Sentenze recenti Tribunale Lecco

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LECCO La dott.ssa Federica Trovò, in funzione di Giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero di ruolo generale 287/2022, avente per oggetto "opposizione ex lege 92/2012 - licenziamento per giustificato motivo oggettivo", promossa DA (...) S.p.A. (c.f. (...)) - con il patrocinio dell'Avv. PA.BA., parte opponente; CONTRO (...) (c.f. (...)) - con il patrocinio dell'Avv. AG.MA., parte opposta. - MOTIVI DELLA DECISIONE IN FATTO E DIRITTO - 1. Con ricorso ex art. 1, comma 51, legge 28 giugno 2012 n. 92, depositato il 10.6.2022, la società (...) S.p.A. ha convenuto in giudizio (...), proponendo opposizione avverso l'ordinanza del 10.5.2022, che ha accertato l'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore e ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, con conseguente condanna della società a corrispondere al dipendente (che ne ha fatto richiesta) l'indennità sostitutiva della reintegra pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (indicata in Euro 2.934,55), oltre all'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, per tutto il periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'ordinanza, previa deduzione dell'aliunde perceptum per l'attività di lavoro dipendente svolta dall'(...) dopo il licenziamento ed in ogni caso entro il limite delle dodici mensilità. Nell'odierno ricorso la società opponente ha ribadito e precisato quanto già esposto nella fase sommaria, assumendo fermamente di aver fornito adeguata prova in ordine al giustificato motivo di licenziamento, sia con riferimento al riassetto organizzativo esistente al momento della comunicazione del recesso ed al nesso causale tra tale riassetto ed il licenziamento del sig. (...), sia con riferimento al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nella scelta del dipendente da licenziare e dell'obbligo di repechage. A supporto della propria tesi, la difesa attorea ha prodotto nell'odierno giudizio nuovi documenti (in particolare, una relazione sottoscritta da (...), responsabile commerciale della società (...) S.r.l. - di cui l'opponente è concessionaria - ed un campione delle schede di lavorazione dei colleghi del lavoratore licenziato), nonché ha formulato richieste di prova orale. (...) S.p.A. ha chiesto pertanto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: IN VIA PRINCIPALE sul licenziamento: accertare e dichiarare, la legittimità del licenziamento comminato dalla soc. (...) S.p.a. al sig. (...) con lettera del 13.12.2022 per tutti i motivi esposti nel presente atto; in ogni caso rigettare tutte le domande proposte dal sig. (...) nei confronti della soc. (...) S.p.a. aventi ad oggetto l'impugnazione del licenziamento comunicato con lettera del 13.12.2021;per l'effetto condannare, il sig. (...) all'immediata restituzione in favore della soc. (...) S.p.a. di quanto già corrisposto in esecuzione della condanna statuita nell'ordinanza impugnata, e nello specifico del complessivo importo di Euro 47.065,67 di cui al doc. 22 e 23 (o per l'altra somma risultante di giustizia) che la soc. (...) S.p.a. ha già provveduto a corrispondere al sig. (...). Con interessi e rivalutazione. IN VIA SUBORDINATA sul licenziamento: laddove il Giudice, anche a seguito della presente opposizione, ritenga di confermare la legittimità del licenziamento, voglia applicare la disciplina prevista dall'art. 18 co. 5 L. n. 300/1970, così come richiamata dall'art. 18 co. 7 l. cit., dichiarando comunque risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e limitando la condanna al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva pari al minimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2.934,55 lordi, per tutte le ragioni esposte nel presente ricorso. In ogni caso sulle spese: Con vittoria di spese diritti ed onorari di causa, sia della presente fase di giudizio, sia della fase sommaria ex art. 1 co. 48 ss. L. n.92/2012. Si è costituito in giudizio (...), chiedendo l'integrale rigetto delle domande attoree e la conferma dell'ordinanza opposta, in particolare evidenziando che la difesa dell'azienda si sarebbe limitata a riprodurre le difese già svolte nella precedente fase, tuttavia producendo solo in questa sede copiosa documentazione - che avrebbe potuto allegare in precedenza, essendo già nella sua disponibilità - e senza comunque assolvere agli oneri della prova su di essa gravanti in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La parte opposta ha eccepito altresì che le richieste di prova testimoniale dedotte dalla controparte non siano pertinenti, precise e circostanziate rispetto al thema decidendum, giacchè nulla potrebbero dimostrare al riguardo. Tentata inutilmente la conciliazione tra le parti, con ordinanza riservata del 14.10.2022, ritenuto non necessario procedere ad istruttoria, è stata fissata l'udienza per la discussione finale, all'esito della quale è stata emessa la presente decisione. 2. Merita osservare che, pochi giorni dopo il deposito dell'ordinanza qui impugnata, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo periodo del comma settimo dell'art. 18 St. Lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, limitatamente alla parola "manifesta", il che corrobora l'impianto argomentativo sulla base del quale, all'esito della prima fase, è stata ritenuta sussistente l'ipotesi di "evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti giustificativi del licenziamento", da cui deriva l'applicabilità della tutela reintegratoria, tra l'altro quest'ultima non più facoltativa in seguito al precedente intervento correttivo della Corte Costituzionale (sent. n. 59/2021). In particolare, con la sentenza n. 125/2022, il Giudice delle leggi (davanti al quale il Tribunale di Ravenna aveva sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione - rispetto all'art. 18 St. Lav.. nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della "manifesta insussistenza del fatto stesso ", posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo), ritenendo fondate le censure formulate dal tribunale rimettente, ha ribadito anzitutto che: "Nel peculiare sistema delineato dalla L. n. 92 del 2012, la reintegrazione, sia per i licenziamenti disciplinari sia per quelli economici, si incardina sulla nozione di insussistenza del fatto, che chiama in causa l'aspetto qualificante dei presupposti di legittimità del licenziamento (sentenza n. 59 del 2021, punto 9 del Considerato in diritto)" e che "È onere del datore di lavoro dimostrare tali presupposti, alla luce dell'art. 5 della L. 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali) che completa e rafforza, sul versante processuale, la protezione del lavoratore contro i licenziamenti illegittimi. In armonia con le indicazioni delineate da questa Corte (sentenza n. 45 del 1965, punto 4 del Considerato in diritto), la prospettiva sostanziale e quella processuale convergono nell'attuare le "doverose garanzie "che il dettato costituzionale prescrive, allo scopo di salvaguardare la dignità della persona del lavoratore ingiustamente licenziato per "notevole inadempimento degli obblighi contrattuali" o per "ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa" (art. 3 della L. n. 604 del 1966)". Quindi la Corte Costituzionale ha chiarito che "Il fatto che è all'origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso dal contratto, che si configura come extrema ratio, per l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore. Al fatto si devono dunque ricondurre l'effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale. Su questi aspetti il giudice è chiamato a svolgere una valutazione di mera legittimità, che non può "sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità" (sentenza n. 59 del 2021, punto 5 del Considerato in diritto)". Fatte queste premesse, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il requisito del carattere "manifesto", in quanto riferito all'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, è, oltre che indeterminato, anche svincolato dal disvalore dell'illecito, potendo dunque "condurre a soluzioni difformi, con conseguenti ingiustificate disparità di trattamento" e ad un aggravio irragionevole e sproporzionato del processo, perciò ha così statuito: "La previsione del carattere manifesto di una insussistenza del fatto, già delimitata e coerente con un sistema che preclude il sindacato delle scelte imprenditoriali, presenta i profili di irragionevolezza intrinseca già posti in risalto nella sentenza n. 59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo della reintegrazione". 3. In applicazione di tali principi, si ritiene che l'odierno ricorso non meriti accoglimento e che a tale conclusione si pervenga senza necessità di espletare attività istruttoria, per le ragioni che si vanno ad esporre. Come già ritenuto nell'ordinanza impugnata - la cui parte argomentativa qui si richiama, con particolare riferimento ai principi di diritto applicabili in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo - si ribadisce che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il contenuto dell'onere probatorio gravante sul datore di lavoro consiste non solo nella effettiva sussistenza delle ragioni aziendali e del nesso causale tra queste ed il recesso datoriale, ma altresì nell'inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato. È certo, quindi, che ricorra un'ipotesi di insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento quando il nesso causale tra il riassetto organizzativo e la soppressione del posto di lavoro occupato dal lavoratore licenziato sia eliso da una condotta datoriale obiettivamente artificiosa, in quanto diretta all'esercizio di un potere di selezione arbitraria del personale da licenziare, ma anche quando sia evidente l'insussistenza della ragione inerente l'attività produttiva ovvero dell'impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore (v. sentt. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 7167 e 3129/2019). Si osserva allora che, nel caso di specie, il datore di lavoro non ha assolto all'onere della prova su di lui gravante e ciò va detto anche alla luce del materiale probatorio riversato in questa causa e delle richieste istruttorie formulate in ricorso, che appaiono inidonee a provare il giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento. 3.1. Deve anzitutto rilevarsi che non è stata fornita dal datore di lavoro la prova dell'effettiva riorganizzazione dell'azienda. La società ricorrente infatti ha ribadito quanto affermato in fase sommaria in ordine alla circostanza che "dal 2015 il mercato dei carrelli elevatori si è lentamente spostato sui carrelli elettrici fino a raggiungere nel 2020/2021 una netta e definitiva predominanza a discapito della vendita dei carrelli a motore diesel benzina che, al contrario, non sono più stati oggetto di evoluzione tecnologica" e che "negli ultimi 20 anni, dunque, è avvenuta una repentina transizione da un regime che vedeva una ripartizione tra il 70% e l'80% di mezzi a motore diesel ed un 20% - 30% a motore elettrico, ad una odierna ripartizione tra 95% di mezzi a motore elettrico e un 5% residuale di mezzi a motore diesel" (cfr. pag. 16 ricorso). A supporto della propria posizione, la difesa attorea ha allegato quindi una relazione sottoscritta dal sig. (...), responsabile commerciale della (...) S.r.l. - di cui la società opponente è concessionaria per la zona di Lecco, Como e Milano Nord Ovest - che, a suo dire, dimostrerebbe i "presupposti" della riorganizzazione. Tuttavia, anche a voler dare per ammessa la competenza del sig. (...) e la veridicità di quanto da egli stesso esposto in ordine all'andamento del mercato dei carrelli elevatori e della transizione dal carrello a motore diesel a quello a motore elettrico, si deve evidenziare come tale relazione contenga riferimenti al mercato dei carrelli in generale e non alla specifica situazione dell'odierna opponente. Il sig. (...) conclude infatti la propria relazione affermando che: "(...) negli anni 2015 il mercato dei carrelli elevatori si è nettamente spostato sui carrelli elettrici fino a raggiungere nel 2020/2021 una netta definitiva predominanza a discapito della vendita dei carrelli a motore diesel/benzina. Ad oggi le prestazioni lavorative dei carrelli ad alimentazione elettrica sono identiche se non superiori a quelle degli equivalenti con alimentazione endotermica. Chiaramente tutte queste innovazioni sulle batterie hanno portato anche ad un completo rinnovo degli impianti elettrici per la distribuzione della corrente ai vari componenti idraulici dei mezzi (Trazione/Sollevamento/Brandeggio/Impianti ausiliari) con l'introduzione di complicati componenti elettronici di controllo. Pertanto anche il Personale del Service ha avuto una notevole evoluzione ed oggi è richiesta per la loro formazione tecnica preferibilmente una estrazione scolastica derivante da studi relativi all'elettronica ed all'informatica. L'utilizzo dei carrelli endotermici a motore diesel / benzina si è ridotto a mezzi di grande portata (dai 10.000 in avanti). (...) non commercializza mezzi per questo range di mercato. (...) continua commercializzare carrelli endotermici (benzina/diesel) da 1.800 a 8.000 Kg di portata ma questi carrelli rappresentano solamente il 5/6 % del suo mercato in Italia" (cfr. relazione prodotta sub doc. n. 3 di parte ricorrente). In definitiva, la relazione in esame potrebbe al più rappresentare un indizio della riorganizzazione (anche) dell'assetto della società opponente, ma questa stessa valenza indiziaria è destinata a sfumare a fronte della totale mancanza di riferimenti specifici ai concreti cambiamenti che vi sarebbero stati negli ultimi anni rispetto al "parco carrelli" dell'odierna opponente. Infatti, in nessun punto della relazione si fa menzione della società (...) S.p.A. e dei cambiamenti della sua organizzazione aziendale. Ne consegue che anche l'eventuale conferma testimoniale (v. cap. n. 53 da sottoporre al sig. (...)) di considerazioni generiche sull'evoluzione tecnologica dei beni commerciati dall'azienda risulti superflua ai fini della prova della legittimità del licenziamento del sig. (...). Come già rilevato nell'ordinanza impugnata, la società avrebbe potuto (e dovuto) documentare, per esempio, l'effettiva trasformazione del suo parco macchine, con riferimento alla situazione aziendale preesistente e a quella attuale. Ad oggi infatti rimangono ancora non allegati, oltre che indimostrati, gli elementi indicatori del rinnovamento e della sua evoluzione negli anni, non rispetto alla generica situazione di mercato, ma in relazione alla specifica situazione della (...) S.p.A.. È ovvio che, sotto tale profilo, nessuna valenza probatoria hanno le fotografie allegate al ricorso sub doc. 5 (le quali mostrano la differenza tra gli impianti elettrici basilari montati sui carrelli di fine anni '90/inizio anni 2000 e quelli montati sui carrelli elettrici dal 2015 in poi), sia le brochures allegate sub doc. da n. 6 a 13 (attestanti la presenza di componenti elettronici accessori che riguardano la sicurezza e il controllo da remoto, che sono montati sui carrelli elettrici di ultima generazione anni 2020/2021 a riprova ulteriore dell'evoluzione tecnologica), trattandosi, ancora una volta, di elementi probatori addotti a dimostrazione dell'andamento generale del mercato, ma niente affatto idonei a dimostrare quanto pretenderebbe la difesa attorea e cioè che la struttura aziendale della (...) S.p.A. si sia aggiornata "compatibilmente alla progressiva implementazione tecnologica dei mezzi da essa trattati" (cfr. pag. 19 del ricorso). In definitiva, continua a difettare la prova che sia avvenuta in concreto la transizione in azienda da un regime di prevalenza dei motori a diesel ad un regime con il 95% di mezzi a motore elettrico. 4. Il difetto di prova della riorganizzazione aziendale sarebbe di per sé sufficiente a determinare il rigetto del ricorso. Ma anche ammesso che tale riorganizzazione vi sia stata, difetterebbe comunque la prova che da essa sarebbe conseguita l'inutilizzabilità del lavoratore licenziato. Sul punto la società ha affermato che, considerato l'intero organico dei dipendenti, (...) era "l'unico tecnico esterno con competenze esclusivamente di tipo meccanico e con nessuna capacità (se non banali interventi di sostituzione delle batterie o smontaggio di un teleruttore) in campo elettrico ed elettronico" (cfr. pag. 22 ricorso) e che: "il sig. (...): - si occupava quasi esclusivamente di interventi su carrelli elevatori, mentre in modo assai eccezionale operava su gru, trattori e macchine pulitrici; - effettuava interventi soltanto di tipo meccanico sui mezzi, non essendo in grado di intervenire sulla parte elettrica ed elettronica se non per banali operazioni quali, ad esempio, la sostituzione di una batteria o di un teleruttore" (cfr. pag. 24 ricorso). Tuttavia, parte opponente non si è premurata di produrre le schede di lavorazione dell'(...), che sarebbero state decisive per illustrare il calo, od anche solo il mutamento, del tipo di interventi affidatigli nel corso degli anni. Considerazione quest'ultima che merita particolare attenzione, tenuto conto che tale carenza è emersa ictu ocli, proprio a fronte della copiosa produzione delle schede degli altri dipendenti (v. doc. 15 di parte ricorrente), mentre, rispetto alla posizione dell'(...) la difesa attorea si è limitata a contestare nuovamente le schede prodotte in fase sommaria dal lavoratore e ad osservare quanto segue: "come si può ben vedere, gli interventi sulle parti elettriche svolti dal sig. (...) oltre ad essere estremamente saltuari, riguardano operazioni di una banalità estrema quali la carica, la pulizia o la sostituzione di una batteria, oppure nel caso di maggiore complessità lo smontaggio di un teleruttore!" (cfr. ricorso pag. 33). Trattasi all'evidenza di considerazioni scarsamente significative ai fin della prova dell'inutilità del lavoratore, laddove la "saltuarietà" e la "banalità" non possono essere apprezzate in mancanza di termini di paragone (quali avrebbero potuto essere il numero e la qualità degli interventi effettuati dall'(...) negli anni precedenti ed il numero degli interventi effettuati nell'attualità dagli altri dipendenti). In particolare, manca in ricorso l'allegazione e la prova della quantità delle riparazioni effettuate dall'(...), le quali, a prestare fede all'impostazione difensiva dell'azienda, avrebbero dovuto subire una netta diminuzione a partire dal 2015, a fronte della sempre crescente commercializzazione e riparazione di carrelli elettrici, al posto di quelli meccanici. Non è dimostrato pertanto che la produttività dell'(...) sia cambiata significativamente nel corso degli anni, tant'è che - in mancanza di prova contraria-non si può escludere che essa sia rimasta pressoché invariata. 5. Si evidenzia infine che, nel caso di specie, non trattandosi di soppressione della posizione lavorativa e pacificamente non sussistendo una situazione di crisi aziendale, l'onere della prova in ordine all'asserita sopravvenuta inutilità del lavoratore si presenta come particolarmente rigoroso. Tanto va detto perché in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo vanno necessariamente bilanciati gli interessi delle parti coinvolte, anche nel rispetto dei fondamentali principi di buona fede e correttezza, in ragione dei quali il Giudice non può esimersi dal verificare scupolosamente non solo la sussistenza del nesso tra la riorganizzazione e il licenziamento, ma anche l'entità dello "sforzo" compiuto dal datore di lavoro nel valutare se il dipendente sia in qualche modo riutilizzabile all'interno dell'azienda, eventualmente tramite reimpiego in mansioni diverse, prima di ricorrere all'estrema ratio del recesso. Per suffragare la presunta inidoneità dell'(...) a svolgere interventi di tipo elettrico ed elettronico la società non può allora semplicemente affermare che egli non fosse qualificato per il tipo di interventi richiesti, pretendendo di trarre tale conclusione soltanto dal fatto che al momento dell'assunzione la sua mansione era quella di "operaio meccanico addetto alla riparazione dei veicoli industriali" (cfr. doc. 14 ricorso, contratto di assunzione) ed invece nulla deducendo in ordine alla sua formazione ed alle competenze effettive. Inoltre, nel comparare la posizione dell'(...) a quella degli altri dipendenti, la società non doveva limitarsi ad enunciare le mansioni dei vari dipendenti dell'organico aziendale, ma avrebbe dovuto spiegare per quale ragione gli altri lavoratori fossero da considerare più qualificati di lui e quindi avrebbe dovuto individuare gli elementi caratterizzanti le diverse professionalità (quali ad es. i diplomi od i titoli di studio conseguiti, ma anche i percorsi lavorativi od i corsi di specializzazione, che dimostrerebbero le competenze specifiche in campo elettrico/elettronico degli altri dipendenti ed il loro difetto in capo all'(...)). Sempre in questa prospettiva, se è vero che in linea generale tra gli obblighi del datore di lavoro non rientra quello di curare la formazione professionale del dipendente per permettergli di eseguire correttamente la prestazione lavorativa, tuttavia, nei casi in cui la professionalità del lavoratore sia considerata obsoleta a seguito di una riorganizzazione dell'azienda, l'applicazione dei sopra richiamati principi di buona fede e correttezza implica che il datore di lavoro, prima di risolvere il rapporto, valuti non solo l'impossibilità del repechage, ma anche l'impossibilità (o quantomeno l'antieconomicità) della riqualificazione professionale del dipendente (ad esempio attraverso corsi professionali o l'affiancamento ad altri colleghi). Per queste ragioni si ritiene che nemmeno in questa fase di opposizione sia stato provato il giustificato motivo del licenziamento, di cui va perciò confermata la dichiarazione di illegittimità. Le domande attoree vanno pertanto rigettate, con conseguente conferma dell'impugnata ordinanza. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenendo conto che non è stata svolta attività istruttoria. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando nel merito del giudizio proposto da (...) S.p.A. nei confronti di (...), ogni diversa istanza ed eccezione disattesa od assorbita, rigetta l'opposizione proposta da (...) S.p.A. e, per l'effetto, conferma integralmente l'ordinanza del 10.5.2022, emessa ex art. 1, comma 49, legge 28 giugno 2012 n. 92; condanna (...) S.p.A. a rifondere ad (...) le spese del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso delle spese forfettarie pari al 15% dei compensi professionali, iva e cpa, come per legge; fissa il termine di giorni 15 per il deposito della sentenza. Così deciso in Lecco il 24 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Nella persona del dott. Mirco Lombardi, in qualità di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 18 giugno 2020 ed iscritta al n. 1094 del Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2020 da: - (...) (CF. (...)), in qualità di socio amministratore della (...) s.n.c. di (...) e (...), rappresentato e difeso dal proc. dom. avv. (...) del foro di Lecco, con elezione di domicilio in Via (...) - Lecco, presso e nello studio del difensore, giusta procura agli atti telematici OPPONENTE contro - (...) s.p.a. (CF. (...)), in persona dei legali rappresentanti e procuratori speciali pro tempore (...) e (...), rappresentata e difesa dal proc. dom. avv. (...) del foro di Milano, con elezione di domicilio in Via (...)-Milano, presso e nello studio del difensore, giusta procura agli atti telematici OPPOSTA Oggetto: Opposizione a precetto. In data 15 giugno 2021 la causa veniva trattenuta in decisione sulle seguenti CONCLUSIONI Per parte opponente: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, domanda ed eccezione: In via preliminare e pregiudiziale: 1. accertare e dichiarare la nullità, l'illegittimità e/o infondatezza della pretesa creditoria asseritamente vantata e quindi il diritto di (...) s.p.a. a procedere ad esecuzione forzata, ovvero in via gradata accertare e dichiarare la nullità, l'illegittimità e/o inesistenza del titolo in oggetto e, conseguentemente, dichiarare che tutti gli importi, alcuno escluso od eccettuato, non sono dovuti; ovvero dichiarare la inesistente e/o omessa notifica del decreto ingiuntivo, secondo i modi prescritti dalla legge; 2. rilevato che, trattandosi di causa in materia di diritti bancari, va esperito il previo procedimento di mediazione, dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo per l'effetto, dichiarare nullo e/o annullare l'atto di precetto notificato; In via preliminare e nel merito: 1. Concedersi la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo azionato; 2. In accoglimento della proposta opposizione per i motivi esposti in narrativa, accertare e dichiarare l'inesistenza della notifica del titolo azionato dalla Società opposta e, per l'effetto, dichiarare nullo e/o annullare l'atto di precetto notificato; 3. Accertare e dichiarare l'erronea quantificazione del precetto notificato e, per l'effetto, dichiararlo nullo e/o annullabile; 4. Condannare la Società convenuta al pagamento delle spese, competenze ed onorari del presente giudizio, oltre accessori come per legge. Solo in via gradata e per mero scrupolo difensivo: 1. Nella non creduta ipotesi di accoglimento delle succitate conclusioni accertarsi semmai la minor somma dovuta in relazione a tutto quanto esposto e dedotto in atti ed in corso di istruttoria, attraverso la rideterminazione della misura quanto meno nei confronti del sig. (...). Salvis iuribus". Per parte opposta: "Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, previa ogni necessaria declaratoria in fatto e in diritto, respinta ogni diversa e contraria istanza, eccezione e deduzione, così giudicare: Nel merito: - rigettare tutte le domande proposte dall'opponente con atto di citazione notificato in data 18.06.2020, perché infondate in fatto ed in diritto. - condannare l'opponente ai sensi dell'art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni da lite temeraria da liquidarsi d'ufficio in via equitativa. Con vittoria di spese, diritti, onorari di causa e rimborso forfettario spese generali ". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - In data 29.5.2020 è stato notificato a (...) da parte di (...) s.p.a. atto di precetto (doc. 2 dell'opponente e doc. 4 dell'opposta) su titolo esecutivo rappresentato dal decreto ingiuntivo n. 26227/2013 emesso dal Tribunale di Milano in data 9.7.2013 per la somma capitale di euro 172.500,82 oltre interessi e spese, con richiesta di pagamento dell'importo complessivo di euro 169.450,30. 2. - Con atto di citazione notificato in data 18.6.2020, (...), in qualità di socio amministratore della (...) s.n.c. di (...) e (...) - società di carpenteria meccanica e di produzione di minuterie e lavorazioni meccaniche, che ha cessato l'attività nel 2009 ed è stata cancellata dal Registro delle Imprese il 26.11.2012 - ha proposto opposizione all'atto di precetto, asserendo l'assoluta mancata notifica del decreto ingiuntivo e la conseguente impossibilità di proporre tempestiva opposizione ad esso. Dal momento che il decreto ingiuntivo riguardava un contratto di leasing e quindi vertendosi in materia di diritti bancari, ha eccepito il mancato esperimento del previo procedimento di mediazione, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo e, per l'effetto, che fosse dichiarato nullo l'atto di precetto. Insistendo nella richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo azionato, sulla base dell'omessa notificazione del titolo esecutivo, ha concluso nel merito per la declaratoria di nullità, illegittimità e/o infondatezza della pretesa creditoria e per la rifusione delle spese di lite con distrazione in favore del procuratore. 3. - Si è costituita in giudizio (...) s.p.a., premettendo di aver acquistato pro soluto, in base ad un contratto di cessione di crediti pecuniari concluso in data 10.5.2017 con (...) s.p.a., tra gli altri, anche quello derivante dal decreto ingiuntivo de quo. Quanto all'asserita mancata notifica del decreto ingiuntivo, la convenuta ha prodotto copia del ricorso e del decreto ingiuntivo regolarmente notificato non solo presso la sede legale della società in data 1.8.2013, ma anche al socio (...), in qualità di liquidatore pro tempore di (...) e di debitore ingiunto, ed al socio illimitatamente responsabile (...), in data 9.8.2013: ha quindi chiesto che fosse rilevata l'efficacia di giudicato. Ha poi definito inconferenti le doglianze relative alla cancellazione dal Registro delle Imprese della (...) s.n.c. e del mancato avvio del previo procedimento in mediazione, da una parte poiché, in caso di estinzione di una società in nome collettivo a seguito di cancellazione dal registro delle imprese, le obbligazioni si trasferiscono ai soci illimitatamente responsabili e dall'altro poiché non risulta imposto da alcuna norma di legge di esperire preventivamente il procedimento di mediazione obbligatoria prima di notificare l'atto di precetto. 4. - All'udienza del 3.12.2020 parte attrice ha chiesto di essere autorizzata alla chiamata in causa di (...), in qualità di socio illimitatamente responsabile ed ha insistito nell'eccezione in punto di mancato esperimento del procedimento di mediazione e nella sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Non ravvisandosi l'opportunità della chiamata in causa del terzo, trattandosi di fattispecie di responsabilità illimitata dei due soci, e "considerato che parte opposta ha dato prova della regolare notifica del decreto ingiuntivo all'odierno opponente e che si versi in materia di opposizione a precetto prodromica all'esecuzione, non soggetta a mediazione obbligatoria", sono state rigettate tanto l'eccezione di omessa mediazione, quanto la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. 5. - Poiché l'attore ha tenuto ferma anche nelle conclusioni finali la domanda di nullità/annullamento del precetto per omessa mediazione ("trattandosi di causa in materia di diritti bancari, va esperito il previo procedimento di mediazione") e ne ha argomentato anche negli scritti difensivi finali, va qui ribadito come l'oggetto del presente giudizio è rappresentato dall'opposizione a precetto su titolo esecutivo giudiziale e come nessuna norma del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 imponga il preliminare tentativo di mediazione in presenza di un titolo esecutivo definitivo. Non per nulla la lettera e) dell'art. 4 d.lgs. citato esclude il procedimento di mediazione in caso di opposizione all'esecuzione forzata: detto procedimento è invero incompatibile con il processo esecutivo avente la funzione di dare attuazione al dictum scaturente da un titolo esecutivo giudiziale o stragiudiziale. 6. - Passando al merito, la ragione oppositiva principale, vertente sull'asserita mancata notificazione del decreto ingiuntivo, è stata sconfessata per tabulas dalla convenuta sin dalla sua costituzione in giudizio: con la comparsa di costituzione e risposta del 4.11.2020 (...) s.p.a. ha infatti prodotto la copia notificata del decreto ingiuntivo n. 26227/2013 del 9.7.2013, attraverso il deposito del doc. 1, attestante la regolare notificazione in data 9.8.2013 a (...), nella sua qualità di debitore ingiunto, a mezzo del servizio postale, alla residenza di Calolziocorte, via (...), con ritiro del plico da parte della figlia convivente e con invio di successiva raccomandata C.A.N. All'accertata regolare notificazione del decreto ingiuntivo consegue, non essendo stata proposta tempestiva opposizione, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, che copre sia il dedotto, sia il deducibile, e rende quindi inammissibili tutte le doglianze mosse in questa sede dall'opponente riguardo la legittimità della condanna portata dal decreto ingiuntivo. Come già anticipato nell'ordinanza resa all'udienza del 3.12.2021 a rigetto della sospensiva, costituisce principio assolutamente granitico quello secondo il quale, ogni qual volta l'esecuzione (già iniziata ovvero solo paventata come nel presente caso di notifica del precetto) si basi su un titolo esecutivo di formazione giudiziale, la relativa opposizione (ivi compresa quella a precetto) non possa fondarsi su motivi attinenti a vizi di formazione del titolo o al merito della decisione consacrata nel titolo stesso, poiché tali questioni devono essere dedotte esclusivamente nell'ambito del procedimento che ha condotto alla costituzione del titolo. In altri termini, nel caso di titolo esecutivo di formazione giudiziale al Giudice dell'opposizione a precetto (o all'esecuzione) compete unicamente un'indagine sull'esistenza e sulla validità del titolo, onde verificare se il titolo sussista oppure sia venuto meno per fattori sopravvenuti alla sua formazione, ma non può esercitare alcun controllo sul contenuto intrinseco della statuizione ed invalidarne l'efficacia in base ad eccezioni che avrebbero dovuto necessariamente esser fatte valere nel giudizio di cognizione. In definitiva, in sede di opposizione a precetto (o all'esecuzione), al debitore opponente è consentito neutralizzare la pretesa avversaria consacrata nel titolo giudiziale solo attraverso la deduzione di fatti estintivi o modificativi venuti in essere successivamente alla formazione del titolo e, come tali, non deducibili nella precedente fase (ex plurimis: Cass. 14.2.2020 n. 3716; Cass. 23.12.2020 n. 29468; Cass. 12.12.2017 n. 29786; Cass. 18.2.2015 n. 3277; Cass. 24.7.2012 n. 12911; Cass. 13.11.2009 n. 24027; Cass. 25.5.2007 n. 12251; Cass. 4.12.2002 n. 17177; Cass. 6.7.2001 n. 9205; Cass. 19.6.2001 n. 8331; Cass. 14.7.2000 n. 9335; Cass. 13.6.2000 n. 8026; Cass. 23.3.1999 n. 2742; Cass. 2.4.1997 n. 2870; Cass. 29.11.1996 n. 10650; Cass. 28.1.1988 n. 766). In modo ancor più puntuale, in caso di decreto ingiuntivo, allorché l'opposizione al decreto non sia intervenuta in termini oppure l'opponente non si sia costituito (art. 647 c.p.c.) o, ancora, sia stata dichiarata l'estinzione del processo di opposizione (art. 653 c.p.c.), il decreto ingiuntivo acquista forza di giudicato e tale efficacia paralizza qualsiasi possibilità del debitore di rimettere in discussione l'accertamento della sua esposizione debitoria. Giacché la (...) s.n.c. ed i suoi due soci illimitatamente responsabili, raggiunti da valida notifica del decreto ingiuntivo, non hanno interposto opposizione ad esso, è del tutto precluso all'ex socio (...), nel presente giudizio, far valere quelle contestazioni afferenti la presunta insussistenza delle condizioni per l'emissione del decreto ingiuntivo, il quantum del decreto stesso o la chiarezza del contratto di leasing, che necessariamente doveva dedurre con l'opposizione a decreto ingiuntivo e che restano definitivamente bloccate dal passaggio in giudicato del titolo. Da ultimo, in merito alla mancata preventiva escussione del patrimonio della (...) s.n.c. quale condizione dell'esercizio dell'azione nei confronti del (...) in qualità di socio illimitatamente responsabile, è sufficiente rimarcare come la cancellazione della società dal registro delle imprese nel 2012 e dunque l'assenza di un patrimonio di essa, diversificato da quello dei singoli soci, rende assolutamente sterile l'eccezione. In conclusione, per i motivi sopra riportati, l'opposizione a precetto va respinta. 7. - L'opposta ha avanzato domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. In effetti, la condotta processuale del (...) merita sanzione: lo stesso, infatti, non solo ha introdotto nel giudizio di opposizione a precetto questioni afferenti al giudizio di merito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, inammissibili per granitica giurisprudenza, ma inoltre, nonostante la piena prova offerta da (...) s.p.a. della regolare notifica del decreto ingiuntivo, ha insistito, senza valida giustificazione, nella prosecuzione del giudizio attraverso la richiesta di concessione dei termini di cui all'art. 183 comma VI c.p.c. e la proposizione di istanze istruttorie. L'attore ha dunque protratto con colpa grave il processo e va condannato al risarcimento dei danni verso la società convenuta, danni che si liquidano in via equitativa - tenuto conto dell'attività processuale successiva all'accertamento in prima udienza da parte del Giudice della regolare notifica del titolo alla base del precetto - in euro 3.000,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. 