Sentenze recenti Tribunale Lanciano

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  • Il conducente di un veicolo che, per distrazione o negligenza, urta da tergo il veicolo che lo precede, cagionando lesioni al conducente di quest'ultimo, è responsabile ai sensi dell'art. 2054 c.c. e deve risarcire integralmente il danno subito dalla vittima, salvo che non provi di avere fatto tutto il possibile per evitare il sinistro. L'assicuratore del responsabile non può eccepire la decadenza dall'indennizzo per ritardata denuncia del sinistro, ove risulti che l'assicurato abbia tempestivamente comunicato telefonicamente l'accaduto, essendo irrilevante il successivo ritardo nella presentazione della denuncia scritta, in assenza di prova di un pregiudizio effettivamente subito dall'assicuratore. La clausola contrattuale che prevede la decadenza dall'indennizzo per il solo fatto del ritardo nella denuncia scritta, a prescindere dalla dimostrazione di un pregiudizio, è nulla per contrasto con l'art. 1915 c.c.

  • Il conduttore che, a seguito della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento, continui a occupare l'immobile senza restituirlo al locatore, è tenuto a corrispondere a quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1591 c.c., l'indennità di occupazione pari al canone pattuito fino alla effettiva riconsegna del bene, nonché il risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo nella restituzione, quantificato sulla base dei costi necessari per rendere nuovamente utilizzabile l'immobile, senza che il locatore debba provare la perdita di specifiche occasioni di ricollocazione. Tuttavia, il risarcimento del danno non può ricomprendere le spese per interventi di miglioria o ristrutturazione dell'immobile, essendo limitato ai soli costi di ripristino dello stato originario.

  • La mancata prova dell'avvio tempestivo della procedura di mediazione obbligatoria, entro il termine assegnato dal giudice, comporta l'improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, con condanna della parte soccombente al pagamento delle spese di lite, ridotte per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata prova da parte della parte onerata dell'avvio tempestivo della procedura di mediazione obbligatoria, entro il termine assegnato dal giudice, determina l'improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. In tal caso, le spese di lite sono poste a carico della parte soccombente, con la riduzione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La massima evidenzia come il mancato rispetto dell'onere di avviare tempestivamente la procedura di mediazione, ove disposta dal giudice, comporti conseguenze negative per la parte onerata, con la declaratoria di improcedibilità della domanda e la revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Inoltre, sottolinea come le spese di lite siano poste a carico della parte soccombente, con la riduzione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

  • Il condominio minimo, composto da soli due partecipanti, è soggetto alle medesime regole codicistiche che disciplinano il funzionamento dell'assemblea condominiale. Pertanto, le delibere assembleari adottate dal condominio minimo sono valide solo se assunte all'unanimità dai due condomini partecipanti, non essendo possibile il ricorso al principio maggioritario previsto per i condomini più numerosi. In mancanza di unanimità, il condominio minimo non può validamente deliberare, essendo necessario il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1105 c.c. per l'adozione dei provvedimenti opportuni. Le delibere assembleari adottate dal solo condomino di maggioranza, in assenza dell'unanimità, sono pertanto nulle, non potendosi applicare in modo selettivo le norme codicistiche sul funzionamento dell'assemblea condominiale. La definitività di un decreto ingiuntivo emesso sulla base di tali delibere nulle non impedisce la declaratoria di nullità delle stesse in sede giudiziale, non potendo l'emissione del decreto avere alcuna valenza di conferma postuma di una delibera viziata.

