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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO L'anno 2024 il giorno 17 del mese di Gennaio il TRIBUNALE ORDINARIO di LECCE - Prima Sezione Penale Collegiale - composto dai Signori: Dott. Fabrizio MALAGNINO - Presidente (estens.) Dott.ssa Maddalena TORELLI - Giudice Dott. Marco MARANGIO MAURO - Giudice Con l'intervento del P.M. rappresentato dal Sostituto Procuratore della Repubblica dott.ssa Rosaria PETROLO, con l'assistenza dell'Assistente Giudiziario Addolorata GIURI ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa penale a carico di: Ra.Cr. nato il (...) a C., residente in L. in via U. nr. 14, - libero presente - assistito e difeso di fiducia dall'avv. Daniele SCALA, del Foro di Lecce, - presente - IMPUTATO p. e p. dagli artt. 81 cpv., 572 co. 1 e 2, 56-610 c.p., per aver maltrattato abitualmente la convivente Pa.An., anche alla presenza della figlia minore Ra.Fr., ponendo in essere nei suoi confronti una serie di atti lesivi dell'integrità psicofisica, dell'onore e del decoro; in particolare, la ingiuriava e umiliava con espressioni del seguente tenore "sei una puttana, zoccola", usando spesso (nel luglio e nel settembre 2017, nel marzo 2018, ecc.) nei suoi confronti violenza consistita in schiaffi al volto; a fine luglio 2019 e in data 31.08.2019, aggrediva fisicamente la donna con schiaffi e spintoni, nonché con colpi in varie parti del corpo; anche dopo la fine della convivenza (in data 31.08.2019), assumeva atteggiamenti aggressivi e minacciosi nei confronti della donna, anche a mezzo telefono, e in data 20.11.2019, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la Pa. a consegnargli la figlia minore, con violenza consistita nell'inseguire l'autovettura a bordo della quale la donna si trovava unitamente alla figlia, nel colpire la carrozzeria della predetta auto e nell'aprire lo sportello, non riuscendo nel proprio intento per cause indipendenti dalla propria volontà (pronta reazione della vittima che accelerava e riusciva ad allontanarsi, non essendo intenzionata a consegnargli la figlia, atteso che si era accorta che il prevenuto aveva assunto sostanze stupefacenti), Acc. In Lev erano sino all'agosto 2020, con permanenza Svolgimento del processo e motivi della decisione Con decreto emesso in data 15-10-2021, il G.U.P. presso questo Tribunale disponeva il giudizio ordinario a carico di Ra.Cr. in ordine ai reati a lui ascritti e in epigrafe indicati. SOSPENSIONE del PROCESSO e dei TERMINI di PRESCRIZIONE: ud. 12-4-2023 (segnatamente dal 12-4-2023 al 21-6-2023) All'udienza del 26-5-2.022, questo Tribunale, in composizione monocratica, rilevando che uno dei due reati ascritti all'imputato appartenesse alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale, trasmetteva gli atti dinanzi a questo Collegio. All'udienza del 14-12-2022, dopo l'esposizione introduttiva delle parti, questo Collegio ammetteva i mezzi di prova indicati dal P.M. e dalla difesa dell'imputato; quindi, sul consenso delle parti, ex art. 493, co.3 c.p.p., venivano acquisite le dichiarazioni predibattimentali di Pa.An., di P.F. e di Ra.An. nonché le informative, comunicazioni, relazioni, annotazioni e atti relativi all'attività svolta dagli operanti di P.G.. Successivamente, all'udienza del 12-4-2023, attesa la diversa composizione del Collegio, il Tribunale ordinava la regressione del processo alla dichiarazione di apertura del dibattimento: il P.M. ed il difensore si riportavano alle precedenti richieste, il nuovo Collegio confermava la precedente ordinanza ammissiva di prova, ivi compresi gli accordi acquisitivi; si procedeva, quindi, al richiesto controesame difensivo di Pa.An.. Infine, all'udienza del 17-1-2024, questo Tribunale dichiarava chiusa l'istruzione dibattimentale e invitava le parti a formulare le conclusioni. All'esito del dibattimento - celebratosi in presenza dell'imputato - il P.M. e la difesa dell'imputato concludevano come da verbale in atti. Le risultanze dibattimentali consentono l'affermazione della penale responsabilità di Ra.Cr. in ordine al solo reato di cui all'art. 572 c.p., con le specificazioni di cui in dispositivo. Con riferimento ai contestati maltrattamenti in famiglia, Ra.Cr. è stato accusato di aver posto in essere, sino all'agosto 2020, nei confronti della compagna convivente Pa.An. e, alla presenza della figlia minorenne Ra.Fr. (nata nel (...)), una serie di alti lesivi dell'integrità psicofisica, dell'onore e del decoro. Muovendo dalle incisive e circostanziate dichiarazioni della persona offesa, sono emersi i fatti del presente procedimento. Segnatamente, dalle dichiarazioni di Pa.An., della cui credibilità questo Collegio non ha ragione di dubitare (né sotto il profilo oggettivo, attesa la precisione, coerenza e linearità delle sue dichiarazioni, né sotto il profilo soggettivo, non essendo emersi elementi - quali inimicizia pregressa o interessi in conflitto con l'imputato estranei all'oggetto del processo - idonei ad inquinare la genuinità delle dichiarazioni stesse), in occasione della presentazione dell'acquisita, sul consenso delle parti ex art. 493, co.3, c.p.p., querela e nel corso della deposizione resa durante l'istruttoria dibattimentale, è emerso che la Pa. medesima ebbe, a partire dall'anno 2004, una relazione sentimentale con Ra.Cr., odierno imputato, protrattasi sino al 31-8-2019, data del definitivo allontanamento del Ra. dall'abitazione ove egli conviveva con la persona offesa (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. nonché cfr , altresì, le precisazioni fomite dalla stessa all'udienza del 12-4-2023). Durante il periodo temporale appena indicato, la Pa. c il Ra. convissero stabilmente presso quella che fu l'abitazione della nonna della Pa. medesima, sita in L. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). La relazione sentimentale tra la Pa. e il Ra., caratterizzata fin dal principio da animose discussioni, degenerò in virtù della condotta prevaricatrice realizzata dall'odierno imputato, il quale, senza alcun apparente motivo, cominciò a divenire quotidianamente sempre più aggressivo e violento nei confronti della Pa. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Invero, a partire dal luglio del 2017, il Ra. iniziò a porre in essere in danno della compagna una serie ripetuta e reiterata di violenze fisiche e verbali, alcune delle quali commesse in presenza della figlia minore, che non fecero altro che peggiorare la situazione presente all'interno delle mura domestiche (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). In particolare, nel luglio 2017, a seguito di un litigio, scaturito dalla decisione della Pa. di rimuovere dal proprio profilo "Facebook" il nome del Ra., quest'ultimo, dopo aver raggiunta la compagna nei pressi della stanza da letto ove la stessa si trovava con la figlia, proferì al suo indirizzo la seguente frase: "che cazzo hai fatto, rimetti subito il mio nome". Tale richiesta del Ra. non venne assecondata dalla Pa., al che l'odierno imputato colpì la propria compagna con un forte schiaffo sulla gamba. Il rumore dello schiaffo inferto fu talmente forte che la figlia della coppia si svegliò di soprassalto e la Pa., per compiacere il compagno, decise di rimettere il nome di quest'ultimo sul suo profilo social (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Due mesi dopo, precisamente nel settembre 2017, la Pa., esausta delle scenate di gelosia, degli sbalzi di umore e del fatto che il compagno spesso tornava in casa ubriaco, maturò la decisione di interrompere la relazione sentimentale con il Ra.. Di fronte alla decisione maturata dalla Pa., il Ra. reagì con violenza, colpendo al volto la stessa con diversi schiaffi, salvo poi convincersi ad abbandonare l'abitazione. Tuttavia, prima di andar via, il Ra., alla presenza della figlia minore, prese una fotografia di grosse dimensioni appesa al muro e la gettò per terra frantumandone il vetro (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit. nonché cfr. le precisazioni rese dalla stessa all'udienza del 12.4.2023 cit.). Qualche giorno dopo l'interruzione della relazione sentimentale, vi fu un riavvicinamento tra la coppia e, il Ra. tornò a vivere con la Pa. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit. ). Il clima di apparente serenità non durò molto in quanto l'odierno imputato, immediatamente ricominciò a porre in essere un atteggiamento aggressivo, finendo, in un'occasione, per colpire la propria compagna con ripetuti schiaffi al volto (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Nei primi mesi del 2018, la convivenza tra la Pa. e il Ra. si interruppe nuovamente poiché il Ra. si trasferì, per motivi lavorativi, nel Nord Italia (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Anche in tale occasione, l'allontanamento del Ra. fu breve poiché l'odierno imputato tornò in L. nel marzo 2018 (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Dopo aver fatto ritorno in L., il 6-3-2018, a causa di un ennesimo litigio, il Ra. schiaffeggiò ripetutamente la Pa. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Nell'estate del 2018, dopo un'altra discussione, l'odierno imputato, in un primo momento, scagliò contro la Pa. il suo cellulare, non riuscendo a colpirla solo perché quest'ultima riuscì a schivare l'oggetto e, dopo, spintonò la Pa. medesima facendola cadere sul letto (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Verso la fine del mese di dicembre del 2018, a seguito di una nuova discussione, scatenata dall'alterazione dello stato psico-fisico del Ra. eccepita dalla Pa., l'odierno imputato si rivolse nei confronti della compagna ingiuriandola con epiteti quali "puttana" e "troia" (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Dopo tale episodio, la Pa. impose al Ra. di allontanarsi dall'abitazione (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Tuttavia, il Ra., dopo aver accettato inizialmente la decisione della Pa., ritornò sui suoi passi chiedendo alla propria compagna di consentirgli l'accesso nell'abitazione (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Tale richiesta non venne assecondata dalla Pa. e, di fronte al rifiuto opposto dalla medesima, il Ra. entrò nell'abitazione rompendo il vetro laterale del portoncino d'ingresso (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Il 25-4-2019, dopo essere andati in un bar in compagnia di amici ed aver fatto rientro nell'abitazione, il Ra. insultò la Pa. con improperi del calibro di "sei una puttana, zoccola". Ciò per il semplice fatto che quest'ultima avesse indossato una maglietta che, a giudizio dell'imputato, era "troppo scollata" (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Nel mentre il Ra. proferiva tali insulti, lo stesso con forza toglieva la maglietta indossata dalla Pa. e la buttò nel secchio della spazzatura (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Il comportamento realizzato dal Ra. spinse la Pa. ad abbandonare l'abitazione e a rifugiarsi presso la casa della madre. Non appena la Pa. arrivò presso l'abitazione della madre, il Ra. la raggiunse. Sul posto giunse il fratello della Pa., F., il quale, allertato dalla madre, rimproverò il Ra. per l'atteggiamento dallo stesso posto in essere e convinse quest'ultimo ad allontanarsi (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.; cfr., altresì, dichiarazioni predibattimentali di P.F., in atti). Successivamente, il ricovero della figlia in Ospedale fu il motivo per cui ci fu una nuova riappacificazione tra il Pa. e il Ra. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Tuttavia, il Ra. non si placò e, anzi, divenne sempre più violento e aggressivo. Nel luglio 2019, il Ra., dopo aver visto che la Pa., prima di recarsi in spiaggia, aveva indossato un costume del tipo "bikini", si rivolse alla propria compagna proferendo nei suoi riguardi la frase- "sei una puttana, mi vergogno ad uscire con te, non ti prendo a schiaffi perché c 'è la bambina" (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Verso la fine dello stesso mese, il r., in stato di alterazione psico-fisica, aggredì con schiaffi e spintoni la Pa., la quale, stanca delle continue vessazioni patite, reagì all'aggressione in atto colpendo il volto del compagno con dei pugni (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). La reazione della Pa. non fece altro che innervosire di più il Ra., il quale continuò a malmenare la compagna con ancora più violenza cagionando alla Pa. medesima un'ecchimosi all'altezza dell'occhio sinistro, tant'è che lei stessa fu costretta nei giorni successivi, per evitare di far sapere ai propri parenti di essere stata percossa, a truccarsi con particolare cura in maniera tale da occultare il livido presento sul suo volto (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Dopo questo violento episodio, la Pa. e il Ra. vennero raggiunti dalla madre di quest'ultimo (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Tuttavia, nonostante la presenza della propria madre e della figlia, il Ra. continuò a percuotere la Pa. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). A quel punto, la madre del Ra. chiamò la figlia, S., la quale una volta giunta nell'abitazione soccorse la Pa. che giaceva in terra "distrutta" dai dolori provocati dalle percosse a lei inflitte dal Ra. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Solo dopo che la situazione ritornò nell'alveo di un'apparente "normalità", la Pa., insieme alla cognata e alla figlia, si recò in un parco al fine di tranquillizzare la bambina che, suo malgrado, aveva assistito alla furia perpetrata dal padre (cfr acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Le violenze verbali proseguirono con regolarità anche nell'agosto del 2019, fino a raggiungere il loro apice il 31-8-2019 (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.; nonché cfr. le precisazioni rese dalla stessa all'udienza del 12 - 4 - 2023 cit.). In particolare, il 31-8-2019, la Pa., dopo aver visto il Ra. in un evidente stato di alterazione psico-fisica, offrì al compagno la propria disponibilità ad aiutarlo proponendogli di sottoporsi ad un programma riabilitativo presso una struttura a ciò deputata (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Tale offerta di aiuto non venne accolta dal Ra. e, anzi, costituì il pretesto utilizzato dall'odierno imputato per compiere l'ennesima azione violenta in danno della Pa. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). In particolare, il Ra. si avvicinò minacciosamente al volto della Pa. e rivolse nei suoi confronti una serie di insulti coinvolgenti anche i genitori di quest'ultima con parole del tipo: "puttana, zoccola, tua madre è una zoccola, tuo padre è un bastardo e un coglione" (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Gli insulti, proferiti anche nei riguardi del padre della Pa., deceduto qualche anno addietro, provocarono la reazione della persona offesa, la quale schiaffeggiò il compagno. Anche in questa circostanza, la reazione posta in essere dalla Pa. non fece altro che scatenare la furia violenta del Ra., il quale attinse la compagna con diversi colpi in vari punti del corpo (testa e volto). A quel punto, il Ra. si spostò verso la propria stanza da letto per fare le valigie e andarsene dall'abitazione. La Pa., dopo aver preso in braccio la figlia, raggiunse il Ra. e lo colpì con un quadretto contenente la fotografia del padre deceduto. Il Ra., colpito dal quadretto, percosse, a sua volta, il volto della Pa., finendo anche per colpire la bambina. La Pa., per tutelare la propria incolumità e quella della bambina, reagì nuovamente, colpendo con la cornice del quadro il volto del Ra. ferendolo, Nei pressi dell'abitazione sopraggiunsero la madre e la sorella del Ra., precedentemente allertata dalla Pa.. Nonostante la presenza dei propri congiunti, la furia ce l'ira del Ra. non si placarono. Tant'è che lo stesso Ra. continuò ad ingiuriare pesantemente la Pa. e i suoi familiari e riuscì, altresì, a colpire nuovamente la compagna. Nel mentre, la Pa. chiese alla madre e alla sorella del Ra. di chiamare i Carabinieri ma le due donne cercarono esclusivamente di tranquillizzare il Ra., senza, almeno in primo momento, riuscirci. Ciò in quanto il Ra. scaraventò sulla Pa. un piatto al cui interno vi era il cibo che lei stessa aveva preparato per la figlia. Subito dopo, solo l'intervento provvidenziale della madre e della sorella del Ra. impedì che la situazione degenerasse poiché l'odierno imputato cercò di afferrare una pentola contenente del sugo caldo per scagliarla addosso alla Pa. (" ...tentava di afferrare la pentola dove c'era il sugo ancora caldo ma venne bloccato dalla madre e dalla sorella") (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). A seguito di questo ennesimo litigio, la convivenza e la relazione sentimentale tra la Pa. e il Ra. cessò e, quest'ultimo, sempre il 31-8-2019, abbandonò definitivamente l'abitazione ove egli conviveva con la compagna e la figlia (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.). Orbene, alla luce delle sopra esposte risultanze dibattimentali è pienamente provato che Ra.Cr. ha posto in essere, dal luglio 2017 e fino al 31-8-2019 (data del definitivo allontanamento del Ra. dall'abitazione dell'odierna persona offesa), in maniera pressoché quotidiana, varie condotte di sopraffazione e aggressione morale e fisica ai danni di Pa.An., creando, all'interno della abitazione, un sistema vessatorio, accompagnato dalla volontà di svilire totalmente la di lui ex compagna. Tale conclusione si basa principalmente sulle incontrovertibili dichiarazioni predibattimentali - acquisite sul consenso delle parti ex art. 493, co.3, c.p.p. - di Pa.An., con le precisazioni dalla stessa fomite in dibattimento dinanzi a questo Collegio, la quale ha reso un racconto dei fatti certamente ex se attendibile. In particolare, la Pa., m maniera del tutto coerente e logica, ha descritto con dovizia di particolari le aggressioni verbali e fisiche poste in essere nei suoi confronti dal Ra., in tutto l'arco temporale sopra indicato e, tali da aver creato all'interno dell'abitazione familiare un clima di costante soggezione e prostrazione che ha reso la convivenza tra lei c il Ra. insostenibile. Segnatamente, la persona offesa ha ricostruito in maniera lucida e analitica, ripercorrendo cronologicamente le varie tappe del trattamento vessatorio da lei abitualmente subito a partire dal luglio 2017, e consistente, come sopra indicato e illustrato, in plurime e reiterate mortificazioni sia verbali ("troia", "puttana", "zoccola"), alcune delle quali indirizzate nei confronti dei genitori della stessa vittima (insulti, peraltro, pronunciati anche nei riguardi del padre deceduto della P.), sia fisiche, sfocianti per lo più in vere e proprie percosse (gli schiaffi e i pugni inferti dall'imputato sul volto e sulla gamba della vittima, che hanno costretto quest'ultima, in una specifica occasione, a truccarsi vistosamente per evitare che i propri familiari si accorgessero delle percosse subite). Di fronte a tali abituali e sistematiche condotte di sopraffazione, la stessa Pa. ha cercato, dapprima, esclusivamente per amore della propria bambina e per mantenere unita la propria famiglia, di tollerare silenziosamente le angherie subite (come dimostrano le sopra riportate riappacificazioni con il compagno), salvo, poi, stanca delle vessazioni patite per circa due anni, decidere di reagire fisicamente alle aggressioni realizzate dal Ra.. Reazioni che, però, anziché far desistere il Ra. nella perpetrazione della sua condotta prevaricatrice, spinsero l'odierno imputato a replicare con maggiore furia e impeto, tanto da aver colpito la compagna anche quando ella aveva in braccio la figlia. Fu proprio a seguito dell'ultima aggressione, avvenuta, come specificato dalla vittima, il 31 - 8-2019, che la Pa., dopo un tentativo di sopportazione durato circa due anni, divenuto il rapporto con il Ra. ormai insostenibile, decise di porre fine alla propria relazione sentimentale ed allontanò da sé il compagno. Alla luce di tali circostanze, estremamente sofferta e coraggiosa appare la decisione della vittima di sporgere formale querela contro il Ra. raccontando tutte le angherie da lei subite c ciò non fa altro che rafforzare decisamente il pieno e sicuro giudizio di attendibilità già espresso nei suoi confronti. Quanto narrato dalla Pa. trova un'importante conferma nel comportamento posto in essere dal Ra., una volta cessata la relazione sentimentale. Invero, sebbene la stessa Pa. abbia escluso che il Ra., una volta cessata la relazione sentimentale, si sia comportato in maniera violenta nei suoi confronti, non può che evidenziarsi come l'odierno imputato, subito dopo la fine della convivenza. 1) da un lato, abbia indirizzato nei riguardi della ex compagna una serie di insulti, come dimostrato dal tenore testuale di alcuni sms inviati dal Ra. alla Pa., con cui l'odierno ha apostrofato la persona offesa quale "merda" o "che facce da puttane che hai" e ancora "zoccola" (cfr. documentazione prodotta dalla pubblica accusa, in atti); 2) dall'altro lato, abbia continuato ad avere nei suoi confronti un atteggiamento estremamente possessivo e di controllo, tant'è che lo stesso Ra., il 1-12-2019, personalmente contattò Ra.An., per chiedere di rimuovere dal proprio profilo social network "Facebook" un video ritraente la Pa. medesima (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An.; nonché cfr , altresì, dichiarazioni predibattimentali di Ra.An., in atti). Orbene, tali comportamenti non sono altro che lo specchio della totale mancanza di rispetto ed assenza di considerazione serbata dall'odierno imputato nei confronti della vittima, anche dopo la cessazione della loro relazione sentimentale. Tanto chiarito in ordine alla responsabilità dell'odierno imputato in ordine al delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi, occorre, invece, giungere ad opposte conclusioni circa il reato di cui agli artt.56-610 c.p. contestato a Ra.Cr.. Con riferimento al contestato tentativo di violenza privata, secondo l'editto accusatorio Ra.Cr. avrebbe, in data 20-11-2019, compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la Pa. a consegnargli la figlia minore., con violenza consistita nel l'inseguire l'autovettura a bordo della quale si trovava la Pa. medesima con la figlia, non riuscendo nel suo intento esclusivamente per la reazione della vittima stessa che riusciva ad allontanarsi, non essendo intenzionata a consegnargli la figlia. Ed invero, con riferimento al tentativo di violenza privata contestato dalla pubblica accusa, la già menzionata Pa.An. ha dichiarato che: -il 20-11-2019 chiese al Ra. se egli potesse tenere con sé la bambina poiché ella doveva lavorare (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -nella data sopra citata, dopo aver ricevuto la disponibilità del Ra. a tenere con sé la figlia, ella si recò nei pressi dell'abitazione dei genitori del Ra. per affidargli la bambina (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -appena giunta nei pressi dell'abitazione del Ra., notò in quest'ultimo "qualcosa di strano" (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -nonostante ciò, scese dalla propria autovettura con in mano "Za macchinetta dell'aerosol", per consegnarla al Ra. comunicandogli che lui l'avrebbe dovuta utilizzare per somministrare alla figlia un farmaco (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -al che, ella ricevette in risposta le rimostranze infastidite del Ra., avvicinandosi al quale la Pa. ebbe la conferma della poca lucidità dell'ex compagno, decidendo, quindi, di rientrare nella propria autovettura per raggiungere con la figlia la dimora della propria madre (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -una volta entrata nell'autovettura, il Ra. la inseguì per qualche metro, riuscendo anche ad assestare un colpo alla carrozzeria dell'autovettura e ad aprire lo sportello della macchina (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); -a quel punto, terrorizzata, riuscì ad accelerare e si allontanò definitivamente dal Ra. (cfr. acquisite dichiarazioni predibattimentali di Pa.An. cit.); Orbene, da quanto sopra ricostruito e raccontato dalla Pa. medesima, non può di certo ritenersi provato al di là di ogni ragionevole dubbio l'obbiettivo del Ra. di costringere la ex compagna a consegnargli la figlia minore. Ciò in quanto - al contrario - fu proprio la Pa. che, dopo aver contattato il Ra. e chiesto se egli potesse tenere con sé la figlia poiché lei stessa doveva lavorare, portò la bambina dal Ra. medesimo per affidargliela temporaneamente. Sicché, tutto ciò che accadde in un secondo momento, dalla reazione infastidita del Ra. al ripensamento ed allontanamento della Pa., poi brevemente inseguita, ben può inscriversi come vicenda autonoma, slegata dalla consegna della minore: in altre parole, in difetto di intimazioni in tal senso del Ra. (che - nell'occasione - non risulta aver mai rivendicato o insistito per la consegna della bimba), non v'è prova che egli abbia inseguito la Pa. al fine di prendere la figlia, piuttosto che (per esempio) al solo fine di perpetrare in danno della ex compagna un nuovo ed ennesimo atto di violenza. Pertanto, con riferimento al contestato delitto di cui agli artt.56-610 c.p. ne deriva l'assoluzione del prevenuto con la formula di cui in dispositivo Alla luce di tale ricostruzione, in fatto, della vicenda, si appalesano perfettamente integrati in diritto, da parte di Ra.Cr., tutti gli elementi costitutivi del solo reato di cui all'art.572, co.1 c.p., in relazione al previgente art.61 n.11 quinquies c.p., limitatamente al periodo sino al 31-8-2019. Preliminarmente, si osserva che il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene contestato "sino all'agosto 2020". Tuttavia, dalle sopra indicate dichiarazioni predibattimentali (acquisite ex art. 493, co.3, c.p.p.) e dalle precisazioni fomite in dibattimento dalla persona offesa, è emerso che la convivenza tra quest'ultima e l'odierno imputato sia cessata il 31-8-2019, data in cui Ra.Cr. ha posto in essere l'ultimo atto delle serie di aggressioni fisiche e morali lesive dell'integrità morale e fisica, della libertà e del decoro della compagna convivente, iniziate nel luglio del 2017 e protrattesi fino alla data sopra indicata. Quindi, i fatti per cui oggi si procede sono quelli intercorrenti tra il luglio del 2017 e il 31-82019. Tale premessa sul c.d. tempus commissi delicti del caso in esame, già di per sé necessaria ai fini del corretto inquadramento cronologico dei fatti, appare tanto più doverosa in quanto il Legislatore con la L. n. 69 del 2019, entrata in vigore il 9 agosto del 2019, in relazione all'art. 572 c.p., ha aumentato il minimo e il massimo edittale (rispettivamente passati da due a tre anni e da sei a sette anni) e ha inserito nella stessa disposizione un nuovo comma (il