi di difesa dei beni comuni e domande di natura risarcitoria; infatti con riferimento al primo ordine di domande non si dubita della sussistenza della legittimazione attiva del singolo condomino, considerato che, essendo il Condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'amministratore del Condominio non esclude che ciascun condomino possa provvedere direttamente ad agire per la tutela dei diritti inerenti alle parti comuni (Cass. 16-9-1991 n. 9629; Cass. 14-12-1993 n. 12304; Cass. 12-3-1994 n. 2393; Cass. 6-8-1999 n. 8479); a diverse conclusioni deve invece giungersi in punto legittimazione attiva del singolo condomino con riguardo al secondo tipo di domande, posto che esse tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione di un servizio comune, senza quindi attinenza diretta all'interesse esclusivo dei singoli partecipanti, con la conseguenza che in tali controversie la legittimazione attiva spetta in via esclusiva all'amministratore del Condominio." (Cass. civ. n. 8173/2012). Nella specie, trattandosi di pretesa di natura risarcitoria la legittimazione attiva spetta al Condominio. Si consideri peraltro che il Condominio ha autonomamente agito in giudizio nei confronti del costruttore ex art. 1669 c.c. e l'accoglimento nell'integralità della domanda risarcitoria determinerebbe una duplicazione risarcitoria (inammissibile), mentre la limitazione della stessa ai millesimi di proprietà risulta priva di adeguato supporto normativo (le tabelle millesimali rilevano, invero, ai diversi fini della formazione della volontà dell'organo assembleare e della ripartizione delle spese comuni). Ciò posto, può ora procedersi alla disamina dei singoli vizi tenendo conto delle risultanze dell'elaborato del C.T.U. acquisito agli atti, pienamente condiviso dal Tribunale salvo quanto precisato nel prosieguo, in quanto immune da vizi logici e scientifici, anche nella parte relativa alla disamina delle osservazioni dei c.t.p. In particolare, il C.T.U., per quanto maggiormente interessa in questa sede (esclusi i vizi relativi alle parti comuni), ha così descritto i vizi accertati: "Nel corso delle operazioni peritali il CTU ha accertato la presenza di muffe localizzate negli angoli di intersezione delle pareti e dei solai delle stanze ed attorno ai serramenti dell'abitazione del Sig. (...). Ha quindi accertato, mediante l'esecuzione di saggi parzialmente demolitivi, la presenza di ponti termici non corretti negli angoli di intersezione delle pareti e dei solai delle stanze ed attorno ai serramenti. ... Il CTU ha rilevato la presenza di efflorescenze e subflorescenze localizzate sulla muratura esterna e sui rivestimenti in mattoni esterni fino ad una altezza massima di circa cm 50 dal pavimento del marciapiede esterno. Queste efflorescenze e subflorescenze sono imputabili, a parere dello scrivente, a non adeguata impermeabilizzazione del marciapiede e del raccordo dello stesso con la muratura esterna dell'edificio e conseguente infiltrazione di umidità di risalita sulla muratura stessa. ... Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento acustico per via aerea tra ambienti sulla partizione verticale (parete) che separa la "camera 3" dell'unità immobiliare attorea dalla "camera 8" dell'unità immobiliare adiacente ... Le prove eseguite in loco hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento acustico per via aerea su tutte le facciate misurate dell'unità immobiliare attorea.Lo scrivente ritiene di ricondurre il vizio riscontrato (indice di facciata non sufficiente) alla non corretta posa in opera del gruppo serramento-vetro, che rappresenta il punto debole del sistema di facciata ed ipotizza la non perfetta sigillatura degli spazi tra muratura e falso telaio e tra falso telaio e telaio del serramento. Risulta inoltre significativa la presenza del foro di ventilazione nella muratura di facciata della cucina, realizzato mediante tubo in pvc passante verso l'esterno, privo di qualsiasi dispositivo di abbattimento acustico ... Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi all'isolamento dal rumore di calpestio sulla partizione orizzontale (solaio) che separa il "soggiorno 6" piano primo dal "soggiorno 1" piano rialzato e sulla partizione orizzontale (solaio) che separa il "soggiorno 6" piano primo dalla "camera 2" piano rialzato. Il limitato scostamento dei valori misurati dai valori ammessi dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, fa ritenere allo scrivente che le problematiche riscontrate derivino dalla presenza di "ponti acustici", conseguenti ad una non corretta posa in opera del "pavimento galleggiante" e/o dello zoccolino battiscopa. ? Le prove eseguite hanno evidenziato l'esistenza di valori non conformi relativi al WC della mansarda situato nel sottotetto sopra il locale 5 dell'unità immobiliare sub (...).". Si precisa sul punto che: - a prescindere dalla sussistenza di un obbligo di legge circa la correzione dei ponti termici - formazione delle muffe all'epoca dell'intervento, le norme tecniche UNI EN ISO 13788:2003 (parametro per valutare l'esecuzione a regola d'arte dell'opera - il parametro cui ancorare la relativa valutazione non è invero la - sola - sussistenza o meno di un obbligo di legge, bensì anche le buone prassi del settore, compendiate nelle regole citate) ne prescrivevano la verifica e, pertanto, l'accertamento della mancata correzione dei ponti termici determinano la responsabilità del costruttore; - non risulta adeguatamente provata la corresponsabilità dell'attrice nella causazione del danno lamentato, non potendosi trarre una differente conclusione alla luce delle considerazioni - mere ipotesi non riscontrate - svolte dal CTU; - i vizi non emendabili (presupponendo la realizzazione di interventi in immobili di proprietà di soggetti terzi o in ogni caso di impossibile esecuzione) relativi ai difetti di insonorizzazione acustica riscontrati verranno quantificati separatamente, costituendo un'autonoma voce di danno. Parte attrice ha, pertanto, diritto al risarcimento dei danni rappresentato dai costi degli interventi necessari all'eliminazione dei difetti costruttivi accertati (esclusi i vizi relativi alle parti comuni del complesso condominiale, risultando legittimato a proporre l'azione risarcitoria il Condominio e ciò a prescindere dalle scelte processuali dell'Amministrazione condominiale nel separato giudizio instaurato nei confronti del costruttore per i difetti relativi alle parti comuni; esclusi altresì i vizi non emendabili, nel prosieguo autonomamente quantificati). I costi stimati dal CTU (cfr. pagg. 102 ss. della relazione) per l'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei difetti accertati ammontano ad Euro 18.796,00 (8.398,00 + 9.577,00 + 821,00), oltre a IVA al 10% (1.879,60) e "una maggiorazione percentuale del 3% per "oneri di sicurezza" 563,88 ed una maggiorazione del 10% per "prestazioni professionali'1.879,60" (sul costo delle opere, esclusa IVA) e così per complessivi Euro 23.119,08 (la maggiorazione del 20% proposta con riguardo ai difetti di insonorizzazione acustica non pare motivata e non vi sono gli estremi per applicarla nella specie, tenuto conto della separata quantificazione dei vizi non emendabili). Deve infine essere liquidato il danno correlato alla sussistenza di vizi non emendabili (in quanto la loro esecuzione - trattasi di interventi in parte da effettuare presso immobili di proprietà di soggetti terzi - non risulta allo stato autorizzata), che può essere parametrato al deprezzamento dell'immobile a causa della presenza degli stessi. A tal fine, tenuto conto che si tratta di superamenti in alcuni casi non significativi (così il CTU "Il limitato scostamento dei valori misurati dai valori ammessi dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, fa ritenere allo scrivente che le problematiche riscontrate derivino dalla presenza di "ponti acustici", conseguenti ad una non corretta posa in opera del "pavimento galleggiante" e/o dello zoccolino battiscopa"), del tempo necessario per avvertire la sussistenza del difetto sotto il profilo dell'isolamento acustico e del prezzo di compravendita, si stima equo determinare il danno da deprezzamento in Euro 22.500,00, pari al 10% del prezzo di compravendita (escluse imposte). Importo soggetto a rivalutazione e interessi dalla data di acquisto dell'immobile: complessivi Euro complessivi Euro 30.581,82. In definitiva, sommando le varie voci di danno, come innanzi quantificate, in parziale accoglimento della pretesa attorea, parte convenuta deve essere condannata al versamento in favore del sig. (...) dell'importo di Euro 53.700,90. Sono altresì passibili di ripetizione le spese legali e peritali, d'ufficio e di parte (in tale ultimo caso con riduzione dell'importo relativo alle spese peritali di parte ex art. 92, comma 1 c.p.c., da quantificare ai fini che ci occupano in misura pari al compenso liquidato al CTU, a tal fine includendo l'attività svolta sia in sede stragiudiziale che in sede di A.T.P.), sostenute da parte attrice nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, per complessivi Euro 19.758,73 (di cui: per costi CTU e CTP Euro 16.537,10 = Euro 8.268,55 x 2; per spese legali Euro 2.910,00, liquidate in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014; per costi vivi Euro 306,10 - cfr. docc. 19-22). Alla luce delle considerazioni svolte parte convenuta deve essere condannata a versare a parte attrice l'importo complessivo di Euro 73.459,63, oltre interessi dalla pronuncia sino all'effettivo soddisfo. III. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, inferiori ai medi per la fase istruttoria (considerate le produzioni documentali ed il contenuto delle memorie istruttorie - assente l'istruzione orale), tenuto conto della complessità delle questioni trattate. Non vi sono gli estremi per la condanna ex art. 96 c.p.c. di parte convenuta, atteso il pregio delle difese svolte. Deve invece disporsi, come da domanda, l'integrale compensazione delle spese di lite tra parte convenuta e i terzi chiamati in causa. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Dichiara la cessazione della materia del contendere tra (...) SNC, (...) e (...), con integrale compensazione delle spese di lite; - Accerta la responsabilità della (...) SNC ex art. 1669 c.c. e per l'effetto condanna la convenuta al versamento in favore di (...) dell'importo di Euro 73.459,63, oltre interessi dalla pronuncia sino all'effettivo soddisfo; - Condanna (...) SNC a rimborsare a (...) le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 545,00 per esborsi ed Euro 9.650,00 per compensi professionali, oltre 15% rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge e successive occorrende di registrazione e notificazione. Così deciso in Ivrea il 13 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Unico dott.ssa Paola Cavarero ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 436/2019 R.G. promossa da: (...) S.R.L. (codice fiscale e p.iva (...)), in persona del legale rappresentante p.t., sig.ra (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Ca., come da procura in atti - ATTRICE - - contro - (...) S.R.L. (codice fiscale e p.iva (...)), in persona le legale rappresentante p.t., Sig. (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti An.Br. e Da.Gr., come da procura in atti - CONVENUTA - - nonché nei confronti di - (...) PUBLIC LIMITED COMPANY (codice fiscale (...)), in persona del procuratore, dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Pr., come da procura in atti - TERZA CHIAMATA - MOTIVI DELLA DECISIONE I. (...) S.R.L. ha agito in giudizio domandando l'accertamento della responsabilità della (...) S.R.L. nella causazione dell'infortunio verificatosi in data 03.10.2015 a causa di un malfunzionamento del macchinario venduto dalla società convenuta, con conseguente condanna di quest'ultima al rimborso dell'importo corrisposto all'INAIL in sede di rivalsa, pari ad Euro 16.831,69, oltre interessi e spese. (...) S.R.L. si è costituita in giudizio deducendo l'infondatezza delle avversarie allegazioni, eccependo ex art. 1227 c.c. la corresponsabilità della società attrice nella causazione del sinistro e domandando la chiamata in causa del proprio assicuratore. (...) P.L.C., costituendosi in giudizio, ha aderito alle difese della società convenuta in punto responsabilità, confermando l'operatività della garanzia, soggetta alla franchigia e allo scoperto indicati in polizza. II. Occorre in primo luogo definire l'oggetto del contendere. Parte attrice ha domandato il ristoro dei danni subiti a causa dell'inadempimento avversario, contestando in particolare quanto segue: "Al momento dell'incidente il dipendente Sig. (...) stava provvedendo alla periodica sostituzione dei "coltelli" della cesoia, in giornata di sabato, a forno spento, con la macchina in funzionamento manuale e con l'ausilio del "gruppo sollevamento lame" che è un accessorio opzionale, detto anche servo muto, fornito dalla (...) e progettato appositamente per l'operazione di sostituzione dei coltelli. Posizionato il predetto accessorio, il dipendente iniziava ad operare sulla macchina per sostituire le lame, quando una parte mobile del macchinario denominata calibro si muoveva improvvisamente e colpiva l'operatore, schiacciandogli il polso sinistro tra il detto calibro e l'accessorio denominato servo muto ... l'inopinato movimento avveniva in modo autonomo ancorché essendo la macchina in manuale non fossero stati azionati i comandi di posizionamento del "calibro" e avveniva in modo del tutto imprevisto e imprevedibile per l'operatore ... La criticità non fu dunque accidentale, ma conseguenza di un serio errore strutturale e/o di programmazione del sistema di automazione a PLC della cesoia, che consentì l'effettuazione di un movimento in modalità automatica, benché la modalità impostata fosse esplicitamente indicata dai dispositivi della macchina come manuale". Circostanze puntualizzate come segue in sede di prima memoria istruttoria: "il sinistro occorso al dipendente della (...) è ascrivibile unicamente a un grave errore strutturale e/o di programmazione del sistema di automazione del macchinario fornito dalla ridetta convenuta". Risulta pertanto contestata tempestivamente la consegna di un macchinario non correttamente funzionante (errore strutturale e/o di programmazione), non anche un difetto di formazione del personale addetto al macchinario (trattasi di circostanza nuova dedotta per la prima volta in sede di seconda memoria istruttoria e dunque tardivamente, con conseguente declaratoria di inammissibilità delle prove sul punto formulate da parte attrice). Tanto chiarito, occorre procedere alla ricostruzione della dinamica del sinistro. Secondo quanto dedotto da parte attrice, il sinistro per cui è causa è imputabile ad un difetto strutturale del macchinario acquistato dalla (...), risultando il selettore, posto nel pulpito del quadro comandi, privo di una terza posizione (oltre a quelle volte ad impostare il ciclo automatico e manuale) di disattivazione totale del macchinario durante gli interventi di manutenzione (nella specie, sostituzione delle lame con l'ausilio dell'accessorio denominato servo muto), nonché l'attivazione automatica del c.d. calibro nella fase di funzionamento manuale (movimento, non prevedibile da parte dell'operatore, che ha causato il sinistro). Parte convenuta ha contestato specificamente le deduzioni avversarie, argomentando come segue: "In data 09.09.2015 (...) provvedeva alla messa in funzione ed al collaudo della cesoia presso lo stabilimento della società attrice, consegnando il libretto di istruzione alla titolare della (...), Sig.ra (...), ed al responsabile di produzione, Sig. (...) (all. 5). In data 03.10.2015, dopo circa un mese dall'installazione della cesoia, si verificava l'infortunio al dipendente (...), il quale, posizionandosi con una scala al di sotto delle lame, dopo aver rimosso le protezioni d'acciaio di sicurezza, tentava di allentare i bulloni di serraggio, in ciò coadiuvato dal direttore di produzione sig. (...), il quale, posto al quadro di comandi della cesoia, azionava il teleruttore manuale/automatico del funzionamento della cesoia. Il Sig. (...), mantenendo l'impianto in funzione, azionando il teleruttore manuale/automatico di avvio della macchina provocava lo spostamento del calibro ... il quale andava a colpire il polso del lavoratore causandogli la lesione. ... Al momento dell'infortunio, invece, risulta che il Signor (...), responsabile degli impianti della (...), contravvenendo alle prescrizioni del manuale di uso e delle normali regole di prudenza e diligenza, abbia mantenuto acceso l'impianto e volutamente ed erroneamente azionato il teleruttore manuale/automatico del movimento del calibro, non tenendo in considerazione né curando che l'operaio era all'interno della cesoia per la sostituzione delle lame, azione questa gravemente imprudente che ha causato l'infortunio del dipendente". Ciò posto, dalla documentazione in atti - in particolare, gli accertamenti compiuti nell'immediatezza del sinistro, prodotti in data 16.11.2020 (A.T. - Dipartimento di prevenzione - prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) - si evince la mancanza, all'epoca del sinistro, nel selettore che comanda il ciclo di lavoro di una terza posizione, denominata "0" o "servo muto", volta ad evitare movimenti della cesoia pur consentendo la manovra del sollevatore nelle fasi di manutenzione del macchinario. La necessaria presenza di una terza posizione nel quadro comandi - selettore per poter effettuare la sostituzione lame con il gruppo sollevamento lame (optional (...) utilizzato in occasione del sinistro per cui è causa) in sicurezza risulta, peraltro prescritta dal manuale di istruzioni d'uso consegnato all'attrice, ove si precisa che "Durante l'operazione di sostituzione lame tramite gruppo sollevamento lame, contrariamente a quanto avviene durante la medesima operazione eseguita manualmente, è indispensabile mantenere l'impianto acceso per consentire il corretto funzionamento della centrale idraulica ma è assolutamente necessario posizionare il selettore interbloccato a 3 posizioni dal pulpito di comando su "SERVO MUTO" così da inibire tutte le possibili movimentazioni della macchina; si consiglia inoltre di rimuovere le chiavi del selettore per l'intera durata dell'operazione così da evitare eventuali interferenze da parte di terzi. PERICOLO È assolutamente vietato apprestarsi a sostituire le lame con il selettore interbloccato in qualsiasi posizione diversa da "SERVO MUTO". Un'inadempienza di questa operazione potrebbe causare danni gravi all'operatore e persino la morte". (cfr. doc. 5, pag. 28 di parte convenuta). La stessa società che vende il macchinario prescrive pertanto la presenza di un selettore a tre posizioni nel quadro di comando e l'utilizzazione del gruppo sollevamento lame esclusivamente dopo aver posizionato il selettore su "servo muto", terza posizione assente all'epoca del sinistro, evidenziando i pericoli connessi all'utilizzazione del gruppo sollevamento lame con selettore bloccato in altra posizione. Il difetto costruttivo evidenziato ha concorso alla causazione del sinistro, ponendo la società acquirente nell'impossibilità di porre in sicurezza il macchinario durante le operazioni di sostituzione lame. Parte convenuta eccepisce tuttavia la responsabilità attorea, quantomeno ex art. 1227 c.c., per aver il sig. (...) azionato il macchinario durante l'operazione di sostituzione lame, causando il movimento del calibro. Dalle testimonianze assunte si evince che, durante l'operazione di sostituzione delle lame, in occasione della quale si è verificato il sinistro per cui è causa, il sig. (...) si trovava in prossimità del quadro comandi della cesoia ed azionava il selettore, causando un movimento che determinava lo spostamento del calibro e la verificazione dell'infortunio. In particolare, il teste all'udienza del 23.11.2020 ha dichiarato quanto segue: "Preciso che in quel periodo io ero il responsabile della manutenzione e mi trovavo ai comandi del macchinario mentre il sig. (...) era intento alla sostituzione dei coltelli. Preciso ulteriormente che stavamo provando la sostituzione dei coltelli in quanto era la prima volta. ... Sul capo 3) Non è vero, il selettore di controllo era in posizione automatico quando io sono andato a vedere. ADR GOP Posso dire che ero al quadro comando e ricordo di aver detto al (...) che il selettore doveva essere messo in modalità manuale prima di operare. ... Sul capo 9) Posso dichiarare che quando il selettore passava dalla posizione automatica a manuale il calibro partiva e questa era un'anomalia ... Posso dichiarare che nella circostanza il selettore era in posizione automatico ed io l'ho spostato in posizione manuale. Preciso che solo lo spostamento da automatico a manuale fa partire il calibro", circostanze che trovano conferma nelle dichiarazioni rese dal teste agli ispettori (...) (cfr. pag. 5 inchiesta infortunio n. 2197/15/SO del 03.10.2015), nonché nella deposizione del sig. (...), resa in pari data. Trattasi di testimonianze soggettivamente ed oggettivamente attendibili, avendo i testi, informati sui fatti di causa, reso dichiarazioni puntuali e coerenti (anche rispetto a quanto riferito nell'immediatezza del sinistro). La decisione datoriale di procedere alla sostituzione delle lame mediante gruppo di sollevamento lame (optional (...)) con macchinario acceso ed in mancanza della terza posizione "0" o "servo muto", prescritta dal manuale di istruzioni d'uso consegnato all'attrice in data 09.09.2015 (circostanza allegata da parte convenuta in sede di comparsa di costituzione e non specificamente contestata da parte attrice entro la prima memoria istruttoria, con conseguente applicazione dell'art. 115 c.p.c.), determina una concorrente responsabilità della società attrice nella causazione dell'infortunio. L'imprenditore è invero, ai sensi dell'art. 2087 c.c., "tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" e nella specie la pericolosità dell'operazione eseguita dal lavoratore infortunato, i.e. utilizzazione del gruppo sollevamento lame con selettore in posizione diversa da "servo muto", era chiaramente evidenziata nel manuale di istruzioni d'uso (doc. 5 di parte convenuta). L'acquirente, avvedutosi del difetto costruttivo, evincibile da un semplice raffronto tra macchinario consegnato e prescrizioni d'utilizzo di cui al manzionato manuale, avrebbe dovuto dolersi della mancanza con il venditore, senza procedere, al fine di tutelare l'integrità fisica dei dipendenti, all'effettuazione di un operazione di manutenzione in condizioni non sicure. Pare pertanto corretto determinare la percentuale di concorso nella causazione del sinistro nella misura del 50%. Alla luce delle considerazioni svolte la domanda attorea può essere accolta nel limite dell'importo di Euro 8.415,85 (pari al 50% della pretesa di Euro 16.831,69, come da documentazione prodotta sub n. (...)), di cui, attese la domanda di manleva formulata da parte convenuta nei confronti della terza chiamata in causa e l'assenza di contestazioni circa la copertura assicurativa, Euro 2.500,00 (scoperto di cui all'art. 6 pag. 19 della polizza in atti - doc. 9 di parte convenuta - risultando la responsabilità dedotta riconducibile al disposto dell'art. 1 pag. 18 "responsabilità civile prodotti", non anche alla diversa fattispecie di cui all'art. 2 pag. 10 del doc. 9, con conseguente inoperatività della franchigia ivi prevista) a carico della società convenuta ed il residuo importo di Euro 5.915,85 a carico di (...) Public Limited Company, oltre interessi legali dalla domanda (cfr. note scritte del 11.02.2022 di precisazione delle conclusioni) al saldo effettivo. Non merita infine accoglimento la pretesa attorea di risarcimento del maggior danno "da liquidarsi in via equitativa". Ed invero, secondo un consolidato orientamento interpretativo, la discrezionalità riconosciuta dagli artt. 1226 e 2056 c.c. non esime invero il danneggiato dall'onere di dimostrare non solo l'an debeatur, ma anche ogni elemento utile alla quantificazione del danno di cui possa ragionevolmente disporre, dovendosi, in caso contrario (carenza di allegazione e prova riscontrabile nella fattispecie in esame) rigettare la domanda. III. Con riguardo alle spese di lite, per ciò che concerne parte attrice e parte convenuta, attesa la soccombenza reciproca di tipo quantitativo, vi sono gli estremi per disporne la parziale compensazione nella misura del 50%, ponendo il residuo 50% a carico della parte terza chiamata in considerazione della domanda di manleva formulata da parte convenuta. Le spese sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, scaglione da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00, valori medi per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale, attese la complessità delle questioni trattate e l'attività processuale concretamente svolta; e così per complessivi Euro 2.417,50 (pari al 50% dell'importo di Euro 4.835,00), oltre ad accessori di legge ed esborsi documentati. Considerate le pretese formulate da parte convenuta nei confronti dell'assicurazione chiamata in causa e le difese di quest'ultima - in particolare, l'assenza di contestazioni circa la copertura assicurativa - vi sono gli estremi per disporre tra le parti l'integrale compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Condanna (...) S.R.L. a corrispondere a (...) S.R.L. l'importo di Euro 2.500,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; - Condanna (...) PUBLIC LIMITED COMPANY a corrispondere a (...) S.R.L. l'importo di Euro 5.915,85, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; - Rigetta le ulteriori pretese; - Dispone la parziale compensazione delle spese di lite tra parte attrice e parte convenuta nella misura del 50%, ponendo il residuo 50%, attesa la domanda di manleva, a carico di (...) PUBLIC LIMITED COMPANY, con conseguente condanna di quest'ultima al versamento in favore di (...) S.R.L. dell'importo di Euro 132,00 per esborsi ed Euro 2.417,50 per compensi professionali, oltre al 15% per rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge. - Dispone l'integrale compensazione delle spese di lite tra (...) S.R.L. e (...) PUBLIC LIMITED COMPANY. Così deciso in Ivrea il 5 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 7 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA SEZIONE CIVILE - LAVORO nella persona del Giudice dott. Nicola Tritta ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 129/2021 promossa da: (...) (C.F./P.I. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Co., elettivamente domiciliato in Torino - corso (...), presso lo studio del difensore; RICORRENTE Contro (...) (C.F./P.I. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Al.An., elettivamente domiciliata in Torino, corso (...), presso il difensore; CONVENUTO Avente ad oggetto: pubblico impiego - sanzione disciplinare CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 12/02/2021 il dott. (...) ha impugnato la sanzione disciplinare inflittagli dall'(...) con delibera del collegio arbitrale del 27.11.2020 (doc. 14 di parte convenuta) consistente nella riduzione del 20% del trattamento economico per cinque mesi. La sanzione si fonda sulla contestazione disciplinare del 22.10.2020 (doc. 10 di parte convenuta) con la quale sono state addebitate: 1. la violazione delle prescrizioni aziendali e regionali in materia di prevenzione e gestione dell'emergenza sanitaria, per mancato rispetto del distanziamento tra i pazienti presso lo studio medico, per mancato uso delle mascherine e per avere invitato a recarsi presso lo studio medico pazienti in isolamento fiduciario in quanto positivi al Covid-19; 2. la violazione dei doveri minimi di diligenza, lealtà e buona condotta per effetto della diffusione sulla piattaforma digitale (...) di un video in cui il dott. (...) svolge apprezzamenti in merito all'interferenza del vaccino antinfluenzale sulla diffusione del Covid-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica nella composizione dei vaccini; detto video si porrebbe in contrasto con: - L'obbligo del medico di conformare la sua attività ai principi di buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza, astenendosi da azioni arbitrarie che abbiano effetti negativi sui suoi assistiti che possano nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione, obbligo sancito dall'art. 3 D.P.R. n. 62 del 2013; - l'obbligo del medico di diligenza nell'espletamento dell'incarico con l'adozione di un comportamento organizzativo adeguato all'assolvimento dell'incarico (art. 13 D.P.R. n. 62 del 2013). Alla luce delle osservazioni svolte dal dott. (...) nel procedimento disciplinare, il collegio arbitrale ha fondato il provvedimento sanzionatorio esclusivamente sulla creazione del video indicato in contestazione, in cui vengono rilasciate dichiarazioni ritenute idonee, nel periodo di pandemia, a creare "disorientamento ed allarme sociale nella popolazione" e sull'omessa adozione di misure adeguate a tenere in sicurezza il video e a impedirne la diffusione. Il ricorrente contesta la legittimità della sanzione per i seguenti motivi: 1. genericità della contestazione; 2. omessa indicazione nel provvedimento che applica la sanzione delle norme violate; 3. modifica, nel provvedimento che applica la sanzione, della condotta contestata rispetto alla contestazione del 22.10.2020 (essendo inizialmente contestata la pubblicazione su (...) del video e poi l'omessa adozione di misure idonee ad impedirne la diffusione); 4. nullità della delibera che applica la sanzione per difetto di sottoscrizione; 5. insussistenza di alcun comportamento disciplinarmente rilevante; 6. difetto di proporzionalità della sanzione adottata rispetto alla condotta ascritta al dott. (...) 1. Premessa. Il potere sanzionatorio dell'(...) Sebbene la questione non sia controversa tra le parti, giova premettere che il ricorrente svolge la propria attività lavorativa di medico in convenzione con l'(...). In proposito si osserva che "i rapporti tra i medici convenzionati esterni e le unità sanitarie locali, disciplinati dall'art. 48 L. 23 dicembre 1978, n. 833 e dagli accordi collettivi nazionali stipulati in attuazione di tale norma, pur se costituiti in vista dello scopo di soddisfare le finalità istituzionali del Servizio Sanitario Nazionale, dirette a tutelare la salute pubblica, sono rapporti di lavoro libero-professionali "parasubordinati", che si svolgono su un piano di parità, non esercitando l'ente pubblico nei confronti del medico convenzionato alcun potere autoritativo, all'infuori di quello di sorveglianza" (cfr. Cass. S.U. nn. 20344 del 21.10.2005). La delibera di conferimento di incarico (doc. 1 bis di parte convenuta) richiama espressamente l'applicazione al rapporto in questione del regime normativo delineato dall'accordo collettivo nazionale (di séguito, ACN) per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell'art. 8 D.Lgs. n. 502 del 1992 (doc. 16 di parte convenuta), accordo che all'art. 30 istituisce il potere sanzionatorio dell'(...) in caso di inosservanza, da parte del medico convenzionato, degli obblighi previsti dall'accordo collettivo stesso e degli accordi regionali e aziendali. In merito all'art. 30 ACN si è affermato che detta disposizione "ha carattere sanzionatorio e si conforma nello svolgimento al procedimento disciplinare previsto per il rapporto di lavoro dipendente" nonostante la natura autonoma del rapporto di lavoro dei medici di medicina generale, atteso che detto rapporto ha sempre avuto natura privatistica e disciplina contrattuale (Cass. civ. sez. lav., 09/03/2022, n. 7672). La previsione del potere sanzionatorio si giustifica anche alla luce del vincolo fiduciario "sul quale - ancor più che nel rapporto di lavoro subordinato - riposa una relazione di collaborazione professionale" (app. Perugia, 17/08/2015, n. 107). 2. Sulla asserita genericità della contestazione disciplinare e sulla individuazione delle norme violate La contestazione disciplinare (doc. 10 di parte convenuta) contiene l'esposizione di due fatti ritenuti disciplinarmente rilevanti: 1) l'omesso rispetto, presso lo studio medico del sig. (...), dell'obbligo di distanziamento sociale e di uso delle mascherine, nonché dell'obbligo di isolamento fiduciario di pazienti, invece invitati dal dott. (...) a recarsi presso lo studio; 2) la condivisione, da parte del dott. (...), sul sito (...) di un video in cui si fanno "apprezzamenti pesanti sull'interazione fra il vaccino antinfluenzale e la diffusione di virus COVID-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica negli stessi". Rispetto alle due condotte riportate, l'(...) afferma nella contestazione disciplinare la violazione, per il primo fatto, delle "specifiche disposizioni aziendali e regionali (tutte, come sempre, pubblicate sul portale regionale di Medicina Generale) in materia di prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica in corso e di campagna di vaccinazione antinfluenzale" e per il secondo fatto, dei "doveri minimi di diligenza, lealtà e buona condotta sanciti dal D.P.R. n. 62 del 2013 ... arrecando un pregiudizio, anche morale, all'(...)". Sempre con riferimento alla seconda condotta, è stata contestata la violazione dell'art. 3 che impone al pubblico dipendente l'obbligo di conformare la propria attività ai principi di buon andamento della PA, nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza, per non essersi astenuto da azioni arbitrarie che potessero avere effetti negativi sui suoi pazienti e che potessero nuocere agli interessi o all'immagine dell'(...); nonché dell'art. 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 che impone al dirigente pubblico il dovere di svolgere "con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico". Poiché il provvedimento sanzionatorio emesso all'esito del procedimento disciplinare ha fatto unicamente riferimento al secondo dei due fatti contestati, si omette ogni considerazione in merito alla dedotta genericità della contestazione concernente l'omesso rispetto delle disposizioni sul distanziamento sociale, sull'isolamento fiduciario e sull'obbligo di uso della mascherina presso lo studio medico del dott. (...). La condotta posta a fondamento della sanzione appare, invece, compiutamente individuata nella contestazione disciplinare, sia sotto il profilo fattuale (pubblicazione sul web di un video realizzata dal dott. D.), sia sotto il profilo delle disposizioni di legge violate. Appare di lineare evidenza che l'(...), con la contestazione disciplinare del 22.10.2020 abbia inteso rimproverare al dirigente medico la diffusione di un video idoneo a ingenerare pregiudizio in capo ai pazienti del dott. (...) e dell'(...) in generale, nonché un pregiudizio all'immagine dell'(...) stessa, in violazione delle disposizioni espressamente citate. La giurisprudenza di legittimità afferma che "l'esigenza di specificità della contestazione non è così rigida come nel processo penale ma si uniforma al principio di correttezza vigente nei rapporti contrattuali ed obbedisce all'interesse dell'incolpato ad esercitare il diritto di difesa (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27842). A tal fine è necessario che dal capo d'incolpazione risultino con certezza non soltanto il fatto addebitato ma, quando si tratta di norme di livello legislativo o regolamentare, e tanto più di norme di livello inferiore, è necessaria, se non l'indicazione precisa della norma violata, almeno una descrizione del fatto tanto precisa da risultarne chiara la sussumibilità sotto una regola determinata" (Cass. civ. sez. lav., 25/05/2015, n. 10727). Peraltro, nel caso di specie, le disposizioni ritenute violate sono espressamente individuate negli artt. 3 e 13 D.P.R. n. 62 del 2013 il quale, in forza dell'art. 2 co. 3 del d.P.R. stesso e dell'art. 2 co. 3 del codice di comportamento dell'(...) (doc. 2 bis di parte ricorrente), deve ritenersi vigente anche per il medico convenzionato. Il fatto che gli artt. 3 e 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 contemplino obblighi formulati mediante clausole generali non rende di per sé "arbitrario" l'esercizio del potere disciplinare, laddove, come nel caso di specie, la deduzione della violazione si accompagni alla dettagliata descrizione del fatto, che secondo la tesi di chi irroga la sanzione, risulti integrare la violazione in parola ed essendo in caso di contestazione rimessa al giudice la valutazione circa corretta sussunzione del fatto alla previsione sanzionatoria di carattere generale (Cass. civ., sez. VI, ord. 27/05/2021, n. 14777, con riferimento finanche alla sanzione espulsiva). Le doglianze circa l'omessa indicazione delle norme violate e circa la genericità della contestazione devono essere pertanto dichiarate infondate. 3. Sulla modifica della contestazione in sede di irrogazione della sanzione Parte ricorrente deduce la violazione del principio di immutabilità della contestazione atteso che nella lettera del 22.10.2020 il dott. (...) viene incolpato di avere "postato" un video in cui si fanno "apprezzamenti pesanti" sull'interazione fra il vaccino antinfluenzale e la diffusione del virus COVID-19 e sulla presenza di specifici inquinanti di origine organica negli stessi, mentre nel provvedimento disciplinare l'addebito viene limitato alla sola imprudente registrazione del video contenente dichiarazioni idonee a generare allarme sociale e alla omessa adozione di idonee misure per tenere in sicurezza il video ed impedirne la diffusione. La doglianza non coglie nel segno. Rappresenta orientamento giurisprudenziale pacifico quello secondo cui "non può certo ritenersi violato il principio dell'immutabilità della contestazione quando, come nella specie, il fatto contestato resta invariato e mutano solo l'apprezzamento e la valutazione che dello stesso fatto vengono dati, richiamandosi gli ulteriori esiti istruttori solo per meglio circoscrivere l'addebito, che resta ontologicamente identico. Questa Corte ha, del resto, già affermato che la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere ravvisata in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui tale divergenza comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore, per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa (v. Cass. 12 marzo 2010, n. 6091)" (Cass. civ. sez. lav., 09/05/2018, n.11159). È stato recentemente ribadito che, in tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito (Cassazione civile sez. lav., 15/06/2020, n.11540). Nel caso di specie, sotto il profilo fattuale, tra contestazione disciplinare e provvedimento applicativo della sanzione vi è una riduzione delle condotte ascritte al dott. (...): nella contestazione si rimprovera al dott. (...) di avere condiviso un video, dando per implicito che il video condiviso sia stato dallo stesso realizzato. Nel provvedimento sanzionatorio, si rimprovera, sempre sotto il profilo fattuale, la sola realizzazione del video e la sua condivisione, condotta dunque già ricompresa in quella riportata nella contestazione. Sotto il profilo giuridico, tra contestazione e sanzione si assiste ad una "derubricazione" del fatto addebitato al dott. (...), da diffusione intenzionale del video su (...) a intenzionale registrazione del video e omessa adozione delle misure idonee ad evitare la diffusione del video. Il fatto contestato è il medesimo: la realizzazione e la diffusione del video. Ciò che muta è l'elemento soggettivo attribuito al ricorrente e la condotta (per omissione, anziché mediante un comportamento attivo). Non solo tale modifica non altera il fatto addebitato e il suo disvalore (restando ferma la conseguenza del comportamento commissivo o omissivo), ma non ha comportato alcuna lesione del diritto di difesa: al contrario, l'incolpazione per una condotta connotata da un differente elemento soggettivo del ricorrente è proprio conseguenza dell'esercizio da parte del dott. (...) del proprio diritto di difesa nel corso della procedura disciplinare. Per le ragioni sopra esposte non si ravvisa la violazione dedotta del principio di immutabilità della contestazione disciplinare. 4. Sull'asserita illegittimità della delibera che irroga la sanzione per assenza di sottoscrizione Il motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità del provvedimento sanzionatorio per difetto di sottoscrizione è infondato. Emerge documentalmente (doc. 15 di parte convenuta) che il provvedimento risulta sottoscritto digitalmente ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2015 nonché pubblicato sul sito dell'(...), circostanza non contestata dalla parte ricorrente. Peraltro, si osserva che ai sensi dell'art. 55 bis co. 9 ter D.Lgs. n. 165 del 2001 "La violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater, fatta salva l'eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall'azione disciplinare ne' l'invalidità degli atti e della sanzione irrogata, purché non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente, e le modalità di esercizio dell'azione disciplinare, anche in ragione della natura degli accertamenti svolti nel caso concreto, risultino comunque compatibili con il principio di tempestività". Anche tale motivo di ricorso, pertanto, non può trovare accoglimento. 5. Sulla dedotta insussistenza di una condotta disciplinarmente rilevante La questione giuridica che il caso in esame pone è se sia disciplinarmente rilevante la condotta del medico convenzionato con l'(...) che, in stato di pandemia registri un video destinato ai colleghi ma del quale auspica la diffusione, esponendo tesi sulla pandemia in corso da Covid 19 prive di riscontro empirico e non rispettose di alcun metodo scientifico, che siano idonee a ingenerare un pregiudizio per l'incolumità pubblica e un danno all'immagine dell'(...) presso la quale il medico opera in regime di convenzione. La questione così come prospettata dà per accertato un fatto (il coinvolgimento per via legislativa e regolamentare dei medici di base nell'attuazione del programma terapeutico nazionale di contrasto alla pandemia) e per assunti due giudizi, l'assenza di metodo scientifico nel riferire le tesi riportate e l'idoneità di tale condotta a ledere l'immagine dell'(...) e la salute pubblica, giudizi dei quali viene di seguito fornita una giustificazione. 