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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCE PRIMA SEZIONE CIVILE in persona della dr.ssa Viviana Mele, quale giudice monocratico, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 5778 del R.G.A.C.C. dell'anno 2022, trattenuta in decisione nell'udienza del 25/05/2023 e vertente TRA CONDOMINIO (...), in persona dell'Amministratore in carica rappresentato e difeso dall'avv. (...) APPELLANTE E (...), in persona del l.r. p.t. Rappresentata e difesa dall'avv. (...) APPELLATA Oggetto: Appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Lecce n. 4205/22 del 10.06.2022 Conclusioni delle parti: come da verbale di udienza del 25/05/2023 MOTIVI DELLA DELLA DECISIONE Con decreto ingiuntivo n. 2261/2020 del 30 novembre 2020, notificato in data 17 dicembre 2020, il giudice di pace di legge ha ingiunto ad (...) il pagamento di euro 1.595,42 oltre interessi e spese legali in favore del Condominio "(...)" di Nardò, per somme non corrisposte dell'assegnatario/occupante (...), relativamente a quote condominiali ordinarie e straordinarie scadute e non pagate, come da rendiconto del 31 dicembre 2019. (...) ha proposto opposizione avverso il citato decreto, eccependo l'esistenza di giudicato vincolante in ordine alla competenza e deducendo nel merito di essere privo di legittimazione passiva, in quanto si tratta di un ente di gestione costituito da assegnatari di alloggi popolari al quale non può applicarsi la disciplina ordinaria per l'amministrazione dei condomini. L'opponente ha altresì eccepito l'indeterminatezza del credito e ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Con propria comparsa si è costituito Condominio (...), contestando le avverse deduzioni e rilevando che il Tribunale di Lecce, pronunciandosi in materia analoga, ha statuito l'obbligo di (...) di corrispondere all'amministrazione condominiale le somme non versate dai propri assegnatari occupanti, in ragione dell'applicazione della normativa generale in materia di condominio. La causa è stata istituita in forma documentale e si è conclusa con sentenza di accoglimento dell'opposizione, per difetto di legittimazione passiva della ingiunta. Condominio (...) ha proposto appello avverso la sentenza, eccependo l'errata valutazione della normativa vigente e l'omessa valutazione dei fatti e documenti di causa e rilevando che nella materia de qua è in questione un condominio e non un'autogestione, con conseguente necessaria applicazione della normativa codicistica. Esposto quanto sopra, l'appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata. (...) si è costituita con propria memoria, resistendo all'appello e chiedendone il rigetto. La causa è stata istituita in forma documentale e con acquisizione del fascicolo di primo grado ed è stata trattenuta in decisione, con rinuncia ai termini per conclusionali e repliche. Come esposto in premessa, la controversia in esame ha ad oggetto l'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da Condominio (...) di Nardò contro (...) in merito ad oneri condominiali che non sono stati corrisposti dall'assegnatario/occupante (...). L'opponente ha sostenuto che, in virtù della normativa speciale esistente in materia e dell'articolo 36 L.R. n. 10/2014, la richiesta di pagamento deve essere rivolta esclusivamente all'assegnatario dell'alloggio e non ad (...). Il giudice di pace ha accolto l'opposizione, dichiarando di aderire alla giurisprudenza del Tribunale di Lecce, secondo cui la società opponente non può essere chiamata a rispondere delle quote dovute dagli assegnatari sulla base del mero rendiconto approvato dell'assemblea, anche in ragione della mancanza di prova di quanto dovuto. L'appellante ha contestato la ricostruzione offerta dal giudice di pace, evidenziando in primo luogo che nel caso di specie si è in presenza di un condominio e non di autogestione, in quanto (...) è proprietaria solo di alcune delle unità immobiliari inserite all'interno del condominio. L'appellante ha altresì ritenuto che il giudice di pace abbia omesso di considerare che la prova del credito era basata su delibera condominiale di approvazione del rendiconto annuale del 27 giugno 2020, mai impugnata da (...) e divenuta dunque definitiva. Quanto al primo motivo di opposizione, deve immediatamente evidenziarsi l'impossibilità di applicare al caso di specie la sentenza del Tribunale di Lecce n. 545 del 2021, richiamata dal Condominio tanto in primo quanto in secondo grado. In tale sentenza, infatti, il giudice estensore ha chiarito in più punti che l'applicazione della normativa ordinaria in materia di locazione e condominio derivava dalla circostanza che si trattava non già di alloggio assegnato regolarmente in locazione, ma di occupazione avvenuta sine titulo. In particolare, nell'ultimo capoverso della pagina 3 si legge: "in virtù del rinvio di cui all'articolo 36 u.c. L.R. n. 14/10, tale arresto deve trovare applicazione nel caso de quo, in cui i contributi ineriscono l'immobile di proprietà dell'appellante, ubicato nel condominio (...) sito in via (...) a Nardò (LE), occupato sine titulo da (...). Né può opporsi ...b) il disposto dell'articolo 36 comma due L.R. n. 14/10 ... considerato che trattasi di norma speciale (anche in deroga disposto dell'articolo 10 legge 392/78), di applicazione cioè limitata ai casi espressamente previsti (assegnazione in locazione di alloggi), giammai estensibile a quelli diversi (occupazione senza assegnazione), quale quello che qui ci occupa". Dalla lettura della sentenza emerge dunque chiaramente come il giudice abbia motivato espressamente in ragione dell'esistenza di un'occupazione senza assegnazione, a differenza del caso di specie, in cui il credito si riferisce a oneri condominiali non corrisposti da soggetto cui l'immobile è stato assegnato in locazione. Difatti, nella delibera posta a base del decreto ingiuntivo è espressamente precisato che si tratta di "assegnatario" moroso: il titolo azionato dall'ingiungente è quello dell'assegnazione in locazione e non dell'occupazione sine titulo. Né ha rilievo la circostanza che alcune unità immobiliari siano di proprietà di terzi e non di (...), come evidenziato nel primo motivo di appello. Si procede infatti dalla lettura dell'articolo 36 L.R. n. 14/10, rubricato "Attività in amministrazione condominiale", che dispone quanto segue: "1. È fatto divieto agli enti gestori di iniziare o di proseguire l'attività di amministrazione negli stabili ceduti in proprietà integralmente o in parte. L'ente gestore promuove gli atti preliminari per la costituzione dell'amministrazione condominiale. Dal momento della costituzione cessa per gli assegnatari in proprietà l'obbligo di corrispondere all'ente gestore le quote per le spese generali di amministrazione e manutenzione, fatta eccezione per quelli afferenti ai servizi di rendicontazione e di esazione delle rate di riscatto. 2. Gli assegnatari in locazione di alloggi compresi negli stabili a regime condominiale hanno diritto di voto, in luogo dell'ente gestore, per le delibere relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi a rimborso, ivi compreso il riscaldamento, che sono tenuti a versare direttamente all'amministrazione del condominio. 3. Le norme di cui al comma 1 si applicano altresì agli assegnatari in locazione con patto di futura vendita. 4. Negli stabili ad amministrazione condominiale si applicano le norme dettate dall'ordinamento in materia". Dalla normativa richiamata emerge con evidenza come al comma 2 sia previsto che gli assegnatari in locazione di alloggi compresi negli stabili a regime condominiale sono tenuti a versare direttamente all'amministrazione del Condominio le spese. Quanto all'estensione della definizione "attività in amministrazione condominiale", va evidenziato che il comma 1 prevede espressamente che tali norme si applichino nel caso di stabili ceduti in proprietà integralmente o in parte. Diviene dunque irrilevante la presenza di unità immobiliare di proprietà di soggetti diversi da (...), in quanto tale possibilità è stata espressamente inclusa nell'ambito di applicazione dell'articolo 36 citato. Il comma quarto dell'articolo, avente chiaramente carattere residuale, rinvia alle norme in materia di condominio solo per gli aspetti non espressamente regolati dalla normativa speciale sopra menzionata. Risulta dunque infondato il motivo di appello basato sulla presenza di unità immobiliari di proprietà di terzi e l'ulteriore motivo basato sul richiamo a un precedente del Tribunale. È poi corretta la motivazione del Giudice di Pace, nella misura in cui ha ritenuto insussistente la prova del credito. La delibera assembleare posta a base del decreto ingiuntivo non può infatti essere impugnata da (...), che è priva di diritto di voto e della legittimazione all'opposizione. Difetta dunque un titolo opponibile all'appellata, come da giurisprudenza di questo tribunale depositata dalla stessa parte appellata e da normativa speciale sopra richiamata. In ragione di quanto sopra, poiché l'occupante è tenuto a corrispondere direttamente gli oneri all'amministrazione condominiale ed è l'unico legittimato a impugnare la delibera assembleare in materia, il Condominio dovrà rivolgere le proprie richieste direttamente all'assegnatario e non all'ente oggi ingiunto. Correttamente il giudice di pace ha dunque accolto l'opposizione. L'appello è pertanto respinto. Le spese di lite sono interamente compensate, in ragione della presenza di precedenti difformi - depositati da entrambe le parti - sulla materia. Ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'art. 13 co. 1 quater TUSG. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce - Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa N 5778/2022 RG, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa: a) Rigetta l'appello; b) Compensa interamente tra le parti le spese di lite; c) Dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13 co. 1 quater TUSG. Lecce, 30 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCE - SEZIONE PRIMA CIVILE - in composizione monocratica, in persona della dr. Piera Portaluri ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4491/2018 del Ruolo Generale promossa DA (...) rappresentata e difesa dall'avvocato (...) ATTRICE CONTRO CONDOMINIO (...) rappresentato e difeso dall'avvocato (...) CONVENUTO Nell'udienza del 22.3.2023 la causa passava in decisione sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti, con assegnazione di gg.30 per il deposito di conclusionali e gg 15 per repliche. legge per il deposito di conclusionali e repliche. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione 18 aprile 2018, (...) conveniva al giudizio di questo tribunale il CONDOMINIO (...) e la (...) ASS.NI SpA, (in qualità di società assicuratrice del condominio) al fine di ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, quantificati in Euro 92.664,00, subiti il giorno 3.1.2017, alle ore 17.00 circa, a seguito di una caduta nell'atrio esterno di detto condominio che, a suo dire, era stata cagionata dalla presenza di acqua e/o liquido non percepibile sul pavimento che le aveva procurato una frattura scomposta del femore destro e la frattura pluriframmentaria metadiafisaria prossimale dell'omero destro. Deduceva, in diritto, la responsabilità del condominio ex art. 2051 cod. civ., in qualità di proprietario e custode dell'atrio ove si era verificato il sinistro, nonché, in subordine, ex art. 2043 c.c. per violazione del generale principio del neminem laedere, chiedendo la condanna in solido di entrambi i convenuti. Si costituiva la società assicuratrice ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, dichiarato poi con sentenza parziale n. 3821/2019 che disponeva il prosieguo del giudizio nei confronti del solo condominio. Si costituiva anche quest'ultimo opponendosi alla domanda attorea deducendo che il sinistro doveva essere attribuito a colpa esclusiva dell'attrice chiedendone, pertanto, il rigetto. Il giudizio, istruito documentalmente e con prova orale, precisate le conclusioni nell'udienza del 22.3.3023, era riservato per la decisione con l'assegnazione di gg.30 per il deposito di conclusionali e gg 15 per repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono. Precisato che l'atrio ove si è verificato il sinistro è uno spazio privato e non pubblico, oggetto di proprietà comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ, e che, pertanto, al convenuto condominio spetta la custodia e l'obbligo di controllo e manutenzione al fine di evitare che anche il normale uso dello stesso possa essere fonte di pericolo per i condomini o per i terzi, si osserva che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. - il cui espresso disposto normativo recita che "il custode è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito", ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, a nulla rilevando l'eventuale allegazione dell'aver adottato cautele o del non aver potuto impedire l'evento di danno. Di conseguenza, la responsabilità resta esclusa solo ove il custode fornisca la prova (liberatoria) del caso fortuito, che attiene al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno che valga ad elidere il nesso eziologico e che può concretarsi, come noto, nel fatto naturale o di un terzo o della stessa vittima. Di contro, l'onere probatorio gravante sul danneggiato, si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa (Cass. n. 20943/2022; Cass. n. 14622/2009). L'evento di danno deve essere cagionato dal dinamismo connaturato alla res oppure dall'insorgere nella stessa di un agente dannoso. Si è infatti precisato che nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa (essendo essa di per sé statica e inerte) ma richieda anche l'agire umano, occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava una obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. In questi casi, il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale in base al quale la cosa va considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte intanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante (Cass. ord. n. 11526/2017; Cass. n. 2660/2013). Sicché "in ipotesi in cui manchi l'intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di questa siano percepibili e la situazione, quindi, appaia superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, che resta ridotta al rango di mera occasione dell'evento (Cass. civ. n. 2482/2018). In ogni caso, sia che si individui la causa petendi della domanda nella violazione dell'art. 2051 c.c., sia dell'art. 2043 c.c., anch'essa invocata dall'attrice, ai fini della determinazione della responsabilità del convenuto comune, il rilievo del nesso di causalità rimane invariato. Infatti, anche in presenza di insidia e trabocchetto, affinché la situazione di pericolo occulto (caratterizzato dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva e non prevedibilità soggettiva) possa costituire fonte di responsabilità, occorre l'accertamento dell'efficienza causale nella determinazione dell'evento dannoso: in assenza del nesso di causalità non sussiste la responsabilità del custode (Cass. n. 999/2014). Del pari, in entrambi i casi, assume preminente rilievo la condotta del danneggiato che, in forza del principio di autoresponsabilità, si traduce nell'adozione dell'ordinaria diligenza richiesta al fine di evitare l'avverarsi di un pregiudizio (Cass. n. 15383/2006). E così "la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso e ciò viene fatto in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c. richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'articolo 2 Cost.", sicché, "quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro" (Cass. n. 9315/2019; Cass. n. 2482/2018). Ciò premesso in diritto, si deve accertare se, nella fattispecie in esame, le parti abbiano assolto i rispettivi oneri probatori. Orbene, dal complesso delle dichiarazioni rese dai testi escussi (v. verbali di udienza del 18.2.2021 e 21.10.2021), risulta pacifico che la caduta è avvenuta nell'atrio scoperto del condominio, nel giorno e nell'ora indicati dall'attrice. Non sono emersi, invece, elementi per ritenere che la pavimentazione di detto atrio fosse particolarmente insidiosa, non sussistendo disconnessioni di sorta (circostanza questa confermata da tutti i testi, oltre che provata dalla stessa documentazione fotografica prodotta in atti dall'attrice), né è rimasto provato che il pavimento fosse bagnato o ricoperto da un non meglio specificato altro liquido derivante dai terrazzini superiori del condominio. Al riguardo, (...), teste di parte attrice, ha affermato: "ho lavorato 17 anni presso l'Ufficio sito nel Condominio di (...), l'ho percorso per quattro volte al giorno in tutti questi anni e non mi è mai risultato che il pavimento risultasse umido o scivoloso. Se pioveva poteva risultare bagnato essendo scoperto ma mai umido o scivoloso"; ed ancora, il teste (...), figlio della stessa attrice, seppur dapprima asserisce che "appena giunto mi sono accorto che il pavimento era viscido nel punto in cui è caduta mia madre, poi subito dopo ammette "il pavimento esterno non era bagnato". Dalla prova espletata è inoltre emerso che la (...) ben conosceva il luogo del sinistro, così come confermato dal teste (sempre di parte attrice) geom. (...), presso il cui studio la stessa si stava recando, il quale ha riferito: "la sig.ra (...) era venuta anche altre volte presso il mio studio". D'altro canto, tenuto conto del fatto che la (...) stava procedendo a piedi, quindi ad una velocità assai ridotta, aldilà del fatto che i faretti esterni del condominio fossero accesi o meno (circostanza, peraltro anche questa, indimostrata), ben avrebbe potuto avvistare, ove avesse proceduto con la dovuta attenzione, la presenza anomala di acqua e/o liquido, ed evitarla scegliendo anche un percorso diverso. In conclusione, alla stregua di quanto innanzi, il sinistro in questione deve ascriversi, in via esclusiva, alla condotta distratta e imprudente dell'attrice che assume il ruolo di causa unica del danno denunciato, integrante il fortuito idoneo all'interruzione del nesso causale tra cosa e danno, con conseguente esclusione di qualsivoglia profilo di responsabilità, anche ex art. 2043 c.c., in capo al Condominio convenuto. Le spese di lite, considerata l'obiettiva difficoltà in tema di accertamento del nesso causale e l'inevitabile margine di opinabilità che connota la relativa valutazione, si compensano integralmente. PQM Il Tribunale di Lecce, Sezione Prima civile, in composizione monocratica, in persona della dr. Piera Portaluri, definitivamente pronunziando, nel giudizio promosso da (...) con atto 18 aprile 2018 nei confronti del CONDOMINIO (...), ogni altra istanza eccezione, deduzione respinta così provvede: rigetta la domanda; dichiara le spese di lite integralmente compensate. Lecce, 18 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCE PRIMA SEZIONE CIVILE in persona della dr.ssa Viviana Mele, quale giudice monocratico, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4758 del R.G.A.C.C. dell'anno 2021, trattenuta in decisione nell'udienza del 19/01/2023 e vertente TRA (...), (...) S.R.L. E (...) rappresentate e difese dall'avv. (...) ATTRICI OPPONENTI E CONDOMINIO "(...)", in persona dell'Amministratore in carica Rappresentato e difeso dall'avv. (...) CONVENUTO CON L'INTERVENTO VOLONTARIO DI (...) S.R.L., in persona del l.r. p.t. Rappresentata e difesa dall'avv. (...) INTERVENTRICE Oggetto: impugnazione di delibera assembleare - spese condominiali Conclusioni delle parti: come da verbale di udienza del 19/01/2023 MOTIVI DELLA DECISIONE (...), (...) e (...) S.R.L. hanno impugnato i punti 2 e 5 della delibera assembleare assunta il 7 maggio 2021 dal Condominio (...). Gli opponenti hanno premesso in particolare che con delibera del 24 giugno 2020 erano stati approvati lavori straordinari del piazzale condominiale sovrastante il parcheggio di proprietà esclusiva della (...) s.r.l. e che - a seguito della sospensione di tale deliberato - è stata convocata una seconda assemblea del 28 luglio 2020, con cui tra l'altro è stata approvata la destinazione del fondo di riserva ai lavori straordinari suddetti. Anche tale secondo deliberato è stato oggetto di impugnazione ed è stato sospeso. Gli opponenti hanno poi dedotto che in data 11 luglio 2020 il Condominio ha concluso un contratto di appalto con (...) s.r.l. per la realizzazione dei lavori sopra menzionati. Dopo aver premesso quanto sopra, i ricorrenti hanno dedotto che il 7 maggio 2021 è stata convocata assemblea condominiale per: ratifica del mandato all'amministratore per la firma del contratto di appalto con (...) srl; ratifica di tutte le opere inserite nel contratto di appalto affidate nell'assemblea; approvazione di primo, secondo e terzo Sal; esame e deliberazione del piano di riparto dei lavori straordinari. I ricorrenti hanno quindi chiesto la sospensione del giudizio ai sensi dell'articolo 295 c.p.c., in attesa della definizione di quelli relativi alle delibere del 24 giugno 2020 e 28 luglio 2020, già precedentemente sospese. Con riferimento alla delibera oggetto di causa, poi, i ricorrenti hanno lamentato la violazione degli articoli 14 e 17 del Regolamento condominiale e dell'articolo 1125 c.c. in merito al piano di riparto dei lavori straordinari, la violazione dell'articolo 24 del Regolamento condominiale in merito all'utilizzo del fondo di riserva, la sussistenza di conflitto di interessi in capo ad alcuni dei condomini e la conseguente nullità della delibera approvata, oltre all'abuso di maggioranza ed all'illecita influenza sull'assemblea ai sensi dell'articolo 2636 c.c.. Dopo aver esposto quanto sopra, i ricorrenti hanno chiesto che si dichiari nulla, annullabile o inefficace l'impugnata delibera; in subordine, che si quantifichino le spese di cui al piano di riparto con determinazione di quelle dovute dagli opponenti. Il Condominio (...) si è costituito con propria comparsa, resistendo all'avversa opposizione e chiedendone il rigetto. (...) srl si è parimenti costituita con atto di intervento volontario, contestando quanto dedotto ex adverso e chiedendo il rigetto dell'opposizione. La causa è stata istruita in forma documentale ed è stata trattenuta in decisione, previa concessione del termine massimo di legge per conclusionali e repliche. In via preliminare, deve darsi atto che parte opponente ha rinunciato alla richiesta di sospensione formulata ai sensi dell'articolo 295 cpc. Si evidenzia, ad ogni modo, che la domanda era stata implicitamente rigettata per mezzo del disposto prosieguo nell'istruzione della causa. Per tale motivo, su tale richiesta preliminare non ci si pronuncia. Venendo al merito della questione, va premesso che le parti opponenti e intervenuta sono proprietarie di unità esclusive facenti parte del complesso condominiale (...), sito in Lecce. Va altresì evidenziato che, a seguito della realizzazione del complesso, sono emerse problematiche di infiltrazioni provenienti dal piano di calpestio dello scoperto condominiale verso i soffitti dei camminamenti del primo livello interrato e che tali problematiche sono state denunciate proprio dalle società opponenti. La precisazione e compiuta al fine di evidenziare come la necessità di eseguire lavori di rifacimento del piazzale per impedire il protrarsi delle infiltrazioni fosse pacifica e comunque sia stata riconosciuta come esistente anche dalle parti ricorrenti. L'oggetto del contendere, infatti, non attiene strettamente alla necessità e all'esecuzione dei lavori appaltati a (...) srl, ma riguarda la genuinità nella scelta dell'impresa appaltatrice, la legittimità delle deliberazioni assembleari con cui è stata approvata la ripartizione delle spese e l'esistenza di eventuale conflitto di interessi nella formazione della maggioranza. Con riguardo specifico alla questione del conflitto di interessi, parte ricorrente ha evidenziato che (...) srl, (...) srl ed altre società hanno deciso di avvalersi del medesimo legale o di avvocati facenti parte dello stesso studio. Tale circostanza è tuttavia irrilevante. La decisione di conferire mandato a un legale o a uno studio legale indica, infatti, puramente una fiducia condivisa che determinate imprese hanno espresso nei confronti dei professionisti ma non implica, neppure in via latamente presuntiva o indiziaria, un accordo delle società o un conflitto di interessi tra le stesse e il Condominio. Per tali ragioni, le considerazioni espresse da parte ricorrente nella comparsa conclusionale alle pagine 14 e successive sono considerate del tutto irrilevanti ai fini di causa, tenendo conto altresì della circostanza che la stessa parte, pur evidenziando la questione, ha precisato che "non vi è nulla di illecito". Si ricorda in diritto che "In tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d'interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio. (Principio affermato dalla S.C. con riguardo alla delibera di sistemazione del tetto e ripulitura del canale di gronda, motivatamente apprezzati nella sentenza impugnata come attività inquadrabili nella manutenzione ordinaria del fabbricato e non coinvolgenti la responsabilità del costruttore - anche condomino votante -, per presunti vizi dell'edificio, tra l'altro in assenza di specifica contestazione di difetti costruttivi)" (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 10754 del 16/05/2011). Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 13011 del 24/05/2013, ha ulteriormente precisato che "In tema di deliberazioni dell'assemblea di condominio, nella specie relativo ad edificio destinato all'esercizio di attività imprenditoriale, non dà luogo, di per sé, a conflitto di interessi la coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell'impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio". Chiarito quanto sopra in via generale e venendo agli altri elementi che secondo i ricorrenti costituirebbero espressione del conflitto di interessi tra le imprese (...) s.r.l., (...) e (...) e il Condominio nella materia oggetto di assemblea, precisato che la questione della nomina dei legali è assolutamente estranea all'oggetto della lite, vanno esaminate le ulteriori questioni proposte dagli opponenti. In primo luogo, i ricorrenti hanno sostenuto che (...) sia titolare di un macroscopico conflitto di interessi rispetto al deliberato oggetto di causa, avendo guadagnato tre volte dallo stesso: la prima con il conseguimento di un forte sconto nell'acquisto del bene di proprietà esclusiva; la seconda per l'approvazione di un piano di riparto in violazione dell'articolo 1125 codice civile; la terza per aver fruito del fondo di riserva utilizzato per lavori estranei alla sua originaria destinazione. Quanto al primo profilo, va immediatamente evidenziato che il "grosso sconto" che la società avrebbe ricevuto nel prezzo di acquisto dei locali interrati non è stato in alcun modo dimostrato, non essendo state prodotte valutazioni dei locali al momento della vendita che possano dimostrarne l'acquisto ad un prezzo inferiore rispetto al valore. Va poi rilevato che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, (...) srl era a conoscenza dei problemi di infiltrazioni che affliggevano l'immobile prima dell'acquisto: il prezzo convenuto ha pertanto necessariamente incluso anche la valutazione dei difetti dell'immobile che veniva acquistato e il valore reale dell'immobile è stato calcolato anche in ragione delle problematiche che lo affliggevano. D'altro canto, è provato in forma documentale che la stessa (...) abbia sostenuto costi per l'esecuzione dei lavori diretti all'eliminazione delle infiltrazioni, con la conseguenza che ragionevolmente il prezzo di vendita è stato determinato in virtù della consapevolezza delle spese future. Non vi è alcuna prova che venditore e acquirente si siano accordati per una riduzione del prezzo motivata dalla volontà di addossare ad altri condomini le spese di manutenzione straordinaria delle parti comuni né tali lavori sono stati eseguiti senza esborsi economici di entrambe le parti. In ragione di quanto sopra, il ritenuto guadagno consistente in una riduzione del prezzo di vendita delle unità immobiliari oggi di proprietà della società intervenuta non è esistente. Parte ricorrente ritiene poi che la società abbia guadagnato dalla delibera assembleare per aver ottenuto una ripartizione dei costi di manutenzione in violazione del Regolamento condominiale. In particolare, secondo la tesi di parte ricorrente, le spese sarebbero state approvate in applicazione degli articoli 14 e 17 del Regolamento condominiale senza fare applicazione dell'articolo 1125 del codice civile, non abrogato dal Regolamento. Anche tale tesi è errata. Nel caso di specie, infatti, il Regolamento di condominio prodotto in atti è qualificato all'art. 1 quale "regolamento contrattuale", come tale destinato a prevalere sulle diverse disposizioni di legge. L'articolo 14 di tale Regolamento, rubricato "ripartizioni spese", dispone; "le spese necessarie per la conservazione, il mantenimento e l'uso delle parti comuni sono ripartite tra i proprietari delle unità immobiliari in misura proporzionale al valore delle singole unità di ciascuno, espresse in millesimi ed indicate nelle allegate tabelle, secondo quanto risulta dall'articolo 1117 c.c. salvo il titolo contrario". L'articolo 17, rubricato "scale e lastrici solari', prevede al secondo comma che "le spese di manutenzione e di ricostruzione del solaio di copertura del primo piano interrato costituente bene comune a tutti verranno ripartite in base alla tabella A di cui all'articolo 15 lettera a del presente regolamento". Com'è evidente, il Regolamento condominiale non contiene alcun richiamo all'articolo 1125 codice civile e prevede, al contrario, una regolamentazione esaustiva della ripartizione delle spese stabilita in via contrattuale, individuando in modo espresso il criterio da seguire nella suddivisione delle spese oggetto del presente deliberato. La ripartizione approvata nel verbale di assemblea oggi impugnato è pertanto del tutto conforme alla previsione del Regolamento contrattuale e non comporta alcuna forma di vantaggio per (...) srl o altri condomini, essendo conseguenza del Regolamento approvato dai condomini. Infine, gli opponenti hanno sostenuto che (...) s.r.l. avrebbe tratto vantaggio dall'utilizzo indebito del fondo di riserva, costituito ai sensi del Regolamento unicamente per far fronte a spese imprevedibili e urgenti, diverse da quelle oggetto di causa (note da anni ai condomini). La documentazione prodotta dal Condominio ha tuttavia dimostrato come tali affermazioni siano infondate. Difatti, risulta documentata l'apertura del conto corrente n.100000012328 su (...), Filiale di Lecce, destinato alle quote straordinarie dovute dai condomini per i lavori straordinari oggetto di causa (doc. 13 conv.). Il conto della gestione ordinaria, invece, reca il n.100000011838 di (...), Filiale di Lecce, e contiene tanto i versamenti delle quote ordinarie quanto quelli relativi al fondo di riserva. Su tale conto, contenente il fondo di riserva, non è presente alcuna disposizione in uscita in favore della società appaltatrice, come evidenziato dall'estratto conto prodotto da parte convenuta sub 14. Risulta dunque provato in forma documentale come le somme impiegate per i lavori straordinari non siano state prelevate dal fondo di riserva, il solo cui il Regolamento vincola la spesa ai casi di urgenza. Per tali ragioni, le considerazioni espresse nei provvedimenti cautelari in relazione all'assenza dell'urgenza e dell'imprevedibilità devono in questa sede ritenersi superate, alla luce del più approfondito vaglio della documentazione allegata. Come superato è il riferimento a quel conflitto di interessi che solo in via puramente prudenziale era stato ritenuto esistente sotto il profilo del fumus, attese le complesse considerazioni sopra esposte. Gli opponenti hanno poi lamentato la sussistenza di un conflitto di interessi in capo a (...), quale società costruttrice responsabile dei danni alla cui eliminazione sono stati destinati i lavori oggetto di causa. Sotto tale profilo, va rilevato in primo luogo che non risulta sia stata avanzata azione alcuna di risarcimento del danno nei confronti della società costruttrice. Ad ogni modo, l'esecuzione immediata dei lavori è certamente coincidente con l'interesse del condominio. Il complesso ha infatti interesse all'eliminazione immediata e tempestiva di fenomeni di infiltrazione che affliggono le parti comuni, pena l'aggravarsi del danno, con aggravamento potenzialmente imputabile alla stessa parte danneggiata per l'omesso tempestivo intervento. Le questioni relative alle responsabilità e al successivo eventuale recupero dei costi sostenuti per l'eliminazione dei difetti sono estranee alla deliberazione dell'esecuzione dei lavori e non denotano alcun conflitto di interessi: gli stessi ricorrenti non sono infatti in grado di indicare quale sarebbe il contrario interesse del condominio rispetto alla deliberazione assunta. La giurisprudenza sopra richiamata esclude peraltro che la mera qualità di costruttore comporti in sé un conflitto di interessi in merito alle spese per la riparazione a difetti di costruzione. Quanto a (...), parte ricorrente ha affermato che (...) avrebbe comprato sottobanco il voto favorevole di questa in cambio di lavori eseguiti gratis presso il proprio immobile. Ciò sarebbe dimostrato dalla coincidenza delle figure del responsabile della sicurezza, del direttore dei lavori e delle ditte appaltatrici nei lavori condominiali e in quelli sulla proprietà esclusiva. Sotto questo profilo deve evidenziarsi ancora una volta che non vi è alcuna prova di uno scambio tra il voto espresso nell'assemblea e l'esecuzione dei lavori e, in via preminente, che non vi è alcun interesse contrario del Condominio a che soggetti terzi eseguano lavori a titolo gratuito presso proprietà esclusive dei singoli condomini. La circostanza che varie società abbiano scelto di avvalersi dei medesimi professionisti e delle medesime imprese appaltatrici trova ragionevole giustificazione nell'esistenza di un rapporto di fiducia o anche puramente di natura commerciale, che non implica perciò solo un conflitto di interessi e che è in alcun modo viola gli interessi dei condomini. Alla luce di quanto sopra, non si ravvisa alcuno dei conflitti di interessi denunciati dalla parte. Infine, i ricorrenti hanno prodotto una relazione relativa ad interventi che sarebbero stati compiuti sulle rampe di accesso dell'autorimessa, di proprietà esclusiva di (...) s.r.l., per sostenere che la società abbia imputato ai condomini spese relative a beni di sua proprietà esclusiva. La lettura del documento, tuttavia, dimostra in modo incontrovertibile che si tratta di un progetto di (...) s.r.l. su incarico di (...) e non coinvolge dunque né (...) né il Condominio (...). La circostanza che un condomino appalti a terzi interventi su beni di sua proprietà esclusiva è ovviamente irrilevante ai fini di causa, con la conseguenza che tale motivo di contestazione è assolutamente infondato. Gli opponenti hanno ancora ritenuto che nel caso di specie sussistano abuso della maggioranza, eccesso di potere ed illecita influenza sull'assemblea ai sensi dell'articolo 2636 codice civile. A sostegno di tale assunto essi richiamano i medesimi elementi indicati come prova di conflitto di interessi, già ritenuto insussistente. In particolare, secondo i ricorrenti la prova di tale violazione risiederebbe nel fatto che sarebbero stati approvati dei piani di riparto contrari agli interessi dei condomini. Si è tuttavia già precisato che la ripartizione dei costi è avvenuta nel pieno rispetto del Regolamento condominiale e che alcuna lesione vi è stata per i singoli condomini. Si è ulteriormente ribadito che non vi è alcuna prova di accordi taciti e illegali che siano stati compiuti tra (...) e le altre due società menzionate al fine di approvare quanto deliberato nell'assemblea. Va altresì evidenziato che, sebbene numerosi fossero i condomini assenti all'assemblea sopra menzionata, tuttavia solo tre di essi hanno impugnato la delibera: tutti gli altri condomini, rispetto ai quali non è stato denunciato alcun accordo sottobanco, hanno ritenuto la delibera perfettamente legittima e vi hanno dato esecuzione, pur non avendo partecipato all'assemblea. Non si ravvisa dunque alcun eccesso di potere o abuso di maggioranza, apparendo legittimamente attivato il potere discrezionale dell'organo deliberante. Peraltro, nonostante gli opponenti denuncino irregolarità nel conferimento dell'incarico a (...) srl e illegittimità nella ripartizione dei costi, tuttavia non vi sono né produzioni di preventivi di altre società che dimostrino come il costo concordato con l'appaltatore sia superiore al valore dell'opera realizzata né individuazioni di vizi o difetti nelle opere eseguite dall'appaltatore. In ragione di quanto sopra, la domanda è rigettata. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Non si condivide il valore con "complessità alta" indicato nelle note spese, tenendo conto del carattere documentale del giudizio e della natura delle questioni esaminate, di complessità media. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce - Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa N 4758/2021 RG, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa: a) Rigetta la domanda di parte attrice; b) Condanna parte attrice alla refusione delle spese di lite in favore di parte convenuta, liquidate in Euro 10.860,00 per compenso per il merito ed Euro 1.500,00 per la fase cautelare, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; c) Condanna parte attrice alla refusione delle spese di lite in favore di (...) s.r.l., liquidate in Euro 10.860,00 per compenso ed Euro 1.500,00 per la fase cautelare, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge Lecce, 17 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Maria Francesca MARIANO - alla pubblica udienza del 08.02.2023 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale Nei confronti di (...) nato a T. il (...) e ivi residente in via P. n. 42, libero assente. Difesa di fiducia dall'Avv. An.To., presente. IMPUTATO Vedi allegato IMPUTATO Del reato di cui all'art. 255 co. 3 D.Lgs. n. 152 del 2006 poiché, quale utilizzatore di fatto del terreno censito al fg. (...) p (...) a (...) del N.C.T. di Tuglie, essendo stato destinatario dell'ordinanza n. 1 del 9.1.18 emessa ai sensi dell'art. 192 co. III del D.Lgs. n. 152 del 2006 dal sindaco di Tuglie con la quale veniva ordinata la rimozione, recupero e smaltimento dei rifiuti (materiale di risulta edile, pietrame calcareo) abbandonati sul fondo, non vi ottemperava entro il termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento (avvenuta il 3.4.18). In Tuglie, accertato il 3.5.2018. FATTO E DIRITTO Con decreto che dispone il giudizio del 24 maggio 2021 (...) veniva rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato ascrittogli. All'udienza del 15 settembre 2021, in assenza dell'imputato, assistito dai Difensore di fiducia, il Tribunale invitava le Parti a formulare le rispettive richieste di prove ed ammetteva le stesse come da relativa ordinanza. All'udienza del 13 aprile 2022 venivano esaminati i testi (...) ed (...). Il PM puntualizzava l'imputazione, aggiungendo alla data del commesso reato "con permanenza". Così esaurita l'istruttoria dibattimentale, all'udienza del 8 febbraio 2022, dichiarati utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, il Tribunale invitava le Parti alla discussione, in esito alla quale si ritirava in camera di consiglio pronunciando la seguente sentenza. (...), in servizio presso la Polizia Locale di Tuglie, ha dichiarato di essersi recato presso il terreno di proprietà del C. dove aveva constatato l'avvenuto deposito di materiale di scarto, di risulta, di materiali di edilizia, abbandonati sul fondo. Il suo collega (...) ha aggiunto che era intervenuta una comunicazione di (...) che indicava proprietario di quel terreno suo fratello G.. Il Comune di Tuglie emise un'ordinanza con la quale prescriveva la pulizia del terreno. Il responsabile dell'Ufficio Ambiente eseguì dei rilievi fotografici. Il terreno era in uso a V. e su di esso il materiale depositato constava di pilastri in cemento, un lavandino o vaso di ceramica. Vi è in atti l'ordinanza n. I del 9/1/2018 emessa dal Sindaco del Comune di Tuglie in cui viene riportata la dichiarazione di (...), il quale rappresenta di essere proprietario di quel terreno, che, però di fatto è in uso al fratello (...). Nel provvedimento il Sindaco prescriveva che "l'utilizzatore del terreno" provvedesse a proprie spese "alla rimozione, all'avvio, al recupero o allo smaltimento dei rifiuti, una volta caratterizzati, ed al ripristino dello stato dei luoghi", tramite ditta specializzata, entro 30 giorni dalla data della notifica dell'ordinanza. Dalla relata di notifica a margine della stessa risulta che (...) ricevette il Provv. in data 3 aprile 2018. Dalla nota della Polizia Municipale del Comune di Tuglie del 29/11/2018 risulta, però, che a quella data, in esito a sopralluogo, il C. non aveva adempiuto all'ordinanza del Sindaco. Ciò posto è notorio che "il proprietario di un terreno non po' essere chiamato a rispondere, in quanto tale, dei reati di realizzazione o gestione di una discarica abusiva, ovvero non autorizzata, commessi da terzi, anche nel caso in cui non si attivi per la rimozione dei rifiuti, in quanto tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell'evento lesivo, che il proprietario può assumere se compia atti di gestione (Sez. III n. 27692 del 4/6/2019). Occorre infatti che venga specificato il contributo causale fornito all'attività di terzi, che in questo caso difetta. Quindi ovviamente è (...) a dover rispondere del reato elevato in qualità di soggetto che, avendo libero accesso al fondo del fratello G. nella sua piena disponibilità, ha ammucchiato rifiuti su di esso senza alcuna autorizzazione e senza successivamente ottemperare all'ordine di ripristino dello stato dei luoghi previo smaltimento di essi. Né può ritenersi sussistente l'ipotesi di deposito temporaneo. Orbene, la Suprema Corte ha già da tempo chiarito che "per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presentì precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla organizzazione tipologica del materiale ed al rispetto delle norme tecniche elencate nella lett. m) dell'art. 6 D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora contenuta nell'art. 183 lett. m) D.Lgs. n. 152 del 2006), Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione) anche se sempre soggette ai principi di precauzione ed azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti. In difetto di anche uno dei menzionati requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo ma deve essere considerato: a) deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico ad una operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dall'art. 51 comma 1 D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256 comma 1 D.Lgs. n. 152 del 2006); b) messa in riserva, se il materiale è in attesa di una operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dall'art. 51 comma 1 D.Lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 256 comma 1 D.Lgs. n. 152 del 2006); c) deposito incontrollato o abbandono quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero e tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa (art. 50 comma 1 e 51 comma 2 D.Lgs. n. 22 del 1997, ora art. 255 comma 1 e 256 comma 2 D.Lgs. n. 152 del 2006). Quando l'abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi, il fenomeno può essere qualificato come discarica abusiva" (Cass. Pen. Sez. III 10.11.2009 n. 49911; nello stesso senso Cass. Pen. Sez. III 11.03.2009 n. 19883; Cass. Pen. Sez. III 29.01.2009 n. 9851; Cass. Pen. Sez. III 29.01.2009 n. 11802; Cass. Pen. Sez. II 3.12.2008 n. 1467; Cass. Pen. Sez. fer. 21.08.2007 n. 33791; Cass. Pen. Sez. III 11.10.2006 n. 39544). E' evidente che, per quanto risulta dalle emergenze documentali acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, nel caso di specie sussistono tutti i requisiti per ritenere configurata una vero e proprio abbandono di rifiuti, tenuto conto della quantità di materiale ivi riversato nonché del lungo lasso temporale di stazionamento di rifiuti nell'area in sequestro, e dalla circostanza che non si sia trattato di un deposito occasionale e temporaneo, ma definitivo, in quanto non vi era alcuna attività diretta al loro smaltimento qualificato. A conferma di ciò depone la totale inottemperanza all'ordinanza del Sindaco, omissione verificata dalla polizia municipale di Tuglie, come emerso cartolarmente e dalle deposizioni testimoniali in dibattimento. Quanto alla riferibilità della condotta all'imputato che non sarebbe stato utilizzatore del terreno di proprietà del fratello G., a dire della Difesa, non essendo stata riscontrata tale circostanza con conseguente illegittimità dell'ordinanza comunale, attesa la mancata registrazione di tale uso presso l'Agenzia delle Entrate, il Tribunale osserva quanto segue: 1) il teste esaminato in dibattimento ha dato per certo l'uso in capo all'imputato del terreno in oggetto, e sulla sua parola non vi è motivo di dubitare trattandosi di pubblico ufficiale; 2) tra fratelli pretendere una registrazione presso l'agenzia delle entrate per l'uso di un terreno è davvero fuor di logica, posto che l'uso di un bene familiare sta nei fatti, non abbisognando di attestazioni formali. Si deve, pertanto, ritenere accertata la responsabilità penale dell'imputato per il reato contestato. Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., dell'intensità del dolo e della gravità della condotta criminosa è possibile determinare la pena congrua da irrogare all'imputato. L'intensità del dolo è assai notevole, posto che il prevenuto ha dimostrato piena indifferenza alle disposizioni emesse nei suoi riguardi di rimozione dei rifiuti, così consolidando gli effetti del reato. Pertanto si stima pena congrue quella di mesi tre di arresto. Non possono trovare applicazione le circostanze attenuanti generiche, in quanto sebbene il prevenuto abbia riportato numerose condanne per il depenalizzato reato di emissione di assegni a vuoto, è stato anche condannato per violazione delle norme in materia edilizia e urbanistica, sicchè non pare che il fatto in esame possa ritenersi un episodio isolato. La condanna al pagamento delle spese processuali segue come per legge. La pena può essere condizionalmente sospesa, subordinando tale beneficio alla bonifica dei luoghi a spese dell' imputato. P.Q.M. Letti gli artt. 533, 535, c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato ascritto e lo condanna alla pena di mesi tre di arresto, nonché al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa subordinata alla bonifica dei luoghi. Così deciso in Lecce l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE Prima Sezione Penale Il Giudice Dott.ssa Annalisa de Benedictis, nella pubblica udienza dell'8.2.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nei confronti di: (...), nato il (...) a S. C. T. e residente in P., alla via D. G. 14; libero, assente. Difeso d'ufficio dall'Avv. Fr.De. del foro di Lecce, presente. IMPUTATO Cfr. allegato Con l'intervento di: Pubblico Ministero nella persona del VPO Dr. Vi.Ap. MOTIVAZIONE Svolgimento del processo. Con decreto di citazione del P.M., in data 2 Agosto 2021, (...) è stato tratto a giudizio per rispondere del reato indicato in epigrafe. La prima udienza del 2 Febbraio 2022 veniva rinviata al fine di verificare le modalità di individuazione del magistrato competente da parte della Procura. All'udienza del 24 Febbraio 2022, stante l'incompetenza tabellare del magistrato procedente si rinviava il processo innanzi al giudice competente. All'udienza del 23 Marzo 2022, la prima davanti a questo Giudice, rilevato il difetto di notifica del decreto di citazione in favore dell'imputato, si rinviava il processo disponendo la notifica in favore dell'imputato e dell'avvocato difensore. All'udienza dell'8 Febbraio 2023, nella regolarità del contraddittorio, dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le richieste istruttorie sulle quali il Giudice provvedeva con ordinanza ex art. 495 c.p.p.; successivamente, si acquisivano la comunicazione della notizia di reato datata 26 Febbraio 2020 e la relazione tecnica redatta dalla dott.ssa Maria Corbelli, con rinuncia da parte del P.M. all'ascolto dei testimoni di lista. Dichiarata conclusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti, le parti provvedevano a rassegnare le conclusioni come da verbale e il Giudice, all'esito della camera di consiglio, emetteva il dispositivo di sentenza di cui dava lettura. Motivi della decisione. In data 26 Febbraio 2020 i Carabinieri della stazione di Poggiardo procedevano al controllo di (...) e L.S.. L'odierno imputato, alla vista dei militari, veniva notato a disfarsi di due involucri di carta contenenti sostanza stupefacente di tipo Hashish del peso complessivo di 0,20 g e 0,25 g. La successiva perquisizione presso l'abitazione del M. consentiva di rinvenire all'interno della stessa un contenitore cilindrico contenente 2,80 g di Hashish, un ulteriore dose del peso complessivo di 11,25 g, un cilindro per rullini contenente sostanza stupefacente del tipo Marijuana per un totale di 0,8 g e 18 semi. Dalle analisi svolte dalla dott.ssa Corbelli, consulente tecnico del P.M., si evince che dalla sostanza stupefacente sequestrata, per un totale di 16,288 g, sono ricavabili 764,596 mg di THC puro pari a 30 dosi. Costituisce oramai orientamento costante in giurisprudenza quello secondo il quale ai fini della dimostrazione della sussistenza del reato di cui all'art. 73, comma V D.P.R. n. 309 del 1990 non sia sufficiente il mero dato ponderale, non essendo bastevole il solo fatto che l'imputato detenesse una quantità di sostanza stupefacente superiore a quella indicata alla tabella di cui all'art. 73, comma 1 -bis, lett. a), D.P.R. n. 309 del 1990, dovendosi valorizzare ulteriori elementi oggettivi univoci e significativi di una detenzione finalizzata alla cessione, quali: la diversità di sostanze detenute, un quantitativo di sostanza elevato e tale da risultare sproporzionato rispetto alle possibilità economiche dell'imputato, la detenzione di materiale o di strumenti utilizzabili per il confezionamento (Cass. pen. sez. III, 27/10/2016, n.5631; Cass. pen. sez.. VI, 28/04/2017, n.27090; Cass. pen. sez.. IV, 10/12/2019, n.265). Come si evince dagli atti acquisiti durante l'attività istruttoria non si ravvisano elementi che consentano di ricondurre la detenzione della sostanza ad un uso personale, al contrario, gli elementi acquisiti depongono univocamente in favore di un possesso finalizzato alla cessione della sostanza, A tale conclusione si perviene tenendo in considerazione il fatto che la sostanza sequestrata era detenuta dall'imputato in modo frazionato, divisa in singole dosi di vario peso; oltre a questo, si rileva come durante la perquisizione svolta nell'abitazione dell'imputato sia stato sequestrato un bilancino di precisione perfettamente funzionante con riguardo al quale l'odierno prevenuto non ha fornito alcuna versione che possa motivare il possesso dello strumento per fini diversi da quello dello spaccio. Da ultimo, non risulta in atti alcun elemento idoneo a qualificare l'imputato come consumatore abituale di sostanza stupefacenti, come ad esempio il certificato del S.E.R.D. di riferimento. Tanto premesso, (...) deve essere ritenuto responsabile del fatto a lui ascritto in relazione al quale si reputa congrua, in base ai criteri interpretativi di cui all'art. 133 c.p., la pena di mesi 8 di reclusione e Euro 800 di multa (pena base anni 1 di reclusione e Euro 1200 di multa, ridotta per la concessione delle circostante attenuanti generiche, in virtù del comportamento processuale collaborativo, nella misura suindicata). Sussistono le condizioni di legge per il riconoscimento dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Della sostanza stupefacente e del bilancino deve essere disposta confisca cui segue la distruzione. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli e, in concorso di circostanze attentanti generiche, lo condanna alla pena di mesi 8 di reclusione e Euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Confisca e distruzione della sostanza stupefacente e del bilancino in sequestro. Così deciso in Lecce l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE 1 SEZIONE PENALE Il GOT Maria Natascia Mazzone - alla pubblica udienza del 03/02/23 ha pronunziato la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nato a L. il (...) ed ivi residente in Via G. A. n 22 LIBERO ASSENTE Difeso di fiducia dall'Avv.to Pi.Ro. - presente Parte Civile (...) nata il (...) rappresentata e difesa dall'Avv.to Ro.D'O. - presente Con l'intervento del V.P.O. Dott. An.Zi. IMPUTATO 1) per violazione degli obblighi di assistenza familiare, delitto p. e p. dall'art. 570 c.2 n.2) c.p. perché serbando una condotta contraria all'ordine morale e delle famiglie, si sottraeva agli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale facendo mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore (...), e, in particolare, versando a favore di quest'ultima soltanto la somma di Euro 100,00 a fronte di quanto previsto dal Provv. del Tribunale di Lecce, R.G. n. 8483/2015, che lo obbligava a versare, a partire dal gennaio 2016, un contributo mensile di Euro 170,00 oltre al 50% delle spese straordinarie, somme non versate nonostante i continui solleciti avvenuti per il tramite dei rispettivi legali. Evento aggravato dall'aver fatto mancare i mezzi di sussistenza a figlia minore. Con recidiva infraquinquennale art. 99 c.2 n.2) FATTO E DIRITTO (...) (compiutamente identificato in atti) è stato citato a comparire dinanzi a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui all'art. 570 c. 2 n.2 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare) così come meglio descritto nell'imputazione riportata in epigrafe. Disposta l'apertura del dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti, si è dato corso all'istruttoria di causa, sostanziatasi nell'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e meglio indicata a verbale, nonché nell'escussione del teste d'accusa e parte civile, (...); indi, è stata disposta la discussione finale al cui termine, sulle conclusioni rassegnate nei termini in epigrafe riportati, il processo ha trovato definizione con la pronunzia resa in dispositivo, pubblicato mediante lettura in udienza. Alla luce delle emergenze istruttorie, ritualmente assunte nel contraddittorio dibattimentale, questo Giudice ritiene pienamente provati i fatti oggetto dell'addebito accusatorio mosso nei confronti dell'odierno imputato. Dalle acquisizioni dibattimentali, invero, la vicenda che ci occupa può essere ricostruita nei termini seguenti. (...), persona offesa, costituitasi parte civile nel presente procedimento, ha riferito in dibattimento di avere avuto una relazione con il prevenuto dalla quale nasceva la figlia M. il (...) e che la relazione finiva nel maggio 2015 e che a far data da allora, l'A. ometteva del tutto qualsiasi tipo di assistenza materiale, nei confronti della figlia minorenne, nonostante fosse obbligato con Provv. n. 8423 del 2015 del Tribunale di Lecce a corrispondere la somma di Euro 170,00 mensili, a titolo di mantenimento di minori oltre alla metà delle spese necessarie straordinarie. Cionondimeno nessun importo è stato mai versato, neanche parzialmente dall'uomo, che non ha neanche mantenuto i contatti con la figlia nonostante l'affidamento congiunto stabilito dal Tribunale. Aggiungeva la teste che l'imputato durante la convivenza lavorava saltuariamente e cheera stato in detenzione domiciliare negli ultimi anni. Nulla ha provato la difesa. Ciò posto in termini fattuali, la condotta criminosa ascritta all'odierno imputato (art. 570, co. II c.p.), è dunque consistita nell'aver fatto mancare alla figlia minorie i necessari mezzi di sostentamento a far data dal maggio 2015. Sotto un profilo squisitamente giuridico ed in via estremamente generale, appare opportuno rammentare come il delitto di cui all'art. 570 c.p., si sostanzia, sotto il profilo materiale, nella condotta di chi fa mancare al figlio minore i mezzi di sussistenza, nel cui novero non sono più ricompresi " solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l'alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione". (Cass., Sez. 6, Sent. n. 2736 del 13/11/2008). Inoltre "la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all'art. 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore" ( cfr. Cass., Sez. 6, n. 53607/2014). Ne consegue che l'obbligo genitoriale e lo stato di bisogno del minore non vengono meno laddove allo stesso e in generale alla prole vi provveda in tutto o in parte l'altro genitore con il proprio lavoro e con l'intervento d'altri congiunti, come nel caso di specie, anche in relazione alla percezione di eventuali elargizioni a carico della pubblica assistenza, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo ( Cass. 10.05.1990, n. 6769; Cass., Sez. 6, Sent. n. 2736 del 13/11/2008; Cass., Sez. 6, Sent. n. 715 del 01/12/2003). Giova poi rilevare come detta fattispecie delittuosa si estenda al di là del mero apporto economico, ma acceda a uno spazio di condotta dove la volontà colpevole si muove fra la prospettiva di contribuire al mantenimento doveroso, anche se insufficiente a causa di concrete ed attuali difficoltà reddituali ma comunque finalizzato a rendere meno difficile la vita materiale dei figli, e la prospettiva di lasciarne del tutto il mantenimento nell'onere dell'altro genitore affidatario, quando i redditi di questo siano così modesti da esporre i figli alla precarietà dei mezzi di sussistenza materiati, ovviati solo a costo di sacrifici ed elevate rinunce del medesimo genitore affidatario. Ai fini della sussistenza del reato de quo devono concorrere sia la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell'obbligato, che lo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo, nella specie presunto vista la minore età (cfr. Cass. pen. n. 10539/97; Cass. pen. n. 8688/10), con la conseguenza che l'impossibilità assoluta di somministrare i mezzi di sussistenza - la quale dev'essere rigorosamente e concretamente provata dall'imputato e non soltanto affermata e che deve tradursi in un'incolpevole indigenza tale da non consentire neppure un adempimento parziale (cfr. da ultimo Cass. pen. n. 58/09) - esclude il reato, escludendone la punibilità in virtù della causa di giustificazione della "forza maggiore" di cui all'art. 45 c.p.. In tale prospettiva, dunque, il genitore non affidatario può legittimamente sottrarsi dall'ineludibile obbligo di contribuire comunque, sia pure in misura minima, al mantenimento dei figli minori solo qualora versi in un comprovato stato di indigenza assoluto e, soprattutto, incolpevole. Infatti, soltanto quando l'incapacità finanziaria dimostrata con rigore dall'imputato sia incolpevole il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare può ritenersi escluso, al contrario integrando certamente tale fatto-reato la semplice incapacità di adempiere causata da volontaria determinazione dell'obbligato o anche da sua negligenza. Orbene, le risultanze processuali hanno evidenziato un'ingiustificata latitanza paterna sotto il profilo materiale, nei termini della statuizione presidenziale. La condotta inadempiente dell'imputato non è risultata tuttavia scriminata, nei termini sopra esposti, dall'impossibilità incolpevole di questi a provvedere agli obblighi assistenziali, a fronte della mancanza di prova in tal senso da parte del genitore, il quale non ha allegato prove sufficienti a dimostrare una condizione di indigenza, posto peraltro che tali condizioni sono state già oggetto di vaglio da parte del Tribunale civile, nei termini della statuizione in atti (Cass., Sez. 6, Sent. n. 7372 del 29/01/2013). Con riferimento, invece, all'elemento psicologico del reato questo si sostanzia in un dolo generico, consistente nella consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo, nonché della propria capacità economica a prestare i mezzi di sussistenza, entrambe presenti in capo al soggetto agente, il quale non poteva non avere contezza delle condizioni dei propri figli minori e della possibilità, da parte sua, di provvedere all'assistenza dello stesso. Alle suesposte considerazioni segue, pertanto, la condanna dell'imputato per i reati a lui ascritti. Quanto al trattamento sanzionatorio, in applicazione dei parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., concesse le circostanze attenuanti generiche, in uno all'esigenza di adeguare la risposta sanzionatoria al fatto di reato, si stima equa la pena di mesi tre e gg 10 di reclusione ed Euro 400,00 di multa (p.b. quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa, aumentata di giorni dieci ex art. 81 c.p., ridotta ut supra per le generiche), alla cui applicazione segue ex lege anche la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali. Non si ravvisa la ricorrenza di elementi ostativi al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, la quale tuttavia va opportunamente subordinata (art. 165 c.p.) al pagamento della somma liquidata in favore della costituita parte civile a titolo di provvisionale, appresso meglio specificata. Ed invero, alla resa declaratoria di penale responsabilità consegue, ex lege, pure la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni subiti dalla costituita parte civile in conseguenza dell'acclarata condotta illecita oggetto dell'imputazione, che la stessa parte civile ha esplicitamente quantificato nella misura di Euro 14.620,00 (cfr. conclusioni scritte depositate in atti all'udienza odierna). Orbene, questo Tribunale ritiene accoglibile solo parzialmente siffatta richiesta, nei termine della provvisionale di Euro 5.000,00 avuto riguardo all'ammontare delle somme dovute e non corrisposte da parte dell'imputato così come acclarato nel corso del dibattimento, nonché al periodo d'inadempimento in contestazione, mentre in ragione del patimento morale verosimilmente sofferto dal nucleo famigliare, si ritiene di rimettere le parti innanzi al giudice civile per il computo del complessivo quantum debeatur. L'odierno imputato va, altresì, condannato alla rifusione delle spese processuali relative alla spiegata azione civile, liquidate nella misura indicata in dispositivo avuto riguardo al numero di udienze patrocinate ed all'attività pre-processuale e processuale concretamente svolta (redazione di scritti, attività istruttoria, discussione). P.Q.M. IL TRIBUNALE in composizione monocratica visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato a lui ascritti e lo condanna, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenuta la continuazione, alla pena di mesi tre e giorni 10 di reclusione ed Euro 400,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa condizionata al pagamento integrale della somma da liquidarsi a titolo di provvisionale entro il termine di giorni 120 dal passaggio in giudicato della sentenza; visti gli artt. 538 e 541 c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento delle spese processuali relative all'esperita azione civile, che si liquidano in Euro 1.198,00 oltre accessori come per legge da corrispondere in favore dello Stato ex 110 D.P.R. n. 115 del 2002 essendo stata ammessa la parte civile al patrocinio a spese dello Stato; visto l'art. 539 c.p.p. e su richiesta della parte civile condanna l'imputato al pagamento in favore della medesima parte civile di una provvisionale di Euro 5.000,00, il tutto da computarsi sulla definitiva liquidazione dei danni, dichiarando per tale capo la sentenza immediatamente esecutiva; Motivi contestuali. Così deciso in Lecce il 3 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II?SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Maria Francesca MARIANO - alla pubblica udienza del 01.02.2023 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale Nei confronti di (...) nato a G. il (...) e residente a (...) C. cds (...) sn, elettivamente domiciliato in (...) C., corso U. 1 n. 100. presso lo studio del difensore di fiducia. libero presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Lu.Ca., presente. (...), nato a (...) il (...), ivi residente in via R. C. n. 34, domicilio dichiarato in (...) in via Strada provinciale S.