Sentenze recenti Tribunale Lanciano

Ricerca semantica

Risultati di ricerca:

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale, in persona del Giudice On. Avv. Cesare D'Annunzio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 619/2020 R.G., promossa da: (...) (C.F. n. (...)) nata a San Salvo (CH) il (...), residente in Treglio (CH) C.da (...) elettivamente domiciliata in Lanciano (CH) alla via (...) presso lo studio dell'avv. (...) (C.F.: (...)). ATTORE contro (...) SRL (C.F. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Milano (alla (...), rappresentata e di fesa, congiuntamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti (...) con studio in La Spezia (SP) alla (...), con domicilio eletto in VIA (...) 19125 LA SPEZIA CONVENUTO OGGETTO: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario) CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. CONCLUSIONI DELLA PARTE ATTRICE Voglia l'On.Ie Tribunale adito, contrariis reiectis: 1) - in via preliminare: si eccepisce l'improcedibilità del presente giudizio per violazione dell'articolo 5, comma 1 bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28; 2) - in via principale e nel merito: in accoglimento della presente opposizione, accertare e dichiarare, senza alcun inversione dell'onere della prova e previa ogni necessaria declaratoria di nullità, l'insussistenza e/o l'infondatezza e/o l'inesigibilità del credito ex adverso azionato ovvero, in via subordinata, ridurne sensibilmente l'ammontare, per le ragioni tutte esposte in narrativa e per l'effetto e in ogni caso annullare e/o revocare il decreto ingiuntivo opposto n. 112/2020 D.I., iscritto al n. 228/2020 R.G. emesso dal Tribunale di Lanciano in data 02.03.2020. 3) - in ogni caso con vittoria di spese e compenso professionale oltre agli oneri accessori come per legge CONCLUSIONI DELLA PARTE CONVENUTA In via preliminare, di rito, concedere il termine di legge per l'esperimento preventivo del tentativo di mediazione; In via preliminare, nel merito, concedere la provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto ingiuntivo n. 112 2020, R.G. n. 228 2020, del 02.03.2020 emesso dal Tribunale di Lanciano, stante la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 648 C.p.c. In via principale, nel merito, rigettare l'opposizione proposta e tutte le domande in essa formulate, perché infondate in fatto ed in diritto, per i motivi tutti indicati in narrativa e, per l'effetto, confermare il decreto ingiuntivo n. 112 2020, R.G. n. 228 2020, del 02.03.2020 emesso dal Tribunale di Lanciano. In via subordinata, nel merito, condannare, in ogni caso, la Sig.ra (...) al pagamento in favore della società (...) S.r.l. della diversa, maggiore o minore somma che risulterà all'esito dell'espletanda attività istruttoria. In ogni caso con vittoria di spese e compensi, oltre Iva e Cpa, nonché successive occorrende. MOTIVI DELLA DECISIONE FATTO Con decreto ingiuntivo telematico, n. 112/2020 emesso dal Tribunale di Lanciano in data 02 marzo 2020 e pubblicato in pari data nel procedimento recante il n. 228/2020R.G., notificato mediante servizio postale in data 11 giugno 2020, veniva ingiunto alla sig.ra (...) il pagamento, in favore della (...) Srl (...), della somma di euro 19.699,61, oltre interessi come da domanda, e spese della procedura monitoria liquidate in euro 540,00 per onorari ed euro 145,50 per esborsi oltre accessori come per legge. La sig.ra (...) ha proposto opposizione sostenendo il difetto di prova circa la sussistenza del credito, la nullità della clausola di determinazione degli interessi e delle penali, chiedendone riduzione ex art. 1284 e la violazione del divieto di anatocismo. Ha inoltre eccepito il difetto di condizione di procedibilità per mancato esperimento della mediazione. La convenuta si è costituita chiedendo termine per esperire la mediazione e nel merito contestando l'avversa domanda. Dopo la pronuncia sulla concessione della provvisoria esecutorietà le parti sono state rimesse dinanzi all'ufficio di mediazione per l'avvio della procedura obbligatoria; successivamente alla parte convenuta, onerata, è stato chiesto di provare l'avvio tempestivo della procedura, assegnando termine di giorni venti per il deposito dell'istanza di avvio e riservando ordinanza. L'opposta, nel termine, ha prodotto l'istanza di avvio della mediazione datata 25/01/2021, da cui tuttavia non era possibile evincere la data di presentazione all'organismo, quindi li giudizio è stato rinviato per la verifica di questo incombente all'udienza del 06/12/2021. Neppure in tale udienza è stata prodotta prova del tempestivo invio, quindi la causa è stata rinviata per precisazione delle conclusioni all'udienza del 04/07/2022. Questa udienza si è tenuta mediante trattazione scritta, ed al suo esito il giudizio è stato trattenuto in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO In primo luogo va rilevato che l'eccezione di difetto di procedibilità per mancato avvio della procedura di mediazione è stata sollevata nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, quindi in un momento in cui la sussistenza di tale condizione di procedibilità non è richiesta. L'art. 5 del DL 28/2010 è chiaro nello stabilire al comma 4 lett. a) che i commi 1 bis e 2 (che prevedono la mediazione come condizione di procedibilità) non si applicano nel procedimento per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Quindi questa statuizione fissa in epoca successiva all'emanazione dei provvedimenti ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c. il momento in cui insorgerà l'esigenza di concretizzare la condizione di procedibilità. Ciò posto, l'eccezione assume rilievo in quanto reiterata dopo la concessione della provvisoria esecutorietà. Al riguardo va rilevato che l'opponente indica il termine di 15 giorni per l'avvio della mediazione come perentorio, ma tale perentorietà non è prevista da alcuna norma. La parte onerata dell'avvio, comunque, non ha fornito la prova dell'avvio tempestivo entro l'udienza a tanto prefissa. Solo con le note di trattazione per l'udienza di precisazione delle conclusioni l'opposta ha allegato un documento in formato pdf riproducente il testo di una p.e.c. con cui risulta l'invio di molteplici istanze di avvio della mediazione, di cui due intestate a (...). L'ordinanza che aveva disposto l'avvio della mediazione è datata 18 gennaio 2021 e risulta comunicata il 22 gennaio 2021 ai difensori dell'opposta. Quindi stando alle risultanze del menzionato documento l'istanza, depositata il 27/01/2021 sarebbe tempestiva. Tale produzione tuttavia non è utilizzabile ai fini della presente decisione, perché tardiva, posto che il giudizio va deciso allo stato degli atti esistente al momento di fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, e la parte interessata non ha motivato alcuna ragione del ritardo né ha chiesto rimessione in termini. Si ritiene quindi decisivo ai fini del presente giudizio l'orientamento stabilito da Cass 40035/2021 secondo cui ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione. Al riguardo, va rilevato che seppure parte opposta, riportandosi alla comunicazione del 31/05/21 dell'organismo (...) (allegata alle note di trattazione scritta per l'udienza del 07/06/2021) che fissava al 5/7/21 l'incontro in mediazione, con ciò deduceva la causa a sé non imputabile, non risulta avere dato ulteriore seguito all'istanza neppure nelle more del successivo rinvio disposto fino al 06/12/2021 in modo da rendere possibile lo svolgimento della procedura entro tale data. Ne consegue che va dichiarata l'improcedibilità della domanda e revocato il decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate secondo la tabella allegata al DM147/2022 per le fasi studio Euro 919 - introduttiva Euro 777 e decisionale Euro 1700, ridotte del 50% per ammissione della parte opponente al patrocinio a spese dello Stato, in cui favore andrà eseguito il pagamento. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara l'improcedibilità della domanda d'ingiunzione - revoca il decreto ingiuntivo opposto, n. 112 2020, R.G. n. 228 2020, del 02.03.2020 emesso dal Tribunale di Lanciano già provvisoriamente esecutivo; - Condanna (...) SRL a al pagamento delle spese di lite nell'ammontare di Euro 1.698,00 per compensi (così ridotto ex art. 130 DPR 115/2022, oltre 15 % per spese generali, oltre CPA ed IVA e ne dispone il pagamento in favore dello Stato. Sentenza provvisoriamente esecutiva Lanciano, 15 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale, in persona del Giudice On. Avv. Cesare D'Annunzio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 55/2019 R.G., promossa da: (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. (...), con domicilio eletto in Via (...) 65127 PESCARA ITALIA presso il difensore. ATTORE contro IN PERSONA AMMINISTRATORE PRO TEMPORE "(...)" (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. (...), con domicilio eletto in VIA (...)- 66034 LANCIANO CONVENUTO OGGETTO: Comunione e Condominio, impugnazione di delibera assembleare - spese condom. CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. CONCLUSIONI DELLA PARTE ATTRICE dichiarare la totale inesistenza e/o totale nullità delle delibere assunte dal Condominio (...) in Lanciano (CH), nelle date del 07.08.2017, 04.10.2017 e 26.04.2018 per mancanza dei loro requisiti essenziali nonché per contrarietà a disposizioni inderogabili di legge ovvero agli artt. 1136 c.c. 1139 c.c. e 1105 c.c. con conseguente loro integrale inefficacia; - in subordine dichiarare nulle le delibere assunte dal Condominio (...) nelle date del 07/08/2017, 04/10/2017, 26/04/2017 nella parte relativa alla approvazione delle spese per lavori non urgenti né necessari e ciò per contrarietà al disposto dell'art. 1139 c.c. e dichiarare quindi non dovute dalla Sig.ra Altobelli le somme in esse deliberate con rigetto delle domande avverse, e vinte le onerosità tutte della lite. CONCLUSIONI DELLA PARTE CONVENUTA -IN VIA PRELIMINARE: dichiarare il difetto di procedibilità della domanda e/o l'inammissibilità della stessa e/o il difetto di legittimazione attiva dell'attrice per essere venuta meno la qualità di condomino a seguito di vendita dell'immobile nella procedura esecutiva 38/17 PEI Tribunale di Lanciano ed estinzione della relativa PEI; - NEL MERITO" A- confermare la validità delle delibere impugnate e, valutate le domande come richieste di annullamento, rigettare le domande dell'attrice sia in via principale che subordinata, in quanto simulate al fine di recuperare crediti oggetto di precedenti azioni giudiziarie e decreti ingiuntivi definiti con provvedimenti passati in giudicato o delibere condominiali mai impugnate nei termini, sia ove qualificate come istanze di annullamento per decorso dei relativi termini perentori di impugnazione, che quali declaratorie di nullità. In ogni caso con rigetto delle domande in quanto infondate e destituite di prova e di qualsiasi giuridico fondamento, decadute per decorso dei termini di legge volte all'impugnazione delle delibere e/o del relativo decreto ingiuntivo, e comunque in ogni caso in quanto le delibere assunte nel rispetto dei requisiti di legge e di giurisprudenza ed a seguito della urgenza ed indifferibilità dei lavori svolti e relativa autorizzazione all'esecuzione dei medesimi da parte dell'attrice. Con condanna dell'attrice (...) al pagamento delle spese di lite, oltre S.G., CAP e IVA e con sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge e distrazione a favore dello scrivente procuratore antistatario". MOTIVI DELLA DECISIONE FATTO L'attrice (...), in qualità di proprietaria di immobili siti in Lanciano alla (...), contraddistinti dagli interni 0126, 02-27. 03-28., 04-29, 05-30, ed individuati in catasto al fg (...) p.lla (...) sub (...), consistenti in 5 unità uso ufficio, ha impugnato le delibere condominiali assunte in data 07.08.17, 04.10.17 e 26.04.18, ritenendo le stesse viziate da nullità perché assunte dall'unico altro condominio (...) Srl, titolare di tutte le restanti unità immobiliari dell'edificio, per complessivi 801,61 millesimi; il convenuto condominio si è costituito contestando la domanda e chiedendone il rigetto, ed ha sostenuto il difetto di legittimazione attiva dell'attrice all'impugnazione, a seguito della nomina del custode dei beni immobili pignorati all'attrice nell'esecuzione immobiliare 38/18 del Tribunale di Lanciano; la decadenza dell'attrice dal termine per impugnare le delibere non affette da nullità; la previa assunzione di obblighi manutentivi, e l'autorizzazione alla costituzione del condominio e stesure del regolamento da parte della attrice; la sopravvenuta definitività del decreto ingiuntivo emesso sulla base delle delibere impugnate; la regolarità dell'operato anche in relazione alla configurabilità del condominio minimo; la determinatezza degli ordini del giorno discussi nelle delibere; la sussistenza di molteplici vicende processuali tra le parti. Nel corso del giudizio, in cui le parti hanno pure formulato richieste di rinvio per tentativi di composizione, sono state emesse ordinanze di rinvio al merito delle eccezioni di difetto di legittimazione, e di rigetto dell'istanza di interruzione del giudizio, avanzata dal convenuto, a seguito del decreto di trasferimento degli immobili pignorati; con la medesima ordinanza sono state rigettate le richieste di prova orale formulate dal convenuto, ed il giudizio, ritenuto istruito in base ai documenti allegati, è stato rinviato per la precisazione delle conclusioni del 7.2.21, tenuta in forma di trattazione scritta, ed in quella sede trattenuto in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. DIRITTO L'eccepito difetto di legittimazione attiva dell'attrice non sussiste; il diritto di impugnare le delibere condominiali sussiste in capo al condomino, quindi alla data di proposizione dell'odierna domanda persiste in capo all'odierna attrice, non incidendo al riguardo l'intervenuto pignoramento immobiliare e la conseguente nomina del custode giudiziale, al quale viene affidata l'amministrazione e la gestione del bene pignorato cui provvede previa autorizzazione del G.E. (art. 560 uc cpc) individuata in termini strettamente conservativi. Secondo cass. Sez. VI 21.3.2013 n. 7242, il debitore esecutato, malgrado l'incardinamento dell'esecuzione immobiliare in suo danno rimane proprietario esclusivo dell'immobile fino all'emissione del decreto di trasferimento; ne discende che sul medesimo continuano a gravare oneri reali e personali anche di natura fiscale e condominiale, e che il custode non può ritenersi possessore dell'immobile, ma solo detentore qualificato (cass. 12877/2016). Il custode, nell'esercizio dei suoi poteri di vigilanza, può chiedere all'amministratore del condominio l'invio in copia delle convocazioni di assemblea con i relativi allegati, ma a ciò non corrisponde la traslazione in suo favore delle prerogative del condomino inerenti le delibere e le relativa facoltà d'impugnazione. Del pari ininfluente ai fini dell'interruzione richiesta dalla parte convenuta è l'intervenuto decreto di trasferimento dell'immobile pignorato, peri motivi già illustrati nell'ordinanza del 6.7.20, fermo restando che ai fini del rilievo nel giudizio degli eventi interruttivi di cui all'art. 300 cpc, la dichiarazione deve provenire dal procuratore della parte interessata dall'evento. Nel merito, le parti hanno diffusamente ripercorso le vicende e dagli atti difensivi traspare un'accentuata e risalente conflittualità, che però non deve distogliere l'attenzione del giudicante dagli elementi centrali della vicenda, che sostanzialmente si riconduce a stabilire se il condominio abbia o meno operato correttamente nel pervenire alle delibere assembleari impugnate dall'attrice. La risposta a questo quesito, che assorbe tutti gli altri, è negativa: le delibere sono nulle. Non rilevano, ai fini di una statuizione di senso contrario, i richiami a precedenti assunzioni d'impegno alla spesa o autorizzazioni a redigere il regolamento condominiale, o sua accettazione, perché da nessuno di questi atti richiamati dal convenuto si evince che la Altobelli abbia assunto l'impegno di spesa ratificato dal (...) nelle assemblee. Neppure è questa la sede per definire il carattere dell'urgenza dei lavori, perché questi non si evincono dall'ordine del giorno né dagli allegati alle convocazioni, e perché il sindacato odierno non si può estendere alle valutazioni sull'opportunità delle statuizioni dell'assemblea, ma solo alla verifica del rispetto della norme preposte a regolare la formazione della volontà assembleare, anche in relazione all'oggetto delle medesime, fermo restando che quand'anche esistesse nel caso di specie questo connotato d'urgenza, la modalità di ratifica mediante la delibera assembleare secondo le modalità prescelte non è idonea allo scopo. Non v'è dubbio che il convenuto abbia formalmente rispettato le modalità di convocazione delle assemblee, inviando le convocazioni e comunicando le delibere successive, tuttavia il mero rispetto di queste formalità o l'acritico richiamo della normativa non può nel caso di specie attribuire all'operato del condominio il carattere della legittimità sostanziale, impedito dalla circostanza che il condominio, all'epoca delle delibere, fosse costituito unicamente da due persone. La SC ha già assunto al vaglio situazioni speculari alla presente, in relazioni alle quali le sezioni unite ritengono che la disciplina codicistica riferita al condominio di edifici va applicata anche in relazione condominio c.d. "minimo", cioè composto da due soli partecipanti, ciò sia con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l'impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell'assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all'unanimità, quanto, "a fortiori", con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562; v. anche Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 5288 del 03/04/2012). Altra e più recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale, ma quelle relative all'amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (v.Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000 - 01 con riferimento all'ipotesi di mancanza di accordo tra le parti). Da tali principi discende che le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea si applicano al condominio minimo allorché l'assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, derivante dalla partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (A parte la forzatura terminologica, è logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi unanime). In tali sensi depone la pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente afferma: "nessuna norma impedisce che l'assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all'unanimità decida validamente". Ove però non si raggiunga l'unanimità, in tali termini riferita, la maggioranza non può formarsi in concreto e quindi diventa necessario il ricorso all'autorità giudiziaria, secondo quanto disposto degli artt.1105 e 1139 cod. civ. Ciò si verifica nel caso in cui all'assemblea, pur essendo presenti entrambi condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione - benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti e l'altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105 cc. I principi richiamati sono stati dettati in relazione ad un condominio minimo formato da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione, ed è tanto più idoneo alla tutela effettiva della parte minoritaria nel caso di specie in cui il rapporto millesimale di proprietà tra le parti è in misura prossima ad 1/5 contro 4/5 Il condominio in effetti ha avviato la prima e più semplice soluzione, nel convocare le assemblee, ma al loro esito avrebbe dovuto poi prendere atto, della impossibilità di costituire l'assemblea per assenza dell'altra partecipante e quindi per l'impossibilità di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; aveva cioè l'onere di azionare il procedimento camerale previsto dall'art. 1105 cc. rimettendo all'autorità giudiziaria l'adozione dei provvedimenti opportuni. La diversa scelta di affidarsi alla mera decisione del solo condomino di maggioranza si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volontà proprio perché mancava l'unanimità della decisione e quindi la condizione essenziale per l'applicabilità al condominio minimo delle regole codicistiche: queste, infatti, non possono essere richiamate dal condominio nella sola parte favorevole alle proprie tesi essendo evidente che per la formazione della volontà assembleare l'art. 1136 impone delle maggioranze che nel caso di specie, quanto meno con riferimento al numero dei partecipanti, è di fatto impossibile formare. Sulla scorta di tali principi è stata ritenuta corretta la statuizione del tribunale che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullità o addirittura l'inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 305 del 12/01/2016 Rv. 638022). Tale ultimo inciso porta altresì a rilevare che la sopravvenuta definitività del decreto sia destinata, per un verso a non influenzare l'esito del presente giudizio, non potendo l'emissione del decreto avere alcuna valenza di conferma postuma di una delibera viziata, per altro verso, visti gli effetti sostanziali a non subire conseguenze dalla riconosciuta nullità della delibera. La domanda va pertanto accolta, e dichiarata la nullità delle delibere assembleari impugnate assunte dal Condominio (...) in Lanciano (CH), nelle date del 07.08.2017, 04.10.2017 e 26.04.2018. Le spese seguono la soccombenza e sono determinate in base alla tabella n. 12 allegata al dm 55/14 secondo i valori riferibili a causa di valore indeterminato minimo, posto che le ampie dissertazioni delle parti non introducono questioni giuridiche di particolare difficoltà, pur rendendole di meno immediata individuazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie la domanda e dichiara la nullità delle delibere assembleari assunte dal Condominio (...) in Lanciano (CH), nelle date del 07.08.2017, 04.10.2017 e 26.04.2018; - Condanna il condominio convenuto a rimborsare all'attrice le spese di lite, che liquida in Euro 264,00 per esborsi, Euro 7.254,00 per compensi, oltre 15 % per spese generali, oltre CPA ed IVA. - Sentenza provvisoriamente esecutiva. Lanciano, 30 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 467/2015 R.G. e vertente TRA (...), (...), elettivamente domiciliati in Atessa, Via (...), presso l'avv. Ro.Od., rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Ma.Ma. e Al.Ro., come da mandato a margine del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. RICORRENTI E (...) S.R.L., in persona dell'amministratore Al.Di., DI.AL., elettivamente domiciliati in Lanciano, Via (...), presso lo studio degli avv.ti Ma.Di. e Ma.Di., che li rappresentano e difendono, anche disgiuntamente, in virtù di mandati in calce alla "comparsa di costituzione e risposta con contestuale richiesta di chiamata in causa del terzo"; RESISTENTI E (...), elettivamente domiciliato in Lanciano, Viale (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Te., che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della "comparsa di costituzione e risposta con istanza di chiamata in causa del terzo"; RESISTENTE E (...), elettivamente domiciliata in Lanciano, Via (...), presso lo studio dell'avv. Mi.Di., che la rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della "memoria di costituzione ex art. 702-bis c.p.c. contenente richiesta di chiamata in causa di terzo"; RESISTENTE E (...), elettivamente domiciliato in Santa Maria Imbaro, Via (...), presso lo studio dell'avv. Pa.Ma., che lo rappresenta e difende in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta; RESISTENTE E (...) presso Via (...) Atessa; CONVENUTO E CHIAMATO IN CAUSA CONTUMACE E F.LLI (...) S.N.C., in persona del rappresentante legale Felice (...), elettivamente domiciliata in Lanciano, Via (...), presso lo studio dell'avv. Lu.To., rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Ma., come da mandato in calce alla "comparsa di costituzione e risposta del terzo chiamato con contestuale richiesta di chiamata in causa del terzo"; TERZO CHIAMATO IN CAUSA E (...) S.P.A. (...), in persona degli amministratore delegato, direttore generale e dirigente Ph.Ro. e Ro.Be., rappresentata e difesa dall'avv. Is.Tr. quanto alla chiamata in causa di Pi.Co. e dall'avv. Lu.Be. quanto alla chiamata in causa di Gi.Di., come da procura generale in atti (notaio (...) di Treviso); TERZO CHIAMATO IN CAUSA E (...) S.P.A. (...), in persona del procuratore speciale (...), elettivamente domiciliata in Lanciano, Via (...), presso lo studio dell'avv. Em.Mi., rappresentata e difesa dall'avv. Em.Gu., come da mandato in calce all'atto di citazione per chiamata in causa notificato il 9 marzo 2016; TERZO CHIAMATO IN CAUSA Avente a oggetto: vendita di cose immobili; responsabilità ex art. 1669 c.c. conclusioni delle parti: come da verbale d'udienza FATTO E DIRITTO 1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., (...) e (...), dopo aver esperito procedimento per a.t.p., hanno convenuto in giudizio (...) s.r.l. (d'ora in avanti, (...)), quale venditore e committente, (...), quale costruttore, (...), quale direttore dei lavori, (...), quale progettista e direttore dei lavori, (...), quale progettista architettonico, (...), quale collaudatore, domandandone la condanna, in solido "ovvero per quanto di loro competenza", al risarcimento dei danni (in ricorso indicati in euro 86.965,90, in prima memoria ex art. 183, c. 6, c.p.c. aumentati a euro 178.066,72, "oltre iva ed oneri professionali progettuali ed oltre interessi e rivalutazione") per le rispettive "responsabilità extracontrattuale e solidale ex art. 1669 c.c. e 2055" c.c. (in prima memoria ex art. 183, c. 6, c.p.c. riformulato in "responsabilità contrattuale, extracontrattuale e solidale ex art. 1669 c.c. e 2055") o, in subordine, "a qualsiasi titolo, secondo quanto vorrà accertare giudizialmente il Tribunale adito", inerenti alle costruzione e alienazione (il 30 settembre 2011, notaio Ferrari di Lanciano) di "porzione immobiliare adibita a civile abitazione" e "vano garage" nel complesso "denominato Casale Tornese" in San Vito Chietino, che "a distanza di poco più di un anno dal rogito" presentano "difetti gravi ed evidenti", in particolare "danni strutturali (lesioni ai muri contro terra)", "danni architettonici (lesioni dei rivestimenti e dei tramezzi, distacco soglie ecc.)", "cattivo funzionamento dell'impianto termico e solare", "inesistenti e/o inadeguati allacci alla rete idrica e fognaria", "inadeguate insonorizzazione acustica e centrale termica, presenza e risalita di umidità pareti contro terra, impianto elettrico non a norma, impianto elio termico e coibentazione della canna fumaria non a norma, rampa di accesso al garage non conforme ai criteri di sicurezza, certificazione energetica non conforme, mancata consegna polizza decennale obbligatoria" e "ecc.". (...) e (...) si sono costituiti chiedendo il rigetto nell'an o comunque nel quantum delle domande; chiamando in causa, quale "unico soggetto responsabile nei confronti dei ricorrenti", F.lli (...) s.n.c. (d'ora in avanti, (...)), impresa progettista e appaltatrice "per quel che riguarda l'impianto termico e solare" e, in solido con (...), il già convenuto (...), "per gli eventuali difetti relativi alla coibentazione della canna fumaria". (...) si è costituito chiedendo il rigetto nell'an o comunque nel quantum delle domande; in subordine, chiamando in causa, in garanzia processuale (ai sensi dell'art. 1917, c. 4, c.c.), l'assicuratore della responsabilità civile (...) s.p.a. (d'ora in avanti, (...)) e, quale "unico soggetto responsabile nei confronti dei ricorrenti", (...), "per quel che riguarda l'impianto termico e solare" e, in solido con (...), il già convenuto (...), "per gli eventuali difetti relativi alla coibentazione della canna fumaria". (...) si è costituita chiedendo il rigetto delle domande; in subordine, chiamando in causa in garanzia processuale (ai sensi dell'art. 1917, c. 4, c.c.) l'assicuratore della responsabilità civile (...). (...) si è costituito chiedendo il rigetto nell'an o comunque nel quantum delle domande. (...) si è costituita chiedendo il rigetto delle domande nei suoi confronti; in subordine, chiamando in causa in garanzia processuale (ai sensi dell'art. 1917, c. 4, c.c.) l'assicuratore della responsabilità civile (...) s.p.a. (d'ora in avanti, ITAS); successivamente, ha dichiarato di "rinunciare alla domanda di manleva spiegata nei confronti di" ITAS. (...) si è costituita chiedendo il rigetto delle domande principali, se del caso, anche solo nel quantum, limitatamente ai convenuti che l'hanno chiamata in causa; in ogni caso chiedendo il rigetto nell'an o comunque nel quantum delle domande proposte nei suoi confronti in garanzia processuale. ITAS si è costituita chiedendo il rigetto nel quantum delle domande principali, il rigetto nell'an o comunque nel quantum delle domande nei confronti di (...), il rigetto nell'an o comunque nel quantum della domanda proposta nei suoi confronti in garanzia processuale; successivamente, ha accettato la rinuncia di (...), rappresentando di "aver convenuto la compensazione delle spese quanto alla domanda di manleva". (...), cui ricorso introduttivo e decreto fissazione udienza sono stati ritualmente e tempestivamente notificati (a mezzo posta, con perfezionamento per il destinatario decorsi dieci giorni dalla spedizione della comunicazione di avvenuto deposito - CAD, ex art. 8, c. 4, l. 890/1982), non si è costituito. Il Tribunale ha mutato il rito ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c.; ha concesso i termini ex art. 183, c. 6, c.p.c. e disposto prima c.t.u.; con sentenza non definitiva e ordinanza, entrambe del 3 gennaio 2019, ha deciso le questioni ed eccezioni preliminari di cui in motivazione (inammissibilità per mutatio libelli della rideterminazione dei ricorrenti, in prima memoria ex art. 183, c. 6, c.p.c., del credito risarcitorio; natura e ambito della responsabilità ex art. 1669 c.c. prospettata dai ricorrenti; infondatezza dell'eccezione di prescrizione del credito risarcitorio dei ricorrenti, salvo che con riferimento alla garanzia ex artt. 1490 e 1497 c.c.; necessità di rinnovazione di c.t.u. per difetto di imparzialità apparente del c.t.u. già nominato) e disposto nuova c.t.u., in relazione al seguente quesito: "a) descriva succintamente lo stato dei luoghi nel complesso residenziale in San Vito Chietino oggetto di controversia e in particolare l'unità abitativa e le relative pertinenze in proprietà (...) e (...); b) dica se l'unità abitativa e le relative pertinenze in proprietà (...) e (...) presentino attualmente vizi (lesioni; difetti di funzionalità, con particolare riferimento ai vari impianti a servizio) o comunque difformità rispetto alle determinazioni negoziali e ai parametri normativi imperativi; dica se e in che misura tali vizi o difformità integrino rovina, sicuro pericolo di rovina o comunque difetti che incidono sulla sostanza e stabilità dell'edificio o ne compromettono in modo grave l'utilizzazione; a tal fine, valuti comunque i difetti di funzionalità rispetto a utilizzi degli immobili conformi alla destinazione pattuita o normativamente consentita e consideri solo i vizi e difformità dedotti in ricorso introduttivo (ossia i vizi e difformità riscontrati nella ivi richiamata relazione di c.t.u. in a.t.p.) e che comunque non debba ritenersi fossero apparenti già al momento della consegna degli immobili (ossia predicabili di successiva 'scoperta' ai sensi dell'art. 1669 c.c.); c) dica se e in che misura risultino allegati, documentati ed effettivamente sussistenti sui luoghi, in relazione agli immobili sub b), lavori e opere, successivi al novembre 2015, necessari e funzionali alla rimozione di preesistenti vizi e difformità sub b) (in particolare, come detto, vizi e difformità che comunque risultino già indicati nella relazione di c.t.u. in a.t.p.); in caso positivo, dica se i prezzi documentati come pagati per tali lavori e opere siano congrui e, ove non lo siano, dica quali prezzi fossero congrui al tempo della esecuzione; quantifichi in termini pecuniari il pregiudizio al normale godimento degli immobili strettamente connesso alla esecuzione di tali lavori e opere; d) ove riscontri i vizi o difformità sub b), anche successivamente rimossi in virtù di lavori e opere ai sensi della lett. c), dica, per ciascuno di essi: - se e in che misura sia riconducibile a prestazioni inesatte di progettazione o di esecuzione dei lavori; se e in che misura ne risulti la riconducibilità a specifiche direttive, anche tecniche, della committenza; -se e in che misura le riscontrate prestazioni inesatte di esecuzione dei lavori rientrino nel contenuto degli obblighi di controllo tipici della direzione dei lavori; -se e in che misura le riscontrate prestazioni inesatte di esecuzione dei lavori rientrino negli obblighi di accertamento tipici della verifica/collaudo delle opere; -se e in che misura le riscontrate prestazioni inesatte di progettazione o di esecuzione dei lavori, o le specifiche direttive anche tecniche della committenza che ne siano a fondamento, rientrino negli obblighi di controllo del "buon appaltatore", "buon direttore dei lavori", "buon collaudatore"; e) dica a quali dei convenuti e chiamati in causa nel presente giudizio siano rispettivamente riconducibili la concreta esecuzione delle prestazioni inesatte predette e gli specifici obblighi di controllo e accertamento, in particolare in corso d'opera, delle stesse; f) in relazione ai vizi o difformità sub b) (cioè ai vizi o difformità ancora esistenti), indichi i lavori e comunque le prestazioni necessari per la loro rimozione, sia quanto alle cause, sia quanto agli effetti lesivi che ne siano conseguiti; dica i costi di tali lavori e prestazioni"; all'udienza del 28 febbraio 2019 di conferimento incarico e giuramento del c.t.u. le parti nulla hanno osservato sul sopra riportato quesito; all'esito della c.t.u., il Tribunale ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni. 2. La presente sentenza può avere a oggetto solo questioni giuridiche estranee al decisum della sentenza non definitiva del 3 gennaio 2019; pertanto, le rinnovate deduzioni delle parti sulle questioni oggetto di quel decisum sono inammissibili. 2.1. Le domande principali sono fondate nei limiti di seguito indicati. 