  • L'art. 1669 c.c. prevede la responsabilità dell'appaltatore, del progettista, del direttore dei lavori e del venditore-committente per i gravi difetti dell'opera che ne compromettano la funzionalità e l'utilizzazione, anche in assenza di rovina o pericolo di rovina. Tale responsabilità sussiste quando l'opera presenti vizi che incidono sulla sua sostanza e stabilità, o ne compromettano gravemente l'utilizzazione conforme alla destinazione, senza richiedere lavori di manutenzione straordinaria. La responsabilità è solidale tra i soggetti che hanno partecipato alla costruzione dell'immobile in posizione di autonomia decisionale, in proporzione alla gravità della rispettiva colpa e all'entità delle conseguenze derivate. Il progettista e il direttore dei lavori rispondono per le omissioni di controllo e verifica che abbiano consentito la realizzazione di difetti gravi, come l'inadeguatezza del sistema di drenaggio che determini la presenza costante di acqua nelle fondazioni, compromettendone l'utilizzo. Il collaudo, invece, non integra responsabilità extracontrattuale se eseguito correttamente. Il risarcimento del danno comprende i costi per la rimozione dei difetti e per il ripristino della funzionalità dell'immobile, nonché il ristoro del disagio derivante dall'esecuzione dei lavori.

  • Il condominio è responsabile per i danni derivanti dal distacco di calcinacci dal cornicione condominiale, in quanto tenuto alla manutenzione e alla riparazione delle parti comuni dell'edificio. Tuttavia, il risarcimento del danno subito dal titolare di un'attività commerciale che fruiva dell'area condominiale sottostante il cornicione pericolante è limitato al periodo in cui tale area è stata effettivamente inutilizzabile, e non può estendersi oltre la data in cui il condominio ha revocato l'autorizzazione all'utilizzo dell'area. Il danno deve essere provato in modo specifico e dettagliato, non essendo sufficiente una mera indicazione generica del mancato guadagno. In assenza di adeguata prova del danno, il giudice può ritenere congrua l'offerta risarcitoria formulata dal condominio.

  • Il creditore munito di titolo esecutivo nei confronti di una società di persone può utilizzare tale titolo esecutivo anche per l'azione esecutiva nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, anche in applicazione analogica della previsione di cui all'art. 477 c.p.c. L'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese segna l'estinzione della società iscritta, ma la presenza di passività non estinte non è impeditiva della cancellazione e conseguente estinzione, e nemmeno di per sé sintomatica di una cancellazione intervenuta in mancanza dei presupposti di legge. Piuttosto, in presenza di debiti insoddisfatti o di rapporti non definiti si ha un fenomeno successorio, in virtù del quale le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono illimitatamente o nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione a seconda che, durante l'esistenza della società, essi fossero o non fossero illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Nelle società di persone le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci, ma obbligazioni della società, cui si aggiunge a titolo di garanzia, e in via sussidiaria (con beneficio di escussione), la responsabilità di tutti o di alcuni (solidale) dei soci. La responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente sorte è estesa anche ai nuovi soci: chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio. Il beneficio di escussione opera in via di eccezione, previa indicazione dei beni sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi, nella società semplice, e automaticamente, ex lege, nella società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice, quanto ai soci illimitatamente responsabili; peraltro, il beneficio di escussione non può più essere fatto valere se la società è estinta. Nella cessione di aziende inerenti a imprese commerciali la legge configura un accollo (esterno) legale cumulativo in capo al cessionario, il quale risponde dei debiti aziendali che risultino dai libri contabili obbligatori, a prescindere da un suo consenso espresso o tacito. Nei rapporti esterni con i creditori, cedente e cessionario rispondono solidalmente dei debiti, salvo nei confronti dei creditori che abbiano consentito alla liberazione del debitore cedente; nei rapporti interni, invece, la tesi preferibile è quella per cui, in assenza di diversa pattuizione, non si verifica ex lege un passaggio inter partes dei debiti aziendali, dei quali, pertanto, nei rapporti interni, risponderà l'alienante. I vizi (di invalidità o di ingiustizia) dei titoli esecutivi giudiziali devono essere fatti valere con gli strumenti di impugnazione per essi previsti; sicché la perdita del diritto a impugnare o la non impugnabilità di un titolo esecutivo giudiziale comporta la perdita del diritto a farne valere i vizi, non potendo l'opposizione all'esecuzione divenire surrettiziamente strumento di impugnazione ulteriore rispetto a quelli previsti dall'ordinamento. Inoltre, se il titolo esecutivo è di formazione giudiziale, con l'opposizione all'esecuzione non può farsi valere l'eccezione di compensazione se il controcredito eccepito avrebbe potuto dedursi, in quanto già sorto, in eccezione di compensazione nell'ambito del giudizio che ha portato alla formazione del titolo. Il debitore esecutato può opporre in compensazione (giudiziale) al creditore esecutante un controcredito anche ancora illiquido, purché sia di importo certamente superiore al credito azionato esecutivamente; l'illiquidità del controcredito opposto non impedisce al giudice dell'opposizione di accertarne l'entità, ove possibile senza dilazioni, "avendo il solo effetto, nelle more del giudizio di opposizione, di precludere al giudice dell'esecuzione la sospensione di quest'ultima". Tuttavia, quando l'esistenza del credito eccepito in compensazione dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso tale credito non è liquidabile in altra sede che non sia quel separato giudizio. La compensazione legale presuppone la certezza di entrambi i debiti, anche dal punto di vista processuale. In particolare, il rapporto eccepito in compensazione deve essere stato accertato mediante sentenza passata in giudicato o, comunque, non deve essere contestato processualmente salvo, in quest'ultimo caso, che siano addotte prove documentali sicure e la contestazione appaia, pertanto, prima facie pretestuosa. Infatti, non è processualmente certo il credito riconosciuto in sentenza provvisoriamente eseguibile, perché la provvisoria esecutività comporta solo l'esigibilità temporanea del credito e non la certezza. La cessione del credito determina immediatamente l'effetto traslativo del credito e questo effetto è altresì immediatamente rilevante nei confronti del debitore, il quale a seguito della cessione non è più obbligato verso il cedente ma verso il cessionario. L'accettazione, la notificazione, la conoscenza certa della cessione sono requisiti di efficacia della cessione stessa, nei rapporti tra cedente, cessionario e debitore ceduto, nel senso che rimuovono il limite della tutela del debitore di buona fede. Il debitore ceduto può far valere nei confronti del cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto far valere nei confronti del cedente; in particolare, le eccezioni relative ai fatti estintivi o modificativi del rapporto anteriori al trasferimento del credito o anche successivi al trasferimento del credito, ma solo fino al momento in cui ha accettato la cessione o questa gli è stata notificata o ne abbia avuto conoscenza certa.

