Sentenze recenti Tribunale La Spezia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA In funzione di giudice del lavoro e della previdenza sociale, in persona del giudice Marco Viani, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa iscritta al n. 274/19 RGL promossa da (...), c. f. (...), residente a (...), con domicilio eletto a Sarzana via (...) presso lo studio dell'avv. Ma.Gi. (PEC (...)) che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso ricorrente Contro (...) S.P.A., c. f. (...), in persona dell'amministratore delegato (...), e (...) S.P.A., c. f. (...), in persona dell'amministratore delegato (...), entrambe con sede alla Spezia e domicilio eletto a Parma strada (...) presso lo studio del prof. avv. An.Gi. (PEC (...)) che le rappresenta e difende per procure depositate in via telematica con le memorie di costituzione convenuti MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 28.2.2019 (...), dipendente di (...), assunto il 1.3.2005 nella sede di (...) con mansioni di addetto alla manutenzione delle reti di fognatura, ha esposto: - il 1.2.2006 era stato trasferito presso la sede di (...); alle sue mansioni si aggiungevano quelle di prevenzione sul territorio di nove comuni; - l'orario 7.30-13,30 oppure 13,30-19,15 gli consentiva di gestire la difficile situazione familiare: il padre portatore di handicap in condizione di gravità, la madre a sua volta bisognosa di cure; - nel 2014 la Società passava dall'orario a turni a quello giornaliero e il ricorrente passava all'orario 7,45-12,45 per cinque giorni settimanali con tre rientri 14,10-17,30; - sia per il mutamento di orario, sia per il peggioramento delle condizioni del padre il ricorrente si assentava dal lavoro ai sensi della L. n. 104 del 1992; - nel 2014 era stato nominato assessore all'ambiente, ai servizi sociali e al personale del Comune di Pignone; - in tale veste, dopo varie indagini aveva rilevato che il sollevamento fognario della fraz. (...) era colmo di ghiaia con la fognatura che scaricava nel canale, le uscite dei depuratori erano nere e si versavano nei canali con odori insopportabili, le sorgenti dell'acqua potabile erano introvabili; - aveva pertanto chiesto un incontro con la società (...), da cui aveva preso avvio un intervento di risanamento; era stata anche aperto un fascicolo presso la Procura; - terminata l'aspettativa, gli era stato diminuito il lavoro e l'automezzo destinato allo spurgo era stato spostato sulla sede della Spezia, obbligandolo a chiedere il mezzo ai colleghi della Spezia, restando inoperoso se non arrivavano; - nel 2016, all'esito di una procedura di flessibilità, era stato individuato come esubero insieme a un altro lavoratore; sebbene due licenziamenti avessero fatto venir meno gli esuberi, era passato ad altra società del gruppo ((...)), con trasferimento a Pomara, mansioni di addetto al servizio porta a porta e orario 5,30-11.30 che lo obbligava a partire alle 4,50 da casa e rendeva ingestibile la sua situazione familiare; - nel corso di un colloquio, il Presidente della Società gli aveva riferito di avere le mani legate; - il 5.7.2016 suo padre era morto e subito dopo il ricorrente era stato trasferito a (...) con orario 6-12 e mansioni di addetto alla spazzatura per tre giorni alla settimana, di addetto al porta a porta per gli altri tre giorni; - il 22.2.2017 aveva subito un infortunio e il giorno successivo gli era stato preannunciato che al suo rientro sarebbe stato nuovamente assegnato a Pomara; - il 25.4.2017 era rientrato ed era rimasto a (...), addetto al solo porta a porta, con il preavviso che a fine stagione sarebbe tornato a Pomara; - inoltre, a novembre 2016 era stato collocato in ferie d'ufficio ma a dicembre non gli erano stati concessi altri giorni di ferie; a Natale 2016 gli era stato assegnato un servizio straordinario che gli aveva impedito di partecipare al pranzo aziendale; il 12.4.2017 aveva chiesto il permesso di uscire alle 8:00 per un appuntamento con un dirigente della Provincia e l'azienda lo aveva inviato molto lontano impedendogli di arrivare puntuale. Argomentando che le condotte erano contraddistinte da finalità persecutoria, motivata dalla volontà di colpirlo per la sua attività politica, dando atto che in conseguenza del mobbing aveva sviluppato un disturbo depressivo maggiore e attualmente era ancora affetto da disturbo dell'adattamento misto, ha chiesto l'accertamento dell'illiceità del trasferimento ad (...), con ordine di riassunzione presso (...), e la condanna di entrambe le società al risarcimento del danno biologico, esistenziale e morale. Le convenute resistono. Il ricorrente, quindi, individua come indici della lamentata condotta mobbizzante: - il cambiamento dell'orario di lavoro in corrispondenza con il peggioramento delle condizioni del padre; - al termine dell'aspettativa, la diminuzione del lavoro e la privazione dell'automezzo di servizio; - la successiva individuazione come esubero insieme con un collega, confermata nonostante il licenziamento dei colleghi (...) e (...) avesse fatto venir meno l'esubero e nonostante l'altro dipendente individuato fosse stato presto reintegrato nel settore fognature e fossero anzi stati assunti i lavoratori (...) e (...); - il carattere immotivato del trasferimento, che comportava pesanti mansioni e orario gravoso; - il nuovo trasferimento a (...) dopo la morte del padre, quando l'esigenza di assistenza familiare era quindi venuta meno; - il fatto che, rientrato da un infortunio, il datore di lavoro lo avesse dapprima lasciato a (...) per il solo porta a porta con il preavviso di un successivo rientro a Pomara; - la collocazione, nel novembre 2016, in ferie d'ufficio seguita il mese dopo dal rifiuto di concedere ferie; - l'impedimento frapposto dal datore di lavoro alla sua partecipazione al pranzo aziendale di Natale 2016 e successivamente, il 14.2.2017, al suo incontro con un dirigente della Provincia. Sostanzialmente, poi, secondo l'impianto generale del ricorso, la condotta mobbizzante avrebbe un fondamento ritorsivo, connesso all'attività politica del ricorrente, che, come assessore del Comune di Pignone, avrebbe rilevato irregolarità del sistema fognario, e alla successiva apertura di un procedimento penale da parte della locale Procura della Repubblica. Le convenute replicano: - il cambiamento riguardava tutto il personale, tranne quello espressamente escluso; - la riunione a cui parteciparono il ricorrente, nella sua qualità di assessore, e l'azienda non era determinata da alcuna contestazione e non ha alcun nesso con la successiva indagine della Procura, ma nasceva dalla necessità di fare il punto sulla gestione alla luce dei lavori in corso dopo l'alluvione del 2011; - l'accentramento dei mezzi fu un provvedimento generale; - gli esuberi sono stati regolati da accordi sindacali e le relative procedure sono già state giudicate legittime dal Tribunale e dalla Corte d'Appello in controversie a cui il ricorrente non ha preso parte; l'altro esubero era stato assegnato a un settore poi smantellato e in ogni caso in graduatoria si posizionava dopo il ricorrente, i due dipendenti licenziati facevano parte dell'area fognatura e non del (...) e una delle loro posizioni fu poi soppressa per "efficientamento" mentre (...) e (...) erano già in servizio e non erano stati assunti ex novo, ed erano stati assegnati al depuratore degli Stagnoni e non al settore fognature; - il ricorrente, prima di essere assegnato a (...), dove comunque non c'era più una unità operativa stabile, doveva seguire l'addestramento e le condizioni del padre non erano note al datore di lavoro; - dopo l'infortunio, il ricorrente era rimasto in sede a (...) in attesa della visita medica; - il pranzo aziendale non era organizzato dalla Società ed era forse un'iniziativa privata dei dipendenti, in ogni caso il ricorrente era stato inviato a far fronte a una necessità; per il 14.2.2017 non risultano richieste di permesso; - successivamente, da luglio 2018, il ricorrente era stato assente per aspettativa non retribuita, e a marzo 2019 era risultato permanentemente inidoneo alla mansione e idoneo ad altra mansione. Si deve premettere che, secondo la ricostruzione ormai consolidata, il mobbing è un "complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo... ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro rilevano i seguenti elementi, il cui accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutori o, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio. Elementi questi che il lavoratore ha l'onere di provare in applicazione del principio generale di cui all'art. 2697, cod. civ., e che implicano la necessità di una valutazione rigorosa della sistematicità della condotta e della sussistenza dell'intento emulativo o persecutorio che deve sorreggerla... La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'elemento qualificante del mobbing, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, sicché la legittimità dei provvedimenti può rilevare indirettamente perché, in difetto di elementi probatori di segno contrario, sintomatica dell'assenza dell'elemento soggettivo che deve sorreggere la condotta, unitariamente considerata; parimenti la conflittualità delle relazioni personali all'interno dell'ufficio, che impone al datore di lavoro di intervenire per ripristinare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, può essere apprezzata dal giudice per escludere che i provvedimenti siano stati adottati al solo fine di mortificare la personalità e la dignità del lavoratore... Dunque, come recentemente affermato da questa Corte, ai fini della configurabilità di una ipotesi di 'mobbing', non è condizione sufficiente l'accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione" (si cita dalla motivazione di Cass., 29.12.2020 n. 29767). Va poi rammentato che, ai sensi dell'art. 1, commi 563 sgg., L. n. 147 del 2013: "563 Le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, o dai loro enti strumentali, ad esclusione di quelle emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e delle società dalle stesse controllate, anche al di fuori delleipotesi previste dall'articolo 31 del medesimo D.Lgs. n. 165 del 2001, possono, sulla base di un accordo tra di esse, realizzare, senza necessità del consenso del lavoratore, processi di mobilità di personale anche in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, in relazione al proprio fabbisogno e per le finalità dei commi 564 e 565, previa informativa alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato, in coerenza con il rispettivo ordinamento professionale e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Si applicano i commi primo e terzo dell'articolo 2112 del codice civile. La mobilità non può comunque avvenire tra le società di cui al presente comma e le pubbliche amministrazioni. "564. Gli enti che controllano le società di cui al comma 563 adottano, in relazione ad esigenze di riorganizzazione delle funzioni e dei servizi esternalizzati, nonché di razionalizzazione delle spese e di risanamento economico-finanziario secondo appositi piani industriali, atti di indirizzo volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione di personale mediante le procedure di mobilità di cui al medesimo comma 563. "565. Le società di cui al comma 563, che rilevino eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o ai casi di cui al comma 564, nonché nell'ipotesi in cui l'incidenza delle spese di personale sia pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti, inviano alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato un'informativa preventiva in cui sono individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza. Tali informazioni sono comunicate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri -- Dipartimento della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non possono essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove assunzioni. Si applicano le disposizioni dell'articolo 14, comma 7, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135. "566. Entro dieci giorni dal ricevimento dell'informativa di cui al comma 565, si procede, a cura dell'ente controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell'ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente o dai suoi enti strumentali con le modalità previste dal comma 563. Si applica l'articolo 3, comma 19, della L. 28 giugno 2012, n. 92, e successive modificazioni. "567. Per la gestione delle eccedenze di cui al comma 566, gli enti controllanti e le società partecipate di cui al comma 563 possono concludere accordi collettivi con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative finalizzati alla realizzazione, ai sensi del medesimo comma 563, di forme di trasferimento in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo operanti anche al di fuori del territorio della regione ove hanno sede le società interessate da eccedenze di personale. "567-bis. Le procedure di cui ai commi 566 e 567 si concludono rispettivamente entro 60 e 90 giorni dall'avvio. Entro 15 giorni dalla conclusione delle suddette procedure il personale può presentare istanza alla società da cui è dipendente o all'amministrazione controllante per una ricollocazione, in via subordinata, in una qualifica inferiore nella stessasocietà o in altra società". Il ricorrente non ha contestato l'applicabilità di questa disciplina al caso di specie; in particolare, è pacifico che le società convenute siano controllate, direttamente o indirettamente, dagli enti locali. La ristrutturazione di cui oltre si dirà deve quindi trovare la propria fonte normativa in queste disposizioni. Va poi osservato che in ricorso (...) contesta il proprio passaggio ad (...) soltanto perché viziato da un intento persecutorio, e non per vizi suoi propri. Non è quindi necessario indagare la legittimità intrinseca della procedura, quindi, e solo per completezza si richiamano, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.. le pronunce di questo ufficio (Trib. Spezia, ord. 4615/14; sentt. 10/16, 56/16, 460/16), prodotte dalle parti convenute, che l'hanno affermata. Ora, seguendo l'ordine cronologico della vicenda come esposta in ricorso, già sulla base delle allegazioni di (...) il cambiamento di orario sembra essere un provvedimento di carattere generale e non è quindi neppure ipotizzabile che sia indicativo di un atteggiamento persecutorio nei suoi confronti. Nell'impostazione di (...), come si è visto, la chiave di volta dell'intera vicenda è costituita dalla sua attività di assessore del Comune di Pignone, e segnatamente dalle indagini da lui promosse che avrebbero consentito di rilevare irregolarità della gestione, da parte di (...), degli scarichi fognari nel territorio comunale: in relazione a queste indagini lo stesso (...), nella sua veste di assessore, avrebbe promosso un incontro con la Società e dalle medesime indagini sarebbe scaturita un'indagine della Procura della Repubblica presso il locale Tribunale. All'esito dell'istruttoria, tuttavia, la tesi non ha trovato conferma. Si premette in linea generale che i testi indicati dalle convenute non possono ritenersi inattendibili per il solo fatto che siano dipendenti dell'una o dell'altra Società, e tanto meno, nel caso di T., per il fatto che ne sia stato chiesto il rinvio a giudizio nel procedimento penale sopra ricordato, fermo che, come già rammentato dal giudice nell'ordinanza inserita nel verbale di udienza del 28.6.2021, il teste non può essere obbligato a deporre su fatti da cui potrebbe emergere una sua responsabilità penale. Neppure potrebbe ritenersi del resto inficiata l'attendibilità dei testi (...) e (...) dal fatto di essere stati licenziati dalla Società e di aver avuto, o di avere tuttora, con la stessa un contenzioso giudiziario in sede civile e penale. Ciò premesso, sotto un primo di vista, i testi hanno riferito che la riunione aveva una portata diversa e in buona parte routinaria: "...So da una relazione di (...), allora direttore operativo di (...), che mi è pervenuta che c'è stata una serie di incontri con alcuni comuni, non solo quello di Pignone: era abitudine di (...) fare incontri con amministrazioni comunali che ne facevano richiesta, se la materia era amministrativo-politica andavo io, altrimenti se era tecnica andava F.. Io tendenzialmente incontravo i sindaci, almeno nei comuni piccoli non ricordo di aver incontrato assessori. Credo che questa riunione con il comune di Pignone fosse collegata a disfunzionalità degli impianti: io stesso ho avuto più volte, direttamente dalla sindaca (...) non è un refuso: risulta in atti che la Sindaca aveva lo stesso cognome del ricorrente, come le avevo da altri sindaci, segnalazioni della necessità di lavori di manutenzione o dinuove opere; anche se in teoria queste segnalazioni dovrebbero passare attraverso l'Ente di Governo EGATO, di fatto i contatti c'erano..." (P.); "...Ho partecipato quanto meno a un incontro con la rappresentanza politica del Comune di Pignone costituita dal sig. (...), non saprei dire se presso il Comune di Pignone o altrove. Mi sembra di ricordare, e posso dedurre, che la riunione fosse riferita alle componenti del servizio che riguardano il settore ambientale, quindi in senso più lato l'acquedotto e in senso più specifico il depuratore. Mi sembra di ricordare che fosse un periodo di rivisitazione dell'assetto infrastrutturale in previsione, immagino, delle proposte di investimento da sottoporre all'ente di ambito territoriale; in particolare ricordo bene che il comune di Pignone era stato soggetto a danni nell'alluvione del 2011 e quindi senz'altro la discussione verteva sulla situazione attuale, sullo stato funzionale e sulle prospettive di recupero infrastrutturale del deficit creatosi per effetto dell'alluvione, i cui effetti si protraggono, sia pure marginalmente, tuttora. Non solo non c'erano state segnalazioni di inadempienze, ma a mia memoria le analisi degli enti competenti, cioè (...) quanto alla potabilità dell'acqua e ARPAL per la conformità della parte depurativo-fognaria, non avevano portato alla luce alcuna difformità significativa; anzi mi sembra di ricordare di aver riferito che sia le prestazioni minime garantite erano sufficienti a non determinare alterazioni ambientali, sia lo schema impiantistico presente era coerente con la minima infrastrutturazione prevista per quei bacini di utenza dalle norme. Vorrei precisare che nella stessa giornata o quanto meno nello stesso contesto temporale avevamo avuto un incontro equipollente con il Comune di Ortonovo... La ricostruzione che mi leggete cioè il capitolo n. 46 delle parti convenute: "La riunione ebbe il seguente svolgimento: il dott. (...) (o chi per lui) illustrò la genesi dell'assetto depurativo allora attuale, le conseguenze dell'alluvione, i ripristini già fatti e quelli ancora da effettuare, precisando che l'assetto idrico era conforme a quanto era prescritto dalla legge in tema di trattamento minimo ed era il risultato di una valutazione di priorità effettuata a livello comprensoriale; il dott. (...) (o chi per lui) descrisse e spiegò alcuni indici (LIM) e alcune analisi che attestavano una situazione ambientale comunque buona a dimostrazione del fatto che il livello depurativo minimo consentito dalla legge era sufficiente a conservare uno stato ambientale buono, pur a fronte dell'inevitabile diminuzione dell'efficienza di abbattimento, data dalla tipologia impiantistica meno articolata, determinatasi a seguito dei danni alluvionali; il dott. (...) (o chi per lui) illustrò la tempistica dei Piani di interventi (ripristino parte biologica per depuratore Monti, previsto per il 2017,e ripristino parte biologica del depuratore D.C., previsto per il 2020), precisando che, in caso di finanziamenti, si sarebbero anticipati i tempi; Il dott. (...) concordò che, entro fine anno 2015, sarebbe stata prodotta una progettazione utile per consentire al comune di chiedere alla Regione di veicolare risorse aggiuntive rispetto alla tariffa e conseguentemente anticipare le tempistiche di realizzazione delle implementazioni impiantistiche rispetto alle previsioni del Piano ATO; il dott. (...) concordò di provvedere, con forze interne ad (...), a realizzare, anche grazie delle modifiche attuate all'orario di lavoro e con l'aiuto del Comune (che avrebbe dovuto fornire un escavatore da impiegarsi continuativamente sul depuratore di D.C.) al ripristino di almeno una parte del fitodepuratore alluvionato, da imputarsi alla voce"manutenzione straordinaria impianti trattamento", inclusa nel Pdl" è corretta per come ricordo di aver rendicontato l'incontro all'Amministratore unico della società e all'Amministratore Delegato del gruppo; preciso che il motivo di questa rendicontazione stava nel fatto che l'incontro non era avvenuto con tecnici ma con esponenti politici dell'amministrazione..." (F.); "...La data non la ricordo, so che ci sono stati molti incontri con il comune di Pignone all'epoca in cui il sig. (...) era assessore. Io ho partecipato a diversi di questi incontri; è probabile che in alcuni di questi incontri fosse presente il dott. (...) ma ora non ne ho memoria; era invece sempre presente il Sindaco. Sicuramente questi incontri erano collegati ai guasti causati dall'alluvione del 2011, da cui il Comune di Pignone era stato gravemente danneggiato e in conseguenza dei quali guasti avevamo svolto numerosi lavori che nel 2015 mi pare che stessero volgendo al termine. Era naturale che come (...) interloquissimo con tutti i comuni che servivamo, ogni tanto venivamo convocati da uno di questi comuni per aggiornamenti sulla situazione. Ricordo che il Comune di Pignone segnalava problematiche che più che altro nascevano da segnalazioni di cittadini, per lo più relative a odori e a volte anche relative a preoccupazioni sulla qualità degli scarichi. Noi a queste segnalazioni rispondevamo. La maggior parte degli incontri erano relativi allo sviluppo dei lavori, ma qualche incontro era collegato a queste segnalazioni. Ora non ricordo esattamente se questo incontro specifico rientrasse nell'una o nell'altra categoria. Non ricordo se l'inchiesta in Procura riguarda anche situazioni relative al Comune di Pignone. All'epoca io di questa inchiesta non sapevo nulla e non sapevo nemmeno che ci fosse, io ne ho saputo solo dopo che avevo lasciato il lavoro da alcuni mesi. Non ricordo se a uno di questi incontri parteciparono la maggioranza e la minoranza consiliare, può anche darsi di sì ma non ne ho memoria. Confermo che quelli che mi si leggono cfr. il capitolo n. 46 sopra trascritto erano argomenti discussi. Non sono però in grado di ricondurli specificamente a questa riunione..." (T.). Dalla relazione di (...), sostanzialmente confermata dai testimoni attraverso il richiamo ad essa, si desume che la riunione avvenne nella settimana del 20 febbraio 2015. Il carattere routinario della riunione non viene meno per il fatto, evidenziato dal ricorrente nelle sue note difensive, che, a quanto riferisce il teste (...), a sua memoria "quella è stata l'unica riunione con esponenti di A.": non si tratta, infatti, di stabilire se dirigenti del gruppo (...) abbiano fatto altre riunioni con gli organi del (piccolo) comune di Pignone, ma se ne abbiano fatte altre con organi di altri comuni. Non arrecano elementi in contrario, per la loro sostanziale genericità, le deposizioni dei testi (...), (...), (...), (...). Che il ricorrente si fosse occupato, da assessore, dei problemi delle sorgenti e dei depuratori indicati in ricorso non è nemmeno propriamente contestato e si può ritenere accertato alla luce delle deposizioni di (...) (secondo cui il ricorrente ha scoperto una parte di questi problemi, lui stesso gli ha segnalato delle perdite, (...) ha organizzato un incontro con i gruppi di maggioranza e opposizione), (...) (secondo cui da assessore (...) ha fatto le indagini indicate in ricorso, peraltro già rilevate in precedenza dagli spurghisti (...) e fatte oggetto di segnalazione), (...) (al corrente delle indagini limitatamente ai depuratori), (...) (secondo cui (...) aveva fatto fare verifiche sui depuratori, c'era un depuratore che non funzionava, ma non rammenta i particolari). Della riunione con (...), peraltro, (...) non è al corrente, (...) ne sa solo per averne sentito parlare in azienda, e così verosimilmente anche (...), ma non è chiaro quale sia la loro fonte, il solo (...) ne riferisce per conoscenza diretta ma in termini generici e in parte dubitativi: "...So che il sig. (...) ha convocato una riunione con i consiglieri comunali su questi argomenti perché ricordo di avervi partecipato, anche se non ricordo i particolari... ricordo solo che si parlava dei depuratori. A quella riunione credo che fossero presenti dirigenti di (...) ma non so precisare di chi si trattasse; posso dire che erano stati presentati come persone che intervenivano per conto di (...) ma non so precisare esattamente di quale società del gruppo... A mia memoria quella è stata l'unica riunione con esponenti di A.". Soprattutto, è rimasto sostanzialmente privo di prova che l'attività politico-amministrativa di (...) abbia provocato la successiva indagine della Procura. Al riguardo, è innegabile, perché è documentato (doc. 13 del ricorrente), che nell'ambito dell'indagine, nel 2017, (...) è stato sentito come persona informata dei fatti. Ciò premesso, va osservato che - sulla base della richiesta di rinvio a giudizio che è stata depositata in atti; non risulta documentato l'esito della successiva udienza preliminare, che era stata fissata per il 13.10.2020 - il procedimento penale aveva riguardato un ampio spettro di condotte, e segnatamente, in tesi accusatoria, i capi di imputazione in ordine ai quali l'autorità requirente aveva chiesto il rinvio a giudizio concernevano: a) la sistematica falsificazione dei formulari di identificazione rifiuti comprovanti il trasporto e l'avvio a smaltimento dei rifiuti raccolti in fosse biologiche e I. dei comuni di Borghetto Vara, Beverino, Sesta Godano, Follo, Rocchetta Vara, Calice al Cornoviglio, Framura, Pignone, Zignago e La Spezia, interventi in realtà mai eseguiti: nella specie, era stata attestata l'avvenuta esecuzione delle operazioni di svuotamento, evacuazione e pulizia delle fosse I. tramite la falsificazione dei documenti in questione, omettendo l'esecuzione dei previsti interventi; nei comuni sopra indicati fra il 2011 e il 2017; b) aver depositato materiali misti derivanti dall'evento alluvionale del 2011, costituenti rifiuti non pericolosi (terra, rocce, plastica, parti di rete metallica e di teli, uno pneumatico, tubi di plastica e di PVC, materiale ferroso in genere), all'interno dell'area del depuratore "D.C." di (...), interrandoli con una pala cingolata e ricoprendoli con cumuli di terreno, così smaltendo illecitamente 100 metri cubi di rifiuti; a Pignone nel giugno 2015; c) aver sversato e spianato sul terreno circostante l'intero contenuto di liquami e rifiuti estratto dalla fossa I. di (...), così smaltendo illecitamente circa 20 metri cubi di rifiuti; a Beverino in epoca prossima al 5.2.2015; d) aver depositato 18 pezzi di lastre di vetroresina costituenti rifiuti non pericolosi all'interno dell'area limitrofa alla fossa I. di P.D.M., interrandoli e ricoprendoli con cumuli di terreno e così smaltendoli illecitamente; a Calice al Cornoviglio nell'anno 2015. Già alla lettura dei capi di imputazione, l'ampiezza spaziale e temporale delle condotte contestate rende difficile supporre che l'indagine sia sorta dall'attività svolta dal ricorrente come assessore del Comune di Pignone. Se pure è vero che il secondo capo di imputazione riguarda il depuratore di Pignone, del quale il ricorrente si è interessato, è altrettanto vero che i fatti, secondo l'autorità requirente, sarebbero avvenuti nel giugno 2015, mentre il ricorrente era assessore sin dal giugno 2014, già il 26 gennaio 2015 veniva segnalata (da tale (...)) all'(...) la necessità di provvedere alla manutenzione del depuratore abbandonato (doc. 6 del ricorrente) e la riunione più volte richiamata sembrerebbe essersi svolta nel febbraio 2015. Per la verità, dato che in sede testimoniale (...) e (...) hanno riferito entrambi di aver denunciato la società, dopo il licenziamento e dopo esserne stati denunciati per appropriazione indebita, per falso (il secondo menziona anche la truffa), appare probabilmente fondata la tesi delle convenute secondo cui l'indagine sorse dalla denuncia di due lavoratori licenziati. Quello che il ricorrente sembra porre come motivo ultimo dell'attività vessatoria ai suoi danni, la ritorsione per aver originato il procedimento penale, si fonda allora su un presupposto di fatto che non è dimostrato in causa. Ma si deve aggiungere un'ulteriore considerazione. Come si è visto, la riunione, verosimilmente, risale al febbraio 2015. Tuttavia, (...) era già rientrato dal congedo straordinario sin da novembre 2014: la circostanza è dedotta dalle convenute e non è stata contestata; si ricava, in ogni caso, dal doc. 8 delle convenute. Ma il ricorrente lamenta uno svuotamento di mansioni che si sarebbe verificato a far data dal suo rientro dall'aspettativa (recte, congedo straordinario): così chiaramente alla pag. 3 del ricorso in cui si dà atto che "...terminati gli otto mesi di aspettativa che sono chiaramente gli otto mesi di congedo straordinario fra il 31.3.2014 e il 30.11.2014 rientrava al lavoro. Si trattava tuttavia di un rientro 'amaro' perché con grande sorpresa e rammarico prendeva atto di un totale cambiamento dell'ambiente lavorativo...". È peraltro evidente come un mutamento dell'ambiente lavorativo che inizia a verificarsi al rientro del lavoratore avvenuto il 30.11.2014 non possa essere una ritorsione in relazione ad attività svolte nel febbraio 2015. Anche per questo motivo non è quindi possibile ipotizzare che vi sia un nesso fra la riunione e, in generale, l'attività politico-amministrativa del ricorrente e, quanto meno, il lamentato "svuotamento" di mansioni. Fermo che l'onere della prova del motivo da lui addotto a fondamento della asserita condotta vessatoria gravava sul ricorrente, cioè, non soltanto la prova non è raggiunta, ma sulla base degli elementi raccolti in atti sarebbe semmai possibile ritenere provato il contrario per presunzione semplice. E, venuta meno la possibilità di configurare in causa una finalità ritorsiva del datore di lavoro in relazione all'attività politico-amministrativa del ricorrente, il giudice non può allora sindacare la scelta produttiva di spostare il mezzo da (...). Che si sia trattato di una scelta produttiva emerge dall'istruttoria: "...Nel periodo peggiore della crisi finanziaria di (...), fra il 2011 e il 2013-2014, avevamo provveduto a molte razionalizzazioni: in particolare, i mezzi di spurgo non potevano più essere dislocati sul territorio, perché non neavevamo più in numero sufficiente, e quindi progressivamente nella sede di Borghetto non ne abbiamo più lasciati mentre li abbiamo concentrati nella sede di (...), e in quella di (...) tenendo conto del fatto che (...) era ed è la sede principale delle fognature..." (...); "...Confermo che era in corso una politica di razionalizzazione delle modalità di utilizzo dei mezzi di spurgo; in pratica il concetto di base era che, laddove in precedenza un mezzo di spurgo era permanentemente dedicato a un'area territoriale anche se marginale come quella della Val di Vara, con periodi di inattività connessi alla minor quantità di reclami e di interventi disfunzionali, successivamente il mezzo di spurgo è stato centralizzato presso la sede centrale del settore fognatura per aumentarne il tasso di utilizzo. La maggior parte dei mezzi di spurgo fu portata a (...), altri furono portati a Spezia, non saprei dire con precisione quali e quanti, mentre prima ce n'erano a Spezia, a (...) e a Borghetto..." (...); "...In questa riorganizzazione erano diminuite le risorse umane e la disponibilità dei mezzi. Confermo che i mezzi di spurgo erano stati accorpati in una struttura centralizzata: prima c'era più disponibilità di risorse che poi si sono ridotte e sulla base di questo l'azienda ha dovuto ottimizzare le risorse. Erano così rimaste due sedi, una a (...) e una a Spezia; penso che per lo più i mezzi di spurgo si trovassero a Spezia e qualcuno a (...), anche se non saprei precisare quali in quale sede. Prima c'era anche un piccolo mezzo di spurgo nella sede di (...) o comunque della Val di Vara. Al momento in cui (...) è rientrato non c'erano più dipendenti delle acque reflue nella sede della Val di Vara, almeno che io ricordi..." (...). In particolare, la scelta produttiva rimarrebbe tale anche se di fatto avesse comportato lo spostamento di un solo mezzo di spurgo da Borghetto a Spezia, e in ogni caso, essendo stata fornita una spiegazione alternativa che appare plausibile, non si potrebbe ritenere dimostrato che la scelta abbia avuto la finalità di lasciare il ricorrente operoso. Va comunque osservato che lo stesso ricorrente non ha affermato in ricorso di essere rimasto completamente inoperoso e che, se (...) ha dichiarato che quando andava a Borghetto lo trovava che non stava facendo niente, si evince dalle deposizioni di altri testi indicati dal ricorrente che, sia pure in misura ridotta e con difficoltà, in qualche modo la sua attività effettivamente continuava. Si pensi alle dichiarazioni di Lucchetti secondo cui il settore acque potabili, di sua iniziativa, ogni tanto prestava una Panda o un camioncino, e qualche volta su richiesta di (...) veniva mandato un autospurgo da Spezia o da (...), ma anche a quelle di (...) che, ha riferito, ogni tanto lo passava a prendere per andare a fare degli interventi. È d'altra parte emerso dall'istruttoria che (...), in quegli anni, aveva smantellato o stava smantellando la struttura di Acque reflue a (...), dove era rimasto soltanto (...) (come si è visto, lo ha dichiarato espressamente T. ma lo si desume anche dalle parole di P.). È del resto pacifico, ed è stato già più volte evidenziato, che le vicende del ricorrente si inseriscono nell'ambito di una procedura di ristrutturazione aziendale che da un lato, come si è sopra detto, si deve ritenere legittima, dall'altro non riguardava soltanto lui. Sul punto, va osservato che anche Lucchetti ha precisato che è successo più volte, "non solo a lui", di chiedere un mezzo a prestito, e, nel riferire che lui si era meravigliato quando aveva appreso che l'autospurgo della sede di Borghetto era sparito perché era necessario per il lavoro, ha utilizzato il plurale: "...se dovevano fare degli interventi senza quello non potevano farli, potevano solo limitarsi al controllo visivo...". Risulta, poi, che successivamente il ricorrente fu individuato come lavoratore da trasferire alla società collegata (...) all'esito di una procedura trasparente, sulla base di parametri predeterminati, e che lo stesso ricorrente era stato posto in condizione di presentare le proprie osservazioni al riguardo. Sul punto si veda principalmente la testimonianza di (...): "...Io nel 2014 ero all'interno dell'Ufficio personale di (...) S.p.A., che come capogruppo si occupava delle problematiche del personale di tutte le società del gruppo. Confermo che le graduatorie di cui mi si chiede furono pubblicate nell'intranet aziendale e quindi tutti i dipendenti potevano consultarle: per la precisione fu fatta una prima graduatoria con l'elenco completo di tutte le posizioni, fu dato un termine di venti giorni per presentare osservazioni e all'esito vennero fatte delle correzioni. In realtà solo nella prima graduatoria del 2013 furono fatte osservazioni e conseguenti correzioni, non ricordo che siano state fatte osservazioni in quelle successive. Non mi occupavo direttamente della gestione del personale, quindi oggettivamente non posso confermare l'organigramma che mi si rammostra anche se ricordo di averlo visto. La collocazione in graduatoria era matematica e derivava dall'applicazione dei criteri di anzianità di servizio per il 70% e di carichi familiari per il 30%... Nella prima fase, con una graduatoria generale, l'azienda individuava le posizioni lavorative in esubero e nella seconda fase l'ufficio personale provvedeva a formare graduatorie per ciascun gruppo di lavoro al fine di individuare i dipendenti in esubero... A memoria ricordo che nel gruppo di lavoro del sig. (...) furono individuati come esuberi lui, che era il primo, e il sig. (...), sulla base dei criteri che ho esposto. Posso dire che il sig. (...) era stato assunto nel 2005 e quindi era uno degli ultimi assunti del suo gruppo. Anche la graduatoria operativa fu pubblicata in intranet e comunicata ai sindacati come previsto dall'accordo. Nel merito dei punteggi non ci furono osservazioni perché erano questioni oggettive...". Si vedano comunque anche le altre deposizioni: "...Le graduatorie operative, conformemente all'accordo sindacale, erano pubblicate in intranet, anche se non so dire con che cadenza; non so precisare quali fossero le modalità dell'accesso a intranet dei dipendenti operativi. Riconosco l'organigramma e la graduatoria generale che mi vengono mostrate. I criteri per la formazione delle graduatorie erano principalmente l'anzianità di servizio e in minor misura i carichi familiari... Nel Gruppo misto (...) la società individuò due esuberi che, in base alla graduatoria, furono individuati nel sig. (...) e nel sig. (...); in concreto non ricordo quali fossero l'anzianità e i carichi di famiglia dei dipendenti interessati. Confermo che questa graduatoria fu pubblicata in intranet, non ricordo se ci furono osservazioni o contestazioni..." (...); "...Per quanto a mia conoscenza, la lista e l'ordine della lista erano generati dai criteri di anzianità di servizio e di carichi familiari derivanti da accordi sindacali; concretamente non mi sono occupato io della gestione delle liste,ma l'ufficio personale. Preciso che erano liste intersocietarie, a livello di gruppo... Ho sentito dire che la graduatoria è stata sottoposta ai sindacati, so che è stata pubblicata in intranet e che i dipendenti erano stati invitati a esprimere eventuali contestazioni; non mi ricordo di contestazioni in genere né, segnatamente, di contestazioni del sig. (...) sulla correttezza della graduatoria... Ho sentito dire che la graduatoria è stata sottoposta ai sindacati, so che è stata pubblicata in intranet e che i dipendenti erano stati invitati a esprimere eventuali contestazioni; non mi ricordo di contestazioni in genere né, segnatamente, di contestazioni del sig. (...) sulla correttezza della graduatoria..." (...); "...Mi risulta che le graduatorie siano state pubblicate in intranet e aggiornate ciclicamente, quindi erano a disposizione di tutti i dipendenti..." (...); "...Confermo che le graduatorie furono pubblicate nell'intranet aziendale: io le ho viste..." (...). D'altra parte, le ulteriori circostanze che, secondo il ricorrente, dimostrerebbero che la necessità di trasferirlo non c'era o quanto meno che in un secondo momento era venuta meno hanno trovato idonea spiegazione alternativa secondo le deduzioni del datore di lavoro. In particolare, per quanto concerne la posizione di (...), cioè l'altro esubero del settore del ricorrente, è risultato che il settore lettura contatori, a cui fu assegnato, fu subito dopo esternalizzato; in ogni caso, nella graduatoria degli esuberi questo lavoratore era collocato in posizione migliore: "...S. fu dislocato alla lettura dei contatori, che era un settore che avevamo acquisito dalla società I. e in cui quindi avevamo bisogno di