2.1.1. La responsabilità ex art. 1669 c.c. si configura anche quando non ricorrano la "rovina" o l'"evidente pericolo di rovina" dell'opera, ma l'opera stessa presenti "gravi difetti"; a tal fine, "gravi difetti" sono i difetti che incidono sulla sostanza e stabilità dell'opera, anche se non determinano rovina o evidente pericolo di rovina (C. 2954/1983); secondo una tesi, gravi difetti sono anche quelli che compromettono in modo grave l'utilizzazione dell'opera, senza avere effetti sulla sua stabilità (C. 8140/2004). Se il grave difetto riguarda elementi accessori dell'edificio (a esempio, condutture di adduzione idrica; rivestimenti; impianto di riscaldamento), l'art. 1669 c.c. può trovare applicazione solo quando ne cagioni una compromissione definitiva dell'impiego o del godimento (C. 9636/2001): "sono, quindi, compresi non solo le deficienze costruttive vere e proprie, quelle cioè che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei e/o non a regola d'arte, ma anche i vizi che riguardano elementi secondari ed accessori che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata (come l'impermeabilizzazione, i rivestimenti, gli infissi, la pavimentazione, gli impianti, le condutture di adduzione idrica, ecc.) purché tali da compromettere la funzionalità dell'opera stessa e che, senza richiedere lavori di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria e cioè con opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici oppure con opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati" (C. 20877/2020). È comunque evidente che non ogni vizio, e tantomeno mera difformità (soprattutto se esclusivamente negoziale, cioè rispetto alle qualità negozialmente promesse), può integrare i "gravi difetti" ex art. 1669 c.c., pena lo svuotamento interpretativo della previsione di termini di decadenza e soprattutto prescrizione ex artt. 1667 e 1495 c.c.. L'art. 1669 c.c. fa riferimento, come soggetto responsabile, solo all'appaltatore; ma, in quanto il presupposto della responsabilità prevista è la partecipazione alla costruzione dell'immobile (e, quindi, alla determinazione dell'evento lesivo, costituito dall'insorgenza di rovina o difetti), purché in posizione di "autonomia decisionale", essa è applicabile anche al progettista, al direttore dei lavori, al venditore che abbia assunto alcuno di tali ruoli nella costruzione ed, eventualmente, allo stesso committente, ove abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, oppure sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera in modo da rendere l'appaltatore mero esecutore delle sue indicazioni (C. 17874/2013; C. 3406/2006; "l'art. 1669 (...) trova applicazione, oltre che nei casi in cui il venditore abbia provveduto alla costruzione con propria gestione di uomini e mezzi, anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l'opera di soggetti estranei, la costruzione sia, comunque, a lui riferibile in tutto o in parte per avere ad essa partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento dell'altrui attività o di impartire direttive o di sorveglianza, sempre che la rovina o i difetti dell'opera siano riconducibili all'attività da lui riservatasi": C. 777/2020). L'art. 2055 c.c. prevede e disciplina la solidarietà nell'obbligazione risarcitoria da medesimo fatto dannoso; ai sensi di tale art., "Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno"; "Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate"; "Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali". La solidarietà passiva nell'obbligazione risarcitoria presuppone esclusivamente l'unicità del fatto dannoso, essendo invece irrilevante che tale danno sia derivato (causalità materiale) da più (diverse) azioni od omissioni, dolose o colpose, che integrino condotte illecite distinte e diverse, fonte di titoli di responsabilità diversi (contrattuale, extracontrattuale, per colpa, per colpa presunta, oggettiva); comporta che nei confronti del danneggiato ciascuno dei soggetti che ha posto in essere una condotta concorrente nella causazione del danno è autonomamente obbligato per l'intero. 2.1.2. Il Tribunale ritiene di avvalersi congiuntamente delle tre c.t.u. in atti, sia quella in a.t.p. (c.t.u. (...)), sia la prima (c.t.u. (...)) e la seconda (c.t.u. (...)) nel giudizio di merito, valutandone volta per volta le rispettive conclusioni rilevanti; infatti, prestazione specifica del c.t.u. è quella di argomentare accertamenti e deduzioni; sicché parametro di valutazione della c.t.u. è la qualità dell'argomentazione del consulente, ossia i giustificazione e sviluppo coerente delle ragioni che ne fondano le conclusioni; e tale valutazione è rimessa al Tribunale (in questo senso può dirsi iudexperitusperitorum) e non è sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata in relazione ai predetti parametri. In ogni caso, con riferimento alla c.t.u. (...) i ricorrenti precisano che "la contestata imparzialità (...) è consistita nell'essere parziale (...) in favore dell'Ing. (...)" (memoria di replica 9 dicembre 2020, p. 5); quanto alla c.t.u. (...), articolata sui quesiti formulati dagli stessi ricorrenti (cui, d'altronde, il quesito del Tribunale si riportava), i ricorrenti sostanzialmente parametrano su di essa le proprie richieste (memoria conclusionale 18 novembre 2020, pp. 7-8: "unica perizia cui far riferimento è quella redatta in sede di ATP dall'Ing. Enzo (...)", "unica fonte scientifica", a seguito della quale "i ricorrenti venivano a conoscenza della effettiva reale situazione dell'immobile, posto che l'ing. Enzo (...) evidenziava difetti obiettivamente occulti quali la carenza di armature nei pilastri in cemento armato, la reale classe energetica ecc."). Nelle descrizioni dei c.t.u., l'"unità immobiliare" per cui è causa "è posta all'interno di un complesso residenziale"; l'"edificio" "si sviluppa su tre piani", "è costituito" "da un piano seminterrato", ossia "una parte interrata destinata a garage, cantina, ripostiglio, bagno e locale caldaia"; da un "piano terra" "rialzato" con "ingresso-soggiorno, cucina e bagno con antistante portico e corte esclusiva" e da un "piano primo sottotetto" "con stanze da letto e servizi igienici". I ricorrenti, anche all'esito di precisazioni negli atti del giudizio successivi alla sentenza non definitiva del 3 gennaio 2019 (precisazioni che rilevano solo in riduzione rispetto a quanto allegato e dedotto nel ricorso introduttivo, per le ragioni esposte nella predetta sentenza non definitiva), allegano specificamente i seguenti "difetti gravi ed evidenti", come detto sostanzialmente richiamando la c.t.u. (...): difetto di conformità normativa e comunque negoziale del livello di isolamento termico dell'immobile (l'immobile è qualificabile in una "classe energetica" che "non è a norma di legge"); "carenze" e lesioni "strutturali", ossia "carenze di ferri orizzontali nei pilastri, nella parete controterra e nel marciapiede perimetrale del fabbricato" e "cedimento del marciapiede perimetrale"; lesioni "sulle pareti", "lesioni passanti su tramezzi in laterizio, e in cemento armato controterra"; allagamento piano interrato (presenza di acqua nel piano di fondazione); inadeguatezza delle "canna fumaria" e "centrale termica". Il Tribunale osserva quanto segue. 2.1.2.1. La difformità del livello di isolamento termico dell'immobile, sub specie di qualificazione non nella classe energetica prevista B, ma nella classe energetica C, non integra i presupposti di applicabilità dell'art. 1669 c.c.; ciò non solo ove si configuri come difformità esclusivamente negoziale, ma anche ove si configuri come difformità normativa, ossia allorché la classe energetica B di qualificazione dell'edificio fosse, all'epoca della costruzione, normativamente imposta, con integrazione del rapporto, e quindi dell'impegno, contrattuali anche in difetto di pattuizione (il che, però, ancorché i ricorrenti deducano ancora in memoria conclusionale del 18 novembre 2020 che "l'isolamento termico dell'immobile non è a norma di legge!", già la c.t.u. (...) escludeva: la "classe rientra, seppur per poco, nei minimi previsti dal riferimento legislativo vigente D.M. 26/06/2009 al momento della realizzazione del fabbricato": p. 10); infatti, a quella difformità, escluse sanzioni nemmeno allegate dai ricorrenti (e delle quali comunque non sarebbero sussistiti i presupposti perché la classe "effettiva" è "a norma di legge"), conseguono solo, se del caso, maggiori consumi, e quindi costi, di riscaldamento dell'immobile e un minore valore dello stesso; nessuno dei quali realizza però quella grave compromissione dell'utilizzazione dell'opera (quell'effetto di "compromettere la funzionalità dell'opera stessa", con le parole della citata C. 20877/2020) che è necessaria perché ricorrano, in mancanza di "rovina" o "evidente pericolo di rovina", i "gravi difetti" ex art. 1669 c.c.; e ciò, a parere del Tribunale, è evidente, non potendosi ritenere "non normalmente utilizzabile e funzionale" un immobile di classe energetica C. 2.1.2.2. La c.t.u. (...) rileva che "soprattutto al piano seminterrato" "i ferri orizzontali" "della parete in c.a." "risultano dispost(i) ad una distanza doppia di quella di progetto" ("cm. 40"); i "ferri orizzontali", "staffe", del "pilastro n. 27", oggetto di indagine, "risultano dipost(i) ad una distanza doppia di quella di progetto" ("cm. 10"); considerando "i valori ottenuti si evidenzia una carenza del numero di ferri di armatura nel senso orizzontale". Peraltro, lo stesso c.t.u. osserva, in primo luogo, che "Sicuramente i valori sopra citati non hanno un(')attendibilità elevata", "infatti nella descrizione della strumentazione viene citata la tolleranza da considerare per la lettura dei risultati, la certezza per la verifica delle armature la si può ottenere solamente con prove del tipo 'distruttive' portando a nudo i ferri di armatura mediante l'asportazione del calcestruzzo"; in secondo luogo, "che la minima carenza di armature, evidenziata dalle prove eseguite, riguarda solo i ferri orizzontali (...), tale carenza di armatura non pregiudica la staticità dell'immobile" (pp. 11-14), concludendo infatti più avanti (pp. 30, 36) che "i vari danni e vizi costruttivi rilevati, non pregiudicano la stabilità del fabbricato, (che) si ritiene agibile". Il che, di per sé, esclude non sono la qualificazione del "difetto", ammesso che sussista, come "rovina" o "evidente pericolo di rovina", ma anche come "grave" ai sensi dell'art. 1669 c.c.; anche qui non potendosi ritenere "non normalmente utilizzabile e funzionale" un immobile con "minima carenza di armature" che "non pregiudica la staticità". Ed è appena il caso di rilevare che le predette conclusioni in c.t.u. (...) sono confermate nelle c.t.u. (...) (p. 33-4): "si può asserire la rispondenza (...) delle strutture realizzate, per quanto riscontrato, alle norme vigenti per quanto riguarda i requisiti di s(i)curezza richiesti per azioni statiche e sismiche" e (...) (p. 22): si "evidenzia la rispondenza (...) delle strutture eseguite alla normativa vigente di settore, in termini di soddisfacimento dei requisiti di sicurezza correlati ad azioni di tipo statico e sismico". 2.1.2.3. La c.t.u. (...) rileva "soprattutto al piano seminterrato" delle "lesioni sulla tramezzatura interna tra il locale autorimessa e ripostiglio in corrispondenza dell'angolo superiore dell'apertura tra i due locali", "sul rivestimento del bagno" e "sul pavimento in corrispondenza delle aperture tra i vari locali"; quanto agli "altri piani", "allo stato attuale si evidenziano delle micro lesioni a livello di intonaco interno sulla tamponatura esterna della parete posteriore, nel vano scala"; mentre "sul tramezzo del piano sottotetto all'interno del locale bagno in corrispondenza della trave in legno lamellare la lesione (è) ben visibile, ess(a) si estende dalla trave in legno e scende verso il basso". Le cause delle "varie lesioni descritte" sono, innanzitutto, "la presenza dell'acqua nel piano di fondazione" (p. 15), "le lesioni al fabbricato sono dovute ad assestamenti per la presenza dell'acqua nel piano di fondazione" (p. 13): essa, infatti, "ha variato la consistenza del terreno ed essendo il vespaio areato realizzato con iglù poggiati direttamente su uno strato di magrone a diretto contatto con il terreno, questo ha subito dei piccoli assestamenti, provocando le varie lesioni" (p. 15); inoltre, "le tramezzature interne al piano seminterrato sono state realizzate direttamente sul vespaio con iglù (...) ed in alcuni casi non coincidono nemmeno sulla direzione delle travi di fondazione, in particolare il divisorio centrale maggiormente lesionato risulta impostato direttamente sul vespaio, sovraccaricando senza effettuare le dovute verifiche", mentre "la lesione sul divisorio al primo piano" discende dal fatto che "la trave in legno lamellare poggia direttamente sulla tramezzatura", laddove "buona tecnica costruttiva è quella di eseguire dei giunti tecnici tra materiali con diverse dilatazioni", "essendo" poi 'la trave (...) una trave principale si ha anche l'effetto flessionale che va ulteriormente a sovraccaricare il divisorio". Più avanti il c.t.u. rappresenta che "si è constatat(a) la presenza di un accumulo di acqua al di sotto del solaio del piano seminterrato di circa 10 cm nel sopralluogo del 13 maggio e di circa 6 cm nel sopralluogo del(l')8 luglio"; lungo "tutto il perimetro esterno del fabbricato, alla base della parete in c.a. corre un tubo di drenaggio rivestito di tessuto non tessuto, posto al livello del piano di appoggio degli iglù, (...) sull'estradosso della trave di fondazione, (e) termina al di sotto della griglia di raccolta delle acque piovane post(a) all'ingresso dell'autorimessa. Dalla griglia di raccolta si dirama un tubo in pvc per lo scarico delle acque bianche (...) che va a defluire in un pozzetto posto sul marciapiedi esterno (...) facente parte della rete principale di raccolta delle acque bianche dell'intero complesso immobiliare"; "la quota della base della griglia di raccolta delle acque si trova ad un(')altezza di circa 20 cm dalla base di appoggio degli iglù e del tubo di drenaggio, per cui tutta l'acqua proveniente dal tubo di drenaggio, dal canale di gronda del porticato, dalle bocche di lupo e dal terreno circostante il fabbricato, non potendo defluire dal pozzetto di raccolta in quanto posto ad una quota superiore, si raccoglie all'interno del fabbricato e trovando lo strato della fondazione quasi impermeabile forma una vasca di contenimento dell'acqua" e, poiché "il terreno circostante (...) risulta di natura argillosa, molto consistente e poco permeabile, tutte le acque piovane non riescono a defluire o disperdersi nel terreno sottostante" (pp. 17-8). Sulla presenza delle lesioni e, "costante", di "acqua sotto il piano di pavimento al piano interrato causata sia dalla cattiva esecuzione del drenaggio intorno al fabbricato, sia (d)all'impossibilità di conferire le acque accumulate alla fognatura condominiale" concorda, "Avendo verificato", la c.t.u. (...) (p. 26) e, altresì, la c.t.u. (...) (pp. 7, 48-9), peraltro nei seguenti meglio articolati termini: le "lesioni" "in corrispondenza del piano seminterrato", "con diretto interessamento degli elementi costituiti da tramezzi e dai pavimenti", sono "indotte dalla presenza di acqua al di sotto della pavimentazione derivante sia dalla inidoneità costruttiva del sistema di drenaggio dell'immobile (...) sia dall'impossibilità di confluire direttamente le acque provenienti dal tubo di drenaggio, dal canale di gronda del porticato, dalle bocche di lupo e dall'area circostante sulla griglia di raccolta (...) unitamente alle modalità costruttive del vespaio areato realizzato con casse-formi modulari del tipo "iglù" poggiate direttamente su magrone a diretto contatto con il terreno, con superiore soletta armata e pavimento", la "lesione con interessamento di un tramezzo", "in corrispondenza del piano sottotetto", è "conseguenza dell'azione di carico indotta dall'appoggio diretto della trave portante in legno lamellare sullo stesso tramezzo". Il Tribunale ritiene che la presenza "costante" di acqua "al di sotto del solaio del piano seminterrato", con le sole dirette conseguenze, anche sopra rappresentate dai c.t.u., integri "grave difetto" ai sensi dell'art. 1669 c.c., dovendosi valutare come "non normalmente utilizzabile e funzionale" un immobile con tali inconvenienti; peraltro, evidentemente, grave difetto non è solo, e non tanto, la presenza dell'acqua, ma le cause della stessa. Sul punto si tornerà sub 2.1.3, in sede di determinazione del contenuto del rimedio risarcitorio (per equivalente, come da domanda) spettante ai ricorrenti. La c.t.u. (...) individua anche la lesione di "carattere strutturale)" consistente nel "piccolo cedimento" della "soletta del marciapiede perimetrale", "ancorat(a)" alla "parte superiore della parete in corrispondenza del primo solaio"; soletta "eseguita successivamente alla costruzione del solaio utilizzando dei ferri di ancoraggio lasciati in fase di getto del solaio"; il cui cedimento "sicuramente" è dovuto a "tale tecnica costruttiva" (p. 11); per tale lesione, prevede "la demolizione totale della soletta in cemento armato al livello del primo solaio ed il suo rifacimento mediante inghisaggio di nuove armature al cordolo perimetrale" (p. 14). Peraltro, il Tribunale ritiene che tale "piccolo cedimento" della soletta del "marciapiede perimetrale" non sia, evidentemente, di per sé, qualificabile nei presupposti della responsabilità ex art. 1669 c.c.; né è un "pregiudizio" che sia effetto del "grave difetto" consistente nella presenza "costante" di acqua "al di sotto del solaio del piano seminterrato", e quindi risarcibile quale conseguenza (ex art.1223 c.c.) di tale difetto, perché, come visto, la c.t.u. (...) (e sulla sua scorta le altre due c.t.u.) lo riconduce piuttosto alla tecnica costruttiva consistente nella utilizzazione "dei ferri di ancoraggio lasciati in fase di getto del solaio"; d'altronde, le altre c.t.u. non hanno riscontrato successivi cedimenti della soletta, e infatti l'ultima, quella (...) (controdeduzioni, p. 14), ritiene "che i vizi riscontrati non inficiano il godimento del bene e (...) la funzionalità strutturale"; e comunque il rimedio, e quindi i costi, proposto nella c.t.u. (...) (demolizione totale della soletta) appare ragionevolmente eccessivo, in difetto dell'effettuazione di una prova di carico (carico concentrato) che abbia dimostrato quella strutturale attitudine a cedere che il decorso del tempo ha, piuttosto, negato. 2.1.2.4. La c.t.u. (...) rileva in relazione alla "canna fumaria" che la "struttura lignea del pacchetto di copertura", ancorché non "andava a contatto con il tubo in acciaio", però "non rispetta la distanza di sicurezza", che "deve essere non minore di 7 cm"; pertanto, "necessita di elementi idonei di isolamento" in relazione al "tratto sull'attraversamento del solaio di copertura" (p. 16); il "costo dell'intervento ammonta ad euro 1.200,00" (p. 33). Le c.t.u. (...) (p. 26) e (...) (p. 18) "concordano": si ha una "insufficienza della distanza della tubazione costituente la canna fumaria e le perline in legno della copertura"; "relativamente alla canna fumaria posizionata sul prospetto anteriore, con sviluppo dal piano seminterrato fino alla copertura, in corrispondenza del punto di attraversamento del solaio di copertura costituito da struttura in legno, si ritengono tecnicamente condivisibili le risultanze (...) nella (...) ctu in a.t.p. che pur evidenziando l'assenza di contatto tra il tubo in acciaio ed il perlinato, riscontrava una insufficiente distanza di sicurezza tra i due componenti". Peraltro, il Tribunale ritiene che anche in tal caso non possa parlarsi né, ovviamente, di "rovina" o "evidente pericolo di rovina", né di "grave difetto" ai sensi dell'art. 1669 c.c., non potendosene dedurre che l'immobile sia "non normalmente utilizzabile e funzionale"; e l'esclusione della qualificazione di "gravità" è altresì evidenziata dalla misura del costo economico di rimozione del difetto (come detto euro 1.200,00) 2.1.2.5. La c.t.u. (...) rappresenta che l'"impianto solare termico è un impianto relativamente complesso", si articola in "Impianto di riscaldamento a pavimento" e "Impianto centrale termica (caldaia, serbatoio di accumulo, solare termico con n. 2 pannelli solari i(n)stallati sulla copertura", oltre a "una serie di collegamenti e componentistica per il funzionamento dell'intero impianto"); i difetti del primo sono meglio descritti nella c.t.u. (...) (p. 18), peraltro conformemente alle risultanze della c.t.u. (...) (p. 23): "relativamente all'impianto di riscaldamento a pavimento, si evidenziano specifici vizi nella realizzazione (...), quali tra quelli più significativi ai fini del rendimento funzionale: l'esecuzione dell'impianto elettrico al di sopra del pannello radiante (e non al di sotto) con conseguente maggiore dispersione di calore, lo spessore del massetto realizzato al di sopra dei tubi radianti maggiore di quello previsto pari a non oltre 5 cm, con minore resa dell'impianto" (corsivi del Tribunale); quanto al secondo, cioè all'impianto di centrale termica, la c.t.u. (...) (p. 24) rileva, con scarsa attenzione grammatica e ortografica che rende a tratti poco perspiscuo il discorso, che "la caldaia (di) per sé non presenta nessun problema di funzionamento, il problema consiste nell'errato collegamento effettuato con il serbatoio di accumulo" e negli "elementi i(n)stallati che non regola(no) l'attivazione della caldaia quan(d)o deve attivarsi a compensazione del solare termico"; sicché "per il buon funzionamento dell'impianto di riscaldamento e sanitario, bisogna intervenire sui collegamenti e sui componenti della centrale termica, in particolare sostituendo quelli non idonei, integrando quelli mancanti e rego-la(ndo) quelli esistenti mal funzionanti": "I tubi sia di mandata (sia) di ritorno del Tank 2 dev(ono) essere collegat(i) immediatamente all'equilibratore termico", "a questo" occorre "far seguire la valvola miscelatrice e subito a valle (...) posizionare il circolatore"; occorre poi installare un "sifone solare per impedire la circolazione parassita", perché altrimenti i pannelli si trasformano "da captatori in dispersori di calore" e "una pompa di ricircolo per l'acqua sanitaria al fine di non attendere molto tempo per l'arrivo dell'acqua calda sanitaria"; nel "computo metrico estimativo" (all. "B", p. 15), i lavori di "Adeguamento centrale termica" sono così ulteriormente precisati quanto alla installazione dei componenti mancanti: "defan(g)atore, pompa di ricircolo, vaso di espansione. ecc.", per un costo totale indicato in euro 6.500,00 (ma a p. 35 "euro 7.000,00"); peraltro, la c.t.u. (...) (p. 75) non conteggia, tra gli altri componenti "mancanti", "sifone solare" e "pompa di ricircolo", "perché non necessari per il normale funzionamento" e la c.t.u. (...) (p. 46) condivide (pedissequamente). Il Tribunale ritiene di nuovo che non possa parlarsi né di "rovina" o "evidente pericolo di rovina", né di "grave difetto" ai sensi dell'art. 1669 c.c.; ciò è evidente quanto ai difetti dell'impianto di riscaldamento a pavimento, che comportano solo maggiore dispersione di calore e minore resa dell'impianto; ma vale anche per le indicazioni in c.t.u. (...) circa i collegamenti e componenti della centrale termica, che sono volte a una operatività ottimale della stessa e, quindi, non ne condizionano la funzionalità, come le c.t.u. (...) e (...) espressamente ritengono quanto a "sifone solare" e "pompa di ricircolo". D'altronde, i ricorrenti allegano e documentano di aver fatto eseguire, dopo la c.t.u. in a.t.p., lavori che le relative fatture (all.ti 8 e 9 seconda memoria art. 183, c. 6, c.p.c.) descrivono come di "miglioramento energetico del sistema di climatizzazione con rifacimento della centrale termica, installazione componenti di controllo a modulazione progressivo, proporzionale come: valvola miscelatrice termostatica, equilibratore termico, valvole di bilanciamento, sifoni termici su impianto solare, pompa di circolazione inverter, bilanciamento del(l)'impianto radiante a pavimento" (corsivi del Tribunale) e di "fornitura e sostituzione di una caldaia a condensazione", per costi totali, i.v.a. compresa, di euro 3.368,50 e di euro 1.166,00: ossia, lavori che l'impresa esecutrice descrive come di (mero) "miglioramento energetico" e che, pur comprensivi anche di sostituzione della caldaia che la c.t.u. (...) ritiene di "per sé non presenta nessun problema di funzionamento", di "bilanciamento" dell'"impianto radiante a pavimento" per le cui problematiche la c.t.u. (...) non conteggia costi di intervento (p. 24: "Considerata l'esclusione dell'intervento sull'impianto radiante") e di installazione di "sifoni termici" e "pompa di circolazione" che le c.t.u. (...) e (...) ritengono non necessari, hanno comunque un importo inferiore ai 6.500,00 euro prospettati nella c.t.u. (...) e, a maggior ragione una volta decurtato dei corrispettivi per sostituzione caldaia, bilanciamento impianto radiante e installazione sifoni termici e pompa di circolazione, di misura tale da escludere, anche qui, la qualificazione di "gravità". 2.1.3. In virtù di quanto sopra, l'unico difetto qualificabile (come "grave difetto" o, al limite, anche "pericolo di rovina") nell'art. 1669 c.c. è la "inidoneità costruttiva del sistema di drenaggio dell'immobile"; peraltro, voci del credito risarcitorio (per equivalente) dei ricorrenti sono non solo i costi per rendere "idoneo" tale sistema di drenaggio, ma anche i costi per rimuovere le conseguenze lesive (ex art. 1223 c.c.) di tale difetto, ossia i singoli pregiudizi allo stesso conseguenti. La c.t.u. (...), quanto ai pregiudizi, conclude che la "soluzione primaria è quella di eliminare l'acqua sulle fondazioni (...) quindi procedere al ripristino delle varie lesioni" (p. 15); mentre la rimozione delle cause comporta "il rifacimento del drenaggio intorno al fabbricato mediante una canaletta in calcestruzzo con tubo drenante, uno strato di pietrisco ricoperto di tessuto non tessuto e la realizza(zione) di un pozzetto di raccolta dove (far) confluire tutte le acque bianche (drenaggio, canali di gronda, acque piovane, ecc.) posto ad una quota inferiore al piano di appoggio della fondazione, in modo che tutte le acque vengano raccolte e (fatte confluire) al pozzetto esterno della rete principale primaria del complesso immobiliare"; "trovandosi ad una quota più bassa" "è nacessari(a) la realizzazione di un impianto di sollevamento (...) a mezzo di una pompa ad immersione posto all'interno di un pozzo di raccolta"; salvo se "la società (...) procederà al rifacimento dell'intera rete fognaria principale ad una quota più profonda in modo da permettere il deflusso delle acque in modo naturale" (p. 18). Il Tribunale ritiene che "la lesione sul divisorio al primo piano" non sia conseguenza della "inidoneità costruttiva del sistema di drenaggio"; la stessa c.t.u. (...), come visto, deduce che quella lesione discende dal fatto che "la trave in legno lamellare poggia direttamente sulla tramezzatura", senza giunto tecnico "tra materiali con diverse dilatazioni"; pertanto, non essendo qualificabile di per sé come "grave difetto" o "pericolo di rovina" (la c.t.u. (...) indica come lavori per il "Ripristino lesione al divisorio del primo piano" la sola "realizzazione di un giunto di dilatazione tra la trave in legno ed il divisorio": p. 37), i relativi costi non rientrano nel credito risarcitorio dei ricorrenti. La c.t.u. (...) (pp. 37-38), per le prestazioni di "Ripristino lesioni sulla parete" "sui pavimenti", inerenti ai "giunti lesionati", di "Rifacimento del drenaggio intorno al fabbricato", "realizzazione di un pozzetto di raccolta" e "un impianto di sollevamento (...) a mezzo pompa ad immersione per il deflusso delle acque raccolte", come precisate in dettaglio nel computo metrico estimativo (pp. 6-9, senza prestazioni inerenti al giunto di dilatazione tra trave in legno e divisorio al primo piano), indica un costo complessivo di euro 16.016,21; sostanzialmente equiparabili sono le quantificazioni nelle c.t.u. (...) ("Drenaggio esterno piano interrato: Euro 6.024,04", "Risanamento pareti e pavimenti piano interrato - opere interne: Euro 9.568,19") e (...) ("Drenaggio esterno piano interrato: Euro 5.985,20", "Risanamento pareti e pavimenti piano interrato - opere interne: Euro 9.564,98"). Ai predetti costi vanno aggiunti i costi per le prestazioni professionali inerenti ai lavori indicati; la c.t.u. (...) (p. 48) li quantifica in euro 6.299,94 "oltre oneri accessori come per legge" su lavori complessivi di euro 57.425,70 di costo; il Tribunale, in relazione ai minori lavori riconosciuti per cui è credito dei ricorrenti, li quantifica in euro 2.500,00 accessori compresi; vanno poi aggiunti i costi delle già effettuate prestazioni di "aspirazione" dell'acqua raccolta nello strato "quasi impermeabile" della fondazione, allegati e non contestati per euro 200,00 oltre i.v.a. I costi sopra indicati sono comunque voci di un credito risarcitorio, quindi di valore; il Tribunale, pertanto, li liquida all'attualità in complessivi euro 19.000,00; è poi voce di credito risarcitorio per danno "futuro", ossia ragionevolmente successivo alla pronuncia, il valore del "disagio" connesso alla eventuale esecuzione dei lavori; che la c.t.u. (...) quantifica in euro 2.000,00 su lavori complessivi di circa euro 80.000,00 di costo e che il Tribunale, anche ai sensi dell'art. 1226 c.c., quantifica in euro 1.000,00. Conclusivamente, il credito risarcitorio dei ricorrenti è di euro 20.000,00. Su tale somma non sono dovuti gli interessi dal giorno del fatto, previa devalutazione, al giorno della liquidazione (interessi che alcuni qualificano moratori, altri "compensativi", altri ancora voce di lucro cessante), aventi la funzione di risarcire il danneggiato del pregiudizio consistente nel non avere avuto immediatamente la disponibilità della somma risarcitoria, in difetto di allegazione specifica e prova nei sensi indicati dalla Corte di cassazione (C. 3355/2010; C. 22347/2007; C. sez. un. 16990/2017). Sono invece dovuti gli interessi moratori nella misura legale, dalla pubblicazione della presente sentenza sino al pagamento. 2.1.4. Le lesioni e i pregiudizi per cui è il credito risarcitorio riconosciuto dal Tribunale sono imputabili ai sensi degli artt. 1669 e 2055 c.c., e quindi gli stessi sono obbligati in solido, ciascuno per l'intero, alla relativa prestazione risarcitoria, a committente-venditore, appaltatore e direttori dei lavori. Se il grave difetto a monte e causa degli ulteriori pregiudizi sono la "inidoneità costruttiva del sistema di drenaggio dell'immobile" e "la presenza dell'acqua nel piano di fondazione", le condotte (attive od omissive) che hanno a loro volta cagionato il predetto grave difetto sono quelle dei soggetti di cui si è detto; in particolare, di (...), quale venditore e committente, (...), quale appaltatore, (...), quale direttore dei lavori, (...), quale progettista e direttore dei lavori delle opere in cemento armato. Sulla "imputabilità" a (...), (...) e (...) concordano le c.t.u. (...) (pp. 41-2) e (...) (pp. 51-2). In relazione a (...), il Tribunale osserva quanto segue. Il direttore dei lavori per conto del committente è obbligato a una prestazione di mezzi determinata dalla diligenza professionale, e quindi dalla perizia, e avente a oggetto la "alta sorveglianza" dei lavori, ossia il controllo della conformità delle opere progressivamente realizzate al progetto, se del caso con individuazione e correzione di eventuali carenze progettuali, e delle modalità della loro realizzazione al capitolato e/o alle regole tecniche; e la conseguente segnalazione all'appaltatore e al committente delle difformità che si verificano in co rso d'opera (C. 10728/2008; C. 1218/2012; C. 7373/2015). Più precisamente, la perizia determina le prestazioni dovute dal direttore dei lavori sostanzialmente nei seguenti termini: controllo dei lavori (presenza in cantiere, ma non necessariamente giornaliera e senza che gli sia richiesto il compimento di operazioni di natura elementare); controllo della conformità progettuale e normativa delle opere via via realizzate; verifica tecnica, ossia verifica della correttezza tecnica delle opere via via realizzate; verifica contabile-amministrativa, ossia verifica della completezza e correttezza degli atti contabili e della corrispondenza delle liquidazioni rispetto ai lavori, verifica della completezza delle autorizzazioni richieste. Se queste sono le prestazioni oggetto delle obbligazioni del direttore dei lavori, il Tribunale ritiene che della "presenza dell'acqua nel piano di fondazione" e comunque delle mancate rimozione o quantomeno verifica delle cause della stessa debba rispondere anche il progettista e direttore dei lavori delle opere in cemento armato, ossia (...). È ragionevole che l'ambito della qualificazione di antigiuridicità ex art. 1669 c.c. delle condotte di professionisti quale il direttore dei lavori sia diverso, e in particolare più ristretto, rispetto al novero delle condotte degli stessi qualificabili come inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di incarico professionale; in particolare, che omissioni di controllo del direttore dei lavori le quali integrerebbero sicuramente inadempimento contrattuale (rispetto alle obbligazioni di "alta sorveglianza") non integrino necessariamente altresì condotte antigiuridiche ai fini dell'art. 1669 c.c.; e appunto i ricorrenti possono dedurre nei confronti di (...) non un inadempimento contrattuale (non avendo stipulato con lo stesso alcun contratto di incarico professionale), ma solo condotte extracontrattuali. Peraltro, il Tribunale ritiene che per un progettista e direttore dei lavori delle opere in cemento armato sia qualificabile di antigiuridicità anche extracontrattuale il non essersi avveduto della presenza ("costante") di acqua nel piano di fondazione dell'edificio e comunque non aver proceduto alla verifica delle cause della stessa. Quanto poi, in particolare, alle prestazioni di collaudo, riferibili a (...), ai sensi dell'art. 67 d.P.R. 380/2001, c. 1, "Tutte le costruzioni di cui all'articolo 53, comma 1, la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità devono essere sottoposte a collaudo statico, fatto salvo quanto previsto dal comma 8-bis"; c. 2, il "collaudo deve essere eseguito da un ingegnere o da un architetto, iscritto all'albo da almeno 10 anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione ed esecuzione dell'opera". Il collaudo statico è la verifica delle prestazioni della struttura di un edificio. Le norme tecniche per le costruzioni emesse ai sensi, tra l'altro, del d.P.R. 380/2001 prevedevano e adesso prevedono, rispettivamente che "il collaudo statico, tranne casi particolari, va eseguito in corso d'opera quando vengono posti in opera elementi strutturali non più ispezionabili, controllabili e collaudabili a seguito del proseguire della costruzione"; "il collaudo statico, tranne casi particolari, va eseguito in corso d'opera". Ebbene, in relazione a (...), che tra l'altro ha effettuato un collaudo a strutture ultimate comunque anche perché incaricata in corso d'opera, non è predicabile alcuna antigiuridicità, in particolar modo extracontrattuale, in relazione ai difetti per cui è credito risarcitorio dei ricorrenti. 