  • Il contratto di vitalizio assistenziale, quale contratto atipico di mantenimento, è caratterizzato dall'essenziale requisito dell'aleatorietà, da individuare attraverso la comparazione delle prestazioni secondo un giudizio di presumibile equivalenza o palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto ed al grado ed ai limiti di obiettiva incertezza, sussistenti a detta epoca, in ordine alla durata della vita ed alle esigenze assistenziali del vitaliziato. L'alea è esclusa soltanto se, al momento della conclusione del contratto, il beneficiario era affetto da malattia che, per natura e gravità, rendeva estremamente probabile un rapido esito letale, e che ne abbia in effetti provocato la morte dopo breve tempo, ovvero se il beneficiario abbia un'età talmente avanzata da non poter certamente sopravvivere, anche secondo le previsioni più ottimistiche, oltre un arco di tempo determinabile. Pertanto, la dedotta precarietà delle condizioni di salute del vitaliziato non è sufficiente a far ritenere esclusa l'alea contrattuale, ove non sia provata l'estrema probabilità di un rapido esito letale al momento della stipulazione del contratto, tenuto conto della ragionevole incertezza sulle possibilità di sopravvivenza del vitaliziato e sulla gravosità delle prestazioni assunte dal vitaliziante, dipendenti non soltanto dalla sopravvivenza del beneficiario, ma anche dalle sue condizioni di salute, il cui peggioramento implica un aggravio delle cure.

  • La società in house, pur essendo dotata di personalità giuridica distinta rispetto agli enti pubblici soci, costituisce una struttura organica ed estesa di questi ultimi, agendo in funzione del perseguimento di interessi pubblici. Pertanto, la società in house può essere ritenuta legittimamente obbligata in solido con l'ente locale beneficiario del servizio, in quanto il rapporto tra essi si qualifica come di immedesimazione organica, senza che ciò elimini l'autonomia soggettiva della società. Le fatture emesse dalla società in house, intestate all'ente locale beneficiario del servizio, costituiscono idonea prova del credito vantato dalla società, in quanto l'intestazione riflette la natura del rapporto di immedesimazione organica tra ente locale e società affidataria in house del servizio pubblico.