co.2), prevedendo una circostanza aggravante configurabile nell'ipotesi in cui i maltrattamenti vengano commessi "in presenza o in danno" di alcuni soggetti, tra cui una "persona minore". Contestualmente, la riforma de quo ha espunto dall'art.61 n.11 quinquies c.p. (disposizione che fa conseguire, per alcuni delitti, un aumento sanzionatorio nel caso in cui il fatto sia commesso, tra l'altro, in danno di un minore di anni diciotto) il riferimento al delitto "di maltrattamenti contro familiari e conviventi", originariamente presente nel testo dello stesso n. 11 quinquies dell'art. 61 c.p.. Orbene, ciò premesso, questo Collegio osserva come l'odierno imputato abbia compiuto segmenti di condotte abituali autosufficienti ad integrare il delitto di cui all'art. 572 c.p. sia prima sia dopo l'entrata in vigore della legge modificativa sfavorevole sopravvenuta. Invero, il Ra. ha compiuto condotte vessatorie, iniziate nel luglio 2017 e protrattesi anche nel segmento temporale intercorrente tra il 9-8-2019 (data dell'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009) e il 31-8-2019 (data del definitivo allontanamento del Ra. dall'abitazione ove egli conviveva con la persona offesa e con la figlia minorenne). La realizzazione di condotte vessatorie nel segmento temporale appena indicato (ovvero quello intercorrente tra il 9-8-2019 e il 31-8-2019) è di per sé sufficiente per integrare il requisito dell'abitualità, elemento necessario ai fini della configurabilità del delitto di "maltrattamenti contro familiari e conviventi". Sicché, attesa l'unitarietà del reato realizzato dall'odierno imputato, la cornice edittale entro cui individuare la pena da irrogare nei suoi confronti sarà quella determinata dalla norma sotto la cui vigenza il reato si è consumato, cioè quella più sfavorevole in vigore post-riforma del 2019. Al contrario, non può trovare applicazione la circostanza aggravante di cui all'art. 572 co.2 c.p. in quanto, dalle sopra illustrate evidenze è emerso che, dopo l'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, la figlia minorenne ha assistito ad un solo e unico episodio vessatorio, ovvero la più volte citata aggressione avvenuta il 31-8-2019. In conseguenza di ciò, si ritiene non configurabile l'aggravante ex art. 572, co.2, c.p. (inserita dal legislatore con la L. n. 69 del 2019) bensì quella di cui all'art. 61, n. 11 quinquies c.p., nella sua previgente formulazione. Tanto chiarito, nel caso oggetto del presente procedimento si è senz'altro in presenza di una serie di atti lesivi dell'integrità morale e fisica, della libertà e del decoro di Pa.An., posti in essere con coscienza e volontà dall'imputato, dal luglio 2017 al 31-8-2019, in modo tale da rendere abitualmente dolorose e mortificanti la relazione tra questi e la vittima, nella consapevolezza dell'idoneità di tali atti lesivi a produrre costante sofferenza. L'elemento oggettivo della fattispecie risulta integrato in modo chiaro e inequivoco, in quanto dall'istruttoria dibattimentale sono emerse le costanti aggressioni fisiche (schiaffi e pugni) nonché le persistenti vessazioni di ogni genere (insulti), poste in essere dal Ra. e tali da dipingere un quadro di sopraffazione sistematica e continua a cui fu sottoposta per tutto l'arco temporale sopra indicato la persona offesa. Anche l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 572 c.p. risulta pienamente integrato, in quanto le condotte vessatorie sono state realizzate dall'odierno imputato con la volontà e con la consapevolezza che tali suoi atteggiamenti avrebbero causato una costante sofferenza nella persona offesa, non essendo, al contrario, le azioni da lui realizzate frutto di volizioni episodiche. Parimenti, risulta pienamente integrata la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n 11 quinquies poiché alcune delle aggressioni fisiche e verbali realizzate dall'odierno imputato nel periodo temporale indicato (2017-31.8.2019) sono state realizzate in presenza della figlia minorenne (soggetto nato nell'anno (...)). L'aggravante de quo deve ritenersi equivalente alle circostanze attenuanti generiche, riconosciute all'imputato in ragione del suo buon comportamento processuale integrato dall'aver favorito una rapida istruttoria mediante consenso - espresso tramite difensore - all'acquisizione di atti d'Indagine. Pertanto, questo Giudice, tenuto conto dei criteri dettati dall'art. 133 c.p., stima equo infliggere a Ra.Cr. la pena di anni 3 di reclusione. Conseguono da tale decisione la condanna al pagamento delle spese processuali nonché l'interdizione del Ra. dai pubblici uffici per anni cinque. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ra.Cr. colpevole del reato di cui all'art. 572 co. 1 e 2 c.p., in relazione al previgente art.61 n.11 quinquies c.p., limitatamente al periodo sino al 31-8-2019 e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p., dichiara il Ra. interdetto dai pubblici uffici per anni cinque. Visto l'art. 530 c.p.p.. assolve il Ra. dal reato di cui all'art. 56-610 c.p. perché il fatto non sussiste. Fissa il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. Così deciso in Lecce il 17 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lecce, Seconda Sezione Penale, in composizione monocratica, in persona del dott. Luca Scuzzarella, alla pubblica udienza del 31 gennaio 2024, ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di Sa.Ab., nato il (...) a B. (B. F.) e residente a L. (P.), in via G., n. 76, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, detenuto per altra causa, rinunciante a comparire. Difeso di fiducia dall'avvocato Sa.CE. del foro di Lecce, presente. IMPUTATO VEDI ALLEGATO IMPUTATO del reato di cui all'art. 81 e 385 c.p., poiché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, essendo sottoposto al regime degli arresti domiciliari in N., Via S., 32, disposto nei suoi confronti dal Tribunale di Lecce con Ordinanza n. 12707/16 r.g.n.r. e n. 8821/1 6 Reg. Gip. Del 23.11.2016, se ne allontanava senza autorizzazione; Acc. in Nardò, il 21 gennaio e 8 febbraio 2017 Con l'intervento del P.M. dott.ssa Da.PA. - V.P.O. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione emesso in data 30.4.2021 dalla locale Procura della Repubblica Sa.Ab., in atti generalizzato veniva tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Lecce in composizione monocratica, per rispondere dei reati di evasione descritti in epigrafe. L'imputato, detenuto per altra causa, non compariva in giudizio alle udienze del 18 gennaio e 20 settembre 2023 ove veniva rilevato il suo legittimo impedimento. Alla successiva udienza del 31 gennaio 2024 il difensore munito di procura speciale chiedeva procedersi nelle forme del giudizio abbreviato che veniva ammesso da Giudice. Quindi disposta la trasformazione del rito ed acquisiti gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini si procedeva alla discussione delle parti, ed alla successiva deliberazione con lettura del dispositivo di sentenza. All'esito del rito abbreviato il giudicante ritiene raggiunta la prova della penale responsabilità di Sa.Ab. per i reati di evasione ascrittigli al di là di ogni ragionevole dubbio. Univoche e concordanti devono ritenersi le emergenze processuali dimostrative della sussistenza della condotta materiale ascritta al medesimo e del corrispondente elemento soggettivo. Va premesso in ordine al rito prescelto che con la richiesta di giudizio abbreviato la difesa dell'imputato ha di fatto rinunciato a presentare in giudizio elementi o dati di fatto contrastanti con l' evidenza fornita dagli atti relativi alle indagini preliminari, implicitamente in tal modo accettati quali piena ed utilizzabile fonte di conoscenza per il libero convincimento del giudice Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale (cfr. CNR della Questura di Lecce Commissariato di Nardo) risulta che in data 21 gennaio 2017 e successivamente in data 8 febbraio 2017 personale del Commissariato di Nardò ( Le) effettuava attività di controllo presso l'abitazione posta in via S. 32 ove l'imputato risultava ristretto agli arresti domiciliari. Nella CNR si puntualizza che all'atto dei controlli Sa.Ab. risultava sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, nell'ambito del procedimento n. 12707/16 RGNR e n. 8821/16 REG GIP, EMESSA DAL GIP DI Lecce in data 23.11.2016. A seguito di tali controlli è emerso che nel giorno 21.1.2017 nonostante gli operanti avessero insistito a suonare il campanello di casa più volte in due riprese, nessuno si presentava ad aprire la porta risultando l'assenza dell'imputato in entrambi i casi. In data l'8.2.2017 gli operanti dopo aver suonato alla porta dell'abitazione interloquivano con un cittadino straniero tale R.G. nato in B. che riferiva che l'imputato non era in casa; in tale circostanza l'assenza veniva riscontrata in tre distinti orari nei quali il controllo veniva ripetuto ovvero alle ore 18.00, alle ore 18.25 ed alle ore 19.00 ( in proposito cfr. annotazione di Servizio del 21 gennaio 2017 a firma degli Ufficiali di P.G. C.A. e Z.R.; nonché annotazione di servizio del 8.2.2017 a firma degli ufficiali di P.G. T.B. e S.V.). Dalla ricostruzione dei fatti così descritta risulta che il S. pure essendo ristretto agli arresti domiciliari sulla base dell'ordinanza sopra richiamata si è allontanato dalla propria abitazione, senza chiedere nessuna autorizzazione all'Autorità Giudiziaria, nelle date del 21 gennaio 2017 e del 8 febbraio 2017. Risulta pertanto integrata la condotta di evasione dagli arresti domiciliari contestata, sussistendo sia l'allontanamento non autorizzato di luogo degli arresti sia il dolo generico richiesto dall'art. 385 c.p. consistente nella semplice coscienza e volontà di sottrarsi alla misura custodiale in corso. Non può invero accogliersi la tesi difensiva secondo cui non risultando in atti l'ordinanza applicativa della misura cautelare che si assume violata difetterebbe la prova del reato contestato. Invero tale eccezione appare infondata atteso che gli Ufficiali di P.G. nella CNR in atti hanno attestato l'esistenza e l'efficacia del titolo cautelare in relazione al quale sono stati effettuati i controlli nei confronti dell'imputato ristretto agli arresti domiciliari. Ed invero ove la difesa avesse voluto contestare tale circostanza, emergente dagli atti, ben avrebbe potuto chiedere di acquisire documentazione di segno contrario (ad esempio attestante la avvenuta revoca o perdita di efficacia della ordinanza in questione). La scelta del rito abbreviato deve pertanto ritenersi preclusiva in tal senso. Quanto alla richiesta di applicazione di sanzioni sostitutive avanzata dalla difesa in sede di conclusioni, e segnatamente di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria, la stessa non può essere accolta sussistendo fondati motivi, ai sensi dell'art. 58 comma 2 L. n. 689 del 1981, per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute. Ed invero l'imputato, cittadino straniero già resosi irreperibile in sede di esecuzione di altre condanne (cfr. verbale di vane ricerche emesso in data 23.2.2023) ha nelle more proposto opposizione al decreto penale di condanna con il quale gli veniva applicata la pena pecuniaria per i reati in contestazione e successivamente ha chiesto di essere ammesso al gratuito patrocinio, dimostrando di non avere una stabile occupazione. Pertanto la relativa richiesta proveniente dal difensore deve ritenersi preclusa stante la condizione di impossidenza oltre che di inaffidabilità dallo stesso dimostrata rispetto alle prescrizioni impartitegli. Passando al trattamento sanzionatorio, l'imputato non appare meritevole della concessione delle attenuanti generiche in relazione ai precedenti penali certificati tra cui figurano delitti di violenza privata, lesioni minaccia per i quali in data 12.9.2023 è stato emesso ordine di esecuzione della pena complessiva di anni 2 mesi 2 di reclusione, (vds. sulla sufficienza del presupposto di precedenti penali, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, cfr. Cass. 1.12.2000 n. 12525, ric. B.; sull'analogo rilievo negativo della gravità del fatto, cfr.: Cass. 17.02.1988, ric. C., tra le molte; o di un solo elemento sfavorevole, attinente la personalità del colpevole o l'entità o le modalità di esecuzione del reato, cfr.: Cass. 8.05.2002 n. 17199, ric. P.). Equa appare ai sensi dell'art. 133 c.p. la pena di anni 1 di reclusione aumentata ad anni uno e mesi tre per la continuazione tra più episodi di evasione ed ridotta nella misura finale per la scelta del rito. Non risultano concedibili i benefici di legge dei quali l'imputato risulta aver già fruito, neppure essendo formulabile una prognosi favorevole stante la reiterazione nel reato. P.Q.M. Visti gli artt. 442 533 e 535 c.p.p. Dichiara Sa.Ab. colpevole dei reati ascrittigli unificati sotto il vincolo della continuazione e, con la diminuente per il rito, lo condanna alla pena di mesi 10 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 58 comma 1 L. n. 689 del 1981 rigetta la richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria Giorni trenta per il deposito dei motivi. Così deciso in Lecce il 31 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE Prima Sezione Penale Il Giudice Dott.ssa Annalisa de Benedictis, nella pubblica udienza del 23.1.2024, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Ca.Gi., nato il (...) a N. ed ivi residente, alla via N. 48; sottoposto per questa causa al divieto di avvicinamento alla persona offesa Ma.Ar., presente. Presofferto: custodia cautelare in carcere dal 18.11.2022 al 23.2.2023; arresti domiciliari dal 23.2.2023 al 17.8.2023. Difeso di fiducia dall'Avv. Lo.Ri. del foro di Lecce, presente. IMPUTATO Cfr. allegato Parte Civile: Ma.Ar., nata il (...) a N. ed ivi residente, alla P.za A. G. 3, elettivamente domiciliata ex lege presso lo studio del difensore di fiducia Avv. To.Va. del foro di Lecce; legalmente rappresentata e difesa dall'Avv. To.Va. del foro di Lecce, presente. Con l'intervento di: Pubblico Ministero nella persona del VPO Dr.ssa An.Mu.. MOTIVAZIONE Svolgimento del processo. Con decreto di giudizio immediato del GIP in sede, in data 16.12.2022, Ca.Gi., sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere (poi sostituita il 23.2.2023 con la misura degli arresti domiciliari e, infine, il 17.8.2023 con la misura del divieto di avvicinamento alla persona offesa), è stato tratto a giudizio per rispondere del reato indicato in epigrafe. Nella prima udienza dibattimentale dell'8.2.2023, presente l'imputato, nella regolarità del contradditorio, veniva ammessa la costituzione di Parte Civile di Ma.Ar. e veniva dichiarato aperto il dibattimento. Nell'udienza del 12.7.2023, venivano formulate le richieste di prova su cui il Giudice provvedeva con ordinanza ex art. 495 c.p.p.. Si procedeva all'ascolto del Brig. Ma.Gi., di cui veniva acquisita l'annotazione di servizio del 15.11.2022. Nell'udienza del 24.10.2023, si procedeva all'ascolto della persona offesa Ma.Ar.. L'imputato rendeva esame. Nell'udienza del 28.11.2023, si procedeva all'ascolto dei testi a discarico Ca.So., Ca.Ma., Fr.Lu., Ne.Ma. e Ca.Gi.. Nell'udienza del 10.1.2024, la difesa dell'imputato, col consenso delle parti, rinunciava all'esame del residuo teste di lista De.Ma.. Nell'udienza del 23.1.2024, veniva dichiarata chiusa l'istruttoria. Quindi, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni come da verbale di udienza. Il Giudice, all'esito della camera di consiglio, emetteva dispositivo di sentenza, di cui veniva data lettura, riservandone la motivazione. Motivi della decisione. Ca.Gi. risponde del reato di atti persecutori in danno della ex convivente Ma.Ar.. All'esito dell'acquisizione probatoria in dibattimento non è risultata provata l'ipotesi d'accusa al di là di ogni ragionevole dubbio. Si analizzano di seguito i contributi dichiarativi. La persona offesa Ma.Ar. riferiva di aver intrattenuto, per otto anni e mezzo, una relazione sentimentale con l'imputato, cessata una prima volta nel mese di novembre 2022 (allorquando ella lo aveva denunciato determinando l'applicazione della misura custodiale) e poi definitivamente nel mese di luglio 2023 (la Ma. ammetteva che la convivenza col Ca. era ripresa, nonostante egli si trovasse agli arresti domiciliari e, di fatto, fossero vietate le comunicazioni tra di loro). Orbene, la Ma. riferiva di aver denunciato il Ca. il 15 novembre 2022, poiché egli l'aveva minacciata sulle piattaforme virtuali (cfr. annotazione di servizio redatta dei Carabinieri della Stazione di Nardò del 15.11.2022). In particolare, riferiva che, nonostante lo avesse "bloccato" sui vari "social", questi riusciva comunque a contattarla, la tempestava di telefonate, bussava alla sua porta di casa, prendendola a calci e pugni, citofonava ai vicini per farsi aprire il portone. La Ma. esternava il proprio timore nei confronti dell'imputato, sostenendo che egli fosse particolarmente "presente" sul proprio social network e parlasse male di lei coi comuni conoscenti. Aggiungeva, poi, che la relazione, interrottasi a novembre 2022, in conseguenza della misura cautelare custodiale di cui era stato gravato Ca., era ripresa, una volta che gli era stata sostituita la misura, con quella degli arresti domiciliari, nel febbraio 2023. Segnatamente, riferiva che l'uomo le aveva commentato uno "stato" su Instagram, convincendola a ritornare insieme. Dunque, riprendeva la relazione e si interrompeva definitivamente a luglio 2023. La relazione cessava, a detta della Ma., a causa dell'ennesima aggressione violenta del Ca.. Ella precisava che, da luglio 2023, la situazione si fosse acquietata, salvo un episodio accaduto la sera del 17 agosto 2023 (ricordava tale data trattandosi del giorno in cui al Ca. era stata sostituita la misura con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa), allorché i due si erano incontrati casualmente presso il bar della stazione di servizio Q8 di Nardò. Ella riferiva che Ca. avesse insultato un suo amico, tale D.A.. Alla richiesta di spiegazioni, Ca. le avrebbe pronunciato testuali parole "aspettatevi tre piogge addosso". Qualche giorno dopo, il 21 agosto, si era ripresentata la medesima situazione nel medesimo bar. La Ma. riferiva di aver sentito l'attuale compagna del Ca. insultarla e minacciarla. In sede di controesame della difesa, la Ma. riferiva di aver rinunciato, all'inizio, a coltivare le pretese civilistiche nel processo (nell'udienza del 12 luglio 2023 - salvo cambiare idea, nell'udienza successiva del 24 ottobre 2023), perché sperava che Ca. fosse cambiato. Su precisa domanda del difensore dell'imputato, la Ma. ribadiva di aver litigato, l'estate scorsa, con una ragazza (De.Ma.) per ragioni di gelosia. Inoltre, ella ammetteva di aver convissuto col Ca. presso la sua abitazione, mentre era ristretto agli arresti domiciliari, pur consapevole che non potesse farlo. Aggiungeva che Ca. l'avesse ripetutamente contattata e, infine, l'avesse convinta a tornare. Raccontava, poi, delle numerose discussioni avvenute in quel periodo, e non solo, per la gelosia del Ca.. Anch'ella dichiarava di essere gelosa, precisando, tuttavia, di non avere una "gelosia morbosa", caratteristica questa dell'ex compagno, che l'avrebbe costretta, persino quando ella doveva recarsi ad acquistare le sigarette, ad effettuare videochiamate, affinchè egli fosse sicuro che nessuno la stesse importunando. Il Brig. Ma.Gi., in servizio presso la Stazione Carabinieri di Nardo, riferiva solamente di essere stato contattato, il 15 novembre 2022, sulla propria utenza personale, dalla Ma., che era intimorita per alcuni messaggi dal contenuto minaccioso che il Ca. le aveva scritto su alcune piattaforme virtuali. Tali messaggi sono riportati nell'acquisita annotazione. La ricostruzione dei fatti fornita dall'imputato e dai testi a discarico è decisamente opposta. Ca.Gi. negava qualsiasi addebito, dichiarando, invece, che la Ma., anche dopo la cessazione della relazione, fosse solita appostarsi sotto la propria abitazione. Precisava che il loro altalenante rapporto sentimentale fosse stato sempre caratterizzato da discussioni e litigi, anche alla presenza di altre persone. Dichiarava, infine, di essere stato contattato dalla Ma., una volta uscito dal carcere (a febbraio 2023) e di essere stato convinto dalla medesima a riprendere la relazione e la convivenza. Ca.So., figlia dell'imputato, raccontava della costante presenza della Ma. nell'abitazione del padre, sia nel periodo precedente all'arresto (novembre 2022), sia nel periodo successivo alla scarcerazione (febbraio 2023). Riferiva che il padre, all'inizio riluttante dinanzi alla possibilità di prosecuzione della relazione, si era lasciato convincere; tuttavia, la convivenza era intervallata da periodi di allontanamento della Ma., a causa di discussioni reciproche ed era cessata definitivamente nel primo periodo di luglio 2023. Successivamente, la Ca. notava singolari passaggi della Ma. nei paraggi del bar ove faceva colazione col padre; era a conoscenza che ella avesse tentato di contattarlo. Quanto all'episodio del 15 novembre 2022, su precisa domanda del patrono di parte civile, la Ca. riferiva di essere stata contattata dalla Ma., non ricordando, tuttavia, l'esatto contenuto dei messaggi. Ca.Ma., fratello dell'imputato, riferiva di abitare nello stesso stabile in cui vive il fratello. Egli riferiva che il fratello e la Ma. avessero convissuto fino al novembre 2022 e, di nuovo, dal febbraio 2023 fino al giugno/luglio 2023. Riferiva di aver visto spesso la Ma. entrare nell'abitazione del fratello e di aver udito, in più occasioni, urla reciproche provenire dalla predetta abitazione. Raccontava di aver visto, dopo la fine della convivenza, l'autovettura (di colore rosso) della Ma. transitare nei pressi dell'abitazione e rallentare: in un'occasione, la medesima aveva gridato in direzione del Ca., chiedendogli di salire in casa; Ca. si era opposto. In sede di controesame del patrono di parte civile, egli, comunque, chiariva che la via ove risiede il fratello è una strada principale di N.. Fr.Lu., proprietaria del bar "Ma.", sito in N., riferiva che il Ca. fosse un assiduo frequentatore del suo bar - collocato a breve distanza dalla sua abitazione - soprattutto nel primo pomeriggio, al termine del turno di lavoro. Raccontava di aver notato che sovente la Ma. transitava nei pressi del bar, tirando dritto quando non vedeva parcheggiata la macchina del Ca. e fermandosi, invece, quando la vedeva. Notava che la Ma. cercava il più delle volte di provocarlo. Ciò avveniva a cadenza regolare sino al settembre/ottobre 2023. In sede di controesame del patrono di parte civile, precisava che, tutte le volte che il Ca. era nel bar, si palesava anche la Ma.. Ne.Ma., amico di infanzia dell'imputato, era a conoscenza che la convivenza tra Ca. e la Ma. si fosse interrotta a novembre 2022 e fosse poi ripresa fino a luglio 2023. Anch'egli riferiva degli appostamenti della Ma. e di aver notato che la donna entrava nei bar proprio quando vi era anche Ca., provocandolo. Del medesimo tenore anche la deposizione di Ca.Gi., collega dell'imputato. Egli aggiungeva che la Ma. era onnipresente, infastidendo con la sua presenza il Ca., che era costretto ad andarsene. Il bagaglio probatorio così riassunto non consente di affermare con assoluta certezza la sussistenza dei fatti ascritti all'imputato. Ciò perché si evidenziano due diverse ricostruzioni, tra loro contrapposte, che non consentono di ricostruire la verità processuale idonea a supportare la valutazione di responsabilità dell'imputato. Le prove a carico descrivono Ca. come un soggetto geloso, particolarmente aduso alla violenza, al comportamento aggressivo e persecutorio nei confronti della denunciante; le prove a discarico demoliscono l'impianto accusatorio e dipingono, invece, la Ma. come una molestatrice, che non si rassegnava alla fine della relazione, infastidendo l'imputato e palesandosi in ogni luogo dal medesimo frequentato col chiaro intento di tentare un approccio e provocarlo. Per quanto concerne la configurabilità del reato di atti persecutori, di cui all'art. 612 bis c.p., sulla base della lettura della norma, deve esserci la reiterazione delle condotte persecutorie idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura oppure ad ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legato da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Il delitto di atti persecutori, in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un'unica, per quanto grave, condotta di molestie e minacce, ma occorre la reiterazione che produca l'evento di danno (l'alterazione delle abitudini di vita) o l'evento di pericolo (il fondato motivo di temere per la propria o altrui incolumità). Ma la reiterazione delle condotte moleste e minatorie da sola non è sufficiente, occorre anche che le stesse siano idonee a cagionare uno degli eventi previsti alternativamente dalla norma, sulla base della dimostrazione del nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivanti alla vita privata della vittima. Insomma, "la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia e di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata" (Cass. Pen. Sez. V, sent. n. 17795/2017). Ciò che rileva è il dolo generico del soggetto agente, consistente nella volontà di porre in essere le condotte persecutorie descritte nella norma con la consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi descritti nella stessa. Il turbamento psicologico della vittima del reato di atti persecutori può consistere, alternativamente, o in un effetto destabilizzante della propria serenità e del proprio equilibrio psicologico o nel mutamento di quel "complesso di comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria, mutamento di cui l'agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato per l'appunto punibile solo a titolo di dolo" (Corte Cost. n. 172/2014). Orbene, nel caso di specie, la versione dei fatti resa da Ma.Ar. non appare ex se attendibile. Le sue dichiarazioni, infatti, non sono adeguatamente riscontrate dalle ulteriori risultanze istruttorie, né ella ha fornito contributi, al di là dei messaggi trasfusi nell'annotazione riferibili al 15 novembre 2022 (sicuramente censurabili ma ben inquadrabili all'interno della dinamica relazionale, per com'è emersa dall'istruttoria), in grado di supportare il suo propalato, fin troppo parziale. Né sono stati indicati nella lista testimoniale testimoni a carico, quali quelli menzionati nel corso della deposizione, che potessero dare piena prova di un atteggiamento persecutorio del Ca.. Anzi, dalla valutazione della stessa deposizione della Ma. non emergono, nel periodo in contestazione (da novembre 2022 in poi), né la ripetitività delle condotte moleste ad opera del Ca., atteso che egli, ristretto presso la Casa Circondariale di Lecce dal 18.11.2022 al 23.2.2023, con ogni evidenza, non poteva