5.1 In ordine al coinvolgimento dei medici di base nel piano di contrasto alla pandemia, si osserva che la circostanza, oltre a non essere contestata dal dott. (...) (si v. punto 1.2 della memoria di costituzione), è confermata dall'ampio ricorso fatto in sede normativa (primaria e secondaria, a partire dall'ordinanza contingibile e urgente n. 1 del Ministero della salute d'intesa con il Presidente della Regione Piemonte del 23.2.2020) non solo alle (...) (per il monitoraggio dei contagi) ma anche ai medici "di base" quali attori essenziali, all'epoca dei fatti, per la prescrizione dei tamponi (strumento indispensabile per il contenimento del contagio) e per la somministrazione delle cure, ove possibile, ai pazienti in isolamento domiciliare. I fatti si collocano temporalmente in epoca prossima all'avvio della campagna vaccinale contro il covid-19. Dall'istruttoria è altresì emerso che l'attuazione delle prescrizioni in materia di monitoraggio e contenimento della pandemia è stata programmata e gestita dalle (...) e dai medici di base, tramite le strutture di équipe. Sul punto si vedano le dichiarazioni: della teste (...), dirigente medico - direttore del distretto dell'(...), rese all'udienza del 25.1.2022: "da prassi e da organizzazione dell'(...) (vengono riconosciuti dei rimborsi al referente) vengono organizzate riunioni mensili; le riunioni sono gestite dal singolo gruppo; ogni mese i referenti individuano una sede e organizzazione queste riunioni con i medici delle rispettive équipe; a riunirsi sono i referenti dell'équipe che fanno il calendario degli incontri con i medici dei rispettivi gruppi; questi incontri servono per riportare ai vari medici le indicazioni date a livello aziendale, sanitario, vengono dati gli obiettivi, vengono riportate le modifiche terapeutiche; i medici si confrontano anche sui loro dubbi; questi referenti poi incontrano noi della direzione con l'ufficio di coordinamento, sempre una volta al mese; mi risulta che tranne nel mese di agosto i referenti abbiano fatto degli incontri mensilmente e hanno verbalizzato quanto detto, come fanno di norma, poi sottoscritto dai presenti; in queste riunioni si è certamente discusso delle campagne vaccinali; i verbali delle riunioni di équipe vengono archiviati nella segreteria del distretto, a C. in via M. n. 13, qualora vengano consegnati, perché non sempre vengono consegnati tutti; la direzione ha interloquito sul tema delle vaccinazioni e sull'emergenza sia con i referenti nelle riunioni mensili, sia con i singoli medici attraverso le comunicazioni email o attraverso un portale"); e della teste (...), medico di medicina generale convenzionata presso l'(...), rese all'udienza del 10.2.2022: "l'équipe ha un capo che è uno di noi, che abbiamo scelto noi; il capo ogni mese si riunisce con tutti i capi équipe insieme al capo di distretto, al servizio farmaceutico, e poi ci riporta quello che stato detto nella loro riunione (riunione UCAD); dall'inizio della pandemia noi non sapevamo come comportarci con la popolazione; all'inizio abbiamo continuato a vedere i pazienti fino ai primi di marzo; con i pazienti parlavo poi solo tramite telefono; dall'inizio della pandemia io e i colleghi ci siamo sentiti continuamente, via telefono, con la chat whatsapp di équipe". Alla luce delle considerazioni sopra esposte deve ritenersi che a partire dal mese di febbraio 2020 le (...), insieme ai medici di base, hanno istituzionalmente svolto un ruolo essenziale per il rilevamento, contenimento, cura e monitoraggio dell'infezione da COVID-19. 5.2 Nel percorso argomentativo volto a verificare la rispondenza della condotta del dott. (...) all'esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, si farà riferimento alla recente sentenza Cass. civ. sez. lav., 31/05/2022, n. 17689 che, per chiarezza e completezza espositiva verrà assunta, mutatis mutandis, come traccia del procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in esame nelle previsioni sanzionatorie applicata dall'(...). A fondamento della sanzione è stata posta la violazione dell'art. 3 del D.P.R. n. 62 del 2013, che impone al pubblico dipendente (per l'applicabilità anche al medico convenzionato si veda quanto sopra argomentato) l'obbligo di conformare la propria attività ai principi di buon andamento della PA, nel rispetto della legge e dei principi di correttezza, obiettività e ragionevolezza. In particolare, è stato addebitato al dott. (...) di non essersi astenuto da azioni arbitrarie che potessero avere effetti negativi sui suoi pazienti e che potessero nuocere agli interessi o all'immagine dell'(...). É stata altresì contestata la violazione dell'art. 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 che impone al dirigente pubblico il dovere di svolgere "con diligenza le funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, persegue gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato per l'assolvimento dell'incarico". Tutto ciò premesso, occorre valutare: a) se il dott. (...) possa rivendicare, nel caso di specie, per affermare l'illegittimità della sanzione ricevuta, l'esercizio del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, diritto tutelato non solo dall'art. 21 della Costituzione, ma anche dall'art. 10 CEDU; b) se i doveri previsti dal ACN, dal codice di comportamento aziendale, dal codice civile in materia di esecuzione del contratto, possano limitare tale diritto; c) se nel caso di specie, il diritto di manifestazione del pensiero in termini di dissenso rispetto alle politiche di contrasto della pandemia sia stato esercitato in concreto nel rispetto degli obblighi previsti dagli artt. 3 e 13 del D.P.R. n. 62 del 2013 e, più in generale, se vi sia stato un corretto contemperamento del diritto costituzionale del dott. (...) di esprimere il proprio pensiero, con altri diritti di rango costituzionale. Nel video oggetto di sanzione il dott. (...) esercita una critica al piano terapeutico imposto dalla normativa nazionale, recepito dall'(...) e imposto ai medici del distretto, ai suoi presupposti (pseudo-pandemia) e ai mezzi impiegati (tamponi e vaccini). É pacifica nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui il diritto di cui all'art. 21 Cost. deve essere contemperato "con altri diritti concernenti beni di pari rilevanza costituzionale, tra i quali, in particolare, i diritti della personalità all'onore ed alla reputazione, stabilendo che: "Il comportamento del lavoratore, consistente nella divulgazione di fatti ed accuse, ancorché vere, obiettivamente idonee a ledere l'onore o la reputazione del datore di lavoro, esorbita dal legittimo esercizio del diritto di critica, quale espressione del diritto di libera manifestazione del proprio pensiero, e può configurare un fatto illecito, e quindi anche consentire il recesso del datore di lavoro ove l'illecito stesso risulti incompatibile con l'elemento fiduciario necessario per la prosecuzione del rapporto, qualora si traduca in una condotta che sia imputabile al suo autore a titolo di dolo o di colpa, e che non trovi, per modalità ed ambito delle notizie fornite e dei giudizi formulati, adeguata e proporzionale giustificazione nell'esigenza di tutelare interessi di rilevanza giuridica almeno pari al bene oggetto dell'indicata lesione" (Cass. n. 1173/1986). Ancora di recente si è affermato (Cass. n. 5523 del 2016) e ribadito (Cass. n. 14527 e 18176 del 2018) che l'esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica delle decisioni aziendali, sebbene sia garantito dall'art. 21 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana, sicché, ove tali limiti siano superati, con l'attribuzione all'impresa datoriale od ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, così come l'attribuzione di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione. Ad avviso di chi scrive, gli artt. 3 e 13 D.P.R. n. 62 del 2013, nell'imporre (anche) al medico di base l'obbligo di conformare la propria condotta ai principi di: - buon andamento dell'azione amministrativa - rispetto della legge, - correttezza, obiettività e ragionevolezza - diligenza nello svolgimento delle funzioni ad esso spettanti in base all'atto di conferimento dell'incarico, perseguendo gli obiettivi assegnati e adotta un comportamento organizzativo adeguato all'assolvimento dell'incarico, individuano interessi di rango costituzionale rispetto ai quali deve conformarsi il diritto individuale del medico di base di manifestazione del pensiero. In particolare, il richiamo al buon andamento dell'amministrazione rimanda all'art. 97 Cost., mentre il complesso degli obblighi di diligenza e conformazione dell'attività al perseguimento degli obiettivi assegnati mira a tutelare il diritto alla salute, nella sua declinazione dell'interesse della collettività, ai sensi dell'art. 32 Cost. Il buon andamento dell'amministrazione e la salvaguardia del diritto alla salute della collettività si aggiungono ai diritti all'onore e alla reputazione tra gli interessi di rango costituzionale ai quali deve conformarsi il diritto del lavoratore (nel caso di specie, del medico di base) di manifestare liberamente il proprio pensiero. Occorre evidenziare che l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, al secondo paragrafo, precisa che l'esercizio della libertà di espressione, "poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario". La Corte europea dei diritti dell'uomo (sez. II 9.7.2013, c. D.G. contro Italia), pronunciandosi in materia di limitazione della libertà di espressione dei magistrati italiani, ha evidenziato che l'art. 10 CEDU persegue il fine di garantire "un giusto equilibrio tra il diritto fondamentale dell'individuo alla libertà di espressione e l'interesse legittimo di uno Stato democratico a vigilare affinché la sua funzione pubblica operi per le finalità enunciate all'articolo 10 2". Tale equilibrio, considerato che il potere disciplinare per il medico convenzionato è previsto dalla legge (art. 48 co. 3, n. 8) L. n. 833 del 1978) può ravvisarsi, secondo il giudizio di chi scrive, applicando al medico di base i limiti ricavati dalla giurisprudenza al diritto di critica (quale forma del più ampio diritto di manifestazione del pensiero) del lavoratore, tenendo però conto delle peculiarità legate alla particolare natura dell'attività prestata dal medico di base e alla finalità perseguita. La giurisprudenza ha specificato i limiti di continenza formale e sostanziale del legittimo esercizio del diritto di critica, legati rispettivamente alla rilevanza costituzionale dei beni che si intende tutelare attraverso la critica e alla veridicità dei fatti e alla correttezza del linguaggio adoperato (v. Cass. n. 21362/2013; n. 29008/2008; n. 23798/2007; n. 11220/2004; più recentemente, Cass. n. 5523/2016; n. 19092/2018; n. 14527/2018; n. 18176/2018). In particolare, si afferma che il diritto di critica del lavoratore rispetto al datore di lavoro trova i seguenti limiti: 1. continenza in senso sostanziale; 2. continenza in senso formale; 3. pertinenza, intesa come rispondenza della critica ad un interesse meritevole in confronto con il bene suscettibile di lesione (cfr. Cass. n. 1173 del 1986). Ad avviso di questo Tribunale, i principi giurisprudenziali sopra richiamati e riferiti al lavoratore che critichi il datore di lavoro, possono essere riadattati alla fattispecie in esame, con le opportune precisazioni. In particolare, nel caso di specie, le critiche non si appuntano al datore di lavoro, essendo il medico di base un lavoratore autonomo, bensì al piano di contrasto alla pandemia predisposto dalle autorità nazionali del quale il medico di base, per legge è chiamato a dare attuazione (in prima linea); tale circostanza, tuttavia, non pare mutare i termini del ragionamento, essendo il medico di base soggetto all'obbligo di conformare il proprio operato nell'esercizio della sua attività ad obblighi di legge e contrattuali esattamente come il lavoratore dipendente è limitato, nel proprio comportamento, da obblighi di legge (artt. 2104 e 2105 c.c.) e contrattuali. Inoltre, nel caso in esame la critica non si fonda solo su fatti che possono affermarsi come accaduti o non accaduti, ma anche su ipotesi asseritamente scientifiche, sicché il diritto di manifestazione del pensiero del dott. (...) andrà valutato anche alla luce del principio di libertà della ricerca scientifica (sancita dall'art. 33 Cost., che fa da contraltare all'affermazione del ruolo promotore della Repubblica della ricerca scientifica, art. 9 Cost.); L'affermazione di un medico, che si rivolge, indossando un camice medico e parlando dal proprio studio, ad una pluralità indeterminata (come si vedrà in séguito) di persone qualificandosi come "medico di famiglia con attività anche in ambiente ospedaliero" (sec. 7 e s.s. del video in atti) di contenuto scientifico circa la sussistenza o meno di una pandemia in corso, sulle sue cause, sulla efficacia dei mezzi sinora adottati per contrastarla e di quelli che verranno a breve messi in campo, non è l'opinione del quisque de populo, ma rappresenta, in ragione della formazione scientifica posseduta, del ruolo ricoperto (di soggetto preposto alla cura della salute dei suoi pazienti) e dei destinatari cui il messaggio sarebbe rivolto (una indeterminata platea di medici), tesi in materia medica, idonea ad essere posta dalla pluralità dei suoi pazienti destinatari a fondamento di scelte idonee ad incidere sul proprio diritto alla vita e alla salute. Quest'ultima peculiarità (concernente il contenuto asseritamente scientifico delle dichiarazioni) si riverbera sul primo limite al diritto di critica del lavoratore subordinato, individuato dalla giurisprudenza di legittimità nella verità sostanziale del fatto oggetto di critica, che andrà quindi diversamente declinato nel caso di specie. Sul punto, si osserva che ove la critica del lavoratore dipendente si sostanzi nell'attribuzione di condotte che si assumono come storicamente verificatesi, in ragione del canone della continenza sostanziale, tali fatti narrati devono corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma corrispondente ad un prudente apprezzamento soggettivo di chi dichiara gli stessi come veri (Cass. civ. sez. lav., 18/07/2018, n.19092), per cui viene in rilievo l'atteggiamento anche colposo del lavoratore. L'osservanza di tale canone attenua la sua cogenza nel caso in cui la critica si sostanzi propriamente in una espressione di opinione, che per la sua natura meramente soggettiva ha carattere congetturale e non si presta ad una valutazione in termini di alternativa vero/falso: mentre l'esistenza di un fatto può essere oggetto di prova, l'espressione di una opinione non può esserlo perché non si può dimostrare la verità di un giudizio che implichi opzioni di valore. Orbene, il dissenso del dott. (...) rispetto al piano di contrasto alla pandemia si è esplicitato, in parte con l'affermazione di fatti (dei quali può valutarsi l'alternativa vero/falso), quali: - l'insussistenza dei numeri (sui contagi da Covid 19) necessari per qualificare quella in corso in termini di pandemia (min. 3,44 del video in atti "questa pseudo pandemia, perché non ci sono i numeri per chiamarla pandemia... questa pandemia, chiamiamola pandemia, pseudo-pandemia pilotata pianificata ha fatto meno di 400.000 morti"); - l'erroneità degli esiti dei tamponi (min. 4,25 "oltre l'80% dei tamponi danno risultati falsamente positivi e nel 15% dei casi risultati falsamente negativi"); in parte con l'affermazione di tesi quali: - quella secondo cui il coronavirus sarebbe attivato dal vaccino contro l'influenza (sec. 40 del video in atti: "si sa con certezza da un sito del P. che il coronavirus subisce un'attivazione per azione del vaccino antinfluenzale"); - quella secondo cui "i morti di Bergamo dell'anno scorso erano stati tutti vaccinati con il vaccino per l'influenza..." (sec. 51 del video in atti), affermazione sulla base della quale il dott. (...) ricava per ragionamento induttivo che in tutti i soggetti deceduti nella città di Bergamo ad inizio Pandemia, il coronavirus sia stato attivato dal vaccino antinfluenzale; - il vaccino in corso di sperimentazione renderebbe i pazienti "organismi transgenici" e provocherebbe "terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati" (min. 2,08 "non si tratta in questo caso di un vaccino, per quanto riguarda il COVID, di un vaccino a virus attenuato come per l'influenza, ma di frammenti di RNA che vanno a combinarsi con il nostro DNA trasformandoci in organismi transgenici e provocando delle terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati"); infine, in parte con opinioni di contenuto "politico", nella parte in cui la pandemia o la "pseudo pandemia" sarebbe "pilotata, pianificata" (min. 3,44 del video in atti) ed in parte di contenuto "scientifico" nella parte in cui, dopo avere evidenziato che un tale dott. Montanari avrebbe trovato nel vaccino antimeningococcico del DNA di feti abortiti si afferma: "se noi dovessimo trovare nel prossimo vaccino antinfluenzale di queste impurezze, è chiaro che ci renderemmo responsabili di un crimine, di un atto lesivo nei confronti dei nostri pazienti e quindi saremmo anche punibili chiaramente penalmente" (min. 2,38 della registrazione). Di opinione, anche se a contenuto scientifico, si tratta, poiché tra il rilievo di "impurità" nel vaccino antimeningococco e della possibilità di rinvenire identiche "impurità" nel vaccino anti Covid-19 il dott. (...) non fornisce alcuna relazione scientifica. Quanto al profilo della continenza sostanziale, si ritiene che la qualità personale del dichiarante, spesa in premessa alla dichiarazione ed il ruolo rivestito nell'ambito del sistema sanitario nazionale, inducono a ritenere sussistente un dovere di estremo rigore nell'esame delle fonti poste a fondamento delle proprie dichiarazioni, nella loro selezione in ragione della attendibilità e verificabilità della loro provenienza, nella fedeltà della loro esposizione e nella commistione tra tesi asseritamente scientifiche e opinioni. Se è vero che nel caso di specie il diritto di manifestazione del pensiero del dott. (...) va ad intersecare il diritto di libertà della ricerca scientifica, deve ritenersi altrettanto vero, allora che la continenza sostanziale andrà valutata sulla base delle rigorose regole del metodo scientifico, che impongono la verifica delle fonti e fedeltà nella esposizione delle fonti (verificate) e citate nella loro pluralità. Non pare ultroneo, anche al fine di non dovere scomodare nozioni di metodo scientifico offerte dall'epistemologia, riferire al medico che esercita attività di divulgazione di tesi di contenuto scientifico, il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia del diritto di cronaca, secondo cui l'articolista è tenuto ad "effettuare un controllo della fonte, giacché l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca implica la verità anche solo "putativa" della notizia, "ma purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca" del giornalista (tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 25 agosto 2014, n. 18174, Rv. 633036-01; Cass. Sez. 3, sent. 4 settembre 2012, n. 14822, Rv. 623667-01), oppure - potendo il "dovere di verifica" essere "tanto meno accurato, quanto più autorevole sia la fonte dell'informazione" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 ottobre 2019, n. 27592, Rv. 655572-01) assicurare la "fedeltà della pubblicazione rispetto al contenuto" della fonte" (Cass. civile sez. III, 20/04/2021, n.10347). Esaminando il rispetto o meno, da parte del dott. (...) del dovere di continenza sostanziale, non pare potersi negare, ad oggi, in fatto che il numero di contagi da Covid 19 sia tale da poter parlare di pandemia, che l'uso dei tamponi sia stato strumento indispensabile per l'individuazione della malattia e per il contenimento dei contagi, né parte ricorrente si è offerta di provare in giudizio il contrario. Con riferimento al tema dell'interferenza, si osserva che per indicazione del Ministero della Salute risulta addirittura possibile procedere alla somministrazione contestuale del vaccino antinfluenzale e del vaccino anti Covid-19, il che consentirebbe di escludere la fondatezza della tesi propalata dal dott. (...) nel video oggetto di sanzione. Tuttavia, anche a voler valorizzare il diritto, nel dibattito scientifico, di sostenere tesi minoritarie, si ritiene del tutto violato il dovere di continenza formale sul tema dell'interferenza, osservandosi come, sotto il profilo epistemologico, discorrendo di scienza, l'aspetto sostanziale e quello formale diventino tutt'uno, laddove si dia per assunto che una tesi assume dignità scientifica (al di là della sua fondatezza o meno, ovvero al di là della resistenza ai tentativi di falsificazione) qualora rispetti nella sua esposizione un rigido metodo scientifico che ne consenta, per l'appunto, la sottoposizione a falsificazione. Ora, tralasciando il fatto che lo studio del dipartimento della difesa americana invocato dal dott. (...) (doc. 1 di parte ricorrente) e dai professionisti dallo stesso citati (doc. 2 di parte ricorrente) parrebbe concludere affermando che "i risultati complessivi dello studio non hanno mostrato prove a sostegno dell'associazione tra interferenza virale e vaccinazione antinfluenzale. L'esame delle interferenze da parte di specifici virus respiratori ha mostrato risultati contrastanti e alcune interferenze del virus confutate. Inoltre, coloro che ricevevano il vaccino antinfluenzale avevano maggiori probabilità di non avere contratto alcun patogeno e di ridurre il rischio di influenza rispetto agli individui non vaccinati. Sono necessarie ulteriori ricerche per valutare l'interferenza virale e convalidare o confutare la validità della teoria dell'interferenza virale", e che quindi la tesi espressa parrebbe contraddetta dall'esame della stessa fonte citata, in ogni caso appare gravemente violato l'obbligo di continenza formale. Da un lato, la trattazione, in veste di medico, di tesi scientifiche imponeva al dott. (...) il ricorso a tutti i crismi del metodo scientifico, che richiede la precisa segnalazione della fonte citata, della verifica che trattasi di pubblicazione scientifica, della corretta esposizione dell'evidenza riscontrata in sede empirica dell'ipotesi scientifica formulata, la corretta esposizione dei risultati conseguiti dall'autore citato, l'esposizione (e possibilmente la confutazione) delle tesi scientifiche opposte certamente esistenti nella letteratura. Dall'altro, la situazione contingente, che vedeva il dott. (...) chiamato in prima persona a somministrare il vaccino antinfluenzale e, di lì a qualche settimana, il vaccino anti Covid19, imponeva allo stesso ulteriore rigore nell'esprimere tesi contrarie a quelle poste a fondamento del piano terapeutico non solo dall'(...) di appartenenza, ma da tutte le autorità nazionali e sovranazionali. Ciò non si è verificato nel caso di specie: quella che nello studio americano citato veniva riportata come un'ipotesi di studio, conclusasi, all'esito di una sperimentazione, senza l'effettivo riscontro della fondatezza della tesi formulata e con l'indicazione della necessità di ulteriori approfonditi studi sul punto è stata riferita dal dott. (...) come una tesi pienamente validata ("si sa con certezza da un sito del P. che il coronavirus subisce un'attivazione per azione del vaccino antinfluenzale"). Sul punto appaiono particolarmente pregnanti le dichiarazioni rese dalla teste (...) all'udienza del 10.2.2022: "ho visto l'articolo di cui aveva parlato il dott. (...) in un filmato messo su (...); io ho trovato l'articolo, ma era vecchio e non era riferito alla pandemia, non ricordo chi fosse l'autore né l'editore; era sicuramente un articolo scientifico, ma cose vecchie, che avevo studiato all'università; il problema dell'interferenza nelle malattie virali c'è sempre stato; dipende dallo stato immunitario del paziente, ma è raro". Con riferimento all'affermazione contenuta nel video "i morti di Bergamo dell'anno scorso erano stati tutti vaccinati con il vaccino per l'influenza..." (sec. 51 del video in atti) si rimanda allo stesso doc. 2 prodotto dal ricorrente. L'intervista al dott. T. (del quale parte ricorrente nemmeno si premura di fornire indicazioni in merito alla formazione scientifica) riporta l'affermazione "nelle province di Bergamo e Brescia, duramente provate dalla "covid-19" ... si sente parlare delle vaccinazioni di massa che potrebbero aver avuto un ruolo nell'incidenza di ricoveri e decessi. Non abbiamo dati certi per smentire o accreditare questa tesi: il numero di morti è stato altissimo e non abbiamo capito perché". Anche in questo caso l'affermazione appare gravemente lacunosa nel riportare una tesi, quella della correlazione tra somministrazione del vaccino antinfluenzale e il numero dei decessi verificatisi nei primi giorni della pandemia, come certa, nonostante la fonte citata abbia precisato che di tale correlazione non vi sia alcuna prova. Del tutto indimostrata, e priva di riferimenti scientifici appare l'affermazione secondo cui il vaccino (all'epoca) in corso di sperimentazione provocherebbe "terribili malattie autoimmuni nei soggetti vaccinati". Rispetto a tale affermazione e rispetto ad un rischio di contaminazione del vaccino di prossima autorizzazione (all'epoca della contestazione disciplinare) con cellule di feti abortiti, tesi poi smentite con l'approvazione dei vaccini da parte dell'EMA e dell'AIFA, questo Tribunale esclude di potere seriamente prendere a riferimento le dichiarazioni estrapolate da internet, in assenza di alcun riferimento in merito all'attendibilità delle fonti, agli studi compiuti dagli autori citati per addivenire a siffatte conclusioni (blog o interviste su siti non accademici, doc. 3 di parte ricorrente; l'intervista alla dott.ssa B. risulta peraltro parzialmente tagliata, rendendo impossibile l'integrale lettura). L'affermazione, poi, da parte di un medico deputato alla cura nell'ambito dei piani di cura nazionale e regionale, della natura "pilotata" e "pianificata" della pandemia appare di particolare gravità, non trovando tali affermazioni riscontro alcuno nella documentazione versata in atti. Più in generale, la gravità della condotta del dott. (...) deve essere ravvisata nella dolosa o gravemente colposa (non rileva) selezione (secondo il procedimento indicato dagli studiosi come "cherry-piking") e distorsione delle fonti citate, nel richiamo a fonti prive di connotati scientifici, nell'accostamento tra rilevamento di impurità in precedenti vaccini e la possibilità di rilevare le medesime impurità nel vaccino all'epoca in fase di sperimentazione, senza specificare le ragioni di tale accostamento, nell'accusa di pianificazione della pandemia (senza indicare da parte di chi), circostanze tutte queste che rendono plasticamente l'assenza di qualunque continenza sostanziale e formale delle dichiarazioni rese. Tutto ciò premesso in ordine all'impossibilità di ricondurre le dichiarazioni rese dal dott. (...) al diritto di manifestazione del pensiero, per difetto di contemperamento con interessi di rango costituzionale contrapposti, occorre infine valutare se la condotta del dott. (...), nella sua componente commissiva (registrazione del video asseritamente destinata alla diffusione tra medici) e nella sua componente omissiva (con riferimento alle cautele non adottate per impedire la diffusione virale del video) integri le fattispecie del codice disciplinare poste dall'(...) a fondamento della sanzione impugnata. Spostando l'attenzione dal significato delle dichiarazioni rese al significante, occorre valutare se lo strumento impiegato dal dott. (...) per veicolare il proprio messaggio sia lesivo dei principi di buon andamento della PA, di correttezza, obiettività e ragionevolezza tutelati dall'art. 3 D.P.R. n. 62 del 2013. Ad avviso di chi scrive, il mezzo stesso impiegato dal dott. (...) si pone in violazione di quell'obbligo di continenza formale di cui sopra si è detto. Se il dott. (...) avesse voluto esprimere una tesi scientifica ai propri colleghi (pag. 3 del ricorso introduttivo), avrebbe potuto impiegare altre forme, quali ad esempio, un saggio o un articolo scientifico, che peraltro gli avrebbero consentito un maggiore spazio di approfondimento sulle fonti citate, sull'esito delle sperimentazioni richiamate, tenuto conto del livello di conoscenza dei presunti interlocutori. Non appare pertanto in alcun modo rimproverabile la condotta dell'(...) che, per effetto della consultazione dei responsabili di équipe, si sia rifiutata di interloquire in termini scientifici rispetto a tesi la cui esposizione aveva ben poco di scientifico e dunque la condotta del dott. (...) non può ritenersi in alcun modo giustificata, invocando il rifiuto dell'(...) di prendere in considerazione le proprie dichiarazioni. Appare poi condivisibile il giudizio compiuto dall'(...) circa la gravità del comportamento del dott. (...) per avere veicolato le proprie tesi tramite un video destinato sì ai propri colleghi (min. 2,38 "volevo proporre a voi colleghi l'analisi di alcuni campioni di questi vaccini che arriveranno"), ma certamente suscettibile di ulteriore condivisione presso la pluralità degli utenti del servizio sanitario nazionale, come poi in effetti è stato (è lo stesso dott. (...), al min. 3:28 della registrazione, a chiedere a tutti "di diffondere questo video"; la presentazione iniziale "mi chiamo (...), sono un ex ufficiale medico dell'aeronautica e attualmente sono un medico di famiglia con attività anche nell'ambiente ospedaliero" e la frase conclusiva "ci risentiremo in seguito, perché questo sarà il primo di una serie di video che io continuerò a fare" appaiono denotare la volontà del dichiarante di raggiungere una platea di uditori ben maggiore rispetto a quella rappresentata da soli medici). Si osserva, peraltro, che sui destinatari del video vi è stata una rappresentazione quantomeno "fumosa": nella lettera di giustificazioni alla contestazione disciplinare il dott. (...) riferisce di avere inviato il video "ai colleghi medici" (doc. 8); nella denuncia del 12.10.2020 il dott. (...) dichiara " preciso di avere inviato il video tramite messaggio whatsapp ad alcuni miei amici" (doc. 6); al cap. 11 del ricorso, il dott. (...) dichiara di avere inviato il messaggio tramite whatsapp "ad un gruppo chiuso di amici, perché lo inoltrassero a medici del territorio di loro conoscenza". La mancata precisazione e documentazione in giudizio dei destinatari del video denota una grave colpa del dott. (...): l'impossibilità da parte del dott. (...) di ricostruire la catena degli invii e, vieppiù, l'invito a diffondere il video stesso, confermano la grave negligenza contestata dall'(...) e giustificano l'applicazione della sanzione oggetto di impugnazione. 5.3 Infine, venendo alla proporzionalità della sanzione, giova evidenziare che nell'elenco delle sanzioni contenuto dall'art. 30, quella inflitta al dott. (...) (art. 30 co. 7 lett. a), è la più grave, prima della revoca del rapporto (esclusa l'ipotesi di recidiva che non ricorre nel caso di specie). La sanzione appare proporzionata, tenendo conto della posizione ricoperta del dott. (...), dal momento storico in cui la condotta è stata tenuta, dalla situazione soggettiva (di colpa grave) del ricorrente, dell'intenzione manifestata nello stesso video di voler reiterare la condotta oggetto di sanzione, dagli interessi tutelati dalle norme violate (buon andamento dell'amministrazione pubblica al fine di tutelare la salute degli utenti del SSN) e dal danno che la condotta del ricorrente ha causato all'immagine dell'(...) (Cass. civile sez. lav., 14/09/2007, n. 19232) e che può avere causato alla salute degli utenti del servizio sanitario nazionale. Deve infatti ritenersi che la condotta posta in essere dal dott. (...) abbia ingenerato "disorientamento e allarme sociale" avendo egli registrato un video, del quale lo stesso chiedeva ai colleghi di dare diffusione, prospettando tesi fondate su una lettura distorta delle fonti citate o che facevano riferimento a fonti non meglio precisate, presentate come incontrovertibili ed avendo egli negato la gravità della situazione pandemica ("pseudo-pandemia"). In sede di discussione la difesa di parte ricorrente ha evidenziato che con tale termine il ricorrente avrebbe negato solo la pandemia, ma non l'epidemia. È tuttavia notorio che l'OMS ha dichiarato la sussistenza della pandemia sin dal mese di marzo 2020. Particolarmente grave, sotto il profilo dell'allarme sociale, appare poi la messa in discussione, della attendibilità dei tamponi Covid con percentuali prive di riferimento scientifico, in un momento in cui ancora non era stata autorizzata la somministrazione dei vaccini covid e in cui il test per la rilevazione del virus risultava strumento accessibile ad un ampio numero di persone e pertanto idoneo a consentire il contenimento del contagio. L'aver destato tale allarme sociale, seppure solo colposamente, ha inciso certamente sull'immagine dell'(...), non solo perché non risponde al vero il fatto che non vi sia stata interlocuzione tra i medici sulle questioni poste dal dott. (...) (si vedano il doc. 3 di parte convenuta e le deposizioni dei testi escussi), ma anche perché quest'ultimo ha espresso posizioni difformi da quelle adottate da enti nazionali e sovranazionali, recepite dalla stessa (...), senza precisare che trattavasi di tesi in parte minoritarie e in parte non suffragate da argomenti scientifici. La gravità della condotta si palesa poi dal fatto che i vizi della comunicazione "scientifica" provengono dal soggetto preposto alla salute pubblica, in capo al quale incombeva un maggior rigore nell'accertare l'attendibilità delle fonti e nell'illustrare il carattere minoritario o non ancora suffragato da dati scientifici di alcune delle tesi propalate. 6. Le spese di lite La novità e la complessità delle questioni trattate, che implicano un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. respinge il ricorso; 2. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite; 3. fissa termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Così deciso in Ivrea il 21 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa Federica Lorenzatti ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. R.G. 4641/ 2019 promossa da: (...), nato a T. il (...), c.f. (...), residente in Via G. R. n.2 - 10078 V. R. (T.), rappresentato e difeso, dall'AVV. DO.RO., del Foro di Benevento, in virtù di mandato in calce all'originale dell'atto introduttivo; -parte attrice- contro (...) PLC ((...)) - già (...) Plc, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in 1 C. Place, L. E14 5HP, R. U., iscritta al n. 1026167 del Registro delle Società di Inghilterra e Galles (Companies House) rappresentata e difesa dagli Avv.ti Ma.Ri. e Fr.Ca. giusta procura alle liti estesa su foglio separato in calce alla comparsa di costituzione e risposta -parte convenuta- avente per oggetto: contratti bancari MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. il sig. (...) ha convenuto in giudizio (...) PLC ((...)) - già (...) Plc, al fine di sentire accogliere le conclusioni come in epigrafe trascritte. Allegava parte attrice di avere sottoscritto in qualità di consumatore con (...) s.p.a (poi credito ceduto a (...)) contratto di cessione del quinto n. 110306 del 24.06.2009, per l'importo mutuato complessivo pari ad Euro 12.180,00, da restituirsi in numero 60 rate di importo pari ad Euro 203,00 (Il prefato contratto riportava un TAN fisso del 2,50%, un TAEG/ISC pari al 18,048% ed un TEG pari al 13,069%), Assumeva parte attrice che il contratto sottoscritto conteneva violazioni di legge, in particolare avuto riguardo al calcolo del TEG perché la resistente non aveva inserito nella voce il costo del premio assicurativo connesso all'erogazione del credito, di tal ché sommando detto costo agli altri ne sortiva, sulla base della consulenza tecnica di parte, che il valore del TEG, comprensivo della polizza assicurativa, risultava essere pari al 17,936%, dunque usurario, perché superiore al tasso soglia del 13,455%, fissato ai sensi della L. n. 108 del 1996 (All.D alla CTP-All.1). In forza di tale profilata nullità parte ricorrente (attrice) domandava, ai sensi dell'art. 1815 c.c., che venissero restituiti al consumatore tutti gli interessi e i costi accessori al credito per l'importo di Euro 3.945,44 (All.1 fasc. parte attrice- pag.7). Sotto distinto e connesso profilo, parte attrice chiedeva, altresì, il risarcimento del danno da reato per l'usura commessa, quantificato in via prudenziale ed equitativa, in Euro 3.000,00, o nella maggior o minor somma ritenuta di giustizia. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 13.05.2020 si costituiva in giudizio la (...) P.L.C., la quale contestava tutto quanto ex adverso dedotto, allegando in sintesi che: - non sussisteva la legittimazione passiva di (...) alle richieste di rimborso dei premi polizza, atteso che il soggetto "legittimato attivo" di tale azione è il titolare del patrimonio che deve essere reintegrato con la restituzione (c.d. solvens), mentre il soggetto "legittimato passivo" è quello che ha ricevuto i pagamenti di cui si richiede la restituzione medesima (c.d. accipiens). Conseguentemente, l'unico soggetto passivamente legittimato in ordine alla richiesta di restituzione o rimborso del premio era da individuarsi nell'impresa assicuratrice (...) e non l'ente erogatore del finanziamento. - nessuna nullità si poteva profilare in relazione alla violazione contestata da parte attrice, atteso che la finanziaria si era scrupolosamente attenuta alle indicazioni di (...) vigenti ratione temporis; la legge, infatti, affermava chiaramente che, fino al 31 dicembre 2009, l'indice da prendere in considerazione per finanziamenti contro cessione del quinto, ai fini della comparazione con il tasso soglia usura, è il T.E.G., calcolato ai sensi delle Istruzioni della (...) pro tempore vigenti, e non il diverso T.A.E.G.; - L'esclusione dei costi assicurativi dal calcolo del T.E.G. ai fini usura risultava sancita altresì da un'altra fonte normativa, il D.P.R. n. 180 del 1950, il quale contiene la regolamentazione dei finanziamenti tramite cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) stabilendo che "Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del titolo II e del presente titolo devono avere la garanzia dell'assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego". Conseguentemente, trattandosi di un obbligo imposto ex lege, tale voce non poteva essere conteggiata come costo del credito. - Tale conclusione risultava pienamente conforme alle Istruzioni di (...) emanate nell'agosto 2009, le quali precisavano che: "fino al 31 dicembre 2009, al fine di verificare il rispettodel limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della L. 7 marzo 1996, n. 108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della (...) e dell'UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006. ? restano pertanto esclusi dal calcolo del TEG per la verifica del limite di cui al punto precedente: ... gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (anche per tramite dell'intermediario)". - Nessun danno da reato era riconoscibile non essendosi in presenza alcun contratto usurario e, in ogni caso, alcun danno era stato allegato e/o dimostrato. Chiedeva, quindi, conclusivamente la convenuta di rigettarsi la domanda poiché infondata in fatto e in diritto. Il Giudice -con provvedimento reso a verbale in data 12.10.2020- disponeva ex art. 702 ter comma III c.p.c. il mutamento del rito e concedeva alle parti, dappoi, i termini di legge per il deposito delle memorie ex art. 183 co. VI c.p.c. Il giudice con distinta ordinanza del 06.07.2021, ritenendo la causa matura per la decisione e superflua la CTU contabile richiesta, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Le parti all'udienza del 13.04.2022 precisavano le conclusioni come in epigrafe indicate e il Giudice tratteneva la causa in decisione concedendo termini per il deposito della comparsa conclusionale e delle memorie di repliche. In primo luogo, vanno disattese le reiterate istanze istruttorie così come formulate in sede di precisazione delle conclusioni, non essendo stati allegati elementi novitari, né indicate le ragioni per cui appaia necessario istruire la causa, la quale a ben vedere ha carattere eminentemente documentale e involge in primo luogo a questioni di diritto. Sulla carenza di legittimità passiva della resistente La prima eccezione appare destituita di fondamento. La c.d. "restituzione" chiesta da parte attrice afferisce non ad una richiesta di oneri non goduti (in caso di estinzione anticipata del rapporto) e/o ripetizione di indebito ma discende direttamente dall'applicazione della sanzione prevista dall'art.1815 c.c. che prevede che -qualora sia accertata l'usura del contratto- le clausole siano dichiarate nulle e in conseguenza dell'accertata nullità la parte mutuante sia obbligata alla restituzione degli oneri a favore del mutuatario. Ed infatti "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi". Il costo assicurativo e il contratto n. contratto di cessione del quinto n. 110306 Ciò posto, occorre ribadire come a differenza del predicato argomentativo sostenuto dalla convenuta, il costo assicurativo vada, senz'altro, incluso e inglobato nel TEG. Nel merito, infatti, la convenuta ha contestato la domanda dell'attore, deducendo che, secondo le istruzioni di (...) vigenti all'epoca del contratto i premi di polizza non dovevano essere considerati ai fini della rilevazione del tasso medio effettivo globale (TEGM) e, per conseguenza, nemmeno ai fini della verifica del rispetto del limite di legge, con riguardo al tasso effettivo globale della singola operazione creditizia (TEG). La ragione di siffatta esclusione consisteva nel fatto che, nei prestiti contro cessione del quinto dello stipendio/pensione, "il costo assicurativo non è imposto dal mutuante a suo favore, ma rappresenta una tutela del cliente prevista da una previsione normativa alla luce di considerazioni di carattere pubblicistico che prescindono dalla volontà delle parti, ed in particolare dalla scelta del mutuante, il quale non acquisisce neanche i proventi. In questa ottica, vi sono palesi ragioni per ritenere il costo in esame (de facto) quanto più simile alle altre "imposte e tasse" di cui all'art. 644 c.p., e non assimilabile agli altri costi e spese inclusi nella verifica di usurarietà che sono invece unilateralmente determinati ed applicati dall'istituto di credito". In questo senso occorre, in primo luogo, affermare come la natura obbligatoria della polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo non sia incompatibiletout court con una connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta che va accertata in concreto ai fini del calcolo della soglia usura. (Corte d'appello, Milano , sez. I , 11/02/2021). Ed, invero, pur considerando che nel prestito contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione), l'art. 1 D.P.R. n. 180 del 1950 subordina la conclusione dei prestiti alla "garanzia dell'assicurazione sulla vita che assicuri il recupero del residuo credito in caso di decesso del mutuatario" va rammentato come questo costo sia coessenziale e collegato all'erogazione del credito e non possa essere qualificato impropriamente come una cd. "imposta o tassa" essendo rimessa la sua libera determinazione alle variabili di mercato. (cfr. Ordinanza Trib. di Torino estAstuni 13.01.2022) Né appare rilevante nel senso dedotto dalla banca la circostanza che le Istruzioni anteriori all'agosto 2009 non considerassero anche tale voce per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi praticati dal settore bancario e finanziario. Secondo la convenuta, infatti, le Istruzioni della (...) all'epoca vigenti espressamente richiamate dall'art. 3 del D.M. Tes., pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24.03.2004 attestante il Tasso Soglia rilevante per la categoria "cessione del quinto" per il periodo, sancivano che "1) le spese per assicurazioni e garanzie non sono ricomprese quando derivino dall'esclusivo adempimento di obblighi di legge; 2) Nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilate indicate nella categoria (...) le spese per assicurazione in caso di morte,invalidità infermità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché siano certificate da apposita polizza". Sul punto giurisprudenza pressoché granitica, avvalorata da numerose pronunce di legittimità e di merito, ha chiarito, invece, come tale costo assicurativo vada incluso nel TEG. Nei termini, vedasi la pronuncia di Cassazione sent. n. 17466 pubblicata il 20/08/2020 la quale ha stabilito che "ai fini della valutazione dell'eventuale natura usuraria di un contratto di mutuo, devono essere conteggiate anche le spese di assicurazione sostenute dal debitore per ottenere il credito, in conformità con quanto previsto dall'art. 644, comma 4, c.p., essendo, all'uopo, sufficiente che le stesse risultino collegate alla concessione del credito"; (...) "La disciplina della misura usuraria del prezzo complessivo del denaro (art.1815, co. 2, cod . proc. civ.) trova sede non solo nella L. n. 108 del 1996, il cui art. 2, individua la soglia non superabile nel tasso medio, rilevato trimestralmente dal Ministero del Tesoro (oggi MEF), sentiti la (...) e l'Ufficio italiano dei cambi, aumentato della metà, ma altresì nell'art. 644, co. 4, cod. pen., siccome novellato dalla legge predetta (sull'unitarietà della disciplina si sofferma la citata sentenza n. 8806); norma, quest'ultima, che al fine di impedire, tanto prevedibili quanto agevoli, aggiramenti del divieto, a prescindere dal nome con il