  • Il diritto di critica, pur consentendo l'utilizzo di un linguaggio anche aspro e polemico, non può essere invocato per giustificare espressioni che, per la loro gratuità e per il fatto di esulare dal contesto della discussione pubblica, si risolvano in una mera aggressione personale, lesiva della reputazione altrui. Affinché la critica possa ritenersi legittima, è necessario che essa sia sorretta da un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti, che le modalità espressive siano proporzionate e funzionali alla comunicazione del pensiero, e che vi sia una congrua motivazione del giudizio di disvalore espresso. Pertanto, le espressioni offensive e denigratorie della sfera personale e familiare del soggetto, prive di qualsivoglia connessione con il tema oggetto di discussione, integrano gli estremi della diffamazione, non potendo essere giustificate dall'esercizio del diritto di critica.

  • La scelta dell'assemblea condominiale di accogliere o meno una proposta transattiva è una decisione discrezionale e libera, non sindacabile dal giudice salvo il caso di eccesso di potere, in quanto rientra nelle prerogative del gruppo di decidere le modalità di perseguimento dell'interesse comune. Pertanto, la delibera assembleare che rigetta una proposta transattiva non è annullabile, in quanto la valutazione di tale proposta, implicando reciproche concessioni, è oggetto di una scelta discrezionale e libera del condominio, non sindacabile dal giudice se non in caso di evidente sviamento del potere rispetto alla sua funzione.

  • L'intimazione di pagamento/avviso di mora ex art. 50, comma 2, D.P.R. 602/1973, pur essendo un mero atto di sollecito del pagamento che non richiede una specifica motivazione, deve tuttavia indicare tassativamente, in ossequio al principio di trasparenza dell'attività amministrativa e del diritto di difesa di cui all'art. 7, comma 2, della Legge n. 212/2000 (Statuto del Contribuente): a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. In mancanza di tali indicazioni, l'avviso di mora è nullo, senza che tale nullità possa essere sanata dalla successiva proposizione dell'opposizione giudiziale, in quanto ciò vanificherebbe la ratio di tali prescrizioni normative. Quanto alla prescrizione dei crediti, gli atti interruttivi della prescrizione per i crediti derivanti da sanzioni amministrative sono gli atti con effetti esterni dell'esecuzione a mezzo ruolo, mentre per i crediti derivanti da pene pecuniarie la prescrizione è esclusa a partire dal momento dell'iscrizione a ruolo o della notifica della cartella esattoriale, in quanto si manifesta in tal caso la pretesa punitiva dello Stato.

  • La nullità strutturale per indeterminatezza dell'oggetto colpisce le pattuizioni di commissioni di massimo scoperto (cms) che non indichino in modo chiaro se costituiscano corrispettivo dell'accordato (anche "commissione disponibilità fondi") oppure commissioni sui passivi senza fido od oltre fido ("commissione mancanza fondi"), nonché la durata dello scoperto cui consegue l'applicazione della commissione, se essa si applichi sul massimo importo debitore, sulla media degli importi debitori ovvero giorno per giorno sul saldo debitore e il periodo considerato a tal fine. Inoltre, nei contratti con affidamento, sono nulle le pattuizioni di cms (o comunque denominate) con funzione sanzionatoria di scoperti determinate in termini percentuali e applicabili sull'intero ammontare dell'utilizzato, intra-fido e oltre-fido, in quanto realizzano una maggiorazione con modalità non chiare del tasso degli interessi, in particolare di quello sull'utilizzato intra-fido, nonché costituiscono penali manifestamente eccessive per l'inadempimento del cliente consistente nello scoperto, a volte esiguo, oltre fido. La nullità della clausola di reviviscenza del negozio di fideiussione è predicabile in quanto in contrasto con la disciplina giurisprudenziale del negozio autonomo di garanzia, laddove considera fraudolenta o abusiva la pretesa del creditore verso il garante autonomo quando risulti già accertata l'inesistenza o l'estinzione dell'obbligazione principale garantita. Al contrario, la clausola di sopravvivenza della fideiussione è valida in quanto l'obbligazione del debitore principale di restituzione del capitale finanziato sussiste anche in caso di integrale nullità del finanziamento, quale obbligazione ex lege da indebito oggettivo. Infine, la nullità della clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. è predicabile in quanto, in presenza di una fideiussione omnibus, tale clausola risulta coincidente con uno schema contrattuale espressivo di una intesa anticoncorrenziale vietata, determinando l'estinzione della fideiussione per decadenza del creditore dal diritto di agire tempestivamente nei confronti del debitore principale.