personale; successivamente la sola parte delle letture fu esternalizzata, tenendo la parte di gestione dei contatori. Questo perché in graduatoria (...) era il n. 1 e (...) il n. 2..." (...); "...Non ricordo a che cosa sia stato assegnato (...), ma posso dire che le posizioni disponibili erano la lettura dei contatori o il porta a porta, qualcuno era riuscito a passare alle pese: in linea di massima il gruppo aveva quattro aziende tutte in eccesso di personale, l'unica che poteva recepire dipendenti era (...) e in massima parte i dipendenti in esubero sono stati trasferiti a quella società. Confermo come mi dite che il settore lettura contatori fu esternalizzato ma non so dire in che data, credo che i dipendenti addetti a quel settore in parte siano stati ricollocati, ma non so dire con precisione in che tempi..." ((...)); "...Che io sappia il settore contatori fu poi smantellato ed esternalizzato ma non saprei dire quando..." (...). Naturalmente, neanche la scelta di esternalizzare il settore lettura contatori può essere sindacata dal giudice nel merito. Per quanto poi riguarda il licenziamento di (...) e (...), che, secondo il ricorrente, avrebbe fatto venir meno gli esuberi nel suo settore, risulta dall'organigramma (doc. 24 di parte convenuta, non specificamente contestato e confermato dal teste (...)) che in realtà afferivano al settore fognature, che era diverso da quello (Gruppo misto (...)) in cui era inserito (...); questo settore non aveva esuberi perché l'unica posizione eccedentaria venne meno per il prepensionamento del lavoratore Tonarelli (...), mentre, dopo il licenziamento di (...) e (...), la società scelse di coprire solo uno dei due posti e sopprimere l'altro (anche questo sostanzialmente confermato da (...)). Per quanto riguarda la posizione di (...) e (...), si trattava di lavoratori che erano già in forza. Si rinviene infatti il nome del primo nell'organigramma doc. 24 alla pag. 10 e nella graduatoria generale doc. 25, non specificamente contestata, al n. 385, il nome del secondo nella medesima graduatoria generale al n. 134; da tale documento si desume che (...) era dipendente di (...) S.p.A. e non di (...) S.p.A., il che forse spiega perché i testi sembrino ricordarlo poco. In ogni caso, non è risultato che i due lavoratori in questione siano stati trasferiti al settore fognature, bensì al settore depurazione, come confermato da (...); per (...) si veda anche il doc. 28 quinquies delle convenute. E ciò a prescindere dal fatto che, come si è detto, il Gruppo misto (...) era distinto dal settore fognature. Il solo teste (...) ha riferito che dopo il trasferimento del ricorrente ci sono stati casi (non di nuove assunzioni, ma) di spostamenti di lavoratori al settore fognature, ma soltanto per sentito dire; il teste, che a quel momento era già stato licenziato, non conosce i nomi dei lavoratori interessati e, pur dichiarando di essere rimasto in contatto con altri colleghi ((...), (...), lo stesso ricorrente), non ha precisato chi sia la fonte della notizia. Ovviamente, se la fonte fosse il medesimo ricorrente, la dichiarazione, che è esplicitamente de relato, sarebbe de relato actoris e non avrebbe alcuna dignità probatoria. Sembra appena il caso di precisare che il giudice non può sindacare nel merito la scelta imprenditoriale di individuare in quale settore vi siano esuberi, o anche di sopprimere posti in organigramma, come pure non può sindacare nel merito la scelta della sede e delle mansioni a cui destinare il ricorrente dopo la sua individuazione come esubero. Si deve anche aggiungere al riguardo che non sarebbe sufficiente, per ravvisare un intento persecutorio, il fatto che la nuova assegnazione rendesse impossibile per il ricorrente l'assistenza al padre infermo, e ciò a prescindere dal fatto che la circostanza dell'assistenza fosse nota al datore di lavoro: cosa che è stata negata da (...) e P.S. con riferimento a loro medesimi, ma che per vero si dovrebbe ritenere, dato che al ricorrente era stata riconosciuta, in relazione alla posizione del padre, la fruizione di permessi ai sensi della L. n. 104 del 1992 ed erano stati riconosciuti, sempre in relazione alla posizione del padre, svariati giorni di congedo straordinario ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001. A questo proposito va aggiunto che non assume rilievo il doc. 11 di parte ricorrente, costituito da una bozza di lettera indirizzata a (...), e peraltro non firmata, con cui il medesimo ricorrente chiedeva di essere assegnato a una collocazione lavorativa che gli consentisse di adempiere gli obblighi familiari, facendo presente che già in passato aveva ottenuto i benefici previsti dalla L. n. 104 del 1992 e alcuni congedi straordinari, e segnatamente di rimanere in servizio presso la sede di (...) anche trasformando il rapporto in part-time al 70%, e non assume quindi rilievo determinare chi abbia apposto le correzioni manoscritte che vi si leggono, di apparente mano femminile, che (...) ha disconosciuto come proprie e che secondo il ricorrente sarebbero riconducibili a persona interna alla datrice di lavoro. Al riguardo, è infatti sufficiente osservare che non vi è nemmeno prova certa del fatto che la lettera sia mai stata firmata e consegnata, sicché è indifferente chi l'abbia redatta in bozza. Ora, esula dall'ambito di questa lite verificare la compatibilità del trasferimento con la normativa protettiva della L. n. 104 del 1992, come pure la compatibilità delle mansioni assegnate con l'inquadramento lavorativo del ricorrente, trattandosi di questioni che non sono state introdotte in ricorso. Ciò premesso, è ovviamente inverosimile, e non è stato neppure dedotto in questi termini, ritenere che l'intera procedura sia stata posta in essere al fine di danneggiare il ricorrente. Sarebbe in astratto possibile ipotizzare che la procedura, in sé legittima, sia stata strumentalizzata in odio al ricorrente. Per avvalorare questa conclusione bisognerebbe però accertare che (...) fu individuato come esubero in violazione della procedura prevista dall'accordo sindacale: se infatti l'individuazione come esubero del ricorrente ha fatto comunque corretta applicazione della procedura sarebbero del tutto indifferenti sia la circostanza che, da un punto di vista oggettivo, il trasferimento fosse pregiudizievole per il ricorrente e pregiudicasse l'assistenza al padre, sia l'atteggiamento psichico nei suoi confronti delle persone che agivano per la società o di taluna di esse. Ma, alla luce delle deposizioni che si sono sopra trascritte, non risulta che vi sia stata una violazione della procedura prevista dall'accordo sindacale. Peraltro, come si è accennato, neppure il ricorrente argomenta, o argomenta esplicitamente, che la procedura prevista dall'accordo sindacale sia stata violata, e ne ritiene l'illegittimità solo perché viziata dal mobbing. Va anche osservato che la deduzione del ricorrente di un suo incontro con il Presidente (a quanto pare, intendeva l'amministratore P.) in cui questi avrebbe detto "ho le mani legate" non giova alla sua tesi. Sentito come teste, (...) ha riferito, sia pure in termini dubitativi ("...non mi pare..."), di non aver usato l'espressione sopra citata; ma, quali che siano le parole da lui usate, l'interpretazione che il teste ne ha dato ("...il senso era che io dovevo attenermi all'accordo di ristrutturazione e all'accordo aziendale...") appare assolutamente plausibile, e anzi di gran lunga più plausibile di ogni altra interpretazione. A questo punto, le successive vicende del rapporto lavorativo successive hanno trovato una loro giustificazione obiettiva. Sul punto dell'iniziale destinazione a Pomara, si fa rinvio alla deposizione di (...): "...Confermo che (...) era stato assegnato a Pomara, dove abbiamo la sede, per fare l'addetto al porta a porta; i colleghi del gruppo (...) che venivano assegnati ad (...) per fare il porta a porta, come i neoassunti, venivano addestrati a svolgere le loro mansioni. Questo addestramento si faceva affiancandoli a servizi in essere, e i servizi partono praticamente tutti da Pomara. Non so entrare nel dettaglio dei servizi. So che il sig. (...) aspirava ad andare a (...), e in genere si cercava di assecondare queste richieste per i colleghi che venivano da altre società del gruppo; effettivamente è stato assegnato al porta a porta a (...). Come ho detto la sede è a Pomara e poi durante l'addestramento andava a fare il servizio a (...). Non ricordo le date precise, ma il periodo 29 marzo-31 maggio mi sembra un tempo di addestramento consono e anche abbastanza breve. Non poteva andare a (...) prima di aver finito l'addestramento. La prima parte dell'addestramento è imparare il mestiere, apprendere l'uso del mezzo, la conoscenza del servizio, l'uso del compattatore; la seconda fase è quella della conoscenza del territorio. La prima fase è separata, poi il territorio si conosce facendo il servizio, inizialmente affiancati...". Questa deposizione è convergente con quella di (...): "...Ricordo che il sig. (...) fu mandato a Pomara, che allora era l'unica unità operativa di (...), almeno così mi sembra, e che andò a fare l'addetto al porta a porta. All'inizio di questa attività è indispensabile l'affiancamento perché richiede attenzione a determinate cose sulle modalità di carico. Sicuramente era necessaria anche una fase per conoscere il territorio di assegnazione, dato che bisogna sapere le abitudini dei depositanti, dove sono collocati i punti di deposito, come raggiungerli, spesso attraverso strade impervie. Non so dire se (...) abbia fatto a (...) questa fase del suo affiancamento...". Va anche aggiunto che in quel momento a (...) non c'era una vera e propria sede di (...): sul punto si vedano le deposizioni di (...) ("...come (...) non abbiamo mai avuto a (...) una vera e propria sede ma solo locali di appoggio come punti di partenza..."), (...) ("...Confermo che a B.(...) non aveva una sede ma un punto di appoggio in comodato..."), ma anche di P.S. ("...A (...) non c'è una sede vera e propria, c'è un punto di appoggio dove teniamo la documentazione di servizio e abbiamo un parcheggio dove lasciare i mezzi..."; il teste tuttavia non ha ricordi precisi sulla successione temporale degli eventi sul punto, e precisa di non seguire direttamente queste cose). Il successivo rientro a Pomara, dopo l'affiancamento svolto a (...) e dopo l'infortunio, se vi è stato, ha trovato a sua volta una giustificazione plausibile: "...Ricordo che il sig. (...) ha avuto un infortunio, non ne ricordo i dettagli; che al rientro sia dovuto andare a Pomara per la visita medica non lo ricordo nello specifico ma corrisponde alla prassi..." (...); "...Non ricordo dell'infortunio del sig. (...), ma confermo che dopo un infortunio i lavoratori non possono riprendere servizio prima della visita del medico aziendale che ha sede a (...) in via (...); il medico aziendale è stato anche a Pomara in alcune situazioni ma non tanto per le visite quanto per i prelievi. È possibile che il sig. (...) sia rimasto per alcuni giorni in sede senza lavorare o lavorando in attività interne che non lo impegnavano fisicamente in attesa della visita, che viene prenotata e che può richiedere qualche giorno di attesa..." (...). Va aggiunto che non è precisato esattamente per quanto tempo il ricorrente sarebbe rimasto a Pomara in attesa della visita dopo il rientro dall'infortunio, ma che, a ben vedere, lo stesso (...) scriveva in ricorso che durante l'assenza gli era stato preannunciato da (...) che al rientro sarebbe tornato a Pomara - asseritamente per incutergli timore; ma alla luce delle deposizioni raccolte questa deduzione, peraltro in sé non confermata, sembra avere ben altra spiegazione - e che tuttavia al rientro fu nuovamente assegnato a (...), il che induce a escludere che si sia trattato di una protratta permanenza in sede e anzi pone in dubbio che una permanenza vi sia stata in assoluto. Gli ulteriori fatti allegati, in buona parte decisamente veniali, non hanno poi trovato preciso riscontro. In particolare, non risulta che il pranzo di Natale fosse organizzato dalla società: lo ha negato (...), mentre (...), (...) e (...) hanno dichiarato di non essere a conoscenza del pranzo aggiungendo che iniziative simili erano organizzate dai dipendenti; che si trattasse di un'iniziativa dei dipendenti è stato riferito anche dai testi (...), secondo il quale peraltro l'azienda ne era al corrente, perché erano invitati anche i superiori (non è tuttavia chiaro a quali superiori si faccia riferimento nella deposizione) e (...), che non sa dire se i vertici aziendali ne fossero stati messi al corrente. Ammesso, in via ipotetica, che il ricorrente sia stato effettivamente comandato a svolgere un servizio straordinario in concomitanza con un pranzo natalizio organizzato dai dipendenti, cosa che per vero non è neppure dimostrata, non vi sono comunque elementi per affermare con certezza che la società fosse a conoscenza del pranzo e a ben vedere neppure vi sono elementi per concludere che il servizio straordinario fosse pretestuoso. Sono ancora più evanescenti gli elementi raccolti in relazione al permesso negato in occasione di un colloquio con un dirigente della Provincia o a ferie negate (a cui si è riferito in termini generici il teste (...), ma essenzialmente per sentito dire dal medesimo (...)). Neppure il possibile successivo rientro a Pomara è risultato chiarito. Conclusivamente, quindi, nei fatti allegati non è possibile ravvisare la prova di un intento persecutorio. Si tratta inoltre di fatti che in parte non sono neppure pienamente provati, e ai quali comunque, come si è visto, può essere riconosciuta una giustificazione legittima, mentre, come parimenti si è visto, il motivo che, nell'allegazione del ricorrente, giustificherebbe l'intento vessatorio nei suoi confronti non è stato provato in causa. Va inoltre considerato che il datore di lavoro risulta effettivamente aver assunto provvedimenti tesi in certa misura a favorire il ricorrente, come la concessione di periodi di congedo non retribuito (doc. 31 sgg. delle parti convenute) e la stessa destinazione a (...) dopo il periodo di addestramento a Pomara (assecondando le sue aspirazioni, per usare un'espressione del teste (...), e nonostante l'assenza di una vera e propria sede in quel comune), che rendono quindi ulteriormente improbabile il già escluso intento vessatorio nei suoi confronti. A questo proposito, si deve aggiungere, il fatto che poi il ricorrente dopo l'iniziale addestramento a Pomara, sia stato destinato a (...) proprio in corrispondenza con la perdita del padre invalido sembra essere soltanto una dolorosa coincidenza. Dato che la domanda si basa integralmente sull'allegazione di un fenomeno di mobbing, questa conclusione, per quanto sopra si è detto, è sufficiente per escluderne la fondatezza. La riscontrata assenza di prova di un intento persecutorio non consentirebbe neppure di esaminare taluni dei fatti di causa riconducendoli alla qualificazione di straining: questo fenomeno, recentemente individuato dalla giurisprudenza, si distingue dal mobbing sotto il profilo quantitativo-estensivo ma non sotto il profilo qualitativo-intensivo. Il ricorso, quindi, si rigetta. La diversa condizione delle parti e la relativa incertezza sui fatti di causa giustifica la compensazione delle spese nella misura della metà; la restante metà si liquida come da dispositivo con riferimento al D.M. n. 55 del 2014, alla tabella lavoro e allo scaglione di valore indeterminabile come indicato in ricorso, e segue la soccombenza. Decisa la causa in udienza come da dispositivo trascritto in calce, la complessità, in fatto e in diritto, della lite ha reso poi necessaria la stesura separata della motivazione. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza rigettata; rigetta il ricorso. Compensa le spese di lite per metà e condanna (...) a rifondere ad (...) S.p.A. e (...) S.p.A. la restante metà, che liquida, già in frazione, in complessivi Euro 4.407,50 per compensi, oltre spese generali, contributo previdenziale forense, IVA se non detraibile e successive occorrende. Fissa termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Così deciso in La Spezia il 19 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LA SPEZIA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Dott.ssa Maria Grazia Barbuto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta ad R.G. n. r.g. 691/2018 cui è stata riunita la causa iscritta a r.g. n. 1323/2018 promossa da: (...) S.P.A. elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'Avv. DA.BA., che la rappresenta e difende insieme con l'Avv. SA.GI. e l'Avv. DA.RU., giusta procura alle liti allegata all'atto di citazione Attrice contro (...), elettivamente domiciliata presso e nello studio dell'Avv. CO.PA., che la rappresenta e difende, giusta procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta Convenuta Avente ad oggetto: contratto di locazione ad uso commerciale MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato ai sensi dell'art. 447bis c.p.c. la società (...) S.p.a. adiva l'intestato Tribunale, allegando in fatto: - di esercitare l'attività commerciale di vendita di calzature e accessori e di condurre in locazione ad uso deposito l'immobile sito in L. S., Via del P. n. 214 piano I meglio individuato in atti, in virtù di contratto sottoscritto con (...) in data 1.4.2004 con scadenza al 31.3.2016; - che ai sensi dell'art. 2 la locazione in questione aveva ad oggetto solo il piano I ad uso deposito, esercitando l'attrice la propria attività al piano terra del medesimo immobile (condotto in locazione da terzi), cui di fatto il piano primo era utilizzato come accessorio e semplice magazzino del negozio; - che l'immobile in questione era condotto dalla società attrice sin dal 1966 a seguito di plurimi contratti intervenuti nel tempo e i precedenti proprietari avevano acconsentito alla realizzazione di una scala interna di collegamento tra i due piani, nonché la chiusura della porta di ingresso al piano primo, così che fosse possibile accedervi solo tramite il negozio; - che a seguito della scadenza naturale del contratto in data 31.3.2016 era sorta controversia tra le parti in relazione agli interventi di ripristino a carico di (...) e della conseguente restituzione dell'immobile nelle condizioni in cui il medesimo era stato consegnato al momento della stipula, in base a quanto previsto all'art. 9 terzo capoverso del contratto; - che la proprietà aveva rifiutato la riconsegna dell'immobile, pretendendo l'esecuzione di lavori che in alcun modo avrebbero integrato interventi di ripristino, bensì vere e proprie migliorie e- in quanto tali-in alcun modo riconducibili al contratto e dunque dovute dalla conduttrice; - che al fine di superare tale situazione conflittuale era stato depositato ricorso per accertamento tecnico preventivo finalizzato a cristallizzare la situazione di fatto e la determinazione degli interventi dovuti dalla conduttrice in adempimento di quanto previsto dal contratto di locazione, nonché alle relative modalità esecutive e stima dei relativi costi; - che gli esiti cui era giunta la CTU avevano confermato la correttezza degli interventi eseguiti dalla conduttrice tra il 2002 e il 2015 e finalizzati a rimuovere la scala di collegamento tra i due piani e ripristino del solaio e prevedevano - quali ulteriori interventi da realizzare- l'obbligo di sistemazione di pavimenti e massetti, adeguamento dell'impianto elettrico, sostituzione delle tubazioni dell'impianto idrico e sull'impianto di adduzione del gas; - che le conclusioni cui era giusto l'esperto- seppur non del tutto condivise dall'attrice- avevano indotto la medesima a formulare una proposta transattiva a controparte, senza alcun successo, così come la successiva procedura di mediazione introdotta ai sensi dell'art. 5 co. 1bis D.Lgs. n. 28 del 2010 non aveva avuto esito positivo, non avendo la convenuta aderito; - che pertanto si rendeva necessaria l'introduzione del presente giudizio, finalizzato ad accertare la natura e il controvalore degli interventi da eseguire sull'immobile. Sulla base di tali premesse, l'attrice concludeva chiedendo all'intestato Tribunale di "(a) accertare la natura, la tipologia e il controvalore degli interventi necessari al fine di ripristinare l'immobile per cui è causa (ubicato in L. S., via P. n. 214, piano primo) nelle condizioni in cui lo stesso era stato consegnato a (...) s.p.a.; (b) preso atto della disponibilità di (...) s.p.a. a restituire ad (...) l'immobile per cui è lite nonché a corrispondere ad (...) un importo pari al controvalore dei suddetti interventi, decurtato dell'importo di euro 47.910,41 già in precedenza incassato da (...), accertare e dichiarare (...) tenuta a ricevere la consegna del suddetto immobile, previo pagamento - da parte di (...) - dell'importo pari al controvalore dei suddetti interventi, decurtato della somma di euro 47.910,41 già in precedenza incassata da (...); (c) condannare (...) a ricevere la consegna del suddetto immobile, previo pagamento - da parte di (...) - dell'importo indicato al precedente punto(b)". In via subordinata concludeva chiedendo "preso atto della disponibilità di (...) s.p.a. a eseguire i suddetti interventi e a restituire ad (...) l'immobile per cui è lite, accertare e dichiarare (...) tenuta a ricevere la consegna del suddetto immobile, previa esecuzione degli interventi di ripristino che all'esito del presente giudizio risulteranno dovuti da (...) s.p.a., secondo le modalità esecutive che il Giudice determinerà in corso di causa; (e) condannare (...) a ricevere la consegna del suddetto immobile, previa esecuzione degli interventi di ripristino che all'esito del presente giudizio risulteranno dovuti da (...) s.p.a.; (f) condannare (...) a sottoscrivere gli atti necessari al fine di abilitare (...) s.p.a. all'esecuzione degli interventi di ripristino che all'esito del presente giudizio risulteranno dovuti da (...) s.p.a.; (g) condannare altresì (...) a restituire a (...) s.p.a. l'importo di euro 47.910,41 in linea capitale, incassato dalla convenuta il 31 marzo 2016 (quanto a euro 24.000,00) e il 27 luglio 2016 (quanto a euro 23.910,41), maggiorato degli interessi legali dalla data di ciascun incasso ovvero, in subordine, dalla data della domanda giudiziale al saldo". In ogni caso chiedeva "(h) condannare (...), in caso di inottemperanza a quanto previsto ai precedenti punti (c) e/o (e) e/o (f), al versamento in favore di (...) s.p.a. di un importo pari a euro 1.000,00 (mille/00) - ovvero del diverso importo ritenuto di giustizia - per ogni giorno di ritardo di (...) nell'esecuzione di quanto previsto ai precedenti punti (c) e/o (e) e/o (f); (i) con vittoria di spese e compensi professionali, anche in applicazione degli artt. 91, 92 e 96 cod. proc. civ.". Si costituiva in giudizio la convenuta, (...), insistendo per il rigetto delle domande avversarie e chiedendo "In via riconvenzionale, Voglia l'On.le Tribunale adito, per le ragioni di cui sopra, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, accertato l'inadempimento realizzato da (...) S.p.A. e l'obbligo restitutorio gravante sulla medesima, In via principale: a) accertare e dichiarare tutte le opere che la società ricorrente è tenuta ad eseguire sull'immobile di proprietà della Dott.ssa (...), così come individuate nel presente atto, parte in diritto, capitolo B-III, ovvero secondo quanto emergerà in corso di causa; b) per l'effetto, sempre in via riconvenzionale principale, condannare (...) S.p.A. alla restituzione dell'immobile in favore della Dott.ssa (...) previa effettuazione dei lavori di cui al punto B-III da effettuarsi con fissazione del termine di inizio lavori, termine fine lavori, termine per la riconsegna dell'immobile, eventualmente secondo cronoprogramma e progetto esecutivo da redigere in corso di causa previe integrazione e/o rinnovazione di CTU concedendo alla Dott.ssa (...) la facoltà di nominare a spese di (...) S.p.A. un supervisore per il coordinamento e la verifica delle opere; c) condannare (...) S.p.A. alla stipula di fideiussione bancaria per l'importo di Euro 25.000,00. a garanzia di tutti i danni che potranno verificarsi alle proprietà limitrofe nel corso dell'esecuzione dei predetti lavori, vincolo da estinguersi ad avvenuto collaudo dei lavori; d) condannare sin da ora (...) S.p.A. al pagamento in favore della Dott.ssa (...) della somma di Euro 1.000,00, o della diversa somma che sarà ritenuta di giustizia, per ogni giorno di ritardo rispetto al termine di riconsegna dell'immobile di cui al capo b) della domanda riconvenzionale; e) condannare (...) S.p.A. al risarcimento del danno per la ritardata riconsegna, maggiori oneri, danno da inadempimento da quantificarsi nell'importo di Euro 28.100,00 pari al canone annuo di locazione attualizzato ad oggi secondo contratto o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche in via equitativa. In via subordinata, sempre in via riconvenzionale, nella denegata ipotesi in cui Codesto On.le Tribunale ritenga dover sostituire l'obbligazione di fare di cui ai capi a), b) c) e d) della domanda riconvenzionale con il pagamento di una somma a titolo di tantundem: f) condannare (...) S.p.A. alla restituzione dell'immobile sito in Via del P. n. 214 in L. S., identificato presso il N.C.E.U. in al Foglio (...) - -Particella (...) - Subalterni (...) e (...), libero da persone e cose, previo pagamento della somma di Euro 140.302,74 oltre IVA nonché della somma di Euro 25.000,00 per il danni arrecati alle proprietà limitrofe, specificate al paragrafo III del Capitolo C a pag. 41 del presente atto o nella diversa somma che sarà ritenuta di giustizia, quale controvalore delle opere da eseguire, degli accessori e di ogni onere e costo del ripristino dell'immobile oltre al risarcimento del danno per la ritardata riconsegna e maggiori oneri, nonché danno da inadempimento da quantificarsi complessivamente in Euro 56.200,00 come descritto al paragrafo V del Capitolo C a pag. 44 del presente atto, o nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche in via equitativa". Nelle more la convenuta depositava ricorso monitorio per il pagamento della somma di Euro 7.841,65 a titolo di indennità di occupazione e spese condominiali maturati in data successiva alla scadenza contrattuale e veniva emesso decreto ingiuntivo n. 306/2018 in data 20.4.2018, a cui (...) svolgeva tempestiva opposizione, così incardinando il giudizio iscritto a r.g. n. 1323/2018, ritenendo a sé non imputabile l'inadempimento all'obbligazione di restituire l'immobile oggetto di causa. I due giudizi erano riuniti con ordinanza del 13.9.2018. Il G.I. tentava quindi la conciliazione tra le parti, formulando una proposta conciliativa ai sensi dell'art. 185bis c.p.c. sulla base degli esiti dell'ATP disposto ante causam, del seguente tenore: "riconoscimento della somma di Euro 96.000,00 oltre IVA, al lordo di quanto già corrisposto ed Euro 30.000,00 per indennità di occupazione, con consegna immediata dell'immobile e spese legali compensate". La proposta trovava l'adesione della sola società (...), sicché veniva rigettata l'istanza di concessione della provvisoria esecutorietà al decreto ingiuntivo opposto ed era disposta CTU integrativa dell'elaborato di cui al procedimento per ATP, finalizzata a determinare quali interventi fossero stati realizzati e quali ancora da realizzare, nonché i termini di esecuzione, individuando tempi e costi di adeguamento in caso di lavori non conformi alla normativa pro tempore vigente. All'esito, veniva fissata udienza per discussione e decisione della causa, che nelle more veniva riassegnata alla scrivente in data 6.12.2021. Sulle domande svolte dall'attrice (...) S.p.a. nella causa n. 691/2018. L'attrice ha agito in questa sede al fine di ottenere una pronuncia che: 1) accerti l'illegittimo rifiuto manifestato dalla proprietà nel ricevere in consegna l'immobile alla scadenza del contratto di locazione, tenuto conto degli interventi già eseguiti per ripristinare lo stato di fatto esistente al momento della stipula e delle somme già percepite dalla convenuta, pari ad Euro 47.910,41; 2) condanni di conseguenza la medesima convenuta a ricevere l'immobile, previo pagamento degli importi dovuti a titolo di controvalore degli interventi ulteriori da realizzare (risarcimento per equivalente) o, in subordine, previa esecuzione a cura e spese della (...), di tali interventi (risarcimento in forma specifica); 3) in caso di inottemperanza della convenuta, condanni la parte al versamento in favore di (...) di un importo per ogni giorno di ritardo nella riconsegna. A tal fine sono stati disposti gli opportuni accertamenti tecnici, prima in sede di ATP (doc. 17 parte convenuta) e successivamente a seguito di integrazione disposta nel presente giudizio, conclusasi con elaborato depositato in data 25.10.2019 nel fascicolo telematico. Le indagini sono state svolte al fine di accertare sia la correttezza degli interventi di ripristino effettivamente eseguiti dalla conduttrice, sia quelli ancora da eseguire e riconducibili a quanto previsto dall'art. 9 del contratto di locazione e il relativo controvalore. In diritto si osserva come il rifiuto - da parte del locatore- di ricevere in consegna l'immobile alla scadenza del contratto, non integra in sé una condotta contraria a buona fede ai sensi dell'art. 1375 c.c. In particolare, si è sostenuto che allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all'immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l'esecuzione delle opere di ripristino l'esborso di somme di notevole entità, in base all'economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché dette somme non siano state corrisposte dal conduttore il quale, versando in mora, agli effetti dell'art. 1220 c.c., rimane obbligato, altresì, al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand'anche abbia smesso di servirsi dell'immobile per l'uso convenuto (cfr. di recente Cassazione civile sez. III, 09/12/2021, n.39179). Del pari, nell'ipotesi in cui l'immobile offerto in restituzione dal conduttore si trovi in stato non corrispondente a quello descritto dalle parti all'inizio della locazione, ovvero, in mancanza di descrizione, si trovi comunque in cattivo stato locativo, per accertare se il rifiuto del locatore di riceverlo sia o meno giustificato, occorre distinguere a seconda che la cosa locata risulti deteriorata per non avere il conduttore adempiuto all'obbligo di eseguire le opere di piccola manutenzione durante il corso della locazione, oppure per avere il conduttore stesso effettuato trasformazioni e/o innovazioni: nel primo caso, trattandosi di rimuovere deficienze che non alterano la consistenza e la struttura della cosa e non implicano l'esplicazione di un'attività straordinaria e gravosa, l'esecuzione delle opere occorrenti per il ripristino dello status quo ante rientra nel dovere di ordinaria diligenza cui il locatore è tenuto per non aggravare il danno, ed il suo rifiuto di ricevere la cosa è conseguentemente illegittimo, salvo diritto al risarcimento dei danni per violazione del disposto di cui all'art. 1590 c.c.; nel secondo caso, invece, poiché l'esecuzione delle opere di ripristino implica il compimento di un'attività straordinaria e gravosa, il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione della cosa locata nello stato in cui essa viene offerta (cfr. in tal senso Cassazione civile sez. III, 24/05/2013, n.12977; ma ancor prima Cass n. 3786/1968; Cass. n. 3210/1971; Cass. n. 6798/1993; Cass. n. 6856/1998; Cass. n.16685/2002; Cass. n. 5459/2006). Nel caso di specie, a venire in rilievo sono proprio interventi di ripristino dello status quo ante mediante interventi particolarmente gravosi, avendo la conduttrice realizzato un accesso dal solaio e installato apposita scala interna di collegamento al fondo commerciale sito al piano terra e di proprietà di terzi estranei al presente giudizio, sicché il rifiuto di ricevere in consegna l'immobile da parte del locatore è da considerare legittimo. E tuttavia, secondo parte attrice, tali interventi alla data di scadenza contrattuale, erano già stati eseguiti, sì da non legittimare tale rifiuto. In tale contesto, quindi, l'esito dell'istruttoria svolta in sede di ATP e di CTU è dirimente. In primo luogo, risulta pacifico- oltre che documentalmente provato- che parte convenuta abbia incassato la somma complessiva di Euro 47.910,41 di cui Euro 24.000,00 a mezzo bonifico proveniente dalla stessa società conduttrice ed Euro 23.910,41 mediante escussione della polizza da questi stipulata con (...) S.p.a. Non può condividersi l'imputazione di pagamento eseguita dalla creditrice, che vorrebbe decuratre tali importi dalle indennità di occupazione dovute da controparte dal 1.4.2016 al 31.3.2018, dovendo trovare applicazione l'art. 1193 c.c. e dalla corrispondenza in atti risulta pacifico che tali somme fossero state corrisposte proprio a seguito del mancato rilascio alla scadenza, nel corso del 2016, finalizzate a raggiungere un accordo transattivo avente ad oggetto la corresponsione delle somme pari al controvalore degli interventi da eseguire. Tale somma dovrà quindi essere decurtata dall'eventuale condanna a carico della conduttrice. In secondo luogo, il controvalore degli interventi da eseguire per poter ripristinare lo status quo antecedente la presa in consegna dell'immobile, è stato indicato dal CTU in Euro 111.250,00 oltre IVA sicché - nell'economia del contratto- non possono comunque ritenersi come lavori poco gravosi e non straordinari, tali cioè da rendere ingiustificato il rifiuto di ricevere in consegna l'immobile. Al momento della scadenza contrattuale, è vero che la conduttrice aveva già eseguito degli interventi in adempimento di quanto previsto dall'art. 9, ed è altresì vero che sono state poi incassate somme per Euro 47.910,41 dalla convenuta, ma resta comunque confermata dalle analisi tecniche svolte che ad essere stata versata è solo una somma pari a meno della metà del controvalore dei lavori ancora da eseguire sull'immobile, la cui realizzazione avrebbe invece certamente reso illegittimo il rifiuto. Logico corollario è non solo la prova dell'inadempimento della conduttrice, ma anche - come anticipato- la legittimità del rifiuto opposto dalla proprietà di ricevere in consegna l'immobile. Ciò in disparte ogni valutazione riguardo alla pretesa iniziale della parte, che aveva riguardato anche ulteriori interventi, che il CTU ha escluso essere riconducibili alla clausola contrattuale. Né la proposta transattiva formulata in data 31.5.2017 può ritenersi integrante - in base alle allegazioni delle parti - come offerta eseguita secondo le formalità richieste dall'art. 1209 co. 1 c.c. quale "offerta reale", né quale offerta "per intimazione", non prevedendo peraltro il pagamento integrale di quanto accertato già in sede di ATP. La condotta della locatrice può semmai incidere in fase di regolamentazione delle spese di lite ma, come anticipato, la CTU ha confermato che la (...) avrebbe dovuto realizzare interventi del valore di Euro 111.250,00 oltre IVA al fine di adempiere all'obbligazione nascente dal contratto e rendere illegittimo il rifiuto della proprietaria. La condotta in questione, inoltre, non può neanche considerarsi contraria a buona fede, in quanto comunque avrebbe comportato il pagamento di una somma a titolo transattivo pari a oltre la metà di quanto poi accertato in giudizio (versamento di Euro 30.089,59 a fronte dei dovuti Euro 63.339,59) e dunque avrebbe senz'altro comportato un significativo sacrificio degli interessi della parte. La domanda di accertamento svolta dalla (...) non può quindi trovare accoglimento. Diversamente in relazione alla condanna della convenuta a ricevere in consegna l'immobile una volta eseguito il pagamento del controvalore degli interventi stimati dal CTU, che deve essere ridotto ad Euro 63.339,59 oltre IVA, tenuto conto delle somme già pacificamente incassate dalla medesima. Alcuna condanna può invece essere inflitta per il ritardo della proprietà: a venire in rilievo sarebbe infatti una ipotesi di c.d. mora credendi, sicché ogni eventuale condotta dilatoria lo esporrebbe alle conseguenze di cui agli artt. 1206 ss. c.c. Sulla domanda riconvenzionale svolta dalla convenuta nella causa n. 691/2018. Al fine di decidere sulla domanda di adempimento e di risarcimento dei danni come formulata dalla convenuta (...) risultano indispensabili le seguenti premesse in diritto. La proprietaria ha agito in giudizio invocando la responsabilità contrattuale della (...) ai sensi dell'art. 1218 c.c. Come noto in generale, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. SS. UU. Cass. n. 13533/2001; Cass. n. 341/2002; Cass. n. 11629/99; Cass. n. 7553/1999; Cass. n. 2221/1984). Ulteriore principio generale che informa l'intero sistema della responsabilità civile (tanto contrattuale quanto aquiliana) è costituito dall'onere di allegare e provare il danno subito in conseguenza della condotta illecita di controparte, al fine di poterne ottenere il ristoro, non essendo in sé ammessa la possibilità di risarcire un danno in re ipsa. Ai fini della invocata risarcibilità ai sensi dell'art. 1223 c.c. in relazione all'art. 1218 c.c., il creditore deve infatti allegare non solo l'altrui inadempimento, ma deve pure sempre allegare e provare l'esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio) di cui chiede il ristoro e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente. In difetto di tale allegazione e prova, la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto. In adesione al principio ermeneutico basato sul concetto di danno-conseguenza in contrapposizione a quello di danno- evento ed escludendo l'ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, così da coincidere con l'evento, appare quindi evidente che la domanda risarcitoria deve essere provata sulla base di una conferente allegazione: non si può invero provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (SS.UU. Cass. n. 26972/2008). Il diritto al risarcimento postula quindi, ed indispensabilmente, l'effettività del verificarsi di un danno, che, come tale, sia stato concretamente sofferto, non essendo sufficiente la mera potenzialità configurabile in astratto. Ciò in quanto l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) dell'obbligazione contrattuale non integra di per sé il danno patrimoniale, che è la conseguenza di quell'illecito sul patrimonio del creditore che, in concreto per particolari circostanze, può anche non verificarsi. Il principio secondo cui l'inadempimento o l'inesatto inadempimento dell'obbligazione contrattuale costituisce di per sé un illecito, ma non obbliga l'inadempiente al risarcimento, se in concreto non ne è derivato un danno, si applica anche alla fattispecie disciplinata dall'art. 1590 c.c., con la conseguenza che il conduttore non è obbligato al risarcimento, se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello corrispondente all'uso del bene in conformità del contratto, non è derivato, per particolari circostanze, un danno patrimoniale al locatore, sul quale incombe il relativo onere probatorio (Cass. n. 5328/2007; Cass. n. 23086/2005; Cass. n. 17964/2014 che richiama il risalente precedente Cass. 8791/1996; di recente si veda Cass. ord. n. 8526/2020). Fatte queste brevi premesse in diritto, applicando i condivisibili principi espressi dalla costante giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità contrattuale anche al caso di specie, ne deriva che