2.2. In relazione alle domande in chiamata in causa quale "vero obbligato" e in garanzia processuale, innanzitutto il processo è estinto per rinuncia agli atti limitatamente alla domanda in garanzia processuale di (...) nei confronti di ITA. Sono poi assorbite le domande in chiamata in causa quale "vero debitore" proposte nei confronti di (...) e in garanzia processuale proposta da (...) nei confronti di (...). Quanto alla domanda in garanzia processuale proposta da (...) nei confronti di (...), (...), a parte le deduzioni inerenti alla domanda principale, contesta anche la sussistenza della copertura assicurativa. Tale contestazione è infondata. Le "Condizioni generali di assicurazione" che regolano il contratto di assicurazione posto a fondamento della domanda in garanzia processuale di (...) prevedono la copertura del rischio di responsabilità civile "per danneggiamenti materiali a cose (...) involontariamente cagionati a terzi in conseguenza di errori professionali personalmente commessi quale (...) incaricato della progettazione (...) dell'assistenza e della direzione dei lavori relative alla costruzione, manutenzione, ristrutturazione e collaudo tecnico di (...) edifici civili" (sez. II, art. 1); le "Condizioni particolari", all'art. 1, precisano che, in deroga alle esclusioni di copertura assicurativa di cui all'art. 5 della sez. II ("esclusioni"), la copertura assicurativa comunque sussiste quanto alla responsabilità civile per "i danneggiamenti materiali alle opere progettate o dirette ed a quelle di cui fanno parte, conseguenti a rovina totale o parziale delle stesse". Ebbene, a prescindere dalla considerazione che l'art. 1 citato delle condizioni particolari, invocato da (...), ha in realtà un significato ampliativo dell'ambito della copertura assicurativa, perché deroga a una limitazione di tale copertura (quella del richiamato art. 5), il Tribunale ritiene che, una volta qualificati i "difetti" per cui è obbligo solidale risarcitorio di (...) nell'art. 1669 c.c., come argomentato sub 2.1.2.3, tali difetti comunque rientrino nella copertura assicurativa di cui al contratto in atti, se del caso perché da qualificare nella rovina "parziale" di cui all'art. 1 delle condizioni particolari. L'art. 8 delle condizioni generali, sez. II, prevede infine che nel "caso di responsabilità concorrente o solidale con altri soggetti non assicurati (...) l'assicurazione opera esclusivamente per la quota di danno direttamente imputabile all'Assicurato in ragione della gravità della propria colpa e dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate". Ebbene, come detto sub 2.1.1, ai sensi dell'art. 2055 c.c. "Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate"; il regresso tra debitori solidali (ossia del debitore solidale che ha pagato l'intero nei confronti degli altri debitori solidali) è una regolazione dei rapporti interni tra gli stessi ed è oggetto di una domanda, che può essere proposta in garanzia processuale (come domanda di essere tenuto indenne delle quote del debito pagato di spettanza degli altri debitori solidali); domanda che però nessuno dei convenuti ha proposto nel presente giudizio. Peraltro, la previsione dell'art. 8 delle condizioni generali di assicurazione sopra richiamato fonda l'eccezione di (...) di limitazione della copertura assicurativa alla quota interna di (...) e rende rilevante nel presente giudizio la determinazione di tale quota. Il Tribunale ritiene che nel presente giudizio non sussistano elementi sufficienti a superare la presunzione di eguaglianza delle quote di cui all'art. 2055 c.c.; pertanto, la quota del debito risarcitorio di (...) è 1/4, ossia il 25%. Infine, l'art. 10 delle condizioni generali, sez. II, prevede uno scoperto del 10%. 3. Le spese, anche di istruzione preventiva, inerenti alle domande principali seguono le rispettive soccombenze; il Tribunale le liquida come da dispositivo in base ai parametri recati dal d.m. 37/2018 considerando, quanto alle domande accolte, la distanza tra petitum e decisum. Le spese delle chiamate in causa sono interamente compensate nel rapporto processuale tra (...) e ITAS; quanto alla chiamata in causa quale "vero obbligato" di (...), le spese sono a carico dei ricorrenti, avendo gli stessi dedotto difetti anche in relazione a prestazioni la cui esecuzione è riconducibile a (...) e non potendo quindi essere considerata "arbitraria" la chiamata in causa di (...) da parte dei convenuti (C. 12301/2005; C. 26082/2021): d'altronde, la chiamata del "terzo responsabile" ("vero obbligato"), a differenza della chiamata in garanzia, comporta, per giurisprudenza consolidata, l'implicita estensione della domanda attorea al terzo responsabile stesso, pur se l'attore non ne abbia fatto espressa richiesta (e salva rinuncia: C. 998/2009); a maggior ragione sono a carico dei ricorrenti le spese della chiamata in causa in garanzia processuale di (...) da parte di (...) (C. 23552/2011; C. 8363/2010); mentre, per un verso, sono a carico di (...) le spese della chiamata in causa in garanzia processuale da parte di (...) e, per altro verso, la compensazione delle spese per rinuncia agli atti nel rapporto processuale tra (...) e ITAS comunque esclude che quelle spese possano essere addossate ai ricorrenti. I costi di tutte e tre le c.t.u. vengono definitivamente posti a carico, in solido, dei ricorrenti (per distanza tra petitum e decisum), (...), (...), (...), (...), (...), con quote eguali nei rapporti interni. Non sussistono i presupposti per condanne ex art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, così provvede: a) condanna (...) s.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, (...), (...), (...), in solido, al pagamento, in favore di (...) e (...), della somma di euro 20.000,00, oltre interessi al tasso di legge dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo; b) condanna (...) s.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, (...), (...), (...), in solido, al rimborso, in favore di (...) e (...), delle spese di lite, che liquida in euro 7.727,00 per compensi, euro 1.165,00 per spese documentate, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; c) condanna (...) s.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, a tenere indenne (...) di quanto pagato in favore di (...) e (...) in forza dei punti a) e b) del presente dispositivo; nel limite massimo del 25% delle somme sub a) e b) e con scoperto del 10%; d) dichiara estinto il processo in relazione alla domanda di F.lli (...) s.n.c. nei confronti di (...) s.p.a.; e) dichiara assorbite le altre domande; f) condanna (...) e (...), in solido, al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite, che liquida in euro 3.545,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; g) condanna (...) e (...), in solido, al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite, che liquida in euro 3.545,00 per compensi, euro 759,00 per spese documentate, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; h) condanna (...) e (...), in solido, al rimborso, in favore di F.lli (...) s.n.c., delle spese di lite, che liquida in euro 3.545,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; i) condanna (...) e (...), in solido, al rimborso, in favore di (...) s.p.a., delle spese di lite (chiamata in causa di (...)), che liquida in euro 3.010,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; l) condanna (...) s.p.a., in persona del rappresentante legale pro tempore, al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite, che liquida in euro 3.010,00 per compensi, euro 759,00 per spese documentate, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; m) compensa interamente le spese di lite nel rapporto processuale tra F.lli (...) s.n.c. e (...) s.p.a.; n) pone le spese delle tre c.t.u. in atti, già liquidate con separati provvedimenti, definitivamente a carico di (...), (...), (...) s.r.l., (...), (...), (...), (...) s.p.a., in solido e con quote eguali nei rapporti interni. Così deciso in Lanciano il 2 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale, in persona del Giudice On. Avv. Cesare D'Annunzio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 114/2020 R.G., promossa da: (...) CAFFETTERIA MILANO (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. CU.GI., con domicilio eletto presso il difensore. ATTORE contro CONDOMINIO VIA (...) CONDOMINIO VIA (...) AMM. RE RAG. (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. CI.GI., con domicilio eletto in VIA (...) 66034 LANCIANO CONVENUTO OGGETTO: Responsabilità ex artt. 2049 - 2051 - 2052 c.c. MOTIVI DELLA DECISIONE FATTO La sig.ra (...) ha convenuto in giudizio il Condominio Via (...), per sentire accogliere le conclusioni sopra riportate; L'attrice ha premesso di essere titolare del Bar Caffetteria Milano, attività esercitata in locali posti al piano terra dell'immobile condominiale; di fruire per la collocazione di alcuni tavoli a servizio del bar, del marciapiede condominiale posto sul lato corto dell'immobile, prospiciente il parcheggio condominiale; di avere ripetutamente sollecitato il condominio ad interventi di manutenzione del cornicione, per il pericolo di distacco dei calcinacci, finché, su richiesta di altro condomino, ed a seguito di caduta di materiale, sono intervenuti in data 28.07.2018 i Vigili Del Fuoco che hanno rimosso le parti pericolanti del cornicione; successivamente la odierna attrice ha dato impulso alla denuncia di danno temuto, esitata nell'elaborato del CTU che ha descritto lo stato dei luoghi ed ha individuato gli interventi da eseguire per la completa riparazione del cornicione. L'attrice ha quindi determinato in Euro 21.900,00 il risarcimento richiesto, ponendo a criterio di calcolo la somma di Euro 60,00 giornaliera, indicata quale mancato incasso giornaliero, dovuto alla sopravvenuta impossibilità di fruire dei tavoli nell'area sottostante il cornicione ammalorato, per il periodo dal 28.07.18, data dell'intervento di transennatura operato dai VVFF, al 29.07.2019, data in cui a cura del condominio sono stati eseguiti i lavori di definitiva riparazione del cornicione. Il convenuto si è costituito contestando la domanda e la quantificazione del danno, in considerazione che l'area era tornata fruibile all'indomani dell'intervento dei vigili del Fuoco, quando il condominio aveva fatto eseguire lavori di messa in sicurezza del sito; ha poi contestato il diritto della (...) alla fruizione dell'area condominiale per la collocazione di tavoli e sedie a servizio dell'attività, in quanto tale finalità non era compresa nell'autorizzazione in precedenza rilasciata dal condominio; ha richiamato la revoca dell'autorizzazione comunicata dal condominio in data 10.1.19; ha eccepito il difetto di prova del mancato guadagno ed ha ribadito l'offerta dell'importo di Euro 2.500,00 a completa tacitazione della pretesa. Il giudizio è stato istruito con la prova per testi richiesta e articolata dalla parte attrice e con le produzioni documentali delle parti. Rinviato per precisazione conclusioni all'udienza del 5.7.21, è stato trattenuto in decisione con i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO E' risultata incontroversa la necessità degli interventi di manutenzione e riparazione del cornicione ammalorato, e ne consegue la relativa responsabilità del condominio al risarcimento del danno derivante dalla caduta dei calcinacci, costituente fattispecie tipica riconducibile al disposto dell'art. 2053 c.c.. Nel caso di specie, l'attrice risulta avere fruito dell'area condominiale corrispondente al marciapiedi posto dinanzi all'ingresso e lateralmente al locale bar. In particolare, l'area laterale risulta utilizzata sulla base dell'autorizzazione che il condominio aveva rilasciato in data 3.3.2014 alla precedente titolare del bar (...); In questa autorizzazione, in effetti, non viene menzionata la posizione di tavoli e sedie, tuttavia va ritenuto in ordine a tale modalità non sia sorta questione, quanto meno fino alla richiesta di liberazione del gennaio 2019; non è possibile infatti escludere che tale sia stata la finalità dell'autorizzazione, posto che non appare altrimenti motivata l'apposizione di tende a cura del titolare del bar, affisse sul muro condominiale a copertura del marciapiedi, se l'unico uso del marciapiedi doveva essere il transito dei condomini per raggiungere i contenitori della spazzatura nel parcheggio condominiale. D'altro canto non è configurabile un interesse fine a sé stesso della titolare del bar a posizionare vasi e fioriere volte ad evitare il parcheggio di vetture sul marciapiedi, e ritenerlo avulso dalla utilizzazione dell'area a vantaggio dell'esercizio. Tale situazione risulta comunque nota al condominio che non ha avanzato opposizione, aspetto che viene confermato anche dalla precedente titolare, sentita a testimone, che riferisce di avere costantemente fruito dell'area esterna per la collocazione di tavoli e sedie. Il condominio interviene al riguardo solo con la missiva del 10.1.19, con cui ordina la liberazione dell'area, che peraltro la attrice ha effettuato senza riserve. Questa intervenuta revoca dell'autorizzazione del condominio limita l'ambito temporale che l'attrice può indicare per la determinazione del risarcimento: a fronte della intervenuta restituzione, non potrà considerarsi a fini risarcitori, fermo quanto in seguito, il periodo dal 10.1 al 29.7.19. Venendo all'effettiva impossibilità di fruire dell'area nel periodo compreso tra il 28.7.18 ed il 10.1.19, si deve rilevare che nell'elaborato peritale depositato a definizione della denuncia di nuova opera avanzata dall'attrice nel giudizio n 968/18 RG di questo tribunale il CTU dopo aver descritto lo stato dei luoghi e analizzato le cause che hanno portato all'oggetto di controversia, ha rilevato che la messa in sicurezza compiuta dai Vigili del Fuoco in data 28.7 e subito dopo dalla ditta (...) s.r.l.s. è eseguita a regola d'arte. Tuttavia, come rilevato dallo stesso CTU, questi interventi hanno assunto carattere provvisorio, permanendo la necessità dei lavori di ripristino e definitivo consolidamento delle aree interessate dall'intervento di contenimento, che il CTU ha definito urgenti. Dalle conclusioni raggiunte dal CTU è risultata quindi ingiustificata la richiesta del condominio di rigetto del ricorso. Il CTU ha infatti documentato che anche alla data del sopralluogo continuassero a distaccarsi pezzi di intonaco, concretizzando il permanente rischio di caduta di calcinacci, pur se dall'intervento di messa in sicurezza alla data del sopralluogo, arco temporale di circa sette mesi, non si sono avuti crolli o incidenti. Pur nella correttezza degli interventi di contenimento, il CTU ha confermato la necessità degli interventi immediati di ripristino come unica soluzione atta a scongiurare anche nell'imminenza crolli sostanziali o incidenti a cose o persone. Questo stato di fatto permette così di individuare in primo luogo il nesso di causalità tra le condizioni del fabbricato e la conseguenza della mancata fruibilità da parte della (...) della sottostante area, come sino a quel momento fruita, non essendo dimostrata la completa eliminazione del rischio di ulteriori cadute di calcinacci per il periodo ulteriore a quello immediatamente successivo agli interventi di contenimento dei VVFF e della ditta incaricata dal condominio, vale a dire con un intervento di riparazione definitivo. Se dunque risulta provato che la attrice non ha potuto fruire dell'area a causa delle condizioni del cornicione, ed in tal senso confermato l'assunto dell'attrice, non altrettanto può dirsi relativamente alla quantificazione del danno. Quanto al periodo di inutilizzabilità, si è già rilevato che esso non può considerarsi ulteriore alla data del 10.1.19, quando è intervenuta la revoca dell'autorizzazione, e la attrice ha ottemperato alla richiesta di liberazione dell'area L'importo pro die indicato dall'attrice in domanda ammonta ad Euro 60,00, ma va rilevato che tale somma viene indicata sulla base di una perizia di parte che sul punto si limita alla mera indicazione senza riportare alcun elemento o documento oggettivamente valutabile, quale l'affluenza media della clientela giornaliera, o l'ammontare medio giornaliero degli incassi prima e dopo degli eventi dedotti in giudizio, o altro elemento utile a verificare la asserita riduzione dei ricavati del bar. La consistenza del danno subito da parte dell'attrice non è stata provata, perché la perizia di parte non può essere assunta a fondamento della decisione. Ne consegue che va riconosciuta la congruità, in difetto di qualunque altro elemento utile alla riconduzione del danno a termini monetari, dell'offerta formulata dal condominio in limine litis, nell'ammontare di Euro 2.500,00. Le spese di lite, liquidate in dispositivo secondo l'ammontare risultante all'esito del giudizio, possono essere parzialmente compensate tra le parti in quanto se per un verso non è risultato provato all'esito del presente giudizio il diritto dell'attrice a percepire somme ulteriori a quanto offerto dal condominio, va rilevato che da parte del condominio manca la prova dell'offerta effettuata prima della domanda giudiziale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara il condominio convenuto tenuto ad indennizzare l'attrice per la ridotta fruibilità dell'area esterna al bar, dichiara congrua a tale fine la somma offerta dal condominio nell'ammontare di Euro 2.500,00, e ne dispone il versamento in favore dell'attrice - Condanna il condominio al rimborso all'attrice del 50% delle spese di lite che liquida nell'intero in Euro 2.430,00 oltre rimborso spese generali CPA ed IVA se dovute, ed Euro 264,00 per esborsi. - Sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Lanciano l'1 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, all'esito dell'udienza in trattazione scritta del 15 settembre 2020, ha pronunciato ai sensi degli artt. 281-sexies c.p.c. e 221, c. 4, D.L. n. 34 del 2020 e successive modificazioni la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 28/2019 R.G. e vertente TRA (...) ((...)), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Mi. in virtù di mandato in atti; ATTORE E (...) S.R.L. ((...)), in persona dell'amministratore (...), (...) ((...)), (...) ((...)), elettivamente domiciliati in Lanciano, Via (...), presso lo studio dell'avv. Al.Uc., che li rappresenta e difende in virtù di mandato in atti; CONVENUTI avente a oggetto: opposizione all'esecuzione (art. 615, c. 2, c.p.c.) FATTO E DIRITTO 1. (...), creditrice esecutante, ha introdotto il presente giudizio di merito a seguito del ricorso in opposizione al processo di esecuzione (espropriazione presso terzi) instaurato, per l'importo di Euro 42.077,30, da (...) con pignoramento presso i debitores debitoris (...) s.p.a. e (...) s.p.a., notificato anche ai debitori esecutati (...) s.r.l., (...) (d'ora in avanti, (...)), (...); processo di esecuzione sospeso dal giudice dell'esecuzione di questo Tribunale con Provv. dell'11 ottobre 2018 in quanto "Da un sommario esame appare opportuno evidenziare, al di là di tutte le altre questioni, che il creditore non ha preventivamente escusso il patrimonio sociale". (...) s.r.l., (...) e (...) si sono costituiti chiedendo la declaratoria di improcedibilità, inammissibilità, infondatezza, estinzione dell'azione esecutiva; in via subordinata, eccependo in compensazione propri crediti e la non spettanza dei crediti per "competenze legali ripetute" e "interessi o voci così come reiterati". Il Tribunale ha concesso i termini ex art. 183, c. 6, c.p.c.; all'esito, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni, discussione e decisione ex art. 281-sexies c.p.c., disponendone poi la trattazione scritta ai sensi dell'art. 221, c. 4, D.L. n. 34 del 2020 e successive modificazioni. 2. L'opposizione è infondata. 2.1. I titoli esecutivi azionati da (...) sono titoli esecutivi giudiziali, in particolare decreti ingiuntivi di questo Tribunale del 5 aprile 2006 e del 3 maggio 2006 (che la sentenza di questo Tribunale del 3 settembre 2010, nel relativo giudizio di opposizione, "entrambi integralmente conferma"), pronunciati nei confronti di (...) s.a.s. di (...) e a favore di (...), imprenditore individuale con la ditta (...), per crediti da corrispettivo di prestazioni di "organizzazione di spettacoli musicali nei locali gestiti" dalla società di (...). Ebbene, il Tribunale premette quanto segue. Il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti di una società di persone può utilizzare tale titolo esecutivo anche per l'azione esecutiva nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (C. 21768/2019, C. 30441/2017, C. 18923/2013), anche in applicazione analogica della previsione di cui all'art. 477 c.p.c.. L'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, salvo che intervenga per trasferimento all'estero della sede della società (Tribunale Treviso, 31 maggio 2013), segna l'estinzione della società iscritta (se soggetta a iscrizione con valore di pubblicità legale) (art. 2495, c. 2, c.c., come modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 6 del 2003). La presenza di passività non estinte non è impeditiva della cancellazione e conseguente estinzione, e nemmeno di per sé sintomatica di una cancellazione intervenuta in mancanza dei presupposti di legge. In definitiva, il procedimento di liquidazione della società deve ritenersi ultimato con l'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, anche in presenza di obbligazioni sociali non estinte. Piuttosto, in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti si ha un fenomeno successorio (in sede di processo, da qualificare nell'art. 110 c.p.c., ma con prosecuzione del processo nei confronti di successori a titolo particolare, quali sono i soci), in virtù del quale (C. sez. un. 6070/2013) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione a seconda che, durante l'esistenza della società, essi fossero o non fossero illimitatamente responsabili per i debiti sociali; i soci limitatamente responsabili possono opporre ai creditori sociali il limite della propria responsabilità, ma tale limite rileva solo sul piano del contenuto della condanna, non sul piano della legittimazione passiva del socio a fronte della domanda del creditore. Secondo la giurisprudenza, il sistema deve essere interpretato nel senso che l'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese determina l'estinzione anche delle società di persone (commerciali o agricole, per le quali ultime l'iscrizione nella sezione speciale ha, dal 2001, efficacia di pubblicità legale: art. 2 D.Lgs. n. 228 del 2001) (C. sez. un. 4060, 4061, 4062/2010). La disciplina degli effetti della cancellazione per le società di persone si differenzia da quella per le società di capitali solo per il profilo della diversa natura da riconoscersi all'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese: nel secondo caso costitutiva dell'effetto estintivo, nel primo caso meramente dichiarativa dello stesso, nel senso che può fornirsi prova contraria alla intervenuta estinzione della società anche se essa è stata cancellata dal registro delle imprese; tale prova contraria, peraltro, non può avere a oggetto il fatto che vi siano dei rapporti non ancora definiti facenti capo alla società, in quanto fatto che non esclude l'estinzione; piuttosto, deve avere a oggetto il fatto (fatto "dinamico") che la società ha continuato a operare anche dopo l'intervenuta cancellazione. In virtù di quanto sopra, nel caso di società di persone cancellata dal registro delle imprese dopo la formazione del titolo esecutivo, l'azione esecutiva del creditore sociale potrà essere direttamente intrapresa, sulla base del medesimo titolo, contro i soci della stessa, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, il socio fosse limitatamente o illimitatamente responsabile per i debiti sociali. Con la trasformazione della società cambia, in modo più o meno accentuato, l'intero assetto organizzativo della società; ma la trasformazione non comporta l'estinzione della società e la nascita di un nuovo ente; con la trasformazione, infatti, "l'ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione" (art. 2498 c.c.); se la trasformazione comporta un mutamento del regime di responsabilità dei soci, i soci che erano illimitatamente responsabili nell'ente che ha effettuato la trasformazione non sono liberati dalla responsabilità per le obbligazioni sociali a seguito della trasformazione in ente nel quale per le obbligazioni sociali risponde solo l'ente stesso con il proprio patrimonio; essi restano responsabili per le obbligazioni sociali anteriori al momento di efficacia della delibera di trasformazione; ciò, salvo che i creditori sociali abbiano espresso il loro consenso alla trasformazione, che vale consenso alla liberazione di tutti i soci a responsabilità illimitata, e che è presunto nel loro silenzio dopo la conoscenza della delibera di trasformazione (art. 2500-quinquies c.c.). Allo stesso modo, in caso di fusione di società (in senso stretto o per incorporazione) l'estinzione delle società (fuse o incorporate) non dà luogo ad alcuna definizione dei rapporti con i terzi e fra i soci, avendosi, piuttosto, un trasferimento (successione universale) di tali rapporti in capo alla nuova società o alla società incorporante, che "assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione" (art. 2504-bis, c. 1, c.c.), sicché i creditori delle società estinte possono far valere i loro diritti sull'unitario patrimonio della società risultante dalla fusione; ciò, evidentemente, a maggior ragione nella prospettiva per cui anche nella fusione non si ha una vicenda estintiva e successoria, ma una vicenda meramente modificativa degli statuti, come nella trasformazione (C. sez. un. 2367/2006). Nelle società di persone le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci, ma obbligazioni della società, cui si aggiunge a titolo di garanzia, e in via sussidiaria (con beneficio di escussione), la responsabilità di tutti o di alcuni (solidale) dei soci (c.d. autonomia patrimoniale imperfetta); la responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente sorte (pattuite o ex lege) è estesa anche ai nuovi soci: chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio (art. 2269 c.c.); il beneficio di escussione opera in via di eccezione, previa indicazione dei beni sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi, nella società semplice (art. 2268 c.c.), allo stesso modo in cui opera per il fideiussore ove sia stato convenuto tra le parti (art. 1944, c. 2, c.c.); il beneficio di escussione opera invece automaticamente, ex lege, nella società in nome collettivo (art. 2304 c.c.); e nella società in accomandita semplice, quanto ai soci illimitatamente responsabili (artt. 2315 e 2318 c.c.); peraltro, evidentemente, il beneficio di escussione non può più essere fatto valere se la società è estinta (già solo sulla considerazione che in tal caso i soci non garantiscono le obbligazioni sociali, ma, come sopra detto, succedono nelle stesse); e, infatti, come altresì detto, nel caso di società di persone cancellata dal registro delle imprese dopo la formazione del titolo esecutivo l'azione esecutiva del creditore sociale potrà essere direttamente intrapresa contro i soci della stessa. Nella cessione di aziende inerenti a imprese commerciali la legge (art. 2560, c. 2, c.c. ) configura un accollo (esterno) legale cumulativo in capo al cessionario, il quale risponde dei debiti aziendali che risultino dai libri contabili obbligatori, a prescindere da un suo consenso espresso o tacito. L'accollo ex lege si giustifica in esigenze di tutela dei creditori, i quali devono poter contare sul patrimonio, oltre che del cedente, loro originario debitore, anche del cessionario, avendo questi ormai acquistato i beni aziendali cui i debiti sono collegati. Nei rapporti esterni con i creditori, allora, cedente e cessionario rispondono solidalmente dei debiti, salvo nei confronti dei creditori che abbiano consentito alla liberazione del debitore cedente; nei rapporti interni, invece, la tesi preferibile è quella per cui, in assenza di diversa pattuizione, non si verifica ex lege un passaggio inter partes dei debiti aziendali, dei quali, pertanto, nei rapporti interni, risponderà l'alienante. I vizi (di invalidità o di ingiustizia) dei titoli esecutivi giudiziali devono essere fatti valere con gli strumenti di impugnazione per essi previsti; sicché la perdita del diritto a impugnare o la non impugnabilità di un titolo esecutivo giudiziale comporta la perdita del diritto a farne valere i vizi, non potendo l'opposizione all'esecuzione divenire surrettiziamente strumento di impugnazione ulteriore rispetto a quelli previsti dall'ordinamento. Inoltre, se il titolo esecutivo è di formazione giudiziale, con l'opposizione all'esecuzione non può farsi valere l'eccezione di compensazione se il controcredito eccepito (C. 23573/2013) avrebbe potuto dedursi, in quanto già sorto, in eccezione di compensazione nell'ambito del giudizio che ha portato alla formazione del titolo (a esempio, nell'opposizione al decreto ingiuntivo); oppure sia ancora deducibile nel giudizio (a esempio di impugnazione) nel quale sia in discussione il titolo esecutivo giudiziale. Il debitore esecutato può opporre in compensazione (giudiziale) al creditore esecutante un controcredito anche ancora illiquido, purché sia di importo certamente superiore al credito azionato esecutivamente; infatti, l'illiquidità del controcredito opposto non impedisce al giudice dell'opposizione di accertarne l'entità, ove possibile senza dilazioni, "avendo il solo effetto, nelle more del giudizio di opposizione, di precludere al giudice dell'esecuzione la sospensione di quest'ultima" (C. 9686/2020); sicché è comunque escluso che il credito illiquido possa fondare la sospensione del processo esecutivo (salvo a ritenere che il giudice dell'opposizione all'esecuzione, nei casi in cui abbia il potere di disporre la sospensione, possa appunto disporla quando già in sede di valutazione, tipicamente cautelare, dei presupposti della sospensione sia possibile liquidare il credito eccepito), potendo solo operare come fattispecie estintiva del controcredito all'esito dell'accertamento ("ove possibile senza dilazioni") nel giudizio di opposizione. Peraltro, quando l'esistenza del credito eccepito in compensazione dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso tale credito non è liquidabile in altra sede che non sia quel separato giudizio (C. 9608/2013; C. 8338/2011; C. 10055/2004; C. sez. un. 23225/2016). La compensazione legale presuppone la certezza di entrambi i debiti. Ciò, secondo la giurisprudenza, anche nel senso che i debiti devono essere certi dal punto di vista processuale (certezza processuale). In particolare, il rapporto eccepito in compensazione deve essere stato accertato mediante sentenza passata in giudicato o, comunque, non deve essere contestato processualmente salvo, in quest'ultimo caso, che siano addotte prove documentali sicure (prove "liquide") e la contestazione appaia, pertanto, prima facie pretestuosa. Infatti, non è processualmente certo il credito riconosciuto in sentenza provvisoriamente eseguibile, perché la provvisoria esecutività comporta solo l'esigibilità temporanea del credito e non, invece, la certezza (C. 4423/1987). In definitiva, se l'eccezione di compensazione ha a oggetto un controcredito il cui accertamento è a sua volta oggetto di altro giudizio pendente e non ancora definito con pronuncia passata in giudicato, il giudice dell'eccezione di compensazione non può pronunciare né la compensazione legale, per difetto del presupposto della certezza, salve le predette mancata o pretestuosa contestazione; né la compensazione giudiziale, perché il credito eccepito è liquidabile solo nell'altro giudizio pendente. La compensazione (sia legale, sia giudiziale) presuppone la reciprocità dei debiti, ossia la sussistenza di rapporti di segno inverso tra le medesime parti (sostanziali). La cessione del credito qualifica qualsiasi negozio di alienazione che ha per oggetto il trasferimento della titolarità di un diritto di credito; il codice civile pone espressamente il principio della libera cessione dei crediti, a titolo oneroso o gratuito, anche senza il consenso del debitore, salvo che il credito abbia carattere strettamente personale o sussista un divieto legale o negoziale di cessione (art. 1260 c.c.); il credito si trasferisce con gli accessori, quali i diritti di garanzia, i poteri connessi al contenuto e all'esercizio del credito, gli interessi, i rimedi convenzionali contro l'inadempimento (art. 1263 c.c.). La cessione determina immediatamente l'effetto traslativo del credito e questo effetto è altresì immediatamente rilevante nei confronti del debitore, il quale a seguito della cessione non è più obbligato verso il cedente ma verso il cessionario. Ai sensi del codice civile, la cessione "ha effetto" nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata; ma anche prima dell'accettazione o notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato se il cessionario dimostra che il debitore stesso era a conoscenza dell'avvenuta cessione (art. 1264 c.c.). La disciplina viene allora ricostruita nel senso che l'immediato trasferimento del credito lascia impregiudicata la tutela del debitore di buona fede che confida nella persistente titolarità del credito in capo al cedente; l'accettazione, la notificazione, la conoscenza certa della cessione sono requisiti di efficacia della cessione stessa, nei rapporti tra cedente, cessionario e debitore ceduto, nel senso che rimuovono il limite della tutela del debitore di buona fede (C. 5786/1984); in altri termini, l'interesse del debitore ceduto specificamente tutelato dalla disciplina della cessione del credito è quello a non essere chiamato a pagare due volte. Il debitore ceduto può far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente; in particolare, le eccezioni relative ai fatti estintivi o modificativi del rapporto anteriori al trasferimento del credito o anche successivi al trasferimento del credito, ma solo fino al momento in cui ha accettato la cessione o questa gli è stata notificata o ne abbia avuto conoscenza certa; specificamente disciplinata è l'eccezione di compensazione (legale): al cessionario il debitore ceduto può opporre in compensazione i crediti vantati nei confronti del cedente di cui sia divenuto titolare fino al momento della notificazione della cessione (art. 1248, c. 2, c.c.), mentre l'accettazione della cessione gli preclude l'eccezione di compensazione (art. 1248, c. 1, c.c.). 