quale il contratto qualifica la dazione, prescrive che "Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate allaerogazione del credito". Qui non è dubbio che si tratti di una spesa (a qualsiasi titolo dice la legge) collegata alla "erogazione del credito""; che "Al contrario di quel che sostiene la ricorrente incidentale il comma 2 dell'art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2/09, non ha influenza sul caso al vaglio ... ... trattandosi del regolamento transitorio riguardante esclusivamente i tassi praticati nei conti correnti bancari". Di per sé, poi, il fatto che la convenuta si sia conformata alle direttive della (...) (difesa sviluppata diffusamente dalla convenuta) non ha alcun valore esimente. Ed infatti, il ragionamento che sta alla base di queste pronunce è sostanzialmente incentrato sulla natura e sul rango di fonte regolamentare da attribuire alle istruzioni della (...), Autorità Indipendente la quale -come correttamente rilevato dalla giurisprudenza maggioritaria- non ha potestà regolamentare né gli è stata mai demandata dalla L. n. 108 del 1996. La L. n. 108 del 1996 si era limita, infatti, a prevedere che B.D. fosse sentita ai fini dell'elaborazione dei tassi effettivi globali medi applicati e rilevati per categorie omogenee contrattuali. Le Istruzioni della (...), di cui si discute nella presente causa, non erano infatti dettate al fine di indicare in generale come debba essere conteggiato il TEG, ossia il tasso effettivo globale applicato dalla banca sulla singola operazione con il cliente, ma erano rivolte alle banche e agli operatori finanziari per rilevare il TEGM, ossia tasso effettivo globale medio applicato per operazioni omogenee in un determinato periodo. In ogni caso, evidenzia la giurisprudenza più accorta, la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo, in specie dei decreti ministeriali emanati con cadenza trimestrale, non pregiudica anche nel caso di specie (a discapito di quanto assume l'ABF in alcuni pronunciamenti) il potere-dovere del giudice ordinario di disapplicare il provvedimento, per intero o per la parte in cui esso sia eventualmente affetto da illegittimità. Sempre negli stessi termini anche Cassazione del 24.9.2018 n. 22458 che, pronunciandosi su un contratto di prestito contro cessione del quinto dello stipendio ha confermato la sentenza di merito, statuendo che la polizza assicurativa, ancorché obbligatoria per legge, ha o può avere una "connotazione propriamente remunerativa, anche indiretta, che va accertata in concreto utilizzando il diverso canone della sua effettiva incidenza economica diretta ed indiretta - sulle obbligazioni assunte dalle parti in relazione al contratto di finanziamento" e che il revirement di (...)contenuto nelle Istruzioni dell'agosto 2009 non prova che tali polizze assicurative dovessero, per il passato, escludersi dal calcolo del TEG, semmai dimostra "la acquisita consapevolezza da parte dell'Istituto della complessità e della delicatezza dello snodo valutativo inerente alle spese accessorie, e segnatamente del loro carattere remunerativo, risolto in maniera tranciante mediante la loro espressa inclusione tra gli elementi di calcolo del TEG, alle condizioni indicate". In senso conforme, da ultimo, è ancora intervenuta la Cass. 1.2.2022 n. 3025 la quale evidenzia, in sintesi, che: a) l'unica fonte normativa che definisce la fattispecie usuraria è quella contenuta nell'art. 644 comma 5 cod. pen. - secondo cui "per la determinazione del tasso di interessi si tiene conto delle commissioni remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito" - e ad essa si devono necessariamente uniformare, e raccordare, le diverse disposizioni che intervengono in materia; b) non ha dunque nessun rilievo il fatto che la (...), ai fini del calcolo del T.E.G. del singolo rapporto di credito, non abbia inserito nelle Istruzioni per la rilevazione del T.E.G.M. i costi assicurativi, atteso che trattasi di fonti normative secondarie che il giudice deve disapplicare ove contrastanti col dato normativo secondario; c) la circostanza per cui i decreti ministeriali di determinazione del TEGM, conformemente alle Istruzioni della banca d'Italia 2006, non includessero i costi assicurativi potrebbe incidere piuttosto sulla validità degli stessi, quali provvedimenti amministrativi, per non essere conformi alla legge di cui costituiscono applicazione, riportando una rilevazione effettuata senza tenere conto di tutti i fattori che la legge impone di considerare; d) non essendo le Istruzioni della (...) finalizzate a stabilire il TEG relativo al singolo specifico rapporto, avendo esse il solo scopo di richiedere agli intermediari dati da fornire al Ministero del Tesoro al fine di valutare il TEGM da osservarsi per il trimestre successivo e non essendo possibile ritenere che tali disposizioni possano essere attuate in deroga alla legge ed, in particolare, all'art. 644 c.p., il quale indica le componenti da considerarsi per il computo del tasso effettivo globale praticato, è evidente che esse non hanno alcuna efficacia precettiva nei confronti del Giudice nell'ambito dell'accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari nei casi in cui esse stabiliscono tassi di interesse di un determinato rapporto. Il TEG applicato alla singola operazione va quindi accertato dal Giudice unicamente sulla base dell'art. 644 c.p. e, ove presenti, di eventuali disposizioni di legge aventi pari forza normativa (cfr. App. Milano n. 3238/2013; App. Milano n. 1070/2014; App. Torino 20.12.2013). In conclusione, il tasso indicato in contratto, formato inglobandovi anche il premio di polizza deve essere utilizzato come "succedaneo" del TEG ai fini del confronto col tasso soglia (e risulta essere pari al 17,936%) dunque usurario, perché superiore al tasso soglia del 13,455%, fissato ai sensi della L. n. 108 del 1996. Il contratto è quindi usurario, senza che sia necessario lo svolgimento di una perizia per accertare tale profilo atteso che spettava alla banca -quale onere di specifica contestazione- non limitarsi alla generica contestazione dell'an (limitandosi a reiterare le difese sulla non doverosità di inclusione del costo assicurativo nel TEG) ma dovendo la stessa prendere specifica posizione anche in ordine al quantum. Sul punto vedasi Cass. 945/2006 la quale afferma: "(...) l'onere di contestare specificamente i conteggi relativi al quantum - la cui inosservanza costituisce elemento valutabile dal giudice in sede di verifica del fondamento della domanda - opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato". (Cass., 7 luglio 1999 n. 7089; 8 aprile 2000 n. 4482; 29 maggio 2000 n. 7103). Il principio sopra lumeggiato, mutuato dal giudizio del lavoro, ben può essere applicato anche nel caso di specie tenuto conto che a fronte della perizia di parte prodotta e di quantificazione della somma vi è onere di specifica contestazione delle risultanze dell'elaborato peritale da parte della convenuta (sull'onere di specifica contestazione vedasi Corte D'appello Torino n.1323/2021, depositata in data 01.12.2021). Pertanto, in accoglimento della domanda promossa, parte attrice avrà diritto di ripetere l'importo pari ad Euro 3.945,44, oltre interessi legali dalla costituzione in mora (19.09.2019 doc. 2-3- fasc. attoreo) alla domanda giudiziale, e interessi ex art. 1284 co. 4 dalla domanda al saldo. Sui danni da reato Secondo le prospettazioni di parte attrice, la mancata inclusione nel TEG del costo assicurativo avrebbe determinato, altresì, il danno da reato, essendo integrato il reato di usura e per tale fatto sarebbe dovuto il risarcimento del danno. Evidentemente, tale conclusione non può essere sposata acriticamente, non potendo il danno essere in re ipsa, ma essendo sempre necessario allegarlo e compiutamente provarlo. Vi è da dire, infatti, che tale tipologia di danno è di spettanza a favore della vittima del reato sol che siano allegate circostanze tali da fondare, anche in via soltanto presuntiva, che i fatti accertati abbiano provocato nella medesima un sensibile turbamento d'animo (cfr. Cass. 13 gennaio 2016, n. 339; Cass. 19 gennaio 2015, n. 777) nel caso di specie non vi è stata alcuna allegazione in punto. Sulle spese di lite In ragione della soccombenza di parte convenuta (tenuto conto della domanda principale promossa dall'attrice) la stessa deve essere condannata alla refusione delle spese di lite a favore di parte attrice, così come liquidate in dispositivo, nel limite dell'accolto, tenendo conto dei parametri prossimi ai valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. (ridotti nella misura del 30%), in ragion dell'attività processuale effettivamente svolta e della sostanziale assenza della fase istruttoria. Non potranno, per converso, essere riconosciute le spese asseritamente sostenute da parte attrice per la redazione della perizia atteso che non vi è prova né della proposta di parcella del professionista, né dell'effettivo esborso. Le spese di lite andranno liquidate a favore di parte attrice e non già distratte a favore dell'avvocato patrocinatore il quale con comparsa conclusionale del 16.06.2022 ha chiesto espressamente il rimborso delle competenze legali senza distrazione. P.Q.M. Il TRIBUNALE DI IVREA in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 4641/2019 R.G. promossa da (...) contro (...) PLC nel contraddittorio delle parti: DICHIARA l'usurarietà del TEG applicato al contratto di cessione del quinto n. 110306 del 24.06.2009 stipulato dal sig. (...) e (...) SPA e, per l'effetto, ai sensi del comma 2 dell'art. 1815 c.c. DICHIARA TENUTA e CONDANNA (...) PLC (già (...) PLC) a restituire a (...) la somma di Euro 3.945,44 oltre interessi legali dalla costituzione in mora (19.09.2019) alla domanda giudiziale e interessi ex art. 1284 co. 4 dalla domanda al saldo; RIGETTA la domanda di risarcimento del danno da reato formulata dal sig. (...) CONDANNA la convenuta (...) PLC a rimborsare all'attore (...) le spese di lite che liquida in Euro 145,50 per C.U. e marca, Euro 1.701,00 per compensi ex D.M. n. 55 del 2014 e s.m.i. oltre rimborso spese generali 15%, CPA come per legge e IVA se dovuta. Così deciso in Ivrea l'11 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Sezione Civile - Lavoro in persona della dott.ssa Magda D'Amelio, all'udienza del 1/07/2022, ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa n. 157/2022 RGL, promossa da (...), c.f (...), ass. avv. (...) - PARTE RICORRENTE - contro ASL DI COLLEGNO E PINEROLO TO3, c.f. 09735650013, ass. avv. (...) - PARTE CONVENUTA - Oggetto: sospensione per inadempimento obbligo vaccinale CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il presente giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor (...) dalla ASL TO 3 per non avere ottemperato all'obbligo vaccinale anti Sars Cov 2 previsto dall'art. 4 D.L. 44/2021. Il signor (...) è dipendente della ASL TO 3 con formale inquadramento di OSS. Egli, tuttavia, a decorrere dal 1.9.2018, dopo essere stato ritenuto idoneo alla mansione con prescrizioni, è stato adibito ad attività di tipo esclusivamente amministrativo presso l'anagrafe zootecnica e degli animali da affezione ubicata in Venaria Reale. Entrato in vigore il D.L. 44/2021, il SISP inviava al signor (...) lettera raccomandata con la quale gli chiedeva di produrre la documentazione attestante l'effettuazione della vaccinazione anti Sars - CoV - 2 ovvero la documentazione attestante l'esonero o il differimento dall'obbligo nel termine di cinque giorni dal ricevimento della stessa. Il signor (...) rispondeva facendo presente di svolgere da oltre tre anni mansioni esclusivamente amministrative e chiedeva, pertanto, di essere sollevato dall'obbligo anche per timore che il vaccino potesse interferire con le pluripatologie di cui lo stesso è portatore. Al che il SISP chiedeva una formale dichiarazione da parte del datore di lavoro attestante il suo stato lavorativo. Il signor (...) trasmetteva, dunque, le dichiarazioni della dott.ssa Barbara Galla, direttore della S.C. Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di Lavoro dell'ASL TO 3, e del dott. Giovanni Tedde, sostituto del direttore della S.C. Sanità animale, con le quali gli stessi attestavano che il lavoratore svolgeva mansioni "esclusivamente di tipo amministrativo'' pur essendo formalmente inquadrato quale OSS. Nonostante ciò, con provvedimento del 23.11.2021 il datore di lavoro disponeva la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per inosservanza dell'obbligo vaccinale previsto per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui al D.L. 44/2021 sino al 31 dicembre 2021. Il signor (...) contestava il provvedimento ribadendo di svolgere funzioni meramente amministrative e ne chiedeva la revoca. Tuttavia, la missiva rimaneva priva di riscontro. L'impugnazione veniva, dunque, reiterata a mezzo del proprio difensore. In data 24 dicembre 2021 l'ASL TO 3 confermava il proprio provvedimento sulla scorta della considerazione che il signor (...), essendo ancora formalmente inquadrato come Operatore Socio Sanitario e non avendo mai chiesto il formale passaggio ad un diverso profilo, rientrava nel novero dei destinatari dell'obbligo vaccinale. In data 28 dicembre 2021, stante l'approssimarsi dell'originario termine di scadenza del provvedimento sospensivo, l'ASL comunicava al ricorrente che per effetto del D.L. 172/2021 il termine di efficacia della sospensione era stato differito al 14 giugno 2022. Il signor (...), dunque, nel preannunciare la propria volontà di impugnare giudizialmente i provvedimenti di sospensione di cui era risultato destinatario, chiedeva il pagamento degli assegni previsti dall'art. 82 D.P.R. 3/1957. L'ASL, però, rigettava anche detta richiesta. In data 25 gennaio 2022 egli chiedeva, poi, di essere riammesso in servizio svolgendo la propria attività da remoto; anche questa volta, però, l'ASL riscontrava negativamente la richiesta del lavoratore. Il signor (...) instaurava, dunque, il presente giudizio lamentando l'illegittimità del provvedimento di sospensione irrogatogli per i seguenti motivi: a) egli non rientrerebbe nel novero dei soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale atteso che le sue mansioni sono di tipo esclusivamente amministrativo; b) in ragione delle pluripatologie da cui è affetto e del suo status di invalido civile al 67% e portatore di handicap ex art. L 104/1992 egli è qualificabile quale lavoratore fragile e, dunque, da un lato non sarebbe assoggettato all'obbligo vaccinale e dall'altro l'asl avrebbe il dovere di fargli svolere le proprie mansioni da remoto; c) la vaccinazione sarebbe una misura del tutto inefficace nel prevenire il contagio e, dunque, la limitazione dei diritti costituzionali del lavoratore sarebbe priva di giustificazione; d) l'ASL non aveva adempiuto al proprio onere di verificare la presenza di mansioni disponibili che non prevedessero contatti interpersonali a cui adibire il ricorrente. Infine, il ricorrente lamentava il diniego opposto dall'ASL a corrispondergli durante il periodo di sospensione gli assegni previsti dall'art. 82 D.P.R. 3/1957. Il signor (...) chiedeva, pertanto, che il giudice - accertata l'illegittimità dei provvedimenti di sospensione - ordinasse all'ASL di riammetterlo in servizio e la condannasse a pagare le differenze retributive medio tempore maturate. L'ASL TO 3 si costituiva tempestivamente in giudizio difendendo la correttezza del proprio operato. La stessa deduceva che, a fronte del formale inquadramento del ricorrente come OSS, nessun rilievo potesse ascriversi alle mansioni effettivamente espletate, anche il ragione dello ius variandi del datore di lavoro che in qualsiasi momento avrebbe potuto reimpiegarlo nelle originarie mansioni: egli, dunque, era a pieno titolo destinatario dell'obbligo vaccinale e, non avendovi adempiuto, necessariamente era stato sospeso. Osservava, inoltre, come le mansioni espletate implicassero contatti con i due veterinari del complesso, nonché con i proprietari degli animali da affezione e con gli allevatori; dunque, anche con riferimento alle mansioni specifiche espletate, sussisteva quelle condizioni di rischio di propagazione del virus che giustificava l'obbligo vaccinale. Deduceva, poi, come l'art. 2 D.L. 172/2022 a decorrere dal 15 dicembre 2021 avesse esteso l'obbligo vaccinale previsto nel D.L. 44/2021 anche al personale amministrativo operante nelle strutture sanitarie e che il successivo D.L. 1/2022 avesse introdotto l'obbligo vaccinale per tutti i lavoratori che avessero compiuto il cinquantesimo anno di età. Alla luce della normativa sopravvenuta, dunque, l'ASL non avrebbe comunque potuto ricevere la prestazione lavorativa del signor (...) posto che l'assoggettamento all'obbligo vaccinale discendeva anche da dette norme. Contestava, inoltre, la possibilità del ricorrente di svolgere la propria mansione in modalità agile e rilevava come l'ASL avesse affidato ad un'apposita commissione il compito di individuare mansioni alternative per i soggetti non vaccinati. Tale indagine aveva, tuttavia, avuto esito negativo, con la conseguenza che nulla poteva essere rimproverato al datore di lavoro neanche in termini di mancato assolvimento dell'obbligo di repechage. Da ultimo eccepiva l'infondatezza della domanda volta ad ottenere il pagamento degli assegni ex art. 82 D.P.R. 3/1957 atteso che detta norma si riferisce al lavoratore sospeso in via cautelare e, dunque, ad una fattispecie diversa da quella oggetto di giudizio. All'udienza odierna le parti davano atto che il lavoratore era stato riammesso in servizio in data 19 aprile 2022 avendo egli contratto la malattia ed essendone poi guarito. L'art. 4 D.L. 44/2020 nella versione ratione temporis applicabile recita: "1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano 6. Decorsi i termini per l'attestazione dell'adempimento dell'obbligo vaccinale di cui al comma 5, l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 8. Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. 9. La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021". La disposizione in commento, al dichiarato fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza ha previsto l'obbligatorietà del vaccino per gli esercenti le professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario che operino all'interno di strutture ospedaliere, RSA o studi privati, considerando la vaccinazione per il Covid-19 requisito essenziale per l'esecuzione della prestazione lavorativa. Come noto, al momento dell'introduzione della disposizione, non vi erano altre categorie professionali assoggettate all'obbligo vaccinale. È evidente, dunque, che la scelta della categoria cui è stato imposto l'obbligo vaccinale non è stata casuale: si tratta, infatti, di soggetti che operano a stretto contatto con quella categoria di persone che, una volta infettatasi, sconta un'alta probabilità di sviluppare la malattia in forma grave con esiti anche mortali. Il legislatore ha, quindi, scelto di limitare la libertà di autodeterminazione dell'appartenente a dette categorie al fine di salvaguardare il bene salute dei soggetti più fragili che si trovano costretti ad avere contatti con i primi in quanto bisognosi di cure. La sospensione dal servizio, nell'ottica del legislatore, non si configura, dunque, come una misura punitiva; la stessa, invece, risponde all'esigenza di allontanare il lavoratore che, in quanto non vaccinato, viene considerato una fonte di rischio per quei soggetti fragili che con lo stesso devono necessariamente venire a contato. Così ricostruita la ratio della norma è allora evidente che, al fine di determinare se in capo al lavoratore sussista o meno l'obbligo in oggetto, ciò che rileva non è il suo formale inquadramento, ma le mansioni in concreto esercitate. Infatti, solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisi quel rischio specifico che il legislatore ha voluto neutralizzare risulta giustificata la compressione del diritto di autodeterminazione del singolo e può configurarsi l'obbligo vaccinale. Nel caso di specie è pacifico, oltre che provato documentalmente, che il signor (...) svolge mansioni amministrative. In ragione di ciò non può che concludersi che lo stesso sfugge dal campo di applicazione del disposto di cui all'art. 4 D.L. 44/2021. Non porta a conclusioni diverse l'obiezione fatta dall'ASL secondo la quale il signor (...) entra a contatto con svariati soggetti quali allevatori e proprietari di animali i quali ben potrebbero essere soggetti anziani o portatori di gravi patologie. Non è, infatti, questo il rischio specifico che ha indotto il legislatore a introdurre l'obbligo vaccinale; i soggetti con cui si relazione il signor (...) non sono necessariamente anziani e/o uno stato di salute compromesso e non sono esposti necessariamente a contatti stretti e ravvicinati con il lavoratore. Un conto è, infatti, l'impiegato in attività di front office (quale è il ricorrente) che può tenersi a distanza dagli utenti e può anche essere fisicamente separato da questi mediante barriere fisiche di plexiglass; altro è il medico o l'operatore sanitario che visita il paziente, gli somministra la terapia e si occupa della sua igiene personale, con un conseguente contatto prolungato e ravvicinato. Il rischio che si correla all'attività lavorativa del ricorrente non è dunque dissimile - ed anzi appare decisamente inferiore - a quello proprio della cassiera al supermercato, ovvero a quello dell'impiegato delle poste o della banca. Tutti questi lavoratori entrano giornalmente a contatto con una pluralità di clienti, molti dei quali anziani e probabilmente anche con patologie. Eppure il legislatore non ha previsto l'obbligo vaccinale per queste categorie di persone. Non può, dunque, che concludersi nel senso che, mancando il rischio specifico che la norma mira a neutralizzare, è inconfigurabile un obbligo di vaccinarsi a carico del lavoratore e conseguentemente non risulta giustificata la sua sospensione dal servizio. Quanto si qui detto sarebbe sufficiente per accogliere la domanda. Il datore di lavoro ha giustificato la sospensione dal servizio richiamando l'inadempimento all'obbligo vaccinale previsto dall'art. 4 D.L. 44/2021. È, dunque, in relazione a detta fattispecie che deve essere vagliata la legittimità del provvedimento e non con riferimento a distinte fattispecie introdotte da norme sopravvenute. In ogni caso, e a meri fini di completezza, si prosegue nell'analisi delle tesi difensive esposte dall'ASL al fine di dimostrarne l'infondatezza. L'ASL fonda la salvezza del provvedimento di sospensione sulla normativa sopravvenuta che, estendendo l'obbligo vaccinale dapprima a quanti svolgano attività amministrativa nell'ambito di strutture sanitarie e poi a tutti i lavoratori ultracinquantenni, avrebbe comunque reso la prestazione del ricorrente irricevibile. L'art. 4 ter D.L. 44/2021 nella versione prevista dall'art. 2, comma 1, L 172/2021 recita: "Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validità delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie: c) personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis (...) I soggetti di cui al comma 2 verificano immediatamente l'adempimento del predetto obbligo vaccinale acquisendo le informazioni necessarie anche secondo le modalità definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 9, comma 10, del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Nei casi in cui non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell'ambito della campagna vaccinale in atto, i soggetti di cui al comma 2 invitano, senza indugio, l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa ai sensi dell'articolo 4, comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi in un termine non superiore a venti giorni dalla ricezione dell'invito, o comunque l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. In caso di presentazione di documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, i soggetti di cui al comma 2 invitano l'interessato a trasmettere immediatamente e comunque non oltre tre giorni dalla somministrazione, la certificazione attestante l'adempimento all'obbligo vaccinale. In caso di mancata presentazione della documentazione di cui al secondo e terzo periodo i soggetti di cui al comma 2 accertano l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e ne danno immediata comunicazione scritta all'interessato. L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati. La sospensione è efficace fino alla comunicazione da parte dell'interessato al datore di lavoro dell'avvio o del successivo completamento del ciclo vaccinale primario o della somministrazione della dose di richiamo, e comunque non oltre il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021". A sua volta, l'art. 8 ter, comma 1, D.Lgs. 502/1992 recita: "La realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie sono subordinate ad autorizzazione. Tali autorizzazioni si applicano alla costruzione di nuove strutture, all'adattamento di strutture già esistenti e alla loro diversa utilizzazione, all'ampliamento o alla trasformazione nonché al trasferimento in altra sede di strutture già autorizzate, con riferimento alle seguenti tipologie: a) strutture che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti; b) strutture che erogano prestazioni di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio; c) strutture sanitarie e socio-sanitarie che erogano prestazioni in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno". Si è detto che il signor (...) svolge la sua mansione presso l'Anagrafe zootecnica e degli animali da affezione della S.C. Sanità Animale del Dipartimento di Prevenzione dell'A.S.L. TO3, ubicata a Venaria Reale nell'ex Presidio Ospedaliero. È pacifico che dal dicembre del 2019 l'edificio non è più destinato alla cura o all'assistenza dei pazienti ed è altresì ubicato a distanza dalle strutture ospedaliere. Pertanto la fattispecie oggetto di giudizio non può essere sussunta nella fattispecie astratta invocata; anche sotto questo aspetto, dunque, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo in quanto irrogato ad un lavoratore non sottoposto ad obbligo vaccinale. Infine, l'art. 1, comma 1, D.L. 1/2022 ha introdotto l'art. 4 quater il quale, nella sua formulazione originaria, recita: "1. Dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e fino al 15 giugno 2022, (...) l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, di cui all'articolo 3-ter, si applica ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4, 4-bis e 4-ter. 3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche a coloro che compiono il cinquantesimo anno di età in data successiva a quella di entrata in vigore della presente disposizione, fermo il termine del 15 giugno 2022, di cui al comma 1". Il richiamato art. 3 ter chiarisce che "L'adempimento dell'obbligo vaccinale previsto per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 comprende il ciclo vaccinale primario e, a far data dal 15 dicembre 2021, la somministrazione della successiva dose di richiamo, da effettuarsi nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute". Non vi è dubbio che il ricorrente, alla data di entrata in vigore della disposizione, avesse già compiuto cinquant'anni. Tuttavia, ciò non è sufficiente al fine di ritenere legittimo il provvedimento di sospensione. È, infatti, necessario rinvenire il fondamento normativo che giustifichi la misura. Si ricorda, infatti, che in relazione ai sanitari e alle altre categorie professionali per le quali è stato di volta in volta introdotto l'obbligo vaccinale, il legislatore ha espressamente chiarito che il vaccino costituiva un requisito per l'esercizio della professione e ha previsto l'automatica sospensione dello stesso a seguito dell'avvenuto accertamento dell'inottemperanza all'obbligo vaccinale. Nel caso di specie il legislatore si è mosso in direzione diversa: non ha considerato il vaccino requisito per l'espletamento della mansione e non ha previsto la possibilità per il datore di lavoro di sospendere il soggetto non vaccinato dal servizio; ha, invece, introdotto una sanzione pecuniaria e disciplinato i requisiti per l'accesso ai luoghi di lavoro. L'art. 4 quinquies, infatti, nella sua versione originaria, richiedeva ai lavoratori ultracinquantenni di essere in possesso e di esibire la certificazione verde Covid 19 da vaccinazione o guarigione al fine di accedere sul luogo di lavoro. In difetto, il lavoratore sarebbe stato considerato assente ingiustificato, senza diritto alla retribuzione, ma con diritto alla conservazione del posto. Successivamente la norma è stata modificata e, a decorrere dal 25 marzo 2022, ai fini dell'accesso sui luoghi di lavoro è stato ritenuto sufficiente il possesso del cd. green pass base, ovvero quello ottenuto mediante semplice test. L'art. 8 del D.L. 24/2022, comma 6, dispone, infatti, che: " L'articolo 4-quinquies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, è sostituito dal seguente: Art. 4-quinquies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nei luoghi di lavoro per coloro che sono soggetti all'obbligo vaccinale ai sensi degli articoli 4-ter.1, 4-ter.2 e 4-quater). - 1. Fermi restando gli obblighi vaccinali e il relativo regime sanzionatorio di cui all'articolo 4-sexies, i soggetti di cui agli articoli 4-ter.1, 4-ter.2, comma 3, ultimo periodo, e 4-quater, fino al 30 aprile 2022, per l'accesso ai luoghi di lavoro, devono possedere e, su richiesta, esibire una delle certificazioni verdi COVID-19 da vaccinazione, guarigione o test, cosiddetto green pass base di cui all'articolo 9, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 9-ter.1, 9-ter.2, 9-quinquies, 9-sexies, 9-septies, 9-octies e 9-novies del decreto-legge n. 52 del 2021." Così ricostruito il quadro normativo, risulta chiaro come il legislatore non abbia mai previsto la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per i lavoratori ultracinquantenni. In origine il vaccino costituiva uno dei presupposti - insieme all'avvenuta guarigione - per ottenere il cd. green pass rafforzato, necessario per accedere sul luogo di lavoro. In ogni caso, poi, a decorrere dal 23 marzo 2022 il lavoratore avrebbe potuto accedere al luogo di lavoro sottoponendosi ai test antigenici o molecolari e ottenendo così il cd. green pass base. Possibilità, tuttavia, che al signor (...) è stata preclusa dall'illegittimo provvedimento di sospensione. In sintesi e per concludere: il ricorrente non può essere ricompreso tra i destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 4 D.L. 44/2021 in quanto attende a mansioni squisitamente amministrative; egli, inoltre, non può essere ricompreso tra i destinatari dell'obbligo vaccinale ex art. 4 ter D.L. 44/2021 in quanto non svolge le sue mansioni presso strutture dedicate all'assistenza e al ricovero dei pazienti; da ultimo, la sospensione dal servizio non può essere comminata in ragione dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale previsto per i lavoratori ultracinquantenni in quanto, in quest'ultima fattispecie, la norma non prevede la sospensione dal servizio quale conseguenza della mancata somministrazione del vaccino. In ragione di quanto sin qui esposto, il provvedimento di sospensione risulta illegittimo; l'ASL deve, dunque, essere condannata a pagare al ricorrente le somme maturate e non percepite nel periodo di illegittima sospensione, maggiorate degli interessi di legge, dal dovuto al saldo effettivo. Non si annulla il provvedimento di sospensione e non si dispone la riammissione del lavoratore in servizio atteso che sul punto la materia del contendere risulta cessata; il ricorrente è, infatti, già stato riammesso in servizio a far data dal 19 aprile 2022 dopo aver contratto la malattia. Tutte le ulteriori questioni rimangono assorbite. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014, tabella cause di lavoro, valore indeterminabile - complessità bassa (scaglione Euro 26.000 - 52.000) valori medi, omessa la fase istruttoria che non si è tenuta, in Euro 7.025, oltre 15% spese generali, Iva e c.p.a., nonché Euro 259 per esposti. Non viene rimborsata la marca da bollo da Euro 27 in quanto nelle cause di lavoro non è dovuta. P.Q.M. visto l'art. 429 c.p.c., ogni altra domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa: - Accerta e dichiara l'illegittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione comminato al signor (...) con provvedimento del 23.11.2021, poi prorogato con provvedimento del 28.12.2021 e per l'effetto - Condanna l'ASL TO 3 e pagare al signor (...) le somme che avrebbe percepito nel periodo in cui lo stesso è risultato illegittimamente sospeso dal servizio, maggiorate degli interessi legali dalle singole scadenze al saldo effettivo - Condanna l'ASL TO 3 a rifondere al signor (...) le spese di lite, liquidate in Euro 7.025, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, oltre CPA ed IVA come per legge, oltre Euro 259 per contributo unificato. Ivrea, 1 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Meri Papalia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4558/2017 promossa da: (...) (C.F. (...) ) ATTORE contro (...) (C.F. (...) ) CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 27 novembre 2017 (...) deduceva di aver stipulato un contratto di appalto con (...), avente ad oggetto la realizzazione di un immobile in Via B. a S. F. al C., sulla base di un progetto redatto dal Geom. (...), poi, incaricata anche della direzione dei lavori di appalto sino al 14 agosto 2014, data alla quale rassegnava le proprie dimissioni. I lavori non venivano completati, né eseguiti ad opera d'arte da parte dell'appaltatore con responsabilità anche del direttore dei lavori. Con comparsa del 21 febbraio 2018 si costituiva in giudizio (...), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale, rilevando che il contratto si era risolto per inadempimento imputabile al committente che aveva impedito la prosecuzione dei lavori, come da lettera stragiudiziale del 4 maggio 2015. Inoltre, rilevava che con riguardo ai difetti delle tegole, la responsabilità era da imputarsi alla (...) S.r.l., che si era resa disponibile alla sostituzione, negando la sussistenza di qualsiasi comportamento emulativo, asserito sul punto dall'attore. Il convenuto esperiva, poi, domanda riconvenzionale nei confronti dell'attore domandando il pagamento della fattura n. (...) del 26.5.14 di Euro.42.190,18 rimasta insoluta, e di ulteriori somme per spese di noleggio e installazione del ponteggio, approntamento del cantiere e sigillatura del tetto. Eccepiva la decadenza e la prescrizione del diritto fatto valere dall'attore, rilevando che lo stesso, in qualità di responsabile della sicurezza aveva dettagliatamente esaminato il progetto e controllato l'esecuzione dei lavori, nonché approvato i SAL. Contestava, poi, il quantum dei danni subiti dall'attore in quanto in sede di ATP nulla era stato riscontrato sulla somma di Euro 650.000,00 per vizi strutturali della res. Rilevava che, con il presente giudizio, l'attore aveva esercitato una garanzia per vizi che era esclusa dalla successiva pattuizione intercorsa tra le parti, dopo il contratto originario di appalto, con il quale si era avvantaggiato di uno sconto pari al 10% e così per Euro 15.828,68. Contestava le risultanze tecniche a cui era pervenuto l'ATP e domandava la chiamata in causa della (...) S.r.l. per essere dalla stessa manlevato, per quanto ad essa imputabile, con riguardo ai vizi relativi alle tegole dell'immobile. Con comparsa del 19 febbraio 2018 si costituiva in giudizio il Geom. (...) deducendo l'indebita ingerenza del committente nelle competenze altrui e l'accesso al cantiere da parte di persone non autorizzate, tra cui il cognato che viveva all'interno di una roulotte ivi collocata, e richiedendo lo svolgimento di opere non conformi, a cui seguivano aggressioni verbali a causa del rifiuto che la convenuta aveva opposta al committente, che la inducevano alla rinuncia al proprio incarico di direttore dei lavori. Inoltre, la stessa non aveva partecipato all'ATP con conseguente inopponibilità degli accertamenti svolti in tale sede per violazione del principio del contraddittorio. Eccepiva la decadenza e la prescrizione del diritto fatto valere dall'attore deducendo che il dies a quo decorreva dalla data delle dimissioni rassegnate dalla stessa (14.8.2014). Nel merito, rilevava l'esatto adempimento delle proprie prestazioni, con estraneità ai vizi attinenti alle opere strutturali e di quanto realizzato successivamente, sotto la direzione di altro direttore dei lavori e sollevava censure tecniche su quanto documentato nell'elaborato peritale redatto in esito all'ATP. Sul quantum rilevava che sia la perizia redatta in seno all'ATP che quanto dedotto dagli attori come danno strutturale e come altri tipi di danno, era privo di alcun parametro di riferimento idoneo a verificare la correttezza della quantificazione. Rilevava, inoltre, un concorso di colpa del committente che aveva rilevato la non correttezza delle opere e l'aveva sottaciuta al direttore dei lavori. In via subordinata, esperiva domanda di manleva verso (...) S.p.a. in forza della polizza assicurativa n. (...). Con comparsa del 2 febbraio 2018 si costituiva in giudizio l'Ing. (...) deducendo un comportamento ostruzionistico da parte del committente e che, in data 10 novembre 2014, lo stesso aveva redatto una variante su espressa richiesta della committenza ma che la proprietà si era rifiutata di sottoscrivere i documenti necessari da presentare al Comune per la presentazione della relativa pratica, così ostacolando l'attività dello stesso e rendendo impossibile il collaudo dell'opera. Sollevava l'inopponibilità delle risultanze dell'ATP a cui non aveva partecipato con conseguente violazione del principio del contraddittorio e sollevava censure tecniche alla perizia di parte attrice prodotta in atti. Rilevava che i lavori non erano stati completati a causa dell'ostruzionismo del committente, facendo così scadere il permesso triennale di costruire rilasciato dal Comune e che l'attore, da tempo, gli impediva qualsiasi accesso al cantiere. Eccepiva l'intervenuta decadenza e prescrizione del diritto attoreo in quanto gli stessi erano certamente stati scoperti dalla committenza al momento di redazione della perizia da parte Geom. B. (26 agosto 2014). Nel merito rilevava di aver adempiuto alla propria prestazione secundum legis artis, sollevando eccezioni tecniche alle perizie in atti e contestando il quantum dei danni dedotto nella perizia redatta in seno all'ATP in quanto apodittico per mancanza di riferimenti ai valori di quantificazione ed eccependo che lo stesso si riferiva a soli vizi architettonici e non strutturali. Esperiva domanda di manleva nei confronti della (...) S.p.a. in forza della polizza professionale n. (...) (...) S.p.a.. A seguito di autorizzazione giudiziale veniva chiamata in causa la (...) S.p.a. e la (...) S.r.l.. Con comparsa del 29 giugno 2018 si costituiva in giudizio (...) S.p.a. eccependo l'inoperatività della polizza professionale n. (...) in quanto trattavasi di danni materiali alle opere, esclusi dal punto 5 del contratto e che sussisteva un massimale pari ad Euro.250.000,00 e, comunque, uno scoperto del 10% per ogni sinistro con il minimo di Euro 2.500 e massimo di Euro 7.500. Eccepiva, inoltre, che in forza dell'art. 8, l'assicurazione copriva nei limiti della colpa e dei danni imputabili direttamente all'assicurato con esclusione di quelli derivanti dalla solidarietà. Infine, rilevava l'omessa copertura, ex art. 5, per le spese legali e per i tecnici che non fossero stati nominati dalla compagnia. Nel merito si associava genericamente alle eccezioni dell'assicurato, rilevando l'inutilizzabilità dell'ATP in cui né l'Ing. (...), né la compagnia assicurativa erano state parti. Con comparsa del 2 luglio 2018 (...) S.p.a. depositava una seconda comparsa costitutiva attinente alla chiamata in manleva esperita dal Geom. (...) eccependo l'inoperatività della polizza professionale in quanto trattavasi di danni materiali alle opere, esclusi dal punto 5 e 11 del contratto, per i quali non si rinviene alcun rischio di rovina dell'edificio. Rilevava che sussisteva una franchigia pari ad Euro 1.000,00 e che l'assicurazione copriva nei limiti della colpa e dei danni imputabili direttamente all'assicurato con esclusione di quelli derivanti dalla solidarietà. Infine, rilevava l'omessa copertura, ex art. 5, per le spese legali e per i tecnici che non fossero stati nominati dalla compagnia. Nel merito, si associava genericamente alle eccezioni dell'assicurato, rilevando l'inutilizzabilità dell'ATP in cui né il Geom. (...), né la compagnia assicurativa erano state parti. Con comparsa del 14 gennaio 2019 si costituiva in giudizio la (...) S.r.l. deducendo la carenza di legittimazione passiva in quanto le doglianze attoree attenevano alla non esatta esecuzione di opere a cui la stessa era estranea in quanto rivenditore indiretto delle tegole. Nel merito, rilevava che le era stato impedito di fornire le tegole in forza del sopravvenuto contenzioso di cui al presente giudizio. Rilevava l'irrilevanza ed inopponibilità dell'ATP in quanto la stessa non vi aveva partecipato e che, nel tempo, potevano esservi state modifiche dei luoghi tali da sollevare la stessa da ogni responsabilità di quanto originariamente fornito. Rilevava l'inapplicabilità dell'art. 1669 c.c. in quanto non trattavasi di vizi attinenti al rischio di rovina dell'edificio ed eccepiva la decadenza e la prescrizione dei vizi. All'udienza del 13 marzo 2019 veniva dichiarata la cessata materia del contendere con riguardo alla posizione della terza chiamata, (...) S.r.l.. All'udienza del 17 febbraio 2021 cessava, altresì, la materia del contendere nei confronti dei convenuti, Geom. (...) e Ing. (...), con rinuncia delle domande da parte dell'attrice e accettazione da parte dei convenuti, nonché in conseguenza delle relative domande in manleva esperite da tali convenuti verso le proprie compagnie assicurative. Preliminarmente, deve rilevarsi come la controversia attenga, a seguito di parziali conciliazioni tra le parti in causa, alle sole domande poste dall'attore nei confronti dell'impresa appaltatrice e alla domanda riconvenzionale posta da (...) nei confronti del primo. Infatti, la condanna richiesta dall'attore nei confronti del Geom. (...) e Ing. (...) rappresenta una difesa temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c., essendo tali parti, non più presenti nel processo a seguito della loro estromissione per rinuncia agli atti e particolarmente grave è il comportamento attoreo che ha insistito, in sede di p.c., nella condanna in danno di tali convenuti dopo aver precedentemente rinunciato agli atti del giudizio nei loro confronti. Il primo punto attiene ai motivi di inadempimento del contratto che in tesi dell'attore è imputabile all'abbandono del cantiere da parte dell'appaltatore mentre in tesi di quest'ultimo è avvenuto a seguito di risoluzione del contratto in forza della diffida stragiudiziale del 4 maggio 2015, a seguito di impedimento del committente nella prosecuzione dei lavori. L'appaltatore ha, quindi, espressamente ammesso il proprio inadempimento, eccependo la sussistenza di un fatto impeditivo, imputabile al comportamento attoreo, del quale, tuttavia, nessuna prova ha fornito nel presente giudizio. In particolare, (...) si è rimesso sul punto ad richiesta del tutto esplorativa di CTU, del seguente tenore "l'opera commissionata non è stata terminata per volontà della parte committente" senza avvedersi di come, la volontà di una delle parti in causa, non rientra tra le competenze tecniche che possano essere oggetto di alcuna valutazione da parte di un perito, esperto in alcuna materia, e la CTU non è strumento probatorio nella disposizione delle parti per sopperire alle carenze probatorie, i cui oneri gravano sulle stesse. Deve concludersi che parte convenuta non ha, pertanto, assolto all'onere probatorio, che su di lei gravava, in ordine all'impedimento alla