sarebbe stato onere della convenuta, nella sua veste di attrice in riconvenzionale che agisce allegando l'inadempimento della (...) ai sensi dell'art. 1218 c.c.: 1) allegare l'inadempimento della conduttrice ad un'obbligazione prevista dal contratto di affitto; 2) provare l'esistenza di un danno patrimoniale; 3) provare il nesso di causalità tra l'inadempimento della conduttrice e il danno subito. Orbene, la sig.ra (...) ha allegato l'inadempimento della (...) a precise obbligazioni nascenti ex contractu: l'aver omesso di restituire l'immobile in adempimento di quanto previsto dall'art. 9 del contratto di locazione oggetto di causa, una volta eseguiti gli interventi riconducibili a tale clausola, nonché nel conseguente danno arrecato- a seguito della mancata riconsegna del medesimo una volta cessato il titolo legittimante- a titolo di indennità di occupazione. La stima del tempo necessario all'esecuzione di tali interventi, che il CTU ha individuato in sei- sette mesi, è inoltre fondamentale ai fini della domanda svolta in via riconvenzionale dalla locatrice. Anzitutto, deve essere condivisa la soluzione B) prospettata dal CTU, in quanto i costi degli interventi sarebbe pari ad Euro 111.250,00 oltre IVA e la durata pari a sette mesi, ma tenuto conto della probabilità che non sia possibile recuperare la travatura in legno lamellare posata, con la conseguenza che tale ipotesi sarebbe - nel contemperamento degli interessi di entrambe le parti- la più in linea con lo stato di fatto e a garanzia del ripristino dello status quo ante da parte della proprietà. Si osserva poi come- trattandosi di interventi necessari al ripristinare la struttura e funzionalità dell'immobile e che parte conduttrice avrebbe dovuto realizzare in adempimento di quanto previsto dall'art. 9 del contratto di locazione, il risarcimento richiesto in relazione al tempo stimato dal CTU deve essere riconosciuto in favore dell'attrice in via riconvenzionale ed è commisurato alla somma di Euro 2.303,53 (ultimo canone pattuito) per sette mensilità (Euro 16.124,71), oltre IVA, nonché interessi e rivalutazione monetaria sino all'effettivo soddisfo. In relazione al periodo antecedente, non è consentito a questo G.I. adottare alcuna pronuncia, pena la violazione di del disposto di cui all'art. 112 c.p.c. non avendo l'attrice formulato alcuna domanda in relazione all'eventuale danno subito in termini di illegittima occupazione dal 1.4.2016 ad oggi, ad esclusione di quanto già riconosciuto con il decreto ingiuntivo opposto. Diversamente non possono trovare accoglimento le ulteriori domande risarcitorie, espressamente non ricomprese nella voce relativa all'indennità di occupazione ex art. 591 c.c. e individuata dalla difesa della parte in: a) Euro 28.100,00 consistente nel tempo, energie psicofisiche, costi delle consulenze e incarichi professionali e cioè- sostanzialmente- nell'essersi vista costretta ad adire le vie giudiziarie per tutelare i propri interessi; b) ulteriore somma di Euro 28.100,00 a titolo di ulteriore danno subito per il ritardo nella corresponsione delle somme riconosciute per equivalente al locatore; c) aggravamento del danno derivante dalle maggiori criticità nel ricollocare l'immobile sul mercato a causa della pandemia da Covid - 19. In relazione alle voci di danno elencate, si osserva come le medesime non possano trovare accoglimento sia perché solo genericamente allegate e in alcun modo provate (in applicazione dei principi in diritto già esposti), in parte superati dal riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria (sub. b) nonché in quanto tardivamente formulate (sub.c) oltre che non imputabili alla condotta di controparte. Sull'opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di indennità di occupazione e oneri condominiali nella causa riunita iscritta a r.g. n. 1323/2018. Il decreto ingiuntivo opposto n. 306/2018 deve essere confermato, in quanto certamente le somme ivi richieste e riferibili ai canoni e oneri condominiali successivi alla scadenza contrattuale e sino alla data di deposito del ricorso monitorio sono dovuti proprio in ragione dell'inadempimento della società conduttrice, che non è in alcun modo stato contestato, avendo invece la medesima allegato la non imputabilità del medesimo, nei termini già espressi. Sul punto si richiama la giurisprudenza già esaminata in relazione alla domanda di accertamento svolta dalla (...) circa la presunta illegittimità del rifiuto opposto nella riconsegna dell'immobile da parte della locatrice: la protrazione della detenzione costituisce inadempimento dell'obbligo di restituzione della cosa locata: in tali casi, il canone convenuto, che, in forza dell'art. 1591 c.c., il conduttore in mora è tenuto a corrispondere sino alla riconsegna (c.d. indennità di occupazione) costituisce solo il parametro di riferimento per la quantificazione del danno " minimo " da risarcire al locatore, versando il relativo importo (salvo, quindi, il risarcimento del danno maggiore che spetta al locatore provare) (cfr. su tali aspetti, Cass. n. 1684/2010). Sulle spese di lite. Le spese di lite, tenuto conto dell'esito dei due giudizi riuniti, devono essere integralmente compensate tra le parti. Le spese di CTU sono poste definitivamente a carico di (...) S.p.a. ferma la solidarietà delle parti nei confronti del consulente tecnico. Le spese sostenute dall' odierna attrice per l'attivazione del procedimento di mediazione non possono tuttavia essere rimborsate dalla convenuta, che nel presente giudizio non può dirsi soccombente rispetto alle domande oggetto di citazione. Parimenti non possono trovare accoglimento le richieste di condanna ex art. 96 c.p.c. formulate dalle parti reciprocamente nei confronti l'una dell'altra. In disparte la circostanza che non risultano integrati i presupposti oggettivo (soccombenza) e soggettivo (l'aver agito con malafede o colpa grave), si osserva in ogni caso come nessuna delle due parti abbia opportunamente dimostrato la ricorrenza dell'ulteriore elemento. La responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. postula, oltre alla compiuta soccombenza, anche un'inescusabile negligenza o malafede nella resistenza processuale, causativa di un tangibile danno alla controparte di cui la stessa deve fornire la relativa prova; ed ancora, la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. non può trovare accoglimento ogni qualvolta sia carente non solo l'elemento soggettivo dell'illecito e, dunque, la mala fede o la colpa grave, ma anche l'elemento oggettivo, ovvero la entità del danno sofferto (cfr. ex multis Trib. Cassino 28.7.2016; Trib. Ivrea 17.2.2012). E cioè oltre ai presupposti soggettivo e oggettivo sopra richiamati, ai fini dell'accoglimento della domanda di condanna al risarcimento dei danni è altresì necessario che la controparte dimostri la concreta ed effettiva sussistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima (Cass. n. 4443/2015). Infatti, la liquidazione dei danni, sebbene effettuabile d'ufficio, richiede comunque la prova, gravante sulla parte che richiede il risarcimento, sia dell'an, ovvero della concreta esistenza di un pregiudizio, che del quantum, ossia della sua quantificazione o, quantomeno, la desumibilità di tali elementi dagli atti di causa (cfr. Cda Firenze 15.9.2010; Trib. Bari 15.11.2017; Trib. Taranto 9.10.2012; Trib. Bassano del Grappa 27.10.2011; Trib. Bari 25.5.2011). P.Q.M. Il Tribunale di La Spezia, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione disattesa o respinta, così provvede: - Accertata la legittimità del rifiuto opposto da (...) alla riconsegna dell'immobile oggetto di causa, sito in L. S., Via del P. n. 214 piano I alla data del 31.3.2016; - Condanna (...) S.p.a. all'immediato rilascio dell'immobile libero da persone e cose in favore della resistente (...), previo pagamento della somma di Euro 63.339,59 oltre IVA, interessi legali dal 1.4.2016 e rivalutazione monetaria come indicati in parte motiva, in favore della resistente, sino al soddisfo; - Condanna (...) S.p.a. al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 16.124,71 oltre a interessi e rivalutazione dal 1.4.2016 sino all'effettivo rilascio dell'immobile; - Rigetta le ulteriori domande risarcitorie formulate in via riconvenzionale da (...); - Rigetta l'opposizione svolta nella causa riunita n. 1323/2018 e per l'effetto conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 306/2018; - Compensa tra le parti le spese di lite; - Pone definitivamente a carico di (...) S.p.a. le spese di CTU, come già liquidate; - Fissa in giorni trenta il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in La Spezia il 10 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LA SPEZIA SEZIONE CIVILE in persona del Giudice Dott.ssa Maria Grazia Barbuto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta ad R.G. n. r.g. 2063/2019 promossa da: (...) S.R.L., elettivamente domiciliata presso e nello studio dell'Avv. DA.EM., che la rappresenta e difende, giusta procura alle liti allegata all'atto di citazione Attrice in opposizione contro (...) elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'Avv. MA.RU., che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta Convenuto in opposizione Avente ad oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo n. 512/2019- r. g. n. 1053/2019 MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, la società (...) S.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 512/2019 con cui le era stato intimato il pagamento di Euro 11.600,00 oltre interessi e spese del monitorio in favore di (...), quale credito individuato dalle fatture nn. (...), (...), (...) e (...) tutte emesse in data 5.4.2019, allegando che: - il credito portato da tali fatture non esisteva e le medesime erano state emesse solo a seguito del deteriorarsi dei rapporti commerciali intercorsi tra la società opponente e l'impresa artigiana convenuta dalla fine di marzo 2019, tanto da essere state specificamente contestate a mezzo PEC in data 23.4.2019 dal difensore; - in particolare le fatture azionate si riferivano a presunti lavori eseguiti dall'impresa (...) su incarico della società opponente, ma i lavori in esse indicati erano frutto di pura invenzione, in quanto il convenuto aveva sempre di proprio pugno segnato le ore di lavoro effettuate nei vari cantieri come artigiano edile, che erano state regolarmente pagate nei mesi precedenti; - Più nello specifico: - quanto alla fatt. n. 6/2019, la causale era stata individuata in "mie spese come concordate dopo 5 mesi di rapporto di lavoro con voi nei vostri cantieri per il trasporto vostri operai nei vostri cantieri cinque terre con il mio mezzo senza mai chiedere i costi del carburante" e tuttavia per controparte, quale titolare di un'impresa artigiana, le spese sostenute per l'utilizzo del proprio mezzo -quale bene strumentale- costituivano costi aziendali, in quanto tali non ribaltabili sul committente, in assenza di specifici accordi e non essendo peraltro mai stato convenuto tra le parti alcun trasporto degli operai della società; - quanto alla fatt. n. (...), i lavori eseguiti al cantiere di Portovenere erano stati eseguiti diversi mesi prima e saldati con la fattura di febbraio (2/2019) sulla base del prospetto ore redatto dall'artigiano e dell'accordo intervenuto tra le parti per il pagamento di Euro 20,00/ora; - quanto alla fatt. n. (...) non corrispondeva al vero che il (...) avesse provveduto ad eseguire i lavori ivi descritti; - quanto alla fatt. n. (...) controparte addebitava il "costo del personale" e lavori di ristrutturazione, che tuttavia già erano stati saldati nei mesi precedenti per la fattura emessa in data 28.2.2019 e che la pretesa di Euro 7.500,00 sarebbe in ogni caso stata esorbitante, considerato che il corrispettivo pattuito era di Euro 20,00/ora e dunque dividendo tale importo, ne sarebbe derivato un calcolo di oltre 375 ore lavorate dall'artigiano per tutto il mese di marzo sul cantiere di (...). L'opponente sottolineava inoltre, a fondamento delle proprie contestazioni e a sostegno dell'inesistenza del credito azionato da controparte- come i rapporti tra le parti per l'intero 2018 avevano comportato il pagamento- da parte della (...)- di Euro 32.380,00 in favore dell'artigiano, quando invece a seguito delle fatture azionate in sede monitoria il medesimo aveva richiesto per due mesi e mezzo un terzo di tale somma. L'attrice eccepiva inoltre in via riconvenzionale la sussistenza di danni all'immagine causati alla società dall'artigiano per Euro 5.000,00 a seguito di specifiche condotte meglio descritte in atti. Sulla base di tali premesse la società concludeva chiedendo revocarsi il decreto ingiuntivo opposto o, in subordine, compensarsi le somme richieste da controparte con i danni arrecati nell'esecuzione dei lavori presso i cantieri citati. Si costituiva l'impresa individuale (...), contestando la ricostruzione in fatto offerta da controparte e specificando che alcun accordo per il pagamento del corrispettivo del convenuto fosse stato raggiunto tra le parti (Euro 20,00/ora), essendo stati i lavori eseguiti a corpo e non fatturati in base alle ore lavorate. Il convenuto contestava in particolare la riconducibilità delle prestazioni indicate nelle fatture azionate alle precedenti già pagate da controparte, trattandosi di lavori eseguiti tra marzo e aprile 2019 e non a dicembre 2018 e febbraio 2019 e allegava documentazione fotografica e scontrini emessi per l'acquisto di materiale a comprovare il proprio adempimento. Insisteva quindi affinché fosse concessa la provvisoria esecutorietà al decreto ingiuntivo opposto e rigettata l'opposizione, con conferma del decreto ingiuntivo. A seguito dell'udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa, il G.I. rigettava l'istanza di concessione della provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo opposto e concedeva alle parti i termini di cui all'art. 183 VI co. c.p.c. La causa veniva istruita mediante prova per interpello e, all'esito, le parti chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni, salvo poi subire diversi rinvii ed essere riassegnata alla scrivente in data 6.12.2021, innanzi alla quale le parti precisavano le conclusioni e, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., era trattenuta in decisione. L'opposizione è fondata e, in quanto tale, merita accoglimento, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. In diritto si osserva che, come noto, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della pretesa creditoria dell'ingiungente, deve aversi riguardo all'intero materiale probatorio offerto dalla parte opposta anche nel giudizio di opposizione, non potendo il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio. In tema di prova dell'adempimento di un'obbligazione, inoltre, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr., ex plurimis, SS.UU. Cass. n.13533/2001). E cioè il creditore che agisca in giudizio per l'adempimento di un'obbligazione di cui alleghi l'inadempimento, ha l'onere di provare la fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), mentre è sul debitore che grava l'onere di eccepire l'avvenuta estinzione dell'obbligazione (cfr. SS.UU. Cass. n. 13533/2001; Cass. n. 341/2002; Cass. n. 11629/1999; Cass. Sez. Lav. n.7553/1999). Venendo al caso di specie, a fronte delle contestazioni specifiche dell'opponente e già esposte dettagliatamente in precedenza, l'impresa (...) non ha fornito compiutamente adeguata prova del proprio credito: alcuna prova per testi né alcuna consulenza tecnica per accertare l'entità dei lavori eseguiti è stata richiesta, tanto che all'udienza del 13.4.2021 entrambe le parti hanno insistito nella fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni. E' ben vero che parte opposta si è riservata di formulare appositi capitoli di prova per testi in sede di II memoria ex art. 183 co. VI c.p. c. e cioè proprio al momento in cui le preclusioni istruttorie maturavano e salvo poi depositare la III memoria avente contenuto inammissibile, come da ordinanza del precedente G.I. in data 11.12.2020 e non richiedere alcuna prova orale. Nel caso di specie, si ribadisce, a fronte delle specifiche contestazioni mosse dalla società opponente all'impresa convenuta, sarebbe stato onere di quest'ultima fornire adeguata prova non solo della fonte negoziale, ma del contenuto degli accordi intercorsi tra le parti nonché dell'esecuzione delle prestazioni individuate dalle fatture azionate, non essendo a tal fine sufficiente la sola documentazione fotografica e gli scontrini privi di data riconducibili alle prestazioni di cui si chiede il pagamento. Diversamente, l'opposta ha fondato la propria domanda solo sulle fatture indicate in sede monitoria, integrando la documentazione già prodotta in tale sede con fotografie la cui riconducibilità ai cantieri e ai fatti di causa è stata da subito posta in dubbio e a fronte di prospetti delle ore lavorate pacificamente redatti dal sig. (...), come ammesso in sede di interrogatorio formale, in cui il medesimo ha dichiarato- in contrasto anche con le allegazioni della propria difesa- che il medesimo "si riferiva alle ore del loro operaio". Circostanza, questa, alquanto inverosimile, ben potendo lo stesso operaio incaricato dalla società redigere il prospetto in questione e tenuto conto anche della circostanza-non contestata- che il medesimo prospetto recava l'iban del beneficiario, coincidente con quello dell'artigiano. A fronte di una carenza di deduzioni assertive quanto probatorie, la domanda introdotta con il ricorso monitorio non può quindi trovare conferma e il decreto ingiuntivo deve essere revocato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto dei parametri minimi di cui al D.M. n. 55 del 2014 s.m.i. in assenza di particolari questioni in fatto e in diritto. P.Q.M. Il Tribunale di La Spezia, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra domanda ed eccezione disattesa o respinta, così provvede: - Accoglie l'opposizione svolta da (...) S.R.L. e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 512/2019 - r.g. n. 1053/2019; - Condanna l'impresa individuale (...) a rifondere a (...) S.R.L. le spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.738,00 per compensi, oltre a rimborso forfetario al 15%, CPA e IVA se dovuta. Così deciso in La Spezia il 9 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DELLA SPEZIA in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Barbara Forleo ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1907/2019 R.G., discussa all'udienza del 7 marzo 2022 e promossa da: (...) (p.IVA (...)) avv. Se.Ro. ATTORE CONTRO (...) srl (P.IVA (...)) avv. Al.De. e avv. Ja.Al. CONVENUTO e CONTRO (...) (C.F. (...)) Avv. Cl.De. e avv. Gi.Sa. TERZO INTERVENUTO Oggetto: risoluzione per inadempimento MOTIVAZIONI IN FATTO ED IN DIRITTO Con contratto sottoscritto in data 1.2.2012, l'(...) concedeva in locazione a (...) srl un fondo commerciale adibito ad autorimessa, sito in(...), Via C. 33. Con atto di citazione notificato in data 13.5.2019, l'(...) intimava lo sfratto per morosità alla predetta conduttrice, lamentando il mancato pagamento dei canoni per i mesi di marzo, aprile e maggio 2019. Si costituiva ritualmente la società convenuta la quale, in primis, rilevava come in realtà fosse l'(...) ad essere inadempiente all'obbligazione di cui all'art. 1575 c.c.. In secondo luogo, evidenziava che nella gestione dell'autorimessa era subentrato un terzo soggetto, ovvero (...), in forza di un contratto di affitto di azienda del 7.1.2019 con il quale era stato prevista anche la cessione del contratto di locazione. Assumeva altresì di aver dato tempestiva comunicazione al locatore ex art. 36 L. n. 392 del 1978 di tale cessione e che il mancato pagamento dei canoni per i mesi in contestazione fosse da imputarsi esclusivamente al sub-conduttore. Spiegava pertanto domanda riconvenzionale al fine di ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatore e la condanna dello stesso al risarcimento dei danni subiti, da quantificarsi in somma non inferiore ad Euro 60.000,00. Per l'udienza di convalida interveniva volontariamente la ditta (...) il quale chiedeva il rigetto delle domande di parte attrice e la condanna del locatore e del sub-locatore, ciascuno per la propria competenza, all'esecuzione di tutti i lavori necessari per rendere l'immobile locato idoneo all'uso convenuto, oltre al risarcimento dei danni. Con ordinanza del 9.9.2019, il Giudice ordinava il rilascio dell'immobile e disponeva il mutamento di rito per decidere sulle eccezioni riservate sollevate dalle parti convenute, concedendo termine per il deposito di memorie integrative. Esperito inutilmente il tentativo di mediazione ed istruita la causa tramite l'escussione di testi e l'acquisizione di prove documentali, veniva fissata udienza di discussione. Nelle more del procedimento accadeva che: a) in data 10.2.2020 l'(...) e la ditta (...), a definizione di un procedimento per ATP pendente tra le medesime parti, sottoscrivevano un atto di transazione con il quale dichiaravano di non avere reciprocamente nulla a pretendere in relazione all'immobile di cui è causa; b) in data 27.2.2020 veniva rilasciato l'immobile in favore di parte attrice; c) in data 29.2.2020 l'(...) stipulava un nuovo contratto di locazione con la società (...) srls la quale interveniva volontariamente nel presente procedimento l'1.10.2021. Tale intervento veniva dichiarato inammissibile dal Giudice con ordinanza del 23.12.2019. Conclusioni di parte attrice: "Piaccia al Tribunale Ill.mo, adversis rejectis: - Preso atto dell'accordo intercorso tra la ditta (...) e l'(...), definito con la consegna del bene e a rinuncia ad ogni reciproca personale istanza e richiesta, dichiarare cessata ogni eventuale materia del contendere tra dette parti - In accoglimento della domanda proposta da (...) dichiarare la risoluzione del contratto di locazione commerciale con (...) per grave inadempimento della stessa, confermando il provvedimento di rilascio dell'immobile; - Condannare la soc. (...) al pagamento dei canoni maturati per 4.033,32 mensili, a far data dal mese di marzo 2019 sino alla data di riconsegna del bene febbraio 2020, per un totale di Euro 44.366,57; - Respingere ogni e qualsiasi domanda formulata da (...) sia per quanto concerne le riserve sull'intimazione dello sfratto sia per quanto riguarda la richiesta di ingiunzione dei pagamenti in quanto infondata sotto ogni aspetto - Rigettare la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto con richiesta di risarcimento dei danni proposta da (...) , in quanto infondata - Con vittoria di spese, compenso professionale, iva, cap e spese generali Conclusioni di parte convenuta: "Insiste per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate e dunque per il risarcimento del danno patito causa dei gravi inadempimenti contrattuali, risarcimento da quantificarsi in somma non inferiore ad Euro 60.000,00 o nella diversa misura eventualmente valutata anche in via equitativa dal giudice ed in subordine condannare la ditta (...) al pagamento di tutto quanto eventualmente dovuto a titolo di canoni di locazione ad (...), accertando che nulla è dovuto da parte della società (...) srl. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa ex D.M. n. 55 del 2014"; Conclusioni del terzo intervenuto come da comparsa del 17.12.2019: "Voglia l'Ill.ma S.V., omnibus contrariis riectis: NEL MERITO 1. Previa ogni opportuna declaratoria, respingere le domande avversarie in quantoinfondate in fatto ed in diritto; 2. IN OGNI CASO: -con vittoria di spese, diritti ed onorari E' pacifico nel nostro ordinamento che, in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per il pagamento deve soltanto provare, come ha fatto l'odierno attore, il titolo del suo diritto, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento del debitore convenuto, sul quale invece incombe l'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dall'impossibilità oggettiva ed a lui non imputabile della prestazione. Sia la parte conduttrice che la parte sub-conduttrice assumono di aver legittimamente sospeso il pagamento del canone a fronte dell'inadempimento del locatore al suo obbligo di mantenere la cosa locata in buono stato locativo. L'eccezione è priva di fondamento. Stante il carattere primario ed essenziale dell'obbligazione di pagamento del canone, la sospensione totale o parziale della stessa è sicuramente legittima quando venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra la prestazione delle parti. Sulla base di un recente orientamento della Corte di Cassazione, è altresì legittima anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purchè la sospensione totale o parziale del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. Civ. 16918/2019 e Cass. Civ. 23885/2020). Orbene, dall'istruttoria svolta nonché dalla relazione peritale prodotta in atti non risulta che vi sia stato un inadempimento da parte del locatore e comunque non tale da impedire o limitare in maniera rilevante il godimento dell'immobile. E' dimostrato invece che la ditta (...) ha continuato a godere dell'immobile ed ad utilizzarlo come autorimessa sino alla data del rilascio del bene e né vi è la prova di eventuali danni che possano giustificare richieste risarcitorie nei confronti del locatore. L'inadempimento è pertanto certo e non può che considerarsi grave, sia per l'ammontare dei canoni non pagati sia per la complessiva durata della morosità. In ordine all'individuazione dei soggetti a cui è imputabile tale inadempimento e che sono conseguentemente obbligati al pagamento degli importi richiesti da parte attrice, peraltro, occorre prendere in considerazione due disposizioni: l'art. 36 della L. n. 392 del 1978 e l'art. 1456 c.c. La prima norma così recita: "Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purchè venga insieme ceduta o locata l'azienda, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il locatore può opporsi, per gravi motivi, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione". E' provato documentalmente che il conduttore ha provveduto ad inviare tale comunicazione a parte attrice e risulta pacifico, perché non contestato, che non è stata avanzata alcuna opposizione al riguardo. La norma prosegue dicendo: "Nel caso di cessione, il locatore se non ha liberato il cedente, può agire contro il medesimo qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte" Sul punto la giurisprudenza è costante nel ritenere che: "In caso di cessione del contratto di locazione (o di sub-locazione come nel caso di specie) ai sensi dell'art. 36 L. n. 392 del 1978, qualora il locatore non abbia liberato il cedente, tra quest'ultimo ed il cessionario esiste un vincolo di responsabilità sussidiaria, contraddistinta dal mero beneficium ordinis, che consente perciò al locatore di rivolgersi al cedente per le obbligazioni inerenti al suddetto contratto, solo dopo che si sia venuto a configurare l'inadempimento del nuovo conduttore, nei cui confronti è necessaria la preventiva richiesta di adempimento mediante la semplice modalità di messa in mora" (così, fra tante, Cass ordinanza 7430/2017) Nella fattispecie in esame non vi è prova che il locatore abbia costituito in mora il cessionario prima di agire direttamente nei confronti del conduttore con l'intimazione di sfratto per morosità e, pertanto, la domanda nei suoi confronti non avrebbe potuto trovare accoglimento. Peraltro, la società convenuta ha ritenuto, in data 6 maggio 2019, di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 7 del contratto di affitto di azienda, provocando, ex art. 1456 c.c., la risoluzione di diritto del contratto stesso. Da quel momento, anche se il (...) ha continuato di fatto a detenere l'azienda e l'immobile di cui è causa, unico obbligato nei confronti del locatore per il pagamento del canone, sino alla data del rilascio dell'immobile, è tornato ad essere l'originario conduttore ovvero la società (...) srl. La domanda attorea di condanna della società convenuta al pagamento dei canoni per il periodo da marzo a maggio 2019 compresi non può quindi essere accolta. Per completezza, occorre evidenziare che la domanda non avrebbe trovato accoglimento neppure qualora avesse messo in mora il cessionario in quanto la transazione con esso raggiunta avrebbe estinto l'obbligazione anche nei confronti della società convenuta stante il tenore dell'art. 36 predetto (Tribunale di Arezzo decreto del 16.9.2021). Nulla è dovuto pertanto a parte attrice da alcuna delle parti in causa per il periodo predetto. Merita invece accoglimento la domanda per il periodo da giugno 2019 a febbraio 2020. Va invece rigettata la domanda riconvenzionale avanzata da parte convenuta nei confronti di parte attrice in quanto, come già detto, dall'istruttoria svolta e dalla relazione peritale depositata in atti risulta che, seppur il fondo locato presentasse dei vizi, questi non hanno mai impedito né limitato l'utilizzo dello stesso come autorimessa, né vi è la prova dei danni lamentati (un'eventuale CTU sul punto, stante le allegazioni delle parti, sarebbe stata meramente esplorativa). Va parimenti rigettata la domanda avanzata dalla parte convenuta nei confronti del terzo intervenuto, (nonostante che debba considerarsi come l'effettivo inadempiente tanto da legittimare la parte convenuta a ricorrere all'art. 1456 c.c..) stante l'intervenuta risoluzione di diritto del contratto di affitto di azienda intercorso tra le parti. Le somme eventualmente dovute dal cessionario per il periodo compreso tra la risoluzione ed il rilascio del bene, infatti, sarebbero potute essere pretese dalla società convenuta a titolo diverso , non dedotto però nel presente giudizio. Nessuna pretesa può invece essere avanzata nei confronti delle altre parti dal terzo intervenuto che non ha adempiuto alla propria obbligazione, pur continuando a godere dell'immobile. Le spese tra la parte attrice e la parte convenuta seguono la soccombenza e vengono liquidate ex D.M. n. 55 del 2014. Compensate integralmente le spese di lite tra le altri parti, sia per i motivi sopra espressi sia in forza degli accordi raggiunti tra parte attrice e terzo intervenuto con la scrittura privata del 10 febbraio 2020. P.Q.M. Il Tribunale della Spezia, respinta ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando, in accoglimento della domanda attorea: - dichiara la risoluzione del contratto di locazione, sottoscritto in data 1.2.2012 tra (...) e (...) srl avente ad oggetto il fondo sito in(...), Via C. n. 33 per grave inadempimento di (...) srl - condanna (...) srl, in liquidazione,, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 36.299,88 a titolo di canoni per il periodo da giugno 2019 a febbraio 2020, compresi; - dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda attorea di condanna al rilascio; - dichiara altresì cessata ogni materia del contendere tra parte attrice e terzo intervenuto; - rigetta le domande avanzate dalla società convenuta; - condanna (...) srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante legale, alla rifusione delle spese di lite sostenute da (...)C.I. che si liquidano nella misura di Euro 4.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge per compensi professionali; Compensa integralmente le spese di lite tra le altre parti. Così deciso in La Spezia il 7 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 8 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa ADRIANA GHERARDI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3371/2017 R.G. avente ad OGGETTO: azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. promossa da (...) (...) (...) (...) attori Rappresentati e difesi dall'avv. An.Sc. Contro (...) (...) convenuti Rappresentati e difesi dall'avv. An.Zi. FATTO E DIRITTO Il presente giudizio è stato promosso da parte attrice al fine di ottenere ex art. 2901 c.c. la declaratoria di inefficacia del fondo patrimoniale costituito dai convenuti, che si sono costituiti dopo l'udienza ex art. 180 c.p.c. ottenendo la revoca della contumacia e chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice. La causa è stata istruita mediante prova documentale. Di seguito i fatti che hanno dato origine al presente giudizio, facendo sorgere in capo al sig. (...) - dapprima l'aspettativa e poi il diritto di credito - a tutela del quale ha proposto la presente azione revocatoria. L'esame della cronologia degli avvenimenti è rilevante anche al fine di valutare la sussistenza dei presupposti della proposta azione revocatoria. E' circostanza documentata e pacifica che il Signor (...) all'epoca dei fatti fosse vigile del fuoco presso il Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile, presso il Comando provinciale di La Spezia. In data 29 agosto 2012, il signor (...), si trovava presso la sede del Comando VVF La Spezia, ove prendeva parte ad un addestramento presso il "castelletto di manovra", l'attività di supervisione dell'addestramento era affidata al preposto capo squadra, signor (...), "Responsabile della manovra". Allorchè il signor (...) si apprestava ad eseguire la manovra di discesa da una delle due postazioni predisposte, mediante l'ausilio del sistema di discensione denominato "gri gri", scivolava sul davanzale del pianerottolo del terzo piano, posto ad un'altezza di circa 12 metri, per poi precipitare verso il basso. In mancanza del dispositivo di sicurezza, era risultato del tutto vano il tentativo del signor (...) di frenare la caduta, afferrandosi alla corda statica con le mani: egli era andato comunque ad urtare ripetutamente contro i davanzali delle finestre sottostanti il pianerottolo, infine impattando violentemente al suolo e riportando fratture multiple, era quindi condotto al pronto soccorso dell'ospedale della Spezia e successivamente ricoverato nel reparto di pneumologia. A seguito del sinistro con nota prot. n. (...) del 7 settembre 2012, il Comando Provinciale dei Vigili del fuoco, istituiva una commissione tecnica incaricata di fare luce sull'accaduto e di verificare la dinamica del sinistro e in data 12 settembre 2012 erano avviate anche le indagini da parte della Procura della Spezia. Con nota del 13.10.2012, il responsabile della Commissione Tecnica invitava il Signor (...), nella sua qualità di "responsabile della manovra", a far pervenire una "relazione integrativa" che contenesse chiarimenti in ordine all'osservanza, nella fase antecedente la verificazione dell'infortunio, degli adempimenti richiesti dalla normativa e volti alla prevenzione dei rischi. Il signor (...), il giorno stesso del ricevimento della nota in data 16.10.2012, dava riscontro alla stessa con una relazione ( doc. 4 parte attrice ). In data 9.11.2012, la Commissione tecnica concludeva l'attività ispettiva e di verifica, con il deposito della propria relazione ( doc. 5 parte attrice). Il giudizio penale - successivamente instaurato - si è concluso con la condanna del sig. (...) per il reato p. e p. dall'art. 590 c.p. in quanto, nella sua qualità di responsabile, non aveva adeguatamente vigilato e verificato, che fossero rispettate le norme di sicurezza antinfortunistica, con condanna altresì al pagamento di una provvisionale in solido con il responsabile civile Ministero dell'Interno. La condanna alla provvisionale era ridotta nel quantum in fase di appello ed esclusa la condanna al pagamento della medesima in solido, del responsabile civile Ministero dell'Interno, per vizio di forma. Detta sentenza è stata confermata all'esito del giudizio di cassazione. Gli attori tentavano quindi di ottenere il pagamento della provvisionale in fase stragiudiziale, con esito negativo pertanto iniziavano azione esecutiva mediante pignoramento della quota disponibile dello stipendio del sig. (...) da cui hanno ad oggi ricavato circa Euro 10.000,00 e si avvedevano quindi che il sig. (...) unitamente alla moglie, aveva costituito nell'anno 2012, fondo patrimoniale per i bisogni della famiglia nel quale erano confluiti tutti i beni immobili di loro proprietà. Gli attori chiedevano pertanto dichiararsi l'inefficacia di detto fondo nei loro confronti, essendo evidente la qualità di creditori degli attori, la volontà del debitore di sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale per i creditori, la consapevolezza di arrecare pregiudizio, nonché l'accordo del terzo al fine di sottrarre detti beni. I convenuti si sono costituiti chiedendo il rigetto delle domande ed affermando che il fondo patrimoniale era stato costituito, non per sottrarre beni alla garanzia dovuta ai creditori, bensì in quanto nell'anno 2010 alla sig.ra (...) era stata diagnosticata una grave forma di tumore cerebrale e che il 30 11 2012 poco prima della costituzione del fondo patrimoniale, la commissione medica costituita presso l'INPS l'aveva riconosciuta invalida al 100%, solo per tale motivo i coniugi avevano deciso di costituire il menzionato fondo patrimoniale. La difesa del (...) affermava inoltre di non avere neppure informato la moglie della vicenda oggetto del presente giudizio, al fine di non preoccuparla viste le sue precarie condizioni di salute, inoltre - quanto a sé - di non avere avuto nessun sentore o sospetto dell'esistenza di una propria responsabilità in relazione all'evento per cui è causa prima della richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento penale, in quanto all'esito della commissione tecnica, alla quale aveva inviato la propria relazione, nessuna responsabilità era stata individuata nei suoi confronti. In realtà si deve osservare come già dalla relazione emessa dalla commissione tecnica in data 29/11/2012 ed allegata agli atti, si profilassero possibili elementi di responsabilità del sig (...) poi valorizzati nel procedimento penale conclusosi - come detto ai punti che precedono- con la sua condanna. Fatta questa premessa nel merito si osserva quanto segue. Si deve osservare che, come riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, alla quale si ritiene di aderire, la costituzione di fondo patrimoniale deve considerarsi atto di disposizione a titolo gratuito in quanto non integra, di per sé, adempimento di un dovere giuridico e non trova contropartita in un'attribuzione in favore del disponente. Si ritiene ad oggi sussistente il diritto di credito in capo al ricorrente per le ragioni indicate ai punti che precedono; i fatti che hanno dato origine all'aspettativa di diritto degli attori risalgono al 29 agosto 2012 pertanto sono anteriori alla data di costituzione del fondo patrimoniale ( avvenuta il 14 febbraio 2013 ) ed a causa dei comportamenti del sig. (...), che hanno determinato l'accertamento della sua responsabilità penale. In relazione all'eventus damni, lo stesso è da ritenere sussistente nel caso di specie, in cui la possibilità per il creditore di ottenere soddisfacimento per il proprio credito, divenga non solo incerta, ma altresì difficoltosa. A fronte di un credito ormai divenuto di circa Euro 150.000,00 gli attori hanno ottenuto solo Euro 10.000,00 circa, mediante procedure esecutiva di pignoramento presso terzi, in quanto nessun altro bene avente apprezzabile valore economico risulta intestato al Sig. (...) oltre a quelli confluiti nel fondo patrimoniale. Nel caso di specie, per la cronologia degli avvenimenti, nonché in considerazione del fatto che non sia stato neppure contestato che tutti i beni aventi valore economicamente apprezzabile siano confluiti nel fondo patrimoniale, appare evidente la volontà del debitore di sottrarli alla garanzia patrimoniale nei confronti del creditore. In merito alla grave patologia da cui risulta affetta la sig.ra C., si deve osservare che la stessa era stata diagnosticata fin dall'anno 2010, essendo risultata immediatamente evidente la sua gravità, trattandosi di tumore cerebrale che per sua natura non è suscettibile di guarigione, pertanto la sua evoluzione e possibile ingravescenza erano noti fin da principio ai convenuti, che si sono determinati a costituire il fondo patrimoniale pochi mesi dopo essere venuti a conoscenza ( quanto meno il (...) ) dei possibili profili di responsabilità per il grave infortunio occorso al sig. (...), non pare invece determinante in quanto conseguenza prevedibile, il riconoscimento dell'invalidità del 100% che senza nulla aggiungere all'inevitabile decorso della malattia, aveva semmai portato al riconoscimento di sostegno economico per la signora (...) non più in grado di svolgere attività lavorativa. Si deve altresì osservare come, se è pur vera l'osservazione per la quale appare poco verosimile la costituzione di un fondo patrimoniale che si estingue a seguito del decesso di uno dei coniugi, in una situazione quale quella dei convenuti, è anche vero che di contro proprio la costituzione del fondo renda meno agevole per gli stessi coniugi disporre dei beni in esso confluiti, pertanto appare del tutto controindicato nella situazione familiare prospettata. Neppure è stata indicata la presenza di figli minori o non autosufficienti da tutelare mediante la disposta segregazione dei beni. Appare allora evidente che in realtà la sua costituzione sia stata voluta per sottrarre alla garanzia patrimoniale del creditore la quota dei beni immobili di proprietà del sig. (...). Non occorre nel caso di specie il consilium fraudis del terzo, trattandosi di atto di disposizione a titolo gratuito e che si può in ogni caso presumere visto il rapporto di coniugio con il debitore. La tesi di parte attrice volta a negare la sussistenza dell'intento distrattivo sulla base dell'esistenza di polizza assicurativa, appare del tutto irrilevante posto che ad oggi nessun risarcimento appare essere stato erogato a tale titolo. Alla luce di quanto esposto deve essere accolta la domanda di revocatoria ex art. 2901 c.c. e, per l'effetto, dichiarata l'inefficacia nei confronti degli attori, dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale a rogito del Notaio (...), del (...), rep. (...), trascritto in data 20 febbraio 2013, ove i Signori (...) e (...) hanno destinato i beni immobili di loro proprietà, tutti siti in (...), e più segnatamente i diritti di proprietà per una quota di 1/2 ciascuno, in regime di comunione legale, del complesso edilizio sito in (...), via (...), n. 531, costituito da tre fabbricati, così censiti: - catasto fabbricati del Comune di (...), foglio (...), particella (...), sub. (...), piano 2; natura A2 - abitazione di tipo civile, consistenza 5,5 vani; - catasto fabbricati del Comune di (...), foglio (...), particella (...), sub. (...), piano 1; natura A3 - abitazione di tipo economico; consistenza 3 vani; - catasto fabbricati del Comune di (...), foglio (...), particella (...), sub. (...), piano T; natura C6 - stalle, scuderie, rimesse, autorimesse. Le spese, liquidate in dispositivo nei valori medi per le fasi di studio, introduttive e decisionale e minimi per la fase istruttoria limitata al deposito di memorie, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando -accoglie l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e, per l'effetto, dichiara l'inefficacia nei confronti degli attori (...) e (...), anche per le figlie minori (...) e (...) dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale a rogito del Notaio (...), del (...), rep. (...), trascritto in data 20 febbraio 2013; -condanna (...) e (...) al pagamento in solido a favore di parte attrice delle spese del presente giudizio pari ad Euro 11.810,00 per compenso professionale, Euro 759,00 per spese, oltre accessori di legge. Così deciso in La Spezia il 25 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA In composizione monocratica, in persona del giudice Ettore Di Roberto, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2646/2018 R.G.A.C. promossa da: (...), rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) Parte attrice contro Condominio (...) (c.f. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, difeso e rappresentato dall'Avv. (...). Parte convenuta CONCLUSIONI Per parte attrice: "Voglia l'Ill.mo Tribunale della Spezia, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione reietta, così provvedere: Dichiarare la nullità e/o annullabilità del verbale e delle delibere impugnate, per i motivi sopra esposti; Condannare parte convenuta al pagamento delle spese di causa nonché di quelle relative al procedimento di mediazione". Per parte convenuta: "Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito contrariis reiectis: in via preliminare: accertare e dichiarare, eventualmente anche d'ufficio, l'improcedibilità e/o improponibilità della domanda giudiziale promossa da parte attrice per aver omesso di attivare la procedura di mediazione rientrando la materia condominiale tra quelle di natura obbligatoria per l'esperimento della mediazione prima di procedere alla proposizione della domanda giudiziale; nel merito in via principale: accertare la cessazione della materia del contendere a fronte del nuovo invio del verbale di assemblea del 28.9.2018 da parte dell'amministratore del Condominio (...) alla signora (...) e accertare, altresì, che la votazione di cui al punto 1) dell'ordine del giorno è stata eseguita correttamente, accertare che in ordine ai punti 3) e 4) non era prevista alcuna votazione e, per l'effetto, dichiarare la delibera assembleare del 28.9.2018 valida ed efficace, condannando parte attrice al pagamento delle spese di lite con distrazione in favore dell'avv. (...) procuratore costituito; in via subordinata: nella denegata ipotesi in cui Questo Ill.mo Giudice dovesse ritenere non cessata la materia del contendere, accertare che l'errore compiuto dall'amministratore, oltre alla buona fede, è stato meramente materiale, accertare che la votazione di cui al punto 1) dell'ordine del giorno è stata eseguita correttamente, accertare che in ordine ai punti 3) e 4) non era prevista alcuna votazione e, per l'effetto, dichiarare la delibera assembleare del 28.9.2018 valida ed efficace condannando parte attrice al pagamento delle spese di lite con distrazione in favore dell'avv. (...) procuratore costituito; in ogni caso con vittoria di spese ed onorari di giudizio in via istruttoria: opponendosi alle richieste istruttorie ed all'accoglimento delle prove testimoniali avanzate da controparte in atto di citazione, in quanto assolutamente generiche, si contesta che i fatti di cui in narrativa dell'atto di citazione risultano basati su circostanze verificabili documentalmente. In forza della mancata ammissione da parte dell'Ill.mo Giudicante delle istanze istruttorie richieste, ai soli fini di un eventuale giudizio di appello, si insiste per la remissione in istruttoria. In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari della presente procedura, oltre CPA, IVA e spese generali come per legge". MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE In data 28.9.2018 risulta essersi svolta in seconda convocazione l'assemblea straordinaria condominiale oggetto di causa, sul seguente ordine del giorno: "1) a seguito delle dimissioni presentate dallo studio legale (...) - nomina sostituto; 2) relazione da parte dell'Arch. (...) sullo stato dello svolgimento dei lavori - deliberazioni in merito; 3) a seguito lettera pervenuta dallo studio Avv. (...) che si allega - deliberazioni in merito". Gli esiti della relativa discussione sono stati verbalizzati come segue: "Punto 1: si nomina a maggioranza ad esclusione del signor (...) e la sig.ra (...)... l'avv. (...) per tutte le pratiche aperte. Si approva all'avv. (...) il compenso 2000,00 + oneri fiscali di legge.... Punto 2/3: l'arch. (...) relaziona l'imminente inizio dei lavori con occupazione suolo pubblico dal 24.9.2018. La prossima settimana, come da ordine di servizio che si allega al presente verbale, saranno effettuate le lavorazioni necessarie al successivo intervento telecom. Si incaricano i tecnici di controllare la colonna verticale in merito agli effettivi scarichi in particolare lato (...) e (...), Giudici. Le opere eseguite senza autorizzazione dovranno essere oggetto di attenta verifica da parte dei tecnici e dovrà essere ripristinato lo stato antecedente. Il signor (...) allega al presente verbale due fotografie dove si evince la perdita del tubo". (...), in primo luogo, lamenta che nelle premesse del suddetto verbale sia stato riportato un fatto contrario al vero, cioè la presenza del figlio, (...), quale suo delegato; con conseguente indicazione di 16 condomini presenti o rappresentati su delega, per un totale di 787 millesimi. Trattasi, secondo quanto prospettato, di falsa attestazione che renderebbe nullo e/o annullabile il verbale in oggetto con le delibere assunte, stante l'erroneità conseguente della verifica effettuata circa la valida costituzione dell'assemblea. Il motivo è infondato. Alla luce delle difese svolte e della documentazione prodotta dal condomino, infatti, è risultato che nella specie si è trattato di un mero errore materiale contenuto nella sola copia (trascritta al computer) del verbale originale redatto a mano; copia in effetti inviata a tutti i condomini, compresa l'odierna attrice. Va, dunque, confrontato il documento allegato sub 2 all'atto di citazione con quello prodotto sub 2 da parte convenuta. In tale secondo documento è, in effetti, riportata una tabella contenente tutti i nominativi dei condomini e a fianco di (...) non è segnata né la "P" di "presente" né la "D" di "delegato"; è quindi indicato il numero di intervenuti o rappresentati corretto, 15 per 731,00 millesimi, sufficiente a ritenere l'assemblea validamente costituita. L'attrice non ha contestato il fatto che tale scrittura, firmata in calce dal presidente e dal segretario eletti, costituisca l'originale del verbale in questione. Parte convenuta ha anche chiarito che tale scrittura è stata trascritta nel relativo registro condominiale. Si tratta di allegazione non oggetto di specifica contestazione e che comunque non trova smentita nelle risultanze in atti. Risulta, infine, che in data 21.3.2019 l'amministratore dell'epoca, riconosciuto l'errore materiale contenuto nella copia precedentemente comunicata, ha inviato all'odierna attrice copia del verbale originale in oggetto. Passando oltre, in atto di citazione viene ritenuta viziata la delibera di cui al punto 1) dell'ordine del giorno (nomina dell'avv. (...) quale legale del Condominio); ciò a causa della mancata esatta indicazione dei condomini che votarono favorevolmente o negativamente o che si fossero eventualmente astenuti. Anche tale motivo è infondato, richiamandosi l'orientamento della giurisprudenza in materia, anche di legittimità (cfr. Cass. n. 40827/2021), secondo cui: "In tema di assemblea di condominio, sebbene il relativo verbale dovrebbe contenere l'elenco nominativo dei condomini intervenuti, indicando assenti e dissenzienti, nonché il valore delle rispettive quote, la mancanza di tale indicazione non incide sulla validità della delibera, ove a tale incompletezza possa rimediarsi mediante un controllo "aliunde" della regolarità del procedimento. Sicché non è annullabile la deliberazione il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazione nominativa dei condomini che hanno votato a favore, cionondimeno contenga l'elenco di tutti i condomini presenti, con i relativi millesimi e rechi, altresì, l'indicazione nominativa di quelli che si sono astenuti e di quelli che hanno votato contro, nonché del valore complessivo delle rispettive quote millesimali, consentendo tali dati di stabilire con sicurezza, per differenza, quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonché di verificare che la deliberazione assunta abbia superato il "quorum" richiesto dall'art. 1136 c.c.". Nel caso di specie è indubbio che (...) e (...) espressero voto contrario, visto che i loro nominativi sono indicati a verbale in contrapposizione ("ad esclusione") al voto assunto dalla maggioranza. Analogo motivo di impugnazione è svolto sul deliberato di cui al punto 3) dell'ordine del giorno, questa volta fondatamente. Si discute, invero, tra le parti se qui una qualche delibera sia stata effettivamente assunta. La risposta deve essere positiva, pur dovendosi dare atto della genericità della relativa verbalizzazione. L'assemblea in particolare, oltre ad incaricare propri tecnici dei controlli del caso, con riguardo ad eventuali opere eseguite senza autorizzazione stabilisce già la necessità di rispristinare lo stato antecedente; in tal modo, cioè, già consentendo l'eventuale intervento. Ebbene, anche rispetto a tale decisione sarebbe stato necessario indicare i condomini favorevoli e quelli contrari o astenuti. Considerata la parziale soccombenza reciproca e le peculiarità della fattispecie relativamente al primo motivo di impugnazione, si ritiene di disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale della Spezia, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa: in parziale accoglimento della domanda attorea, annulla quanto deliberato dall'assemblea condominiale del 28.9.2018 ai punti 2 e 3 dell'ordine del giorno, secondo quanto specificato in parte motiva; rigetta gli altri motivi di impugnazione, confermando la delibera di cui al punto 1 dell'ordine del giorno; dispone la compensazione delle spese di lite. Così deciso in La Spezia, il 22 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DELLA SPEZIA in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Barbara Forleo ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 1694/2020 R.G., discussa all'udienza del 7 febbraio 2022 e promossa da: (...) (cod. fisc. (...)) avv. Gi.Za. e avv. Su.Ga. ATTORE CONTRO (...) (cod. fisc. (...)) avv. Fe.Ga. CONVENUTO Oggetto: risoluzione per finita locazione MOTIVAZIONI IN FATTO ED IN DIRITTO Per il fatto si rinvia agli atti del processo. In diritto: Le parti precisavano le seguenti conclusioni: per parte attrice: "Piaccia al Tribunale Ill.mo, ogni contraria istanza disattesa, dichiarare cessato per effetto della disdetta del locatore del 5.7.2020 il contratto di locazione del fondo sito alla S., in via F., 27, piano terra, condannando l'avv. (...) a rilasciare il fondo stesso nella disponibilità di (...) libero da persone e sgombero da cose, Con vittoria di spese e competenze dell'intero giudizio. In ipotesi, accertata la nullità del contratto medesimo, dichiarare che l'avv. (...) detiene l'immobile da gennaio 2008 senza titolo e, per l'effetto, condannarlo all'immediato rilascio del fondo stesso; dichiarare inoltre tenuto lo stesso Avv. (...), al pagamento dell'indennità di abusiva disoccupazione nella misura di Euro 146.940, oltre a Euro 930,00 per ogni mese successivo a febbraio 2021, con la rivalutazione e gli interessi; e, condannarlo, pertanto, a pagare a (...) l'importo corrispondente alla differenza tra la detta somma e quella complessivamente pagata dal 2008 a oggi a titolo di canone di locazione. In ogni caso con vittoria di spese e competenze di causa e condanna del convenuto ai sensi dell'art. 96 c.p.c." per parte convenuta: (previa rimessione in istruttoria della causa) "In via pregiudiziale Invita il GOT a valutare l'opportunità della propria astensione per il dettato di cui all'articolo 51 c. e per quanto meglio articolato in narrativa; In via preliminare Accertare e dichiarare l'improcedibilità dell'intimazione di sfratto per finita locazione, attesa la inesistenza e/o inefficacia del contratto di locazione ex articolo 2702 c.c., nullità, inefficacia e/o invalidità del contratto per quanto dedotto nella narrativa della presente nota; Accertare e dichiarare la inefficacia sanante dell'avvenuta registrazione del contratto come prodotto stante la sua inesistenza/inefficacia/nullità contrattuale; Accertare e dichiarare il difetto di legittimazione attiva della parte procedente per le ragioni di cui alla ricordata giurisprudenza consolidata riferita nella narrativa del presente atto ed in assenza della prova della qualità di erede del soggetto avente titolarità attiva del rapporto controverso; prova conferita con un tardivo e non autorizzato deposito telematico del testamento del povero Dottor D.N.G. In via principale: Applicare al contratto la durata legale prevista dall'art. 27 L. n. 392 del 1978 (sei più sei) con decorrenza dal 01/07/2018 e conseguentemente stabilire la naturale scadenza contrattuale al 30/06/2024 In via riconvenzionale Accertare e dichiarare il locatore, quale erede accettante l'eredità, tenuto alla restituzione dei canoni di locazione percepiti in ragione del contratto nullo per il periodo dal 01/11/2008 al la data del 01/07/2018 e per l'effetto: condannare il locatore al pagamento dell'importo di Euro 58.300,00 e/o alla diversa somma risultante dall'istruttoria, il tutto maggiorato da rivalutazione monetaria e da interessi; disporre la restituzione dell'importo versato a titolo di deposito cauzionale pari ad Euro 500,00 da sommare ai canoni di locazioni il tutto pari ad Euro 58.800,00 Con vittoria di spese e compensi professionali." Preliminarmente occorre ribadire che non sussistono gravi ragioni di convenienza ex art. 51 c.p.c. tali da imporre al Giudicante di astenersi. Come è già stato chiarito, seppur incidentalmente, dal Tribunale della Spezia, in composizione collegiale, non vi è alcun rapporto di credito/ debito con alcuna delle parti o i loro difensori, né vi è una qualche inimicizia, né sono state ravvisate delle circostanze che possano compromettere l'imparzialità del giudizio. Venendo al merito delle questioni trattate, occorre premettere che, in data 21.5.2021, il conduttore ha rilasciato spontaneamente l'immobile e, pertanto, sulla domanda principale avanzata dal locatore è cessata la materia del contendere. Peraltro, prima di decidere in punto di spese sulla base del principio della soccombenza virtuale, occorre esaminare le domande avanzate dalla parte convenuta. In primo luogo occorre sottolineare che la fattispecie è regolata dall'articolo 1571 e ss c.c. e non già dalla L. n. 392 del 1978. Tale ultima normativa trova applicazione allorchè gli immobili siano adibiti ad attività industriali, commerciali e artigianali ovvero all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo, Nel caso di specie si tratta di un fondo terraneo adibito a garage e, pertanto, la normativa speciale predetta non è operante. Di ciò ne erano consapevoli le parti nel momento in cui hanno dato vita al rapporto contrattuale di cui è causa, tant'è vero che viene esplicitato nella scrittura prodotta in atti da parte attrice. Peraltro non si può sostenere che si tratti di un bene pertinenziale perchè al servizio di un bene immobile (sempre di proprietà di parte attrice) che è stato concesso al conduttore per lo svolgimento della propria attività professionale. Infatti, perché un bene possa considerarsi pertinenziale occorre che sia destinato in maniera durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa, ma per assumere tale destinazione non è sufficiente che il conduttore lo utilizzi in concreto a tale scopo. Occorre invece che tale destinazione sia espressione di un'univoca manifestazione di volontà del proprietario di entrambi i beni o che, comunque, si tratti di un bene insuscettibile di una diversa destinazione senza una sua radicale trasformazione (Cass Civ 1301/2019). Sul punto non vi è prova che il fondo possa qualificarsi come una pertinenza, né i mezzi istruttori di cui ha richiesto l'ammissione la parte convenuta avrebbero potuto dare indicazioni in tal senso. Sulla base di queste premesse, per la sottoscrizione del contratto di locazione di cui è causa non era necessaria la forma scritta a pena di nullità e pertanto i contraenti originali hanno validamente stipulato nel lontano 2008 un contratto di locazione ai sensi dell'articolo 1571 c.c.., continuando per anni a dargli esecuzione sulla base dei patti e delle condizioni pattuite. L'eccezione di nullità, pertanto, non può che essere rigettata. Parimenti va rigettata l'eccezione di legittimazione attiva di parte attrice, la quale è subentrata nel rapporto contrattuale nella sua qualità di erede e tale qualità è stata riconosciuta dal conduttore il quale ha continuato a dare esecuzione al contratto anche dopo il decesso del de cuius senza eccepire alcunchè. Rigettate le eccezioni preliminari, vanno conseguentemente rigettate anche le altre domande avanzate dalla parte convenuta, tese ad applicare la L. n. 392 del 1978 ed ottenere la condanna alla restituzione dei canoni di locazione percepiti da parte attrice in ragione della asserita (e rigettata) nullità del contratto. Pertanto, parte convenuta risultata soccombente su tutte le domande proposte mentre parte attrice ha legittimamente esercitato il suo diritto di risolvere il contratto alla scadenza. Le domande avanzate dalla parte attrice in via subordinata rimangono assorbite dall'accoglimento (anche se solo virtuale) della domanda principale. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono poste a carico della parte convenuta, liquidandole come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 sulla base dello scaglione da Euro 5.200,00 a Euro 26.000,00 ed esclusa la fase istruttoria che non è stata espletata. Non si ritiene invece applicabile l'art. 96 c.p.c., non sussistendone i presupposti nella fattispecie in esame. P.Q.M. Il Tribunale della Spezia, respinta ogni contraria istanza, eccezione o deduzione, definitivamente pronunciando: -dichiara cessata ala materia del contendere in merito alle domande avanzate in via principale da parte attrice; -rigetta le domande avanzate da parte convenuta; -condanna (...) a rifondere a (...) le spese di lite che liquida in complessivi Euro 145,50 per esborsi ed Euro 3.000,00 oltre spese generali, IVA e Cap per compensi professionali. Così deciso in La Spezia il 7 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DELLA SPEZIA Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Gabriele Romano ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1596/2017 promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Va.BI., come da mandato in calce all'atto di citazione, elettivamente domiciliati presso il suo studio in VIA (...) - LA SPEZIA attore contro (...) s.r.l. rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gi.NA., Ma.SC. e Lu.VI., come da mandato allegato alla comparsa di costituzione, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'ultimo in VIA (...) - TORINO convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 30 maggio 2017 (...), Ispettore Capo della Polizia di Stato presso il Centro Nautico Sommozzatori della Spezia, esponeva che, in data 11 novembre 2015, aveva ricevuto l'ordine di provare una scala metallica componibile da utilizzare per risalite o abbordaggi navali, realizzata e commercializzata da (...) s.r.l.. L'attore si era quindi recato alla base navale di Punta Pezzino e lì, coadiuvato dall'Assistente (...), dopo la verifica dei componenti ed il montaggio della scala a pioli, aveva trasferito la stessa nell'area addestrativa per effettuare una prova a secco, al fine di testarne l'efficacia e standardizzare un metodo d'uso da estendere a tutti i colleghi sommozzatori. Senonché, nel corso della risalita lungo la scala a pioli, l'attore scivolava verso il basso e nel tentativo di recuperare l'assetto afferrava il piolo sottostante, il quale presentava uno spigolo vivo e molto tagliente, che gli procurava una profonda ferita al dito anulare della mano sinistra con una parziale amputazione della falange. Evidenziata quindi la sussistenza di postumi valutabili quale danno biologico al 4%, da aumentarsi al 10% in relazione alla propria particolare attività lavorativa, l'attore concludeva per l'accertamento della responsabilità di (...) s.r.l. nella causazione del sinistro, con condanna della predetta al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali e patrimoniali patiti. (...) s.r.l., ritualmente intimata, si costituiva in giudizio deducendo l'infondatezza della domanda avversaria per carenza dei necessari presupposti che consentano la sicura riferibilità dell'infortunio occorso ad asserita difettosità del prodotto venduto. In particolare, rilevava che la scala componibile a pioli era stata consegnata all'acquirente quasi un anno prima, con attestazione di regolare esecuzione della fornitura e senza che fossero pervenute segnalazioni sino al momento dell'infortunio. Evidenziava inoltre che la scala non era da utilizzarsi "a secco", trattandosi di scala per sommozzatori che pacificamente dev'essere utilizzata in acqua, mentre dalla narrativa dell'attore emergeva che il prodotto era stato utilizzato per una prova fuori acqua - con conseguente necessità di porre in essere la manovra che aveva causato il danno per evitare di cadere a terra - e senza la normale fornitura subacquea in dotazione (muta e guanti), che avrebbe parimenti evitato il danno. Esclusa quindi la sussistenza di vizi apparenti od occulti e chiarito che il bene era stato usato in condizioni di tempo e luogo non corrette e senza gli appropriati indumenti, la convenuta contestava altresì la genericità della dinamica del sinistro descritta dall'attore, confusa ed inidonea ad individuare una qualsiasi riferibilità dell'infortunio occorso a vizi del prodotto. Contestata infine la quantificazione dei danni, (...) concludeva per il rigetto della domanda avversaria. La domanda attorea non può trovare accoglimento, per le ragioni che si vanno ad esporre. L'azione va qualificata come domanda risarcitoria per danni cagionati da prodotto difettoso. Muovendo quindi dall'esame del quadro normativo di riferimento, l'art. 114 cod. cons. stabilisce che "Il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto". Ai sensi del successivo art. 117, "Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: a) il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; b) l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; c) il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione. ... Un prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie". Quanto infine all'onere della prova, l'art. 120 cod. cons. stabilisce che "Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno", mentre "Il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'articolo 118". La responsabilità da prodotto difettoso ha dunque natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato - ai sensi dell'art. 120 del D.Lgs. n. 206 del 2005 (cd. codice del consumo), come già previsto dall'8 del D.P.R. n. 224 del 1988 - la prova del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno e, una volta fornita tale prova, incombe sul produttore - a norma dell'art. 118 dello stesso codice - la corrispondente prova liberatoria, consistente nella dimostrazione che il difetto non esisteva nel momento in cui il prodotto veniva posto in circolazione, o che all'epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (in questi termini Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29828 del 20/11/2018). Quanto alla nozione di difetto, si è specificato che il livello di sicurezza al di sotto del quale il prodotto deve ritenersi difettoso non corrisponde a quello della sua innocuità, dovendo piuttosto farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze tipizzate dalla suddetta norma, o ad altri elementi valutabili ed in concreto valutati dal giudice di merito, nell'ambito dei quali rientrano anche gli standard di sicurezza eventualmente imposti da normative di settore (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29828 del 20/11/2018). Ciò posto, nel caso di specie difetta già il primo e fondamentale presupposto per l'accertamento della responsabilità del produttore, ossia la prova (il cui onere, come visto, grava sul danneggiato) dell'esistenza di un difetto del prodotto. Ed invero, l'attore, a tale proposito, si è limitato ad allegare che un piolo della scala presentava uno spigolo vivo e molto tagliente, difetto che tuttavia non emerge con sufficiente chiarezza dalle fotografie prodotte all. 15 att., le quali, peraltro, ritraggono nel dettaglio soltanto un singolo piolo della scala, rendendo impossibile una comparazione con gli altri pioli (presumibilmente regolari, benché nulla sia stato indicato a riguardo), ovvero comunque con altri esemplari del medesimo prodotto. Analoghe perplessità emergono poi dal capitolo di prova orale offerto sul punto, genericamente riferito alla presenza di un bordo tagliente, non meglio localizzato. In assenza, dunque, di un'idonea e sufficientemente specifica allegazione del difetto lamentato ed in mancanza di prova dell'esistenza dello stesso (prova che, ad esempio, si sarebbe potuta fornire, quantomeno a livello presuntivo, mediante perizia di parte avente ad oggetto il prodotto in questione), non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall'utilizzatore di un prodotto sia l'inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest'ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un'attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell'esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all'utilizzazione del prodotto stesso (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13458 del 29/05/2013). D'altronde, si consideri che l'infortunio è avvenuto non durante la normale risalita o discesa della scala, bensì per essersi l'attore "agguantato" ad un piolo mentre stava precipitando dall'alto, laddove, per il materiale metallico dal quale è composta la scala, afferrare o comunque scontrare la stessa mentre si cade dall'alto ben può cagionare ferite agli arti o al capo, senza che da ciò debba necessariamente arguirsi la presenza di difetti del prodotto. Tanto premesso in ordine alla mancata prova della difettosità del prodotto, deve altresì evidenziarsi - con riferimento al nesso di causa tra difetto e danno, il cui onere grava sempre sul danneggiato - come appaia gravemente lacunosa anche la ricostruzione della dinamica del sinistro offerta dall'infortunato: l'attore, in citazione, si è infatti limitato ad allegare che "nel corso della risalita sulla scala a pioli di cui sopra, scivolava verso il basso e nel tentativo di recuperare l'assetto afferrava il piolo sottostante; tale piolo, tuttavia, presentava uno spigolo vivo e molto tagliente, che procurava all'Ispettore (...) una profonda ferita al dito anulare della mano sinistra". Nessuna ulteriore precisazione è stata fornita nei termini di rito, ossia con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., nonostante la convenuta, in comparsa di costituzione, avesse contestato la genericità della dinamica descritta. Né una più analitica ricostruzione dei fatti emerge dalla documentazione in atti, atteso che sia la relazione di servizio dell'attore all. 1 att., sia la relazione dell'assistente (...) all. 2, descrivono l'accaduto con altrettanta sommarietà. Non risultano quindi chiarite una serie di circostanze che sarebbero state determinanti ai fini dell'accertamento del nesso causale tra difetto del prodotto e danno, quali, ad esempio: - La dinamica e le cause della scivolata verso il basso dell'attore, che, se dovuta ad una manovra imprudente od imperita dello stesso, determinerebbe l'imputabilità dell'accaduto allo stesso danneggiato, ex art. 1227 c.c.; - Il punto preciso del piolo al quale l'attore si sarebbe aggrappato; a tale proposito, la convenuta, in prima memoria ex art. 183 c.p.c., ha sostenuto che (...) avrebbe infilato un dito in un foro di alleggerimento della struttura; l'attore, nelle successive memorie ex art. 183 c.p.c., non ha preso esplicita posizione sul punto (sempre senza rendere - neppure tardivamente - gli agognati chiarimenti sulla dinamica dell'infortunio), mentre nella propria comparsa conclusionale non ha esplicitamente negato tale ricostruzione, limitandosi a sostenere di non avere mai riferito tale versione, salvo poi domandarsi come possa esigersi dal sommozzatore che sta effettuando un'operazione di risalita o di discesa da un mezzo navale di prestare attenzione a non mettere le dita in parti della scala che in sede di progettazione non si riteneva dovessero venire in contatto con l'utilizzatore; - La posizione della scaletta al momento della caduta, non chiarita neppure dalle fotografie prodotte, nelle quali viene ripresa con diversi appoggi all. 15; si vedano, in particolare, le fotografie n. 3 e n. 4, nelle quali la scala appare in posizione corretta, mentre nelle fotografia n. 5 appare rovesciata; non è inoltre stato precisato dall'attore, pur a fronte delle specifiche osservazioni mosse sul punto dalla convenuta, se la scala fosse stata appoggiata ad un muro (come appare nelle fotografie), ovvero agganciata dall'alto; - La posizione del piolo "incriminato" al momento del sinistro; dalle fotografie n. 1 e n. 2, che riprendono il piolo dal retro, esso appare posizionato sulla parte destra della scaletta, ove correttamente installata (v. anche fotografie n. 3 e n. 4); nondimeno, l'attore si è ferito la mano sinistra, per cui non è dato comprendere se, per evitare la caduta, D. avesse afferrato con la mano sinistra un piolo destro, oppure se la scaletta fosse stata posizionata erroneamente. I dubbi che ne residuano - non sanabili né con le prove orali offerte (che possono esclusivamente limitarsi alla conferma di quanto tempestivamente allegato in causa e che, in ogni caso, risultano formulate in capitoli inidonei a fornire ulteriori chiarimenti), né con la richiesta CTU (che si rivelerebbe esplorativa) - determinano quindi una situazione di incertezza probatoria sulla dinamica del sinistro che si risolve a sfavore dell'attore, onerato di provare il nesso causale tra difetto e danno. Le considerazioni suesposte risultano già dirimenti ai fini del rigetto della domanda, difettando la prova della riferibilità dell'infortunio occorso alla pretesa difettosità del prodotto venduto. Ad ogni buon conto, quand'anche si ritesse provata la sussistenza del difetto lamentato e la verificazione del sinistro secondo la dinamica allegata, altre circostanze riportate dallo stesso attore impedirebbero comunque l'accoglimento della domanda. Ci si riferisce, in particolare, alle modalità con le quali è stato utilizzato il prodotto, pacifico essendo che, in occasione dell'infortunio oggetto di causa, la scaletta era stata installata (come e dove non è dato saperlo) a terra, per una prova "a secco". Ciò posto, si osserva che, come correttamente evidenziato dalla convenuta, una scaletta metallica per abbordaggi navali è concepita per essere agganciata ad imbarcazioni in acqua, di talché, ove avvenga - come nel caso di specie - che il sommozzatore perda l'appiglio, egli può lasciarsi cadere in acqua, senza necessità di porre in essere manovre di emergenza volte ad evitare rovinose cadute al suolo. Inoltre, è altrettanto pacifico che l'attore, al momento dell'infortunio, non stesse utilizzando le consuete dotazioni subacquee del sommozzatore (muta e guanti), ciò che avrebbe parimenti consentito di evitare il danno. Dalle stesse allegazioni attoree emerge quindi un utilizzo del prodotto con modalità improprie e divergenti da quelle alle quali il medesimo può essere ragionevolmente destinato, in un contesto diverso da quello previsto e senza dotarsi di strumenti di protezione, con conseguente elisione del nesso causale tra preteso difetto (quand'anche provato) e danno. Non rilevano in senso contrario le osservazioni svolte da parte attrice, per la quale, dal manuale d'uso in atti all. 7 conv., emergerebbe la possibilità di utilizzo della scaletta anche in terraferma e senza dotazioni di sicurezza. Si ritiene infatti che la lettura del manuale supportata dall'attore in parte qua appaia fuorviante, mentre risultano maggiormente verosimili le controdeduzioni svolte dalla convenuta (relative, in particolare, all'interpretazione della possibilità di utilizzo "in ogni condizione ambientale" come riferita alle condizioni meteomarine, nonché alla presenza di elsa di protezione per le mani finalizzata ad evitare schiacciamenti dell'arto contro il bordo della nave, piuttosto che per consentire la risalita a mani nude, in assenza di guanti). In ogni caso ed infine, anche a voler prescindere dall'irritualità dell'uso del prodotto, si ritiene che il datore di lavoro del danneggiato, avendo deciso di effettuare una prova della scaletta "a secco", avrebbe dovuto fornire adeguate dotazioni di sicurezza volte ad evitare cadute dall'alto; la mancata predisposizione di tali cautele, avente sicura efficacia causale nella determinazione del danno occorso all'attore, integra un'ulteriore causa di esclusione della responsabilità della convenuta. La domanda risarcitoria va pertanto respinta. Le spese seguono la soccombenza dell'attore e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della causa, con applicazione dei parametri medi di liquidazione di cui al D.M. n. 55 del 2014 per le fasi di studio, introduttiva e decisionale e con diminuzione di giustizia dei compensi per la fase di trattazione, non essendo stata svolta attività istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, respinge la domanda dell'attore e condanna il predetto a rifondere la convenuta delle spese di lite, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in La Spezia il 12 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DELLA SPEZIA Il Giudice monocratico in funzione di Giudice del lavoro dottor Giampiero PANICO ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 452 del 2020 R.G.L., su ricorso depositato il 13 maggio 2020, avente ad oggetto: RISARCIMENTO DANNI: ALTRE IPOTESI, promossa con unico atto da: - (...), c.f. (...), res.te alla S. (S.), - (...), c.f. (...), res.te alla S., - (...), c.f. (...), res.te alla S., - (...), c.f. (...), res.te alla S., quali eredi legittimi di (...), rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dall'avv. Ro.QU. e dall'avv. Em.BA., elettivamente domiciliati come in atti, indirizzo p.e.c. (...) e (...), RICORRENTI contro: MINISTERO DELLA DIFESA, c.f. (...), in persona del Ministero pro tempore in carica, rappresentato e difeso, come legge, dall'Avvocatura distrettuale di Stato di Genova, elettivamente domiciliato come in atti, indirizzo p.e.c. (...), CONVENUTO FATTO E DIRITTO I ricorrenti di cui in epigrafe - eredi (risp., moglie e figli) di (...), già dipendente civile del convenuto MINISTERO, deceduto in data 16 settembre 2016 - agivano in giudizio per sentir accertare la responsabilità ex art. 2087, c.c., del predetto Dicastero nella causazione della patologia che aveva portato il dante causa alla malattia ed al decesso, quindi chiedevano dichiarar tenuto e condannarsi il MINISTERO al risarcimento di tutti i danni jure hereditatis, oltre accessori e spese. Precisavano di aver già agito jure proprio avanti il Tribunale di Genova, giudice civile ordinario. Il MINISTERO ut supra si costituiva, eccepiva il difetto di giurisdizione e, nel merito, chiedeva il rigetto del ricorso; in via gradata, chiedeva l'accoglimento del medesimo negli stretti termini di giustizia, anche con detrazione di quanto già percetto dai ricorrenti o dal loro dante causa per i fatti di cui al ricorso; sempre, col favore delle spese. Cosí radicatosi il contraddittorio, appurata l'assenza di spazi conciliativi, la causa era istruita come in atti; seguivano la discussione dei difensori e poi la decisione del giudice, come da separato dispositivo, letto e poi emesso per via telematica al termine della camera di consiglio. La domanda oggetto di cognizione in questa sede concerne unicamente la richiesta di risarcimento del danno jure hereditatis. I ricorrenti, per le richieste di danno a titolo proprio, hanno infatti presentato separato giudizio avanti il giudice ordinario di Genova, competente per la domanda non basata sulla violazione di disposizioni proprie del rapporto di lavoro (v., p. es., Cass., ord., 17 gen. 2018, n. 907) e territorialmente in forza della regola del foro erariale (art. 25, c.p.c.); in quella sede sono state esperite prove testimoniali, prodotte in questa causa doc. n. 10), ric. ed è stata espletata C.T.U. medico-legale; quest'ultima è stata pure prodotta in causa in data 21 ottobre 2020. Nel merito, in relazione alla domanda spiegata in questo giudizio, è documentale che i ricorrenti - vedova e figli di (...), già dipendente civile del convenuto MINISTERO sulla Spezia cfr. docc. n. 9), ric.; nn. 1.1)-1.2).