  • L'atto di disposizione patrimoniale a titolo gratuito compiuto dal debitore in favore di familiari, anche se non preordinato a recare pregiudizio alle ragioni creditorie, è revocabile ai sensi dell'art. 2901 c.c. qualora determini o aggravi il pericolo dell'incapienza del patrimonio del debitore rispetto al credito vantato dal creditore, rendendo più incerta o difficile la sua soddisfazione. Spetta al debitore convenuto l'onere di provare l'effettiva capienza patrimoniale e l'assenza di pregiudizio alle ragioni del creditore, non essendo necessaria la prova dell'intento fraudolento del debitore. L'azione revocatoria ordinaria mira a ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore, senza richiedere la perdita della garanzia specifica.

  • Il previo accordo tra i genitori divorziati in merito alle spese straordinarie per i figli non è sempre necessario, in quanto il giudice può valutare la rispondenza e la necessità di tali spese in relazione all'interesse del minore, anche in assenza di tale intesa. Tuttavia, le spese devono essere sostenibili e non manifestamente sproporzionate rispetto alla situazione finanziaria dei genitori. Inoltre, alcune voci di spesa, come le tasse scolastiche o le gite con pernottamento, rientrano nell'ordinario mantenimento e non possono essere considerate straordinarie, se non vi è un previo accordo tra i genitori. Pertanto, il giudice deve effettuare un attento esame di ciascuna voce di spesa, al fine di determinare quali siano rimborsabili e in quale misura, tenendo conto dell'interesse del minore, della necessità e della proporzionalità delle spese, nonché dell'eventuale previo accordo tra i genitori.

  • Il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento, deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. In tema di danno da lucro cessante, ove sia dedotto in giudizio, la parte che lo deduce ha il compito di fornire la prova, anche indiziaria, dell'utilità patrimoniale che avrebbe conseguito, se al contratto fosse stata data corretta e puntuale esecuzione. Il lucro cessante costituisce un danno normalmente futuro, che chiede una ragionevole certezza in ordine al suo accadimento, e va desunto dalla ricostruzione ideale di quanto il creditore avrebbe conseguito per normale successione degli eventi qualora l'obbligazione di controparte fosse stata adempiuta, non in misura di ipotetica ed astratta possibilità, ma sulla base di una situazione concreta che consenta di ritenere fondata ed attendibile la previsione formulata. La rivalutazione monetaria spetta sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante, in quanto costituisce un debito di valore, mentre per il debito di restituzione del prezzo non è dovuta in quanto trattasi di un debito di valuta.