2.2. Nel presente giudizio è allegato, non contestato (art. 115 c.p.c.) e comunque provato in virtù di produzioni documentali quanto segue. Il 13 ottobre 2009 è stata iscritta la modificazione dell'atto costitutivo quanto alla ragione sociale di (...) s.a.s. di (...) (d'ora in avanti, (...)), in (...) s.a.s. di (...) (d'ora in avanti, (...); visura storica (...), "data iscrizione 13/10/2009": "variazione della denominazione, denominazione precedente: (...) s.a.s. di (...)"); il 25 agosto 2011 (...) ha "venduto" a (...) s.r.l. i diritti inerenti all'azienda ("cessione di ramo di azienda" "avente ad oggetto l'attività di ristorazione, con somministrazione di alimenti e bevande, nonché l'attività di intrattenimento e gestione di sale da ballo"; nella quale si precisa che "Si intendono invece esclusi i debiti ed i crediti aziendali, i quali resteranno rispettivamente a carico ed a favore della società cedente, obbligandosi la medesima a rifondere alla società cessionaria quanto la stessa fosse tenuta a sborsare nei confronti dei creditori dell'azienda per effetto dell'art. 2560 c.c."); il 13 gennaio 2014 è stata iscritta la cancellazione di (...), a seguito di "scioglimento senza liquidazione". Il 24 luglio 2017 (...) e (...) hanno pattuito la cessione dei crediti del primo di cui ai decreti ingiuntivi e alla sentenza di rigetto delle relative opposizioni, di cui si è detto sopra, anche inerenti alla spese di lite liquidate in tali titoli giudiziali, per complessivi Euro 41.558,06; contratto di cessione notificato a (...), (...) e (...) s.r.l. con l'atto di precetto depositato il 14 febbraio 2018 e notificato il 5 marzo 2018. 2.3. Ebbene, in virtù di quanto sopra sono infondate le seguenti deduzioni degli opponenti. 2.3.1. È infondata la deduzione di "illegittimità dell'azione esecutiva promossa" per "omesso esperimento dell'azione revocatoria ordinaria quale condizione di procedibilità ex art. 2902 c.c. dell'azione esecutiva". (...) non ha interesse ad alcuna pronuncia costitutiva di inefficacia (relativa) di atti di disposizione (appunto, pronuncia di revocatoria di tali atti) perché ha comunque diritti di credito nei confronti degli esecutati. Infatti, come detto sub 2.1, con la trasformazione della società, e ovviamente a maggior ragione con la mera modificazione dell'atto costitutivo quanto alla ragione sociale ("variazione della denominazione"), restano ferme le obbligazioni dell'ente trasformato o modificato; nelle società di persone delle obbligazioni sociali rispondono illimitatamente i soci illimitatamente responsabili (e tali sono, nella società in accomandita semplice, i soci accomandatari, il nome di almeno uno dei quali deve essere indicato nella ragione sociale: art. 2314 c.c.); la responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente sorte (pattuite o ex lege) è estesa anche ai nuovi soci; infine, in caso di estinzione della società, le obbligazioni sociali si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione a seconda che, durante l'esistenza della società, fossero o non fossero illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Ne discende che (...) e (...), soci accomandatari indicati nella ragione sociale dell'unica società denominata prima (...) e poi (...), infine cancellata con iscrizione del 13 gennaio 2014, sono entrambe obbligate per le già obbligazioni sociali di cui ai decreti ingiuntivi e alla sentenza pronunciati nei confronti di (...) (decreti ingiuntivi del 5 aprile 2006 e del 3 maggio 2006; sentenza del 3 settembre 2010). Ed è appena il caso di ribadire che i soci non possono far valere il beneficio di escussione rispetto a una società estinta, come detto e specificato sub 2.1. Quanto invece alla società di capitali (...) s.r.l., come altresì detto sub (...) nella cessione di aziende inerenti a imprese commerciali l'art. 2560, c. 2, c.c. configura un accollo esterno legale cumulativo in capo al cessionario; e tale accollo è confermato, anziché escluso, dalla previsione del contratto di "cessione di ramo di azienda" del 25 agosto 2011, lì dove le parti pattuiscono che si "intendono ... esclusi i debiti ed i crediti aziendali, i quali resteranno rispettivamente a carico ed a favore della società cedente, obbligandosi la medesima a rifondere alla società cessionaria quanto la stessa fosse tenuta a sborsare nei confronti dei creditori dell'azienda per effetto dell'art. 2560 c.c.", perché, richiamato espressamente l'art. 2560 c.c., la pattuizione non fa che confermare quanto più sopra detto, ossia che, in caso di cessione di azienda, nei rapporti interni tra cedente e cessionaria non si verifica ex lege un passaggio inter partes dei debiti aziendali, dei quali, pertanto, nei rapporti interni, risponderà l'alienante: in tal senso, con la predetta pattuizione (...) si è appunto obbligata a manlevare (quindi con effetto limitato ai rapporti interni e con implicita pattuizione di accollo del cessionario nei rapporti esterni, che si aggiunge all'accollo ex lege) quanto (...) s.r.l. avesse "sborsato" (proprio in virtù dell'accollo esterno) ai creditori dell'azienda ai sensi dell'art. 2560 c.c.. A ciò si aggiunga che, a fronte di una "cessione di ramo di azienda" pattuita nell'agosto 2011 e di una iscrizione di cancellazione (senza liquidazione) di (...) nel gennaio 2014, sussistono consistenti indici di presunzione nel senso che la complessiva operazione articolatasi in primo luogo nell'atto di cessione a (...) s.r.l. debba essere qualificata come fusione per incorporazione di (...) in (...) s.r.l., alla quale conseguirebbe, altresì, come detto sub 2.1, che i creditori della estinta (...) possono far valere i loro diritti sul patrimonio di (...) s.r.l. 2.3.2. Sono infondate le eccezioni di "difetto di legittimazione attiva della esecutante (...) alla prosecuzione dell'azione esecutiva già avviata da (...) - cedente del credito - simulazione"; e "illegittimità della cessione del credito" da (...) o (...) "ai fini dell'attivazione della procedura esecutiva: carenza dei requisiti per violazione di legge artt.li 1263-1264 c.c.". L'atto di cessione del credito da (...) e (...), come detto, è stato notificato insieme all'atto di precetto di (...); sicché, è efficace nei confronti dei debitori ceduti quantomeno da tale momento, che è precedente l'inizio dell'esecuzione (l'esecuzione per espropriazione inizia con il pignoramento). Che (...) abbia "già posto in esecuzione i medesimi titoli (azionati oggi) nell'anno 2011" è evidentemente irrilevante, considerando che si tratta di processi esecutivi dichiarati "estinti" (da tempo: nel 2011 e nel 2013, come da produzioni degli stessi opponenti). Come detto sub (...), la notifica della cessione del credito, nei rapporti tra cedente, cessionario e debitore ceduto, ha esclusivamente l'effetto di rimuovere il limite della tutela del debitore di buona fede (C. 5786/1984); e può avvenire in qualsiasi momento rispetto alla perfezione del negozio di cessione. Nel caso di specie, il contratto di cessione del credito è stato notificato ai debitori ceduti con l'atto di precetto, il 5 marzo 2018; né gli opponenti possono sul punto dedurre alcun pagamento precedente, non avendo pagato alcunché ad alcuno (né a cedente, né a cessionario); ai fini dell'efficacia della cessione è poi ovviamente irrilevante che gli opponenti abbiano notificato dopo la notificazione della cessione atto contenente dichiarazione di "non accettare la cessione del credito". Come già detto, l'atto di cessione ha avuto anche espressamente a oggetto i crediti per spese di lite liquidate nei titoli giudiziali azionati ("il cedente è creditore della somma" "nonché spese di giudizio liquidate complessivamente in" "ed accessori come per legge"); sicché è non pertinente il richiamo degli opponenti all'art. 1263 c.c., che piuttosto definisce l'ambito oggettivo del trasferimento per cessione del credito, con riferimento agli accessori dello stesso (in primo luogo, garanzie), in difetto di espressa pattuizione (come invece, appunto, nel caso di specie). Anche la confusa deduzione di "simulazione" della cessione è infondata. A supporto gli opponenti allegano altresì una "incapacità di intendere e di volere" di (...), che però è contraddetta dal fatto che la stessa abbia personalmente sottoscritto il mandato difensivo per il precetto notificato agli opponenti. D'altronde, (...) non aveva alcun interesse a una simulazione della cessione del credito. Infatti, pur essendo possibile che (...) volesse cedere a (...) i crediti oggetto dell'esecuzione per sottrarsi ad alcune eccezioni degli opponenti (in primo luogo, eccezioni di compensazione, di cui si dirà oltre; ma i controcrediti di cui a tali eccezioni, al momento della notifica del precetto, non erano nella titolarità dei debitori esecutati, che pertanto non glieli avrebbero potuti eccepire in compensazione, salvo il minor credito per spese di lite di (...) s.r.l.), ciò poteva ottenere senza pattuire alcuna inefficacia (per simulazione) della cessione del credito ma, piuttosto e più semplicemente, pattuendo una obbligazione di retrocessione delle somme di cui ai crediti ceduti, una volta riscossi da (...) a mezzo del processo espropriativo. Il che, appunto, renderebbe (...) effettivamente titolare (per cessione non meramente apparente) dei crediti ceduti. 2.3.3. Dell'eccezione di "difetto di legittimazione passiva all'esecuzione da parte delle opponenti ed in particolare della (...) srl quale società di capitali mai indicata nei titoli alla base dell'esecuzione" si è già detto sub (...). 2.3.4. Quanto alle prolisse deduzioni degli opponenti sulla "falsità" delle fatture poste a fondamento dei titoli esecutivi azionati, esse integrano una inammissibile contestazione di vizio (di ingiustizia) di titolo esecutivo giudiziale, tra l'altro passato in giudicato; se davvero gli opponenti intendono coltivare tali deduzioni, devono farlo proponendo impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 2, c.p.c., non certo invocando nella presente sede successivi (del 14 giugno 2012) provvedimenti penali nei confronti di (...), tra l'altro di richiesta di archiviazione, nei quali si prospetta che (...) con la "emissione" "di fatture relative a prestazioni d'opera in realtà non effettuate aveva il fine ... di costituirsi prove documentali da azionare in sede civile (con il procedimento monitorio) nei confronti dei presunti beneficiari delle prestazioni". 2.3.5. È infondata l'eccezione di compensazione. Con la stessa gli opponenti fanno valere due crediti aventi anch'essi titolo giudiziale; un credito per spese di lite di cui a sentenza di questo Tribunale di accoglimento di opposizione a decreto ingiuntivo, del 10 febbraio 2011, recante condanna di (...) al pagamento (rimborso), a tale titolo, in favore di (...) s.r.l., della somma di Euro 4.199,17 più esborsi (Euro 99,17), spese generali e accessori; e un credito per condanna al risarcimento del danno in giudizio penale per calunnia a carico di (...), di cui a sentenza della Corte d'Appello de L'Aquila del 16 marzo 2015, che prosciogliendo l'imputato perché il reato è estinto per prescrizione, ha rideterminato (ridotto rispetto agli Euro 15.000,00 di cui alla sentenza di primo grado) la condanna risarcitoria dello stesso in favore della parte civile (...) in Euro 8.000,00, oltre spese del grado liquidate in Euro 1.200,00 per compensi, spese generali al 15% e accessori; sentenze delle quali non sono controversi, rispettivamente, il passaggio in giudicato e l'irrevocabilità. Come detto sub 2.1, il debitore esecutato può opporre in compensazione legale un credito processualmente certo (come nel caso di specie) che sia sorto dopo la definizione del giudizio che ha portato alla formazione del titolo esecutivo giudiziale contro di lui azionato (come ancora nel caso di specie, essendo entrambe le sentenze di cui si è appena detto successive alla sentenza di rigetto delle opposizioni a decreto ingiuntivo del 3 settembre 2010); peraltro, come altresì detto, per un verso la compensazione presuppone la reciprocità dei crediti (ossia la sussistenza di rapporti di segno inverso tra le medesime parti), per altro verso il debitore ceduto può opporre in compensazione al cessionario i crediti vantati nei confronti del cedente di cui sia divenuto titolare fino al momento della notificazione della cessione (art. 1248, c. 2, c.c.). Ebbene, nel caso di specie, innanzitutto, titolare dei crediti azionati nei confronti degli opponenti non è (più) (...) ma, appunto, (...); in secondo luogo, gli opponenti sono divenuti titolari (o diversamente titolari, quanto alla cessione da (...) s.r.l. a (...), ma qui appunto vale comunque quanto appena detto sulla inopponibilità a (...) anche da parte di (...) s.r.l.) dei crediti che eccepiscono in compensazione, in virtù dei due atti di cessione del credito da (...) (Euro 17.664,48; ma il credito è stato ridotto dalla Corte d'Appello de L'Aquila, come sopra detto) e (...) in "qualità" di amministratore di (...) s.r.l. (Euro 5.202,08) a (...), solo dopo la notificazione della cessione (notificazione del precetto da parte di (...) del 5 marzo 2018); infatti, ai sensi dell'art. 2704 c.c., ai fini della opponibilità della scrittura privata ai terzi, ossia ai titolari di una situazione soggettiva indipendente e incompatibile, la data della scrittura deve essere "certa" e nel caso di specie, in relazione agli atti di cessione del credito da (...) e, per quanto possa rilevare, (...) s.r.l., è riconducibile ai fatti rilevanti ai fini della determinazione della data, indicati nel medesimo art. 2704 c.c., solo la "velina" di invio della relativa raccomandata di notifica a (...), che reca data, per entrambi gli atti di cessione, 10 marzo 2018, ossia successiva alla notifica del precetto e della cessione dei (...) (come detto, 5 marzo 2018). Sicché al momento di efficacia nei loro confronti della cessione del credito tra i (...) gli opponenti non erano titolari (salvo, in parte, (...) s.r.l.) dei crediti che pretendono di eccepire in compensazione. 2.4. L'eccezione degli opponenti di "abuso di azione esecutiva per omessa indicazione della già avvenuta e percepita liquidazione di somme - sugli stessi titoli - di altre procedure esecutive nn.ri 471/10 e 505/10" è infondata. Come detto sub (...), i precedenti processi esecutivi su medesimi titoli instaurati da (...) sono stati dichiarati estinti nel 2011 e nel 2013, come risulta dalle produzioni degli stessi opponenti (all. 1 e 2); da tali produzioni risulta altresì che le somme ricavate all'esito dei processi esecutivi (Euro 2.263,40; Euro 600,00) non sono state nemmeno sufficienti a coprire le "spese di esecuzione", sicché nessuna estinzione parziale del credito, nessuna duplicazione di crediti, nessun effetto di "locupletare indebite somme" è configurabile. 2.5. Le eccezioni relative agli interessi e alla "illegittima ripetizione degli onorari e spese in tema di duplicazione del precetto in reitera" sono generiche e infondate. In primo luogo, è (dovrebbe) essere evidente che a diversi processi esecutivi (diversità che nel caso di specie risulta già dalla estinzione, a ben vedere definizione con sostanziale incapienza, dei precedenti processi esecutivi), persino se instaurati dal medesimo creditore (il che non è, almeno formalmente, nel caso di specie, in quanto creditore esecutante nel processo esecutivo per cui è la attuale controversia, tra l'altro a distanza di svariati anni dai primi processi esecutivi, è (...) e non (...)), corrispondono distinti crediti per spese di lite. In secondo luogo, la contestazione sugli interessi moratori è del tutto generica; il precetto di (...) dettaglia compiutamente gli interessi (di mora) in relazione a ciascuno dei crediti di cui ai due decreti ingiuntivi del 2006; e che gli interessi non siano stati conteggiati al tasso di cui alla pur richiamata normativa ex D.Lgs. n. 231 del 2002 (comunque applicabile a decorrere dalla modifica del 2014 all'art. 1284 c.c.) risulta evidente già solo dalle somme indicate come esito del conteggio (Euro 4.543,12; Euro 901,49), se si considera che i crediti azionati sono esigibili e attuali (e pertanto sugli stessi sono decorsi gli interessi moratori) quantomeno dal 2006 (non essendo evidentemente necessaria una ingiunzione o una condanna esecutive perché sul credito pecuniario, a maggior ragione di valuta, decorrano gli interessi di mora). 2.6. La sospensione del processo esecutivo cessa o nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione oppure, per quanto qui maggiormente rileva, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l'opposizione. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in base ai parametri recati dal D.M. n. 37 del 2018. Il Tribunale ritiene che non sussistano i presupposti per le condanne ex art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, così provvede: a) rigetta l'opposizione; b) condanna (...) s.r.l., in persona del rappresentante legale pro tempore, (...), (...), in solido, al rimborso, in favore di (...), delle spese di lite, che liquida in Euro 5.534,00 per compensi, Euro 545,00 per spese documentate, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge. Così deciso in Lanciano il 6 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Riccardo Audino Presidente dott.ssa Chiara D'Alfonso Giudice dott.ssa Maria Rosaria Boncompagni Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 894 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2017, vertente tra SI.SA. (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv.ti Ug.D'I. e Ma.D'I., elettivamente domiciliato presso i difensori, - Attore e RO.GI. (C.F. (...)) e TH.SA., con il patrocinio dell'avv. Ma.De., elettivamente domiciliati presso il difensore, - Convenuti Oggetto: contratto di vitalizio assistenziale - azione di nullità - reintegrazione di legittima RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione ritualmente notificato, Si.Sa., figlio del defunto An.Sa., conveniva in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale, la madre Ro.Gi. ed il fratello Th.Sa., dunque rispettivamente coniuge e figlio del de cuius, chiedendo, preliminarmente, la declaratoria di nullità del "contratto di assistenza", stipulato il 16 luglio 2015 tra An.Sa., per mezzo di Ro.Gi., sua moglie, quale procuratrice speciale, ed il figlio Th.Sa. (a rogito del notaio Gi.So. in Lanciano, rep. n. 70207 - racc. n. 17888). Tanto al fine di poter conferire i beni che ne furono oggetto alla massa ereditaria del de cuius, unitamente agli ulteriori beni immobili e mobili indicati nell'atto di citazione, della quale l'odierno attore chiedeva altresì procedersi a scioglimento e divisione - "se del caso anche in eventuale reintegrazione della quota di legittima nel caso si attribuisse un qualche valore giuridico diverso al vitalizio impugnato" - in conseguenza dell'apertura della successione legittima in data 22 marzo 2017, ovvero alla morte del padre An.Sa.. Segnatamente, quanto alla proposta azione dichiarativa di nullità, l'attore esponeva che il contratto de quo prevedeva la cessione da parte del padre An.Sa. in favore del fratello Th.Sa. di una nuda proprietà su un immobile e della piena proprietà su altro immobile, entrambi siti nel Comune di Montazzoli (cfr. art. 1 del contratto de quo), il cui corrispettivo consisteva nell'assunzione dell'obbligo, da parte del fratello, di prestare, in favore dei genitori, "loro vita natural durante, tutta l'assistenza necessaria al loro mantenimento, anche in caso di malattia, assicurando ai medesimi vitto, alloggio e cure mediche' (cfr. art. 2 del contratto in discorso). In particolare, l'attore deduceva la nullità di detto "contratto di assistenza" in ragione dell'asserito difetto di alea, integrante elemento strutturale della pattuizione de qua, in quanto le parti stipulanti erano a conoscenza della patologia del vitaliziato che, secondo la prospettazione attorea, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, tant'è che, come esposto da parte attrice, anche il conferimento della procura da parte di An.Sa. in favore della moglie Ro.Gi. per la stipulazione del contratto in discorso veniva acquisita dal notaio in data 18 giugno 2015 presso l'ospedale di Atessa. 2. Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali avversavano le domande di parte attrice, contestando, anzitutto, la dedotta invalidità dello stipulato "contratto di assistenza", stante la ritenuta sussistenza dell'alea contrattuale, stante l'incertezza sia in ordine al vantaggio economico di una parte ed al corrispettivo sacrificio dell'altra, sia in ordine alla imprevedibile durata della vita del beneficiario e all'incertezza delle prestazioni cui è tenuto l'obbligato, che deve sussistere unicamente al momento della conclusione del contratto. In particolare, i convenuti hanno rilevato come, anche sulla base delle cartelle cliniche prodotte da parte attrice, lo stato di salute del de cuius Sa. al momento della stipulazione del contratto fosse segnato da una compromissione della motricità, anche in stretta correlazione con gli esiti neurologici stabilizzati dell'ictus, che potevano far prevedere sicuramente un significativo carico assistenziale, ma non una prognosi infausta a breve distanza di tempo, e comunque, per un tempo assolutamente imprevedibile, tanto che il Sa. non è deceduto per le complicanze dell'ictus che lo aveva condotto alla seminfermità nel momento della stipula del contratto per cui è causa, ma per complicanze cardiache non prevedibili. Quanto alla domanda di divisione, i convenuti contestavano l'afferenza al patrimonio del de cuius di taluni dei beni inclusi nel relictum dall'odierno attore - segnatamente, i beni pervenuti ad An.Sa. in qualità di erede del fratello premorto Angelo ed il compendio aziendale in Montazzoli avente ad oggetto l'attività di bar, ristorante ed albergo, asseritamente gestita, secondo l'attore, dal convenuto Th.Sa. e dalla compagna Ro.Fa. - escludendone la titolarità in capo ad An.Sa. al momento della sua morte. Inoltre, i convenuti chiedevano che, ai fini della ricostruzione della massa ereditaria, si tenesse conto anche della donazione effettuata dal de cuius in favore dell'odierno attore in data 21 febbraio 2002, avente ad oggetto un immobile sito in Montazzoli (doc. 20 allegato alla comparsa di costituzione). 3. Assegnati i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., il giudice precedente assegnatario del fascicolo disponeva, preliminarmente CTU medico-legale al fine di descrivere lo stato di salute generale del vitaliziato An.Sa. in sede di stipula del contratto impugnato (16 luglio 2015), accertare le pregresse patologie delle quali lo stesso era affetto e se poteva o meno attendersi, con certezza o con elevato grado di probabilità, l'esito letale imminente o prossimo dello stesso vitaliziato. All'esito dell'espletata CTU la causa perveniva dinanzi a questo giudice che, ritenuta l'opportunità di decidere preliminarmente sulla domanda di parte attrice concernente la validità del "contratto di assistenza" stipulato il 16 luglio 2015, fissava udienza di precisazione delle conclusioni, svoltasi nelle forme di cui all'art. 83, comma 7, lett. h), d.l. 17 marzo 2020, n. 18 e successive modificazioni, come indicate nel decreto del 19 giugno 2020, ovvero mediante il deposito in telematico, da parte dei difensori delle parti, di sintetiche note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni relative agli adempimenti processuali previsti. Rilevata la comparizione delle parti a mezzo di tempestivo deposito delle predette note e preso atto delle conclusioni ivi rassegnate, con ordinanza del 14 luglio 2020, la causa veniva, dunque, trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., con rimessione al Collegio visto il disposto dell'art. 50bis c.p.c. Invero, la composizione dell'organo chiamato alla decisione della causa va determinata in ragione delle domande proposte, tra le quali ricorre anche un'azione di riduzione per lesione di legittima ovvero per l'eventuale reintegrazione della quota di legittima (cfr. supra, sub paragrafo 1). 4. La domanda di parte attrice deve essere rigettata per le ragioni di seguito evidenziate. Preliminarmente, è opportuno rilevare che, in forza del "contratto di assistenza" in discorso, il de cuius An.Sa. aveva ceduto al figlio Th.Sa. (odierno convenuto) il diritto di nuda proprietà su un immobile e della piena proprietà su altro immobile, entrambi siti nel Comune di Montazzoli (come individuati all'art. 1 del contratto de quo), mentre il cessionario, quale corrispettivo del trasferimento in suo favore, si era impegnato a prestare al cedente ed a sua moglie Ro.Gi. (madre dello stesso convenuto) "loro vita natural durante, tutta l'assistenza necessaria al loro mantenimento, anche in caso di malattia, assicurando ai medesimi vitto, alloggio e cure mediche" (cfr. art. 2 del contratto in discorso). Ciò premesso, si evidenzia che il negozio de quo deve essere qualificato in termini di vitalizio alimentare o assistenziale, integrante contratto atipico di mantenimento, caratterizzato dall'essenziale requisito dell'aleatorietà, da individuare attraverso la comparazione delle prestazioni secondo un giudizio di presumibile equivalenza o palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato (cfr., tra le altre, Cass. sez. II, 23 novembre 2016, n. 23895). Ciò in quanto l'aleatorietà del contratto è in funzione dell'incertezza obiettiva iniziale della vita e della conseguente eguale incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio (così, Cass. sez. II, 24 giugno 2009, n. 14796, che richiama Cass. sez. II, 7 giugno 1971, n. 1694; Cass. sez. II, 29 agosto 1992, n. 9998). Come ulteriormente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel contratto di vitalizio assistenziale l'alea è necessariamente più accentuata rispetto al contratto di rendita vitalizia configurato dall'art. 1872 c.c., in quanto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni (anche in ragione dell'età e della salute) del beneficiario (Cass. sez. II, 31 ottobre 2016, n. 22009; Id., sez. II, 22 aprile 2016, n. 8209; Cass. 9 ottobre 1996, n. 8825). Invero, l'alea è correlata a un duplice fattore di incertezza, costituito dalla durata della vita del vitalizio e dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto al suo stato di bisogno e di salute (Cass. n. 22009 del 2016, cit., che richiama Cass. 12 febbraio 1998, n. 1502). In questo tipo di vitalizio, con riferimento all'età e allo stato di salute, l'alea è dunque esclusa soltanto se, al momento della conclusione del contratto, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, ovvero se il beneficiario abbia un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile (cfr. Cass. sez. II, 23 novembre 2016, n. 23895; Id., sez. II, 19 luglio 2011, n. 15848, nonché, Cass. sez. II, 24 giugno 2009, n. 14796). Tanto premesso il Collegio, muovendo dai sopra richiamati principi della giurisprudenza di legittimità, reputa che, nel caso di specie, avendo riguardo all'incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante in favore di entrambi i genitori ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo del vitalizio, non possa ritenersi l'insussistenza dell'alea sottesa alla pattuizione in discorso e dunque la nullità dello stesso, come asserita dalla parte attrice. Invero, si reputa che, che sulla scorta delle conclusioni cui è pervenuto il CTU non possa anzitutto ritenersi l'insussistenza dell'alea relativamente al rapporto contrattuale instauratosi tra il vitaliziato An.Sa. ed il vitaliziante Th.Sa.. Invero, il Consulente tecnico ha provveduto a ripercorrere la storia clinica del de cuius An.Sa. a far data dal 2004, dando atto delle diverse patologie manifestatesi nel corso degli anni, che ne hanno segnato in modo significativo il quadro clinico (tra cui "infarto acuto cerebellare dx", "endocardite batterica ed infezione urinaria in portatore di catetere vescicale a permanenza" e, da ultimo, nel 2017, "scompenso cardiaco"), comportando anche diversi periodi di ricovero del predetto presso strutture sanitarie (si rinvia al contenuto della CTU di cui a p. 2 e ss. per l'esposizione di dettaglio). Inoltre, nel replicare alle osservazioni formulate dal CTP dei convenuti, il CTU ha precisato che il Sa. è stato sottoposto a dieci ricoveri nel 2014 per patologie severe ed a quattro ricoveri nel 2015 per aggravamento di dette infermità. In particolare, il CTU ha rilevato che, nel 2015, il predetto fu ricoverato, da ultimo, tra il 30 maggio 2015 ed il 9 luglio 2015 - dunque, sino a pochi giorni prima della stipulazione del contratto de quo, avvenuta il 16 luglio 2015 - presso l'ospedale di Atessa, con diagnosi di "endocardite batterica sub acuta della valvola mitralica; esiti di ictus ischemico con emiparesi sinistra; vasculopatia fibrocalcifica carotidea; diabete mellito insulino dipendente; catetere vescicale a permanenza", con l'ulteriore precisazione che, in data 8 luglio 2015, una consulenza cardiochirurgica aveva sconsigliato la sostituzione chirurgica della valvola mitralica per l'elevato rischio operatorio (in particolare per le problematiche neurologiche). Sicché, il CTU ha osservato che, alla data del 16 luglio 2015, data di stipulazione del contratto de quo, il Sa. era affetto da "esiti neurologici del pregresso ictus cerebellare: impossibilità alla stazione eretta, ipostenia agli arti di sinistra, dismetria agli arti di destra, segno di babinski positivo a destra; grave disartria e lieve disfagia con facilità alle polmoniti ab ingestis, vescica neurologica", così da ritenere, conclusivamente, che "nel luglio 2015 le importanti comorbilità hanno esercitato un rilevante ruolo favorente il decesso: endocardite batterica sub acuta della valvola mitralica; vasculopatia fibrocalcifica carotidea; diabete mellito insulino dipendente; catetere vescicale a permanenza; compenso cardiaco labile in paziente affetto da cardiopatia ischemica post infartuale con insufficienza mitralica moderata ad elevato rischio operatorio". Conseguentemente, il CTU ha ritenuto che, "senza dubbio alcuno la grave sindrome da cui era affetto An.Sa. rendeva la prognosi oltremodo severa; con il "criterio del più probabile che non", era tale da far prevedere alla data del 16.07.2015 (stipula del contratto impugnato) non solo una impossibilità del completo recupero funzionale, ma un esito letale prossimo dello stesso vitaliziato". Ciò posto, si reputa che quanto osservato dal CTU non possa implicare l'esclusione dell'alea sottesa al vitalizio assistenziale de quo, alla luce, anzitutto, del lungo lasso temporale intercorso tra la stipulazione di detto contratto, risalente al 16 luglio 2015, ed il decesso del Sa., avvenuto il 22 marzo 2017, trattandosi di circostanza a fronte della quale appare quantomeno poco verosimile ipotizzare la sussistenza, al momento della conclusione del contratto, dell'estrema probabilità di un rapido esito letale del vitaliziato, individuata dalla giurisprudenza di legittimità quale condizione in presenza della quale l'aleatorietà del contratto è da ritenersi esclusa. Né a conclusioni diverse si perviene avendo riguardo all'età del Sa. al momento della stipulazione del contratto, pari a 64 anni, dunque di certo non talmente avanzata da poter concludere che lo stesso non potesse sopravvivere, di certo o comunque secondo un'elevata probabilità, oltre un arco di tempo determinabile, pure in presenza di un quadro clinico segnato da diverse patologie qual era quello del vitaliziato. D'altronde, è lo stesso CTU a dare atto che, dopo i ricoveri del 2015 - l'ultimo fino a qualche giorno prima della stipulazione del vitalizio in discorso - "il quadro clinico già severamente compromesso, precipita ulteriormente. Ricovero dal 14 Gennaio 2017 al 26 Gennaio 2017 nella U.O. di Medicina dell'OC Di Lanciano", con la diagnosi di scompenso cardiaco. Circostanza dalla quale è desumibile la sussistenza, nel 2015, di un quadro clinico compromesso ma stabilizzatosi, poi ulteriormente aggravatosi ma soltanto nel 2017, come, per vero, pure evidenziato dallo stesso CTU, nella parte dell'elaborato peritale (p. 21 e ss.) in cui, replicando alle osservazioni del CTP dei convenuti, ha escluso che An.Sa., prima della stipula del contratto del 16 luglio 2015, versasse in condizioni generali "soddisfacenti e che godesse di relativa buona salute", con la precisazione che "certamente le condizioni generali erano stabili, stazionarie ma nella loro gravità". Peraltro, il CTU, ha evidenziato come il decesso del Sa. fosse da ricondurre alla coesistenza di più patologie di cui lo stesso era affetto ovvero alla sussistenza di "comorbilità che hanno esercitato rilevante ruolo favorente il decesso", rendendo "la prognosi oltremodo severa", senza, tuttavia, quantificare con quale probabilità, al momento della stipulazione del contratto de quo, poteva prevedersi come prossimo l'evento morte del Sa., benché verificatosi, come già evidenziato, quasi due anni dopo. Da ultimo, può quindi ritenersi che la dedotta precarietà delle condizioni di salute del Sa. non fosse tale da farne prevedere il decesso a distanza di breve tempo, come suffragato, in concreto, dalla circostanza che il vitaliziato ha continuato a vivere per quasi due anni dopo la stipula del contratto in discorso. Inoltre, proprio quanto rilevato dal CTU in ordine al quadro clinico particolarmente compromesso del Sa. (nell'elaborato peritale si fa riferimento alla "impossibilità del completo recupero funzionale"), induce a ritenere che, al momento della stipulazione del vitalizio assistenziale per cui è causa, l'impegno assunto dal vitaliziante, odierno convenuto, potesse prevedersi come oneroso ancorché difficilmente prevedibile nella relativa entità, in quanto legata all'evolversi del complesso quadro morboso da cui era affetto l'assistito vitaliziato. Sicché, nella specie, tenuto conto della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza di An.Sa. al momento della stipula del contratto in discorso e sulla gravosità delle prestazioni assunte dal vitaliziante Th.Sa., ben può ravvisarsi l'elemento dell'alea, costituito dall'impossibilità di prevedere in anticipo i vantaggi e le perdite ai quali le parti sarebbero andate incontro con la stipulazione dell'atto ovvero dall'incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante (dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure) ed il valore dei beni ceduti in corrispettivo al vitaliziante. In considerazione di quanto già sopra precisato circa la valutazione di aleatorietà al momento della stipulazione del contratto in discorso - da riferirsi all'incertezza in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante ed il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo - l'elemento dell'alea è da ritenersi vieppiù sussistente in relazione agli obblighi assunti dal vitaliziante nei confronti della madre Ro.Gi., ulteriore beneficiaria del vitalizio assistenziale de qua, parte convenuta nel presente giudizio. Tanto in ragione dell'età non avanzata della vitaliziata al momento della conclusione del contratto (57 anni) e della circostanza che non ricorrono in atti allegazioni circa lo stato di salute della vitaliziata implicanti valutazioni di segno diverso. Conclusivamente, sulla scorta di quanto sopra osservato, deve essere rigettata la domanda di nullità avanzata dall'attore, avente ad oggetto il contratto di vitalizio assistenziale stipulato in data 16 luglio 2015. A tanto consegue, altresì, il rigetto dell'azione volta alla reintegrazione della quota di legittima, stante la validità del contratto e dunque l'esclusione dei beni oggetto del contratto de quo dall'asse ereditario del de cuius An.Sa., gli stessi non essendo parte del relativo patrimonio al momento dell'apertura della successione. La causa deve essere rimessa sul ruolo per la prosecuzione del giudizio quanto alle ulteriori domande avanzate dalla parte attrice ed a tal fine si provvede come da separata ordinanza. 