-1.3), conv. - ne rivestano la qualità di eredi cfr. docc. nn. 1)-5), ric.. Ciò premesso, il contraddittorio appare integro e non vi è necessità di integrarlo con la partecipazione al giudizio dell'I.N.A.I.L.. Infatti, l'ambito della responsabilità datoriale (ex artt. 2087 e 2043, c.c.) e quello della tutela I.N.A.I.L. (ex D.Lgs. n. 1124 del 1965 e D.Lgs. n. 38 del 2000) sono distinti e, pur senza citare in giudizio l'I.N.A.I.L., si tiene conto, nel primo ambito, di quanto eventualmente liquidato dall'Istituto assicuratore per le prestazioni di sua competenza; tuttavia, se questo vale in astratto, nel caso di specie, come si vedrà infra, il danno jure hereditatis che viene riconosciuto in causa non soffre la detrazione di quanto già liquidato dall'I.N.A.I.L., avendo un suo titolo diverso e specifico. Non ricorre quindi - sotto alcun profilo - un caso di litisconsorzio con l'Istituto assicuratore. Ciò posto, va detto che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Nei fatti, il dante causa è cessato dal servizio il 1º novembre 1984 cfr. docc. n. 9), ric. e n. 1.3), conv., citt., quindi antecedentemente alla privatizzazione del pubblico impiego, attuata con il D.Lgs. n. 80 del 1998, ma la manifestazione della malattia si è avuta dopo la data di riparto della giurisdizione (30 giugno 1998: v. art. 69, comma 7, D.Lgs. n. 165 del 2001, t.u. sul pubblico impiego). Infatti, la diagnosi di mesotelioma è stata posta soltanto il 6 giugno 2016 doc. n. 7), ric., anche se, il 22 luglio 2015 (durante il ricovero), si parlava di "verosimile mesotelioma" doc. n. 6), ric.; conforta la C.T.U resa nel giudizio avanti il Tribunale di Genova (C.T.U. Genova, p. 19) e quella poi svolta in questa sede (v. infra). In ogni caso, si data da epoca posteriore alla privatizzazione del pubblico impiego. Al riguardo, la suprema Corte ha affermato che "... in materia di pubblico impiego, la domanda di risarcimento danni, proposta nei confronti della P.A. datrice di lavoro, per lesione dell'integrità psicofisica da esposizione ad amianto, appartiene, qualora la patologia sia stata diagnosticata in data successiva al 30 giugno 1998, alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto il fatto costitutivo del diritto, in base al quale deve essere determinata la giurisdizione "quoad tempus" ex art. 69, comma 7, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, va individuato nell'insorgenza della patologia" (Cass., ord., 17 ott. 2014, n. 22034). L'insegnamento è perfettamente calzante al caso di specie e merita di essere seguito perché evita di lasciar privo di tutela l'interessato, o di rendergli eccessivamente difficoltoso l'agire, per situazioni di danno venutesi a manifestare dopo il 30 giugno 1998, ancorché il fatto generatore del danno si ponga antecedentemente. Sussiste inoltre la competenza funzionale e per territorio del Tribunale adito, quale giudice del lavoro (artt. 63, t.u. cit.; 409 ss., c.p.c.). Infatti, agendo nella loro qualità di eredi, i ricorrenti lamentano la violazione, durante il rapporto di lavoro del dante causa, dell'obbligo di sicurezza gravante ex lege (art. 2087, c.c.) sul datore di lavoro in virtú dell'instaurazione del detto rapporto; pertanto, ciò fonda la competenza del giudice del lavoro (così, a contrario, già Cass. 7 apr. 1992, n. 4248 e poi moltissime altre). Non si applica, conseguentemente, per questa domanda, la regola del foro erariale (art. 25, c.p.c., art. 6, R.D. n. 1611 del 1933), come si desume dall'art. 413, 5 comma, c.p.c. e dalla giurisprudenza (v., per tutte, Cass., s.u., ord., 2 lug. 2008, n. 18036, in motivaz.). Non sussiste, poi, questione di prescrizione; infatti, dato che, nel caso di specie, la responsabilità fatta valere è di natura contrattuale, ne segue che la prescrizione è decennale (art. 2946, c.c.) e la stessa non può che decorrere - trattandosi, in ipotesi, di illecito con effetti permanenti - dal momento di manifestazione della malattia (v., per tutte, Cass. 11 feb. 2020, n. 3314), ossia dal luglio 2015. Avendo i ricorrenti agito entro il decennio (odierno ricorso notificato il 18 mag. 2020: v. comparsa di parte convenuta, p. 1), la prescrizione non si è maturata. Nel merito, dalla documentazione in atti v. doc. n. 9), ric., cit., risulta che il dante causa dei ricorrenti, assunto come dipendente civile della Marina militare quale tornitore in Arsenale (10 agosto 1945), a partire dal 1 gennaio 1952 (dopo un periodo presso l'Officina elettroacustica) è stato assegnato a (...) della Spezia, presso l'Istituto di Chimica applicata ed ivi ha continuato a prestare servizio, diventando impiegato avventizio (dal 5 giu. 1955), poi aiutante tecnico aggiunto (dal 1 gen. 1962), dipoi (dal 1 gen. 1966) assistente tecnico. Dalle prove espletate nella causa genovese doc. n. 10), ric., cit., complessivamente lette (v. testi (...)) emerge che il (...) lavorava, almeno dagli (...) del Secolo scorso, nel laboratorio di Chimica applicata. I laboratori erano tutti nel medesimo edificio ed aprivano sullo stesso corridoio; in questi laboratori si utilizzavano distillatori ricoperti di amianto, che, quando si deterioravano col calore, venivano sostituiti da altri analoghi; all'occorrenza, inoltre, si ritagliavano fogli di amianto e venivano utilizzati altri materiali contenenti amianto; quest'ultimo era assai diffuso all'interno dei laboratori. Nei locali erano presenti delle cappe aspiranti per estrarre i fumi, ma, a quanto pare, non in ogni postazione di lavoro e l'attività andava avanti anche quando le cappe erano fuori uso per manutenzione; non è neppure certo che le cappe venissero costantemente messe in funzione. Inoltre, fino al periodo in cui il dante causa prestò servizio, non furono consegnate mascherine, né altri dispositivi di protezione, né furono effettuati controlli; la situazione mutò piuttosto lentamente, a cavallo tra gli (...) e (...). Come si vede, si tratta di deposizioni che delineano un quadro coerente sia relativamente alle mansioni del (...) sia dell'ambiente di lavoro; inoltre, si comprende che la situazione ambientale (caratteristiche dei luoghi di lavoro, strumenti di lavoro, dispositivi di protezione, presenza di amianto) era sostanzialmente la medesima in tutti i laboratori che erano collocati nel medesimo edificio, tra cui quello ove operava il de cujus. Le deposizioni, inoltre, provengono da colleghi, o superiori del (...), tutte persone a conoscenza diretta dei fatti di causa, sia per quanto concerne le mansioni che la situazione ambientale; non sono state allegate, inoltre, da parte convenuta, in questo giudizio, specifiche circostanze di fatto diverse da quanto emergente da queste prodotte deposizioni, ovvero non sono state avanzate circostanziate contestazioni alle risultanze fattuali che da esse si traggono. La contestazione avanzata attiene piuttosto alla stessa possibilità, per il (...), di venir a contatto con l'amianto durante l'espletamento di attività lavorativa; ma questa contestazione trova, come abbiamo visto, corale smentita dal complesso delle superiori deposizioni. Non vi è quindi necessità di espletare autonoma attività istruttoria in questa causa, potendo il giudice formarsi il convincimento sui fatti di causa in forza della documentazione prodotta in atti e delle prove orali altrove formate (tra le stesse parti) e riversate in causa (v. Cass. 3 nov. 2021, n. 31312, Id., ord., 13 ago. 2018, n. 20719, Id., sent., 3 apr. 2017, n. 8603 ed altre). In definitiva, tutti gli elementi in atti conclamano per l'esposizione professionale del defunto a rischio amianto; come si vedrà, tale conclusione è convalidata criticamente - e non meramente recepita - anche dal perito nominato nella causa genovese. Passando ora ai profili in diritto, esaminando la legislazione nazionale, fino agli (...), debbono essere ricordati i seguenti interventi normativi: - R.D. n. 34 del 1925, di modifica dell'art. 82, L. n. 429 del 1907, sul servizio sanitario per le (...), - R.D. n. 442 del 1909, che già chiaramente denunziava la pericolosità dell'amianto, - D.Lgt. n. 1136 del 1916, R.D. n. 1720 del 1936 per la "mescola, filatura e tessitura" dell'amianto: sua tabella B), relativa a donne e fanciulli, n. 5), - L. n. 455 del 1943, che estende la tutela contro le malattie professionali anche per la silicosi e l'asbestosi, - D.Lgs. n. 1124 del 1965 (t.u. contro gli infortuni e le malattie professionali), che reca un autonomo capo con speciali disposizioni per la silicosi e l'asbestosi (Capo VIII, artt. 140 ss.), - art. 21, D.P.R. n. 303 del 1956, il quale, benché faccia riferimento a polveri e non a fibre, ex lege è richiamato dall'art. 174, D.Lgs. n. 1124 del 1965, cit., per la protezione delle malattie da asbesto (v. anche suo art. 155), - D.M. 8 aprile 1968 e D.M. 19 giugno 1974, in tema di (...), - D.M. 18 aprile 1973 (in "Gazzetta Ufficiale", n. 203 del 1973), che prevede la denunzia obbligatoria in caso di m.p. asbestosi e riconosce la correlazione tra asbesto e cancro polmonare suo 4 cpv., n. 1), lett. b), - D.P.R. n. 915 del 1982, tabella allegata, suo punto n. 21), in cui l'amianto viene considerato sostanza pericolosa (si parla di amianto, "polveri e fibre"), - Delib. 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale ex art. 5, D.P.R. n. 915 del 1982, cit. (in "Gazzetta Ufficiale", n. 253 del 1984, s.o.), con la quale l'amianto, oltre una certa soglia, è da considerarsi tossico e nocivo, - ord. Min. Sanità del 26 giugno 1986 (in "Gazzetta Ufficiale", n. 157 del 1986), che poneva restrizioni all'immissione sul mercato di certi tipi di amianto, tra cui quello "blu" considerato il più pericoloso ed anticipava l'attuazione della direttiva CEE 83/478, per motivi di salute pubblica, - circ. Min. Sanità del 1º luglio 1986 (in "Gazzetta Ufficiale", n. 169 del 1986), la quale riprende la precedente ordinanza e cita studi dell'Organizzazione mondiale della Sanità sulla pericolosità dell'amianto indipendentemente dalle sue concentrazioni, - D.M. 16 ottobre 1986 (in "Gazzetta Ufficiale", n. 278 del 1986), che, sia pure nel settore estrattivo, stabilisce i valori massimi di esposizione ad amianto. Per quanto poi riguarda la conoscenza del legame tra mesotelioma e pregressa esposizione ad amianto, appare opportuno riportare in sintesi alcuni passi della relazione peritale genovese (in parte ripresi anche in quella resa in questa causa). " Circa lo sviluppo delle conoscenze sul ruolo causale dell'amianto nel mesotelioma si riporta una breve sintesi storico-bibliografica. Nel 1960 Wagner prova che il mesotelioma pleurico è un'entità patologica ben definita frequentemente associata ad esposizione ad asbesto. I casi descritti da Wagner vengono messi in relazione con l'attività di estrazione di crocidolite nelle miniere del Sud Africa. L'Autore segnala anche casi di mesotelioma tra i familiari dei lavoratori esposti ad amianto. Sempre nel 1960, (...) riscontra, in dipendenti di tessiture di amianto, mesoteliomi peritoneali. Al XIV Congresso Internazionale di Medicina del Lavoro, (...) comunica che, secondo un'indagine dell'Ispettorato del Lavoro Inglese, è stata rilevata un'alta incidenza di tumori bronchiali, di mesotelioma della pleura, del peritoneo e dell'ovaio, nel periodo 1947-1954, in lavoratori esposti ad amianto. La comunità scientifica, nel corso della conferenza organizzata dalla New York Academy of Sciences nel 1964, perviene ad un generale consenso nello stabilire la correlazione tra amianto e mesotelioma. (...), nella suddetta conferenza, presenta i primi casi italiani di mesotelioma pleurico. Nel 1973 lo IARC (International Agency for Research on Cancer), nella sua prima monografia sull'amianto conclude per una sufficiente evidenza di cancerogenicità. Si riportano di seguito, sinteticamente, le conclusioni della seconda monografia IARC del 1977: - l'esposizione occupazionale ad amianto in tutte le sue varietà (critosilo, crocido lite, actinolite, antofillite, tremolite) provoca una aumento nella frequenza di tumori polmonari, mesoteliali (pleurici e peritoneali), intestinali e laringei; - si sono osservati mesoteliomi pleurici anche tra i residenti nelle vicinanze di siti estrattivi e di aziende manifatturiere; - si sono anche osservati mesoteliomi pleurici tra i familiari di dipendenti esposti; - non è possibile stabilire una soglia di sicurezza. Nel 1978 Selikoff osserva che il mesotelioma è capace di manifestarsi anche a seguito di inalazione di una piccolissima quantità (trigger dose) di fibre di amianto. Nella medesima memoria, vengono riportati 24 casi di mesotelioma in familiari di lavoratori esposti ad amianto. Rutstein, nel 1983, riferisce che i mesoteliomi sono da considerarsi un "evento sentinella" di precedenti esposizioni ad amianto. Nel 1987 vengono descritti casi di mesoteliomi attribuibili a tremolite tra la popolazione di Cipro; i casi vengono imputati ad una calce bianca, contenente l'anfibolo, con cui gli abitanti dipingevano le case. Il rapporto sulla mortalità per tumore maligno della pleura in Italia nel periodo 1980-1983, pubblicato dall'Istituto Superiore di Sanità nel 1988, riferisce di 2372 casi verificatisi soprattutto in città in cui è presente la cantieristica navale (Genova, Gorizia, La Spezia, Livorno, Savona, Taranto) e la produzione di fibrocemento (Casale Monferrato, in provincia di Alessandria). L'Accademia delle Scienze di New York pubblica, nel 1991, uno studio epidemiologico sui mesoteliomi pleurici nel Wisconsin nel periodo 1959÷1989. Tra tutti vengono evidenziati 41 casi; per tutti, la sorgente di esposizione è riconducibile alla presenza di amianto negli edifici in cui i soggetti hanno svolto la propria attività professionale. Dodici casi sono relativi ad insegnanti e 29 ad addetti alle operazioni di manutenzione degli edifici. (...) ed altri riportano, nel 1993, un caso di mesotelioma pleurico in un barbiere. Trattasi di esposizione indiretta ad amianto; l'asbesto proveniva dai capelli dei clienti, lavoratori di una vicina fabbrica di cemento-amianto. Nel 1993 ancora (...) ed altri riferiscono di un caso di mesotelioma in un militare della Marina Militare. Il caso viene ricondotto all'attività svolta dal soggetto su una nave da guerra ed in una officina navale. (...) Catalano ed altri lo stesso anno riportano un caso di mesotelioma pleurico in un idraulico. I lavori presentati in occasione dell'"Annual Ramazzini day" del 1994, tenutosi a Carpi, sono stati pubblicati nel 1995 dalla rivista La Medicina del Lavoro. Tra questi risultano significativi, nel presente contesto, i lavori di: - (...) ed altri; secondo gli autori, il mesotelioma, un tumore raro, è divenuto un importante markers epidemiologico dell'esposizione ad asbesto; - (...) ed altri; viene rivalutato il ruolo del crisolito nell'insorgenza del carcinoma broncogeno e del mesotelioma pleurico. Sulla base delle loro analisi gli autori affermano che gli effetti sulla salute sono da attribuirsi al crisotilo e non agli anfiboli di cui il crisotilo può essere inquinato; - (...) ed altri; si afferma che in Finlandia la situazione delle neoplasie da asbesto è la conseguenza di esposizione antecedente gli anni 70 e che la massima incidenza delle malattie è attesa intorno al 2010; - (...); l'autore, dopo aver premesso che l'esposizione ad asbesto ha subito un rapido incremento negli anni 50 e 60, riferisce che l'esposizione è calata ad iniziare dagli anni 70. Nella seconda metà degli anni 80 si verificavano circa 80 casi/anno e sono in rapido aumento. Afferma che i settori a maggior rischio sono l'industria del legno e della carta, l'industria idraulica e la cantieristica navale, oltre alle officine ferroviarie ed agli zuccherifici; - (...) ed altri; gli autori, tra l'altro, evidenziano che a maggior rischio sono gli addetti all'industria tessile e quelli impiegati nelle operazioni di coibentazione; - (...) ed altri; l'intera memoria è imperniata sui casi di mesotelioma riscontrati tra meccanici ed altri lavoratori delle F.; - (...) ed altri; si riferisce di 11 casi di mesotelioma pleurico ed un caso di mesotelioma peritoneale. Undici dei dodici casi sono attribuibili ad esposizione professionale (amianto impiegato negli zuccherifici quale coibente). Il dodicesimo caso, invece, è attribuito ad esposizione familiare (il soggetto era figlia di un lavoratore esposto); - (...) ed altri; gli autori riportano 9 casi di mesotelioma pleurico attribuibili ad esposizioni per così dire "ignorate". Sulla base delle indagini svolte, tutti i casi vengono ricondotti ad una pregressa esposizione ad asbesto. Amianto in soffittature, in motori navali, nei capelli dei clienti, in acquari costruiti con lastre di cemento-asbesto, in lastre per ricoperture di motore, nei ricambi di autovetture, nelle guarnizioni di macchine per lavaggio a secco. - (...) e (...) evidenziano, al pari di (...), il probabile ruolo della tremolite nella genesi dei mesoteliomi. Questo anfibolo è stato scarsamente utilizzato, a causa della sua fragilità. E', purtroppo, un frequente inquinante di crisotilo, vermiculite e talco, ed è considerato causa di mesotelioma anche a basse concentrazioni. Il talco di New York, chiamato anche killer di New York, ne contiene il 30% secondo l'Institute of Geological Sciences e dal 30 al 55% secondo Grexa e Parmentier. Nei pressi di Torino veniva tempo addietro coltivata una cava di pietrisco, utilizzato nel campo della cantieristica stradale, pesantemente inquinata da tremolite. Nel 1994 appare su Tempo Medico un articolo in cui si ipotizza la presenza del virus SV40 nel materiale genetico dei mesoteliomi (la ricerca, riferisce la rivista, è stata condotta su 50 campioni di tumori pleurici di cui 48 mesoteliomi). Orbene nel DNA del 60% dei mesoteliomi (29 su 48), sono state riscontrate sequenza di nucleotidi di origine virale. Il 29-30 maggio 1997 si è tenuto a Belgira - te la "1st Italy-Usa conference on Malignant Mesothelioma and other asbestos related neoplasm". Alcune delle memorie presentate trattavano argomenti attinenti alla problematica del virus SV40. Nel 1996 l'Istituto Superiore di Sanità pubblica una casistica di mortalità per tumore maligno della pleura in Italia, relativa al periodo 1988÷1992. Dalla pubblicazione si evince che il tasso di mortalità (per 100.000 abitanti) per mesotelioma pleurico, in Italia, è passato da 0,78 (1970) a 1,31(1990), mentre il numero annuo di casi, da 375 (1970) a 826 (1990). In pratica, dunque, si può affermare che tranne casi molto particolari l'unico fattore causale noto per il mesotelioma è l'esposizione ad amianto. " (C.T.U. Genova, pp. 29-32, formato non orig.). Ancora: "Asbestosi 1900-1907: in Inghilterra vengono descritti casi di fibrosi polmonare in esposti ad amianto, senza chiara distinzione con silicosi e tubercolosi; - 1924: (...) descrive un caso di fibrosi da amianto, che nel 1927 definisce "asbestosi"; - 1930: al Parlamento inglese un rapporto indica che l'amianto provoca una grave fibrosi polmonare e che la riduzione della polverosità potrebbe eliminare la malattia; in altri Paesi europei vengono pubblicati studi sull'asbestosi; - 1940: (...) (allora all'ENPI) è incaricato di determinare la concentrazione della polvere di amianto che non provoca asbestosi negli operai, identificando in 200 particelle (genericamente, non fibre) per ml la soglia di sicurezza; - 1943: l'asbestosi è riconosciuta come malattia professionale in Italia; - 1945-1970 malgrado le progressive riduzioni della polverosità ambientale i casi di asbestosi aumentano, soprattutto per effetto dell'aumentato uso (mentre occorrono durate di esposizione sempre più elevate, dai 7 fino ai 20 anni, per provocare la malattia); - 1975: si diffonde a livello internazionale il limite di 2 fibre/ml, ritenuto adeguato per proteggere dall'asbestosi anche nel caso di esposizioni di 3-4 decenni. Cancro polmonare - 1935: (...) e (...) (USA) ipotizzano una correlazione tra amianto e cancro polmonare; tale opinione subisce però numerose critiche e rimane sostanzialmente ignorata; - 1943: Hueper riafferma la correlazione tra cancro e amianto, ma anche questa opinione viene contestata od ignorata per tutto il decennio successivo, anche perché nel 1950 Doll e Peto focalizzano l'attenzione sul rapporto tra cancro e fumo di tabacco; - 1965: Selikoff pubblica il primo di una serie di studi che confermano un rapporto causale tra amianto e cancro polmonare. Dal 1970 il rapporto tra amianto, asbestosi, fumo e cancro è preso abitualmente in considerazione in testi scientifici, didattici e divulgativi; - 1973: la IARC di Lione inserisce l'amianto tra le sostanze sicuramente cancerogene per l'uomo. Mesotelioma - 1931: Klemperer segnala l'esistenza di tumori primitivi della pleura. Il mesotelioma è però così raro che fino agli anni '60 anche testi importanti ne ponevano in discussione l'esistenza come entità nosologica specifica; - 1960: Wagner segnala numerosi casi di mesotelioma in Sud Africa, in relazione con l'esposizione lavorativa o residenziale a crocidolite; - 1970-80: vengono identificate alcune caratteristiche tipiche di questa neoplasia, in particolare la lunga latenza, la sua capacità di manifestarsi anche per dosi di esposizione molto piccole (sicuramente inferiori a quelle necessarie per determinare l'asbestosi od il cancro polmonare), brevi o soltanto residenziali, l'importanza della dose iniziale "innescante" rispetto alle successive esposizioni, il peso probabile anche se indimostrato della suscettibilità individuale" (C.T.U. Genova, pp. 43-44). La perizia genovese non può essere seguita laddove, entrando nel campo più prettamente giuridico, svolge considerazioni in ordine alla normativa prevenzionistica e, quindi, sull'eventuale responsabilità datoriale (v., p. es., p. 34 e pp. 44 ss.), attività riservata alla decisione del giudice nel contraddittorio con i difensori. Non solo, ma, se pure volesse seguirsi l'assunto del perito, secondo il quale fino agli (...) non era nota la relazione tra amianto e mesotelioma (C.T.U. Genova, p. 47), ciò non esclude che l'amianto, a quella data e da almeno un decennio, doveva essere riguardato come un materiale pericoloso per la salute (v. la stessa C.T.U., nella sua cronistoria sull'amianto). Pertanto, è smentito che il datore di lavoro - non i singoli lavoratori -, certamente dagli (...), non fosse a conoscenza, o non potesse conoscere, la pericolosità nell'inalazione di fibre di amianto. Inoltre, ai fini della valutazione della responsabilità datoriale, non può eludersi il rilievo che, come è emerso dalle prove prodotte, nello specifico non fu adottata cautela alcuna, pur nella vigenza della normativa dell'epoca. E tutto ciò ha senz'altro riflessi ai fini del giudizio di responsabilità ex art. 2087, c.c. (v. amplius infra). Nella perizia genovese si conferma, peraltro, l'esposizione del (...), per ragioni professionali, ad amianto. Si scrive infatti: "Ammettendo quindi una pur modesta esposizione a fibre di amianto, considerato che questa modesta esposizione può causare il mesotelioma, considerato che non è definibile una dose soglia cumulativa al di sotto della quale possa essere esclusa, nel singolo caso, la possibile azione cancerogena dell'amianto, e che il mesotelioma può manifestarsi anche a seguito di inalazioni di quantità molto piccole di amianto, non resta che ammettere, nell'ottica della causalità civilistica del 'più probabile che non', la probabile genesi professionale del mesotelioma per cui il sig. (...) è deceduto. Lo stesso ente previdenziale INAIL ha liquidato la rendita alla superstite" (C.T.U. Genova, p. 35, formato non orig.). Ed ancora: "L'esposizione ad amianto del sig. (...) nel corso della sua vita è stata esaminata sulla base degli elementi di conoscenza disponibili. Presumibilmente non vi sono state altre fonti di esposizione ad amianto al di fuori dell'attività lavorativa. La veridicità dell'ipotesi che le descritte esposizioni siano state causa o abbiano contribuito con efficacia concausale nello sviluppo o nell'accelerazione del mesotelioma pleurico del Sig. (...) è legata ad una controversia che studi scientifici approfonditi ancor oggi non sono riusciti a dirimere, come lo scrivente ha discusso nelle "Considerazione generali - Sul mesotelioma pleurico - La relazione dose-effetto tra esposizione ad amianto e mesotelioma pleurico" della presente relazione peritale. Posto quindi che siano sufficienti anche basse dosi per l'insorgenza e lo sviluppo di tale patologia in uno specifico gruppo di individui, la risposta al quesito riguardante il Sig. (...) non può che risultare positiva" (C.T.U. Genova, pp. 41-42). Si tratta di una perizia comunque accurata ed approfondita, aderente alle conoscenze scientifiche del momento e che dà atto del dibattito tuttora fervente in materia. Per questi motivi, la stessa è stata utilizzata in causa per quanto di ragione e ne è stato disposto un supplemento, affidato al medesimo consulente, per trarre gli elementi piú specificatamente utili ai fini di questo giudizio. Anche nella perizia resa in questa causa, è stata criticamente confermata la diagnosi di mesotelioma epitelioide pleurico su base di probabilità (v. C.T.U., pp. 21 ss.). A questo punto, approfondendo la questione della responsabilità, va affermata l'esistenza di quest'ultima in capo alla convenuta ex art. 2087 c.c., per l'omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, anche in violazione della normativa all'epoca vigente. In primo luogo - come già anticipato-, va ritenuto che fosse conosciuta o conoscibile la pericolosità dell'esposizione ad amianto: e ciò al fine di considerare integrato l'elemento soggettivo. Dipoi, va rilevato che non fu ottemperato il disposto dell'art. 2087, c.c. (v., in fattispecie similari, Cass. 5 ago. 2013, n. 18626, Id. 6 nov. 2015, n. 22710). La conclusione non muta se si osserva che, inizialmente, le fibre di amianto erano considerate polveri: infatti, l'art. 21, D.P.R. n. 303 del 1956 (oggi non piú vigente), stabiliva che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro era tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedirne o ridurne, per quanto fosse possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro, soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè avrebbero dovuto avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri. Ancora, si veda, dal D.P.R. n. 303 del 1956: - l'art. 9, che prevedeva il ricambio d'aria, - l'art. 15, che imponeva di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, - l'art. 18, che proibiva l'accumulo delle sostanze nocive, - l'art. 19, che imponeva di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, - l'art. 20, che difendeva l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, - l'art. 25, che prescriveva, qualora potesse esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori fossero forniti di apparecchi di protezione. Soccorre al riguardo l'insegnamento per il quale "... in tema di responsabilità colposa per violazione di norme prevenzionali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, risulti nel momento del giudizio produttiva di un evento lesivo, non conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude la sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo del reato sotto il profilo della prevedibilità, quando l'evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata (fattispecie relativa all'esposizione di lavoratori all'inalazione di polveri di amianto, nella quale l'eventuale ignoranza dell'agente circa la possibile produzione di malattie tumorali, e soprattutto del mesotelioma pleurico, è stata giudicata irrilevante a fronte dell'omissione di cautele che sarebbero state comunque doverose, secondo le conoscenze dell'epoca, per la prevenzione dell'asbestosi, e cioè di una malattia comunque molto grave e potenzialmente fatale, almeno in termini di durata della vita)": cosí Cass., pen., 11 luglio 2002, n. 988, dalla mass.. Piú di recente, è stato affermato che "... in materia di tutela della salute del lavoratore, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a garantire la sicurezza al meglio delle tecnologie disponibili, sicché, con riferimento alle patologie correlate all'amianto, l'obbligo, risultante dal richiamo effettuato dagli artt. 174 e 175 del D.P.R. n. 1124 del 1965 all'art. 21 del D.P.R. n. 303 del 1956, norma che mira a prevenire le malattie derivabili dall'inalazione di tutte le polveri (visibili od invisibili, fini od ultrafini) di cui si è tenuti a conoscere l'esistenza, comporta che non sia sufficiente, ai fini dell'esonero da responsabilità, l'affermazione dell'ignoranza della nocività dell'amianto a basse dosi secondo le conoscenze del tempo, ma che sia necessaria, da parte datoriale, la dimostrazione delle cautele adottate in positivo, senza che rilevi il riferimento ai valori limite di esposizione agli agenti chimici (cd. tlv, "threshold limit value") poiché il richiamato articolo 21 non richiede il superamento di alcuna soglia per l'adozione delle misure di prevenzione prescritte" (Cass. 21 set. 2016, n. 18503, dalla mass.). E ciò supera ogni disquisizione sull'asserita inutilità della puntuale osservanza delle normative antinfortunistiche dell'epoca. Per quanto concerne il nesso di causalità, la piú recente giurisprudenza, sempre in casi di inalazione di polveri di amianto, afferma che esso sussiste "... anche quando non si possa stabilire il momento preciso dell'insorgenza della malattia tumorale, in quanto, a tal fine, è sufficiente che la condotta omissiva dei soggetti responsabili della gestione aziendale abbia prodotto un aggravamento della malattia o ne abbia ridotto il periodo di latenza, considerato che anche quest'ultimo incide in modo significativo sull'evento morte, riducendo la durata della vita" (Cass., pen., 22 mar. 2012, n. 24997, dalla mass.; conformi molte altre, tra cui Id. 11 apr. 2008, n. 22165, Id. 24 mag. 2012, n. 33311). Inoltre, sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che, per la causalità - seppure, normativamente, essa sia retta dagli artt. 40-41, c.p. -, tuttavia, tra l'ambito penale e quello civile, vi è una differenza importante nel regime probatorio: infatti, nel primo, vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", mentre, in quello civile, opera la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non". Pertanto, in ambito civile "lo standard di cd. certezza probabilistica ... non può essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma, e, nel contempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto" (Cass. 3 gen. 2017, n. 47, dalla massima; cosí già Id. 8 lug. 2010, n. 16123 e Cass., s.u., 11 gen. 2008, n. 576, per la responsabilità extracontrattuale). In ordine, poi, alla tesi che una sola dose assunta (la prima o trigger-dose, dose grilletto) è sufficiente ad innescare e portare avanti il processo cancerogeno (dal che ne deriverebbe che vi sarebbe responsabilità datoriale soltanto ove fosse dimostrato che la prima dose di fibre è stata inalata sul lavoro), è lo stesso perito a confermare che la questione è tutt'altro che pacifica. Scrive infatti il perito: "Alcuni Autori ne hanno tratto la conclusione che "una certa dose innescante il processo è richiesta, ma quando questa è stata introdotta ulteriori dosi non hanno influenza sulla comparsa del tumore (Selikoff, 1978), ovvero che "il processo attraverso il quale la inalazione di fibre influenza lo sviluppo del mesotelioma avviene in tempi brevi dopo l'inizio della esposizione e le successive esposizioni contribuiscono relativamente poco al rischio" (Parkers, 1994). Altri Autori hanno però evidenziato che, malgrado queste osservazioni, nei gruppi di soggetti esposti, a dosi più elevate di esposizione corrisponde un'aumentata frequenza di casi" (C.T.U. Genova, pp. 32-33). Non può dunque essere posta a base del ragionamento - poiché non incontroversa e non incontrovertibile nel mondo scientifico, allo stato delle attuali conoscenze - la tesi della rilevanza causale e concausale della sola trigger-dose. Il materiale di causa e le conclusioni peritali consentono quindi, in ambito civile, di ritenere provata la derivazione della malattia dall'attività lavorativa presso la convenuta, la cui esposizione a fibre di amianto va considerata non solo sussistente ma anche piú elevata di quella comune. Infine, sull'evitabilità del danno in ipotesi di osservanza del comportamento doveroso, va ribadito, riprendendo la perizia, che, pur non essendovi certezze circa la dose sufficiente a scatenare l'insorgenza del mesotelioma (C.T.U. Genova, pagg. 32 s.), quel che rileva, ai fini di affermare la responsabilità datoriale, ripetesi, è che non vi sia stata osservanza in genere di misure prevenzionistiche. Devesi quindi osservare sul nesso di causa che, per quanto concerne la domanda jure hereditario, la regola della responsabilità contrattuale (art. 1218, c.c.; Cass., s.u., 30 ott. 2001, n. 13533), richiede al debitore di allegare e provare il fatto impeditivo: spettava pertanto alla convenuta dedurre e dimostrare che la malattia era discesa causalmente da un fattore diverso da quello lavorativo, una volta dimostrata l'esposizione professionale in quanto tale. La giurisprudenza, infatti, di recente ha affermato che: "... l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno... (Cass., ord., 19 ott. 2018, n. 26495, dalla mass.). Nel caso di specie, mentre parte ricorrente ha provato quanto a suo carico, cosí non può dirsi per il convenuto. La responsabilità datoriale va quindi ritenuta ed affermata; sussiste il diritto del ricorrente al risarcimento del danno jure hereditario. Veniamo ora alla quantificazione di tale danno. Va premesso che, a tal fine, si applicano le tabelle del Tribunale di Milano (rinvenibili sul sito internet di quell'Ufficio giudiziario: www.tribunale.milano.it), attualizzate al 1º gennaio 2021. Si tratta di tabelle seguite in questo Tribunale, siccome considerate le piú adeguate alla stregua di tutti i parametri liquidatorî (cosí Cass. 7 giu. 2011, n. 12408, Id. 22 nov. 2011, n. 28290, Id. 18 nov. 2014, n. 24473 ed altre). Per quel che concerne i criteri di quantificazione, anche rispetto a quanto richiesto, occorre sviluppare il seguente ragionamento. Si parte dal rilievo che il de cujus è deceduto il 16 settembre 2016 doc. n. 1), ric., cit., dopo un relativamente breve lasso temporale dal momento della prima manifestazione di malattia del 21 luglio 2015 e conseguenti sequele (v. la documentazione medica già citata e la C.T.U.). Orbene, in siffatti casi, quando il danneggiato è deceduto, la piú recente giurisprudenza ha affermato che "... in caso di sinistro mortale dal quale sia derivato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del danno rende necessaria una liquidazione affidata ad un criterio equitativo puro che tenga conto dell'enormità della sofferenza psichica, giacché tale danno, ancorché temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità e la durata della consapevolezza della vittima non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma soltanto sul piano della quantificazione del risarcimento secondo criteri di proporzionalità e di equità..." (Cass., ord., 20 giu. 2019, n. 16592, dalla mass.; conforme Id., ord., 28 giu. 2019, n. 17577). Il principio è certamente applicabile al caso di specie e comporta che la liquidazione del danno debba avvenire in primo luogo secondo i parametri del danno da invalidità temporanea. Lo stesso perito, nel suo elaborato reso in questa causa, riconosce, a partire dal 21 luglio 2015 e fino al decesso (16 set. 2016), 61 giorni di inabilità temporanea assoluta e 372 giorni di inabilità parziale al 75% (v. C.T.U., p. 23). Ora, proprio contribuendo all'evoluzione giurisprudenziale appena riferita, le tabelle milanesi, fin dal 2018, hanno previsto anche una figura di danno, denominata "terminale", la quale prevede alcuni presupposti: unitarietà del danno liquidabile, durata limitata della sopravvivenza, coscienza da parte della vittima, possibilità di personalizzazione (fino al 50%). I parametri di liquidazione prevedono il riconoscimento di un pregiudizio fino ad Euro 30.000,00, non ulteriormente aumentabile, per il danno sofferto nei primi tre giorni dalla lesione e, poi, una tabella liquidatoria ad intensità decrescente, fino ad un totale di giorni cento. Al raggiungimento dei cento giorni, si ottiene il valore di Euro 53.235,00, che può essere personalizzato e che si somma all'importo dei primi tre giorni. Qualora l'evento morte segua alla lesione in un tempo breve ma superiore a tale limite, per il primo periodo (anteriore ai cento giorni), la liquidazione non può dunque che avvenire secondo i parametri del danno da invalidità temporanea. Questa modalità di liquidazione è stata mantenuta nelle tabelle del 2021 (ivi, pp. 80-82). Tale metodo di liquidazione del danno appare in definitiva da seguire poiché aderente all'evoluzione giurisprudenziale e capace di tener conto della specificità del caso, quando, come in questo, la morte segua entro un lasso temporale, apprezzabile ma limitato. Sulla scorta di tutto quanto sopra, il danno si può stimare stimato come da tabella che segue: Primi 3 gg. 30 000 00 Ulteriori 100 gg. 53.235,00 Ulteriori 61 gg. al 100% (99 00 x 61) 6.039 00 Residui 269 gg. al 75% (99 00 x 269) x 75% 19.973 25 TOTALE Euro 108.247,25 Il valore giornaliero di riferimento è determinato in Euro 99,00, come da tabelle milanesi (ivi, p. 51). Il totale ascende quindi ad Euro 108.247,25 al netto di personalizzazioni. Nelle originarie conclusioni, parte ricorrente aveva proposto un importo inferiore ("o altro ritenuto": ric., p. 11), in quanto aveva erroneamente applicato le tabelle milanesi sul danno terminale, conglobando la somma di Euro 30.000,00 in quella (Euro 53.235,00) spettante per la sopravvivenza dal 4 al 100 giorno. Le tabelle sono invece chiare (ivi, pp. 81-82) nel prevedere un importo di Euro 30.000,00, non ulteriormente aumentabile, per i primi tre giorni ed un ulteriore importo, eventualmente aumentabile fino al 50%, per gli altri giorni dal 4 fino al 100. Si tratta di un errore che non preclude il riconoscimento di un importo maggiore, sia perché parte ricorrente ha fatta salva la possibilità di conseguire una somma differente sia perché si tratta non di un errore di impostazione giuridica, ma di mera applicazione matematica dei parametri di una tabella. Nelle note finali (p. 16), parte ricorrente corregge l'errore di calcolo e giunge ad un valore di Euro 107.960,25, senza ulteriori riserve, che è di poco inferiore a quanto ritenuto sulla scorta di cui sopra e che si ritiene, a questo punto, di riconoscere. Compete pertanto a parte attrice l'importo capitale di Euro 107.960,25, da ripartire tra i ricorrenti ciascuno per la propria quota ereditaria, valore già rivalutato al 1 gennaio 2021, oltre ulteriore rivalutazione monetaria dal 2 gennaio 2021 ed interessi al saggio legale, questi ultimi da calcolare sul capitale complessivamente rivalutato, dal 21 luglio 2015, il tutto fino al saldo. Gli accessori sul capitale qui riconosciuto sono determinati tenendo conto che si tratta di credito intrinsecamente di valore poiché risarcitorio (v. Cass., s.u., 17 feb. 1995, n. 1712). A tanto viene condannato il MINISTERO al pagamento. Parte convenuta eccepisce tuttavia che la quantificazione del risarcimento deve essere diminuita di quanto percetto aliunde dal defunto o dai suoi aventi causa in relazione all'evento de quo. Il rilievo, corretto in astratto, non conduce in concreto alla riduzione del quantum individuato supra. Invero, una volta stabilito che, nel caso di specie, il danno va riconosciuto e liquidato in termini comunque di temporanea, non devesi più procedere a scomputare la quota di danno biologico pagata dall'I.N.A.I.L., il quale attiene all'invalidità permanente; inoltre, anche qualora l'Istituto avesse erogato una temporanea, l'importo di quest'ultima non dovrebbe essere portato in detrazione, atteso che, con questa sua voce, l'I.N.A.I.L., con finalità assistenziale, ristora solo la perdita patrimoniale (v. Cass. 29 gen. 1973, n. 278; Id. 7 giu. 1983, n. 3905; Id. 29 dic. 1999, n. 14684). Parimenti, non può essere invocata la novella di cui all'art. 10, 6º-7º comma, D.Lgs. n. 1124 del 1965, operata con l'art. 1, comma 1126, L. n. 145 del 2018, la quale prescriveva di detrarre dal risarcimento a carico del datore di lavoro tutto quanto l'infortunato avesse comunque conseguito per l'evento. E' noto infatti che questa novella non solo non aveva valenza retroattiva (v. Cass. 27 mar. 2019, n. 8580), ma è stata anche abrogata dal D.L. n. 39 del 2019, conv., con modd., nella L. n. 58 del 2019, sicché oggi è espunta dall'ordinamento. Non risulta che il defunto o parte ricorrente abbia poi percetto altri risarcimenti per l'evento di causa. L'ammontare del risarcimento rimane quindi fissato nell'importo determinato supra. Non è pertanto necessario attendere l'esito delle richieste informative all'I.N.A.I.L., che, a questo punto, appaiono del tutto superflue. In definitiva, la causa viene decisa ut supra. Veniamo ora al regolamento delle spese di lite; quest'ultimo si uniforma alla soccombenza di parte convenuta (v. art. 91, c.p.c.), secondo la liquidazione di giustizia, di cui al dispositivo, tenendo a mente il D.M. n. 55 del 2014. Le spese di C.T.U., separatamente liquidate, sono poste a carico del convenuto. Infine, la complessità del caso consiglia di stendere la motivazione separatamente e dopo la lettura del dispositivo (v. art. 429, c.p.c.). Segue quest'ultimo. P.Q.M. Il Giudice monocratico, quale Giudice del lavoro, definitivamente pronunziando, 1) Ritenute la propria giurisdizione e competenza, dichiara tenuta e condanna parte convenuta, in persona del Ministro pro tempore in carica, al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, quali eredi di (...), pari ad Euro 107.960,25, da ripartire tra i ricorrenti ciascuno per la propria quota ereditaria, valore già rivalutato al 1 gennaio 2021, oltre ulteriore rivalutazione monetaria dal 2 gennaio 2021 ed interessi al saggio legale, questi ultimi da calcolare sul capitale complessivamente rivalutato, dal 21 luglio 2015, il tutto fino al saldo; 2) Condanna parte convenuta alle spese di lite, liquidate, a favore dei ricorrenti in solido, in Euro 4.407,50 per competenze legali, oltre Euro 379,50 per esborsi ed oltre spese gen.li, C.P.A. ed I.V.A. come per legge. 