prosecuzione delle opere, quale fatto estintivo posto in essere dal committente, e non può essere in ciò alleviata attraverso il ricorso alla consulenza tecnica, posto che la stessa non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prove ovvero a compiere un'indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 10373 del 12/04/2019; Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017; Cass. Sez. 6 - L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3191 del 14/02/2006; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3881 del 22/02/2006). A ciò si aggiunga che il CTU, in risposta al paragrafo 1, non ha evidenziato la sussistenza di alcuna opera da ultimare, pertanto, nel caso di specie non si è in presenza di opere incomplete, intese quali opere parzialmente eseguite che dovevano essere completate nella loro esecuzione da parte dell'appaltatore ma, piuttosto, di opere viziate, già eseguite dall'appaltatore nel loro complesso ma non conformi; con l'unica eccezione da individuarsi nel collaudo, pacificamente non eseguito, ma che, come meglio si dirà nel prosieguo, è imputabile alla sussistenza di opere viziate, che devono essere preliminarmente emendate. Ne consegue che deve affermarsi l'insussistenza di alcun fatto impeditivo al completamento dei lavori da parte dell'appaltatore e l'inadempimento di quest'ultimo che non ha realizzato, secundum legis artis, le opere oggetto di appalto. Infatti, tale inadempimento deriva dalla stessa affermazione dell'appaltatore che ha ammesso il mancato completamento delle opere asserendo il fatto impeditivo del committente che avrebbe impedito l'accesso al cantiere; fatto che è rimasto sprovvisto di prova da parte del convenuto. Una circostanza dedotta da una parte può ritenersi pacifica se essa sia esplicitamente ammessa dalla controparte o se questa, pur non contestandola in modo specifico abbia improntato la difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con il suo disconoscimento (Cass., sez. III, 18/07/2016, n. 14652; Cass., sez. III, 10/07/2014, n. 15759; Cass., sez. III, 24/11/2010, n. 23816; Cass., sez. II, 12/02/2004, n. 2699; Cass., sez. II, 17/11/200, n. 17371). Nel caso di specie, asserire il mancato completamento dei lavori per impedimento imputabile alla controparte, presuppone, necessariamente, l'implicito riconoscimento della mancata ultimazione ad opera d'arte dei lavori di appalto di che trattasi. A cui, peraltro, si aggiunge l'onere probatorio, gravante sempre sull'appaltatore, di esatta esecuzione della propria prestazione contrattuale, a fronte dell'azione di inadempimento fatta valere dall'attore, sul quale grava il mero onere di allegazione delle opere non eseguite ad opera d'arte, che è stato assolto per tutte le doglianze specificatamente riportate nell'atto di citazione e che verranno meglio analizzate nel prosieguo. (...) lamenta, poi, che l'attore ricopriva il ruolo di responsabile della sicurezza dei lavori nell'ambito del cantiere in essere per l'appalto asserendo presunti oneri probatori in ordine al riscontro dei vizi di che trattasi. Le doglianze sono del tutto prive di pregio. Sul responsabile della sicurezza gravano specifici compiti definiti dal D.Lgs. n. 81 del 2008 che attengono alla sicurezza delle persone presenti in cantiere e che nulla hanno a che vedere con l'esecuzione ad opera d'arte delle opere di oggetto di appalto. In diritto deve affermarsi come "Il responsabile dei lavori è una figura incaricata dal committente per fare le sue veci su aspetti tecnici -professionali inerenti solo la sicurezza in cantiere, dunque deputato a svolgere compiti solo in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Diversamente, il direttore dei lavori ha delle funzioni più generali, involgenti l'accertamento della conformità dell'opera al progetto, le modalità tecniche di esecuzione che devono rispondere al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi" (Tribunale Reggio Emilia sez. I 23 giugno 2021 n. 805). In altri termini, nessuna conformità tecnica od edilizia può e deve essere verificata o contestata dal responsabile della sicurezza che si occupa solo di garantire la sicurezza delle persone che agiscono in cantiere, nell'esecuzione delle opere, anche laddove le stesse siano eseguite in totale spregio delle norme tecniche e dei progetti di esecuzione concordati con il committente. Le figure tenute, invece, ad adempiere con professionalità alla costruzione sono semmai l'appaltatore e il direttore dei lavori, quale rappresentanza tecnica del committente, ma con la dovuta precisazione che quest'ultimo è onerato di una sorveglianza dell'operato dell'appaltatore, del cui comportamento omissivo risponde verso il committente ma che non esonera l'appaltatore, quale imprenditore che agisce con autonomia di competenze e mezzi, a dover provvedere in proprio a realizzare un opera esente da difformità e vizi, indipendentemente dal comportamento di "sorveglianza" che il direttore dei lavori adempia o meno, e del cui inadempimento, risponde nei soli confronti della committeza. Ne consegue che (...) era tenuto ad adempiere alle opere secundum legis artis indipendentemente da ruolo di responsabile della sicurezza ricoperto dal committente che non ha alcuna interferenza con quello tecnico di esecuzione dell'opera da parte del convenuto, né esonera l'appaltatore dal compimento dell'opera con professionalità e diligenza tecnica nel settore. Strettamente connesse alla doglianza di cui sopra, è quanto, poi, lamentato dal convenuto in termini di eccezione di decadenza e prescrizione dai vizi, solo tardivamente denunciati da parte del committente in tesi dell'appaltatore. Le eccezioni sono infondate e non meritano accoglimento. Infatti, "In tema di garanzia per difformità e vizi nell'appalto, l'accettazione dell'opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche "per facta concludentia", spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l'art. 1667 cod. civ. indica nel medesimo committente la parte gravata dall'onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova." (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013). Ne consegue che, non essendo state completate le opere, né collaudate, né consegnate da parte dell'appaltatore che ha semplicemente, di fatto, interrotto il proprio operato senza completamento della prestazione, non trova alcuna applicazione la disciplina di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. invocata per la decadenza e la prescrizione dei vizi. In altri termini, fino al momento di completamento dell'opera in capo all'appaltatore si configura un inadempimento alle proprie prestazioni, attinente all'esecuzione ad opera d'arte della costruzione e relativa consegna che soggiace alle regole generali in materia di inadempimento, sia in termini di risoluzione contrattuale che in termini di risarcimento del danno provocato dal proprio comportamento inadempiente mentre, a seguito del completamento delle opere e della consegna della res a mani del committente, l'appaltatore è gravato di una garanzia per vizi dell'opera realizzata, sottoposta a stringenti termini di decadenza e prescrizione, decorrenti dalla scoperta dei vizi, volti a tutelare l'appaltatore che non è più in possesso del bene. Su tale distinzione giova richiamare il principio di diritto, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "In tema di appalto, quando sia richiesta l'eliminazione dei vizi per le opere già eseguite, ma non ancora ultimate, è esclusa l'operatività della speciale garanzia ex art. 1668 cod. civ., la quale presuppone il totale compimento dell'opera, mentre può essere fatta valere la comune responsabilità contrattuale ex artt. 1453 e 1455 cod. civ., non preclusa dalle disposizioni di cui agli artt. 1667 e 1668 cod. civ., in quali integrano, senza negarli, i normali rimedi in materia di inadempimento contrattuale" (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9198 del 13/04/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3302 del 15/02/2006). Nel caso di specie, l'appaltatore non ha mai completato l'opera, abbandonando il cantiere senza provvedere ad alcun collaudo e consegna formale res, di talché trovano applicazione le regole generali in materia di inadempimento del contratto, con conseguente inesistenza di alcun termine di decadenza per l'esercizio dell'azione risarcitoria fatta valere dall'attore, così come, in forza del disposto dell'art. 1667, comma 3 c.c., che fa decorrere la prescrizione della relativa azione "dal giorno della consegna dall'opera" , consegue che la prescrizione non opera fino a quando non avvenga, a seguito della ultimazione dei lavori, la consegna definitiva subordinata alla verifica ed all'accettazione dell'opera da parte del committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13631 del 2013). Ne consegue che, l'unico termine di prescrizione individuabile è quello ordinario, decennale, di cui all'art. 2946 c.c. decorrente dal definitivo inadempimento dell'appaltatore. Nel caso di specie, anche a voler sottacere l'esistenza di atti interruttivi della prescrizione (primo tra tutti l'azione giudiziaria esercitata nella presente sede), e senza voler meglio analizzare il dies di decorrenza, coincidente con il definitivo inadempimento dell'appaltatore all'opera (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13631 del 2013), certamente il termine decennale di prescrizione non è decorso alla data della presente pronuncia a fronte di un contratto stipulato nell'anno 2013. Deve, quindi, concludersi con il rigetto dell'eccezione di decadenza e prescrizione sollevata da parte convenuta. Con riguardo alle prestazioni dell'appaltatore deve evidenziarsi che tra le parti è intercorso un precedente ATP (R.G. 2068/15 del Tribunale di Ivrea), le cui risultanze sono state integrate, nella presente sede, da elaborato peritale depositato in data 14 febbraio 2022. Il primo dei vizi lamentati dall'attore attiene alla mancanza di due pilastri in cemento armato, in luogo dei quali vi è la presenza di un pilastro in scatolare metallico rettangolare e una staffa metallica a sostegno della trave di colmo. Il punto, già oggetto di precedenti doglianze in sede di ATP è stato modificato con l'atto introduttivo del presente giudizio in cui gli attori precisano che, oltre all'assenza di che trattasi, le travi di colmo realizzate dall'appaltatore erano troppo corte e non andavano ad innestarsi nel muro. Conseguentemente, in tesi attorea, la realizzazione dei due pilastri di cemento armato mancati, come meglio descritta in sede di ATP (- puntellamento del trave di copertura; - rimozione delle attuali strutture portanti in metallo (pilastrino e piastra); - demolizione in traccia delle pareti per far posto ai pilastri; - casseratura, armatura e getto in cls dei due nuovi pilastri.) si configura erronea e inutile in quanto tali pilastri non potrebbero, comunque, sorreggere le travi di colmo. La tesi è erronea in quanto come ben accertato e specificato dal CTU, al paragrafo 2, tale intervento è possibile con le seguenti operazioni "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - (...)", con un costo pari ad Euro.7.000,00. In secondo luogo, gli attori lamentano l'installazione di tegole difettose, che si sfogliano e perdono colore. Tale difetto è pacifico tra le parti, in quanto espressamente riconosciuto come vizio oggettivo dallo stesso appaltatore, che ne ha, tuttavia, imputato il vizio a difetto di costruzione riconducibile al costruttore, come sostenuto in sede di comparsa costitutiva. Tuttavia, non giova analizzare la problematica di che trattasi in quanto tutte le parti in causa avevano, limitatamente a tale punto, raggiunto un accordo stragiudiziale, prodotto in atti dall'appaltatore convenuto, come documento 21, allegato alla seconda memoria istruttoria del 2 luglio 2019, con conseguente rinuncia da parte del committente a far valere tale doglianza, anche per ciò che rileva nella presente decisione, nei confronti di (...), di talché ci si deve limitare a prendere atto dell'intervenuta cessazione della materia del contendere, limitatamente a tale vizio. Alla problematica di cui al punto precedente è strettamente connessa quella relativa al cattivo fissaggio del materiale coibentante, con specifico riguardo ai pannelli isolanti del tetto, tanto che il perito, in sede di ATP ha individuato un unico intervento riparatore, prevedendo la rimozione della copertura delle tegole viziate e contestuale corretto fissaggio dei pannelli di copertura con chiodatura supplementare per un costo, unico e complessivo di Euro 18.000,00. Meglio analizzando il vizio di che trattasi, deve rilevarsi come trattasi di "posa delle lastre "Isotec" in modo allineato e non sfalsato come consigliato dal produttore" e di "utilizzo di chiodi non sufficientemente lunghi da garantire un idoneo ancoraggio delle lastre isolanti alla struttura lignea del tetto". Parte convenuta, in sede di comparsa costituzione, nulla ha contestato in ordine alla mancata sfalsatura dei pannelli di che trattasi, fatto che, quindi, deve intendersi pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., ma ha, piuttosto rilevato che, sul piano tecnico si è compensato con un raddoppio dei chiodi utilizzati (8 anziché 4), ottenendo il medesimo risultato secundum legis artis. La tesi deve essere condivisa a seguito degli accertamenti tecnici precisati dal CTU, in risposta al paragrafo 3, in cui non ha ravvisato alcun vizio di tenuta della copertura a fronte del tipo di lastre che, per il loro peso, offrono un'adeguata tenuta e senza che sia possibile individuare un esatto utilizzo o meno dei chiodi, la cui tipologia (misure, diametri, etc.) è lasciata alla discrezione del posatore e non definita nelle schede tecniche, così da risultare il frutto di una relazione di calcolo dell'appaltatore, ritenuta tecnicamente corretta dal CTU. In quarto luogo l'attore lamenta la presenza di ponti termici tra murature e pilastri, come accertato in sede di ATP mentre parte convenuta lamenta come lo spessore finale di 3 centimetri, anziché 4, come previsto nel contratto di appalto, si sia reso necessario in forza dello spessore finale della muratura di tamponamento in quanto la differenza di trasmittanza è praticamente nulla, così come la differenza di presso. La doglianza è manifestamente infondata e temeraria in quanto non si pone in riscontro alla doglianza attorea, la quale, riportandosi ai vizi emersi in sede di ATP, attiene ad una differente questione. In particolare, l'attore non si duole, nel caso di specie, del centimetro di differenza nella realizzazione dell'isolante ma di una corretta posa in opera derivante sia da una completa fasciatura dei pilastri, sia dall'insussistenza di ponti termici. In altri termini, per come già accertato in sede di ATP svolto tra le parti, si configura la posa di un isolante non conforme a legis artis in quanto "La corretta realizzazione prevede alcuni accorgimenti nella posa dell'isolante tali da evitare il nascere di "ponti termici" fra: - la muratura in laterizio; - i pilastri in cemento armato; - il pannello di isolante.". Su tale aspetto fattuale nulla è stato contestato dal convenuto in sede di comparsa costitutiva, di talché l'omessa realizzazione secondo il modus operandi di cui sopra, è fatto pacifico tra le parti. Su tale aspetto viene, invece, eccepito da (...) che il difetto di che trattasi non possa essere imputato alla parte superiore dell'edificio e, specificatamente, al sottotetto in cui non è possibile abitare, rilevando in punto di quantum di come nell'elaborato peritale non sia possibile verificare se la somma di Euro.8.000,00, prevista dal perito per la risoluzione del vizio di che trattasi, tenga o meno in considerazione tale differenza per il sottotetto. Sul punto il CTU, in sede di paragrafo 4, ha rappresentato come i locali del sottotetto non siano abitabili, confermando, tuttavia, la somma di Euro.8.000,00 per i vizi riscontrati, escluso il sottotetto. In quinto luogo l'attore lamenta che il rivestimento del sottotetto in perline di legno non risulta essere in tipo lamellare come concordato in sede di appalto mentre il convenuto rileva che in forza di accordi, sopravvenuti in data 30 novembre 2013, le parti avevano stabilito l'utilizzo di perline di 1,8 centimetri, non in legno lamellare. In particolare, in tesi dell'appaltatore lo spessore di 1,8 centimetri non permette la realizzazione di una perlina in lamellare, di talché la pattuizione sopravvenuta ha superato quanto originariamente previsto nel contratto di appalto per stessa volontà del committente. Analizzando nel dettaglio il verbale n. 1 del 30.11.2013 (doc. 20 convenuto) si evince, al punto 1, che il committente comunica il colore della copertura (larice) in legno lamellare mentre al punto 2 viene stabilito lo spessore in 1,8 centimetri, di talché la tesi sostenuta da parte convenuta e manifestamente temeraria e contraria al chiaro tenore letterale della scrittura intercorsa dalle parti che deve essere oggetto di lettura nel suo significato complessivo, con collegamento logico dei vari punti tra di loro. Ne consegue che da tale scrittura non è evincibile alcuna deroga; al contrario, al punto 1 viene espressamente ribadito che deve trattarsi di lego lamellare, a conferma che le perline, indicate, poi, nello spessore di 1,8 centimetri, dovevano essere proprio in legno lamellare come da pattuizioni tra le parti. L'impossibilità tecnica di pervenire, invece, alla realizzazione di una perlina di 1,8 centimetri in legno lamellare non trova alcun fondamento tecnico, ed è conforme alla tesi temeraria e priva di minima diligenza e perizia sostenuta sul punto dal convenuto, in quanto la perlina con tali caratteristiche ben può essere realizzata e utilizzata dalla ditta appaltatrice mentre la minor reperibilità in commercio e il maggior costo non influiscono sugli adempimenti contrattuali dell'appaltatore che era tenuto a rispettare gli accordi pattizi intercorsi tra le parti, senza avanzare impossibilità tecniche che, semmai, evidenziano l'imperizia e negligenza dell'impresa nello svolgimento della prestazione di appalto come contrattualmente stabilita tra le parti, laddove non si sia avvista della perfetta realizzabilità tecnica delle perline in legno lamellare dello spessore di 1,8 centimetri. Parte convenuta eccepisce, poi, l'intervenuta accettazione dell'opera, così come realizzata a seguito dell'intervenuto pagamento della fattura n. (...), relativa alla posa di questi panelli. La tesi è manifestamente temeraria e non si avvede di come, il committente che rispetti i pagamenti dovuti alle scadenze prestabilite, senza avvalersi dell'eccezione di inadempimento nei confronti della controparte, non provoca alcuna rinuncia all'esecuzione dell'esatta prestazione come pattuita tra le parti. In altri termini, il committente con il pagamento ha eseguito la prestazione dovuta senza che l'adempimento di una parte possa mai compromettere il diritto della stessa a ricevere l'esatta prestazione eseguita in difformità alle pattuizioni contrattuali dalla controparte. Con tale tema parte convenuta ripropone la stessa eccezione di decadenza dai vizi già sopra respinta, seppur rapportandola ad un diverso profilo, ovvero l'esatta prestazione di pagamento della controparte. La decadenza dai vizi palesi avviene solo a seguito di consegna dell'opera completata e collaudata a mani del committente, evento che non si è mai verificato nel caso di specie, per inadempimento di (...) che non ha dato prova dell'esatto adempimento della propria prestazione e l'intervenuto pagamento del corrispettivo (quale prestazione corrispettiva gravante sul committente), nel rispetto del sinallagma contrattuale, altro non provoca, se non il dovere contrattuale dell'appaltatore di rendere la propria prestazione nel rispetto delle pattuizioni contrattuali, senza che il committente in presenza di un inesatto adempimento debba essere onerato ad avvalersi dell'eccezione di inadempimento e sospendere a sua volta la propria prestazione. Ne consegue che, l'eccezione deve essere respinta e non può trovare alcun accoglimento. Il mancato utilizzo di legname di tipo non lamellare ha comportato conseguenze di deprezzamento dell'opera come accertato dal CTU in risposta al paragrafo 5, di talché deve essere riconosciuta a favore degli attori la somma di Euro.3.500,00. Parte attrice lamenta, poi, il disassamento dei pilastri, il quale per fatto pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., risulta sussistente mentre le parti controvertono in ordine all'incidenza del vizio sulle caratteristiche strutturali dell'immobile. Orbene, sul punto, il CTU ha ben rilevato, in risposta al paragrafo 1, come tale disassamento non abbia alcun effetto sulla capacità portante, stante il modesto carico a cui sono sottoposti i pilastri mentre incide sul lato estetico, che deve essere emendato attraverso un rivestimento degli stessi con apposita rifinitura, per un costo di Euro 3.000,00. Infine, con riguardo alle doglianze attoree attinenti alle difformità nell'utilizzo dell'acciaio presente nelle armature deve rilevarsi come il CTU, previ appositi esami di laboratorio di campioni peritamente prelevanti dall'opera, ne abbia sancito non solo la conformità a quello con sigla (...), della cui omissione di duole l'attore ma, altresì, la conformità alla normativa vigente. Come correttamente eccepito da parte convenuta, le risultanze erronee a cui è giunta la perizia di parte attrice, derivano da un'erronea ed imperita campionatura, in forza del prelievo dai pilastrini, unici elementi risultati non idonei e per i quali è necessario un intervento di irrobustimento per la somma di Euro 1.500,00 per ciascun pilastrino, e così per complessivi Euro 7.500,00. Strettamente connesso al punto che precede sono le doglianze attinenti all'aspetto sismico avanzate da parte attrice, che sono prive di pregio. Infatti, come accertato dal CTU le strutture in cemento armato sono state eseguite secondo un passo costante delle staffe e l'opera risulta idonea senza alcuna necessità di demolizione ma di mero aggiornamento della relazione di calcolo dell'intero fabbricato, per un costo pari ad Euro 3.000,00. Da ultimo l'attore ha mosso doglianze attinenti all'impossibilità di procedere al collaudo dell'opera in forza dei vizi in essere, imputabili all'appaltatore, come riscontrato dal CTU, in risposta al paragrafo 2 aggiunto, che ha rilevato la necessità di procedere al rinforzo dei pilastrini e alla relazione aggiornata di calcolo dell'intero fabbricato, per poter procedere al collaudo, a seguito dei vizi di cui sopra. Ne consegue che le doglianze attoree inerenti l'impossibilità di procedere al collaudo sono fondate e meritano accoglimento in quanto il comportamento del convenuto che ha imperitamente eseguito le opere con i vizi di che trattasi comporterà a carico del committente la necessità di provvedere a emendare gli stessi con i costi di cui sopra ma, altresì, a dover sostenere ulteriori spese per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, nonché ad ulteriori costi professionali per il collaudo della res. Con riguardo al primo aspetto deve rilevarsi come le sanzioni applicabili hanno un costo pari ad un'aliquota forfetaria fissa del 5% da applicarsi ad 1/3 del costo di costruzione. Nel caso di specie, il costo di costruzione, per come pattuito tra le parti nella scrittura del 30 novembre 2013, era pari al valore originario del contratto di appalto di Euro.193.137,19, detratto uno sconto del 10% pari ad Euro.19.313,72, di talché il valore delle sanzioni deve essere calcolato applicando ad un terzo della somma di Euro.173.823,47 (Euro.193.137,19-Euro.19.313,72), pari ad Euro.57.941,16, l'aliquota del 5%, e così per Euro.2.897,06. A tale somma si aggiungono i costi professionali per l'esecuzione del collaudo per Euro.7.000,00. Infine, parte attrice lamenta la sussistenza di un comportamento emulativo da parte di (...) che avrebbe impedito la sostituzione delle tegole da parte della (...) S.r.l.. La tesi attorea è incomprensibile e priva di alcun fondamento giuridico. A seguito dell'inadempimento dell'appaltatore che ha abbandonato il cantiere, il committente non necessita di alcuna autorizzazione per la modifica dello stato dei luoghi e nessun "impedimento" può opporre l'appaltatore a che il committente si rivolga a terzi per il compimento delle opere che ritiene opportune e necessarie a limitare l'aggravarsi del danno, dovuto all'altrui inadempimento. In altri termini, (...) ben poteva procedere alla sostituzione delle tegole prive di vizi, senza alcuna autorizzazione dell'appaltatore, né alcun comportamento ostruzionistico concreto è meglio dedotto dall'attore a seguito dell'abbandono del cantiere dei lavori da parte di (...). Ne consegue che la domanda è priva di alcun fondamento in quanto non si ravvisa alcun specifico comportamento del convenuto che abbia impedito al committente di procedere in autonomia alla sostituzione delle tegole dietro offerta della (...) S.r.l., né alcuna autorizzazione doveva essere richiesta, né attesa da parte del committente, di talché la domanda risarcitoria avanzata sul punto deve essere respinta. Da ultimo parte attrice avanza domanda di risarcimento dei danni derivanti da "immobilizzazione finanziaria del capitale investito", da parametrarsi al tasso di interesse legale per il maggior tempo impiegato rispetto a quello che sarebbe stato congruo utilizzare per l'ultimazione delle opere. La domanda è erronea in fatto e in diritto. Non sussiste alcun "tempo congruo" per l'ultimazione di un'opera ma piuttosto un termine che le parti possono pattuire nell'ambito dell'assoluto arbitrio contrattuale e pari a qualsiasi valore temporale, di talché il riferimento generico utilizzato dall'attore, rende già di per sé, del tutto indeterminata la domanda. Passando all'analisi giuridica della stessa, risulta addirittura manifestamente infondata in quanto non vi è alcuna immobilizzazione di denaro destinato a ritornare in futuro circolante a mani del committente. L'investimento del prezzo è definitivo e perpetuo a seguito della costruzione dell'opera. Piuttosto la domanda attorea così posta tende ad aggirare gli stringenti oneri probatori in ordine all'utilizzo della res gravanti sul committente. Infatti, certamente la consegna tardiva dell'opera appaltata può ingenerare in capo al committente un danno ma questo è parametrato all'impossibile utilizzo del bene per il periodo di ritardo nella consegna della res. Ne consegue che il committente deve fornire precisa allegazione, prima ancora che prova, in ordine all'utilizzo del manufatto e della conseguente perdita di utilizzo, fonte di danni. Per come posta la domanda attorea presuppone che (...) fosse in grado di investire redditiziamente il bene, ottenendo quale "prezzo" di scambio la corresponsione di interessi sul valore dell'opera ma così non è, non essendo nemmeno allegato quale utilizzo il committente intende porre in essere sul mercato per ottenere tale valore periodico del tutto inverosimile. Se ne deve, quindi, concludere che la domanda è del tutto erronea facendo riferimento ad un'immobilizzazione di denaro che nulla ha a che vedere con il ritardo nell'adempimento della prestazione della controparte, avente ad oggetto la realizzazione di un bene immobile, come tale oggetto di possibile tutela risarcitoria nei limiti di cui ne sia privato un qualche godimento da parte del committente. La domanda attorea deve, quindi, essere integralmente rigettata sul punto. Passando all'analisi della domanda riconvenzionale avanzata da (...) la stessa attiene al pagamento della fattura n. (...) del 26.5.14 di Euro 42.190,18 rimasta insoluta, oltre al pagamento delle somme di Euro 5.754,60, oltre Iva, (Euro 5.984,78) per il noleggio ed installazione del ponteggio e della somma di Euro 2.000,00, oltre Iva, (Euro 2.080,00) per l'approntamento del cantiere e, da ultimo, della somma di Euro 1.000,00, oltre Iva, (Euro 1.040,00) per saldo della sigillatura del tetto. La domanda è parzialmente fondata nei limiti di cui si dirà nel prosieguo. Il prezzo originario dell'appalto (doc. 1 attore), pattuito tra le parti, era pari ad Euro.193.137,19, il quale è stato successivamente modificato come da accordi intercorsi tra le parti in data 30 novembre 2016 (doc. 16 convenuto), con riconoscimento di uno sconto del 10% a favore del committente, pari ad Euro 19.313,72. Inoltre, per fatto pacifico tra le parti, ex art. 115 c.p.c., l'attore ha provveduto a saldare le fatture prodotte in atti di cui ai documenti da 8 a 14 di parte convenuta, per un ammontare complessivo di Euro 117.719,32. Ne consegue che il prezzo residuo dell'appalto è pari ad Euro 56.104,15, oltre I.v.a. al 4%, e così per complessivi Euro 58.348,32. La domandata avanzata da parte convenuta, limitatamente alla minor somma di Euro.51.294,96 è, quindi, fondata, dovendosi riconoscere a favore di (...) l'omesso versamento del prezzo, nei limiti della domandata riconvenzionale esperita. Parte convenuta domanda, altresì, la restituzione dello sconto pari al 10% del prezzo versato dal committente in quanto ricollegato alla rinuncia ai vizi sulle opere, in forza degli accordi intercorsi tra le parti, e cessati a seguito della presente azione giudiziaria in cui il committente ha inteso esercitare la garanzia a cui aveva rinunciato. La tesi è manifestamente temeraria e priva di una minima diligenza e perizia della parte nell'analisi fattuale della questione e nella lettura dei documenti presenti in atti. In particolare, il convenuto ha falsamente dedotto la sussistenza di una rinuncia alla garanzia per vizi in forza del documento 16 versato dallo stesso in atti, che non trova alcuna riscontro all'interno di tale documentazione. Infatti, si legge testualmente al punto 2 di tale scrittura che "il committente rinuncia alla garanzia del 15% alla fine di ogni lavorazione ..." versando, peraltro, a mani dell'appaltatore un assegno di Euro 2.508,27 per le garanzie precedentemente trattenute. In altri termini, con tale scrittura le parti hanno annullato il primo capoverso di pagina 7 del contratto di appalto che prevedeva "Il prezzo verrà corrisposto a stati di avanzamento lavoro, con deduzione dell'acconto e del 15% a garanzia dei lavori ancora da eseguire ...". Tali trattenute sugli acconti versati sul prezzo a favore dell'appaltatore, e volte a garantire una garanzia contro l'inadempimento dell'appaltatore, vengono meno, e quanto già trattenuto a tale titolo viene restituito con l'assegno che il committente consegna all'appaltatore. Nessuna rinuncia alla garanzia dei vizi (rectius esatto adempimento delle prestazioni contrattuali gravanti sull'appaltatore di cui si discute nella presente sede) è mai stato oggetto di alcuna rinuncia da parte di (...) e quanto così dedotto dal convenuto risulta frutto di un totale stravolgimento del significato della scrittura privata intercorsa tra le parti in causa. Ne consegue che, lo sconto ivi pattuito del prezzo permane valido e vincolante tra le parti per come pattuito mentre in capo al committente è venuto meno il solo diritto di trattenere il 15% sugli acconti versati, dovendo, invece, lo stesso versare i vari acconti integralmente per come ripattuiti con lo sconto del 10% e alle scadenze anch'esse modificate con la scrittura integrativa e, per il caso di inadempimento, come, poi verificatosi, lo stesso mantiene il diritto di agire in sede cognitiva prima, ed esecutiva poi, per il soddisfacimento del dovuto, pur avendo perso il margine di trattenimento di una parte del prezzo, quale somma di denaro a proprie mani su cui soddisfarsi immediatamente, per quanto dovuto dalla controparte a seguito del relativo inadempimento. La doglianza di parte convenuta deve, quindi, essere integralmente respinta sul punto. Alla luce dell'analisi delle suddette inadempienze gravanti sulle parti, la domanda attorea di esecuzione ad opera d'arte delle opere con emendamento da tutti i vizi sopra riscontrati deve trovare accoglimento nei limiti di cui segue. (...) deve essere condannato all'esecuzione dei due pilastri di cemento armato mancanti con le seguenti modalità "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - (...)", all'esecuzione della corretta fasciatura dei pilastri e all'interruzione dei ponti termici, al rivestimento dei pilastri per risolvere il difetto estetico di disassamento, all'irrobustimento dei pilastrini per renderli conformi ai valori di resistenza. Al ripristino delle opere di cui sopra deve aggiungersi la condanna di (...) al pagamento della somma di Euro 3.500,00 per il minor valore dell'opere realizzata mediante impiego di legno di tipo non lamellare in difformità agli accordi intercorsi tra le parti. La condanna al risarcimento del danno da ritardo, avanzata da parte attrice, deve trovare accoglimento con riguardo ai danni futuri che si produrranno in capo alla stessa per la necessità di procedere all'aggiornamento della relazione di calcolo dell'intero fabbricato, all'ottenimento di un nuovo permesso di costruire in sanatoria e per i costi professionali attinenti al collaudo e a tale pratica, già sopra quantificati in Euro 12.897,06 (3.000+2.897.06+7.000). Gli stessi derivano, infatti, dal ritardato e, ad oggi permanente, inadempimento dell'appaltatore, che in forza dei vizi di cui sono affette le opere, ha impedito il tempestivo collaudo con conseguente scadenza del permesso di costruire all'epoca concesso dal Comune e necessità delle attività di cui sopra. La domanda riconvenzionale di parte convenuta è fondata per la somma, già sopra quantificata di Euro.51.304,97, la quale, tuttavia, in forza delle espresse pattuizioni intercorse tra le parti era subordinata ai vari stati di avanzamento lavori. In particolare, per come pattuito nella scrittura del 30 novembre 2013, "alla fine della realizzazione ..." di vari "step" dell'opera, dovevano intervenire i pagamenti del committente in deroga alle originarie pattuizioni. Orbene, per come sopra emerso, tutte le opere sono risultate viziate, con accoglimento della domanda attorea di condanna dell'appaltatore all'eliminazione dei vizi ed esecuzione secundum legis artis delle opere, di talché la domanda riconvenzionale del convenuto deve trovare accoglimento subordinatamente al compimento delle suddette opere a favore di (...), il quale è tenuto al pagamento del corrispettivo solo in esito all'esecuzione della controprestazione dell'appaltatore, in forza degli accordi pattizi, che hanno subordinato l'esecuzione della prestazione di pagamento gravante sul committente alla preventiva esecuzione delle opere gravante sull'appaltatore. Infine, giova precisare che l'intervenuta transazione intercorsa tra l'attore e gli altri soggetti che erano parte della presente controversia, che ha comportato l'intervenuta rinuncia agli atti e relativa accettazione, verificata e dichiarata dal Giudice all'udienza del 17 febbraio 2021, non rilevano nei rapporti tra il committente e l'appaltatore per espressa volontà e scelta di quest'ultimo. Infatti, tra appaltatore e direttore dei lavori sussiste una responsabilità solidale nei confronti del committente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18289 del 03/09/2020; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29218 del 06/12/2017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14650 del 27/08/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8016 del 21/05/2012), di talché l'intervenuta transazione da parte dell'attore con uno dei debitori in solido, lungi dal poter pregiudicare la posizione del debitore rimasto estraneo, come infondatamente eccepito da (...) all'udienza del 4 marzo 2020, comporta per lo stesso la possibilità di profittarne ai sensi dell'art. 1304 comma 1 c.c.. In particolare, in diritto, deve richiamarsi il principio espresso della giurisprudenza di legittimità secondo cui "Ove la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l'ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all'importo pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideate di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l'accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13877 del 06/07/2020; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23418 del 17/11/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 30174 del 30/12/2011). Ne consegue che la transazione, sia che abbia ad oggetto l'intero credito di cui all'obbligazione solidale, sia che riguardi la sola quota di credito di pertinenza di uno dei debitori solidale, produce sempre e solo effetti a favore del debitore solidale rimasto estraneo e sempreché lo stesso dichiari che intenda approfittarne. Laddove, invece, il debitore non intende profittarne la sua posizione rimane semplicemente neutra, come nel caso di specie, in cui l'accordo transattivo deve essere del tutto ignorato per volontà di (...) che non ha inteso dichiarare di voler avvalersi degli effetti delle transazioni intervenute tra l'attore e gli altri responsabili in solido. Sussiste la soccombenza reciproca delle parti, in considerazione dell'accoglimento parziale della domanda attorea di corretto adempimento alle prestazioni di cui al contratto intercorso tra le parti, limitatamente a soli alcuni dei vizi di cui si era lamentato (...) e parziale accoglimento della domanda di risarcimento danni, e contemporaneo accoglimento della domanda riconvenzionale di pagamento del prezzo esperita da parte convenuta, stante il mancato saldo del prezzo delle opere da parte del committente, con conseguente compensazione integrale delle spese di lite. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016; Cass. Sez. 6, Ordinanza n. 21684 del 23/09/2013; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009). Le spese di CTU, come già liquidate con decreto del 5 marzo 2022, devono gravare su entrambe le parti, sia in ragione della reciproca soccombenza, sia in ragione del comportamento processuale delle stesse che vi ha dato origine. In particolare, deve evidenziarsi come (...) avesse già esperito un precedente ricorso per ATP (R.G. 2068/15 del Tribunale di Ivrea) che si è reso insufficiente nel presente giudizio a seguito dell'estensione delle doglianze attoree che ha inteso individuare nuovi e ulteriori vizi nell'esecuzione ad opera d'arte dell'opera di appalto, mai lamentati in sede di precedente ricorso. Dal canto suo parte convenuta ha, altresì, reso necessario lo svolgimento della CTU nel presente giudizio, muovendo doglianze all'elaborato peritale reso in seno all'ATP che ben potevano essere peritamente e diligentemente mosse nel precedente giudizio, dando così causa a parte del quesito sottoposto al CTU con ordinanza del 19 febbraio 2021. Ne consegue che le spese del CTU devono gravare per il 50% su ciascuna parte, con i conseguenti obblighi restitutori. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara cessata la materia del contendere tra (...) (C.F. (...) ) e il Geom. (...) ((...)E.) per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore e accettazione della convenuta a spese di lite compensate e per l'effetto rigetta integralmente la domanda di condanna attorea avanzata nei confronti del Geom. (...) (C.F. (...)); - dichiara cessata la materia del contendere tra (...) (C.F. (...) ) e l'Ing (...) (C.F. (...) ) per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'attore e accettazione del convenuto a spese di lite compensate e per l'effetto rigetta integralmente la domanda di condanna attorea avanzata nei confronti del l'Ing. (...) (C.F. (...) ); - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) all'esecuzione dei due pilastri di cemento armato mancanti con le seguenti modalità "Puntellamento della trave di copertura - Rimozione delle attuali strutture portanti (pilastrino e staffa) - Demolizione in traccia nelle pareti per inserimento pilastro - Inserimento di un capitello in legno per allargare la superficie di appoggio - Casseratura, armatura e getto - R.", all'esecuzione della corretta fasciatura dei pilastri e all'interruzione dei ponti termici, al rivestimento dei pilastri per risolvere il difetto estetico di disassamento e all'irrobustimento dei pilastrini per renderli conformi ai valori di resistenza a favore di (...) (C.F. (...) ); - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ) della somma di Euro 3.500,00 per il minor valore dell'opera realizzata mediante impiego di legno di tipo non lamellare; - condanna (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ) della somma di Euro 12.897,06 a titolo di risarcimento del danno; - condanna (...) (C.F. (...) ) al pagamento in favore di (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)), della somma di Euro 51.294,96 subordinatamente all'esecuzione delle opere di cui al primo capo della presente sentenza da parte di (...) (C.F. (...) ) a titolo di prezzo dell'opera appaltata; - dichiara l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti; - pone definitivamente le spese di CTU in capo a (...) (C.F. (...) ) nella misura del 50% e in capo a (...) (C.F. (...) ), in qualità di titolare dell'omonima ditta individuale (P. Iva (...)), nella misura del 50%, come già liquidate con separato decreto del 5 marzo 2022, con i conseguenti obblighi restitutori. Così deciso in Ivrea l'1 giugno 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2000 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018 posta in decisione all'udienza del 05.01.2022 e vertente tra (...), cod. fisc. (...), residente in A. (S.), elettivamente domiciliato in O., Via A. n. 18, rappresentato e difeso dall'Avv. Il.Ma.; Opponente e (...) S.a.s., in persona del socio accomandatario sig. (...), (P.IVA (...)), con sede in R., Frazione C., Via V. E. n. 9, rappresentata e difesa dall'avv. So.Ca.; Opposta nonché (...), (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. El.LO.; terzo chiamato e (...) S.p.A. (P. IVA (...)) con sede legale in M. V. (T.), Via M., n. 14, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in T., C.so V. E. II n. 194, rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Pr.; terza chiamata OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo; contratto di appalto MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). Con ricorso ex artt. 633 e ss. la società (...) S.a.s., premettendo di essere creditrice nei confronti di (...) della somma di Euro 6.886,00, quale saldo del corrispettivo pattuito per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione dell'unità immobiliare sita in R. (T.), piazza A. n. 1, ha chiesto al Tribunale di Ivrea di ingiungere il pagamento della suddetta somma oltre interessi nella misura legale. In data 15.03.2018, il Tribunale adito ha emesso il decreto ingiuntivo n. 436/2018 per il pagamento della somma richiesta. (...) ha proposto tempestiva opposizione, assumendo l'insussistenza della avversa pretesa creditoria. In sintesi, e nei limiti di ciò che rileva in questa sede, l'opponente ha dedotto come le opere oggetto del contratto di appalto stipulato con la società appaltatrice, il cui compenso è stato già corrisposto nella misura di Euro 121.200,00 oltre IVA (Euro 133.320,00), non solo non erano state completate, bensì presentano plurimi vizi e difetti strutturali, denunciati alla controparte all'esito dello svolgimento della perizia resa dal proprio tecnico di fiducia. Il dott. (...), inoltre, ha allegato di aver richiesto all'appaltatore di porre rimedio ai vizi contestati e di completare le opere commissionate ed a fronte dell'avverso rifiuto ha invocato la risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. con conseguenti obbligazioni restitutorie ex art. 1458 c.c. L'opponente, inoltre, ha invocato la condanna della controparte al risarcimento del danno per i vizi e difetti delle opere, quantificato in Euro 61.759,62. Si è costituita in giudizio la (...) S.a.s., chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto. In particolare, la società opposta ha offerto una ricostruzione dei fatti sostanzialmente antitetica rispetto a quella prospettata dalla controparte, assumendo di aver correttamente eseguito tutte le opere, sia quelle originariamente commissionate sia quelle di volta in volta eseguite a seguito delle modifiche richieste dal committente stesso, con conseguente insussistenza dei profili di responsabilità invocati dalla controparte. La società opposta, inoltre, ha eccepito l'intervenuta prescrizione e decadenza dalle azioni spiegate ex artt. 1667 e 1668 c.c., richiedendo comunque di chiamare in giudizio il geom. (...), quale progettista e direttore dei lavori, al fine di "di vederlo riconosciuto esclusivo responsabile - per il denegato caso di fondatezza delle avverse pretese - di qualsivoglia danno subito dalla committenza e derivante dalle causali in discorso e/o al fine di vederlo condannare (eventualmente anche in manleva) alla rifusione di qualsivoglia somma (...) S.a.s. fosse tenuta a corrispondere all'attore". A seguito della chiamata in causa, si è costituito il geom. (...) assumendo l'infondatezza sia della domanda di chiamata in causa sia delle domande attoree, chiedendo in ogni caso di essere autorizzato a chiamare in causa la (...) s.p.a., con la quale ha stipulato apposita polizza assicurativa per la responsabilità civile. A seguito di ulteriore differimento della prima udienza di comparizione, si è costituita la (...) s.p.a. contestanto l'operatività della polizza in tutto ovvero in parte rispetto ai danni richiesti; nel merito, la compagnia ha contestato le avverse domande per ragioni sostanzialmente analoghe a quelle sostenute dall'assicurato. Con ordinanza del 26.06.2019 è stata respinta l'istanza di concessione della provvisoria esecitorietà del decreto ingiuntivo. La causa, istrutita mediante svolgimento di consulenza tecnica, è stata assunta in decisione dapprima all'udienza del 14.04.2021 e successivamente all'esito della rimessione della causa sul ruolo è stato disposto un quesito integrativo. La causa, dunque, è stata nuovamente trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281 quinquies c.p.c., con concessione dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. In via preliminare devono essere confermate le ordinanze con le quali sono state respinte le istanze istruttorie formulate dalle parti, con particolare riguardo alla richiesta di ammissione delle prove orali, atteso che i capitoli articoli sono irrilevanti ai fini del decidere, investendo in parte circostanze già oggetto di consulenza tecnica ed in parte circostanze valutative, generiche e documentali. Venendo al merito giova svolgere alcune considerazione preliminari che devono orientare la decisione. Come è noto, nel procedimento di ingiunzione, colui che promuove il giudizio di opposizione può essere parificato all'attore dell'ordinario giudizio di cognizione solo da un punto di vista formale, poiché da un punto di vista sostanziale è, viceversa, l'opposto che avanza in giudizio la pretesa creditoria; ai fini della distribuzione dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., occorre, allora, dare rilievo all'effettiva e naturale posizione delle parti, restando a carico dell'opposto la prova dell'esistenza del credito ed a carico dell'opponente quella degli eventuali fatti estintivi dell'obbligazione. Da ciò consegue che, secondo i principi generali in tema di onere della prova, incombe a chi fa valere il diritto in giudizio fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009). In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell'art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell'onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove l'art. 1218 introduce una presunzione in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell'altrui pretesa; es. l'avvenuto esatto adempimento). Nell'azione di adempimento, dunque, il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza della fonte (negoziale o legale) del suo diritto e la scadenza del termine per l'adempimento, ma non anche l'inadempimento da parte dell'obbligato, che va meramente allegato, dovendo infatti essere quest'ultimo, cioè il debitore convenuto a provare il fatto modificativo, impeditivo o estintivo dell'altrui pretesa, costituito - quest'ultimo- di regola dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. SU 13533/01; Cass. 9439/08; Cass. 15677/09; Cass. 3373/10). Nel caso in esame, non essendo in contestazione tanto la sussistenza del rapporto contrattuale, nella specie il contratto di appalto stipulato tra le parti in data 07.10.2013 (doc. 2 parte opponente), quanto lo svolgimento delle prestazioni, sia pur con le allegazioni dei vizi e delle carenze dedotte da parte opponente, occorre soffermare l'attenzione dapprima sulle domande spiegate in via riconvenzionale dal committente-opponente. In particolare, occorre in primo luogo esaminare la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. con le relative conseguenze giuridiche e successivamente la domanda di risarcimento del danno per i vizi dell'opera, valutando la compatibilità sia astratta sia concreta delle predette petizioni. Esaminando nel merito la domanda ex art. 1662 c.c. ritiene questo giudice come la medesima non sia suscettibile di accoglimento per diversi ordini di ragioni. La predetta disposizione prevede espressamente: "il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. Quando, nel corso dell'opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l'appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno". La giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'art. 1662 cod. civ. attribuisce al committente il diritto di sorvegliare l'operato dell'appaltatore allo scopo di consentirgli di porre riparo alle difformità e ai vizi mentre è ancora in corso l'esecuzione del contratto, onde evitare lo scioglimento del rapporto per inadempienze non aventi carattere definitivo (v. sent. 26 marzo 1983 n. 2153). Questo controllo rappresenta una mera facoltà e non un onere, come emerge dal capoverso della norma che consente, ma non impone, al committente di assegnare un termine per l'eliminazione dei vizi riscontrati al fine di provocare l'automatica risoluzione del contratto al momento dell'inutile decorso del termine. Trattandosi di facoltà, il suo mancato esercizio non comporta alcuna preclusione o decadenza (v. sent. 5 dicembre 1978 n. 5726; 9 gennaio 1980 n. 163). Pertanto, il committente che si astenga dal controllare i lavori durante il loro svolgimento o, pur vigilando, ometta di far rilevare all'appaltatore i difetti dell'opera, non incorre nella perdita del diritto di ottenere la loro eliminazione a lavori ultimati, la quale si verifica soltanto in caso di accettazione senza riserve dell'opera, per i vizi palesi, o di tardiva denuncia dopo la consegna dell'opera, per i vizi occulti. La disposizione, dunque, disciplina una specifica ipotesi di risoluzione del contratto di appalto, nel caso in cui l'appaltatore non adempia nel "congruo" termine assegnato dal committente. Tuttavia, è la stessa prospettazione offerta dalla parte opponente sin dalla fase stragiudiziale ad escludere la sussistenza dei presupposti per poter procedere alla risoluzione del contratto di appalto. Invero, non è assolutamente revocabile in dubbio e, del resto, è insito nelle contestazioni stesse formulate dal dott. (...), come le opere per le quali il committente abbia formulato le richieste di intervento siano ulteriori ed estranee rispetto a quelle descritte partitamente nel capitolato di appalto, risultando sul punto la fase progettuale stessa carente. In particolare, infatti, per come emerge sia dalla relazione dell'ing. Rondoletti, tecnico di parte (...), sia del CTU nominato nel presente giudizio, la copertura in legno non è stata realizzata secondo l'originario contratto, nel quale "era previsto lo smontaggio ed il rifacimento della copertura con il materiale di recupero del tetto esistente, utilizzando quindi le stesse tecniche ed accorgimenti di posa adottati nella fattura originaria del tetto", bensì mediante smaltimento della vecchia copertura e posa di una nuova struttura in legno lamellare "sui vecchi e nuovi maschi murari senza la realizzazione di un cordolo sommitale o realizzazione di vincoli strutturali ai maschi murari sottostanti, secondo la vecchia modalità di posa tipica delle zone considerate non sismiche" (cfr. relazione integrativa del CTU del 26.11.2021; pagina 5). Il CTU ha precisato, tuttavia, come tali opere, pur da considerare "opere accessorie e funzionali", "non erano previste in contratto e tanto meno nel progetto presentato in Comune dal Geometra (...), ed in quanto tali non risultano quotate nell'offerta". A fronte delle predette risultanze istruttorie, non oggetto di specifica contestazione da parte dell'opponente e su molti aspetti conformi alle stesse allegazioni dell'opponente, non può in alcun modo essere ritenuto "congruo" il termine di giorni dieci assegnato con la missiva del 02.11.2017. A tal proposito è sufficiente osservare come la società appaltatrice nell'esiguo termine assegnato per poter completare le opere, non certamente di modesta entità e non previste espressamente in contratto, avrebbe dovuto essere in possesso il titolo edilizio, mai richiesto ed ottenuto dalla committenza stessa. Non appare revocabile in dubbio che l'ottenimento dei titoli edilizi sia un onere che grava sul committente e, dunque, la medesima parte non può imputare all'appaltatore il ritardo nel completamento di opere che non avrebbe potuto eseguire in difetto del titolo edilizio. A ciò si aggiunga come ai fini della pronuncia di risoluzione e conseguentemente per valutare la gravità dell'inadempimento e la buona fede dell'intimante il termine assegnato deve essere congruo in correlazione con i vizi lamentati. Nel caso di specie, tale requisito risulta evidentemente assente, non solo e non tanto perché assolutamente iniquo rispetto alla natura delle opere da eseguire, bensì soprattutto perché per completare l'opera a regola d'arte era necessario richiedere ed ottenere il titolo edilizio, adempimento che grava sul committente stesso. A fortiori, si osservi come anche la prospettazione astratta della domanda, con particolare riguardo all'importo richiesto dall'opponente in restituzione, non è coerente con gli effetti della pronuncia di risoluzione e con i principi dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, il committente ha preteso non solo di cumulare la richiesta di restituzione dell'importo corrisposto con la richiesta di risarcimento dei danni subiti, bensì ha richiesto l'intera somma versata senza detrarre il valore delle opere eseguite. A tal riguardo la Suprema Corte ha affermato che in tema di appalto, gli effetti recuperatori della risoluzione in ordine alle prestazioni già eseguite operano retroattivamente, in base alla regola generale prevista dall'art. 1458 c.c., verificandosi, per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall'imputabilità dell'inadempienza, una totale "restitutio in integrum". Ne consegue che, nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell'appaltatore, quest'ultimo ha diritto, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, al riconoscimento del compenso per le opere effettuate e delle quali, comunque, il committente stesso si sia giovato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che non aveva condannato il committente a versare quanto dovuto per le prestazioni eseguite prima della risoluzione sul presupposto che, trattandosi del pagamento di un compenso e non del richiesto corrispettivo, difettasse autonoma domanda dell'appaltatore; Cass. civ. Sez. II Ord., 30/10/2018, n. 27640; cfr. anche Cass. n. 15705 del 2013; Cass. n. 3455 del 2015; Cass. n. 13405 del 2015). L'obbligazione restitutoria non ha, quindi, natura risarcitoria, derivando dal venire meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni (nei sensi suddetti, tra le tante: Cass. n. 7829 del 2003; Cass. n. 3555 del 2003; Cass. n. 341 del 2002; n. 7470 del 2001), di talché nel caso di risoluzione del contratto di appalto, sebbene pronunciato per colpa dell'appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (cfr. anche, Cass. n. 5444 del 1997). Alla luce delle suddette considerazioni, dunque, la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c. nei termini in cui è stata formulata dall'opponente deve essere respinta. Passando ad esaminare la domanda di risarcimento dei danni per i vizi dell'opera giova osservare dapprima come, a seguito della chiamata in causa del progettista e direttore dei lavori, svolta non ai fini di garanzia quanto piuttosto alla stregua di una c.d. individuazione di terzo responsabile, la domanda formulata dall'opponente nei confronti della società appaltatrice, anche in mancanza di espressa istanza, si intende estesa automaticamente nei confronti del professionista terzo chiamato (cfr. Cass. sez. 2, sentenza n. 8811 del 30.05.2003). Invero, nell'ipotesi in cui un terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda di quest'ultimo si estende automaticamente ad esso senza necessità di una istanza espressa, costituendo oggetto necessario del processo, nell'ambito di un rapporto oggettivamente unico, l'individuazione del soggetto effettivamente obbligato (cfr. Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5057 del 2010; Cass. 26.1.2006 n. 1522; Cass. 11.8.2004 n. 15563; Cass. 10.5.2002 n. 6771). Il principio dell'estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in ragione del fatto che il terzo venga individuato come unico obbligato nei confronti dell'attore ed in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo rapporto controverso (cfr. Cass. sentenza 31066 del 28.11.2019). La conclusione non muta anche quando il terzo chiamato in giudizio sia ritenuto non responsabile esclusivo, ma corresponsabile del danno, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell'evento dannoso non danno luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell'oggetto della domanda ma evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo stesso titolo risarcitorio (da ultimo in tal senso cfr. Cass. 25/06/2019, n. 16919). Passando ad esaminare la domanda di risarcimento del danno devono essere in primo luogo respinte le eccezioni di prescrizione e decadenza ex art. 1667 c.c. sollevate dalla difesa di parte opposta. Come è noto, nel contratto di appalto concernente l'esecuzione di un'opera, l'azione di garanzia per vizi può essere esercitata solo dopo la consegna dell'opera stessa, quale momento di adempimento della prestazione dell'appaltatore che ne presuppone, ovviamente, la ultimazione. Tanto si desume dal disposto dell'art. 1667 c.c., comma 3, che fa decorrere la prescrizione della relativa azione "dal giorno della consegna dall'opera", afferente alla fase dell'esecuzione contrattuale; conseguentemente la prescrizione non opera fino a quando non avvenga, a seguito della ultimazione dei lavori, la consegna definitiva subordinata alla verifica ed all'accettazione dell'opera (Cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Cass. Civ. sez. II n. 13631/2013; Cass. n. 271/2004; n. 14584/04). Invero, nel caso in cui l'appaltatore non abbia portato a termine l'esecuzione dell'opera commissionata, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine, ma presenti vizi, difformità o difetti. Ne consegue che, in caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa o difforme, non è comunque consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, fare ricorso alla disciplina dell'anzidetta garanzia che, per l'appunto, richiede necessariamente il totale compimento dell'opera (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011). Nel caso in esame il C.T.U., ing. Davide Enrione, nel rispondere al quesito integrativo disposto con l'ordinanza di rimessione sul ruolo del 06.09.2021, volto a chiarire se le opere oggetto del contratto di appalto "possano essere considerate completate ovvero ancora in corso di esecuzione..", ha ossevato come "le opere previste un contratto non risultano a tutt'oggi completate a causa della mancanza di realizzazione degli intonaci, dei pavimenti, dei rivestimenti e delle soglie", evidenziando come "in offerta non fossero presenti le opere impiantistiche (idrauliche ed elettriche) necessarie per poter concludere la ristrutturazione dell'edificio e consentire la chiusura della pratica edilizia sino alla richiesta della relativa agibilità. Stante quanto esposto al punto 1, ai sensi delle norme tecniche vigenti ai tempi della realizzazione della copertura, le opere di legatura dei muri nuovi ai muri vecchi e del pilastro sono da considerarsi opere accessorie e funzionali ed in quanto tali necessarie al completamento delle opere a tutt'oggi eseguite". Tali considerazioni non sono state poste in efficace contestazione dai consulenti della parte opposta e dei terzi chiamati, i quali si sono limitati a riproporre le rispettive tesi senza incidere sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. Ciò posto, l'eccezione di prescrizione e decadenza deve essere respinta. Passando ad esaminare nel merito la domanda di risarcmento del danno per i vizi dell'opera commissionata, la medesima è suscettibile di parziale accoglimento nei termini di seguito precisati. In termini generali e con particolare riguardo al riparto dell'onere della prova in tema di vizi dell'opera appaltata, giova ricordare come di recente le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale formatosi circa il soggetto tenuto a provare l'esistenza dei vizi della cosa nel contratto di compravendita (venditore o compratore), hanno affermato importanti principi anche in tema di garanzia per i vizi dell'opera disciplinata dagli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. (cfr. Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 11748/2019). A tal riguardo, la Suprema Corte ha stabilito in lineare applicazione del principio di vicinanza della prova che, in tema di garanzia per difformità e vizi, l'accettazione dell'opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche per facta concludentia, spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate (cfr. in senso conforme cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013). Il C.T.U. nominato, ing. Davide Enrione, all'esito di un elaborato motivato in modo approfondito ed immune da vizi logici, dopo aver provveduto al sopralluogo e ad un analitico esame delle opere oggetto del contratto stipulato tra le parti, comparandole con quelle riscontrate, ha da un lato accertato che la società abbia appaltatrice abbia realizzato integralmente le opere dettagliate nel capitolato e, dall'altro, ha riscontrato la presenza di vizi dell'opera realizzata, sub specie di omessa realizzazione di opere strutturali necessarie alla luce della normativa vigente. Tali approdi determinano sia il diritto dell'appaltatore a ricevere il saldo per il compenso pattuito, ed in particolare l'importo della fattura emessa a saldo per l'attività resa, sia il diritto del committente ad ottenere il risarcimento del danno per le carenze dell'opera sia pur con le precisazione di seguito indicate. Quanto all'importo azionato in via monitoria si osservi come la giurisprudenza di legittimità abbia affermato che in tema di appalto, qualora il committente, rilevata l'esistenza di vizi nell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta da parte dell'esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il corrispettivo non viene messo in discussione e, di conseguenza, il relativo, mancato soddisfacimento dà luogo a condanna del committente al pagamento dello stesso (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5496 del 17/04/2002; Cass. Sez. 2, sentenza n. 6009 del 17.04.2012). Nel caso di specie, per come emerge anche dalla relazione dell'ing. Rondoletti, tecnico di parte opponente, le contestazioni spiegate non investono specificamente le opere eseguite, quanto invece l'omessa realizzazione di interventi che alla luce della normativa vigente avrebbero dovuto essere dapprima progettati e successivamente realizzati. Ciò posto, l'importo richiesto a saldo dall'appaltatore deve essere riconosciuto. Al contempo, tuttavia, le predette censure sono risultate anche a seguito della relazione integrativa svolta dal CTU parzialmente fondate. Invero, l'ing. Enrione ha osservato come i vizi dell'opere non riguardino tanto l'esecuzione delle opere descritte analiticamente nel preventivo quanto l'omessa previsione e conseguente esecuzione di interventi di carattere strutturale, obbligatori secondo la normativa vigente. In particolare il CTU, nella relazione depositata in data 05.02.2021, dopo aver evidenziato "come tutte le opere previste in appalto e contabilizzate con gli stati di avanzamento lavori dalla direzione lavori, siano state eseguite dalla ditta appaltatrice in maniera completa", ha tuttavia rilevato come "tali opere presentano dei vizi dovuti alla mancanza di esecuzione degli interventi strutturali necessari, i quali però non erano previsti né in progetto, né in contratto. In particolare non era prevista la realizzazione del cordolo di sommità in c.a. prima della posa dell'orditura lignea della copertura, che è stata posata direttamente sui vecchi e nuovi maschi murari in muratura". L'ing. Enrione, nella relazione depositata a seguito della rimessione della causa sul ruolo per gli ulteriori chiarimenti, ha indicato i riferimenti normativi posti a fondamento delle conclusioni rassegnate nelle precedenti relazioni ("Nella realtà, invece, la copertura non è stata realizzata come previsto nel contratto d'appalto, ma è stata smaltita la vecchia copertura e posataex-novo una nuova struttura in legno lamellare, preventivamente dimensionata dal fornitore di concerto con il direttore lavori geom G. (comunicato al CTU verbalmente dal fornitore). Tale copertura è stata posata sui vecchi e nuovi maschi murari senza la realizzazione di un cordolo sommitale o realizzazione di vincoli strutturali ai maschi murari sottostanti, secondo la vecchia modalità di posa tipica delle zone considerate non sismiche. Con l'entrata in vigore dell'ordinanza sismica D.P.C.M. 3431 (maggio 2005) emanata in seguito alla classificazione sismica dell'Italia, tutta l'Italia è diventata "sismica" e la zona in cui ricade l'edificio è stata considerata a bassa sismicità (Zona 4). Nel paragrafo 9.7 del D.P.C.M. 3431 (Maggio 2005) si scriveva espressamente: "Per le strutture di legno in zona sismica dovrà essere redatta apposita relazione di calcolo relativa, in particolare, ai requisiti e alle condizioni assunte per il progetto, all'impostazione generale della progettazione strutturale con riferimento al comportamento strutturale assunto (dissipativo o scarsamente dissipativo), agli schemi di calcolo e alle azioni considerate, alle verifiche delle singole fasi costruttive. I disegni di progetto devono riportare obbligatoriamente i seguenti elementi, fornendo per essi le istruzioni per i controlli specifici durante la fase costruttiva: a) collegamenti degli elementi tesi e qualsiasi collegamento alle strutture di fondazione; b) elementi utilizzati quali elementi di controvento; c) collegamenti tra impalcati (diaframmi orizzontali) ed elementi verticali di controvento; d) collegamenti tra i pannelli e le intelaiature lignee nei diaframmi orizzontali e verticali." Con l'uscita delle Norme Tecniche sulle Costruzioni del 2008, quanto contenuto nel DPCM è diventato norma tecnica..."). Il CTU, infine, ha concluso osservando da un lato che "ai sensi delle norme tecniche vigenti ai tempi della realizzazione della copertura, le opere di legatura dei muri nuovi ai muri vecchi e del pilastro erano da considerarsi opere accessorie e funzionali" e, dall'altro, che "tali opere, tuttavia, non erano previste in contratto e tanto meno nel progetto presentato in Comune dal Geometra (...), ed in quanto tali non risultano quotate nell'offerta". Queste ultime considerazioni incidono immediatamente sia sull'an dell'azione risarcitoria sia sul quantum del danno invocato. La peculiarità della fattispecie per cui è causa risiede nella seguente circostanza: se è certamente vero che i lavori di completamento di natura strutturale avrebbero dovuto essere oggetto dapprima di progettazione e successivamente di esecuzione, essendo vincolante la normativa antisismica, è altrettanto vero che il danno risarcibile non può essere identificato sic et simpliciter nel costo complessivo delle opere, atteso che le medesime non erano state indicate nell'offerta, il cui costo, compresa la fase di progrettazione, avrebbe comunque gravato sul committente, bensì esclusivamente nel maggior costo che il dott. A. è chiamato a sostenere eseguendole attualmente ovverosia successivamente all'esecuzione dell'opera principale. Sulla scorta di tale impostazione è stato, dunque, richiesto al CTU di quantificare il correlato maggior costo per eseguire gli interventi di consolidamento. Il consulente, dopo aver descritto analiticamente le opere necessarie per il completamento strutturale, individuandone il costo complessivo, ha stimato il maggior costo determinato "dalla necessità di esecuzione dei lavori di consolidamento dovendo intervenire in presenza della copertura già realizzata" in Euro 7.778,87. A tali importi devono essere aggiunti quelli stimati per la sanatoria strutturale (Euro 6.234,85) e per gli oneri di cantierizzazione e sicurezza (Euro 4.905,71), causalmente riconducibili all'inadempimento del progettista-direttore dei lavori e della società appaltatrice, mentre non può essere riconosciuta la somma necessaria per l'ottenimento del permesso di costruire, essendo spesa che avrebbe comunque gravato sul committente. Per ragioni sostanzialmente speculari nulla deve essere riconosciuto, invece, per il consolidamento strutturale dei solai atteso che, come meglio chiarito dal consulente nella relazione integrativa del 26.11.2021, tale opera non solo e non tanto non era prevista nel contratto bensì, per quel che maggiormente rileva, non è obbligatoria secondo la normativa vigente. Ciò posto, l'esecuzione della medesima rientrava ampiamente nella discrezionalità sia del progettista sia dell'appaltatore e come tale non è suscettibile di ristoro. Le argomentazioni svolte dal CTU devono essere complessivamente condivise, poiché, oltre ad essere motivate in modo adeguato, risultano ancorate ai riscontri effettuati suoi luoghi. In proposito, giova osservare come la giurisprudenza di legittimità abbia a più riprese affermato che il mancato esame delle risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ribadendo come le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (cfr. tra le tante Cass. Cassazione Civile, Sez. III, 31 maggio 2018, n. 13770; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13922 del 07/07/2016; Cass. sez. 1, Sentenza n. 5148 del 03/03/2011). A ciò si aggiunga come le medesime non siano state contrastate efficacemente dai consulenti di parte i quali, sia pur sotto profili antitetici, si sono limitati a riproporre le rispettive tesi senza incidere sull'impianto motivazionale espresso dal consulente. La Suprema Corte ha affermato a più riprese come il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. da ultimo Cass. 1815/2015). Sussiste una concorrente responsabilità ex art. 2055 c.c. dell'impresa appaltatrice e del progettista e direttori dei lavori. Quanto al posizione dell'impresa appaltatrice, giova osservare come la medesima non abbia fornito la prova di aver rispettato l'obbligo di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c., che si estrinseca nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, comprese le competenze tecniche funzionali al controllo ed alla correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli dal committente. La conoscenza adeguata nella normativa vigente costituisce un necessario ed imprescindibile presupposto per poter svolgere l'attività di impresa e rientra appieno nel dovere di diligenza ex art. 1176 c.c. A ciò si aggiunga come l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 - , Ordinanza n. 777 del 16/01/2020). Tali specifiche circostanze non risultano allegate nemmeno in astratto ed in ogni caso l'appaltatore, anche laddove sia il committente sia il direttore lavori avessero prospettato l'esecuzione di opere non solo non coerenti con la normativa vigente bensì sprovviste di titolo edilizio, avrebbe dovuto astenersi dall'eseguirle. Del pari, sussiste la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, il quale si è limitato a formulare generiche contestazioni alle risultanze peritali, pretendendo di riversare sulla controparte l'onere della prova che, come è noto, in materia contrattuale grave sul professionista obbligato. A tal riguardo è sufficiente ricordare come in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto". Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2 - , Ordinanza n. 2913 del 07/02/2020). Il geom. (...), progettista e direttore dei lavori, non ha allegato né tanto meno fornito la prova di aver correttamente adempiuto alle obbligazioni assunte, sia al momento della progettazione sia in sede di direzioni lavori, né che i danni riscontrati siano dipesi da cause a lui non imputabili. Deve, dunque, essere affermata la responsabilità dei due soggetti che hanno contribuito a cagionare il danno dedotto dal committente, ciascuno per il proprio titolo, e comunque in via solidale tra loro ai sensi dell'art. 2055 c.c. A tal proposito, la Suprema Corte ha statuito che in tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass., ord. 3.12.2017, n. 29218). In difetto di qualsivoglia allegazione che consenta di graduare le singole responsabilità trova applicazione la presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all'ultimo comma dell'art. 2055 c.c. In definitiva, dunque, l'importo complessivo delle opere necessarie per eliminare i danni riscontrati dal C.T.U. è pari ad Euro 18.919,43 già comprensiva dell'I.V.A. nella misura di legge. Quanto all'IVA, giova osservare come nel ristoro del pregiudizio patrimoniale a favore del danneggiato occorre comprendere anche gli oneri accessori e consequenziali con la conseguente necessità di includere anche il pagamento di tale imposta: quest'ultima, in quanto onere futuro e certo al tempo della stipulazione del contratto, concorre a determinare il complessivo esborso necessario alla reintegrazione patrimoniale conseguente al fatto illecito subito (Cass. 2.04.2009 n. 8035, Cass. 27.01.2010 n. 1688). La somma sopra richiamata assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio del danneggiato, ha natura di debito di valore, con la conseguenza che essa deve essere rivalutata con riferimento al periodo intercorso tra la data di redazione della perizia e fino al momento della decisione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25015 del 06/11/2013). Alla complessiva somma liquidata in conto capitale deve essere, inoltre, aggiunto, a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante un ulteriore importo, per il mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento. Quanto al calcolo degli interessi compensativi, occorre applicare il criterio messo a punto nella nota sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 17.2.1995 n. 1712, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell'illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base dei citati indici ISTAT. In applicazione di tale criterio, al fine del calcolo degli interessi la somma capitale come sopra determinata deve essere devalutata dalla data della pubblicazione della sentenza alla data dell'esecuzione dei lavori (2016) e sulla somma così ottenuta, progressivamente rivalutata anno per anno in base agli indici ISTAT fino alla data della pubblicazione della sentenza, devono calcolarsi gli interessi al tasso legale. Sull'intera somma liquidata per sorte capitale e lucro cessante decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza al saldo ex art. 1282 c.c. Riassumendo, dunque, il decreto ingiuntivo deve essere revocato ed il committente deve essere condannato al pagamento nei confronti dell'appaltatore dell'importo di Euro 6.886,00 oltre interessi nella misura legale dalla notificazione del decreto ingiuntivo sino al saldo, mentre l'appaltatore ed il direttore dei lavori devono essere condannati in via solidale tra loro al pagamento in favore del dott. A. della somma di Euro 18.919,43. I due importi vengono tenuti separati atteso da un lato l'assenza di espressa domanda di compensazione tra le diverse ragioni di credito e, dall'altro, della diversa decorrenza degli interessi e della rivalutazione in ragione della natura dei crediti, rispettivamente di valore quello del committente e di valuta quello dell'appaltatore. E' fondata la domanda di garanzia spiegata dal geom. (...). Invero, le contestazioni sollevate dalla difesa della compagnia convenuta, oltre ad essere stata formulate in forma generica e sostanzialmente perplessa ("Nell'ipotesi in cui, ferme restando tutte le contestazioni del caso di cui infra in punto assoluta mancanza di responsabilità in capo al Geom. (...), nel corso della disponenda fase istruttoria dovesse emergere che i comportamenti professionalmente non corretti del Geom. G. siano collocabili temporalmente prima del 09.02.2012"), risultano smentite delle risultanze processuali atteso che l'inadempimento tanto in fase di progettazione quanto di esecuzione della direzione lavori è riconducibile ad un periodo di operatività della polizza (cfr. permesso di costruire depositato il 28.06.2012 e rilasciato il 04.08.2013; doc. 3 parte G.). Quanto alla applicazione dell'invocato art. 9 comma 2 del contratto di assicurazione a tenore del quale "nel caso di responsabilità concorrente o solidale? l'assicurazione opera esclusivamente per la quota di danno direttamente all'Assicurato in ragione della gravità della propria colpa e dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate, mentre è escluso dalla garanzia l'obbligo di derivante da mero vincolo di solidarietà", dal contenuto non immediatamente perspicuo, non essendo chiaro quale possa essere l'ipotesi in cui un soggetto sia chiamato a rispondere a titolo di "mero vincolo di solidarietà", giova osservare come la compagnia dovrà essere chiamata a garantire il geom. G. sino all'importo complessivo della somma riconosciuta al committente a titolo di risarcimento del danno, potendo agire la compagnia in regresso nei confronti del condebitore nel caso di pagamento dell'intera somma. La predetta interpretazione è l'unica che possa attribuire un senso coerente alla disposizione e che è coerente con la natura della responsabilità solidale. A ciò si aggiunga come la Suprema Corte abbia più volte affrontato la problematica relativa alla ambiguità nella formulazione delle clausole contenute nei contratti assicurativi, privilegiando, in forza della granitica giurisprudenza sull'operatività dei criteri interpretativi del contratto di cui agli artt.li 1362-1371 c.c., l'interpretazione più favorevole al consumatore, il quale, trovandosi in una posizione inferiore rispetto alla Compagnia, sostanzialmente sottoscrive per adesione un modulo già interamente predisposto dalla controparte contrattuale. Il contratto di assicurazione, dinanzi ad una clausola lessicalmente ambigua, non potendo trarre un significato autentico dalla semplice connessione delle parole, va interpretato secondo il criterio ex art. 1370 c.c. concernente l'interpretazione contro il predisponente (Cass Sez. III, n. 668 del 18/01/2016: "Nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., e, in particolare, a quello dell'interpretazione contro il predisponente, di cui all'art. 1370 c.c."; Cass. Civ.- Sez. II, Ordinanza 12/02/2020 n. 3367; Cass. sez. 3, Sentenza n. 10825 del 05/06/2020; Cass. Civ. Sez. III n. 866 del 17/01/2008). In definitiva, dunque, la (...) S.p.a. deve essere condannata a manlevare il geom. (...) dal pagamento della somma da quest'ultimo dovuta al committente a titolo di risarcimento danni sino all'importo di Euro 17.028,00, oltre agli interessi e rivalutazione come sopra determinati, applicando lo scoperto contrattuale del 10% (Euro 18.919,43 detratto il 10%), facendo salvo l'eventuale diritto di regresso nei confronti della società appaltatrice, quale condebitore solidale. La reciproca soccombenza (rigetto della domanda di risoluzione del contratto ex art. 1662 c.c.; riduzione sensibile degli importi richiesti da parte del committente a titolo di risarcimento del danno; accoglimento della domanda di pagamento del saldo del corrispettivo) giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti, ivi comprese quelle della consulenza tecnica. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 2000/2018 R.G., così provvede: revoca il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ivrea n. 436 del 15.03.2018; condanna (...) al pagamento in favore della società (...) S.a.s. della somma di Euro 6.886,00 oltre interessi nella misura legale dalla domanda sino al saldo; accoglie parzialmente la domanda proposta da (...) e, per l'effetto, condanna la società (...) S.a.s. in persona del legale rappresentante pro tempore ed il geom. (...) al pagamento in via solidale tra loro al pagamento della domanda di Euro 18.919,43 oltre rivalutazione ed interessi come in motivazione; rigetta le ulteriori domande spiegate dalle parti; in accoglimento della domanda di garanzia spiegata da (...) condanna la (...) s.p.a. in persona del legale rappresentante, a manlevare e tenere indenne il predetto sino all'importo di Euro 17.028,00; compensa integralmente tra tutte le parti le spese di lite, ivi comprese quelle liquidate al C.T.U. in corso di causa. Così deciso in Ivrea il 26 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI IVREA Sezione Civile Unica Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott. ALESSANDRO PETRONZI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 179/2020 tra (...) (C.F. (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. (...), come in atti domiciliata -parte opponente- nei confronti di: CONDOMINIO "(...)" (C.F./P.IVA (...)), in persona dell'Amministratorep.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), come in atti domiciliato -parte opposta- Sulle seguenti conclusioni delle parti rassegnate dalle parti nel verbale di udienza del 02.02.2022: Per parte opponente: - voglia l'Ecc.mo Tribunale Ivrea, - disattesa ogni contraria e diversa istanza, eccezione e deduzione, - emesse le più opportune pronunce e declaratorie, - previa ammissione delle istanze istruttorie di cui alla memoria ex art. 183 c.p.c. in data 11 dicembre 2020, - previo accertamento della nullità delle delibere assembleari che hanno disposto la ripartizione degli oneri di riscaldamento e di gestione in violazione dell'art. 1123 cod.civ. e dell'art. 9 D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102, e successive integrazioni, e in particolare di quella del 20 marzo 2018, - accertare il pagamento della somma di Euro 200,00 da parte dell'opponente in data 25 marzo 2019, da imputare in aggiunta a quella riconosciuta di Euro 500,00 in data 12 agosto 2019, - revocare l'opposto decreto ingiuntivo del Tribunale di Ivrea n. 1523 del 30 ottobre 2019, - condannare l'opposto al rimborso della somma di Euro 7.872,24 (settemilaottocentosettantadue/24), o della diversa somma accertata in corso di causa, - in ogni caso, con vittoria di esborsi e compensi di lite". Per parte opposta: "- Respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione = Voglia l'Ill.mo Giudice Unico del Tribunale - Accertata la inammissibilità e comunque l'infondatezza dell'opposizione avversaria - Rigettare tutte le domande di parte attrice opponente e per l'effetto = Confermare il decreto ingiuntivo opposto n. 1523/2019, dando atto che l'opponente ha integralmente corrisposto la somma ingiunta = Col favore delle spese del presente giudizio, oltre rimborso spese forfetarie 15% ex art. 2 D M. 55/2014, C.P.A., I.V.A. e successive occorrende" RAGIONI DELLA DECISIONE Il condominio opposto ha ingiunto alla opponente, con decreto ingiuntivo n. 1523/2019 emesso dal Tribunale di Ivrea in data 30.10.2019, il pagamento della somma di euro 6.139,00, a titolo di pagamento delle spese di riscaldamento relative all'anno 2018, quantificate in forza di preventivi di spesa approvati con delibera del 16.03.2018 (che la opponente ha interamente saldato con riserva di ripetizione). La condomina ha contestato il monitorio rilevando la insussistenza delle condizioni di emissione del decreto ingiuntivo, atteso che esso era stato emesso solo in forza di preventivi di spesa, in mancanza di consuntivo, giammai approvato dall'assemblea condominiale a causa del disordine contabile del condominio, imputabile ad un precedente amministratore revocato infatti dal Tribunale con decreto in data 8 gennaio 2020. Ha altresì eccepito la nullità dell'assemblea del 16.03.2018 che aveva approvato la ripartizione delle spese di riscaldamento in violazione dei criteri legali di cui all'art. 1123 c.c. ed all'art. 9 D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102, vale a dire, trattandosi di spese di riscaldamento, non sulla base dei consumi realizzati nelle singole unità immobiliari computati alla stregua delle risultanze dei ripartitori di calore; ha esposto altresì che alcuni condomini improvvidamente avevano provveduto a manomettere ed eliminare i contabilizzatori di calore, nella più completa inerzia dell'organo amministrativo, che, anziché ripristinarli, aveva preferito adottare un diverso, ma illegittimo, criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento. Il condominio si è costituito chiedendo la conferma del decreto opposto; in via preliminare ha eccepito la inammissibilità della opposizione siccome preclusa in ragione della mancata impugnazione del verbale assembleare; nel merito, ha dedotto la, infondatezza, non potendosi attribuire rilievo alla revoca dell'amministratore con riguardo alla posizione del singolo condomino, essendo state le irregolarità accertate dal Tribunale relative alla gestione di altre annualità e non avendo la revoca alcun effetto sulle delibere adottate. Ha rilevato che il preventivo di spesa è titolo di per sé idoneo a fondare la pretesa azionata, irrilevante essendo l'assenza del consuntivo, e contestato che vi fosse stata violazione del D.Lgs. 102/2014 nella elaborazione dei criteri di riparto o che vi fossero stati errori nei conteggi e nel computo delle calorie. La causa, di puro diritto, è stata istruita con sole produzioni documentali. La opposizione è fondata e merita pieno accoglimento per le ragioni che seguono. Risultano assorbenti le seguenti considerazioni. E' granitico e consolidato l'orientamento giurisprudenziale, richiamato sin dal libello introduttivo dalla parte opponente, secondo cui il bilancio preventivo è di per sé idoneo a fondare la richiesta monitoria del condominio, ai sensi dell'art. 63 disp. att. cod. civ., soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato, dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale (in tale senso Cass. 1789 del 12/02/1993). Tale risalente e consolidato orientamento non è peraltro smentito, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte opposta, dal più recente arresto della Suprema Corte (Cass. 24299 del 29/09/2008), che, in una ipotesi (del tutto dissimile rispetto alla presente fattispecie) in cui il consuntivo era stato regolarmente approvato dall'assemblea, andando così a sostituire il preventivo, il giudice del provvedimento impugnato aveva affermato erroneamente la generale inidoneità del preventivo di spesa a fondare la richiesta monitoria. Con tale pronuncia, invero, la Suprema Corte ha infatti affermato, perpetuando l'orientamento del 1993, che: "uno dei principi informatori della materia condominiale deve ritenersi quello relativo alla legittimità della riscossione dei contributi condominiali da parte dell'amministratore, sulla base del bilancio preventivo regolarmente approvato sino a quando questo non sia stato sostituito dal bilancio consuntivo. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di pace, pronunciata secondo equità, per essersi fondata sull'opposto principio dell'illegittimità della riscossione dei contributi condominiali, ripartiti sulla base del bilancio preventivo, prima della scadenza del relativo esercizio)". Né tantomeno risulta pertinente il richiamo all'altra pronuncia di legittimità (Cass. 10621/2017) richiamata dal Condominio opposto nella comparsa conclusionale, ove la questione oggetto di esame della Corte riguardava la legittimazione dell'amministratore del Condominio a richiedere un decreto ingiuntivo sulla scorta del bilancio preventivo di spesa (facoltà che nessuno nega) in un caso, ancora una volta diverso da quello di specie, in cui si contestava la affermazione contenuta nella sentenza del giudice di appello, che aveva ritenuto che "l'approvazione del prospetto di riparto doveva ritenersi implicita nell'avvenuto pagamento da parte di tutti gli altri condomini". Nel caso di specie, è pacifico ed incontestato che il decreto opposto è stato richiesto durante la vigenza dell'esercizio 2019 in base a due semplici preventivi di spesa relativi all'esercizio 2018, ai quali non ha mai fatto seguito la approvazione del bilancio consuntivo, né entro l'esercizio 2018, né entro l'anno dal preventivo, né a tutt'oggi. E la ragione della mancata approvazione del consuntivo risiede nella altrettanto pacifica circostanza del complessivo "disordine" contabile del Condominio imputabile ad un precedente amministratore, poi infatti revocato dal Tribunale con decreto dell'8.01.2020. Ne consegue che sebbene sia indiscutibile facoltà dell'amministratore del condominio richiedere ed ottenere la emissione in favore del Condominio di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., sulla scorta del mero preventivo di gestione, poiché tale possibilità contempera esigenze di "funzionamento" dell'ente gestorio, è altrettanto vero che tale prerogativa viene meno con la chiusura dell'esercizio, atteso che a norma del combinato disposto di cui agli artt. 1130 n. 10 e 1130 bis c.c., l'amministratore è tenuto al rendiconto annuale, che consente ai condomini di valutare la gestione patrimoniale. In assenza di tale approvazione del consuntivo, mai avvenuta, deve ritenersi ab origine insussistente il titolo idoneo alla richiesta monitoria. Con la conseguente revoca del monitorio illegittimamente emesso. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte opposta. Esse sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei principi dettati dal D.M. Giustizia 10.03.2014, n. 55 che ha stabilito le modalità di determinazione del compenso professionale per l'attività svolta, applicando, nel caso di specie, i valori medi per lo scaglione di riferimento (da 5.200,00 a 26.000,00) ed esclusa la Fase Istruttoria, di fatto non espletata. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza reietta e disattesa: 1) In accoglimento della opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 1523 emesso dal Tribunale di Ivrea in data 30 ottobre 2019; 2) condannare il Condominio opposto, in persona dell'Amministratore p.t., al rimborso in favore della parte opponente della complessiva somma di Euro 7.872,24 (settemilaottocentosettantadue/24); 3) condanna il Condominio opposto, in persona dell'Amministratore p.t., alla rifusione in favore della parte opponente delle spese di lite, che si liquidano in euro 150,00 per spese ed euro 3.235,00 oltre rimborso forf. al 15%, iva e cpa, come per legge, per compensi professionali. Così deciso in Ivrea, 2 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Ordinario di Ivrea in composizione monocratica, in persona del dott. Matteo Buffoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 2912/2019 R.G., promossa da (...), C.F. (...), residente in (...) (T.), Via C. (...) n. 23, rappresentato e difeso dagli Avv.ti En.Ca. e St.Sc. del Foro di Torino ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Torino, Corso (...), il tutto come da procura in calce al ricorso ex art. 702-bis c.p.c. - attore - contro B.D. (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con studio in (...) (T.), Corso T. n. 134, elettivamente domiciliati in Ivrea (TO), Piazza (...) presso lo studio degli Avv.ti Cl.D'A. e Ma.Ch. del Foro di Ivrea, che li rappresentano e difendono come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - convenuti - e contro (...) S.A. RAPPRESENTANZA G.I. (P.IVA (...)) in persona del procuratore dott. F.R., con sede legale in M., Piazza V. n. 17, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Cl.Ca. e Fu.De. del Foro di Milano ed elettivamente domiciliata in Torino, Via (...) presso lo studio dell'Avv. An.Pe., il tutto come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta - terza chiamata - oggetto: prestazione d'opera intellettuale MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato il 29/7/2019 il sig. (...), titolare della ditta individuale "(...)", esponeva le seguenti circostanze: - il ricorrente affidava alla dott.ssa (...) e al dott. (...) la tenuta della contabilità ordinaria relativa alla propria impresa, e si avvaleva delle prestazioni professionali dei medesimi per la predisposizione e l'invio delle proprie dichiarazioni dei redditi; - la sola dott.ssa (...) emetteva di volta in volta le parcelle per le prestazioni effettuate da entrambi i professionisti negli anni 2012 e 2013; - il 27/12/2017 venivano notificati al sig. (...) gli avvisi di accertamento nn. (...) (relativo all'anno 2012) e (...) (relativo all'anno 2013); - con i suddetti atti impositivi, l'Agenzia delle Entrate contestava al ricorrente: per l'anno 2012, un maggior reddito di euro 367.848,00 (con maggiore imposta di euro 105.594,00) e un omesso versamento IVA di euro 22.684,00; per l'anno 2013, un maggior reddito di euro 294.545,14 (con maggior imposta di euro 113.563,00) e un omesso versamento IVA di euro 3.177,00; - gli avvisi di accertamento traevano origine da una verifica fiscale generale che si concludeva con processo verbale di constatazione in data 24/10/2017; - tale processo verbale faceva emergere, per entrambi gli anni sottoposti a verifica, gravi irregolarità nella tenuta della contabilità, tanto da far ritenere totalmente inattendibile la contabilità stessa; - a seguito della notifica degli atti impositivi, il sig. (...) formulava istanza di accertamento con adesione e, a conclusione del conseguente procedimento, corrispondeva la somma di euro 44.354,93 a titolo di sanzioni per l'anno 2012 e la somma di euro 43.827,54 a titolo di sanzioni per l'anno 2013, mentre l'Agenzia delle Entrate accordava la rateizzazione delle somme dovute a titolo di tributi e interessi nella misura di 120 rate; - di fatto, la materiale tenuta della contabilità della ditta S. era affidata alla sig.ra (...), dipendente dello studio professionale a cui si era rivolto il sig. (...); - il dott. (...), presa contezza degli accertamenti eseguiti dall'Agenzia delle Entrate, promuoveva un procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra (...), contestandole le gravi negligenze emerse in occasione della verifica ispettiva. Tanto permesso, il sig. (...) deduceva che i convenuti si erano resi responsabili di un grave inadempimento delle obbligazioni assunte a seguito del conferimento dell'incarico professionale. In ogni caso, anche a voler individuare nella sola dott.ssa (...) la sola effettiva controparte contrattuale, il dott. (...) avrebbe dovuto rispondere nei confronti del ricorrente ai sensi dell'art. 2049 c.c., vista la riconducibilità del danno all'attività svolta dalla sua dipendente. Il sig. (...) domandava dunque al Giudice di dichiarare la risoluzione del contratto d'opera intellettuale ex art. 1453 c.c., con condanna della dott.ssa (...) alla restituzione delle somme ricevute a titolo di corrispettivo (per complessivi euro 7.600,00), invocando altresì la condanna di entrambi i convenuti (in solido tra loro) al risarcimento del danno cagionatogli, da quantificarsi in euro 133.619,47. La dott.ssa (...) e il dott. (...) si costituivano in giudizio l'8/11/2019 mediante il deposito di una comparsa, con la quale replicavano nei seguenti termini alle deduzioni attoree: - il rapporto contrattuale concernente la tenuta della contabilità era intercorso tra il sig. (...) e la sola dott.ssa B.; - il ricorrente non aveva assolto il suo onere probatorio, non avendo prodotto in giudizio le scritture contabili della ditta individuale (asseritamente tenute in modo negligente); - la mancanza di prova dell'inadempimento discendeva altresì dal fatto che i rilievi cristallizzati negli avvisi di accertamento avrebbero potuto essere contestati in giudizio, ma il sig. (...) aveva autonomamente deciso di fare ricorso al procedimento di accertamento con adesione (senza premurarsi di esplorare altre vie, come ad esempio quella della c.d. "pace fiscale" di cui infra); - era comunque ravvisabile un concorso di colpa del sig. G., il quale da un lato aveva contribuito alla formazione delle scritture contabili (anche con l'ausilio della propria madre, sig.ra (...), "la quale si teneva in costante contatto con la dipendente dello studio, sig.ra (...), fornendo i dati e la documentazione utile alla presentazione delle dichiarazioni dei redditi"), e dall'altro lato - con la scelta di promuovere il procedimento di accertamento con adesione - si era precluso non solo la possibilità di contestare in giudizio la pretesa impositiva, ma anche quella di usufruire del condono fiscale varato con il D.L. n. 119 del 2018 (che gli avrebbe consentito di realizzare un risparmio del 50% della somma corrisposta all'Agenzia delle Entrate). Tanto premesso, i convenuti concludevano per il rigetto delle domande attoree e, in subordine, per la riduzione del danno risarcibile ex art. 1227 c.c.; in ogni caso chiedevano l'autorizzazione a chiamare in causa la loro compagnia di assicurazioni ((...) S.A. Rappresentanza G.I.) onde esperire azione di manleva. Con decreto del 15/11/2019 il Giudice concedeva la suddetta autorizzazione e differiva l'udienza di comparizione. Ricevuta la notifica, (...) si costituiva in giudizio il 30/1/2020 mediante il deposito di una comparsa, con la quale da un lato faceva proprie le difese svolte dai convenuti e dall'altro deduceva la carenza di copertura assicurativa, evidenziando come si fosse in presenza di un contratto claims made con validità dal 30/6/2018 in avanti e come gli assicurati avessero contezza della problematica oggetto di causa quantomeno da novembre 2017 (epoca in cui essi avevano promosso il procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra (...)). In ogni caso le polizze prevedevano delle franchigie e comunque la copertura non poteva estendersi alle spese legali di resistenza in giudizio (visto il "patto di gestione della lite" di cui all'art. 28 delle condizioni generali di contratto) né alla restituzione del compenso percepito. Tanto premesso, (...) concludeva invocando il rigetto delle domande attoree nonché il rigetto della domanda di manleva, ferma restando - in estremo subordine - la prospettata riduzione dell'indennizzo assicurativo per le ragioni esposte nel corpo della comparsa. All'udienza del 12/2/2020 il Giudice, ritenendo che le difese svolte dalle parti richiedessero un'istruttoria non sommaria, disponeva il mutamento del rito ex art. 702-ter, comma 3, c.p.c. La fase istruttoria si esauriva con il deposito delle memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., perché il Giudice - con ordinanza del 10/2/2021 - rigettava tutte le istanze istruttorie formulate dalle parti, ritenendo che la causa fosse matura per la decisione. Dunque all'udienza del 6/10/2021 i difensori precisavano le loro conclusioni e il Giudice rimetteva la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito degli scritti difensivi finali. 2. Le domande del sig. (...) sono fondate. 2.1. Dal punto di vista della legittimazione passiva (in senso sostanziale), si osserva che il rapporto contrattuale avente ad oggetto la prestazione da cui è derivato il danno di cui si discute (cioè la tenuta della contabilità dell'impresa individuale "(...)") è intercorso tra il sig. (...) e la sola dott.ssa (...), come si desume dalle parcelle emesse dalla convenuta e prodotte sub 1 fasc. attore. Il dott. (...) non risponde, quindi, ex art. 1218 e 1228 c.c., bensì ai sensi dell'art. 2049 c.c., perché l'attività in questione è stata pacificamente svolta da una sua dipendente, sig.ra (...) (come del resto si evince dalla lettera di contestazione disciplinare prodotta sub 8 fasc. attore, sul cui contenuto si tornerà infra). Su questi profili, del resto, non si registra alcuna contestazione da parte dei convenuti. 2.2. Venendo ora all'inadempimento contrattuale lamentato dal sig. G., occorre innanzitutto considerare che l'attore ha sviluppato specifiche allegazioni volte a illustrare gli aspetti di negligenza che hanno dato luogo all'emissione degli avvisi di accertamento. In particolare, nel ricorso ex art. 702-bis c.p.c. sono state evidenziate le seguenti criticità: - come constatato in sede di verifica ispettiva, la contabilità della ditta individuale era del tutto inattendibile, in quanto caratterizzata dall'anomalia di due libri giornale contenenti annotazioni molto differenti tra loro; - le scritture di fine anno erano addirittura "stravaganti"; - il libro giornale/libro inventari "bollato" e lo stralcio del libro giornale "stampa di prova" utilizzato per la dichiarazione dei redditi riportavano dati contrastanti. In particolare, nel libro giornale "stampa di prova" erano riportati acquisti di merci per un valore superiore alle fatture d'acquisto regolarmente registrate; - il conto cassa a fine anno presentava un saldo negativo in un prospetto, e un saldo negativo in un altro prospetto; - la registrazione delle fatture d'acquisto veniva effettuata in modo estemporaneo, tanto da generare un apparente credito della ditta individuale nei confronti di un fornitore senza contestuale emissione di alcuna nota di credito; - sotto il profilo della registrazione delle fatture attive e degli incassi, spiccavano la mancata registrazione di un incasso da FCA in data 19/12/2012 e la registrazione di un incasso di euro 101.080,61 in data 31/12/2012 in realtà mai avvenuto. Situazioni analoghe erano riscontrabili anche nella contabilità del 2013; - in alcuni casi venivano indicate - quali spese deducibili - voci indeducibili, oppure venivano dedotte percentuali non consentite (es. spese relative al carburante, al lubrificante e alle spese di manutenzione riferibili agli automezzi aziendali: voci dedotte integralmente anziché al 40%, come consentito). Ciò detto, si rammenti che, "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ... Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento" (Cass., Sez. Un., sentenza n. 13533/2001). È dunque decisivo considerare che, a fronte delle specifiche allegazioni attoree, la dott.ssa (...) non ha provato né offerto di provare di aver correttamente adempiuto l'obbligazione assunta con il contratto d'opera intellettuale. A tale proposito si precisa che nessuno dei capitoli di prova per interpello e testi enucleati nella seconda memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. dei convenuti attiene a questo aspetto (di talché le istanze istruttorie reiterate in sede di precisazione delle conclusioni devono essere nuovamente rigettate). Ne discende la configurabilità dell'invocata responsabilità contrattuale della dott.ssa (...), venendo in rilievo l'art. 1228 c.c. (essendosi la convenuta avvalsa dell'opera della sig.ra (...), e non essendo necessario interrogarsi sulla natura giuridica del rapporto tra loro intercorso, sussistendo pacificamente l'assunzione del "rischio specifico" da parte della debitrice: cfr. Cass., sentenza n. 4298/2019). 2.3. Trattandosi senz'altro di inadempimento di non scarsa importanza, in considerazione delle numerose e gravi irregolarità riscontrate nella contabilità (sulle quali, per non appesantire la trattazione, si rinvia a quanto si dirà infra), il contratto d'opera intellettuale - in accoglimento della domanda del sig. (...) - va risolto giudizialmente ex art. 1453 c.c. L'attore ha quindi diritto alla ripetizione del corrispettivo versato, perché l'effetto retroattivo della risoluzione (cfr. art. 1458 c.c.) toglie valore alla causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali già effettuate. Non è contestato che la somma complessivamente pagata dal sig. (...) in favore della dott.ssa (...) ammonti ad euro 7.600,00 (come emerge anche dalle parcelle prodotte sub (...) fasc. attore). Dal punto di vista degli "accessori", si osserva innanzitutto che la fattispecie va esaminata sotto la lente di ingrandimento rappresentata dalla disciplina dell'istituto dell'indebito oggettivo, perché, come si è detto, sono venute meno le giustificazioni causali delle attribuzioni patrimoniali effettuate dal sig. (...). In sede di applicazione dell'art. 2033 c.c. la giurisprudenza ha chiarito che, qualora la prestazione abbia avuto per oggetto denaro o suoi rappresentativi, il debito di restituzione è di valuta (Cass., sentenza n. 195/1995). Spettano all'attore, dunque, solo gli interessi al tasso legale e non anche la rivalutazione monetaria. Dal punto di vista del dies a quo si rammenti che colui il quale ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno del pagamento, se chi l'ha ricevuto era in malafede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda. La giurisprudenza ha precisato che anche nella fattispecie di indebito oggettivo trova applicazione il principio secondo cui la buona fede si presume (Cass., sentenza n. 10815/2013; Cass., sentenza n. 10297/2007; Cass., sentenza n. 11259/2002). Nel caso in esame il sig. (...) non ha svolto alcuna specifica deduzione in punto malafede della dott.ssa (...), e comunque dagli atti non emergono elementi idonei a smentire la presunzione di buona fede. Quindi gli interessi devono essere conteggiati dal giorno della domanda. Sul punto le Sezioni Unite hanno precisato che, "In tema di ripetizione dell'indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l'espressione dal giorno della "domanda", contenuta nell'art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell'art. 1219 c.c." (Cass., Sez. Un., sentenza n. 15895/2019). Nella specie, le PEC prodotte sub 10 fasc. attore non assurgono ad atti idonei a costituire in mora la dott.ssa (...), non contenendo richieste di pagamento ma soltanto solleciti a prendere contatto con il difensore dell'odierno attore per "definire le modalità di ristoro dei danni" dallo stesso patiti. Ne discende che la costituzione in mora non può che farsi risalire alla data in cui la convenuta ha ricevuto la notifica del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. unitamente al decreto di fissazione della prima udienza. Questa data non emerge dagli atti, perché non sono stati prodotti ricorso e decreto notificati; è però certo che la vocatio in ius dei convenuti non può essere avvenuta successivamente all'8/11/2019, data in cui essi si sono costituiti in giudizio. Proprio l'8/11/2019, dunque, rappresenta il dies a quo per il calcolo degli interessi. 2.4. Esaurito il ragionamento relativo alla domanda di risoluzione e alla restituzione del corrispettivo, va ora affrontata la questione del risarcimento del danno. Visto che sotto questo profilo il sig. (...) ha invocato la responsabilità solidale dei convenuti, occorre rammentare che il dott. (...) risponde ex art. 2049 c.c.; quindi il ragionamento svolto nel paragrafo 2.3 a proposito della posizione della dott.ssa (...) va integrato come segue, gravando sull'attore l'onere di provare i presupposti della responsabilità aquiliana dell'altro convenuto, e segnatamente l'illecito commesso dalla dipendente dello studio professionale. In quest'ottica si osserva che il sig. (...) ben può giovarsi della relevatio ab onere probandi in cui si sostanzia il principio di non contestazione, visto che il dott. (...) non ha in alcun modo negato che la sig.ra (...) abbia tenuto la contabilità in modo negligente. Né - a ben vedere - avrebbe potuto farlo in modo convincente, visto il tenore della già citata lettera di contestazione disciplinare prodotta sub (...) fasc. attoreo. Tale missiva, proveniente dall'odierno convenuto e recante la data del 28/11/2017, così recita: "? le contestiamo quanto segue: grave negligenza nella gestione della contabilità della ditta (...) di (...) affidata a lei da lungo tempo, emersa in seguito all'accertamento fiscale da parte dell'Agenzia delle Entrate dove è stata presentata una documentazione alterata e inattendibile provata da stampe di prova dei libri contabili, nello specifico: a) mancata tenuta di tutta la documentazione fiscale dall'anno 2011 al 2013 (libro giornale, libro inventario, registri iva e altro), nonché dal 2014 al 2016 b) rilevazioni contabili assolutamente incomprensibili senza acquisizione di idonea documentazione giustificativa c) scritture contabili anomale e "stravaganti" di fine anno assolutamente incomprensibili d) registrazioni doppie senza senso e) disallineamento nel riporto dati (...) L'accertamento fiscale in capo alla ditta (...) di (...) è tutt'oggi in corso con rilevanti contestazioni da parte dell'Agenzia Entrate Direzione Provinciale II Di Torino pertanto non abbiamo ancora ricevuto una quantificazione dell'ammontare del debito (...)". Peraltro, anche a voler prescindere dall'operatività del principio di non contestazione e dal valore probatorio della lettera di contestazione disciplinare, occorre comunque constatare che l'irregolare tenuta della contabilità emerge dalla documentazione prodotta dal sig. (...) a sostegno della sua pretesa, e precisamente: - dal processo verbale di constatazione in data 24/10/2017 prodotto sub 4 fasc. attore; - dagli avvisi di accertamento nn. (...) e (...) prodotti rispettivamente sub 2 e 3, emessi sulla scorta delle risultanze del summenzionato processo verbale nonché a seguito dell'accoglimento delle osservazioni svolte dallo stesso dott. (...) nella memoria difensiva prodotta sub (...) (atteso che l'odierno convenuto ha assunto le difese del sig. (...) in sede di accertamento ispettivo, non contestando in radice gli esiti delle verifiche ma limitandosi a formulare puntuali rilievi critici i quali - sebbene condivisi dall'Agenzia delle Entrate - non hanno permesso all'odierno attore di evitare il danno patrimoniale di cui si discute in questa sede); - dai verbali ispettivi, dalle scritture contabili e dalla perizia stragiudiziale prodotti (sub (...) - (...)) a corredo della seconda memoria attorea ex art. 183, comma 6, c.p.c. Sussiste, quindi, l'illecito colposo della dipendente del dott. (...), concretizzatosi - come acclarato in sede di verifica ispettiva sfociata nell'emissione degli avvisi di accertamento - nella negligente tenuta della contabilità della ditta individuale del sig. (...). Lo stesso è a dirsi quanto al nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni affidate alla sig.ra (...) e l'evento dannoso, perché l'incombenza affidata lo ha reso possibile (Cass., sentenza n. 20924/2015) e configurandosi non certo una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro (Cass., sentenza n. 1516/2007), ma, anzi, una prestazione lavorativa rientrante a pieno titolo nell'incarico affidato alla dipendente (come si desume dalla contestazione disciplinare). Ricorrendo tutti i presupposti di applicabilità dell'art. 2049 c.c., sussiste la responsabilità extracontrattuale del dott. (...) (invocata dall'attore, sia pure in via subordinata). 2.5. Il danno subito è stato quantificato dal sig. (...) facendo correttamente riferimento ai soli importi versati a titolo di sanzioni e interessi, e cioè in complessivi euro 133.619,47 (nemmeno su questo punto, del resto, si registrano contestazioni da parte dei convenuti). Vanno disattese le argomentazioni svolte dalla dott.ssa (...) e dal dott. (...) in punto riduzione del danno risarcibile. Siffatta riduzione non può avvenire ex art. 1227, comma 1, c.c., cioè sulla base del prospettato concorso di colpa del danneggiato. Infatti: - i convenuti hanno dedotto che il sig. (...) avrebbe sostanzialmente collaborato (con l'ausilio di sua madre, sig.ra (...)) alla formazione delle scritture contabili, concorrendo, così, alla negligente tenuta della contabilità della ditta individuale; - quand'anche ciò fosse effettivamente avvenuto, si tratterebbe di una circostanza irrilevante, perché il sig. (...) si è rivolto allo studio professionale proprio per sopperire alla sua incapacità di tenere la contabilità della ditta individuale (che rendeva indispensabile l'affidamento alla competenza tecnica altrui); - dalle stesse allegazioni svolte dai convenuti, peraltro, non risulta che il sig. (...) si sia reso responsabile dell'inosservanza dei più elementari canoni di prudenza e oneri di cooperazione (arg. ex Cass., sentenze nn. 9892/2016, 8394/2016 e 18613/2015, che hanno delineato i limiti entro i quali può parlarsi di concorso di colpa dell'investitore nell'ottica della riduzione del risarcimento dovuto dall'intermediario finanziario inadempiente). I convenuti non possono utilmente invocare nemmeno il secondo comma del citato art. 1227 c.c. Infatti: - non è sostenibile che il sig. (...), prima di attivare il procedimento di accertamento con adesione, avrebbe dovuto verificare la possibilità di usufruire della c.d. "pace fiscale": il D.L. n. 119 del 2018 è stato emanato il 23/12/2018, mentre gli avvisi di accertamento di cui si discute (che costituiscono, si rammenti, atti impositivi immediatamente esecutivi) sono stati notificati all'odierno attore il 27/12/2017; - nemmeno è sostenibile che il sig. (...) avrebbe dovuto impugnare gli avvisi di accertamento per contestare la pretesa impositiva: prima di tutto, in linea generale esula dalla diligenza richiesta dall'art. 1227, comma 2, c.c. l'obbligo di iniziare un'azione giudiziaria (Cass., ordinanza n. 3797/2019, nonché Cass., sentenze nn. 470/2014 e 10895/2010); in secondo luogo, lo stesso dott. (...) - come già detto - ha assunto le difese del sig. (...) in sede di verifica ispettiva e, con la summenzionata memoria prodotta sub (...) fasc. attore, è riuscito a ottenere solo una riduzione della pretesa impositiva, evidentemente perché non vi erano i presupposti per contestarla in radice; in terzo luogo, i convenuti non hanno indicato sotto quali profili e con quali motivazioni il sig. (...) avrebbe potuto fruttuosamente impugnare in sede giudiziale gli avvisi di accertamento, così contravvenendo a un loro specifico onere (cfr. in tal senso la motivazione della sentenza citata alle pagg. 8 e ss. della comparsa di costituzione e risposta). 2.6. Chiarito che il danno risarcibile non può essere ridotto ex art. 1227 c.c., occorre altresì precisare che lo stesso deve gravare su entrambi i convenuti, in solido tra loro. Come è noto, i presupposti della solidarietà passiva sono, oltre alla pluralità soggettiva (di debitori), l'idem debitum e la eadem causa obligandi. Non è necessario affrontare le numerose questioni sottese al requisito dell'idem debitum, perché nel caso di specie la prestazione dovuta è unica (i.e. pagamento del sopra indicato importo di euro 133.619,47). Quanto alla eadem causa obligandi, giova rammentare che il titolo (cioè la fonte del rapporto obbligatorio) di regola è unico e quindi comune alle parti, ma, secondo la prevalente dottrina e la consolidata giurisprudenza, la pluralità di titoli non osta alla solidarietà quando tra di essi sussista uno stretto nesso di interdipendenza (cfr. Cass., sentenza n. 2120/1996; Cass., sentenza n. 13022/1995). Addirittura il principio secondo cui i condebitori sono tenuti in solido, ove dalla legge non risulti altrimenti, non è escluso dal fatto che i titoli della responsabilità facente capo agli obbligati siano diversi, l'uno di natura contrattuale e l'altro di natura extracontrattuale (cfr. Cass., sentenza n. 18939/2007). Si consideri poi che la responsabilità solidale, contrattuale o extracontrattuale, sussiste anche se l'evento dannoso è causalmente derivato dalle condotte, pur autonome e distinte, coeve o successive, di più soggetti, con diverso grado di efficienza causale (cfr. Cass., sentenza n. 15431/2005). Di certo, dunque, la solidarietà passiva sussiste nel caso di specie, caratterizzato dal fatto che l'evento dannoso è causalmente riconducibile all'operato di un soggetto (sig.ra (...)) del quale entrambi i convenuti devono rispondere in virtù del principio cuius commoda, eius et incommoda (sia pure declinato nell'art. 1228 c.c. quanto alla dott.ssa (...) e nell'art. 2049 c.c. quanto al dott. (...)), a nulla rilevando il diverso titolo della responsabilità (rispettivamente contrattuale ed extracontrattuale). 2.7. Dunque i convenuti, da considerarsi obbligati in solido, vanno condannati al pagamento in favore del sig. (...) della somma di euro 133.619,47. Si precisa che, trattandosi di somma liquidata a titolo risarcitorio, si è in presenza di un debito di valore (cfr. Cass., sentenza n. 2335/2001; Cass., sentenza n. 2534/1982; Cass., sentenza n. 4776/1980, secondo le quali l'obbligazione di risarcimento del danno non costituisce un debito di valuta neppure quando il danno consiste nella perdita di una somma di denaro). Per calcolare gli "accessori di legge" occorre dunque applicare il criterio messo a punto nella nota sentenza n. 1712/1995 delle Sezioni Unite, secondo il quale gli interessi sui debiti di valore vanno calcolati sulla somma corrispondente al valore della somma al momento dell'illecito, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Si precisa che, secondo la più attenta giurisprudenza, questo criterio vale non solo in caso di illecito aquiliano, ma anche in caso di illecito contrattuale (Cass., sentenza n. 11265/1997). Occorre però considerare che il sig. (...) ha provato di aver effettivamente corrisposto la somma di euro 44.354,93 a titolo di sanzioni per l'anno 2012 e la somma di euro 43.827,54 a titolo di sanzioni per l'anno 2013 (cfr. docc. 5 e 6 fasc. attore), ma non ha dimostrato di aver onorato il piano di rateizzazione in 120 tranches accordato dall'Agenzia delle Entrate con riferimento alle somme dovute a titolo di tributi e interessi (cfr. doc. 11 fasc. attore). Ciò non incide sulla risarcibilità del danno nella parte eccedente la somma corrisposta a titolo di sanzioni, perché, quand'anche il sig. (...) non avesse versato quanto dovuto a titolo di interessi, il pregiudizio patrimoniale sarebbe comunque di certa (benché futura) verificazione. La mancata produzione dei documenti comprovanti il pagamento degli interessi incide semplicemente sugli "accessori", nel senso che, mancando il dies a quo al quale ancorare il decorso di rivalutazione monetaria e interessi compensativi, queste voci non possono essere liquidate in sentenza. Viceversa, rivalutazione e interessi devono essere calcolati sulle somme effettivamente corrisposte (di cui ai citati docc. 5 e 6 fasc. attoreo, dai quali si evince che le sanzioni - per complessivi euro 88.182,47 - sono state interamente versate il 25/5/2018). In conclusione sulla somma di euro 88.182,47, via via rivalutata anno per anno sulla base degli indici ISTAT dal 25/5/2018 (giorno dell'esborso) fino alla data di deposito della sentenza, vanno conteggiati gli interessi compensativi al tasso legale. L'importo così calcolato ammonta ad euro 96.188,47 (corrispondente a capitale + rivalutazione + interessi). Al suddetto importo va sommato quello di euro 45.437,00, dovuto a titolo di interessi (sul quale, per le ragioni anzidette, non è possibile calcolare rivalutazione monetaria e interessi compensativi). L'importo finale dovuto ammonta quindi ad euro 141.625,47. È bene precisare che l'attore, nelle sue conclusioni, non ha chiesto gli "accessori di legge", ma la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: "Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito (...), hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall'art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria del danno medesimo (che, per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale). Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria - quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni - e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l'altro anche se nonespressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione" (Cass., sentenza n. 18243/2015). Spettano infine al sig. (...) gli interessi corrispettivi, da calcolare al tasso legale sulla somma finale sopra indicata (euro 141.625,47) a partire dalla data di deposito della sentenza fino al soddisfo. 3. Venendo ora alle domande di manleva proposti dai convenuti nei confronti della terza chiamata, si osserva quanto segue. 3.1. La copertura assicurativa invocata dalla dott.ssa (...) non sussiste con riferimento alla restituzione del corrispettivo conseguente alla risoluzione del contratto d'opera intellettuale. Infatti l'art. 1 delle condizioni di polizza, rubricato "Oggetto dell'Assicurazione", recita (cfr. doc. 1 fasc. convenuti): "L'Assicurazione è prestata per la responsabilità civile ai sensi di legge derivante all'Assicurato nell'esercizio dell'attività professionale connessa con la sua qualità di Dottore Commercialista ed Esperto Contabile svolta nei modi e nei termini previsti dal D.Lgs. n. 139 del 28 giugno 2005 e successive modifiche legislative e/o regolamenti, nonché da ogni altra norma di Legge applicabile. La Società si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di ogni somma che questi sia tenuto a pagare o a rimborsare a terzi, compresi i clienti, i mandanti, i committenti e coloro dai quali ha ricevuto l'incarico, a titolo di risarcimento per danni colposamente cagionati a ragione di negligenza o imprudenza o imperizia lievi o gravi, dei quali sia civilmente responsabile nell'esercizio delle sue attività ...". Ne discende che il rischio assicurato consiste nel danno che il professionista possa aver cagionato a terzi, o al proprio cliente, per fatti colposi commessi nell'esercizio dell'attività di commercialista ed esperto contabile; esula dall'oggetto del contratto, quindi, l'obbligazione restitutoria derivante dalla risoluzione del contratto per inadempimento del professionista. La domanda della dott.ssa (...) va pertanto rigettata in parte qua. 3.2. Al contrario, la copertura assicurativa sicuramente sussiste con riferimento ai danni riportati dal sig. (...) in conseguenza della negligente tenuta della contabilità. Non ha pregio, infatti, l'argomento difensivo di (...), secondo cui l'indennizzo non sarebbe dovuto perché - essendosi in presenza di un contratto claims made con validità dal 30/6/2018 in avanti - gli assicurati avrebbero avuto contezza della problematica oggetto di causa quantomeno da novembre 2017 (epoca in cui essi avevano promosso il procedimento disciplinare nei confronti della sig.ra R.). A tale proposito si osserva che l'art. 2 delle condizioni di polizza (rubricato "Inizio e termine della garanzia") recita: "L'Assicurazione vale per i Sinistri pervenuti all'Assicurato per la prima volta e notificati all'Assicuratore nel corso del periodo di efficacia dell'Assicurazione, a condizione che tali Sinistri siano conseguenti a comportamenti colposi posti in essere durante il periodo di assicurazione o di retroattività riportato nel frontespizio della presente polizza e che non siano ancora note o conosciute al Contraente e/o Assicurato". Ebbene: nel frontespizio della polizza è riportata, sotto la voce "Data di Retroattività", la dicitura: "Illimitata"; quindi non rileva che il comportamento colposo sia stato posto in essere prima del periodo di assicurazione (il quale, stando alla voce n. 3 del frontespizio, ha avuto inizio il 30/6/2018). Vista la retroattività illimitata, non rileva nemmeno che - prima della data del 30/6/2018 - i convenuti fossero a conoscenza della problematica causata dalla sig.ra (...) (come si desume dalla più volte citata lettera di contestazione disciplinare prodotta sub (...) fasc. attore, recante la data del 28/11/2017). Oltretutto, viste le già menzionate diffide stragiudiziali prodotte sub (...) fasc. attore, i convenuti non risultano essere stati destinatari di alcuna doglianza da parte del sig. (...) prima del 7/2/2019. Infine non rileva che la "circostanza nota" in esame non sia stata indicata dagli assicurati nei questionari prodotti sub (...) e (...) fasc. terza chiamata, perché (...) non ha invocato i rimedi di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c. 3.3. Chiarito che la copertura assicurativa sussiste, occorre delimitare l'ambito della manleva invocata dai convenuti. A tale proposito giova richiamare il seguente principio di diritto: "L'assicurato contro i rischi della responsabilità civile, ove commetta un fatto illecito dal quale scaturisca una lite giudiziaria, può andare incontro a tre diversi tipi di spese processuali: (a) le spese di soccombenza, cioè quelle che egli è tenuto a rifondere alla parte avversa vittoriosa, in conseguenza della condanna alle spese posta a suo carico dal giudice; (b) le spese di resistenza, cioè quelle sostenute per remunerare il proprio difensore ed eventualmente i propri consulenti, allo scopo di resistere alla pretesa attorea; (c) le spese di chiamata in causa, cioè quelle sostenute perconvenire in giudizio il proprio assicuratore, chiedendogli di essere tenuto in caso di accoglimento della pretesa del terzo danneggiato" (Cass., ordinanza n. 10595/2018). Alla luce dell'insegnamento della Suprema Corte, bisogna ragionare nei seguenti termini: - le "spese di soccombenza" vengono certamente in rilievo ai fini della presente decisione, perché, come si dirà nel paragrafo 4, i convenuti devono essere condannati alla rifusione delle spese di lite sostenute dal sig. (...). Secondo l'ordinanza n. 10595/2018 citata poc'anzi, tali spese "? non costituiscono che una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito commesso dall'assicurato, e perciò l'assicurato ha diritto di ripeterle dall'assicuratore, nei limiti del massimale". I convenuti hanno pertanto diritto ad essere tenuti indenni dalla propria compagnia assicuratrice con riferimento al relativo esborso; - quanto alle "spese di chiamata in causa dell'assicuratore", esse "? non costituiscono né conseguenze del rischio assicurato, né spese di salvataggio, ma comuni spese processuali, soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c." (cfr. ancora la sopra citata ordinanza n. 10595/2018). Anche sotto tale profilo, pertanto, si rinvia a quanto si dirà nella opportuna sedes materiae, cioè nel paragrafo 4; - si considerino in ultimo le "spese di resistenza". Secondo la sopra citata ordinanza della Cassazione, esse "... non costituiscono propriamente una conseguenza del fatto illecito, ma rientrano nel genus delle spese di salvataggio (art. 1914 c.c.), in quanto sostenuteper un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore. Tali spese perciò possono anche eccedere il limite del massimale, nella proporzione stabilita dall'art. 1917, comma terzo, c.c.". Ciò premesso, ai fini della presente sentenza la questione delle spese di resistenza (la cui rifusione è stata invocata dai convenuti, i quali hanno chiesto di essere tenuti indenni da "qualsivoglia conseguenza negativa derivante dal presente giudizio") va risolta tenendo presente che, come ha correttamente osservato (...), le polizze prevedevano - all'art. 30 - un "patto di gestione della lite" che non è stato onorato dai professionisti, i quali si sono costituiti in giudizio con il ministero di un legale autonomamente incaricato. Ebbene: come ha chiarito la Suprema Corte (cfr. Cass., ordinanza n. 14107/2019), il patto in questione costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell'obbligo di rimborso delle spese di resistenza sancito dall'art. 1917, comma 3, c.c.; per dare adempimento a questo patto, l'assicurato deve nominare l'avvocato indicato dall'assicuratore e rilasciargli apposito mandato, cosa che non è avvenuta nel caso di specie (benché l'art. 30 cit. prevedesse in capo all'assicurato la facoltà di "suggerire" all'assicuratore il nominativo di un difensore gradito). Si configura, pertanto, un inadempimento contrattuale degli assicurati dott.ssa (...) e dott. (...), con la conseguenza per cui (...) può legittimamente rifiutarsi - ex art. 1460 c.c. - di rimborsare le spese di resistenza sostenute dai convenuti. 3.4. Per concludere l'esame della questione, va detto che (...) Groupama ha correttamente invocato la franchigia prevista nelle condizioni di polizza, pacificamente stabilita in euro 500,00 quanto alla posizione della dott.ssa (...) e in euro 750,00 quanto alla posizione del dott. B.. Visto che i convenuti (per ragioni esposte supra) sono obbligati in solido nei confronti del sig. G., la conclusione che precede - concernente i limiti dell'indennizzo che dovrà essere corrisposto in loro favore - va coordinata con il seguente principio di diritto: "In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso in cui l'assicurato sia responsabile in solido con altro soggetto, l'obbligo indennitario dell'assicuratore nei confronti dell'assicurato, nei limiti del massimale, non è riferibile alla sola quota di responsabilità dell'assicurato operante ai fini della ripartizione della responsabilità tra i condebitori solidali, ma concerne l'intera obbligazione dell'assicurato nei confronti del terzo danneggiato, ivi compresa quella relativa alle spese processuali cui l'assicurato, in solido con il coobbligato, venga condannato in favore del danneggiato vittorioso, solo in tal modo risultando attuata - attraverso la conformazione della garanzia sulla obbligazione - la funzione del contratto di assicurazione della responsabilità civile di liberare il patrimonio dell'assicurato dall'obbligazione di risarcimento, ferma restando la surroga dell'assicuratore, ex art. 1203, n. 3, cod. civ., nel diritto di regresso dell'assicurato nei confronti del corresponsabile, obbligato solidale" (Cass., sentenza n. 20322/2012; cfr. anche Cass., sentenza n. 8686/2012). 4. Venendo in ultimo alle questioni relative alle spese di lite, si consideri quanto segue. 