5. La regolamentazione delle spese deve essere differita alla pronuncia definitiva, che conclude l'intero giudizio di merito, posto che soltanto in relazione all'esito finale della lite ovvero quando essa viene decisa nella sua interezza si procede alla valutazione unitaria e globale della soccombenza (cfr., da ultimo, Cass. sez. II, 19 ottobre 2020, n. 22650). P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, in composizione collegiale, non definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 894 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2017, così provvede: - rigetta le domande di parte attrice di dichiarazione di nullità del contratto di assistenza stipulato il 16 luglio 2015 (rep. n. 70207 - racc. n. 17888) e di reintegrazione della quota di legittima; - dispone circa l'ulteriore corso del giudizio come da separata ordinanza; - spese al definitivo. Così deciso in Lanciano il 17 dicembre 2020. Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LANCIANO AFFARI CONTENZIOSI CIVILI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Chiara D'Alfonso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 315/2019 promossa da: (...) S.P.A. (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. DI.AL. (c.f. (...)) domiciliato in VIA (...) 66034 LANCIANO ITALIA ATTORE OPPONENTE contro (...) SPA (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. DI.MA. (c.f. (...)) domiciliato in CORSO (...) PESCARA CONVENUTA OPPOSTA Oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 22.3.2019, la (...) S.p.A. proponeva formale opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 36/2019 concesso in favore della (...) S.p.A. dal Tribunale di Lanciano con il quale le è stato ingiunto, in via solidale con il Comune di Palombaro, il pagamento della somma pari ad Euro 61.460,52, oltre gli interessi come da domanda e le spese della procedura liquidate in Euro 1.981,00. Il Comune di Palombaro non promuoveva opposizione avverso il suddetto decreto mentre la (...) spa opponeva il decreto chiedendone la revoca in difetto dei presupposti ex artt. 633 e 634 c.p.c. per la sua emissione. Infatti, ha assunto la (...) S.p.A., che il decreto ingiuntivo emesso sulla base delle sole fatture della (...) SPA non fosse idoneo a provare il credito nel successivo giudizio di opposizione essendo documenti di formazione unilaterale, senza alcuna efficacia probatoria nei confronti dei terzi. Inoltre non vi sarebbe prova del credito nella sua consistenza, e quindi certezza, sia con riguardo alla opponente (...) S.p.A. atteso che le fatture prodotte risultano emesse nei confronti del solo COMUNE DI PALOMBARO. Il giudizio è stato iscritto col n. 315/2019 R.G. del Tribunale di Lanciano e, con comparsa del 2.5.2019, si è costituita la (...) S.p.A. contestando i profili richiamati nella avversa opposizione. In particolare, quanto alla insufficienza della prova del credito l'opposta ha allegato registro IVA con autentica notarile, richiamandosi alla messa in mora inviata sia al Comune che alla (...) S.p.a. e mai oggetto di contestazione. Con riguardo alla legittimazione passiva ha ritenuto riconducibile a mera operazione fiscale la intestazione delle fatture al Comune di Palombaro, senza escludere la responsabilità della società in house con riguardo agli oneri connessi al contratto di servizio, sia per l'articolo 2.2 del Contratto integrativo del novembre 2013, sia per il rapporto interorganico esistente tra i soggetti in virtù dell'affidamento del servizio in modalità in house. Alla prima udienza del 17.10.2019 il Giudice ha concesso i termini di cui al VI co. dell'art. 183 c.p.c. e ha rinviato la causa al 20.2.2019. A seguito di ulteriore rinvio d'ufficio per l'udienza del 28.5.2020 il G.I. non ha accolto le richieste istruttorie ex adverso avanzate e, ritenendo la causa già matura per la decisione, ha rinviato per la precisazione delle conclusioni mediante deposito di scritti difensivi alla udienza del 05.11.2020. Con ordinanza del 7.11.2020 il G.I. ha trattenuto la causa a decisione concedendo i termini di rito per il deposito di memorie conclusionali. SULLA LEGITTIMAZIONE PASSIVA DELLA (...) SPA L'opponente, come provato dalla documentazione in atti, è società sorta dalla trasformazione del CONSORZIO C.S. esistente tra i Comuni indicati all'allegato A dell'atto di trasformazione prodotto dall'opposta (doc. 11). Tra i Comuni consorziati (n 53) rientrava già il COMUNE DI PALOMARO che, per effetto della trasformazione, è divenuto socio della nuova (...) SPA come indicato nella delibera di trasformazione. Il capitale sociale della neo-costituita (...) SPA di Euro 3.000.000,00 viene interamente sottoscritto e versato, nonché ripartito tra i soci come da tabella che allega all'atto di trasformazione alla lettera C. La società acquista quale oggetto sociale quello della gestione dei rifiuti nel territorio dei Comuni soci, con possibilità di prestare attività a beneficio di Comuni non soci purché ricompresi negli Ambiti territoriali Ottimali della Regione Abruzzo (testualmente in Atto di Trasformazione doc. 11 opposta). Il punto 6) dell'atto di Trasformazione chiarisce la natura su modello "in house" della società (...) SPA di cui all'articolo 23bis D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito in legge e successive modificazioni. Per società in house si intende una società separata dalla pubblica amministrazione, che tuttavia presenta caratteristiche tali da poter essere qualificata come una derivazione dell'ente pubblico. La relazione tra la Pubblica Amministrazione e la società partecipata è tale per cui la seconda, pur dotata di propria personalità giuridica, è dalla prima controllata in modo talmente penetrante da elidere il rischio di violazione dei principi di concorrenza e parità di trattamento tra operatori economici: la società in house esiste ed agisce in funzione del perseguimento delle esigenze di soddisfacimento di un pubblico interesse, meglio realizzabile attraverso l'internalizzazione della produzione di un servizio da parte di un'amministrazione pubblica. La giurisprudenza comunitaria ha da tempo circoscritto il modello dell'in house providing ai casi di: a) società a capitale interamente pubblico: l'ente deve possedere l'intero pacchetto azionario della società (Corte CE, C. 26-03 Stadt Halle) e la proprietà pubblica del capitale sociale deve permanere per tutta la durata del rapporto e deve essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni previsto nello statuto (Cons. di Stato n. 591/2009, n. 5781/2008). b) esercizio di attività prevalente per l'ente pubblico: in particolare, la parte di attività prestata per soggetti diversi dall'ente controllante deve essere quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali; c) controllo analogo da parte del socio pubblico. Per la (...) spa i caratteri che la qualificano "in house" risultano essere: - controllo analogo con attribuzione diretta agli enti pubblici che partecipano alla società, di poteri di impulso all'adozione di indirizzi e attuazione di controlli. L'assemblea sociale funge sia da organo sociale, sia da sede istituzionale per l'esercizio congiunto da parte degli Enti Pubblici territoriali del potere di "controllo analogo" - prevalenza della attività svolta dalla società con l'Ente o gli Enti Pubblici che la controllano Nonostante la sussistenza del controllo analogo consenta al socio pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società - se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento delle società di capitali -, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica, ciò non vale ad eliminare l'alterità soggettiva dell'ente societario rispetto all'amministrazione pubblica. La Suprema Corte, con sentenza n. 5346/2019 è giunta a sostenere che "come qualsiasi soggetto di diritto ... anche la società in house costituisce un centro di imputazione di rapporti giuridici ed è dunque titolare di diritti e posizioni soggettive in generale" nonostante la sussistenza del controllo analogo debba consentire all'azionista pubblico di svolgere un'influenza dominante sulla società - se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento delle società di capitali -, così da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica, ciò non vale ad eliminare l'alterità soggettiva dell'ente societario rispetto all'amministrazione pubblica (conforme Consiglio di Stato n. 2533/2017 "se da un lato è certo che il fondamento giustificativo della deroga all'obbligo dell'evidenza pubblica consiste proprio nelle peculiari caratteristiche del controllo analogo esercitato dall'amministrazione sulla società partecipata, tale da rendere il legame partecipativo assimilabile ad una relazione interorganica, d'altro canto, ciò non elimina l'alterità soggettiva dell'ente societario rispetto all'amministrazione pubblica, riscontrabile sul piano giuridico-formale"). Ciò detto, il rapporto intercorrente tra gli Enti, ex consorziati e attuali soci, e la società in house si qualifica di immedesimazione organica, agendo la società come struttura estesa degli enti territoriali rappresentati. La Corte di Giustizia con la nota sentenza Teckal del 18 novembre 1999 in causa 107/98 ha chiarito che quando non si registra una differenza sostanziale tra ente affidato e affidatario e, quindi, manca l'intersoggettività, non si ha un appalto ma la gestione in house compatibile con i principi generali del Trattato in materia di divieto di discriminazione. Parlare di medesimo soggetto non esclude la identità giuridica distinta della Società rispetto a quella dei Singoli Enti Locali soci e distinta imputazione di responsabilità, avendo come scopo il raggruppamento degli interessi di più amministrazioni, lo snellimento delle procedure e semplificazione nella gestione del servizio. Infatti, in ossequio ad un principio comune a tutti gli enti dotati di personalità giuridica, la società si configura come un soggetto di diritto pienamente autonomo e distinto, sia rispetto a coloro che, di volta in volta, ne impersonano gli organi sia rispetto ai soci, ed è titolare di un proprio patrimonio, riferibile ad essa sola e non a chi ne detenga le azioni o le quote di partecipazione. La responsabilità nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi in genere che grava sugli organi sociali, assoggettati alle medesime norme sia quando designati dai soci secondo le regole generali dettate in proposito dal codice sia quando eventualmente designati dal socio pubblico in forza dei particolari poteri a lui spettanti (art. 2449 cit., comma 2), opera quindi sempre nei termini stabiliti dall'art. 2392 c.c. e segg., non diversamente che in qualsivoglia altra società privata. Si riassumono di seguito gli elementi in house e quelli che confermano la distinta personalità giuridica nel rapporto Enti Locali e Società (...): A) caratteri in house della società (...) SPA e relazione interorganica: - a seconda della partecipazione al capitale sociale, all'Ente socio viene riconosciuto pari diritto di voto (art. 6.3 dello Statuto) e viene prevista la partecipazione in pari misura alle perdite (6.1. Statuto). - ogni scelta del singolo socio passa per la deliberazione dell'Ente Locale di appartenenza con riconoscimento del diritto di liquidazione della propria quota in ipotesi di recesso e annullamento delle azioni del socio. - tra i poteri riconosciuti alla società, quello di vincolare gli Enti Locali con stipula di convenzioni di qualsiasi natura stabilendone condizioni, corrispettivi e termini di espletamento della attività (art. 2.2. Statuto) Nel caso che ci occupa il Comune di Palombaro, con deliberazioni di Consiglio Comunale del 30 settembre 2011 ha confermato la gestione del Servizio di Igiene urbana alla (...), autorizzando la società ad attribuire la gestione operativa a società da scegliere mediante procedura selettiva. Con deliberazione assembleare n. 10 del 15.12.2011 la (...) SPA ha stabilito un piano programma e bilancio pluriennale di previsione con l'attivazione del servizio di igiene urbana sul bacino coincidente con il "bacino societario" cui ha fatto seguito laaggiudicazione ad Ecologica Sangro, dalla cui scissione di ramo d'azienda era stata appositamente creata la (...) S.p.A., e sottoscrizione del contratto di servizio con la (...) spa, per i comuni soci. Nel disciplinare di gara (doc. 4 opponente) è stato riportato il criterio di ripartizione del valore del bando d'asta comprensivo degli oneri di sicurezza tra i soci Enti Territoriali in base alla tabella di pag. 2, anche richiamata all'articolo 3 del contratto di servizio del 20 luglio 2012 (doc. 3 parte opposta). La ripartizione, come premesso, avviene nel contratto sulla base della partecipazione di ogni Ente al capitale sociale della (...) spa, con fatturazione al singolo Comune (art. 6 Contratto di Servizio). In data 25.11.2013 il Comune di Palombaro ha stipulato, per il tramite dalla (...) Spa, un Atto integrativo del contratto di servizio già sottoscritto, in virtù del quale tutti i comuni beneficiari del Servizio hanno richiesto ed ottenuto una rimodulazione dei servizi oggetto d'appalto con estensione della raccolta cd. porta a porta su tutto il territorio comunale e riduzione di alcuni servizi così da mantenere inalterato l'equilibrio economico finanziario dell'appalto stesso senza ulteriori oneri a carico dell'ente territoriale (doc. 13 parte opposta). B) distinzione soggettiva tra società in house e Amministrazione: - conferma nell'art. 2331 c.c., che enuncia il principio dell'efficacia costitutiva dell'iscrizione delle società di capitali nel registro delle imprese. Tale norma consegna all'interprete un dato chiaro, infatti per quanto attiene all'acquisto della personalità giuridica la forma è inscindibile dalla sostanza. L'effetto costitutivo è, infatti, inderogabilmente collegato al presupposto formale dell'iscrizione della società di capitali nel registro delle imprese, a prescindere dall'attività effettivamente svolta dalla medesima e dalla organizzazione in concreto; - organi sociali distinti rispetto ai soci che intervengono in ipotesi di supplenza (art. 11.2 Statuto); - distinta indicazione di obblighi all'interno del contratto di servizi (stazione appaltante e comuni beneficiari del servizio, art. 2 comma 2 dell'accordo integrativo del 25 novembre 2013 con garanzia di adempimento in capo alla società (...) SPA contraente) - affidamento della gestione del servizio di igiene pubblica alla (...) spa con deliberazione comunali del 30 settembre 2011 (doc. 4 parte opposta); - accordo integrativo del 25 novembre 2013, art. 2, comma 2, che la (...) S.p.A. ha accettato e sottoscritto garantendo "assumendosene la responsabilità ad ogni effetto, che tutti i comuni per i quali la gara è stata bandita e aggiudicata, concordano e accettano i contenuti del presente atto"; Gli elementi richiamati, da un lato consentono di confermare la natura di fatto in house della (...) SPA, dall'altro la evidenza della distinzione soggettiva tra soci e società, nonché la funzione di garante riconosciuta alla (...) SPA nel rapporto con la aggiudicataria del servizio (...) SPA. La relazione interorganica unita all'efficacia costitutiva di cui all'articolo 2331 c.c. e alla disciplina pattizia di garanzia prestata consentono di confermare la legittimazione della (...) SPA in solido con il COMUNE DI PALOMARO beneficiario del servizio. SULLA IDONEITA' DEI DOCUMENTI A FONDARE LA PRETESA CREDITORIA Quanto alla sollevata eccezione sulla inidoneità delle fatture a costituire prova del credito in quanto documento unilateralmente generato dalla parte, l'opposta ha provveduto, in ossequio al principio di raggiungimento della prova del credito nel contaddittorio, alla produzione del Registro IVA autenticato (doc. 7 opposta) Ad ogni modo la opponente sul punto si è limitata ad eccepire l'insufficienza probatoria delle fatture, senza in alcun modo contestare di aver ricevuto i servizi oggetto delle fatture. Infatti, la missiva allegata dalla opposta datata 30 dicembre 2016 (doc. 10) è stata inviata sia alla (...) spa sia al Comune di Palombaro indicando il numero di fatture rimaste insolute e l'ammontare complessivo del debito per contratto di servizio sottoscritto e alcuna contestazione è stata mossa in quella sede circa il lamentato difetto di legittimazione. La ricorrente contesta altresì la idoneità delle fatture a costituire prova del credito nei confronti della (...) SPA, essendo queste intestate al Comune di Palombaro e non anche alla società opponente. Nelle fatture elettroniche allegate viene indicato il Comune quale soggetto Committente in quanto beneficiario del servizio. Si evidenzia, anche in questa sede, la distinta soggettività della (...) SPA rispetto ai Comuni soci e, in conformità all'art. 21 del D.P.R. n. 633 del 1972 la fatturazione nei confronti del soggetto a cui è rivolta la cessione di beni / prestazione di servizi. Diversamente opinando dovremmo qualificare il rapporto tra la (...) spa e la (...) spa in termini di mandato senza rappresentanza non valorizzando l'intero contenuto del contratto di servizio del 20 luglio 2012 che richiama espressamente le deliberazioni di affidamento da parte dei Comuni della gestione dei servizi di igiene urbana e la rappresentanza di questi ultimi da parte della (...) SPA. Gli effetti del contratto concluso, inoltre, si trasferiscono immediatamente anche sulla sfera giuridica degli Enti Locali in termini di servizio reso e obblighi, senza la necessità di compiere atti ulteriori per il trasferimento degli effetti in capo al mandante. Le argomentazioni spese sulla società in house quale estensione di fatto della Amministrazione socia, possono essere utilizzate anche per la verifica della idoneità della documentazione posta a base del DI emesso. D'altronde la evidente necessità di riportare a bilancio dell'Ente Locale i costi relativi al servizio del quale la collettività dell'Ente ha beneficiato appare ulteriore motivazione adeguata della intestazione della fattura al Comune. Pertanto la eccezione sollevata dalla opponente in relazione alla insufficienza della documentazione posta a base del Decreto Ingiuntivo Emesso non è fondata. SULLE SPESE DI LITE Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, avuto riguardo al valore del decreto ingiuntivo opposto, nei minimi di legge per il numero di questioni sollevate con l'opposizione e la particolarità di esse, e riconoscimento del compenso per tutte le fasi di giudizio in quanto effettivamente espletate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 36/2019 emesso dal Tribunale di Lanciano in data 6 febbraio 2019 in RG 85/2019. Condanna altresì la parte opponente a rimborsare alla parte opposta le spese di lite, che si liquidano in Euro 7.795,00 oltre rimborso forfettario al 15%, IVA, CAP secondo legge. Così deciso in Lanciano il 21 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LANCIANO AFFARI CONTENZIOSI CIVILI Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Chiara D'Alfonso ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 733/2018 promossa da: (...) (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. PI.CA. (c.f. (...)) domiciliato in VIA (...) 66034 LANCIANO RICORRENTE contro (...) (c.f. (...) ) rappresentata e difesa dall'avv. PA.VI. (c.f. (...)) domiciliato in VIA (...) 80139 NAPOLI RESISTENTE CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex articolo 702 bis (...) ha adito il Tribunale di Lanciano per sentir dichiarare il convenuto (...) in proprio responsabile del diritto di diffamazione a mezzo internet e sentirlo condannare al ristoro di tutti i danni per ogni voce materiale e immateriale anche in via equitativa nella misura di Euro 9000 o in quella ritenuta di Giustizia nei limiti della competenza per valore del giudice adito. In via accessoria ha chiesto di disporre la cancellazione della pagina telematica in questione a cura e spese del convenuto e valutare la possibilità di applicare al convenuto l'ulteriore sanzione amministrativa. L'azione ha preso avvio dell'inserimento, in data 26 giugno 2018, di un commento ad un articolo postato sulla pagina (...) del seguente tenore "Io vorrei tanto riabbracciare l'ultima volta quella cessa di tua madre. Mi ha spezzato il cuore, potresti rimandarmela senza rischi...Portami pure tua sorella. Il commento interveniva dopo uno scambio seguito al primo commento del (...) alla notizia del piccolo (...), piccolo profugo, che riabbracciava la madre. Il commento iniziale del (...) aveva il seguente tenore: "Ma come fate a non sciogliervi in un pianto liberatorio di fronte al giovane (...)? Lui vuole solo riabbracciare la madre, in Italia o in Africa cosa cambia? Potevamo rimandargliela senza fargli affrontare i pericoli del viaggio! restiamoumani". Il ricorrente ha ritenuto integrata la fattispecie del delitto di diffamazione attesa: a. La individualità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose; b. La comunicazione con più persone e la possibile incontrollata diffusione del contenuto del commento; c. La coscienza e volontà di usare espressioni idonee ad arrecare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo. Si è costituito in giudizio il signor (...), eccependo dapprima il difetto di competenza del Tribunale di Lanciano in favore del Tribunale di Sulmona ai sensi dell'articolo 18 c.p.c., con conseguente trasmigrazione ivi della cognizione. Ha eccepito altresì l'improcedibilità del ricorso per mancato esperimento della procedura di mediazione obbligatoria e la nullità dell'atto introduttivo per assoluta indeterminatezza degli elementi diretti a provare le circostanze che giustificherebbero la pretesa risarcitoria. Nel merito è stata eccepita l'infondatezza della domanda per: a., assenza di una concreta portata lesiva delle dichiarazioni per mancanza di qualsiasi pregiudizio all'onore e alla reputazione del (...); b. utilizzo di termini civili per esprimere l'opinione del commentatore sul tema; c. assenza di riconducibilità del commento al resistente e riferibilità del contenuto al (...); d. assenza di diffusione estesa in considerazione del fatto che sul social network i commenti non possono essere condivisi; e. provocazione da parte del ricorrente con frasi del tenore "Da domani a tutti gli immigrati suggerisco una maglietta originale di (...), costa un po', ma evita ogni tipo di espulsione a colpo sicuro" e altre sulla sua pagina (...). Nel corso della prima udienza le parti si riportavano ai propri scritti difensivi e, con riferimento alla improcedibilità dell'azione per mancato esperimento di mediazione obbligatoria, parte resistente ha chiesto al Giudice fissarsi termine per l'avvio. Con ordinanza resa in udienza il giudice, previo mutamento del rito, ha concesso alle parti termini di cui all'articolo 183 c.p.c. fissando in giorni 15 per l'avvio della procedura di mediazione. Adempiuto nel termine, all'udienza di ammissione dei mezzi istruttori il giudice ha ritenuto le prove, così come articolate, generiche e comunque non rilevanti, e rinviato per la precisazione delle conclusioni. Fissate le modalità di trattazione della udienza ai sensi dell'articolo 83 D.L. n. 18 del 2020 comma 6 lettera h) e successive modificazioni, le parti hanno concluso come in premesse. Il ricorso merita accoglimento nei termini che seguono SULLA ECCEZIONE DI INCOMPETENZA TERRITORIALE L'eccezione si fonda sulla asserita competenza a conoscere della domanda del Giudice del domicilio del convenuto ex art. 18 c.p.c.. In realtà la competenza si radica ex art. 20 c.p.c. nel Tribunale del luogo in cui sorge l'obbligazione (in questo caso derivante dal fatto illecito - Cassazione civile sez. III, 08/05/2002, n.6591 ha ritenuto che in caso di obbligazione risarcitoria ex artt. 2043 e 2059 c.c., conseguenti a diffamazione posta in essere via Internet tramite l'inserimento di un messaggio all'interno di un "newsgroup", il foro competente ai sensi dell'art. 20 c.p.c. è quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, in quanto, essendo la sede principale dei propri affari ed interessi, è questo il luogo in cui le conseguenze negative dell'illecito diffamatorio si producono in misura più rilevante). La competenza, pertanto, è correttamente radicata nel luogo in cui la persona offesa ha il suo domicilio, Lanciano. SULLA IDENTITA' DEL SOGGETTO AUTORE Parte resistente contesta che le dichiarazioni rese dal tale (...) siano a lui riferibili. In difetto di prova contraria la registrazione del profilo del (...) e i dati in essa contenuti, che hanno consentito al ricorrente di avviare il presente giudizio nei suoi confronti, e la assenza di denuncia per "furto d'identità" da parte del resistente, consentono di ricollegare il messaggio ad una persona individuata o individuabile in modo univoco. Pertanto le dichiarazioni lesive devono ritenersi provenienti dal soggetto a cui nome era stata effettuata la registrazione che coincide con l'odierno resistente. SULLA INTEGRAZIONE DELLA FATTISPECIE DELLA DIFFAMAZIONE Gli elementi oggettivi necessari alla realizzazione della fattispecie diffamatoria sono: - assenza dell'offeso - il soggetto offeso non deve essere presente al momento della dichiarazione denigratoria; non può ritenersi integrata la fattispecie per la presenza di entrambi i soggetti in spazio non fisico digitale, mancando la contestualità (spazio-temporale) tra il momento il cui viene resa la dichiarazione diffamante e quello in cui il soggetto percepisce la portata diffamatoria della dichiarazione; - modalità di comunicazione a più persone - in giurisprudenza è pacifico che l'offesa a mezzo di social network configuri la forma aggravata di cui all'art. 595 c.3 c.p. per la potenziale esposizione dell'offesa ad un elevatissimo numero di persone. Cass. pen. Sez. V, 06/07/2020, n. 22049 infatti la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone. Nel caso in esame il post è stato inserito in calce ad un articolo presente nella pagina (...) di "La Repubblica" con accesso libero da parte di una pletora indistinta di soggetti, senza necessità di essere iscritti alla pagina per poter visionare i commenti ad ogni notizia. Il commento per il quale si lamenta la integrazione della fattispecie diffamatoria è stato inserito dopo un primo commento di (...) del seguente tenore "Ma come fate a non sciogliervi in un pianto liberatorio di fronte al giovane (...)? Lui vuole solo riabbracciare la madre, in Italia o in Africa cosa cambia? Potevamo rimandargliela senza fargli affrontare i pericoli del viaggio! restiamoumani IT". A seguire si avvia uno scambio tra più interlocutori fino al commento del (...), che prima non aveva partecipato alla conversazione e, chiaramente riferendosi al primo commentatore, dice "Io vorrei tanto riabbracciare l ultima volta quella cessa di tua madre. mi ha spezzato il ? , potresti rimandarmela senza rischi... puortamipuretuasorella". Sebbene trattasi di scambio in commento al (...), quindi non immediatamente visionabile nella pagina dovendo l'utente scegliere di visualizzare i commenti successivi al primo, la concreta diffusività non è da mettere in dubbio atteso il mezzo di uso comune e il fatto che le conversazioni si siano svolte non sulla pagina privata dell'utente ma su quella di un quotidiano di tiratura nazionale in calce a notizia che ha costituito oggetto di acceso dibattito all'epoca dei fatti. Infatti, quando l'offesa viene arrecata a mezzo di stampa, pubblicità, o atto pubblico (comma 3 art. 595 c.p.), tali mezzi di propagazione delle notizie amplificano notevolmente il messaggio diffamatorio. La prevalente giurisprudenza equipara i social network ad un mezzo di pubblicità quando "il messaggio viene inoltrato a destinatari molteplici e diversi, per esempio attraverso la funzione di forward o a gruppi di Whatsapp, su Twitter o (...) ..." (Cass. pen., V sez., n. 7904/19; Cass. pen. sez. V, 13/07/2015, n. 8328; Tribunale Pescara, 05/03/2018, n. 652) - L'offesa all'altrui reputazione/individuabilità della persona offesa costituisce ulteriore elemento costitutivo della fattispecie diffamatoria Sull'offesa Oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l'interesse dello Stato all'integrità morale della persona: il bene giuridico specifico è dato dalla reputazione dell'uomo, dalla stima diffusa nell'ambiente sociale, dall'opinione che altri hanno del suo onore e decoro. Non occorre che si addebiti un fatto determinato (atteso che in tale ultimo caso verrebbe integrata la diversa fattispecie aggravata di cui al comma 2 del medesimo articolo). Offesa che, in risposta all'opinione politica resa dal (...), ha deliberatamente violato la sfera personale del ricorrente, quella degli affetti familiari, senza alcuna connessione con il contenuto delle conversazioni precedenti e con allusioni latamente sessuali. Sulla individuazione della persona offesa la Suprema Corte con pronuncia in Sez. V del 20/12/2010, n. 7410 (rv. 249601) afferma che "non osta all'integrazione del reato di diffamazione l'assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero limitato di persone". E ancora Cass. pen. Sez. V, 28/11/2017, n. 2627 "in tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all'art. 595 c.p.", conforme a Cass. pen. Sez. V, 14/06/2018, n. 45813 nella quale si legge "In tema di diffamazione a mezzo stampa, il reato è costituito dall'offesa alla reputazione di una persona determinata, donde esso non può essere configurato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive, anche nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria benché limitata (nel caso di specie, i "magistrati"), se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuate nè individuabili." Nella fattispecie concreta sottoposta ad esame di questo Tribunale la individuabilità può dirsi integrata per l'utilizzo da parte del (...) dei medesimi termini del primo commentatore della conversazione, (...), "riabbracciare...madre" e dell'hashtag a chiusura del commento che permettono di riferire le parole del (...) al sig. (...) e non anche al commentatore (...) che anche si inserisce in più occasioni nella medesima conversazione (ritenendo inizialmente essere lui stesso destinatario delle accuso del (...)). Si aggiunga che il (...), senza prima mai essere intervenuto nello scambio e senza richiamarsi specificamente al contenuto delle precedenti conversazioni, si inserisce nella serie di commenti in calce a quello del (...) intendendosi pertanto a lui, e alle sue opinioni, riferirsi con le parole richiamate. Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo, nel caso sottoposto ad esame è fuori di dubbio che il fatto sia stato commesso con dolo. Infatti non può ritenersi necessario l'animus diffamandi, inteso come fine di ledere la reputazione di un'altra persona, perché l'art. 595 c.p. non esige un dolo specifico. Bisogna, quindi, in applicazione del concetto generale di dolo, ritenere che per la sua esistenza basti che il colpevole abbia voluto l'azione, cioè la comunicazione dell'addebito offensivo a più persone, e al tempo stesso si sia almeno reso conto del discredito che col suo operato egli ha cagionato o poteva cagionare (trattandosi di reato di pericolo) all'altrui reputazione. E', dunque, pacificamente sufficiente il dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di propagare notizie e commenti con la consapevolezza della loro attitudine a ledere l'altrui reputazione. Orbene anche nel caso di specie non può che ritenersi integrato l'elemento soggettivo nei termini indicati. SULLA ESISTENZA DI ESIMENTI A questo punto occorre soffermarsi sulla concreta punibilità del soggetto e la eventuale esistenza di cause di esclusione della stessa. Sulla provocazione Ai sensi dell'art. 599 c.p. comma 2 "non è punibile chi ha commesso alcuni dei fatti preveduti dall'art. 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso" La disposizione richiede due presupposti fondamentali per l'operatività dell'esimente: il fatto ingiusto altrui e lo stato d'ira conseguente. Il fatto ingiusto altrui che provoca lo stato d'ira può consistere in qualsiasi comportamento contrario a norme giuridiche, civili, morali o di costume, e deve essere idoneo a determinare lo stato d'ira dell'autore, quindi deve valere come provocazione in senso stretto. In tema di ingiuria, il fatto ingiusto altrui idoneo ad integrare la causa di non punibilità della provocazione di cui all'art. 599, comma secondo, c.p. può essere costituito anche dall'esercizio di un diritto che si svolga con modalità ,le quali, alla stregua del costume sociale e delle regole della civile convivenza, siano vessatorie, sconvenienti e rappresentino espressione di iattanza, dispetto, rivalsa. A questo punto occorre verificare se il primo commento postato dal (...) possa ritenere integrare gli estremi della provocazione avendo valicato il limite della libera espressione di pensiero, e quindi possa essere considerato fatto ingiusto nei termini di cui sopra. La giurisprudenza ritiene integrata la fattispecie aggravata di diffamazione, quindi considera fatto ingiusto, l'offesa che ha finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso e nello specifico quando l'azione -per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui era collocata-risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare in altri un analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell'immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori (v. Cass. pen, sez. V, 02/11/2017, n. 7859, relativamente ad una fattispecie in cui l'imputato aveva pubblicato un messaggio su "(...)", con cui invitava la persona offesa di etnia africana a ritornare nella "giungla"). Nel caso che ci occupa le espressioni del (...), pur contestabili nel merito, non vengono formulate con toni da ingenerare odio o disprezzo e comunque riferiscono alle posizioni assunte dal Governo Italiano con riguardo al tema della immigrazione sul quale si è avviato uno scambio dialettico acceso. Fuoriescono, invece, dalla naturale dialettica attivata dal primo commento le espressioni utilizzate dal (...) il quale, richiamando la sfera di vita familiare e personale del (...), ha introdotto commenti con finalità che fuoriescono dalla mera critica politica. Sul diritto di critica Al fine di ritenere integrata la diversa esimente del DIRITTO DI CRITICA occorre la ricorrenza dei seguenti elementi: 1) la verità oggettiva dei fatti dichiarati; 2) l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto (nel senso che la critica non si deve risolvere in offese "gratuite"); 3) la c.d. continenza espressiva; 4) la congrua motivazione. 