3) Pone le spese di C.T.U., separatamente liquidate, definitivamente a carico di parte convenuta; 4) Fissa il termine di giorni sessanta per la motivazione. Così deciso in La Spezia il 30 novembre 2021. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DELLA SPEZIA Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Gabriele Romano ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3249/2015 promossa da: (...) rappresentato e difeso dagli Avv.ti An.DE. e Gi.GR., come da mandato a margine dell'atto di citazione, elettivamente domiciliato presso il loro studio in CORSO (...) - LA SPEZIA attore contro (...) SRL rappresentata e difesa dall'Avv. Al.IA., come da mandato in calce alla comparsa di costituzione, elettivamente domiciliata presso il suo studio in VIA (...), 224 - LA SPEZIA convenuta MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 14 ottobre 2015 (...) esponeva che, con rogito del (...), aveva acquistato da (...) s.r.l. un immobile di nuova costruzione sito in S.. Decorsi alcuni mesi, avevano incominciato a manifestarsi nell'immobile infiltrazioni d'acqua sempre più gravi, oltre ulteriori vizi meglio descritti nelle relazioni peritali allegate. L'acquirente aveva quindi formalizzato la denuncia dei vizi e la venditrice odierna convenuta, riconoscendo il danno, si era attivata per una serie di interventi tampone, con i quali tuttavia non erano state risolte le problematiche riscontrate, che si erano anzi aggravate. Riaperte le trattative tra le parti, in data 20 febbraio 2014 era stato raggiunto un accordo con il quale (...) si era impegnata ad eliminare a propria cura e spese le cause delle infiltrazioni d'acqua, ma anche in tal caso il successivo intervento posto in essere dalla convenuta si era dimostrato inutile ed inidoneo all'eliminazione dei vizi lamentati. L'attore concludeva quindi chiedendo la condanna di (...) s.r.l. - quale parte contraente le obbligazioni contenute nella scrittura privata 20/2/14, o comunque quale parte venditrice dell'immobile per cui è causa, o in ogni modo anche ex art. 1669 c.c. - all'eliminazione dei vizi tutti gravanti sull'unità immobiliare compravenduta e delle conseguenze dannose di tali vizi ed infiltrazioni, oltre al pagamento dei danni da ritardo, ovvero, in subordine, la condanna della convenuta al pagamento, a titolo di indennizzo e/o risarcimento del danno, di tutte le somme necessarie all'eliminazione dei vizi tutti gravanti sull'unità immobiliare e delle relative conseguenze dannose, da quantificarsi in Euro 33.148,50, come da computo elaborato dal proprio perito di fiducia. (...) s.r.l., ritualmente intimata, si costituiva in giudizio evidenziando di essersi limitata alla vendita dell'immobile, costruito dall'appaltatrice (...) s.r.l. in completa autonomia tecnica e decisionale e senza alcuna ingerenza da parte della committenza. Quanto al carteggio allegato dall'attore, contestava di avere mai riconosciuto i vizi ex adverso lamentati, avendo anzi rilevato come essi fossero stati causati dalle variazioni apportate all'immobile dallo stesso acquirente. Inoltre, contestava la natura di accordo transattivo della scrittura del 17 - 20 febbraio 2014, da considerarsi mera ipotesi transattiva, propedeutica ad un successivo ed eventuale accordo che nella fattispecie non si era mai perfezionato. Tanto premesso, la convenuta eccepiva preliminarmente l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento della negoziazione assistita, nonché l'inammissibilità dell'azione proposta ex art. 1669 c.c. (per non avere ella costruito l'immobile oggetto di causa) e la prescrizione dell'azione medesima, non tempestivamente interrotta dalla controparte. Eccepiva inoltre la prescrizione e decadenza dell'azione ex art. 1490 c.c. nonché l'insussistenza di un obbligo di garanzia a carico del venditore, avendo l'acquirente stravolto la struttura originaria dell'appartamento mediante interventi abusivi. La domanda attorea è fondata e meritevole di accoglimento. Muovendo dalla qualificazione della domanda, si osserva che parte attrice, in via principale, ha proposto azione di adempimento, chiedendo la condanna di (...) s.r.l., quale parte contraente la scrittura privata del 20.2.2014, all'esecuzione delle obbligazioni dedotte nel predetto accordo, ossia all'eliminazione dei vizi gravanti sull'unità immobiliare compravenduta. La convenuta, in comparsa di risposta, ha contestato di avere assunto obblighi mediante la sottoscrizione della scrittura privata de qua, da intendersi quale semplice ipotesi transattiva, propedeutica ad un successivo accordo mai perfezionatosi. Ciò posto, si ritiene che la controversa interpretazione della scrittura del 17 - 20 aprile 2014 all. 13 att. vada risolta nel senso indicato da parte attrice, ossia qualificando la predetta scrittura come transazione, anziché come mera ipotesi transattiva, per più ordini di ragioni. Anzitutto, esaminando gli scambi epistolari antecedenti la predetta scrittura, emerge che le parti avevano sin da principio prospettato la possibilità di una soluzione conciliativa, che avrebbe potuto essere raggiunta o mediante l'eliminazione dei vizi a cura della venditrice v., ad es., comunicazione (...) del 20.2.2013, in all. 8 att., oppure con il pagamento di una somma a saldo e stralcio in favore dell'acquirente v., ad es., comunicazione Avv. (...) del 28.1.2014, in all. 4 conv.. Sino a quel momento, effettivamente, si può ritenere che il carteggio tra le parti avesse avuto ad oggetto semplici ipotesi transattive, venendo discusse possibilità alternative di definizione bonaria della controversia. La situazione è però destinata a mutare con la comunicazione del 17 aprile 2014, laddove entrambe le ipotesi precedentemente discusse (ossia quella che comportava l'intervento a cura e spese della convenuta e quella con pagamento di una somma a saldo e stralcio) vengono riprese dall'attore alla stregua di vere e proprie proposte transattive formulate in via alternativa alla controparte, come emerge sia dall'indicazione di specifiche condizioni relative ad ambedue le ipotesi (indicazione di finalità, tempistiche e collaudo degli interventi, ovvero quantificazione dell'importo a saldo e stralcio nella somma di Euro 13.000,00), sia dall'invito a restituire la missiva sottoscritta in caso di accettazione delle modalità di intervento proposte. D'altronde, la stressa giurisprudenza richiamata dalla convenuta e relativa alla distinzione tra proposta ed ipotesi transattiva (Cass., SS.UU., n. 21109/2017) evidenzia che l'ipotesi è riferita al potere di sollecitazione esercitato dal giudice, mentre le parti sono titolari del potere di proposta negoziale in senso proprio, potere che risulta esercitato nella fattispecie dall'attore, con l'esplicita accettazione da parte della convenuta. A tale ultimo proposito, il raggiungimento di un accordo transattivo a seguito dell'accettazione della proposta avversaria appare con altrettanta evidenza dal tenore della lettera di accompagnamento della proposta sottoscritta da (...) e ritrasmessa all'attore, nella quale si dà atto che "trasmettiamo l'accordo sottoscritto dal sig. A.C. per la (...), il quale accetta di eseguire i lavori relativi all'immobile del T. (...), impegnandosi a rispettare le tre condizioni previste" v. all. 13 att.. Infine, all'accordo ha fatto seguito uno spontaneo inizio di esecuzione nei termini pattuiti da parte della convenuta (sia pure con modalità ritenute insoddisfacenti dall'attore), come confermato dalla teste (...), la quale ha dichiarato che, successivamente alla sottoscrizione della scrittura, "è venuto un operaio a verificare i lavori, credo abbia messo un po' di silicone in una mattonella che è a copertura di un bagno che abbiamo al pianterreno, ma continua a piovere sia in quel punto che in un altro punto della casa" v. verbale di udienza del 9.10.2018. D'altra parte, a fronte della chiara interpretazione sistematica e letterale della scrittura intercorsa, non militano nel senso del mancato raggiungimento di un accordo gli argomenti spesi dalla difesa della convenuta, atteso che: - La pretesa natura interlocutoria e non vincolante della scrittura del 20 febbraio 2014 non può ritenersi provata per mancata contestazione, sia perché la circostanza in questione non rappresenta un fatto (con conseguente onere di contestazione in capo alla controparte), bensì una interpretazione del documento, sia perché l'attore, nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., ha comunque svolto difese incompatibili con il riconoscimento della natura non vincolante della scrittura, ribadendo di avere agito in via principale per ottenere l'adempimento dell'accordo transattivo in esame, definito quale "Patto chiaro ed inequivocabile, per certo autosufficiente ed autonomamente produttore di obbligazione contrattuale cogente e vincolante"; - Inoltre, la circostanza evidenziata dalla convenuta - per cui l'accordo non si sarebbe concluso poiché le imprese inviate avrebbero verificato che i problemi lamentati erano riferibili non ad infiltrazioni ma a condensa e, comunque, trovavano la loro causa nelle arbitrarie modifiche dell'appartamento apportate dall'attore - risulta esclusa già dalla documentazione in atti, avendo (...) comunicato sin dal 28 novembre 2012 v. all. 7 att. che avrebbe inviato un idraulico per verificare che le infiltrazioni non fossero causate dal cambio di destinazione dei locali, salvo poi determinarsi, a febbraio 2013, ad incaricare un geometra per risolvere la problematica v. all. 8 att., evidentemente dopo avere escluso possibili cause alternative. In ogni caso, tale difesa appare smentita dagli esiti della CTU, che ha espressamente escluso che gli interventi posti in essere dall'attore possano avere rappresentato causa o concausa delle infiltrazioni riscontrate; - La scrittura del 20 febbraio 2014 non può poi essere qualificata quale minuta o puntuazione, atteso che nel documento risulta raggiunta l'intesa su tutti gli elementi dell'accordo (eliminazione delle cause delle infiltrazioni e delle conseguenze delle stesse su interni ed esterni dell'abitazione con opere a regola d'arte a cura della venditrice, con inizio dei lavori nei primi giorni del mese di marzo 2014 e dichiarazione liberatoria da rilasciarsi al termine dei lavori, dopo positivo collaudo a seguito di forte pioggia), senza che risultasse rimessa ad un tempo successivo la determinazione di elementi accessori; - Infine, non può essere riconosciuto alcun valore dirimente alla locuzione, contenuta nella scrittura in esame, per cui "l'intero contenuto della presente concerne ipotesi transattive e non rappresenta riconoscimento di diritto alcuno da parte di entrambi i soggetti interessati", ben potendo essere interpretata come semplice specificazione del fatto che la missiva avesse ad oggetto le ipotesi transattive già precedentemente discusse tra le parti, con la (consueta) precisazione per cui l'offerta transattiva non implicava alcuna ammissione di responsabilità o di debito, ma veniva proposta solo al fine di evitare un contenzioso. Qualificata dunque la scrittura del 17-20 febbraio 2014 quale accordo transattivo fonte dell'obbligo della convenuta di eseguire a propria cura e spese tutti gli interventi necessari alla eliminazione delle cause delle infiltrazioni e delle conseguenze delle stesse sulle strutture interne ed esterne, era onere di (...) - a fronte dell'inadempimento ex adverso allegato - provare di avere adempiuto all'obbligazione assunta, ovvero di non averlo potuto fare per causa ad essa non imputabile. Prova che la convenuta non ha fornito, se non con riferimento alla parziale limitazione dei vizi riscontrata dal CTU a seguito degli interventi posti in essere successivamente al 20 febbraio 2014. Residua quindi l'obbligo della venditrice di porre in essere gli interventi individuati dal perito d'ufficio per la definitiva eliminazione delle infiltrazioni e per il ripristino dei locali, con conseguente condanna di (...) all'esecuzione delle opere indicate nel computo metrico estimativo allegato alla CTU v. all. E. L'accoglimento della domanda di condanna all'adempimento delle obbligazioni assunte dal venditore nell'accordo transattivo intercorso determina l'assorbimento delle questioni relative alla domande ex 1669 c.c. o di garanzia per vizi della cosa venduta, proposte dall'attore in via subordinata (con la precisazione - in riferimento alle eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dalla convenuta - per cui "Il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata, che può avvenire anche "per facta concludentia" quali l'esecuzione di riparazioni o la sostituzione di parti della cosa medesima ovvero la predisposizione di un'attività diretta al conseguimento od al ripristino della piena funzionalità dell'oggetto della vendita, determina la costituzione di un'obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, è sempre svincolata, indipendentemente dalla volontà delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall'art. 1495 cod. civ. ed è, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale": Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7301 del 26/03/2010). Non può infine trovare accoglimento la domanda di condanna della convenuta al risarcimento dei danni da ritardo, pacifica essendo l'utilizzabilità dei locali e non avendo parte attrice fornito elementi tali da far ritenere presuntivamente provato che il protrarsi delle infiltrazioni abbia determinato incidenze negative sulla propria vita domestica e familiare. Le spese seguono la soccombenza della convenuta e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della lite, con applicazione dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014. Le spese di CTU sono poste, nei rapporti tra le parti, a carico della convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, dichiara tenuta e condanna la convenuta all'esecuzione a propria cura e spese delle opere indicate dal CTU per l'eliminazione delle cause delle infiltrazioni e per il ripristino dell'immobile; condanna la convenuta a rifondere l'attore delle spese di lite, che liquida in Euro 549,95 per esborsi ed Euro 7.254,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA; pone le spese di CTU, nei rapporti tra le parti, a carico della convenuta. Così deciso in La Spezia il 4 gennaio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DELLA SPEZIA Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott.ssa Adriana Gherardi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3676/2015 R.G. avente ad OGGETTO: lesione personale promossa da (...) attore Rappresentato e difeso dall'avv. An.Bu. Contro (...) - Rappresentanza generale per l'Italia Rappresentata e difesa dall'avv. Di.Ma. convenuta Contro (...) S.p.A. convenuta Rappresentata e difesa dall'avv. Ri.Du. Contro (...) (...) Rappresentati e difesi dall'avv. Lu.Da. (...) convenuta contumace (...) convenuto contumace E con l'intervento di (...) S.p.A. Rappresentata e difesa dall'avv. Di.Ma. FATTO E DIRITTO Riguardo alla posizione dei convenuti (...) E (...) Deve preliminarmente essere accolta nei loro confronti la sollevata eccezione di improcedibilità della domanda, tempestivamente sollevata dai medesimi in comparsa di costituzione e risposta, in quanto non preceduta dalla procedura obbligatoria di negoziazione assistita, non è infatti a tale scopo sufficiente affermare che detta procedura sia stata avviata nei confronti delle Assicurazioni (...) S.p.A. società con la quale era stata stipulata la polizza RCA del veicolo di proprietà di (...), condotto da (...), in quanto la Compagnia, seppure costituita in giudizio, non ha assunto la difesa dei convenuti, la cui posizione è pertanto rimasta distinta. Si deve altresì rilevare come neppure la CTU disposta nell'ambito del procedimento per ATP che ha preceduto questo giudizio, sarebbe opponibile ai convenuti - mancando così nei loro confronti una quantificazione del danno - in quanto agli stessi non è stato notificato il ricorso introduttivo, a differenza di (...) S.p.A. la quale ha operato la scelta di non parteciparvi. La domanda proposta da (...) nei confronti di (...) e (...) deve pertanto essere dichiarata improcedibile e parte attrice condannata al pagamento delle spese nei loro confronti. Si deve altresì ritenere che le domande di condanna proposte nei confronti di (...) e (...) non possano trovare accoglimento in quanto anche nei loro confronti risulta inopponibile la consulenza tecnica svolta nel procedimento per ATP al quale non sono stati chiamati a partecipare. Per quanto riguarda la posizione di (...) Rappresentanza generale per l'Italia (di seguito solo (...)), a seguito dell'intervento nel presente giudizio del successore a titolo particolare nel diritto di (...) S.p.A. ex art. 111 co. 3 c.p.c., ha chiesto l'estromissione dal giudizio che tuttavia non può essere accolta a seguito di opposizione di (...) spa. Fatte queste premesse si riepiloga brevemente: L'attore ha convenuto in giudizio "(...)" quale compagnia assicuratrice con polizza RCA della motocicletta modello (...), di proprietà di Rispoli Daniela e condotta da (...), sulla quale il sig. Passano viaggiava quale trasportato, in data 7/11/2012 alle ore 14.10 circa. Affermava che il motociclo era stato investito dall'autovettura Fiat 600 tg (...) di proprietà di (...) e condotto da (...) che, immettendosi in Via del Canaletto provenendo da Via (...), non rispettava il segnale di STOP ed ometteva quindi di dare la precedenza. Sul posto interveniva la Polizia Municipale che redigeva verbale del sinistro. Il sig. Passano era trasportato presso l'ospedale Sant'Andrea della Spezia e sottoposto a cure mediche. Affermava che dal sinistro erano derivati postumi invalidanti di natura permanente e ne chiedeva il risarcimento alla Compagnia assicuratrice del motociclo ex art. 141 codice delle assicurazioni, nonché alla proprietaria e al conducente del medesimo, che rimanevano contumaci, al proprietario dell'auto ed alla sua conducente, nonché alla Compagnia assicuratrice del veicolo per la responsabilità civile. Preliminarmente si osserva che la domanda proposta da (...) relativamente all'inoperatività della polizza non possa essere accolta, in quanto la circostanza che il (...) non potesse trasportare un passeggero non rileva nei confronti del trasportato, bensì eventualmente nei rapporti interni tra assicurato ed assicuratore; risulta inoltre documentato e non contestato che la sig.ra (...) (proprietaria del motoveicolo-vettore) avesse sottoscritto con la predetta Compagnia un ampliamento della copertura assicurativa che comportava la rinuncia della (...) alla rivalsa nei suoi confronti, nonché il contestuale impegno della medesima a risarcire ogni danno causato dalla circolazione del motoveicolo (...), anche nel caso in cui il conducente fosse alla guida del mezzo in stato di ebrezza o sotto l'effetto di sostanze psicotrope. Dopo la nota pronuncia della Corte Costituzionale (Ord. n. 205/2008) si ritiene non più in discussione la possibilità per il trasportato di richiedere il risarcimento del danno subito sia all'assicurazione del vettore ex art. 141 codice delle assicurazioni, che al responsabile del medesimo ed alla sua compagnia di assicurazione. Nel presente giudizio l'attore ha scelto di proporre le diverse domande nei confronti dei soggetti di cui sopra, giustificando tale scelta nell'atteggiamento ostruzionistico tenuto nella fase stragiudiziale ed anche successivamente al procedimento per ATP, da parte della compagnia assicuratrice del vettore che non aveva voluto procedere alla liquidazione del danno, affermando l'inoperatività della polizza e la mancanza di responsabilità del vettore. Si ritiene a tale proposito che, visto il principio di favor per il trasportato inteso quale soggetto debole, al fine di offrire la possibilità di ottenere un celere risarcimento direttamente ex art. 141 cod ass che prescinde dall'accertamento ed attribuzione delle responsabilità (con unica esclusione del caso fortuito ), non determini di per sé l'impossibilità di proporre domanda di accertamento della responsabilità e conseguente condanna del responsabile civile e della sua compagnia di assicurazioni, soprattutto in un caso-caso - quale quello di specie - in cui la compagnia del vettore non ottemperi tempestivamente alla richiesta. Aderendo al recente orientamento espresso dalla Suprema Corte si deve ritenere che in merito alla definizione di caso fortuito "nel linguaggio giuridico ...alle cause naturali (il "caso", in questo senso, è causa) aggiunge pure le condotte umane - compresa quella del danneggiato - cui l'autonomia e la imprevedibilità conferiscano appunto il ruolo di causa "assorbente", ovvero che elide il nesso causale con gli elementi antecedenti "a prescindere dall'accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro"...In conclusione, deve essere affermato quale principio di diritto che l'articolo 141 cod. ass., in conseguenza del riferimento al caso fortuito - nella giuridica accezione inclusiva di condotte umane - come limite all'obbligo risarcitorio dell'assicuratore del vettore verso il trasportato danneggiato nel sinistro, richiede che il vettore sia almeno corresponsabile del sinistro quale presupposto della condanna risarcitoria del suo assicuratore; una volta accertato l'an della responsabilità del vettore, non occorre accertare quale sia la misura di responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, dovendo comunque l'assicuratore del vettore risarcire in toto il trasportato, salva eventuale rivalsa verso l'assicuratore di altro corresponsabile o di altri corresponsabili della causazione del sinistro (Sent. 4147/2019 cass civ. sez. III). Poiché la convenuta (...) ha eccepito che, in assenza di responsabilità del vettore, non sussista l'obbligo di risarcimento diretto al trasportato, in applicazione dell'orientamento giurisprudenziale di cui al punto che precede ed al quale si ritiene di aderire, occorre esaminare la dinamica del sinistro, al fine di accertare se sussista o meno corresponsabilità tra vettore e conducente. A tale proposito si osserva che dalla documentazione agli atti (verbale integrale di incidente stradale) è risultata confermata la responsabilità di (...) in relazione al sinistro per cui è causa, poiché la stessa non ha rispettato il segnale di stop, omettendo di dare la precedenza al motociclo condotto da (...), quest'ultimo tuttavia è stato sanzionato ex art. 141/1 CdS per avere omesso di regolare la velocità del motociclo in relazione al tratto di strada percorso, con presenza di un susseguirsi di intersezioni e attraversamenti pedonali, nonché ex art. 187/1 CdS., per tali motivi si deve ritenere che la responsabilità nella causazione del sinistro possa essere ascritta per l'80% alla conducente della vettura e per il 20% al conducente della moto che, se avesse ridotto la velocità ed in assenza di stato di alterazione, avrebbe potuto ridurre le conseguenze della condotta della conducente del veicolo. Alla luce di quanto esposto poiché, come detto ai punti che precedono, deve ritenersi accertata una corresponsabilità del vettore nel sinistro per cui è causa, può essere accolta la domanda di condanna proposta dall'attore in via solidale delle Compagnie di Assicurazione coinvolte nel sinistro per cui è causa, così (...) (e per essa l'intervenuta quale successore a titolo particolare (...) spa) e (...). Non può viceversa essere accolta la domanda di manleva proposta da (...) nei confronti di (...) in quanto alla medesima compete la speciale azione di rivalsa disciplinata dall'art. 150 codice ass., mentre può essere accolta la domanda subordinata di rimborso delle somme che dovessero essere corrisposte in conseguenza della condanna disposta in via solidale, nella misura della responsabilità accertata in capo al conducente del veicolo assicurato (80%). Neppure può essere accolta la domanda proposta da (...) nei confronti dei sigg.ri (...) per i motivi esposti ai punti che precedono (improcedibilità della domanda, mancata partecipazione al procedimento per ATP). Per quanto riguarda la quantificazione del danno: I danni riportati da (...) sono quelli accertati nella perizia medico legale svolta nel procedimento per ATP n. 740/2014 le cui conclusioni sono condivise e fatte proprie da questo giudicante come seguono: Danno da invalidità permanente: 7,5% Inabilità temporanea totale: gg. 60 Inabilità temporanea parziale da intendersi al 75%: gg. 30 Sono state ritenute congrue le spese mediche. Passando alla quantificazione del danno ed osservando che parte attrice non ha a ciò direttamente provveduto, si ritengono applicabili le cd Tabelle di Milano in relazione alle lesioni di lieve entità come segue: Danno da invalidità permanente: Euro 11.887,12 Inabilità temporanea totale e parziale: Euro 3.917,93 Così per la somma complessiva di Euro 15.805,05 Oltre ad Euro 2084,93 per spese mediche documentate e ritenute congrue dal CTU. In ordine agli accessori, sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devono essere riconosciuti, in applicazione del principio stabilito da Cassazione Civile, Sezioni Unite, 17 febbraio 1995 n. 1712, sia la rivalutazione monetaria che gli interessi - dal giorno dell'illecito fino alla data della pronuncia della sentenza - quale corrispettivo del mancato tempestivo godimento, da parte del danneggiato, dell'equivalente pecuniario del debito di valore. Pertanto, alla stregua dei principi affermati con la sentenza citata, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale - calcolata alla data di marzo 2021 (data del più recente aggiornamento delle Tabelle del Tribunale di Milano) - deve essere devalutata alla data dell'illecito (c.d. aestimatio). Sulla somma così calcolata e via via rivalutata annualmente secondo gli indici Istat devono quindi essere applicati gli interessi al tasso legale. Su tale importo, in quanto convertito con la liquidazione in credito di valuta, spettano gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo. Le spese del procedimento per ATP sono poste in via solidale a carico di (...) e (...) e liquidate in misura pari ad Euro 600,00 oltre accessori per spese di CTU ed Euro 2225,00 oltre accessori per spese legali. Le spese del presente procedimento, saranno liquidate in dispositivo nei valori medi per lo scaglione tariffario relativo agli importi effettivamente riconosciuti e seguono la soccombenza tra (...) e (...) e (...); nonché tra (...), (...) (e per essa (...) S.p.A.) e (...). P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica definitivamente pronunciando - accerta la corresponsabilità di (...) e (...) nel sinistro per cui è causa, rispettivamente per l'80% e per il 20%; - dichiara improcedibili le domande svolte nei confronti di (...) e (...); - rigetta le domande nei confronti di (...) e (...); - condanna (...) - Rappresentanza generale per l'Italia e per essa (...) S.p.A., e (...) S.p.A. in solido (salvo rivalsa tra loro ex art. 150 cod. ass.) al pagamento a favore di (...) della somma di Euro 15.805,05 oltre interessi e rivalutazione monetaria con le specificazioni in ordine alla misura e decorrenza di cui in parte motiva ed Euro 2084,93 per spese, oltre ad Euro 600,00 più accessori per spese di CTU ed Euro 2225,00 oltre accessori per compenso professionale nel procedimento per ATP; - condanna (...) S.p.A. a rimborsare a (...) - Rappresentanza generale per l'Italia e per essa a (...) S.p.A., le somme che dovessero essere corrisposte in relazione alla condanna (anche per le spese) disposta in via solidale nella misura della responsabilità accertata della sig.ra (...) pari all'80%; - condanna (...) al pagamento a favore di (...) e (...) delle spese del presente giudizio pari ad Euro 3235,00, per compenso professionale, oltre accessori di legge; - condanna (...) - Rappresentanza generale per l'Italia e per essa (...) S.p.A., e (...) S.p.A. in solido al pagamento a favore dell'attore delle spese del presente procedimento pari ad Euro 3235,00. Così deciso in La Spezia il 28 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale della Spezia, Sezione Civile, nella persona della dott.ssa Tiziana Lottini, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia RG (...) tra (...) nato il (...) a (...), rappresentato e difeso per procura dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliato nello studio dell'avv. (...) parte attrice e (...) in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata difeso per procura dagli avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata nello studio dell'avv.to (...) convenuta Avente a oggetto: contratto di mutuo RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione depositato in data 21/03/2018 (...) ha agito nei confronti di (...) deducendo: - di avere stipulato in data 29.04.2010, in veste di consumatore ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del Consumo), il contratto di mutuo fondiario n. (...) con la banca (...) per l'importo di Euro 250.000,00 e la durata di anni 30, alle condizioni indicate nel contratto; - di avere sottoscritto tale contratto del mutuo in assenza delle informazioni essenziali che la banca avrebbe dovuto fornire in adempimento degli obblighi di legge, alla luce del "rischio elevatissimo dovuto all'influenza dell'andamento delle valute e della complessità dei calcoli finanziari di determinazione dell'interesse applicato"; infatti, il tasso di interesse veniva convenuto mediante il meccanismo di indicizzazione al franco svizzero; all'art. 4 del contratto si scrive: "Art. 4 interessi sulla somma concessa a mutuo: - "Le parti convengono che il presente mutuo è in Euro indicizzato al Franco Svizzero, secondo le modalità di seguito indicate e che il piano di ammortamento allegato è stato predisposto con riferimento ad un tasso di interesse stabilito nella misura iniziale del 0,2% mensile, pari a un dodicesimo del tasso nominale annuo del 2,4% (tasso di interesse convenzionale). - Le parti concordano inoltre espressamente che il tasso di cambio Franco Svizzero/Euro è stato determinato convenzionalmente in Franchi Svizzeri 1,4397 per un Euro ("tasso di cambio convenzionale") e calcolato sulla base della rilevazione di Euro 1,4325 riferita alla data del22.04.2010pubblicata sul sito della Banca Centrale Europea www.ecb.int, o di altra fonte ufficiale se il sito indicato non è disponibile, aumentata di 0,5 punti percentuali a titolo di margine di cambio; - che, altresì, in merito all'estinzione anticipata (all'art. 7) il contratto prevede che "In caso di estinzione parziale, la somma restituita dalla parte mutuataria al netto di quanto dovuto a qualsiasi titolo dalla parte mutuataria alla banca determina la quota di capitale estinto. Sulla base della quota di capitale estinto viene calcolata la quota di capitale residuo; - inoltre, l'art. 7 bis (Conversione del tasso riferito a franco svizzero) stabilisce che "La parte mutuataria potrà ottenere la conversione del tasso riferito al Franco Svizzero in uno riferito allEuro. Nell'esercizio di tale opzione la parte mutuataria dovrà indicare il nuovo meccanismo di determinazione del tasso scelto tra quelli previsti nei diversi prodotti di mutuo offerti dalla banca al momento della conversione. Tale richiesta dovrà essere formulata tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento, da inoltrare alla banca almeno 60 giorni prima della data indicata per la conversione che deve coincidere con la scadenza di una delle rate previste nel piano di ammortamento. La parte mutuataria si impegna fin da ora a firmare gli atti o documenti necessari alla conversione, che la banca indicherà, dando atto che in caso contrario l'operazione non potrà aver luogo. Il giorno fissato per la conversione la banca provvede a determinare l'eventuale variazione tra il tasso di cambio convenzionale franco svizzero/Euro e quello per la valuta giorno lavorativo precedente rilevato sulla pagina FXBK del circuito Reuter e pubblicato su (...), determinando l'incidenza di natura economica di tale variazione sul debito residuo, decurtato del saldo eventualmente esistente sul rapporto di deposito fruttifero. L'importo così determinato è preso a base di calcolo per il nuovo piano di ammortamento che conserva, di norma, la scadenza originariamente stabilita contrattualmente. Per l'esercizio della facoltà sopra descritte la parte mutuataria dovrà aver adempiuto con regolarità e puntualità a tutte le obbligazioni, anche accessorie, derivanti dallo stesso contratto. In caso di contrario, la Banca, potrà non accogliere la richiesta di conversione, saranno definite. Le ulteriori pattuizioni eventualmente necessarie per la completa regolamentazione dei reciproci impegni in relazione alla conversione, saranno definite all'atto della formalizzazione dell'operazione in base a quanto previsto per il prodotto cui si farà riferimento per la conversione stessa; - che l'attore, intendendo estinguere anticipatamente il mutuo, l'attore inviava richiesta di conteggio estintivo alla banca; la banca rispondeva, con missiva datata 31.01.2017 "Conteggio informativo estinzione anticipata contratto...", indicando un capitale residuo al 31.12.2017 di Euro 209.404,36,, nonché i seguenti costi: "Indicizzazione valutaria Euro 189,60; Indicizzazione finanziaria Euro (- 357,50) e Rivalutazione Euro 71.328,91 corrispondente al 34% del capitale residuo. - che l'attore non poteva, pertanto, estinguere il mutuo, a causa della eccesiva onerosità, con conseguenti danni patrimoniali (maggiori costi sostenuti non potendo accedere a nuovo mutuo a condizioni certamente più vantaggiose, atteso che al momento attuale i tassi di interesse applicati dal sistema bancario sono prossimi allo zero); - che, tuttavia, il contratto è affetto da vizi di nullità derivanti dall'"indeterminatezza e/o all'aleatorietà delle condizioni del mutuo ed al mancato rispetto della normativa di settore"; in particolare: segnatamente: - trattasi di un mutuo fondiario in Euro indicizzato al Franco Svizzero; come espressamente previsto dall'art. 4 del contratto stesso: pertanto il meccanismo di cui all'art. 4 opera solamente con riferimento alla componente interessi e sulla rivalutazione/svalutazione cambi calcolata sulle singole rate versate, invece per quanto riguarda le quote capitale, deve essere preso a riferimento unicamente lo sviluppo in Euro del piano di ammortamento allegato al contratto; anche nell'art. 5 e relativo agli interessi di mora su fa riferimento, per il tasso alla "Media mensile del tasso Euribor 3 mesi divisore 360" maggiorata di 3,5 punti percentuale in ragione dell'anno"; - parimenti la lettura dell'art. 7 conferma tale qualificazione del mutuo suddetta, poiché non contiene alcuna formula o metodologia di calcolo, infatti il debito in linea capitale da restituirsi in caso di estinzione anticipata altro non può essere che l'importo residuo indicato nel piano di ammortamento in Euro in corrispondenza dell'ultima rata pagata; - inoltre, tale aspetto è confermato dalle comunicazioni periodiche della banca relative al rapporto di mutuo in quanto in esse venivano riportato: "il debito residuo del capitale Euro...."; - che il mutuo ha natura di contratto finanziario derivato, ne consegue che la Banca aveva l'onere di fornire all'attore completa ed esauriente informativa sull'operazione ed in particolare sul rischio di una eventuale rivalutazione del Franco Svizzero, ma, avrebbe dovuto addirittura far sottoscrivere ai predetti una dichiarazione specifica in tal senso. - in ogni caso la clausola di determinazione del tasso di interesse corrispettivo (art. 4) descrive un complesso - ed