porle in essere, né la ricorrenza degli eventi, alternativamente richiesti dalla fattispecie, dal momento che la Ma., una volta concessi al Ca. gli arresti domiciliari, riprendeva immediatamente la relazione sentimentale e la convivenza col Ca.. Tale ultima risultanza rende ulteriormente contradditorio il quadro probatorio a disposizione del Giudicante, soprattutto se si evidenzia che la Ma. ha assunto processualmente un comportamento ondivago, dapprima costituendosi parte civile nell'udienza dell'8.2.2023 (quando il Ca. era ancora ristretto presso la Casa Circondariale di Lecce), salvo poi, per il tramite del difensore, rinunciare alla costituzione alla successiva udienza del 12.7.2023 (quando era ancora sentimentalmente legata al C.) e, infine, sempre per il tramite del difensore, revocare la precedente rinuncia all'udienza del 24.10.2023 (quando ormai la relazione tra i due era, da mesi, terminata). Insomma quel che è certo dall'analisi dell'intero compendio probatorio è che la relazione interpersonale tra l'imputato e la persona offesa fosse particolarmente turbata e caratterizzata da un altalenante ed estremamente conflittuale rapporto di coppia, connotato da periodi più o meno lunghi di convivenza ma anche dalla reciproca morbosa gelosia, dalla normalizzazione di litigi e di situazioni esasperanti, già oggetto di un precedente giudizio (cfr. sentenza definitiva di applicazione di pena del 7.7.2022, con la quale l'imputato ha concordato la pena per i reati di maltrattamenti dal 2017 e di atti persecutori fino al 27 gennaio 2022, commessi in danno proprio di Ma.Ar.). Non può neanche omettersi di considerare che, nel racconto svolto dalla denunciante, sono particolarmente enfatizzati gli aspetti negativi della personalità dell'imputato ed eccessivamente sminuiti quelli relativi alla propria personalità e al proprio comportamento verso il Ca., come la scenata di gelosia nei confronti della rivale in amore che la insidiava o il tentativo di intrusione nei luoghi frequentati dal Ca.. In sostanza, la prova dei fatti in contestazione è apparsa, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, scarsamente consistente per le ragioni indicate e per una serie di incongruenze irrimediabilmente manifestatesi nel corso della stessa (insufficiente riscontro dichiarativo e documentale sulla condotta persecutoria del Ca.; ripresa della relazione e della convivenza nell'immediatezza del "ritorno a casa" del Ca.; presenza della Ma. nelle dinamiche relazionali del Ca.). In conclusione, non si ravvisa, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori con la conseguente decisione assolutoria perché il fatto non sussiste. Tale risultanza impone, ai sensi dell'art. 300 c.p.p., la perdita di efficacia della misura cautelare applicata all'imputato. P.Q.M. Letto l'art. 530 cpv c.p.p., assolve Ca.Gi. dall'imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste. Letto l'art. 300 c.p.p., dichiara la perdita di efficacia della misura cautelare applicata a Ca.Gi.. Così deciso in Lecce il 23 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE I SEZIONE PENALE Il Giudice Dott. Marco MARANGIO MAURO - alla camera di consiglio del 05/02/2024 - ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA Ni.Al., nato a D. il (...), residente a Ni. M. in via G. n.11; libero assente. Difeso di fiducia dall'avv. Da.Do. del Foro di Monza; presente. IMPUTATO VEDI ALLEGATO IMPUTATO del reato di cui all'art. 589 bis c.p. per avere per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza delle norme sulla circolazione stradale, alla guida di autovetura AUDI A3 targata (...), cagionato il decesso di Al.Ra., che guidava motociclo Malaguti targato (...), avvenuto per trauma chiuso fratturativo del torace con sfondamento dello scheletro toracico e lesioni polmonari ; in particolare accadeva che l'indagato alla guida della sopradetta vettura AUDI dopo avere percorso strada poderale in Contrada Z., dovendosi immettere sulla S.P. n. 113 (Porto Cesareo- Veglie) in direzione Porto Cesareo, con manovra imprudente ed in violazione delle norme stradali (art. 145 e 154 C. d.S.) effettuava manovra senza rispettare la segnaletica verticale di STOP, intraprendendo attraversamento trasversale sulla sua sinistra, in tal modo invadendo la corsia di percorrenza di moto Malaguti che percorreva la S.P. 113 con direzione Veglie, il cui conducente, nonostante pronta frenata, non poteva evitare l'impatto con l'auto, a seguito del quale cadeva in terra e poi sbatteva contro la vettura poi decedendo sulla strada. In agro di Leverano, il 18 agosto 2019. Con l'intervento del P.M. Dott.ssa G.FA. - V.P.O. Svolgimento del processo 1. Con decreto del 28.12.2020, Ni.Al. è stato chiamato a rispondere dinanzi a questo Tribunale del reato in epigrafe specificato. Dopo un mero rinvio, all'udienza dell'11.07.2022, la prima tenuta dallo scrivente magistrato, verificata la regolare costituzione delle parti, il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, chiedeva la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, che veniva ammesso con ordinanza e, all'esito, il giudice rinviava il processo ad altra data per la discussione. Dopo due ulteriori rinvii, all'udienza odierna, le parti formulavano le rispettive conclusioni trascritte a verbale e, all'esito della decisione in Camera di Consiglio, il Tribunale pronunciava dispositivo di sentenza, dandone integrale lettura. Motivi della decisione 2. Le risultanze dell'istruttoria espletata possono riassumersi come segue. Come risulta dalla c.n.r. in atti, redatta da personale in servizio presso la Stazione dei CC di Campi Salentina, nonché dalla relazione del consulente tecnico del Pubblico Ministero (Ing. Dott. P.N.) basata, principalmente, sugli elementi raccolti in sede di indagini preliminari, in data 18.08.2019, verso le ore 12:40, si verificava un sinistro lungo la strada provinciale S.P. 113 - Km 3 + 200 Veglie - Porto Cesareo (località Z.). Lo stato dei luoghi presso i quali è avvenuto il predetto incidente è stato riprodotto su di una planimetria non in scala allegata alla predetta consulenza: la carreggiata in esame era larga 6,20 metri e risultava suddivisa in due corsie larghe ciascuna 3,10 metri, con banchine sterrate di 60 cm. Il tratto di strada ove si verificava il sinistro risultava inoltre pianeggiante, con livelle piano-topografiche molto prossime al piano orizzontale. Il limite di velocità su tutto il tratto stradale era pari a 90 Km orari. Risulta che l'incidente coinvolgeva l'autovettura Audi, di colore bianco, targata (...), condotta Ni.Al., e il motociclo Malaguti, di colore grigio, targato (...), condotto da Al.Ra.. Dai rilievi effettuati, emerge che il motociclo condotto da Al.Ra. percorreva la S.P. 113 in direzione di Veglie, allorquando, giunto al km 3 + 200, da una strada non denominata posta alla sua destra, fuoriusciva l'autovettura Audi A3 condotta da Ni.Al. che non rispettava il segnale di Stop ivi esistente. Al.Ra., al fine di evitare la collisione, frenava bruscamente, ma dopo 6,10 metri cadeva per terra, strisciava per circa 2,5 metri sull'asfalto e collideva contro la fiancata sinistra della vettura, morendo sul colpo. Dalla relazione medico legale risulta, invero, che il decesso di Al.Ra. è collocabile in epoca pressoché contestuale all'accadimento dell'incidente stradale, avvenuto alle ore 12:40 del 18.08.2019; il decesso è attribuibile, sulla base dei dati circostanziali e dei rilievi desunti dall'esame necroscopico, al trauma chiuso fratturativo del torace con sfondamento dello scheletro toracico e lesioni polmonari, come suggerisce anche la presenza del sangue abbondante dalle vie respiratorie (cfr., consulenza dott. A.T., pag. 3; in atti). All'atto del sopralluogo, sull'asfalto venivano rilevati 6,10 metri di frenata e 2,50 metri di scarrocciamento. Quanto ai danni riportati dai veicoli coinvolti nell'incidente emerge che, a seguito del sinistro, la vettura Audi A3 riportava danni alla porta posteriore sinistra, alla porta anteriore sinistra, al parafango anteriore sinistro, al sotto-porta laterale sinistro e al parafango posteriore sinistro. Mentre il motociclo Malaguti riportava il danneggiamento dell'intera telaiatura portante e strutturale, nonché di tutti gli accessori esterni, carenature laterali anteriori, posteriori ed inferiori. Il consulente del Pubblico Ministero non ha indicato difetti meccanici dei veicoli già esistenti all'epoca dell'incidente; egli, inoltre, ha stimato che l'automobile coinvolta nel sinistro per cui è procedimento, all'atto della manovra di immissione sulla S.P 113, procedeva a circa 23 km/h, ossia ad una velocità inferiore a quella massima consentita lungo le strade extraurbane secondarie. Del pari, la velocità a cui procedeva lo scooter era pari a circa 55-60 Km/h, come ritraibile dalle deformazioni rilevate sui veicoli, indicanti la dissipazione di energia conseguente all'urto, nonché dal valore riportato sul tachimetro del motociclo, attestante la velocità di 60 km/h (cfr., compendio fotografico accluso alla consulenza). Al momento dell'impatto, l'A. indossava regolarmente un casco omologato. Sulla base dei dati sin qui esposti, il consulente dell'accusa ha così ricostruito la dinamica dell'incidente: "alle ore 12:40 circa del 18.08.2019 (la data del 10.08.2019, indicata in perizia, deve intendersi quale un mero refuso) il motociclo Malaguti targato (...), condotto da Al.Ra. percorreva la S.P. 113 in direzione di Veglie, alla velocità non inferiore a 55-59 km/h su carreggiata con limite di 90 km/h. Giunto all'altezza di un intersezione posta alla propria destra con strada Vicinale non denominata che conduce a Leverano, il signor Al.Ra. si avvedeva che da tale strada si metteva un autoveicolo Audi A3 targato (...) di proprietà e condotta da Ni.Al.. La stessa Audi, proveniente dalla strada Vicinale gravata da segnale di STOP non si avvedeva dell'imminente presenza del ciclomotore procedente in direzione Veglie e impegnava l'intersezione stradale con l'intenzione di svoltare a sinistra in direzione Porto Cesareo. Il ciclomotore effettuava un'estrema manovra di emergenza di circa 6,10 m e si inclinava sul fianco sinistro generando circa 2,5 m di scarrocciamento sul manto stradale prima di impattare con l'Audi. L'urto si verificava tra l'anteriore del ciclomotore in fase di scivolata (con particolare riferimento alla parte alta: manubrio e cruscotto) e la porta posteriore sinistra dell'Audi con interessamento della scocca inferiore. Il motociclista per contro impattava anche con l'anteriore sinistro del l'autoveicolo (parafango ant.sx e porta ant sx) prima di giungere alla posizione di quiete" (così a pagina 68-69 della consulenza versata in atti). La causa dell'incidente è stata rintracciata nella condotta di guida tenuta dal Ni., il quale, provenendo da una strada laterale secondaria gravata da segnaletica di Stop, intraprese una improvvisa manovra di svolta a sinistra non rispettando la segnaletica orizzontale, rendendo con ciò inevitabile l'impatto con lo scooter che proveniva da sinistra. Il consulente tecnico, inoltre, ha dato atto che la visibilità sulla S.P. 113, nella direzione di provenienza dello scooter era parzialmente ostacolata dalla presenza di vegetazione a ridosso della intersezione stradale e della carreggiata, rinvenuta "potata" al momento del sopralluogo tecnico. Ebbene, in ragione del compendio probatorio formatosi all'esito dell'istruttoria dibattimentale, deve ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità di Ni.Al. in ordine al reato di omicidio colposo ascrittogli. È del pari assolutamente certo che detto incidente sia stato provocato dalla immissione del veicolo condotto dall'imputato sulla S.P. 113, effettuata senza rispettare il segnale di Stop ivi esistente, che ha impegnato l'intersezione stradale con l'intenzione di svoltare a sinistra in direzione Porto Cesareo allorquando da sinistra sopraggiungeva il ciclomotore condotto dall'A.. Deve escludersi che l'impatto, come condivisibilmente rilevato dal consulente del Pubblico Ministero, sia conseguito ad un eccesso di velocità dello scooter condotto dall'A., poiché di per sé sola la velocità dello scooter, per come è stato possibile stimarla, non avrebbe potuto provocare le deformazioni rinvenute sulla scocca dell'auto; inoltre, sul tachimetro del ciclomotore era riportata la velocità di 60 Km/h. Può parimenti escludersi che la caduta dal ciclomotore da parte dell'A. sia stata causata dallo stato del manto stradale percorso al momento del suo sbandamento: esso, come appurato nel corso dei rilievi sulla base dei quali l'ingegner Ni. ha redatto la propria relazione, non presentava criticità di sorta; inoltre, le condizioni meteorologiche, al momento del sinistro, erano buone. Deve anche escludersi che la caduta dell'A. sia ricollegabile a difetti preesistenti o guasti meccanici dello scooter, non rilevati da parte del consulente. Tutto ciò considerato, pertanto, l'unica spiegazione ragionevole circa l'eziologia dell'impatto, è quella che la manovra di svolta sinistra dell'Audi all'interno della corsia di marcia di pertinenza della motocicletta, in spregio al segnale di Stop ivi esistente, ha rappresentato un ostacolo inevitabile ed insormontabile per l'A. che, istintivamente, ha tentato di effettuare una estrema quanto vana manovra di emergenza. Il Ni. ha violato il disposto di cui all'art. 145, del codice della strada, secondo il quale "I conducenti, approssimandosi ad una intersezione, devono usare la massima prudenza al fine di evitare incidenti. 2. Quando due veicoli stanno per impegnare una intersezione, ovvero laddove le loro traiettorie stiano comunque per intersecarsi, si ha l'obbligo di dare la precedenza a chi proviene da destra, salvo diversa segnalazione. 3. Negli attraversamenti di linee ferroviarie e tramviarie i conducenti hanno l'obbligo di dare la precedenza ai veicoli circolanti su rotaie, salvo diversa segnalazione. 4. I conducenti devono dare la precedenza agli altri veicoli nelle intersezioni nelle quali sia così stabilito dall'autorità competente ai sensi dell'art. 37 e la prescrizione sia resa nota con apposito segnale. 4-bis. I conducenti degli altri veicoli hanno l'obbligo di dare la precedenza ai velocipedi che transitano sulle strade urbane ciclabili o vi si immettono, anche da luogo non soggetto a pubblico passaggio. 4-ter. Lungo le strade urbane i conducenti degli altri veicoli hanno l'obbligo di dare la precedenza ai velocipedi che circolano sulle corsie ciclabili. 5. I conducenti sono tenuti a fermarsi in corrispondenza della striscia di arresto, prima di immettersi nella intersezione, quando sia così stabilito dall'autorità competente ai sensi dell'art. 37 e la prescrizione sia resa nota con apposito segnale. 6. Negli sbocchi su strada da luoghi non soggetti a pubblico passaggio i conducenti hanno l'obbligo di arrestarsi e dare la precedenza a chi circola sulla strada. 7. È vietato impegnare una intersezione o un attraversamento di linee ferroviarie o tramviarie quando il conducente non ha la possibilità di proseguire e sgombrare in breve tempo l'area di manovra in modo da consentire il transito dei veicoli provenienti da altre direzioni. 8. Negli sbocchi su strada di sentieri, tratturi, mulattiere e piste ciclabili è fatto obbligo al conducente di arrestarsi e dare la precedenza a chi circola sulla strada. L'obbligo sussiste anche se le caratteristiche di dette vie variano nell'immediata prossimità dello sbocco sulla strada. 9. I conducenti di veicoli su rotaia devono rispettare i segnali negativi della precedenza (...)"; e la violazione di tale norma è tanto più rilevante in quanto, nel caso in esame, la strada vicinale percorsa dall'imputato era interessata da segnaletica verticale riportante il segnale di Stop.. L'imputato ha, altresì, violato la disposizione di cui all'art. 154 del CdS, secondo cui: "I conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono: a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi; b) segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione. 2. Le segnalazioni delle manovre devono essere effettuate servendosi degli appositi indicatori luminosi di direzione. Tali segnalazioni devono continuare per tutta la durata della manovra e devono cessare allorché essa è stata completata. Con gli stessi dispositivi deve essere segnalata anche l'intenzione di rallentare per fermarsi. Quando i detti dispositivi manchino, il conducente deve effettuare le segnalazioni a mano, alzando verticalmente il braccio qualora intenda fermarsi e sporgendo, lateralmente, il braccio destro o quello sinistro, qualora intenda voltare. 3. I conducenti devono, altresì: a) per voltare a destra, tenersi il più vicino possibile sul margine destro della carreggiata; b) per voltare a sinistra, anche per immettersi in luogo non soggetto a pubblico passaggio, accostarsi il più possibile all'asse della carreggiata e, qualora si tratti di intersezione, eseguire la svolta in prossimità del centro della intersezione e a sinistra di questo, salvo diversa segnalazione, ovvero quando si trovino su una carreggiata a senso unico di circolazione, tenersi il più possibile sul margine sinistro della carreggiata. In entrambi i casi i conducenti non devono imboccare l'altra strada contromano e devono usare la massima prudenza; c) nelle manovre di retromarcia e di immissione nel flusso della circolazione, dare la precedenza ai veicoli in marcia normale. 4. È vietato usare impropriamente le segnalazioni di cambiamento di direzione. 5. Nell'esecuzione delle manovre i conducenti non devono eseguire brusche frenate o rallentare improvvisamente. 6. L'inversione del senso di marcia è vietata in prossimità o in corrispondenza delle intersezioni, delle curve e dei dossi". Tale norma rileva a maggior ragione nel caso di specie per il fatto che, stando alla posizione di quiete assunta dall'Audi dopo l'impatto, è emerso che l'imputato, lungi dal tenersi il più vicino possibile sul margine destro della carreggiata, si immetteva trasversalmente sulla S.P. 113, rendendo praticamente inevitabile l'impatto con il ciclomotore. In sostanza, dal momento che la caduta dal motociclo dell'A. non è stata originata da scoppio di pneumatici o da avarie meccaniche, né da anomalie o ostacoli presenti sulla sede stradale, non può che ritenersi che l'incidente sia stato determinato dalla condotta del Ni. che, per negligenza, imprudenza, imperizia, effettuava, in spregio al segnale di Stop, una manovra di svolta a sinistra all'interno della corsia di marcia di pertinenza della motocicletta che, nonostante la frenata, non poteva evitare l'impatto. La descritta dinamica è l'unica perfettamente compatibile con le risultanze probatorie ed essa non è stata contestata o contraddetta dalla difesa, che non ha proposto alcuna ricostruzione alternativa, dalla quale potere desumere che le predette violazioni siano state determinate da caso fortuito, ai sensi dell'art. 45 c.p. D'altra parte "in materia di responsabilità da circolazione veicolare, l'utente della strada nel caso di infortunio subito da terzo, va esente da penale responsabilità solo quando si provi che la sua condotta fu immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica (osservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline), che della colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia) e per questo tale condotta non svolse ruolo eziologico (per rapporto di causalità psicologica) alcuno, presentandosi quale semplice occasione dell'evento" (cfr. Cass. Pen, Sez. 4 n. 34761 del 19/09/2006). E, nel caso in esame, il comportamento dell'imputato non è stato assolutamente immune da qualsiasi addebito a titolo di colpa, avendo lo stesso tenuto una condotta di guida che lo ha reso l'unico soggetto responsabile dell'incidente che ha determinato la morte della parte offesa, in assenza di qualunque comportamento colposo di terzi o di qualunque situazione di caso fortuito o forza maggiore. L'istruttoria ha infatti consentito di escludere che la perdita di controllo dello scooter sia stata dovuta a anomalie o guasti meccanici, avendo lo stesso funzionato regolarmente, o alla condotta di altri utenti della strada o ad altre cause non imputabili al N.. Inoltre, nessun dubbio può sussistere, sulla base delle risultanze istruttorie di cui si è detto, ed in particolare della relazione medico legale, in ordine al fatto che le lesioni personali subite da Al.Ra., e che ne hanno provocato il decesso, siano diretta conseguenza del traumatismo cagionato dall'impatto contro il veicolo dell'imputato, ovvero della condotta colposa dell'imputato che ha improvvisamente occupato la corsia sulla quale lo stesso procedeva, per imperizia, imprudenza, negligenza e violazione delle regole sulla circolazione stradale. Né sussistono cause indipendenti dalla condotta dell'imputato e che siano stati di per sé sole sufficienti a cagionare il decesso della p.o., come prospettato dalla difesa nel corso della discussione, nonché nell'ambito delle conclusioni scritte acquisite ex art. 121 c.p.p. Infatti, accertato che l'incidente è stato innescato dal comportamento gravemente irregolare e colposo, nei termini sopra descritti, dell'imputato, non può certo sostenersi, come invece ha fatto il c.t.p. Ing. Gi.La. (cfr., relazione in atti), che la presenza di alberi a distanza non regolamentare rispetto al margine della carreggiata, tali da ostacolare la piena visuale della strada, si sia posta come causa da sola sufficiente a determinare l'evento, tale da avere provocato l'interruzione del nesso causale tra l'azione dell'imputato e l'evento stesso. Come è noto, le cause sopravvenute escludono il nesso di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento; sicchè, se un conducente con una condotta colposa pone in essere un fattore causale originario di rischio, l'eventuale condotta colposa di un altro soggetto, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l'evento, salvo che non sia qualificabile come atipica ed eccezionale. Infatti, la causa sopravvenuta avente efficacia interruttiva del nesso di causalità, è quella sufficiente da sola alla produzione dell'evento e, quindi, del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall'agente, avulsa totalmente dalla sua condotta ed operante in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell'agente medesimo. Va poi osservato che "L'utente della strada non è responsabile dell'infortunio patito da un terzo anche per colpa di quest'ultimo, soltanto quando la sua condotta risulti immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica, che della colpa generica, ponendosi in tal caso come mera occasione dell'evento, e non sua concausa" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32202 del 15/07/2010 Ud.); ed è principio consolidato quello secondo cui poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano detenninate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente. Ciò vale in particolare, proprio con riferimento alle disposizioni del codice della strada di cui all'art. 140 (gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale) e art. 141 (obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni della circolazione e obbligo di conservare sempre il controllo del veicolo), che dimostrano che la misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare l'intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l'obbligo di preoccuparsi delle possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Da ciò conseguendo che il principio dell'affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell'opposto principio secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti, purché rientri nel limite della prevedibilità (Sezione 4°, 14 febbraio 2008, Ni. ed altro). Nel caso in esame deve escludersi che la presenza di arbusti a ridosso della banchina possano qualificarsi come causa di per sé sola idonea a cagionare l'evento lesivo del quale è stata vittima Al.Ra.. Infatti, il fattore causale rappresentato dalla presenza dell'albero non sarebbe stato giammai sufficiente, da solo, alla produzione dell'evento e, quindi, capace di cagionare il decesso dell'A. in maniera del tutto indipendente dal fatto posto in essere dall'imputato con la propria condotta di guida colposa; è evidente che non si tratta di fattori che, avulsi dalla sua condotta colposa, avrebbero potuto provocare l'evento morte. Né si tratta di fattori causali operanti in assoluta autonomia, in modo da sfuggire al controllo ed alla prevedibilità dell'agente medesimo. Infatti, la strada provinciale Veglie - Porto Cesareo percorre una serie di campagne coltivate ove vi sono molteplici arbusti anche a brevissima distanza dal margine della carreggiata, come del resto ancora oggi si verifica moltissime strade extraurbane della provincia di Lecce; sicchè, la presenza di alberatura a breve distanza dal margine stradale, lungo la relativa banchina, sono circostanze tutt'altro che abnormi, tanto più in un contesto rurale come quello in cui si sono svolti i fatti per cui è procedimento; inoltre, tali circostanze non costituivano un dato saliente del tratto di strada percorso dal Ni. al momento dell'incidente, ina connotavano, come rilevabile dalle fotografie in atti, l'intero tratto viario. Non si tratta, quindi, di fattori eccezionali e abnormi che l'agente non potesse prevedere, ma fattori allo stesso ben noti fin dall'imbocco di quella strada; ne deriva pertanto che la presenza di arbusti posti a ridosso dell'incrocio stradale avrebbe dovuto suggerire all'imputato, in ossequio agli ordinari criteri di diligenza e prudenza, di prestare ancora più attenzione nel l'assicurarsi che la strada fosse libera all'atto di effettuare la manovra di svolta a sinistra. Anche in considerazione della recente esegesi effettuata dalla Corte di cassazione in ordine al disposto di cui all'art. 41, co. II del codice penale (Cass. pen., sez. VI, sent. 10 marzo 2016, n. 15493/2016, Pres. B., Rel. M.), le suddette irregolarità non paiono raggiungere quel livello di "eccentricità" dalla norma in virtù del quale potrebbe dirsi configurabile l'interruzione del decorso causale attivato dalla condotta del N.. Inoltre, deve osservarsi che certamente l'evento lesivo per cui è procedimento apparteneva al novero dei rischi prevenuti dalle regole cautelari violate dall'imputato: il dovere di rispettare la segnaletica di Stop e di controllare in modo adeguato, specie allorquando si sta per effettuare una manovra di immissione su una S.P., che non stia sopraggiungendo altro veicolo all'atto della manovra, rappresentano il portato del più generale obbligo di modulare la propria condotta alle ordinarie regole di diligenza prudenza e perizia. In disparte quindi la presenza del segnale di Stop, che imponeva al Ni. l'obbligo di arrestare il veicolo in prossimità dell'incrocio e di controllare accuratamente la presenza di altri utenti della strada prima di effettuare la manovra di svolta a sinistra sulla S.P. 113, l'ordinaria diligenza avrebbe consentito al Ni. di rappresentarsi ed evitare insidie di tal specie. Come riportato nella relazione elaborato dal consulente del Pubblico Ministero, d'altronde, il giorno del sinistro la visibilità della strada non era pregiudicata da alcuna particolare condizione meteorologica. Tutte le predette valutazioni trovano fondamento nei principi espressi in materia dalla Corte di cassazione, secondo la quale "in tema di omicidio colposo a seguito di incidente stradale, affinché le condizioni della strada assumano un'esclusiva efficienza causale dell'evento, è necessario che le sue anomalie assumano i caratteri dell'insidia e del trabocchetto di guisa che per la loro oggettiva invisibilità e la conseguente imprevedibilità, integrino una situazione di pericolo occulto inevitabile con l'uso della normale diligenza; qualora, invece, adottando la normale diligenza che si richiede a colui che usi una strada pubblica, la situazione di pericolo sia conoscibile e superabile, la causazione dell'infortunio non può che fare capo esclusivamente e direttamente a chi non abbia adottato la diligenza imposta" (Cass. pen., Sez. IV, sent. 13 giugno 2012, n. 34154). Per tutte le anzidette ragioni, pertanto, va affermata la penale responsabilità dell'imputato per il reato di omicidio colposo ascrittogli. 3. Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio da disporre nei confronti dell'odierno imputato, va ritenuta sussistente la circostanza attenuante di cui all'art. 62, co. I, n. 6, in quanto egli, prima del giudizio, ha riparato interamente il danno da lui cagionato mediante adeguato risarcimento: detta riparazione è attestata dal documento prodotto dalla difesa, il quale dimostra che la compagnia assicurativa del soggetto agente ha proceduto al predetto risarcimento. Giova ricordare che il riconoscimento della predetta diminuente riposa sul rilievo che, rispetto ai reati colposi, la riparazione del danno può anche consistere nell'aver stipulato un'assicurazione a copertura del danno cagionato (Cass. pen., SS.UU., sent. 22 gennaio 2009, n. 5941). Non ricorre, invece, alcun ulteriore specifico elemento obbiettivo valutabile favorevolmente tale da giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo da questo punto di vista sufficiente il mero dato della formale incensuratezza. Sicché, ritenuta le circostanze attenuanti ex art. 62, co, I, n. 6, nonché la diminuente per il rito, appare equa, ai sensi dell'art. 133 c.p., tenuto conto della gravità del fatto che consente di partire da una pena superiore al minimo edittale, una pena pari ad anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali (p.b. anni tre di reclusione; ridotta di un terzo per la circostanza attenuante ex art. 62, co. I, n. 6 c.p., ulteriormente ridotta a quella di cui al dispositivo in considerazione della diminuente del rito). Può essere disposta la sospensione condizionale della pena e la non menzione, in quanto non risultano precedenti condanne e si ritiene favorevole la prognosi in ordine all'astensione dell'imputato dalla commissione di reati della stessa indole di quello per cui è causa. P.Q.M. Visti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara Ni.Al. colpevole del reato ascrittogli e, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62, co. I, n. 6 e lo condanna, in concorso con la diminuente per il rito, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce il 5 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 5 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Chiara PANICO - alla pubblica udienza dell'1.2.2024 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale nei confronti di Do.Ma., nato a M. il (...), ivi residente alla via Ca. B. n. 9; libero assente: Difeso di fiducia dall'Avv. Al.Ca. del foro di Lecce, presente IMPUTATO Del reato p. e p. dagli artt. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 - 483 c.p. perché, in qualità di dipendenti dell'azienda "Cl. srl" con sede in Pa. alla via R. del 99 (aggiudicataria dei servizi di pulizia e portierato presso la Corte di Appello di Lecce), Pa.Vi. con mansioni di portierato presso la sede del giudice di pace di via B. e Do.Ma. con mansioni di addetto receptionist presso la sede del Tribunale in via B., nelle dichiarazioni depositate a Lecce rispettivamente in data 18.02.2022 e 28.02.2022, attestavano, secondo le disposizioni previste dal D.P.R. n. 445 del 2000-"di non avere procedimenti penali pendenti e/o passati in giudicato presso le competenti Autorità giudiziarie", contrariamente al vero, in quanto dagli accertamenti esperiti dalla Corte di Appello di Lecce, emergeva che i predetti lavoratori avevano riportato condanne passate in giudicato. In Lecce il 18 e 29 febbraio 2022 Con l'intervento del P.M. Dott. Gioacchino Argentino- VPO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con decreto di citazione a giudizio emesso dalla Procura della Repubblica di Lecce in data 7 marzo 2023, all'esito dell'espletate indagini preliminari, Pa.Vi. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato riportato in epigrafe. All'udienza predibattimentale del 7 dicembre 2023, non comparsi gli imputati Do.Ma. e Pa.Vi., il Tribunale ne dichiarava l'assenza, ricorrendone i presupposti di legge. La difesa di Do.Ma. chiedeva l'ammissione dell'imputato al rito abbreviato. Il Tribunale ammetteva l'istante al rito. La difesa chiedeva un rinvio per la discussione. La difesa non si opponeva. Il Tribunale rinviava il processo con sospensione dei termini di prescruzione. All'udienza dell' 1 febbraio 2024 il Tribunale provvedeva allo stralcio della posizione processuale di Do.Ma. con formazione di autonomo fascicolo processuale ed invitava le parti a concludere. Il P.M. e il difensore dell'imputato formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe. All'esito della discussione, visti gli artt. 544 e ss. del c.p.p. è stata data lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. Non vi erano richieste di sanzioni sostitutive in caso di condanna. MOTIVAZIONE Ricostruzione in fatto Do.Ma. è imputato del reato p. e p. dagli artt. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 - 483 c.p. perché, in qualità di dipendenti dell'azienda "Cl. srl" con sede in Pa. alla via R. del '99 (aggiudicataria dei servizi di pulizia e portierato presso la Corte di Appello di Lecce), Pa.Vi. con mansioni di portierato presso la sede del giudice di pace di via B. e Do.Ma. con mansioni di addetto receptionist presso la sede del Tribunale in via B., nelle dichiarazioni depositate a Lecce rispettivamente in data 18.02.2022 e 28.02.2022, attestavano, secondo le disposizioni previste dal D.P.R. n. 445 del 2000 - "di non avere procedimenti penali pendenti e/o passati in giudicato presso le competenti Autorità giudiziarie", contrariamente al vero, in quanto dagli accertamenti esperiti dalla Corte di Appello di Lecce, emergeva che i predetti lavoratori avevano riportato condanne passate in giudicato. In Lecce il 18 e 29 febbraio 2022. Nella segnalazione proveniente dal Presidente della Corte di Appello di Lecce emerge che, a seguito dell'attivazione della Convenzione FM4, alcuni uffici del distretto della Corte d'Appello avevano segnalato che alcuni addetti al servizio di reception e pulizia erano stati oggetto di condanne penali. Al fine di verificare la fondatezza di tale situazione, il Presidente della Corte di Appello con nota prot. (...) dell' 11.1.2022 richiedeva alla società Cl. srl di produrre adeguata documentazione con riferimento agli addetti alla pulizia degli uffici giudiziari e a quelli addetti al servizio di reception. Il Presidente rappresentava che all'esito di tale verifica, era risultato che alcuni pulitori e alcuni dei custodi avevano prodotto dichiarazioni mendaci e, pertanto, richiedeva l'allontanamento dagli uffici giudiziaria di una serie di nominativi, fra cui Do.Ma., addetto receptionist presso il Tribunale in via B.. Nell'esito di indagini delegate della sezione pg - Polizia di Stato (n. 105/22 redatta in data 2.12.2022) si dava atto che in data 15 novembre 2022 la Corte di Appello di Lecce, a seguito di specifica richiesta dell'ufficio, aveva comunicato di non essere in possesso di alcuna documentazione relativa all'assunzione di Do.Ma., in quanto lo stesso era stato assunto direttamente dalla società Cl. srl di P.. La Corte di Appello trasmetteva, quindi, la convenzione FM4 - Servizio di reception e servizio di pulizia all'interno degli uffici giudiziari. In data 17 novembre 2022 veniva interessato personale della DIGOS della Questura di Chieti al fine di escutere Di.Qu., amministratore della Cl. srl, con riferimento alle modalità di assunzione dell'imputato, con particolare riguardo alla presentazione, da parte degli stessi, delle dichiarazioni sostitutive di certificazione per carichi pendenti. All'esito, con nota prot. (...) del 19 novembre u.sc., la DIGOS trasmetteva i verbali di sommarie informazioni rese da Di.Qu. e Ca.Mo., rappresentante legale e responsabile della gestione operativa della Cl. srl. Il primo indicava che era stata la Ca. ad assumere il dipendente. Quest'ultima aveva dichiarato che i dipendenti Do.Ma. e Pa. erano stati assunti con la clausola sociale del contatto multiservizi e che, dopo aver ricevuto comunicazione da parte della Corte di Appello di Lecce circa la produzione di dichiarazioni mendaci, li avevano sospesi in via cautelare dal servizio. La Ca. dichiarava che tali autocertificazioni erano state consegnate direttamente al loro Capo servizio di zona, P.G.. Quest'ultimo, escusso a sommarie informazioni, dichiarava che la dichiarazione di Do.Ma. gli era stata inviata da quest'ultimo a mezzo foto del modulo compilato e firmato con messaggio whatsapp dal proprio telefono cellulare. Tali dichiarazioni venivano quindi consegnate dal Pa. presso la sede della Cl.. La pg si portava presso gli uffici della società e acquisiva le predette autocertificazioni. Nella dichiarazione sostitutiva di certificazione Do.Ma. in data 18.2.2022 aveva dichiarato di non avere procedimenti penali pendenti e/o passati in giudicato presso le competenti Autorità giudiziarie. Non dichiarava nulla nella casella relativa alla presenza di procedimenti penali passati in giudicato. Dal certificato del casellario giudiziale emergeva che il Da. era stato condannato alla pena di cinque mesi di reclusione con sentenza di applicazione delle pena su richiesta delle parti emessa in data 4.11.2004 dal Tribunale in composizione monocratica di Lecce, irrevocabile il 15.12.2004 per i delitti unificati per continuazione di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche tentato in concorso e per falsità materiale commessa dal privato in atti pubblici, commessi entrambi in data 18.11.2000 in Lecce. Il Da. aveva beneficiato della sospensione condizionale della pena. Motivi della decisione Il Tribunale ritiene che il Da. con la sua condotta non abbia integrato il delitto di cui agli artt. 76 D.P.R. n. 445 del 2000 - 483 c.p., pur avendo nella sua dichiarazione datata 18.2.2022 reso una dichiarazione tecnicamente difforme al vero, per mancanza dell'elemento psicologico richiesto ai fini dell'integrazione della fattispecie contestata. Egli ha infatti dichiarato "di non avere procedimenti penali pendenti e/o passati in giudicato presso le competenti Autorità giudiziarie"; invece, dal suo certificato del casellario giudiziale emergeva che egli era stato destinatario di una sentenza di applicazione delle pena su richiesta delle parti emessa in data 4.11.2004 dal Tribunale in composizione monocratica di Lecce, irrevocabile il 15.12.2004 per i delitti unificati per continuazione di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche tentato in concorso e per falsità materiale commessa dal privato in atti pubblici, commessi entrambi in data 18.11.2000 in Lecce. II Da. aveva beneficiato della sospensione condizionale della pena. Egli ha quindi ha reso una dichiarazione non corrispondente al vero, avendo dichiarato di non aver avuto procedimenti penali passati in giudicato, in tale locuzione ampia rientrando, a parere del Tribunale, anche la sentenza di applicazione della pena con rito del patteggiamento, trattandosi letteralmente di un procedimento penale, sfociato in una sentenza irrevocabile ex art. 444 c.p.p. A parere di questo giudice, però, emergono ragionevoli dubbi in merito alla sussistenza dell'elemento psicologico, richiesto dalla norma. Si osserva, sul punto, quanto affermato dalla Cassazione in una sentenza riguardante un fatto simile a quello oggetto dell'odierno giudizio. "Non sussiste il dolo di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico quando, con l'attestazione di non avere riportato condanne penali, resa in sede di dichiarazione sostitutiva, l'agente ometta di menzionare un'applicazione di pena su richiesta, poiché il dichiarante non è tenuto a riferire nulla di più di quanto risulti dal certificato penale. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la sussistenza del dolo per il lungo tempo trascorso dalla sentenza di patteggiamento, applicativa della sola pena pecuniaria e per l'intervenuta abrogazione delle disposizioni di settore che richiedevano la dichiarazione certificativa)" (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 838 del 20/10/2020 Ud. (dep. 12/01/2021)Rv. 280128-01). Nella parte motiva, la Cassazione osservava: "questa Corte ha già avuto modo di precisare come non integri gli estremi dell'elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.,) la condotta di colui che, avendo riportato sentenze di applicazione della pena, in sede dichiarazione sostitutiva, affermi di non avere riportato condanne penali, in quanto la peculiare natura e gli effetti della sentenza di patteggiamento - che, ancorché equiparata alla sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 445, comma primo bis, cod. proc. pen., non implica un accertamento della penale responsabilità dell'imputato (Sez 5, Sentenza n. 2088 del 17/09/2009 Rv. 245817) - OMISSIS - E' stato evidenziato, altresì, che non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio dichiari di non aver riportato condanne penali, ancorché destinatario di sentenza di applicazione della pena su richiesta, poiché il dichiarante non è tenuto a riferire nulla di più di quanto risulti dal certificato penale (Sez. 2, n. 37556 del 30/04/2019 - Rv. 277079) - OMISSIS - E' stato ancora evidenziato da questa Corte che non sussiste il dolo di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico quando con l'attestazione di non avere riportato condanne penali, resa in sede di dichiarazione sostitutiva preordinata all'iscrizione ad un albo professionale, l'agente ometta di menzionare un reato estinto ai sensi dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., non essendo sufficiente ad integrare la piena consapevolezza e volontà della falsità delle dichiarazioni la mera inosservanza del dovere di migliore informazione giuridica sui precedenti penali (Sez. 5 , n.1284 del 12/11/2018, Rv. 275300)". Ed ancora, "Non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio - come disciplinata dall'art. 46, comma 1, lett. aa), D.P.R. 20 dicembre 2000, n. 445, nel testo previgente all'ultima modifica ~ dichiari di non aver riportato condanne penali, ancorché destinatario di sentenza di applicazione della pena su richiesta, poiché il dichiarante non è tenuto a riferire nulla di più di quanto risulti dal certificato penale." (Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 37556 del 30/04/2019 Ud. (dep. 11/09/2019 ) Rv. 277079-01). Nel caso che ci occupa, la falsa dichiarazione resa dal Da. oggetto di imputazione è del 2022 ed è certamente plausibile che l'imputato abbia confidato nel fatto che le conseguenze della sua condanna risalente al 2004, per fatti commessi nel 2001, non dovessero essere esposte nella dichiarazione rilasciata. Come condivisibilmente affermato dalla Corte, la natura necessariamente dolosa del reato di cui all'art. 483 cod. pen. porta a far ritenere l'esclusione del delitto quando non sia certo il dato dell'elemento soggettivo ed anzi questo si fondi su una eventuale colposa omissione di ulteriore indagine del privato, negligente per non essersi magari meglio informato sui caratteri della dichiarazione da rendere Per tale ragione il Da. deve essere assolto, con formula dubitativa, perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Visti gli artt. 438 e ss e 530 comma 2 c.p.p. Assolve Do.Ma. dall'imputazione a lui ascritta perché il fatto non costituisce reato. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce l'1 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE II SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Chiara PANICO - alla pubblica udienza del 1.2.2024 ha pronunziato e pubblicato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale nei confronti di Co.Gi., nato a L. il (...), residente a B. di M. alla via F. n. 69. domicilio eletto; libero assente; Difeso d'ufficio dall'Avv. Ba.Si. del foro di Lecce, assente, sostituito ex art. 97 quarto comma c.p.p. dall'avv. Vi.Pe. del foro di Lecce IMPUTATO Del reato di cui agli artt. 81, 2 c. 256, c. 2 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, quale titolare della ditta Gf. s.n.c. per aver abbandonato e/o depositato in modo incontrollato rifiuti non pericolosi, derivanti da demolizioni edili, in agro di M., in località "M.M.", in catasto al fl. (...), particella (...), consistiti in cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, per un'area di circa mq. 20, con diversi cumuli aventi altezza variabile con media di circa m. 1,00, accertato in Melendugno, il 12/11/2018 con permanenza Con l'intervento del P.M. Dott. Gi.Ar. - VPO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con decreto di citazione a giudizio emesso dalla Procura della Repubblica di Lecce in data 30.4.2020, all'esito dell'espletate indagini preliminari, Co.Gi. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato riportato in epigrafe. All'udienza del 5 marzo 2021 il Tribunale, non comparso l'imputato, stante la regolarità della notifica dell'atto introduttivo nei suoi confronti trasmetteva il fascicolo dinanzi al giudice assegnatario dello stesso, secondo le vigenti tabelle. All'udienza dll'8 luglio 2021, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento e le parti formulavano le proprie richieste di prova che venivano ammesse in quanto non manifestamente ininfluenti e irrilevanti ai fini del giudizio, né vietate dalla legge. Il PM produceva fascicolo fotografico; verbale di "prescrizioni asseverate", in cui i Carabinieri forestale Puglia impartivano le prescrizioni al contravventore per la riduzione in pristino; verifica dell'adempimento da parte della Stazione carabinieri forestale di Otranto, con allegato fascicolo fotografico, formulari rifiuti e analisi chimiche - documenti che venivano ammessi in assenza di eccezioni delle parti. All'udienza del 23 giugno 2022 con il consenso delle parti veniva acquisita la CNR redatta dai testi N., L. e T. con domande a chiarimento al teste App. s. L.M.. II PM rinunciava all'ascolto del residui testi di lista e, nulla opponendo la difesa, il Tribunale revocava l'ordinanza ammissiva della prova. Il PM produceva missiva con richiesta di rateizzazione per il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria e Comunicazione del mancato pagamento in data 21 febbraio 2020. La difesa chiedeva un rinvio per la discussione. Nulla opponendo il PM, il Tribunale rinviava il processo con sospensione dei termini di prescrizione del reato. All'udienza dell'11 maggio 2023 il processo veniva rinviato non essendo trattabile dal giudice onorario, in assenza del magistrato assegnatario. All'udienza dell'I febbraio 2024 il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili gli atti legittimamente acquisiti. Il P.M. e il difensore dell'imputato formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe. All'esito della discussione, visti gli artt. 544 e ss. del c.p.p. è stata data lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. MOTIVAZIONE Ricostruzione in fatto Co.Gi. è imputato del reato di cui agli artt. 81, 2 c, 256, c. 2 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, quale titolare della ditta Gf. s.n.c. per aver abbandonato e/o depositato in modo incontrollato rifiuti non pericolosi, derivanti da demolizioni edili, in agro di M., in località "M.M.", in catasto al fl. (...), particella (...), consistiti in cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, per un'area di circa mq. 20, con diversi cumuli aventi altezza variabile con media di circa m. 1,00, accertato in Melendugno, il 12/11/2018 con permanenza. Nella CNR redatta da personale della Stazione Carabinieri forestale di Otranto emerge che in data 12.11.2018, intorno alle ore 10.30 circa, durante un servizio finalizzato al controllo del territorio con vigilanza ambientale, riscontrava la presenza, all'interno di un terreno adiacente ad un immobile sito in agro di M. (L.) un deposito incontrollato di rifiuti (assimilati al codice CER 170100) cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche), riguardanti inerti derivanti da demolizioni edili. Effettuavano fascicolo fotografico. Contattati i proprietari, verificavano che la zona era interessata dal rilascio di un permesso di costruire (n. (...)) del 5.2.2018 per ristrutturazione e ampliamento. Co.Gi., titolare della ditta "Gf. s.n.c." confermava che in quell'area aveva depositato materiale proveniente da altro cantiere. La pg redigeva verbale con prescrizioni asseverate al C.. L'App. L.M. su domanda della difesa chiariva che l'imputato era stato ammesso al pagamento della sanzione amministrativa, a seguito dell'avvenuto smaltimento del materiale. Motivi della decisione Preliminarmente il Tribunale ritiene che il reato non sia prescritto. Tenuto conto, infatti, del periodo di sospensione della prescrizione e del momento di commissione del reato, pur considerato integrato il reato in data 12 novembre 2018, trattandosi di illecito di natura istantanea (Cass. n. 43590 del 17 novembre 2022), il relativo termine massimo, pari a cinque anni, non risulta essere spirato. Ciò posto, il Tribunale ritiene che il Co. con la sua condotta abbia integrato il delitto di cui all'art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006, avendo abbandonato nell'esercizio della sua attività di impresa un copioso quantitativo di rifiuti non pericolosi, costituiti da materiale edile di scarto (inerenti, materiale di risulta, mattoni), come accertato nella precisa e puntuale CNR redatta dai Carabinieri forestali di Otranto, come tale certamente attendibile. Il fatto, così come accertato dagli operanti, integra la contravvenzione contestata, tenuto conto che il Co. agiva nell'esercizio della sua attività di impresa, come da lui stesso dichiarato all'atto del controllo della pg nell'imminenza dei fatti, avendo depositato materiale proveniente da vari cantieri. Sul punto, si riportano i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di discrimen fra l'illecito amministrativo di cui all'art. 255 D.Lgs. n. 152 del 2006 e la contravvenzione di cui all'art. 256 D.Lgs. n. 152 del 2006. "In tema di gestione dei rifiuti, il reato cui all'art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, pur avendo in comune con l'illecito amministrativo previsto dall'art. 255, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 152 del 2006 le condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione, si trova con tale ultima norma in rapporto di specialità in ragione delle peculiari qualifiche soggettive rivestite dai suoi destinatari che possono essere solo i titolari di imprese o i responsabili di enti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna del legale rappresentante di una società di demolizione che aveva collocato materiale qualificabile come rifiuti in un'area adiacente al capannone adibito a luogo di rottamazione)" (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 15234 del 23/01/2020 Ud. (dep. 15/05/2020 ) Rv. 278853 - 01). Ed ancora, "Il reato di gestione di rifiuti in assenza di autorizzazione, previsto dall'art. 256, comma 1, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non ha natura di reato proprio, realizzabile dai soli soggetti esercenti professionalmente un'attività di gestione di rifiuti, ma costituisce un'ipotesi di reato comune, che può essere commesso da chiunque svolga tale attività di fatto o in modo secondario, purché non del tutto occasionalmente, e che, per la sua natura istantanea, si perfeziona anche con una sola delle condotte alternativamente previste dalla norma incriminatrice. (Fattispecie relativa a rifiuti speciali, in cui la Corte ha escluso l'occasionalità dell'attività per la natura e la quantità dei rifiuti, destinati ad essere interrati con un mezzo meccanico in un fondo preso in affitto, nonché per il coinvolgimento nell'attività di due persone)" (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 4770 del 26/01/2021 Ud. (dep. 08/02/2021 ) Rv. 280375 -01). "Integra la contravvenzione di cui all'art. 256, comma 2, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, la condotta del titolare di un'impresa o del responsabile di un ente che abbandoni o depositi in modo incontrollato rifiuti derivanti dallo svolgimento di attività comunque riconducibili all'impresa o all'ente, in quanto dagli stessi esercitabili anche in maniera occasionale ed illegale, essendo esclusa la configurabilità dell'illecito penale nel solo caso in cui i rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato siano estranei a qualunque attività che, anche episodicamente, potrebbe svolgere l'impresa o l'ente. (Fattispecie relativa allo sversamento ripetuto e incontrollato, da parte del titolare di un'impresa esercente attività edile, di quantitativi non irrilevanti di materiali provenienti da demolizioni, di legnami è di metalli, in cui la Corte ha valutato corretta la decisione che aveva ritenuto la configurabilità della contravvenzione)" (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 33423 del 01/06/2023 Ud. (dep. 31/07/2023 ) Rv. 284999 -01). Nel caso di specie, aderendo a ognuna di tali differenti opzione interpretativa, il Co. ha comunque integrato la contravvenzione di abbandono di rifiuti, avendo agito nell'esercizio della sua attività di impresa, depositando un quantitativo non esiguo di rifiuti. Ciò premesso, il Tribunale rileva che, pur sussistendo il fatto di reato, lo stesso possa essere considerato di lieve offensività, con conseguente applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131 bis c.p. Gli operanti hanno dato conto che il Co. abbia smaltito i rifiuti, ripristinando lo stato dei luoghi. In effetti, agli atti sono presenti i formulari di smaltimento dei rifiuti e le analisi chimiche che danno conto della mancata compromissione del terreno. Ricorrono tutti gli elementi per considerare il fatto tenue, tenuto conto della sopravvenuta mancanza di offensività, considerata la riduzione in pristino dello stato dei luoghi e la non compromissione del terreno, avendo egli depositato rifiuti non pericolosi. Il Co. è inoltre soggetto incensurato, non dedito a condotte di analogo tenore. Né può considerarsi ostativa a tale valutazione la circostanza che egli non abbia ottemperato alla sanzione amministrativa, attenendo tale rilievo ad altro piano, e non alla offensività o meno del fatto rispetto al bene giuridico presidiato dalla norma incriminatrice, unico elemento da prendere in considerazione in questa sede. Per tutte le ragioni sopra esposte, il Co. deve essere assolto perché il fatto è di scarsa offensività. P.Q.M. Visto l'artt. 530 c.p.p. e 131 bis c.p. Assolve Co.Gi. dall'imputazione ascrittagli per tenuità del fatto. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce l'1 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE I SEZIONE PENALE Il GOT Maria Natascia Mazzone - alla pubblica udienza del 01/02/24 ha pronunziato la seguente SENTENZA nei confronti di Sa.Ci. nato a L. (F.) il (...) ed ivi residente alla Via P. n. 34 LIBERO ASSENTE Difesa di fiducia dall'Avv.to Gi.Ca. - sost. 97 c. IV Avv.to St.Sr. Con l'intervento del V.P.O. Dott.ssa So.Pr. FATTO E DIRITTO Con decreto del 15.4.2019 Sa.Ci. è stato citato a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 640 c.p. All'udienza del 6.7.23 il Giudice, assente l'imputato, ha aperto il dibattimento, ha ammesso i mezzi di prova richiesti dalle parti ed è stato escusso il teste del p.m. I. della Questura di Lecce ed è stata acquisita, su accordo delle parti, la querela sporta da Gu.Se. e la CNR del 4.6.18 e il Giudice ha rinviato per la discussione all'udienza del 1.2.24. All'odierna udienza il Giudice ha dichiarato chiusa l'istruttoria dibattimentale e ha invitato le parti a formulare le proprie conclusioni pronunciando, all'esito della camera di consiglio, sentenza di condanna dell'imputato con contestuale motivazione. L'odierno imputato è stato tratto a giudizio per aver pubblicato sul sito di vendite online "(.)" un'inserzione per la vendita di un motore per auto Ford Kia Sportage al prezzo di Euro 400,00 ed aver indotto in errore Gu.Se. che ha corrisposto la somma di Euro 50,00 in data 9.1.18 e di Euro 350,00 in data 11.1.2018, mediante accrediti sulla carta ricaricabile di tipo PostePay evolution nr. (...) intestata a Sa.Ci., accredito a cui non ha fatto seguito la ricezione dei beni acquistati. Come si rileva dalla C.N.R. acquista in virtù del consenso delle parti, nel gennaio 2018 l'odierno imputato aveva fornito al G. tutte le informazioni necessarie a formalizzare l'acquisto della merce indicata nell'inserzione sul sito subito.it e, nello specifico, aveva affermato di essere un poliziotto residente a P., inviato tramite whatsapp foto del documento di spedizione del motore tramite corriere B. e il numero di carta Postepay Evolution a lui intestata. Una volta effettuato il pagamento, il G. non riceveva la merce acquistata e non riusciva più a contattare il S.. La Pg accertava che la carta postepay era intestata al prevenuto e che i documenti prodotti al momento dell'attivazione della stessa erano autentici in quanto più volte esibiti dal Sa. in occasione di controlli di polizia e registrati nella banca dati interforze SDI, ma la foto del documento d'identità originale è del tutto diversa da quella prodotta in querela dal G. e scaricata dal profilo wap fornitogli dal prevenuto. Orbene, occorre preliminarmente evidenziare che la giurisprudenza è univoca nell'affermare che "Porre un bene in vendita su di un sito internet, pubblicizzandone le caratteristiche ed ingenerando la legittima aspettativa del compratore circa l'esistenza dello stesso e la validità dell'offerta, è condotta anche da sola idonea a configurare gli artifici ed i raggiri richiesti dall'art. 640 c.p." Cassazione penale sez. II, 26/11/2019, n.198. Ed invero, la qualificazione giuridica attribuita ai fatti è corretta. La condotta posta in essere dall'imputato caratterizzata dalla pubblicazione di una inserzione per la vendita di un motore per autovettura modello Ford Kia Sportage e dalle rassicurazioni successivamente fomite alla persona offesa circa l'esistenza del bene e la qualifica di dipendente delle Forze dell'Ordine del venditore, configura gli artifici e raggiri. Sul punto, d'altro canto, deve evidenziarsi che porre un bene in vendita su di un sito internet, pubblicizzandone le caratteristiche ed ingenerando la legittima aspettativa del compratore circa l'esistenza dello stesso e la validità dell'offerta, è condotta anche da sola idonea a configurare gli artifici ed i raggiri richiesti dalla norma. Artifici e raggiri che nel caso di specie hanno trovato significativo riscontro e conferma anche nella condotta immediatamente successiva alla pubblicazione dell'annuncio e precedente la conclusione del contratto. Infatti, "La circostanza che nel corso della trattativa vi siano stati dei contatti telefonici nei quali il sedicente venditore ha rassicurato il compratore della bontà dell'affare, infatti, conferma la sussistenza sia dell'elemento materiale che di quello psicologico, tipici del reato di truffa." Cass. Pen. II Sez., n. 198/2020. Si ritiene, dunque, provata la penale responsabilità in capo all'odierno imputato del reato contestato. Non sono emerse situazioni che inducano al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in ragione dei numerosi precedenti cui è gravato il prevenuto, alla luce dei criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. e del principio di rieducazione ai sensi dell'art. 27 Cost. si ritiene congrua la pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Considerati i numerosi precedenti da cui l'imputato è gravato va escluso che allo stesso possa concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. DICHIARA Sa.Ci. colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce l'1 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE SECONDA SEZIONE PENALE Il Tribunale di Lecce - Seconda Sezione Penale - composto da: Dott. Pietro Baffo - Presidente Dott. Luca Scuzzarella - Giudice Rel. Dott.ssa Roberta Maggio - Giudice alla pubblica udienza del 15 gennaio 2024 ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA 1) Pa.Lu., nato a L. il (...) e residente a S. C. (frazione di L.), in via G. A., n. 11 (domicilio dichiarato), nella sua qualità di amministratore di fatto delta società La. s.r.l. e di titolare di fatto del chiosco bar-ristoro sito in località S. C. del Comune di Lecce denominato "IL.", libero,presente. Difeso di fiducia dall'Avv. Gi.CO. dei foro di Lecce,presente. 2) Ba.Al., nato a B. (V.) il (...), residente a L., in via D. D., n, 29, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, nella sua qualità di titolare di fatto e gestore della società Id. S.r.l., libero, assente. Difeso di fiducia dall'Avv. Fr.GA. del foro di Lecce,presente. 3) Ca.Ro., nata a L. il (...) ed ivi residente alla via S. I. di L., n. 12 (domicilio dichiarato), nella sua qualità di legale rappresentante della Società "La. srls" proprietaria del chiosco bar-ristoro sito in località S. C. del Comune di Lecce nonché committente dei lavori, libera, assente. Difesa di fiducia dall'Avv. Gi.CO., entrambi del foro di Lecce, presente. 4) De.Ca., nata a L. il (...), ivi residente in via di C., n. 62 (domicilio dichiarato), nella sua qualità di legale rappresentante della società Id. S.r.l. fino al 02.01.2014, libera, presente. Difesa di fiducia dall'Avv. Fr.GA. del foro di Lecce, presente. 5) Gi.Vi., nato a C. (L.) il (...) e domiciliato a L. in via M. S., n. 13 (domicilio dichiarato), nella sua qualità di Presidente pro tempore della Commissione Paesaggio del Comune di Lecce, libero, assente. Difeso di fiducia dall'Avv. Mi.LA., assente, sostituito giusta delega orale dall'Avv. St.SP., entrambi del Foro di Bari. 6) Gr.Ma., nata a N. il (...) e residente in L. P. P., n. 2, elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia, nella sua qualità di Dirigente Settore Urbanistico del Comune di Lecce, libera, assente. Difesa di fiducia dall'Avv. Lu.RE., assente, sostituito giusta delega orale dall'Avv. Ro.RE., entrambi del foro di Lecce. 7) Pa.Gi., nato a L. il (...), residente a M. di L. (L.), in via E. M. D. M., n. 20 (domicilio dichiarato), nella sua qualità di Responsabile dell'Ufficio Demanio Marittimo del Comune di Lecce, libero, assente. Difeso di fiducia dagli Avv.ti An.QU. e Gi.ER. del foro di Lecce, entrambi presenti. 8) Bu.Da., nato a L. il (...), ivi residente in Via G. O., n. 53, scala C, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, nella sua qualità di Responsabile dell'Ufficio Paesaggio, libero, assente. Difeso di fiducia dall'Avv. An.QU. del foro di Lecce, presente. 9) Ma.Lu., nato a L. il (...) ed ivi residente in via L. P., n. 5, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia, nella sua qualità di Dirigente del settore Urbanistica del Comune di Lecce, libero, assente. Difeso di fiducia dall'Avv. Lu.RE., assente, sostituito giusta delega orale dall'Avv. Ro.RE., entrambi del foro di Lecce. IMPUTATI Pa.Lu., Ca.Ro., (Ca.Gi., nel cui confronti si procedere separatamente), Gr.Ma., Pa.Gi., Gi.Vi., Bu.Da., A) per I reati di cui agli artt. 110,81 e 734 c.p., 44 comma 1 Lett, c) del D.P.R. n. 380 del 2001,181 D.Lgs. n. 42 del 2004, 54 " 1161 C.d.N. : perché Pa.Lu. nato a L. il (...) e residente a S. C. (frazione di L.) In via G. A., 11, nella tua qualità di amministratore di fatto della società L. s.r.l. e di titolare di tatto del chiosco bar-ristoro sito in località S. C. dei comune di Lecce denominato "Il." Ca.Ro. nella sua qualità di legale rappresentante delta Società sris" proprietaria del chiosco bar-ristoro sito in località S. C. del Comune di Lecce Ca.Gi., nella sua qualità di tecnica progettista e direttore dei lavori per la società "La. sris" relativamente al PdC n. 246/2017 del 26,5.2017; Gi.Vi. nella sua qualità di Presidente pro tempore della Commissione Paesaggio del Comune di Lecce; Con l'intervento del P.M. Sost. Proc. dott. Ma.CA.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 12.5.2021 il G.U.P. presso il Tribunale di Lecce disponeva il rinvio a giudizio di Pa.Lu., Ba.Al., Ca.Ro., De.Ca., Gi.Vi., Gr.Ma., Pa.Gi., Bu.Da., Ma.Lu. per rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti in rubrica. Nella udienza dibattimentale del 4/10/2021, veniva verificata la regolare costituzione le parti, con rinnovazione delle noti fiche irregolari nei confronti di alcuni degli imputati; il processo veniva rinviato all'udienza del 10.1.2022 nel corso della quale si procedeva provvisoriamente allo stralcio della posizione del l'imputata De.Ca., non regolarmente citata, con formazione di autonomo fascicolo processuale. Si dichiarava quindi aperto il dibattimento invitando le parti a formulare le rispettive richieste di prova. In tale sede veniva sollevata dalla difesa una eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni di cui ai RIT 511/14 e 840/14 disposte nel procedimento 963/14 RGNR avviato dalla Procura di Lecce a carico di P. più altri di cui II PM chiedeva la trascrizione nel presente procedimento. Rilevava la difesa come le predette intercettazioni telefoniche fossero state disposte in procedimento diverso ai sensi dell'art. 270 c.p.p. così come interpretato dalle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione con sentenza del 28 novembre 2019 (n. 51, imp. C.) che, come è noto, ha stabilito che "in tema di intercettazioni, il divieto posto dall'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p". In accoglimento della suddetta eccezione il Tribunale con ordinanza letta in udienza dichiarava la inutilizzabilità delle intercettazioni richieste dal Pubblico Ministero, non ravvisando tra il presente procedimento e quello nel quale furono disposte le intercettazioni un' ipotesi di connessione forte ai sensi dell'art. 12 lett .a c.p.p. La successiva udienza del 16.5.2022 veniva rinviata per l'adesione dei componenti togati del Collegio all'astensione dalla attività giudiziaria proclamata dalla Giunta Centrale dell'ANM con rinvio al 30.5.2022 per l'inizio dell'istruttoria dibattimentale. In tale sede, dopo la riunione del procedimento stralciato a carico di De.Ca. venivano ammesse le prove richieste dalle parti inclusa la produzione documentale del Pubblico Ministero sulla quale la difesa aveva sollevato ulteriori eccezioni rigettate dal Tribunale con ordinanza. Si procedeva quindi all'esame del teste La.Gi. della Capitaneria di Porto di Gallipoli con acquisizione su accordo delle parti delle note del 29 giugno 2018 e del 7-15 giugno 2018 a firma del teste che veniva sottoposto a controesame da parte dei difensori degli imputati. Nella successiva udienza del 5.12.2022 il processo veniva rinviato all'udienza del 18.9.2023 con sospensione dei termini di prescrizione. All'udienza del 18.9.2023, previa rinnovazione degli atti, stante il mutamento del collegio giudicante, venivano sentiti i testimoni del Pubblico Ministero De.An. e Ma.Lu., quest'ultimo in servizio presso la Guardia di Finanza di Lecce. Il processo veniva quindi rinviato al 30 ottobre 2023 per l'ascolto dei testi della difesa Sa.In., Fo.Ra., Bo.Ma. e Be.No., quindi all'udienza del 4 dicembre 2023 si procedeva all'ascolto degli ulteriori testi della difesa e alla chiusura dell'istruttoria. All'udienza del 4 dicembre 2023 veniva sentito il Consulente della difesa Ing. Ve.; il processo veniva rinviato per l'ascolto dell'ultimo teste G. e per la discussione all'udienza del 15.1.2024. Tenuto conto dei rinvii del processo disposti su richiesta della difesa (per un totale di 9 mesi e 13 giorni) sommato il termine del rinvio disposto dal 3.2,2021 al 12.5.2021 nel corso dell'udienza preliminare ( 3 mesi e 9 giorni) il termine di prescrizione dei reati è stato complessivamente sospeso per il periodo complessivo di anni J e giorni 22. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Tribunale che quanto emerso nel corso del dibattimento possa condurre all'affermazione di colpevolezza nei confronti di Pa.Lu. e Ca.Ro. per il reato urbanistico e per quello di occupazione del demanio marittimo contestati ai capi A) e della tentata truffa in concorso contestata al capo D) in continuazione tra loro, dovendosi escludere sulla base delle prove acquisite la sussistenza degli altri reati contestati. L'indagine prende avvio dalle perquisizioni domiciliari eseguite su richiesta della Procura di Lecce in altro procedimento penale (n. 963/2014) a carico di Pa.Lu. ed altri imputati in data 8.6.2015. In tale occasione la Guardia di Finanza sequestrava presso l'abitazione dell'assessore At.Mo. un file estratto dal personal computer denominato "scrittura privata chiosco". La scrittura privata intercorrente tra la società Id. S.r.l. - Socio Unico (società venditrice), nella persona dell'amm. legale rappresentante Ca.De. (peraltro non più rappresentante dal 02.01.2014); L.T. S.a.s. di Pu.Ca. e De.Lo. (moglie di Mo.At.) avente ad oggetto la cessione a titolo oneroso delle autorizzazioni amministrative per la realizzazione del chiosco in località S. C. L. con subentro nella disponibilità dell'area e nella posizione giuridica della società cedente per la gestione del l'attività. Proprio il rinvenimento di questo file ha comportato l'attenzione investigativa della Guardia di Finanza verso la documentazione sequestrata presso l'abitazione di Pa.Lu. il successivo 7 settembre 2018. Nel corso dell'esecuzione dell'ordinanza di Custodia Cautelare n. 963/14 RGNR - 402/15 RG1P - 105/18 ROCC, emessa in data 03.09.2018 ed eseguita in data 07.09.2018, veniva effettuata la perquisizione domiciliare degli immobili nella disponibilità di Pa.Lu., a seguito della quale si rinveniva e si sottoponeva a sequestro documentazione contabile ed atti amministrativi, anche in originale, relativi alla struttura bar-chiosco denominata "Il." sita in San Cataldo (LE). L'esame della documentazione sequestrata ha fornito prova incontrovertibile della piena riconducibilità della struttura a Pa.Lu., il quale deteneva presso la sua abitazione, oltre che i titoli autorizzativi in originale, anche tutta la documentazione contabile relativa alla sua gestione, la documentazione relativa al personale impiegato, assegni bancari tratti dal conto corrente intestato alla società La. s.r.l., già firmati da Ca.Ro., rappresentante legale formale della società, non ancora compilati e completamente in bianco. 1) Le fattispecie dei reati urbanistici - paesaggistici e di illegittima occupazione del demanio contestate al capo A) Si contesta in particolare a. Pa.Lu. e Ca.Ro. nelle rispettive qualità di amministratore di fatto e di legale rappresentante delle società interessate in concorso con gli amministratori del comune di Lecce nelle rispettive qualità specificate in rubrica, l'edificazione di un chiosco, San Cataldo su area demaniale marittima e soggetta a vincolo paesaggistico, in totale assenza del permesso di costruire, dei nulla osta delle autorità preposte al vincolo e dei titoli demaniali rilasciati dalla Capitaneria di Porto. In data 30.04.2018 personale appartenente alla Capitaneria di Porto di Gallipoli effettuava un primo sopralluogo presso il chiosco denominato "Il.", destinato a locale bar e ristoro, sito in località "San Cataldo" del Comune di Lecce, di proprietà della società "L. srls" - legalmente rappresentata da Ca.Ro., al fine di verificare lo stato dei luoghi e il rispetto delle prescrizioni imposte dai titoli abilitativi. Detto chiosco risultava insistere interamente su area Demaniale Marittima, censita al NCT del Comune di Lecce al Foglio (...) Particella (...), in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, nonché in area perimetrata soggetta alla tutela di cui al vigente PPTR (approvato dalla Regione Puglia con deliberazione di G.R. n. 176 del 16.2.2015 e pubblicato sul BURP n. 40 del 23.3.2015) come "Territori costieri", nonché classificata dal Piano Regionale delle Coste (Pubblicato sul B.U.R. Puglia n. 31 del 29.02.2002) come "CI-S2: elevata criticità erosione costiera - sensibilità media. Si accertava che detto chiosco avente una superficie di circa 40 mq era stato istallato su una apposita pedana (mt 1 Ox mt 11 ) infissa direttamente sull'arenile a mezzo di intelaiatura e pilastri di ferro; inoltre erano stati realizzati n. 2 grossi serbatoi idrici e n. 2 motori per impianto di condizionamento e intelaiatura in incannucciato installati direttamente su arenile (suolo demaniale), recintati da struttura metallica infissa nell'arenile, opere eseguite in difformità rispetto a quanto previsto nei titoli abilitativi ( PDC e Concessione Demaniale). Si accertava inoltre che l'opera era stata realizzata in assenza di regolare Permesso di Costruire, essendo il Permesso n. 246/2017 rilasciato dal comune di Lecce in data 26.5.2017 per "realizzare un chiosco prefabbricato da adibire a punto ristoro..." non più in corso di validità - poiché scaduto in data 31.5.2018 e non più rinnovato. Difatti il predetto PdC veniva rilasciato "con l'espressa prescrizione della temporaneità del manufatto con la stessa assentito e con validità fino al 31.5.2018 nelle more dell'approvazione del Piano Comunale delle Coste. Dopo il termine di scadenza eventuali opere ancora presenti sull'area saranno considerate abusive ad ogni effetto di legge". Sulla base degli atti prodotti dal Pubblico Ministero risulta che già in data 7.01.2014 il Dirigente del settore Urbanistica del comune di Lecce, L.M., unitamente al responsabile dell'Ufficio Demanio Marittimo Pa.Gi. - avevano rilasciato, la concessione demaniale n. 1/2014 (della durata di 7 anni dal 1.1.2014 al 31.12.2020) in favore della società Id. Sri in persona dell'Amministratore Unico De.Ca.", persona in realtà diversa dall'effettivo Amministratore Unico della società (ovvero Ba.). Il M. rilasciava prima la concessione e poi, in data 7.08.2015, il P.d.C. n. 373/2015 (essendo il precedente P.d.C del 2014 rimasto inattuato) per "l'installazione di un chiosco da adibire a punto ristoro e vendita... " nonostante l'area fosse stata, nel frattempo, perimetrata dal vigente PPTR (approvato dalla Regione Puglia con D.G.R. 16.02.2015 n. 176), come "Zona di interesse Archeologico (Molo di Adriano)" ai sensi dell'art. 142 comma 1 lett. M) del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e "Area di Rispetto Molo di Adriano" con conseguente vincolo di inedificabilità ai sensi delle Norme Tecniche di Attuazione di cui agli artt. 75.3,76.3 e 82; ciò sempre in favore di De.Ca.. Anche questo permesso non era seguito dall'effettiva realizzazione delle opere; nel frattempo, tuttavia, la Id. s.r.l., in persona dell'effettivo legale rappresentante Ba., cedeva, con atto in data 4.01.2016 il ramo di azienda in favore della società La. s.r.l.s. di Ca.Ro. costituita 4.12.2015. A questo punto i funzionari del comune G. e P. sottoscrivevano l'atto di subingresso in favore di Ca.Ro. in qualità di amministratore unico della L. s.r.l.s nella titolarità della concessione demaniale marittima n. 1/2014, e di seguito trasferivano con Provv. del 4 marzo 2016 la titolarità dei permessi di costruire già intestati a De.Ca. in favore di Ca.Ro. quale legale rappresentante della citata società. Ulteriore criticità della procedura amministrativa descritta riguarda il momento del rilascio in favore della C. della concessione Demaniale Suppletiva n. 03 in data 14.3.2017 per apportare modifiche all'uso dell'area già concessa con CDM n 1 del 7.1.2014, consistente nella nuova localizzazione dell'area per la realizzazione del chiosco, e nel conseguente rilascio anche in data 26.5.2017 di un nuovo permesso di costruire, entrambi atti illegittimi. Ed infatti la licenza di Concessione Demaniale Suppletiva n.03 del 10.4.2017, a firma del Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Lecce G.A. e del Responsabile dell'ufficio Demanio Marittimo del Comune di Lecce Pa.Gi., risulta a bene vedere illegittima in quanto rilasciata in un'area perimetrata dal Piano Regionale delle Coste (Pubblicato sul B.U.R. Puglia n. 31 del 29.02.2002) "C1-S2: elevata criticità erosione costiera - sensibilità media"' ove le vigenti norme di attuazione ai sensi dell'art. 6.2.2 - vietano il rilascio di nuove concessioni demaniali "per un periodo di almeno tre anni a datare dalla data definitiva di approvazione del PRC e comunque fino a quando sia stata accertata - attraverso una attività puntuale e continua di monitoraggio - la cessazione dei fenomeni erosivi. Il periodo di tre anni inteso come arco temporale minimo necessario a verificare o favorire processi naturali di rigenerazione ambientale, durante il quale esercitare l'attività di monitoraggio e verificare l'evoluzione dei fenomeni erosivi. Al fine di stabilizzare i fenomeni erosivi in corso possono essere messi in atto interventi di recupero e risanamento costiero". La suddetta concessione demaniale suppletiva risulta illegittima poiché andava ad individuare un'area del tutto diversa rispetto alla precedente concessione n. 1/2014 configurandosi in tal modo una nuova concessione demaniale marittima ex art. 36 del Codice della navigazione come tale in contrasto con il vigente PRC come già evidenziato. Si verificava in tal modo una "traslazione " della concessione originaria, attraverso la illegittima modifica del contenuto della concessione, dalla Id. Srl di fatto amministrata da De.Ca. in favore di Ca.Ro. ( soggetto come vedremo riconducibile al reale dominus dell'iniziativa ovvero La.Pe.), la quale procedeva alla edificazione del manufatto abusivo, poiché realizzato in presenza di atti illegittimi e nonostante il parere contrario rilasciato dalla Soprintendenza di Lecce in data 1.2.2017, sulla base del l'accertato contrasto della prevista ubicazione dei manufatti con le condizioni di erosione del tratto del litorale costiero. Analogamente anche l'iter urbanistico finalizzato al rilascio dei relativi titoli di autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire risulta in contrasto con le norme urbanistiche vigenti (PRC e PPTR). Al culmine del complesso procedimento amministrativo il Responsabile dell'ufficio Paesaggio Da.Be. rilasciava in data 28.2.2017 l'Autorizzazione Paesaggistica n.3/2017 per "installazione di un chiosco prefabbricato da adibire a punto ristoro e vendita L. G. D. V. - Località S. C." che veniva ritenuta legittima nonostante fosse stato rilasciato il Preavviso di Diniego ai sensi dell'art. 10-bis della L. 7 agosto 1990, con il quale la Soprintendenza di Lecce esprimeva il parere contrario alla realizzazione del predetto progetto evidenziando in maniera incontrovertibile come l'intervento proposto fosse in totale violazione degli strumenti urbanistici vigenti in zona (PPTR e Piano Regionale delle Coste). Ad avviso della difesa degli imputati l'autorizzazione paesaggistica n. 3/17 sarebbe anch'essa valida ed efficace non essendosi la Soprintendenza pronunciata nei termini di cui all'art. 146 D.Lgs. n. 42 del 2004. Inoltre secondo la tesi difensiva la concessione demaniale n. 3/17 non potrebbe qualificarsi alla stregua di una nuova concessione bensì di una concessione integrativa di quella n. 1/14 in quanto preordinata dichiaratamente alla sola delocalizzazione dell'area a suo tempo assegnata; Pertanto non sussisterebbe neppure la violazione in materia delle regole di evidenza pubblica poiché trattasi di mera concessione suppletiva. Non sarebbe rinvenibile alcun divieto di rilascio di concessioni in mancanza di approvazione del Piano comunale costiero (PCC). Infine dovrebbe escludersi l'ipotesi di reato di cui all'art. 734 c.p. non essendo configurabile alcun danno al paesaggio attesa la totale rimozione delle opere. Va innanzitutto evidenziato come appaia dirimente la questione relativa alla qualificazione della concessione demaniale n. 3/2017 come concessione suppletiva rispetto alla n. 1/2014 ovvero quale nuova concessione. Ed invero l'individuazione dell'area oggetto di concessione costituisce elemento essenziale del provvedimento amministrativo e la sua modifica richiede necessariamente l'avvio di un nuovo procedimento. Seguendo la tesi sostenuta dalla difesa si dovrebbe ammettere la possibilità di rilasciare una concessione in bianco per un'area la cui individuazione venga di fatto rimessa alla libera scelta del privato. In senso contrario, come già osservato dal Tribunale del Riesame, appare evidente che l'uso di una diversa area del demanio marittimo, sia pure a breve distanza da quella originariamente concessa, risulti subordinata ad una nuova concessione demaniale. Di qui la palese illegittimità della concessione demaniale n. 3/17 da intendersi quale nuova concessione, come tale assolutamente preclusa atteso il divieto posto dall'art. 6.2.2. delle nonne tecniche del PRC (nelle