8. - Le spese di lite seguono la soccombenza, sicché l'opponente (...) va condannato a rifonderle all'opposta nell'importo che si liquida - in mancanza di nota, tenuto conto del valore della causa (pari al precetto di euro 169.450,30), dell'attività concretamente effettuata (senza reale istruttoria) e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 - in euro 8.000,00 (per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Per Questi Motivi Il Tribunale di Lecco, in persona del dott. Mirco Lombardi, definitivamente pronunciando, così provvede: RIGETTA l'opposizione promossa da (...) con atto di citazione notificato in data 18.6.2020. CONDANNA (...) (CF. (...)) a rifondere alla società opposta le spese di lite per euro 8.000,00 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. CONDANNA (...) (CF. (...)) a pagare a (...) s.p.a. a titolo di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. l'importo di euro 3.000,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Così deciso in Lecco il 1° ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Lecco SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dr.ssa Marta Paganini ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. R.G. 3086/2017 promossa da OR.PA. (c.f./p.iva (...)), CR.AL. (c.f./p.iva (...)), CR.CH. (c.f./p.iva (...)), CR.CA. (c.f./p.iva (...)), in proprio e quali eredi legittimi di CR.MA., nonché CR.GI. (c.f./p.iva (...)), NA.MA. (c.f./p.iva (...)), tutti con il patrocinio dell'avv. BA.AL., con elezione di domicilio presso il suo studio in Milano Viale (...); ATTORI contro TE. S.A. (c.f./p.iva (...)), con il patrocinio degli avv.ti RO.FR., CH.FI. e MU.GI., con elezione di domicilio presso lo studio di quest'ultimo in Lecco, via (...); CONVENUTO RAGIONI DELLA DECISIONE Cr.Al., Or.Pa., Cr.Ch., Cr.Ca., Cr.Gi. e Na.Ma., rispettivamente padre, madre, sorelle e nonni paterni di Cr.Ma., hanno convenuto in giudizio Te. s.a. con sede in (...) (Svizzera, Canton Vallese) per ottenere nei suoi confronti la condanna al risarcimento di tutti i danni derivati sia iure proprio che iure hereditatis (questi ultimi chiesti soltanto da Cr.Al., Or.Pa., Cr.Ch. e Cr.Ca.) dal sinistro sciistico occorso a Cr.Ma. in data 22.12.2014 verso le ore 12.15 in cui la stessa perse tragicamente la vita urtando contro un filo di nylon teso tra due pali in prossimità dell'arrivo della seggiovia "(...)" posto all'altezza di 1,50 m. La collisione con la parte molle del collo procurava a Cr.Ma. un grave trauma cervicale con frattura da scoppio della laringe; i tentativi di rianimazione sul posto e il trasporto in elicottero all'ospedale di Sion si rivelarono inutili e la ragazza decedeva alle ore 14.50. A fondamento delle proprie domande gli attori hanno dedotto gravissime mancanze contrattuali in capo al gestore della pista da sci Te. s.a., per aver posto in essere la situazione di pericolo non adeguatamente segnalata, ritenendo pertanto l'esclusiva responsabilità della società convenuta nella causazione del sinistro mortale. Con riferimento al quantum debeatur parte attrice ha quantificato il danno non patrimoniale subito iure proprio dai prossimi congiunti in Euro 327.990 per ciascun genitore, Euro 142.420 per ciascuna sorella e ciascun nonno, richiedendo comunque un aumento di tali importi in virtù di una liquidazione personalizzata; ha inoltre quantificato in Euro 1.055.000 il danno derivato iure hereditatis a genitori e sorelle, in misura pari al 25% ciascuno quale danno tanatologico per la perdita della vita; in sede di comparsa conclusionale, in via subordinata rispetto a tale ultima domanda, parte attrice ha chiesto la liquidazione secondo giustizia del danno biologico terminale e del danno catastrofale. Costituendosi in giudizio Te. s.a. ha contestato quanto ex adverso dedotto, eccependo preliminarmente la carenza di giurisdizione del Tribunale adito, in subordine eccependo l'inapplicabilità della legge italiana e comunque contestando nel merito gli addebiti di responsabilità ed invocando il concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell'art. 1227 co. 2 c.c. ovvero in subordine chiedendo la riduzione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1227 co. 1 c.c., nonché contestando in ogni caso la quantificazione del danno operata da parte attrice. La causa è stata istruita a mezzo delle produzioni documentali delle parti, le quali hanno infine precisato le conclusioni innanzi al sottoscritto Giudice all'udienza del 29.10.2020 nei termini sopra riportati. La domanda giudiziale attorea è fondata e merita accoglimento nei limiti e per le ragioni che di seguito si espongono. - La giurisdizione In primo luogo deve essere esaminata l'eccezione di carenza di giurisdizione del giudice italiano sollevata da parte convenuta. Secondo la prospettazione di parte convenuta, competente a conoscere della presente controversia sarebbe il giudice elvetico sulla base di tutti i possibili criteri previsti dalla Convenzione di Lugano del 30.10.2007 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ossia in particolare: - ai sensi dell'art. 2, secondo cui le persone domiciliate nel territorio di uno Stato vincolato sono convenute innanzi ai giudici di quello Stato, avendo la società convenuta sede legale in (...), Canton Vallese, Svizzera; - ai sensi dell'art. 5 co. 3, secondo cui la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato può essere convenuta in un altro Stato vincolato in materia di responsabilità aquiliana, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire, da intendersi quale luogo in cui si è verificato l'evento generatore del danno nonché il luogo ove è sorto il danno, ossia in ogni caso in Svizzera; - ai sensi dell'art. 5 co. 1, secondo cui la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato può essere convenuta in un altro Stato vincolato in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, con la precisazione che in caso di prestazione di servizi il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio è il luogo in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto, ossia in ogni caso in Svizzera, anche nell'ipotesi, comunque contestata da parte convenuta, di qualificazione della responsabilità in termini contrattuali; - ai sensi dell'art. 5 co. 4, secondo cui la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato può essere convenuta in un altro Stato vincolato qualora si tratti di un'azione di risarcimento di danni o di restituzione nascente da reato, davanti al giudice presso il quale è esercitata l'azione penale, essendo stata esercitata l'azione penale in Svizzera, ove peraltro vi è stata costituzione di parte civile degli odierni attori. Secondo la prospettazione degli attori la giurisdizione del giudice italiano si fonda sul foro del consumatore di cui agli articoli 15, 16, 17 della Convenzione di Lugano, secondo cui, al sussistere di determinate condizioni, l'azione del consumatore avverso la controparte contrattuale può essere proposta o davanti al giudice dello Stato vincolato ove è domiciliata tale parte o davanti al giudice del luogo in cui è domiciliato il consumatore. Tra le condizioni indicate dall'art. 15 rileva in particolare quella di cui alla lettera c, ossia "qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato vincolato in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato o verso una pluralità di Stati comprendente tale Stato, purché il contratto rientri nell'ambito di dette attività". Sussistenti tali condizioni, il foro del consumatore potrebbe essere derogato esclusivamente sulla base di una convenzione che presenti i contenuti di cui al successivo art. 17, certamente mancante nel caso di specie. Ciò premesso, prima di esaminare nello specifico tutti i criteri sopra illustrati, si rende necessario qualificare giuridicamente la natura della responsabilità della convenuta. Ritiene questo Giudice che il rapporto tra le parti sia di natura contrattuale, in virtù del contratto di skipass stipulato tra la famiglia Crippa e il gestore degli impianti Te. s.a., e ciò a prescindere dal fatto, evidenziato da parte convenuta, che sullo scontrino di acquisto degli skipass prodotto sub doc. 2 fascicolo di parte attrice è riportato il nominativo di una diversa società (Te. s.a.). Parte convenuta sul punto, in sede di comparsa conclusionale, chiarisce che il comprensorio sciistico "(...)" cui lo skipass si riferisce comprende plurimi impianti dislocati nelle diverse valli e vi si può accedere da diversi punti. Secondo la prospettiva di parte convenuta il fatto che il contratto di skipass sia stato concluso con Te., gestore degli impianti di Nendaz, implica un rapporto di natura contrattuale unicamente con tale gestore e di natura extracontrattuale con gli altri gestori del medesimo comprensorio. Tale ricostruzione non può essere condivisa, dovendosi ritenere che il legittimo possesso del contratto di skipass vale di per sé a fondare, nei confronti degli utilizzatori, una responsabilità di natura contrattuale in capo ai gestori dei singoli impianti facenti parte del medesimo comprensorio sciistico, e ciò a prescindere dai rapporti interni tra i medesimi gestori (cfr sul punto Cass. 13334/04). La qualificazione della fattispecie che ci occupa in termini contrattuali porta all'esclusione del foro alternativo indicato da parte convenuta in materia di responsabilità aquiliana di cui all'art. 5 co. 3 della Convenzione di Lugano e al contempo impone di esaminare tutti i possibili fori applicabili in materia di contratti, ossia il foro generale del convenuto, il foro alternativo dettato in materia contrattuale e il foro inderogabile del consumatore. In base ai primi due fori la giurisdizione sarebbe radicata in capo al giudice elvetico, tuttavia nel caso di specie si ritiene sussistano i presupposti per l'applicabilità del foro inderogabile del consumatore, in base al quale quest'ultimo è legittimato a convenire la controparte contrattuale anche davanti al giudice del proprio Stato. Si ritiene pertanto che tale foro, in quanto speciale e inderogabile, prevalga sugli altri possibili fori in materia contrattuale sopra indicati, nonché sul foro individuato con il luogo ove è esercitata l'azione penale in ipotesi di risarcimento del danno da reato, ancorché nel caso di specie non sia stata fornita adeguata prova dell'effettivo esercizio dell'azione penale all'epoca della notifica dell'atto di citazione. Al fine di accertare la ricorrenza in concreto dei presupposti per l'applicabilità del foro del consumatore, posta la qualificazione soggettiva degli attori alla stregua di consumatori e del convenuto alla stregua di professionista, occorre in particolare soffermarsi sul significato della previsione secondo cui le attività commerciali o professionali devono essere "dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato (ossia del consumatore) o verso una pluralità di Stati comprendente tale Stato". Come evidenziato da parte attrice, la Corte di Giustizia ha interpretato tale disposizione in senso ampio, escludendo la necessità della conclusione del contratto a distanza così come della necessità che il consumatore sia venuto a conoscenza dell'attività mediante la consultazione del sito internet del professionista e ritenendo integrata la fattispecie in presenza di indizi che denotano la volontà del professionista di rivolgersi alla clientela di altri Stati, tra cui quello ove il consumatore è domiciliato, quali ad esempio l'impiego di risorse finanziarie al fine di farsi conoscere in altri Stati, il posizionamento presso un motore di ricerca su Internet, l'indicazione del prefisso internazionale nei recapiti telefonici, l'indicazione di itinerari a partire da uno o più Stati membri, la menzione di una clientela internazionale, la possibilità di navigare sul sito internet utilizzando diverse lingue (CGE C-585/08, C-190/11, C-218/12). In concreto si ritiene che tale requisito sia integrato. In primo luogo occorre tenere conto della particolare natura dell'attività, consistente nella attività sciistica nel comprensorio denominato Les (...), di ampie dimensioni; trattasi evidentemente di un'attività di natura attrattiva/turistica, per definizione rivolta ad un'utenza generalizzata, proveniente da una pluralità di Stati. E ciò, si osserva, a prescindere dalla specifica attività divulgativa posta in essere singolarmente da Te. s.a. atteso che il fatto stesso di associarsi con altri gestori al fine di creare un vasto comprensorio è finalizzato a rendere l'attività sciistica più appetibile. Sotto altro profilo, si ritiene irrilevante la circostanza che gli attori siano venuti a conoscenza del comprensorio sciistico per il tramite dell'Ente del Turismo Svizzero e non direttamente tramite il gestore degli impianti, trattandosi comunque di un mezzo di divulgazione della propria attività (cfr. sul punto Cass. Civ. SU 6280/19 secondo cui il requisito della direzione dell'attività economica verso lo Stato del consumatore sussiste anche in presenza di "attività serventi o strumentali, di sollecitazione al pubblico attraverso agenti o mediatori (anche solo prospettati come tali) o persino attraverso quello di soggetti (come società dello stesso gruppo e controllate dalla stessa holding di quella del convenuto, con la quale questa abbia coincidenti organi gestionali) che appartengono allo stesso gruppo imprenditoriale, finanche spendendone una ragione sociale in gran parte comune ad evidente sottolineatura al pubblico della riferibilità ad un unitario centro di interessi, la promuovano o la esercitino anche in proprio"). Ciò premesso, parte attrice ha allegato e provato documentalmente la presenza dei seguenti indici che denotano la volontà di Te. s.a., quale gestione di alcuni degli impianti di risalita del comprensorio sciistico (...), dirigere l'attività verso una pluralità di Stati tra cui l'Italia: - ha prodotto le brochure informative del comprensorio sciistico di (...) in varie lingue tra cui anche in italiano (doc. 11 fascicolo di parte attrice); - ha prodotto documentazione attestante la parternship tra il comprensorio di (...) e altre stazioni sciistiche tra cui quelle della Valle d'Aosta, che prevedono sconti fino al 50% sull'acquisto dello skipass (doc. 28, 28 bis, 54 fascicolo di parte attrice); - ha evidenziato il fatto che sul sito internet della stazione sciistica sono riportati i tragitti consigliati per chi parte dall'Italia e arriva a (...) (doc. 14, 24, 25 fascicolo di parte attrice); - ha prodotto articoli promozionali su diverse riviste italiane che si occupano di viaggi e vacanze sulla neve relativi al comprensorio sciistico di (...) (doc. 48 - 53 fascicolo di parte attrice); - ha evidenziato il fatto che sul sito internet e le pagine social (...) mette in mostra la propria fama internazionale e della sua capacità di soddisfare le esigenze di clientela proveniente da tutto il mondo, anche dall'Italia, indicando tra le lingue parlate anche l'italiano nei vari servizi offerti, tra cui quello di babysitting (doc. 13, 15 - 18 fascicolo di parte attrice); - ha prodotto un articolo de (...) ove (...) compare tra le "Località al top" nonché nella "Mappa dello sci di lusso" (doc. 26 fascicolo di parte attrice); - il sito internet del comprensorio sciistico, ancorché di dominio svizzero, consente la navigazione non soltanto in francese e in tedesco, ma anche in inglese, che non è lingua ufficiale del Canton Vallese, chiaro indice della volontà di rivolgersi in modo indiscriminato a consumatori di tutte le nazionalità (doc. 12 fascicolo di parte attrice). Alla luce di quanto sopra esposto, si ritengono integrati i presupposti per l'operatività del foro del consumatore. Né le argomentazioni sostenute da parte convenute appaiono determinanti in senso contrario. In primo luogo si ritiene non operante nel caso di specie l'esclusione prevista dall'art. 15 Convenzione di Lugano con riferimento al contratto di trasposto ("la presente sezione non si applica ai contratti di trasporto che non offrono prestazioni combinate di trasporto e di alloggio per un prezzo globale"), dal momento che il contratto di skipass ha un oggetto più ampio del trasporto in sé e per sé, inteso come utilizzo dell'impianto di risalita, coinvolgendo non soltanto quest'ultimo ma anche la discesa, che deve essere garantita in condizioni di sicurezza. Anzi, si osserva come a ben vedere la funzione di trasporto mediante l'utilizzo dell'impianto di risalita si configura come strumentale rispetto al fine ricreativo proprio della pratica dello sci, sicché anche a voler ritenere il contratto di skipass un contratto misto con conseguente applicazione della disciplina del tipo contrattuale prevalente, il contratto di trasporto si configurerebbe comunque accessorio e secondario rispetto agli obblighi principali del gestore tesi a garantire la sicurezza delle piste e fondanti la responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c.. Parimenti non appaiono decisive le argomentazioni relative al mancato utilizzo nel sito internet di Te. della lingua italiana, alla luce di tutte le considerazioni sopra illustrate, che denotano comunque la volontà del comprensorio sciistico (...), cui Te. fa parte, di rivolgere la propria attività ad una pluralità di Stati, tra cui anche l'Italia. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere affermata la natura contrattuale della responsabilità della società convenuta, quale gestore della pista ove si è verificato il sinistro, in forza di contratto di skipass, acquistato da Or.Pa. per ciascun componente il nucleo familiare in occasione della vacanza sciistica a (...) nel comprensorio (...). L'esistenza di tale valido titolo contrattuale costituisce il presupposto per l'applicazione del foro del consumatore, che, in presenza di tutte le condizioni contemplate dalla Convenzione di Lugano, così come sopra esposte, radica la giurisdizione del giudice italiano, da ritenersi estesa alla cognizione di tutti i danni derivanti dall'inadempimento contrattuale, ivi compresi i danni riflessi oggetto del presente giudizio. Quanto invece ai sig.ri Cr.Gi. e Na.Ma., nonni di Cr.Ma., la natura della responsabilità di Te. nei loro confronti è senz'altro extracontrattuale rispetto alla domanda di risarcimento del danno iure proprio, tuttavia per ragioni di connessione anche tale domanda deve ritenersi attratta alla giurisdizione di questo giudice. - La legge applicabile Ciò premesso, si ritiene che la legge applicabile alla presente controversia sia la legge italiana. In mancanza di convenzioni bilaterali, la materia risulta regolata dall'art. 57 L. 218/95 che a sua volta rinvia alla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Tale rinvio, secondo l'orientamento maggioritario espresso in dottrina e giurisprudenza, è da considerarsi recettizio o mobile, ossia estendibile alle successive modifiche legislative, con conseguente applicabilità nel caso di specie del Regolamento 593/08, che ha sostituito la Convenzione di Roma del 1980. Proprio in virtù di tale richiamo il predetto Regolamento diviene applicabile a tutte le fattispecie che presentano elementi di estraneità, e pertanto anche alla Svizzera. Conseguentemente trova applicazione l'art. 6 del citato Regolamento, che prevede l'applicazione della legge nazionale dello Stato di residenza del consumatore alla presenza di determinati requisiti che, per quanto qui interessa, sono i medesimi sopra esaminati e per i quali ci si riporta integralmente a quanto sopra esposto. - L'an debeatur Ciò premesso, dall'esame del compendio probatorio in atti, con particolare riferimento alle produzioni documentali di parte attrice e alla perizia svolta in sede penale e acquisita agli atti sub doc. 59 fascicolo di parte attrice, si ritiene che la dinamica del sinistro conduce senza subbio ad affermare l'esclusiva responsabilità della convenuta nella causazione del sinistro mortale, dovendosi altresì escludere la sussistenza di un contributo causale nella condotta di Cr.Ma., dedotto da parte convenuta ma rimasto sfornito di adeguata prova nel corso del giudizio. Come sopra esposto, Cr.Ma. in data 22.12.2014 verso le ore 12.30, in una giornata di sole, stava sciando con la propria famiglia, allorquando in prossimità della fine della pista rossa che termina con la seggiovia detta (...) è incappata in un filo di nylon teso tra due pali, perdendo immediatamente coscienza, ed è deceduta circa tre ore dopo. Il tragico sinistro è stato ripreso dalla videocamera che il padre teneva sulla fronte per immortalare la vacanza sulle piste da sci con moglie e figlie, regalo del suo sessantesimo compleanno, al pari della telecamera. Al minuto 5 circa del video prodotto sub doc. 6 fascicolo di parte attrice è pertanto visibile la caduta di Cr.Ma. a seguito dello scontro con la corda e i drammatici minuti immediatamente successivi. La dinamica è invero pacifica e confermata nella perizia sub doc. 59 sopra citata, che ha affermato come l'utilizzo delle corde deve essere evitato o quantomeno adeguatamente segnalato, ad esempio con bandierine gialle e nere o con banner fluorescente, potendo altrimenti costituire per l'utilizzatore delle piste una vera e propria trappola. Il perito ha precisato che la corda di chiusura in questione non era parallela alla direzione di percorso degli utilizzatori delle piste, ma trasversale ad essa, con conseguente maggior pericolo proprio in virtù del suo posizionamento nello spazio pista. La corda inoltre era montata su una lunghezza di 9,3 metri, senza ulteriori riferimenti ottici, sicché di per sé la corda era difficilmente riconoscibile dallo sciatore, a seconda anche del posizionamento della luce del sole. Il perito ha ritenuto che nel caso di specie le condizioni di visibilità della corda molto sfavorevoli, precisando che anche la sorella che seguiva l'incidentata ha riconosciuto la corda soltanto all'ultimo, come visibile nel video. Il perito ha altresì evidenziato come nelle vicinanze vi fosse effettivamente altra segnaletica ben visibile per delimitare la pista o segnalare ostacoli, pertanto in nessun modo l'utilizzatore della pista poteva immaginarsi di trovarsi in prossimità di un ostacolo per nulla segnalato, dovendosi anzi immaginare il contrario proprio in virtù dell'ulteriore segnaletica, quale ad esempio l'imbottitura dei due pali (cui era legata la corda), chiaro indice di protezione rispetto ad un possibile passaggio anziché di una zona di blocco, nel caso di specie reso ancor meno prevedibile dalla presenza di neve mossa e non immacolata, ulteriore indice di una zona di passaggio. Il perito ha infine sottolineato il fatto che la corda, già non visibile e non segnalata, era legata in modo rigido a due pali solidi, creando così un blocco stabile, contrariamente ai blocchi tradizionali che sono per principio flessibili, proprio al fine di proteggere e attutire le cadute. Premesso che, qualificata la responsabilità del gestore degli impianti in termini contrattuali, per tutti i motivi sopra esposti e da intendersi qui richiamati, spetta al convenuto fornire la prova liberatoria di cui all'art. 1218 c.c. ossia che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, nel caso di specie non soltanto tale prova non è stata fornita ma è chiaramente emersa la prova della violazione della prestazione al medesimo riferibile, ossia di garantire la sicurezza delle piste. Non solo infatti il sinistro è avvenuto all'interno della pista ma addirittura è stato causato in via esclusiva proprio da un ostacolo creato dalla stessa società convenuta, al fine di delimitare la pista ma in tal modo realizzando una vera e propria trappola. Tale condotta deve ritenersi senz'altro in violazione delle più elementari regole di diligenza ed in ogni caso, nello specifico, contraria sia alla specifica normativa svizzera in materia, come evidenziato nella perizia prodotta sub doc. 59, sia alla normativa di cui alla L. 363/03 (Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo), che ha introdotto specifici obblighi in capo ai gestori delle piste, definiti civilmente responsabili della regolarità e della sicurezza dell'esercizio delle piste, quali la messa in sicurezza delle piste in conformità con la normativa regionale, la cura della manutenzione ordinaria e straordinaria delle stesse, la protezione degli utenti dagli ostacoli lungo le piste "mediante l'utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni della situazione di pericolo", il soccorso ed il trasporto degli infortunati in luoghi accessibili dai più vicini centri di assistenza sanitaria o di pronto soccorso. Da ultimo si osserva l'evidente irrilevanza della circostanza della presenza di adeguata segnaletica negli anni precedenti il sinistro e successivamente al verificarsi di questo. Per converso non è stata fornita adeguata prova del dedotto concorso di colpa della vittima nella causazione del sequestro. Sul punto si evidenzia come nella perizia sub doc. 59 è stata esclusa la violazione delle regole di comportamento a carico degli sciatori, escludendo che Cr.Ma. percorresse la pista "tutta di un fiato dritto o con archi dinamici da Carving e a velocità sostenuta". Anzi, dal video sub doc. 6 si può vedere che la stessa poco prima ha effettuato una breve sosta, per poi ripartire a velocità adeguata alla pista e alle sue capacità. Del pari non è stata fornita adeguata prova circa il contestato il mancato utilizzo delle lenti a contatto da parte di Cr.Ma.. Il doc. 9 prodotto da parte convenuta non è in lingua italiana; inoltre si osserva che parte attrice ha prodotto sub doc. 55 una relazione redatta dallo Studio Oftalmologico Associato dott. (...) e dott.ssa (...) ove si dà atto della necessità di Cr.Ma. di lenti correttive sin dall'età di 8 anni e del fatto che la disinvoltura, la precisione e la sicurezza della sciata, così come visionabili nel video sub doc. 6, devono ritenersi incompatibili con la mancata correzione della miopia. Sulla base di quanto finora esposto, si ritiene fondata la domanda di parte attrice con riferimento all'an debeatur. - La liquidazione del danno Con riferimento alle domande risarcitorie svolte dagli attori, nella loro qualità di eredi e prossimi congiunti, meritano di essere riconosciute le voci di danno non patrimoniale nei limiti e per i motivi di seguito indicati. Certamente fondata risulta essere la domanda di risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale. Tale pregiudizio rappresenta una particolare ipotesi di danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. Tale pregiudizio consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto. Per quanto concerne la liquidazione di tale danno, va precisato che, conformemente ai principi espressi la pronuncia a Sezioni Unite 11.11.2008 n. 26972, anche il danno da perdita del rapporto parentale dovrà essere considerato nel suo complesso e la liquidazione dovrà essere unitaria, si da ricomprendere ogni pregiudizio ad esso ricollegabile. In particolare, trattandosi di vittime secondarie, al fine di adeguatamente risarcire la lesione del rapporto parentale andranno tenute in considerazione le circostanze del sinistro, la sofferenza per la tragica perdita del familiare, l'età della vittima, nonché quella degli attori, il grado di parentela e l'intensità del legame tra la vittima e ciascun prossimo congiunto. La liquidazione equitativa del danno non patrimoniale andrà quindi orientata nell'ambito dell'ampia forbice indicata nelle tabelle milanesi, elaborate in applicazione dei suesposti principi e riconosciute quale equo parametro di liquidazione del danno non patrimoniale a livello nazionale (Cass. Civ. 7.6.2011 n. 12408). Si ritiene in particolare che ai fini della liquidazione possa farsi riferimento all'ultima versione delle tabelle, aggiornata al 2021. Quanto ai genitori, Cr.Al. e Or.Pa. (rispettivamente di 60 e 58 anni al momento del sinistro) e alle sorelle Cr.Ch. e Carolina (rispettivamente di 22 e di 19 anni al momento del sinistro) va osservato che Cr.Ma. era la maggiore delle tre figlie, al momento del sinistro aveva 24 anni, conviveva con i genitori e le sorelle, si era da poco laureata in design della moda presso il Politecnico di Milano e ci accingeva ad entrare nell'azienda di famiglia, la (...) di Casatenovo specializzata nella realizzazione di abiti per bambini, sicché deve senz'altro ritenersi la sussistenza di un legame particolarmente intenso dei genitori e delle sorelle con Cr.Ma. e una sofferenza particolarmente intensa per la tragica e improvvisa scomparsa della giovane ragazza, nel contesto di quella che doveva essere una vacanza in famiglia in occasione del Natale e del sessantesimo compleanno del padre. Considerato il danno non patrimoniale iure proprio nella sua unitarietà, tenuto conto delle sofferenze in senso stretto, nonché della perdita del legame familiare, alla luce dei criteri di liquidazione sopra indicati e facendo riferimento alle tabelle milanesi, questo Giudice ritiene equo attestare il risarcimento in misura pari all'importo massimo ivi indicato, ossia pari ad Euro 336.500 per ciascun genitore ed Euro 146.120 per ciascuna sorella, in moneta attuale. Quanto ai nonni paterni Cr.Gi. e Na.Ma. (rispettivamente di anni 85 e 84 al momento del sinistro), il danno dagli stessi patito a seguito della perdita della nipote (...) deve ritenersi provato per via presuntiva, alla luce dello stretto legame affettivo così come allegato dagli attori, pur in mancanza di convivenza, tenuto conto in particolare della prossimità delle abitazioni e della frequenza quotidiana, nonché del programmato ingresso di (...) nell'azienda di famiglia (...) dai medesimi condotta e abbandonata proprio a seguito del decesso della nipote. Considerato il danno non patrimoniale iure proprio nella sua unitarietà, tenuto conto delle sofferenze in senso stretto e della perdita del legame familiare, alla luce dei criteri di liquidazione sopra indicati e facendo riferimento alla versione delle tabelle milanesi aggiornata al 2021, anche per i nonni si ritiene equo liquidare l'importo massimo ivi previsto, pari ad Euro 146.120 per ciascun nonno. Si ritiene invece non fondata la domanda avente ad oggetto il danno cd. tanatologico formulata da parte attrice, quale danno conseguito agli attori iure hereditatis e quantificato in Euro 1.055.000. Sul punto, come noto, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 15350/15 che ha chiarito che il danno risarcibile è soltanto il danno conseguenza, sicché la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall'evento lesivo, non è configurabile come danno biologico giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un'effettiva compromissione dell'integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi. Nel caso di specie il decesso è intervenuto dopo circa tre ore dal sinistro ed inoltre è la stessa parte attrice ad evidenziare come a seguito dell'impatto con la corda Cr.Ma. si è accasciata inerte sulla neve e tutti gli interventi di rianimazione così come il trasporto d'urgenza in elicottero si sono rivelati vani. Si ritiene pertanto che non sussistano i presupposti per ritenere che la morte sia intervenuta a seguito di un apprezzabile lasso di tempo, idoneo a determinare in capo alla vittima un danno diverso e ulteriore rispetto all'evento in sé. Altrimenti argomentando vi sarebbe sostanzialmente una duplicazione del risarcimento tra il danno iure proprio per la perdita del rapporto parentale e il danno iure hereditatis per la perdita della vita. Conseguentemente non sussistono i presupposti per la risarcibilità dei lamentati "danni terminali", sia sotto il profilo biologico terminale che sotto il profilo del danno catastrofale, richiesti in via subordinata da parte attrice, ancorché soltanto in sede di comparsa conclusionale e pertanto tardivamente. Alla luce di quanto sopra esposto, Te. s.a. deve essere condannata al pagamento in favore degli attori dell'importo complessivo di Euro 1.257.480 in moneta attuale, di cui Euro 336.500 per ciascun genitore ed Euro 146.120 per ciascuna sorella e ciascun nonno. Su tale importo sono inoltre dovuti gli interessi compensativi calcolati al tasso legale sulla somma capitale devalutata alla data del fatto (dicembre 2014) e rivalutata anno per anno fino alla data del deposito della presente sentenza, momento a partire dal quale sull'importo capitale decorrono gli interessi al tasso legale. Le spese di lite, liquidate ai sensi del d.m. 55/2014 nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto della complessiva attività svolta e del danno accertato, seguono la soccombenza e sono pertanto poste a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Lecco, definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - accerta e dichiara l'esclusiva responsabilità di Te. s.a. nella causazione del sinistro occorso in data 22.12.2014 sul comprensorio sciistico (...) ove Cr.Ma. ha perso la vita e, per l'effetto, - condanna Te. s.a. a corrispondere agli attori la complessiva somma di Euro 1.257.480 in moneta attuale, oltre interessi compensativi calcolati al tasso legale sulla somma capitale devalutata alla data del fatto (dicembre 2014) e rivalutata anno per anno fino alla data del deposito della presente sentenza, ed oltre interessi al tasso legale sull'importo capitale dal deposito della presente sentenza al saldo, così suddivisa: Euro 336.500 per Cr.Al., Euro 336.500 per Or.Pa., Euro 146.120 per Cr.Ch., Euro 146.120 per Cr.Ca., Euro 146.120 per Cr.Gi., Euro 146.120 per Na.Ma.; - condanna Te. s.a. a rifondere agli attori le spese di lite, che liquida complessivamente in Euro 25.605,20, di cui Euro 21.000 per compenso professionale ed Euro 4.605,20 per anticipazioni, oltre 15% rimborso spese forfettarie, iva e cpa come per legge. Così deciso in Lecco il 13 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori - dott. Ersilio SECCHI PRESIDENTE - dott. Mirco LOMBARDI GIUDICE rel. - dott. Carlo Stefano BOERCI GIUDICE ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con ricorso depositato in Cancelleria in data 8 marzo 2018 ed iscritta al n. 603 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi per l'anno 2018 da: - (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dal proc. dom. avv. Fr.Al. del foro di Lecco, con elezione di domicilio in Piazzetta (...) - Lecco, presso e nello studio del difensore, giusta delega agli atti telematici RICORRENTE contro - (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dal proc. dom. avv. Ra.Iz. del foro di Bergamo, con elezione di domicilio in Via (...) - Bergamo, presso e nello studio del difensore, giusta delega in calce alla memoria di costituzione RESISTENTE e con l'intervento del Pubblico Ministero. Oggetto: Separazione personale dei coniugi. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con ricorso depositato in Cancelleria l'8.3.2018, (...) ha esposto di avere contratto matrimonio civile con (...) in Merate in data 8.3.2000 e che dall'unione matrimoniale è nato il (...) (in data 4.7.2000), maggiorenne ma non economicamente indipendente. La ricorrente ha dichiarato di avere partecipato, unitamente al marito, in qualità di socia all'attività di ristorazione (...) s.n.c., corrente in Calco, via (...) n. 24, senza tuttavia aver mai ricevuto alcun compenso per il lavoro svolto, rammostrando altresì la situazione di difficoltà finanziaria nella quale versa tale società a far data dal 2016. Ha altresì esposto di essersi occupata in via esclusiva delle necessità della famiglia e dell'accudimento del figlio, posto che il (...) avrebbe trascurato i propri doveri di assistenza e mantenimento del nucleo famigliare, impiegando altrove gli emolumenti ricavati dall'attività di ristorazione. Siffatto ménage familiare avrebbe impedito alla (...) di procurarsi una nuova attività lavorativa, di modo che attualmente non starebbe percependo alcun reddito. Tale sostanziale disinteresse del (...), unitamente al comportamento violento dello stesso, hanno reso insostenibile il proseguire della convivenza: pertanto, la (...) ha chiesto la pronuncia della separazione personale dei coniugi con addebito al marito, l'assegnazione della casa famigliare per vivere col figlio, un contributo al mantenimento del figlio nella misura di Euro 400,00 mensili, il 100% delle spese extra-assegno per il figlio ed un assegno di mantenimento a proprio favore nella misura di Euro 500,00 mensili. 2. - Si è costituito in giudizio (...), contestando integralmente la ricostruzione delle vicende operata dalla ricorrente e respingendo fermamente l'addebitabilità a sé del fallimento del matrimonio. Il (...), pur riconoscendo una certa disparità tra i redditi delle parti, ha anzitutto dichiarato di dover far fronte a cospicue spese per la gestione della società, esborsi difficilmente sostenibili in ragione dell'esiguità della propria pensione e del periodo non florido dell'attività di ristorazione. Ha poi rappresentato di non essere proprietario della casa coniugale, in quanto la stessa risulta essere di proprietà della società (...), chiedendo ad ogni modo che l'immobile fosse a lui assegnato. Ha confutato la richiesta di controparte in punto di assegno di mantenimento, rilevando come la (...) avesse reperito un lavoro che tuttavia non aveva poi accettato, versando così colpevolmente in uno stato di disoccupazione. Quanto al contributo al mantenimento del figlio (...), si è reso disponibile ad assumerlo nella propria attività, si da corrispondergli un reddito e, laddove ciò non incontrasse i desideri del figlio, si è comunque dichiarato disponibile a provvedere alle necessità dello stesso nella misura mensile di Euro 200,00, oltre al 50% delle spese straordinarie. 3. - All'udienza del 4.7.2018 il Presidente, dopo aver sentito le parti, con ordinanza riservata del 16/17.7.2018 ha assegnato la casa familiare alla (...) per viverci col figlio (...), maggiorenne ma privo di lavoro, ed ha onerato il (...) del mantenimento della moglie per Euro 300,00 mensili e del figlio per Euro 400,00 mensili oltre al 60% delle spese straordinarie. Nel corso del giudizio sono stati concessi numerosi rinvii su richiesta delle parti per tentare una conciliazione: stante l'insuccesso dei tentativi, la causa è passata in decisione. 4. - Tanto premesso, osserva il Collegio come la domanda si fondi sull'art. 151 c.c., che consente a ciascun coniuge di chiedere la separazione giudiziale quando si verifichino fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza con l'altro coniuge. Nel caso di specie, stante anche il contegno processuale delle parti, appare, allo stato, impossibile la protrazione della loro comunione spirituale e materiale, sicché la domanda deve essere, in punto, senz'altro accolta. 5. - Quanto alla richiesta di addebito della separazione avanzata dalla ricorrente, deve chiarirsi anzitutto come gravi sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (da ultimo: Cass. 5.8.2020 n. 16691). In adempimento di tale onere, la (...) ha prodotto documentazione attestante il tenore dei rapporti tra i coniugi nei mesi precedenti il deposito del ricorso per separazione e che qui di seguito si ripercorrono. In data 8.10.2017 l'odierna ricorrente ha sporto denuncia-querela presso la stazione dei Carabinieri di Merate (doc. 4 della ricorrente) affermando di essersi determinata a cercare un lavoro per fare fronte alle instabili condizioni finanziarie dell'attività di ristorazione del (...), che all'epoca costituiva l'unica entrata economica del nucleo famigliare. La (...) ha esposto di avere ricevuto un'offerta di lavoro presso un locale di Calusco d'Adda e di avere fissato un colloquio con il gestore del ristorante per il giorno 7.10.2017; in quell'occasione, allorquando la ricorrente si apprestava a partire per raggiungere il luogo dell'incontro, veniva fermata dal (...), il quale le indirizzava parole come "non ti azzardare ad andare a lavorare in quel posto e di non prendere l'auto altrimenti ti tolgo dalla faccia della terra e ti gonfio di botte" e sgonfiava le gomme della macchina della (...) per impedirle di spostarsi. In aggiunta, sempre in data 7.10.2017 - sulla scorta di quanto si evince dalla denuncia querela - avrebbe minacciato di "colpire con la pala" la ricorrente se quest'ultima si fosse determinata ad uscire di casa. Tale circostanza è stata confermata dalle dichiarazioni rese dal figlio (...) in data 7.10.2017 ai Carabinieri di Merate: (doc. 7 del resistente): "mio padre mi diceva di avvertire mia madre che lui stesso aveva preparato una pala (vanga) che avrebbe usato contro mia madre se questa fosse uscita di casa per andare a lavorare". Anche il verbale redatto dai Carabinieri, intervenuti in loco su richiesta della (...) (doc. 5 del resistente), dà atto della condizioni della macchina così come esposte dalla ricorrente ("... al nostro arrivo, notavamo subito l'autovettura di proprietà ed in uso della signora (...), modello Ford Fiesta di colore bordeaux, targata (...) con le gomme anteriori destra e sinistra sgonfie ed una pala appoggiata alla portiera anteriore sinistra"; cfr. anche fotografie scattate dagli Operanti al doc. 6 del resistente). In data 13.2.2018 ha fatto seguito una seconda denuncia-querela sporta dalla (...) (doc. 4 cit. della ricorrente), la quale ha dato atto di essere stata destinataria di altre frasi minacciose proferite dal (...) nella serata del giorno prima: "non ti azzardare ad entrare in macchina se no ti faccio vedere io cosa succede stasera, stronza maledetta te ne devi andare, devi sparire" e "io vi metterò nelle condizioni che andate via (ndr. di casa). A tutti i costi ve ne dovete andare via, qua è tutto mio e si fa quello che dico io". In data 8.3.2018 la (...) ha depositato il ricorso per separazione personale dei coniugi de quo agitur. Forma convincimento del Collegio che la documentazione prodotta dalla (...) ed i fatti ivi menzionati e che controparte non ha negato (ed, anzi, ha ammesso nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 3 c.p.c. del 25.6.2019, nel momento in cui si è opposto ai capitoli di prova dedotti dalla ricorrente su quelle circostanze, non negandone l'accadimento) siano idonei non solo a provare la contrarietà della condotta del (...) ai doveri coniugali, ma anche a testimoniare lo stretto legame intercorso tra gli accadimenti ora ricordati e la determinazione della ricorrente a chiedere la pronuncia di separazione per insostenibilità della convivenza. In particolare, l'atteggiamento minaccioso e dispotico del (...), volto a mantenere un controllo sulla moglie per impedirle di presentarsi ad un colloquio di lavoro presso un locale a lui non gradito oppure a verificare che non si allontanasse di sera sulla vettura di altre persone (come nell'occasione del 9.2.2018), comporta violazione dei doveri matrimoniali che fondano non solo la pronuncia della separazione, ma anche l'addebitabilità della stessa al resistente (da ultimo: Cass. 19.2.2018 n. 3925) e ciò a prescindere dal fatto che, per un certo periodo, la (...) abbia sopportato o tollerato tali comportamenti (Cass. 21.4.2015 n. 8094). In definitiva, gli episodi denunciati sono il culmine di atteggiamenti di violenza morale e psicologica reiterati nel tempo dal (...) e che sono la vera ragione della rottura del vincolo matrimoniale. Pertanto, la domanda di addebito avanzata dalla ricorrente nei confronti del marito deve essere accolta. 6. - Restano ora da definire gli aspetti accessori della separazione, sui quali le parti non hanno raggiunto un accordo. Questione di primaria importanza è quella relativa alla convivenza del figlio (...) - maggiorenne (essendo nato il (...) ma non economicamente indipendente - con l'uno o l'altro genitore. Sin dall'udienza presidenziale e per tutto il corso della causa era stato dato atto della scelta operata da (...) di vivere con la madre; in sede di memorie ex art. 190 c.p.c. il (...) ha affermato che il figlio si sarebbe determinato a mutare la propria decisione, iniziando a convivere con il padre. Tale affermazione è stata decisamente contestata dalla ricorrente, la quale ha dato atto della permanenza presso di sé del figlio. In presenza di una mera affermazione ad opera del resistente, sfornita di alcun elemento di prova atto a suffragare quanto esposto nelle proprie memorie conclusive, non può che ritenersi insussistente, allo stato, la convivenza di (...) con il padre, dovendosi invece stimare ancora sussistente lo stato di fatto così come cristallizzatosi durante l'intero giudizio, che vedeva il figlio abitare stabilmente con la madre. Ciò ha conseguenze sia in punto di mantenimento ordinario e straordinario di (...), sia per quanto concerne l'assegnazione della casa famigliare. 7. - Quanto al mantenimento, la (...) ha chiesto che venisse posto a carico del marito un contributo di Euro 400,00 mensili, oltre al 100% delle spese straordinarie. Il resistente, al contrario, ha concluso per il totale rigetto della domanda, asserendo che la condizione di non autosufficienza economica di (...) sia dovuta alla colpevole inerzia dello stesso, il quale avrebbe interrotto gli studi al primo anno di superiori ed avrebbe poi rifiutato la proposta di lavoro a tempo indeterminato presso il ristorante paterno in qualità di barista/aiuto pizzaiolo (doc. 4 del resistente). A ben vedere, tuttavia, proprio dal documento prodotto si evince come la proposta del padre fosse stata accettata, come si ricava dalla dicitura "accetto l'assunzione", scritta a mano in calce al documento. Non è poi stato meglio chiarito, in corso di causa, per quale ragione l'attività di ristorazione nei locali de "(...)" non sia ripartita, come invece dava per certo il (...) all'udienza presidenziale (dalle dichiarazioni rese a verbale: ".dopo che sono stati compiuti i lavori di ristrutturazione compiuti personalmente da me che sono muratore al fine di venire incontro al desiderio di mio figlio di disporre di un locale cocktail e disco-music, abbiamo assunto 3 dipendenti con un contratto a tempo indeterminato e 2 part-time. Sto per assumere anche un ulteriore dipendente al quale si aggiungerà mio figlio"). In effetti, nessuna delle due parti ha specificato quali sforzi abbia messo in atto (...) per procurarsi un lavoro o se abbia svolto qualche attività: è evidente che un ragazzo di vent'anni abbia le forze per spendersi nel mondo del lavoro e debba cercare di diventare economicamente autonomo al più presto. Non di meno, allo stato, non sta prestando la propria opera presso il padre né in altro modo, ma nessun elemento di causa sorregge la conclusione che siffatta situazione sia imputabile ad inerzia. Ne consegue che il figlio ha diritto alla percezione del mantenimento da parte dei genitori. Per quanto concerne il quantum dell'assegno, dalle risultanze documentali offerte dal (...) si evince che lo stesso è percettore di un assegno pensionistico dell'ammontare mensile di Euro 500,00 (doc. 3 del resistente). E' inoltre socio al 95% ed amministratore de "(...) di (...) s.n.c", costituita nell'aprile 1992 ed operante nel campo della ristorazione (con oggetto sociale l'attività di pizzeria, trattoria, bar, birreria, paninoteca, gelateria e pasticceria: doc. 1 del resistente); la restante quota del 5%, in origine appartenente alla sorella (...), è stata donata in data 29.12.1999 all'attuale ricorrente (doc. 2 del resistente). Con atto del 22.1.2003 la società ha acquistato uno stabile di tre piani adibito all'attività commerciale al piano terra e a residenza della famiglia (...)-(...) al piano superiore. Con contratto dell'1.11.2019 la società ha locato il piano terreno dell'immobile ad una cittadina cinese a canone mensile di Euro 3.400,00 (doc. 12 del resistente) e con altro contestuale atto ha locato ad uso abitativo l'appartamento del piano secondo al canone di Euro 600,00 mensili (doc. 13 del resistente). Il (...) ha però affermato che i corrispettivi delle due locazioni non vengano, in realtà, concretamente incamerati, poiché verrebbero integralmente girati ad (...) S.p.A. la quale, in qualità di mandataria di (...), si è attivata per il recupero di un credito vantato dall'istituto bancario di Euro 321.409,31 (doc. 9 del resistente). Per far fronte a tale esposizione debitoria, il (...) ha inviato in data 20.1.2020 ad (...) una "proposta di rientro rateale di debito" (doc. 10 del resistente) con la quale viene chiesto di poter corrispondere quanto dovuto attingendo interamente alle entrate derivantegli dai due contratti di locazione. Pur essendo stata data prova dell'avvenuta consegna del piano di rientro ad (...) (doc. 10/b del resistente), non è però stato allegato alcun documento attestante l'accettazione della proposta da parte della creditrice né tanto meno è stata data prova documentale dell'effettiva corresponsione all'istituto bancario delle somme ricevute a titolo di canone di locazione. Sulla base delle risultanze istruttorie, dunque, tali somme devono intendersi attualmente nella disponibilità della società, alla quale il (...) ha sempre attinto per far fronte alle esigenze della famiglia. Sotto altro profilo, il (...) ha indicato in oltre 200.000,00 Euro i debiti verso istituti previdenziali (doc. 11 del resistente) e nella comparsa conclusionale ha sostenuto che la società "negli ultimi tempi è stata oggetto di diverse procedure esecutive e di istanze di fallimento scongiurate solo a fronte di un ulteriore indebitamento personale dell'odierno concludente". Non sono però stati offerti dettagli circa il creditore che avrebbe richiesto il fallimento e l'importo del credito e nemmeno è stata esplicitata la somma corrisposta per evitare il fallimento e le modalità con le quali è stata reperita. Ciò posto, vista la disponibilità economica del resistente, quanto meno allo stato delle prove, appare corretto indicare in Euro 300,00 mensili il concorso nel mantenimento di (...), somma da rivalutare annualmente secondo gli indici ISTAT e da corrispondere in via anticipata entro il giorno 10 di ogni mese per 12 mensilità direttamente al figlio ex art. 337 septies c.c.. Le spese straordinarie vanno ripartite al 50% fra i due genitori come da Protocollo in uso a questo Tribunale e meglio declinato in dispositivo. 