  • La violazione delle norme edilizie relative alle distanze tra costruzioni o tra costruzioni e confini, contenute nel codice civile, in altre disposizioni normative e nei regolamenti locali integrativi, configura condotta antigiuridica e, in presenza di lesione ingiusta, illecito civile che legittima il soggetto che subisce tale lesione a chiedere il rimedio specifico della riduzione in pristino (demolizione o arretramento della costruzione) nei casi espressamente previsti, salva la facoltà di chiedere il risarcimento del danno. Tuttavia, se la costruzione è "abusiva" ma non viola le norme sulle distanze per la cui violazione è previsto il rimedio della riduzione in pristino, tale rimedio non è dato. La domanda con la quale si fa valere il rimedio risarcitorio può essere proposta anche solo nei confronti dell'autore della violazione non proprietario; invece, la domanda con la quale si fa valere il rimedio della riduzione in pristino può essere proposta solo contro l'attuale proprietario e, in caso di comproprietà, si ha litisconsorzio necessario, anche qualora essa derivi da regime di comunione legale tra coniugi. Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso a un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa. Solo l'opera completamente interrata e le sporgenze esterne del fabbricato con funzione meramente ornamentale sono esonerate dal rispetto e dal calcolo di tali distanze. In tema di distanze ex art. 9 d.m. 1444/1968, gli edifici sono qualificabili come "antistanti" anche se, non paralleli, si fronteggiano con andamento obliquo, purché sussista almeno un segmento delle rispettive facciate in cui l'avanzamento di una o di entrambe porti al loro incontro; ove le pareti siano in tal senso antistanti solo per un tratto, il giudice che accerti la violazione, se del caso anche solo parziale, delle distanze prescritte deve disporre la demolizione fino al punto in cui i fabbricati si fronteggiano e solo per la parte a distanza inferiore a quella prescritta. Ai fini del calcolo delle distanze tra gli edifici ex art. 9 d.m. 1444/1968 si deve tenere conto dei corpi avanzati c.d. "aggettanti" che abbiano apprezzabile profondità e ampiezza, anche se scoperti, con esclusione dei soli meri sporti, che sono gli elementi con funzione ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità. Integra nuova costruzione, anche in caso di operazioni di ricostruzione, qualsiasi modificazione della volumetria di un fabbricato precedente che comporta l'aumento della sagoma d'ingombro, anche se non comporta aumento della volumetria. La fonte secondaria non può derogare alla fonte primaria in materia di distanze, sicché le norme integrative contenute in piani regolatori esecutivi che escludono dal computo delle distanze i balconi aperti fino a una certa sporgenza non possono essere rilevanti ai fini dell'applicazione della normativa sulle distanze, la quale, come interpretata dalla giurisprudenza prevalente, inserisce nel conteggio anche la costruzione che sia "balcone", a prescindere dalle sue dimensioni, salvo che, non avendo apprezzabile profondità e ampiezza, sia qualificabile come elemento con funzione ornamentale. L'eventuale presenza di un abuso edilizio nella costruzione preesistente non può costituire titolo giuridico per legittimarne un altro, né escludere la tutela (anche risarcitoria) dei suoi interessi nelle relazioni privatistiche.

  • Il datore di lavoro è tenuto a predisporre un sistema organizzativo che consenta al lavoratore di allontanarsi dalla propria postazione lavorativa per soddisfare un bisogno primario, non controllabile né preventivabile, al fine di salvaguardare la personalità morale del prestatore di lavoro, in ossequio all'obbligo di tutela di cui all'art. 2087 c.c. La mancata adozione di tali misure idonee a garantire la dignità del lavoratore, con conseguente lesione della stessa, comporta la responsabilità del datore di lavoro per il risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato in via equitativa in ragione del carattere strettamente personale del diritto leso e della conseguente impossibilità di dimostrare in concreto l'entità del danno, senza necessità di particolari dimostrazioni da parte del danneggiato, ai sensi dell'art. 2059 c.c. La valutazione equitativa del danno deve tener conto della gravità oggettiva del fatto, desumibile dalle modalità concrete della condotta illecita e della portata offensiva della stessa, nonché dell'imbarazzo e della lesione all'onore e alla reputazione del lavoratore derivanti dall'essere stato osservato dai colleghi con i pantaloni bagnati per essersi minzionato addosso.