1) A differenza del diritto di cronaca, il diritto di critica si realizza nella manifestazione di un giudizio valutativo del tutto soggettivo rispetto ai fatti narrati. E' comunque necessario che i fatti posti a fondamento della critica corrispondano a verità, magari non assoluta ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive (Cass. pen., sez. V, 18/04/2019, n. 21145; Cass. civ., sez. III, 06/04/2011, n. 7847; Tribunale Milano sez. I, 24/06/2019, n. 6128). I fatti ed i comportamenti cui la critica è riferita non devono essere inventati od alterati nel loro nucleo essenziale, o interpretati arbitrariamente in modo che l'opinione finisca per essere del tutto sganciata da quei fatti e comportamenti, poiché altrimenti si esorbiterebbe da una critica legittima (Tribunale Firenze, 15/05/2019, n. 1502). 2) Anche per il legittimo esercizio del diritto di critica vige poi il presupposto dell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto che però dovrà intendersi come interesse dell'opinione pubblica, anche solo di una categoria di soggetti, alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, bensì appunto della sua interpretazione critica (Tribunale Gela, 04/09/2019, n. 405). Il requisito dell'interesse pubblico impone che la vicenda narrata non sia mirata a soddisfare una semplice curiosità bensì assuma rilevanza pubblica, anche quando attinente ad una particolare posizione. 3) In tema di continenza espressiva, si è precisato che il diritto di critica -in quanto manifestazione dell'opinione personale dell'autore- non può essere per sua intrinseca caratteristica totalmente obiettivo e può manifestarsi anche con l'uso di un linguaggio colorito e pungente (Cass. civ., sez. III, 06/08/2007, n. 17180). La critica può essere esercitata utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall'opinione o da un comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione del soggetto interessato (Tribunale Milano sez. I, 03/09/2019, n. 7953). Viene pertanto esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla protesta, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi (Cassazione penale Sez. 1, Sentenza n. 36045 del 13/06/2014 Ud.) In tema di diffamazione, il requisito della continenza postula, però, una forma espositiva corretta della critica rivolta - e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione - ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti (Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 14/04/2015 Ud. (dep. 21/07/2015) Infatti, il rispetto del canone della continenza esige che le modalità espressive impiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell'informazione, e non si traducano in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. 4) In ultimo, il diritto di critica deve essere accompagnato da una congrua motivazione del giudizio di disvalore incidente sull'onore o sulla reputazione (Cass. civ., sez. III, 11/01/2005, n. 379), non potendosi invocare altrimenti detta esimente quando l'autore della pubblicazione abbia utilizzato affermazioni ingiuriose e denigratorie, o comunque abbia formulato attacchi puramente offensivi della persona oggetto della critica (Cass. civ., sez. III, 18/10/2005, n. 20138; Cass. civ., sez. III, 10/01/2012, n. 80) senza che vi sia una reale motivazione, senza che esse conseguino ad affermazioni precedenti del medesimo tenore o incidenti sui medesimi beni della vita. Nel commento del (...) emerge sicuramente una critica politica della notizia agli onori della cronaca in quei giorni, anche colorita e parziale, che ciononostante non fuoriesce dal legittimo diritto di critica per aderenza ai fatti, interesse pubblico alla posizione assunta ed espressioni utilizzate. Infatti l'interesse pubblico non si manifesta solamente nella semplice esposizione dell'opinione del soggetto su determinate circostanze, ma si caratterizza per essere una interpretazione di fatti considerati di pubblico interesse, avendo di mira non l'informare, bensì l'interpretare l'informazione e, partendo dal fatto storico, il fornire giudizi e valutazioni di carattere personale. Dunque, il diritto di critica riveste necessariamente connotazioni soggettive ed opinabili quando si svolge in ambito politico, in cui risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Proprio perché l'esercizio del diritto di critica non si concretizza nella mera narrazione di fatti, bensì nell'espressione di un giudizio e, più in generale, di un'opinione, perché assuma valenza scriminante è necessario che venga esercitato entro precisi limiti, individuati essenzialmente nel limite dell'interesse pubblico alla conoscenza di fatti e di opinioni, nel limite della continenza espressiva e in quello della verità dei fatti posti a fondamento della critica. Ne deriva che, una volta riconosciuto il ricorrere della polemica politica ed esclusa la sussistenza di ostilità e del gratuito attacco personale, è necessario valutare la condotta dell'imputato alla luce della scriminante del diritto di critica di cui all'art. 51 c.p. La risposta alla critica politica da parte del (...) fuoriesce, a parere di Questo Tribunale, dal legittimo esercizio del diritto non ravvisandosi interesse dell'opinione pubblica all'oggetto delle espressioni utilizzate che nulla aggiungono allo scambio dialettico sul tema, entrando piuttosto nella sfera privata del (...), involgendo affetti e condizioni personali che, anche se non direttamente conosciuti dal diffamatore, vengono citati al solo scopo di recare pregiudizio all'interlocutore attesa la diversa posizione politica assunta. La differente interpretazione critica diviene pretesto per una offesa personale che travalica i limiti della critica politica anche sotto il profilo della continenza espressiva. Infatti il (...) non si limita all'utilizzo di linguaggio colorito e pungente, procedendo ad una vera e propria lesione della reputazione del soggetto interessato. SUL NESSO DI CAUSALITA' Se anche le esimenti richiamate non appaiono invocabili nel caso di specie, la richiesta di danno formulata dal ricorrente necessita di valutare la esistenza del nesso di causalità con la condotta. Infatti, sicuramente va valorizzata in tale contesto la scelta del (...) di essersi esposto al rischio di commenti, anche denigratori nei suoi confronti, avendo inserito il suo commento non sulla sua pagina (...) personale, con possibilità di controllo da parte del titolare dei soggetti che possono inserirsi della conversazione (scelta delle impostazioni privacy con visualizzazioni limitate), ma nella pagina del quotidiano La Repubblica con massima diffusione e accesso indistinto di utenti. Tale circostanza, pur in minima parte, ha concorso con il contegno del (...) a generare l'evento- danno per il quale il ricorrente chiede ristoro, ragione che induce a valutare una percentuale di concorso nella causazione del danno nella misura che verrà equitativamente determinata nella determinazione del danno risarcibile. SUL DANNO Il riconoscimento del danno all'immagine ed alla reputazione, inteso come "danno conseguenza", non sussiste "in re ipsa", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (Cassazione civile, sez. III, 18 Febbraio 2020, n. 4005. Pres. S.. Est. (...)). Questo Tribunale reputa di fare governo di quanto contenuto nelle Tabelle dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, aggiornate al 2019, per la liquidazione di siffatta tipologia di danno ove la diffamazione sia avvenuta a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa, tra questi ultimi figurando evidentemente il social (...). Le suddette tabelle fanno riferimento a parametri determinati, che vengono esaminati partitamente. a. Notorietà del diffamante : nel caso che ci occupa il ricorrente non viene descritto per la carica ricoperta ne' per suo ruolo istituzionale, ne' tantomeo viene provata la notorietà del personaggio in ambito che trascende il territorio comunale per comuni frequentazioni. b. Reiterazione delle condotta: non viene provata ne' contestata c. Gravità dell'offesa nel contesto fattuale di riferimento: si può parlare di offesa di media gravità essendo stati in causa rapporti parentali del ricorrente, fuori del contesto della conversazione e con provocazioni di tipo sessuale. Si fuoriesce dal contesto della critica politica e dalla continenza tipica del diritto di critica per sfociare dell'offesa personale e gratuita. d. Diffusione del testo diffamatorio: deve reputarsi ampia poiché, sebbene non sia dato sapere quanti abbiano condiviso il post, la pagina (...) di Repubblica è visionabile da un numero indefinito di utenti, anche chi non è in possesso di account (...). e. Spazio delle frasi diffamatorie: limitato f. Intensità dell'elemento soggettivo: evidente volontà di recare pregiudizio all'onore altrui, fuoriuscendo dal tema di discussione Alla luce di dette considerazioni il Tribunale reputa la diffamazione entro i valori della tenue gravità di cui alle Tabelle di Milano 2019 attesa la assenza di notorietà del diffamante e tenuto conto della condotta del (...) da valorizzare nella causazione del danno (vedi infra) e reputa equo riconoscere al ricorrente la somma di Euro 2.500,00. SUL RICONOSCIMENTO DELLA SVALUTAZIONE MONETARIA All'attore spetta altresì - anche d'ufficio - sulla predetta somma, l'equivalente del mancato tempestivo godimento del bene danneggiato, ovvero del suo controvalore in denaro, quale mancato guadagno o lucro cessante ai sensi dell'art.1223 c.c., richiamato dall'art.2056 c.c., provocato dal ritardato pagamento del risarcimento, la cui prova può essere data e riconosciuta dal giudice con ogni mezzo e quindi anche mediante criteri presuntivi ed equitativi (cfr. in tal senso ex multis Sezioni Unite della Cassazione n.1712/95, Cass. N. 608/2003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5671 del 09/03/2010). Infatti, anche il ristoro del danno non patrimoniale - sostanziandosi nel debito di prestare al danneggiato un'utilità sostitutiva che lo compensi dalle sofferenze morali e psichiche subite - integra un debito di valore, suscettibile come tale di rivalutazione, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione del danno da fatto illecito, devono essere considerate alla stessa stregua tutte le partite che costituiscono il danno risarcibile, tenendo conto della svalutazione monetaria anche con riferimento ai danni cosiddetti morali (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3675 del 21/06/1984). Per la liquidazione concreta del danno, si riconoscono gli interessi al tasso legale sulle somme progressivamente devalutate e rivalutate anno per anno, secondo gli indici Istat F.O.I., a decorrere dal 26 giugno 2018 (data di pubblicazione della notizia diffamatoria e, con essa, di consumazione dell'illecito e dei danni conseguenziali a carico del diffamato) sino alla data odierna (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5671 del 09/03/2010; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18028 del 03/08/2010; Cass. Sent. 26.10.2004 n. 20742; Cass.10565/02). Sulla somma finale di cui sopra (Euro. 3000,00 + danno da ritardo) spetteranno, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo, gli interessi corrispettivi al tasso legale ai sensi dell'art.1282 c.c., in quanto somma convertitasi in debito di valuta (cfr. in tal senso ex multis Cass. Sent. 22 giugno 2004 n. 11594; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9711 del 21/05/2004). SULLA DOMANDA ACCESSORIA La accessoria domanda di cancellazione della pagina telematica in questione a cura e spese del convenuto deve essere accolta limitatamente al commento del sig. (...) ritenuto denigratorio dell'onore del ricorrente SULLA CONDANNA EX ART. 93 COMMA 3 C.P.C. Non si ravvisano i presupposti per ritenere temeraria la difesa del resistente anche in considerazione del ridimensionamento della domanda e delle eccezioni svolte in relazione alla condizione di procedibilità e esistenza delle cause di non punibilità, oggetto di diffuso esame da parte del Giudicante. SULLE SPESE PROCESSUALI Le spese processuali (da liquidarsi in rapporto al decisum cfr. Cassazione ord 15857/2019) seguono la soccombenza, previa compensazione di 1/3, in ragione del parziale e non modesto ridimensionamento giudiziale del quantum delle pretese attoree e vengono liquidate nei medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 per tutte le fasi di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie il ricorso e, per l'effetto, ritenuta integrata la fattispecie della diffamazione in danno del ricorrente, condanna (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 2.500,00 oltre interessi al tasso legale sulle somme progressivamente devalutate e rivalutate anno per anno, secondo gli indici Istat F.O.I., a decorrere dal 26 giugno 2018 alla data odierna, il tutto oltre interessi al tasso legale dalla pubblicazione della sentenza fino al saldo; - dispone la cancellazione del commento pubblicato da (...) nella pagina (...) del quotidiano "(...)" in calce alla notizia del 26 giugno 2018 a cura e spese del resistente; Condanna altresì la parte resistente a rimborsare alla parte ricorrente i 2/3 delle spese di lite, che si liquidano in Euro 1.620,00 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali, compensa per il restante 1/3 i compensi. Così deciso in Lanciano il 7 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 517/2018 R.G. e vertente TRA (...), in giudizio personalmente ai sensi dell'art. 86 c.p.c.; ATTORE E CONDOMINIO "(...)" DI VIA (...) LANCIANO ((...)), in persona dell'amministratore (...), elettivamente domiciliato in Lanciano presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTO avente a oggetto: comunione e condominio - impugnazione di delibera assembleare conclusioni delle parti: come da verbale d'udienza Fatto e diritto 1. (...) ha convenuto in giudizio Condominio "(...)" di Via (...) Lanciano (d'ora in avanti, Condominio) domandando la declaratoria di nullità o comunque l'annullamento della delibera assembleare di cui al numero 1) del verbale dell'assemblea condominiale del 19 aprile 2018, che non ha accolto la sua "proposta transattiva formulata (...) nella riunione del 22/03/2018" perché tale proposta "oltre che generica ed incongrua deve essere demandata obbligatoriamente ad un organismo di mediazione in materia di condominio ai sensi dell'art. 5 D.L.vo n. 28/2010 e s.m.i. con onere a carico del proponente e con ogni e più ampia riserva in merito". Condominio si è costituito eccependo, tra l'altro, l'incompetenza per valore e per materia del Tribunale; in ogni caso, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale ha concesso i termini ex art. 183, c. 6, c.p.c.; all'esito, non ha svolto istruttoria e ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni. (...) non ha depositato memorie ex art. 183, c. 6, c.p.c. né scritti difensivi conclusionali. 2. Insussistenti le eccepite incompetenze per valore (tra l'altro, in verbale dell'assemblea del 22 marzo 2018 il credito di cui alla proposta transattiva per conto di (...) è indicato nella "somma onnicomprensiva" di euro 11.000,00) e per materia (l'art. 7 c.p.c. riserva al giudice di pace "le cause relative alla misura ed alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case" e, secondo la giurisprudenza, l'impugnazione delle delibere dell'assemblea di condominio rientra nella competenza per materia del giudice di pace soltanto qualora le delibere abbiano - direttamente - a oggetto le modalità o la misura dell'uso dei servizi, mentre nel caso di specie la delibera ha a oggetto l'accoglimento o meno di una proposta transattiva), la domanda è infondata. Tra le fattispecie di annullabilità delle delibere assembleari rientra l'eccesso di potere. Infatti, la scelta delle modalità di perseguimento dell'interesse comune è riservata al gruppo, ed è quindi oggetto di un giudizio di merito generalmente non sindacabile dal giudice; essa diviene sindacabile, e la delibera che la contiene è annullabile, quando a un giudizio meramente estrinseco risulti che l'interesse concretamente perseguito non è l'interesse del gruppo, ossia risulti lo sviamento del potere del gruppo rispetto alla sua funzione (C. 15633/2012). Ciò non è evidentemente nel caso di specie; l'accoglimento o meno di una proposta transattiva, anche più dell'accoglimento o meno di una qualsiasi proposta contrattuale, presupponendo tra l'altro "reciproche concessioni" (art. 1965, c. 1, c.c.), è oggetto di una scelta non solo discrezionale, ma propriamente libera; e ciò, evidentemente, anche quando a tale scelta sia chiamato il gruppo condominiale. Sicché nessuna annullabilità, e tantomeno nullità, è predicabile per la delibera impugnata da (...). 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in base ai parametri ex d.m. 37/2018. P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna (...) al rimborso, in favore di Condominio (...) Lanciano, delle spese di lite, che liquida in euro 2.055,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge. Lanciano, 5 febbraio 2021. Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2021

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, all'esito dell'udienza in trattazione scritta del 7 luglio 2020, ha pronunciato ai sensi degli artt. 281-sexies c.p.c. e 83, c. 7, lett. h), d.l. 18/2020 e successive modificazioni la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 814/2018 R.G. e vertente TRA GU.GA. (...), rappresentato e difeso dall'avv. Vi.Me., come da mandato in atti; ammesso a patrocinio a spese dello Stato; ATTORE E MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in L'Aquila, Via (...) S.n.c., presso gli uffici dell'Avvocatura distrettuale della Stato, che lo rappresenta e difende per legge; CONVENUTO E AGENZIA DELLE ENTRATE - RISCOSSIONE (...), in persona del procuratore speciale (notaio De. in Roma, 42.904/24.402) El.Ven., rappresentata e difesa dall'avv. Pa.Di., come da mandato in atti; CONVENUTO E PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI CHIETI (...), in persona del prefetto pro tempore; CONVENUTO CONTUMACE avente a oggetto: opposizione agli atti esecutivi; opposizione all'esecuzione; conclusioni delle parti: come da verbale d'udienza FATTO E DIRITTO 1. A seguito di dichiarazione di incompetenza per valore del Giudice di Pace di Lanciano, Gu.Ga. ha riassunto davanti a questo Tribunale la causa di opposizione all'intimazione di pagamento numero (...)14000, notificatagli l'1 marzo 2018 da Agenzia delle Entrate - Riscossione (d'ora in avanti AE), per complessivi Euro 25.418,44 (di cui Euro 92,97 per "spese di procedura"), su 18 cartelle di pagamento a titolo di sanzioni punitive amministrative (sanzioni da illecito amministrativo), pene pecuniarie, spese processuali e procedimentali, per ruoli dal 2002 al 2011 della Prefettura di Chieti, del Tribunale per i minorenni de L'Aquila, della Corte d'Appello de L'Aquila, del Tribunale di Chieti e del Tribunale di Lanciano. Gu. eccepisce "in via preliminare" la nullità dell'"intimazione di pagamento notificata" per difetto di motivazione e la mancata notifica delle cartelle di pagamento; "nel merito", la prescrizione dei crediti per sanzioni amministrative ("importo complessivo di Euro 16.176,80") e per pene pecuniarie e spese processuali ("importo complessivo di Euro 9.104,38"). Gu. ha convenuto Prefettura di Chieti, Ministero della Giustizia e AE. Dopo la riassunzione si sono costituiti Ministero della Giustizia, deducendo il proprio difetto di titolarità passiva del rapporto oggetto di giudizio e comunque l'infondatezza dell'opposizione; e AE, chiedendo il rigetto dell'opposizione salvo dichiarazione di "parziale cessazione della materia del contendere" ove risultassero da stralciare dal credito le cartelle di pagamento d'importo, "comprensivo di capitale, interessi per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni", fino a 1.000,00 Euro, ai sensi dell'art. 4 d.l. 119/2018; stralcio definitivamente ribadito da AE in "comparsa conclusionale" per "ben nove delle diciassette cartelle", come da precedente produzione delle relative "cartelle azzerate". Il Tribunale ha concesso i termini ex art. 183, c. 6, c.p.c.; all'esito, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni, discussione e decisione ex art. 281-sexies c.p.c., disponendone successivamente la trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, c. 7, lett. h), d.l. 18/2020 e successive modificazioni. 2. L'opposizione è fondata nei sensi di cui a seguire. Poiché la notifica al debitore della cartella esattoriale o del separato avviso di mora (ex art. 50, c. 2, D.P.R. 602/1973, alla cui notifica il soggetto attivo dell'esecuzione a mezzo ruolo è tenuto se l'espropriazione non inizia entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento) equivale alla intimazione di precetto, l'opposizione di Gu., quanto alle deduzioni di nullità dell'intimazione di pagamento (avviso di mora) per difetto di motivazione e di mancata notifica delle cartelle di pagamento, è un'opposizione agli atti esecutivi (tempestiva mente proposta - notifica della citazione - di fronte al giudice di pace incompetente nei 20 g. ex art. 617 c.p.c.), per la quale la competenza per materia spetta sempre al tribunale, quale giudice dell'esecuzione forzata (artt. 617, c. 1, 480, c. 3, 9 c.p.c.); e ciò persino nell'ipotesi (che qui non ricorre) che si verta in tema di crediti tributari ("a valle" di "cartella di pagamento" ed "eventuale successivo avviso recante l'intimazione ad adempiere" "la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione": C. cost. 114/2018). Ebbene, in relazione a tale opposizione, è fondata l'eccezione di nullità dell'"intimazione di pagamento notificata" per difetto di "motivazione". L'intimazione di pagamento/avviso di mora ex art. 50, c. 2, D.P.R. 602/1973 è mero atto di sollecito del pagamento che, pertanto, non richiede una specifica motivazione (C. ord. 24278/2020); peraltro, pur prevedendo l'art. 50, c. 3, D.P.R. 602/1973 che "L'avviso di cui al comma 2 è redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze", secondo la giurisprudenza più recente (C. ord. 3281 /2020), al di là "di ogni questione inerente alla conformità degli atti di intimazione di pagamento ai modelli previsti dal D.M. vigente", il "principio di garanzia di trasparenza della attività amministrativa, della piena informazione e del diritto di difesa trasfuso" nell'art. 7, c. 2, L. 212/2000 ("Statuto del Contribuente"), "in base al quale gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili", comporta che, in particolare in caso di "carente indicazione dell'ufficio competente cui rivolgersi ai fini di un eventuale contraddittorio, delle modalità per esperire un eventuale ricorso per impugnazione, della sede" dell'eventuale concessionario della riscossione "così come (...) nel dettaglio, del computo degli interessi con riferimento al tasso applicato ed al metodo di calcolo adottato", l'avviso di mora è nullo; né è sufficiente a tal fine "l'indicazione del numero verde" dell'amministrazione finanziaria o del concessionario. L'avviso di mora - intimazione di pagamento "Comunicazione dell'Agente della Riscossione" n. (...)192714000, in atti, non contiene alcune di queste indicazioni; tra le altre, quelle inerenti al responsabile del procedimento (di riscossione a mezzo ruolo) e ai modalità, termine e organo giurisdizionale per l'eventuale impugnazione; considerando in particolare, quanto a tale ultimo profilo, che per le contestazioni le quali specificamente riguardano l'atto dell'amministrazione finanziaria intimazione di pagamento/avviso di mora, e cioè estranee alla determinazione delle "somme dovute", per la quale l'avviso n. (...)192714000 rimanda l'intimato "direttamente all'ente creditore" (e l'opposizione alla quale si configura invece come opposizione all'esecuzione), che appunto integrano opposizione agli atti esecutivi (per le ragioni già sopra esposte), l'"organo giurisdizionale" competente è sempre il tribunale, sicché la relativa indicazione avrebbe potuto, e dovuto, essere fatta nella intimazione/avviso. Né può rilevare che, nel caso di specie, Gu. abbia comunque tempestivamente proposto opposizione giudiziale all'avviso (peraltro di fronte a giudice incompetente), perché se la proposizione dell'opposizione valesse sanatoria delle predette nullità esse sostanzialmente non potrebbero mai essere fatte valere e l'amministrazione finanziaria potrebbe continuare a violare le prescrizioni dell'art. 7, c. 2, L. 212/2000, come interpretato dalla sopra richiamata giurisprudenza. 3. Il Tribunale compensa interamente tra le parti le spese di lite. A tal fine rileva l'infondatezza delle eccezioni dell'opponente di omessa notifica delle cartelle di pagamento e, in gran parte, di estinzione per prescrizione dei relativi crediti. Infatti, quanto ai crediti per sanzioni amministrative, ciascun atto con effetti esterni dell'esecuzione a mezzo ruolo (notifica della cartella di pagamento, dell'intimazione di pagamento - avviso di mora, del preavviso di fermo, quale atto funzionale a portare a conoscenza dell'obbligato una determinata pretesa dell'amministrazione) è idoneo a interrompere la prescrizione del credito; fermo che, anche una volta che l'atto amministrativo di accertamento del credito (atto amministrativo sanzionatorio) divenga definitivo per mancata impugnazione (se del caso in quanto non "recuperata" in sede di opposizione all'esecuzione), il termine di prescrizione resta quello "breve" previsto per il credito oggetto di accertamento e non si converte in quello decennale, non applicandosi l'art. 2953 c.c. (C. sez. un. 23397/2016). E appunto in virtù di atti interruttivi nel caso di specie risulta non maturata la prescrizione per alcune delle cartelle azionate per sanzioni amministrative. Quanto invece ai crediti per pene pecuniarie, se è vero che la disciplina dettata in materia di prescrizione ("estinzione" "per decorso del tempo") della pena non contempla alcuna causa né di sospensione né di interruzione, a differenza di quanto espressamente prevedono gli artt. 159 e 160 c.p. in tema di prescrizione del reato, né tali artt. possono essere applicati analogicamente alla prescrizione della pena, però, secondo la giurisprudenza più recente in tema di pene pecuniarie, dal momento dell'esecuzione, che si ha "allorché il debito erariale viene iscritto a ruolo, oppure, secondo una tesi alternativa, quando venga notificata la cartella esattoriale", ossia con l'inizio della procedura di recupero coattivo, è esclusa l'estinzione per prescrizione della pena pecuniaria perché si manifesta la pretesa punitiva dello Stato, "a prescindere poi dalle specifiche vicende successive dell'effettivo recupero di quanto dovuto" (C. 51497/2019); conformemente, del resto, anche alla previsione dell'art. 172, c. 4, c.p., per cui il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione è, tra l'altro, "il giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena", sicché ogni successivo e distinto atto del procedimento di esecuzione a mezzo ruolo è idoneo a costituire (non interruzione della prescrizione ma piuttosto) nuovo dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione della pena pecuniaria. P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, così provvede: a) dichiara la nullità dell'avviso "Comunicazione dell'Agente della Riscossione" n. (...), in atti; b) compensa interamente tra tutte le parti le spese di lite. Così deciso in Lanciano il 4 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, all'esito dell'udienza in trattazione scritta del 7 luglio 2020, ha pronunciato ai sensi degli artt. 281-sexies c.p.c. e 83, c. 7, lett. h), d.l. 18/2020 e successive modificazioni la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 345/2017 R.G. e vertente TRA (...) elettivamente domiciliati in Lanciano, Via (...) presso lo studio dell'avv. (...) rappresentati e difesi dall'avv. (...) come da mandato in atti; ATTORI - OPPONENTI E (...) in giudizio tramite la mandataria con rappresentanza (...) in persona del procuratore speciale (...) (notaio (...) in Roma, rep. 17568, racc. 8379), rappresentata e difesa dall'avv. (...) in virtù di mandato allegato alla "memoria di costituzione in surroga ed intervento" del 12 maggio 2018; CONVENUTO - OPPOSTO avente a oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - contratti bancari conclusioni delle parti: come da verbale d'udienza FATTO E DIRITTO 1. (...) e hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo (...)/2017 (R.G. (...)/2017), del (...) con il quale questo Tribunale ha ingiunto loro, in solido e rispettivamente quali debitore principale e fideiussore, il pagamento, in favore della ricorrente (...), quale mandataria con rappresentanza di (...)), della somma complessiva di Euro (...) a titolo di credito al 30 aprile 2015 da contratti di aperture di credito (anche per anticipo effetti) regolate in conto corrente (nn. (...) e (...) 80901), oltre successivi interessi di mora al tasso convenzionale, spese di lite e accessori di legge. Gli opponenti hanno eccepito il difetto di prova del credito ingiunto, la nullità dei contratti per mancata "pattuizione" e indicazione del TAEG, la inesistenza e comunque nullità dei titoli di una serie di annotazioni a debito sui conti correnti, in particolare con riferimento a interessi, commissioni di massimo scoperto (d'ora in avanti, cms), condizioni complessive di credito (perché usurarie), valute, anatocismo, "spese forfettarie", per complessivi Euro 134.920,12; in sede di prima memoria conclusionale (8 marzo 2019), (...) ha eccepito la nullità del negozio di fideiussione. Si è costituita (...) (d'ora in avanti (...)) quale mandataria con rappresentanza di (...) avente causa da (...), chiedendo il rigetto dell'opposizione e, in particolare, eccependo la prescrizione del credito restitutorio di (...). Il Tribunale ha concesso i termini ex art. 183, c. 6, c.p.c.; con sentenza non definitiva ex art. 281-sexies c.p.c. e ordinanza a verbale, entrambe del 2 aprile 2019, ha deciso le questioni ed eccezioni preliminari di cui in motivazione (eccezioni di nullità del contratto per mancanza degli indicatori con funzione di trasparenza-pubblicità TAEG/ISC e di nullità delle clausole anatocistiche; esclusione dal TEG delle cms per il periodo antecedente l'1 gennaio 2010, nei sensi di cui in C. sez. un. 16303/2018; eccezione di decadenza per mancata contestazione del correntista, ai sensi degli artt. 1832 c.c. e 119, c. 3, D.Lgs. 385/1993) e disposto c.t.u.; all'esito, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni, discussione e decisione ex art. 281-sexies c.p.c., disponendone successivamente la trattazione scritta ai sensi dell'art. 83, c. 7, lett. h), d.l. 18/2020 e successive modificazioni. 2. Le domande ed eccezioni delle parti sono fondate nella misura indicata in c.t.u., chiara nelle premesse, coerente nello svolgimento e condivisibile nelle conclusioni, che ha rideterminato (pp. 19 - 22 della relazione conclusiva del 21 ottobre 2019) il saldo dei contratti di conto corrente (...) e (...) al 23 giugno 2014 (ipotesi I), rispettivamente, in Euro 128.785,21 a credito dell'intermediario (a fronte di un "saldo banca" di Euro 186.316,12 a credito dell'intermediario) e in Euro 56.569,97 a credito dell'intermediario (a fronte di un "saldo banca" di Euro 62.065,44 a credito dell'intermediario). Irrilevante è il separato saldo del conto (...) al 31 dicembre 2000 (meno di mille euro) calcolato dal c.t.u., che andava fatto confluire nel saldo del medesimo conto al 23 giugno 2014 applicando i criteri indicati dal Tribunale in quesito per l'ipotesi di incompletezza della documentazione per periodi intermedi, espressione del principio dell'onere della prova. In particolare, il Tribunale conferma le indicazioni di cui all'ordinanza a verbale del 2 aprile 2019, recante formulazione del quesito al c.t.u. Nella presente sede, l'analisi deve essere limitata alle questioni giuridiche estranee al decisum della sentenza non definitiva del 4 dicembre 2018 e specificamente riproposte dalle parti a seguito della disposta c.t.u., in precisazione delle conclusioni e negli scritti difensivi conclusionali nei limiti in cui richiamino e illustrino le osservazioni di c.t.p. Peraltro, il Tribunale osserva comunque che l'ipotesi corretta in c.t.u. è quella sub "I" in quanto la rimessa c.d. solutoria è da ritenersi pagamento per l'intero. L'esclusione della qualificazione di "pagamento" alla rimessa c.d. ripristinatoria è argomentata dalla giurisprudenza (C. sez. un. 24418/2010) come eccezione a una regola, quella per cui il versamento su conto corrente in passivo integra normalmente pagamento, estinguendo nella misura corrispondente il credito dell'intermediario (allo stesso modo in cui nessuno più ragionevolmente dubita che l'annotazione a debito su conto corrente in attivo, avendo l'effetto automatico e immediato di modificare il saldo di cui il cliente può, in ogni momento, disporre, costituisce pagamento, precisamente pagamento con la c.d. moneta scritturale); pertanto, ove ricorrano i presupposti per identificare una rimessa c.d. solutoria (sconfinamento oltre fido), torna a operare la regola generale e il versamento non può che essere considerato normale pagamento, senza alcuna limitazione alla sola misura dell'oltre fido. C. 10941/2016, invocata dagli opponenti, si limita a prospettare, tra l'altro in forma dubitativa ("potrebbe"), "la simultanea ricorrenza dell'esigibilità e liquidità di capitale ed interessi per il credito che superi il fido e per i relativi interessi, rimanendo differita tale simultaneità per il credito entro il fido al saldo di chiusura del rapporto e dell'apertura di credito"; ma il pagamento non presuppone affatto l'"esigibilità" del credito: come afferma la migliore dottrina, "il credito non scaduto è attualmente esistente" e "la prestazione anticipata attua il rapporto obbligatorio" (e quindi estingue il credito); d'altronde,proprio la disciplina in tema di revoca-toria fallimentare considera a maggior ragione pagamenti revocabili (revocati di diritto, "privi di effetto rispetto ai creditori") "i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente, se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento", ossia i pagamenti di crediti non scaduti (e quindi non esigibili). 