4.1. Per quanto riguarda il rapporto processuale intercorso tra l'attore e i convenuti, in ossequio al criterio oggettivo della soccombenza (e non ravvisandosi "gravi ed eccezionali ragioni" ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. così come manipolato dalla sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale) le relative spese di lite devono gravare integralmente sulla dott.ssa (...) e sul dott. (...), da considerarsi obbligati in solido in virtù del loro "interesse comune" ex art. 97, comma 1, c.p.c. Per la liquidazione del compenso del difensore del sig. (...) occorre avere riguardo ai parametri stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 per i giudizi ordinari di cognizione dinanzi al tribunale di valore compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00. Le caratteristiche delle questioni di fatto e di diritto trattate (certo non semplici, ma nemmeno troppo complesse) inducono a liquidare importi corrispondenti ai valori medi previsti per le fasi di studio, introduttiva e decisionale. Invece, visto che la fase istruttoria si è esaurita con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., per il corrispondente segmento processuale si stima congruo riconoscere un importo inferiore al valore medio. Il tutto secondo il seguente schema: fase di studio euro 2.430,00 fase introduttiva euro 1.550,00 fase istruttoria euro 2.970,00 fase decisionale euro 4.050,00 Si perviene così alla liquidazione del compenso di euro 11.000,00, al quale vanno aggiunti, oltre alle spese non imponibili (solo contributo unificato e marca, non essendo state documentate le spese di notifica), il 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge. 4.2. Per quanto riguarda il rapporto processuale intercorso tra la dott.ssa (...) e (...), le "spese di chiamata in causa dell'assicuratore" vanno distribuite sulla scorta del seguente principio di diritto: "La regolazione delle spese di lite può avvenire in base alla soccombenza integrale, che determina la condanna dell'unica parte soccombente al pagamento integrale di tali spese (art. 91 c.p.c.), ovvero in base alla reciproca parziale soccombenza, che si fonda sul principio di causalità degli oneri processuali e comporta la possibile compensazione totale o parziale di essi (art. 92, comma 2, c.p.c.); a tale fine, la reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, tanto allorché quest'ultima sia stata articolati in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento" (Cass., sentenza n. 3438/2016). Nel caso di specie si è verificata un'ipotesi di soccombenza reciproca, perché (...) ha ottenuto ragione dal punto di vista dell'insussistenza della copertura assicurativa relativa all'obbligazione restitutoria, nonché in merito all'applicabilità della franchigia (che ha determinato una riduzione del quantum). In ipotesi di tal fatta, la distribuzione del carico delle spese deve avvenire sulla base del seguente criterio: "Occorre cioè procedere alla individuazione della parte cui siano eventualmente imputabili in prevalenza, per avervi dato causa, agendo o resistendo alle altrui pretese infondatamente, gli oneri processuali ricollegabili all'attività svolta per la istruzione e decisione delle varie domande proposte, o dei vari capi dell'unica domanda, o anche dell'unica domanda che sia risultata solo in parte fondata" (cfr. già citata Cass., sentenza n. 3438/2016, in motivazione). Si tratta, cioè, di fare applicazione del principio di causalità, del quale la soccombenza costituisce solo un'applicazione ovvero un elemento rivelatore, secondo una tesi autorevolmente sostenuta in dottrina e giurisprudenza (cfr. Cass., sentenza n. 3438/2016; Cass., sentenza n. 8329/2011; Cass., sentenza n. 13430/2007; Cass., sentenza n. 5539/1986). In base al principio in questione, la distribuzione del carico delle spese di lite presuppone che il giudice risalga al fatto causativo del giudizio e quindi identifichi la parte che, avendo causato determinati costi, è tenuta a sopportarli. Si osserva allora che l'origine del presente giudizio deve essere interamente imputata ad (...), la quale ha resistito in giudizio con difese rivelatesi infondate in ordine alla questione dirimente, in quanto economicamente preponderante (sussistenza della copertura assicurativa con riferimento all'obbligazione risarcitoria sorta a seguito della negligente tenuta della contabilità della ditta individuale dell'attore). In effetti la questione dell'obbligazione restitutoria, e a maggior ragione quella relativa alla franchigia, hanno inciso in misura non significativa sull'esito del giudizio, vista la notevole sproporzione dei valori economici in gioco (si rammenti che l'importo dell'obbligazione risarcitoria, per la quale opera la copertura assicurativa, ammonta ad euro 141.625,47 oltre a interessi). Ne discende che (...) deve essere condannata alla integrale rifusione delle "spese di chiamata in causa" sostenute dalla dott.ssa B.. 4.3. La stessa conclusione si impone a fortiori con riferimento alla posizione dell'altro convenuto: anche in questo caso si configura una soccombenza reciproca, vista l'applicabilità della franchigia, ma il dott. (...) è estraneo alla questione dell'obbligazione restitutoria (con riferimento alla quale non sussiste la copertura assicurativa); quindi (...) va senz'altro condannata alla rifusione delle "spese di chiamata in causa" da lui sostenute. 4.4. Le conclusioni sopra raggiunte con riferimento al rapporto processuale intercorso tra i convenuti e (...) non mutano nemmeno considerando la questione delle "spese di resistenza". A tale proposito si osserva in primo luogo che tali spese, pur incluse nella generica formulazione delle conclusioni dei convenuti (i quali, lo si ribadisce, hanno chiesto di essere tenute indenni da "qualsivoglia conseguenza negativa derivante dal presente giudizio"), non sono state espressamente rivendicate; in secondo luogo, e soprattutto, va ancora una volta sottolineato che la questione dirimente - in quanto economicamente preponderante - non può che essere individuata in quella concernente la sussistenza della copertura assicurativa in ordine all'obbligazione risarcitoria, quindi il principio di causalità depone senz'altro nel senso della conclusione sopra raggiunta (secondo cui il carico delle "spese di chiamata" deve gravare integralmente sulla Compagnia). 4.5. Tutto ciò premesso, anche per la liquidazione del compenso del difensore dei convenuti occorre avere riguardo ai parametri stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014 per i giudizi ordinari di cognizione dinanzi al tribunale di valore compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00. Le questioni di fatto e di diritto afferenti alla "chiamata in causa" sono di minor complessità rispetto a quelle inerenti al rapporto processuale intercorso tra attore e convenuti, quindi si stima congruo liquidare importi inferiori ai valori medi non solo per la fase istruttoria (la quale, come già detto, si è esaurita con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.), ma anche per le fasi di studio, introduttiva e decisionale. Il tutto secondo il seguente schema: fase di studio euro 2.000,00 fase introduttiva euro 1.000,00 fase istruttoria euro 2.900,00 fase decisionale euro 3.100,00 Si perviene così alla liquidazione del compenso di euro 9.000,00, al quale vanno aggiunti, oltre alle spese non imponibili (contributo unificato), il 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Non si fa luogo all'aumento discrezionale di cui all'art. 4, comma 2, D.M. n. 55 del 2014, vista la sostanziale sovrapponibilità delle posizioni dei due convenuti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione: Accoglie le domande proposte dal sig. (...) e conseguentemente: - dispone la risoluzione per inadempimento del contratto d'opera intellettuale stipulato dall'attore con la dott.ssa B.; quindi dichiara quest'ultima tenuta, e per l'effetto la condanna, al pagamento in favore del sig. (...) - a titolo di restituzione del corrispettivo percepito - della somma di euro 7.600,00, oltre agli interessi al tasso legale calcolati dall'8/11/2019 fino al saldo effettivo; - dichiara la dott.ssa (...) e il dott. (...) tenuti in solido, e per l'effetto li condanna, al pagamento in favore del sig. (...) - a titolo di risarcimento del danno patrimoniale - della somma di euro 141.625,47, oltre agli interessi al tasso legale calcolati dalla data di deposito della presente sentenza fino al saldo effettivo; Accoglie parzialmente le domande di manleva proposte dalla dott.ssa (...) e dal dott. (...) nei confronti di (...) e conseguentemente dichiara quest'ultima tenuta, e per l'effetto la condanna, a manlevare e tenere indenne gli assicurati da ogni e qualsiasi esborso che i medesimi fossero costretti ad affrontare in conseguenza della presente pronuncia a titolo di capitale, accessori e "spese di soccombenza", ad esclusione delle "spese di resistenza" e fatta salva l'operatività delle franchigie contrattualmente previste (pari ad euro 500,00 per la posizione della dott.ssa (...) e ad euro 750,00 per la posizione del dott. B.); Con riferimento al rapporto processuale intercorso tra il sig. (...) e i convenuti, condanna questi ultimi (da considerarsi obbligati in solido) alla integrale rifusione delle spese di lite sostenute dall'attore, che si liquidano in euro 406,50 per spese non imponibili e in euro 11.000,00 per compenso professionale ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. cit., I.V.A. e C.P.A. come per legge; Con riferimento al rapporto processuale intercorso tra i convenuti e (...), condanna quest'ultima alla integrale rifusione delle "spese di chiamata in causa dell'assicuratore" sostenute dagli assicurati, che si liquidano in euro 379,50 per spese non imponibili e in euro 9.000,00 per compenso professionale ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% per rimborso spese ex art. 2, comma 2, D.M. cit., I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Ivrea il 25 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 26 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2003 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2020 posta in decisione all'udienza del 23.11.2021 e vertente tra (...) ((CF (...)), in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale della minore (...) (CF (...)), (...) (CF (...)), (...) (CF (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Kräuter; attrice e Società (...) S.c.r.l., con Sede Legale in V., L. C. n. 16, in persona del suo Procuratore Dott. F.R., rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Vi.; convenuta OGGETTO: pagamento indennizzo assicurazione sulla vita MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, L. 18 giugno 2009, n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della L. n. 69 del 2009, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). I fatti che hanno dato origine al presente contenzioso, negli stringenti limiti di ciò che assume rilievo in questa sede, possono essere come di seguito ricostruiti. (...), in proprio ed in qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore (...), (...) e (...), hanno convenuto a giudizio la società cooperativa (...), per vedersi riconoscere, a seguito del decesso di (...) avvenuto in data 29.06.2018, rispettivamente marito e padre degli attori, il pagamento della somma di Euro 200.000,00, quale massimale previsto nella polizza assicurativa stipulata dal de cuius per il caso morte, da suddividersi in parti uguali tra ciascuno degli attori. Gli attori hanno allegato di aver svolto il procedimento di mediazione, definitivo con esito negativo per mancata comparizione della compagnia assicurativa convenuta. Si è costituita in giudizio la (...) contestando in via preliminare il difetto di legittimazione attiva di parte attrice e l'operatività della polizza. Nel merito parte convenuta ha prospettato una diversa interpretazione del contratto, cui consegue la liquidazione del minor importo di un terzo del massimale. Con ordinanza del 26.04.2021 è stata formulata ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c., la seguente proposta conciliativa: "pagamento da parte della compagnia convenuta in favore degli attori della somma omnicomprensiva complessiva di Euro 185.000,00, comprensiva della quota di concorso alle spese di lite, da dividere in parti uguali tra loro; con rinuncia all'azione ed agli atti del giudizio del giudizio". Gli attori hanno dichiarato di aderire alla proposta, mentre la Compagnia convenuta l'ha rifiutata, ribadendo l'assunto secondo cui la quantificazione della somma non può prescindere da un preciso calcolo matematico, da effettuarsi sulla base dei criteri indicati nella polizza medesima. Respinte le istanze istruttorie di prove orali, la causa, istruita mediante acquisizione documentale, è stata trattenuta in decisione all'udienza indicata in epigrafe, con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusive. In via preliminare, giova dare atto come la compagnia convenuta, in sede di note di trattazione scritta in vista dell'udienza fissata per la precisazione delle conclusioni, abbia rinunciato a tutte le difese inerenti all'operatività della polizza, peraltro non suscettibili di accoglimento (difetto di legittimazione attiva e sussistenza di una ipotesi di esclusione dell'operatività della polizza), di talché l'oggetto della decisione investe esclusivamente la determinazione del quantum dell'indennizzo. Del pari, la compagnia convenuta ha allegato di aver corrisposto alle controparti l'importo complessivo di Euro 66.666,67, diviso in parti uguali tra tutte le parti (Euro 16.666,67 ciascuno) e tale circostanza non è stata oggetto di contestazione da parte della difesa di parte attrice, la quale ha insistito per il riconoscimento della maggior somma dovuta pari all'intero importo pattuito come massimale (Euro 200.000,00). Deve essere, pertanto, respinta la prospettazione della compagnia convenuta secondo cui gli attori, accettando la minor somma e formulando la richiesta di pagamento del minor importo in via subordinata, avrebbero rinunciato all'originaria domanda, risultando tale impostazione evidentemente smentita dalla lettura delle conclusioni rassegnate. Venendo al merito, le domande spiegate dagli attori sono fondate e devono essere accolte. È processualmente pacifico che il defunto (...), rispettivamente marito dell'attrice e padre di (...), (...) e (...), abbia stipulato una polizza assicurativa con la (...) soc. coop. avente per oggetto, tra l'altro, la liquidazione di un indennizzo in caso di infortunio anche mortale, a favore dei beneficiari assicurati, rappresentati dallo stesso contraente e dai componenti del nucleo familiare, ossia dalla moglie e dai tre figli. La relativa polizza n. (...) stipulata in data 23/11/2012 è stata prodotta da parte attrice (doc. 1) e non è stata oggetto di contestazione da parte della Compagnia convenuta. Del pari, il decesso del contraente, certificato in data 29/06/2018 ed avvenuto a seguito di perdita di controllo della propria autovettura con conseguente rinvenimento del cadavere qualche tempo dopo, è confermato dalla documentazione prodotta da parte attrice, senza che possano emergere circostanze concrete idonee ad inficiare l'operatività della polizza (cfr. documenti da 2 a 5 allegati all'atto di citazione). Come già rappresentato, la società convenuta, nelle note scritte depositate per l'udienza del 27.10.2021, ha rinunciato alla eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva degli attori, basata sulla presunta carenza della prova circa l'evento fonte della operatività del contratto, nonché sulla avvenuta accettazione della eredità, dismessa dal defunto (...), di talché l'oggetto della controversia si incentra esclusivamente sul quantum che deve essere liquidato agli attori a titolo di indennizzo. La Compagnia convenuta contesta l'importo richiesto da parte attrice, sostenendo che il contratto assicurativo stipulato tra le parti preveda l'applicazione di un preciso modello matematico, in forza del quale il calcolo dell'importo da riconoscere agli eredi, nel caso specifico, verrebbe contenuto nei limiti di un terzo del massimale concordato in euro 200.000,00. Tale impostazione trae origine dalla lettura della clausola riportata nella "scheda tecnica" allegata al modulo contrattuale, laddove è previsto espressamente: "Le somme assicurate sono sempre ripartite in parti uguali tra tutti gli assicurati sotto indicati. Tuttavia, se gli assicurati sono superiori a tre e l'infortunio riguarda un solo componente del nucleo, la Società riconoscerà comunque un terzo delle somme complessivamente assicurate in base a quanto previsto dalla garanzia opzionale Formula Famiglia F1". Secondo l'impostazione difensiva di parte convenuta, dunque, la fattispecie per cui è causa sarebbe chiaramente sussumibile in tale condizione, atteso il numero superiore a tre dei beneficiari ((...); (...); (...); (...) e (...)), con la conseguenza che l'importo da riconoscersi a seguito della morte di uno dei contraenti deve essere stimato in un terzo della somma assicurata, pari ad euro 66.666,66 (200.000,00 /3), da suddividersi tra gli aventi diritto ovverosia tra i quattro eredi. In ultimo, ad ulteriore sostegno della interpretazione offerta, la compagnia convenuta ha allegato come deponga in tal senso la particolare esiguità del premio corrisposto pari ad euro 301,44. La predetta interpretazione non può essere condivisa per plurimi ordini di ragioni. In termini generali, giova ricordare come la Suprema Corte abbia più volte affrontato la problematica relativa alla ambiguità nella formulazione delle clausole contenute nei contratti assicurativi, privilegiando, in forza della granitica giurisprudenza sull'operatività dei criteri interpretativi del contratto di cui agli artt.li 1362-1371 c.c., l'interpretazione più favorevole al consumatore, il quale, trovandosi in una posizione inferiore rispetto alla Compagnia, sostanzialmente sottoscrive per adesione un modulo già interamente predisposto dalla controparte contrattuale. Il contratto di assicurazione, dinanzi ad una clausola lessicalmente ambigua, non potendo trarre un significato autentico dalla semplice connessione delle parole, va interpretato secondo il criterio ex art. 1370 c.c. concernente l'interpretazione contro il predisponente (Cass Sez. III, n. 668 del 18/01/2016: "Nell'interpretazione del contratto di assicurazione, che va redatto in modo chiaro e comprensibile, il giudice non può attribuire a clausole polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all'ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 c.c. e ss., e, in particolare, a quello dell'interpretazione contro il predisponente, di cui all'art. 1370 c.c."; Cass. Civ.- Sez. II, Ordinanza 12/02/2020 n. 3367; Cass. sez. 3 - , Sentenza n. 10825 del 05/06/2020; Cass. Civ. Sez. III n. 866 del 17/01/2008). A ciò si aggiunga che l'art. 35 del Codice del Consumo prevede che "nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono sempre essere redatta in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore.". Colui che predispone le condizioni generali di contratto ha l'onere di definire con chiarezza il contenuto di quanto redige e l'ambiguità è carico del predisponente, mentre il consumatore può ben invocare l'interpretazione a lui più favorevole. La clausola richiamata dalla difesa della parte convenuta, che certamente non brilla per chiarezza espositiva, non può in alcun modo essere interpretata nel senso anelato dalla compagnia assicurativa sia sotto un profilo logico sia letterale. In primo luogo, laddove si volesse dare seguito alla predetta interpretazione ovverosia ritenere che nell'ipotesi in cui gli assicurati siano "superiori a tre e l'infortunio riguarda un solo componente del nucleo", la compagnia debba corrispondere esclusivamente un terzo del massimale, significherebbe sostanzialmente disapplicare già ex ante il massimale indicato espressamente nel frontespizio del contratto, laddove è indicato in modo inequivoco quale "somma assicurata" in caso di morte l'importo di Euro 200.000,00. A ciò si aggiunga come nel caso di specie, la condizione avrebbe dovuto essere ritenuta già avverata al momento della stipulazione del contratto, tenuto conto che è evidente dalla semplice lettura della "Scheda Tecnica n. 1 FAMIGLIARI" che il numero degli assicurati è superiore a tre (coniugi e tre figli). In realtà, anche il tenore letterale della clausola, nell'unico senso logico che può assumere, conduce a risultati sostanzialmente antitetici a quelli proposti dalla compagnia convenuta. Invero, giova rilevare in primo luogo come vi sia solo una apparente contraddizione nei termini utilizzati nella seconda parte della clausola, atteso che l'utilizzo dell'avverbio "Tuttavia" che, in prima battuta, sembrerebbe assumere valore di congiunzione avversativa rispetto al periodo precedente ("Le somme assicurate sono sempre ripartite in parti uguali tra tutti gli assicurati sotto indicati"), in realtà è correlato all'inserimento dell'avverbio/congiunzione di opposto valore, ossia con effetto concessivo -Comunque - reggente l'intera frase successiva, allo scopo evidentemente di riprendere la proposizione precedente per limitarne la portata. In altri termini, l'unico senso logico che può essere attribuito alla clausola non è certamente quello di limitare nel caso in cui gli assicurati siano "superiori a tre" la liquidazione dell'importo ad un terzo della somma assicurata, bensì al più quello opposto ovverosia di riconoscere "comunque" un terzo delle somme complessivamente assicurate in base a quanto previsto dalla garanzia opzionale Formula Famiglia F1 "a ciascuno". Solo aggiungendo "ciascuno", sottointeso nella formulazione del periodo, la clausola può assumere un senso compiuto e conservare un valore precettivo. È proprio l'avverbio "chiunque", di cui si possono considerare sinonimi, malgrado ciò, ad ogni modo, non di meno, ad introdurre un correttivo, che consente di attribuire al passaggio l'unico senso logico possibile, ovverosia quello di garantire - comunque appunto - un terzo della somma assicurata riconosciuta ad ogni avente diritto. Volendo opinare in senso difforme la clausola si rivelerebbe palesemente illogica, oltre che marcatamente contraddittoria, riconoscendo da un lato un indennizzo minore nell'ipotesi di plurimi assicurati e, dall'altro, modificando in senso assolutamente sfavorevole per l'assicurato i termini contrattuali pattuiti, che di contro nell'intestazione del contratto risultano chiaramente indicati ("garanzie operative somme assicurate in euro Morte 200.000,00). A differenti conclusioni non può certamente condurre la dedotta "esiguità" del premio annuale atteso che tale circostanza non incide in alcun modo sulla esegesi del testo contrattuale, rientrando nella scelta economica della compagnia assicurativa quello di comparare ex ante il rapporto tra il premio ed il rischio assicurato. Senza considerare l'ulteriore circostanza, certamente non di poco conto e totalmente trascurata dalla compagnia, secondo cui (...) al momento dell'evento aveva solamente cinquantadue anni e, dunque, l'evento morte, almeno in termini statistici, poteva sembrare remoto. In proposito, appare opportuno ribadire come in tema di interpretazione del contratto di assicurazione la giurisprudenza abbia affermato che le clausole che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall'assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 cod. civ., e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all'assicuratore (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 866 del 17/01/2008). In altri termini, delle due l'una: o la clausola è priva di significato concreto oppure la medesima deve essere interpretata nel senso sopra indicato, non potendo in alcun modo essere intesa nel senso di limitare, in modo assolutamente rilevante, l'oggetto della copertura assicurativa. In ultimo, si osservi come anche l'utilizzo della locuzione "infortunio" non consente di comprendere appieno che in tal senso debba intendersi anche l'evento morte, che naturalisticamente inteso per una persona di medio livello culturale non è sempre necessaria conseguenza di un infortunio. La modalità di formulazione della clausola, che non appare improntata certamente ai doveri buona fede e correttezza, non può ridurre il perimetro del rischio garantito, laddove, di contro, è assoluto onere di colui che predispone le condizioni generali di contratto definire con chiarezza il contenuto di quanto redige e l'ambiguità resta esclusivamente a suo carico. Le suddette conclusioni sono confermate dalla Suprema Corte, la quale, in plurime occasioni, ha precisato che il contratto di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile e che le clausole polisense vanno interpretate con l'ausilio dei criteri di ermeneutica contrattuale, in particolare di quello dell'interpretazione contro il predisponente (Cass. n. 668/2016; Cass. n. 18349/2014), nonché che, "nell'ipotesi in cui l'interpretazione delle clausole di un contratto nel caso di specie di assicurazione presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l'interpretazione più rispondente a buona fede" (Cass. Sez. III, 27 agosto 2014 n. 18349). (...) avesse voluto limitare il massimale previsto in caso di morte, così come indicato nel frontespizio della polizza, attraverso un non meglio chiarito modello matematico, avrebbe dovuto renderlo assolutamente chiaro ed intellegibile nel testo contrattuale, al fine dapprima di consentire al contraente di valutare la convenienza del contratto e comprenderne l'effettiva portata e successivamente di escludere ogni controversia laddove l'evento soggetto al rischio si fosse verificato. In definitiva, dunque, la domanda svolta dagli attori deve trovare integrale accoglimento, di talché, stante il versamento effettuato prima della precisazione delle conclusioni dell'importo di Euro 66.666,67, la (...) soc. coop. deve essere condannata al pagamento della residua somma pari ad Euro 133.333,33, da suddividere in parti uguali tra i quattro beneficiari. Su tale somma sono dovuti gli interessi nella misura legale ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda sino al saldo, mentre sull'importo già corrisposto di Euro 66.666,67 sono dovuti gli interessi nella medesima misura dalla domanda sino all'effettivo versamento in acconto. Le spese di lite devono essere poste, in ragione del principio della soccombenza, a carico della convenuta e sono liquidate, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come aggiornati dal D.M. n. 37 del 2018, tenuto conto della natura delle questioni trattate, dell'assenza di istruttoria orale, del valore del giudizio, del rifiuto da parte della convenuta di aderire alla proposta conciliativa formulata ex art. 185 bis c.p.c., la quale prevedeva una somma inferiore alla sorte riconosciuta all'esito del giudizio, dello svolgimento della mediazione, applicando i parametri prossimi ai valori medi aumentati sino al 20% in ragione della difesa assunta di più parti (art. 4 comma 2 del D.M. n. 55 del 2014) e della sostanziale identità delle questioni prospettate per ciascuna delle parti assistite (scaglione da Euro 52.000,01 ad Euro 260.00,00). P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 2003/2020 R.G., così provvede: in accoglimento delle domande spiegate da (...), in proprio e quale genitore esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore (...), (...) e (...) condanna la Società (...) S.c.r.l., con Sede Legale in V., L. C. n. 16, in persona del suo legale rappresentante, al pagamento in favore degli attori della complessiva somma di Euro 133.333,33, da suddividere in parti uguali tra i quattro beneficiari, oltre interessi nella misura legale ex art. 1284 comma 4 c.c. come in parte motiva; condanna la società convenuta al pagamento delle spese di lite che si liquidano in euro 13.680,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, (...) ed IVA come per legge ed Euro 834,80 per spese vive. Così deciso in Ivrea il 24 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria 24 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI IVREA nella persona del giudice monocratico dott. Augusto Salustri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4080 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2018 posta in decisione all'udienza del 20.10.2021 e vertente tra (...) (CF (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...); attore e (...) ((...)), rappresentato e difeso dall'Avv. (...); -convenuto- OGGETTO: azione ex art. 1105 c.c. CONCLUSIONI All'udienza di precisazione delle conclusioni le parti hanno così concluso: per l'attore: "Accertato e dichiarato che lo stato del tetto del fabbricato di civile abitazione sito in San Maurizio C.se, (...), versa nelle condizioni descritte dalla C.T.P. in atti (doc. 2 - doc. 3 allegati), dichiarare tenuta e, per l'effetto, condannare parte convenuta a partecipare alle spese necessarie per il rifacimento integrale della copertura dell'edificio, in misura proporzionale al valore della sua proprietà. - Accertato e dichiarato che parte convenuta ha manomesso il cancello automatizzato/la serratura del cancelletto che consente l'accesso alla proprietà, dichiarare tenuta e, per l'effetto, condannare parte convenuta ad effettuare a Sua cura e spese le opere di ripristino. - Accertato e dichiarato che le utenze serventi parti comuni dell'edificio (cancello automatico, luce delle scale e apriporta del cancelletto) sono agganciate al contatore di proprietà attorea, dichiarare tenuta e per l'effetto condannare parte convenuta a contribuire, pro quota, alle spese comuni. - Porre le spese e competenze, legali e tecniche, a carico della parte convenuta, con l'applicazione delle sanzioni ex lege previste, per la mancata presentazione ingiustificata avanti all'organismo di mediazione, che la aveva regolarmente convocata; Con il favore delle spese, competenze e onorari di giudizio". per il convenuto: "Che il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, respinga le richieste ex adverso proposte. Con vittoria di spese ed onorari. MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierno giudizio è applicabile l'art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l'effetto, la stesura della sentenza segue l'art. 132 c.p.c. come modificato dall'art. 45, comma 17, della legge 69/09, con omissione dello "svolgimento del processo" (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi). (...), allegando di essere proprietario di una porzione di un più ampio fabbricato sito in San Maurizio C.se, via (...), pervenuto al medesimo a seguito di atto di divisione del 15.12.2004 e deducendo come lo stabile, con particolare riguardo alla relativa copertura, necessiti di interventi urgenti di manutenzione al fine di eliminare, tra l'altro, la presenza di amianto, ha introdotto il presente giudizio al fine di sentir condannare il fratello (...), proprietario dell'altro lotto facente del medesimo complesso, "a partecipare alle spese necessarie per il rifacimento integrale della copertura dell'edificio, in misura proporzionale al valore della sua proprietà". L'attore, inoltre, ha allegato come il convenuto abbia danneggiato il cancello automatizzato di ingresso allo stabile, chiedendo la condanna del medesimo ad effettuare le opere di rimessa in pristino nonché a contribuire alle spese comuni dello stabile. Si è costituito in giudizio (...), prospettando una ricostruzione dei fatti sostanzialmente antitetica rispetto a quella della controparte e chiedendo il rigetto delle domande spiegate da parte attrice. In particolare, il convenuto da un lato ha negato fermamente di aver manomesso il cancello elettrico dello stabile e di essere debitore di somme inerenti a spese comuni e, dall'altro, ha dedotto come le spese preventivate per il rifacimento del tetto siano eccessive rispetto alla propria capacità finanziaria. Tentata senza esito la conciliazione della lite, la causa, istruita mediante svolgimento di prove orali ed espletamento di consulenza tecnica, è stata trattenuta in decisione all'udienza indicata in epigrafe con i termini di cui all'art 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi. Come già prospettato alle parti ex art. 101 comma 2 c.p.c., la domanda principale spiegata da parte attrice volta ad ottenere la condanna del convenuto "a partecipare alle spese necessarie per il rifacimento integrale della copertura dell'edificio, in misura proporzionale al valore della sua proprietà" è inammissibile. In punto di fatto, è processualmente pacifico che i due contendenti siano proprietari di due distinti appartamenti facenti parte in un unico stabile, con conseguente formazione di un c.d. condominio minimo. La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006), ha affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l'impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell'assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all'unanimità, quanto, "a fortiori", con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni. Con particolare riguardo alla disciplina del rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conversazione della cosa comune, la Suprema Corte, nella richiamata decisione, ha osservato come la diversa disciplina dettata dagli artt. 1110 e 1134 cod. civ., rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell'altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell'urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l'utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. Ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, ai sensi dell'art.1134 cod. civ. Trovando, dunque, applicazione la disciplina prevista in tema di condominio, deve escludersi che il condominio (comunista) possa agire in giudizio mediante azione ordinaria al fine di sentir condannare la controparte ad eseguire ovvero a contribuire all'esecuzione di lavori che assume urgenti, sotto forma di condanna ad un facere. La Suprema Corte, invero, ha affermato che il singolo condomino non è titolare verso il condominio di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali, che possa essere esercitato mediante un'azione di condanna della stessa gestione condominiale all'adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l'uso dell'impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 e ss. cod. civ.", di talché egli non ha, comunque, azione per richiedere la condanna del condominio a un "facere", consistente nella messa a norma dell'impianto comune, ma può, "al più, avanzare verso il condominio una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione dello stesso nel provvedere alla riparazione o all'adeguamento dell'impianto (medesimo) - arg. da Cass. Sez. 2, 31/05/2006, n. 12956; Cass. Sez. 2, 15/12/1993, n. 12420 -, ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, per esempio, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 cod. civ., i ricorsi contro i provvedimenti dell'amministratore ex art. 1133 cod. civ., la domanda di revoca giudiziale dell'amministratore ex art. 1129, comma 11, cod. civ., o il ricorso all'Autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell'art. 1105, comma 4, cod. civ. (cfr. Cass. ord., 5 luglio 2017, n. 16608; cfr. Corte Appello Torino, Sentenza n. 856/2020 del 25/08/2020; Corte Appello Genova sentenza n. 753/2021 del 01/07/202). Ciò posto, l'attore, a fronte dell'allegata necessità ed urgenza di eseguire lavori di sistemazione dello stabile e del correlato rifiuto (difficoltà economica) di partecipare alle spese da parte dell'altro comproprietario, avrebbe potuto da un lato eseguire i lavori ritenuti urgenti e successivamente agire in giudizio onde ottenere la condanna della controparte alla restituzione della quota di spettanza o, dall'altro, instaurare il procedimento camerale ex art. 1105 comma 4 c.c. (cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 22/01/2021) 07-07-2021, n. 19254; nella specie la Corte, ha confermato la decisione di merito la quale, sul dato incontestato che nella fattispecie si controverteva di lavori urgenti su parti comuni nell'ambito di un condominio minimo, aveva ritenuto che il condomino non avesse titolo per pretendere dall'altro condomino l'esecuzione dei lavori, stante il disposto degli artt. 1104-1005 c.c., che gli imponeva di azionare il rimedio previsto dall'art. 1105, o di provvedere lui stesso, ove ricorresse l'urgenza, chiedendo poi il rimborso pro quota). Nella predetta decisione, la Corte Suprema ha ribadito che nel caso di "condominio minimo" trova applicazione l'art. 1134 c.c. e perciò la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell'urgenza, nel senso della assoluta indifferibilità (ex plurimis, Cass. 16/04/2018, n. 9280; Cass. 12/10/2011, n. 21015). In ipotesi di interventi indifferibili, infatti, è consentito l'intervento diretto del condomino anche senza l'autorizzazione degli organi condominiali, e perciò anche senza azionare lo strumento previsto dall'art. 1105 c.c., per rimediare all'inerzia/opposizione da parte da parte dell'altro condomino (ex plurimis, Cass. 22/06/2017, n. 15548; Cass. 22/03/2012, n. 4616). A fortiori, per quel che maggiormente rileva, si osservi come il condomino sia carente di titolo per pretendere dalla controparte l'esecuzione dei lavori atteso che il medesimo, in quanto partecipe al condominio minimo, e quindi obbligato egli stesso alla conservazione delle parti comuni, avrebbe potuto eseguire direttamente i lavori urgenti e poi chiedere il rimborso pro quota (cfr. in termini cfr. Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 22/01/2021) 07-07-2021, n. 19254). Deve essere, parimenti, respinta la domanda di condanna alla rimessa in pristino del cancelletto di ingresso, essendo risultata sprovvisto di riscontro probatorio la prospettazione attorea secondo il medesimo è stato danneggiato dal convenuto. Invero, i due testi escussi ((...)) hanno certamente rappresentato come il danneggiamento, secondo la loro esperienza, sia avvenuto dall'interno, ma al contempo nulla hanno potuto riferire in ordine all'autore materiale. Del pari, i due testi hanno anche ipotizzato che il taglio possa essere avvenuto con il cancello aperto. Ciò posto, in difetto di ulteriori e soprattutto concreti riscontri probatori, non è in alcun possibile attribuire al convenuto la responsabilità dell'evento dannoso, peraltro sussumibile nella ipotesi di reato di cui all'art. 635 c.p. In altri termini, la prospettazione di parte attrice, secondo cui essendo avvenuta la rottura dall'interno e sussistendo motivi di attrito tra le parti, l'evento sia attribuibile al convenuto, non è idonea a fondare una pronuncia di condanna, risolvendosi al più in un mero indizio, isolatamente considerato e comunque sprovvisto dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c. Deve essere, infine, respinta in ragione dapprima di una generica allegazione e conseguentemente di un mancato riscontro probatorio la richiesta di contribuzione alle spese comuni nei termini in cui è stata formulata. Invero, la documentazione prodotta da parte attrice non consente di comprendere se il contatore, cui corrispondono le bollette allegate, sia riconducibile anche a parti comuni dello stabile, non potendo l'onere probatorio ritenersi assolto con la produzione del "conteggio spese quote energia" (doc. 8), risolvendosi il medesimo in un mero documento di parte privo di autonomo e concreto valore probatorio. Non appare revocabile in dubbio che se il consumo sia anche in parte riconducibile a spese comuni il convenuto debba contribuire, tuttavia per poter giungere ad una condanna in tal senso è necessario fornire specifico riscontro probatorio, che nel caso di specie è risultato carente. Le spese di lite devono essere poste, in ragione del principio della soccombenza, a carico dell'attore e sono liquidate, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, così come aggiornati dal D.M. 37/2018, tenuto conto della natura delle questioni affrontate e dello scaglione relativo alle cause di valore indeterminato di non rilevante complessità, applicando gli importi prossimi ai valori minimi atteso che la consulenza tecnica espletata, anche ai fini conciliativi, ha riconosciuto la necessità di eseguire lavori nello stabile. Vengono poste, altresì, a carico dell'attore le spese di CTU così come liquidate in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale di Ivrea in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa civile recante n. 4080/2018 R.G., così provvede: rigetta le domande spiegate da (...) nei confronti di (...); condanna l'attore al pagamento delle spese di lite che si liquidano in euro 3.800,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, C.A. ed IVA come per legge; pone definitivamente le spese di CTU come liquidate in corso di causa a carico di parte attrice. Così deciso in Ivrea, il 1 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Meri Papalia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4689/2016 promossa da: (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) ATTORE contro EREDI DI (...) (...) (C.F. (...)) CONVENUTI (...) (C.F. (...)) TERZO CHIAMATO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione del 27.10.2016 (...) e (...), in qualità di proprietari di immobili confinanti a quello di (...), lamentavano l'abusiva occupazione da parte di quest'ultimo di una parte del cortile di loro proprietà mediante collocazione di un ponteggio necessario per i lavori di ristrutturazione edile che il convenuto stava realizzando sul proprio immobile nel periodo tra novembre 2013 e 2014. Inoltre, il convenuto costruiva una tettoia in appoggio al muro di confine, di esclusiva proprietà delle parti attrici, la quale veniva ancorata mediante tasselli al muro e sotto alla quale era accatastata della legna che creava umidità all'interno delle stanze dell'immobile di (...) e (...), con conseguente insalubrità degli ambienti. Infine, deducevano come, in violazione, dei permessi di ristrutturazione concessi dalla pubblica autorità, il convenuto avesse proceduto a modificare la quota di elevazione del colmo, allungando, altresì, la sporgenza del tetto con violazione della distanza minima dal confine degli immobili attorei. Per i fatti sopra esposti chiedevano la condanna, ex art. 2043 c.c., per tutti i danni subiti dall'illegittima occupazione del cortile, dall'ancoraggio della tettoia al muro di proprietà esclusiva e dalla modifica della sagoma dell'edificio di proprietà convenuta, confinante con le proprietà attoree. All'udienza del 8 febbraio 2017 veniva dichiarata l'interruzione del processo, stante il decesso sopravvenuto del convenuto, in data 20.11.2016. Le parti attrice con ricorso del 20.3.2017 riassumevano la causa nei confronti degli eredi di (...). Con comparsa del 28.7.2017 si costituivano in giudizio (...) e (...), in qualità di eredi di (...), eccependo come i lavori di ristrutturazione dell'immobile erano stati svolti nel rispetto dei permessi concessi dalla pubblica autorità e contestavano qualsiasi difformità ai progetti depositati in Comune mentre rilevavano un comportamento persecutorio e molesto da parte degli attori e da parte di (...), padre dell'attrice, di cui chiedevano la chiamata in causa. Con riguardo all'occupazione del cortile eccepivano come fosse stato prestato il consenso all'occupazione temporanea per il ponteggio necessario ai lavori. Ed infine, deducevano come la tettoia a copertura della legnaia era sempre esistita ed era stata rimossa dalle parti attrici in esecuzione di lavori di ristrutturazione del loro immobile, in occasione dei quali, avevano proceduto alla rimozione con l'impegno di provvedere alla ricostruzione della stessa ma che tale promessa non era poi stata adempiuta. Esperivano, pertanto, domanda riconvenzionale per il pagamento di Euro.2.000,00 a titolo di rifacimento della legnaia, obbligazione assunta ma rimasta adempiuta dagli attori; il risarcimento del danno derivante da fermo tecnico del cantiere, imputabile ai comportamenti molesti e ostruzionistici degli attori ed, infine, lamentavano la sussistenza di immissioni moleste provenienti dalla canna fumaria degli attori, nonché la sussistenza di uno scarico pluviale di una grondaia non canalizzata che portava le acque piovane sul loro fondo. Infine, sollevavano la non conformità alla normativa di conservazione dei siti di interesse storico di una scala elicoidale realizzata dagli attori in sostituzione di una precedente scalinata in pietra. Domandavano il risarcimento dei danni subiti e la condanna per lite temeraria delle controparti. Con comparsa del 19.12.2017 si costituiva in giudizio il terzo chiamato, (...), eccependo in via preliminare la carenza di legittimazione passiva dello stesso in quanto non proprietario di alcun fondo e rilevando comunque l'infondatezza delle domande avanzate nei suoi confronti. All'udienza del 12 maggio 2021 veniva dichiarata l'interruzione del processo per morte di (...). Con ricorso del 21 maggio 2021gli attori riassumevano la causa nei confronti degli eredi di (...). In data 1 ottobre 2021 si costituiva in giudizio (...) e in data 4 ottobre 2021 si costituiva in giudizio (...), quale erede di (...) e (...). La causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 20 ottobre 2021. 