incomprensibile - meccanismo di indicizzazione da cui è dato ricavare l'assoluta opacità ed indeterminatezza e/o indeterminabilità del tasso di interesse ultralegale concretamente applicato nel corso del rapporto; - altresì, essa è indeterminata in quanto nel corso del contratto il tasso effettivo è soggetto alle fluttuazioni dei mercati finanziari e - comunque - esso non è ancorato a parametri certi e/o facilmente desumibili come avviene, per esempio, nel caso dei mutui a tasso variabile in base al c.d. EURIBOR.; inoltre, nel documento di sintesi non viene indicato il tasso di cambio, elemento fondamentale per una chiara comprensione dell'operazione, tenuto contro della tipologia di mutuo in questione; - che, essendo la clausola è nulla per indeterminatezza, sicché deve applicarsi il tasso sostitutivo di cui all'art. 117 e 125 T.U.B.. - che, peraltro, un ulteriore profili di indeterminatezza del contratto è rappresentato dalla differenza tra l'ISC/TAEG indicato nel "documento di sintesi"risulta infatti pari a 1,830%, mentre il TAN (tasso annuo nominale) indicato in contratto (art. 4 contratto) risulta pari al 2,4%; invocava, pertanto, l'attore l'applicazione della sanzione conseguente alla mancata indicazione dell'ISC/TAEG prevista dal comma 7 dell'art. 117 TUB; - che la Banca ha violato gli obblighi di buona fede previsti dall'art. 1375 c.c., dal quale discendono gli obblighi di informazione derivanti dalla normativa comunitaria (poi trasfusa nel c.d. Codice del Consumo), poiché non esponendo in modo chiaro e comprensibile il contenuto contratto e le reali conseguenze dello stesso, sottacendone i rischi: infatti la Banca già dal 2009 era consapevole dell'apprezzamento del franco svizzero sull'euro, tanto che a decorrere dal gennaio 2011 tale prodotto non è stato più venduto alla clientela; - che l'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 impone infatti che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone un'informativa non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, tenendo conto dell'insieme delle circostanze di cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull'ulteriore esecuzione di detto contratto; l'art. 3 paragrafo 1 della medesima direttiva 93/13 prescrive che "una clausola contrattuale che non è stato oggetto di negoziato individuale si considera abusiva se, in contrasto con il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto".; tale disposizione è stata interpretata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nel senso che il requisito secondo cui una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile presuppone che, nel caso dei contratti di credito, gli istituti finanziari debbano fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza ed in piena cognizione di causa. A tal proposito, tale requisito implica che una clausola, in base alla quale il prestito deve essere rimborsato nella medesima valuta estera nella quale è stato contratto, sia compresa dal consumatore non solo sul piano formale e grammaticale, ma altresì in relazione alla sua portata concreta, nel senso che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, possa non solo essere a conoscenza della possibilità di apprezzamento o deprezzamento della valuta estera nella quale il prestito è stato contratto, ma anche valutare le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sui suoi obblighi finanziari. Inoltre, secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale deve essere effettuata con riferimento al momento della conclusione del contratto in questione, tenendo conto dell'insieme delle circostanze in cui il professionista poteva essere a conoscenza in tale momento e che erano idonee a incidere sull'ulteriore esecuzione di detto contratto; - che anche la clausola di estinzione anticipata (art. 7) è affetta da nullità per indeterminatezza e/o vessatorietà per contrarietà alle disposizioni di cui al Codice del Consumo; peraltro, la citata clausola di estinzione anticipata appare nulla anche perché il tasso previsto è usurario. Si costituiva la banca (...) con comparsa del 29 maggio 2018, eccependo e deducendo: - che l'art. 4 del Contratto di Mutuo stabilisce testualmente che il mutuo in questione "è in EURO indicizzato al FRANCO SVIZZERO" ossia, in altri termini, un mutuo che è pagabile in Euro (essendo quest'ultima la moneta corrente in Italia), ma la cui valuta di riferimento ai fini del calcolo delle rate è unicamente il Franco Svizzero, la cui variazione sull'Euro è quindi suscettibile di incidere sull'ammontare delle rate stesse; si tratta, in altri termini, di un mutuo in tutto e per tutto equivalente ad un finanziamento in valuta estera, con l'unica caratteristica di essere regolato in Euro, per ovvie ragioni di praticità (essendo l'Euro la valuta corrente in Italia); tale prodotto è stato "venduto" in Italia (...) (inizialmente per il tramite di (...)) per quasi diciotto anni, e presentava un fattore di convenienza di questo prodotto costituito dal fatto che i tassi di interesse legati al Franco Svizzero erano (come ancora oggi sono) sensibilmente più bassi rispetto a quelli della Lira (prima) e della zona Euro (poi); conseguentemente, il cliente che sottoscriveva un mutuo indicizzato al Franco Svizzero poteva beneficiare, e ancora oggi beneficia, di un minore tasso di interesse; che, per indicizzazione, si intende quel meccanismo con il quale si ancora a un certo parametro di riferimento l'ammontare, a seconda dei casi, di una somma capitale o il valore di rimborso di un debito; nel caso di specie l'indicizzazione legata al tasso elvetico aveva reso questo prodotto molto conveniente per i mutuatari, taluni dei quali hanno ottenuto notevoli benefici sia durante l'ammortamento del mutuo (2) - come del resto l'odierno attore - sia in caso di estinzione anticipata dello stesso; che, anche l'attore, infatti, ha (quasi) sempre avuto conguagli semestrali positivi; questa tendenza si è improvvisamente invertita a partire dall'anno 2010 - a causa del propagarsi alla zona Euro della c.d. "crisi (...)" verificatasi alla fine 2008 -: la moneta elvetica si è rafforzata, ciò che ha determinato il rafforzamento del suo tasso di cambio rispetto alle altre valute, tra le quali l'Euro; per tale ragione, essendo venuta meno la convenienza di questo prodotto, (...) ha cessato di commercializzarlo; - che il mutuo è un mutuo in Euro indicizzato al Franco Svizzero, ossia, in altri termini, un mutuo che è pagabile in Euro (essendo quest'ultima la moneta corrente in Italia), ma la cui valuta di riferimento ai fini del calcolo delle rate è unicamente il Franco Svizzero; ciò significa che le variazioni del Franco Svizzero sull'Euro sono suscettibili di incidere sull'ammontare delle rate stesse per effetto proprio del meccanismo di indicizzazione; nel caso di specie, le parti hanno inteso indicizzare le rate di rimborso, oltre che al tasso di interesse (...), anche all'andamento del tasso di cambio di una valuta straniera rispetto all'Euro, segnatamente il Franco Svizzero; - che tale natura è esplicitata chiaramente in varie clausole contrattuali (e, in primis dall'art. 4, in plurime previsioni dello stesso); - che, inoltre, è infondata la doglianza relativa al fatto che documento di sintesi non" verrebbe "indicato il tasso di cambio", poiché il medesimo è stato redatto seguendo lo schema grafico indicato dalle Istruzioni di Vigilanza della Banca (art. 8, lezione II) e, comunque, non è necessario riportare nel medesimo tutte le clausole del contratto; - che il Contratto di Mutuo indica chiaramente il TAEG applicato o, più precisamente, l'ISC; - che, in ogni caso, dall'erronea indicazione del TAEG/ISC non discenderebbe la nullità della relativa clausola; - che la banca non è incorsa in alcuna violazione di obblighi di buona fede, avendo agito con trasparenza ed esposto nel contratto quanto sopra indicato; in ogni caso eccepiva la prescrizione dell'azione l'azione tesa a far accertare la responsabilità precontrattuale della banca; - che le clausole di indicizzazione non hanno natura di strumento finanziario di tipo c.d. derivato; - che, inoltre, gli interessi convenuti non sono usurari. L'istruttoria veniva esperita mediante lo svolgimento di una consulenza tecnica, in cui esiti sono compendiati nella relazione depositata in data 1 maggio 2021 (e che di seguito verranno illustrati nella parte di interesse). Alla luce degli esiti dell'istruttoria espletata, deve ritenersi fondata la doglianza relativa all'indeterminatezza delle clausole contenenti l'indicazione del tasso d'interessi - art. 4 e art. 7 del contratto, quest'ultima relativo all'ipotesi di estinzione anticipata del mutuo -. Invero, il Consulente Tecnico esponeva: - che, secondo il peculiare meccanismo convenuto tra le parti: - in prima istanza gli interessi sono calcolati mensilmente al tasso dello 0,2% e addebitati al mutuatario con la medesima scadenza (per una rata di importo costante di Euro 974,85); - indi, con scadenza semestrale, gli interessi vengono ricalcolati1, con determinazione della differenza tra quanto addebitato e quanto effettivamente dovuto; in particolare, le rate vengono calcolate in base al differenziale tra il tasso di cambio convenzionale IHF/EUR -(determinato come pari a 1,4397) e detti tassi di cambio IHF/EUR periodali; tuttavia tale ricalcolo (risultante dalla somma algebrica delle due componenti denominate, rispettivamente, di indicizzazione finanziaria e di indicizzazione valutaria, viene determinata applicando un criterio non specificamente indicato; il Consulente rilevava, infatti, che nel documento di sintesi non viene indicata la modalità di applicazione dei conguagli né per quel che concerne i tassi di interesse né per quel che concerne i tassi di cambio: in particolare non viene indicato nel documento la modalità di rilevazione dei tassi di cambio periodali alla quale fare riferimento; in sostanza I le operazioni di conguaglio finanziario e valutario, pur essendo menzionate nel testo contrattuale, non risultano "determinate specificamente per modalità di applicazione e criteri di calcolo": in particolare manca del tutto "la determinazione del meccanismo di conversione della valuta"; anche il documento di sintesi (privo, peraltro, di indicazioni circa il tipo di mutuo contratto) omette di riportare la modalità di rilevazione del tasso di cambio periodale e il metodo di applicazione e il criterio di calcolo dei conguagli di indicizzazione finanziaria e valutaria; mancano i dettagli e le spiegazioni necessari per predeterminare le operazioni da svolgere per calcolare i conguagli; inoltre, poiché il piano di ammortamento allegato al contratto è previsto come "piano di ammortamento francese" con rata mensile costante e conguaglio semestrale, non essendo stari esplicitati i criteri di calcolo impiegati e considerata l'assenza del meccanismo di conversione relativo all'indicizzazione valutaria, la banca ha ampi margini di discrezionalità circa la costruzione e la distribuzione delle quote capitali e quote interessi nel corso del rapporto; l'esame della documentazione contrattuale conduce a rilevare palesi profili di indeterminatezza con riferimento alla omessa esplicitazione dei criteri impiegati nella determinazione del piano di rimborso, non indicando, nello specifico, né il regime finanziario (semplice o composto)n né la modalità di calcolo e imputazione degli interessi (calcolati sul capitale residuo o sulla quota capitale in scadenza) né i metodo di conguaglio relativo alla determinazione della rivalutazione valutaria (calcolata in sede di conguaglio semestrale valutario, in sede di estinzione anticipata e in sede di opzione di conversione del mutuo); il Consulente Tecnico, ricalcolando il piano di ammortamento del finanziamento, verificava che la rata mensile è stata determinata in regime finanziario composto, con capitalizzazione mensile: tale aspetto non era esplicitato nella documentazione contrattuale -. - Tali aspetti sono stati, convincentemente, ribadite dal Consulente, anche dopo l'esame delle osservazioni dei C.T. di parte (e segnatamente del CT della banca convenuta). Le valutazioni del Consulente, come sopra illustrate, appaiono condivisibili: l'esame dei documenti contrattuali (in primis del contratto e del documento di sintesi) non consente una (pre)determinazione del tasso degli interessi, in violazione dell'art. 117 T.U.B.. il quale stabilisce che "I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. ..." e che "4. I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". Affinché la previsione dell'art. 117 TUB possa considerarsi rispettata (e che l'oggetto del contratto sia considerato determinabile ex art. 1346 c.c.) è necessario che il tasso di interesse sia desumibile dal contratto senza alcun margine di incertezza o discrezionalità in capo al mutuante; qualora (come nel caso di specie) il tasso venga individuato per relationem, sarà necessario che il rinvio sia stato effettuato a dati conoscibili a priori e che le operazioni per eseguire il calcolo matematico siano esplicitate con esattezza nel contratto. Pertanto, stanti le plurime incertezze evidenziate dal Consulente - sopra compendiate - deve ritenersi che le clausole contrattuali (art. 4 e art. 7) aventi a oggetto i tassi di interesse da applicare siano affette da nullità ex art. 1418 c.c., per indeterminatezza dell'oggetto delle medesime, derivante dalla violazione dell'art. 117 T.U.B. Quale ulteriore conseguenza il piano di ammortamento deve essere va ricalcolato, ex art. 117 lett. a) TUB, conteggiando gli interessi al tasso nominale minimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. Il Consulente8 ha provveduto a tale ricalcolo, indicando una rata mensile di Euro 769,2226 (dal 1 giugno 2010 alla chiusura prevista ultima rata 1/5/2040), nonché il saldo dare/avere al 31/12/2017, indicando in Euro 18.886,81 l'importo in eccesso versato dagli attori alla convenuta, rispetto al debito; poiché il saldo del conto deposito di cui all'art. 4 bis del contratto era pari a Euro 12.709,87, alla data del 31/12/2017 al mutuatario deve essere restituito l'importo di Euro 6.176,94 operazione attiva). Deve aggiungersi che la parte attrice (come palesato dalle conclusioni rassegnate all'udienza del 27 maggio 2021) non ha coltivato le domande aventi a oggetto l'accertamento dell'usurarietà degli interessi e della nullità legata conseguente alla natura di strumento finanziario derivato; in ogni caso: - la natura usuraria dei tassi è stata esclusa dal Consulente; - quanto alla natura di derivato, la doglianza era comunque da considerarsi infondata, potendosi condividere quanto affermato da recenti pronunce giurisprudenziali di merito, secondo le quali "differente è la struttura causale del derivato rispetto a quella di indicizzazione prevista nei mutui in esame, non operando per quest'ultima né una finalità di copertura di una sottostante obbligazione debitoria né, tantomeno, una scommessa con contenuto speculativo; ma anche per il differente meccanismo operativo, non riscontrandosi nei contratti in parola uno scambio di flussi finanziari con pagamento ad opera della parte di volta in volta onerata della differenza rispetto a quanto compensato, che costituisce, invece, l'oggetto del contratto in derivati. Nei contratti in esame, infatti, non risulta mai previsto un obbligo a carico della banca di effettuare il pagamento di un differenziale dal momento che la clausola prevede solo l'accantonamento sul conto fruttifero della variazione della rata pagata alle condizioni contrattuali originarie previste nel piano di ammortamento rispetto alla rata determinata alle condizioni economiche attuali, il tutto sempre e comunque in vista dell'adempimento da parte del mutuatario al proprio obbligo restitutorio". Inoltre, deve sottolinearsi, che la parte non ha offerto alcuna prova in ordine al danno asseritamente subito (e ovviamente diverso da quello derivante dall'applicazione del tasso di interesse di cui sopra, che viene sostituito ai sensi dell'art. 117 YTUB). Ogni altro profilo deve ritenersi assorbito, in ossequio al principio della ragione più liquida. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenendo presente la complessità delle questioni trattate e la durata della causa. Anche le spese per la Consulenza Tecnica devono essere sopportate, in via definitiva, dalla convenuta. P.Q.M. Il Tribunale della Spezia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - dichiara la nullità parziale del contratto di cui in motivazione relativamente alle pattuizioni in punto di quantificazione degli interessi, per violazione dell'art. 117 T.U.B. e, per l'effetto: - dispone che il piano di ammortamento prosegua tenuto conto del tasso sostitutivo dei BOT alla data della stipula del contratto; - condanna la (...) in persona del rappresentante legale p.t., a restituire a (...) la somma di Euro 12.709,87, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda al saldo effettivo; - condanna la convenuta a rifondere all'attrice le spese di lite, che liquida in Euro 7.500,00 per compenso del difensore ed Euro 518,00 per spese di iscrizione, oltre alle spese di CTU, come liquidate, nella misura concretamente sopportata, e spese generali, cpa ed iva di legge. Con distrazione in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari, ex art. 93 c.p.c.. Così deciso in La Spezia il 20 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA in composizione monocratica, in persona del giudice Ettore Di Roberto, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. R.G. 1270/2016, promossa da: (...), nato (...) (C.F. (...)), (...), nata (...) (C.F. (...)) e (...), nata (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. An.Ve. Attori Contro Condominio Corso (...) - Via (...) La Spezia, in persona dell'amministratore pro tempore (C.F. - P. IVA (...) rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Bo. Parte convenuta MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Si tratta delle modifiche apportate in sede assembleare, dapprima con la delibera del 13.1.2016 (cfr. doc. 4 fasc. p. att.) e poi con quella del 1.4.2016 (cfr. doc. 7), entrambe qui oggetto di impugnazione, all'art. 41 del regolamento condominiale. Detta disposizione originariamente (cfr. doc. 3) escludeva i proprietari dei fondi terranei dal concorso alle spese necessarie per la conservazione e manutenzione, ordinarie e straordinaria, delle cose comuni divisibili. Tale esenzione, a seguito delle delibere in oggetto, è venuta meno, in via generale e particolare, stante l'espresso riferimento che ora viene fatto anche all'"area a piano terra, destinata a cortile e area verde". Il bene di causa è così descritto nella CTU in atti: "un'area esterna tipo corte, a sua volta costituita per la maggior parte da un giardino pensile sopraelevato rispetto al livello del suolo la cui superficie di estradosso si divide tra camminamenti e fioriere e l'intradosso copre il livello dedicato alle autorimesse sottostanti; a separare detto giardino dalla struttura del fabbricato per due dei tre lati del perimetro è posto un ulteriore camminamento sviluppato su terrapieno con pianta a "L" che costeggia il giardino pensile ad un livello inferiore e si sviluppa dall'androne scala "A" fino all'androne scala "B". Le proprietà degli odierni attori costituiscono la totalità delle unità immobiliari site al piano terreno del complesso condominiale e sono identificate rispettivamente con i subalterni catastali 32 e 333, categoria C/1 (negozi e botteghe). Le delibere impugnate sono ritenute invalide in quanto assunte non all'unanimità (bensì a maggioranza dei presenti, costituenti anche la maggioranza per valore del condominio) e in ogni caso in contrasto con i criteri di legge in materia (di cui all'art. 1123 c.c.). In atto di citazione al riguardo è stato in particolare dedotto che l'accesso ai fondi di (...) e di (...)/(...) è diretto dalla via pubblica e che quindi le parti non devono utilizzare la copertura con giardino in questione (il passaggio attraverso la quale è, invece, necessario per raggiungere gli ingressi alle scale "A" e "B" e quindi alle varie unità immobiliari poste ai piani rialzati dell'edificio). Il condominio convenuto si è opposto, evidenziando come nella specie: il regolamento sia di tipo assembleare, dunque ben modificabile con le maggioranze stabilite dall'art. 1136 comma 2; l'area esterna in contestazione sia da assimilare a un cortile, ai sensi dell'art. 1117 c.c.; su tutto il perimetro dell'immobile frontistante l'area verde in oggetto siano presenti ampie aperture da cui i fondi traggono aria e luce; negli anditi condominiali delle due scale accessibili dal solito giardino siano collocati i contatori dell'energia elettrica; sull'area de qua insistendo pure un locale tecnico/ripostiglio contenente i contatori dell'acqua e i contenitori della nettezza urbana; entrambi i fondi attorei traendo, dunque, utilità dagli spazi esterni in questione. Tanto premesso, il Tribunale ritiene che la domanda sia da rigettare. Anzitutto, va osservato come parte attrice neppure deduca in atti la natura contrattuale del regolamento condominiale. In ogni caso non è stata prodotta documentazione da cui in ipotesi desumere che tale regolamento, predisposto dall'originario costruttore dell'edificio, sia stato fatto approvare dai singoli acquirenti delle varie unità in sede di compravendita. In secondo luogo, va escluso che nella specie possa configurarsi un'ipotesi di condominio parziale (come pur sostenuto da parte attrice), in assenza di caratteristiche del bene tali da far ritenere che lo stesso possa servire una parte soltanto dell'edificio (come richiesto dalla costante giurisprudenza in materia; cfr., ex multis, Cass. ord. n. 791/2020, secondo cui: "La fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene; ne consegue che i partecipanti al gruppo non hanno il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose di cui non hanno la titolarità e la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare"). E', infatti, risultato, sulla scorta delle risultanze della CTU descrittiva dei luoghi di causa disposta in corso di giudizio, che entrambi i fondi attorei, sul perimetro lato corte condominiale, presentano elementi vetrati con caratteristiche di lucernari (cinque nella farmacia e due nel bene di proprietà di (...)). Essi risultano posti a quota elevata rispetto al livello del solaio del piano terreno (alcune porzioni dei fondi in questioni essendo, peraltro, caratterizzata dalla presenza di livelli soppalcati) e sono costituiti da un vetro satinato montato su un telaio apribile con meccanismo a "vasistas" e da sbarre sulla facciata esterna ancorate in maniera stabile alla struttura muraria (ad eccezione di un lucernario del fondo sub. 33, che non presenta sbarre). Non pare, dunque, che il fatto che questo spazio fornisca luce e aria anche a quegli ambienti possa essere messo in discussione; così trovando sostanziale conferma la natura cortilizia del bene de quo (cfr. Cass. n. 7889/2000: "Il cortile, tecnicamente, è l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serve a dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 cod. civ., vanno ritenute comuni a norma della suddetta disposizione"). L'area in contestazione va, poi, considerata unitariamente (come da regolamento), senza che ai presenti fini possa distinguersi (come pretenderebbe da ultimo di fare parte attrice) la parte per esempio destinata a giardino pensile da quella occupata dai camminamenti vari, anche a ridosso del fabbricato. In senso favorevole alla prospettazione di parte convenuta sul punto, va, inoltre rilevato che, sempre secondo le risultanze di CTU, all'interno dei locali tecnici ricavati nei sottoscala dei rispettivi blocchi "A" e "B", entrambi posti al piano terreno ed accessibili unicamente dall'area di corte in oggetto, sono collocati i contatori idrici anche utilizzati dai sub. 32 e 33; così come all'interno del piano terreno degli androni, rispettivamente del blocco "A" e del blocco "B", risultano collocati i contatori elettrici in uso ai due fondi. Può, pertanto, conclusivamente ritenersi che l'area de qua sia destinata anche al servizio delle unità di proprietà esclusiva degli attori; tanto, a prescindere sia dalla circostanza relativa all'accessibilità diretta a quei beni dalla via pubblica e sia dal fatto, pure dedotto in citazione, che (...) in particolare possa non essere neppure in possesso delle chiavi dei relativi cancelli di entrata (non risultando che il condomino abbia mai fatto richiesta all'amministratore di copia di quelle chiavi e che tale sua richiesta sia stata rifiutata). La natura comune del bene di causa è, del resto, esplicitata all'art. 3 del solito regolamento condominiale (che la definisce come "l'area a piano terra ove è situata la zona cortilizia destinata nella parte sottostante a parcheggi per macchine e nella parte superiore a camminamenti e a giardini"). Passando oltre, è pure infondata l'ulteriore doglianza attorea, circa la modifica regolamentare riguardante specificamente il fondo attualmente adibito a farmacia, laddove è stato previsto il concorso dei suoi proprietari anche alle spese necessarie per la conservazione e manutenzione del "portone di ingresso e dell'andito". E', infatti, pacifica in atti la presenza, al livello terreno dell'androne del blocco "A" di un accesso esclusivo al fondo di (...)-(...), comunicante direttamente con il locale adibito a laboratorio farmaceutico. Si tratta di porta che secondo quanto ammesso dalle parti stesse viene in effetti da loro utilizzata per raggiungere le rispettive abitazioni private poste all'interno del compendio, senza dovere ogni volta uscire all'esterno dell'edificio; essendo, di contro, irrilevante il fatto che quel passaggio possa, invece, non essere utilizzato anche dal personale della farmacia o dai clienti della stessa. Infine, è stata formulata domanda volta ad ottenere una revisione delle tabelle millesimali condominiali, in particolare del coefficiente di destinazione dei fondi, che sarebbe da ridurre "valutata la zona, la localizzazione" e tenuto anche conto del "periodo economico generale di non immediata evoluzione" (così la relazione tecnica allegata sub 8 all'atto di citazione). Anche tale domanda è da rigettare, stante la genericità delle allegazioni poste a fondamento dalla stessa e dovendosi ritenere che costituiscano errori essenziali rilevanti ai presenti fini solo quelli relativi alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore delle singole unità e non anche quelli derivanti soltanto dai criteri di tipo soggettivo utilizzati per effettuare la relativa stima. La spese di lite seguono la soccombenza. La liquidazione viene effettuata come in dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia, della complessità non elevata della stessa e dell'attività processuale resasi necessaria, tale da giustificare una riduzione di giustizia dei valori medi previsti in tabella per le fasi istruttoria e decisionale. Il costo della CTU, come liquidato con separato decreto in corso di causa, viene posto nei rapporti interni a carico esclusivo di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, in persona del giudice monocratico, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti in epigrafe, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta le domande attoree; - condanna parte attrice alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte convenuta, liquidate in 5.750,00 Euro per compenso professionale, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA; - pone il costo della CTU a carico di parte attrice. Così deciso in La Spezia il 13 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA in composizione monocratica e in funzione di giudice del lavoro, in persona del giudice Marco Viani, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa iscritta al n. 798/19 RGL promossa da (...), c. f. (...), residente a Bolano, con domicilio eletto alla Spezia via (...) presso lo studio dell'avv. Se.Ro. (PEC (...)) che lo rappresenta e difende con l'avv. Va.Gr. (PEC (...)) per procura in calce al ricorso ricorrente contro (...) S.r.l., c. f. (...), in persona del legale rappresentante Ro.Ro., con sede a (...) Vara e domicilio eletto a Reggio Emilia via (...) presso lo studio dell'avv. An.Te. che la rappresenta e difende per procura depositata in via telematica con la memoria di costituzione (PEC (...)) convenuto MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ricorso depositato il 4.7.2019 (...) ha esposto: - aveva lavorato per la (...) con mansioni di conducente di autobus nei seguenti periodi: 16.5.2016 - 15.9.2016 (poi per proroga 31.10.2016) con contratto a tempo determinato part time, residenza di servizio La Spezia; 9.2.201730.4.2017 con contratto intermittente full time; 1.5.2017-31.5.2017 con contratto a tempo determinato part time orizzontale, residenza di servizio La Spezia; 1.6.2017 - 31.10.2017 con contratto a tempo determinato full time (derivante dalla trasformazione del precedente), residenza di servizio Portovenere; 3.11.2017 - 31.3.2018 (poi per proroga 30.4.2018) con contratto intermittente full time; 1.5.2018-31.10.2018 con contratto a tempo determinato part time orizzontale, residenza di servizio La Spezia; - a far data dall'1.11.2018 il contratto veniva trasformato in part time orizzontale (38 ore) con residenza di servizio La Spezia e termine al 30.4.2019; - il 29.12.2018 gli era stato comunicato che, a causa di una riorganizzazione aziendale, dal 1.1.2019 la residenza di servizio sarebbe stata (...) vara e l'orario sarebbe sceso a 33 ore settimanali; - il lavoratore, dato che le nuove condizioni di lavoro erano per lui più gravose, si era opposto e aveva messo a disposizione la sua attività lavorativa per altre zone; - il 4.1.2019 (...), socio della (...) e addetto alla gestione del personale, gli aveva comunicato che per la stipula di un contratto a chiamata sino al 30.4.2019 e successivamente di un contratto a termine stagionale sino al 31.10.2019 era necessario che il lavoratore si dimettesse; - si era pertanto dimesso e nell'occasione gli era stato consegnato l'abbigliamento di servizio invernale che recava il nome della (...); - in realtà non era stato stipulato il contratto a chiamata. Ha argomentato la nullità del contratto con orario 33 ore e residenza di servizio (...) di cui alla comunicazione del 29.12.2018, che doveva essere stipulato in forma scritta, la nullità della clausola del contratto dell'1.5.2018 con cui la datrice di lavoro si era riservata il potere di cambiare la residenza di servizio, e la nullità per difetto di causa delle dimissioni perché il precedente rapporto era già stato estinto in modo unilaterale dalla società e il nuovo rapporto non era mai stato stipulato. In subordine, ha chiesto l'annullamento delle dimissioni per essere stato indotto in errore. Argomentando, poi, che il recesso dal precedente rapporto che si era concretato con la comunicazione del 29.12.2018 non era assistito da giusta causa, e comunque che il comportamento della società era contrario a correttezza e buona fede, ha chiesto il pagamento di tutte le retribuzioni che sarebbero spettate sino alla naturale scadenza del contratto (30.4.2019). Deducendo che in quanto lavoratore stagionale aveva, anche in forza del CCNL Autoferrotranvieri, un diritto di precedenza sulle nuove assunzioni, e che in ogni caso aveva perso la chance di stipulare nuovi contratti, ha chiesto il risarcimento del danno per il periodo 1.5.2019-31.10.2019, fatto pari alle retribuzioni percepite nel 2018 per il medesimo periodo. La società resiste. 2. Nella tesi principale del ricorrente, il contratto di lavoro a tempo determinato vigente al 29.12.2018 sarebbe venuto meno per recesso del datore di lavoro. in particolare, la comunicazione del trasferimento della residenza di servizio dalla Spezia a (...) Vara e della riduzione dell'orario di lavoro da 38 ore a 33 (o il successivo inserimento del ricorrente, a far data dal 1.1.2019, nei turni di (...)) comporterebbe l'estinzione del rapporto precedente e la sua sostituzione con altro rapporto (novazione) a cui tuttavia il lavoratore non ha mai espresso il suo consenso e che quindi sarebbe nullo per difetto di forma scritta (o meglio, inesistente per mancanza di accordo). La tesi non può essere condivisa. va osservato in premessa che il recesso è un negozio giuridico unilaterale e il negozio giuridico si distingue dal mero atto giuridico perché la volontà della parte deve investire anche i suoi effetti. D'altra parte, ai sensi dell'art. 1362 c.c., che è applicabile anche ai negozi unilaterali, l'interpretazione di un atto negoziale si deve basare sull'intento del soggetto che l'ha posto in essere, almeno laddove non venga in rilievo un profilo di tutela dell'affidamento dei terzi. ora, è palese che il datore di lavoro, nel comunicare la variazione della sede di servizio e dell'orario, non intende estinguere il precedente rapporto e farne sorgere uno nuovo, ma intende modificare alcune condizioni del preesistente rapporto di lavoro. È pur vero che il datore di lavoro non ha la facoltà di ridurre unilateralmente l'orario di lavoro, neppure in un contratto part-time, e che le clausole elastiche che gliela attribuiscano sarebbero illegittime (Cass. 4.12.2014 n. 25680): ma questo significa che, laddove il datore di lavoro riduca unilateralmente l'orario di lavoro, anche se in presenza di una clausola elastica che gli attribuisca un tale potere, la variazione non è efficace e il lavoratore può pretendere il rispetto delle condizioni antevigenti, e non che in tal caso il datore di lavoro stia recedendo dal contratto. Ad analoga conclusione si deve pervenire per la variazione unilaterale del luogo della prestazione. A tale proposito va anche osservato che il datore di lavoro ha in effetti il potere di variare unilateralmente il luogo della prestazione, laddove ne ricorrano i presupposti, ai sensi dell'art. 2103 c.c.. il ricorrente argomenta che la clausola del contratto individuale di lavoro che, con richiamo dell'art. 20 RD 148/1931, attribuiva alla società il potere incondizionato di variare la residenza di lavoro deve ritenersi nulla. in effetti, con riguardo al rapporto di lavoro dei ferrotranvieri, la disciplina dell'art. 20 RD 148/1931 cede davanti all'art. 2103 c.c. (Cass. 27.3.1999 n. 2950); ciò, per vero, non significa, come sembra ritenere (...), che il ferrotranviere non possa mai essere trasferito senza il suo consenso, ma significa che può essere trasferito se sussistono i presupposti previsti dall'art. 2103 c.c.. ora, come rilevato dalla convenuta, nel caso di specie il datore di lavoro aveva comunicato a (...) che l'autista già assegnato alla sede di (...) Vara aveva ottenuto il trasferimento su sede vacante e che, rimasto deserto il bando interno per la sostituzione, la scelta era caduta su di lui per la sua minore anzianità di servizio, e nessuna di queste circostanze risulta contestata in giudizio dal ricorrente, né era stata contestata con le osservazioni del 29.12.2018 in cui il ricorrente si limitava a protestare la gravosità anche economica del trasferimento. peraltro, la questione della legittimità del trasferimento, agli odierni fini, riveste un'importanza marginale, perché, come si è detto, quel che rileva è che il datore di lavoro non ha esercitato alcun recesso. per questo motivo è inutile verificare la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 2103 c.c., in assenza di domande che investano la legittimità del trasferimento o in relazione alle quali la legittimità del trasferimento si ponga come questione pregiudiziale. Sembra poi il caso di precisare che neppure può parlarsi di novazione, in dedotta assenza di un accordo fra le parti. Più in generale, sembra ricavarsi dalla lettura del ricorso che, nell'opinione del ricorrente, l'atto negoziale del datore di lavoro assuma la natura di un recesso perché, benché volto ad altro fine, rappresentava atto di esercizio di un potere che al datore di lavoro non spettava e/o non è stato accettato dal lavoratore. Tuttavia, neanche questa impostazione meriterebbe adesione, perché (si ripete, laddove non entri in gioco una questione di tutela dell'affidamento dei terzi) esula dal sistema del diritto civile supporre che gli effetti negoziali di una dichiarazione possano essere diversi da quelli voluti dalla parte. Su tale premessa, l'osservazione - in sé senz'altro esatta almeno per quanto riguarda la diminuzione dell'orario - della necessità di un accordo scritto fra le parti che invece è mancato sarebbe rilevante se si discutesse in causa della legittimità di questa variazione in sé considerata, ma non ha alcun rilievo laddove si discuta invece dell'esistenza, dopo il 29.12.2018 o dopo il 1.1.2019, di un rapporto contrattuale fra le parti. Non è quindi possibile sostenere che le dimissioni del lavoratore siano nulle per difetto di causa perché date in un momento in cui le parti non erano legate da alcun rapporto contrattuale. Peraltro, è emerso dalla deposizione di (...) che effettivamente (...), in due giorni della prima settimana di gennaio, fece con lui, per quasi tutto il turno, il "giro" (cioè viaggiò in autobus mentre (...) guidava, per prendere cognizione del percorso): la circostanza non è neppure stata contestata specificamente dal ricorrente. E, dato che il comportamento anche successivo delle parti costituisce criterio interpretativo, questa circostanza contribuisce ulteriormente a smentire la tesi che le parti, in quei giorni, non si ritenessero legate da un vincolo contrattuale. 