2.1. (...) non formula contestazioni specifiche che non siano già state oggetto di decisione in sede di sentenza non definitiva. Quanto alle cms, il Tribunale ribadisce che sono affette da nullità strutturale per indeterminatezza dell'oggetto le pattuizioni di cms le quali non indichino in termini chiari se costituiscano corrispettivo dell'accordato (anche "commissione disponibilità fondi") oppure commissioni sui passivi (appunto scoperti) senza fido od oltre fido (anche "commissione mancanza fondi"); di quale durata debba essere lo scoperto cui consegue l'applicazione della commissione, se essa si applichi sul massimo importo debitore, sulla media degli importi debitori ovvero giorno per giorno sul saldo debitore e quale sia il periodo considerato a tal fine. In ogni caso, nei contratti con affidamento, sono nulle in quanto in contrasto con il disposto degli artt. 1284, c. 3, c.c. e 117 D.Lgs. 385/1993 le pattuizioni di cms (o comunque denominate) con funzione sanzionatoria di scoperti determinate in termini percentuali e applicabili sull'intero ammontare dell'utilizzato, intra-fido e oltre-fido, che il c.t.u. ha appunto riscontrato nel caso di specie (p. 17), in quanto realizzano una maggiorazione con modalità non chiare del tasso degli interessi, in particolare di quello sull'utilizzato intra-fido; e ciò, inoltre, nonostante la prestazione della banca, fino al limite dell'accordato (ossia per tutta la parte intra-fido dell'utilizzato), resti la stessa, sicché tali commissioni costituiscono altresì penali manifestamente eccessive per l'inadempimento del cliente consistente nello scoperto, a volte esiguo, oltre fido. D'altronde, l'art. 117 - bis del D.Lgs. 385/1993 ha espressamente previsto che le uniche prestazioni che possono essere pattuite a carico del cliente in cor-rispettivo/sanzione di scoperti (sia senza fido sia oltre fido) sono "una commissione di istruttoria veloce", determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto (e quindi non percentuale) e commisurata ai costi (cui deve essere ricondotta la già richiamata "commissione mancanza fondi") e gli interessi (generalmente a un tasso maggiorato rispetto al tasso previsto per gli utilizzi dell'accordato) sul solo ammontare dello scoperto/sconfinamento. 2.2. Quanto agli opponenti, il Tribunale osserva che è vero che con le modifiche recate nel 2010 si è chiarito che la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta solo per le condizioni "previste dal contratto", il che significa che può attribuirsi alla banca il potere di modificare clausole preesistenti, non quello di introdurre clausole nuove; ma la regolare (in ius variandi) introduzione di valida "CMDF" (commissione disponibilità fondi) riscontrata dal c.t.u. (pp. 5, 17) non ha integrato introduzione di clausola nuova perché il contratto conteneva già pattuizioni di clausole di cms, la cui nullità il Tribunale ha argomentato, come detto anche sub 2.1, proprio perché non chiariscono se costituiscano corrispettivo (in percentuale) dell'accordato (appunto "commissione disponibilità fondi") oppure commissioni (in percentuale) sui passivi senza fido od oltre fido ("commissione mancanza fondi"). Con riferimento invece alla deduzione (eccezione) di nullità della fideiussione stipulata da Va. per violazione della normativa antitrust, il Tribunale osserva quanto segue. La nullità (di clausole) del contratto può essere rilevata d'ufficio (precisamente come indicazioni alle parti della relativa questione: C. sez. un. 26242/2014) persino per la prima volta in sede di decisione, salvo il rispetto della previsione dell'art. 101, c. 2, c.p.c.; ma la rilevabilità d'ufficio non può tradursi nell'esercizio di un potere inquisitorio e ciò presuppone che i fatti posti a fondamento della qualificazione di nullità siano specificamente allegati, e conseguentemente provati, dalle parti. Alle eccezioni di nullità per violazione della normativa antitrust non si applica (Corte di Appello di Bari, 45/2020) la previsione di competenza territoriale concentrata in favore del Tribunale delle Imprese, ossia delle sezioni specializzate in materia di impresa, ex art. 33, L. n. 287/1990 (come modificato dalla novella del 2012). La nullità del contratto "a valle" (che cioè ne costituisce attuazione o direttamente manifestazione, ai sensi di C. sez. un. 2207/2005) di una intesa anticoncorrenziale non è una nullità di contenuto (di condizioni contrattuali), bensì di modalità di pattuizione; ossia il contratto è nullo, a prescindere da un giudizio sulle clausole pattuite, perché espressione di una intesa anticoncorrenziale; sicché l'utilizzo (se del caso tralatizio), a volte a distanza di anni, di moduli e comunque clausole contrattuali ritenuti nel 2005 manifestazione di una intesa anticoncorrenziale non comporta automaticamente la nullità del negozio di fideiussione, perché non vale di per sé a dimostrare che tale intesa, o una nuova conforme intesa, sia attualmente in essere. Infatti, C. 29810/2017 ha argomentato specificamente la nullità dei contratti e negozi stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente, se quei contratti e negozi attuino una intesa preesistente o manifestino direttamente tale intesa. Secondo C. 13846/2019, ciò che il giudice civile deve accertare è "la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali (...) col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva". In tale prospettiva, per cui è sufficiente la sola "coincidenza della clausole" perché il contratto "a valle" sia considerabile attuazione di una intesa anticoncorrenziale, è controverso se la conseguente nullità sia una nullità totale o una nullità parziale, limitata alle clausole "coincidenti". Ai sensi della disciplina della nullità parziale, si ha conservazione del contratto se la (sopravvivenza della) parte del contratto non viziata da nullità è compatibile con gli interessi delle parti risultanti dal contenuto del contratto stesso, cioè con la sua causa concreta; ciò è espresso dal c.c. per la nullità parziale oggettiva (ossia la nullità che colpisce una parte del contenuto del contratto) con la disposizione per cui la nullità parziale comporta la nullità dell'intero contratto "se risulta che i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità" (art. 1419 c.c.). Ebbene, è stato sostenuto, in tema di fideiussioni omnibus, che, ipotizzato un contesto di stipulazione (essendo invece irrilevante il successivo momento di accertamento della nullità, ossia la valutazione dell'interesse a posteriori dei contraenti) di contratto di credito e accessorio negozio di fideiussione non falsato dalla presenza dell'intesa anticoncorrenziale, i contraenti (e in particolare l'intermediario) non avrebbero concluso i negozi alle medesime condizioni economiche in assenza delle clausole che sono attuazione o manifestazione della intesa illecita: "dal punto di vista della Banca, l'impossibilità di scaricare alcuni costi sul cliente avrebbe richiesto una complessiva ristrutturazione della sua attività e anche della sua politica contrattuale, non solo con riferimento alla garanzia, ma anche con riferimento all'erogazione del credito" (ABF Milano 16558/2019; Corte di Appello di Bari 45/2020). In altri termini, quelle clausole sarebbero essenziali ai fini della causa concreta del negozio fideiussorio. Quanto sopra depone comunque per la limitazione della nullità antitrust alle sole clausole coincidenti allorché l'inserimento delle stesse sia stato, appunto, meramente tralatizio, a distanza di anni e in sede di condizioni contrattuali generali riportate in calce al contratto o negozio, perché ne risulta la non essenzialità ai fini della causa concreta dello stesso. Anche a prescindere dalla violazione della normativa antitrust, è comunque da qualificare nulla la clausola dei negozi di fideiussione c.d. di reviviscenza (nel caso di specie, art. 2), perché in contrasto persino con la disciplina ricostruita in via giurisprudenziale per il negozio autonomo di garanzia, lì dove considera fraudolenta o comunque abusiva la pretesa del creditore verso il garante autonomo quando risulti già accertata l'inesistenza o l'estinzione dell'obbligazione principale garantita, il che evidentemente si ha allorché l'intermediario abbia dovuto restituire le somme pagate in adempimento dell'obbligazione garantita. Non altrettanto può dirsi né per la clausola c.d. di sopravvivenza (nel caso di specie, art. 8), perché l'obbligazione del debitore principale di restituzione del capitale finanziato ("restituzione delle somme comunque erogate") sussiste anche in caso di integrale nullità del finanziamento, quale obbligazione ex lege (da indebito oggettivo: art. 2033 c.c.), sicché la garanzia fideiussoria omnibus resta accessoria (art. 1939 c.c.) rispetto alla "valida" obbligazione di restituzione del debitore principale; né per la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (nel caso di specie, art. 6), che la giurisprudenza ritiene di per sé valida, essendo possibile derogare all'art. 1957 c.c. anche tacitamente (C. 13078/2008) e senza che la clausola di deroga integri clausola vessatoria ai sensi dell'art. 1341, c. 2, c.c. (ma nel caso di specie l'art. 6 è stato oggetto della c.d. doppia firma). Infine, il Tribunale rileva che, secondo C. sez. un. 2207/2005, la L. 287/1990 non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia subito uno specifico pregiudizio in conseguenza della rottura o della diminuzione del carattere competitivo del mercato; e, quindi, non solo imprenditori concorrenti partecipi dello stesso livello operativo al quale si situa l'illecito antitrust, ma anche altri imprenditori che abbiano subito una lesione dei propri interessi e "consumatore" finale. Ma la nozione di "consumatore" va qui intesa in senso più ampio di quella fatta propria dalla legislazione di tutela del contraente debole; ossia, ai fini della legge antitrust consumatore può essere inteso chiunque si presenta sul mercato per acquisire beni e servizi non destinati a essere reimpiegati come fattori produttivi; in particolare, al contrario di quanto generalmente ritenuto in altri ambiti, deve essere considerato consumatore il fideiussore (persona fisica) anche ove garantisca l'obbligazione di un imprenditore (Tribunale di Brescia 22 maggio 2018). Ebbene, premesso quanto sopra, il Tribunale ritiene che dell'elenco delle "seguenti norme e condizioni" nel negozio di "fidejussione specifica - omnibus" sottoscritto da (...) il 14 febbraio 2006 è predicabile l'utilizzo meramente tralatizio da parte dell'intermediario; sicché la nullità antitrust deve essere limitata alle sole clausole coincidenti. Irrilevante la nullità della clausola di reviviscenza (art. 2), perché il Tribunale ha appunto formulato il medesimo quesito sia per (...) (debitore principale), sia per (...) (fideiussore), né d'altronde (...) ha in alcun modo fatto valere le conseguenze di una tale clausola, residua la specifica deduzione degli opponenti (...) di decadenza dell'intermediario ai sensi dell'art. 1957 c.c., ossia di estinzione della fideiussore perché lo stesso non ha tempestivamente (entro 6 mesi) proposto e proseguito diligentemente azione ("le sue istanze") nei confronti del debitore principale. Tale deduzione è fondata; la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. (art. 6), testualmente identica a quella contenuta nello "schema contrattuale (...) espressivo della vietata intesa restrittiva", ai sensi della citata C. 13846/2019, è nulla; tale nullità avrebbe potuto anche essere rilevata d'ufficio dal Tribunale, persino in sede di decisione della controversia; sulla relativa deduzione degli opponenti (già in memoria conclusionale dell'8 marzo 2019, precedente la sentenza non definitiva del 2 aprile 2019) (...) ha avuto ampio modo di esercitare, e ha esercitato, il contraddittorio; i fatti che fondano l'estinzione ex art. 1957 c.c. della fideiussore azionata sono provati agli atti, in quanto secondo la giurisprudenza l'istanza del creditore di cui all'art. 1957, c. 1, c.c. deve essere giudiziale (è sufficiente la presentazione di un ricorso per decreto ingiuntivo o per sequestro conservativo: C. 9364/1991) e /o stesso ricorso per decreto ingiuntivo per (...), datato 9 gennaio 2017, rappresenta (p. 5) che l'intermediario ha "revocato le linee di credito" (con conseguente scadenza dell'obbligazione principale di restituzione dell'utilizzato) "a mezzo di racc a.r. del 24 marzo 2014", ossia ben oltre i sei mesi precedenti il ricorso stesso. Conclusivamente, ne discende l'insussistenza dell'obbligazione di garanzia di (...). 3. Le spese di lite (anche di fase monitoria) vengono interamente compensate, considerate le parziali soccombenze reciproche (...) ha domandato ingiunzione per una somma superiore a quella che il Tribunale ha accertato come dovuta e nei confronti di soggetto non più obbligato; gli opponenti hanno proposto molteplici eccezioni infondate). Le spese di c.t.u., già separatamente liquidate, vengono definitivamente poste a carico di (...). P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, così provvede: a) revoca il decreto ingiuntivo (...)/2017 (R.G. (...)/2017), emesso da questo Tribunale il 24 gennaio 2017; b) condanna (...) al pagamento, in favore di (...) della somma di Euro (...) (Euro (...) più (...) per i due titoli contrattuali meglio specificati in ricorso per decreto ingiuntivo), oltre interessi al tasso indicato in ricorso per decreto ingiuntivo dal 23 giugno 2014; c) compensa interamente tra le parti le spese di lite, anche di fase monitoria; d) pone le spese di c.t.u., già liquidate nel corso del giudizio, definitivamente a carico di (...). Così deciso in Lanciano il 7 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LANCIANO Affari Contenziosi Civili Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Chiara D'Alfonso in seguito alla disposta trattazione cartolare all'esito della memoria conclusiva (c.d. di trattazione scritta) depositata da parte attrice in data 29 aprile 2020 ex art. 83 co. 7 lett. h) dl 18/20 e note conclusionali del 22 maggio 2020 ha pronunciato fuori udienza la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 101/2017 promossa da: MO.SI. S.p.A. (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. MA.VA. (c.f. (...)) domiciliato in Corso (...) 66100 Chieti Italia ATTORE/I contro MA.D'O. (c.f. (...)) rappresentata e difesa dall'avv. RA.DA. (c.f. (...)) domiciliato in VIA (...) 66034 LANCIANO CONVENUTO/I Oggetto: Revocatoria ordinaria CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con atto di citazione notificato in data 27 gennaio 2017 la Banca Mo.Si. S.p.A. ha convenuto in giudizio il sig. D'O.Ma., anche quale amministratore unico e legale rappresentante della Eg. srl, D'O.Fr. e Fe.Vi. per vedere dichiarare inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell'articolo 2901 c.c., l'atto per Notar Gi.So. del 20.07.2012 con il quale Ma.D'O. ha donato alla madre e alla sorella nuda proprietà e usufrutto vitalizio su porzione di fabbricato in Lanciano alla C.da (...) (NCF detto Comune foglio (...)). I convenuti, costituendosi in giudizio, hanno contestato la intervenuta diminuzione di garanzia in favore dell'Istituto di credito in conseguenza della richiamata donazione per le seguenti ragioni: - immobile già gravato da ipoteca di primo grado rilasciata in favore di Ba.De. S.p.A. (finanziamento Euro 300.000,00); - garanzia prestata per adempimento obbligazioni su tutto il patrimonio immobiliare della Eg. S.r.l. rispetto al quale pende Proc. Es. Imm. 74/2014; - esistenza di una polizza assicurativa del valore di Euro 100.000,00 non svincolata e sottoscritta dal D'O. a garanzia della concessione dell'affidamento di conto corrente. All'interno delle memorie ex art. 183 comma VI c.p.c. è emerso che la polizza di Euro 100.000,00 da ultimo menzionata era stata contratta dalla Eg. S.r.l. in proprio favore e costituita in pegno in favore della MP. spa. Tale circostanza, una volta allegata da parte attrice, non è stata contestata dalla convenuta che nella memoria si è limitata a richiedere tutto il carteggio relativo alla polizza in parola assumendo di non averne mai ricevuto copia. Tale ultima circostanza è stata smentita dall'attrice. 2. Esaminando i rilievi di parte convenuta osserva: 2.1. Quanto al primo rilievo circa la presenza di ulteriori gravami di grado antergato rispetto a quello iscritto dalla attrice sul bene immobile oggetto di revocatoria, la circostanza non è stata provata da documentazione idonea ad attestare la iscrizione anteriore in favore dell'Istituto di credito marchigiano. 2.2. Rispetto alla pendenza della procedura esecutiva immobiliare sui beni della società, parte attrice ha prodotto nei termini di cui alla seconda memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. relazione di stima versata in atti della proc. es. imm. 74/2014 attivata sul patrimonio immobiliare della Eg. S.r.l. nella quale la MP. è intervenuta. Al 2017 risultavano aggiudicati i soli lotti 1,2,3 per complessivi Euro 100.000,00. I lotti nn 4 e 5 risultano posti in vendita nel 2017 al prezzo base di Euro 50.000,00 ciascuno. La vendita è andata deserta. Il titolo della MP. nella procedura esecutiva indicata è costituito da mutuo fondiario (antergato rispetto ad altri da quanto risulta dall'elenco iscrizioni di cui a pag. 8 della relazione di stima all. 20 replica parte attrice) per rate non corrisposte, resta fuori della pretesa ivi azionata il credito per saldo passivo di conto. L'esposizione debitoria per insoluto di mutuo di circa 490.000,00 Euro è già da sola idonea a coprire l'intero valore del compendio. 3. La domanda attorea è fondata. Parte attrice ha fornito la prova (il cui onere le incombeva) della propria qualità di creditrice di Ma.D'O. e del compimento, da parte di quest'ultimo, in epoca successiva al sorgere del debito verso l'attrice, dell'atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito descritto in citazione. Tale circostanza risulta dalla copia della fidejussione rilasciata in data 2.02.2011 da D'O.Ma. per l'adempimento delle obbligazioni della Eg. S.r.l. verso l'Istituto di Credito, con impegno del fidejussore al pagamento immediato in favore della Banca a semplice richiesta, anche in caso di opposizione del debitore (punto 7 lettera di fidejussione all. 9 parte attrice). E' in tal modo provata la sottoscrizione della fidejussione dalla quale derivano i crediti vantati dall'attrice nei confronti del convenuto e la richiesta formulata senza necessità di preventiva escussione del debitore principale. Il fidejussore, costituendosi in giudizio, non ha contestato la sussistenza della garanzia, sottolineando piuttosto la esistenza di tre polizze assicurative-bancarie che avrebbero potuto essere svincolate per evitare la sovra esposizione debitoria per gli interessi moratori e di sconfinamento che via via crescevano sul capitale. Il D'O. è riuscito ad ottenere lo svincolo delle sole due polizze da 25.000,00 Euro ciascuna, mentre parte attrice ha opposto allo svincolo della polizza di Euro 100.000,00 la costituzione della stessa in pegno in favore dell'Istituto di credito. Resta che, a fronte di un credito di circa 270.000,00 (quale saldo passivo del c.c. 2353 e affidato con aperture di credito), il valore complessivo delle polizze non avrebbe superato Euro 150.000,00. A ben considerare, una volta accertata la sussistenza di un credito dell'attore nei confronti del convenuto (sussistenza, si ripete, neanche contestata dal convenuto), la determinazione dell'esatto ammontare del credito stesso potrebbe presentare rilevanza esclusivamente al fine delle valutazioni da compiere in ordine all'ulteriore requisito del pregiudizio, ma non al fine dell'accertamento del presupposto processuale dell'azione revocatoria costituito dalla qualità di creditore in capo all'attore. Tuttavia, è opportuno ugualmente rilevare che, mentre i fatti costitutivi del credito sono stati provati dall'attore, i fatti a base dell'eccezione di assenza di pregiudizio alle ragioni creditorie per effetto della devoluzione gratuita dei beni immobili, sono rimasti del tutto sforniti di prova. Deve dunque prendersi atto della sussistenza del credito dell'istituto attore nei confronti del D'O. per un ammontare comunque non inferiore a Euro 200.000,00. A ben dire i crediti dell'attrice al 29.01.2016 assommavano a circa 768.000,00 oltre accessori per rapporti di cui alla lettera di costituzione in mora del 29.01.2016. In secondo luogo la prova dell'atto di disposizione patrimoniale ritenuto da parte attrice pregiudizievole delle proprie ragioni è documentale ed è costituita dall'atto pubblico formato in data 20/07/2012 al rogito Notar Gi.So. (e trascritto presso la conservatoria dei RR.II. di Chieti in data 17/8/2012 ai nn. RG 14600 RP 11486, RG14601 RP11487), con il quale D'O.Ma. ha donato alla Fe.Vi. usufrutto vitalizio su bene personale e alla D'O.Fr. nuda proprietà su medesimo bene in Lanciano foglio 24 part 699 subb. 7 e 8. Tale circostanza, in realtà, non è stata contestata dal convenuto costituito, il quale si è limitato, sul punto, a negare che tale disposizione patrimoniale recasse pregiudizio alle ragioni dell'attore. Contrariamente a tale ultima affermazione, deve però riconoscersi l'effettiva potenzialità lesiva della garanzia patrimoniale dell'attore (in ciò consistendo il pregiudizio richiesto dall'art. 2901 c.c.) insita nell'atto di donazione ricordato. Il pregiudizio, il c.d. eventus damni nella azione revocatoria ordinaria, si palesa come il pericolo che il patrimonio del debitore non sia capiente rispetto all'entità del credito, tenuto conto dell'esistenza di tutti gli ulteriori debiti e delle eventuali garanzie prestate. L'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, non anche la garanzia specifica. Di conseguenza, per l'integrazione del profilo oggettivo dell'eventus damni, non è necessario che l'atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, cagionando la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell'incapienza dei beni del debitore, e cioè il pericolo dell'insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà o incertezza nell'esazione coattiva del medesimo. In ogni caso, non basta l'eventualità meramente astratta dell'impossibilità di far fronte al debito: è necessaria la concreta ed attuale possibilità (la probabilità o il pericolo) che il patrimonio del debitore sia insufficiente, pur non dovendo necessariamente verificarsi una totale compromissione della consistenza patrimoniale debitoria e bastando che la soddisfazione del credito sia, a causa dell'atto compiuto, più incerta o difficile. L'onere di provare l'insussistenza di tale situazione incombe sul debitore convenuto che nel caso di che trattasi non ha dimostrato la effettiva capienza patrimoniale della società rispetto al suo legale rappresentante fidejussore ne' appare meritevole di accoglimento alla lettura del punti n. 7 della fidejussione in atti la eccezione di preventiva escussione del patrimonio del debitore principale. A tale conclusione deve pervenirsi (ed a prescindere dalla entità del credito vantato dall'istituto attore) sulla scorta delle seguenti considerazioni: - la natura e il contenuto dell'atto (a titolo gratuito, a favore della propria figlia minorenne e con contestuale riserva del diritto di abitazione) che priva il debitore di un cespite patrimoniale di facile aggredibilità in sede esecutiva senza alcuna corrispondente contropartita economico-patrimoniale; - la aggressione, anche per altra causa, di ulteriori beni nel patrimonio del debitore incapienti rispetto al credito complessivamente vantato con l'effetto di rendere il patrimonio pertanto inidoneo a fornire al creditore garanzie quantitativamente e qualitativamente adeguate rispetto a quelle esistenti prima del compimento dell'atto; - la sussistenza di ulteriori debiti di ammontare non irrilevante dei quali il convenuto non prova posteriorità rispetto al debito dell'attore (es debiti erariali portati da interventi nella procedura esecutiva pendente). In mancanza di qualsiasi concreta deduzione fattuale in senso contrario (al di là della generica contestazione del pregiudizio), quanto precede appare a questo giudice sufficiente a fare emergere la concreta ed effettiva lesione delle ragioni creditorie, ed in particolare la diminuzione non solo quantitativa della garanzia patrimoniale ed il pericolo di insufficienza della garanzia residua - peraltro di ignota e dubbia consistenza-, conseguente all'atto impugnato in revocatoria. Sotto il profilo soggettivo, le circostanze appena evidenziate sono tali da consentire di desumerne la prova della conoscenza del pregiudizio da parte del debitore, posto che l'atto non rispondeva ad alcun interesse patrimoniale del debitore medesimo e, in considerazione della rappresentanza legale del fidejussore nella società debitrice principale, il vincolo stesso rende "estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente"(Cass. sent. 22591/2017). Trattandosi di atto successivo al sorgere del credito, appare irrilevante qualsiasi valutazione volta ad accertare se l'atto fosse o meno preordinato ad arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie, non essendo richiesto simile atteggiamento intenzionale della volontà per la revocabilità dell'atto. Inoltre, trattandosi di atto a titolo gratuito, rimane estranea al presente giudizio la considerazione dell'atteggiamento soggettivo della controparte. Conclusivamente, risultano accertati tutti gli elementi costitutivi dell'azione revocatoria previsti dall'art. 2901 n. 1) c.c.. Si deve, dunque, in accoglimento della domanda, dichiarare la inefficacia del predetto atto di donazione nei confronti dell'originaria parte attrice. 4. Con riferimento alla domanda per responsabilità processuale aggravata e relativa condanna essa non merita accoglimento non potendo qualificare come resistenza dolosa o gravemente colposa la condotta del convenuto che ha mancato di allegare circostanze idonee alla prova della riduzione della garanzia patrimoniale in danno dell'attore, ne' appare configurabile una condotta valutabile alla stregua di "abuso del processo, essendosi parte convenuta limitata a resistere dinanzi ad un quadro patrimoniale opinabile" (Cassazione civ., sez 3, ord. ordinanza n. 7901 del 30/03/2018, Cassazione civ., sez. 1, sentenza n. 2040 del 26/01/2018) 5. La soccombenza dei convenuti comporta la condanna degli stessi al rimborso, a favore dell'attore originario, delle spese di lite, che vengono liquidate in dispositivo nei minimi prendendo a riferimento lo scaglione di valore indicato nell'atto di citazione e riconoscimento di tutte le fasi di giudizio. P.Q.M. definitivamente pronunciando, così provvede: - in accoglimento della domanda proposta dalla Mo.Si. S.p.A. dichiara inefficace nei confronti della stessa, l'atto di donazione stipulato tra D'O.MA. e D'O.FR. e FE.VI. al rogito So. in data 20.07.2012 rep. 66562 e trascritto presso la Conservatoria dei RR.II. di Chieti in data 17/08/2012 (R.G. 14600; R.P. n. 11486 e RG 14601 e RP 11487), con il quale D'O.MA. ha donato: a. a FE.VI. usufrutto vitalizio e a D'O.FR. la nuda proprietà dell'immobile sito in Lanciano, Contrada (...), censito al n. C.F. foglio (...) b. a FE.VI. usufrutto generale vitalizio su porzione di fabbricato sita in Lanciano alla Contrada (...) censito al n. C.F. foglio (...). - condanna i convenuti, in solido tra loro, a rimborsare alla MO.SI. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 12.678,00 per compensi oltre rimborso forfettario al 15%, IVA, CAP secondo legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva per legge. Così deciso in Lanciano il 29 giugno 2020. Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale, in persona del Giudice On. Avv. Cesare D'Annunzio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 104/2019 R.G., promossa da: (...) S.A.S. (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. D'A.MI., con domicilio eletto in Corso (...) 66041 Atessa ITALIA presso il difensore. ATTORE contro (...) S.R.L. (C.F. (...)) CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: Vendita di cose mobili MOTIVI DELLA DECISIONE FATTO La società (...) s.a.s., con atto di citazione del 21.01.2019, notificato in data 07.02.2019, ha citato in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale la società (...) s.r.l., per ivi sentire accogliere le conclusioni sopra trascritte. L'attrice ha premesso che nel giugno 2018 nell'esercizio della propria attività commerciale, consistente, tra l'altro nella rivendita di pellet, dopo avere visionato il relativo sito internet, e preso contatti telefonici con alcuni responsabili della (...) s.r.l., corrente in (...) (M.) alla Via (...) n.20/D, ditta operante nell'ambito della "produzione e commercio all'ingrosso e al minuto di pellet di legno ad uso combustibile", aveva effettuato e perfezionato l'acquisto, mediante invio della proposta di acquisto e ricezione della successiva conferma d'ordine da parte della società venditrice, del seguente materiale: "pellet certificato enplus A1 timber" nella specie n. 7 bancali da 72 sacchi, del "pellet certificato enplus A1 Holz" nella specie n. 11 pallet da 75 sacchi e del "pellet certificato enplus A1 Polar" nella specie 10 pallet da 65 sacchi Successivamente il 18.06.2018, l'attrice, in ossequio alle pattuizioni intercorse, corrispondeva alla (...) s.r.l., a titolo di prezzo d'acquisto del materiale, la concordata somma di Euro 7.703,12. Poiché al pagamento non era seguita la ricezione della merce acquistata, la odierna attrice aveva dapprima avviato procedura di negoziazione assistita, cui la convenuta non dava riscontro, e poi ha proposto domanda giudiziale. Alla prima udienza del 03.06.2019, verificata la regolarità della notifica, la convenuta non costituita è stata dichiarata contumace. Il giudizio è stato istruito mediante l'acquisizione dei documenti prodotti e l'escussione delle due testi addotte dall'attrice, Sig.re (...) e (...). La causa è stata poi rinviata all'udienza del 20.01.2020 per la precisazione delle conclusioni, e trattenuta in decisione con assegnazione del termine per scritti conclusionali. DIRITTO Poiché è intervenuta la contumacia della convenuta, è opportuno considerare che costituisce principio generale dell'ordinamento processuale l'assoluta neutralità probatoria della contumacia, cui non può essere attribuita alcuna efficacia, certamente non ai fini ricognitivi di valenza confessoria, ma neppure soltanto per la valenza non contestativa dei fatti allegati dall'altra parte, che resta pertanto pienamente onerata della prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio. La contumacia della parte convenuta non esclude, in sostanza, il potere-dovere del giudice di accertare se la parte attrice abbia dato dimostrazione probatoria dei fatti costitutivi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano o meno state proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni in senso lato. (Cass. civ., Sez. lavoro, 21/11/2014, n. 24885) Ciò premesso, deve ritenersi che la società attrice ha ottemperato all'onere probatorio posto a suo carico, ed alla luce delle risultanze istruttorie la domanda è risultata provata, e può essere accolta. L'inadempimento contrattuale da parte della convenuta è grave, poiché consiste nella totale omissione della consegna della merce acquistata, pur avendo percepito l'integrale pagamento della fornitura, e costituisce presupposto idoneo per dichiarare la risoluzione ex art. 1453 c.c. L'attore ha adempiuto all'onere posto a suo carico in qualità di creditore che agisce per la risoluzione contrattuale e per il risarcimento del danno: egli, onerato di provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, a tanto ha ottemperato allegando il contratto di fornitura concluso con la convenuta e il documento comprovante l'avvenuto pagamento del prezzo della merce. In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento, deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. (Tribunale Roma, Sez. Specializzata in materia di imprese, 25/01/2019) L'attrice ha allegato la fattura emessa dalla convenuta, nella quale è descritto il materiale acquistato, e l'attestazione di versamento della somma corrispondente, mediante bonifico bancario. Risulta così dimostrata con documenti l'esistenza della fonte contrattuale, e l'attrice ha dato prova dell'adempimento alle prestazioni cadenti a proprio carico, mentre la convenuta, a fronte del richiamo della fonte contrattuale, e della allegazione della circostanza dell'inadempimento nulla ha osservato, pur restando a suo carico, quale debitore convenuto, l'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, o del mancato adempimento per causa non imputabile. Ne consegue che il contratto va dichiarato risolto per l'inadempimento della odierna convenuta. Conseguenza immediata della dichiarata risoluzione è l'obbligo della convenuta di restituire la somma percepita in base al contratto, e corrispondente ad Euro 7.703,12. La prova testimoniale dedotta dalla società attrice, e svolta mediante l'audizione delle testi Sig.re (...) e (...), familiari del legale rappresentante, ed operanti nell'ambito della società, ha poi confermato che la merce acquistata era destinata alla rivendita nell'ambito dell'attività commerciale esercitata dalla società attrice. Entrambe le testi escusse hanno confermato nella misura minima del 20% l'ammontare della maggiorazione applicata dalla attrice nella determinazione del prezzo di vendita al pubblico della merce acquistata, così individuando il margine del ricavo prospettabile dalla rivendita del materiale. Hanno del pari confermato che la mancata ricezione della merce ha comportato la perdita dell'occasione di rivendita, allorché la ditta (...) ha dovuto opporre la