8. - La casa coniugale è stata assegnata nei provvedimenti temporanei ed urgenti alla (...) in qualità di genitore collocatario del figlio. Il (...) ha sempre contrastato tale assegnazione, al punto che la (...), per evitare gli screzi del marito, ha deciso di prendere in locazione dal novembre 2019 un immobile in Calco di tre vani con servizi al canone di Euro 400,00 mensili (doc. 7 della ricorrente). Dopo aver vanamente chiesto, in corso di causa, quanto meno un contributo da parte del marito per far fronte al canone, nelle conclusioni finali la ricorrente ha tenuto ferma la domanda di assegnazione dell'appartamento costituente la casa familiare. A tale richiesta il (...) si è opposto, rappresentando come l'appartamento non sia di sua proprietà, bensì faccia parte del patrimonio della società (...) e concludendo che non si potrebbe procedere con l'assegnazione di un bene non appartenente ad alcuna delle parti del giudizio. La ricorrente ha replicato che l'immobile sia sempre stato goduto dal nucleo famigliare negli anni del matrimonio e ciò in forza di un comodato d'uso gratuito. La tesi della ricorrente è perfettamente condivisibile. Difatti, stante il principio della libertà di forma che regola il contratto di comodato, deve ritenersi che lo stesso possa essere stato pattuito anche in assenza di un accordo scritto. Inoltre, costituisce principio pacifico che debba riconoscersi la sussistenza di un contratto di comodato laddove un immobile, di proprietà di terzi, venga goduto dai coniugi per un tempo determinato o per uno scopo determinato. A tutela della prole minorenne o, come nel presente caso, di quella maggiorenne ma non economicamente indipendente, viene riconosciuta la possibilità di continuare a godere dello stesso bene anche dopo la cessazione dell'unione affettiva dei coniugi, assegnandolo al genitore convivente con i figli, al quale è data facoltà di utilizzarlo per quelle stesse necessità per le quali era stato utilizzato in costanza di matrimonio (Cass. S U. 29.9.2014 n. 20448). In concreto, dalle prospettazioni di entrambe le parti, è agilmente ricavabile l'utilizzo dell'appartamento di Calco, via (...) n. 24, sovrastante il ristorante/pizzeria, quale abitazione coniugale da parte dei signori (...)-(...), i quali hanno sempre inteso l'appartamento in parola come il luogo adibito alla realizzazione delle esigenze famigliari. Conseguentemente, alla luce della non autosufficienza economica del figlio (...) e della sua convivenza con la madre, l'immobile ex casa coniugale sito in Calco, via (...) n. 24 con tutto quanto l'arreda deve essere assegnato alla ricorrente. 9. - Resta infine da esaminare la richiesta di assegno di mantenimento della (...). Ella ha esposto di aver prestato la propria attività lavorativa, in costanza di matrimonio, presso il ristorante della società di famiglia senza tuttavia percepire alcun corrispettivo per il lavoro svolto: per tale ragione nel 2017 ha inviato lettera di recesso. Attualmente presta attività lavorativa in qualità di cameriera addetta al servizio sala presso la cooperativa sociale "L'accoglienza" in forza di contratto a tempo indeterminato (a fare data dall'1.10.2019) per un corrispettivo mensile netto intorno ai 600,00 Euro (contratto e buste paga al doc. 8 della ricorrente). La stessa ha rilevato di non poter fare fronte alle esigenze quotidiane con lo stipendio percepito ed ha pertanto chiesto che venga posto a carico del (...) un assegno di mantenimento nella misura di Euro 500,00 mensili. Ora, lo stipendio della ricorrente e la pensione del resistente sostanzialmente si equivalgono. Si è detto, però, come il (...), quale socio accomandatario de (...), possa fare affidamento anche sui canoni di locazione dell'immobile per 4.000,00 Euro mensili, in relazione ai quali non v'è prova certa che vengano integralmente devoluti alla copertura dei debiti societari. Persiste, allora, un divario tra i redditi a disposizione delle due parti che giustifica il riconoscimento di un assegno di mantenimento a favore della moglie. Il quantum del mantenimento va però contenuto nell'importo di Euro 200,00 mensili. 10. - Rimangono da regolare le spese di lite. Al riguardo va rimarcato come la ricorrente si sia determinata a rivolgersi al Tribunale in conseguenza dei comportamenti del resistente, che hanno reso improseguibile l'unione tra le parti ed hanno determinato l'addebito della separazione in capo al (...). Quest'ultimo ha contrastato ogni domanda attorea, risultando invece soccombente nel dover riconoscere un assegno di mantenimento a moglie e figlio e nel veder assegnata la casa familiare alla ricorrente. Pertanto, le spese di giudizio vengono poste a carico del (...) e vengono liquidate - tenuto conto del valore della causa (indeterminabile), dell'attività concretamente effettuata (senza reale istruttoria) e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 - come da nota spese in complessivi Euro 6.125,00 (di cui Euro 125,00 per anticipazioni ed Euro 6.000,00 per compensi) oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Lecco, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda od eccezione, DICHIARA la separazione personale dei coniugi (...) e (...), autorizzandoli a vivere separati con obbligo del reciproco rispetto; ADDEBITA la separazione a (...); ORDINA all'Ufficiale di Stato civile del Comune di Merate di provvedere all'annotazione della presente sentenza; PONE a carico di (...): - a titolo di assegno di mantenimento per (...), la somma mensile di Euro 200,00 - rivalutabili annualmente secondo ISTAT - da corrispondersi alla stessa in via anticipata entro il giorno 10 di ogni mese; - a titolo di concorso nel mantenimento ordinario del figlio (...), maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, la somma di Euro 300,00 mensili - rivalutabile annualmente secondo indici ISTAT - da versarsi in via anticipata entro il 10 di ogni mese per 12 mensilità direttamente nelle mani del figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie secondo il seguente schema: - Spese mediche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) visite specialistiche prescritte dal medico curante; b) cure dentistiche presso strutture pubbliche; c) trattamenti sanitari prescritti dal medico di base e/o specialista non erogati dal Servizio Sanitario (...); d) ticket sanitari e farmaci abituali, laddove accompagnati da idonea prescrizione medica; e) occhiali e/o lenti a contatto se prescritti dallo specialista. - Spese mediche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) cure dentistiche, ortodontiche ed oculistiche in strutture private e relativi ausili (apparecchi ortodontici) salvo che, per l'accesso alle strutture pubbliche siano previste liste d'attesa, per la prima visita, superiori a sei mesi; in tal caso l'accordo è comunque necessario relativamente alla scelta del professionista da incaricare e, solo in difetto d'accordo, prevale il professionista con preventivo più basso; b) cure termali e fisioterapiche se non prescritte dal medico di base e/o specialista; c) trattamenti sanitari a pagamento (o presso strutture private) erogati anche dal Servizio Sanitario (...); d) farmaci particolari anche omeopatici non prescritti dal medico di base e/o medico curante. - Spese scolastiche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) tasse scolastiche e universitarie imposte da istituti pubblici, fino al secondo anno fuori corso compreso; b) libri di testo e materiale di corredo scolastico di inizio anno; c) gite scolastiche senza pernottamento; d) trasporto pubblico dal luogo di residenza all'istituto scolastico; e) dotazione informatica (come pc/tablet) imposta dalla scuola ovvero consigliata in quanto necessaria al programma di studio personalizzato predisposto dall'Istituto scolastico; f) assicurazione e fondo cassa richiesti dalla scuola; g) corsi di recupero e/o sostegno solo se connessi allo stato di disagio o difficoltà qualificabile come DSA o BES o equiparabili; h) mensa e buoni pasto. - Spese scolastiche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) tasse scolastiche e universitarie imposte da istituti privati; b) corsi di specializzazione; c) corsi di recupero e lezioni private; d) alloggio presso la sede universitaria; e) stage e corsi di studio (anche estivi) all'estero; f) gite scolastiche con pernottamento. - Spese extrascolastiche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) gruppo estivo comunale e/o parrocchiale, tempo prolungato, pre-scuola e dopo-scuola o, in mancanza, baby sitter, solo se resi necessari dalle esigenze lavorative di entrambi genitori; b) un'attività sportiva annuale che comporti costi ordinari quali quelli previsti, a mero titolo esemplificativo, per basket, pallavolo, judo, ginnastica artistica, danza, nuoto (compresi gli eventuali costi aggiuntivi nel caso di esercizio di attività agonistica, come trasferte o altri costi di partecipazione a gare o esibizioni) e relativa attrezzatura dedicata e /o richiesta anche per saggi o analoghe manifestazioni; c) bollo, assicurazione e manutenzione del mezzo di trasporto acquistato di comune accordo per il figlio. - Spese extrascolastiche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) corsi di istruzione, attività sportive ulteriori rispetto a quanto sopra indicato (comprese le spese di iscrizione a gare e tornei), ricreative e ludiche e pertinenti attrezzature; b) spese di custodia (baby-sitter) in casi ulteriori e/o diversi rispetto a quelli indicati al punto che precede; c) viaggi e vacanze senza l'accompagnamento di un genitore; d) centro ricreativo estivo non comunale o parrocchiale; e) tempo prolungato, pre-scuola e dopo-scuola se non resi necessari dall'attività lavorativa dei genitori; f) spese per il conseguimento della patente di guida (corso e lezioni); g) l'acquisto di un mezzo di trasporto per il figlio (motocicli ed autovetture). Le spese straordinarie si intenderanno concordate qualora il genitore, a fronte di una richiesta scritta dell'altro, non manifesti motivato dissenso scritto entro il termine di dieci giorni o nel minor tempo espressamente indicato dal genitore richiedente (comunque non inferiore a giorni tre), in caso di necessità od urgenza. In difetto, il silenzio sarà inteso come consenso alla richiesta. La quota di spettanza di ciascun genitore verrà posta a disposizione del genitore che provvederà alla spesa entro il termine di quindici giorni dalla richiesta (salvo eventuali compensazioni o conguagli in relazione alle sole spese straordinarie rispettivamente anticipate da ciascuno); ASSEGNA a (...) la casa coniugale sita in Calco, via (...) n. 24 con tutto quanto la arreda; CONDANNA (...) (C.F. (...)), al pagamento delle spese processuali in favore di (...) per complessivi Euro 6.125,00 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Così deciso in Lecco il 22 dicembre 2020. Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Nella persona del dott. Mirco Lombardi, in qualità di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato in data 29 gennaio 2018 ed iscritta al n. 119 del Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2018 da: - (...) (CF. (...)) e (...) (CF. (...)), rappresentati e difesi dal proc. dom. avv. Pa.Or. del foro di Milano, con elezione di domicilio in Via (...) - Milano, presso e nello studio del difensore, giusta delega agli atti telematici ATTORI contro - Condominio (...) di Via (...) - V. (CF. (...)), rappresentato e difeso dal proc. dom. avv. Al.De. del foro di Lecco, con elezione di domicilio in Via (...) - Lecco, presso e nello studio del difensore, giusta delega agli atti telematici CONVENUTO Oggetto: Responsabilità ex art. 2051 c.c. In data 14 luglio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione sulle seguenti MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., (...) e (...), premesso di essere proprietari di due unità immobiliari all'interno del complesso residenziale "C. (...)" di V., località F., hanno esposto di aver lamentato per anni la comparsa di infiltrazioni d'acqua proveniente dal soffitto, sottoponendo più volte la questione all'attenzione dell'amministrazione del Condominio (Immobiliare (...) s.r.l. nella persona del legale rappresentante (...)) e dei proprietari delle unità sovrastanti ((...), (...) e (...)), ma che, nonostante alcuni interventi manutentivi, la problematica non era stata risolta. Dopo aver dato incarico ad un professionista di fiducia, che ribadiva la provenienza delle infiltrazioni dalla soletta soprastante, gli odierni attori hanno incardinato procedimento per A.T.P., affidato al geom. Donato Greppi, il quale riconduceva le cause delle infiltrazioni nell'errato posizionamento delle guaine e nel mancato controllo dei due bocchettoni di scarico in corrispondenza dei due troppo pieni, che presentavano fessure e tagli nel raccordo con la guaina. Sulla scorta delle risultanze peritali, i due condomini hanno convenuto in giudizio il Condominio per sentirlo condannare all'esecuzione dei lavori necessari all'eliminazione delle infiltrazioni, secondo le indicazioni della C.T.U., nonché alla refusione delle spese tecniche del procedimento per A.T.P. (per complessivi Euro 8.433,68 oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo) e delle spese legali. 2. - Si è costituito in giudizio il Condominio (...) di Via (...) - V., chiedendo la conversione del rito in ordinario e deducendo la genericità delle pretese avversarie nonché, in ogni caso, la decadenza e prescrizione ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. e la responsabilità esclusiva dell'impresa che aveva effettuato le opere di ripristino. 3. - Alla prima udienza del 27.3.2018 il Condominio, attraverso l'amministratore D.M., ha proposto la conciliazione del giudizio mediante il rifacimento di tutta l'impermeabilizzazione del lastrico solare (con smantellamento delle vecchie guaine e completo rifacimento delle stesse, compresa la ripresa degli scarichi) con oneri integralmente a carico dei restanti condomini, ma con spese legali e tecniche definitivamente compensate. Fallito ogni accordo, il rito è stato trasformato in ordinario, con concessione dei termini ex art. 183 VI comma c.p.c.. Nelle more, gli attori hanno depositato (in data 26.11.2018) ricorso ex art. 700 c.p.c., deducendo il peggioramento delle infiltrazioni e l'urgenza di provvedere ai ripristini. Convocate le parti ed il geom. Greppi, con ordinanza 10/17.1.2019 è stato ordinato al Condominio "di eseguire tempestivamente tutte le opere indicate nel computo metrico di cui allegato n. 9 della relazione del geom. Donato Greppi, nominato C.T.U. nel procedimento di accertamento tecnico preventivo". Sono seguiti due rinvii per trattative (udienze 22.5.2019 e 2.10.2019) ed una sospensione volontaria del giudizio (sino al 10.12.2019). La causa è infine passata in decisione. 4. - In ottemperanza all'ordine giudiziale del procedimento ex art. 700 c.p.c., il Condominio ha effettuato i lavori indicati nella C.T.U., sicché non si impone più alcuna pronuncia in tal senso. Resta però da verificare se realmente gli oneri per i lavori eseguiti debbano gravare sul Condominio. 4.1 - Il convenuto ha più volte ribadito la tesi difensiva fondata sul presupposto che "gli attori ... nel formulare le proprie richieste risarcitorie non abbiano inquadrato la fattispecie sotto uno specifico profilo giuridico né invocano alcuna norma a sostegno della propria pretesa", per modo che la fattispecie andrebbe sussunta nei vizi e difetti costruttivi e sarebbero maturate decadenze e prescrizioni ai sensi dell'art. 1667 c.c. e non ricorrerebbero i presupposti per l'azione ex art. 1669 c.c.. Per respingere queste argomentazioni è però sufficiente la mera lettura del ricorso introduttivo, nel quale, nella parte in diritto, viene esplicitamente richiamato il solo art. 2051 c.c., a chiara dimostrazione del fatto che la responsabilità invocata dagli attori è quella oggettiva del custode. Ne consegue che sono del tutto fuori luogo i richiami alla disciplina dell'appalto, che non è stata affatto azionata dai condomini attori. Non è poi dubitabile che in caso di problemi di infiltrazione e coibentazione i singoli condomini possano dirigere le loro azioni verso il Condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa (Cass. 12.7.2011 n. 15291; Cass. 20.8.2003 n. 12211; Cass. 15.4.1999 n. 3753; Cass. 21.6.1993 n. 6856; Cass. 25.3.1991 n. 3209). 4.2 - In seconda battuta, il Condominio, considerando che le infiltrazioni sono derivate dalle terrazze che fungono da copertura ai due appartamenti degli attori, ha invocato l'insegnamento delle Sezioni Unite (Cass. 10.5.2016 n. 9449), secondo cui, ogni qual volta l'uso del lastrico solare o della terrazza a livello non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario (o l'usuario esclusivo), quale custode del bene ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il Condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130 comma 1 n. 4 c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135 comma 1 n. 4 c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria ed il concorso di tali responsabilità va di norma risolto secondo i criteri dettati dall'art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario e per i restanti due terzi a carico del Condominio. Poiché il Condominio (...) già nel 2005 aveva provveduto all'eliminazione delle infiltrazioni (con riparto ex art. 1226 c.c.) e ancora nel 2013 si era attivato per eliminarne di nuove dovute alla rottura del sistema di irrigazione posto su uno dei terrazzi (con pagamento a carico del singolo proprietario), nessuna responsabilità poteva più ascriversi ad esso. Rileva il Giudicante come, per andare esente da responsabilità, il Condominio non può certo limitarsi a dimostrare di essersi comunque attivato per eliminare le fonti di danno, bensì deve concretamente aver rimosso il danno stesso. Pur dando atto che il convenuto ha posto in essere in tempi precedenti (nel 2005 e nel 2012) specifici interventi per elidere le infiltrazioni all'interno degli appartamenti attorei, è un dato di fatto che ciò non sia stato sufficiente, tant'è che le operazioni peritali svoltesi nel periodo ottobre 2016/febbraio 2017 (cfr. elaborato acquisito agli atti con l'intero fascicolo di A.T.P. all'udienza dell'11.7.2018) hanno riscontrato la permanenza delle infiltrazioni lamentate dagli attori. Non solo, ma proprio le analisi del C.T.U. hanno dato conto del fatto che il rifacimento delle guaine impermeabilizzanti, eseguito sotto la direzione lavori dell'amministratore di Condominio (nominato anche C.T.P. nell'A.T.P.), non è stato condotto a regola d'arte dalle pagg. 8-9 della perizia: "Le lavorazioni eseguite hanno comportato lo spostamento dei vasi contente verde d'arredo, la pavimentazione galleggiante, la pulizia delle vecchie guaine e la sovrapposizione di nuovo tessuto impermeabilizzante in una sola porzione del lastrico solare, in prossimità dell'abitazione del sig. B. senza che le precedenti guaine siano state rimosse ovvero è stata eseguita una sovrapposizione (doppio strato) di guaina impermeabilizzante. ... Alla luce di quanto emerso in sede di accertamento, posso avvalorare che dal punto di vista tecnico/esecutivo il sovrapporre le guaine non è un intervento a regola d'arte, specificatamente quando si è all'oscuro delle cause che provocano le infiltrazioni. Le lavorazioni dovevano prevedere la totale rimozione delle guaine, il ripristino del massetto per le pendenze, la posa di una nuova guaina di protezione con opportuni raccordi verticali (denominate sgusce), il posizionamento di pezzi speciali di raccordo con le guaine orizzontali in prossimità degli scarichi (denominati sombreri) e dei troppo pieni (denominati bocchettoni)". Ad ogni buon conto, l'attenta disamina della sentenza 9449/2016 delle Sezioni Unite (ripresa successivamente da Cass. 4.3.2020 n. 6088; Cass. 17.1.2020 n. 951; Cass. 7.2.2017 n. 3239) porta ad affermare che, alla responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c. dei soggetti (condomini) che hanno l'uso esclusivo delle terrazze che fungono da copertura alle unità abitative dei due attori, si aggiunge analoga responsabilità del Condominio, stante la natura comune di questi beni, appunto per la funzione di copertura. La ripartizione delle spese (1/3 al proprietario e 2/3 al Condominio) non incide sulla responsabilità e non esclude (o limita) la responsabilità comunque dell'Ente comune. Infatti, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, trova applicazione il principio della corresponsabilità solidale dell'art. 2055 c.c., che facoltizza i proprietari degli appartamenti danneggiati a rivolgere la loro domanda, volta a conseguire per l'intero il risarcimento, indifferentemente a ciascuno dei coobbligati, salvo poi nei rapporti interni il regresso nelle percentuali di cui all'art. 1126 c.c.. Pertanto, agli odierni attori, che hanno agito chiedendo l'integrale risarcimento dei danni da infiltrazione nei confronti del Condominio, il risarcimento non può essere negato o limitato né per la sola circostanza che il Condominio si sia in passato attivato, ma non risolutivamente, per eliminare le problematiche, né in ragione della responsabilità ex art. 2051 c.c. anche dei singoli condomini proprietari individuali delle terrazze, giusta il citato art. 2055 comma 1 c.c.. In conclusione, la domanda attorea di condanna del Condominio a realizzare i lavori necessari all'eliminazione delle infiltrazioni, sarebbe stata accolta. Atteso che, come detto, nelle more del giudizio il Condominio ha eseguito i lavori, deve esser pronunciata la cessazione della materia del contendere sul punto. 5. - Restano da regolare le spese processuali, anche in riferimento all'A.T.P.. 5.1 - Il procedimento di cui agli artt. 696 e segg. c.p.c., infatti, si conclude con il deposito della relazione di consulenza tecnica, cui segue la liquidazione del compenso al consulente, senza che possa essere adottato alcun altro provvedimento relativo al regolamento delle spese tra le parti, stante la mancanza dei presupposti di soccombenza (Cass. 30.9.2015 n. 19498; Cass. 19.11.2004 n. 21888). Nella fase ante causam, perciò, le spese dell'A.T.P. vanno poste a carico della parte richiedente (Cass. 15.3.2012 n. 4156), ma vanno poi prese in considerazione nel successivo giudizio di merito come spese giudiziali, da regolare secondo i normali principi dettati dagli artt. 91 e segg. c.p.c. (Cass. 7.6.2019 n. 15492; Cass. 8.6.2017 n. 14268; Cass. 18.10.2016 n. 21045; Cass. 27.7.2005 n. 15672; Cass. 15.2.2000 n. 1690). Nel caso di specie, questo mezzo di istruzione preventiva si è rivelato necessario per la tipologia di danno denunciata, che non poteva attendere gli ordinari tempi del giudizio di merito. Inoltre, la condanna svolta nel procedimento ex art. 700 c.p.c. in corso di causa ha attinto proprio dai lavori indicati nella perizia. Il Condominio va quindi condannato a rifondere agli attori la somma di Euro 3.273,08 (di cui Euro 1.537,20 bonificati il 21.10.2016 a pagamento della fattura d'acconto n. (...) del 25.10.2016 ed Euro 1.735,88 bonificati il 3.5.2017 a saldo, come da fattura n. (...) del 28.4.2017 ai docc. 9-10 degli attori) oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo). 5.2 - Durante le operazioni peritali il C.T.U. si è avvalso dello studio termografico della S.r.l. M. con spese anticipate dagli attori per Euro 2.623,00 (bonificati per Euro 1.311,50 il 18.1.2017 a pagamento della fattura d'acconto n. (...) del 23.1.2017 e per Euro 1.311,50 l'1.2.2017 come da fattura a saldo n. (...) del 31.1.2017 ai docc. 11-12 degli attori). Dette spese, indispensabili per il buon esito dell'A.T.P., vanno rifuse agli attori dal Condominio convenuto, oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo. 5.3 - Rientrano fra le spese di lite anche quelle di natura tecnica che parte attrice ha dovuto affrontare per le prestazioni rese dal proprio consulente tecnico di parte (Cass. 3.1.2013 n. 84; Cass. 16.6.1990 n. 6056; Cass. 12.12.1985 n. 3897; Cass. 29.6.1985 n. 3897; Cass. 5.11.1977 n. 4707; Cass. 25.11.1975 n. 3946; Cass. 6.6.1972 n. 1752; Cass. 3.3.1972 n. 625; Cass. 19.7.1965 n. 1626). E' certo che il C.T.P. abbia effettuato le prestazioni di cui dà conto l'elaborato peritale del C.T.U. e e osservazioni allegate alla consulenza d'ufficio; è altrettanto certo che gli attori abbiano saldato l'onorario del proprio consulente mediante l'esborso di Euro 2.537,60 (Euro 1.268,80 bonificati il 26.1.2016 a pagamento della parcella n. (...) del 20.1.2016 ed Euro 1.268,80 bonificati il 15.5.2017 a pagamento della parcella n. (...) dell'8.5.2017 come da docc. 13-14 degli attori). L'importo risulta corretto ed equo e quindi il Condominio va condannato a rifonderlo agli attori maggiorato degli interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo. 5.4 - Il presente giudizio è stato anticipato dalla mediazione, che ha visto non presenziare il Condominio: sono allora poste a suo carico le spese della fase per Euro 468,80 (di cui Euro 48,80 per anticipazioni ed Euro 420,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. 5.5 - Anche le spese legali per la fase di A.T.P. vanno riconosciute a favore degli attori e si liquidano - tenuto conto del valore della causa (Euro 17.000,00), dell'attività concretamente effettuata e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 (valori medi della tabella 9 sui procedimenti di istruzione preventiva) - in Euro 2.570,00 (di cui Euro 345,00 per anticipazioni ed Euro 2.225,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. 5.6 - Si aggiungono le spese processuali del ricorso ex art. 700 c.p.c., integralmente accolto, che si liquidano - tenuto conto del valore della causa (Euro 8.500,00), dell'attività concretamente effettuata e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 (valori medi della tabella 10 sui procedimenti cautelari) - in Euro 1.647,60 (di cui Euro 145,00 per anticipazioni, Euro 2,60 per spese ed Euro 1.500,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. 5.7 - Quanto al giudizio di merito, le spese legali si liquidano - tenuto conto del valore della causa (Euro 8.500,00), dell'attività concretamente effettuata (senza reale istruttoria) e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 (valori medi della tabella 2 sui giudizi ordinari e sommari di cognizione) - in Euro 4.480,30 (di cui Euro 265,30 per anticipazioni ed Euro 4.215,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Per Questi Motivi Il Tribunale di Lecco, in persona del dott. Mirco Lombardi, definitivamente pronunciando, così provvede: DICHIARA la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda attorea di condanna del Condomino ad eseguire i lavori necessari all'eliminazione delle infiltrazioni, atteso che detti lavori sono stati effettuati in corso di causa; CONDANNA il Condominio (...) di Via (...) - V. (CF. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, a rifondere agli attori: 1. le spese di C.T.U. per Euro 3.273,08 oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo; 2. le spese del C.T.P. per Euro 2.537,60 oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo; 3. le spese per lo studio termografico della S.r.l. M. in corso di A.T.P. per Euro 2.623,00 oltre interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c. dai singoli esborsi alla domanda ed ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo; 4. le spese legali per la fase di A.T.P. per Euro 2.570,00 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta; 5. le spese dalla mediazione per Euro 468,80 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta; 6. le spese processuali del ricorso ex art. 700 c.p.c. per Euro 1.647,60 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta; 7. le spese del giudizio di merito per Euro 4.480,30 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Così deciso in Lecco il 30 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO Sezione I - Giudice dott. Carlo Stefano Boerci ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2618/2018 promossa da: MA.RI. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Da.Ti. ed elezione di domicilio presso il difensore in Via (...), Merate - attrice - contro CONDOMINIO "(...)" (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ri.Mo. e dell'avv. St.An. ed elezione di domicilio presso il loro studio in Corso (...), Lecco - convenuto - RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Premessa MA.RI. è proprietaria dal 12/4/2017 di un appartamento all'interno del Condominio "(...)", sito in Via (...) n. 25 a Paderno d'Adda. Dopo aver attivato invano la procedura di mediazione, oggi si rivolge al Tribunale per impugnare la delibera assembleare del 20/9/2018 con cui sono stati approvati il rendiconto dell'annualità 2017/2018 ed il preventivo dell'annualità 2018/2019. Le ragioni addotte a sostegno dell'impugnazione, elencate nei capitoli da A a D dell'atto di citazione, possono essere così sinteticamente riassunte: A) presenza di diversi errori contabili nel rendiconto 2017/2018, che lo rendono non intellegibile; B) mancanza degli elementi del rendiconto previsti dalla legge (cioè il riepilogo finanziario, il registro di contabilità e la nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti) e indebito utilizzo del metodo contabile per competenza anziché per cassa; C) violazione del regolamento contrattuale con riferimento alla durata dell'esercizio e ad alcune specifiche spese sostenute dall'amministratore e ripartite tra i condomini nel rendiconto; D) violazione dell'art. 66 disp. att. cod. civ. con riferimento al preventivo 2018/2019, in quanto contenente assunzioni di spesa non preventivate nella convocazione dell'assemblea. Per il vero l'attrice aveva già impugnato davanti a questo Tribunale anche il rendiconto dell'annualità precedente (2016/2017), per ragioni in parte sovrapponibili a quelle qui riproposte. Perciò inizialmente il Condominio aveva chiesto la sospensione di questo processo, in attesa della definizione della prima causa, ma in seguito l'istanza non è stata più coltivata, essendo poi sopravvenuta la sentenza n. 416/2019 che ha annullato la deliberazione. 2. - Illegittimità della deliberazione di approvazione del rendiconto Nel merito, con riferimento alle contestazioni di cui ai punti A e B dell'atto di citazione, la difesa del Condominio si è limitata a riportarsi agli atti depositati nel primo giudizio, senza nulla aggiungere. Ne consegue che, alla luce della sentenza n. 416/2019 - passata in giudicata e totalmente condivisa da questo Giudice - non si può fare altro che annullare anche il rendiconto del 2017/2018. La violazione più rilevante, che assorbe tutte le altre e consente di non entrare nel dettaglio delle singole voci di bilancio, è quella denunciata al punto B dell'atto di citazione (pag. 13-21), dove l'attrice lamenta che la delibera assembleare non rispetta le previsioni del Codice civile in materia di redazione del rendiconto condominiale. In particolare, viene in rilievo l'art. 1130 bis cod. civ. che al primo comma indica il contenuto obbligatorio del rendiconto: "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti". L'attrice lamenta che l'amministratore non ha mai consegnato il registro di contabilità e che la nota esplicativa è redatta in maniera incompleta, non essendo specificamente indicati e spiegati "i rapporti in corso e le questioni pendenti". Sul punto il Condominio ha sostanzialmente rinunciato a difendersi, limitandosi a richiamare le difese svolte nella causa relativa al rendiconto dell'annualità precedente (doc. 2-3 convenuto). Queste, però, sono del tutto insufficienti a superare le contestazioni, se si considera che, per quanto attiene al registro di contabilità, in quegli atti si legge la candida ammissione che esso non è stato affatto redatto, in violazione della prescrizione di cui all'art. 1130 n. 7 cod. civ. (cfr. doc. 2 pag. 8), mentre, per quanto attiene alla nota esplicativa, è evidente che le difese svolte nella precedente causa R.G. 788/2018 nulla possono dire in merito al contenuto del rendiconto relativo all'annualità successiva. Ecco quindi che possono essere integralmente condivise le valutazioni del primo giudice, esposte nella sentenza n. 416/2019 conclusiva di quel giudizio. È utile riportare per esteso il passaggio motivazione che qui interessa (pag. 11 ss.): "In termini più generali, la condomina Ri. ha ritenuto l'esistenza di un vizio per violazione di legge nella delibera impugnata in relazione alla mancata osservanza dell'art. 1130bis c.c.. L'assenza di un registro di contabilità - che il Condominio ha ammesso sin dalla comparsa costitutiva (v. pag. 8) di non aver ancora adottato - e la mancata predisposizione della nota esplicativa sintetica della gestione non avrebbero permesso di comprendere appieno perché nel rendiconto consuntivo al 31.7.2017 vi fossero inserite fatture posteriori ("precisamente: 12/09/17 fatt. Ed. n. 26/17 per realizzazione pozzetto Euro 560,00; 31/08/17 oneri per sostituitone lampadine Euro 37,00; 20/09/17 fatt. Bu.Ba. n. 150/17 per interventi Euro 646,00"), se le spese elencate fossero in effetti state pagate nell'esercizio e quali versamenti dei condomini dovevano riferirsi all'esercizio stesso. Questo Giudice ha adottato da tempo un orientamento al riguardo che intende qui ribadire, in assenza di argomentazioni che possano condurre ad una rimeditazione. Secondo il costante orientamento di legittimità, il rendiconto condominiale non deve essere redatto con rigorose forme, analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo invece sufficiente che sia idoneo a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione. Con particolare riferimento al rapporto amministratore/condominio, pacificamente da ricondurre allo schema del mandato, si è costantemente affermato come rientri fra gli oneri dell'amministratore/mandatario rendere il conto (art. 1713 c.c.) e fra quelli specifici dell'amministratore condominiale presentare all'assemblea dei condomini il rendiconto finale della gestione per la relativa approvazione: per far ciò l'amministratore deve necessariamente tenere la contabilità in maniera tale che - sebbene non con le forme di redazione rigorose prescritte per i bilanci delle società - risulti idonea a rendere intelligibili ai condomini le voci di entrata e di spesa nonché le quote di ripartizione (Cass. 10.2.2014 n. 2878; Cass. 23.1.2007 n. 1405; Cass. 7.7.2000 n. 9099; Cass. 20.4.1994 n. 3747; Cass. 25.5.1984 n. 3231; Cass. 6.2.1984 n. 896). Si tratta a questo punto di appurare se questi principi siano ancora attuali alla luce della riforma introdotta con la Legge 11 dicembre 2012 n. 220 (entrata in vigore il 18 giugno 2013). Nell'esaminare, infatti, le disposizioni che dettano obblighi e attribuzioni dell'amministratore (artt. 1129 e 1130 c.c.), sotto l'aspetto contabile qui in rilievo, si rinviene l'inserimento dell'obbligo dell'adozione di un conto corrente (bancario o postale) del condominio (art. 1129 comma 7 c.c.) e di curare la tenuta del registro di contabilità (art. 1130 n. 7 c.c.) dove "sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita". Il registro di contabilità, che è un libro di cassa (nella comune terminologia contabile si chiama "prima nota" cassa o banca), si trova nuovamente citato nell'art. 1130bis c.c. che dà la definizione di rendiconto condominiale: "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti". Quest'ultima norma riporta, senza definirlo, il riepilogo finanziario, che deve intendersi come riepilogo dei movimenti contenuti nel registro di contabilità ed organizzati in gruppi omogenei, sostanzialmente un documento molto vicino allo stato patrimoniale, in cui vanno indicati i fondi, le riserve e tutte le altre informazioni (debiti e crediti verso terzi e verso i proprietari) che non possono essere inserite nel registro contabilità. La norma esige inoltre la nota sintetica esplicativa, atto che deve contenere le informazioni utili alla migliore comprensione dei documenti sopra descritti, con l'esplicita menzione di un contenuto positivo afferente "l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti". In sostanza, nella nota sintetica l'amministratore è chiamato ad illustrare i criteri che ha seguito nella relazione del rendiconto e i fatti maggiormente rilevanti della vita condominiale accaduti durante l'anno (il rendiconto deve infatti essere annuale ai sensi dell'art. 1130 n. 10 c.c.). Ora, anche dopo la riforma è certamente condivisibile che il principio cardine nella redazione del rendiconto condominiale sia l'intelligibilità dei dati presentati, che devono risultare comprensibili al paradigma del "condomino medio", ovvero di quel soggetto non esperto di contabilità ma animato dal desiderio di comprendere. Ma al basilare principio di intelligibilità, stante la previsione analitica dei documenti di cui il rendiconto deve essere composto, si aggiunge un principio di forma, che in dottrina è stato efficacemente espresso come "formalità attenuata". Per quanto il rendiconto condominiale continui a non essere equiparabile al bilancio societario - per il quale la legge predetermina in modo rigido la modalità di esposizione dei dati - nondimeno la previsione analitica dei documenti di cui il rendiconto deve essere composto finisce col limitare la discrezionalità dell'amministratore che lo redige. Nel caso di specie, il rendiconto allegato alla convocazione dell'assemblea del 12.10.2017 può certamente definirsi un riepilogo finanziario. Riporta inoltre le spese con indicazione delle date di esse, così come riporta in apposito prospetto le entrate dovute al pagamento delle rate da parte dei diversi condomini: tuttavia in questa parte il rendiconto non soddisfa pienamente il disposto dell'art. 1130bis c.c. laddove parla della necessaria presenza di un registro di contabilità nel quale (ex art. 1130 n. 7 c.c.) "sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell'effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita". Si è poi detto delle legittime perplessità dell'attrice circa l'indicazione nel consuntivo che si chiude al 31.7.2017 di fatture recanti date successive e per le quali il Condominio non ha fornito spiegazioni nella presente sede. Confrontando, poi, gli estratti del conto corrente con le date delle spese indicate nel rendiconto consuntivo non è possibile un raccordo: la predisposizione del registro di contabilità avrebbe risolto ogni dubbio, anche in relazione alle date dei versamenti delle rate ad opera dei condomini. Questi aspetti avrebbero potuto inoltre esser spiegati nella nota sintetica esplicativa, altro documento del tutto mancante. Se la gestione condominiale fosse stata tenuta in rigoroso rispetto della normativa in esame, sarebbe stato agevole ricostruire le sorti della fattura n. 267/2016 della Adda Spurghi per Euro 347,80 che risulta addebitata in conto corrente e che il convenuto ha ammesso trattarsi di errore, specificando che "detto importo non veniva inserito nel consuntivo del condominio non incidendo così sugli oneri a carico dei condomini", ma senza dar prova del riaccredito di corrispondente cifra in conto corrente. Ne consegue che, per la non immediata riconducibilità del rendiconto presentato dall'amministratore all'assemblea al dettato dell'art. 1130bis c.c. in punto di registro di contabilità e di nota di accompagnamento sintetica, esplicativa della gestione annuale, atti totalmente mancanti, diviene realmente difficile riconoscere come conforme alla citata norma la delibera che ha approvato il bilancio del Condominio (...). In definitiva, le carenze nella registrazione della contabilità secondo quanto previsto nell'art. 1130 n. 7 c.c. e la totale mancanza della nota sintetica esplicativa fanno si che il deliberato non possa assumersi come conforme al disposto dell'art. 1130bis c.c. e dunque ricorre violazione di legge che rende annullabile la delibera". Queste considerazioni restano perfettamente valide anche nel nostro caso. Del resto, il rispetto delle formalità contabili previste dalla legge avrebbe forse consentito di rendere maggiormente comprensibile il rendiconto e di superare almeno qualcuna delle apparenti incongruenze contabili denunciate dalla ricorrente nel primo motivo di impugnazione (capitolo A dell'atto di citazione, pag. 3-13). In relazione a tali denunciati errori contabili - si ripete - il Condominio non ha detto nulla, limitandosi a rinviare alle difese svolte nella precedente causa: esse però, ovviamente, non sono pertinenti, perché non entrano nel merito delle singole voci del rendiconto 2017/2018. Poiché la generale mancanza delle formalità previste dalla legge rende di per sé annullabile il rendiconto e assorbe ogni altra contestazione, non occorre qui entrare nel merito di ciascuno dei presunti errori contabili; del resto, per il loro puntuale esame sarebbe stato necessario nominare un consulente per verificare voce per voce la regolarità dei calcoli, con inutile aggravio dei costi di causa. In ogni caso resta fermo che, al momento della nuova redazione del bilancio, sarà opportuno che l'amministratore tenga conto delle osservazioni critiche ricevute e, ove ritenuto necessario, appronti le necessarie correzioni. Questo vale anche per la censura sollevata dall'attrice in merito all'utilizzo del principio contabile "di competenza" anziché al principio "di cassa". A questo riguardo, giova solo segnalare che la tesi radicale sostenuta da parte attrice - secondo cui l'unico criterio ammissibile sarebbe quello per cassa, pena l'invalidità dell'intero bilancio - non corrisponde precisamente all'orientamento di questo Tribunale. Vero è che, purtroppo, la scarsa chiarezza delle disposizioni normative ha determinato una spaccatura tra gli interpreti; tuttavia nella citata sentenza n. 416/2019 si esprimono bene le ragioni dell'indirizzo maggioritario all'interno del distretto milanese che di recente la stessa Corte d'Appello di Milano ha autorevolmente spiegato nei termini che seguono (dando un corretto inquadramento all'isolato precedente di Cassazione invocato qui da parte attrice): "Con riferimento all'utilizzo, da parte dell'amministratore del Condominio, del criterio misto "di cassa" e "di competenza", per redigere il rendiconto da sottoporre all'assemblea condominiale, si osserva che la normativa in vigore non dispone nulla di specifico sul punto, di fatto lasciando libero l'amministratore condominiale di scegliere quale dei due criteri utilizzare o se utilizzarli entrambi; l'unica regola consiste nel fatto che il rendiconto condominiale deve essere completo, chiaro e di facile comprensione per i condomini. Nonostante in materia condominiale, non trovino applicazione le norme prescritte per i bilanci delle società, il rendiconto deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute e deve consentire ai condomini di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite, atteso che tale ultimo requisito costituisce il presupposto fondamentale perché possano essere contestate, appunto, le singole partite. Invero, attraverso il rendiconto, vengono giustificate le spese addebitate ai condomini, ragione per la quale il conto consuntivo della gestione condominiale è preferibile che venga strutturato in base al principio di cassa; l'inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione. Tuttavia, la mancata applicazione del criterio di cassa non rende intelligibile il bilancio e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino. Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza, cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro, può sussistere confusione qualora le poste indicate non trovino riscontro documentale (così Cass. 27639/2018)" (Corte appello Milano sez. III, 15/6/2020, n. 1445). 3. - Sulla denunciata violazione del regolamento contrattuale Anche al fine di prevenire l'insorgere di ulteriori contenziosi, è opportuno prendere in esame anche le ulteriori contestazioni di cui al capitolo C dell'atto di citazione (pag. 21-29), secondo cui la delibera assembleare di approvazione del rendiconto si porrebbe in contrasto con le previsioni del regolamento condominiale, avente natura contrattuale (depositato come doc. 20). Per ordine espositivo e semplicità di lettura, le diverse contestazioni vengono esaminate di seguito in paragrafi separati. 3.1. - Sulla durata dell'esercizio L'attrice osserva che all'art. 30 del regolamento si prevede che l'esercizio finanziario sia chiuso al 30 maggio di ogni anno, mentre l'amministratore per prassi fissa la chiusura al 31 luglio. Il Condominio convenuto ha spiegato le ragioni sottese a questa prassi, già ritenute valide nella sentenza n. 416/2019. Più in generale, si deve osservare che la clausola del regolamento di cui si discute non ha natura contrattuale, trattandosi di una semplice regola organizzativa che non incide sui diritti dei condomini (cfr. Cassazione civile, sez. II, 29/3/2019, n. 8940: "Le clausole del regolamento di condominio che disciplinano l'organizzazione della gestione dei beni comuni, incluse quelle relative alla redazione del bilancio, avendo esso ad oggetto le spese relative ai beni medesimi ed ai servizi condominiali, sebbene inserite in un regolamento contrattuale, non hanno natura negoziale e possono, perciò, essere modificate a maggioranza dall'assemblea condominiale"). Tale previsione è stata dunque legittimamente derogata dall'assemblea allorché, approvando il bilancio, ha implicitamente accettato di posticipare la chiusura dell'esercizio. 3.2. - Sui pagamenti in contanti L'attrice lamenta che alcune fatture dell'energia elettrica siano state pagate in contanti anziché per il tramite del conto corrente condominiale. Il Condominio ammette che il fatto è vero, ma spiega che ciò è dovuto all'abitudine di taluni condomini di versare le rate in contanti, cosicché l'amministratore utilizza quel denaro per pagare piccole spese. Una prassi del genere però è contraria alla legge, perché l'art. 1129 comma VII cod. civ., nella versione modificata dalla Riforma del 2012, prevede espressamente che l'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente intestato al condominio. Cionondimeno, tale violazione non determina alcun pregiudizio diretto in capo all'attrice, la quale dunque non ha interesse ad impugnare il rendiconto sotto tale profilo. 3.3. - Sulla ripartizione dei consumi idrici L'attrice ha poi contestato il rendiconto nella parte in cui ripartisce l'acqua in base agli occupanti e non in base agli effettivi consumi dati dai misuratori/contatori, che possiederebbe ogni condomino. La domanda non è fondata perché l'art. 13 del regolamento condominiale prevede espressamente che il riparto della spesa dell'acqua potabile debba essere effettuato pro capite (una diversa previsione di ripartizione a consumo è contemplata solo per i negozianti). La sentenza della Corte di Cassazione n. 17557/2014, invocata per sostenere che le spese idriche debbano sempre e comunque ripartirsi secondo i consumi, dice in realtà il contrario: infatti la Suprema Corte precisa che sono sempre fatte salve le diverse pattuizioni contenute nel regolamento condominiale contrattuale, le quali possono liberamente prevedere criteri di ripartizione diversi (cfr. Cass. Civ. sez. II, 1/8/2014, n. 17557: "In tema di condominio, fatta salva la diversa disciplina convenzionale, la ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, va effettuata, ai sensi dell'art. 1123 c.c., comma 1, in base ai valori millesimali delle singole proprietà, sicchè è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che - adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell'unità immobiliare - esenti al contempo dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell'anno"). Per l'enunciazione ancor più esplicita di tale principio generale, si legga Cass. Civ. sez. II, 10/2/2020, n. 3060: "pur in ipotesi di rinuncia o distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, è comunque valida la clausola del regolamento contrattuale che ponga a carico del condomino rinunciante o distaccatosi l'obbligo di contribuzione alle spese per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, potendo i condomini regolare, mediante convenzione espressa, adottata all'unanimità, il contenuto dei loro diritti ed obblighi e, dunque, ferma l'indisponibilità del diritto al distacco, suddividere le spese relative all'impianto anche in deroga agli artt. 1123 e 1118 c.c., a ciò non ostando alcun vincolo pubblicistico di distribuzione di tali oneri condominiali dettato dall'esigenza dell'uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale (Cass. Sez. 6 - 2, 18/05/2017, n. 12580; Cass. Sez. 2, 02/11/2018, n. 28051). Così come è valida la convenzione contenuta in un regolamento contrattuale di condominio in ordine alla ripartizione delle spese della bolletta dell'acqua, potendo una tale convenzione essere poi modificata solo all'unanimità da tutti i condomini, e non soltanto per effetto della installazione di un contatore di sottrazione in una singola unità immobiliare (arg. da Cass. Sez. 2, 01/08/2014, n. 17557)". 3.4. - Sulle spese di riparazione dell'ascensore Da ultimo, per quanto riguarda la ripartizione delle spese relative al manutenzione dell'ascensore, si evidenzia che l'art. 11 del regolamento introduce una distinzione tra spese di ordinaria e straordinaria manutenzione: le prime ripartite "tra i piani serviti" in proporzione all'altezza e ai millesimi, le seconde ripartite "fra tutti gli utenti" in proporzione al valore. Nessuna delle parti ha specificato a quale categoria di spesa appartenga la fattura in questione, ma resta fermo che dovrà applicarsi la disposizione regolamentare citata. 4. - Sulla validità del preventivo per l'esercizio 2018/2019 Al terzo punto dell'ordine del giorno dell'assemblea del 20/9/2019 era prevista l'approvazione del bilancio preventivo per l'annualità 1 agosto 2018 - 31 luglio 2019. La delibera è stata approvata all'unanimità dei presenti, introducendo una piccola modifica rispetto alla bozza messa a disposizione dall'amministratore: nello specifico, sulla base delle esigenze di manutenzione rappresentate dai condomini in assemblea, la voce delle spese generali relativa a "Imprevisti e varie di manutenzione e riparazione" è stata incrementata da Euro 3500,00 a Euro 4500,00. L'attrice lamenta che queste integrazioni non fossero state previste nell'ordine del giorno, in violazione dell'art. 66 terzo comma disp. att. cod. civ., ma la contestazione è manifestamente infondata. Come detto, infatti, la votazione sul preventivo era stata preannunciata e l'assemblea si è limitata ad introdurre una piccolissima modifica rispetto alla bozza già in possesso dei condomini, in relazione ad una voce già presente in esso e per esigenze di spese tutt'altro che imprevedibili. Anzi, a ben vedere, non solo il diritto di informazione dei condomini è stato rispettato, ma in questo caso l'amministratore è andato anche oltre ai propri doveri minimi, ove si consideri che: "al fine di soddisfare adeguatamente il diritto d'informazione dei condomini circa l'oggetto della delibera non è necessario allegare all'avviso anche i singoli importi dei preventivi in questione, posto che per assolvere agli oneri di specificità e chiarezza dell'ordine del giorno e soddisfare il diritto d'informazione dei condomini è sufficiente l'indicazione della materia su cui deve vertere la discussione e la votazione, mentre è onere del condomino, ove intendesse avere a disposizione i dati specifici e la documentazione relativa alla materia su cui decidere, attivarsi per visionarla presso l'amministratore stesso ed eventualmente farsene rilasciare copie a proprie spese" (Tribunale Roma sez. V, 26/05/2020, n. 7650; cfr. anche Cass. Civ. sez. II, 15/10/2018, n. 25693). 6. - Spese legali Le spese legali sono poste a carico della parte soccombente. Considerata la sovrapponibilità di molti argomenti difensivi con quelli già trattati nella causa R.G. n. 788/2018, dal che consegue un minor impegno nello studio e redazione degli atti, i compensi sono liquidati secondo i parametri minimi e limitatamente alle fasi processuali effettivamente esperite: mediazione - attivazione Euro 255 + - negoziazione Euro 0 + - conciliazione Euro 0 + contenzioso - fase di studio Euro 810 + - fase introduttiva Euro 574 + - fase istruttoria Euro 860 + - fase decisoria Euro 0 = Totale Euro 2500 Non sussistono invece i presupposti della responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c., anche perché le domande attoree non sono state interamente accolte. La mancata partecipazione del Condominio al procedimento di mediazione obbligatoria, senza valida giustificazione, determina quale conseguenza, ai sensi dell'art. 8 comma 4 bis D.L. 28/2010, la condanna al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) ANNULLA la delibera assunta dall'assemblea del CONDOMINIO "(...)" in data 20/9/2018, limitatamente alla votazione di approvazione del rendiconto per l'esercizio 2017/2018 (punto 1 all'ordine del giorno); 2) CONDANNA il convenuto CONDOMINIO "(...)" alla rifusione delle spese legali, liquidate in Euro 596,38 per anticipazioni e Euro 2500,00 per compensi, oltre spese generali 15% ed accessori di legge; 3) CONDANNA il convenuto CONDOMINIO "(...)" al versamento all'entrata del bilancio dello Stato della somma di Euro 518,00, corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Così deciso in Lecco il 22 ottobre 2020. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Nella persona del dott. Mirco Lombardi, in qualità di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 28 settembre 2015 ed iscritta al n. 2446 del Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2015 da: - (...), rappresentata e difesa dai procc. domm. avv.ti Fr.Fa. e (...) del foro di Como, con elezione di domicilio in Via (...) - 22100 Como, presso e nello studio dei difensori, giusta delega a margine dell'atto introduttivo ATTRICE contro - (...) S.p.A. (CF. (...)), rappresentata e difesa dai procc. domm. avv.ti (...) del foro di Monza, con elezione di domicilio in Via (...) n. 50 -20900 Monza, presso e nello studio dei difensori, giusta delega agli atti telematici CONVENUTA Oggetto: Contratti bancari. All'udienza del 19 febbraio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione sulle seguenti MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - L'impresa individuale (...), sulla premessa di aver acceso presso l'allora (...), filiale di Besana Brianza, un rapporto di conto corrente con apertura di credito, ancora in essere con (...) e contraddistinto con il n. (...), dopo aver richiesto alla banca copia della documentazione contrattuale ed ottenuto il contratto datato 15.1.1992 privo delle pattuizioni sulle clausole operative e con previsione di capitalizzazione degli interessi debitori a periodicità trimestrale contro quella annuale degli interessi creditori (doc. 2 dell'attrice), con raccomandata del 9.6.2014 (doc. 1 dell'attrice) ha contestato alla banca l'illegittima applicazione di interessi anatocistici, spese fisse di chiusura trimestrale, commissioni massimo scoperto e interessi ultralegali per complessivi Euro 117.015,32. Non avendo raggiunto alcun accordo (v. verbale procedimento di mediazione al doc. 3 dell'attrice) e venendo anzi intimata del pagamento di Euro 23.228,38 per saldo debitore con raccomandata del 9.6.2015 (doc. 4 dell'attrice), ha avviato la presente causa per denunciare l'illegittima applicazione della capitalizzazione degli interessi a debito, l'illegittima applicazione di un tasso di interesse debitore superiore a quello legale fino al 31.12.1993 ed al tasso di cui all'art. 117 TUB dall'1.1.1994, l'illegittimo addebito di commissioni di massimo scoperto e di spese di chiusura trimestrale, chiedendo così la condanna della banca a rettificare il saldo di conto corrente mediante il riaccredito in conto di Euro 137.286,71 con riconoscimento, nel caso in cui il conto fosse divenuto attivo, degli interessi creditori al saggio legale ed ex art. 117 TUB. 2. - Si è costituita in giudizio (...) S.p.A. la quale ha dedotto l'inammissibilità della domanda di ripetizione, essendo il conto corrente ancora aperto, ed ammettendo eventualmente una mera domanda di accertamento, ma in questo caso "dovrebbe peraltro dubitarsi della sussistenza di un interesse ad agire in assenza della prova di un affidamento tuttora in essere, tale cioè da giustificare la richiesta di veder accertato un saldo destinato ad essere superato dalla successiva evoluzione del rapporto". Ha quindi richiamato l'onere della prova in capo all'attrice, integrando comunque la produzione documentale di controparte (docc. 3-11 della convenuta) ed ha eccepito la prescrizione di qualsiasi pretesa restitutoria relativa ad addebiti operati nel decennio prima della ricezione della raccomandata del 9.6.2014, avvenuta il 16.6.2014, allegando apposita perizia di parte in proposito (doc. 12 della convenuta). Ha poi ripercorso le doglianze attoree, confutandole punto per punto. 3. - In corso di causa è stata disposta C.T.U., affidata al dott. (...), il quale ha depositato apposito elaborato scritto in data 30.10.2018 e quindi successiva integrazione il 15.1.2020. 4. - Preliminarmente va sgombrato il campo dall'eccezione di inammissibilità della domanda sostenuta dalla banca: l'attrice, invero, non ha chiesto la ripetizione di pagamenti bensì l'accertamento dell'illegittimità di alcuni addebiti operati in conto corrente e la conseguente condanna della banca a riaccreditare in conto quanto illegittimamente trattenuto. La validità di una simile azione e l'esistenza di un sotteso interesse giuridicamente apprezzabile, che non può raggiungersi senza la pronuncia del Giudice, sono stati da ultimo definitivamente riconosciuti dalla Suprema Corte (Cass. 5.9.2018 n. 21646), anche in un'ipotesi di assenza di rimesse solutorie: il correntista ha comunque un interesse a che si accerti, prima della chiusura del conto, la nullità o meno delle clausole contestate e l'esistenza o non di addebiti illegittimamente operati in proprio danno, con il ricalcolo del saldo parziale, depurato delle appostazioni che non potevano aver luogo. L'apprezzamento sul piano pratico di tale interesse può cogliersi in più direzioni: quella della esclusione per il futuro di annotazioni illegittime; quella del ripristino a suo favore di una maggiore estensione dell'affidamento concessogli, indebitamente ridotto da addebiti non dovuti; quella della riduzione dell'importo che la banca, rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto. 5. - Venendo al merito delle questioni, occorre prendere le mosse dalla C.T.U., che ha correttamente e compiutamente esaminato la documentazione prodotta dalle parti con riguardo al rapporto di conto corrente n. (...) (prima n. 06181024) e alla relativa apertura di credito. In particolare, il contratto di apertura di conto corrente di corrispondenza è del 15.1.1992 (doc. 2 dell'attrice) - sottoscritto dal solo correntista, ma qualsivoglia dubbio sulla validità di esso, seppur mancante della sottoscrizione della banca, è da ritenersi superata alla luce della pronuncia delle Sezioni Unite 16.1.2018 n. 898 (successivamente confermata da altra pronuncia a Sezioni Unite 23.1.2018 n. 1653, che hanno avviato un indirizzo poi sempre ribadito: Cass. 29.11.2018 n. 30885; Cass. 21.6.2018 n. 16406; Cass. 21.6.2018 n. 16362; Cass. 18.6.2018 n. 16070; Cass. 6.6.2018 n. 14646; Cass. 4.6.2018 n. 14243) - e prevede, fra le clausole di interesse al fine del decidere (v. art. 7), una differente periodicità di capitalizzazione nei rapporti dare/avere ("I rapporti di dare e avere vengono chiusi contabilmente in via normale a fine dicembre di ogni anno, portando in conto gli interessi e le commissioni nella misura stabilita, nonché le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e di chiusura del conto ed ogni eventuale altra con valuta data di regolamento. I conti che risultino debitori, anche saltuariamente, vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre, applicando gli interessi dovuti dal Correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto..."), la determinazione degli interessi debitori per relationem attraverso il rinvio agli usi di piazza (...) interessi dovuti dal Correntista all'Azienda di credito, salvo patto diverso, s'intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito sulla piazza (...) comunque in misura non inferiore al "prime rate "o, in caso di mora, a sei punti percentuali in più del prime rate, così come rilevato dall'Associazione Bancaria Italiana e pubblicato dalla stampa economica con decorrenza dal giorno successivo a quello cui la rilevazione fa riferimento detti interessi producono a loro volta interessi nella stessa misura") ed analoga modalità di rinvio agli usi di piazza (...) le operazioni di accredito e addebito e per spese e commissioni di massimo scoperto ("Le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalle aziende di credito sulla piazza (...) le valute indicate nei documenti contabili e comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni sul massimo scoperto e le spese di tenuta conto"). All'art. 15 è regolato lo ius variandi: "L'azienda di credito si riserva la facoltà di modificare in qualsiasi momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti di conto corrente. Le comunicazioni relative saranno validamente fatte dall'azienda di credito mediante lettera semplice all'ultimo indirizzo indicato dal correntista oppure mediante avviso esposto nei locali dell'azienda o pubblicato nella stampa locale ed entreranno in vigore con la decorrenza indicata in tale comunicazione o avviso". Con data certa del 12.6.1998 le parti hanno concluso un contratto di apertura di credito in conto corrente (doc. 3 della convenuta), sottoscritto dal correntista, avente ad oggetto la "proroga o aumento apertura di credito in conto corrente per elasticità di cassa", senza peraltro che risultino prodotti agli atti precedenti aperture di credito. La banca ha accordato, con durata a revoca, un'apertura di credito di Lire 90.000.000 (euro 46.481,00) stabilendo il tasso d'interesse (tasso annuo d'interesse - parte assistita da garanzia reale: 9,000% con capitalizzazione trimestrale; tasso annuo d'interesse - parte non assistita da garanzie: 9,750% con capitalizzazione trimestrale; tasso annuo d'interesse - su eventuale scoperto oltre il limite dell'apertura di credito: 12,750% con capitalizzazione trimestrale), una commissione trimestrale sul massimo scoperto (per la parte eventualmente assistita da garanzia reale: 0,250%; per la parte non garantita: 0,250%; sull'eventuale scoperto consentito oltre il limite dell'apertura di credito: 0) e l'interesse di mora (tasso annuo d'interesse di mora: "prime rate ABI" tempo per tempo vigente aumentato di cinque punti percentuali con capitalizzazione trimestrale). Altra pattuizione sottoscritta da entrambe le parti (dalla banca in data 28.10.2011 e dal correntista in data 30.11.2011) è l'integrazione contrattuale inerente la concessione di apertura di credito sul conto corrente (doc. 11 della convenuta), che reca le seguenti condizioni economiche: tasso debitore d'interesse nominale annuo: 12,470% (eff. annuo 13,065%); tasso debitore d'interesse nominale annuo (oltre fido): 12,700% (eff. annuo 13,317%); commissione disponibilità fondi 0,50% calcolato al termine di ogni trimestre solare, applicando detta percentuale alla media dell'importo delle aperture di credito in essere durante il trimestre stesso, esclusa quella concessa a tassi differenziati e quella concessa a titolo di prefinanziamento mutuo. Altre pattuizioni prodotte in atti e segnatamente il contratto di anticipo e sconto di portafoglio datato 30.1.2007 (doc. 4 della convenuta) e l'analogo del successivo 12.11.2007 (doc. 5 della convenuta), nonché l'integrazione contrattuale del 28.1.2009 (smobilizzo portafoglio anticipi al doc. 6 della convenuta), non sono state ritenute rilevanti dal C.T.U., "non apparendo interferenze sostanziali con il conto corrente e l'apertura di credito". Il C.T.U. ha inoltre passato in rassegna le numerose comunicazioni inerenti il conto corrente e l'apertura di credito, tutte prive di firme ovvero sottoscritte solamente dall'istituto di credito (si rinvia alle pagg. 17-25 della perizia). Quanto agli estratti conto, risultano prodotti in atti dalla banca (relativo doc. 20) gli estratti analitici per i periodi dall'1.10.2002 (4 trimestre 2002) al 30.6.2004 (2° trimestre 2004). L'attrice ha invece prodotto (docc. 6-92) gli estratti conto scalari, con i dettagli delle competenze ed i saldi valuta, dal 1 trimestre 1991 al 4 trimestre 2011, ma con alcuni periodi incompleti (mancano 1 trimestre 1993 e 4 trimestre 1995), specie per gli anni 1998/1999. La convenuta ha quindi dedotto l'insufficienza della documentazione, la cui produzione compete principalmente all'attrice, al fine dell'accoglimento della domanda. Il C.T.U. ha però chiarito come anche per i periodi relativi ai soli scalari ed anche se in carenza di documentazione specifica per alcuni trimestri, è stato comunque in condizione di ricostruire con adeguata attendibilità i movimenti giornalieri ("partendo dai saldi valuta riportati nei riassunti scalari"), inserendoli in apposito software di calcolo. La ricostruzione effettuata dal C.T.U. (cfr. tabella 2.3 allegata alla perizia) deve allora considerarsi basata su sufficiente documentazione, del tutto idonea a consentire al Consulente di elaborarla con metodo matematico e di ricavare per induzione i pochi dati mancanti. 6. - Dall'esame dei riferiti documenti si ricavano quindi i seguenti dati. 6.1 - Nel contratto iniziale del 15.1.1992 (stipulato anteriormente alla Legge 17.2.1992 n. 154 recante "Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari) non risulta una pattuizione dei tassi di interesse, bensì una clausola di rinvio alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza (...) va dichiarata nulla (per la nullità delle clausole del contratto di conto corrente che prevedano la corresponsione di interessi superiori al tasso legale determinati "secondo uso piazza": Cass. 9.3.2016 n. 4567; Cass. 30.10.2015 n. 22179; Cass. 8.5.2008 n. 11466). Solo col contratto di apertura di credito del 12.6.1998 risulta stabilita la misura dei tassi debitori per la parte garantita (9,00%), non garantita (9,75%) e sull'eventuale scoperto oltre il limite dell'apertura di credito (12,75%). Il successivo contratto di integrazione contrattuale dell'apertura di credito, sottoscritto dalla banca il 28.10.2011 e dal correntista il 30.11.2011, stabilisce la misura dei tassi debitori entro il fido (12,47%) e oltre il fido (12,70%) nonché la commissione disponibilità fondi (0,50%). 6.2 - Lo ius variandi era invece regolato al surriportato art. 15 del contratto 15.1.1992 e nuovamente previsto nel contratto di apertura di credito del 12.6.1998 con rinvio alle prescrizioni della Legge 154/1992 ("Resta inteso che il nostro istituto si riserva la facoltà di modificare le condizioni economiche sopraindicate, rispettando in caso di variazioni a voi sfavorevoli, le prescrizioni della Legge 17.02.1992 n. 154"). 6.3 - Con riguardo alla commissione massimo scoperto (CMS), il contratto iniziale del 15.1.1992 reca il solito generico rinvio agli usi su piazza, del tutto insufficiente per ritenere conclusa una pattuizione determinata nell'oggetto. Nel contratto di apertura di credito del 12.6.1998 la CMS risulta invece sufficientemente determinata: commissione trimestrale dello 0,250% per la parte eventualmente assistita da garanzia reale ed analoga percentuale per la parte non garantita; nulla sull'eventuale scoperto consentito oltre il limite dell'apertura di credito. Sull'estratto conto al 30.6.2003 (doc. 20 della convenuta), in applicazione della pattuizione sullo ius variandi, la banca ha comunicato che "In conformità all'art. 118 DelD.Lgs 385/93 ... Commissione trimestrale su massimo scoperto: decorrenza 30.06.2003 - commissione 0,750%". 6.4 - Dal 3 trimestre 2009 la banca, in luogo della CMS, ha iniziato ad applicare commissione disponibilità fondi (CDF) con la percentuale trimestrale dello 0,50%. L'unica pattuizione rinvenuta agli atti è la citata integrazione contrattuale del 30.11.2011, ove è prevista la CDF allo 0,50% ogni trimestre solare applicata alla media dell'importo delle aperture di credito. 6.5 - Si è già detto come nel contratto 15.1.1992 risulti una diversa capitalizzazione degli interessi passivi rispetto a quelli attivi, i primi capitalizzati trimestralmente mentre i secondi annualmente. E' ben noto alle parti in causa lo sviluppo giurisprudenziale e legislativo subito dalla materia: il fenomeno dell'anatocismo bancario, ritenuto per lungo tempo legittimo, è stato sovvertito dalla Corte di Cassazione nel marzo/aprile 1999, con tre pronunce consecutive, nelle quali è stato evidenziato come la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, concernente la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente, fosse basata su un mero uso negoziale ex art. 1340 c.c. (in quanto adottata per la prima volta in via generale su iniziativa dell'ABI nel 1952) e non su una vera e propria norma consuetudinaria ex artt. 1 e 8 Preleggi, con la conseguenza di non essere idonea a derogare alla norma imperativa di cui all'art. 1283 c.c., che disciplina i limiti in cui sono dovuti gli interessi sugli interessi, richiedendo una convenzione posteriore alla scadenza ed un decorso di almeno sei mesi, salvi i diversi usi normativi (Cass. 16.3.1999 n. 2374; Cass. 30.3.1999 n. 3096; Cass. 17.4.1999 n. 3845). L'impostazione non è stata più abbandonata (Cass. 11.11.1999 n. 12507; Cass. 4.5.2001 n. 6263; Cass. 28.3.2002 n. 4490; Cass. 13.6.2002 n. 8442; Cass. 20.8.2003 n. 12222). Il Legislatore è quindi intervenuto nella materia, all'evidente intento di evitare un diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito, dettando, con il comma 3 dell'art. 25 del Decreto Legislativo 4.8.1999 n. 342 ("Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente"), una norma ad hoc, volta ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, dettata sempre dal medesimo articolo, con l'introduzione del comma 2 dell'art. 120 T.U.B. ("Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori"). La norma ha però incontrato lo sbarramento di incostituzionalità per eccesso di delega (Corte Cost. 17.10.2000 n. 425) e le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 4.11.2004 n. 21095) sono tornate a ribadire la nullità delle clausole anatocistiche. La nomofilachia della Corte ha dato buon esito, tanto da non individuarsi alcuna pronuncia contrastante negli anni a seguire e con affermazione, oltretutto, della rilevabilità d'ufficio della nullità in questione (Cass. 25.2.2005 n. 4092; Cass. 25.2.2005 n. 4093; Cass. 25.2.2005 n. 4094; Cass. 19.5.2005 n. 10599; Cass. 13.10.2005 n. 19882; Cass. 1.3.2007 n. 4853; Cass. 19.3.2007 n. 6514; Cass. 10.10.2007 n. 21141; Cass. 30.11.2007 n. 25016; Cass. 8.5.2008 n. 11466; Cass. 25.11.2010 n. 23974; Cass. 3.5.2011 n. 9695). In materia sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite con la sentenza 2.12.2010 n. 24418, per chiarire una conseguenza della declaratoria di nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nell'apertura di credito in conto corrente per contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall'art. 1283 c.c., ossia la modalità di calcolo degli interessi a debito del correntista. Superando pronunce contrastanti nella giurisprudenza di merito, la Corte di Cassazione ha stabilito che gli interessi devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, compresa quella annuale (invece ritenuta in numerosi arresti di merito), giacché il medesimo art. 1283 c.c. osta anche ad una simile previsione negoziale e manca un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza (successivamente: Cass. 7.9.2018 n. 21875; Cass. 13.10.2017 n. 24153; Cass. 17.8.2016 n. 17150; Cass. 14.3.2013 n. 6550). L'anatocismo applicato dalla banca convenuta in forza dell'art. 7 delle condizioni del contratto 15.1.1992 è dunque illegittimo. La banca stessa si è difesa sostenendo che, comunque, la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovesse considerarsi legittima a decorrere dalla pubblicazione fatta sulla Gazzetta Ufficiale della regolamentazione degli interessi creditori e debitori con identica periodicità trimestrale (comunicazione 16.5.2000 al doc. 13 della convenuta). Sul punto deve rammentarsi che l'art. 7 della delibera CICR 9.2.2000 ha dettato una regolamentazione dei rapporti bancari precedentemente costituiti, che così recita: "1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30/6/00 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1 luglio. 2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30/6/00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30/12/00. 3. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela". Deve quindi esser stabilito se, nel caso di specie, l'adeguamento da parte della banca alla delibera CICR possa considerarsi o meno quale condizione peggiorativa della precedente regolamentazione del rapporto. Ora, pare troppo semplicistico dare per scontato che l'introduzione del principio di reciprocità (a cadenza trimestrale) nella capitalizzazione degli interessi sia senz'altro migliorativa per la cliente, la quale, fino a quel momento, subiva la capitalizzazione con una sperequazione a suo danno. Così opinando, infatti, si avvalorerebbe la conclusione di far derivare dall'inosservanza della legge (come deve essere qualificata la violazione del divieto di anatocismo da parte della banca) un effetto favorevole per il trasgressore (la banca): l'incongruità giuridica della soluzione, oltre che la paradossalità della stessa sul piano logico, la rendono inaccettabile. Il riferimento che l'art. 7 della delibera CICR fa alle "condizioni precedentemente applicate" non può allora esser riportato alle modalità effettivamente osservate dalla banca nella gestione del rapporto di conto corrente, ma piuttosto alle condizioni che il rapporto avrebbe dovuto avere alla luce della normativa imperativa vigente. Diviene, così, evidente come l'adeguamento alla delibera CICR rappresenti per una condizione peggiorativa, segnando il passaggio dall'assenza di capitalizzazione a quella trimestrale, seppur in regime di reciprocità. A questo punto la banca, in applicazione del comma 3, avrebbe dovuto inserire la previsione di capitalizzazione trimestrale in una specifica pattuizione contrattuale da approvarsi per iscritto (principi da ultimo confermati nella Suprema Corte: Cass. 12.3.2020 n. 7105; Cass. 21.10.2019 n. 26779; Cass. 21.10.2019 n. 26769). Non risultano prodotti agli atti, successivamente all'1.7.2000, altri contratti o documenti da cui risulti un'approvazione scritta specifica della cliente della clausola anatocistica reciproca. 6.6 - Infine, con riferimento agli interessi creditori, in nessuno dei documenti contrattuali prodotti agli atti di causa si rinviene una pattuizione scritta al proposito. 7. - Tramutando quanto sinora detto in criteri di ricalcolo del conto corrente, vanno considerati i seguenti parametri: - tassi debitori: quelli applicati dalla banca ma, in caso di variazioni sfavorevoli al correntista, mantenimento del tetto massimo rappresentato dai tassi pattuiti; - CMS: esclusione fino al 12.6.1998; successivamente 0,25% sul fido (sia parte assistita da garanzia reale, sia parte non assistita) e nulla sullo scoperto; dal 30.6.2003 0,75% su tutto lo scoperto, salvo il periodo dall'1.1.2005 all'1.4.2007, dove la banca ha applicato lo 0% fino a concorrenza di Euro 27.488,00; - CDF: escludendola fino al 29.11.2011 ed applicandola dal 30.11.2011; - anatocismo: escludendo per tutto il periodo la capitalizzazione trimestrale e addebitando gli interessi semplici maturati con valuta al termine del rapporto sino alla chiusura del rapporto; - interessi creditori: applicazione agli eventuali saldi attivi, che sarebbero maturati a favore dell'attrice per effetto della epurazione degli addebiti contestati, del saggio legale fino al 31.12.1993 e del saggio ex art. 117 TUB (tasso massimo di emissione dei BOT pro tempore vigente). 8. - La banca ha comunque richiesto l'esclusione di ogni ricalcolo con riferimento al periodo anteriore al 16.6.2004, eccependo l'intervenuta prescrizione. Tuttavia è da rilevarsi come sia solo l'azione di ripetizione ad essere soggetta all'ordinaria prescrizione decennale che, come definitivamente chiarito da Cass. S.U. 2.12.2010 n. 24418, decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto per i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto che abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, mentre dalla data di annotazione in conto per i versamenti aventi natura solutoria. Vertendosi qui invece in un'azione di accertamento di illegittimi addebiti in conto corrente ancora aperto dovuti a nullità di clausole pattizie o a modifiche unilaterali delle stesse fuori dai casi consentiti dalla legge e dunque ancora nulle o addirittura in assenza di accordo, trova applicazione il principio di imprescrittibilità dell'azione di nullità ex art. 1422 c.c.. 9. - Tirando le somme da tutto quanto precede, in forza dei conteggi da ultimo eseguiti dal C.T.U. nel supplemento di perizia del 15.10.2020 (cfr. in particolare pagg. 4 e 5 nonché le tabelle ed i prospetti ivi richiamati) in perfetta applicazione dei criteri di cui al paragrafo 7, il ricalcolo fa segnare una rettifica di Euro 95.13,72 a favore del cliente: dal momento che il saldo originario al 31.12.2011 segnava un passivo di Euro 46.419,62, deve concludersi che per effetto delle rettifiche il saldo alla medesima data del 31.12.2011 assume un saldo creditore di Euro 49.394,10. 10. - Le spese di lite seguono la soccombenza e, perciò, la banca convenuta va condannata a rifonderle al legale della società attrice, dichiaratosi antistatario, nell'importo che si liquida - tenuto conto del valore della causa (pari all'effettiva condanna), dell'attività concretamente effettuata, del tenore degli atti e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 - in Euro 12.264,00 (di cui Euro 264,00 per anticipazioni ed Euro 12.000,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Le spese di C.T.U., liquidate in Euro 8.845,80 oltre oneri di legge per la prima perizia ed in Euro 4.000,00 per il supplemento, sono definitivamente accollate alla banca convenuta. Rientrano, infine, fra le spese di lite anche quelle di natura tecnica che l'attrice ha dovuto affrontare per le prestazioni rese dal proprio consulente tecnico di parte (Cass. 3.1.2013 n. 84; Cass. 16.6.1990 n. 6056; Cass. 12.12.1985 n. 3897; Cass. 29.6.1985 n. 3897; Cass. 5.11.1977 n. 4707; Cass. 25.11.1975 n. 3946; Cass. 6.6.1972 n. 1752; Cass. 3.3.1972 n. 625; Cass. 19.7.1965 n. 1626). E' certo che il C.T.P. abbia effettuato le prestazioni di cui dà conto l'elaborato peritale del C.T.U. e quello dello stesso C.T.P., allegato alla consulenza d'ufficio. La nota del C.T.P. allegata agli atti e portante compensi per Euro 6.656,00 oltre oneri di legge appare equa e coerente con l'attività prestata, sicché la banca va condannata a rifonderla all'attrice. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Lecco, in persona del dott. Mirco Lombardi, definitivamente pronunciando, così provvede: CONDANNA (...) S.p.A. (CF. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, a riaccreditare sul conto corrente della società attrice la somma di Euro 95.813,72 con la conseguenza che il conto corrente al 31 dicembre 2011, in luogo del saldo debitore di - 46.419,62 Euro, assumerà un saldo creditore a favore della correntista di + 49.394,10 Euro. CONDANNA (...) S.p.A. (CF. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare all'avv. (...), dichiaratosi antistatario, le spese di lite per Euro 12.264,00 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta, nonché a rifondere le spese di C.T.P. per Euro 6.656,00 oltre oneri di legge. PONE definitivamente le spese di C.T.U. a carico della banca convenuta. Così deciso in Lecco il 20 agosto 2020. Depositata in Cancelleria il 22 agosto 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Nella persona del dott. Mirco Lombardi, in qualità di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 17 gennaio 2018 ed iscritta al n. 283 del Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2018 da: - Re.Da. (CF. (...)) e Be.No. (CF. (...)), rappresentati e difesi dal proc. dom. avv. Ma.Gi. del foro di Lecco, con elezione di domicilio in Via (...) - 23900 Lecco, presso e nello studio del difensore, giusta delega agli atti telematici ATTORI contro - La. S.p.A. (CF. (...)), rappresentata e difesa dal proc. dom. avv. Ma.Di. del foro di Pescara, con elezione di domicilio in Via (...) - 23900 Lecco, presso e nello studio dell'avv. Sa.Du., giusta procura agli atti telematici CONVENUTA Oggetto: Responsabilità. All'udienza del 14 gennaio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione sulle seguenti MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Re.Da. e Be.No., premesso di essere comproprietari di un appartamento sito a Ballabio alla Via (...) che in data 18.8.2017, durante un temporale, era stato allagato dal riflusso delle acque nere del sistema fognario che nel mese di giugno 2017 era stato oggetto di un intervento di separazione delle acque nere dalle acque meteoriche da parte di La. S.p.A. hanno evocato in giudizio quest'ultima per sentirne accertare la responsabilità per la causazione dei danni con conseguente condanna al risarcimento nella somma di Euro 16.486,44 o nella maggiore o minore somma accertata in corso di causa. 2. - Si è costituita tempestivamente in giudizio La. S.p.A. qualificando la domanda ai sensi dell'art. 2051 c.c. e negando la propria responsabilità per effetto della riconducibilità causale dell'evento al fatto dei danneggiati e, segnatamente, "perché il sifone relativo allo scarico dell'abitazione era otturato" in un tratto privato della tubazione. In ogni caso, ha pure contestato la quantificazione dei danni. 3. - Non è sostanzialmente contestato che la sera del 18.8.2017, durante un temporale, l'appartamento degli attori si sia allagato per fuoriuscita di acque nere dal sistema fognario. Ne ha dato prova certa il teste Li.Pa., dipendente di La. con funzioni di manutenzione straordinaria degli impianti e che è intervenuto prontamente durante il sinistro, essendo in turno di reperibilità: "Il 18.8.2017 mi trovavo in turno di reperibilità. Il call center mi ha chiesto di intervenire in via (...) di Ballabio dove una persona aveva lamentato l'allagamento del suo appartamento da scarichi fognari. E' intervenuto sul posto prima di tutto il mio collega Ba.Fa. e, quando mi sono liberato da altri miei impegni di lavoro, l'ho raggiunto anche io. Sono entrato nell'appartamento dei sig.ri Re.-Be. ed ho verificato che in tutto l'appartamento vi era un velo d'acqua con residui fognari". Anche il vicino di casa degli attori, Co.Al. ("Abito nella casa sostanzialmente di fronte a quella degli attori che conosco di vista"), ha avuto accesso all'appartamento subito dopo l'accaduto e ne ha confermato lo stato: "La sera del 18.8.2017 mi trovavo sul divano di casa e ho sentito dei rumori provenire dalla strada. Mi sono affacciato e ho visto alcune persone che stavano cercando di aprire un pozzetto molto grande in ghisa che si trovava sulla strada sotto la mia finestra della sala. Sono sceso per capire cosa stesse accadendo. Vi era un gruppetto di persone fra cui gli attori e mi hanno spiegato che gli si era allagata la casa. Cercavano di aprire il pozzetto ma non ce l'hanno fatta perché è risultato saldato. In quella stessa occasione sono entrato nell'abitazione degli attori ed era la prima volta: tutto l'appartamento era ricoperto da acque nere e feci. Non c 'era un punto del pavimento che non fosse interessato da questa fuoriuscita di acqua. Lo sporco arrivava a sormontare la fessura delle porte dell'appartamento. E ' sopraggiunto il camion degli spurghi che però non poteva pulire all'interno dell'appartamento con i suoi mezzi e quindi io mi sono recato a casa mia, ho preso il mio aspira-liquidi e insieme ad altri vicini abbiamo aiutato gli attori a pulire il loro appartamento". Anche il geom. Te.Ma., incaricato dagli attori di redigere una perizia (prodotta al doc. 6 di parte attrice ed integralmente conferma dal professionista, escusso come teste), si è recato nell'appartamento il giorno dopo il fatto ed ha confermato la presenza di liquami ("Il giorno dopo i fatti di causa la sig.ra Be., che fino dicembre 2017 è stata dipendente del mio studio tecnico di geometra, mi ha telefonato dicendomi che il giorno prima vi era stato uno spargimento di liquami che aveva interessato tutto il suo appartamento e chiedendomi di individuarne le cause. In quello stesso giorno ho fatto la prima visita all'appartamento ed ho potuto direttamente constatare che tutto l'appartamento composto da due camere, soggiorno/cucina, corridoio e bagno era ricoperto da acqua proveniente dallo scarico delle acque nere, tant'è che si vedevano anche feci"). Peraltro è la stessa convenuta ad aver prodotto fotografie dello stato dell'appartamento scattate dal dipendente Li. (v. relazione al doc. 8 degli attori e doc. 2 della convenuta e contenuto dello scritto a penna prodotto anche al doc. 1 degli attori e che il teste Li. ha confermato di aver redatto durante il suo intervento). Quelle a loro volta allegate dagli attori non hanno formato oggetto di specifica contestazione ad opera della convenuta (docc. 2, 6 e 12 degli attori). 