1. Con riguardo alla domanda avanzata dalle parti attrici, inerente l'illegittima occupazione del cortile di loro proprietà mediante apposizione del ponteggio necessario allo svolgimento dei lavori di straordinaria manutenzione effettuati da (...), deve essere accolta l'eccezione, sollevata dalle convenute, in ordine alla sussistenza del consenso da parte degli attori. Sul punto si evidenzia che la teste T.R.M.E., madre della parte attrice, pur negando che fosse stato richiesto alcun consenso preventivo, ha dedotto come il cortile della figlia fosse interamente recintato e il cancello apribile solo mediante chiave. Inoltre, la circostanza è confermata dal teste (...), il quale ha affermato come per il montaggio del pontile, l'apertura del cancello sia stata effettuata da (...) e dalla figlia. Deve, pertanto, ritenersi accertata l'occupazione legittima del cortile di proprietà degli attori, i quali hanno concesso spontaneamente l'accesso a un luogo recintato e chiuso a chiave, al quale il convenuto non poteva clandestinamente accedere come dedotto dagli attori. Sul punto è, poi, necessario analizzare la successiva missiva spedita da (...) in data 19.11.2013 (doc. 8 parte attrice), contente la richiesta di rimozione del pontile, evidenziandone l'infondatezza, in quanto lo stesso non era proprietario del cortile e, a nessun titolo, poteva richiedere stragiudizialmente la rimozione dello stesso in quanto posto sulla proprietà di terzi. D'altra parte, la stessa missiva inviata nella medesima data al Geom. (...) (doc. 9 parte attrice), ben evidenzia come i rapporti tra le parti si fossero deteriorati a causa dell'omesso rispetto delle altezze del tetto, di cui in tale missiva si lamenta e, deve evidenziarsi, come ciò avvenga a seguito della denuncia di irregolarità già depositata al Comune in data 23.10.2013. La dichiarazione, ivi inserita per iscritto, di non aver mai autorizzato la collocazione del ponteggio, deve considerarsi priva di valore probatorio, stante il fine preciso di precostituirsi una prova scritta in ordine al futuro contenzioso che lo stesso poteva prevedere a fronte delle questioni in ordine alla non corretta esecuzione dei lavori da parte di (...) in ordine alle altezze dell'immobile in fase di ristrutturazione. D'altro canto, in tale missiva, (...) si dichiara, altresì, proprietario dell'immobile di cui al foglio (...) particella (...) al fine di aver titolo per richiedere la rimozione del pontile, pur essendo risultato inconfutato tra le parti che unici proprietari fossero (...) e (...), e tale elemento conferma ulteriormente come le dichiarazioni rese dalla parte in tale missiva fossero del tutto inattendibili in ordine a precisione e verità. Piuttosto, deve rilevarsi come (...) abbia concesso l'autorizzazione all'installazione del pontile, provvedendo all'apertura del cancello di ingresso agli operai della ditta addetta e nulla lamentando, insieme alla figlia, (...) e, solo successivamente, abbia richiesto la rimozione di quanto apposto. Tale comportamento, tuttavia, non impone in capo al convenuto alcuna rimozione in quanto la richiesta non è pervenuta dal legittimo proprietario ma da un terzo, che si è solo paventato come tale, nella missiva inoltrata al direttore dei lavori, Geom. (...). 2. In ordine alla tettoia apposta sul confine e collegata al muro di proprietà esclusiva degli attori mediante tassello, deve premettersi come (...), sentito in interrogatorio formale, ammetta come durante lo svolgimento di lavori di ristrutturazione della facciata dell'immobile di proprietà della figlia ((...)), realizzati 15 anni prima, vi fosse ivi collocata una catasta di legna con delle lamiere sopra, di cui tuttavia disconosce l'impegno alla ricostruzione. Che si trattasse di quattro pilastri in legno, coperti da lamiere in ferro, è riscontrato, altresì, dal teste (...) che dichiara di aver demolito lui stesso la legnaia e proceduto alla ricostruzione della nuova. Risulta, pertanto, non condivisibile la tesi di parte attrice che sostiene la creazione ex novo di una struttura a tettoia prima inesistente, dovendo piuttosto evidenziarsi come (...) avesse da sempre ivi collocata una legnaia, dovendosi semmai verificare la conformità tra la precedente struttura e quella creata dalla ditta incaricata dei lavori di ristrutturazione straordinaria dell'immobile. Sul punto è necessario condividere le risultanze della CTU espletata, secondo cui trattasi di una struttura autonoma, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, la quale non necessità dell'appoggio al muro per la stabilità, sulla quale, tuttavia, è stato montato un faldale fissato al muro della proprietà confinante con dei rivetti. Tale ultima aggiunta risulta evidentemente una non consentita modifica del preesistente stato dei luoghi, che va ad incidere in maniera diretta sulla proprietà degli attori, trattandosi, peraltro, di muro di proprietà esclusiva, come dagli stessi dedotto e non contestato, ex art. 115 c.p.c., dalle parti convenute. Deve, pertanto, accogliersi la domanda attorea relativa alla rimozione della parte di faldale e dei rivetti che incidono sul muro di proprietà esclusiva mentre nessun accoglimento può trovare la domanda di risarcimento per umidità proveniente da tale legnaia, stante l'omesso assolvimento del relativo onere probatorio. Infatti, le parti attrici nulla hanno provato in ordine alla paventata insalubrità dei locali causata dalla legna accostata esternamente al muro di loro proprietà esclusiva. 3.1 Infine, con riguardo alla domanda attorea relativa all'illegittima modifica della sagoma dell'edificio di proprietà di (...), con elevazione del colmo del tetto e allungamento della sporgenza della falda verso la proprietà attorea, in violazione delle distanze minime, la domanda non può essere accolta. Sul punto la CTU ha evidenziato come l'immobile presenti "una differenza di quota del colmo pari a 62 cm., pari a 100 cm del trave sopra al pilastro verso strada, e di 78 cm. per quello opposto" e che risulta come "le due sagome non corrispondono e risulta una sopraelevazione non dichiarata di 36 cm. da una parte e 32 cm. dall'altra". Il CTU ha, altresì, accertato che "il solaio all'intradosso della copertura oggetto di causa, non è stato realizzato e i locali risultano essere direttamente a nudo tetto. Tale variante comporta che i locali sottostanti a differenza di quanto asserito dalla relazione tecnica a firma del responsabile del servizio tecnico F. Geom. (...) hanno una altezza media molto ben superiore a quella che necessità per renderli abitabili (oltre 3,50 anziché 2,70 m.)" e che non sussistono esigenze igienico sanitarie per la sopraelevazione effettuata. Pertanto, si devono condividere le conclusioni a cui è pervenuto il CTU, il quale ha proceduto alla verifica con metodo obiettivo e tecnico, procedendo a verifiche in loco dello stato attuale dell'immobile e a un preciso raffronto documentale con quanto depositato presso il Comune per il rilascio del permesso di costruire, arrivando alle seguenti conclusioni: "si è in grado di rispondere affermativamente al fatto che si sia sopraelevato il colmo e le due falde laterali confermando la difformità delle tavole progettuali sia dello stato di fatto che di progetto Tavole 2 e 3/A allegate a Permesso di Costruire n. 1/2013". 3.2 In punto di diritto deve preliminarmente rilevarsi come "rientrano nella nozione di nuova costruzione, per il computo delle distanze legali dagli altri edifici, non solo l'edificazione di un manufatto su un'area libera, ma anche gli interventi di ristrutturazione che, in ragione dell'entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente" (Cass. Sez. II, Sentenza n.16268 del 30/06/2017; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5741 del 03/03/2008; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9637 del 27/04/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14128 del 26/10/2000). Nel caso di specie, è evidente come dalle risultanze della CTU, sopra analizzate, sia risultato manufatto diverso con particolare riguardo alla sopraelevazione del colmo e così della volumetria delle stanze collocate all'ultimo piano dell'edificio, locali che risultano a nudo tetto, stante l'omessa realizzazione dei lavori di solaio all'intradosso. Sul punto deve richiamarsi e condividersi l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "in materia di distanze legali tra edifici, la modificazione del tetto di un fabbricato integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione, se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20786 del 25/09/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 400 del 12/01/2005). 3.3 Con riguardo alla domanda di riduzione in ripristino avanzata dalle parti attrici si deve evidenziare come "in caso di costruzione realizzata in violazione di norme edilizie, al fine dell'accoglimento della domanda volta ad ottenere la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con conseguente demolizione del manufatto, non è sufficiente accertare l'illegittimità dello stesso, ma è necessario verificare che la disposizione edilizia violata abbia carattere integrativo delle norme poste dal codice civile a tutela dei diritti dei proprietari confinanti, atteso che, soltanto in presenza di tale condizione, l'art.872, secondo comma, cod. civ. consente, oltre che il risarcimento del danno, la rimozione in forma specifica degli effetti della violazione" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15886 del 28/07/2005). Nel caso di specie la CTU ha accertato come "la porzione di copertura sopraelevata, poiché tale maggior altezza non era necessaria al fine di ricavare locali abitabili, non poteva essere realizzata a confine"; tuttavia, le norme relative alle distanze tra costruzioni previste dall'art. 873 c.c. e dai regolamenti locali devono essere tenute distinte dalle regole di edilizia contenute in leggi speciali e nei regolamenti comunali poiché, in caso di loro violazione, esclusivamente le prime, che incidono sui rapporti di vicinato, consentono al privato l'esercizio delle azioni di riduzione in pristino e di risarcimento del danno, mentre le seconde, essendo dirette al soddisfacimento di interessi di ordine generale, ne limitano la tutela alla sola azione risarcitoria. Pertanto, da un lato, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della proposizione dell'azione ripristinatoria atteso che, in ipotesi di mancato rispetto delle distanze, il provvedimento autorizzatorio può essere disapplicato dal giudice ordinario, previo accertamento incidentale della sua illegittimità, dall'altro, se le distanze sono state osservate, il vicino non ha diritto di chiedere la riduzione in pristino anche se l'immobile è abusivo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5605 del 26/02/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16094 del 29/07/2005). In tema di distanze legali, sono da ritenere integrative delle norme del codice civile solo le disposizioni dei regolamenti edilizi locali relative alla determinazione della distanza tra i fabbricati in rapporto all'altezza e che regolino con qualsiasi criterio o modalità la misura dello spazio che deve essere osservato tra le costruzioni, mentre le norme che, avendo come scopo principale la tutela d'interessi generali urbanistici, disciplinano solo l'altezza in sé degli edifici, senza nessun rapporto con le distanze intercorrenti tra gli stessi, tutelano, nell'ambito degli interessi privati, esclusivamente il valore economico della proprietà dei vicini; ne consegue che, mentre nel primo caso sussiste, in favore del danneggiato, il diritto alla riduzione in pristino, nel secondo è ammessa la sola tutela risarcitoria (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 5142 del 21/02/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10264 del 18/05/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1073 del 16/01/2009). In particolare, in caso di violazione delle norme del regolamento edilizio locale disciplinanti solo l'altezza, in sé, degli edifici, ossia senza considerare la distanza intercorrente tra gli stessi, il privato ha diritto solo al risarcimento dei danni e non anche alla riduzione in pristino del manufatto, trattandosi di disposizioni che hanno quale scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10264 del 18/05/2016; Cass. Sez. II, Sentenza n. 8169 del 23/05/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1073 del 16/01/2009). 3.4 Nel caso di specie il CTU ha accertato la non conformità del manufatto ai regolamenti comunali che prevedono la facoltà di innalzamento del colmo, solo laddove sussista l'esigenza di garantire l'altezza minima di abitabilità dei vani sottostanti, requisito che, non ricorrendo nel caso di specie, ha determinato l'accertamento di un illegittimo alzamento del colmo, la cui elevazione non era nemmeno dettata da ragioni di igiene e sanità dell'abitazione. Tuttavia, nessuna variazione delle distanze minime legali è avvenuta rispetto all'immobile degli attori, in quanto il colmo ha comportato una variazione della sagoma dell'edificio solo verso l'alto e nessuna modifica laterale (salva la modifica alla falda di copertura di cui si dirà al punto successivo), con conseguente tutela esclusivamente sul piano risarcitorio. 3.5 Il CTU ha, altresì, accertato una violazione inerente al permesso di costruire, risultando difformità tra i disegni depositati dal tecnico presso il Comune e lo stato di fatto attuale dell'immobile. Sul punto deve evidenziarsi come "in tema di distanze minime tra costruzioni, la rilevanza giuridica della licenza o concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra (...) e privato, senza estendersi a quelli tra privati e, pertanto, il conflitto tra proprietari interessati in senso opposto alla costruzione deve essere risolto in base al diretto raffronto tra le caratteristiche oggettive dell'opera e le norme edilizie che disciplinano le distanze legali, tra le quali non possono comprendersi anche quelle concernenti la licenza e la concessione edilizia, perché queste riguardano solo l'aspetto formale dell'attività edificatoria. Di conseguenza, così come è irrilevante la mancanza di licenza o concessione edilizia, allorquando l'opera risponda oggettivamente a tutte le prescrizioni del codice civile e delle norme speciali e non leda alcun diritto del vicino, allo stesso modo, l'avere eseguito la costruzione in conformità dell'ottenuta licenza o concessione, non esclude, di per sé, la violazione di dette prescrizioni e, quindi, il diritto del vicino, a seconda dei casi, alla riduzione in pristino o al risarcimento dei danni" (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 4833 del 19/02/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17487 del 31/07/2014; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21394 del 18/09/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20848 del 11/09/2013; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7563 del 30/03/2006). Pertanto, tale violazione deve ritenersi del tutto indifferente nella presente controversia tra privati, dovendosi avere riguardo solo all'eventuale violazione delle distanze minime tra fabbricati, non riscontrata nel caso di specie. 4.0 Con riguardo, invece, alla domanda risarcitoria deve prendersi atto della sussistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla risarcibilità del danno in re ipsa ovvero alla necessità della parte di fornire idonea prova del danno-conseguenza subito, in base ai principi generali in materia di risarcimento del danno. Sul punto la Suprema Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con la pronuncia n. 18220 del 02/09/2020 rilevando come la costruzione in violazione delle distanze legali costituisce una limitazione al godimento del bene, e quindi all'esercizio di una delle facoltà che si riconnettono al diritto di proprietà: per questo il danno è in re ipsa, perché l'azione risarcitoria è volta a porre rimedio all'imposizione di una servitù di fatto e alla conseguente diminuzione di valore del fondo subita dal proprietario in conseguenza dell'edificazione illegittima del vicino, per il periodo di tempo anteriore all'eliminazione dell'abuso (Cass., Sez. 2, 27 febbraio 1946, n. 201; Cass., Sez. 2, 8 maggio 1946, n. 551; Cass., Sez. Un., 24 giugno 1961, n. 1520; Cass., Sez. 2, 12 febbraio 1970, n. 341; Cass., Sez. 2, 15 dicembre 1994, n. 10775; Cass., Sez. 2, 25 settembre 1999, n. 10600; Cass., Sez. 2, 7 marzo 2002, n. 3341; Cass., Sez. 2, 27 marzo 2008, n. 7972; Cass., Sez. 2, 7 maggio 2010, n. 11196). 4.1 Sul punto l'orientamento giurisprudenziale di segno contrario, da ultimo espresso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 14294 del 04/06/2018, si basava sulla necessaria distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, giacché se è pur vero che ogni fatto illecito ex art. 2043 c.c. integra un evento-danno, non sempre da quest'ultimo conseguono danni-conseguenza che incidono sul patrimonio del danneggiato e che devono essere oggetto di specifica prova, ulteriore e distinta, da quella del danno-evento. Quest'ultimo è certamente sufficiente a una pronuncia dichiarativa della sussistenza del fatto illecito in tutti i suoi elementi costitutivi ma non permette di per sé l'accoglimento della domanda risarcitoria in assenza di rigorosa prova sulle conseguenze dannose subite dal patrimonio del danneggiato. In tal senso, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14294 del 04/06/2018 ha statuito come "per procedere alla condanna al risarcimento, non è sufficiente l'accertamento della potenzialità dannosa del fatto, ma deve procedersi all'individuazione del quantum del danno, che deve essere provato" e conseguentemente che laddove la proprietà "sia stata gravata da una servitù illegittima, idonea (ove l'idoneità rappresenta la potenzialità dannosa) a ridurre momentaneamente il valore della proprietà, non è prova di per sé dell'entità del danno e della sua esistenza. Di conseguenza, la diminuzione temporanea di valore della proprietà avrebbe dovuto essere accertata mediante il ricorso agli ordinari mezzi di prova" e conseguentemente ha dichiarato che la corte territoriale "ha violato l'art. 1226 c.c., giacché tale norma ha una portata sussidiaria ed è applicabile esclusivamente nei casi in cui, pur essendo provata l'esistenza del danno, non sia possibile risalire all'entità, mancando dei criteri di quantificazione che siano in grado di ricondurre razionalmente la "perdita" a un "equivalente" monetario" (in senso conforme Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20608 del 24 settembre 2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7747 del 2 agosto 1990, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1838 del 23 marzo 1982). 4.2 Sul punto deve condividersi quanto da ultimo espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18220 del 02/09/2020 che ha tentato di ricondurre a unità i due orientamenti contrastanti nella materia, sancendo come "discorrere di danno in re ipsa non significa riconoscere che il risarcimento venga accordato per il solo fatto del comportamento lesivo o si risolva in una pena privata nei confronti di chi violi l'altrui diritto di proprietà, in contrasto, tra l'altro, con la tavola dei valori espressa dalla Carta costituzionale, che riconosce e garantisce la proprietà privata, ma non la inquadra tra i diritti fondamentali della persona umana, per i quali soltanto è predicabile una connotazione di inviolabilità, di incondizionatezza e di primarietà. Significa, piuttosto, ammettere che, nel caso di violazione di una norma relativa alle distanze tra edifici, il danno che il proprietario subisce (danno conseguenza e non danno evento) è l'effetto, certo ed indiscutibile, dell'abusiva imposizione di una servitù nel proprio fondo, e quindi della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprietà medesima". In tal senso la Suprema Corte ha infatti imposto un distinguo rilevando come "il principio della immancabilità del risarcimento del danno non vale invece là dove si tratti di violazioni di disposizioni non integrative di quelle sulle distanze: in tale evenienza, mancando un asservimento di fatto del fondo contiguo, la prova del danno è richiesta ed il proprietario è tenuto a fornire una dimostrazione precisa dell'esistenza del danno, sia in ordine alla sua potenziale esistenza che alla sua entità obiettiva, in termini di amenità, comodità, tranquillità ed altro". 4.3 Nel caso di specie, considerato che nessuna variazione sulle distanze tra i due corpi fabbricati è avvenuta deve ritenersi che non sussista alcun automatico onere o peso a danno degli attori, dovendo essi assolvere a un preciso onere probatorio in ordine al pregiudizio subito, secondo i criteri generali in materia di risarcimento del danno. Nel caso di specie, nulla è stato provato, in quanto gli attori si sono limitati a rivendicare un danno in re ipsa, in realtà insussistente nel caso di specie, in quanto il mero danno-evento (elevazione del colmo) non ha comportato conseguenze pregiudizievoli per le parti attrici. Pertanto, non è accoglibile la domanda di condanna in ripristino in assenza di violazione sulle distanze minime legali tra edifici e non è accoglibile la domanda risarcitoria in quanto, pur accertato il danno - evento, nessuna prova in ordine al danno - conseguenza è stata fornita. 5. Con riguardo all'allungamento della falda della copertura risulta, invece, dirimente l'accertamento del CTU in ordine alla misurazione della sporgenza pari a 187 centimetri e, pertanto, inferiore ai 2 metri, quale distanza limite che permette, secondo i regolamenti comunali ivi vigenti, di non conteggiare tale sporgenza nelle distanze tra edifici. Tale regolamento, incidendo direttamente sulle distanze tra fabbricati in modo relativo tra di loro è integrativo delle norme del codice civile di cui agli artt. 873 e segg.. Pertanto, la falda di copertura pur essendo stata realizzata, in violazione del permesso di costruire rilasciato dal Comune e pur essendo stata variata la sagoma rispetto al precedente edificio, non incide sulle distanze legali, trattandosi di una costruzione di dimensione inferiore rispetto a quella prevista dai regolamenti comunali per il suo conteggio. La non incidenza sulla distanza minima tra edifici impone il richiamo alle considerazioni già sopra svolte, in ordine alla non accoglibilità di una domanda di condanna in ripristino e le considerazioni conseguenti in ordine alla necessità, con riguardo alla domanda di risarcimento del danno, di assolvimento di un preciso onere probatorio che non risulta soddisfatto nel caso di specie dalle parti attrici. Per completezza si devono, altresì, richiamare i principi sopra espressi di irrilevanza della difformità della falda di copertura dal permesso di costruire rilasciato dalla pubblica autorità, risultando determinante, nelle controversie tra privati, la sola violazione della normativa in materia di distanze di cui agli artt. 873 e segg. c.c. e gli eventuali regolamenti comunali integrativi di tale disciplina. 6.1 Passando all'esame delle domande riconvenzionali avanzate dalla parte convenuta, si evidenzia come il risarcimento del danno di Euro.2.000,00, per il rifacimento della tettoia a cui si era impegnato, secondo la tesi della convenuta, (...), non può trovare accoglimento. Sul punto deve evidenziarsi come la sussistenza dell'impegno alla costruzione della tettoia trovi unico riscontro nelle dichiarazioni del teste (...), escusso all'udienza del 21.5.2019; tale teste deve considerarsi del tutto inattendibile in ordine alle dichiarazioni rese in quanto riferisce di un ipotetico incontro in cui (...), acconsentendo alla collocazione del ponteggio presso il cortile delle parti attoree, avrebbe, nella medesima occasione, anche ripromesso, in presenza del teste, la ricostruzione della legnaia. Sul punto il teste riferisce prima che la legnaia era risalente a 150 anni prima e, poi, di non averla mai vista da quando, quattro anni prima, si era ivi recato ad abitare ma di aver visto gli accatastamenti della stessa. Tali dichiarazioni, già poco verosimili di per sé, devono essere lette anche alla luce dell'interesse di fatto che il teste ha nella presente vertenza, risultando non solo essere il compagno da 9 anni di una delle convenute, (...) (come dallo stesso dichiarato in sede di escussione), ma, altresì, essere occupante dell'immobile di che trattasi. Sul punto deve richiamarsi il principio di diritto pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui "La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull'attendibilità del teste, operando la valutazione su piani diversi, atteso che l'una, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua non solo di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) ma anche di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità" (Cass. Sez. 2, Sentenza n.3849 del 17/02/2020; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21239 del 09/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7623 del 18/04/2016; Cass. Sez. 3, Cass. Sentenza n. 7763 del 30/03/2010; Cass. Sez. L, Sentenza n. 16529 del 21/08/2004). 6.2 L'insussistenza dell'impegno alla ricostruzione da parte di (...) risulta ancor più inverosimile alla luce del fatto che, i lavori di ristrutturazione sul proprio immobile risalgono a 15 anni prima (momento in cui avrebbe abbattuto la legnaia del (...) con impegno di ricostruzione) e non pare ragionevole che quest'ultimo abbia atteso un tale arco temporale prima di richiederne la costruzione. Inoltre, tale ricostruzione dei fatti è incontrovertibilmente contrastante con quella fornita dal teste (...), il quale incaricato dei lavori edili presso l'immobile del (...), ha dichiarato di aver lui demolito e rifatto la legnaia oggi controversa, nonché di riconoscere il preventivo di Euro.2.000,00 (doc.7 convenuto) per il relativo lavoro. E' evidente come, pertanto, non è stata assolto l'onere probatorio incombente sulle parti convenute, sia in ordine alla demolizione, 15 anni or sono, della legnaia da parte di (...), sia qualsiasi promessa dello stesso in ordine ad un'eventuale ricostruzione. 7. Con riguardo alla domanda di risarcimento del danno di Euro.10.100,00 derivante da fermo tecnico del cantiere (doc.9 convenute) deve evidenziarsi la palese infondatezza della stessa. Infatti, si evidenzia come il fermo tecnico non sia derivato da alcun comportamento illecito né delle parti attrici, né del terzo chiamato ma in quanto i lavori venivano svolti in parte occupando una proprietà del demanio. Tale circostanza viene dichiarata dal teste (...) che sul punto espressamente afferma come il fermo dei lavori sia stato dovuto all'occupazione della proprietà demaniale, a seguito, questo sì, dell'esposto avanzato dalle parti attrici. Tale esposto deve ritenersi del tutto legittimo e infondate le relative doglianze delle convenute che non si avvedono come l'illegittimo comportamento sia quello di abusiva occupazione di proprietà demaniale e non certo di chi segnala tale illecito alle autorità competenti. Pertanto, il danno da fermo tecnico che (...) dichiara di aver subito in qualità di appaltatore è imputabile esclusivamente al committente, (...), che procedette ai lavori senza un'attenta verifica dei confini della proprietà dello stesso. 8.1 Anche la domanda di risarcimento danni derivante da comportamenti emulativi, molesti ed ostruzionistici tenuti dalle parti attrici e dal terzo chiamato in causa è palesemente infondata. Infatti, sul punto deve evidenziarsi come qualsiasi segnalazione o denuncia alle pubbliche autorità di comportamenti non ritenuti conformi a legge, non può integrare gli estremi di alcun illecito ex art. 2043 c.c.. La tesi di parte convenuta che vorrebbe configurare un'ipotesi di c.d. stalking giudiziario, inteso come abuso del diritto giudiziario utilizzato come strumento di intimidazione o persecuzione, assimilabile alla condotta prevista e punita dall'art. 612-bis c.p., tale da ingenerare nella vittima timori, ansie e perturbamenti, non è ravvisabile nel caso di specie. In primo luogo in quanto almeno parte delle segnalazioni alle pubbliche autorità sono risultate manifestamente fondate; si veda in tal senso quanto riportato dal teste (...) che dichiara come a seguito degli esposti fatti da (...), il Comune e lo SPRESAL di Ivrea hanno riscontrato irregolarità nel cantiere, sanzionate con Euro.600,00 di multa, si consideri, altresì, il fermo tecnico del cantiere di cui sopra per occupazione demaniale, segnalata legittimamente all'autorità pubblica e, non da ultimo, le riscontrate difformità al permesso di costruire, accertate con la presente pronuncia giudiziaria, che ben legittimavano una richiesta preventiva di verifica da parte dell'Ufficio Tecnico Comunale in ordine all'avanzamento dei lavori in modo difforme rispetto a quanto autorizzato con il permesso di costruire. Pertanto, le suddette segnalazioni devono inquadrarsi a livello giuridico come legittimo esercizio di un diritto, da parte di chi ricorre alle vie legali per contrastare un fatto ingiusto e non palesemente infondate, né tantomeno meramente strumentali ad arrecare disturbo. 8.2 Di ulteriori attività moleste, di mero disturbo o di aggressione gratuita da parte degli attori e del terzo chiamato non è stata fornita alcuna prova nel presente giudizio; le parti convenute si sono limitate sul punto a richiamarsi ad una precedente querela sporta ai Carabinieri da (...) (doc. 2 convenuto) che riporta le mere dichiarazioni di una delle parti, tale (...), di aver visto effettuare danneggiamenti alla rete di cantiere da parte degli attori. E' evidente come tale documento non sia idoneo ad assolvere l'onere probatorio in quanto mere dichiarazioni stragiudiziali di una parte contro l'altra, che avrebbero dovuto trovare riscontro probatorio in ulteriori elementi non dedotti e provati dalle convenute. 9. Con riguardo alla domanda di risarcimento per immissioni moleste proveniente dalla canna fumaria degli attori, anche di tale asserzione, nulla è stato provato e nemmeno dedotto in modo circostanziato, limitandosi in sede di comparsa di costituzione a dichiarare che "Le convenute rilevano che dalla proprietà attorea pervengono delle immissioni nocive sul fondo delle convenute. Infatti sulla proprietà dei convenuti vi è lo sfiato di una canna fumaria maleodorante proveniente dal bagno degli attori, ...". E' evidente come tale domanda non possa trovare alcun accoglimento laddove non accompagnata da alcun elemento preciso in ordine alla frequenza, tipo di immissioni e caratteristiche delle stesse, oltre a essere rimasta sfornita di alcun principio di prova nel corso del processo. Ne consegue il rigetto sia della domanda di rimozione della canna, sia della conseguente richiesta di condanna per i paventati danni derivanti dalle immissioni moleste della stessa. 10.1 Con riguardo alla domanda di canalizzazione della grondaia di scolo delle acque delle parti attrici si evidenzia come il CTU abbia accertato che "Il pluviale come si può vedere da Fig. 8, è posizionato sul muro di confine della proprietà (...) verso il cortile (...) a circa 15 cm dal confine. Tale condotta è intubata a raso cortile e regolarmente incanalata. Dall'ispezione effettuata tale manufatto non dovrebbe provocare versamenti d'acqua sulla proprietà (...). Ciò nonostante il codice civile art. 889 impone una distanza di un metro dal confine". 10.2 In punto di diritto si deve evidenziare come in materia di distanza tra un canale di gronda e la linea di confine trova applicazione l'art. 889 comma secondo c. c., secondo il quale per i tubi di acqua pura o lurida (cui vanno assimilati i canali di gronda) e loro diramazioni, deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine, sulla base di una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria ed è irrilevante la posizione parallela, perpendicolare, convergente etc. che il tubo possa assumere rispetto alla linea di confine con il fondo vicino (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14273 del 24/05/2019; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 20046 del 30/07/2018; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6235 del 15/03/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2558 del 02/02/2009). 10.3 Accertata, pertanto, l'illegittima collocazione del canale di gronda, a distanza inferiore da quella legale, è necessario verificare se sussista in capo alle convenute un danno-conseguenza risarcibile. Sul punto nulla è stato né dedotto, né provato, limitandosi le parti convenute a dedurre uno scolo illecito sul loro fondo delle acque provenienti dal fondo confinante e tout court la condanna alla canalizzazione della grondaia di scolo e al risarcimento. Rilevato che il CTU non ha accertato alcuno scolo illegittimo delle acque sul fondo delle convenute e appurato che le stesse nessuna prova hanno fornito in merito, la domanda risarcitoria non può trovare accoglimento, dovendosi ritenere che la giurisprudenza formatasi in materia di presunzione assoluta di dannosità della grondaia posta a distanza inferiore a un metro dal confine, valga con esclusivo riferimento alla richiesta di spostamento della stessa in osservanza ai requisiti minimi di distanza legale. In tal senso, il proprietario non ha alcuna necessità di attendere il verificarsi del danno potendo agire in via preventiva ex art. 889 c.c., e sulla base di una presunzione assoluta di dannosità. In materia di risarcimento ex art. 2043 c.c., invece, si ritiene che valgano i principi generali espressi nella materia del fatto illecito con conseguente onere della parte di provare prima il danno- evento e, poi, il danno-conseguenza. 10.4 Anche la domanda di canalizzazione della grondaia di scolo non può essere accolta in quanto, in base all'accertamento esperito dal CTU, la stessa risulta già correttamente canalizzata, seppur illegittimamente collocata a una distanza inferiore a quella minima di legge. Sul punto, rilevato come le parti convenute non abbiano avanzato alcuna domanda di spostamento della grondaia rispetto ai confini del proprio fondo, entro le preclusioni processuali maturate con l'atto introduttivo, nulla potrà essere ordinato alle parti attrici, non potendosi emettersi una pronuncia ultra petita ed essendo evidente la diversità di oggetto tra la richiesta di condanna alla canalizzazione e l'ordine di spostamento di una grondaia già correttamente canalizzata. 11. Infine, con riguardo alle doglianze delle convenute relative alla scala elicoidale, costruita in difformità al regolamento comunale, risulta assorbente il rilievo che nessuna difformità è stata riscontrata dal CTU, né con riguardo ai regolamenti comunali ivi vigenti, né con riguardo alle distanze di cui agli art. 873 e segg. c.c.. 12. La domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. avanzata dalle convenute non può trovare accoglimento non sussistendo i presupposti della lite temeraria da parte degli attori; al contrario, risultando fondata, almeno una delle domande avanzate, con riguardo all'illegittimo ancoraggio del faldale della tettoia al muro di proprietà esclusiva delle stesse. 13.1 Sussiste la reciproca soccombenza delle parti in considerazione dell'accoglimento solo parziale di una delle domande avanzate dalle parti attrici e del rigetto integrale delle domande riconvenzionali avanzate dalle parti convenute, con conseguente compensazione integrale delle spese di lite tra le parti attrici e le parti convenute (Cass. Sez. 3, Cass. Sentenza n. 516 del 15/01/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016; Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 21684 del 23/09/2013; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 22381 del 21/10/2009). 13.2 Nei confronti del terzo chiamato, invece, si ravvisa la totale soccombenza delle parti convenute, le cui domande, avanzate nei confronti del terzo, sono state integralmente rigettate. La liquidazione del compenso va effettuata ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (come modificato dal D.M. n. 37 del 2018), tenuto conto dei parametri per la sua determinazione di cui all'art. 4 e, in particolare, delle caratteristiche, dell'urgenza e del valore dell'affare, nonché del numero e della complessità delle questioni giuridiche trattate. 13.2.1 La liquidazione deve avvenire in base allo scaglione relativo alle cause di valore indeterminabile a complessità bassa, considerato che le parti convenute hanno avanzato una serie di domande relative a molteplici danni, rimettendo la determinazione del quantum della condanna al risarcimento all'equità del Tribunale adito, e con applicazione dei compensi medi previsti per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, e del valore massimo per la fase di trattazione/istruttoria stante lo svolgimento di più udienze (CTU e testi) per l'assunzione delle prove costituende, particolarmente laboriose. 13.2.2. Gli onorari vengono, pertanto liquidati in Euro.8.974,00 per compensi, oltre oneri accessori e rimborso spese forfettarie del 15% ai sensi dell'art. 2, co. 2, D.M. n. 55 del 2014. 14. Infine, le spese di CTU devono porsi definitivamente a carico delle parti attrici nella misura del 50% e a carico delle parti convenute nella misura del 50% in considerazione dell'utile operato del consulente sia in ordine alle domande svolte dalle parti attrici che in ordine alle domande riconvenzionali avanzate dalle parti convenute. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara accertato l'illegittimo ancoraggio del faldale della tettoia a mezzo di rivetti e per l'effetto condanna gli eredi di (...) e (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), in solido tra loro, alla rimozione dello stesso; - rigetta tutte le altre domande avanzate da (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)); - rigetta tutte le domande avanzate da (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)); - dichiara integralmente compensate le spese di lite tra le parti attrici, (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), e (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)); - condanna gli eredi di (...) e (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), in solido tra loro, alla refusione delle spese di lite in favore di (...) (C.F. (...)) che liquida nella somma di Euro 8.974,00 per compensi, oltre IVA, CPA, e rimborso spese generali del 15% come per legge; - pone definitivamente le spese di CTU per il 50% in capo a (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), in solido tra di loro, e per il 50% in capo a (...) (C.F. (...)) in qualità di erede di (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), come già liquidate con separato decreto del 11 gennaio 2021, con i conseguenti obblighi restitutori. Così deciso in Ivrea il 12 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA Il TRIBUNALE ORDINARIO DI IVREA, in composizione collegiale nelle persone dei magistrati: dott. Alessandro SCIALABBA - Presidente dott.ssa Rossella MASTROPIETRO - Giudice rel./est dott.ssa Alberto Angelo BALZANI - Giudice sentito il relatore all'esito dell'udienza celebrata da ultimo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1731/2021 R.G. anno 2021 avente ad OGGETTO: Interdizione PROMOSSA DAI RICORRENTI (...), n. a C. (T.) il (...), res. in B. D'A. (V.), Via C. n.26, CF: (...), e (...), n. a I. (T.) il (...), res. in I. (T.), Via L. S. M. n.30, C.F. (...), rappresentati e difesi dall'avv. Ma.Mo. e in Ivrea, presso il suo studio in C.so (...), n.1, elettivamente domiciliati per separate deleghe in atti; nei confronti di (...), nata a P. S. M. (A.) il (...), c.f.: (...), residente in I., via S. G. 18/b ed attualmente domiciliata presso RS.SA., via (...), Ivrea. e con l'intervento di PROCURA DELLA REPUBBLICA DI IVREA, in persona del Procuratore della Repubblica RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso iscritto in data 21.5.2021, i ricorrenti, figli della beneficianda, hanno chiesto che fosse pronunciata l'interdizione della madre, affetta da "SINDROME INVOLUTIVA SENILE" e "completamente non orientata nel tempo e nello spazio"; la (...) in data 10 marzo 2015 veniva ricoverata presso l'Ospedale di Ivrea ove le veniva riscontrata "emorragia subaracnoidea diffusa con inondamento del IV e III ventricolo e dei corni occipitali dei ventricoli laterali" ed in seguito otteneva riconoscimento dell'invalidità per handicap grave in base la legge 104 art. 3 comma 3 per "PERDITA DELLE AUTONOMIE MOTORIE E ADL IN ESITI DI RECENTE EMORRAGIA CEREBRALE DA ROTTURA DI ANEURISMA FAC". L'interdicenda non era pertanto in grado di attendere alle incombenze, neppur quelle quotidiane, della vita né, a maggior ragione, ad alcun affare economico. (cfr. ricorso introduttivo). Adottati i provvedimenti di cui all'art. 713 c.p.c., all'udienza del giorno 13.10.2021, si procedeva all'esame dell'interdicenda; all'esito, il figlio ricorrente (...) veniva nominato tutore provvisorio della beneficianda (nulla opponendo il fratello). Le circostanze esposte in ricorso hanno trovato riscontro nella documentazione medica allegata al medesimo e, in particolare: a) nella relazione clinica del 12.4.2021 a firma della dott.ssa (...) che attesta che la (...), affetta da sindrome involutiva senile, risulta completamente non orientata nel tempo e nello spazio (cfr. doc. 3); b) nel verbale di dimissioni dell'Ospedale di Ivrea a seguito di ricovero del 9.4.2015 nel quale si certifica che la paziente era stata attinta da emorragia subaracnoidea diffusa con inondamento del IV e III ventricolo e dei corni occipitali dei ventricoli laterali (cfr. doc. 4); c) nel Verbale del 30.3.2017 di visita della Commissione per le Invalidità laddove la (...) viene riconosciuta portatore di handicap in situazione di gravità (cfr. doc. 5); d) nel verbale di dimissioni del 28.12.2018 laddove a seguito di ricovero in urgenza si rendeva diagnosi di "anomalie comportamentali ed agitazione psicomotoria in sindrome evolutiva senile." (doc. 7). La sussistenza dei presupposti di legge per la pronuncia di interdizione è emersa altresì dagli esiti dell'esame dell'interdicenda, che non è stata in grado di rispondere ad alcuna delle semplici domande che le venivano rivolte, salvo riferire il nome di battesimo dei figli presenti, che però non ha saputo dire chi fossero ne se fossero i suoi figli. (cfr. verbale di udienza di esame del 13.10.2021). Il quadro probatorio sopra riportato rende evidente che la beneficianda non è in grado di intendere e volere, di determinarsi in modo autonomo ed è apparsa affatto collocata nel tempo e nello spazio o comunque non consapevole delle sue patologie e delle sue difficoltà. Il deficit cognitivo da cui è affetta l'interdicenda è sicuramente abituale e permanente e, per la sua gravità, esclude del tutto la capacità della medesima di provvedere alla cura della sua persona, della salute e dei propri interessi; la gravità ed entità dell'indicato deficit, inoltre, rende sicuramente non adeguata qualsiasi altra misura di protezione. Nessun approfondimento istruttorio- pure richiesto in sede di precisazione delle conclusioni definitive dai ricorrenti (che invece all'esito dell'esame avevano chiesto fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni) - risulta necessario, alla luce delle emergenze di causa. Non si può procedere alla conferma della nomina di tutore definitivo pure richiesta dai ricorrenti, risultando tali poteri di competenza del giudice tutelare. Va disposta la trasmissione di copia della presente sentenza alla cancelleria del Giudice Tutelare dell'intestato Tribunale, anche al fine di consentire l'acquisizione di elementi utili di valutazione per la nomina del tutore. In considerazione della natura del giudizio e dei rapporti tra le parti, sussistono gravi motivi per compensare integralmente tra le medesime le spese del presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale ordinario di Ivrea, definitivamente pronunciando, in accoglimento delle conclusioni trasmesse dal P.M. in data 23.11.2021, rigettata ogni diversa istanza ed eccezione, così provvede: 1) DICHIARA l'interdizione di (...), nata a P. S. M. (A.) il (...), c.f.: (...), residente in I., via S. G. 18/b ed attualmente domiciliata presso RS.SA., via (...), Ivrea. 2) COMPENSA le spese di lite tra le parti. 3) DISPONE la trasmissione alla cancelleria del Giudice Tutelare presso l'intestato Tribunale di copia della presente sentenza, per le determinazioni di competenza; Manda alla cancelleria per gli incombenti di rito. Così deciso in Ivrea il 21 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2022.

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