- M. n. 79. libero presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Di.Co., presente. PARTE CIVILE (...), nato a L. il (...). elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, presente. Rappresentato e difeso dall'Avv. Ga.Vi., assente. IMPUTATO Vedi allegato imputati (...), (...) A)in ordine al reato di cui agli artt. 110, 648 c.p., perché, in concorso tra loro, acquistavano, ricevevano o comunque detenevano la carta postepay n. (...) intestata a (...), provento del delitto di furto commesso da ignoti ai danni del (...) in Tricase, in epoca prossima ed antecedente al 28 giugno 2017, carta poi indebitamente utilizzata per eseguire le operazioni di cui ai successivi capi B) e C). In Sogliamo Cavour, in epoca prossima ed .antecedente al 28 giugno 2017.. (...), (...) ((...) omissis) B)In ordine al reato di cui agli artt. 110 c.p., 55, comma 9, D.Lgs. n. 231 del 2007, vigente all'epoca e poi sostituito dall'art. 493 ter c.p., perché, in concorso tra loro, al fine di procurare a sé o ad altri profitto, (...) nella veste di impiegata presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour, indebitamente utilizzavano, senza, esserne titolari, la carta postepay n. (...) intestata a (...), in particolare in data 28 giugno 2017, ore 9,25, si presentavano presso la.cassa n. 4 dell'ufficio postale di Sogliano Cavour (fraz. 31123) (...) e (...) i quali prelevavano la somma di curo 2.500,00, utilizzando la caria postepay intestata a (...), con la compartecipazione di (...) la quale ometteva volutamente di identificare Fautore del prelievo mediante richiesta rivolta al possessore della caria postepay di esibizione di un valido documento di identità, adempimento questo prescritto dalle disposizioni di servizio. In Sogliano Cavour, il 28 giugno 2017 (...), (...) ((...) omissis) C)In ordine al reato di cui agli artt. 110,81 cpv c.p., 55, comma 9, D.Lgs. n. 231 del 2007, vigente all'epoca e poi sostituito dall'art. 493 ter c.p., perché, in concorso tra loro, in tempi diversi e con una pluralità di azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di procurare a sé o .ad altri profitto, (...) nella veste di impiegato presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour, indebitamente utilizzavano, senza esserne titolari, la caria postepay n. (...) intestata a (...), in particolare: 1.in data 28 giugno 2017, ore 13.04:59, si presentavano presso la cassa n. 2 dell'ufficio postale di Sogliano Cavour (fraz. 31123) (...) e (...) i quali prelevavano la somma di curo 3.000,00, utilizzando la carta postepay intestata a (...), con la compartecipazione di (...) il quale ometteva di identificare l'autore del prelievo mediante richiesta rivolta al possessore della carta postepay di esibizione di un valido documento di identità, adempimento questo prescritto dalle disposizioni di servizio, 2.in data 29 giugno 2017, ore 9.01:32 si presentavano presso la cassa n. 3 dell'ufficio postale di Sogliano Cavour (fraz. 3) 1123) (...) e (...) i quali prelevavano la somma di curo 3.000,00, utilizzando la caria postepay intestata a (...), con la compartecipazione di (...) il quale ometteva di identificare l'autore del prelievo mediante richiesta rivolta al possessore della carta postepay di esibizione di un valido documento di identità, adempimento questo prescritto dalle disposizioni di servizio, 3.in data 29 giugno 2017, ore 9,06.22 si presentavano presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour (fraz. 31123), allo postazione cui era addetto (...), (...) e (...), i quali eseguivano un bonifico, a titolo di finanziamento socio, di Euro 6.490,00 in favore della società (...) sl, ordinando, presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour, 1 addebito del predetto importo sulla carta postepay intestata a (...): nell'occasione (...) firmava l'ordine di bonifico nel mentre (...) compilava parie del modulo (lo spazio relativo al beneficiano, all'indicazione dell'importo in lettere e cifre e parie dell'IBAN), con la compartecipazione di (...) il quale ometteva di identificare l'ordinante il bonifico mediante richiesta di esibizione di un valido documento di identità, adempimento questo prescritto dalle disposizioni di servizio. In Sogliano Cavour, il 29 giugno 2017 Con recidiva reiterata infraquinquennale per (...) Con l' intervento del PM Dott. G. ARGENTINO - VPO FATTO E DIRITTO Con decreto del 15 luglio 2020 (...) e (...) venivano rinviati a giudizio davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere dei reati ascritti. Il processo veniva trattato nelle udienze del 2 dicembre 2020 e del 14 luglio 2021 da altro Giudice. All'udienza del 2 dicembre 2020 si procedeva alla verifica della regolare costituzione delle Parti. All'udienza del 14 luglio 2021 venivano invitate le Parti alle rispettive richieste di prova che il Tribunale ammetteva come da relativa ordinanza; si procedeva all'esame di (...) e dell'Ing. (...); veniva, inoltre, acquisito al fascicolo per il dibattimento, su accordo delle Parti ex art. 493, co. 3 c.p.p., l'elaborato tecnico redatto dall'Ing. (...). Assegnato tabellarmente a questo Giudice, all'udienza del 27 ottobre 2021, in presenza dell'imputato (...) e in assenza dell'imputato (...), assistiti dai Difensori di fiducia, e in assenza della Parte Civile (...), rappresentato dal Difensore di fiducia, anch'egli assente, il Tribunale disponeva la regressione del procedimento alla fase anteriore all'apertura del dibattimento ex art. 525 co. 2 c.p.p., sicché venivano invitate nuovamente le Parti a formulare le rispettive richieste di prove, che venivano reiterate così come formulate nell'udienza precedente, il Tribunale si riportava alla precedente ordinanza ammissiva delle prove e dichiarava utilizzabili tutti gli atti precedentemente acquisiti al fascicolo per il dibattimento, non avendo le Parti indicato alcun punto di criticità, tale da richiedere una rinnovazione istruttoria. Si procedeva, allora, all'esame di P.C.. All'udienza del 22 giugno 2022, venivano esaminati ex art. 210 c.p.p., in quanto indagati nello stesso procedimento e poi prosciolti dal GUP, (...) e (...). All'udienza del 24 ottobre 2022, il processo veniva rinviato per legittimo impedimento del Difensore di uno degli imputati. All'udienza del 1 febbraio 2023 veniva esaminata la persona offesa (...). All'esito, gli imputati si sottoponevano ad esame. Quindi venivano esaminati i testi della Difesa (...) e (...), con rinuncia ad ogni altro teste e revoca dell'ordinanza ammissiva delle prove. In conseguenza, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio pronunciando la seguente sentenza. (...), Luogotenente in quiescenza dell'Arma dei Carabinieri, già Comandante della Stazione di Cutrofiano, ha dichiarato di aver solo firmato i verbali degli accertamenti effettuati dal Maresciallo Capo (...) e dal Brigadiere Capo (...). L'Ing. (...). Grafologo Giudiziario, consulente tecnico del PM, ha espletato un incarico peritale a seguito del quale ha redatto apposita relazione, acquisita al fascicolo per il dibattimento su accordo delle Parti. In dibattimento, rispondendo a domande poste a chiarimento dalla Difesa, ha dichiarato che la firma apposta sul bonifico oggetto della perizia non è congruente con la grafia di (...). Le operazioni peritali relative a (...) sono state caratterizzate dalla circostanza che ad un certo punto quest'ultimo ha deciso di non completare il saggio grafico, rilasciando, quindi, un campione comparativo quantitativamente meno consistente del normale. Secondo la ricostruzione del consulente, inoltre, l'ordine singolo di bonifico è stato compilato da due soggetti diversi: infatti, come ha riportato anche all'interno della relazione, lo stesso (...) ha riconosciuto come propria parte della scrittura di compilazione del documento contestato e l'analisi condotta dal consulente ha confermato la correttezza di tale dichiarazione. L'Ing. (...) ha ricevuto incarico peritale dal PM affinché accertasse se la firma apparente "(...)" apposta in calce all'ordine di bonifico SEPA del 29.06.2017 di Euro 6490,00 in favore della società (...) srl appartenesse alla mano di (...) e, in caso negativo, se la predetta firma potesse essere riconducibile alla mano di (...) o a quella di (...). Dalla relazione di consulenza tecnica redatta dall'Ing. (...), acquisita al fascicolo per il dibattimento su accordo delle Parti, risulta, a seguito di approfondite analisi tecnografiche eseguite sulle firme e sulle scritture di comparazione appartenenti ai soggetti in questione, che "le firme in verifica, a nome apparente "(...)", non sono riconducibili alla mano del sig. (...), in quanto i riscontri effettuati, sia a livello qualitativo sia quantitativo, indicano difformità significative"; che "gli esami dei tracciati grafici componenti le scritture di comparazione del sig. (...) ed il relativo confronto con i tracciati grafici delle firme in verifica, hanno evidenziato valori differenti, determinando una sostanziale assenza di caratteri somiglianti, ovvero un forte contrasto delle comparate, che permette di poter escludere l'attribuibilità delle firme in verifica alla mano del sig. (...)"; che "le due firme in verifica, a nome apparente "(...)", sono compatibili con la mano del sig. (...)", nonostante le scritture comparative siano ridotte, a causa dell'interruzione operata dal D.M. dopo aver scritto solo due pagine di saggio grafico. (...). Brigadiere in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Cutrofiano, ha dichiarato di aver dato seguito alle deleghe di indagine dell'Autorità Giudiziaria in merito all'escussione a sommarie informazione dell'allora direttrice dell'Ufficio Postale di Sogliano Cavour e all'interrogatorio degli indagati. Gli accertamenti relativi allo smarrimento della Postepay sono stati svolti dal Maresciallo A.. S.C., ascoltato con le garanzie prescritte dall'art. 210 c.p.p., ha dichiarato di essere impiegato postale presso l'ufficio di Sogliano Cavour. In relazione ai fatti oggetto del presente processo, ha ricordato che due uomini si erano recati allo sportello per un'operazione di prelievo tramite Postepay e il pin della carta, necessario per il prelievo, era scritto su un foglietto. Uno di questi due uomini era l'ex sindaco di Sogliano Cavour, il quale non si presentò come tale né fece pressioni di alcun tipo per eseguire il prelievo; l'altro uomo, invece, che era alto e aveva più di 50 anni, non Io conosceva. Fu quest'ultimo ad effettuare materialmente il prelievo, inserendo la carta nel Postemat e digitando il pin dopo averlo letto dal biglietto che aveva in mano. (...), ascoltata con le garanzie previste dall'art. 210 c.p.p., ha dichiarato di essere impiegata postale presso l'ufficio di Sogliano Cavour. In relazione ai fatti oggetto del presente processo, ha ricordato che due uomini, tra cui il Sindaco, si erano recati allo sportello per un'operazione di prelievo tramite Postepay. Oltre alla carta Postepay, i due uomini avevano anche il foglio sul quale era indicato il codice pin della stessa. L'operazione, che è stata materialmente eseguita dall'altro uomo, non le ha destato alcun sospetto. (...) ha dichiarato di esser stato possessore di una carta prepagata Postepay utilizzata per questioni economiche relative alla ditta di cui era proprietario. Nel luglio del 2017 sporse una denuncia di smarrimento della stessa carta. In quel periodo gestiva una ditta individuale a Tricase come centro per immigrati. Successivamente tale ditta venne trasformata in società a responsabilità limitata di cui il (...) restò socio insieme a (...) e (...). La società si serviva anche dell'opera degli odierni imputati, (...) e (...). Tale società intratteneva rapporti con FARCI che forniva denaro per la gestione degli immigrati. Le somme venivano caricate sulla Postepay in questione, la quale era conservata in un ufficio della struttura. Intorno alla fine del 2017, recatosi presso l'ufficio postale per verificare l'accredito delle somme da (...), si rese conto che il denaro era stato effettivamente accreditato da (...) sulla Postepay ma poi prelevato tra il 28 e il 29 giugno 2017 da terzi, in quanto lui aveva appunto smarrito la carta e in quelle date si trovava ricoverato presso la clinica Città di Lecce. Risultava esser stato eseguito in quella data anche un bonifico di circa 6400? alla società (...). Procedeva allora a sporgere querela contro ignoti nel gennaio 2018. Tale querela fu poi integrata quando, mostratogli dopo circa sei mesi l'ordine di bonifico da lui asseritamente firmato e che lo stesso disconosceva, riconobbe nella firma la grafia di (...). L'imputato (...) ha dichiarato che nel giugno 2017 era socio di fatto con (...) nell'ambito della struttura Le Palme. Il (...) si occupò della contabilità della società fino a gennaio 2017. Nell'ambito del suo lavoro il (...) richiedeva e otteneva prestiti di denaro dal signor (...). Inizialmente il conto corrente della società era istituito presso la B.U.; solo successivamente quel conto fu estinto e fu attivata la carta Postepay. Nei giorni del 28 e 29 giugno 2017 l'imputato si recò presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour insieme a (...) per il prelievo di alcune somme e per effettuare un bonifico in favore della società (...) di cui il (...) era socio. Ogni operazione era stata autorizzata dal (...), il quale era a conoscenza di tutto. In altre occasioni si recò presso lo stesso ufficio postale insieme a (...). L'imputato (...) ha dichiarato che il 28 e il 29 giugno 2017 si trovava presso l'ufficio postale di Sogliano Cavour, ma non fu lui ad effettuare le operazioni. L'imputato era tranquillo del fatto che il (...) fosse a conoscenza di tutto, tanto che fu lo stesso (...) a consegnare al D.M. la carta Postepay. Era sempre stato in buoni rapporti con (...). Infatti, in qualità di intermediario finanziario, aveva messo in contatto il (...), in quanto proprietario di una struttura, con l'(...). Quando seppe che l'immobile della struttura era oggetto di pignoramento lo comunicò all'(...) per la rescissione del contratto. (...) ha dichiarato di essere presidente di (...) e di aver concluso un contratto di affìtto con (...) per la struttura Le Palme, tramite l'intermediazione di (...). L'(...) pagava la struttura non appena le somme di denaro arrivavano dalla Prefettura. Nell'ambito del rapporto economico la struttura Le Palme cambiò IBAN. Dopo la modifica delle modalità di pagamento ci fu un problema nell'esecuzione di un bonifico di 30mila euro, il quale fu bloccato perché il nuovo IBAN non supportava un bonifico così elevato, quindi furono costretti a eseguire due bonifici differenti. M.G. ha dichiarato di essersi occupato della gestione delle strutture CAS per l'accoglienza di immigrati, in qualità di dipendente di (...). Conosceva (...) in quanto lo stesso si occupava della struttura di accoglienza "Le Palme" sita in Tricase. L'(...) pagava la struttura non appena le somme di denaro arrivavano dalla Prefettura. Nell'ambito del rapporto economico la struttura Le Palme cambiò IBAN. Dopo la modifica delle modalità di pagamento ci fu un problema nell'esecuzione di un bonifico di 30mila euro, il quale fu bloccato perché il nuovo IBAN non supportava un bonifico così elevato. L'art. 648 c.p. punisce chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare. Il bene giuridico tutelato, secondo la giurisprudenza maggioritaria, consiste nell'interesse patrimoniale della persona offesa. Per la consumazione del reato è richiesto il dolo specifico, vale a dire agire al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, inteso come qualsiasi utilità che possa incrementare il patrimonio del ricettatore e che abbia la capacità di soddisfare un bisogno umano, potendo esso avere anche natura non patrimoniale. Il delitto in esame può essere anche sorretto dal mero dolo eventuale, con la precisazione però che, a differenza della figura contravvenzionale di cui all'art. 712, è richiesto un quid pluris rispetto al mero sospetto, sicché anche un ragionevole convincimento che l'agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo da dati di fatto univoci, che rendano concreta la possibilità di una tale provenienza. In tema di ricettazione, ricorre il dolo nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l'ipotesi contravvenzionale dell'acquisto di cose di sospetta provenienza (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 25439 del 22 maggio 2017). Dunque, è necessario che il denaro o la cosa oggetto della condotta siano di provenienza delittuosa; tuttavia, la disposizione non richiede in capo al reo la consapevolezza degli estremi del delitto, potendosi arrestare alla plausibile contezza che la cosa provenga da un delitto. In ogni caso, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 53017 del 14 dicembre 2016). In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che ciò non costituisce una deroga ai principi in tema di onere della prova, e nemmeno un "vulnus" alle guarentigie difensive, in quanto è la stessa struttura della fattispecie incriminatrice che richiede, ai fini dell'indagine sulla consapevolezza circa la provenienza illecita della "res", il necessario accertamento sulle modalità acquisitive della stessa. Inoltre, il presupposto del delitto della ricettazione non deve essere necessariamente accertato in ogni suo estremo fattuale, poiché la provenienza delittuosa del bene posseduto può ben desumersi dalla natura e dalle caratteristiche del bene stesso (Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 46419 del 14 novembre 2019). Infatti, integra il delitto di ricettazione - e non la contravvenzione di acquisto di cose di sospetta provenienza - la condotta di colui che riceva o acquisti una carta Postepay, trattandosi di documento per sua natura e destinazione nel possesso esclusivo del titolare del conto postale o della persona da questi delegata. Ne consegue che colui il quale riceva o acquisti una Postepay al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è necessariamente consapevole della sua provenienza illecita (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 22120 del 23 maggio 2013). Il reato di ricettazione concorre con quello di indebita utilizzazione di carta di credito, già previsto dall'art. 55, comma 9 del D.Lgs. n. 231 del 2007 ed ora dall'art. 493 ter c.p., quando la carta utilizzata sia provento di delitto (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 7019 del 13 febbraio 2014). L'art. 493 ter c.p. punisce chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, o comunque ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti. La norma in commento è posta a tutela del patrimonio, oltre che alla corretta circolazione del credito. Il reato si consuma nel momento in cui vengono utilizzate le carte. Non è quindi richiesta l'effettivo conseguimento di un profitto, purché venga accertato il dolo specifico. Ai fini della configurabilità del reato di indebito utilizzo di carte di credito o di pagamento, nell'ipotesi in cui la carta di credito sia nominativa è evidente che l'indebito utilizzo sussiste tutte le volte che la carta sia usata da chi non ne sia titolare (Cassazione penale sez. II, 04/07/2012, n. 26613). La giurisprudenza è inoltre concorde nel ritenere che deve essere esclusa l'operatività della scriminante del consenso dell'avente diritto, ai sensi dell'art. 50 c.p., atteso che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie disciplinata dall'art. 493 ter c.p. non è solo il patrimonio del titolare della carta, ma anche la sicurezza delle transazioni commerciali, che costituisce interesse collettivo indisponibile dal privato (Cassazione penale sez. II, 16/02/2021, n. 18609; in motivazione la Corte ha precisato che l'autorizzazione può assumere rilievo ai fini dell'esclusione dell'elemento soggettivo del reato solo nelle ipotesi in cui sia apprezzabile in modo manifesto che il terzo abbia agito nell'esclusivo interesse del titolare). Comunque, la Cassazione ha addirittura precisato che l'uso indebito della carta di credito o di analoghi strumenti di pagamento ben può realizzarsi attraverso la disponibilità e la spendita dei relativi codici, non essendo necessario il materiale possesso del documento cartaceo o plastificato, costituendo quest'ultimo esclusivamente lo strumento che incorpora le sequenze identificative del titolare del rapporto negoziale, abilitandolo a regolare per tal via le proprie transazioni; infatti, l'espressione di "indebito utilizzo" di cui al contestato art. 493 ter c.p., che definisce il comportamento illecito sanzionato, individua la lesione del diritto incorporato nel documento, prescindendo dal possesso materiale della carta che lo veicola e si realizza con l'uso non autorizzato dei codici personali (Cassazione penale sez. II, 09/02/2022, n. 21771). Tanto premesso il Tribunale rileva che nel caso di specie la Postepay era in uso alla società di cui facevano parte anche gli odierni imputati e che la stessa era conservata in un ufficio della società, per cui non può trovare applicazione la fattispecie di ricettazione né quella di indebito utilizzo di carte di credito. Infatti, il (...) e il D.M. erano autorizzati all'uso della carta per il prelievo di somme sulla stessa accreditate dall'(...) e relative alla gestione della società in questione. Inoltre, il bonifico di cui al capo di imputazione è stato effettuato a favore di una società di cui il (...) era socio, andando pertanto a suo vantaggio e non a suo discapito. Tali dati, di portata dimostrativa inequivoca, inducono a provare la totale insussistenza degli elementi costitutivi dei reati elevati, senza che occorre aggiungere ulteriori considerazioni. Pertanto, i prevenuti devono essere assolti dai reati ascritti in epigrafe con la formula perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p.; assolve (...) e (...) perché il fatto non sussiste. Così deciso in Lecce l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II° SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Maria Francesca MARIANO - alla pubblica udienza del 23.01.2023 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale Nei confronti di (...) nato a B. il (...) e residente a (...) via B. n.l. attualmente detenuto pac nella casa circondariale di Lecce, presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Si.Gi., presente. IMPUTATO Vedi allegato IMPUTATO a) del delitto di del delitto di cui all'art. 337 c.p. per avere usato violenza e minaccia, consistita nella condotta sottoindicata, per opporsi al controllo che i militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia C. di (...) (maresciallo maggiore (...) e appuntato scelto (...)), a bordo di auto con insegne dell'Arma, tentavano di porre in essere nei suoi confronti; in particolare il (...), alla guida dell'autocarro Fiat Doblò targato (...), al fine di sottrarsi al controllo di cui sopra, e dopo che i Carabinieri gli avevano intimato l'alt, non ottemperava e proseguiva la marcia accelerando; gli stessi Carabinieri si ponevano, pertanto, al suo inseguimento con i dispositivi lampeggianti e sonori di emergenza sempre attivati ed il (...), anziché fermarsi, poneva in essere ripetute manovre pericolose, percorrendo a forte velocità numerose vie del centro abitato di (...), cambiando ripetutamente direzione, non fermandosi ai numerosi incroci attraversati e non rispettando i vari segnali di stop e dare precedenza ivi esistenti, condotta questa che solo per un caso fortuito legato all'orario notturno in cui è stata posta in essere non ha portato a conseguenze gravi per la pubblica incolumità; da ultimo, imboccava una strada interpoderale stretta e sterrata, facendo così perdere le proprie tracce. Tanto il (...) poneva in essere, con evidente minaccia nei loro confronti, al fine di sfuggire al controllo dei militari, ovvero dissuadere gli stessi dall'inseguirlo, identificarlo e procedere a verbalizzazione per ragioni del servizio; in Trepuzzi, il 15.3.2018; b) della contravvenzione di cui all'art. 116, comma 15, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione del Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, il 21.4.2018; c) della contravvenzione di cui all'art.116, comma 15, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione del Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, il 17.5.2018; d) della contravvenzione di cui all'art.116, commi 15 e 17, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), di sua proprietà, essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione del Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, il 30.7.2018; e) della contravvenzione di cui all'art.116, comma 15, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione del Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, il 5.11.2 018; f) della contravvenzione di cui all'art. 116, comma 15, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione dei Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, l'8.12.2018; g) della contravvenzione di cui all'art. 116, comma 15, del codice della strada per aver guidato senza la patente di guida perché revocata dal Prefetto di Lecce in data 4.6.1991, il veicolo targato (...), essendo stato già sanzionato per la stessa violazione, nel biennio precedente, con provvedimento amministrativo definitivamente accertato (v.verbale di contestazione dei Carabinieri di Trepuzzi n.