4. - Il vero nodo del contendere è rappresentato dall'individuazione della causa dell'allagamento. Li.Pa., durante il suo accesso, ha disposto l'intervento del servizio di spurgo "che ha fatto una pulizia sul sifone Firenze posto sul collegamento della tubazione di scarico tra l'abitazione e la fognatura pubblica", ma non è stato in grado di individuare le cause dello sversamento: "In quell'occasione ho cercato di farmi un'idea delle ragioni dell'accaduto ma non ero in grado di comprendere meglio senza l'aiuto di una video ispezione. Mi risulta che questa operazione venne fatta nei giorni successivi, ma io non sono stato presente". E' pacifico che nel primo semestre 2017 il tratto stradale di via (...), su cui affaccia il condominio ove è ubicato l'appartamento degli attori, sia stato oggetto di opere di manutenzione straordinaria (deliberate dalla Giunta del Comune di Ballabio il 21.12.2015, come si legge nella perizia del geom. Te.) affidate in data 15.4.2016 alla Po. s.r.l. ed aventi ad oggetto la sola realizzazione di una rete delle acque bianche meteoriche. Nell'occasione La. ha inteso adeguare l'unica rete fognaria mista esistente, proponendo la costruzione di una nuova e separata rete per le acque nere e ne ha affidato l'esecuzione alla stessa ditta individuata dal Comune. Tanto risulta dagli accertamenti presso il Comune compiuti dal geom. Te. (cfr. pag. 4 e 5 della citata perizia) ed è stato confermato sia dal tecnico comunale del Comune di Ballabio, Ro.Lu., nel corso della sua deposizione testimoniale ("Il Comune ha provveduto a redigere un progetto per la separazione delle reti: in quell'area c'era un'unica fognatura mista che convogliava sia le acque bianche che quelle nere. Mi è stato riferito che inizialmente il Comune voleva costruire la sola rete delle acque bianche, mantenendo quella mista in essere come sola rete delle acque nere. La.Re. ha invece voluto rifare anche la rete mista, realizzando quindi una rete completamente nuova, rimuovendo totalmente il tubo originariamente presente. Per le opere sono stati nominati due direttori dei lavori: An.Da. per conto del Comune per le reti acque bianche; un direttore tecnico della La.Re. di cui non conosco il nome per le acque nere"), sia dal teste Ru.Ma., responsabile dell'esecuzione degli investimenti della convenuta ("in concreto seguo la parte esecutiva dei progetti di La.Re., unitamente ad altri colleghi. Sull'intervento in generale posso riferire che il Comune di Ballabio aveva rappresentato la necessità di rifare la pavimentazione stradale di Via (...), Via (...) e altre e quindi aveva chiesto a La.Re. se vi fosse necessità di sostituire le reti di acquedotto e fognatura. In via (...) sussisteva una fognatura mista, in cui convergevano le acque reflue e le acque meteoriche, e quindi si è deciso di togliere la vecchia fognatura e crearne due separate: la meteorica è di competenza del Comune, mentre quella delle acque reflue di La.. Il Comune ha fatto il progetto della pavimentazione e della fognatura bianca, mentre La.Re. il progetto della fognatura nera. La posa in opera è stata commissionata da La.Re. alla stessa società che aveva già individuato il Comune per le opere di sua competenza e cioè la Po."). Stante la vicinanza temporale fra la fine dei lavori (ultimati il 18.7.2017) e la problematica di rigurgito fognario, in data 21.8.2017 si è avuto un sopralluogo (riportato a pag. 2 della perizia Te.) alla presenza degli attori, con il loro tecnico, del tecnico comunale, del direttore dei lavori per conto del Comune, geom. An.Da., e di operatori della Re.Sp. (così il teste Te.Ma., tecnico degli attori: "ricordo che è stato fissato un sopralluogo per il giorno 20 o 21 agosto, ora non ricordo bene ma la data è indicata in perizia, alla presenza oltre che mia anche dell'ing. Ro. tecnico comunale di Ballabio, del marito della Be., forse anche di quest'ultima e di un tecnico della ditta Re. che era stata incaricata da La.Re. di fare una video ispezione delle condotte. Ricordo inoltre che sopraggiunse anche il sindaco del Comune di Ballabio. Vi erano anche un paio di altre persone, forse residenti della zona" - Ro.Lu., tecnico comunale: "Qualche giorno dopo, se non erro il 21.8.2017, è stata fatta una video ispezione dalla ditta Re. che lavora per gli spurghi per La.Re., alla mia presenza, del geometra Te., il geometra An. direttore dei lavori per conto del Comune, la persona che ho visto uscire prima dalla porta di questa stanza (ossia il teste Co.Al., che in effetti ha dichiarato: "Il giorno dopo o comunque nella immediatezza dei fatti ho visto che sul luogo è intervenuta una persona del Comune, una della ditta degli spurghi e una persona che ho inteso essere dell'impresa che aveva svolto i lavori di rifacimento delle tubature della zona che erano stati conclusi da poco tempo. Sono anche io sceso in strada e sono stato ad assistere agli interventi") e due operatori della Re., unitamente ai due attori"). L'esito della video ispezione (la cui relazione è stata prodotta al doc. 8 degli attori) è stato così esposto dai due tecnici che vi hanno preso parte: "Si è cercato di capire quale era il collegamento esistente delle reti; abbiamo individuato sulla strada la rete delle acque bianche che effettivamente era separata da quella delle acque nere; siamo poi passati a verificare quale fosse il collegamento dell'edificio alla rete fognaria e abbiamo accertato che dall'edificio, precisamente dalla colonna montante del bagno dell'appartamento posto al piano rialzato degli attori, è presente la colonna di scarico collegata ad un pozzetto presente in strada che è provvisto di sifone tipo Firenze, pozzetto esistente da quando è stata ristrutturata l'abitazione (circa una decina di anni fa) collegato alla rete delle acque nere; è stato peraltro realizzato un ulteriore pozzetto di ispezione prima dell'immissione dello scarico della nuova rete delle acque nere realizzato in occasione della separazione di cui ho detto. E ' stato poi riscontrato che il pluviale proveniente dalla copertura dell'edificio, e quindi acque bianche, era collegato al pozzetto di ispezione delle acque nere del condominio di cui ho appena parlato, appunto perché fino a prima dei lavori di separazione delle due reti esisteva la sola rete mista. Questo è un errore tecnico in quanto avrebbe dovuto essere allacciato alla nuova rete delle acque bianche. E ' stata poi fatta una video ispezione dalla quale si è potuto verificare che in corrispondenza della griglia posta più avanti di una decina di metri rispetto al pozzetto vi era la presenza di detriti quali sassi e pezzi di asfalto all'interno della tubazione. Io quindi ne ho dedotto che l'acqua proveniente dalla copertura e ancora confluente nel pozzetto della rete delle acque (nere) e quindi erroneamente non distaccata da esso, ha trovato ostruzione all'interno della re te delle acque nere e ha causato un rigurgito che è andato ad attingere lo scarico del bagno dell'appartamento degli attori, il primo esistente risalendo la colonna" (Te.Ma.) - "Tornando all'ispezione, la sonda ha dato modo di verificare che la rete delle acque bianche era totalmente libera; quella invece delle acque nere presentava incrostazioni e soprattutto vi era materiale tipo pietre e pezzi di asfalto, del tipo di quello che vedo rappresentato al doc. 17 di parte attrice. Sempre durante le operazioni di video ispezione, si è appurato, partendo dallo scarico del bagno degli attori, salendo verso monte, che vi era lo scarico di un pluviale ancora collegato sulla rete privata del condominio che portava alla fognatura delle acque nere" (Ro.Lu.). Entrambi i testi hanno infine confermato che pochi giorni dopo la video ispezione il pluviale è stato collegato alla rete della acque bianche (Te.Ma.: "Mi risulta che qualche giorno dopo il sopralluogo di cui ho appena detto il pluviale è stato staccato dalla rete delle acque nere e collegato a quella delle acque bianche. Di questa soluzione avevo subito parlato con il tecnico comunale e con il tecnico della Re., ma non so poi chi materialmente abbia effettuato il lavoro") e, come riferito dal tecnico comunale Ro.Lu., l'opera è stata eseguita dalla Po. s.r.l. a cui tanto il Comune quanto La. avevano appaltato i lavori ("Pochi giorni dopo la ditta Po., a cui il Comune ha appaltato i lavori di rifacimento della fognatura e che ha fatto gli interventi anche per conto di La.Re., è intervenuta sulla rete privata del condominio posta sul suolo pubblico staccando lo scarico del pluviale dalla rete delle acque nere e innestandola sulla rete delle acque bianche. Di questo abbiamo reso edotta La.Re.. Mi risulta che la ditta Po. abbia fatto questo intervento a sue spese anche perché doveva già farlo a livello di contratto"). Ora, il tecnico degli attori, Te.Ma., anche nella perizia asseverata l'11.10.2017 (doc. 6 cit. di parte attrice), ha individuato le cause dell'allagamento dell'appartamento nella parziale ostruzione della condotta delle acque nere e nella mancata separazione delle acque provenienti dal pluviale dalla condotta delle acque nere: le acque provenienti dalla copertura ed abbondanti a causa della forte pioggia non sono state assorbite dalla condotta delle acque nere, perché parzialmente ostruita da detriti e sono così risalite nel bagno degli attori; se le acque provenienti dal pluviale fossero state correttamente immesse nella condotta delle acque bianche, non si sarebbe registrato alcun rigurgito. Dello stesso avviso il tecnico del Comune di Ballabio Ro.Lu.: "Secondo le mie competenze il rigurgito delle acque nere nell'appartamento degli attori è dipeso dal fatto che durante i lavori non è stato ben verificato lo scarico del bagno degli attori. In pratica è stato ritenuto che il tubo di scarico che si vedeva fosse l'unico e fosse quello del bagno degli attori, mentre sulla stessa rete, subito dietro, vi era collegato anche il pluviale di cui ho detto. Se fossero stati fatti i controlli necessari lo scarico del pluviale avrebbe dovuto essere innestato nella rete delle acque bianche. (...) In ogni caso probabilmente se la fognatura delle acque nere non fosse stata intasata dai detriti, che poi sono stati tolti durante l'ispezione, non vi sarebbero stati problemi di rigurgito. Del resto il pluviale risultava collegato già da tempo alla precedente rete mista e non mi risulta vi fossero stati problemi. Preciso che i sassi e i pezzi di asfalto sono stati rinvenuti nel tratto della rete delle acque nere e non nel tratto di tubazione condominiale". Ru.Ma., come detto dipendente di La. con compiti di sovrintendere la parte esecutiva dei progetti, ha ricondotto "la possibile causa del rigurgito ... all'incrostazione del sifone ... che è di proprietà del privato" ed ha inoltre puntualizzato come spettasse al Condominio, giusta il regolamento provinciale di fognatura, segnalare la presenza dello scarico del pluviale per consentire il corretto collegamento alla condotta della acque bianche (così l'ampia deposizione del teste: "Aggiungo che, ampiamente prima dell'inizio dei lavori ed esattamente in data 21.9.2016 come da documentazione a mie mani, è stata inviata lettera in cui si manifestava all'amministratore del Condominio Bu., come a tutti gli altri utenti delle vie oggetto degli interventi, la necessità di regolarizzare la propria situazione di scarico in vista delle opere future, richiamando le norme del regolamento provinciale di fognatura (artt. 40 ss.). In particolare rileva l'art. 46, commi 1 e 2 dell'attuale Allegato A della Delibera 138/2019 dell'Ufficio d'Ambito della Provincia di Lecco. In sostanza, gli interventi di La.Re. arrivavano fino al sifone di collettamento, come detto anche dall'art. 8 del regolamento, mentre gli impianti a monte sono di competenza delle proprietà private. Dalla relazione del collega che ho citato e dalla videoispezione successivamente eseguita e che è allegata al doc. 8 di parte attrice, mi risulta che ci fossero incrostamenti nel sifone (pag. 2) di proprietà privata che sono poi stati puliti durante la stessa videoispezione attraverso lo spurgo (pag. 9). La videoispezione e lo spurgo sono stati fatti dalla società Re.; il collega Li. mi ha riferito oralmente che il Re. aveva rinvenuto durante l'attività di videoispezione e spurgo la presenza di alcuni detriti, seppur in quantità non significativa. Premetto di non aver visto foto di questi detriti. Prendo visione delle foto di cui al doc. 17 di parte attrice e vedo che i residui sono resti di asfaltatura che sembrano essere stati estratti dal tombino che intercetta la fognatura di acque bianche, dato che si vede la proboscide dello spurgo inserita in detto tombino. Poiché il tombino in questione è sempre grigliato, capita spesso che durante l'asfaltatura residui di asfalto vi cadano all'interno attraverso le griglie e dovrebbero essere rimossi dal personale che procede all'asfaltatura. Ripeto che le acque bianche sono di competenza del Comune. La fognatura delle acque nere è invece normalmente coperta da un tombino del tutto chiuso come si vede parzialmente nella foto di cui al doc. 17 e il sifone di cui ho parlato si collega alla fognatura delle acque nere. Pertanto, se i detriti in questione avessero anche parzialmente otturato la fognatura delle acque bianche, non avrebbero potuto provocare un rigurgito dal pozzetto del Condominio che era collegato alla rete delle acque nere. Nella relazione del collega Li., risulta in effetti che il pluviale (acque meteoriche) e lo scarico delle acque reflue confluiscono entrambi nel sifone dei privati; competeva a questi ultimi, invece, separare le reti al loro interno a norma dell'art. 46 del regolamento che ho citato prima. A mio giudizio, la possibile causa del rigurgito è da ascrivere all'incrostazione del sifone di cui ho parlato prima e che è di proprietà del privato. A seguito della comunicazione inviata fra gli altri anche al Condominio Bu., il Condominio avrebbe dovuto separare il pluviale dal sifone già esistente. Vi.Po. Strade, individuando la presenza di un solo scarico dotato di sifone, l'ha correttamente collegato alla rete delle acque nere. Laddove invece il Condominio avesse separato il pluviale, avrebbe dovuto costituire un nuovo pozzetto e a quel punto Vi.Po. Strade lo avrebbe collegato alla rete delle acque bianche. Ribadisco che, a mio giudizio, la più probabile causa del rigurgito è data dal fatto c he l'acqua meteorica passata dal pluviale ha trovato un restringimento a causa delle incrostazioni del sifone che ne hanno ridotto il diametro, causando così potenzialmente il rigurgito. E' meno probabile, ma comunque possibile, che la nuova fognatura delle acque nere non fosse in grado di ricevere anche l'importante flusso delle acque meteoriche ivi scaricate dall'unico pozzetto del Condominio"). Sta di fatto che negli scritti difensivi di La. (salvi quelli successivi alla deposizione di Ru.Ma.) non si è mai fatto cenno alla legislazione regolamentare né all'attività prodromica ai lavori di separazione delle condotte e tanto meno è stata prodotta la raccomandata indicata dal teste. Ad ogni buon conto, al fine di fare definitiva chiarezza sul punto, è stata disposta C.T.U. (estesa anche alla quantificazione dei danni), affidata all'ing. An.Po.. C.T.U. e C.T.P. non hanno avuto dubbi nel riferirsi, per le opere di allacciamento alla fognatura e per il collegamento delle tubazioni degli scarichi in genere, al Regolamento Provinciale del Servizio e, per l'esattezza, all'allegato F, parte b intitolato "Servizio di fognatura, collegamento e depurazione delle acque nere urbane". L'adeguamento delle reti alla pubblica fognatura è regolato dall'art. 46 che al primo comma recita: "In caso di interventi per l'adeguamento delle caratteristiche funzionali o per il mantenimento nel tempo dell'efficienza elle reti di pubblica fognatura, che comportino modifiche agli allacciamenti degli immobili esistenti, il Gestore provvede all'esecuzione delle opere, al rifacimento, al riordino e alla ricostruzione degli allacciamenti stessi esclusivamente fino al punto di scarico...". Aggiunge il comma 2: "Il titolare del permesso di allacciamento ha l'obbligo di effettuare la separazione delle rete di fognatura privata, secondo i tempi e le modalità stabilite dall'ufficio d'ambito...". Tenendo conto delle definizioni fornite dall'art. 4 del medesimo regolamento, nel caso di specie, ove si è trattato di mutare l'allacciamento già esistente alla modifica delle rete fognaria, sdoppiata, è La., quale gestore individuato dalla Provincia (cfr. artt. 5 e 7), a dover realizzare a sue cure e spese il condotto fognario e l'allacciamento fino al punto di scarico del titolare del permesso di allacciamento, mentre quest'ultimo, che ai sensi dell'art. 4 lettera p) in caso di condominio è l'amministratore, deve operare la separazione delle acque nere dalle bianche nella rete di fognatura privata, ma "secondo i temp i e le modalità stabilite dall'ufficio d'ambito.", ossia ancora La.. Si è già detto come nel caso in decisione non vi sia prova documentale dell'invito fatto da La. al Condominio, ove è posto l'appartamento degli attori, a provvedere a separare i pozzetti delle acque bianche (come quelle di gronda) dalle nere: ne ha solo riferito il teste Te., ma la sua testimonianza non vale a sostituire la necessaria documentazione, mai prodotta in causa entro il termine ultimo della seconda memoria ex art. 183 comma VI c.p.c.. Non solo, ma le circostanze inerenti gli atti preparatori all'intervento non sono state in alcun modo citate e ripercorse delle difese della convenuta. Allo stato delle emergenze probatorie della causa, pertanto, nessuna responsabilità può essere ascritta al Condominio e, in tal modo, sgravata alla convenuta. Dal momento che il Condominio non ha creato due pozzetti, all'atto di procedere all'allacciamento alla rete delle acque nere piuttosto che a quella delle acque bianche era onere del direttore lavori compiere le verifiche del caso per comprendere a quale tipologia di condotta doveva essere allacciata la rete privata confluente nel pozzetto. Lo ha confermato pure il C.T.U.: "relativamente alle competenze dell'allacciamento alla nuova rete delle acque bianche, non vi è nel Regolamento (né risulta al CTU in alcuna Norma tecnica) l'indicazione di chi debba accertare la presenza di pluviali di scarico che si immettono nella rete fognaria. Il CTU tuttavia rileva che in un ambito di lavoro così ristretto e per un'opera che non presenta certamente particolari complessità, l'impresa che ha eseguito i lavori e, ancor più il Direttore Lavori, non poteva ignorare la presenza della caditoia e porsi quanto meno la domanda se fosse pertinente ad uno scarico di acque chiare o di acque nere " I direttori dei lavori erano due: An.Da. per conto del Comune di Ballabio per la condotta delle acque bianche; altro professionista di La. per le opere di allacciamento alle acque nere. Dal momento che l'allacciamento risulta effettuato alla condotta delle acque nere, la responsabilità ricade esclusivamente su La.. Riprendendo le valutazioni tecniche della C.T.U., "Se è vero da un lato che il Direttore Lavori del Comune di Ballabio doveva correttamente sovrintendere alla nuova rete delle acque meteoriche, è altrettanto vero che i lavori che il Direttore Lavori di La.Re. non doveva consentire all'impresa (e quindi doveva preventivamente verificare) di allacciare alla fognatura un pozzetto senza prima accertarsi da dove proveniva la tubazione che confluiva in quel pozzetto" e ciò è ancor più vero se si considera che la fognatura originaria di via (...) era mista e risalente negli anni, sicché gli scarichi andavano attentamente esaminati per comprendere se fossero di acque bianche o nere (così la C.T.U.: "I lavori che si stavano eseguendo riguardavano la sistemazione di una rete fognaria mista che da numerosi decenni era presente ed alla quale nel corso degli anni più abitazioni e quindi più utenti si sono allacciati più o meno in modo regolare per scaricare ciò che al momento era necessario scaricare. Il nucleo storico dove è inserita la via (...) nei decenni ha subito trasformazioni, ristrutturazioni, adeguamenti e quant'altro: non è condivisibile, né tecnicamente corretto, presupporre che trovarsi di fronte un sifone in una rete mista, automaticamente e senza nessuna verifica, significhi acque nere"). In sintesi finale: non v'è prova che La. abbia avvertito il Condominio che doveva separare la rete privata in acque bianche e nere, avvertimento che le competeva da regolamento, in quanto spettava a detta società indicare al privato le modalità operative; in presenza di un solo pozzetto di scarico il direttore dei lavori di La. non ha compiuto le verifiche del caso per appurare se si trattasse della condotta del bagno anziché delle acque del pluviale ed ha proceduto all'allacciamento alla rete delle acque nere. La quantità d'acqua proveniente dal tetto per le piogge in atto e la parziale ostruzione della rete delle acque nere dovuta a detriti lasciati nel corso dei lavori e rimossi solo durante l'intervento di pulizia ad allagamento avvenuto, ha causato il rigurgito di acqu e sporche nell'appartamento degli attori. Laddove le acque del pluviale fossero state correttamente collegate alla condotta delle acque chiare (ovvero il direttore dei lavori di La. non avesse proceduto all'allacciamento della rete privata ancora non distinta in acque nere e chiare), condotta che non presentava ostruzioni, il sinistro non sarebbe avvenuto e, comunque, le acque non sarebbero refluite nel bagno degli attori (perché le condotte erano separate) o non avrebbero avuto gli effetti deturpanti delle maleodoranti acque sporche. Per queste ragioni, la responsabilità del danno in esame è da ricondurre unicamente alla condotta di La.. Alcuna responsabilità concorrente va riconosciuta in capo al Comune di Ballabio per l'operato del direttore lavori da esso nominato dal momento che l'allacciamento è stato fatto a quella parte della condotta che era di pertinenza della sola convenuta. 5. - Passando alla quantificazione dei danni, gli attori si sono riportati alle stime fatte dal geom. Te. nella ridetta perizia asseverata dell'11.10.2017, che distingue: costi per i lavori di ripristino dell'immobile (Euro 9.701,48); valore di giochi resi inutilizzabili dall'acqua (Euro 450,89), calzature rovinate (Euro 642,49), mobili irrimediabilmente bagnati (Euro 3.480,00) ed altri beni vari (Euro 302,98); canone per la locazione di un altro immobile per due mesi (Euro 900,00); alloggiamento in pensione al cane per 15 giorni (Euro 240,00). Il tutto per complessivi Euro 15.717,84. Il C.T.U., chiamato a verificare la congruità delle voci esposte in perizia con i valori di mercato, ha precisato come al tempo delle operazioni peritali (sopralluogo del 23.9.2019) "tutti gli arredi, le tinteggiature, le porte e quant'altro poteva essere stato coinvolto dal rigurgito fognario era stato ripristinato". Non di meno, non risultano prodotte in atti fatture o scontrini dei pagamenti realmente eseguiti. I danni all'appartamento, adeguatamente documentati dalle fotografie in atti, vanno allora quantificati in base ai parametri esposti dal C.T.U.. L'IVA è dovuta solo se portata dalle fatture. 1) svuotamento mobilia: Euro 448,00 (considerando la superficie dell'appartamento di 70 mq e la forza lavoro di due persone in una giornata di lavoro: 2 x 8 h x 28,00 Euro /h); 2) rimozione porte interne e stipiti danneggiati: Euro 200,00; 3) rimozione zoccolini: Euro 84,00; 4) igienizzazione e sanificazione locali: Euro 970,00 (euro 13,00 al mq x 70 mq = 910,00 + Euro 60,00 costi di trasferta); 5) tinteggiatura pareti: Euro 1.071,00 (153 mq x 7,00 Euro /mq); 6) fornitura e posa nuove porte interne: Euro 2.400,00; 7) posa nuovi zoccolini: Euro 600,00; 8) spese smontaggio mobilia, trasporto in deposito e successivo rimontaggio: Euro 1.960,00 (2 persone x 10 h x 28,00 Euro /h = Euro 560,00 + 2 trasporti Euro 900,00 + stoccaggio per due mesi in magazzino 250,00 Euro /mese x 2 = Euro 500,00). per un totale di Euro 7.733,00 al netto dell'IVA. Quanto alle voci per giochi, calzature, mobilia e varie, il geom. Te., nella relativa deposizione testimoniale, ha ribadito di aver visionato personalmente i beni e di averli accertati attinti dall'acqua ("Su mia indicazione la sig.ra Be. aveva portato nel garage della sua abitazione tutti i beni che erano stati danneggiati dalla fuoriuscita delle acque nere e quando io ho proceduto a quantificare i danni nella mia perizia esattamente nella parte riguardante "giochi, calzature e varie " ho avuto modo di visionare direttamente i beni ivi indicati... "). Tanto convince il Giudicante che i beni in questione siano stati rovinati dal sinistro per cui è causa. Appare tuttavia corretta l'osservazione del C.T.U. secondo cui i valori esposti nella perizia di parte sono comprensivi d'IVA e non tengono conto del deprezzamento per l'usura: deve quindi operarsi una riduzione del 30% sulle voci "giochi" e "calzature" (Euro 765,37) e sulla voce "varie" (Euro 212,10). Quanto invece ai mobili, il C.T.U. ha stimato direttamente i beni rimpiazzati: "6 sedie x 200.00 Euro = 1.200,00 Euro + divano: 500,00 Euro + madia e mobile TV 700,00 Euro". L'importo totale delle voci in disamina è pertanto di Euro 3.377,47 IVA inclusa. Il geom. Te.Ma., sentito a testimonio sulla questione della locazione di un altro appartamento, ha confermato che la famiglia Re. si è trasferita temporaneamente in un altro immobile: "Conoscendo bene la sig.ra Be. so che si è trasferita in un altro appartamento per un paio di mesi perché l'ambiente doveva essere sanificato. So perfettamente poi le problematiche di salute di suo marito (di cui al doc. 15 di parte attrice) che aveva appena finito alcune cure mediche dopo un periodo gravoso e che pertanto non poteva permanere all'interno dell'appartamento. So che poi la famiglia aveva anche due bambini piccoli ". Anche il vicino di casa Co.Al. ha dichiarato di aver "avuto modo di verificare che per un periodo di tempo l'appartamento degli attori è rimasto chiuso e quindi non lo abitavano. Non so dire però dove si siano trasferiti ma poi sono tornati nel loro appartamento". In atti è stato depositato il contratto di locazione ad uso abitativo di natura transitoria, datato 25.8.2017 e registrato il 14.9.2017, relativo all'arco temporale 25.8.2017/22.11.2017 al canone mensile di Euro 450,00 (doc. 13 di parte attrice). Il C.T.U., prendendo il valore intermedio degli affitti per un appartamento di pari superficie e in una zona similare, ha calcolato in Euro 434,00 (70 mq x 6,20 Euro /mq) il canone d'affitto mensile, per modo che il canone esposto nel contratto appare congruo. Deve pertanto esser riconosciuto come voce di danno anche l'importo di Euro 900,00 per due mesi di locazione. In assenza di ogni riscontro sul punto e di altra documentazione, non viene invece riconosciuta l'ultima voce riguardante la pensione del cane per Euro 240,00. 6. - Le spese di lite seguono la soccombenza e, perciò, la società convenuta va condannata a rifonderle agli attori nell'importo che si liquida - tenuto conto del valore della causa (pari alla condanna effettiva), dell'attività concretamente effettuata (con ampia istruttoria) e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 - in Euro 5.112,50 (di cui Euro 277,50 per anticipazioni ed Euro 4.835.00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Le spese di C.T.U., liquidate in Euro 1.777,30 oltre oneri di legge, sono definitivamente poste a carico della convenuta. L'acconto di Euro 1.000,00 oltre oneri di legge, anticipato dagli attori, dovrà pertanto esser loro rifuso ad opera della convenuta. Rientrano inoltre fra le spese di lite anche quelle di natura tecnica che l'attrice ha dovuto affrontare per le prestazioni rese dal proprio consulente tecnico di parte (Cass. 3.1.2013 n. 84; Cass. 16.6.1990 n. 6056; Cass. 12.12.1985 n. 3897; Cass. 29.6.1985 n. 3897; Cass. 5.11.1977 n. 4707; Cass. 25.11.1975 n. 3946; Cass. 6.6.1972 n. 1752; Cass. 3.3.1972 n. 625; Cass. 19.7.1965 n. 1626). E' certo che il C.T.P. abbia effettuato le prestazioni di cui dà conto l'elaborato peritale del C.T.U.; è altrettanto certo che gli attori abbiano saldato l'onorario del proprio consulente mediante l'esborso di Euro 780,00 come da fattura in atti. L'importo appare congruo e va rifuso a parte della convenuta. Da ultimo, rientrano fra le spese tecniche necessarie all'avvio del giudizio quelle per la perizia di parte del geom. Te., pari ad Euro 768,60 come da nota informativa 90 del 28.12.2017 (doc. 14 di parte attrice). PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Lecco, in persona del dott. Mirco Lombardi, definitivamente pronunciando, così provvede: ACCERTA E DICHIARA l'esclusiva responsabilità di Re. S.p.A. nella causazione dello sversamento del sistema fognario delle acque nere nell'appartamento di proprietà degli attori in data 18.8.2017 e, per l'effetto, CONDANNA La. S.p.A. (CF. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, a risarcire agli attori i conseguenti danni per Euro 7.733,00 oltre IVA solo se portata dalle fatture e per Euro 4.277,47 IVA inclusa, oltre interessi al saggio legale dalla domanda al saldo effettivo. CONDANNA La. S.p.A. (CF. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere agli attori le spese di lite per Euro 5.112,50 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta, nonché l'acconto al C.T.U. per Euro 1.000,00 oltre oneri di legge e le spese di C.T.P. per Euro 780,00 oneri di legge comprese e per la perizia di parte per Euro 768,60 oneri compresi. Così deciso in Lecco il 10 giugno 2020. Depositata in Cancelleria il 19 giugno 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - Sezione Prima - in composizione monocratica, nella persona del Dott. Dario Colasanti, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 1337 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2016, promossa da (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), ATTORI contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. TA.EM. e dell'avv. SO.BA., CONVENUTO e (...) (C.F. (...)) CONVENUTO CONTUMACE e nei confronti di (...) (P.IVA (...)), con l'avv. Gi.Lo., che hanno reso le seguenti RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) Posizioni delle parti. Gli attori hanno agito contro il progettista, nonché direttore dei lavori, e contro l'appaltatore per il risarcimento dei danni derivanti dai difetti di costruzione e dai gravi vizi dell'opera realizzata nel 2007 per la parte relativa alla formazione del rivestimento a cappotto ed alla pitturazione delle facciate. A tal fine hanno invocato il riconoscimento di suddetti vizi da parte dei convenuti, avvenuto a seguito della denuncia effettuata nel 2015, nonché la responsabilità di costoro ai sensi dell'art. 1669 c.c. in cui la vicenda sarebbe sussumibile. La difesa dell'ing. (...) ha innanzitutto precisato che l'iniziale denuncia da parte dei committenti ha riguardato un lievissimo problema di rigonfiamento dell'intonachino dal supporto isolante del cappotto e non i rigonfiamenti ed i distacchi oggetto della citazione. In ogni caso riconduce i vizi descritti all'ipotesi di cui all'art. 1667 c.c. ed in ogni caso, anche qualora si ritenga operare l'art. 1669 c.c., eccepisce la decadenza e/o la prescrizione dell'iniziativa avversaria. In subordine chiede alla compagnia di Assicurazione chiamata in causa di essere tenuta indenne dall'obbligazione risarcitoria. Quest'ultima eccepisce la decadenza dell'assicurato per non aver tempestivamente denunciato il sinistro entro il termine contrattualmente previsto, così incorrendo nella sanzione stabilita pattiziamente. Contro tale eccezione la difesa dell'ing. (...) invoca l'applicazione dell'art. 1915 comma 2 c.c. per cui l'indennità può essere ridotta solo nei limiti del pregiudizio sofferto per il ritardo. 2) Applicabilità dell'art. 1669 c.c. L'esito della CTU fa propendere per la configurabilità di gravi difetti che legittimano l'operatività dell'art. 1669 c.c., avendo accertato la differenza tra le opere previste nel contratto e quelle realizzate, l'utilizzo di pannelli non specifici ed in particolare l'errore nell'incollaggio dei pannelli, che sarebbe dovuto avvenire attraverso l'applicazione del collante sull'intera superficie della lastra e non solo in alcuni punti, con conseguente alta probabilità del distacco del materiale. Soprattutto tale ultimo rilievo, che controparte non ha specificamente contestato se non per la considerazione che si tratterebbe del mero riferimento alla scheda tecnica del prodotto, rende evidente come l'intero rivestimento realizzato sia a rischio di distacco, come del resto già avvenuto in porzioni molto limitate. Dunque appare applicabile la nozione di "grave difetto", così come elaborata dalla Suprema corte (ad es. ord. 24230/2018) per cui "i gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti dei committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti soltanto su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini". Infatti, sulla base degli accertamenti eseguiti, sussiste il rischio del distacco dell'intero cappotto, con pregiudizio della funzione di rivestimento della facciata dell'immobile ed anche pericolo di danni a terzi. Alla conclusione esposta non osta il fatto che si sia trattato di un mero intervento di manutenzione di un immobile preesistente, come chiarito dalle S.U. con la sentenza n. 7756 del 2017. Nel caso di specie l'azione dei committenti è stata tempestiva alla stregua dell'orientamento giurisprudenziale per cui "il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e se, da un lato, tale termine può essere postergato all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale, dall'altro, esso decorre immediatamente quando si tratti di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini" (ad es. Cass. 9966/2014). Infatti il momento della sicura conoscenza delle cause dei difetti può essere retrodatato al 21 marzo del 2016, quando il perito di parte ha formulato i rilievi immediatamente recepiti nell'atto di citazione notificato all'inizio di aprile dello stesso anno. Infine è opportuno puntualizzare che la responsabilità dell'appaltatore si estende anche al progettista e al direttore dei lavori in quanto "l'ipotesi di responsabilità regolata dall'articolo 1669 del Cc in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione della cosa, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione" (Cass. 26552 del 2017). Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento dovuto, occorre considerare che il difetto costruttivo accertato riguarda l'incollaggio dei pannelli sull'intera facciata, con conseguente rischio di distacco integrale. Appare dunque congruo determinare l'importo spettante ai committenti in misura pari a quanto necessario per il rifacimento dell'opera, che il CTU ha valutato in Euro 20.280,00. Tale cifra deve intendersi già attualizzata così che non sono dovute ulteriori somme a titolo di rivalutazione o di interessi, se non dal momento della pubblicazione della sentenza. 3) Sussistenza della copertura assicurativa. L'ing. (...) ha tuttavia diritto ad essere tenuto indenne dall'obbligazione risarcitoria descritta in virtù del contratto d'assicurazione sottoscritto con la (...). La terza chiamata contrasta la richiesta di indennizzo facendo valere la clausola n. 19 delle condizioni di assicurazione, che prevedono a pena di decadenza il termine di 30 giorni per la comunicazione di "qualsiasi Circostanza di cui l'Assicurato venga a conoscenza, che possa ragionevolmente dare adito ad una Richiesta di Risarcimento". Tuttavia la clausola menzionata deve essere interpretata alla luce di quanto previsto dall'art. 1915 comma 2 c.c., norma inderogabile in peius ai sensi dell'art. 1932 c.c., per cui la perdita dell'indennizzo consegue esclusivamente in caso di mancata comunicazione dolosa. Diversamente, in caso di mera colpa, è prevista la mera riduzione dell'indennità in proporzione al pregiudizio sofferto. Una diversa opzione ermeneutica incorrerebbe nella sanzione della nullità con sostituzione automatica della clausola illecita ai sensi degli artt. 1419 comma 2/1932 comma 2 c.c. In questo senso si è espresso di recente il Giudice di legittimità per cui "in tema di assicurazione contro i danni, l'inosservanza, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità ed i tempi previsti dall' art. 1913 c.c. ed, eventualmente, dalla polizza, non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all'indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall'assicuratore, ai sensi dell' art. 1915 c.c. , comma 2" (Cass. 24210 del 2019). In base a tale premessa, si deve constatare che la Compagnia di Assicurazione, su cui grava l'onere probatorio come chiarito dalla Suprema corte (vedi ad es. Cass. 24210 cit. per cui "l'onere di provare la natura, dolosa o colposa dell'inadempimento spetta all'assicuratore. Nel caso previsto dall' art. 1915 c.c. , comma 1 dovrà provare il fine fraudolento dell'assicurato; in quello regolato dall'art. 1915, comma 2 dovrà invece dimostrare che l'assicurato volontariamente non ha adempiuto all'obbligo di dare l'avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto") non ha dimostrato né il dolo dell'assicurato né uno specifico pregiudizio concretamente determinato. Infatti riguardo al primo aspetto si è limitata all'illazione per cui l'omissione sarebbe stata finalizzata ad ottenere la rinnovazione tacita della polizza alle medesime condizioni. Riguardo al secondo ha semplicemente ipotizzato che le condizioni di rinnovo della polizza sarebbero state più onerose, senza però saper fornire una quantificazione di tale differenza. In realtà in base agli elementi acquisiti al giudizio si può affermare che nel 2015 l'ing. (...) non abbia appurato l'esistenza di difetti costruttivi a sé imputabili, come si deduce dal fatto che il preventivo di nuovi lavori, redatto dall'impresa appaltatrice, aveva ad oggetto la mera rasatura del cappotto ed il rifacimento della pitturazione della facciata a carico degli stessi committenti. In ragione di ciò è possibile addirittura mettere in dubbio che l'assicurato si sia rappresentato una "circostanza ... che possa ragionevolmente dare adito ad una Richiesta di Risarcimento". Infine è opportuno notare che il peculiare difetto costruttivo accertato non avrebbe consentito la riduzione dell'entità del danno anche in caso di immediata denuncia, imponendo comunque il rifacimento integrale dell'opera. Per quanto argomentato la terza chiamata è obbligata ad indennizzare l'assicurato della somma al cui pagamento costui è condannato a pagare all'attore. L'obbligazione della Compagnia di Assicurazione si estende alle spese legali sostenute dal danneggiato, cui è tenuto l'assicurato in base alla pronuncia di condanna alle spese, come stabilito dall'art. 1917 comma 3 c.c. P.Q.M. definitivamente pronunciando nel merito del giudizio proposto da (...), (...), (...) e (...) nei confronti di (...) e (...), con la chiamata in causa di (...), ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, CONDANNA in solido (...) e (...) al pagamento a favore di (...), (...), (...) e (...) della somma di Euro 20.280,00, oltre accessori di legge, con decorrenza degli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza; CONDANNA (...) a tenere indenne (...) delle somme che costui è stato condannato a pagare agli attori per i fatti di causa, comprese le spese legali da rifondere ai danneggiati; CONDANNA - in solido (...) e (...) a rifondere a (...), (...), (...) e (...) le spese del giudizio, che liquida in Euro 4.045,00 per compensi professionali, 264,00 Euro per spese anticipate, oltre rimborso delle spese forfettarie pari al 15% dei compensi professionali, iva e cpa, come per legge; - (...) a rifondere a (...) le spese del giudizio relative alla chiamata in causa, che liquida in Euro 2.445,00 per compensi professionali, 264,00 Euro per spese anticipate, oltre rimborso delle spese forfettarie pari al 15% dei compensi professionali, iva e cpa, come per legge; PONE in via definitiva le spese della consulenza tecnica d'ufficio a carico di (...), con conseguente condanna al pagamento a favore di (...) qualora il convenuto abbia già provveduto al loro pagamento come da Provv. del 17 novembre 2019. MANDA alla Cancelleria per gli incombenti di competenza. Così deciso in Lecco il 19 febbraio 2020. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Nella persona del dott. Mirco Lombardi, in qualità di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 3 maggio 2018 ed iscritta al n. 999 del Ruolo Generale non Contenzioso per l'anno 2018 da: - Co. s.r.l. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, il procuratore generale Ro.Co., rappresentata e difesa dal proc. dom. avv. Ma.Ap. del foro di Milano, con elezione di domicilio in Piazza (...) - Milano, presso e nello studio del difensore, giusta delega in calce all'atto di citazione OPPONENTE contro - Le.Da. S.p.A. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, l'Amministratore Unico Sa.Ab., rappresentata e difesa dal proc. dom. avv. An.Fe. del Foro di Milano, con elezione di domicilio in Via (...) - Milano, giusta delega agli atti telematici OPPOSTA Oggetto: Opposizione a precetto. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Con atto di precetto notificato in data 20.4.2018, Le.Da. S.p.A. sulla premessa di aver stipulato in data 14.12.2016, in qualità di cedente, un contratto di cessione di credito IVA pro soluto con la Co. s.r.l. dietro corrispettivo di Euro 96.000,00 ma di non aver ricevuto alcun pagamento, ha intimato il versamento del complessivo importo di Euro 96.903,97 (doc. 1 dell'opponente). 