zone, come quella in esame classificate C1S2 come ad elevata criticità per fenomeni erosivi è vietato il rilascio di nuove concessioni per un periodo di almeno tre anni dalla data di approvazione del PRC e comunque sino a quando sia stata accerta la cessazione di fenomeni erosivi) ". In tal senso si era espressa- sia pure fuori termini- la Soprintendenza per i beni culturali ed ambientali, con parere disatteso dalla Commissione locale per il comune di Lecce. Da ciò discende che la illegittimità della concessione demaniale si ripercuote anche sulla illegittimità del successivo permesso dì costruire, rilasciato in contrasto anche con le disposizioni del PPTR. Inoltre contrariamente a quanto si sostiene nella consulenza di parte ( ing. V.), le opere per le quali venne rilasciato il permesso consistono in strutture non facilmente amovibili ed ancorate al suolo, oltre che difformi dai progetti allegati, e precisamente: Realizzazione di n. 2 grossi serbatoi idrici e n. 2 motori per impianto di condizionamento e intelaiatura in incannucciato installati direttamente su arenile (suolo demaniale), recitanti da struttura metallica infissa nell'arenile, completamente abusivi in assenza di permesso di costruire e concessione demaniale; realizzazione della pedana della superfìcie complessiva di circa 110 mg (mt. 10,00 x mtl 1,00) con intelaiatura e pilastri in ferro laddove invece il PdC n. 246/2017 prevedeva la realizzazione di pedana in legno. In proposito si osserva che la integrale rimozione delle opere abusive accertata con sopralluogo effettuato in data 23.11.2022 dalla Capitaneria di Porto comporta l'estinzione della fattispecie del reato paesaggistico ai sensi dell'art- 181, comma 1-quinquies, il quale configura quale fattispecie estintiva la condotta della parte che si attivi - spontaneamente, per la demolizione delle opere abusive o comunque per la remissione in pristino dei luoghi. Quanto alla contravvenzione di cui all'art. 734c .p. parimenti contestata al capo A) la stessa si configura come un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Pertanto non è sufficiente per integrare gli estremi del reato né l'esecuzione di un'opera né la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali (cfr. Sez. U., n. 248 del 21/10/1992 - dep. 12/01/1993;Cass.pen. Sez. Ili, 30- 10-2014 n. 3247). Nel caso di specie in considerazione dell'integrale rispristino dello stato dei luoghi documentato in atti deve escludersi la ricorrenza di una effettiva e concreta alterazione delle bellezze naturali, necessaria per la configurabilità del reato. Venendo alle singole responsabilità in ordine ai reati accertati osserva il Tribunale: Per gli imputati Gi.Vi., presidente p.t. della Commissione Paesaggio del Comune di Lecce, Gr.Ma.. Dirigente del Settore Urbanistico, Pa.Gi. Responsabile dell'ufficio demanio marittimo e Bu.Da. responsabile dell'ufficio Paesaggio, deve escludersi la sussistenza dei reati di cui al CAPO A) che vengono loro contestati in concorso con gli esecutori materiali delle opere. Ed invero in materia edilizia non c'è dubbio che l'art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001 ponga a carico del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale un obbligo di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, imponendogli di intervenire ogni qualvolta venga accertato l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo o in difformità della normativa urbanistica, attraverso la emanazione di provvedimenti interdittivi e cautelari (cfr. anche art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001). Egli è quindi certamente titolare di una posizione di garanzia, che gli impone di attivarsi per impedire l'evento dannoso, ma è altrettanto evidente che non si possa richiamare il citato art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001 per configurare la responsabilità nel reato in presenza di una contestazione di condotta commissiva (rilascio di permesso a costruire). Cfr Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 17178 del 5 giugno 2020. In proposito va richiamato il consolidato indirizzo della Cassazione secondo cui "La funzione di dirigente dell'area tecnica comunale che ha rilasciato un permesso di costruire illegittimo, dunque, non implica, in assenza di elementi di fatto indizianti un concorso consapevole, o quantomeno colposo, nella condotta, una responsabilità omissiva nella realizzazione di opere illegittime, in quanto il dirigente non è previsto tra i soggetti attivi del reato proprio indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, e, ai sensi dell'art. 27 D.P.R. n. 380 del 2001 cit., riveste una posizione di garanzia limitata alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale ed alla demolizione delle opere abusive, non già di carattere generale". Cassazione penale sez. HI, 25/10/2016, n.5439. Per quanto riguarda in particolare la posizione dell'Architetto B. occorre dare atto che lo stesso è intervenuto nella procedura nella sola parte relativa al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica che costituisce un provvedimento autonomo rispetto agli aspetti urbanistici dell'opera. Parimenti l'imputato G.P. nella sua qualità di Responsabile dell'ufficio Demanio Marittimo del Comune di Lecce è intervenuto solo con riferimento alla procedura per il rilascio della concessione demaniale suppletiva dovendosi anche in tal caso escludere 1'esistenza di una posizione di garanzia in capo al funzionario rispetto al mantenimento delle opere abusive. Per quanto riguarda la posizione dei privati Pa.Lu. e Ca.Ro. deve invece affermarsi la penale responsabilità sia per il reato urbanistico che per la contravvenzione demaniale di cui all'art. 1161 cod nav, stante l'abusiva occupazione dell'area demaniale marittima dagli stessi perpetrata con la realizzazione ed il mantenimento delle opere abusive. La responsabilità concorsuale dei suddetti imputati emerge con evidenza in quanto ciascuno di essi a diverso titolo ha cooperato nella realizzazione e mantenimento dell'opera abusiva intervenendo nella unitaria procedura amministrativa finalizzata ad ottenere titoli palesemente illegittimi mediante l'acquisizione del ramo di azienda della società Id. s.r.l., titolare degli originari permessi illegittimi, di fatto amministrata da Ba.Al. in favore della società L. costituita ad hoc, quest'ultima riconducibile a Pa.Lu., al fine di consentire la volturazione degli originari permessi ed il sub ingresso nella concessione demaniale. In proposito dalle dichiarazioni del teste Ma.Lu. della Guardia di Finanza di Lecce emerge pacificamente la riconducibilità dell'operazione sopra descritta a Pa.Lu. mediante la figura di Ca.Ro. quale suo prestanome. Il teste ha riferito che a seguito della perquisizione eseguita presso l'abitazione del Pa. nell'ambito di un distinto procedimento penale venne rinvenuta tutta la documentazione sia amministrativa che contabile relativa alla realizzazione e gestione del chiosco da parte della società La. Srls formalmente amministrata dalla C.. Dall'analisi della suddetta documentazione emerge in modo univoco la riconducibilità degli atti al Pa., il quale risultava il richiedente di tutte le autorizzazioni, quali ad esempio la richiesta di allaccio all'Acquedotto pubblico; l'allaccio Enel, i preventivi di richiesta per la realizzazione del chiosco. A seguito della perquisizione venivano in particolare rinvenuti presso l'abitazione dell'imputato i numeri di telefono, l'indirizzo di posta elettronica, la documentazione extra contabile della società relativamente al periodo che va dalla apertura del chiosco sino al sequestro, (come ad esempio la chiusura giornaliera degli incassi), le buste paga dei dipendenti, alcuni assegni in bianco firmati dalla Ca.. Da quanto sopra discende che Pa.Lu. nella sua qualità di amministratore di fatto della società La. SRL e di titolare di fatto del chiosco bar ristoro edificato in località S. C. ( L.) e denominato "Il.", in concorso con Ca.Ro. nella sua qualità di legale rappresentante della società La. SRLs, sono responsabili n concorso ed in continuazione dei reati di cui all'art. 44 lett. c e 1161 cod. nav.. 2) I reati di abuso di ufficio e di falso ideologico contestati al capo B) Con riferimento alla fattispecie di abuso di ufficio contestata al capo B) della rubrica deve escludersi la responsabilità dei funzionari del comune di Lecce Gi.Vi., Gr.Ma., Pa.Gi., Bu.Da., Ma.Lu. in concorso con i privati destinatari dei permessi di costruire e delle concessioni demaniali di cui sopra. Ed invero la riferita illegittimità dei titoli autorizzativi in questione per contrasto con gli strumenti urbanistici generali approvati con atti di tipo regolamentare ( PPTR approvato dalla regione Puglia con DGR 16.2.2015 n. 176) non comporta di per sé la ricorrenza del delitto di abuso di ufficio così come riformato, richiedendo la norma di cui all'art. 323 c.p. nella sua nuova formulazione introdotta con L. 11 settembre 2020, n. 120 il requisito della violazione di specifiche regole di condotta contemplate da atti aventi forza di legge che non ammettano margini di discrezionalità e non anche la violazione di norme di rango regolamentare, ovvero di atti amministrativi generali. Ed invero la nuova formulazione della fattispecie dell'abuso di ufficio, restringendone l'ambito di operatività, comporta una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, che non siano più riconducibili alla nuova versione dell'articolo 323 c.p. siccome realizzati mediante violazione di norme regolamentari, (cfr. Cass. Pen. Sez. 6, sentenza n. 442 del 9/12/2020 "in tema di abuso d'ufficio, la modifica introdotta con l'articolo 23 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, ha ristretto l'ambito applicativo dell'articolo 323 c.p. determinando una parziale "abolitio criminis" in relazione alle condotte commesse prima dell'entrata in vigore della riforma, realizzate mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali o astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche espresse o che lascino residuare margini di discrezionalità). Né sussistono ~ sulla base del materiale probatorio acquisito - concreti elementi per ritenere che il rilascio dei titoli illegittimi da parte dei funzionari fosse intenzionalmente diretto a favorire i privati richiedenti o fosse frutto di un accordo collusivo. Parimenti devono ritenersi insussistenti le condotte di falso contestate ai predetti imputati al capo B) con riferimento agli atti e provvedimenti della procedura amministrativa finalizzati al rilascio delle autorizzazioni per l'edificazione e gestione del chiosco. Secondo quanto riportato nell'imputazione gli atti della procedura amministrativa inficiati da falsità di natura ideologica sarebbero in particolare i seguenti: la concessione demaniale n. 1 del 2014 e connesso PDC in favore della società Id. Srl rilasciati dagli imputati M. e P., di cui si contesta l'emanazione in spregio agli strumenti urbanistici vigenti ( piano Regionale delle coste); il successivo PDC n. 373/2015 rilasciato il 7.8.2015 dall'allora dirigente del settore Urbanistica del comune di Lecce Ma.Lu. in contrasto con le norme tecniche di attuazione del PPTR della Regione Puglia in zona sottoposta a vincolo archeologico con conseguente inedificabilità; inoltre Tatto di sub ingresso nella concessione demaniale rilasciato il 12 febbraio 2016 dagli imputati G. e P. che emanavano altresì in data 26.5.2017 il PDC n. 96/2017 anch'esso illegittimo poiché ricadente su area ove le norme tecniche di attuazione vietavano il rilascio di nuove concessioni; infine l'autorizzazione paesaggistica n. 3 72017 rilasciata in data 18.2017 dall'Arch. Da.Be.. In proposito osserva il Tribunale che gli atti in questione risultano certamente viziati da illegittimità per contrasto con norme di rango regolamentare ovvero per l'esercizio disfunzionale del potere amministrativo, ma non per questo possono ritenersi anche ideologicamente falsi agli effetti della norma penale di cui all'art. 479 c.p. Un conto è infatti la difformità dell'atto rispetto ai presupposti normativi che autorizzano la sua adozione, altro è la funzione di attestazione dell'atto circa elementi fattuali la cui volontaria alterazione ovvero difforme rappresentazione da parte dal suo autore integra la c.d. immutatio veri quale elemento oggettivo del reato. L'ipotesi di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio contestata al capo C) a Gi.Vi. e Pa.Lu. in concorso tra loro Deve anche escludersi altresì il delitto di corruzione propria contestato al capo C) a Gi.Vi. nella sua qualità di Presidente della Commissione Paesaggio e quindi pubblico ufficiale intraneus in concorso con Pa.Lu. nella qualità di privato corruttore, mancando la prova della esistenza dell'accordo corruttivo. Secondo l'iniziale prospettazione accusatoria, cui ha fatto seguito la richiesta di assoluzione anche da parte del Pubblico Ministero, l'atto contrario ai doveri di ufficio consisterebbe nel rilascio dell'atto di sub ingresso della società La. Srls di fatto gestita dal Pa. nella concessione demaniale in data 12 febbraio 2016 a firma dei funzionari G.P. i quali avrebbero ricevuto specifiche pressioni dal G. nonché nell'adozione del parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica n. 2017/3 del 18.1.2017 da parte dello stesso G.. Orbene la circostanza che il G. abbia esercitato specifiche pressioni sui funzionari comunali non ha trovato alcun riscontro nelle prove acquisite in dibattimento. In secondo luogo la circostanza che il predetto imputato abbia rilasciato nel gennaio 2017 un parere illegittimo in favore della società nella quale la figlia G.R. era consulente fiscale non integra (in difetto di specifica prova) la figura dell'accordo corruttivo, ricorrendo nella specie, non già una fattispecie di mercimonio della pubblica funzione ma semmai una condotta abusiva per la violazione del dovere di astensione del funzionario, in presenza di un interesse confliggente proprio o di un prossimo congiunto. 3) Il delitto di tentata truffa ai danni della Regione Puglia contestato al capo D) nei confronti di Pa.Lu. e Ca.Ro.. Ulteriore accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza di Lecce riguarda la pratica per l'apertura di un finanziamento europeo di Euro 85.318,00 nell'ambito del piano operativo regionale FSE Puglia 2014- 2020, fatta il 27 dicembre 2017 da Ca.Ro. per la realizzazione del chiosco, anch'essa riconducibile ai coniugi P. - R., per quanto concerne le relative garanzie richieste presso la Cofidi. In proposito ha precisato il teste M. che nella documentazione concernente il finanziamento, sequestrata presso l'abitazione del P., venivano rinvenuti anche la carta di identità e la documentazione reddituale di Ca.Ro.. Altra circostanza verificata dalla Guardia di Finanza riguarda i redditi riferibili in quel periodo ai coniugi C.- D.L., che sulla base di quanto riscontrato dall'Anagrafe Tributaria, non avevano i mezzi economici per richiedere il finanziamento, tant'è che dall'esame dei flussi bancari e finanziari risultava un passaggio di 50.000 euro effettuato dal conto della R. ( che a sua volta richiedeva la predetta somma in prestito da P.I.) a quello della C. e da quest'ultima sul conto della società L. SRLS. La circostanza risulta confermata anche dal teste De.An. dipendente della Cofidi sentito all'udienza del 18.9.2023 il quale ha dichiarato di essersi interfacciato inizialmente con la C. e successivamente anche con La.Pe. per la consegna di alcuni documenti e per la prestazione di garanzia in favore della società da parte delle moglie del medesimo Ra.Fa.. Il 27.12.2017 Ca.Ro. quale rappresentante legale della L. S.r.l. presentava domanda di finanziamento a P.S. Spa per 85.760,00 per la realizzazione di un programma di investimento relativo all'unità produttiva in San Cataldo ( data inizio20.2.2018 e fine 30.4.2018). Il successivo 6.2.2018 la stessa presentava domanda di finanziamento a Cofidi con richiesta di acceso alla garanzia concessa dalla Stato. A corredo della istanza la C. dichiarava il possesso dei titoli di disponibilità dell'immobile di 5 anni dal completamento dell'investimento allegando anche la concessione suppletiva demaniale n. 3 del 10.4.2017 ed il permesso di costruire n. 246/2017. Gli accertamenti in questione hanno consentito di mettere in luce la condotta fraudolenta posta in essere da P. in concorso con la C. ( tentata truffa di cui al capo D) mediante l'aggiramento delle condizioni per ottenere il finanziamento POR Puglia 2014-2020 azione 3.8. Ed invero, tra i requisiti per ottenere questo tipo di finanziamento vi era il mantenimento del possesso della struttura per un periodo di almeno un quinquennio successivo all'investimento, mentre nel caso di specie i titoli autorizzativi del chiosco "Il." risultavano tutti provvisori con scadenza il 30.5.2018, mentre sia la concessione integrativa che il permesso di costruire 246/2017 costituivano provvedimenti illegittimi. L'utilizzo di titoli illegittimi a corredo della istanza presentata il 27.12.2017 alla Regione Puglia finalizzata ad ottenere l'erogazione del finanziamento di Euro 85.00,00 - finanziamento non concesso per la tempestiva revoca delle garanzie da parte dell'istituto bancario Mo. - unitamente all'assenza delle autorizzazioni richieste dal bando, integrano la condotta tipica degli artifici e raggiri quale elemento materiale della truffa ai danni dell'ente Regionale erogatore di cui al capo D). La condotta sopra descritta configura la fattispecie tentata ex art. 56 c.p., essendo posti in essere atti idonei univocamente indirizzati a carpire un ingiusto profitto con relativo danno a carico dell'Ente erogatore, sorretti dal corrispondente elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza e la volontà da parte degli imputati di ottenere l'illecito profitto mediante induzione in errore dell'Ente pubblico. 11 reato tuttavia non è giunto a consumazione per un evento indipendente dalla volontà degli imputati: ed infatti a seguito della positiva deliberazione della pratica di finanziamento da parte della Cofidi, l'istituto bancario M.P.S. in data 2.3.2018 si determinava a non accogliere il finanziamento. 5) Passando al trattamento sanzionatorio, gli imputati Pa.Lu. e Ca.Ro. rispondono dei reati di cui ai capi A) e D) in continuazione tra loro stante l'unitario disegno criminoso rilevante ai sensi dell'art. 81 comma 2 c.p. Pertanto valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p. ed in particolare la gravità dei reati commessi e ritenuto e più grave il delitto di cui all'art. 56 e 640 bis c.p. deve applicarsi la pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ciascuno (PB per il reato di cui al capo D) anni 2 reclusione ridotta nella misura di 1/3 per l'ipotesi tentata a mesi 16 + aumento per la continuazione di mesi 1 per ciascuno dei reati di cui al capo A) = mesi 18 di reclusione). Tenuto conto della gravità della condotta, connotata da una serie di attività indirizzate a procurarsi titoli illegittimi e ad aggirare le condizioni per l'accesso al finanziamento pubblico, in mancanza di ulteriori elementi valutabili a favore degli stessi deve escludersi la concessione beneficio delle attenuanti generiche. Concedibile nei confronti dei predetti imputati risulta invece il beneficio della sospensione condizionale della pena dovendosi formulare una prognosi positiva in ordine alla futura astensione dalla commissione di altri reati. Alla condanna degli imputati segue l'obbligo del pagamento delle spese processuali. P.Q.M. IL TRIBUNALE Letti gli artt. 533,535 c.p.p. dichiara Pa.Lu. e Ca.Ro., colpevoli dei reati di cui ai capi A) - escluse le fattispecie di cui agli artt. 734 c.p. e 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 - e D) della rubrica e, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, li condanna alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visto l'art. 530 c.p.p. assolve Pa.Lu. e Ca.Ro. dal reato di cui all'art. 734 c.p. perché il fatto non sussiste e dichiara non doversi procedere nei loro confronti, relativamente al reato di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004, in quanto estinto per avvenuta rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Letto Part. 530 c.p.p. assolve Gr.Ma., Pa.Gi., Gi.Vi. e Bu.Da. dai reati di cui al capo A), per non aver commesso il fatto. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Ma.Lu., Gr.Ma., Pa.Gi., Gi.Vi., Bu.Da., Pa.Lu., Ca.Ro., Ba.Al. e De.Ca. dai reati di cui al capo B) perché il fatto non sussiste; Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Gi.Vi. e Pa.Lu. dal reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste. Così deciso in Lecce il 15 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE I SEZIONE PENALE Il Giudice Dott. Marco MARANGIO MAURO - alla pubblica udienza del 25/01/2024 - ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA 1) Ba.Ha., nato in J. l'(...), residente a L. in Sc.Sa. 7 ter L. - C. presso campo P.; elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di fiducia avv. Antonio Savoia; libero assente. 2) Is.Xh., nata in J. il (...), residente a L. in Sc.Sa. 7 ter L. - C. presso campo P.; elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore di fiducia avv. Antonio Savoia; libera assente. Entrambi difesi di fiducia dall'avv. An.SA. del Foro di Lecce; assente, sostituito ex art. 97, IV, c.p.p., dall'avv. Gi.MA. IMPUTATI VEDI ALLEGATO Con l'intervento del P.M. Dott.ssa A.PA. - V.P.O. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con decreto che dispone il giudizio del 30.10.2017, Ba.Ha. e Is.Xh. venivano tratti a giudizio per rispondere dei reati loro ascritti nel capo d'imputazione. Dopo due meri rinvii, all'udienza dell'11.02.2019, il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento, invitava le parti a formulare le rispettive richieste istruttorie che venivano ammesse e venivano escussi i testi Brig. Am.Al., Mar. St.An., entrambi in servizio presso la Compagnia dei CC di Lecce nonché Ge.Si., presenti in aula. Dopo due ulteriori rinvii, all'udienza del 26.05.2022, la prima tenuta dallo scrivente magistrato, le parti si riportavano alle richieste di prova già articolate e prestavano il consenso alla utilizzabilità degli atti istruttori compiuti, avuto riguardo al mutamento della persona fisica del giudicante; all'esito, il processo veniva rinviato ad altra data per il prosieguo dell'istruttoria. All'udienza del 24.11.2022, si dava corso all'esame della persona offesa Nz.Mi.; di seguito, le parti prestavano il consenso alla acquisizione della c.n.r. con i relativi allegati, rinunciando all'esame dei testi di P.G. App. Sc.Sa. e Mar. Po.Fa.. Dopo un ulteriore rinvio, all'udienza del 25.01.2024, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, invitava le parti alla discussione e le stesse concludevano come da verbale in atti. All'esito della camera di consiglio il Tribunale dava lettura, in udienza, del dispositivo della sentenza. Motivi della decisione 2. Ritiene il giudicante che si debba ritenere provata la penale responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti nel capo di imputazione, per i motivi che si esporranno. Tale decisione si fonda sulla completa valutazione del materiale probatorio acquisito ed utilizzabile, costituito dalle dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa, dai testimoni escussi, e dagli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento. Appare, quindi, opportuno esporre preliminarmente le dichiarazioni rese dalla persona offesa e successivamente procedere alla verifica della coerenza delle stesse nonché al confronto di tali dichiarazioni con le ulteriori risultanze processuali. La giurisprudenza è prudente nel valutare la testimonianza della persona offesa dal reato si da ritenere necessario vagliare le sue dichiarazioni con ogni opportuna cautela, cioè compiere un esame particolarmente penetrante e rigoroso attraverso la necessaria conferma di altri elementi probatori, talché essa può essere assunta, da sola, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Nel solco di queste considerazioni, si osserva che le dichiarazioni testimoniali della p.o., Nz.Mi. che, in quanto non costituitasi parte civile non ha nemmeno manifestato un proprio interesse economico alla condanna dell'imputato, hanno trovato un pieno riscontro, nel corso dell'istruttoria dibattimentale. La p.o., escussa nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ha riferito di aver conosciuto l'imputato Ba.Ha. dopo che questi si dimostrò interessato all'acquisto di una Mercedes che lo stesso, in qualità di intermediario, aveva messo in vendita al prezzo di 10.000,00 euro. Ha riferito che, in seguito alla compravendita, il Ba. risultava ancora debitore della somma di 1000,00; cosicché, stante il fatto che anche il Ba. si dedicava alla compravendita di auto, lo Nz. gli aveva proposto di acquistare a sua volta un'auto da lui, una Toyota, con l'accordo che, in questo modo, egli avrebbe scontato il credito ancora vantato dal prezzo dell'autovettura medesima. Ciò premesso, accadde che il 09.10.2016 lo Nz. raggiunse il Ba. presso il campo nomadi "Panareo", dove lo stesso viveva insieme alla sua famiglia, per visionare le vetture disponibili; tuttavia, vedendo che presso il campo vi erano solo automobili di grossa cilindrata, lo Nz. riferì all'imputato di non essere più interessato alla compravendita, richiedendo con ciò il pagamento della somma ancora spettantegli. La p.o. offesa ha ricordato che, a fronte di quella richiesta il Ba. si fece subito minaccioso e, dopo avergli intimato di acquistare una delle auto in vendita, lo stesso pretese la restituzione della somma di denaro corrisposta per l'acquisto della Mercedes che, a suo dire, si era dimostrata difettosa. Lo Nz., a quel punto, percependo il pericolo, con una scusa riuscì ad allontanarsi dal campo e a chiamare un taxi per raggiungere la stazione ferroviaria, ma una volta giunto in prossimità della strada, venne intercettato dai figli del Ba. i quali, dopo averlo fatto entrare nella loro macchina, lo riportarono nuovamente presso il campo nomadi. La persona offesa ha dichiarato che, una volta lì, fu condotto presso l'abitazione del Ba., ricordando come da quel momento l'atteggiamento torvo dell'imputato e dei suoi due figli traguardò in vere e proprie minacce. L'imputato, infatti, adoperando una pistola, gli intimò ancora una volta di acquistare una delle sue auto; poi, a fronte dell'ennesimo rifiuto, lo stesso, con la complicità dei figli, dopo averlo privato del telefono cellulare, lo rinchiuse all'interno del bagno dell'abitazione, sorvegliato a vista da alcune donne tra le quali la moglie dell'imputato, in seguito identificata in Is.Xh. (testualmente: allora, c'era lui, due figli, ima signora, una cosa del genere). Lo Nz. ha riferito di essere riuscito a scappare solo perché, fortunatamente, era riuscito a tenere