(...) del 27.10.2017, divenuto esecutivo il 27.12.2017); in Trepuzzi, il 10.2.2019; Con l'intervento del PM Dott.ssa Ma.FA. - VPO FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione a giudizio del 11 aprile 2022 (...) veniva rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere dei reati ascritti. All'udienza del 14 settembre 2022, verificata la regolare costituzione delle Parti, detenuto presente l'imputato difeso da Difensore di fiducia, veniva formulata richiesta di definizione del processo mediante rito abbreviato. Il Tribunale ammetteva tale rito. Il PM depositava il fascicolo e il Tribunale rinviava per la discussione. All'udienza del 23 gennaio 2023 l'imputato rendeva dichiarazioni spontanee. All'esito, udita la discussione delle Parti, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio pronunciando la seguente sentenza. Il compendio probatorio formato dagli atti presenti nel fascicolo del PM, ovvero le attività investigative svolte dai militari della Compagnia di Campi Salentina, compendiate nella Comunicazione di notizia di reato del 27/1/2018, e nelle successive CNR, con relativi allegati, acquisiti al fascicolo per il dibattimento in sede di ammissione del rito abbreviato, hanno offerto una serie di elementi probatori certi a riprova della riferibilità dei fotti oggetto di imputazione all' imputato. Infatti risulta che il 26 gennaio 2018 in Trepuzzi gli appuntati di pattuglia (...) e (...) controllarono un veicolo (...) guidato da (...). In esito a tale controllo risultò che il conducente era pivo di patente di guida, essendogli stata revocata dalla Prefettura di Lecce il 4/6/1991, provvedimento in atti. Dagli archivi emerse che stessa violazione era stata riscontrata il 27/10/2017. Dalla Comunicazione di notizia di reato dei C. di (...) del 15/3/2018 risulta, ancora, che in pari data, alle 4 del mattino, il maresciallo (...) e l'appuntato (...), di pattuglia, si stavano recando in (...) in via (...) per contattare una guardia giurata dell'Istituto di Vigilanza "(...)", in qualità di persona informata sui fatti relativamente ad un autocarro sospetto poco prima avvistato. La guardia giurata (...), appena incontrati i carabinieri, suggerì loro di controllare l'auto Fiat Doblò che marciava dietro la sua e dunque sopraggiungeva, poiché guidata da (...). I Carabinieri posizionarono la loro vettura di servizio di traverso sulla corsia per far fermare l'auto in arrivo; ma il conducente della Fiat, piuttosto che fermarsi, riuscì a passare dallo spazio residuo. I militari partirono subito all' inseguimento della Fiat che si diresse verso il centro abitato di (...) a forte velocità, senza rispettare la segnaletica stradale e rischiando più volte di collidere con altre vetture in transito. Poi la Fiat imboccò una strada sterrata piena di buche che portava sul retro della masseria di proprietà del (...), dove questi abitava. Tuttavia egli non si recò a casa, come verificato dai carabinieri recatisi presso di essa. Invece si affacciò la moglie dell'imputato, (...), riferendo che il marito era uscito mentre loro dormivano e non sapeva dove fosse. Intanto i militari della Centrale, allertati, avevano verificato che la Fiat Doblò era un'auto sottoposta a sequestro amministrativo. Alcune ore dopo, intorno alle 9.30 (...) si presentò spontaneamente presso la Stazione dei Carabinieri, ammettendo di essere stato lui a guidare la Fiat Doblò e di non essersi fermato al controllo perché sprovvisto di patente di guida, in quanto revocata, di non avere neppure copertura assicurativa e di guidare un'auto effettivamente sottoposta a sequestro amministrativo. Dalla Comunicazione di Notizia di reato del 23/4/2018 dei C. di (...) risulta che alle ore 8.40 del 21 aprile 2018 i militari controllarono un autocarro Fiat 35 guidato da (...) e intestato a (...). Questi risultava privo di patente di guida in quanto revocatagli dal Prefetto in data 17/6/1991. Dalla Comunicazione di notizia di reato del 18/5/2018 dei Carabinieri della Compagnia di Campi Salentina risulta che alle ore 13.15 del precedente 17 maggio i militari di pattuglia controllarono un'auto Fiat Doblò che risultò guidata da (...), sprovvisto di patente di guida perché revocata con citato provvedimento. Con comunicazione di notizia di reato del 4/8/2018 i carabinieri della Stazione di Trepuzzi rappresentarono che il precedente 30 luglio ore 12.15 controllarono la Citroen C3 di proprietà di (...) e da lui guidata, sebbene la patente di guida fosse stata revocata con Provv. del 4 giugno 1991. Dalla Comunicazione di notizia di reato del 5/11/2018 risulta che in pari data alle ore 7.30 i militari notarono il (...) alla guida di una (...). Quindi, sapendo che era privo di patente di guida, lo fermarono e controllarono. Infatti risultò che permaneva l'assenza di titolo abilitativo. Stessa situazione, relativa alla stessa auto, è stata segnalata con Comunicazione di Notizia di reato del 17/1/2018 con riguardo al controllo eseguito il giorno prima alle ore 13.15. Dalla Comunicazione di notizia di reato del 9/12/2018 risulta che i Carabinieri della Stazione di Trepuzzi in data 8 dicembre 2018 ore 18.40 controllarono sempre l'auto (...) guidata dal (...), privo di patente di guida perché revocatagli. Con Comunicazione di notizia di reato dei Carabinieri della Stazione di Trepuzzi del 11/2/2019 i militari riferivano che il 10 febbraio precedente alle ore 8.30 in via S. controllarono il (...) alla guida dell'auto (...) di proprietà di (...). I militari allegavano un prospetto dei controlli effettuati da cui risultava che (...) fu controllato alla guida di mezzi di trasporto su via pubblica senza essere in possesso di patente di guida perché revocata il 27/10/2017, il 27/1/2018, il 15/3/2018, il 23/4/2018, il 4/8/2018, il 5/11/2018, il 9/12/2018. I fatti illustrati negli atti di indagine sono di sicura evidenza probatoria circa la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato elevato. Ciò posto, il delitto di cui all'art. 337 c.p. è di natura plurioffensiva poiché lesivo sia del buon andamento della PA sia della libera autodeterminazione e dell'incolumità della persona fisica che esercita pubbliche funzioni, cui si oppone violenza o minaccia per impedire il regolare corso di tale attività. Con il concetto di minaccia si fa riferimento alla prospettazione di Un male ingiusto, idoneo a determinare una costrizione del soggetto passivo. Mentre per la violenza, essa può essere impropria se si impiega qualunque mezzo in grado di piegare la volontà altrui; propria quando si usi energia fisica contro le cose o le persone. Con specifico riferimento alla condotta oggetto di contestazione va ricordato che il reato è integrato da qualsiasi condotta che si traduca in un atteggiamento che inibisce la regolarità dell'atto dell'ufficio o del servizio, restando esclusa ogni resistenza meramente passiva, come la semplice disobbedienza. Ed è sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, indipendentemente dall'esito di tale azione. Nel caso di specie è evidente che il darsi alla fuga davanti ad un'auto dei carabinieri di fatto collocata a modo posto di blocco in quanto di traverso sulle due corsie è un modo per impedire lo svolgimento dell'ufficio cui i militari sono preposti, con un atteggiamento violento insito nel darsi alla fuga a forte velocità nel centro abitato. Nello stesso senso l'orientamento nomofilattico che ha affermato come "in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra l'elemento materiale della violenza al condotta del soggetto che, per sfuggire all'intervento delle forze dell'ordine, si dia alla fuga, alla guida di un'autovettura, ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida pericolosa, l'incolumità personale degli altri utenti della strada" (Sez. I, n. 41408 del 9/10/2019) chiaramente in quanto una condotta di tale imprevedibilità poteva indurre i militari a desistere dal compimento dell'atto del loro ufficio per evitare danni all'incolumità di terzi occasionali passanti. Ed in questo senso la fuga dell'imputato assume una sua propria valenza significativa, in quanto se egli non fosse stato in difetto, in quanto con patente di guida revocata, tale condotta non sarebbe avvenuta. Egli, in sede di dichiarazioni spontanee rese in udienza ha affermato che più volte usava recarsi di buon ora presso la masseria di cui disponeva per guadagnare qualcosa e mantenere la moglie malata e i figli; ma che in nessun modo aveva messo in pericolo la popolazione o i militari intervenuti. Tali propalazioni non solo sono sguarnite di prova e non precludevano al prevenuto di rappresentare le proprie esigenze familiari all'autorità giudiziari, ma comunque non lo autorizzavano ad assumere un comportamento contra ius. Inoltre è pure evidente la sussistenza del reato di cui all'art. 116 co. 15 Codice della Strada. Sono talmente numerosi i controlli a seguito dei quali è risultato che (...) guidasse, nonostante l'intervenuta revoca prefettizia della patente di guida, che la conclusione è che egli guidasse a prescindere dal provvedimento adottato nei suoi confronti, senza farsene cura, sfuggendo, ove possibile, ai controlli e talvolta incappando in essi, semplicemente al bisogno con totale sfrontatezza. Pertanto l'imputato deve essere dichiarato responsabile dei reati ascritti oltre ogni ragionevole dubbio. L'istituto della particolare tenuità del fatto introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015 ha delineato una causa di non punibilità rispondente alla concezione gradualistica del reato, ai principi di sussidiarietà e proporzionalità del diritto penale, sempre che riguardi reati sanzionati con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e l'offesa sia di particolare tenuità e il comportamento non abituale. La finalità è quella della deflazione dei carichi giudiziari per fattispecie che configurano ipotesi di reato, ma che sono in concreto espressione di un minimo grado di offensività. Sempre che non sussistano elementi incompatibili con la tenuità del fatto come l'aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche in danno di animali, o mediante sevizie o con approfittamento di situazioni di minorata difesa anche con riguardo all'età della vittima, o se siano derivate conseguenze non volute come la morte o lesioni gravissime. A seguito delle modifiche introdotte con D.L. n. 53 del 2019 l'offesa non può definirsi di particolare tenuità neppure quando si proceda per delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo ad anni due mesi sei commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o nel caso in cui si proceda per i reati di cui agli artt. 336-337 e 341 bis c.p. quando il reato sia commesso nei confronti di pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni. Il concetto di offesa particolarmente lieve va commisurato ai parametri di cui all'art. 133 c.p. ed è da escludersi in caso di abitualità, ovvero sia nel caso in cui l'imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso di condotte plurime, abituali o reiterate (Cass. Sez. III, 11 gennaio 2018 n. 776). L'istituto, applicabile nel caso di reato tentato, può anche essere applicato in caso di reato continuato, ma la verifica in tale evenienza è più rigorosa non essendovi omogeneità di vedute nell'orientamento nomofilattico. Esso può essere applicato anche d'ufficio dal Giudice e può dar luogo ad una serie di provvedimenti: archiviazione ex art. 411 c.p.p., sentenza di non luogo a procedere ex art. 420 c.p.p., proscioglimento predibattimentale ex art. 469 c.p.p., sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. Ciò posto, il caso in esame, la condotta non può giovarsi della causa di esclusione della punibilità in ragione del reato rubricato al capo a), in quanto commesso nei riguardi di militari pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni; e quanto al secondo reato, trattandosi di condotta recidivante. Tuttavia va evidenziato che i reati di cui ai capi Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., dell'intensità del dolo e della gravità della condotta criminosa è possibile determinare la pena congrua da irrogare allo stesso. L'intensità del dolo è assai notevole, posto che la condotta è stata tenuta verso agenti intervenuti per un semplice controllo su strada attesa la posizione dell'auto in sosta. Pertanto si stima pena congrua quella di mesi 6 di reclusione, più 1 mese di reclusione per i restanti sei capi sicchè si perviene alla pena di anni 1 di reclusione; ridotta per la scelta del rito alla pena di mesi 8 di reclusione. La condanna al pagamento delle spese processuali segue come per legge. Il prevenuto non può usufruire delle circostanze attenuanti generiche. L'orientamento nomofilattico ha di recente ribadito come la valutazione riguardo alla concessione delle generiche esprima un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, purchè il Tribunale motivi riguardo agli elementi di cui all'art. 133 c.p. ritenuti preponderanti; in particolare non può essere apprezzato esclusivamente lo stato di totale incensuratezza che di per sè solo non rileva e comunque retrocede rispetto ad ulteriori elementi di valutazione, quale le modalità della condotta criminosa. Di recente la suprema Corte ha precisato che le circostanze attenuanti generiche non si possono presumere e devono essere giustificate da elementi positivi (Sez. III n. 2207/2020). Nel caso di specie il comportamento tenuto dall' imputato è privo di qualunque profilo di meritevolezza. All'imputato non può neppure essere concesso il beneficio della pena sospesa, essendo gravato da numerosi precedenti, tra cui anche una condanna per partecipazione ad associazione mafiosa, ed avendo egli usufruito più volte di tale beneficio, sempre disatteso. P.Q.M. Visti gli artt. 438 e segg. c.p.p.; dichiara (...) colpevole dei reati ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, ed applicata la diminuente per il rito prescelto, lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Lecce il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Maria Francesca MARIANO - alla pubblica udienza del 23.01.2023 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale Nei confronti di (...) nato ad A. del (...) il (...), elettivamente domiciliato in A.-P. via C. C. n. 17. libero presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Ri.Ci. e dall'Avv. Ca., entrambi presenti. PARTE CIVILE (...) nato a M. il (...) ed ivi residente alla via P., presente. Rappresentato e difeso dall'Avv. Ro.Ri., presente. IMPUTATO Vedi allegato IMPUTATO 1) per truffa, delitto di cui all'art. 640 codice penale, per essersi procurato, in qualità di amministratore unico e rappresentante legale della "(...) S.r.l. datrice di lavoro di (...), un ingiusto profitto ai danni del medesimo dipendente, inducendolo in errore mediante artifici e raggiri, consistiti nella sottoscrizione di un verbale di transazione e conciliazione in sede sindacale in cui si impegnava a versargli la somma di Euro 32.879,56 a titolo di TFR, Euro 3.665,56 per retribuzioni maturate ed Euro 73.000.00 a tacitazione di altre eventuali future pretese, dovute a causa del licenziamento del medesimo, nel riconoscere pacificamente e incontestabilmente da una parte le pretese creditorie del (...) e nel rappresentare dall'altra la momentanea situazione di mancanza di liquidità dovuta a una serie di insoluti da parte dei clienti, per ottenere una dilazione nel pagamento dei ratei scaduti al 30 settembre 2018, dilazione che utilizzava per depauperare il patrimonio della (...) s.r.l., vendendo il 3 ottobre 2018 alla società (...) s.r.l.s. - amministrata dalla figlia (...) - gli immobili della (...) s.r.l. al prezzo irrisorio di Euro 150.000, peraltro non versato, mettendo in liquidazione quest'ultima il 15 febbraio 2019 - nominando liquidatore tale (...) - e cancellandola dal registro delle imprese il 5 giugno 2019, così frustrando irrimediabilmente le pretese creditorie del (...). Commesso in Acquatica del Capo (LE) in data antecedente e prossima al 5 giugno 2019 Con l'intervento del PM Dott.ssa Ma.FA. - VPO. FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione a giudizio del 30 giugno 2021 (...) veniva rinviato a giudizio davanti a questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato ascritto. All'udienza del 2 febbraio 2022, libero assente l'imputato, assistito dal Difensore di fiducia, ed in presenza della Persona offesa (...) costituitasi Parte Civile e rappresentata dal suo Difensore, in via preliminare veniva reiterata la richiesta di definizione del processo mediante rito abbreviato. Il Tribunale ammetteva il rito richiesto e il PM depositava il fascicolo. All'udienza del 23 gennaio 2023, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, udita la discussione delle Parti, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio pronunciando la seguente sentenza. Il compendio probatorio formato dagli atti presenti nel fascicolo del PM, ovvero le attività investigative svolte dalla Guardia di Finanza, Tenenza di Tricase, compendiate nella Comunicazione di notizia di reato del 21 agosto 2019 e nei relativi allegati, acquisiti al fascicolo per il dibattimento in sede di ammissione del rito abbreviato, hanno offerto una serie di elementi probatori certi a riprova della riferibilità dei fatti oggetto di imputazione all' imputato. Infatti (...) rappresentò agli inquirenti di aver lavorato alle dipendenze della (...) srl, il cui legale rappresentante ed amministratore unico era (...), con mansioni di impiegato addetto alla contabilità. La sede dell'impresa era ad (...) del (...). Nel 2016, dovendo ridurre il personale, (...) fu licenziato. Egli ritenne tale atto illegittimo e dichiarò di volerlo impugnare. Quindi il 19 agosto 2016 sottoscrisse presso la sede del Sindacato (...) un verbale di transazione e conciliazione, nel quale il datore di lavoro si impegnava a versare le somme di denaro a corrispondere come TFR, le retribuzioni non corrisposte nei mesi di giugno, luglio, agosto, più una maggior somma di Euro 73 mila. Nella transazione venivano specificate le modalità con le quali sarebbero avvenuti i versamenti da suddividere nel tempo. Ma il datore di lavoro omise la terza rata di oltre 33 mila euro, con la giustificazione che attraversava un momento di crisi. Quindi (...) gli accordò fiducia. Tuttavia nel frattempo apprese che la (...) srl aveva venduto alla (...) srl, la cui legale rappresentante era (...), figlia dell'imputato, la proprietà di beni immobili aziendali, al prezzo totale di Euro 150 mila e dunque di molto al di sotto del prezzo di mercato, come attestato nell'atto per Notaio (...) di T.. Tale cessione era avvenuta tre giorni dopo la scadenza del credito e dopo la richiesta di proroga inviata al (...). Inoltre la società acquirente era stata costituita solo il 7/9/2018, pochi giorni prima dell'atto di vendita, con un capitale sociale di appena 400 euro ed era del tutto inoperativa. Nel frattempo la (...) era stata post in liquidazione e (...) aveva scoperto che con contratto del 24/1/2019 aveva ceduto un credito di circa 130 mila euro ad un'altra società, la (...) srl della quale sempre il (...) era il legale rappresentante. Quindi la persona offesa attivò la procedura del pignoramento presso terzi per recuperare il credito nei confronti della (...) srl, Tuttavia prima dell'udienza la signora (...) rese dichiarazione di terzo ex art. 547 c.p.p. affermando di non essere debitore della (...) srl in liquidazione, che il 5/6/2019 risultò cancellata. Pertanto le pretese creditorie del (...) rimasero insoddisfatte. Gli accertamenti svolti dagli inquirenti permisero anche di rilevare che il bilancio di liquidazione dalla (...) srl presentava omissioni proprio nella parte relativa allo stato debitorio della società con riguardo a quanto dovuto alla persona offesa. Ciò posto va premesso che nel reato di truffa la condotta fraudolenta consistente negli artifici e raggiri deve necessariamente precedere l'induzione in errore e il conseguimento dell'ingiusto profitto (Sez. II, 24/2/2017, Favero). Trattasi di reato istantaneo e di danno che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore abbia fatto seguito la deminutio patrimoni in capo al soggetto passivo; istantaneo perché il suo perfezionamento non consente né una protrazione ininterrotta dell'attività criminosa dell'agente, con la costituzione di uno stato soggettivo od oggettivo antigiuridico duraturo, né la possibilità per l'agente di far cessare volontariamente tale stato in modo giuridicamente efficace; di danno, poiché l'evento consumativo risulta esplicitamente tipizzato in forma di conseguimento del profitto con il danno altrui, elementi questi dell'arricchimento e del depauperamento che sono collegati tra loro in modo da costituire concettualmente due aspetti di un'unica realtà (cfr SSUU n.1/1999). Va pure precisato che non ha rilievo neppure la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri. In particolare in tema di truffa contrattuale la fiducia conquistata della controparte è ancora più accentata e in tale ottica gli artifici e i raggiri possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su circostanze contrattuali significative (Sez VI, n. 18675/2021). In base a tali principi è innegabile: -che (...) aveva mal riposto la sua fiducia nel datore di lavoro, accordandogli una buona fede inesistente; -a parte il fatto che il licenziamento non era giustificato da alcunché, sono seguite all'atto di transazione sindacale una serie di manovre formali per eludere il debito; -la vendita di beni aziendali alla società della propria figlia, costituita in un lasso temporale così a ridosso dell'atto notarile da dare contezza di una costituzione ad hoc, ne è la riprova; oltre al sottocosto stabilito nell'atto notarile indicativo del fatto che quel denaro in realtà è ragionevole ritenere non sia mai