2. - Con atto di citazione notificato in data 3.5.2018, la Co. ha interposto opposizione a precetto, confermando di aver concluso, con scrittura privata autenticata da Notaio Tr. di Ospitaletto (BS) del 14.12.2016 (doc. 2 dell'opponente), la cessione di una parte del plurimilionario credito IVA vantato dalla Le.Da. S.p.A. al corrispettivo di Euro 96.000,00 e di aver consegnato, al momento della stipula, un assegno bancario da 16.000,00 oltre ad altri 5 assegni bancari a garanzia dei pagamenti rateali dei restanti 80.000,00, convenuti in 5 rate mensili da Euro 16.000,00 cadauna, scadenti dal 31.1.2017 al 31.5.2017: non risultando incassato il primo assegno e non riuscendo a mettesi in contatto con la controparte per comprenderne la ragione, Co. decideva di sospendere i pagamenti. Solo nel marzo 2017 la Le.Da. contattava la cessionaria, rappresentando di aver smarrito tutti e sei gli assegni ricevuti (cfr. dichiarazione datata 13.3.2017 al doc. 3 dell'opponente). Nelle more Co. veniva a conoscenza di indagini della Guardia di Finanza finalizzate a contestare l'inesistenza del credito IVA ceduto, sicché sospendeva ogni pagamento del corrispettivo. Con riferimento al precetto, ha chiesto dichiararsi la "risoluzione" del contratto di cessione del credito IVA per inesistenza dell'oggetto e conseguentemente la nullità del precetto per carenza del diritto fatto valere; ha inoltre chiesto il risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. ed il risarcimento degli ulteriori danni, in misura da determinarsi in corso di causa, con condanna estesa anche a No.St., professionista incaricato che aveva vistato di conformità la dichiarazione IVA 2016, nonché ai sindaci Ca.Co., Cu.Gi. e Be.Gi.. 3. - Con separata istanza, depositata in Cancelleria il 26.4.2018, la Co. s.r.l. ha chiesto la sospensione inaudita altera parte dell'efficacia esecutiva del titolo. La sospensione è stata accordata con decreto del 2.5.2018. 4. - Si è costituita in giudizio nel sub-procedimento di sospensiva la Le.Da. S.p.A. eccependo preliminarmente l'incompetenza territoriale del Tribunale di Lecco, stante le previsioni legali e convenzionali che radicherebbero la competenza nel Tribunale di Milano o, in alternativa, in quello di Varese. Nel merito, ha confutato la ricostruzione di parte opponente, esponendo che i rilievi della Guardia di Finanza non sarebbero idonei a fondare giudizi di nullità del contratto, stante l'attuale pendenza dei procedimenti tributari e penali relativi ai crediti IVA. Sotto il profilo dei danni, ha sottolineato come le contestazioni mosse alla Co. dalla Guardia di Finanza prescindevano dall'esistenza o meno del credito IVA e riguardavano l'erroneo tentativo della cessionaria di compensare il credito IVA non generato dalla stessa contribuente, per modo che eventuali sanzioni sarebbero da imputare alla società medesima. 5. - Con ordinanza riservata del 18/21.5.2018 è stato confermato il provvedimento di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. 6. - Le.Da. S.p.A. si è costituita in giudizio anche per la fase di merito, ribadendo identiche argomentazioni. 7. - Preliminarmente, occorre esaminare l'eccezione di incompetenza del Tribunale di Lecco, tenuta ferma da parte opposta. La Le.Da. S.p.A. sostiene, infatti, che, a fronte dell'elezione di domicilio in Milano contenuta nell'atto di precetto e del combinato disposto degli artt. 27 e 480 comma 3 c.p.c., la competenza sarebbe incardinata innanzi al Tribunale di Milano. In alternativa, l'opposizione odierna avrebbe dovuto investire la competenza del Tribunale di Varese, prescelto convenzionalmente dalle parti come foro competente all'art. 8 del contratto di cessione del credito IVA per le controversie relative allo stesso. 7.1 - Quanto alla prima prospettazione, il precetto, giusta il terzo comma dell'art. 480 c.p.c., deve contenere l'elezione di domicilio della parte istante nel Comune in cui ha sede il Giudice competente per l'esecuzione, altrimenti l'opposizione a precetto si propone davanti al Giudice del luogo in cui l'atto è stato notificato. Affinché non operi il criterio sussidiario di cui al citato comma, occorre, in definitiva, che l'elezione di domicilio del creditore istante, contenuta nel precetto, sia fatta nel Comune in cui ha sede il Giudice che sarà competente per l'esecuzione in ragione del luogo in cui si trovano cose del debitore da realizzarsi coattivamente o in cui risiede il terzo debitor debitoris; ove ciò non sia, l'elezione di domicilio resta priva di effetti ed il debitore può proporre l'opposizione a precetto davanti al Giudice del luogo nel quale gli è stato notificato il precetto stesso. E' onere del creditore-precettante dimostrare, nel giudizio di opposizione instaurato dal debitore davanti al Giudice del luogo nel quale gli è stato notificato il precetto, che nel Comune nel quale egli ha eletto domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore (giurisprudenza costante: Cass. 14.12.2017 n. 30141; Cass. 9.8.2016 n. 16649; Cass. 15.4.2011 n. 8704; Cass. 11.4.2008 n. 9670; Cass. 4.5.2006 n. 10288; Cass. 15.3.2005 n. 5621; Cass. 13.7.2004 n. 12976; Cass. 14.6.2002 n. 8588; Cass. 16.7.1999 n. 7505; Cass. 9.9.1998 n. 8923; Cass. 23.7.1997 n. 6880; Cass. 28.1.1997 n. 840; Cass. 25.1.1993 n. 10591; Cass. 18.1.1993 n. 10271; Cass. 28.3.1991 n. 3346; Cass. 23.5.1990 n. 4649). In ogni caso, però, la notificazione dell'atto introduttivo dell'opposizione a precetto va fatta presso il domicilio eletto (come ben chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 29.12.2005 n. 480: "la non corretta dichiarazione di residenza o elezione di domicilio - e cioè, in luogo diverso da quello (potenzialmente) dell'esecuzione - è priva di effetto quanto alla competenza di quel Giudice a conoscere dell'opposizione, ma certamente è e resta efficace ai fini della notificazione dell'opposizione e, quindi, della corretta instaurazione del contraddittorio"). Nel caso di specie, nonostante l'elezione di domicilio della Le.Da. in Milano, presso lo studio del difensore, come da atto di precetto, essa non ha dimostrato l'esistenza di beni sottoponigli ad esecuzione forzata in detto Comune, sicché la competenza territoriale deve radicarsi presso il Tribunale di Lecco, in forza del luogo di notifica dell'atto di precetto (ossia Va., sede della società Co.). 7.2 - Quanto alla seconda prospettazione, circa la possibilità di intendere come competente il foro convenzionale, è sufficiente ricordare come esso sia derogabile per ragioni di connessione. Segnatamente, in tema di opposizione a precetto fondato su titolo stragiudiziale, le eventuali domande sulla validità, efficacia e risoluzione del contratto sottostante risultano essere oggettivamente connesse e, pertanto, attratte dalla competenza inderogabilmente sancita per l'annullamento del precetto dagli artt. 27 e 480 comma 3 c.p.c. (da ultimo: Cass. 16.5.2019 n. 13111). Per le ragioni ora descritte, l'eccezione di incompetenza territoriale è infondata. 8. - Passando al merito, occorre indagare la validità del contratto di cessione del credito IVA del 14.12.2016, del quale parte opponente ha chiesto dichiararsi la nullità per inesistenza dell'oggetto. Sul punto, i rilievi della Guardia di Finanza (doc. 4 dell'opponente) forniscono un quadro preciso ed articolato circa l'attività posta in essere dalla Le.Da. s.p.a.. In estrema sintesi, la Guardia di Finanza rileva che "da indagini effettuate dal Nucleo di Polizia tributaria di Varese in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate (...) il credito Iva generato dalla Le.Da. S.p.A. e poi ceduto, tra le altre, anche alla Co. S.r.l., per l'importo di Euro 300.000,00, è risultato essere fittizio in quanto frutto di una estesa ed articolata frode"; "l'attività istruttoria, in particolare, ha consentito di verificare l'oggettiva inesistenza dei crediti IVA vantati da Le.Da., artatamente creati al precipuo scopo di commercializzare pacchetti di risparmio d'imposta a favore di aziende interessate ad abbattere il proprio carico fiscale". Lo schema fraudolento individuato dalla Guardia di Finanza viene ulteriormente specificato all'allegato 11 del processo verbale di constatazione ora citato: la Le.Da. avrebbe precostituito fittizi crediti IVA esposti nelle dichiarazioni grazie all'utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti (con l'aiuto di professionisti e società conniventi) al solo scopo di cedere tali crediti ad un prezzo ridotto rispetto al valore nominale. La stessa Guardia di Finanza descrive l'attività della Le.Da. come un "progetto radicalmente fondato su basi simulatorie, caratterizzato dalla totale assenza di qualsivoglia attività economica e imprenditoriale reale". Dai rilievi del Nucleo di Polizia Tributaria di Varese è emersa non solo la concreta organizzazione dell'attività fraudolenta, che vedeva l'odierna opposta a capo delle operazioni, ma anche la natura fittizia delle società fornitrici, quali Re. s.r.l. ed It. s.r.l.: queste ultime erano infatti caratterizzate da "assenza di una sede; assenza di personale; intestazione a prestanome". Da queste società l'odierna opposta ha fittiziamente acquistato nel 2014/2015 beni strumentali per oltre 600.000.000 di Euro e li ha poi altrettanto fittiziamente ceduti ad una società di diritto tunisino (Gi. Sarl) e ad altra di diritto algerino (Co. Sarl), maturando così fantomatici crediti IVA ceduti ad altre società a corrispettivi convenienti. A fronte delle contestazioni mosse, la Le.Da., da un lato, ha presentato ricorso avverso gli atti di contestazione a suo carico e, dall'altro, è stata sottoposta a procedimento penale: tutti i giudizi sono ad oggi ancora pendenti (docc. 1 e 2 dell'opposta). Per l'effetto, si è qui difesa ponendo in rilievo come le Autorità Giudiziarie penali e tributarie non abbiano definitivamente dichiarato l'inesistenza dei crediti IVA oggetto di cessione e che, pertanto, nessun giudizio circa l'inesistenza dell'oggetto del contratto o l'illiceità della causa sia, ad oggi, pervenuto. Ha aggiunto che la redazione in forma pubblica del contratto di cessione del credito IVA, corredato oltretutto da documentazione attestante la regolarità contabile ed il quadro generale IVA (docc. 2.1-2.3 dell'opponente), goda di fede privilegiata e che, pertanto, le allegazioni di parte opponente non siano in grado di vincere tale presunzione. A quest'ultimo proposito, va chiarito che l'atto di cessione del credito IVA è costituto da una scrittura privata autenticata ex art. 2703 c.c.. A mente dell'art. 2702 c.c. fa piena prova fino a querela di falso solo della provenienza delle dichiarazioni dalle parti che hanno sottoscritto il documento, ma la pubblica fede non si estende alla veridicità di dette dichiarazioni (cfr. Cass. 21.6.2018 n. 16315, ove si afferma che il riconoscimento tacito della scrittura privata ai sensi dell'art. 215 c.p.c. o la verificazione della stessa ex art. 216 c.p.c. attribuiscono alla scrittura il valore di piena prova, fino a querela di falso, della sola provenienza della stessa da chi ne appare come sottoscrittore e non anche della veridicità delle dichiarazioni in essa rappresentate; v. anche Cass. 10.4.2018 n. 8766). L'esistenza dei crediti IVA, così come dichiarata dalla Le.Da. all'art. 2 dell'atto di cessione non è dunque coperta da pubblica fede e, per la sua confutazione, qualsiasi mezzo di prova è ritenuto idoneo. In secondo luogo, deve essere esaminata la questione relativa alla distribuzione dell'onere della prova. L'opposta, infatti, ha più volte ripetuto che non sarebbe stato efficacemente adempiuto dalla propria controparte ed ha richiamato il precedente di Cassazione, Sezione tributaria, 23.9.2005 n. 18710 secondo cui incombe sull'Amministrazione finanziaria la prova dell'inesistenza dell'operazione commerciale oggetto di fattura e, quindi, nello specifico, sulla parte opponente che contesta l'esistenza del credito IVA originato dalle fatture. Ora, il precedente invocato dalla Le.Da. riguarda un procedimento nel quale parti in causa erano un contribuente e l'Amministrazione finanziaria: la causa in decisione non vede tra le parti l'Amministrazione, bensì due privati rispetto al cui onere probatorio la sentenza ora menzionata nulla dice, limitandosi, invece, alla regolamentazione dei gravami della Pubblica Amministrazione. In aggiunta, qualora gli elementi addotti dall'Amministrazione si rivelino valenti dal punto di vista probatorio, viene richiesto al contribuente di provare l'esistenza delle attività contestate (Cass. 11.6.2008 n. 15395; Cass. 7.2.2008 n. 2847; Cass. 19.10.2007 n. 21953). Pertanto, l'onere della prova, gravante sull'Amministrazione, non esime il singolo contribuente dalla prova dell'esistenza delle operazioni ritenute inesistenti, laddove gli elementi di prova offerti dall'Amministrazione siano convincenti. Nello specifico, le relazioni della Guardia di Finanza prodotte in atti dalla Co. (cit. doc. 4) assurgono a documenti che questo Giudice, pur nella pendenza del procedimento penale e di quelli tributari, può autonomamente valutare alla stregua di tutti i documenti utilizzabili in sede civile. Ebbene, le risultanze degli atti di indagine di cui dan conto le relazioni in parola dipingono un quadro preciso, approfondito e, ad ogni modo, sufficiente a dar prova della falsità delle operazioni da cui trae fonte il credito IVA vantato dalla Le.Da. e in parte ceduto alla Co.. L'assenza di una struttura organizzativa che permettesse alla Le.Da. e alle fornitrici Re. e It. di porre in essere la rilevante attività imprenditoriale attestata dal volume d'affari delle fatture; la totale assenza di documentazione attestante l'esportazione di merce verso la Tunisia e l'Algeria; le forme di pagamento anomale delle fatture, con compensazioni o titoli al portatore, sono elementi che convincono il Giudicante dell'oggettiva inesistenza delle operazioni sottostanti le fatture che hanno originato il credito IVA. Torna così a carico della Le.Da. l'onere probatorio circa l'asserita esistenza dei crediti IVA ceduti. Parte opposta, tuttavia, non ha evaso in alcun modo tale onere, non avendo prodotto alcuna prova documentale in tal senso né avendo chiesto l'ammissione di prove costituende. Non solo, ma il legale rappresentante della società opposta non si è nemmeno presentato a rendere l'interrogatorio formale, adducendo impedimenti di salute non ben comprovati, però, dalla documentazione allegata dalla difesa, per modo che anche per questa via i fatti dedotti nell'interrogatorio possono considerarsi comprovati ai sensi dell'art. 232 comma 1 c.p.c.. Può allora concludersi che la documentazione prodotta dall'opponente rappresenta efficacemente l'inesistenza del credito IVA ceduto con contratto del 14.12.2016. Ne consegue che detto contratto manca dell'oggetto e tanto rappresenta causa di nullità a norma dell'art. 1418 c.c.. Quale ulteriore conseguenza, l'atto di precetto qui opposto va dichiarato nullo perché carente di valido titolo esecutivo che sorregga il credito in esso richiesto di pagamento. 9. - Sin dall'atto introduttivo l'opponente ha chiesto la condanna della Le.Da. S.p.A. (unitamente a No.St., Ca.Co., Cu.Gi. e Be.Gi., dei quali, però, non è stata autorizzata la chiamata in giudizio, come da ordinanza resa all'udienza del 12.9.2018) al risarcimento di "tutti i danni subiti e subendi ... nella misura che verrà meglio determinata in corso di causa". Sempre con l'atto introduttivo è stato prodotto l'avviso di garanzia a conclusione delle indagini nei confronti di Colazzo Damiano, legale rappresentante della Co. (doc. 6 dell'opponente). Non è stato poi spiegato quale sia stato lo sbocco processuale dell'indagine. In ogni caso il danno potrà essere richiesto dalla persona fisica. La società qui opponente non ha allegato danni d'immagine o di altro genere. La Co. ha inoltre esposto di aver "dovuto rivedere le sue scritture contabili e disporre un accantonamento per importo IVA di Euro 300.000,00" (docc. 7 e 8 dell'opponente). Anche in questo caso, però, non è stato meglio chiarito in cosa consista il danno, atteso che il debito IVA era comunque stato generato dall'attività imprenditoriale della società e doveva esser pagato all'Erario. Non solo, ma il credito IVA ceduto poteva solo esser chiesto a rimborso e non compensato. Difatti, la disciplina attualmente in vigore non fornisce la possibilità, per il cessionario del credito IVA, di portarlo in compensazione mediante F24. L'art. 17 comma 1 D.Lgs. 9.7.1997 n. 241 espressamente permette di assolvere gli obblighi derivanti dai versamenti delle imposte, dei contributi e delle altre somme dovute all'Erario o ad altri enti impositori avvalendosi della compensazione dei crediti risultanti dalle dichiarazioni periodiche (nel caso di specie la dichiarazione IVA per il credito IVA annuale) "nei confronti dei medesimi soggetti". La granitica posizione della giurisprudenza di legittimità (Cass. 26.9.2016 n. 18788; Cass. 20.7.2016 n. 14874; Cass. 9.7.2013 n. 17001; Cass. SU. 15.5.1993 n. 5303) è nel senso che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, solo nei casi espressamente previsti, essendo il versamento, la riscossione, il rimborso e le deduzioni regolati da specifiche ed inderogabili norme di legge; tale principio non può considerarsi superato per effetto della Legge 27.7.2000 n. 212 (cd. Statuto dei diritti del contribuente) che, nel prevedere in via generale l'estinzione dell'obbligazione tributaria per compensazione (art. 8 comma 1), ha però lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l'estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato a decorrere dall'anno di imposta 2002 (art. 8 comma 8). Tanto è stato anche comprovato dalla dipendente dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Lecco, Na.Ma., la quale (nella deposizione testimoniale resa all'udienza del 26.3.2019) ha specificato "che l'amministrazione finanziaria e anche la giurisprudenza di legittimità in passato si è espressa comunque nel senso che non sia possibile la compensazione con crediti IVA ceduti anche se esistenti". Sostanzialmente prendendo atto di questo orientamento, l'opponente ha comunque ritenuto di aver subito un danno nel momento in cui l'avviso di accertamento n. T9P032C00309/2018 del 20.7.2018, avente ad oggetto il recupero del credito IVA di Euro 300.000,00, ha irrogato una sanzione del 135% sul presupposto di una dichiarazione IVA infedele mediante esposizione di un credito inesistente anziché una sanzione del 90% per infedele dichiarazione semplice o addirittura del 30% con ravvedimento operoso. Anche questo aspetto ha trovato conferma dalla teste Na.Ma. ("Prendo visione del doc. 9 di parte opponente e si tratta di un avviso di accertamento da me stessa compilato in qualità di funzionario referente. Vi viene contestato l'utilizzo nella dichiarazione IVA dell'anno di imposta 2016 di un credito IVA inesistente, pari a 300.000 Euro ... Trattandosi di credito inesistente, la sanzione è stata comminata nella misura del 135%per il credito IVA di 300.000 Euro e in ciò ci siamo riportati alla risoluzione dell'agenzia delle entrate n. 36/2018 citata nell'avviso di accertamento. ... Nel caso il credito IVA ceduto fosse stato vero, probabilmente sarebbe stata applicata la sanzione di infedele dichiarazione "semplice " che è del 90%. L'alternativa avrebbe potuto essere quella di un atto di recupero credito e in quel caso si sarebbero recuperati i 300.000 Euro indebitamente compensati e una sanzione del 100% in caso di inesistenza del credito IVA e del 30% in caso di credito IVA esistente"). Sta di fatto che l'avviso di accertamento n. (...) del 20.7.2018 ha riguardato anche costi non documentati per 2.200,00 Euro e una maggiore imposta per la cessione di un fabbricato pari a 39.600,00 Euro, per le quali inadempienze è stata comminata la sanzione, rispettivamente, del 60% e del 90%. Inoltre la Co. ha aderito alla definizione agevolata dell'avviso di accertamento prevista dall'art. 2 del D.L. 23.10.2018 n. 119 (convertito in Legge 17.12.2018 n. 136) ed ha ottenuto un piano di ammortamento (doc. 10 dell'opponente) per un pagamento rateale di Euro 342.737,87, somma che, in base alla citata norma, contempla le sole imposte senza sanzioni ed accessori e con interessi applicati alle sole 20 rate trimestrali (sempre come ben specificato anche dalla teste Na.). Appare allora evidente come, per effetto dell'adesione alla definizione agevolata prevista dalla legge 2019, l'opponente non abbia subito alcun tipo di aggravio per sanzioni e sta semplicemente restituendo (con gli interessi dovuti alla scelta della rateizzazione) l'importo IVA da Euro 300,000,00 comunque dovuto. Non avendo inoltre versato alcun importo per la cessione del credito alla Le.Da., questa non va neppure condannata a restituire il corrispettivo della cessione. 10. - Non va autorizzato neanche il sequestro degli assegni bancari che Co. ha consegnato alla Le.Da. a garanzia dei pagamenti rateali del corrispettivo della cessione: acquista, infatti, assoluto rilievo la chiara dichiarazioni a firma del legale rappresentante Ab.Sa. (doc. 3 cit. dell'opponente) che ha dichiarato l'avvenuto smarrimento dei titoli. Non essendo nel possesso dell'opposta, non può essere disposto il sequestro. 11. - Deve invece essere accolta la richiesta di risarcimento del danno avanzata da parte opponente sulla scorta dell'art. 96 c.p.c.. Per quanto, in verità, la società opponente non abbia meglio argomentato in proposito, la norma in esame stabilisce la condanna al risarcimento del danno, liquidato anche d'ufficio, quando risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio in mala fede o con colpa grave. Come si è detto, la documentazione allegata al contratto di cessione del credito IVA ha fatto ritenere alla cessionaria/opponente che il credito esistesse e fosse lecito: la società ha, quindi, fondato il proprio convincimento su documenti all'apparenza affidabili. Tuttavia, i rilievi della Guardia di Finanza hanno portato alla luce uno scenario ben diverso, fondato su uno schema artificioso messo a punto dalla Le.Da. per generare crediti IVA inesistenti. Deve allora necessariamente concludersi che la Le.Da. fosse ben a conoscenza dell'inesistenza del credito IVA ceduto ed abbia agito in mala fede (addirittura dal momento della stipulazione del contratto di cessione del credito) dal momento della notifica dell'atto di precetto e quindi poi resistendo nella presente opposizione. La liquidazione del danno va effettuata tenendo conto della durata del processo per effetto delle difese dell'opposta e può essere ricondotta all'importo delle spese processuali, come liquidate di seguito, e così determinata in Euro 10.000,00. Sulla somma, liquidata ad oggi, decorrono gli interessi legali dalla sentenza al saldo effettivo. 12. - Le spese di lite seguono la soccombenza e, perciò, la società opposta va condannata a rifonderle alla opponente nell'importo che si liquida - in assenza di nota, tenuto conto del valore della causa (pari al precetto opposto), dell'attività concretamente effettuata e dei criteri stabiliti dal D.M. Giustizia 10 marzo 2014 n. 55 - in Euro 12.836,64 (di cui Euro 836,64 per spese 12.000,00 per compensi), oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. PER QUESTI MOTIVI Il Tribunale di Lecco, in persona del dott. Mirco Lombardi, definitivamente pronunciando, così provvede: ACCOGLIE l'opposizione promossa dalla Co. s.r.l. con atto di citazione notificato in data 10.5.2018 e, per l'effetto, DICHIARA la nullità ex art. 1418 c.c. del contratto di cessione del credito IVA pro soluto per scrittura privata autenticata dal Notaio Tr. di Ospitaletto del 14.12.2016 per mancanza dell'oggetto; DICHIARA la nullità del precetto notificato in data 20.4.2018 da Le.Da. S.p.A. per assenza di valido titolo esecutivo; RIGETTA le domande di condanna al risarcimento dei danni avanzate da Co. s.r.l. nei confronti di Le.Da. S.p.A. CONDANNA Le.Da. S.p.A. (C.F. (...)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare a Co. s.r.l., ai sensi e per gli effetti dell'art. 96 comma 1 c.p.c., la somma di Euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo effettivo. CONDANNA Le.Da. S.p.A. (C.F. (...)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a rifondere alla società opponente le spese di lite per Euro 12.836,64 oltre 15% spese generali, CPA ed IVA, se dovuta. Così deciso in Lecco il 3 febbraio 2020. Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - SEZIONE PRIMA - Il Tribunale di Lecco, in funzione del Giudice monocratico e quindi in persona del GOT Dott. Nicola Cianciaruso, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile promossa con atto di citazione notificato in data 01/04/2014 ed iscritta al n. 1070 del Ruolo Generale Affari Contenziosi per l'anno 2014 da: MO.AL. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RA.MA. e dell'avv. TA.MA. attore contro EU. S.r.l. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GA.DA. convenuto contro TR.CR. convenuto contumace con l'intervento dei terzi chiamati CO.AL. con il patrocinio dell'avv. Gi.Ru. BA.PI. con il patrocinio dell'avv. Jo.Co. UN. ASS.NI S.p.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.RI. AX. S.p.A. con il patrocinio dell'avv. Al.Bo. Con l'intervento volontario di CO. S.r.l. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SC.GI. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato in data 01/04/2014 il Signor Mo.Al. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Lecco la società Eu. Srl, per sentir accertare i gravi difetti di costruzione e conseguentemente dichiarare la responsabilità. della convenuta Eu. S.r.l. ai sensi dell'art. 1669 c.c con condanna della stessa al risarcimento dei danni quantificati in complessive Euro 23.100,36 ovvero, alternativamente, al ripristino del buono stato dell'immobile come da conclusioni dell'accertamento tecnico preventivo, oltre al risarcimento per il mancato utilizzo del box auto con liquidazione dei danni in via equitativa ex art. 1226 c.c. Assumeva l'attore di aver acquistato, unitamente alla moglie Povino Antonia, in data 06/06/2007, direttamente dalla società costruttrice, Eu. Srl, un appartamento sito nel complesso residenziale "(...)", nel Comune di Cassina Valsassina (Lecco), viale (...) Grigne snc ed una autorimessa sito al livello secondo sotto strada nello stesso compendio immobiliare. Esponeva il Mo.Al. che l'autorimessa manifestava da subito gravi problemi di infiltrazioni d'acqua, immediatamente denunciati all'impresa costruttrice, la quale, nonostante le ripetute promesse, non aveva eseguito i necessari interventi per porvi rimedio e ciò anche in seguito al sopralluogo svoltosi in data 8/02/2012, in contraddittorio tra i tecnici delle parti, ove, accertata la presenza di evidenti infiltrazioni di acqua e numerose macchie di umidità, l'impresa si era impegnava ad intraprendere i lavori nei successivi mesi primaverili. Precisava, inoltre, l'attore che, a causa della gravità dei danni e dell'inerzia dell'impresa, si vedeva costretto a promuovere giudizio di accertamento tecnico preventivo, per far verificare lo stato dei luoghi e le cause delle infiltrazioni d'acqua ed il consulente nominato dal Tribunale di Lecco, Geom. Gi.Ga., all'esito delle operazioni peritali, confermava l'esistenza e la gravità dei danni lamentati dai ricorrenti, preventivando un costo di Euro 16.500,00 Iva per gli interventi di sistemazione (doc. 16 allegato in fascicolo attoreo). Si costituiva in giudizio, in data 25 luglio 2014, la convenuta Eu. S.r.l. chiedendo il rigetto delle domande attoree ed il GU, su istanza della convenuta, autorizzava la chiamata in causa dell'arch. Co.Al. e dell'arch. Ba.Pi. differendo la prima udienza al 04/02/2015, successivamente rinviata al 24.06.2015 per consentire la chiamata in garanzia delle compagnie assicurative Ax. e Un.. Successivamente, nel corso del giudizio, ipotizzata l'avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della Eu. s.r.l., il GU, concesso un rinvio per le opportune verifiche ed acquisita la necessaria documentazione societaria comprovante l'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese della società Eu. srl, in data 16.09.2015, su istanza del legale della società convenuta, dichiarava l'interruzione del processo. Il processo veniva riassunto dall'attore ed interveniva in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, Co. Costruzioni s.r.l. I difensori di tutte le altri parti in causa, sulla base della visura camerale, contestavano la validità della sottoscrizione della procura di Eu. S.r.l. per difetto dei poteri di rappresentanza del Sig. Se.Sc., poiché alla data del deposito della comparsa di costituzione tale ruolo risultava ricoperto dal sig. Tr.Cr., chiedendo che la causa venisse rimessa in decisione sulla questione preliminare della nullità della procura e degli atti difesivi. Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta, rigettata l'istanza di riunione ad altra causa promossa dal condominio sempre nei confronti di Eu. srl, disponeva l'acquisizione del fascicolo dell'ATP (R.g. 3364/129) rimettendo al merito le questioni preliminari sollevate e concedendo i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c.. rinviando all'udienza del 25.01.2017 per la discussione sui mezzi istruttori. Sciolta la riserva assunta a tale udienza, il Giudice non ammetteva i mezzi istruttori richiesti e rinviava l'udienza per precisazione delle conclusioni al 17/07/2017, successivamente rinviata, per la sostituzione del Magistrato, al 01/07/2019. A tale udienza le parti precisavano le conclusioni; il legale di parte attrice produceva la sentenza n. 400 del 2019 emessa dal Tribunale di Lecco relativa all'azione revocatoria promossa da Mo.Al. nei confronti di Eu. s.r.l. ed il GU tratteneva la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE La prima questione da affrontare è quella relativa alla validità o meno del mandato alle liti conferito dalla società convenuta Eu. S.r.l. al proprio difensore, sulla scorta del quale è stata impronta l'intera difesa. Invero, poiché dalla risoluzione di tale questione dipende la sussistenza della comparsa di costituzione e di tutte le istanze ed eccezioni con essa sollevate, la relativa decisione precede logicamente anche quella afferente il merito. Il problema è stato più volte affrontato dalla Suprema Corte dall'angolo visuale specifico dell'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto da una società (o in generale da altro ente collettivo) con procura alle liti conferita da una persona fisica mediante una firma illeggibile, le cui sviluppate argomentazioni sono estensibili, mutatis mutandis, a tutte le ipotesi di atti introduttivi del giudizio con criticità nell'ambito del conferimento del mandato difensivo Orbene, l'analisi della giurisprudenza di legittimità sull'argomento evidenzia come, fino alla metà degli anni '90, sussistesse una divaricazione nelle decisioni, espressione di due distinti filoni. Secondo un orientamento di maggior rigore, quando il ricorso è proposto da una società in persona del legale rappresentante pro tempore ma senza alcun'altra precisazione del nominativo della persona fisica che ne ha la rappresentanza legale e senza neppure ulteriori specificazioni riguardanti la relativa qualifica e quando a ciò si aggiunge che la procura è sottoscritta con firma illeggibile e pure in essa non risultano altre indicazioni circa la carica sociale del sottoscrittore - la procura deve stimarsi nulla e conseguentemente il ricorso va dichiarato inammissibile. In sostanza, secondo questo primo orientamento, se l'identità del legale rappresentante dell'ente non può ricavarsi né dalla procura né dal contesto dell'atto né dalla sottoscrizione (perché la firma è illeggibile), la procura è invalida, nonostante la certificazione di autografia della sottoscrizione da parte del difensore; l'invalidità della procura travolge poi l'atto processuale a cui accede, rendendolo a sua volta nullo (Cass. 28.8.1993 n. 9148; Cass. S.U. 21.1.1993 n. 714; Cass. 14.7.1992 n. 8522). A questo orientamento se ne è contrapposto un altro, meno rigoroso, secondo il quale, per quanto il ricorso proposto da una società in persona del legale rappresentante pro tempore non consenta di desumere il nome del rappresentante né dall'intestazione né dal contesto dell'atto e per quanto la procura non contenga il nome del mandante e sia sottoscritta in modo illeggibile, ciò non di meno la procura rimane valida ed il ricorso ammissibile in forza della certificazione dell'autografia della sottoscrizione operata dal difensore, certificazione che riveste natura pubblicistica e pertanto presuppone sia il preventivo accertamento dell'identità personale del sottoscrittore, sia la sua identificazione nella qualità che egli dichiara in ordine ai poteri di rappresentanza dell'ente (Cass. 25.8.1992 n. 9842). Il contrasto giurisprudenziale ha imposto l'intervento delle Sezioni Unite, con la pronuncia del 5.2.1994 n. 1167 ove la Corte ha definito in modo chiaro e persuasivo la funzione e la portata della certificazione del difensore prevista dall'art. 83, 3 comma c.p.c., distinguendola dalla diversa fattispecie dell'autenticazione: quest'ultima (art. 2703 c.c.) consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza non solo previo accertamento dell'identità della persona che sottoscrive, ma anche della sua legittimazione, dei relativi poteri e della capacità del sottoscrittore; la certificazione, invece, richiede soltanto l'accertamento dell'identità del soggetto che firma. Ne discende che il potere certificativo attribuito al difensore non può estendersi (come invece per l'autenticazione) alla legittimazione, ai poteri ed alla capacità del soggetto che conferisce la procura, elementi che devono risultare aliunde. A ciò si aggiunga che la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente affermato: "ai fini della validità della procura rilasciata al difensore da parte di una persona giuridica, qual è la società a responsabilità limitata, ove l'atto contenga l'espressa menzione, in capo al firmatario della detta procura, del potere di rappresentanza dell'ente che sta in giudizio, non produce nullità della procura medesima la mancata indicazione della carica ricoperta o della funzione svolta da colui che l'ha sottoscritta quando, almeno nel caso in cui ne sia controverso il potere di rappresentanza, la funzione o la carica siano desumibili con certezza per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese (Cassazione civile sez. II, 05/11/2018, n. 28203 Passando a calare questi principi, del tutto consolidati, al caso di specie, va osservato che l'Avv. Da.Ga. ha ricevuto regolarmente il mandato in data 08.05.2014, epoca in cui il legale rappresentante era effettivamente il Sig. Sc., come risulta dalla visura prodotta. Tuttavia il predetto legale ha svolto le proprie difese, predisponendo e depositando la comparsa di costituzione e risposta solo il 14.07.2014 - data in cui vi era stata successione tra i due rappresentanti legali, subentrando allo Sc. il Sig. Tr. -, senza munirsi di un nuovo mandato, stante l'avvicendamento dei due rappresentanti, con la conseguenza che la costituzione in giudizio di Eu. Costruzione S.r.l. è nulla, per difetto dei poteri rappresentativi di chi all'epoca ebbe a sottoscrivere il mandato (Se.Sc.), posto che quest'ultimo, al momento della costituzione nel presente giudizio, in data 25 luglio 2014, non aveva i relativi poteri di rappresentanza della società Er. S.r.l. e quindi di conferire mandato ad un legale, risultando per tabulas rivestire tale carica, sin dal 05 giugno 2014, il Sig. Tr.Cr.. Pertanto la comparsa di costituzione devesi considerarsi nulla, nullità che si è estesa a tutta l'attività processuale svolta sulla base di un difetto di procura rilasciata da persona non legittimata a rappresentare la società convenuta, senza alcuna possibilità di sanatoria, risultando la predetta società cancellata dal registro delle imprese. Passando al merito della vertenza, l'accertamento tecnico preventivo ha accertato l'esistenza dei danni lamentati dall'attore, preventivato un costo di Euro 16.500,00 oltre Iva attribuendo tali vizi all'impresa realizzatrice del manufatto. Impresa che all'epoca dei fatti era Eu. S.r.l. che aveva realizzato l'intero complesso condominiale ove trovasi l'autorimessa di proprietà dell'attore e ciò lo si desume non solo dall'atto di provenienza, il cui dante causa è più volte qualificato quale costruttore, ma anche dalla documentazione delle pratiche urbanistiche ed edilizie rilasciate dal Comune di Cassina Valsassina, oltre che dal certificato di agibilità. Pertanto non v'è dubbio che nel caso di specie trovi applicazione l'art. 1669 c.c. La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito l'applicabilità dell'azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. per gravi vizi e difetti dell'immobile da parte degli acquirenti verso il costruttore venditore o verso colui che abbia assunto una diretta responsabilità nella costruzione dell'opera purché si tratti di vizi e difetti, anche se non incidenti sulla stabilità dell'edificio, idonei a compromettere la funzionalità il godimento e la normale abitabilità dell'immobile (Cass. Civ. Sez. Unite 2017/ 7756; Cass. Civ. 2017/188891. Inoltre, sempre in tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell'ipotesi di infiltrazioni d'acqua e umidità nelle murature (Cass. Civ. Sez. II, 17/11/2017, n. 27315). Sempre secondo la giurisprudenza di legittimità l'azione di responsabilità per gravi vizi e difetti degli immobili, ex art. 1669 c.c., può essere esercitata anche dall'acquirente nei confronti del venditore che risulti aver impartito direttamente o tramite il proprio direttore dei lavori dallo stesso nominato indicazioni specifiche all'appaltatore ed esecutore delle opere, gravando sul venditore l'onere della prova di non aver esercitato alcun potere di direttiva o di controllo sull'impresa appaltatrice, in tal modo superando la presunzione di addebitabilità dell'evento dannoso e ciò in quanto si verte in ipotesi di responsabilità extracontrattuale e deve essere offerta ai danneggiati una tutela non minore ma anzi rafforzata rispetto a quella offerta dall'art. 2043 c.c. (Cass. Civ. 2014/467; Cass. Civ. 2013/9370). Nel caso in esame nessuna prova idonea è stata fornita dalla società Eu. Srl - né dalla società interveniente Co. Srl - per escludere una sua diretta responsabilità nella costruzione dell'immobile e dei vizi lamentati dall'attore, di tal che, trovando applicazione, nel caso in esame, la disciplina di cui all'art. 1669 c.c., la convenuta dovrà rispondere dei danni cagionati all'acquirente dell'immobile, che ha dimostrato non solo l'esistenza dei vizi e la loro attribuibilità alla convenuta ma soprattutto l'inutilizzabilità del bene in presenza di siffatti vizi. Quanto alle eccezioni di decadenza e prescrizione dell'azione di garanzia è orientamento giurisprudenziale pacifico e consolidato quello che nelle ipotesi di cui all'art. 1669 c.c. individua la decorrenza del termine annuale per la denuncia nel momento in cui la parte acquisisce una conoscenza certa ed oggettiva dell'entità e della natura dei vizi e difetti lamentati, sulla base di accertamenti tecnici tali da consentire di riscontrare la gravità dei vizi e la loro imputabilità, conoscenza che nel caso specifico è stata acquisita dalle parti non prima della relazione peritale svolta dal C.T.U. Geom. Gi.Ga. e dal successivo deposito della relazione in sede di ATP. La denuncia dei vizi è stata inoltrata con lettera racc. A/R, a cui ha poi fatto seguito dapprima un sopralluogo tra le parti e subito dopo una richiesta di ATP e l'introduzione del giudizio di merito intervenuto entro l'anno. Ne deriva l'infondatezza delle eccezioni di decadenza e prescrizione dell'azione di garanzia dovendosi per altro rilevare che i tecnici della società convenuta avevano riconosciuto i vizi denunciati e si erano impegnati a provvedere alle relative opere di ripristino. Quanto all'entità dei vizi e dei difetti, il consulente d'ufficio, in sede di accertamento tecnico preventivo, ha dato conto in modo puntuale della tipologia di vizi e difetti riscontrati e della loro riconducibilità, tenuto conto proprio della natura del vizio, a carenze di tipo progettuale e relativi alla esecuzione dei lavori e come tale attribuibili al costruttore, procedendo pertanto ad una quantificazione dei costi di ripristino in complessivi Euro 16.500 oltre IVA. Le conclusioni a cui è pervenuto il C.T.U. risultano del tutto corrette e condivisibili in quanto basate su argomentazioni di tipo logico e sulle verifiche in concreto eseguite per cui risultano pienamente condivisibili e meritano accoglimento. Pertanto accertata la responsabilità della società convenuta, all'attore è dovuto, a titolo di risarcimento del danno, la complessiva somma di Euro 16.500,00 oltre IVA ed interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo trattandosi di obbligazione di valore, cui va aggiunta la ulteriore somma di Euro 2.000,00, liquidata in via equitativa, per il mancato utilizzo del box. Vanno invece respinte in quanto del tutto indimostrate e prive di adeguato riscontro probatorio le richieste svolte dall'attore con riferimento al riconoscimento di ulteriori somme per spese relative a pratiche amministrative, per onorari di progettazione e sicurezza di cantiere, fatta eccezione per le spese processuali sostenute dai ricorrenti in fase di atp che verranno regolate in sede di liquidazione delle spese di lite, in base al principio della soccombenza. Quanto al soggetto tenuto al risarcimento del danno, poiché risulta la cancellazione della società convenuta Eu. S.r.l. a far tempo dalla data 11.06.2015, come da visura camerale, non v'è dubbio che nel caso di specie troverà applicazione il principio enunciato dall'art. 2495 c.c. secondo il quale dovranno essere ritenuti responsabili e condannati i soci della società cancellata e quindi il Sig. Tr.Cr., quale socio unico della YO. S.r.l. (già socia unica di EU. S.r.l. cancellata dal registro delle imprese in data 11/06/2015). Difatti sulla base dell'art. 2495 C.C. - come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SU 6070/2013) - la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacita di stare in giudizio (con la sola eccezione della "fictio iuris" contemplata dall'art. 10 legge fall.), pertanto, qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società fa parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e SS. Cod. proc. Civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 C.P.C. L'esame delle domande dei terzi chiamati risulta assorbita dall'eccezione di nullità della comparsa di costituzione in giudizio della Eu. S.r.l. e delle conseguenti nullità delle istanze di chiamata in causa. Le spese processuali dell'attore vanno liquidate nella complessiva somma di Euro 6.500,00 oltre accessori di legge, comprensive degli onorari nella procedura di ATP, oltre alla rifusione delle spese di C.T.U. nel giudizio di ATP; quanto ai terzi si ritiene vi siano giusti motivi per la compensazione. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: - accerta e dichiara la responsabilità, ex art. 1669 c.c., della convenuta Eu. S.r.l. per gravi vizi presenti nel box-autorimessa sita al livello secondo sotto strada nel complesso residenziale "(...)", nel Comune di Cassina Valsassina (Lecco), viale (...) snc e per l'effetto - condanna Tr.Cr., nato (...), quale successore ex art. 110 c.p.c., nonché socio unico della Yo. S.r.l. (cancellata dal registro delle imprese in data 07.09.2015 e già socia unica di Eu. S.r.l. cancellata dal registro delle imprese in data 11/06/2015), al risarcimento in favore dell'odierno attore di tutti i danni subiti e subendi che si quantificano in Euro 16.500,00 oltre IVA ed interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo trattandosi di obbligazione di valore, cui va aggiunta la ulteriore somma di Euro 2.000,00, liquidata in via equitativa, per il mancato utilizzo del box. - condanna Tr.Cr. al pagamento delle spese processuali liquidate nella complessiva somma di Euro 6.500,00 oltre accessori di legge, comprensive degli onorari nella procedura di ATP, oltre alla rifusione delle spese di C.T.U. nel giudizio di ATP. - compensa tra le altre parti in causa le spese di giudizio. - Rigetta le ulteriori domande. Così deciso in Lecco il 27 gennaio 2020. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI LECCO - sezione prima - in composizione monocratica, nella persona del Dott. Dario Colasanti, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 149 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2015, promossa da (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CH.AN. e MA.CA., ATTRICI e CONVENUTE IN RICONVENZIONALE contro (...) (C.F. (...) ) con il patrocinio dell'avv. CA.SI., CONVENUTA e ATTRICE IN RICONVENZIONALE e nei confronti di (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. An.Or., TERZA CHIAMATA dalle ATTRICI RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO 1) OGGETTO RESIDUO DEL GIUDIZIO. Con sentenza non definitiva, oggetto di regolare e tempestiva riserva d'appello, il dott. (...), poi sostituito dal sottoscritto dott. DA.CO., ha accertato l'inadempimento degli avv.ti (...) e (...), per non aver correttamente informato la cliente (...) circa le effettive conseguenze pratiche che sarebbero sortite dall'accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di acquisto della sua abitazione. In particolare l'inadempimento accertato consiste nel non aver valutato le effettive possibilità di realizzazione del credito alla restituzione del prezzo di acquisto e conseguentemente non aver messo in grado la cliente di optare per il mutamento della domanda risolutoria in domanda di riduzione del prezzo per vizi, in modo tale da conservare la casa acquistata. Di conseguenza nella sentenza non definitiva è stata rigettata la domanda delle legali attrici nei confronti della cliente al pagamento dei compensi per l'attività difensiva prestata nel giudizio n. 2601/11 R.G. ed è stata rimessa sul ruolo la causa per il proseguimento dell'istruttoria e la decisione delle altre domande. Tale riferimento alle altre domande non decise, comprende ovviamente tutte quelle oggetto di precisazione, nei limiti consentiti dal rispetto delle barriere preclusive: sia con riferimento alla quantificazione del danno derivante dall'inadempimento accertato, che espressamente viene considerato non ancora cristallizzato a causa della pendenza della procedura esecutiva volta alla realizzazione del credito alla restituzione del prezzo di vendita; sia riguardo ad eventuali altri profili di inadempimento non affrontati in sentenza ma presupposti dalla articolata domanda risarcitoria esercitata in via riconvenzionale; sia in relazione alla posizione della terza chiamata. - Per quanto detto è d'uopo innanzitutto accertare se le prestazioni delle due attrici, ulteriori rispetto al patrocinio nella causa di risoluzione, legittimino la pretesa di liquidazione di un compenso o, all'opposto, siano causa di danni di cui la convenuta chiede il risarcimento. - Inoltre sarà necessario quantificare sia il danno derivante dall'inadempimento accertato, sia quello connesso ad eventuali ulteriori inadempimenti. - Infine bisognerà valutare l'operatività nel caso di specie della copertura assicurativa cui è tenuta contrattualmente la Compagnia evocata in giudizio dalle attrici. 2) ACCERTAMENTO DI ULTERIORI INADEMPIMENTI. Gli avv.ti (...) e (...) hanno assistito la sig.ra (...) in vari ambiti: a) l'originario giudizio n. 2962/10 RG avanti il Tribunale di Lecco, promosso dal Sig. (...) in cui la Sig.ra (...), è stata chiamata in causa dall'allora convenuto (...) per sentirla condannare al risarcimento del danno patito per la mancata compravendita; b) il giudizio R.G. 2601/11, separato da quello precedente, conclusosi con la risoluzione della compravendita e la condanna del venditore alla restituzione del prezzo; c) l'avvio della procedura esecutiva immobiliare n. 226/12 RGE volta alla realizzazione coattiva del credito alla restituzione del prezzo; d) il giudizio possessorio n. 1728/12 RG promosso dal Sig. (...); e) l'attività prestata in ambito stragiudiziale, nella vertenza insorta con il notaio Dr. Pi.Do., per una serie di inadempienze nell'espletamento dell'incarico conferitogli dall'odierna convenuta in occasione di rogito in data 12 giugno 2009; f) dell'assistenza prestata alla Sig.ra (...) nel contenzioso con la Provincia di Lecco. - Nel presente giudizio la domanda di liquidazione del compenso riguarda esclusivamente la causa R.G. 2601/11, che nella sentenza non definitiva è già stata espressamente oggetto di rigetto in ragione dell'inadempimento ivi accertato, nonché l'attività stragiudiziale svolta dalle attrici, riconducibile alle sole ipotesi di cui alle lett. e) ed f). Infatti i compensi relativi all'assistenza negli altri procedimenti elencati sono stati espressamente richiesti in altra sede e con altre modalità. Nel caso di cui alla lett. e), l'attività svolta, come documentata dalle attrici e non contestata dalla cliente, che si è rimessa al Giudice in punto di quantificazione del dovuto, si è limitata ad una breve corrispondenza di due lettere in cui sono state contestate alcune inadempienza al notaio rogante, comunque strettamente collegate alle questioni oggetto della causa R.G. 2601/11 e quindi già oggetto di studio da parte delle legali. Nel secondo caso le attrici si sono limitate ad una semplice risposta alla Provincia di Lecco, in cui è stata data spiegazione della posizione di mera acquirente della sig.ra (...). Tenuto conto delle considerazioni svolte ed in assenza di più specifici elementi per l'applicazione dei parametri di legge, appare congrua la liquidazione di un compenso complessivo di Euro 1.000,00, oltre IVA e CPA, senza riconoscimento di spese forfettarie. - La domanda riconvenzionale della convenuta non attiene esclusivamente all'inadempimento nell'ambito del giudizio R.G. 2601/11 ma è contestata anche l'inadeguata informazione dei legali alla cliente in relazione all'instaurazione della procedura esecutiva. Più precisamente si stigmatizza la mancata valutazione dell'assenza di rilevanti prospettive di soddisfazione in ragione delle ipoteche esistenti sui beni pignorati, così da non aver consentito alla cliente una decisione consapevole ed aver iniziato una procedura dispendiosa e probabilmente inutile. Tale specifico inadempimento non costituisce espressamente oggetto di accertamento della sentenza non definitiva, pur se connesso ai profili di imperizia ivi riconosciuti, così che è necessario valutare in questa sede la sua configurabilità. Del resto non è ipotizzabile alcuna preclusione a tale ulteriore accertamento, dato che, contrariamente a quanto sembra sostenere la difesa delle attrici, l'oggetto del giudizio non è stato ristretto alla mera quantificazione del danno non ancora cristallizzato, ma rimane ovviamente esteso a tutte le domande formulate tempestivamente e non ancora decise. Dunque si deve affermare, in assoluta continuità con la condivisibile decisione già assunta, che tra i doveri professionali dell'avvocato vi sia anche la prognosi sulle conseguenze concrete dell'eventuale esito positivo dell'iniziativa giudiziale assunta, così da consentire una scelta consapevole e ponderata da parte del cliente. Tale affermazione è più che mai pertinente rispetto all'avvio di una procedura esecutiva, che evidentemente trova giustificazione solo in caso di effettive prospettive di soddisfazione. Di conseguenza il pignoramento di beni ipotecati senza previo esame circa la probabilità di iperoca, cioè dell'eventuale surplus derivante dalla differenza fra il ricavato della vendita di beni ipotecati e l'ammontare dei crediti garantiti dall'ipoteca, rappresenta una flagrante omissione di canoni minimi di perizia e prudenza professionale. Nel caso di specie è pacifico che il debitore esecutando (...), fosse titolare di immobili oggetto di ipoteca, né le legali hanno dato prova o anche solo affermato di aver rappresentato alla cliente i rischi dell'intrapresa dell'esecuzione. 3) DANNO PATRIMONIALE RISARCIBILE. Contrariamente all'impostazione delle attrici convenute in via riconvenzionale, il danno che può essere legittimamente invocato dalla cliente corrisponde al c.d. interesse positivo, cioè alla perdita della situazione che si sarebbe avuta qualora il contratto non fosse stato risolto. In particolare si deve ritenere che, di fronte alla corretta informazione circa l'inopportunità della risoluzione, la cliente avrebbe optato per il mutamento della domanda e dunque per la conservazione dell'abitazione, pur con i vizi che l'affliggono. Ciò appare indubbio nel caso di specie in cui non è contestato che la sig.ra (...) abbia esposto le proprie preoccupazioni alle legali, che però l'hanno convinta a proseguire per la via intrapresa. Devono essere quindi liquidate tutte le voci compatibili con il criterio descritto. a) Quantificazione del danno per la perdita dell'abitazione. La posta di danno più rilevante pretesa dalla convenuta corrisponde al valore dell'abitazione il cui acquisto è stato inopportunamente risolto, con conseguente mancata conservazione dell'immobile nonostante la persistenza del mutuo e senza prospettive concrete di realizzare il credito alla restituzione del prezzo. - Inizialmente la sig.ra (...) aveva quantificato tale ammontare in linea con il prezzo di acquisto, mentre da ultimo, anche alla luce delle considerazioni effettuate da questo stesso Giudicante nel corso dei ripetuti tentativi di conciliazione, ha tenuto conto dei vizi che affliggono l'immobile, diminuendo la pretesa in misura pari alla loro entità, per una somma finale di Euro 47.406,20. - Deve innanzitutto essere chiarito che tale riduzione della somma richiesta non rappresenta la formulazione di una domanda nuova, e dunque inammissibile, come pretenderebbe la controparte. Invero la difesa della sig.ra (...) si è limitata con coerenza a prendere atto che il valore dell'immobile perduto sarebbe dovuto essere determinato al netto dei costi necessari per l'eliminazione dei vizi esistenti, così operando una mera autolimitazione del petitum, che costituisce operazione indubbiamente consentita. In altri termini la convenuta non ha mutato la causa petendi, cioè la ragione della sua pretesa consistente nell'inadempimento delle attrici nella causa R.G. 2601/11, né il petitum immediato corrispondente alla condanna risarcitoria, ma ha solo circoscritto il petitum mediato, cioè la somma richiesta, per cui è evidente che la domanda non è mutata sulla base della elementare constatazione che nel più ci sta il meno. Non ha quindi nessun rilievo che tale riduzione sia giustificata dall'esistenza di vizi dell'immobile su cui in precedenza la controparte non aveva contraddetto. Infatti la difesa delle attrici avrebbe potuto sin dall'inizio contestare l'effettivo valore dell'abitazione il cui acquisto è inopinatamente venuto meno, così da rendere necessaria l'istruttoria al riguardo, eventualmente tramite lo svolgimento di una CTU estimatoria. Dunque è imputabile alla difesa delle attrici l'inerzia nella contestazione dell'ammontare della posta di danno, che la convenuta si è limitata per correttezza ad autoridurre riconoscendo elementi a sé sfavorevoli. Appare di conseguenza corretta la quantificazione prospettata dall'attrice, fondata sul prezzo pagato per l'acquisto, al netto del valore dei vizi, tenuto conto che sul punto specifico mai le attrici hanno mosso contestazioni specifiche. b) Esclusione di altre voci risarcibili. Non costituisce invece danno risarcibile il pagamento di somme, che la sig.ra (...) ha versato e continuerà a versare nonostante la perdita della casa: infatti, per quanto possa apparire paradossale ed iniquo, nel caso di specie la peculiare configurazione del danno giuridicamente rilevante, come inizialmente descritto, impone la collazione tra la situazione attuale e quella che si sarebbe avuta qualora fosse stata modificata la domanda ai sensi dell'art. 1453 c.c. - E' quindi evidente che, qualora il contratto non fosse stato risolto, e l'abitazione fosse rimasta nella proprietà della convenuta, comunque le rate del mutuo, comprensive degli interessi, sarebbero dovute essere integralmente adempiute fino alla sua estinzione. E' altrettanto evidente che il pagamento delle spese notarili e di mutuo sarebbe stato necessario ed inevitabile per l'acquisto dell'immobile, con conseguente esclusione dal novero dei danni risarcibili in questa sede coerentemente al criterio di liquidazione adottato. - Non è poi fondata la domanda volta ad ottenere la maggiore somma tra spese di locazione di una abitazione e rate di mutuo. Al riguardo si deve notare che la posta risarcitoria riguardante le spese di locazione sarebbe in astratto risarcibile in quanto compatibile con il criterio liquidatorio prefigurato: infatti se la sig.ra (...) non avesse perduto l'abitazione non sarebbe stata gravata della necessità di sopportare canoni locatizi. Tuttavia l'accoglimento della domanda avrebbe richiesto l'assolvimento dell'onere probatorio dell'effettivo sostenimento di detti costi, che invece la convenuta non affronta, richiedendo invece una CTU che sarebbe meramente esplorativa. Del resto la stessa parte ammette di non aver sostenuto spese in ragione della coabitazione con il convivente, così da escludere in radice la configurabilità di tale danno. c) Restituzione dei compensi percepiti alle attrici. Le pretese risarcitorie della convenuta si estendono poi alla restituzione di quanto anticipato a titolo di compenso in relazione ai procedimenti giudiziali in cui sono stati accertati gli inadempimenti al mandato professionale (sul punto ad es. Corte di Appello di Milano del 9 febbraio 2015). In questo caso, però, è necessario adottare un criterio di quantificazione differente da quello fin qui prospettato, in quanto il pregiudizio lamentato non corrisponde alla differenza tra la situazione attuale e quella che si sarebbe determinata in caso di corretta informazione, ma all'esborso per prestazioni colposamente inutili e dannose. - Con riguardo alla causa n. 2601/2011 R.G., tale voce di danno corrisponde innanzitutto ad Euro 1.593,20, pagate alle odierne attrici; inoltre appaiono risarcibili anche le competenze pagate all'avv. Cosi, che ha iniziato il giudizio ed è stato poi sostituito, pari ad Euro 1.250,00 oltre oneri e accessori di legge: infatti l'inadempimento delle attrici ha vanificato l'utilità della instaurazione della causa, per cui erano stati sostenuti tali costi. Non sono invece dovuti gli interessi richiesti dal momento del pagamento, avendo la convenuta optato per la domanda risarcitoria e non per quella restitutoria; - Con riguardo alla procedura esecutiva n. 226/12 R.E.I., invece, non può essere riconosciuto alcunché nonostante l'inadempimento sopra accertato, tenuto conto del fatto che non è ancora certa l'incapienza dei beni pignorati e che comunque la sig.ra (...) ha ritenuto di continuare a coltivare l'esecuzione con il nuovo legale, così dimostrando interesse allo svolgimento di tale esecuzione (perlomeno per il recupero delle spese ai sensi dell'art. 2770 c.c.). d) Esclusione della compensatio lucri cum damno. Le conclusioni esposte non sono pregiudicate dalla difesa delle attrici, nonostante che neghi in radice l'esistenza di un danno alla cliente poiché, proprio grazie alla risoluzione della vendita, è stata pronunciata la condanna della controparte per una cifra ben più alta di quella pretesa. Se infatti la sig.ra (...), a causa dell'inadempimento degli avv.ti R. e S., ha comunque conseguito un credito di oltre 100 mila euro, i danni eventualmente patiti di misura inferiore non potrebbero che essere assorbiti ed elisi da questo maggiore guadagno. Dunque le attrici invocano la compensatio lucri cum damno, figura oggetto dell'attenzione delle Suprema corte soprattutto nella giurisprudenza recente, per cui al fine di evitare ingiustificate locupletazioni del danneggiato, deve essere stabilita l'effettiva entità globale del pregiudizio subito, considerando tutte le conseguenze dell'illecito, non solo negative ma anche favorevoli (ad es. ord. 16088/2018). - Al riguardo la Cassazione ha però circoscritto l'operatività di tale effetto lato sensu compensativo "solo quando il vantaggio economico sia arrecato direttamente dal medesimo fatto concreto che ha prodotto il danno, ossia quando l'incremento patrimoniale che il danneggiato ottiene sia una conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che cagiona il danno ma non anche quando il vantaggio, del cui valore economico si chieda l'imputazione in conto al valore economico del pregiudizio, derivi non dal suddetto comportamento illecito, ma da circostanze ad esso del tutto estranee" (ord. 5841 del 2018). Nel caso di specie manca proprio tale presupposto di immediatezza dell'incremento patrimoniale derivante dall'inadempimento delle legali: infatti l'effettivo lucro a favore della cliente non può essere identificato con il mero riconoscimento di un credito, astrattamente realizzabile in aeternum, ma solo con l'effettivo conseguimento della somma oggetto del credito o perlomeno di concrete chances di ottenerne il pagamento. Altrimenti si cadrebbe in una impostazione ottusamente formalistica di totale divaricazione tra realtà giuridica e realtà fattuale. In altri termini, nella vicenda oggetto del giudizio, l'arricchimento della danneggiata sarebbe potuto eventualmente verificarsi solo in seguito al fruttuoso esperimento di una procedura esecutiva, così che manca il menzionato requisito preteso dalla Cassazione. A conferma di tale conclusione possono essere invocate le decisioni della Suprema corte sui rapporti tra l'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 con quanto dovuto dal Ministero della salute per il risarcimento del danno per contagio da emotrasfusioni con sangue infetto: la "compensazione" è possibile solo se l'indennizzo da compensare "sia stato effettivamente versato o, comunque, sia determinato nel suo preciso ammontare o determinabile in base a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il "lucrum" (ad esempio vedi ord. 2778 del 2019). - In ogni caso, anche volendo ritenere che possa astrattamente operare l'istituto compensativo, l'indirizzo giurisprudenziale appena citato è chiaro nell'addossare l'onere della prova in capo al danneggiante che invoca la riduzione del risarcimento. Sarebbe dunque stata la difesa delle attrici a dover dimostrare l'esistenza di ragionevoli probabilità di ottenere, almeno in parte, soddisfazione in sede esecutiva. Del resto l'incarico come legali del pignoramento avrebbe potuto consentire agevolmente tale prova. Senza contare che è stata la stessa difesa delle attrici ad opporsi alla produzione degli atti relativi all'esecuzione in corso, da cui si sarebbero eventualmente potuti trarre elementi circa le prospettive di realizzazione del credito. Dunque non si può che concludere che l'eccezione di "compensatio lucri cum damno" è infondata, perlomeno in punto di mancato assolvimento dell'onere probatorio da parte delle attrici. - Per mero scrupolo è anche opportuno precisare l'infondatezza dell'ulteriore argomento speso dalla difesa delle avv.ti R. e S., per cui le ragioni poste a fondamento della rimessione in istruttoria, svolte nella sentenza non definitiva, consistenti nella prefigurazione di un danno non completamente consolidato in pendenza di esecuzione, sarebbero vincolanti in questa sede. Infatti, come già precedentemente chiarito, la sentenza non definitiva si è limitata all'accertamento dell'inadempimento nell'ambito del giudizio di risoluzione, mentre tutte le altre questioni, a prescindere dai passi motivazionali comunque non vincolanti, sono rimaste impregiudicate. In altri termini la decisione di rimettere in istruttoria la causa in ragione della convinzione che il danno non fosse ancora consolidato, non preclude certo, res melius perpensa, un revirement in sede decisionale, anche tenuto conto del mutamento del Giudice. Infatti la decisione di rimessione in istruttoria, quale ne sia la motivazione, ha natura meramente ordinatoria, senza attitudine al giudicato. Di conseguenza non è dato ravvisare in capo a questo Giudice alcuna preclusione circa l'accertamento e la quantificazione del danno, come in precedenza ampiamente motivata. 4) DANNO NON PATRIMONIALE RISARCIBILE. La sig.ra (...) chiede inoltre il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all'inadempimento, per l'ammontare di 10 mila euro, più altri 10 mila a causa dell'impossibilità dell'acquisto di una nuova casa. Contro tale richiesta le attrici hanno eccepito la non risarcibilità del danno morale in assenza di lesioni a diritti della persona costituzionalmente rilevanti e comunque l'assenza di prova circa l'impossibilità di futuri acquisti. a) La Giurisprudenza di riferimento. Al riguardo deve innanzitutto essere fatto richiamo alla fondamentale statuizione delle Sezioni unite, con la sentenza n. 26972 del 2008, per cui "Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice". Dunque l'intervento della Suprema corte lascia all'interprete l'individuazione di ipotesi non espresse di risarcibilità del danno non patrimoniale, pur circoscrivendo i presupposti dell'operazione ermeneutica: infatti la necessaria tipicità di cui all'art. 2059 c.c. impone innanzitutto la lesione di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati; inoltre "il dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)" richiede che l'offesa sia di rilevante gravità, così da non scadere nel pregiudizio futile o nel mero fastidio. Oltre agli esempi individuati nella stessa sentenza nomofilattica (che espressamente ha menzionato il danno da perdita dello stretto congiunto o il danno da perdita dei rapporti sessuali con il coniuge ed ha escluso il danno da perdita dell'animale da affezione o da disturbo per la luce di un lampione) la Corte di Cassazione ha avuto più volte occasione di pronunciarsi sul novero delle situazioni giuridiche suscettibili di risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali negando rilevanza alla perdita del tempo libero (Cass. 21725 del 2012) o al servizio fotografico matrimoniale rovinato (Cass. 13370 del 2018). Nella brevissima rassegna accennata è evidente la preoccupazione della Suprema corte di evitare l'eccessiva dilatazione della risarcibilità fino ai diritti "immaginari" o ai danni "bagatellari". b) Configurabilità del diritto alla casa. Per quanto detto l'inadempimento delle attrici ha determinato indubbiamente la grave lesione di una situazione giuridica soggettiva di rilievo personale ed ascrivibile al catalogo costituzionale, consistente nel diritto alla casa di proprietà come luogo di realizzazione della propria personalità ed alla non vanificazione dei propri risparmi. La Carta costituzionale infatti tutela il risparmio e favorisce l'acquisto della proprietà dell'abitazione sulla base di quanto espressamente sancito dall'art. 47. Ma ancor prima garantisce le forme ed i luoghi di espressione della personalità dell'individuo (art. 2), tra cui indubbiamente può essere annoverato il domicilio, anche in ragione della peculiare tutela apprestata ai sensi dell'art. 14. Nel caso di specie la sig.ra (...) ha sin dalla comparsa di risposta affermato che l'inadempimento delle legali, oltre ad averle cagionato ansie e preoccupazioni in corso di causa, le ha reso impossibile la concretizzazione dell'aspirazione (definita vero e proprio "sogno") all'acquisto di una casa di proprietà, come confermato dal fatto di essere dovuta andare a coabitare, invece di realizzare la propria indipendenza. La difesa delle attrici non ha formulato alcuna contestazione specifica nelle memorie istruttorie, limitandosi tardivamente, nelle memorie conclusive, a stigmatizzare il difetto di prova di tale impossibilità economica. Dunque ai sensi del principio di cui all'art. 115 comma 1, ultimo inciso c.p.c., deve considerarsi provato il pregiudizio patito dalla convenuta, che ha gravemente compromesso una aspirazione della personalità, rischiando di precluderla definitivamente a causa dell'assenza di prospettive di recupero del credito di restituzione del prezzo. La valutazione inevitabilmente equitativa di tale posta di danno, nelle sue componenti morali ed esistenziali, conduce alla somma che sembra adeguata di Euro 10 mila. 5) COPERTURA DELLA POLIZZA ASSICURATIVA. Il danno fin qui descritto è in gran parte coperto dalla polizza assicurativa stipulata dalle avv.ti R. e S., che hanno chiamato in garanzia la (...) SPA a seguito della domanda riconvenzionale della convenuta. a) Voci escluse. Le uniche voci che non possono essere indennizzate sono i danni non patrimoniali (quantificati in Euro 10.000,00), alla stregua dell'indubbia limitata estensione dell'oggetto dell'assicurazione ai soli danni patrimoniali, nonché gli anticipi (pari ad Euro 1.593,20) che gli avv.ti (...) e (...) sono tenuti a restituire (limitatamente al giudizio di merito n. 2601/2011 R.G. per le ragioni esplicate). Riguardo a quest'ultima posta, pur se la convenuta ha optato validamente per la domanda a titolo risarcitorio (vedi Corte di Appello di Milano del 9 febbraio 2015 già citata), non se ne può negare la natura intrinsecamente restitutoria, che avrebbe legittimato la cliente ad esperire la domanda alternativa di ripetizione previa risoluzione del contratto professionale. Di conseguenza le somme da restituire, perché ricevute in ragione di prestazioni lesive della propria cliente, non possono essere definite "perdite patrimoniali" in senso stretto ed esulano di conseguenza dall'oggetto dell'assicurazione, per come letteralmente definito in contratto. Ovviamente questa conclusione non vale per il risarcimento delle somme pagate all'avv. COSI, a causa della vanificazione dell'utilità dell'attività da costui prestata, in quanto in questo caso si tratta di ristorare la sig.ra (...) per le somme spese a favore di un diverso professionista. b) Sussistenza dei requisiti di polizza. Per il resto la copertura assicurativa è piena non potendosi condividere gli argomenti svolti da (...) SPA, per cui mancherebbero i requisiti contrattuali della involontarietà del danno cagionato e della sua riconducibilità diretta all'inadempimento del professionista assicurato. - Innanzitutto è palese che l'inadempimento accertato corrisponda ad una mera imperizia e non certo ad una determinazione dolosa. Infatti le legali assicurate hanno colposamente ritenuto che non rientrasse nel mandato professionale la valutazione delle conseguenze pratiche della vittoria in giudizio. Dunque, per quanto la propria attività sia stata indirizzata volontariamente ad ottenere la risoluzione della vendita, che ha danneggiato la cliente, è indubbio che l'inadempimento che si rimprovera consista in un mero errore professionale. - Inoltre è altrettanto palese che i danni patiti dalla sig.ra (...) siano diretta conseguenza del descritto inadempimento, da cui è derivata immediatamente la perdita della casa. Dunque è errato, come già dimostrato in precedenza, ritenere che si tratti di un pregiudizio indiretto, a seguito dello svolgimento infruttuoso della procedura esecutiva. Infatti dall'aggressione del patrimonio del venditore condannato a restituire il prezzo, potrà eventualmente derivare un lucro per la sig.ra (...), comunque indimostrato in questa sede, senza che ciò escluda l'immediata lesione del suo patrimonio. 6) REGOLAZIONE DELLE SPESE DEL GIUDIZIO. Gli avv.ti R. e S. risultano soccombenti nei confronti della sig.ra (...) sia in relazione alle domande esercitate, tranne che per il limitato compenso per le attività stragiudiziali, sia con riferimento a gran parte delle domande risarcitorie formulate in via riconvenzionale dalla convenuta. Dunque se ne giustifica la condanna alle spese con compensazione nella limitata misura di 1/5. La quantificazione del compenso deve avvenire a valori medi, tranne che per quanto riguarda la fase decisionale in ragione della doppia precisazione delle conclusioni a causa della pronuncia di una sentenza non definitiva. Le attrici sono invece vittoriose nei confronti della Compagnia di Assicurazione chiamata in garanzia, che si è difesa sostenendo, tra l'altro, il difetto di copertura della polizza. Infine non è ravvisabile la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. invocata dalla convenuta, in quanto la base conciliativa ipotizzata da questo Giudice, su cui non è stato trovato l'accordo nonostante il favore della convenuta, non ha trovato conferma al vaglio decisionale in cui il quantum è stato sensibilmente ridotto. P.Q.M. definitivamente pronunciando nel merito del giudizio proposto da (...) e (...) contro (...) con la chiamata in causa di (...) SPA, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, CONDANNA (...) al pagamento a favore di (...) e (...) della somma complessiva di Euro 1.000,00, oltre IVA e CPA a titolo di compenso per l'attività stragiudiziale; CONDANNA in solido (...) e (...) al pagamento a favore di (...) delle seguenti somme, salva la compensazione con la minor somma oggetto della condanna soprastante: - Euro 47.406,20 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale per la perdita dell'abitazione, oltre interessi dal momento della pubblicazione della sentenza; - Euro 1.593,20 a titolo di risarcimento per le somme pagate alle attrici, oltre interessi dal momento della pubblicazione della sentenza; - Euro 1.250,00, oltre accessori di legge a titolo di risarcimento per le somme pagate all'avv. COSI, oltre interessi dal momento della pubblicazione della sentenza; - Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali oltre interessi dal momento della pubblicazione della sentenza; CONDANNA (...) S.P.A. a tenere manlevata (...) e (...) di quanto le stesse sono tenute a corrispondere a (...), ad eccezione della somma di Euro 1.593,20 relativa alla restituzione di quanto ricevuto dalla cliente e di quella di 10 mila euro per danni non patrimoniali; COMPENSA - le spese tra le attrici, (...) e (...), e la convenuta (...) in misura di 1/5; CONDANNA - in solido (...) e (...) a rifondere le spese del giudizio a favore di (...), quantificate in Euro 13.104,00, oltre spese forfettarie, IVA e CPA, e spese vive per Euro 759,00, già operata la compensazione sopra stabilita; - (...) spa a rifondere le spese del giudizio a favore di (...) e (...), quantificate in Euro 7.000,00, oltre spese forfettarie, IVA e CPA; MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Lecco il 28 giugno 2019. Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO Sezione Prima - Giudice dott. Carlo Stefano Boerci ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3747/2014 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. Gi.Ca. ed elezione di domicilio presso il difensore in Via (...), Lecco -attrice- contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio degli avv.ti An.Br., Pa.Br. e An.Di. ed elezione di domicilio presso l'avv. Di. in Via (...), Valmadrera - convenuto - RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - Svolgimento del giudizio L'attrice (...) ha citato in giudizio il marito (...), con cui è stata sposata sin dal 1977. Sostiene di essere stata maltrattata per più di trent'anni, degradata, spesso picchiata, ignorata nei momenti di malattia, lasciata sola nella cura delle due figlie e della casa, infine tradita con la giovane badante dei suoceri. Solo nel 2011, dopo la scoperta del tradimento, i coniugi si sono separati di fatto. A dicembre 2013 (...) ha presentato ricorso per separazione giudiziale e poi, in pendenza della causa di separazione, a dicembre 2014 ha promosso questa causa per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa dei comportamenti del marito. La causa è stata istruita mediante assunzione di testimonianze ed esperimento di una consulenza medico-legale sulla persona dell'attrice, volta a verificare se i maltrattamenti subiti le abbiano procurato dei danni psichici sfociati in una vera e propria patologia. È stata poi acquisita la sentenza di separazione n. 67/2017 pronunciata medio tempore e passata in giudicato, unitamente ad alcuni verbali di prove assunte in quel procedimento. Infine, all'udienza del 9/1/2019 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione. 2.- Ammissibilità della domanda risarcitoria Prima di entrare nei dettagli del caso in esame, è utile ricordare che, in linea generale, è ormai riconosciuta la possibilità di ravvisare una responsabilità risarcitoria anche nel caso di violazione degli obblighi familiari. Con estrema chiarezza la Suprema Corte insegna che: "I doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione unicamente nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l'addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi su detti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dare luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c." (Cassazione civile sez. I, 15/9/2011, n. 18853). Ovviamente l'addebito della separazione non determina automaticamente il diritto al risarcimento dei danni, ma dovranno essere allegati e dimostrati tutti i presupposti per l'applicazione dell'art. 2059 cod. civ. e cioè la condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi costituzionalmente protetti, il nesso causale tra la prima e la seconda, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso. 3. - Precedente giudicato Nel caso qui in esame, è acclarata la violazione dei doveri coniugali da parte di (...), che infatti gli è costata l'addebito della separazione. Di seguito si riporta integralmente la motivazione della sentenza di separazione nella parte relativa all'addebito, laddove il Tribunale descrive le gravi e molteplici violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio, accertate con efficacia di giudicato: "Deve trovare accoglimento anche la domanda di addebito proposta dalla ricorrente. Invero, nel corso del giudizio è emerso il completo disinteresse del (...) rispetto alle più elementari esigenze affettive della moglie. Non solo, alla completa indifferenza verso la coniuge si sono accompagnati nel corso degli anni plurimi fatti di violenza sia fisica che verbale che hanno inciso negativamente sull'equilibrio psicologico della ricorrente (doc. 11 parte ricorrente). Le plurime violenze subite dalla ricorrenza sono emerse dell'istruttoria orale svoltasi nel corso del giudizio. In particolare, (...) ha dichiarato: "ci sono stati molti episodi in cui i miei genitori litigavano e che sfociavano in episodi di violenza fisica sia tra di loro sia sugli oggetti. Tali episodi così accesi capitavano circa tre o quattro volte all'anno. Io assistevo personalmente. Mia madre subiva tali atteggiamenti e cercava di calmare la situazione. Le cause di litigi erano le più varie e banali come per esempio l'acquisto del tavolo del balcone";... "Tante volte io e mia sorella siamo scese dalla zia su invito di nostra madre per non assistere alle violenze di nostro padre"..."mia madre veniva colpita al volto anche con schiaffi e pugni. Tali violenze sono terminate solo quando mio padre se n'è andato". (...): "Ricordo diversi episodi nei quali mio padre si rese autore di diversi episodi, rovesciava oggetti e lanciava piatti. In linea di massima, tali episodi accadevano 3 o 4 volte all'anno". "Ho assistito più volte a ipotesi di violenza fisica nei confronti di mia madre. Mio padre la colpiva con schiaffi e pugni". (...): "Ricordo in particolare un episodio accaduto in casa di mia madre a cui ho assistito alle violenze (schiaffi) che il sig. (...) infieriva a mia sorella. Preciso che si stavano schiaffeggiando, era mia sorella a prendere le botte. Tanto è vero che mia sorella era sempre piena di lividi. Tale episodio fu occasionato dal fatto che mia sorella voleva far vedere la bicicletta ai miei genitore contro il volere del marito". A fugare i dubbi sull'attendibilità delle testimonianze, deve osservarsi l'ultimo episodio di violenza del 07.06.2011 è sfociato nel procedimento penale NR. 218/14, conclusosi con la condanna del (...) ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p. A questo riguardo, giova sottolineare come tali fatti, integrando violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a diritti inviolabili della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica - sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento dell'altro coniuge, sottraendosi, pertanto, alla comparazione con tale comportamento, il quale non può costituire un mezzo per eludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere (cfr. Cass. 5379/2006, Cass. 15101/2004). Per tale ragione, la tolleranza negli anni delle descritte violenze non vale ad elidere il nesso causale tra le stesse e l'addebito della separazione". Dunque la sussistenza di una condotta (gravemente) antigiuridica, costituente il primo presupposto della responsabilità da fatto illecito, è stata accertata in via definitiva e non può più essere revocata in dubbio. A tal proposito la giurisprudenza di merito, valutando la rilevanza della pronuncia di addebito della separazione nel successivo giudizio risarcitorio, ha avuto modo di chiarire che: "Poiché il giudicato esterno implica l'accertamento di una determinata situazione giuridica ed ha quindi per oggetto la soluzione di tutte le questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune alla causa pregiudicante ed a quella pregiudicata, gli accertamenti di fatto che la sentenza di separazione con addebito abbia posto a fondamento della decisione, con riguardo alla violazione dei doveri coniugali, precludono il riesame della medesima questione nel giudizio successivamente promosso per il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della persona" (Tribunale Belluno, 19/12/2012). Solo ad abundantiam sono stati anche depositati stralci delle testimonianze rese nel giudizio di separazione - acquisibili in questa causa come prove atipiche - e sono stati assunti altri due testimoni, ad ulteriore conferma dei comportamenti violenti perpetrati da (...) e delle gravi violazioni dei doveri di assistenza morale e materiale. Infine bisogna tenere conto dell'ulteriore gravissimo atto di cui si è macchiato (...), non menzionato nella sentenza di separazione, il quale nel 2004 ha abusato sessualmente del nipote, figlio della sorella della (...) (fatto per il quale ha patteggiato una pena detentiva, con il beneficio della sospensione condizionale: cfr. doc. 8). Le ulteriori prove testimoniali richieste dalle parti non sono state ammesse in quanto a questo punto sarebbero state superflue. 4. - Sussistenza di un danno alla salute Tutto questo però non è ancora sufficiente per accordare il risarcimento, occorrendo altresì il verificarsi di un danno concreto cagionato dalla condotta illecita. Per questa ragione è stata disposta una consulenza tecnica d'ufficio, volta ad accertare se i maltrattamenti subiti dalla (...) le abbiano procurato dei pregiudizi a livello psichico che possano costituire un vero e proprio danno alla salute. È stato incaricato all'uopo il dott. (...), medico psichiatra e psicoterapeuta, al quale il giudice ha sottoposto il seguente quesito: "Il Consulente, esaminati tutti gli atti e la documentazione medica prodotta, sotto-posta la perizianda a tutti gli accertamenti ritenuti necessari, dica se la stessa abbia riportato, in conseguenza degli episodi lamentati dall'attrice, dei postumi di tipo psichico cha si risolvano in una vera e propria malattia psichica apprezzabile, individui gli eventuali riflessi di tipo somatico e indichi la percentuale di danno biologi-co, temporaneo o permanente, da essa derivante, nonché il consequenziale grado di sofferenza psicofisica". Nello svolgimento dell'incarico il c.t.u. è stato assistito dall'ausiliario dott. (...), psicologo e psicoterapeuta, al quale è stata demandata la valutazione psicodiagnostica mediante colloqui e somministrazione degli appositi test. All'esito dell'esame, il c.t.u. ha potuto verificare che l'attrice è attualmente affetta da disturbi psichiatrici in relazione diretta con i maltrattamenti subiti nel corso del matrimonio e della separazione. I maltrattamenti hanno inciso sulla sua salute, provocando uno stato di malessere sfociato in una vera e propria patologia, qualificabile in base ai criteri diagnostici del DSM-5 come "Disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso" (di tipo "acuto" per i primi mesi dopo la separazione e poi cronicizzato). Non si tratta dunque di un mero danno morale, perché la sofferenza interiore di (...) non si è esaurita in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, ma è degenerata in una compromissione permanente dell'equilibrio e dell'organizzazione funzionale della sua psiche. Si badi bene che il fatto che l'attrice abbia riportato un danno psichico è pacifico tra le parti e può darsi per assodato alla luce degli accertamenti peritali. Difatti, nella difese finali della parte convenuta nulla si eccepisce in merito alle conclusioni del c.t.u., anzi si sostiene che: "il lavoro svolto dal CTU è stato ineccepibile" (comparsa conclusionale pag. 12). 