indisponibilità del materiale alla clientela che si era rivolta per l'acquisto del pellet. L'attrice ha chiesto anche la liquidazione della somma di Euro 2.000,00, indicandola in termini di vantaggio patrimoniale non conseguito (lucro cessante). Il lucro cessante costituisce un danno normalmente futuro, che chiede una ragionevole certezza in ordine al suo accadimento, e secondo giurisprudenza ricorrente va desunto dalla ricostruzione ideale di quanto il creditore avrebbe conseguito per normale successione degli eventi qualora l'obbligazione di controparte fosse stata adempiuta, e ciò non in misura di ipotetica ed astratta possibilità, poiché occorre che la situazione concreta consenta di ritenere fondata ed attendibile la previsione formulata. In altri termini non è richiesta l'assoluta certezza di quanto il soggetto non inadempiente avrebbe percepito, essendo sufficiente un vaglio in termini di probabilità seppure elevata, e sulla base di questa, effettuare un giudizio rigoroso, non di semplice possibilità, escludendo quindi i mancati guadagni individuabili come meramente ipotetici poiché dipendenti da condizioni incerte, quali quelle legate ad un improbabile fatto del terzo. Tale orientamento più recente e rigoroso prevale sulla giurisprudenza che aveva talvolta ritenuto il danno da mancato guadagno per inadempimento del compratore, in favore del venditore di beni mobili che eserciti a scopo di lucro il commercio dei medesimi, presumibile sino a prova contraria, indipendentemente dal fatto che il bene oggetto della compravendita fosse da destinarsi dal venditore ad altri acquirenti, e liquidabile dal giudice con equo apprezzamento di tutte le circostanze del caso, secondo una ricostruzione ideale degli utili che il venditore stesso avrebbe potuto ragionevolmente conseguire dalla normale esecuzione del contratto. E' preferibile il più concreto e recente orientamento secondo cui ove sia dedotto in giudizio un danno da inadempimento contrattuale da lucro cessante, dovendosi quest'ultimo concretizzare nel mancato guadagno, ovvero nell'accrescimento patrimoniale ridottosi o azzeratosi proprio a causa dell'inadempimento, la parte che lo deduce ha il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell'utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione. (Tribunale Ferrara, 15/03/2019) In tale ottica l'attrice ha fornito adeguati elementi idonei a vedere accolta la domanda di risarcimento del danno da lucro cessante, perché sulla base delle sue deduzioni è verosimile che l'acquisto, operato nel mese di giugno fosse volto all'approvvigionamento del proprio magazzino, al fine di soddisfare la richiesta della clientela che nel medesimo periodo iniziava a procurarsi le scorte di materiale per la successiva stagione invernale; la frequenza ed affluenza della clientela a tale fine è stata confermata in sede testimoniale, e questo è elemento idoneo a riconoscere in termini altamente probabilistici che ove in possesso del materiale, la attrice lo avrebbe rivenduto alla propria clientela, conseguendo il margine di guadagno naturalmente sotteso all'esercizio dell'attività commerciale. Quanto al margine di guadagno, l'attrice ha riportato vari elementi, indicando la percentuale di maggiorazione sul prezzo d'acquisto in misura del 20% (teste (...)), 20-25% (teste (...), e atti di parte), o che la merce sarebbe stata rivenduta complessivamente al prezzo di circa Euro 9.700 (teste (...)); la domanda in proposito viene indicata in Euro 2.000,00; In difetto di altri elementi, va prudenzialmente tenuto a riferimento il valore più basso indicato in atti, corrispondente al 20% circa del prezzo d'acquisto, e quindi la somma spettante a titolo di danno da lucro cessante può essere liquidata in Euro 1.500,00. Tale importo si ritiene più rispondente a contemperare il diritto alla liquidazione del danno con la ragionevole probabilità del suo conseguimento, che è inversamente proporzionale al margine di guadagno applicato, e comunque rientrante nei parametri indicati dall'attrice. L'attrice ha chiesto che sugli importi liquidati vengano applicati gli interessi moratori di cui al D.L. n. 231 del 2002, ma tale domanda non può essere accolta perché, pur vertendo l'odierna controversia in tema di inadempimento ad un contratto posto in essere nell'ambito dell'attività commerciale, la normativa richiamata trova applicazione nei casi di ritardato pagamento, effettuato a titolo di corrispettivo delle transazioni commerciali, e non a titolo di risarcimento del danno conseguente la risoluzione per inadempimento; l'art. 3 individua la responsabilità del debitore che abbia ritardato il pagamento del prezzo, fattispecie diversa da quella in esame. L'obbligo di restituzione delle somme percepite dal convenuto come prezzo dell'obbligazione, non è soggetto a rivalutazione monetaria, e questo perché (Cass. 22664 del 5.11.2015) si tratta di un debito cosiddetto "di valuta" e non "di valore"; dunque, come tale, non è soggetto a rivalutazione monetaria. Diversa soluzione va assunta per la voce del risarcimento del danno per inadempimento contrattuale di obbligazioni non pecuniarie, che costituisce debito di valore. Per i debiti di valore vanno riconosciuti tanto la rivalutazione monetaria quanto gli interessi legali: la prima allo scopo di ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato ponendolo nella condizione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato, i secondi in quanto svolgono una funzione compensativa. Pertanto la rivalutazione spetta sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate secondo la tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, in relazione all'attività svolta, anche volta ad evitare il contenzioso e documentata secondo lo scaglione di valore in domanda. Attività stragiudiziale di negoziazione assistita (tab35bis D.M. n. 37 del 2018): fase attivazione Euro 420,00 Attività processuale Fase Studio Euro 875,00 Fase introduttiva Euro 740,00 Fase istruttoria Euro 1.600,00 Fase decisoria Euro 1.620,00 P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. dichiara il contratto d'acquisto della merce di cui alla fattura n.(...) dell'11.06.2018, emessa dalla (...) s.r.l. risolto per l'inadempimento della convenuta (...) s.r.l.; 2. condanna la convenuta (...) s.r.l. a pagare all'attrice (...) S.A.S., a titolo di restituzione del prezzo della fornitura non eseguita, la somma di Euro 7.703,12 oltre interessi legali dalla data di invio della negoziazione assistita al saldo 3. condanna la convenuta (...) s.r.l. a corrispondere all'attrice (...) S.A.S., a titolo di risarcimento del danno, l'importo di Euro 1.500,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di invio della negoziazione assistita al saldo 4. Condanna la convenuta (...) s.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore all'attrice (...) S.A.S.,, liquidandole in Euro 277,00 per esborsi, Euro 5.255,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, CPA ed IVA se dovuta. 5. Sentenza provvisoriamente esecutiva Così deciso in Lanciano il 6 maggio 2020. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LANCIANO Il Tribunale, in persona del Giudice On. Avv. Cesare D'Annunzio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1186/2017 R.G., promossa da: (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. RO.MA., con domicilio eletto in VIA (...) LANCIANO presso il difensore. ATTORE contro (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'Avv. CA.DI., con domicilio eletto in VIA (...) 66043 CASOLI CONVENUTA OGGETTO: Opposizione a decreto ingiuntivo MOTIVI DELLA DECISIONE FATTO Con atto notificato in data 08.11.2017, (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 308/2017 del Tribunale di Lanciano, emesso su ricorso della ex coniuge (...) con il quale gli è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 5.866,37, per il rimborso delle spese straordinarie sostenute in favore delle figlie. L'opponente ha eccepito l'illegittimità del decreto ingiuntivo n.308/17 ed ha contestato la pretesa creditoria avanzata, la natura straordinaria degli esborsi, l'insussistenza dell'urgenza e della necessità degli stessi, la effettiva sopravvenienza, la unilateralità delle decisioni che li ha accompagnati, la natura voluttuaria degli stessi, la loro insostenibilità in rapporto alla sua situazione economica e reddituale. Sulla base di tali doglianze l'opponente ha chiesto, previa revoca del decreto opposto, di accertare e di quantificare l'entità delle spese straordinarie dallo stesso dovute, nella misura di Euro 1.500,00. Somma che provvedeva a versare, banco judicis. Con comparsa del 03.05.2018, si è costituita in giudizio (...), la quale ha insistito nella propria pretesa creditoria chiedendo il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto; la somma di Euro 1.500,00 è stata trattenuta in acconto sul maggiore dovuto. La causa è stata istruita con le produzioni documentali e le prove per testi indicate dalle parti ed è stata trattenuta indecisione all'udienza del 20.1.2020, con assegnazione del termine per note conclusionali DIRITTO I rapporti economici tra le odierne parti in causa sono stati regolati secondo le previsioni dell'accordo di separazione omologato, datato 28.09.2012, nel quale era previsto il contributo del (...) alle spese straordinarie (scolastiche, medico specialistiche, etc.) in misura del 50%, previa documentazione, e nella sentenza di divorzio dove si prevede l'obbligo del padre di concorrere nella misura del 50% alle spese straordinarie concordate e documentate. Nel caso di specie, l'opponente afferma che le spese richieste in monitorio sono state decise ed affrontate a sua insaputa dalla (...), e ne contesta l'opportunità, mentre la convenuta opposta sostiene che egli ne fosse a conoscenza trattandosi di spese relative a situazioni preesistenti ed abituali (ad. es. la scuola di danza e la palestra per le figlie), o dipendenti da necessità a lui note, (ad es.: la necessità delle cure mediche per la figlia L.). Vanno definiti straordinari tutti gli esborsi necessari a far fronte ad eventi imprevedibili o eccezionali, ad esigenze non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli, o comunque non ricorrenti, non quantificabili e determinabili in anticipo, ovvero di apprezzabile importo rispetto al tenore di vita della famiglia e alle capacità economiche dei genitori (ad es. interventi chirurgici o fisioterapia; spese per occhiali da vista, lezioni private, patente di guida, acquisto di un motorino, ecc.). Il preventivo accordo tra i coniugi riguardo le spese straordinarie è sempre opportuno per evitare conflitti nascenti di fronte alle richieste di rimborso sostenute da uno dei due genitori per le spese decise in maniera unilaterale, e nel caso di specie è previsto espressamente nella sola sentenza di divorzio. Il previo concerto non è tuttavia necessario in relazione alle spese straordinarie inerenti a decisioni di maggior interesse per i figli . (Cass. 2467 del 08/02/2012); in relazione a tali spese, il coniuge che non le abbia determinate, è tenuto al rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. La ratio che la legislazione sull'affido condiviso privilegia è sicuramente il raccordo dei genitori in materia di scelte educative che riguardano i figli, tanto è vero che, se agiscono d'intesa, essi possono in molti casi anche modificare di comune accordo le stesse indicazioni fomite dal giudice. Nondimeno, quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un'intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l'opposizione di un genitore non può paralizzare l'adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l'intesa prima che l'iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all'interesse del minore. Cass. civ. (Ord.), Sez. VI - 1, 15/02/2017, n. 4060 In tale ottica, costituiscono certamente scelte effettuate nell'interesse dei minori quelle di far proseguire alle figlie la pregressa frequentazione della palestra o della scuola di danza, cosa di cui, come risulta dalla prova per testi, (teste (...) - ud 7.2.19) il (...) era a conoscenza, così come è attività necessaria l'aver sottoposto la figlia alle cure rese necessarie dallo stato di turbamento emotivo che la stessa aveva subito proprio a causa dell'epilogo del rapporto coniugale dei propri genitori. La condizione del "previo accordo" tra i genitori divorziati non può essere qualificata come meramente potestativa, non essendo rimessa al mero arbitrio della parte in cui favore è predisposta, ma ad essa deve riconoscersi natura giuridica di condizione potestativa semplice o impropria e quindi incompatibile con la finzione di avveramento della condizione di cui all'art. 1359 c.c., sicché, in mancanza dell'accordo tra le parti, è necessario l'accertamento giudiziale. Cass. civ. (Ord.), Sez. VI - 1, 27/10/2017, n. 25698 (Nel caso richiamato, avendo la ex moglie allegato - con deduzione analoga a quella avanzata dall'odierna opposta - che l'ex coniuge si era reso irraggiungibile non rendendo possibile l'accordo, la S.C. ha statuito che il riconoscimento del diritto al rimborso dipendeva da una valutazione discrezionale, da rimettersi al giudice, circa la rispondenza e necessità delle spese in relazione all'interesse del figlio) A fronte della scelta della (...) di non avvalersi delle strutture pubbliche, il (...) non ha dimostrato di essersi adoperato nella scelta di una soluzione diversa, e più rispondente alle proprie dedotte situazioni finanziarie, le quali, peraltro, non costituiscono criterio di valutazione esclusivo. Le condizioni economiche effettive e concrete dei genitori non possono andare a discapito del maggiore interesse del figlio e laddove le scelte di spesa si rivelino utili, sussiste l'obbligo di rimborso della quota che l'altro genitore avrebbe dovuto pagare, anche se quest'ultimo ha delle difficoltà economiche. Tale affermazione non può comunque tradursi in un criterio assoluto, perché le spese di cui si chiede il rimborso devono essere sostenibili, cioè non devono essere assolutamente e palesemente sproporzionate in sé, o rispetto alla situazione finanziaria dei genitori, fermo in ogni caso il vaglio di necessità ed utilità. L'ammontare del rimborso spese richieste a tale titolo non presenta il carattere di palese esorbitanza sostenuto dalla parte opponente, e l'intervenuto miglioramento dello stato di salute della figlia ne dimostra appieno l'utilità. L'assenza di adeguata regolamentazione, che le parti hanno riservato a clausole generali e di stile, rende necessario il vaglio anche su ogni altra singola voce di spesa che ha formato richiesta di rimborso in monitorio. A tale riguardo, deve ritenersi non sussistente il titolo per il rimborso delle spese per tasse scolastiche, per trasporto scolastico, medicinali da banco, spese per il trasporto urbano, in quanto si tratta di voci da ricomprendere nelle finalità dell'assegno di mantenimento, o spese per gite scolastiche con pernottamento, o per il corso di fotografia, che presentano il carattere della straordinarietà, quindi in relazione ad esse si rende necessario il previo consenso. Analoga soluzione deve darsi in ordine alla richiesta di rimborso delle spese per il conseguimento della patente di guida: anche in questo caso si tratta di spese che esulano dal mantenimento ordinario e benché si tratta di spese di indubbia utilità per la formazione delle figlie, non è possibile individuare in capo ad esse il requisito di necessità o di migliore vantaggio per il minore, sopra richiamato per valutare l'opportunità del riparto, in mancanza di consenso, in ordine alle spese mediche o per attività sportive affrontate in favore delle figlie all'epoca minorenni; trattasi ora di spese sorte al compimento della maggiore età delle figlie, e quindi in un momento di maggiore maturità, in cui la fase critica dell'epilogo del rapporto coniugale era superata, ed in cui l'eventuale privazione non poteva più ritenersi non comprensibile dalle figlie o negativamente incidente sulla loro formazione caratteriale. Di contro, sono rimborsabili le spese per i libri scolastici, che vanno classificate tra quelle esorbitanti l'importo dell'assegno, ma obbligatorie, che quindi possono essere affrontate e vanno rimborsate anche se non concordate. Pertanto il decreto ingiuntivo deve essere revocato. Il (...) va condannato al pagamento della minor somma costituita dal 50% delle voci di cui è consentito il rimborso, con il solo riferimento alle voci di spesa esborsate prima della sentenza di divorzio, poiché le successive andavano concordate, stante l'espresso dato letterale ivi contenuto, e quindi: scuola di danza ed accessori per la figlia S. ; palestra e spese mediche per la figlia (...); libri scolastici (escluso quanto imputabile al corso di fotografia) Dall'importo risultante va detratta la somma di Euro 1.500, 00 già versata dal (...) Le spese di lite vanno integralmente compensate, posto che la generica statuizione del criterio di determinazione e riparto delle spese, per la gran parte già esistenti in pendenza del giudizio di divorzio, concluso però con accordo che non le ha menzionate e regolate, ha dato causa al presente contenzioso. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. revoca il decreto ingiuntivo opposto n.308/2017 emesso dal Tribunale di Lanciano il 03.10.2017 2. condanna (...) a V. a (...), previa detrazione dell'importo di Euro 1.500,00 già versato banco iudicis, la somma corrispondente al 50% delle voci di spesa (escluse quelle successive alla data della sentenza di divorzio) elencate in decreto ingiuntivo ai punti sub 11; 12, lett. A, B, E; 13 lett. A, B, D; 14 lett. A, B, D, E (esclusi scontrini farmacia); 15 lett. A, B, D, F (esclusi scontrini farmacia); interessi dalla domanda; 3. Compensa le spese 4. Sentenza provvisoriamente esecutiva Così deciso in Lanciano il 6 maggio 2020. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LANCIANO in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Giovanni Nappi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 236/2016 R.G. e vertente TRA LI.PA. (LBRPLA77C26Z112F), elettivamente domiciliato in Lanciano, Via Antinori 4, presso lo studio dell'avv. Antonella Fantini, rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv.ti Domenico Guglielmi e Maria Cristina Castagna, come da mandato in atti; ATTORE E LI.ST. (...), elettivamente domiciliata in Quadri, Via (...), presso lo studio dell'avv. Ch.D'A., che la rappresenta e difende in virtù di mandato in atti; CONVENUTO E AVENTE CAUSA IN CORSO DI CAUSA EX ART. 111 Avente a oggetto: proprietà FATTO E DIRITTO 1. Pa.Li. (d'ora in avanti, Pa.) ha convenuto in giudizio An.Li., ed altri (d'ora in avanti, St.), Ed.Sc., Ar.Ta., domandandone la condanna alla riduzione in pristino e, se del caso solo quanto a St., al risarcimento dei danni, per la violazione delle norme di vicinato relative alle distanze tra le costruzioni, conseguente alla realizzazione, da parte di St., "nella primavera del 2011", di un "nuovo balcone" "nella parte nord-est" di "palazzina" in Quadri in comproprietà dei convenuti, confinante con (pozione di) immobile in proprietà di Pa. sito in Via (...). Si è costituita St. chiedendo il rigetto delle domande; la stessa, in corso di causa, ha acquistato le quote di diritto di proprietà degli altri convenuti, non costituiti; la conseguente successione nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. ha fondato l'estromissione di tali convenuti, espressamente richiesta, e implicitamente consentita da Pa. e disposta dal Tribunale, ricorrendone i presupposti (C. 10955/2007). Il Tribunale ha svolto istruttoria disponendo c.t.u.; all'esito, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni. 2. Le domande sono fondate nei sensi di cui a seguire. 2.1. La violazione delle norme edilizie relative alle distanze tra costruzioni o tra costruzioni e confini, contenute nel c.c., in altre disposizioni normative e in particolare nei regolamenti locali integrativi, configura condotta antigiuridica e, in presenza di lesione ingiusta, illecito civile e, pertanto, legittima il soggetto che subisce tale lesione a chiedere il risarcimento del danno, "salva la facoltà di chiedere" il rimedio specifico della riduzione in pristino (demolizione o "arretramento" - C. 14611/2007 - della costruzione) nei casi espressamente previsti (art. 872, c. 2, c.c.). Ne discende, evidentemente, che se la costruzione è "abusiva" ma non viola le norme sulle distanze per la cui violazione è previsto il rimedio della riduzione in pristino tale rimedio non è dato (C. 4833/2019). La domanda con la quale si fa valere il rimedio risarcitorio può essere proposta anche solo nei confronti dell'autore della violazione non proprietario; invece, la domanda con la quale si fa valere il rimedio della riduzione in pristino può essere proposta solo contro l'attuale proprietario (C. 458/2016; C. 17602/2015) e, in caso di comproprietà, si ha litisconsorzio necessario (C. ord. 18031/2019), anche qualora essa derivi da regime di comunione legale tra coniugi (C. 8468/2016). Nel caso di specie, la domanda di condanna alla riduzione in pristino è stata correttamente proposta nei confronti di tutti i proprietari al momento della instaurazione della lite; le successive vicende di successione nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. non comportano un difetto di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. quanto al coniuge di St. (Ro.Ca.), sopravvenuto comproprietario per atto negoziale (e presumibilmente, comunque, per regime di comunione legale), ma non intervenuto nel presente giudizio; né ne risulta esclusa la ritualità della estromissione degli altri convenuti (danti causa). 2.2. Il Tribunale premette quanto segue. Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 ss. c.c. e dai regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa. Né tale nozione di costruzione ai sensi dell'art. 873 c.c. può subire deroghe da parte di fonti secondarie, perché il rinvio a norme integrative contenuto nell'ultima parte di tale art. riguarda la sola possibilità di stabilire una distanza maggiore di quella codicistica (C. 23845/2018). Pertanto, solo l'opera completamente interrata (C. 23856/2018) e le sporgenze esterne del fabbricato con funzione meramente ornamentale (C. 23845/2018) sono esonerate dal rispetto e dal calcolo di tali distanze. In relazione alle distanze tra costruzioni che siano altresì edifici, almeno una delle cui pareti antistanti sia "finestrata", il d.m. 1444/1968, emanato in esecuzione dell'art. 41-quinquies legge c.d. urbanistica, L. 1150/1942 (art. introdotto dalla L. 765/1967), all'art. 9 ("autenticamente interpretato" nel 2019), che la giurisprudenza ha sempre ritenuto avere immediata efficacia orizzontale (ossia nei rapporti tra privati), esprime norme integrative della disciplina del c.c. sulle distanze; e anch'esso non è derogabile in sede locale (C. 1556/2005; C. 19554/2009), sicché il giudice può disapplicare la norma regolamentare difforme e applicare direttamente la previsione dell'art. 9 che diviene, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (C. sez. un. 14953/2011; C. 13547/2011). In tema di distanze ex art. 9 d.m. 1444/1968, gli edifici sono qualificabili come "antistanti" anche se, non paralleli, si fronteggiano con andamento obliquo, purché sussista almeno un segmento delle rispettive facciate in cui l'avanzamento di una o di entrambe porti al loro incontro (C. 24471/2019); ove le pareti siano in tal senso antistanti solo per un tratto (perché dotate di una diversa estensione orizzontale o verticale, o perché sfalsate una rispetto all'altra), il giudice che accerti la violazione, se del caso anche solo parziale (C. 13547/2011), delle distanze prescritte deve disporre la demolizione "fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano" (C. 4639/1997) e solo per la parte a distanza inferiore a quella prescritta. La parete è "finestrata" se presenta "vedute" o "aperture di qualsiasi genere verso l'esterno, quali porte, balconi, finestre di ogni tipo", con esclusione solo delle mere "luci" (C. 4834/2019); e anche se presenta tratti privi di finestre, sicché il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono privi di finestre (C. 13547/2011). Anche ai fini del calcolo delle distanze tra gli edifici ex art. 9 d.m. 1444/1968 si deve tenere conto dei corpi avanzati c.d. "aggettanti" che abbiano apprezzabile profondità e ampiezza, anche se scoperti (quali i balconi); con esclusione, pertanto, dei soli meri sporti, che sono, appunto, gli elementi con funzione ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità, quali mensole, lesene, cornicioni, canalizzazioni di gronda e simili. D'altronde, se la finalità delle norme in tema di distanze tra costruzioni è quella di evitare la creazione di intercapedini dannose, e di riflesso assicurare un ordinato e razionale sviluppo dell'attività edilizia, escludere la rilevanza di un balcone nel computo delle distanze vanificherebbe tale finalità (C. 166/2018). In senso parzialmente contrario è C.d.S. 5552/2016, per la quale nel calcolo delle distanze ex art. 9 d.m. 1444/1968 non si tiene conto dei balconi "qualora vi sia una norma di piano che ciò autorizzi e a condizione che si tratti di balconi aggettanti, estranei cioè al volume utile dell'edificio". Per le opere che siano "vedute" resta ovviamente ferma anche la distanza dal confine prevista dall'art. 905 c.c. Ai fini dell'applicazione della normativa sulle distanze occorre distinguere tra ristrutturazione, ricostruzione e nuova costruzione, in quanto solo le operazioni di (nuova) costruzione sono soggette a tale normativa (vigente al momento in cui la costruzione viene realizzata). Ebbene, integra nuova costruzione, anche in caso di operazioni di ricostruzione, qualsiasi modificazione della volumetria di un fabbricato precedente che comporta l'aumento della sagoma d'ingombro, anche se non comporta aumento della volumetria (C. 20718/2018). 2.3. Il c.t.u. ha accertato che le costruzioni delle parti sono edifici e presentano pareti antistanti "entrambe finestrate", distanti tra loro m. 3,13 a una estremità e m. 2,34 all'altra; sono poste a livelli diversi, ma il balcone contestato, realizzato da St. in ampliamento (prosecuzione) di precedente, fronteggia, per un tratto (fino a poco prima del "risvolto verso altra parete del fabbricato che non interessa il contenzioso in oggetto"), la parete finestrata di Pa.. Tale tratto di ampliamento di balcone evidentemente realizza aumento della sagoma d'ingombro; pertanto, è qualificabile come nuova costruzione. Il relativo parapetto, prima in ringhiera metallica e poi in mattoni, dista dalla parete finestrata di Pa., alle due estremità, rispettivamente m 1,51 e 1,43 (pp. 3, 10-14). Il c.t.u. osserva che ai sensi del piano regolatore esecutivo i balconi aperti fino a m 1,30 di sporgenza sono esclusi dal calcolo delle distanze; ma ciò non comporta che l'ampliamento realizzato da St. possa essere considerato ininfluente ai fini della normativa sulle distanze, in quanto, come detto sub 2.2, la fonte secondaria non può derogare alla fonte primaria (e tale è, per le ragioni già esposte, anche l'art. 9 d.m. 1444/1968); e appunto le fonti primarie, come interpretate dalla giurisprudenza largamente prevalente, inseriscono nel conteggio delle distanze anche la costruzione che sia "balcone", a prescindere dalle sue dimensioni, salvo che, non avendo apprezzabile profondità e ampiezza, sia qualificabile come elemento con funzione ornamentale, il che, nel caso di specie, evidentemente, non è. Ne discende che l'ampliamento del balcone realizzato da St. è nuova costruzione che viola sia l'art. 873 c.c. (essendo posto a distanza inferiore a m 3 dalla costruzione di Pa.); sia l'art. 9 d.m. 1444/1968 (essendo posto a distanza inferiore a m 10 dalla parete finestrata dell'edificio di Pa.); sia, infine, l'art. l'art. 905 c.c. (essendo posto a distanza dal confine, ovviamente inferiore alla distanza dalla parete finestrata, che il c.t.u. ha accertato in ogni punto essere minore del prescritto metro e mezzo); sicché non potrebbe avere alcun rilievo nel presente giudizio nemmeno la minoritaria tesi fatta propria dalla citata C.d.S. 5552/2016 in relazione ai "balconi aggettanti", perché limitata al calcolo delle distanze ex art. 9 d.m. 1444/1968. Né ha rilievo che la costruzione - edificio di Pa. possa essere considerata "abusiva" e a distanza inferiore a quella normativamente prevista; l'unica "nuova costruzione" oggetto del presente giudizio è l'ampliamento del balcone realizzato da St. (d'altronde, con le parole di C.d.S. 1267/2014, citata da parte attrice, "l'eventuale presenza di un abuso edilizio (...) non può evidentemente costituire titolo giuridico per legittimarne un altro"); inoltre, anche postulata una difformità della costruzione di Pa. rispetto alle prescrizioni in tema di distanze, non ne discenderebbe una esclusione della tutela (anche risarcitoria) dei suoi interessi nelle relazioni privatistiche (C. 4206/2011), già solo considerando che, come rappresenta anche il c.t.u. (p. 6), lo stesso ha rispettato gli accordi tra i rispettivi danti causa, esternati in scrittura privata in atti, che prevedevano la possibilità di costruire a distanza inferiore a quella legale ("scrittura privata", sub A, 1.A). La giurisprudenza ritiene spesso che, in caso di violazione delle norme sulle distanze, il danno sia in re ipsa (danno automatico, come diminuzione del valore del diritto di proprietà, in quanto limitato da un fatto corrispondente all'esercizio di un diritto di servitù: C. 11382/2011); peraltro, ove sia congiuntamente concesso il rimedio della riduzione in pristino, il danno eventualmente già subito non può essere parametrato sul valore del diritto reale sull'immobile ("valore di mercato" dello stesso), ma piuttosto deve essere determinato in relazione alla diminuzione del (mero) godimento dello stesso, per il tempo precedente la demolizione delle opere che quel godimento hanno (parzialmente) impedito (C. 19132/2013). In ragione di ciò, e considerando altresì la presenza di altre, precedenti "costruzioni" delle parti a distanze inferiori a quelle normativamente previste (a esempio il balcone "esistente" di St., di cui alle chiare rappresentazioni fotografiche del c.t.u.: p. 14), il Tribunale ritiene che nel caso di specie non possa essere configurato alcuno specifico danno risarcibile (sub specie di danno per lesione del godimento del proprio edificio) subito da Pa. in conseguenza dell'ampliamento contestato; e che quindi l'unico rimedio riconoscibile sia quello della riduzione in pristino. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in base ai parametri recati dal d.m. 37/2018. Compensi e costi di c.t.u., già liquidati con separato decreto, vengono definitivamente posti a carico di St.. P.Q.M. Il Tribunale di Lanciano, definitivamente pronunciando, rigettata ogni diversa e contraria istanza ed eccezione, così provvede: a) condanna St.Li. a demolire il tratto di ampliamento di balcone rappresentato nello "schema grafico della ubicazione dei fabbricati rispetto al confine tra le proprietà" a p. 9 della c.t.u. in atti datata 16 dicembre 2018 in corrispondenza dei punti da B a D; nel segmento in corrispondenza dei punti da C a D esclusivamente fino al prolungamento della linea della facciata del proprio edificio; b) condanna St.Li. al rimborso, in favore di Pa.Li., delle spese di lite, che liquida in Euro 4.835,00 per compensi, Euro 264,00 per spese documentate, oltre rimborso forfettario spese generali al 15% e accessori di legge; c) pone le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto, definitivamente a carico di St.Li.. Così deciso in Lanciano il 24 marzo 2020. Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2020.

Ricerca rapida tra migliaia di sentenze
Trova facilmente ciò che stai cercando in pochi istanti. La nostra vasta banca dati è costantemente aggiornata e ti consente di effettuare ricerche veloci e precise.
Trova il riferimento esatto della sentenza
Addio a filtri di ricerca complicati e interfacce difficili da navigare. Utilizza una singola barra di ricerca per trovare precisamente ciò che ti serve all'interno delle sentenze.
Prova il potente motore semantico
La ricerca semantica tiene conto del significato implicito delle parole, del contesto e delle relazioni tra i concetti per fornire risultati più accurati e pertinenti.
Tribunale Milano Tribunale Roma Tribunale Napoli Tribunale Torino Tribunale Palermo Tribunale Bari Tribunale Bergamo Tribunale Brescia Tribunale Cagliari Tribunale Catania Tribunale Chieti Tribunale Cremona Tribunale Firenze Tribunale Forlì Tribunale Benevento Tribunale Verbania Tribunale Cassino Tribunale Ferrara Tribunale Pistoia Tribunale Matera Tribunale Spoleto Tribunale Genova Tribunale La Spezia Tribunale Ivrea Tribunale Siracusa Tribunale Sassari Tribunale Savona Tribunale Lanciano Tribunale Lecce Tribunale Modena Tribunale Potenza Tribunale Avellino Tribunale Velletri Tribunale Monza Tribunale Piacenza Tribunale Pordenone Tribunale Prato Tribunale Reggio Calabria Tribunale Treviso Tribunale Lecco Tribunale Como Tribunale Reggio Emilia Tribunale Foggia Tribunale Messina Tribunale Rieti Tribunale Macerata Tribunale Civitavecchia Tribunale Pavia Tribunale Parma Tribunale Agrigento Tribunale Massa Carrara Tribunale Novara Tribunale Nocera Inferiore Tribunale Busto Arsizio Tribunale Ragusa Tribunale Pisa Tribunale Udine Tribunale Salerno Tribunale Verona Tribunale Venezia Tribunale Rovereto Tribunale Latina Tribunale Vicenza Tribunale Perugia Tribunale Brindisi Tribunale Mantova Tribunale Taranto Tribunale Biella Tribunale Gela Tribunale Caltanissetta Tribunale Teramo Tribunale Nola Tribunale Oristano Tribunale Rovigo Tribunale Tivoli Tribunale Viterbo Tribunale Castrovillari Tribunale Enna Tribunale Cosenza Tribunale Santa Maria Capua Vetere Tribunale Bologna Tribunale Imperia Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto Tribunale Trento Tribunale Ravenna Tribunale Siena Tribunale Alessandria Tribunale Belluno Tribunale Frosinone Tribunale Avezzano Tribunale Padova Tribunale L'Aquila Tribunale Terni Tribunale Crotone Tribunale Trani Tribunale Vibo Valentia Tribunale Sulmona Tribunale Grosseto Tribunale Sondrio Tribunale Catanzaro Tribunale Ancona Tribunale Rimini Tribunale Pesaro Tribunale Locri Tribunale Vasto Tribunale Gorizia Tribunale Patti Tribunale Lucca Tribunale Urbino Tribunale Varese Tribunale Pescara Tribunale Aosta Tribunale Trapani Tribunale Marsala Tribunale Ascoli Piceno Tribunale Termini Imerese Tribunale Ortona Tribunale Lodi Tribunale Trieste Tribunale Campobasso

Un nuovo modo di esercitare la professione

Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.