3. il lavoratore argomenta che le dimissioni siano annullabili per vizio della sua volontà: segnatamente, le avrebbe rese perché Consoli, socio della convenuta, lo avrebbe convinto che da lì a poco sarebbe stato nuovamente assunto con contratto a chiamata e che si sarebbe dovuto dimettere per rendere possibile questa nuova assunzione. va premesso che la deduzione contemporanea di errore e dolo, come causa di annullabilità, non è ammissibile (Cass. 11.11.2005 n. 22900) e che il lavoratore, in ricorso, deducendo di essere stato indotto in errore, ha inequivocabilmente allegato i presupposti dell'annullabilità per dolo. in questo senso, non comporta di per sé infondatezza della domanda il fatto che l'errore cada sul motivo. L'errore sul motivo è irrilevante quando ha fonte endogena, ma non quando è causato dal dolo della controparte (o, come nel caso di specie, trattandosi di negozio unilaterale, del destinatario dei suoi effetti). Tuttavia, le circostanze allegate dalla parte ricorrente non sono sufficientemente provate in causa. i testi escussi non erano presenti al colloquio e possono riferire soltanto di quanto loro riferito dal medesimo ricorrente e dalla sorella che lo aveva accompagnato (e che, per rivestire attualmente la qualità di difensore in questo giudizio, non può essere chiamata a testimoniare ai sensi degli artt. 421 e 257 c.p.c., come non può essere chiamato a testimoniare Consoli, di cui il ricorrente ha fondatamente eccepito l'incapacità e che per questo motivo non è stato escusso). È pur vero che la deposizione de relato non è del tutto priva di valore probatorio, soprattutto quando, come nel caso di specie almeno per i genitori del ricorrente, i testi siano stati messi al corrente dei fatti nell'immediatezza e quando ancora non si profilava l'eventualità di una controversia giudiziaria. Nel caso di specie, tuttavia, la questione di fatto presenta profili di particolare sottigliezza. Una cosa è, infatti, che Consoli abbia detto che, anche se il ricorrente si fosse dimesso, in futuro la società lo avrebbe potuto assumere con contratto a chiamata; una cosa diversa è che abbia detto che se il ricorrente si fosse dimesso sarebbe stato senz'altro assunto con contratto a chiamata; una terza cosa è che abbia detto che per poter essere assunto in futuro con contratto a chiamata si doveva dimettere; una quarta cosa, ancora diversa, è che abbia detto che il ricorrente sarebbe stato senz'altro assunto con contratto a chiamata a condizione che si dimettesse. Solo in quest'ultimo caso, infatti, vi sarebbero senza dubbio gli estremi del dolo negoziale, mentre nel primo e nel terzo caso non vi sarebbero e nel secondo caso occorrerebbe un vaglio penetrante di tutte le circostanze rilevanti per concludere che vi siano. Per questo motivo le deposizioni de relato assunte in questa causa, che assumono una portata irrimediabilmente generica, pur avendo i testi dichiarato che il ricorrente e sua sorella riferirono che Consoli aveva promesso l'assunzione a chiamata dopo una decina di giorni se avesse dato le dimissioni (secondo il padre), o che disse "che problema c'è, dopo una decina di giorni facciamo il contratto a chiamata" (secondo la madre), non possono essere valorizzate positivamente. Le altre deposizioni assunte sono poi ancora più generiche. Gli altri elementi su cui si potrebbe fondare la prova della tesi del ricorrente non sono affatto significativi. in sede di discussione orale, per vero, il ricorrente ha evidenziato a suffragio della sua tesi elementi che in larga parte costituiscono supposizioni e anzi petizioni di principio, perché si fondano su ciò che si vuole dimostrare (così la menzione di una pressione psicologica subita, o della volontà di un lavoratore appena trasferito di non inimicarsi l'azienda, o la valutazione, in sé evidente, che al datore di lavoro le dimissioni del lavoratore convengano più del licenziamento), oppure tentano di applicare al caso particolare una considerazione generale (così l'osservazione che, secondo il teste orlanducci, di solito il lavoratore che si dimette ha già l'occasione di un altro lavoro). il principale elemento indiziario su cui si fondano le argomentazioni del ricorrente è dato dalla consegna, in occasione del colloquio con Consoli, del vestiario invernale con il logo della società. Per vero, come osservato in sede di discussione orale, che gli indumenti siano stati consegnati proprio in occasione del colloquio con Consoli risulta soltanto dalle deposizioni dei genitori del ricorrente, che sostanzialmente hanno riferito che, di ritorno da quel colloquio, loro figlio portò a casa il vestiario invernale della società mostrandosene molto fiero. Come documentato, senza contestazione sul punto, dalla convenuta, si trattava di vestiario pervenuto alla società sin dalla metà di dicembre, e non è chiaro perché non sarebbe stato consegnato in precedenza. Ma, anche a voler ritenere provata la circostanza, il suo rilievo appare decisamente modesto. in effetti, appare poco verosimile che il vestiario invernale sia stato consegnato al ricorrente in vista della futura stipulazione di un contratto a chiamata, anziché essergli consegnato successivamente in occasione della stipulazione di quel contratto. Ma, soprattutto, dato che, in occasione del colloquio con Consoli il lavoratore non si era ancora dimesso, la circostanza non è univoca: è infatti ben possibile che il vestiario invernale gli sia stato consegnato in considerazione della possibilità che, anziché dimettersi, accettasse il trasferimento. il lavoratore richiama poi i messaggi (...) scambiati. Sul punto occorre una premessa di ordine processuale. Dato che, a far data dal 31.12.2019, il programma di messaggistica (...) non sarebbe più stato utilizzabile sui telefoni che, come quello in uso al ricorrente, utilizzassero il sistema operativo (...), si è reso necessario disporre un accertamento tecnico preventivo in corso di causa (che, per vero, si sarebbe potuto evitare se la convenuta avesse semplicemente riconosciuto la conformità degli screenshot prodotti dal ricorrente). È assolutamente evidente che il consulente tecnico nominato non ha garantito il contraddittorio, perché ha proceduto a estrarre i dati in assenza delle parti, a cui ha comunicato l'inizio delle operazioni peritali ex post, con ciò fra l'altro rendendo impossibile la nomina di consulenti di parte. Tuttavia, come osservato in sede di discussione la parte ricorrente, la relazione del consulente è stata depositata il 12.2.2020, e nella prima udienza successiva non ne è stata eccepita la nullità. La nullità è stata semmai eccepita, ma ante tempus, e quindi inefficacemente, nell'udienza del 5.2.2020. Pur dovendosi dare atto della peculiarità della vicenda processuale, la nullità deve allora ritenersi sanata. Le nullità delle operazioni peritali devono infatti essere eccepite dalla parte interessata nella prima difesa successiva al deposito della relazione. Su tale premessa, deve osservarsi che i messaggi (...) così acquisiti non arrecano elementi utili. Nella maggioranza dei casi, si tratta di conversazioni con alcuni colleghi, da cui si evince che il ricorrente era convinto che la società avrebbe stipulato subito con lui un contratto a chiamata e poi, nel periodo estivo, un contratto a termine. il ricorrente si è soffermato sul messaggio da lui inviato a Consoli il 18.1.2019: "Buongiorno, volevo sapere quando posso venire a firmare il contratto a chiamata", a cui Consoli rispose: "Vediamo le prossime settimane. In questi giorni sono in ferie". Secondo il ricorrente, l'uso della parola "firmare" dimostrerebbe che l'accordo già era preso e che occorreva soltanto formalizzarlo. Per la verità, è un argomento ben poco significativo, come tutti gli argomenti meramente lessicali. in ogni caso, a tutto concedere se ne evincerebbe che il ricorrente era convinto che avrebbe sicuramente concluso un contratto a chiamata, ma non che Consoli gli avesse dato assicurazioni in tal senso; e la risposta di Consoli, decisamente evasiva, non apporta elementi in senso utile alla tesi del ricorrente. in particolare, non è sostenibile che Consoli abbia potuto desumere dal tenore del messaggio che (...) era convinto che un accordo dovesse soltanto essere formalizzato, per trarre conseguenze probatorie dal fatto che non abbia protestato l'erroneità di questo convincimento. D'altra parte, come osservato in sede di discussione orale dalla convenuta, solo pochi giorni dopo Consoli chiese via (...) a (...) la restituzione dei biglietti in suo possesso, e il ricorrente, in modo del tutto simmetrico, non risulta aver protestato l'inutilità di questa restituzione visto che da lì a poco avrebbe dovuto nuovamente prendere servizio: e il rilievo dei due scambi di messaggi, a ben vedere, si elide allora vicendevolmente. il dolo della convenuta, quindi, pur non del tutto sguarnito di prova, non può tuttavia ritenersi pienamente provato, e, nella segnalata impossibilità di svolgere altri approfondimenti istruttori, la domanda che investe l'annullamento delle dimissioni è infondata. Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve anche ritenere carente la prova di un comportamento contrario a buona fede e correttezza da parte del datore di lavoro. 4. il ricorrente argomenta la violazione del diritto di precedenza previsto per i lavoratori stagionali dall'art. 21 comma 2 D. Lgs. 81/2015 (che per vero non si occupa di precedenza e che si limita a definire i lavoratori stagionali a diverso fine) e dall'art. 19 del CCNL Autoferrotranvieri. Nelle conclusioni viene menzionato anche l'art. 15 della legge 64/1949 (verosimilmente 264/1949) che tuttavia, nella parte ancora vigente, si riferisce ai lavoratori licenziati per riduzione di personale ed è quindi estrinseco rispetto ai fatti di causa. in ordine a tale deduzione, ha dichiarato oggi di rinunciare al capo di domanda con cui chiedeva l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre ai sensi dell'art. 2932 c.c.. La rinuncia a un capo di domanda rientra nei poteri del difensore, che ha il dominio della lite, non deve essere accettata e comporta la cessazione della materia del contendere su quel capo. L'ambito del contendere si è quindi ristretto alla domanda di risarcimento del danno. Ciò premesso, per quanto concerne la fattispecie regolata dall'art. 19 (comma 3) del CCNL Autoferrotranvieri, che per vero non fa riferimento ai lavoratori stagionali, ma in applicazione dell'art. 24 comma 1 D. Lgs. 81/2015 attribuisce genericamente ai lavoratori assunti a termine una precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato nella stessa unità produttiva, le parti sociali hanno espressamente escluso che la precedenza spetti ai lavoratori che abbiano concluso il rapporto di lavoro per dimissioni, sicché, esclusa l'invalidità delle dimissioni, viene meno la possibilità di far ricorso a questo istituto. Residua da valutare la possibilità che spetti al ricorrente, in quanto lavoratore stagionale, una precedenza ai sensi dell'art. 24 comma 3 D. Lgs. 81/2015, che, pur non richiamato dal lavoratore, disciplina la precedenza per i lavoratori stagionali. il fatto che questa disposizione non sia richiamata in ricorso non ne preclude l'esame, dato che si tratta di una semplice questione di qualificazione giuridica. ora, questa disposizione prevede: "Il lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali". Il successivo comma 4 prevede: "Il diritto di precedenza deve essere espressamente richiamato nell'atto scritto di cui all'articolo 19, comma 4, e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro nei casi di cui ai commi 1 e 2, ed entro tre mesi nel caso di cui al comma 3". ora, questa disposizione non fa riferimento al datore di lavoro che esercita attività stagionale, ma al lavoratore che viene assunto per svolgere attività stagionali, e non garantisce la precedenza su qualsiasi futura assunzione, ma su quelle relative alle medesime attività stagionali. Nel caso di specie, invece, il ricorrente ha lavorato senza cesure apprezzabili, con varie forme contrattuali, almeno fra il 9.2.2017 e il 7.1.2019 (e anzi, se non si fosse dimesso avrebbe lavorato sino al 30.4.2019), e non può quindi essere considerato assunto per lo svolgimento di attività stagionali. D'altra parte, il ricorrente, assunto da ultimo per lo svolgimento di attività nel periodo invernale, lamenta che non gli sia stata riconosciuta la precedenza per un'assunzione a tempo indeterminato nel periodo estivo, sicché, quand'anche si potesse concludere che le assunzioni per entrambi i periodi abbiano carattere stagionale, non si tratterebbe comunque delle "medesime" attività stagionali. va osservato anche che il ricorrente non deduce che anche il lavoro invernale abbia carattere stagionale, perché al contrario argomenta espressamente che le esigenze stagionali sorgono fra aprile e ottobre (paragrafo 7 della narrativa), e non riferisce il suo diritto di precedenza al lavoro svolto fra maggio e ottobre, perché precisa di aver esercitato il diritto nel termine di tre mesi dalla cessazione del rapporto con raccomandata del 18 marzo. A tale ultimo proposito, si deve ulteriormente precisare che, laddove i successivi contratti stipulati per un arco di circa due anni dovessero essere intesi come rapporto unitario, a maggior ragione il ricorrente non sarebbe stato assunto per lo svolgimento di attività stagionali. La domanda risarcitoria per violazione del diritto di precedenza si deve quindi ritenere complessivamente infondata. 5. ogni altra domanda risarcitoria, anche riferita alla perdita di chances, non è fondata e si rigetta perché, alla luce delle considerazioni sopra svolte, non si può rinvenire un illecito del datore di lavoro. 6. La peculiarità e novità della vicenda, l'esistenza di obiettive difficoltà nella ricostruzione dei fatti rilevanti e le diverse condizioni delle parti giustificano la compensazione delle spese; pertanto le spese di consulenza gravano definitivamente su entrambe le parti in quote eguali. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni ulteriore istanza disattesa, dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di esecuzione in forma specifica ai sensi dell'art. 2932 c.c., rigetta nel resto il ricorso e compensa le spese di lite, ponendo, nei rapporti interni, le spese di consulenza tecnica a carico di entrambe le parti per quote eguali. Così deciso in La Spezia il 5 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE della SPEZIA Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Gabriele Romano ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2215/2016 promossa da: (...) ed (...) rappresentate e difese dagli Avv.ti (...), come da mandato in calce all'atto di citazione, elettivamente domiciliate presso lo studio del secondo in PIAZZA (...) - LA SPEZIA attrici contro (...) S.R.L. convenuta contumace CONCLUSIONI Come precisate all'udienza del 12 gennaio 2021: per le attrici: "in via principale e nel merito 1 accertare e dichiarare la nullità e/o comunque annullare (anche indipendentemente l'uno dall'altro) i seguenti contratti: - l'atto notaio (...) rep. 171.201 racc. 16733 in data 10.01.2005 relativo alla cessione del seguente terreno posto in zona di espansione residenziale, esteso circa mq. 167 (centosessantasette), confinante con Via (...), particelle (...). Nel N.C.T. del Comune suddetto il bene in oggetto è così censito:- foglio (...), particella (...), seminativo, di mq. 25, RD. Euro 0,06, RA. Euro 0,10;- foglio 15, particella (...), incolt. prod., di mq. 32, RD. Eu-ro 0,01, RA. Euro 0,01; - foglio (...), particella (...), seminativo, di mq. 30, RD. Euro 0,08, RA. Euro 0,12; - foglio (...), particella (...), incolt. prod., di mq. 80, RD. Euro 0,01, RA. Euro 0,01.; - la scrittura privata tra (...) e (...), avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare del 5 dicembre 2003, con ogni consequenziale pronuncia. 2 accertare e dichiarare che l'atto notaio (...) rep. 171.201 racc. 16733 in data 10.01.2005 relativo alla cessione del seguente terreno posto in zona di espansione residenziale, esteso circa mq. 167 (centosessantasette), confinante con Via (...), particelle (...). Nel N.C.T. del Comune suddetto il bene in oggetto è così censito:- foglio (...), particella (...), seminativo, di mq. 25, RD. Euro 0,06, RA. Euro 0,10;- foglio (...), particella (...), incolt. prod., di mq. 32, RD. Eu-ro 0,01, RA. Euro 0,01; - foglio 15, particella (...), seminativo, di mq. 30, RD. Euro 0,08, RA. Euro 0,12; - foglio (...), particella (...), incolt. prod., di mq. 80, RD. Euro 0,01, RA. Euro 0,01. è simulato, sia per quanto attiene all'indicazione di un prezzo quale corrispettivo della cessione, sia per quanto attiene al "tipo" di contratto - vendita anziché permuta - ed alla mancanza dell'impegno alla permuta e conseguentemente dichiararne la nullità e/o l'inefficacia con ogni ulteriore pronuncia. 3) accertare e dichiarare la rescissione ex art. 1448 e seguenti cod. civ. della scrittura privata tra (...) e (...), avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare del 5 dicembre 2003, con ogni consequenziale pronuncia 4) In tutti i precedenti casi condannare la (...) al risarcimento dei danni subiti dal signor (...) e dalle attrici nella misura che verrà accertata in corso di causa; danni che si quantificano in Euro 400.000,00 per i danni patrimoniali ed Euro 50.000,00 per i danni non patrimoniali o cifre veriori arbitrande oltre interessi e rivalutazione. 5) In ogni caso condannare la (...) alla restituzione in favore della signora (...) della somma di Euro 20.800,00= di cui alla fattura (...) n. 2/2005 oltre interessi dalla data della fattura all'effettivo pagamento. Con il favore delle spese di causa, rimborso forfettario IVA CPA comprese". MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 1° luglio 2016 (...) ed (...), in qualità di eredi di (...) (rispettivamente, marito e padre delle attrici), esponevano che il de cuius era unico proprietario di un appezzamento di terreno sito in Vernazza, facente parte di una più ampia area edificabile in proprietà, per la restante parte, di tale (...). In data 5 dicembre 2003 (...) aveva stipulato con (...) e (...) un contratto preliminare con il quale si impegnava a cedere ai promissari acquirenti, o a società da questi nominata, la proprietà del predetto terreno, onde consentire la costruzione di un immobile, ricevendo in cambio la proprietà di un alloggio di circa 28 mq, a fronte del pagamento della somma di euro 30.988,00, come differenza per maggior valore di ricavo dell'unità immobiliare. I promissari acquirenti si impegnavano altresì a rilasciare, all'atto del trasferimento del terreno, una polizza fideiussoria a garanzia della consegna dell'unità immobiliare data in permuta. Senonché, non appena ottenuta l'approvazione del progetto, i promissari acquirenti chiedevano che il trasferimento del terreno venisse effettuato a favore della (...) a fronte del pagamento di una somma di denaro anziché mediante la prevista permuta. Veniva quindi redatto rogito di compravendita con cui (...) acquistava il terreno previo pagamento della somma di euro 23.546,00, importo quietanzato ma che in realtà non veniva corrisposto al de cuius. Nell'atto di compravendita non veniva richiamato l'obbligo di (...) di trasferire l'alloggio al (...), né rilasciata la promessa fideiussione. (...) otteneva così la cessione del terreno senza alcuna contropartita e senza nemmeno fornire la garanzia della permuta dell'unità immobiliare prevista nel preliminare. Inoltre, contemporaneamente alla stipulazione del rogito (...), moglie del (...), versava alla (...) un acconto di euro 20.000,00 oltre IVA su prezzo della futura cessione dell'alloggio. Tanto premesso, le attrici evidenziavano come l'acquisizione gratuita del terreno da parte della (...) fosse avvenuta senza difficoltà a causa delle menomate condizioni psichiche di (...), affetto da svariate patologie che ne compromettevano la capacità di agire. Esponevano quindi che la (...), concluso l'edificio già nell'anno 2011, non aveva provveduto al trasferimento dell'alloggio promesso, sino a quando, nell'estate del 2015, allorquando le condizioni economiche e di salute del de cuius erano notevolmente peggiorate, aveva fatto sottoscrivere a quest'ultimo una scrittura privata con la quale le parti risolvevano consensualmente il preliminare del 5 dicembre 2013, con rinuncia a qualsiasi pretesa del (...) sul terreno ceduto e sull'alloggio promesso in permuta, a fronte del pagamento della somma complessiva di euro 30.000, palesemente sproporzionata rispetto al valore dell'immobile. Evidenziato il notevole peggioramento delle condizioni economiche del de cuius nell'ultimo decennio ed il precario stato di salute psicofisica dello stesso, le attrici deducevano la nullità dell'atto di trasferimento dei terreni e della scrittura privata di risoluzione del preliminare, siccome frutto di circonvenzione ai danni dell'incapace, con i conseguenti effetti restitutori e risarcitori, per la perdita subita dal patrimonio del disponente e per i danni morali arrecati. Inoltre, la conclusione degli atti in stato di incapacità naturale di intendere e volere determinava l'annullabilità dei ridetti negozi. Ancora, deducevano come l'atto pubblico di trasferimento del terreno risultasse simulato, sia per quanto attiene all'indicazione di un prezzo quale corrispettivo della cessione, sia per quanto attiene al tipo di contratto (vendita anziché permuta), con conseguente nullità o inefficacia del rogito. Infine, le attrici intendevano far valere la rescissione della scrittura privata di risoluzione del preliminare per lesione ultra dimidium ex art. 1448 c.c., stante l'approfittamento di uno stato di bisogno da parte della convenuta e la notevole sproporzione tra le prestazioni. Da ultimo, (...) protestava la ripetibilità dell'acconto di euro 20.800,00 corrisposto a (...), indebito ex art. 2033 c.c.. Le attrici concludevano quindi per la declaratoria di nullità e/o annullamento del rogito di vendita del terreno e della scrittura privata di risoluzione del preliminare, ovvero per la simulazione del primo e la rescissione della seconda, in ogni caso con condanna della convenuta al risarcimento dei danni ed alla restituzione dell'acconto versato. (...) s.r.l., ritualmente intimata, non si costituiva in giudizio e veniva dichiarata contumace. Ciò posto, vanno in primo luogo ordinate le diverse domande proposte da parte attrice, la quale, in atto di citazione e nella successiva memoria ex art. 183 n. 1 c.p.c., ha rassegnato conclusioni contenenti domande incompatibili tra loro (nullità, annullamento, simulazione e rescissione, oltre al risarcimento del danno), senza indicare quali fossero proposte in via principale e quali in via subordinata. Dal tenore delle difese attoree, parrebbe potersi ritenere quale domanda principale quella volta alla declaratoria di nullità del contratto di vendita del terreno e della scrittura privata di risoluzione del preliminare, con richiesta subordinata di annullamento dei predetti atti per incapacità del de cuius. In ulteriore subordine, viene dedotta la simulazione dell'atto di compravendita e chiesta la rescissione per lesione della scrittura di risoluzione del preliminare. La domanda risarcitoria è stata espressamente proposta con riferimento a "tutti i precedenti casi". Tanto premesso in ordine alla graduazione delle conclusioni attoree e muovendo dall'esame della domanda di nullità, si osserva come la stessa sia stata proposta deducendo, in atto di citazione, una fattispecie di circonvenzione di incapace posta in essere ai danni del de cuius (...). Successivamente, in comparsa conclusionale, le attrici hanno allegato un'ulteriore causa di nullità per violazione dell'art. 2 D.Lgs. 122/2005, stante la mancata concessione della promessa fideiussione. La domanda non può trovare accoglimento, non risultando integrate le cause di nullità dedotte sotto entrambi i profili suindicati. Quanto alla pretesa circonvenzione del de cuius, il parallelo procedimento penale in cui i titolari della (...) sono stati indagati per il reato di cui all'art. 643 c.p. si è concluso con decreto di archiviazione del GIP, su concorde richiesta del PM, non risultando provata una frequenza di contatti tra gli indagati ed il (...) tali da consentire di sostenere la consapevolezza da parte dei primi delle condizioni di circonvenibilità del secondo. La documentazione raccolta nel corso del procedimento penale è stata acquisita al precedente giudizio e, dall'esame della stessa, non si ritiene di poter pervenire a conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal giudice penale. Ed invero, benché le attrici sostengano che il (...) fosse incapace e circonvenibile sin dall'anno 2003, è pacifico che il contratto preliminare del 12 dicembre 2003 era stato stipulato con l'incondizionata approvazione del de cuius, il quale aveva scientemente manifestato la propria intenzione di cedere il terreno in cambio di un appartamento. Quanto alla stipula del contratto di vendita, è vero che nel rogito del 10.1.2005, contrariamente a quanto pattuito in sede di preliminare, il terreno era stato alienato a fronte di un prezzo indicato come incassato dal promittente venditore, senza ulteriori richiami all'obbligo di procedere al successivo ritrasferimento dell'alloggio da parte della società acquirente. Nondimeno, è altrettanto vero che, come dichiarato da entrambe le odierne attrici nel corso del procedimento penale, (...) "ha sempre mantenuto l'aspettativa di vedersi rilasciare l'alloggio in permuta, anche dopo l'atto notarile del 2005 che gli era stato spiegato come un adempimento burocratico che non cambiava la sostanza dell'accordo di cui al preliminare " (v. verbale s.i.t. di (...); analoghe dichiarazioni sono state rese da (...)). Non può pertanto ritenersi provato che la stipula dei predetti atti costituisse frutto di una circonvenzione posta in essere ai danni di (...). Quanto poi alla scrittura privata di rinuncia, è ben vero che dalla documentazione acquisita agli atti può evincersi come la stessa fosse stata svantaggiosa per il de cuius, determinatosi alla relativa stipula in considerazione delle difficoltà economiche nelle quali si trovava a quel tempo (con le conseguenze che verranno in seguito esaminate); tuttavia, le stesse ragioni allegate dalle attrici (induzione alla sottoscrizione della scrittura facendo leva sul cosciente e fondato timore del de cuius circa le proprie condizioni economiche) inducono ad escludere la sussistenza di un'ipotesi di circonvenzione, condividendosi sul punto i rilievi già svolti dal GIP nel decreto di archiviazione. Né appare integrata la fattispecie di nullità comminata dall'art. 2 D.Lgs. 122/2005. La disposizione in questione, infatti, prescrive il rilascio all'acquirente di fideiussione a pena di nullità "All'atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità ", laddove nel caso di specie con il contratto impugnato da parte attrice è stata solamente trasferita la proprietà di un terreno, mentre il trasferimento dell'immobile da costruire, oggetto della pattuita permuta, sarebbe dovuto avvenire con un separato e successivo atto. Conseguentemente, il pur pacifico inadempimento del promissario acquirente al rilascio della fideiussione all'atto della cessione del terreno non inficia la validità di quest'ultimo atto. Parimenti, vanno respinte le domande di annullamento degli atti impugnati per pretesa incapacità di intendere e volere del de cuius. Dalla perizia medico legale svolta nel corso del procedimento penale ed acquisita agli atti del presente giudizio emerge come "il sig. (...), dal 1990 e sino all'exitus, fosse portatore di un quadro di depressione ansiosa cronica. Nel 2003, il descritto quadro psicopatologico configurava uno stato di deficienza psichica tale da compromettere le facoltà critiche e volitive e da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione. Tale condizione era di facile riconoscibilità da parte di terze persone, ma solo se a stretto ed abituale contatto con l'uomo". Non ci troviamo quindi in presenza di un soggetto che versava al momento della stipula degli atti in condizione di incapacità naturale (ciò che determinerebbe l'annullabilità degli atti medesimi), bensì di una persona depressa, fragile e potenzialmente circonvenibile da parte di chi si trovasse a suo stretto ed abituale contatto, ma pur sempre capace di intendere e volere e dunque in grado di compiere validi negozi. A conferma di ciò, si consideri che nel periodo preso in esame dal CTU (dal 2003 in avanti) il de cuius, come visto, aveva stipulato un contratto preliminare del quale era pacificamente consapevole e che approvava, nonché un contratto di vendita che, pur in assenza di contestuale permuta dell'immobile, gli era stato prospettato come passaggio necessario per il completamento dell'iter negoziale pattuito nel preliminare, tanto che (...) - come riconosciuto da entrambe le odierne attrici nelle s.i.t. in atti - faceva pur sempre affidamento sulla possibilità di vedersi successivamente rilasciare l'alloggio promesso in permuta. Sotto altro profilo, l'esame congiunto dei contratti intercorsi nel tempo tra il de cuius e la convenuta conduce al rigetto anche della domanda di simulazione del contratto di vendita del 10.1.2005. A tale proposito, le attrici sostengono che l'atto pubblico di trasferimento del terreno sarebbe simulato, sia per quanto attiene all'indicazione di un prezzo quale corrispettivo della cessione, sia per quanto attiene al tipo di contratto (vendita anziché permuta) ed alla mancanza dell'impegno alla permuta. Tali assunti non possono essere condivisi. Con la simulazione relativa le parti vogliono porre in essere un atto reale, nascondendolo sotto le diverse e fittizie apparenze di un atto diverso, palese ma meramente illusorio, e rivolto a nascondere l'atto vero (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8098 del 06/04/2006). Nella presente fattispecie si è visto che, con contratto preliminare del 5.12.2003 (all. 3 att.), il promittente venditore si impegnava a trasferire la proprietà di un terreno, in corrispettivo del quale la promissaria acquirente si impegnava a permutare un alloggio facente parte dell'immobile che sarebbe stato costruito su quel terreno, a fronte del pagamento di una somma da parte del (...) quale differenza per maggior valore di ricavo. In ipotesi di preliminare di permuta, la prassi conosce distinte figure per la realizzazione dell'operazione economica unitaria pattuita, che può concludersi con la stipulazione di un unico atto negoziale, così come concretarsi nella stipulazione di plurimi e successivi atti tra loro collegati. Ciò posto, dall'esame della documentazione in atti si evince come nella specie le parti avessero inteso addivenire alla stipulazione di due negozi giuridici autonomi, ossia un primo atto di vendita del terreno dall'originario proprietario al costruttore (ciò che è avvenuto con il rogito del 10.1.2005), seguito dalla successiva retrovendita dell'alloggio dal costruttore all'originario proprietario (atto che invece non risulta essere stato stipulato). In tal senso, a conferma del fatto che le parti (compresa la società promittente) intendessero proseguire nell'iter negoziale avviato per il completamento del complessivo assetto tratteggiato con il contratto preliminare, si consideri che, alla stessa data dell'atto di vendita del terreno (10.1.2005), (...) ha rilasciato a (...) fattura quietanzata per il pagamento della somma di euro 20.800,00, quale acconto sulla differenza di prezzo pattuita in preliminare per la successiva cessione dell'alloggio "sito al piano terra di mq 30 circa nel fabbricato di nuova costruzione in Vernazza" (v. all. 5 att.). Inoltre, il fatto stesso che in data 15 luglio 2015 si fosse addivenuti ad una risoluzione consensuale del preliminare conferma che, almeno sino a quel momento, le parti fossero consapevoli della persistente validità del ridetto contratto; diversamente, non vi sarebbe stato motivo alcuno di sottoscrivere una scrittura privata con la quale stabilire che il preliminare non avrebbe avuto più alcun effetto, rinunciando il (...) al trasferimento dell'immobile edificato a fronte del pagamento di una somma di denaro. D'altronde, come evidenziato dal PM nella richiesta di archiviazione del procedimento penale, analogo trattamento negoziale era stato riservato anche all'altro venditore del terreno sul quale sarebbe stato costruito il compendio immobiliare: "il complesso degli atti negoziali posti in essere dalle parti non presenta anomalie, atteso che le trattative per l'acquisto del terreno in proprietà del sig. (...) si sono svolte parallelamente a quelle per l'acquisto del terreno confinante e in proprietà di (...), cugino del defunto, per il quale sono state riservate analoghe condizioni contrattuali. Risulta che l'edificio promesso dalla (...) sia stato realizzato compiutamente, comprensivo delle unità immobiliari destinate ai cugini (...) e che, come da dichiarazioni del 5.5.2018 dello stesso (...), il predetto abbia ottenuto il possesso dell'unità immobiliare a lui spettante già nel 2012/2013 ... diventandone proprietario con atto notarile dell'agosto 2017, mentre il cugino Sergio non si mostrava intraprendente né interessato". Qualificato quindi il rogito del 10.1.2005 quale prima vendita in esecuzione del progressivo iter finalizzato al completamento del disegno inizialmente pattuito, non rileva se il corrispettivo ivi indicato fosse stato effettivamente pagato al de cuius (circostanza negata dalle attrici), ovvero se lo stesso - come sostenuto dalla difesa dell'indagato (...) nel procedimento penale - fosse stato "pagato da (...) s.r.l. proprio con il rilascio della fattura quietanzata. Siccome il sig. (...) avrebbe comunque dovuto pagare un conguaglio di Euro 30.988,00 per il trasferimento del costruendo appartamento, le parti hanno deciso di portare in compensazione le rispettive posizioni di debito/credito" (v. memoria ex art. 121 c.p.p. dell'11.1.2018). Né rileva la mancata indicazione dell'impegno alla permuta, stante la persistente validità del contratto preliminare con il quale la parti avevano pattuito l'obbligazione in questione. Il contratto di vendita del 10.1.2005 si sottrae quindi alle censure avanzate da parte attrice, non potendosi ravvisare la dedotta simulazione relativa. In particolare, non è emersa la prova che le parti intendessero concludere un atto diverso, nascosto sotto le fittizie apparenza della vendita del terreno. Al contrario, risulta effettivamente posto in essere il trasferimento del terreno di cui al rogito, quale primo atto di una fattispecie negoziale complessa, che avrebbe dovuto compiersi con il ritrasferimento dell'alloggio in costruzione in favore del de cuius. Dal mancato accoglimento delle domande di nullità, annullamento e simulazione del contratto di vendita del terreno discende altresì il rigetto delle domande risarcitorie formulate da parte attrice, siccome volte al ristoro dei pretesi danni derivanti dall'impossibilità di restituzione del terreno nella sua forma e consistenza originaria. La riconosciuta validità del contratto di compravendita esclude infatti la retrocessione della proprietà del terreno a parte attrice. Né emerge la prova di danni morali patiti dal de cuius, eziologicamente ricondotti dalle attrici ad una fattispecie di reato di circonvenzione d'incapace la cui sussistenza è stata esclusa. Risulta invece fondata l'ultima domanda attorea, volta a far valere la rescissione per lesione ultra dimidium della scrittura privata di risoluzione del contratto preliminare. Per costante giurisprudenza, l'azione generale di rescissione per lesione richiede la simultanea esistenza di tre requisiti: l'eccedenza "ultra dimidium" della prestazione rispetto alla controprestazione, lo stato di bisogno del contraente danneggiato e l'approfittamento di esso da parte dell'altro contraente. Lo stato di bisogno, pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità, non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione a contrarre, nel senso che le momentanee criticità economiche devono costituire il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni (in questi termini Cass., Sez. 2, Sentenza n. 15338 del 12/06/2018). L'approfittamento dello stato di bisogno consiste nella consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali derivante dallo stato di bisogno altrui di cui ha parimenti conoscenza, non essendo a tal fine sufficiente uno squilibrio solo ipotizzato da parte del contraente in posizione di vantaggio (v. Cass., Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 1651 del 28/01/2015). Nel caso di specie, dalla documentazione in atti emerge la sussistenza di tutti i requisiti necessari all'accoglimento della domanda attorea. Anzitutto, le attrici hanno provato che il de cuius, negli anni 2004/2005, aveva una giacenza media sul conto corrente oscillante tra 30.000 e 40.000 euro (v. all. 10), nonché la piena proprietà di un fabbricato adibito a garage/deposito nel centro di Vernazza; tale immobile era poi andato distrutto nell'alluvione verificatasi alla fine dell'anno 2011 (v. all. 11 e s.i.t. di (...)), senza possibilità di provvedere alla ricostruzione dello stesso, siccome situato su terreno vincolato a rischio idrogeologico; quanto alle disponibilità liquide, le stesse si erano assottigliate in conseguenza del pagamento degli studi universitari della figlia, nonché a seguito di una sanzione da euro 15.495,10 comminata dall'Agenzia delle Entrate e rateizzata a far data da maggio 2015 (v. all. 12), tanto da costringere il (...) ad accedere ad un finanziamento per euro 21.600,00, con cessione del quinto della pensione (v. all. 13). Parimenti provata risulta l'incisione di tale stato di bisogno sulla libera determinazione a contrarre, evincendosi dagli atti del procedimento penale che le difficoltà economiche della parte erano state determinanti nell'indurre il (...) ad accettare le sconvenienti condizioni offerte per la risoluzione del contratto preliminare. Anche a voler prescindere dalle concordi dichiarazioni rilasciate sul punto dalle odierne attrici, la circostanza emerge dalle s.i.t. rese da (...) ("ho saputo da (...) di recente ... che mio cugino (...) aveva ricevuto dei soldi per rinunciare all'appartamento; io rimasi stupito e quando gli chiesi come mai aveva fatto una scelta simile, (...), con il quale avevo più confidenza rispetto a (...), mi disse che Sergio era in difficoltà economiche "). Quanto al requisito dell'approfittamento dello stato di bisogno, dalle richiamate dichiarazioni di (...) emerge che la società convenuta era a conoscenza delle difficoltà economiche del de cuius (il (...) cui si fa riferimento nelle suindicate s.i.t. era socio della (...)), mentre la conoscenza dello squilibrio tra le prestazioni può ritenersi presuntivamente provata, considerato l'oggetto sociale della convenuta, che si occupa di costruzione e vendita di immobili e che, dunque, non poteva non sapere che l'alloggio al quale (...) stava rinunciando aveva un valore enormemente superiore rispetto all'importo di euro 30.000,00 corrisposto per addivenire alla risoluzione del preliminare. Infine, risulta integrata anche la lesione ultra dimidium richiesta dall'art. 1448 c.c., stante l'entità della sproporzione tra il valore dell'immobile al quale il de cuius stava rinunciando (pari ad euro 165.000, come stimato dal perito incaricato nel procedimento penale) ed il valore della controprestazione offerta dall'odierna convenuta (pari all'incirca ad euro 60.000, risultanti dalla sommatoria tra il saldo che il (...) avrebbe dovuto corrispondere all'atto della permuta e l'importo riconosciuto allo stesso al momento della risoluzione del preliminare). L'accoglimento della domanda di rescissione determina la reviviscenza del contratto preliminare del 5 dicembre 2003. Ne consegue il rigetto della domanda di ripetizione in favore di (...) dell'acconto di euro 20.800,00 di cui alla quietanza del 10.1.2005, trattandosi di importo corrisposto in adempimento di quanto stabilito dal redivivo preliminare. Nulla può infine disporsi in questa sede con riferimento all'obbligazione (inadempiuta da parte di (...)) di procedere alla permuta dell'alloggio promesso in favore del dante causa delle odierne attrici, non avendo le stesse formulato alcuna domanda relativa all'adempimento del ridetto preliminare. L'accoglimento parziale delle domande attoree giustifica la non ripetibilità per metà delle spese di lite. La frazione residua segue la soccombenza delle convenuta sulla domanda di rescissione ed è liquidata come da dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della causa, con diminuzione di giustizia dei parametri medi di cui al DM n. 55/2014, stante la mancata resistenza in giudizio della società. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando: - dichiara rescissa per lesione ultra dimidium la scrittura privata, priva di data, con la quale le parti hanno convenuto di risolvere consensualmente il contratto preliminare del 5 dicembre 2003; - rigetta le ulteriori domande di parte attrice; - dichiara le spese di lite non ripetibili per la metà, con condanna della convenuta a rifondere le attrici in solido della frazione residua, che liquida in euro 620,50 per esborsi ed euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. La Spezia, 1 luglio 2021. Depositata in Cancelleria il 2 luglio 2021.

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