nascosto ai suoi aguzzini un secondo telefono cellulare, con il quale contattò un amico al quale, dopo avergli spiegato la situazione parlando in lingua francese per non essere capito, chiese di chiamare i soccorsi. Ed invero, una volta arrivati i Carabinieri presso il campo "Panareo", lo stesso, pur ricevendo una gomitata al sopracciglio sinistro, riuscì a divincolarsi e a fuggire via, trovando riparo all'interno della vettura dei militari (cfr., referto dei sanitari del 118, in atti). A riguardo, la persona offesa ha dichiarato di essere rimasto chiuso nel bagno per circa 45 minuti. In seguito all'intervento delle Forze dell'Ordine, io Nz. seguitò quindi a fornire agli inquirenti una descrizione fisica dei suoi aggressori, riconoscendo dalle foto segnaletiche mostrategli i due figli degli imputati, rimasti tuttavia a piede libero perché irreperibili (il teste ha riconosciuto in aula il soggetto individuato nella foto n. 9, corrispondente a B.T., figlio degli odierni imputati). Così compendiate le dichiarazioni della p.o., vi è che la deposizione dello Nz. va sottoposta ad un approfondito vaglio di credibilità soggettiva ed oggettiva perché proviene da colui che ha vissuto in prima persona l'avvenimento ed unico testimone di quanto accaduto con gli imputati. Ebbene, alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene lo scrivente che la deposizione resa dalla p.o. è apparsa intrinsecamente coerente e logica. Il vaglio dell'attendibilità della persona offesa passa necessariamente attraverso la verifica dell'intrinseca consistenza delle sue dichiarazioni alla luce di criteri quali la precisione, la coerenza logica, la costanza, la spontaneità, la genuinità, il disinteresse, ponendo a base dell'analisi ogni elemento ricavabile dal processo che supporti concretamente il giudizio di attendibilità da affidare a circostanze fattuali ed oggettive. La deposizione dello Nz., in quanto caratterizzata da precisione e puntualità, dall'assoluta assenza di elementi contraddittori o comunque idonei a far sorgere il dubbio della sua genuinità, nonché dalla sobrietà dei toni, tali da allontanare ogni sospetto di intenti rancorosi o vendicativi, supera certamente questo vaglio. Il teste, infatti, è stato preciso e lineare nel racconto, senza mostrare sentimenti personali di astio e di rancore nei confronti dei prevenuti. La sua deposizione è apparsa veritiera e priva di contraddizioni di sorta, ed anche al momento del riconoscimento in aula del figlio della coppia, lo Nz., almeno con riguardo al soggetto ritratto nella foto n. 9, è apparso sicuro ed immediato nel dire "è lui". Dal punto di vista oggettivo, va evidenziata la coerenza e logicità delle dichiarazioni della persona offesa, che descrive in termini di logica e lineare chiarezza le fasi drammatiche del suo sequestro. Non può peraltro farsi a meno di notare che trattasi di versione dei fatti in più punti corroborata da importanti elementi di riscontro, costituiti in primis dalle deposizioni dei militari intervenuti dopo l'accaduto, certamente estranei ad ogni interesse per la vicenda processuale, che hanno riferito delle condizioni fisiche e psichiche in cui versava la persona offesa al momento in cui l'hanno raggiunta. Ed invero, il teste Brig. Am.Al., in servizio presso il Comando Provinciale dei Carabinieri di Lecce, ha dichiarato che il 09.10.2016, mentre era in servizio con il collega Sc.Sa., ricevette dalla Centrale Operativa una segnalazione afferente ad una richiesta di aiuto proveniente da un soggetto extracomunitario che si trovava presso il campo nomadi "Panareo". Giunti sul posto, i militari, pur con non poche difficoltà determinate dall'atteggiamento diffidente dei residenti, riuscirono ad individuare lo Nz. il quale, su suggerimento di altri colleghi, rimasti in contatto telefonico con il predetto, prese a urlare e a dare pugni contro il muro per attirare la loro attenzione. A quel punto gli operanti, raggiunta l'abitazione dalla quale provenivano quei rumori, videro una persona di colore fuggire via cercando di guadagnare l'uscita del campo, inseguito da alcuni residenti che gli lanciavano contro degli oggetti. Il teste ha riferito che, alla vista della volante, il fuggitivo si diresse verso di loro ed entrò prontamente all'interno dell'auto per cercare riparo; gli stessi, procedettero quindi a fermare e a identificare il soggetto che lo stava inseguendo, tale B.K. risultato però estraneo ai fatti. Poi, grazie alle indicazioni fornite dallo Nz., i militari seguitarono ad identificare gli aggressori della persona offesa, nonché a perquisire l'immobile dove quest'ultimo era stato rinchiuso, risultato appartenere all'imputato Ba.Ha.. Il teste ha precisato che la p.o. riuscì ad allertare le Forze dell'Ordine per il tramite di un suo amico che era riuscito a chiamare parlando in lingua francese per non far essere compreso dai suoi sequestratori. Ed invero, fu proprio quest'ultimo a contattare i Carabinieri, inoltrando la richiesta di aiuto. Il teste St.An. ha riferito di aver proceduto alla identificazione dei prevenuti, ricordando che nel compendio fotografico mostrato allo Nz. non erano presenti foto ritraenti gli odierni imputati, ma solo due foto segnaletiche ritraenti i figli di questi ultimi, che vennero immediatamente riconosciuti da parte della p.o.. Di seguito, ha riferito che lui e i suoi colleghi procedettero all'arresto di Ba.Ha. e Is.Xh. grazie alle indicazioni avute sul momento da parte della p.o.. Ge.Si., all'epoca dei fatti esercente la professione di tassista, ha dichiarato che il giorno del commesso reato ricevette una chiamata sul numero del consorzio in dei tassisti di Lecce, in relazione alla quale egli si recò nei pressi del locale "Le." per prelevare un cittadino extracomunitario che aveva prenotato una corsa. Ciò premesso, il teste ha riferito che, una volta raggiunto il luogo indicato dal chiamante, incontrò un ragazzo di colore il quale, ancor prima di salire sul taxi, venne raggiunto da un'auto a bordo della quale si trovavano due soggetti che iniziarono a inveire contro di lui. Cosicché, preoccupato per quanto poteva succedere, lo stesso aveva deciso di allontanarsi e andare via. Nel verbale di arresto in flagranza del 09.10.2016, pienamente utilizzabile perché acquisito su accordo delle parti, si legge che gli operanti procedettero all'arresto in flagranza di di Ba.Ha. e di Is.Xh. dopo che questi vennero ritrovati all'interno dell'abitazione dove venne sequestrata l'odierna persona offesa, la stessa dalla quale, al momento dell'intervento, i militari sentirono provenire il rumore di pugni contro il muro infetti dallo N.. Non vennero rintracciati, invece, i due figli della coppia arrestata, riconosciuti comunque dalla vittima a seguito di individuazione fotografica. Ebbene, all'esito dalla disamina di tutte le prove assunte nel dibattimento, si deve ritenere che il racconto dello Nz. sia sostanzialmente vero, al di là di ogni ragionevole dubbio. Lo stesso, infatti, risulta privo di aporie e contraddizioni, ed è intrinsecamente coerente e logico, oltreché, soprattutto, riscontrato da prove orali e documentali. I fatti così come ricostruiti sono penalmente rilevanti e riconducibili alla fattispecie di reato del sequestro di persona. Come è noto, l'elemento materiale del reato di sequestro di persona consiste nella limitazione della libertà fisica e di locomozione. Non si richiede una privazione assoluta, essendo sufficiente anche una relativa impossibilità di recuperare la propria libertà di scelta e di movimento, ne' alcun rilievo assume, da una parte, la maggior o minore durata della limitazione, purché questa si protragga per un tempo giuridicamente apprezzabile, e, dall'altra parte, la circostanza che il sequestrato non faccia alcun tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento, non recuperabile con immediatezza, agevolmente e senza rischi. Il reato, infatti, è configurabile anche quando il soggetto passivo riesca a riappropriarsi della propria libertà, dopo una privazione giuridicamente apprezzabile che segna il momento consumativo del sequestro (Cass. pen. sez. 5, n. 19548 del 2013). In buona sostanza, il delitto di cui all'art. 605 c.p. si realizza, nella sua materialità, con la privazione della libertà di movimento e sono, perciò, irrilevanti il suo grado di privazione, la sua durata ed i mezzi usati per imporla, per cui è sufficiente anche una privazione di essa protrattasi per pochi minuti (cfr., Cass. pen. Sez. V Sent., 07/05/2013, n. 19548 (rv. 256746) Cassazione penale sez. V 23 marzo 2006 n. 24406. Correttamente, ritiene la Corte, viene ravvisato il reato di sequestro di persona (art. 605 c.p.) in una fattispecie in cui la persona offesa risulti essere stata trattenuta dagli imputati a bordo di un'autovettura e, quindi, limitata nella sua libertà fisica e di locomozione, per un periodo apprezzabile. (Nella specie, circa quaranta minuti, e cioè per tutto il tempo necessario a raggiungere un bosco e ivi porre in essere minacce e lesioni, concorrentemente contestate), ed ancora integra il delitto di sequestro di persona la condotta di colui che costringe, sotto minaccia, la vittima a salire su un'automobile, in quanto ai fini dell'integrazione del suddetto delitto è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarla della capacità di spostarsi da un luogo all'altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve (Cass. pen. Sez. 5, n. 6488 del 24.01.2005). Pertanto, il delitto di sequestro di persona si realizza allorché, con mezzi di coazione diretti od indiretti si privi taluno della propria libertà personale, impedendogli la libertà di movimento per un tempo apprezzabile, a nulla rilevando che il soggetto passivo conservi la possibilità di chiedere un aiuto a terzi. Questo delitto non è escluso dal fatto che la privazione della libertà non sia totale e che, quindi, il soggetto passivo conservi una limitata possibilità di determinazione o di movimento, poiché ciò non elimina la configurazione della previsione criminosa, il cui elemento oggettivo è realizzato completamente dalla apprezzabile e rilevante privazione della libertà. Quanto all'elemento soggettivo, il reato di sequestro di persona non richiede un dolo specifico, ma è sufficiente il dolo generico consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima la illegittima restrizione della sua libertà fisica intesa come libertà di locomozione (Cass. pen. sez. VI, 16.2.1989, n. 1454; cfr. nello stesso senso Cass. pen. Sez. VI, 9.12.2002, n. 1808). Pertanto, il motivo che determina tale privazione è irrilevante ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico, a meno che non consista in una causa di giustificazione del reato (Cass. pen. sez. I, 4.6.1985, n. 10985). Nel caso di specie, certamente integrato è l'elemento materiale del reato in argomento, in quanto gli imputati, con violenza, minacciando la p.o. con una pistola, la privavano della libertà personale, sebbene per pochi minuti, rinchiudendola all'interno del bagno della loro abitazione. Ricorre in tutta evidenza la violenta privazione della libertà fisica e di locomozione, della libertà di scelta del luogo ove restare o muoversi nello spazio, perpetrata attraverso l'esercizio di una chiara forma di violenza fisica tale da precludere e comunque vanificare ogni tentativo che lo Nz. avrebbe potuto porre in essere per riconquistare la sua libertà. Perfettamente integrato nel caso di specie è anche l'elemento soggettivo preteso dalla norma incriminatrice, nella forma del dolo generico, consistente nella consapevolezza di infliggere alla vittima l'illegittima restrizione della sua libertà fisica, indipendentemente dalla circostanza, non pretesa dalla fattispecie reato in argomento, che tale evento fosse lo scopo della condotta dell'agente ovvero fosse stato solo indirettamente voluto. La progressione di violenze fisiche come descritte innanzi e le lesioni procurate allo Nz. rivelano la forte intensità del dolo, che ha ispirato la condotta dei prevenuti, espressione di una personalità violenta e perversa, posto che gli stessi non si sono fermati dal perseguire il loro proposito nemmeno a seguito dell'intervento dei Carabinieri; infatti, dalle dichiarazioni della p.o. è emerso che non appena nei campo si era diffusa la voce dell'intervento delle Forze dell'Ordine, costoro intimarono allo Nz. di fare silenzio, percuotendolo con una gomitata al sopracciglio. In tal senso, deve quindi ritenersi integrato anche il contestato delitto di lesioni, avuto riguardo a quanto ritraibile dalla certificazione medica in atti, attestante ferite riportate dalla persona offesa a seguito dell'aggressione fisica (cfr., documentazione medica in atti). Allo stesso modo, pienamente integrato appare il reato di cui all'art. 393 c.p.; infatti è stato accertato che la vicenda per cui è processo scaturì da una controversia insorta tra l'H. e lo Nz. conseguente alla compravendita di alcune auto, in relazione alla quale l'imputato risultava ancora debitore nei confronti della persona offesa della somma di 1.000,00 euro. Non vi sono stati dubbi o incertezze da parte della persona offesa al momento del riconoscimento degli imputati, sia in sede di indagini, indicando immediatamente le foto ritraenti i figli della coppia (anche loro complici dei reati in oggetto, ancorché rimasti a piede libero) come è stato dallo stesso dichiarato in sede di istruttoria orale e confermato dai militari operanti escussi, sia in udienza, riconoscendo senza alcuna esitazione uno di costoro nell'uomo ritratto nella foto n. 9. A riguardo, mette peraltro conto di sottolineare che, al momento dell'intervento, grazie alle indicazioni fornite dallo Nz., i militari procedettero immediatamente ad ispezionare l'abitazione prefabbricata dalla quale poco prima videro fuggire la persona offesa, all'interno della quale rintracciarono sia l'H. che la I., che si trovavano al suo interno. Ciò detto, la dinamica dei fatti, a parere di questo giudicante, non consente dubbi di sorta sull'identificazione degli odierni imputati quali autori materiali dei reati di sequestro di persona e lesioni ai danni dello N.. Né, del resto, costoro hanno saputo fornire al sapere processuale una versione alternativa dei fatti. 3. Quanto al trattamento sanzionatorio, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., ed in particolare dell'oggettiva gravità del fatto in sé considerato (come sopra ampiamente motivata), che non consente il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, unificati i reati dal vincolo della continuazione, stimasi equo condannare i prevenuti alla pena di anni tre e mesi due di reclusione (p.b. anni tre di reclusione per il reato ex art. 605 c.p. - la gravità dei fatti contestati impone di determinare la pena base discostandosi dal minimo edittale -, cui devono aggiungersi mesi 2 di reclusione ex art. 81 c.p. per gli ulteriori reati contestati). Al riconoscimento della penale responsabilità consegue la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale, visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Ba.Ha. e Is.Xh. colpevoli dei reati loro ascritti in continuazione e condanna ciascuno alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p., dichiara gli imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Motivazione riservata. Così deciso in Lecce il 25 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE Prima Sezione Penale Il Giudice Dott.ssa Annalisa de Benedictis, nella pubblica udienza del 24.1.2024, ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA con motivazione contestuale nei confronti di: Di.Al., nato il (...) in S. e residente in L., alla via L. 20 - elettivamente domiciliato presso il difensore di fiducia Avv. Di.Ci. del foro di Lecce, attualmente domiciliato presso la Casa Circondariale di Lecce ove è ristretto; detenuto per altra causa, rinunciante a comparire. Difeso di fiducia dall'Avv. Di.Ci. del foro di Lecce, presente. IMPUTATO Cfr. allegato Con l'intervento di: Pubblico Ministero nella persona del VPO Dr.ssa Da.Pa.. MOTIVAZIONE Svolgimento del processo. Con decreto di citazione diretta del Pubblico Ministero in sede, in data 15.10.2019, Di.Al. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato ascrittogli in rubrica. Dopo alcune udienze di mero rinvio, nell'udienza del 13.5.2022, in assenza dell'imputato - detenuto per altra causa - rinunciante a comparire, nella regolarità del contradditorio, veniva dichiarato aperto il dibattimento. Nell'udienza del 19.4.2023, stante l'adesione del difensore dell'imputato all'astensione proclamata dall'Unione delle Camere Penali Italiane con Delib. del 27 marzo 2023, il processo veniva rinviato, con sospensione dei termini di prescrizione, fino al 24.1.2024. Nell'udienza odierna venivano formulate le richieste di prova sulle quali il Giudice provvedeva ex art. 495 c.p.p. e si procedeva all'ascolto dei testi Tr.Ro. e Qu.Em., entrambi in servizio presso la Questura di Lecce, con rinuncia ai residui testi di p.g.. si acquisiva sull'accordo delle parti il verbale di sommarie informazioni di Je.Th.. Conclusa l'istruttoria, le parti rassegnavano le rispettive conclusioni come da verbale di udienza. Il Giudice, all'esito della camera di consiglio, emetteva dispositivo di sentenza e motivazione contestuale, di cui dava integrale lettura. Motivi della decisione. Di.Al. risponde del reato di detenzione ai fini di spaccio della sostanza stupefacente compiutamente descritta nel verbale di sequestro. Dall'istruttoria dibattimentale non emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità del Di. in ordine al reato ascrittogli. Invero, in data 21.5.2019, a seguito di un controllo nei pressi della sede della C. di L., Di.Al. consegnava spontaneamente agli operanti di p.g. un borsello, contenente sette confezioni di sostanza stupefacente del tipo marijuana dal peso complessivo di grammi 21,78. Immediatamente, Di. si dava alla fuga. Egli veniva poi successivamente rintracciato nei pressi dell'abitazione in cui risultava dimorante in Lecce. Veniva, quindi, posta sotto sequestro la somma di Euro435 contenuta all'interno del portafogli. Tale somma, unitamente al borsello, gli veniva restituita, giusto provvedimento del Tribunale del Riesame di Lecce del 18.6.2019. Orbene, così sintetizzato il compendio probatorio, deve giungersi ad una sentenza assolutoria nei confronti di Di.Al.. Invero, in relazione al reato di detenzione di sostanza stupefacente ai fini della cessione, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, ai fini dell'integrazione del reato, occorrono diversi elementi sintomatici di una detenzione finalizzata alla cessione, quali: la quantità della sostanza stupefacente, la qualità soggettiva di tossicodipendente, le condizioni economiche del detentore, le modalità di custodia e di frazionamento della sostanza, il ritrovamento di sostanze e di mezzi idonei al taglio e al confezionamento delle dosi, il luogo e la modalità della custodia. Grava sulla Pubblica Accusa l'onere di dimostrare la destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio (cfr. Cass. Pen. sez. VI, sent. n. 26738/20). Nel caso di specie, la responsabilità di Di. veniva presunta sulla base del rinvenimento della sostanza stupefacente, già confezionata in sette dosi singole, e della somma di denaro, di cui egli non riusciva a fornire alcuna giustificazione. Invero, tali circostanze non sono esaustive e indicative, senza alcuna possibilità di diversa ricostruzione, che l'imputato sia, oltre ogni ragionevole dubbio, responsabile del reato ascrittogli, tanto in ragione del comunque esiguo quantitativo di dosi sequestrato (7 dosi pari a grammi 21,78) quanto per il mancato rinvenimento di bilancini di precisione o di forbici o di altri elementi utilizzabili per il confezionamento della sostanza stupefacente quanto, infine, per la mancanza di accertamenti circa l'eventuale disponibilità di un quantitativo superiore di sostanza stupefacente. Nondimeno, il Di. non era stato colto nell'atto di cedere la sostanza né la fuga precipitosa di cui si era reso autore può essere inequivocabilmente collegata al compimento di tale attività illecita, ben potendo essa derivare, invece, dal timore di poter egli essere espulso dal territorio italiano. Né la somma sequestratagli, in assenza di elementi sintomatici e pertinenziali di un'attività di spaccio, può essere considerata profitto di indimostrate pregresse condotte illecite, ben potendo, a contrario, essere il provento di attività lavorativa o di piccole offerte. Infine, deve registrarsi l'assenza di qualsivoglia accertamento sulla qualità della sostanza in sequestro, che ben potrebbe essere sostanza erbacea non stupefacente. Per tali ragioni, può giungersi alla sentenza assolutoria, pur con formula dubitativa, perché il fatto non sussiste. Infine, si dispone la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. P.Q.M. Letto l'art. 530 cpv c.p.p., assolve Di.Al. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Confisca e distruzione della sostanza in sequestro. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce il 24 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE PRIMA SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Natascia MAZZONE - alla pubblica udienza del 16/01/2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura della seguente: SENTENZA Su.Al. nato a L. il (...), residente in M. alla via Cr. del L. n. 81, int 9, assente. Difeso d'ufficio dall'Avvocato Iv.Qu., presente. Del Foro di Lecce. IMPUTATO P.C. Sig.ra Ma.Va. nata a L. il (...), assente. Assistita dall'avvocato Pa.Pa., presente. Del Foro di Lecce. VEDI ALLEGATO IMPUTATO Del delitto p. e p. dagli artt. 81, 570 comma primo e secondo n. 2, 570 bis c.p., perché, serbando una condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, faceva mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori S.C. e Su.Al., omettendo di versare alla madre Ma.Va. l'assegno mensile di Euro 150,00 per ciascun figlio, per complessive Euro.300,00, a titolo di mantenimento dei figli, nonché il 50% delle spese straordinarie, disposto in sede di omologazione dell'accordo di mantenimento dei figli dal Tribunale di Lecce in data 14/5/2018, violando gli obblighi in tema di mantenimento dei figli. Fatto commesso in Calimera dal giugno 2018 almeno fino al marzo 2019. Con la recidiva. FATTO E DIRITTO Su.Al. (compiutamente identificato in atti) è stato citato a comparire dinanzi a questo Tribunale per rispondere del reato di cui all'art. 570 c. 1 e 2 n.2 e 570 bis c.p.(violazione degli obblighi di assistenza familiare) così come meglio descritto nell'imputazione riportata in epigrafe, perché violava gli obblighi di natura economica imposti dal Giudice ( con omologa degli accordi sull'affidamento e mantenimento dei figli minori del 14.5.18), omettendo di corrispondere quanto dovuto a titolo di mantenimento in favore dei due figli minori. La persona offesa Ma.Va. si costituiva parte civile. Disposta l'apertura del dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti, si è dato corso all'istruttoria di causa, sostanziatasi nell'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e meglio indicata a verbale, nonché nella escussione della persona offesa e della teste della parte civile, Di.Lu.. Indi, è stata disposta la discussione finale al cui termine, sulle conclusioni rassegnate nei termini in epigrafe riportati, il processo ha trovato definizione con la pronunzia resa in dispositivo, pubblicato mediante lettura in udienza. Alla luce delle emergenze istruttorie, ritualmente assunte nel contraddittorio dibattimentale, questo Giudice ritiene pienamente provati i fatti oggetto dell'addebito accusatorio mosso nei confronti dell'odierno imputato. Dalle acquisizioni dibattimentali, invero, la vicenda che ci occupa può essere ricostruita nei termini seguenti. La M., persona offesa, ha riferito che dalla relazione sentimentale con il prevenuto nascevano due figli: Cr. nel (...) e Au. nel (...); che la convivenza cessava nel novembre 2016 quando il Su. si allontanava dall'abitazione comune, trasferendosi a Modena. Con provvedimento del Tribunale civile del 14.5.18 si stabilivano, previo accordo tra le parti, l'affidamento dei minori con diritto di visita del padre e il mantenimento di Euro 150,00 per figlio quale contributo al mantenimento degli stessi oltre al 50% delle spese straordinarie sostenute nell'interesse dei minori. La Ma.Va. riferisce che l'imputato non hai mai provveduto al versamento di quanto dovuto e che non si è mai interessato dei figli minori intrattenendo una relazione affettiva o di frequentazione tanto che in data 3.10.22 è stato disposto l'affido esclusivo in favore della madre. Ciò posto in termini fattuali, la condotta criminosa ascritta all'odierno imputato (art. 570, co. I e II n. 2 e 570 bis c.p.), è dunque consistita nell'aver fatto mancare ai figli minori i necessari mezzi di sussistenza a far data dal provvedimento del Tribunale Civile ma anche dal momento dell'abbandono dell'abitazione e della famiglia, per come dichiarato dalla parte offesa, omettendo di versare alcunché e nemmeno l'assegno stabilito dal Tribunale civile e qualsiasi altro contributo. Sotto un profilo squisitamente giuridico ed in via estremamente generale, appare opportuno rammentare come il delitto di cui all'art. 570 c.p., si sostanzia, sotto il profilo materiale, nella condotta di chi fa mancare al figlio minore i mezzi di sussistenza, nel cui novero non sono più ricompresi " solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l'alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione". (Cass., Sez. 6, Sent. n. 2736 del 13/11/2008 ). Ai fini della sussistenza del reato de quo devono concorrere sia la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell'obbligato, che lo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo, con la conseguenza che l'impossibilità assoluta di somministrare i mezzi di sussistenza - la quale dev'essere rigorosamente e concretamente provata dall'imputato e non soltanto affermata e che deve tradursi in un'incolpevole indigenza tale da non consentire neppure un adempimento parziale (cfr. da ultimo Cass. pen. n. 58/09) - esclude il reato, escludendone la punibilità in virtù della causa di giustificazione della "forza maggiore" di cui all'art. 45 c.p.. Soltanto quando l'incapacità finanziaria dimostrata con rigore dall'imputato sia incolpevole il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare può ritenersi escluso, al contrario integrando certamente tale fatto-reato la semplice incapacità di adempiere causata da volontaria determinazione dell'obbligato o anche da sua negligenza. La condotta inadempiente dell'imputato non è risultata tuttavia scriminata, nei termini sopra esposti, dall'impossibilità incolpevole di questi a provvedere agli obblighi assistenziali, a fronte della mancanza di prova in tal senso da parte del DE Padova, il quale non ha allegato alcuna prova volta a dimostrare una condizione di indigenza, posto peraltro che tali condizioni sono state già oggetto di vaglio da parte del Tribunale civile, nei termini della statuizione in atti (Cass., Sez. 6, Sent. n. 7372 del 29/01/2013), tanto più che emerso che nonostante le condizioni economiche aveva avuto un altro figlio da altra compagna in epoca recente. Con riferimento, invece, all'elemento psicologico del reato questo si sostanzia in un dolo generico, consistente nella consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo, nonché della propria capacità economica a prestare i mezzi di sussistenza, entrambe presenti in capo al soggetto agente, il quale non poteva non avere contezza delle condizioni dell'ex compagna che da sola e con l'aiuto della famiglia si faceva carico dell'assistenza morale e materiale del fìglio minore. Alle suesposte considerazioni segue, pertanto, la condanna dell'imputato per il reato a lui ascritto. Quanto al trattamento sanzionatorio, in applicazione dei parametri commisurativi prescritti dall'art. 133 c.p., concesse le circostanze attenuanti generiche in considerazione dell'esigenza di adeguare la risposta sanzionatoria al fatto di reato, si stima equa la pena di mesi sei mesi di reclusione ed Euro 600,00 di multa, alla cui applicazione segue ex lege anche la condanna del prevenuto al pagamento delle spese processuali. Non si ravvisa la ricorrenza di elementi ostativi al riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena. Ritenuta la colpevolezza del prevenuto, lo stesso deve essere condannato al risarcimento del danno cagionato con il reato alla parte civile, la cui quantificazione deve essere rimessa alla valutazione del Giudice civile. Il prevenuto dovrà rifondere alla parte civile anche le spese di costituzione e patrocinio dalla stessa sostenute, liquidate nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. IL TRIBUNALE in composizione monocratica visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Su.Al. colpevole del reato ascrittogli e lo condanna, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Letti gli artt.538 e 541 c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento delle spese processuali relative all'esperita azione civile, che si liquidano in Euro 1.198,00 oltre accessori come per legge. Motivazione contestuale. Così deciso in Lecce il 16 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE SECONDA SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Chiara PANICO - alla pubblica udienza del 11/1/2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE nei confronti di: Fi.Vi., nato a G. (L.) 1'(...) e residente ad A., contrada L. S. snc, libero assente; difeso di fiducia dagli avv.ti Ro.Vi. e La.An., entrambi del foro di Lecce, presente il primo anche in sostituzione del secondo IMPUTATO Per il reato previsto e punito dall'art. 44 comma 1 lettera b) D.P.R. n. 380 del 2001 perché, nella qualità di proprietario e rappresentante legale dell'omonima ditta esecutrice dei lavori, realizzava su territorio sito in A. sulla SP (...) intersezione c.da U., una recinzione in conci di tufo a sormontare un preesistente muretto a secco per una lunghezza complessiva pari a circa 146,60 mt e altezza varia da circa mt 1,80 a mt. 2,2,6 comprensivo di due accessi provvisti di cancelli in ferro della misura, rispettivamente, di mt 5,90 e mt 3,15, in assenza di permesso di costruire. Con l'intervento del P.M. Dott.ssa Ma.Va.. MOTIVAZIONE Svolgimento del giudizio Fi.Vi. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato di cui in epigrafe, come da decreto di citazione emesso dal P.M. della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce in data 14.11.2022. All'udienza del 21.3.2023, non comparso l'imputato, il Tribunale ne dichiarava l'assenza, ricorrendone i presupposti di legge. La difesa chiedeva sospendersi il processo, pendendo istanza di sanatoria. Sentito il pm che non si opponeva, il Tribunale concedeva il rinvio con sospensione dei termini di prescrizione. All'udienza del 17 ottobre 2023 la difesa produceva permesso di costruire in sanatoria. Il pubblico ministero chiedeva pronuncia declaratoria di non doversi procedere per intervenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria. La difesa si associava. Il Tribunale riservava la decisione. All'esito della camera di consiglio il giudice si asteneva, emergendo dagli atti che aveva svolto le funzioni di Gip nell'ambito del medesimo procedimento (in specie, aveva emesso il decreto di sequestro preventivo). All'udienza del 7 novembre 2023 veniva dato atto che il Presidente del Tribunale aveva autorizzato l'astensione. Il processo veniva così trasmesso ad altro giudice. All'udienza del 16 novembre 2023 il Tribunale evidenziava che non vi erano gli estremi per una declaratoria di estinzione del reato, mancando il requisito della doppia conformità. Il difensore chiedeva un rinvio con sospensione dei termini di prescrizione al fine di provare l'avvenuto adeguamento delle opere a quanto assentito con il permesso di costruire in sanatoria. La Procura non si opponeva. Il Tribunale rinviava il processo con sospensione dei termini di prescrizione. All'udienza dell' 11 gennaio 2024, il Tribunale prendeva atto della documentazione prodotta dalla difesa, attestante la parziale demolizione dell'opera come autorizzato dal permesso di costruire in sanatoria. Le parti chiedevano concordemente pronunciarsi sentenza assolutoria ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Il Tribunale dava lettura del dispositivo e della contestuale motivazione. Motivi della decisione Fi.Vi. è imputato per il reato previsto e punito dall'art. 44 comma 1 lettera b) D.P.R. n. 380 del 2001 perché, nella qualità di proprietario e rappresentante legale dell'omonima ditta esecutrice dei lavori, realizzava su territorio sito in A. sulla S. 54 A. - T. intersezione C.da U., una recinzione in conci di tufo a sormontare un preesistente muretto a secco per una lunghezza complessiva pari a circa 146,60 mt e altezza varia da circa mt 1,80 a mt. 2,26 comprensivo di due accessi provvisti di cancelli in ferro della misura, rispettivamente, di mt 5,90 e mt 3,15, in assenza di permesso di costruire. In Alezio (LE), il 05.02.2022. La difesa produceva permesso di costruire in sanatoria n. 12/23 rilasciato dal Comune di Alezio, con cui veniva autorizzata l'attività di trasformazione urbanistica ed edilizia nel territorio comunale e, precisamente, con riferimento all'attività inerente "progetto di sanatoria per parziale demolizione di un muro di recinzione esistente e adeguamento al RET della Regione Puglia presso l'appezzamento di terreno agricolo compreso fra strada provinciale A. - P. e via vicinale "U.'', in catasto terreni al foglio (...), particella (...), in area ricadente parte in zona tipizzata El - zone agricole e parte in zona classificata come "fasce ed aree di rispetto alla rete viaria". La difesa dava atto delle effettuazioni dei lavori di cui al permesso di costruire in sanatoria, avendo l'imputato realizzato le opere come assentite, così risultando allo stato conforme ai regolamenti edilizi vigenti. Ciò posto, il Tribunale rileva che il fatto assume ancora rilevanza penale e non è estinto, in quanto il F. aveva dovuto effettuare dei lavori di parziale demolizione dell'opera per adeguare il manufatto e renderlo conforme. Non è possibile applicare al caso di specie la fattispecie estintiva prevista dal combinato disposto dell'art. 36 e 45 D.P.R. n. 380 del 2001. Fatta questa premessa, si rileva che, tenuto conto della effettiva entità della violazione che risulta ancora penalmente illecita, sia possibile sussumere i fatti nell'ambito di operatività dell'art. 131 bis c.p.c.on conseguente assoluzione dell'imputato F. per particolare tenuità del fatto. Invero, come ha recentemente osservato la Suprema Corte "Ai fimi della applicabilità dell'art. 131 -bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell'intervento. " (cfr. Cass. Sez. IH n. 8335 del 2 marzo 2020). Alla luce dei criteri suindicati emerge chiaramente l'assoluta tenuità del fatto, in considerazione dello scarso rilievo dell'illecito compiuto, tenuto conto della demolizione delle opere abusive con riconduzione del muretto a conformità rispetto alle regole vigenti. L'imputato, peraltro, è incensurato e sicuramente non abitualmente dedito a condotte criminose analoghe a quella contestata in imputazione. Restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Il Tribunale in composizione monocratica. P.Q.M. Visti gli artt. 131 bis c.p. e 530 c.p., Assolve Fi.Vi. dall'imputazione ascritta per tenuità del fatto. Restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Così deciso in Lecce l'11 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE SECONDA SEZIONE PENALE Il Giudice dott.ssa Merj Giuri alla pubblica udienza del 10.01.2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura la seguente SENTENZA Nei confronti di: - Pi.An. nata a G. del C. il (...) residente a S. in via R. n 8. Libera assente Difeso di fiducia dall'Avv. Ma.Pe.. Presente IMPUTATO (VEDI ALLEGATO) Imputato del reato p.ep. dagli artt. 110 e 646 c.p., perché, in concorso fra loro, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si appropriavano indebitamente di un cucciolo di cane meticcio e di colore bianco di nome "Za.", di cui avevano il possesso poiché consegnato loro dalla legittima proprietaria Pa.Cr. ai fini dell'apposizione del cd microchip e omettendo di restituirlo nonostante le ripetute richieste da parte della Pa.. FATTO E DIRITTO Con decreto che dispone il giudizio del 14.7.2020 Pi.An. in seguito alla querela sporta da Pa.Cr. era tratta a giudizio per rispondere del reato a lei ascritto in rubrica. Nel corso del dibattimento, celebrato in assenza del l'imputata, venivano ascoltati i testi citati dalle parti. All'odierna udienza, esaurita l'istruttoria dibattimentale, le parti, all'esito della discussione finale, concludevano come in epigrafe. Le risultanze processuali non sono sufficienti a dichiarare Pi.An. responsabile del reato a lei ascritto. L'imputata è stato accusata del reato p. e p. dagli artt. 110 e 646 c.p., perché, in concorso con Tu.Ca. (deceduta nelle more), al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si 'appropriavano indebitamente di un cucciolo di cane meticcio e di colore bianco di nome "Za.", di cui avevano il possesso poiché consegnato loro dalla legittima proprietaria Pa.Cr. ai fini dell'apposizione del cd microchip e omettendo di restituirlo nonostante le ripetute richieste da parte della Pa.. Fatto commesso in Salve il 22/6/2019 Sulla valutazione delle prove In termini generali occorre sottolineare come in tema di valutazione della prova, le dichiarazioni della persona offesa non sono assistite da alcuna presunzione di credibilità, con la conseguenza che il giudice deve procedere anche d'ufficio ad una rigorosa e penetrante verifica di attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto accusatorio, che deve essere confrontato con tutti gli altri elementi processuali, non potendo gravare sull'imputato l'onere di provare la falsità della deposizione, (in tal senso si cfr. Sez. 3, Sentenza n. 40849 del 18/07/2012 Ud. (dep. 17/10/2012). Ed ancora, la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come .prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi terzo e quarto, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni. Le regole dettate dall'art. 192, comma terzo. Cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi). Cfr. SS.UU Cass. 41461/12. Ebbene, nel caso di specie, i fatti contestati dalla pubblica accusa si fondano quasi esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa la quale è stata l'unica a dichiarare che il cane fosse di sua proprietà. Dall'ascolto dei numerosi testi è infatti emerso in modo chiaro che: - In seguito ad una richiesta di adozione, Pi.An. (presidente di una associazione animalista) ebbe a consegnare un cucciolo di nome Za. alla sig.ra Pa.; - La consegna del cane avvenne il 2.06.2019; - Il cane fu consegnato per un periodo di affido in vista dell'adozione che formalmente sarebbe avvenuta solo con l'apposizione del microchip, come del resto ha dichiarato la stessa Pa. in denuncia "la sottoscritta medesima ha fissato appuntamento con il veterinario per le ore 8:00 del sabato del 22/6 per fare in modo che il cane avesse il microchip e diventasse a tutti di effetti di sua proprietà - In denuncia la Pa. lasciava intendere (avendo usato l'inciso "nonostante l'associazione si dichiarasse no profit") di aver pagato il cane 40,00 euro, ma durante l'esame testimoniale la stessa ha detto chiaramente che, di fronte alla sua offerta di pagare l'animale, la Pa. avrebbe risposto "no, non voglio soldi! ... ho dato solo 40 euro per mangime per i cani che aveva l'associazione"; - La Pa. decise di non riconsegnare il cane alla Pa. (raccontandole la bugia che il cane fosse morto) in quanto si rese conto che il cane in meno di 20 giorni di affido - in casa della Pa. - era notevolmente dimagrito. Tanto è emerso chiaramente non solo dall'ascolto dei testi della Procura, ma anche dalle dichiarazioni della Pa. la quale, su domanda specifica ha risposto che la Pa. confessò di non averle restituito il cane perché "non stava bene a casa mia - La Pa. durante l'ascolto ha più volte affermato che il cane non aveva alcun problema e che stava "benissimo!", ma questo dichiarazione contrasta con il fatto che, come dichiarato dalla teste Ca., conoscente della Pa., in un periodo di appena 20 giorni il cane aveva avuto spesso diarrea e vomito perché mangiava qualunque cosa (anche foglie di palma e molluschi crudi) tant'è che più volte era stato necessario portarlo dai veterinario, compreso per un'ulcera corneale all'occhio, causata da uno dei gatti della signora. La C. ha anche riferito che la Pa. le disse che durante il periodo di affido il cane aveva perso 8 kg! Tali essendo le risultanze processuali questo giudice ritiene che non vi siano prove sufficienti per emettere una sentenza di condanna. Manca infatti sia l'elemento oggettivo dell'altruità del bene, che l'elemento soggettivo déll'aver agito per procurare a sé o al altrui un ingiusto profitto. È infatti evidentemente che la Pa. non agì con l'obiettivo di procurarsi un vantaggio, ma con lo scopo evidente di allontanare il cane da una abitazione che gli aveva procurando molti problemi fisici. Così come non vi alcuna prova che dimostri che il cane fosse di proprietà della Pa. se si considera che costei ha dichiarato di non averlo pagato e che sarebbe diventato di sua proprietà con l'apposizione del microchip. Certamente censurabile, sul piano morale, è stata la decisione della Pa. di mentire sul fatto che il cane fosse morto, ma al di là di questo, non è possibile configurare nella condotta della stessa elementi che abbiano rilevanza penale. Da qui l'assoluzione dell'imputata dai fatti a lei ascritti ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p. perché il fatto non sussiste. P.Q.M. IL TRIBUNALE Visto l'art. 530, comma 2, c.p.p. assolve Pi.An. dal reato a lei ascritto perché il fatto non sussiste. Così deciso in Lecce il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE SECONDA SEZIONE PENALE Il Giudice dott. Luca Scuzzarella - alla pubblica udienza dibattimentale del 10 gennaio 2024 - ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura, la seguente: SENTENZA con motivazione contestuale nei confronti di Ma.An., nato il (...) a O. (S.) e residente a C., in via Comunale P., n. 1487, libero, assente. Difeso di fiducia dall'avvocato Gn.MA. del foro di Lecce, assente, sostituito con delega orale dall'avvocato Si.ST. del foro di Lecce. IMPUTATO VEDI ALLEGATO Con l'intervento del P.M. dott. Vi.AP. - V.P.O. MOTIVAZIONE Con decreto di citazione a giudizio del 03.11.2022 Ma.An. veniva tratto innanzi a questo Tribunale per avere, nella qualità di legale rappresentante della ditta "Om. s.r.l." (con sede legale in C. alla via T., n. 26), omesso il versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per l'importo di Euro 13.128,34 nell'anno 2016 (periodo da dicembre 2015 a novembre 2016).. Dichiarata l'assenza dell'imputato, all'udienza del 07.02.2023 il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento. Alla odierna udienza, ammessi i mezzi di prova richiesti dalle Parti, il processo veniva istruito mediante l'escussione del teste presente C.G.. Esaurita l'assunzione delle prove, le Parti rassegnavano le conclusioni riportate in verbale. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale pronunciava sentenza con contestuale deposito della motivazione. Dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni rese dal teste C., Funzionario INPS, in linea con quanto rilevato dalla difesa, emerge che per l'annualità 2016 l'imputato, entro i tre mesi dalla notifica dell'atto di accertamento, ha effettuato il versamento delle ritenute dovute per un importo pari a Euro 6.061,00, e pertanto inferiore all'ammontare complessivo indicato nel prospetto inadempienze relativo all'anno 2016. In proposito osserva il Tribunale che l'art. 2 comma 1 bis del D.L. n. 463 del 1983, come modificato dall'art. 3, comma 6 del D.Lgs. n. 8 del 2016. prevede che l'omesso versamento delle ritenute previdenziali è punito con sanzione penale se superiore alla soglia di Euro 10.000 annui, applicandosi altrimenti la sanzione amministrativa pecuniaria. La medesima norma prevede altresì che "il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione". Si ritiene in proposito, conformemente al prevalente indirizzo interpretativo, che il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per provvedere al versamento dovuto, costituisca una causa di non punibilità del reato già consumato e non invece una condizione di procedibilità dello stesso, cfr. Cass., Sez. un., 24.11.2011 (dep. 18.1.2012) n. 1855. Da quanto sopra deriva che ai fini della operatività della scusante sopra richiamata è necessario che il pagamento avvenga in misura integrale, mentre non sarebbe di per sé sufficiente un pagamento parziale ovvero rateale che riduca il debito al di sotto della soglia di rilevanza penale della fattispecie incriminatrice. In questo senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità secondo cui "In materia di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, nel caso di versamento soltanto parziale della somma complessivamente dovuta nel termine perentorio di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione, non opera la causa di non punibilità del soggetto agente prevista dall'art. 2, comma 1-bis, L. n. 638 del 1983 così come modificato dal D.Lgs. n. 211 del 1994 (cfr. Cass. pen. Sez. III Sent., 02-05-2017, n. 20855, rv. 270504) Cionondimeno nel caso di specie la verifica dell'avvenuto pagamento in misura pari a circa la metà dell'importo complessivamente dovuto all'INPS, denota la sussistenza di una causa di oggettiva difficoltà economica dell'imputato e una minore offensività del reato, che unitamente alla occasionalità della condotta, desumibile dalla assenza di precedenti condanne, impongono una valutazione in termini di particolare tenuità del fatto commesso ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Per tali ragioni l'imputato deve essere prosciolto dalla imputazione ascrittagli con la formula indicata nel dispositivo. P.Q.M. Visto Kart. 530 c.p.p. ASSOLVE Ma.An. dal reato ascrittogli in quanto non punibile per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Così deciso in Lecce il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCE I° SEZIONE PENALE Il Giudice Dott.ssa Elena COPPOLA - alla pubblica udienza del 10.01.2024 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura della seguente SENTENZA con motivazione contestuale Nei confronti di: Fa.Mu., nato in G. (P.) il (...), residente in L. via I. n. 55, ove domiciliato, libero, assente. Difeso di fiducia dall'avv. Do.Ma., presente. Con l'intervento del PM Dott.ssa Ma.Li. - VPO MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto di citazione a giudizio, emesso a seguito di opposizione al decreto penale di condanna, Fa.Mu. per rispondere dei reati di cui agli artt. 474 c.p. e 648 c.p. commessi in Lecce il 4 ottobre 2020. All'udienza del 17 febbraio 2023, il Tribunale, accertata la regolare costituzione delle parti ed ammesse le relative prove, rinviava il processo per l'intera istruttoria ad una successiva data. All'udienza del 10 gennaio 2024, acquisito con l'accordo delle parti gli atti a firma dei testi del P.M., con rinuncia all'esame, il Tribunale dichiarata esaurita l'istruttoria invitava le parti a concludere, pronunciando, all'esito della camera di consiglio sentenza. Ciò posto, sulla scorta delle emergenze istruttorie il Tribunale reputa che il Fa. possa essere mandato assolto con la formula dell'art. 131 bis c.p. Come emerge dal verbale di sequestro in atti, il 4 ottobre 2020 il personale della Polizia Locale di Lecce, nel corso di accertamenti di abusivismo commerciale, provvedeva a porre sotto sequestro cover telefoniche contraffatte con marchi "(...)", "(...)" ed "(...)". Ebbene, occorre evidenziare come la prova della contraffazione può ben desumersi dal verbale di sequestro in atti, sicché promanante da soggetti evidentemente in possesso di conoscenze in tale materia (sul punto "la contraffazione di marchi, modelli e segni distintivi ben può essere accertata in via testimoniale mediante escussione di soggetti qualificati, in virtù delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività", cfr. Cassazione penale, sez. II, 11 novembre 2010, n. 44326; nello stesso senso più di recente Cassazione penale sez. II, 26/10/2017, n.53790 secondo la quale "la prova della falsificazione del marchio di un bene può essere fornita anche dalla testimonianza del soggetto operante o di un soggetto esperto in tale marchio, laddove si tratti di un soggetto qualificato aduso a tale genere di controlli e lo stesso spieghi in maniera logica attraverso quali indici rivelatori egli è pervenuto alla conclusione che si tratti di un prodotto contraffatto"). Dimostrata la contraffazione, anche in difetto di opportuno fascicolo fotografico, sussistono astrattamente entrambi i delitti di cui all'art. 474 c.p. e di cui all'art. 648 c.p.. Ed invero, da sempre si ritiene che il bene garantito dalla norma di cui all'art. 474 c.p. è la pubblica fede, che viene certamente pregiudicata da condotte che realizzino la vendita di prodotti con marchi o segni distintivi riproducenti quelli originali e difficilmente distinguibili da questi: data la funzione attribuita al marchio - elemento sul quale la collettività fa affidamento per individuare la provenienza del prodotto - ogni forma di imitazione del segno distintivo produce per il pubblico un rischio di confusione, disorientando e compromettendo la regolare formazione delle scelte; quando i falsi marchi vengono utilizzati su prodotti affini, la contraffazione del marchio o la vendita di prodotti con segni distintivi contraffatti comportano la confondibilità tra i segni e il rischio di confusione per il pubblico dei consumatori: tali condotte vengono pertanto penalmente sanzionate per evitare la lesione o la messa in pericolo della pubblica fede. Peraltro è stato correttamente evidenziato che la lesione della pubblica fede deve essere valutata non soltanto in capo all'acquirente del prodotto recante il segno contraffatto, ma anche e soprattutto nella prospettiva del produttore, sottolineandosi che l'art. 474 c.p. non mira solo a tutelare il consumatore dalle piccole o grandi frodi di chi pone in vendita merce (interesse già adeguatamente garantito dall'art. 517 c.p.), ma "è posta a tutela dei marchi e dei segni distintivi, costituendo una protezione per i titolari degli stessi" (Cass. Pen, sez. II, 13 febbraio 2001, n. 6062). Risulta come detto dal verbale che il Fa. poneva in vendita detti prodotti, sicché è integrato in astratto il reato de quo. E' altresì integrato il delitto di cui all'art. 648 c.p., posto che il Fa., ai fini della messa in vendita delle cover in questione, le aveva ricevute da qualcuno, senza aver contribuito alla commissione dell'illecito a monte, ovvero la materiale produzione di tali beni artefatti rispetto all'originale. Secondo l'orientamento oramai univoco in giurisprudenza, chi vende prodotti con marchi precedentemente contraffatti da altri, deve rispondere - oltre che del reato di cui all'art. 474 c. p. per il fatto di detenere per vendere o di porre in vendita prodotti con marchi falsi -, anche del più grave reato di ricettazione, in quanto ha acquistato o ricevuto cose provenienti dal delitto presupposto di contraffazione: il concorso materiale di reati viene affermato per l'eterogeneità del bene giuridico rispettivamente protetto dalle norme e per la diversità delle fattispecie dal punto di vista oggettivo: "il delitto di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore"(Cass. Pen., sez. II, 26 marzo 2012, n. 28067). In ogni caso, tenuto conto dell'esiguo numero delle cover, una trentina in tutto, va sicuramente evocata l'applicazione dell'art. 648, comma IV, c.p., nuova formulazione. Nondimeno, come anticipato il Tribunale reputa che possa altresì serenamente addivenirsi ad una pronuncia del tutto liberatoria ai sensi dell'art. 131 bis c.p. D'altronde, a ciò non osta la previsione della cornice edittale di cui all'art. 648, comma IV, nuova formulazione, in combinato disposto con la riforma dell'art. 131 bis c.p., giusta L. Cartabia, che ha ampliato il novero della casistica di applicabilità di detto istituto, stabilendo che esso è possìbile in presenza di pena edittale non superiore nel minimo a due anni di reclusione. La condotta del Fa., complessivamente valutata, si ritiene suscettibile di comportare, in assenza di apprezzabili elementi di segno contrario, una messa in pericolo di particolare tenuità rispetto all'interesse del titolare del bene, le varie società coinvolte che non si sono nemmeno costituite parti civili. Ed invero, l'evidente scarso valore dei beni posseduti dal Fa., l'assenza di precedenti penali e quindi la personalità dell'imputato, infine, il difetto di qualsivoglia elemento ostativo tra quelli previsti dalla norma consentono sicuramente la percorribilità di questa strada. E' dunque legittimo riconoscere la speciale tenuità per entrambi i delitti ascritti al Fa.. Nulla va disposto sui beni, posto che gli stessi non esistono più giusta verbale di distruzione in atti. I motivo sono contestuali. P.Q.M. Letti l'art. 530 c.p.p., nonché 131 bis c.p. assolve Fa.Mu. dall'imputazione ascrittagli, previa riqualificazione del delitto di cui all'art. 648 c.p. nella ipotesi di cui al quarto comma dello stesso articolo, perché non punibile per particolare tenuità del fatto. Così deciso in Lecce il 10 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2024.
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