  • La forma scritta ad substantiam nei contratti bancari è posta a tutela del cliente parte debole (neo-formalismo di protezione); pertanto, la firma che deve essere presente nel corpo del documento contenente il regolamento contrattuale è quella del cliente, non quella della banca. Inoltre, la forma scritta può ritenersi integrata anche con modalità non contestuali, come la sottoscrizione da parte della banca prima dell'inizio o nel corso del rapporto di documenti che facciano diretto riferimento al contratto. La mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conto periodicamente comunicati comporta l'approvazione definitiva delle sole eventuali operazioni materiali di erroneo conteggio, senza pregiudicare in alcun modo le contestazioni sulla esistenza, validità ed efficacia dei negozi e delle clausole negoziali di cui tali operazioni costituiscono esecuzione. Ai fini del calcolo del tasso effettivo globale (TEG) per la verifica dell'usurarietà delle condizioni di credito, la commissione di massimo scoperto (CMS) deve essere esclusa per il periodo antecedente l'1 gennaio 2010, in applicazione del principio di colpevolezza, in quanto la sua rilevanza ai fini delle sanzioni ex artt. 1815 c.c. e 644 c.p. è stata introdotta successivamente e non può essere applicata retroattivamente, e in considerazione dell'esigenza di utilizzare, nella composizione del TEG, i medesimi criteri utilizzati per la coeva rilevazione del TEGM.

  • Il comportamento del lavoratore che, pur risultando formalmente assente dal lavoro, abbia ottenuto l'autorizzazione orale del responsabile del punto vendita per anticipare di un giorno il periodo di ferie, non può essere considerato un inadempimento grave tale da giustificare il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, quando tale prassi di richiedere e ottenere autorizzazioni orali per variazioni di turni e ferie sia consolidata nell'organizzazione aziendale e il lavoratore abbia agito in buona fede, senza alcun previo accordo illecito con il responsabile. In tali casi, il licenziamento intimato al lavoratore deve essere dichiarato illegittimo, con conseguente obbligo di reintegrazione o, in alternativa, di risarcimento del danno mediante corresponsione di un'indennità pari a diverse mensilità dell'ultima retribuzione.

  • Il diritto all'indennizzo per malattia professionale si prescrive nel termine di tre anni dalla data di presentazione della domanda amministrativa, salvo che tale termine sia interrotto da atti stragiudiziali, ai sensi della disciplina generale sulla prescrizione di cui agli artt. 2943 e ss. c.c. L'istituto assicuratore (INAIL) è tenuto a definire il procedimento amministrativo entro il termine di 150 giorni dalla domanda, decorso il quale si forma il silenzio-rigetto e cessa la sospensione della prescrizione, che riprende a decorrere. Pertanto, l'assicurato può agire in giudizio per far valere il proprio diritto all'indennizzo entro il termine di prescrizione triennale, computato a partire dalla scadenza del termine di 150 giorni per la definizione del procedimento amministrativo, salvo che tale termine non sia stato interrotto da atti stragiudiziali. La disciplina della prescrizione in materia previdenziale deve essere interpretata in modo conforme ai principi costituzionali di eguaglianza, di tutela giurisdizionale dei diritti e di protezione sociale, evitando discriminazioni tra l'assicurato INAIL e gli altri soggetti di diritto.

  • Il personale dipendente degli enti locali, transitato nei ruoli del personale ATA statale ai sensi dell'art. 8 della Legge n. 124 del 1999, ha diritto al pieno riconoscimento, ai fini giuridici ed economici, dell'anzianità di servizio maturata presso l'ente locale di provenienza, senza che tale riconoscimento possa essere limitato o escluso da successivi accordi collettivi o disposizioni normative, in quanto il dettato dell'art. 8 comma 2 della citata legge costituisce un principio di tutela intangibile dello status giuridico ed economico acquisito dal lavoratore. L'inquadramento del personale transitato deve pertanto avvenire sulla base dell'intera anzianità maturata, con applicazione del corrispondente trattamento economico previsto dal CCNL del comparto scuola, senza possibilità di deroghe peggiorative, neppure attraverso l'interpretazione autentica introdotta dalla legge finanziaria del 2006, la quale, innovando radicalmente il precedente assetto normativo, non può avere efficacia retroattiva sui rapporti di lavoro già instaurati. Il riconoscimento dell'anzianità pregressa costituisce, pertanto, un diritto indisponibile del lavoratore, la cui tutela non può essere compressa o elusa da interventi normativi o contrattuali successivi, in quanto espressione di un principio di rango primario volto a salvaguardare la posizione giuridica ed economica acquisita dal dipendente.

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