transitato da un patrimonio giuridico all'altro, ma sia restato nella famiglia parentale, al di là delle qualifiche societarie; -allo stesso modo per la vendita del (...) ad altra società da lui intestata e praticamente a se stesso; -fino alla mossa finale della definitiva sottrazione al (...) di ogni pretesa con la cancellazione della (...). Trattasi di manovre spregiudicate, espressione di artifici e raggiri contrattuali, che hanno adoperato mezzi leciti per sortire un risultato illecito, sfruttando le possibilità di mercato e le vie legali per impedire alla persona offesa di attivare il credito e per evitare di adempiervi spontaneamente. Il tutto ovviamente attesta anche l'assenza di criticità dell'azienda, anche al momento in cui non fu versata la rata e fu chiesta una proroga. Proroga che serviva, invece, per attuare il disegno criminoso di bruciare ogni strada ripetitoria all'operaio ingiustamente licenziato e offeso in ogni tentativo risarcitorio. La circostanza che sia stata depositata dalla Difesa ordinanza del Tribunale Civile di assegnazione di somme alla persona offesa in esito al pignoramento presso terzi in favore del (...) non priva il fatto dell'antigiuridicità pregressa. Circa la sollevata questione della tardività della querela, sul rilievo che la persona offesa avrebbe scoperto di essere stato truffato il 7/3/2019 e non nel giugno 2019, data di cancellazione dell'impresa dal relativo registro (data considerata dalla Procura) essa risulta inconferente. Infatti la truffa, nel caso di specie, si è atteggiata come una struttura a formazione progressiva, avendo la persona offesa subito l'illusione del pagamento a cadenza periodica, fino alla data di cancellazione dell'impresa dal relativo registro che ha statuito la totale cessazione di ogni possibilità di ottenere il dovuto. Pertanto la denuncia presentata nel mese di agosto è certamente nel termine di 90 giorni necessario per la tempestività. Pertanto l'imputato deve essere dichiarato colpevole del reato ascritto oltre ogni ragionevole dubbio. L'istituto della particolare tenuità del fatto introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015 ha delineato una causa di non punibilità rispondente alla concezione gradualistica del reato, ai principi di sussidiarietà e proporzionalità del diritto penale, sempre che riguardi reati sanzionati con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni e l'offesa sia di particolare tenuità e il comportamento non abituale. La finalità è quella della deflazione dei carichi giudiziari per fattispecie che configurano ipotesi di reato, ma che sono in concreto espressione di un minimo grado di offensività. Sempre che non sussistano elementi incompatibili con la tenuità del fatto come l'aver agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche in danno di animali, o mediante sevizie o con approfittamento di situazioni di minorata difesa anche con riguardo all'età della vittima, o se siano derivate conseguenze non volute come la morte o lesioni gravissime. A seguito delle modifiche introdotte con (...) n. 53 del 2019 l'offesa non può definirsi di particolare tenuità neppure quando si proceda per delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo ad anni due mesi sei commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o nel caso in cui si proceda per i reati di cui agli artt. 336-337 e 341 bis c.p. quando il reato sia commesso nei confronti di pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni. Il concetto di offesa particolarmente lieve va commisurato ai parametri di cui all'art. 133 c.p. ed è da escludersi in caso di abitualità, ovvero sia nel caso in cui l'imputato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso di condotte plurime, abituali o reiterate (Cass. Sez. III, 11 gennaio 2018 n. 776). L'istituto, applicabile nel caso di reato tentato, può anche essere applicato in caso di reato continuato, ma la verifica in tale evenienza è più rigorosa non essendovi omogeneità di vedute nell'orientamento nomofilattico. Esso può essere applicato anche d'ufficio dal Giudice e può dar luogo ad una serie di provvedimenti: archiviazione ex art. 411 c.p.p., sentenza di non luogo a procedere ex art. 420 c.p.p., proscioglimento predibattimentale ex art. 469 c.p.p., sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. Ciò posto, l'importanza delle somme rimaste non consegnate al creditore e l'imponenza dell'inganno macchinato in suo danno privano l'imputato della possibilità di usufruire del disposto di cui all'art. 131 bis c.p. Tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p. si può, dunque, determinare la pena da infliggere all' imputato. L'intensità del dolo che ha sorretto la condotta non pare irrisorio, posto che la valutazione complessiva dei fatti non consente di parlare di occasionale caduta nell'illecito. Dunque il Tribunale stima pena congrua quella di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa (PB anni tre di reclusione ed Euro 900 di multa, ridotta per la scelta del rito a quella finale suddetta). La pena parte dal massimo edittale considerando che la parte civile: -ha perso il lavoro; -ha sottoscritto un accordo sindacale per risanare il dovuto; -ha visto frustrato quell'accordo dal datore di lavoro che lo aveva lui stesso controfirmato per accettazione e che ha usato tutta la sua astuzia per privare il suo ex operaio della congrua somma che gli era dovuta. La condanna al pagamento delle spese processuali segue come per legge. Il prevenuto non può usufruire delle circostanze attenuanti generiche. L'orientamento nomofilattico ha di recente ribadito come la valutazione riguardo alla concessione delle generiche esprima un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, purché il Tribunale motivi riguardo agli elementi di cui all'art. 133 c.p. ritenuti preponderanti; in particolare non può essere apprezzato esclusivamente lo stato di totale incensuratezza che di per sè solo non rileva e comunque retrocede rispetto ad ulteriori elementi di valutazione, quale le modalità della condotta criminosa. Di recente la suprema Corte ha precisato che le circostanze attenuanti generiche non si possono presumere e devono essere giustificate da elementi positivi (Sez. III n. 2207/2020). Nel caso di specie il comportamento tenuto dall' imputato è privo di qualunque profilo di meritevolezza. La condanna dell'imputato comporta anche il risarcimento del danno in favore della costituita Parte Civile (...), da liquidarsi in sede civile, sul cui ammontare viene assegnata una provvisionale immediatamente esecutiva, essendone stata fatta richiesta, pari ad Euro 5.000,00; nonché il risarcimento delle spese sostenute di costituzione ed assistenza che si liquidano in Euro 960,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Visti gli artt. 438-533-535 c.p.p; dichiara (...) colpevole del reato ascritto, e, con la diminuente per il rito abbreviato, lo condanna alla pena di anni due di reclusione ed Euro 600,00 di multa, nonché al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 e seg. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento del danno in favore della Parte Civile (...), da liquidarsi in sede civile, sul cui ammontare viene assegnata una provvisionale immediatamente esecutiva, essendone stata fatta richiesta, pari ad Euro 5.000,00; nonché il risarcimento delle spese sostenute di costituzione ed assistenza che si liquidano in Euro 960,00 oltre accessori di legge Così deciso in Lecce il 23 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE PRIMA SEZIONE PENALE CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE Il Giudice Monocratico del Tribunale di Lecce, prima sezione penale dr. Maria Paola Sanghez, alla pubblica udienza del 20.01.2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: 1) (...) Nata in B. il (...), e res.te in L. alla Via N. M. n.l 1, domicilio dichiarato ex art. 161 c.p.p. ASSENTE IMPUTATA VEDI COPIA ALLEGATA Con l'intervento del Pubblico Ministero Avv. Vi.Ap. e dell'Avv. Fr.Ci., difensore d'ufficio dell'imputata, sostituita dall'Avv. Lu.Bo.. FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione a giudizio del 13.12.2018, emesso dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce dott.ssa (...), (...) veniva tratta a giudizio dinanzi al giudice dott.ssa (...) per rispondere dei reati ascritti in rubrica. All'udienza "filtro" del 8.11.2019, svoltasi innanzi a questo giudice, assente l'imputata, si apriva il dibattimento e si procedeva alla richiesta di prove. Pertanto il processo si rinviava per l'ascolto dei testi all'udienza del 4.11.2020 (teste brig. (...) dei Carabinieri N.O.R.M. di Lecce) ed a quella del 3.11.2021, rinviata per assenza dei testi all'udienza del 24.6.2022 (testi (...) e (...)). Terminata l'istruttoria il processo si rinviava per la sola discussione all'udienza del 20.1.2023. All'odierna udienza, il giudice ha invitato le parti alla discussione in esito alla quale ha emesso sentenza con motivazione contestuale. MOTIVAZIONE Osserva il giudice che non sussiste l'aggravante dell'esposizione alla pubblica fede. Com'è risultato dall'istruttoria il negozio Oviesse è dotato di un sistema di videosorveglianza ed anche di personale addetto alla sorveglianza dei reparti ( vedi teste L.). Infatti, sul punto, la Corte di Cassazione è sostanzialmente concorde nel ritenere necessaria, ai fini dell'esclusione dell'aggravante, la presenza di una custodia continua e diretta sul bene, quale può essere un sistema di videosorveglianza, non essendo sufficiente a tal fine la vigilanza praticata dagli addetti, trattandosi di un'attività generica e svolta in modo occasionale (a titolo d'esempio, v. Cass., pen., sez. V, 14.11.2014, n. 6416; Cass. Pen., sez. V, 22.01.2010, n. 8019; Cass. Pen., sez. V, 20.09.2006, n. 34009). Pertanto, poiché nel caso di specie vi erano sia le telecamere di videosorveglianza unitamente all'addetto alla vigilanza che non aveva mai perso di vista l'imputata, per questi motivi non sussiste l'aggravante di cui all'art.625 comma 1 n.7 c.p. Inoltre, a parere del giudicante, non sussiste neppure l'aggravante di cui all'art. 625 comma 1 n.2 c.p. in quanto, per quanto emerso dall'istruttoria sebbene l'imputata avesse rimosso una tacca antitaccheggio, poi ritrovata nel camerino prova, gli indumenti erano dotati di due tacche antitaccheggio, una rigida ed una morbida tipo adesivo, tant'è che quest'ultima ha suonato alle barriere delle casse. Dappiù, secondo la Suprema Corte, Cass. sez. V sentenza n. 11720 del 29.11.2019 l'aggravante della violenza, integrante la circostanza di cui all'art. 625 c.p., n. 2, si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l'opera dell'uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un'attività di ripristino mentre essa, invece, non è configurabile ove l'energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determina una manomissione ma si risolve in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, a seguito dei quali cui sia necessaria un'opera di ripristino. Nel caso in esame non vi è stata alcuna rottura della tacca antitaccheggio posta a protezione dei capi e, quindi, di rottura dei capi di abbigliamento, che sono stati riconsegnati integri al responsabile del negozio. Pertanto, non sussistendo le aggravanti, e comunque trattandosi di furto di soli Euro 32,98, il giudice ritiene di applicare l'art. 131 bis c.p. in quanto sussistono tutti i requisiti richiesti dalla norma per la sua applicabilità. Ed invero, come ha recentemente osservato la Suprema Corte L'esclusione della punibilità.. congiuntamente e non alternativamente.la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo degli "indici-criteri''(così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuità dell 'offesa) si articola a sua volta, in due "indici-requisiti "(sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall 'art. 133 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa). Si richiede, pertanto, al giudice di rilevare se, sulla base di due "indici-requisiti " della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell'art. 133 c.p., sussista "Vindice-criterio" della particolare tenuità dell'offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità ".(Cass. pen. sez. Ili 8.4.2015n.l5449). Nel caso di specie emerge inequivocabilmente dagli atti che l'imputata ha certamente commesso i fatti a lei ascritti (essendo rinvenute nella sua disponibilità i capi sottratti all'Oviesse), ma altrettanto inequivocabilmente emerge l'assoluta tenuità del fatto trattandosi di merce del valore commerciale di Euro 32,98 complessivi. Inoltre, con riguardo alla tenuità del fatto occorre osservare che il quinto comma dell'art.131 bis c.p. ha espressamente previsto che la disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante, in considerazione della natura occasionale ed estemporanea della condotta contestata all'imputato, delle non allarmanti modalità dell'azione, della lieve intensità dell'elemento soggettivo, dell'irrisorio valore della merce della cui detenzione si discute, nonché in assenza di elementi che inducano a ritenere sussistente l'elemento ostativo dell'abitualità del comportamento. In particolare, la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p. - introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015 - richiede la presenza di tre condizioni: la previsione di una pena non superiore nel massimo a cinque anni, la non abitualità del comportamento e la particolare tenuità dell'offesa. Pertanto, tale disciplina è inapplicabile in caso di qualificazione del fatto come furto aggravato, il cui massimo edittale è pari a sei anni, indipendentemente dall'entità del danno arrecato e dalla personalità del reo. Nel caso di specie e relativamente alle aggravanti contestate di cui all'art. 625 comma 1 n.2 e n.7 c.p. che potrebbero essere ostative all'applicabilità della norma, per quanto già argomentato, le stesse non sussistono. Per tali argomentazioni l'imputata va, dunque, mandata assolta dal reato a lei contestato, in quanto la stessa non è punibile per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art.131 bis c.p. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce, in composizione monocratica, prima sezione penale, in persona del giudice dott. Maria Paola Sanghez, letti gli articoli 131 bis c.p. e 530 c.p.p. ritenute non sussistenti le aggravanti di cui all'art.625 comma 1 n. 2 e n.7 c.p., assolve (...) dal reato a lei ascritto, perché lo stesso non è punibile per la particolare tenuità del fatto. Motivazione contestuale che si deposita. Così deciso in Lecce il 20 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE PRIMA SEZIONE PENALE CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE Il Giudice Monocratico del Tribunale di Lecce, prima sezione penale, dr. Maria Paola Sanghez, alla pubblica udienza del 19.01.2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente nei confronti di: 1) (...) Nato a L. il (...), ed ivi res.te alla Via dei (...) n.5 ASSENTE IMPUTATO VEDI COPIA ALLEGATA IMPUTATO in ordine al delitto di minaccia, aggravato, p. e p. dall'art. 612 comma 2 c.p., perché, raggiunta l'abitazione di (...) a bordo della propria vettura, vi sostava per qualche tempo, quindi, avvedutosi che quest'ultimo si trovasse nel proprio giardino, sceso dall'automobile gli si avvicinava con fare intimidatorio e lo minacciava di un male ingiusto dicendogli "etimu ce sai fare cussì osce te ciu". Con l'intervento del Pubblico Ministero Avv. Gi.Sa. E dell'avv. Fa.Pi., difensore della p.c. (...) nato a (...) C. di L. e res.te in F. alla Via (...), presente, nonché dell'Avv. Fr.De., difensore di fiducia dell'imputato, presente. FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione a giudizio emesso il 13.7.2020 dal Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Lecce dott. L. (...), in esito alle indagini preliminari, (...) veniva tratto a giudizio innanzi a questo giudice per rispondere dei reati ascritti in rubrica. All'udienza "filtro" del 27.11.2020, assente l'imputato, la p.o. (...) si costituiva parte civile, quindi si apriva il dibattimento e si formulavano le richieste di prova, pertanto si rinviava per l'ascolto dei testi all'udienza del 17.11.2021, nella quale, si ascoltavano la p.c. (...) e l'altro teste del P.M. (...), moglie della parte civile. Successivamente il processo si rinviava per l'ascolto del testi a difesa R.S. e V.O. all'udienza del 1.7.2022 e, terminata l'istruttoria, si rinviava per la sola discussione all'udienza del 19.1.2023. All'odierna udienza ha avuto luogo la discussione finale al termine della quale il P.M., la parte civile ed il difensore dell'imputato hanno concluso come in epigrafe. Osserva questo giudice come le risultanze processuali abbiano confermato la fondatezza dell'accusa elevata nei confronti dell'imputato (...) per il reato contestato all'art.612 comma 2 c.p. La prova si fonda sulle dichiarazioni dalla parte offesa (...) che sono risultate essere precise e concordanti e sulle quali non si ha motivo di dubitare. Occorre, tuttavia, collocare i fatti per cui è processo in un contesto conflittuale tra l'imputato e la parte civile, vicini di casa. Infatti la parte civile aveva lamentato nei confronti dell'imputato che l'accensione del camino dello (...), con una canna fumaria non a norma, rendeva irrespirabile l'aria nella casa e nel giardino del (...) a causa del fumo provocato dallo stesso, perché non venivano utilizzati rami secchi ma rami verdi. Quindi tra i due vicini si erano creati degli attriti e delle incomprensioni. Non solo. Il (...) aveva anche denunciato alle autorità del Comune di Lecce alcuni abusi edilizi compiuti dai proprietari della casa in cui viveva lo (...), i coniugi (...) - (...), ma anche la inagibilità della stessa casa. Relativamente ai fatti per cui è processo, confermati sostanzialmente dalla moglie dello (...), (...) presente all'episodio, mentre lo (...) e la moglie (...) erano nel loro giardino intenti ad effettuare lavori di giardinaggio, sentivano il rumore di una auto che si fermava vicino al loro cancello. Mentre la (...) dalla sua posizione si accorgeva che era lo (...), il (...) non riuscendo a vedere chi si fosse fermato, andava verso il cancello ed uscendo si accorgeva che l'auto in sosta era la Peugeot 107 di colore bianco dello (...). Quindi nel momento in cui il (...) guardava per vedere chi c'era dentro l'auto, lo (...) gli chiede il perché lo stava guardando. Allora il (...) comprendendo che lo (...) cercava il litigio, pacatamente gli rispondeva che nessuno lo stava guardando. A questo punto lo (...) scendeva dalla sua auto e si dirigeva velocemente verso il (...) e, gesticolando, in dialetto gli diceva: "etimu ce sai fare, cusì osce te cciu". Il (...) molto spaventato e provato da tali frasi rientrava velocemente nella sua proprietà e diceva alla moglie di chiamare i carabinieri. Lo (...), sentendo questo, si metteva in auto e velocemente si allontanava. Questi i fatti. Osserva il giudice che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione di un male ingiusto, potenzialmente idoneo ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, da parte dell'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima (cfr. Cass., sez. V, 26/10/2012, n. 3811, (...); Cass., sez. V, 12/04/2012, n. 30306). Pertanto non appare revocabile in dubbio che le espressioni etimu ce sai fare, cusì osce te cciu" rivolta dall'imputato (...) alla persona offesa (...), siano dotate di tale potenzialità offensiva, soprattutto se collocate in un contesto di astio e conflittualità, come quello che si era venuto a creare sia per l'uso del camino da parte dello (...) e sia per la denuncia effettuata dal (...) circa l'inagibilità della casa in cui viveva lo (...). Rileva il giudice che il reato di minaccia si commette con ogni manifestazione esterna a mezzo della quale, a fine intimidatorio, venga rappresentato ad un soggetto il pericolo di un male ingiusto che, in un futuro più o meno prossimo, possa essergli causato dal colpevole, o da altri per lui, nella persona o nel patrimonio. Ovviamente, se si prospetta un qualcosa di assolutamente generico, occorre che il contesto della vicenda e i rapporti tra le parti, e cioè la situazione di fatto, del momento, rendano evidente l'ingiustizia del danno futuro che viene prospettato. Si può commettere il reato di minaccia con ogni mezzo e con ogni comportamento. E' necessario però che essi siano idonei a suscitare, in chi li subisce, il timore o la preoccupazione di dover sopportare o soffrire un male ingiusto. Non è indispensabile quindi che la persona destinataria resti effettivamente intimidita. L'elemento psicologico del reato di minaccia consiste nella coscienza e volontà di minacciare un danno ingiusto, volontà che può essere desunta dal comportamento dell'agente, valutato in relazione a tutte le circostanze del fatto.(Cass. 11/6/85). Si tratta di un reato che ha natura di pericolo, in quanto può rappresentare l'antefatto di atti lesivi concreti; tuttavia, ogni minaccia deve essere adeguatamente valutata in funzione della circostanza, delle condizioni dell'agente e dell'effetto sulla vittima. Il principale elemento costitutivo del reato è proprio la prospettazione di un ingiusto danno, tale da limitare la libertà morale della vittima e il cui futuro verificarsi dipende, in maniera diretta o commissionata, dall'agente. Alla stregua di ciò non vi è dubbio circa la gravità delle minacce rivolte dallo (...) al (...) che gli ha prospettato un male ingiusto sol perché il (...) lo stava guardando. In ordine all'attendibilità della parte lesa, appare opportuno fare alcune considerazioni. Va, innanzi tutto, ricordato che il vigente orientamento processuale ha riconosciuto alle dichiarazioni rese dalla parte offesa di un reato un ruolo probatorio in nulla differente da quello attribuito alla persona estranea agli interessi dedotti in giudizio. In tal caso, quindi, trova applicazione la norma generale espressa dal comma 1 dell'art. 192 , che è quella del libero convincimento del giudice, inteso come libertà del giudice di valutare la prova, dando conto in motivazione dei criteri adottati e dei risultati conseguiti. Ne discende che il giudice può ritenere che sussista il fatto riferito dal teste per il solo fatto che il teste glielo rappresenta. E' necessario, chiaramente, un vaglio di credibilità ma è di regola sufficiente un controllo ab intrinseco centrato sulla personalità del testimone e sulle caratteristiche del suo racconto. Ciò non di meno non può non considerarsi che l'alto tasso di attendibilità che il legislatore riconosce al testimone è connaturato alla presunzione che il teste è assolutamente estraneo agli interessi in gioco nel processo e, quindi, normalmente, a meno che non sussista un movente (paura, compiacenza, ostilità, ecc.) dice la verità. Tanto premesso, va detto che l'esposizione dei fatti così come raccontati dalla p.o. nella querela e confermati durante la sua deposizione, è risultata essere dal punto di vista soggettivo pienamente attendibile; la stessa hanno ricostruito con precisione e con dovizia di particolari i fatti per i quali aveva sporto querela e le sue dichiarazioni hanno trovato preciso e puntuale riscontro anche nelle dichiarazioni della (...) testimone oculare dei fatti. Pertanto, alla luce dell'espletata istruttoria dibattimentale e di tali considerazioni, ritiene il giudice che risulti comprovata la fattispecie criminosa di cui all'art. 612 comma 2 c.p contestata all'imputato (...). Quanto alla pena da infliggersi, alla stregua dei criteri valutativi ex art. 133 c.p., concesse le circostanze attenuanti generiche, stimasi equo condannare lo stesso alla pena di mesi due di reclusione così determinata: p.b. mesi tre di reclusione, diminuita di un terzo per le circostanze attenuanti generiche alla pena finale, oltre il pagamento delle spese processuali. Va altresì pronunciata la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della p.c. che il giudice liquida equitativamente in Euro.2.000,00. Inoltre, l'imputato va condannato alla refusione delle spese di costituzione di parte civile che si liquidano in Euro.3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Le condizioni soggettive dell'imputato consentono al giudice di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento del risarcimento del danno. P.Q.M. Il Tribunale di Lecce, prima sezione penale, in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Maria Paola Sanghez Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato di cui all'art.612 comma 2 c.p., e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di reclusione come sopra determinata, oltre il pagamento delle spese processuali. Va altresì pronunciata la condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della p.c. che il giudice liquida equitativamente in Euro 2.000,00. Inoltre, l'imputato va condannato alla refusione delle spese di costituzione di parte civile che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Pena sospesa subordinata al pagamento del risarcimento del danno. Motivazione contestuale che si deposita. Così deciso in Lecce il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE Sezione Monocratica Penale Il Giudice Dott.sa Valeria FEDELE, alla pubblica udienza del 19.01.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nei confronti di: (...) - nato a T. (M.) il (...) e domiciliato a (...) in via R. n. 465 - libero, presente. Difeso di fiducia dall'avv. Ir.Ch., presente (...) - nata a (...) il (...) e domiciliata a (...) in via R. n. 465 - libera, presente Difesa di fiducia dall'Avv. Gi.Ch., presente. P.C. (...) - nata in (...) il (...). assente, con l'avv. Ma.Gr. sostituita con delega orale dall'avv. Ga.Sp.. FATTO E DIRITTO Con decreto del 10 febbraio 2021 (...) e (...) sono stati rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui in imputazione. All'udienza del 7 ottobre 2021 il Giudice ha preso atto della costituzione di parte civile di (...) e ha dichiarato l'assenza di (...) e ha aperto il dibattimento. All'udienza del 12 maggio 2022 le parti hanno formulato le proprie richieste di prova e su accordo delle parti sono state acquisite le consulenze tecniche degli ingegneri (...) e (...). Nella medesima sede si è proceduto all'escussione dei testi del p.m. (...), (...) e (...). All'udienza del 26 maggio 2022 il Giudice ha conferito l'incarico all'interprete dott.ssa (...) e si è proceduto all'escussione del teste (...); è stato ascoltato altresì il teste (...) ed è stata acquisita la missiva relativa alla richiesta di inadempimento formulata a carico del (...) da parte della (...) per il tramite dell'avvocato (...) con conseguente rinuncia all'escussione del predetto (...) da parte della parte civile. Alla successiva udienza del 9 giugno si è proceduto ad un rinvio a causa dell'assenza del teste (...), sentito poi all'udienza del 10 novembre 2022, in cui si è proceduto anche all'esame degli imputati. All'udienza del 24 novembre sono stati escussi i testi della difesa (...), (...) e (...) e il Giudice ha dichiarato chiusa l'attività istruttoria. All'odierna udienza il Giudice ha invitato le parti a concludere e all'esito della camera di consiglio ha pronunciato sentenza di assoluzione nei confronti degli imputati con contestuale motivazione. All'esito dell'espletata istruttoria ritiene il Tribunale non sia emersa la prova di alcuno degli elementi del reato di truffa contestato. Invero, il (...) e la (...) sono stati tratti a giudizio per rispondere del reato di truffa aggravata in concorso a danno di (...), costituitasi parte civile, per essersi procurati un ingiusto profitto corrispondente ad Euro 10.000 (comprensivi della caparra e dei canoni di locazione percepiti) locando l'immobile di cui il (...) era proprietario alla (...) dal 10 gennaio 2019. Ciò, secondo l'imputazione, approfittando delle condizioni personali della (...), incapace di comprendere la lingua italiana in quanto cittadina cinese e priva di conoscenza in merito alle procedure burocratiche amministrative, nonché abusando dell'incarico professionale fiduciario di commercialista assunto dalla (...) in favore della (...) al fine di espletare ogni adempimento burocratico ed amministrativo finalizzato al rilascio dell'autorizzazione necessaria per l'installazione di new slot e apparecchi da divertimento e intrattenimento della sala giochi, con sede nei suddetti locali e sottacendo l'assenza del certificato di agibilità dell'immobile al momento della stipulazione del contratto avvenuta in data 9 gennaio 2019. Ebbene, dall'istruttoria svolta è emerso che proprio a causa dell'incapacità della (...) di parlare e comprendere la lingua italiana, i rapporti commerciali, professionali e personali erano intrattenuti dal di lei figlio, (...), nato a P., per contro in grado di parlare e comprendere perfettamente la lingua italiana e reale gestore e amministratore delle attività intestate alla madre. Gli odierni imputati, dunque, lungi dall'approfittare della situazione personale della parte civile, avevano trattato esclusivamente col di lei figlio. Inoltre, le risultanze processuali e documentali hanno dimostrato la piena conoscenza da parte del (...) dell'assenza del certificato di agibilità dell'immobile atteso che il (...) aveva più volte offerto la sua collaborazione al fine di ottenerlo consigliando l'intervento del geom. (...), tecnico di fiducia. Le dichiarazioni dei testi (...) e (...) hanno infatti confermato che il (...) aveva raccomandato in diverse occasioni al (...) di eseguire tutti gli accertamenti burocratici necessari prima di aprire l'attività; raccomandazioni che, tuttavia, non erano state prese in considerazione dal (...) atteso che dalle conversazioni intercorse via WhatsApp tra il (...) e il (...) emerge pacificamente come il primo, invitato a regolarizzare la situazione del locale e a munirsi delle necessarie autorizzazioni proprio dal (...), nonostante perfettamente conscio delle irregolarità e delle problematiche di tipo burocratico, non aveva inteso ritardare oltre l'apertura dell'attività. Inoltre, dall'istruttoria è emerso che il danno così come contestato in imputazione (24.000 euro pari alla sanzione comminata dalla Guardia di Finanza all'esito della verifica eseguita nel locale adibito a sala giochi condotto dalla (...)) non è in alcun modo correlato all'assenza di agibilità bensì è riferito alla riscontrata assenza delle prescritte autorizzazioni necessarie all'installazione di apparecchi o congegni da intrattenimento o da gioco rientranti nella categoria di cui all'art. 110 comma 6-7 del T.U.L.P.S. nella sala giochi condotta da (...), che peraltro non risulta aver mai versato alcunché a fronte della sanzione elevata nei suoi confronti. Dagli atti risulta altresì che la (...) era inadempiente al pagamento dei canoni dal giugno 2019, tanto che il (...) voleva disdettare il contratto di locazione per morosità dal 9 settembre 2019. Pertanto, le circostanze sin qui esposte evidenziano l'insussistenza della condotta decettiva richiesta ai fini dell'integrazione del reato di truffa contrattuale contestata agli imputati. Si precisa, sul punto, che questa particolare forma di truffa ricorre ogni qual volta uno dei contraenti adotta comportamenti ingannatori, artifizi o raggiri, tali da determinare l'altro a cadere in errore nella contrattazione, ponendo in essere un atto di disposizione patrimoniale che si rivela, da un lato, profitto per il soggetto attivo o per terzi e, dall'altro, danno a sé o ad altri (v. Cass., Sez. II, 25.3.2014, n. 18778). Nell'ipotesi della truffa contrattuale, il danno del soggetto passivo consiste, oltre che nella stipulazione del contratto, anche nella lesione della libertà contrattuale, indipendentemente dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni (sul punto v., Cass., Sez. II, 8.11.2013). La condotta ingannatoria, nel caso di specie, sarebbe da ravvisarsi nell'aver gli imputati sottaciuto l'assenza del certificato di agibilità, che avrebbe condotto la (...) a stipulare il contratto di locazione. Tuttavia, precisando che "in tema di truffa contrattuale, anche il silenzio, maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini della valutazione delle reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, integra l'elemento del raggiro, idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo " (Sez. 6 - Sentenza n. 13411 del 05/03/2019), si evince che, nel caso di specie, alcuna forma di condotta decettiva è stata serbata dagli imputati atteso che l'istruttoria dibattimentale ha consentito di provare che gli imputati hanno ampiamente illustrato al (...) E le problematiche inerenti all'immobile, fornendo raccomandazioni inerenti le pratiche burocratiche da seguire al fine di ottenere le autorizzazioni necessarie all'avvio dell'attività. Preme infine rilevare che è pacificamente emerso che l'agibilità, laddove richiesta tempestivamente, sarebbe stata rilasciata, come effettivamente accaduto in occasione del subingresso di altro locatario. Alla luce di quanto sin qui evidenziato, entrambi gli imputati vanno mandati assolti perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Letto l'art. 530 comma 1 c.p.p. ASSOLVE (...) e (...) dal reato in concorso a loro ascritto perché il fatto non sussiste. Così deciso in Lecce il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lecce, seconda sezione penale, in composizione monocratica, in persona del dott. Edoardo D'Ambrosio, alla pubblica udienza del 19 gennaio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di (...), nato in I. il (...), elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia, libero, assente difeso di fiducia dall'avv. Sa.Ce., presente IMPUTATO Vedi foglio allegato IMPUTATO del reato di cui agli artt. 81, co. 2 - 474, co.2 e 648 c.p.: per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi poste in essere, detenuto per vendere prodotti industriali palesemente contraffatti, in specie: - venti cover aventi marchio "adidas"; - una avente marchio "gucci"; - venti cover aventi marchio "apple"; - diciassette cover aventi marchio "juventus"; tutta merce che acquistava e comunque riceveva al fine di trarne profitto a mezzo di successiva vendita, di sicura provenienza delittuosa, poiché recante marchio contraffatto; MOTIVI DELLA DECISIONE Dall'istruttoria dibattimentale, è emerso che l'imputato nella data indicata in rubrica fu sorpreso mentre deteneva la merce ("cover" per telefoni cellulari) indicati in rubrica, ed oggetto di sequestro, recanti il marchio contraffatto di note case di moda o sportive. Tali prodotti erano esposti al pubblico per la vendita su una bancarella ed erano nella sua disponibilità. I prodotti, per come riferito dal verbalizzante (soggetto che, per ragioni del suo ufficio, è certamente in grado di valutare l'autenticità dei marchi apposti sui prodotti), recavano marchi contraffatti: tanto era possibile desumere sia perché i prodotti non erano riposti in custodie o confezioni originali, né presentavano etichette o cartellini originali; ma soprattutto perché non vi era alcuna documentazione contabile che giustificasse la provenienza di tale merce. Ciò posto, ritiene il Tribunale che gli elementi posti dal pubblico ministero a fondamento dell'ipotesi accusatoria sono affidabili e verosimili; peraltro, non sono stati acquisiti - neppure a livello meramente ipotetico - elementi che depongano in senso contrario: è dunque evidente che quanto riportato nei verbali ritualmente acquisiti al fascicolo del dibattimento, non può che essere ritenuto certamente e pienamente attendibile. All'esito del dibattimento non residuano dunque dubbi né sul fatto che si tratti di merce recante marchi contraffatti, né sull'appartenenza della merce contraffatta in sequestro all'odierno imputato, né infine sulla circostanza che la merce fosse detenuta dallo stesso al fine di porla in commercio, poiché è evidentemente irrituale e non altrimenti giustificabile il porto e la detenzione di numerosi oggetti di valore commerciale come dettagliatamente indicati. Peraltro l'imputato né al momento del sequestro, né in dibattimento ha allegato (e provato) una tesi alternativa rispetto a quella accusatoria. Trattasi di condotta che integra quella penalmente sanzionata dall'art. 474 c.p.: invero, da sempre si ritiene che il bene garantito dalla norma appena citata è la pubblica fede, che viene certamente pregiudicata da condotte che realizzino la vendita di prodotti con marchi o segni distintivi riproducenti quelli originali e difficilmente distinguibili da questi: data la funzione attribuita al marchio - elemento sul quale la collettività fa affidamento per individuare la provenienza del prodotto - ogni forma di imitazione del segno distintivo produce per il pubblico un rischio di confusione, disorientando e compromettendo la regolare formazione delle scelte; quando i falsi marchi vengono utilizzati su prodotti affini, la contraffazione del marchio o la vendita di prodotti con segni distintivi contraffatti comportano la confondibilità tra i segni e il rischio di confusione per il pubblico dei consumatori: tali condotte vengono pertanto penalmente sanzionate per evitare la lesione o la messa in pericolo della pubblica fede. Peraltro è stato correttamente evidenziato che la lesione della pubblica fede deve essere valutata non soltanto in capo all'acquirente del prodotto recante il segno contraffatto, ma anche e soprattutto nella prospettiva del produttore, sottolineandosi che l'art. 474 c.p. non mira solo a tutelare il consumatore dalle piccole o grandi frodi di chi pone in vendita merce (interesse già adeguatamente garantito dall'art. 517 c.p.), ma è posta a tutela dei marchi e dei segni distintivi, costituendo una protezione per i titolari degli stessi (così, testualmente, Cassazione penale, sez. II, 13 febbraio 2001, n. 6062): i reati previsti dagli articoli 473 e 474 c. p. sono dunque plurioffensivi, perché la condotta del reo, oltre alla fede pubblica, lede anche l'interesse del titolare dei marchi contraffatti a non vedere immessi nel mercato prodotti con il proprio contrassegno falsificato, in modo da sfruttarne la forza di penetrazione presso il pubblico e la valenza patrimoniale. Pertanto, tenendo a mente anche le statuizioni della Suprema Corte, secondo la quale non può avere alcuna incidenza sulla concreta configurabilità della fattispecie in contestazione la natura più o meno grossolana del falso (il reato di cui all'articolo 474 c. p. è volto a tutelare non la libera determinazione dell'acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità ed originalità dei prodotti messi in circolazione. Ne consegue che non incide sul perfezionamento del reato (né in relazione ad esso può parlarsi di reato impossibile) il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall'acquirente in ragione delle modalità della vendita, in quanto la tutela della buona fede, apprestata dalla norma, non si rivolge al solo compratore occasionale, ma alla generalità dei soggetti possibili destinatari dei prodotti provenienti dalle imprese titolari dei marchi ed anche alle imprese medesime, che hanno interesse a mantenere certa la funzione del marchio: così Cassazione penale, sez. V, 30 agosto 2006, n. 29377; nello stesso senso Cassazione penale, sez. V, 7 novembre 2007, n. 40874: ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 474 c. p. non è necessario l'inganno del soggetto che procede all'acquisto, dovendosi escludere che possa ritenersi il falso grossolano per il solo fatto che la modestia del prezzo e le particolari condizioni di vendita debbano rendere avvertito l'acquirente che si tratti di merce contraffatta. L'articolo 474 del Cp, infatti, tutela, in via principale e diretta, non la libera determinazione dell'acquirente, bensì la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione. In questa prospettiva, l'attitudine della falsificazione a ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell'acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione; conforme, tra le più recenti, Cassazione penale, sez. V, 12 marzo 2008, n. 21787, che ha evidenziato che non si può parlare di reato impossibile per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall'acquirente in ragione delle modalità della vendita, in quanto l'attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell'acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione; occorre, pertanto, avere riguardo alla potenzialità lesiva del marchio, connaturata all'azione di diffusione in riferimento a un numero indeterminato e indeterminabile di consociati nel corso della loro successiva utilizzazione e circolazione), l'odierno imputato va ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 474 c. p. Quanto all'art. 648 c. p., secondo l'orientamento del tutto prevalente in giurisprudenza chi vende prodotti con marchi precedentemente contraffatti da altri, deve rispondere, oltre che del reato di cui all'art. 474 c.p. - per il fatto di detenere per vendere o di porre in vendita prodotti con marchi falsi -, anche del più grave reato di ricettazione previsto dall'art. 648 c. p., in quanto ha acquistato o ricevuto cose provenienti dal delitto presupposto di contraffazione: il concorso materiale di reati viene affermato per l'eterogeneità del bene giuridico rispettivamente protetto dalle due norme (l'art. 648 c.p. si pone a presidio del patrimonio, l'art. 474 c.p. tutela - come detto - la fede pubblica) e per la diversità delle fattispecie dal punto di vista oggettivo (cfr. Cassazione penale, sez. II, 10 luglio 1996: le condotte previste dagli artt. 648 e 474 c.p. non hanno elementi in comune: invero la disposizione di cui all'art. 474 c.p. non contempla affatto i momenti dell'acquisto, della ricezione o dell'occultamento di cose mobili provenienti da delitto o della intromissione per farle acquistare, ricevere o occultare, che rappresentano invece le condotte attraverso le quali si realizza il delitto di ricettazione, con la cui disciplina pertanto, non può porsi in rapporto di specialità; nonché Cassazione penale, sez. II, 12 aprile 1990, secondo cui i comportamenti previsti dall'art. 474 c. p. sono aggiuntivi e cronologicamente successivi alla condotta punita dall'art. 648 c. p.; nello stesso senso, più di recente, Cassazione penale, sez. II, 4 marzo 2008, n. 12452: il delitto di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore). Si impone, pertanto, l'affermazione della responsabilità dell'odierno imputato anche per il delitto di cui all'art. 648 c.p., avendo egli acquistato o comunque ricevuto, al fine di trame un evidente profitto, i beni con marchio contraffatto indicati in rubrica, successivamente detenuti per il commercio, dovendosi unicamente precisare che, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, la conoscenza da parte dell'imputato della provenienza illecita della merce successivamente posta in vendita trova sicuro riscontro tanto nelle circostanze, innanzi evidenziate, che rendono evidente la contraffazione del marchio (ad es. l'assenza di etichette, di custodie e di confezioni originali), quanto nel mancato possesso di documentazione attestante il titolo lecito di possesso degli oggetti. La pena Si ritiene di poter riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati in contestazione, riconducibili ad una stessa tipologia di condotte, poste in essere in un medesimo arco temporale, ed in violazione di un medesimo bene giuridico, animate dalla medesima finalità di lucro, evidentemente espressione del medesimo programma criminoso avuto di mira dal reo. Avendo a mente l'esiguo valore dei beni per i quali è processo, può riconoscersi la circostanza attenuante di cui al capoverso dell'art. 648 c. p. Una complessiva considerazione delle vicende per le quali è processo, dell'intensità del dolo, e delle modalità della condotta posta in essere dall'imputato, fanno ritenere congrua, alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 c. p., una condanna alla complessiva pena di mesi nove di reclusione ed Euro 600 di multa (pena base ex art. 648 cpv. c. p.: mesi sei di reclusione ed Euro 900 di multa, aumentata alla indicata pena finale per continuazione). Alla condanna segue l'obbligo di rifondere allo Stato le spese anticipate per la celebrazione del presente grado di giudizio. Va da ultimo disposta, a norma dell'art. 474 bis c. p., la confisca e la distruzione dei beni contraffatti in sequestro. In ragione dello stato di penale incensuratezza, appare possibile formulare nei riguardi dell'imputato un giudizio prognostico favorevole in ordine ad un eventuale pericolo di recidività, e dunque concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. Letti gli articoli 533 e 535 c. p. p., dichiara (...) responsabile dei reati a lui ascritti e, riconosciuta l'ipotesi di cui al capoverso dell'art. 648 c.p., unificati i reati nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 900 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio. Pena sospesa. Letto l'art. 474 bis c.p., dispone la confisca e la distruzione della merce in sequestro. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce il 19 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE Prima Sezione Penale Il Giudice Dott.ssa Annalisa de Benedictis, nella pubblica udienza del 18.1.2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA Con motivazione contestuale nei confronti di: 1. (...), nata il (...) a L. e residente in (...), alla via L. per C. S.P. 81, km. 18+600; libera, presente. Difesa di fiducia dall'Avv. Mi.Re. del foro di Lecce, presente. 2. (...), nato il (...) in I. e residente in P. (U.), elettivamente domiciliato in (...), alla via L. per C. S.P. 81, km. 18 + 600; libero, presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Vi.La., sostituita con delega orale dall'Avv. Pi.Lo. del foro di Lecce. IMPUTATI Cfr. allegato IMPUTATI del delitto previsto e punito dagli artt. 110 c.p. - 73 comma IV D.P.R. n. 309 del 1990 perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 e fuori dall'ipotesi di cui all'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990 cit. detenevano, ad evidenti fini di spaccio, complessivi Kg 1,979 netti di sostanza stupefacente del tipo marijuana in fase di essiccazione (avente percentuale di principio attivo dell'1,61% quanto alla prima confezione e di 2,49% quanto alla seconda, pari a complessivi mg. 35621,946 di THC corrispondenti a circa 1425 DMS) nonché coltivavano, realizzando una sorta di serra all'interno dell'abitazione (con lampade led, deumidificatori, termometri, teli con iato in alluminio, bilancini ed altro) 3 piante di marijuana aventi attività stupefacente (due dell'altezza di circa 50 cm e una dell'altezza di circa 30 cm); in Santa Cesarea il 22.01.2021 Con l'intervento di: Pubblico Ministero nella persona del V.P.O. dr.ssa Gr.Vi. MOTIVAZIONE Svolgimento del processo. Con decreto che dispone il giudizio, in data 8 Marzo 2021, (...) e (...) sono stati citati a giudizio per rispondere del reato indicato in epigrafe. Alla prima udienza del 14 Maggio 2021, dichiarata l'assenza degli imputati, nella regolarità del contradditorio, constatata l'assenza di questioni preliminari, veniva dichiarato aperto il dibattimento e le parti procedevano a formulare le richieste istruttorie sulle quali il Giudice provvedeva con ordinanza ex art. 495 c.p.p.; successivamente, il processo veniva rinviato per l'inizio dell'istruttoria. All'udienza del 16 Febbraio 2022, la prima davanti a questo giudice, essendo mutata la persona del giudicante, si disponeva la regressione del procedimento con rinnovazione degli atti, le parti si riportavano alle richieste di prova già formulate e il giudice all'ordinanza precedentemente resa. L'udienza proseguiva con l'acquisizione della comunicazione della notizia di reato del 22 Gennaio 2021 e della consulenza di parte redatta dal Dott. D., il PM rinunciava all'esame dei suoi testi di lista; il processo veniva rinviato per il proseguo dell'istruttoria. All'udienza del 23 Novembre 2022 si procedeva all'esame dei testi di lista (...) e (...) e all'acquisizione di documentazione proveniente dalla difesa dell'imputata e comprovante il suo stato di salute; contestualmente si rinunciava all'esame del dott. (...). All'udienza odierna, si procedeva all'esame imputati e del teste di lista della Difesa. Dichiarata conclusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni come da verbale e il Giudice, all'esito della camera di consiglio, emetteva il dispositivo di sentenza di cui dava lettura e contestuale motivazione. Motivi della decisione. Da un controllo effettuato dai Carabinieri della compagnia di Maglie in data 22 Gennaio 2021, emergeva che gli odierni imputati detenevano, nella abitazione della (...), sostanza stupefacente per un totale 1,979 kg di Cannabis, suddivisa in 2 distinti involucri rispettivamente del peso di 1,551 kg e 427,90 g da cui risultano ricavabili 1425 dosi stupefacenti; 3 piante di Cannabis contenenti una percentuale di principio attivo (THC) pari al 1,58%; un flacone contenente sostanza che si scoprirà essere un estratto di semi di cumino; oltre a questo, materiale utilizzabile per la coltivazione di Cannabis. Costituisce dato pacifico in giurisprudenza quello secondo il quale, per escludere che si versi in ipotesi di coltivazione penalmente rilevante, è necessario accertare la sussistenza di un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all' uso personale, che si ritiene sussistere ogni qualvolta la coltivazione sia svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e si componga uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto, e manchino ulteriori elementi in grado di deporre a favore di un inserimento del prodotto nell'ambito del mercato degli stupefacenti, circostanze, queste, che contribuiscono ad escludere un concreto rischio di immissione sul mercato illegale della droga con conseguente pericolo per la salute pubblica; con la conseguenza che, in assenza di elementi in grado di collegare la coltivazione a finalità di cessione, occorre riconoscere l'irrilevanza penale del fatto (Cass. pen., sez. U, 19/12/2019, n. 12348; Cass. pen., sez. III, 15/02/2022, n.20238). Sulla stessa linea, con riguardo alla distinta condotta detentiva, costituisce oramai orientamento costante in giurisprudenza quello secondo il quale ai fini della dimostrazione della sussistenza del reato di cui all' art. 73, comma V D.P.R. n. 309 del 1990 non sia sufficiente il mero dato ponderale, non essendo bastevole il solo fatto che l'imputato detenesse una quantità di sostanza stupefacente superiore a quella indicata alla tabella di cui all'art. 73, comma 1 -bis, lett. a), D.P.R. n. 309 del 1990, dovendosi valorizzare ulteriori elementi oggettivi univoci e significativi di una detenzione finalizzata alla cessione, quali: la diversità di sostanze detenute, un quantitativo di sostanza elevato e tale da risultare sproporzionato rispetto alle possibilità economiche dell'imputato, la detenzione di materiale o di strumenti utilizzabili per il confezionamento (Cass. pen. sez. III, 27/10/2016, n.5631; Cass. pen. sez.. VI, 28/04/2017, n.27090; Cass. pen. sez.. IV, 10/12/2019, n.265). All'esito dell'istruttoria dibattimentale risulta, in modo chiaro e coerente il fatto che la (...) facesse uso di sostanze stupefacenti da oltre tre decenni, complice la sua permanenza in India, assieme al suo ex marito, paese in cui il consumo di cannabis è tollerato. Inoltre, stando a quanto riferito dall'imputata, il consumo sarebbe dovuto ai frequenti attacchi di emicrania di cui soffre, motivo per il quale, in luogo dei convenzionali antidolorifici, ricorreva al consumo di Cannabis. Quanto asserito dall'imputata in merito alla sua condizione patologica non risulta sguarnito di riscontri fattuali e, anzi, trova conferma nella documentazione prodotta nel corso dell'istruzione dibattimentale e in particolare nei plurimi certificati medici in cui si attesta il fatto che l'odierna prevenuta soffra di cefalea persistente motivo per cui alla stessa venivano e vengono prescritti numerosi farmaci antidolorifici. Ciò detto, le condizioni di salute dell'imputata, che la portavano ad essere una consumatrice abituale di cannabis, così come riferito da lei, dal coimputato e dagli altri testi sentiti in dibattimento, depongono in modo univoco a favore di una coltivazione e di una detenzione finalizzata esclusivamente al consumo personale. A tal proposito, significativo è il fatto che non risultino ulteriori elementi in grado di ricollegare il possesso della sostanza stupefacente alla successiva cessione, non ritenendosi sufficiente, alla luce delle emergenze istruttorie, il rinvenimento di un bilancino di precisione (utilizzato dalla (...) per pesare la quantità di marijuana da utilizzare per uso personale), così come la macchina per il sottovuoto il cui possesso trova giustificazione nell'uso alimentare; irrilevante è, poi, il fatto che l'imputata detenesse un quantitativo superiore alle dosi medie singole poiché l'elevato dato ponderale ben potrebbe trovare giustificazione nella necessità per l'odierna imputata di assicurarsi una continua e sicura disponibilità di sostanza stupefacente idonea a soddisfare le proprie alte esigenze di consumo. Tanto premesso, riguardo alla coltivazione della sostanza stupefacente, il ridotto numero di piante e l'assenza di elementi in grado di provare la destinazione del prodotto alla vendita, escludono la rilevanza penale della condotta, da ritenersi inoffensiva in concreto, ragione per cui deve giungersi a pronuncia assolutoria perché il fatto non riveste rilevanza penale. Non diversamente con riferimento alla detenzione della sostanza stupefacente, a proposito della quale, dagli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, non emergono elementi che depongano, al di là di ogni ragionevole dubbio, a favore della destinazione della sostanza stupefacente alla vendita, motivo per il quale si deve assolvere l'imputata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, potendo qualificare la condotta quale illecito amministrativo ex art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990. In proposito va detto che gli investigatori non hanno registrato gli elementi tipici dell'attività di cessione, ovvero la detenzione di denaro quale provento della vendita o la presenza di avventori identificabili come consumatori o il possesso di materiale di confezionamento utile alla predisposizione delle dosi da destinare a cessione. Con riferimento alla posizione di (...), gli elementi posti a disposizione del tribunale escludono che egli fosse realmente coinvolto nella condotta in contestazione. Lo esclude la coimputata (...) che ha chiarito che il figlio non è consumatore di marijuana e si trovasse in quell'abitazione solo perché era andato a farle visita, vivendo stabilmente a Udine. Peraltro, sotto il profilo del contributo causale, è necessario comprendere se nel caso specifico si versi in ipotesi di connivenza non punibile ovvero di concorso nel reato. In proposito va detto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persone punibile è richiesto, invece, un contributo partecipativo, morale o materiale, alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile ed il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 c.p. è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l'occultamento ed il controllo della droga, assicurando all'altro concorrente una certa sicurezza o comunque garantendogli, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare. Spetta al giudice di merito indicare il rapporto di causalità efficiente tra l'attività incentivante che integra il concorso morale e quella posta in essere dall 'autore materiale del reato, fermo restando che la semplice presenza inattiva non può costituire concorso morale mentre può essere sufficiente una volontà di adesione all'attività criminosa altrui tramite forme agevolative della detenzione dello stupefacente, con la consapevolezza di apportare un contributo causale, assicurando all'agente una certa sicurezza o garantendo anche implicitamente una collaborazione in caso di bisogno (Cass. pen. sez. IV,20/11/2020, n.34754). Ebbene, dalle risultanze dibattimentali emerge in modo chiaro e coerente il fatto che l'odierno imputato, in realtà, risieda con il padre, (...), in Povoletto (UD) e che al tempo si fosse recato presso l'abitazione della madre, in S. C., al solo fine di fornirle assistenza; emerge, inoltre, che l'imputato non sia un consumatore di sostanze stupefacenti né alcoliche, circostanza confermata dalle dichiarazioni di entrambi i testi coerenti sul punto. Tanto premesso, dovendosi dare credito, in assenza di elementi di segno contrario, alla versione dell'imputato come corroborata dagli altri contributi dichiarativi, deve ritenersi che non sia risultato provato il coinvolgimento dell'odierno prevenuto poiché, nonostante sia ragionevole presumere che l'A. fosse a conoscenza della detenzione e della coltivazione della sostanza stupefacente da parte della (...), nella condotta dell'imputato non sembra ravvisarsi alcun contributo agevolativo che possa aver rafforzato o incentivato i propositi dell'odierna imputata, motivo per il quale si assolve l'imputato per non aver commesso il fatto. P.Q.M. Letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve (...) dall'imputazione ascrittale perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Dispone la trasmissione degli atti al Prefetto di Lecce per le eventuali determinazioni di competenza. Letto l'art. 530 c.p.p., assolve (...) dall'imputazione ascrittagli per non aver commesso il fatto. Dispone la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Così deciso in Lecce il 18 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II°ì SEZIONE PENALE Il Giudice dottoressa Bianca Maria Todaro alla pubblica udienza del 17.01.2023 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale nei confronti di: (...) nato a N. il (...) e residente a N. in via M. G. n. 1; libero assente. Difeso di fiducia da Avv. Fr.Ri. del foro di Lecce, presente. IMPUTATO VEDERE ALLEGATO IMPUTATO Per il reato p. e p. dagli artt. 44 comma 1 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001 perché, nella sua qualità di proprietario e committente, realizzava sul terreno censito in catasto al foglio (...) ptcc. (...) e (...) nel PRG del Comune di G., operazioni di movimento terra, sversamento di materiale inerte e successiva compattazione, in assenza di titoli autorizzativi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione emesso in data 21 ottobre 2022 a seguito di opposizione al decreto penale di condanna numero 1873 del 2022 (...) veniva tratto a giudizio per rispondere della imputazione innanzi indicata. Disposto un rinvio per consentire la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato, alla successiva udienza del 20 dicembre 2022, verificata la regolare costituzione delle parti e non sollevando le parti questioni preliminari, il giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove richieste dalle parti. le parti prestavano il consenso all'acquisizione della relazione di sopralluogo, dell'informativa di reato e relativi allegati. Si rinunciava pertanto all'esame dei testi di lista ed il giudice ne revocava la relativa ordinanza ammissiva. All'odierna udienza del 17 gennaio 2023 il giudice dichiarava chiusa l' istruttoria dibattimentale ed utilizzabili tutti gli atti compiuti, invitando le parti a concludere, le parti concludevano come da verbale e, all'esito della camera di consiglio, il giudice decideva pronunciando sentenza con motivazione contestuale. MOTIVI DELLA DECISIONE Secondo quanto attestato dalla documentazione anche fotografica in atti, a seguito di un sopralluogo operato in data 23 settembre 2021 in contrada "Vignali o Piterta" su terreno individuato in N.C.T. al fol. (...) p.lle (...) e (...) nella titolarità di (...), m noilitari del Comando Polizia Municipale della città di Galatone, coadiuvati da tecnico comunale, constatavano che vi era stata attività di movimento terra lungo il lato del lotto di proprietà prospiciente la via vicinale. In particolare dalla lettura della relazione all'uopo redatta emergeva lo sversamento di materiale inerte e la sua successiva compattazione fino a colmare il dislivello tra la strada vicinale ed il lotto di terreno per una lunghezza di circa 70 m ed una larghezza media di 5 m, così determinando una modifica dell'originario andamento plano/altimetrico del terreno, come evidenziato dagli elaborati fotografici versati agli atti. Veniva quindi accertato che le opere de quibus erano state realizzate in assenza di permesso di costruire. Con ordinanza numero 132 del 24 settembre 2021 veniva ordinata la sospensione dei lavori eseguite in assenza di titolo autorizzativo e consistenti nella manomissione del terreno previa VC stesura e compattazione di materiale inerte che ha comportato modifiche piano-volumetriche ad una porzione dell'otto di terreno (cfr. ordinanza in atti). La difesa produceva agli atti copia della pratica in sanatoria con ricevuta di pagamento delle relative sanzioni, SCIA e relazione tecnica con allegato progetto di sanatoria movimento terra e rilievo fotografico. In particolare dalla lettura della relazione tecnica redatta a firma del geometra (...) emerge che il movimento terra con inerte stabilizzato era stato reso necessario dalla necessità di ampliare la sede viaria esistente, in quanto di modeste dimensioni, e di realizzare uno scivolo per consentire l'accesso ai mezzi agricoli. Veniva attestato altresì che "il movimento terra non ha in alcun modo alterato l'originario andamento plano volumetrico del terreno". Ciò posto, ritiene la scrivente che, alla luce delle prove documentali acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, debba ritenersi sussistente il reato contestato. Trattasi, invero, di intervento che ha comportato la trasformazione edilizia ed urbanistica in via permanente di suolo inedificato. Ed infatti occorre evidenziare che l'attività di movimento terra non è stata giudicata dal legislatore a priori irrilevante, poiché l'art. 6 del D.Lgs. n. 380 del 2001 non l'ha ricompresa in alcuna delle ipotesi, ivi elencate, di attività edilizia libera: si deve dunque in concreto verificare se l'attività in questione possa, o non, dirsi rilevante da un punto di vista edilizio, atteso che non tutte le ipotesi di movimento di terra sono rilevanti sotto tale profilo. In altri termini, si rende necessaria la valutazione della entità dell'opera che si intende eseguire, stante la possibilità dell'esistenza di spostamenti di terreno insignificanti sotto il profilo del preesistente insediamento, per i quali non sussiste l'obbligo di munirsi di preventivo permesso di costruire, ovvero della esecuzione di rilevanti trasformazioni del territorio che invece tale preventivo rilascio richiedono. Orbene, l' intervento in questione - contrariamente a quanto attestato dal tecnico di parte - ha comportato una modifica plano/altimetrica del terreno, come chiaramente indicato dal tecnico comunale che ha effettuato il sopralluogo ed evidenziato dagli elaborati fotografici versati agli atti. Ebbene, come affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, l'intervento consistente in lavori di movimento terra e livellamento del terreno, comportanti una modifica della conformazione dell'area, integra una trasformazione urbanistica e determina un'alterazione permanente dell'assetto del territorio, da qualificarsi, in quanto tale, come intervento di nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), D.P.R. n. 380 del 2001. Pertanto, tale tipo di intervento è subordinato al previo rilascio del permesso di costruire, in forza dell'art. 10, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. da ultimo ex multis T.A.R., Brescia, sez. 1,03/11/2021, n. 912). Tra l'altro è stato anche dalla giurisprudenza penale affermato che "in tema di reati edilizi, è soggetta a permesso di costruire l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio" (Cassazione penale sez. III, 15/11/2016, n.1308). L'orientamento può dirsi senz'altro consolidato. Invero Cass. Pen. Sez. III, 13 novembre 2014, n. 4916 stabilisce che le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio; in senso conforme Cass. Pen. Sez. III, 22 febbraio 2012, n. 29466 afferma sussistere il reato previsto dall'art. 44 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ove si realizzino, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, opere di spianamento e riporto di terreno. Sotto il profilo soggettivo deve rammentarsi che, in tema di reati urbanistici, non ricorrono gli estremi della buona fede, idonea ad integrare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale (C. Cost. n. 364 del 1988), quando l'imputato abbia eseguito un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire in conseguenza di un'erronea interpretazione di una pur chiara disposizione di legge ed omettendo di consultare il competente ufficio, formando il suo convincimento personale sull'insussistenza dell'obbligo di munirsi di apposito titolo abilitativo sulla base di un provvedimento della p.a. riguardante un diverso manufatto rispetto a quello abusivamente realizzato (Cass. Per). Sez. III, 10 giugno 2014, n. 36852). Può dunque dirsi sicuramente dimostrata la sussistenza del reato in contestazione e la sua ascrivibilità all'odierno imputato, proprietario ed utilizzatore del terreno in esame. Né alcuna efficacia scriminante può attribuirsi alla SCIA in sanatoria presentata dal (...) in quanto, anche alla luce della non veritiera attestazione di immutamento plano-volumetrico su cui essa si fonda, essa non può di certo ritenersi valido titolo legittimante le opere de quibus. La non irrisoria consistenza degli abusi dotati di estensione senz'altro apprezzabile non consente il riconoscimento dell'ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p. Quanto alla dosimetria della pena, il Tribunale ritiene di poter concedere all' imputato le circostanze attenuanti generiche attesa la sua incensuratezza ed il positivo comportamento processuale. Si stima congruo, alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 c. p., condannare l'imputato ad una pena da quantificarsi in complessivi mesi 4 di arresto ed Euro 4.000 di ammenda (pena base mesi 6 di arresto ed Euro 6.000 di ammenda; ridotta ex art. 62 bis c.p. nella misura finale indicata). Alla condanna segue l'obbligo per l'imputato di rifondere allo Stato le spese anticipate per la celebrazione del presente grado di giudizio. Avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133 c.p., può essere concesso il beneficio della non menzione della condanna e della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. letto gli artt. 533 e 535 c. p. p. dichiara (...) responsabile del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi 4 di arresto ed Euro 4.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio. Pena sospesa e non menzione. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce il 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

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