5. - Il disturbo diagnosticato dal c.t.u. Ciò che resta contestato è la diagnosi clinica del disturbo che affligge l'attrice ed il conseguente accertamento del grado di invalidità, che il c.t.u. ha quantificato nell'8-10%, quindi molto inferiore rispetto alle valutazioni dei periti di parte attrice. Si riporta di seguito la descrizione sintetica offerta dal dott. (...) circa la sintomatologia del disturbo (cfr. conclusioni pag. 31-32: "la signora manifesta ancora problemi di adattamento, difficoltà e sintomi traumatici a seguito sia dei maltrattamenti e delle percosse subite dal partner. Il malessere ha comportato nella donna vissuti di inadeguatezza ed ansia, con nuclei traumatici ancora inelaborati, dissociati e negati. Preesiste una fragilità identitaria e di personalità, marcata immaturità, con aspetti narcisistici, tratti di dipendenza e masochistici (talvolta anche sadici). Tale personalità comporta la tendenza a strutturare sia relazioni di sottomissione e dipendenza con le persone che la signora ritiene importanti (genitori, fratelli, marito, figlie) e rassicuranti, sia a sfogare sentimenti rivendicativi e di rivalsa (come ad es. denota l'impegno sindacale) nelle relazioni meno significative. La signora è alla ricerca dell'appagamento del suo ideale identitario, consistente nel raggiungimento di una relazione idealizzata simile a quella esperita nella relazione genitoriale e familiare della sua infanzia. L'aspetto depressivo dell'attuale malessere sembra correlato alla frustrazione provocata dal fallimento del proprio progetto esistenziale, del proprio ideale, di vita e di famiglia, motivo di dolore e sofferenza, nonché dello strutturarsi di pensieri ossessivi/intrusivi che la disturbano. L'impatto traumatico delle violenze subite, invece, ha causato alla sig.ra (...) sintomi inquadrabili in un disturbo reattivo ai ripetuti traumi subiti, con il prodursi di difese dissociative nei periodi immediatamente successivi agli episodi traumatici. La signora (...) vive un profondo stato di prostrazione e frustrazione (un quadro assimilabile alla disforia) motivato dalla distruzione del suo sogno e progetto di vita: ricreare una famiglia simile a quella dei propri genitori; una famiglia unita, in cui tutti hanno un ruolo, collaborano e si vogliono bene. Una famiglia nella quale i fratelli si aiutano, si sostengono a vicenda, nella quale regni un clima felice e tranquillo, improntato alla serenità. Il crollo di questo ideale, in seguito al tradimento dell'ex marito (sig. (...)), l'ha portata a vivere profonda frustrazione e rammarico per tutto il tempo, e le energie, investite in questo progetto nonché nella coppia costruita col sig. (...). Un rammarico bruciante e profondamente doloroso. Un ideale di vita e di famiglia, di unità, al quale la signora (...) aveva sacrificato tutto e sul quale aveva puntato tutto, tanto che lei ha sopportato tutte le violenze - da lei stessa successivamente denunciate - malgrado assistessero a questi maltrattamenti (e vivessero nella paura) anche le figlie. Esemplificativo di ciò è il racconto dell'attesa del marito per la cena con le figlie affamate. Alle violenze e agli abusi, dolorosi e stressanti, la signora ha reagito mettendo in atto difese dissociative (motivo dell'ancora attuale danno psichico), che le hanno consentito di tollerare tali vissuti con dolorosa sopportazione. L'esaminata ha sopportato le angherie dell'ex marito sperando che la sua tribolazione e la sua pazienza lo portassero a cambiare, riteneva che le violenze fossero una tortura tollerabile se poteva portare alla fantasticata "famiglia unita e serena" che aveva conosciuto nella sua infanzia. Quando, però, il marito si è fatto gioco di lei, negando il tradimento, ha compreso che il suo ideale non si sarebbe mai realizzato. Ciò ha condotto alla fine del progetto familiare ed esistenziale della signora, alla rottura della coppia ed alla conseguente denuncia. La signora ha sperimentato intensa rabbia nei confronti dell'ex marito che, unita alla frustrazione ed al dolore vissuti in passato, l'hanno condotta all'attuale malessere". Il c.t.u. ha ritenuto che i descritti postumi di tipo psichico abbiano prodotto una vera e propria malattia psichica, qualificabile come Disturbo dell'adattamento; assai meno grave, dunque, rispetto alla diagnosi proposta dal consulente tecnico di parte attrice, che ravvisava il concorso tra: (I) un Disturbo depressivo maggiore, (II) un Disturbo d'ansia generalizzato e (III) un Disturbo post-traumatico da stress, che sommati determinerebbero un danno biologico corrispondente ad un'invalidità permanente compresa tra il 47% e il 60%. Più precisamente, a dire del c.t.u. la sintomatologia di (...) risponderebbe ai criteri diagnostici del DSM-5 per il "Disturbo dell'Adattamento con Ansia e Umore Depresso, Cronico" ed avrebbe comportato sintomi dissociativi ed ansiosi configuranti un danno biologico di natura psichica, prima temporaneo, poi permanente, quantificabile nell'8-10% facendo riferimento ai baremes valutativi proposti dall'accreditata dottrina medico-legale. 6. - Critiche alle conclusioni del c.t.u. Parte attrice nelle difese conclusive (cfr. comparsa conclusionale pag. 19-20-21) ha criticato aspramente il lavoro del c.t.u., sostenendo che: (a) non ha proceduto ad una diagnosi psicopatologica e funzionale; (b) non ha tenuto conto di tutti i disturbi correlati ad eventi stressanti e che possono coesistere senza netta distinzione, in più malattie psichiche; (c) non ha considerato tutti gli indicatori psicopatologici emersi dalle valutazioni testali; (d) non ha considerato eventi psicotraumatizzanti della storia coniugale; (e) non ha valutato gli aspetti depressivi e di frustrazione degli aspetti narcisistici correlati alla rabbia e delusione per il fallimento degli ideali familiari; (f) ha utilizzato criteri diagnostici e barèmes valutativi desueti e superati. Le critiche non paiono fondate, avendo trovato convincente risposta nei chiarimenti forniti dal dott. (...) con la relazione integrativa depositata il 23/3/2018. Innanzitutto, non si ravvisa alcuna superficialità nella ricostruzione della storia coniugale e nella valutazione psicodiagnostica. La storia clinica di (...) è stata raccolta e riportata in modo puntuale nelle pagine introduttive della relazione di consulenza tecnica, dando conto sia del contenuto degli atti difensivi, sia delle perizie di parte allegate alla citazione, sia dell'esito dei colloqui psichiatrici e psicodiagnostici. Si può dire persino che il racconto della storia familiare riportato nella relazione del c.t.u. sia ancora più completo e dettagliato di quello offerto negli atti difensivi. Del resto, lo stesso consulente tecnico di parte dott. (...) ha riconosciuto che il c.t..u. ha "riportato puntualmente la sintomatologia del complesso e variegato disturbo psicopatologico cronico sofferto dalla Signora (...)": il c.t.p. non contesta affatto la superficialità degli accertamenti peritali, ma semplicemente vi è un disaccordo in merito alla valutazione dei sintomi osservati ed alla corretta diagnosi del disturbo. Dunque, depurando il discorso da ogni suggestiva argomentazione introdotta nelle difese, l'unico tema di cui discutere è se la diagnosi del dott. (...) abbia dei solidi fondamenti clinici nei criteri dettati dal DSM-5 (ossia l'ultima versione del noto "Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders", il più diffuso e riconosciuto testo ricognitivo dei disturbi mentali identificati dalla psichiatria a livello internazionale). A questo proposito, il c.t.u. ha spiegato innanzitutto che la tesi proposta nella consulenza di parte allegata all'atto di citazione è priva di fondamento scientifico, perché la presunta "Sindrome di Stoccolma" ipotizzata dal perito non è ufficialmente riconosciuta in alcun manuale di psichiatria. Insomma, per la scienza tale sindrome non esiste. Invece, utilizzando i criteri diagnostici suggeriti dal DSM-5, il malessere riscontrabile in (...) può essere ricondotto al Disturbo dell'Adattamento. A pag. 34 della relazione il c.t.u. ha riportato i criteri diagnostici del DSM-5 ed ha spiegato le ragioni per cui esse ricorrono nel caso di specie: "Criteri diagnostici Disturbi dell'adattamento: A. Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta a uno o più eventi stressanti identificabili che si manifesta entro 3 mesi dall'insorgenza dell'evento/i stressante/i. B. Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi, come evidenziato da uno o da entrambi i seguenti criteri: 1. Marcata sofferenza che sia sproporzionata rispetto alla gravità o intensità dell'evento stressante, tenendo conto del contesto esterno e dei fattori culturali che possono influenzare la gravità e la manifestazione dei sintomi. 2. Compromissione significativa del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altri importanti aree. C. Il disturbo correlato con lo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo men-tale e non rappresenta solo un aggravamento di un disturbo mentale preesistente. D. I sintomi non corrispondono a un lutto normale. E. Una volta che l'evento stressante o le sue conseguenze sono superati, i sintomi non persistono per più di altri sei mesi. Specificare quale: - Con umore depresso - Con ansia - Con ansia e umore depresso misti - Con alterazione della condotta - Con alterazione mista dell'emotività e della condotta - Non specificati Specificare se: - Acuto: meno di 6 mesi - Persistente (cronico): 6 mesi o più" La signora (...) risponde ai criteri perché: A) ha sviluppato sintomi emotivi e comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili entro 3 mesi dell'insorgenza del fattore stressante; B) ha presentato marcata sofferenza, sproporzionata rispetto alla gravità o intensità dell'evento stressante, tenendo conto del contesto esterno e dei fattori culturali che possono influenzare la gravità e la manifesta-zione dei sintomi, e compromissione significativa del funzionamento in ambito socia-le; C) il disturbo correlato con lo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo mentale e non rappresenta solo un aggravamento di un disturbo mentale preesistente; D) i sintomi non corrispondono a un lutto normale; E) Il fattore stressante (o le sue conseguenze) non sono superati, i sintomi persistono. Il Disturbo si manifesta con ansia e umore depresso misti; è persistente (cronico), perché presente da oltre 6 mesi. Come si vede, il dott. (...) ha fatto pedissequa applicazione dei principi indicati dalla letteratura scientifica. Le critiche alle sue conclusioni non appaiono altrettanto rigorose ed egli ha spiegato convincentemente le ragioni per cui non è condivisibile la diversa diagnosi proposta dal consulente di parte, il quale ravvisava il concorso tra: (I) un Disturbo depressivo maggiore, (II) un Disturbo d'ansia generalizzato e (III) un Disturbo post-traumatico da stress. In estrema sintesi, il c.t.u. spiega che il Disturbo post-traumatico da stress è stato escluso perché l'evento traumatico non ha avuto caratteristiche estreme, mentre la depressione e l'ansia sono state considerate quali sintomi minori del Disturbo dell'adattamento, come consentito dai criteri psicodiagnostici del DSM-5 appena citati (che prevedono la possibilità che tale disturbo sia accompagnato da "ansia e umore depresso misti"). In altri termini, la depressione è un sintomo che fa parte del quadro clinico, così come l'ansia, ma non sono di rilievo tale da potersi diagnosticare un autonomo disturbo depressivo né un disturbo d'ansia. Per un approfondimento si rinvia alla lettura integrale della consulenza (cfr. pag. 42-44 della relazione principale e pag. 1-10 della relazione integrativa), laddove si elencano, sempre con pedissequa aderenza al DSM-5, i singoli elementi dal caso di specie che non collimano con la sintomatologia dei disturbi ipotizzati da parte attrice. Da ultimo, nella relazione integrativa il dott. (...) ha spiegato che non è metodologicamente corretta la tesi di parte attrice secondo cui tutti i disturbi correlati ad eventi stressanti possono coesistere, senza distinzione, in più malattie psichiche. (cfr. pag. 9). Al contrario, il riferirsi alla nosografia del DSM-5 comporta rilevare i sintomi ed inserirli nel disturbo che meglio li inquadra, non dando al clinico la possibilità di diagnosticare più disturbi che contengano i sintomi rilevati. Non è possibile, perciò, diagnosticare più disturbi correlati ad eventi stressanti né più malattie psichiche. 7. - Quantificazione del danno alla salute I danni psichici patiti da (...) si riverberano una lesione permanente alla salute, che il c.t.u. ha commisurato ad un'invalidità dell'8-10%. Parte attrice ha contestato tale quantificazione in quanto effettuata sulla scorta di una dottrina superata: difatti il c.t.u. ha utilizzato l'edizione 2006 del manuale di BU. - VA., che sarebbe superata dai successivi testi dei medesimi Autori risalenti al 2014. A ciò il c.t.u. ha replicato, senza essere smentito, che "nel testo del 2014 di Bu. - Va. "Guida alla valutazione psichiatrica e medicolegale del danno biologico di natura psichica", edito da Giuffrè, il "disturbo dell'adattamento non complicato", patologia riferibile alla signora (...), è ritenuto causa di un danno dal 6 al 10%. Nel testo le complicazioni che possono lievemente aumentare tali punteggi sono le complicanze fobico - ossessive o lo screzio dismorfobico, non presenti nel quadro clinico rilevato durante la CTU nella signora. Nelle linee guida SIMLA del 2016 ai "disturbi misti dell'adattamento non complicati", patologia rilevata nell'esaminata, è dato un punteggio di 6-10% di danno biologico. Perciò, la valuta-zione data dal CTU, che ha rilevato un danno biologico psichico permanente pari al 8-10%, appare in linea con i più recenti barémes valutativi". Il danno biologico così determinato può essere risarcito in base alle note tabelle elaborate dall'Osservatorio per la giustizia presso il Tribunale di Milano. La più recente edizione di queste prevede, per un'invalidità del 9% patita da una persona di 53 anni (età di (...) al momento della separazione), un risarcimento di 17.226,00 Euro. Non vengono invece utilizzati i diversi valori monetari previsti dal Codice delle Assicurazioni, in quanto il legislatore ha palesemente inteso limitarne l'applicazione ad alcune ipotesi normativamente previste per le quali avvertiva l'esigenza di "calmierare" i risarcimenti (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit). Il risarcimento comprende tutte le componenti normali del danno biologico, inteso quale pregiudizio all'integrità psico-fisica che, per sua natura, esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto. Teoricamente si potrebbe prevedere un incremento del risarcimento, in presenza di peculiari circostanze del caso concreto che rendano particolarmente gravosa l'incidenza del danno sulla vita quotidiana e di relazione: è la cosiddetta "personalizzazione" del danno, che il danneggiato ha l'onere di allegare e provare. Non sembra però che sia questo il nostro caso ed in tal senso può essere valorizzata l'osservazione del c.t.u. in merito all'insussistenza degli indici di sofferenza elencati nella classica manualistica medico-legale, comprendenti: eventuale supporto di terzi nello svolgimento degli atti della vita quotidiana, terapia analgesica, necessità di presidi sanitari, evidenza della menomazione, rinunce nella vita (cfr. relazione c.t.u. pag. 36). 8. - Quantificazione del danno morale La più recente giurisprudenza della Suprema Corte - introducendo un correttivo rispetto alle interpretazioni giurisprudenziali che andavano affermandosi nell'ultimo decennio a seguito delle storiche sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione del 2008 - si sta ormai consolidando nell'affermare che accanto al "danno biologico" è possibile riconoscere un ulteriore importo a titolo di "danno morale", laddove il primo definisce la menomazione psico-fisica ed i suoi necessari riverberi sulla possibilità di esplicare le attività della vita quotidiana, mentre il secondo definisce la pura sofferenza interiore patita dal danneggiato a causa dell'illecito. Tra le molte pronunce recenti, si veda ad esempio Cassazione civile sez. VI, 19/2/2019, n. 4878: "In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del "danno biologico", quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un'ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, "sub specie" di dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione". Nel nostro caso il dott. (...), come pure il suo ausiliario dott. C., hanno ripetutamente chiarito che la valutazione psicodiagnostica da loro effettuata tiene conto soltanto del danno derivante dai maltrattamenti lamentati dell'attrice, mentre "non sono stati tenuti in considerazione gli aspetti depressivi e di frustrazione degli aspetti narcisistici correlati alla rabbia e alla delusione per il fallimento degli ideali esistenziali, familiari e di coppia che accompagnano la separazione" (si vedano le conclusioni della c.t.u. a pag. 36). Questa discriminazione è stata assai criticata dalla difesa attorea, ma è corretta. Invero, i predetti aspetti non risultavano tali da provocare un malessere così grave da assurgere ad una vera e propria patologia, perciò correttamente sono stati lasciati ai margini della valutazione medico-legale. Ciò non significa che essi siano irrilevanti ai nostri fini, poiché trovano la loro giusta collocazione nell'ambito della liquidazione del danno morale. Si leggano, a questo proposito, le conclusioni del dott. (...) all'esito dell'esame psicodiagnostico della periziata: "Attualmente la signora (...) vive un profondo stato di prostrazione e frustrazione (un quadro assimilabile alla disforia) in seguito alla distruzione del suo sogno e progetto di vita: ricreare una famiglia simile a quella dei propri genitori; una famiglia unita, in cui tutti hanno un ruolo, in cui tutti collaborano e si vogliono bene. Una famiglia nella quale i fratelli si aiutano, si sostengono a vicenda, nella quale regni un clima felice e tranquilla, improntato alla serenità. Il crollo di questo ideale, in seguito al tradimento dell'ex marito (sig. (...)), l'ha portata a vivere questa profonda frustrazione e a vivere il rammarico per tutto il tempo e le energie investite in questo progetto e nella coppia costruita col sig. (...). Un rammarico bruciante e profondamente doloroso. Un ideale di vita e di famiglia, di unità, al quale la signora (...) aveva sacrificato tutto e sul quale tutto aveva puntato. Questo ideale era molto più importante di qualunque altra cosa nella vita della signora (...), tanto da far sì che lei sopportasse le violenze da lei stessa successivamente denunciate e tanto da far assistere a ciò (e far vivere in un clima di violenza e paura) anche le figlie. Emblematico di ciò è il racconto dell'attesa del marito per la cena con le figlie affamate. Violenze e abusi che, seppur dolorosi e stressanti, erano resi sopportabili dalla speranza di giungere all'agognato ideale. Violenze che nella concezione della signora erano uno scotto da pagare un problema da risolvere per giungere alla meta. Le violenze, che venivano affrontate attraverso la messa in atto di difese dissociative (e che in questo senso hanno creato un danno psichico), erano vissute con dolorosa sopportazione, ma venivano tollerate. Solo il successivo tradimento vissuto dalla signora (che l'ex marito nega) ha condotto alla rottura dell'ideale ed alla conseguente denuncia; ha posto quindi fine al progetto familiare della signora e alla rottura della coppia. Da qui la signora ha operato un profondo cambiamento nella propria vita ed è emersa una notevole rabbia nei confronti dell'ex marito. Una rabbia che unita alla frustrazione ed al dolore vissuti in passato hanno condotto la signora alla situazione attuale. In questo senso credo sia importante differenziare, rispetto al quesito posto dal Giudice, il danno prodotto dalla rottura della relazione coniugale, dell'unità familiare e quindi dell'ideale di vita voluto dalla signora, dal danno causato dalle violenze denunciate dalla signora e perpetrate ai suoi danni dall'ex marito. ... Tornando al quesito, possiamo quindi ipotizzare come rispetto: - alla rimuginazione ossessiva sui pensieri della vita coniugale; - al non riuscire a ripensare al passato con tranquillità (ma solamente vivendolo con dolore e dispiacere); - al vissuto depressivo (per lo più originato dalla rottura dell'ideale, come ammesso dalla stessa signora (...)); - nonché relativamente alla rabbia, ed in generale alla situazione disforica dell'umore; sia possibile ritenere che tale stato non dipenda direttamente dalle violenze o gli abusi (fisici e psichici vissuti) quanto dal crollo del progetto di vita e dalla distruzione dell'ideale famigliare voluto dalla signora; dal veder andare in pezzi la possibilità di ricreare una famiglia simile a quella nella quale era cresciuta la signora, una famiglia in cui vedere fratelli e sorelle che si amano come lei era legata ai suoi. Una famiglia che vivesse senza il dolore della morte di un figlio/fratello. Una famiglia serena e tranquilla. Come detto dalla signora stessa, la situazione attuale è figlia della "delusione" per aver vissuto una vita senza essere "mai rispettate mai considerata". Invece le violenze subite hanno causato lo sviluppo e l'incremento di difese di tipo dissociativo e scissionale. Hanno acuito una fragilità già presente non permettendo l'integrazione di varie parti del sé e creando nuclei dissociati tutt'ora attivi e dannosi: come è stato possibile vedere direttamente all'opera nella valutazione testale (si veda quanto accaduto e riportato durante la somministrazione del Rorschach) e dai risultati della signora ai test. È quindi possibile ipotizzare la presenza di un disturbo causato dalle violenze subite che però non è del tutto responsabile dello stato attuale della signora. In sintesi, il danno psichico vero e proprio, esaminato nel capitolo precedente, è stato determinato dalla pluriennale sopportazione dei maltrattamenti. Tuttavia oggi l'attrice vive un malessere più intenso, non dovuto solamente al disturbo psichico da cui è affetta; un malessere dovuto alla delusione per l'ideale familiare andato in frantumi, è fatto di una frustrazione e una rabbia verso il passato talmente intense ed ossessive da non consentirle di trovare pace. In termini di diritto, si tratta di una manifestazione particolarmente intensa di danno morale che merita di essere risarcita con un'ulteriore somma di denaro che vada a comporre il complessivo ammontare del risarcimento per i danni non patrimoniali. Viste le speciali peculiarità del caso, si ritiene equo liquidare il danno in misura pari al doppio del danno biologico quantificato nel capitolo precedente, quindi nella misura di 34.532,00 Euro. Il totale del danno non patrimoniale viene così liquidato in 51.798,00 Euro, arrotondati equitativamente a 50.000,00 Euro. Il credito risarcitorio dovrà poi essere incrementato degli interessi legali e della rivalutazione monetaria. Il dies a quo per il calcolo della rivalutazione e degli interessi deve essere individuato nel giorno in cui il danno si è verificato. Nel particolarissimo caso di specie, in cui è arduo individuare un singolo momento di produzione dell'evento dannoso, si ritiene di prendere a riferimento il giorno della separazione di fatto dei coniugi (7/6/2011), ossia il momento in cui si è palesata la rottura del progetto familiare perseguito dall'attrice, con tutte le conseguenze a livello psicologico di cui si è dato conto. 9. - Spese legali Il convenuto soccombente è tenuto a rifondere le spese legali sostenute dall'attrice. I compensi sono liquidati secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, applicando lo scaglione di valore compreso tra 52.000 Euro e 260.000 Euro: ciò in applicazione dell'art. 5 D.M. n. 55 del 2014 (in forza del quale nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata) e dell'art. 10 c.p.c. (in forza del quale il valore della causa è calcolato tenuto conto degli interessi maturati). Sebbene il valore così calcolato si attesti intorno ai minimi dello scaglione tariffario, si farà comunque riferimento ai valori medi, in considerazione del significativo livello di difficoltà della causa. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) DICHIARA il convenuto (...) responsabile per i danni non patrimoniali cagionati all'attrice (...), meglio descritti in motivazione, derivanti dalla violazione dei suoi doveri coniugali; 2) CONDANNA il convenuto al risarcimento dei danni non patrimoniali complessivamente in 50.000,00 Euro, oltre rivalutazione monetaria dal 7/6/2011 ed interessi legali sulla somma via via rivalutata; 3) CONDANNA il convenuto a rifondere le spese legali, liquidate in 1.721,47 Euro per anticipazioni e 13.430,00 Euro per compensi, oltre rimborso spese generali 15% ed accessori di legge; 4) PONE definitivamente a carico del convenuto le spese di c.t.u. già liquidate con decreto del 4/5/2019 Così deciso in Lecco il 3 giugno 2019. Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO Sezione Seconda - Giudice Onorario avv. Guido Luca Massimiliano (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3112/2015 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. PI.RO. e, con elezione di domicilio in Indirizzo Telematico, presso il difensore avv. PI.RO. ATTORE contro IMMOBILIARE (...) (C.F. (...) ) - CONVENUTA CONTUMACE RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 1l Novembre 2015 signor (...) conveniva in giudizio Immobiliare (...) S.a.s. di (...) per sentir accogliere le seguenti conclusioni: "In via principale Accertare e dichiarare, per le causali di cui in narrativa, la risoluzione del contratto di mediazione stipulato tra il signor (...) e l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...) per il grave inadempimento di quest'ultima alle obbligazioni derivanti dal contratto concluso e per l'effetto condannare l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., a restituire al signor (...) la provvigione pagata da quest'ultimo, pari ad Euro 7.800,00, oltre interessi legali dal 10.10.2013; In via alternativa Accertare e dichiarare che nel contratto di mediazione concluso tra il signor (...) e l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...) le parti avevano escluso il diritto in capo alla seconda di percepire una provvigione e per l'effetto Dichiarare che l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...) ha indebitamente percepito l'importo di Euro 7.800,00 dal signor (...) e conseguentemente condannare l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., a restituire al signor (...) l'importo di Euro 7.800,00, oltre interessi legali dal 10.10.2013 In via subordinata Accertare e dichiarare che il contratto preliminare sottoscritto dai signori (...), (...) e (...) prodotto sub doc. n. 3 è nullo e/o annullabile e/o inefficace per scioglimento consensuale dello stesso e, quindi, improduttivo dì effetti anche quanto al diritto alla provvigione spettante all'Immobiliare (...) S.a.s. di (...) e per l'effetto condannare l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., a restituire al signor (...) la provvigione indebitamente pagata da quest'ultima, pari ad Euro 7.800,00, oltre interessi legali dal 10.10.2013; In ogni caso Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa" La causa veniva assegnata alla Dott.ssa (...) ed all'udienza del 23 Marzo 2016 nessuno si costituiva per la convenuta, di cui veniva pertanto dichiarata la contumacia. Assegnati i termini ex art. 183 VI comma c.p.c. e depositate le relative memorie, la Dott.ssa (...), a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 14 Dicembre 2016, ammetteva l'interrogatorio formale della convenuta, riservava all'esito ogni valutazione sull'ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale ed avvertendo la parte convenuta che in caso di mancata presenza per rendere l'interrogatorio formale, il Giudice avrebbe potuto ritenere come ammessi i fatti dedotti e all'uopo rinviava all'udienza del 27 Settembre 2017. Successivamente, a causa del trasferimento della Dott.ssa (...), la causa veniva riassegnata al Dott. (...) e l'udienza differita d'ufficio al 04 Ottobre 2017. A tale udienza nessuno compariva per la convenuta e, pur essendo stata regolarmente notificata l'ordinanza con la quale era stato disposto l'interrogatorio formale, il Giudice ritenuto che la convenuta avrebbe potuto non essere comparsa per motivi accidentali, disponeva la rinnovazione della notifica e rinviava la causa all'udienza del 15 Novembre 2017. Neppure in tale occasione, nonostante l'avvenuta rinotifica, alcuno compariva per la convenuta, per il che il Giudice rinviava ulteriormente la causa al 29 Novembre 2017 per consentire il deposito di documentazione idonea a dimostrare la correttezza dell'indirizzi utilizzati per la notificazione dell'ordinanza. Depositati visura camerale della convenuta e certificato di residenza del socio accomandatario e dimostrata quindi la correttezza delle notifiche in precedenza effettuate, il Giudice riteneva la causa matura per la decisione e rinviava pertanto al 17 Gennaio 2018 per la precisazione delle conclusioni. Effettuato tale ultimo incombente la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione di termini ex art. 190 c.p.c. Le domande attoree sono fondate e meriato accoglimento La mancata presenza del signor (...) per rendere l'interrogatorio formale, unitamente alla documentazione versata in atti consente di ritenere provata la fondatezza delle domande attoree. Nella proposta di acquisto sottoscritta dal signor (...) (cfr. doc. n. 2) compilata dallo stesso Signor (...), veniva specificato come l'immobile oggetto della proposta dovesse essere conforme alla normativa edilizia e urbanistica vigente. Accettata la proposta da parte dei proprietari, il signor (...) provvedeva a redigere il contratto preliminare ed a richiedere la corresponsione delle provvigioni e, solo in epoca successiva, il signor (...) accertava che l'immobile presentava numerose difformità edilizie. I promittenti venditori ammettevano la circostanza ed in virtù di ciò raggiungevano un accordo con il signor (...) avente ad oggetto la restituzione di quanto percepito a titolo di caparra (cfr. doc. n. 12). Più precisamente le difformità presenti nell'immobile riguardavano l'altezza del seminterrato, più alto del consentito, la diversa forma e posizionamento della scala esterna di accesso al piano rialzato, la diversa forma e posizionamento della scala interna di collegamento tra il piano terra ed il piano rialzato, le dimensioni e collocazioni dei vani finestre del piano rialzato (prospetto est ed ovest), la distribuzione interna dei locali del piano rialzato, il posizionamento della basculante per accesso carraio al piano seminterrato. Per quanto concerne invece il pagamento delle provvigioni in favore dell'Immobiliare (...), l'avvenuto pagamento deve considerarsi incontrovertibilmente dimostrato dalla fattura prodotta sub doc. n. 4 e dalla mancata comparizione del signor (...) (socio accomandatario di Immobiliare (...)) chiamato a rendere interrogatorio formale proprio in merito all'avvenuto pagamento delle provvigioni richieste ed indicate in fattura). Secondo quanto previsto dall'art. 232 c.p.c. infatti, a fronte del rifiuto (o della mancata comparizione) a rendere interrogatorio formale i fatti dedotti nei relativi capitoli di prova possono ritenersi ammessi e quindi definitivamente provati. Riepilogando, il signor (...) ha dimostrato: 1) di aver espressamente indicato ad Immobiliare (...) che intendeva acquistare un immobile privo di difformità edilizie 2) di aver scoperto, solo successivamente alla sottoscrizione del contratto preliminare, che l'immobile presentava in realtà numerose difformità edilizie 3) di non essere stato edotto dall'Immobiliare (...) di tali difformità 4) di aver corrisposto all'Immobiliare (...) 7.800,00 Euro a titolo di provvigioni La responsabilità della Immobiliare (...) per la mancata conclusione del contratto preliminare è di tutta evidenza in quanto la stessa, prima di proporre l'affare, avrebbe potuto e dovuto accertare la regolarità dell'immobile tale da garantire il trasferimento; infatti l'art. 1759 c.c. impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare che possono influire sulla conclusione dello stesso e sul punto la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha avuto modo di chiarire gli obblighi del mediatore e deve ormai ritenersi consolidato, come confermato dalla sentenza 18140/2015 della Suprema Corte, l'orientamento "secondo cui ... il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell'adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica al fine di individuare circostanze rilevanti circa la conclusione dell'affare a lui non note, è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l'obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Ne consegue che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l'ordinaria diligenza professionale, e' legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l'effetto, dal cliente (conformi Cass. 16623/2010; Cass. 16009/2003, Cass. 5107/1999; Cass. 5777/2006; Cass. 6389/2001 e Cass. 6714/2001; Cass. 8374/2009). Altre pronunce hanno poi ribadito che se è pur vero che il mediatore, in mancanza di uno specifico incarico in tal senso, non è tenuto ad effettuare indagini tecnico giuridiche, egli è comunque tenuto "a comunicare quelle circostanze che emergano o siano desumibili dagli atti messi a sua disposizione o di cui in qualsiasi modo abbia avuto contezza (ad esempio irregolarità urbanistica conoscibile dal raffronto dello stato dei luoghi con la planimetria consegnatagli dal proprietario)" (Trib. Perugia 27.04.2015, n. 806; Trib. Genova 22.10.2013, n. 3105). Per quanto riguarda poi ancor più da vicino il caso di specie la Suprema Corte con sentenza 16623/2010, sempre in applicazione dei principi sopra espressi ha statuito che "la mancata informazione del promissario acquirente circa l'esistenza di una irregolarità urbanistica non ancora sanata relativa all'immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi, legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione" e di conseguenza legittima la richiesta di restituzione laddove la difformità sia stata accertata successivamente alla corresponsione della provvigione. Nulla di tutto questo è stato fatto ed il preliminare sottoscritto tra le parti è nullo per impossibilità dell'oggetto. Alla luce di tali principi giurisprudenziali e considerato quanto esposto in premessa e nell'atto introduttivo del presente giudizio, l'inadempimento ai propri obblighi professionali e conseguentemente la responsabilità dell'Immobiliare (...) è evidente. L'odierna convenuta avrebbe dovuto, da un lato, segnalare al signor (...) quanto risultante da raffronto tra lo stato dei luoghi e le schede catastali e, dall'altro, astenersi dal presentare come un pregio l'elevata altezza del piano terra (circostanza questa sulla quale sono stati articolati specifici capitoli di prova), se non dopo averne accertata la regolarità. Qualunque mediatore non può non sapere che l'altezza dei locali adibiti a box o cantina/deposito hanno solitamente un'altezza che non supera i 2,50 mt, per il che prima di affermare che il piano terra dell'immobile in questione avrebbe potuto essere utilizzato a fini abitativi, l'Immobiliare (...) avrebbe dovuto verificare la circostanza e soprattutto verificare se i locali risultavano conformi o quantomeno astenersi dall'esprimere valutazioni in proposito. Se si considera poi che, sin dai primi contatti il signor (...) aveva specificato che era interessato ad acquistare l'immobile solo se fosse stato conforme alla normativa urbanistica (circostanza questa che risulta documentalmente provata essendo stata specificata nella proposta di acquisto di cui al doc. n.2), l'inadempimento dell'Immobiliare (...) è sicuramente di non scarsa importanza e quindi tale da giustificare la risoluzione del contratto di mediazione intercorso con l'odierno attore, con conseguente obbligo in capo al mediatore di restituire la provvigione percepita. Ulteriore circostanza che motiva la richiesta di restituzione della provvigione corrisposta dal signor (...) è che proprio le parti, ossia il signor (...) e l'Immobiliare (...), avevano pattuito che nulla il primo avrebbe dovuto versare alla seconda per l'incarico di mediazione conferito. La veridicità di tale affermazione risulta documentalmente provata. Se si esamina infatti la proposta di acquisto sottoscritta dal signor (...) su modulo predisposto e compilato dall'Immobiliare (...) (cfr. doc. n. 2) ci si avvede che nel riquadro denominato incarico di mediazione, risulta sì conferito ed accettato l'incarico di mediazione in favore dell'Immobiliare (...), ma risultano depennati gli spazi relativi all'indicazione dell'importo che il proponente avrebbe dovuto versare a titolo di provvigione. La circostanza, che a prima vista potrebbe apparire strana, in realtà on lo è poi così tanto e trova giustificazione anche nel fatto che il signor (...) aveva conferito incarico all'odierna convenuta per la vendita di un suo immobile e pertanto l'Immobiliare (...) avrebbe già percepito un compenso per tale ulteriore vendita e che risulta documentalmente provata (cfr. doc. 10). Nulla pertanto avrebbe dovuto essere versato dal signor (...), per il che l'Immobiliare (...) ha indebitamente percepito l'importo di Euro7.800,00 e dovrà pertanto procedere alla restituzione. Del resto l'art. 40, secondo comma della L. n. 47 del 1985 dispone che "Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria" e la nullità comminata dalla norma in questione riguarda non solo gli atti definitivi ma anche i contratti preliminari come ha avuto modo di chiarire la Suprema Corte con sentenza 23591/2013 nella quale si conferma che "Il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo per la comminatoria di cui all'art. 40, secondo comma, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che, sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa". In virtù di ciò, e considerato che per orientamento giurisprudenziale costante il mediatore non ha diritto a percepire la provvigione in tutti i casi in cui il contratto stipulato tra venditore ed acquirente sia invalido, legittima è la richiesta del signor (...) di ottenere la restituzione della provvigione corrisposta. Le spese di lite devono esser poste a carico della convenuta soccombente e vengono liquidate come in dispositivo in base a quanto previsto dal D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) Dichiara la risoluzione del contratto di mediazione stipulato tra il signor (...) e l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...) per il grave inadempimento di quest'ultima alle obbligazioni derivanti dal contratto concluso e per l'effetto condanna l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., a restituire al signor (...) la provvigione pagata da quest'ultimo, pari ad Euro 7.800,00, oltre interessi legali dal 10.10.2013 2) condanna l'Immobiliare (...) S.a.s. di (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., a pagare al signor (...) le spese di lite che liquida in Euro 1.800,00, oltre il 15% per spese forfetarie nonché oneri contributivi e fiscali come per legge. Così deciso in Lecco, il 13 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2019.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCO Sezione II - Giudice Onorario avv. Guido Luca Massimiliano Lomacci ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1745/2015 promossa da: (...) SRL (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. AO.GI. e MO.RA. ((...)) Indirizzo Telematico; con elezione di domicilio in Indirizzo Telematico, presso il difensore avv. AO.GI. - ATTORE - OPPONENTE contro CONDOMINIO (...) (C.F. (...) ) con il patrocinio degli avv. LE.CL., con elezione di domicilio in VIA (...) 23822 BELLANO presso e nello studio dell'avv. LE.CL. - CONVENUTO OPPOSTO - RAGIONI DELLA DECISIONE Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo emesso il 23 febbraio 2015 e notificato alla PEC/in Cancelleria in data 02.03.2015 - munito di formula esecutiva in data 18.03.2015 e ritualmente notificato il 29.05.2015 a mezzo PEC (All. A), la Società (...) S.r.l., nella persona del suo Rappresentante Legale Signora (...), ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo nr. 242/2015, R.G. 277/2015, emesso dal Tribunale di Lecco, con cui era stata condannata a pagare in favore dell'odierna convenuta opposta la somma complessiva di Euro =11.305,12= e gli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 dal dovuto alla data dell'effettivo saldo, nonché alla rifusione delle spese, competenze ed onorari del procedimento monitorio complessivamente liquidati in Euro = 685,50 = oltre al 15% spese generali, IVA e Cpa, relativamente al mancato pagamento delle spese condominiali relative al saldo di gestione 2013/2014 e quali spese condominiali al preventivo di gestione 2014-2015. L'opponente chiedeva: "In via preliminare: sospendere la provvisoria esecutorietà del decreto opposto essendo lo stesso emesso in assenza dei presupposti di legge e comunque per essere l'opposizione fondata su prova scritta ed alla luce dei gravi motivi di cui in premessa. Nel merito: revocare il decreto opposto in quanto illegittimo oltre che infondato in fatto ed in diritto nonché sul quantum. Previa eventuale declaratoria di nullità/illegittimità/inesistenza della delibera assembleare 01.09.2014 e di tutte quelle precedenti adottate in mancanza dei requisiti formali di legge, determinare l'importo effettivamente dovuto da (...), anche a mezzo di eventuale CTU. Col favore delle spese. Fatta salva ogni ulteriore istanza istruttoria ex art. 183 c.p.c., anche alla luce del tenore delle avverse argomentazioni". La causa, iscritta il 03.07.2015 al ruolo generale n. 1745/2015, veniva assegnata per la trattazione al Giudice Dott.ssa A.Cu., il quale differiva la prima udienza alla data del 16.12.2015. Si costituiva nell'emarginato giudizio il Condominio (...), nella persona del suo Amministratore pro tempore Signor (...), con comparsa di costituzione e risposta del 28.10.2018 così concludendo: "Voglia l'Ill.mo Tribunale di Lecco, contrariis rejectis: In via preliminare di rito: Accertato che il ricorso per decreto ingiuntivo promosso dal Condominio (...) è suffragato dalla documentazione richiesta ai sensi del combinato disposto degli artt. 633 c.p.c. e 63 Disp. Att. c.c., confermare la piena validità ed efficacia del decreto ingiuntivo n. 242/2015, R.G. 277/2015 emesso dal Tribunale di Lecco in data 02.03.2015 - munito di formula esecutiva in data 18.03.2015 e, per l'effetto, confermare la provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo opposto, ai sensi dell'art. 63 disp. Att. c.c.. Confermata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo nr. 242/2015, sospendere il giudizio di opposizione e rinviare le parti alla mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 28 del 2010. In via principale e di merito: Previo ogni opportuno accertamento, ritenuto valido ed efficace il decreto ingiuntivo nr. 242/2015, R.G. 277/2015 emesso dal Tribunale di Lecco in data 02.03.2015 - munito di formula esecutiva in data 18.03.2015, confermare lo stesso in ogni sua parte, rigettare l'opposizione, respingendo tutte le domande ex adverso proposte in quanto illegittime ed infondate in fatto e in diritto; In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite e relativi accessori interamente rifusi come per legge. In via istruttoria: Si formula sin d'ora opposizione ai mezzi istruttori dedotti dall'opponente, in particolare alla eventuale ed ammessa CTU in quanto l'importo delle spese non può essere oggetto di prova in questo procedimento. Con ogni più ampia riserva di dedurre e produrre nei modi e nei termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c.". All'udienza del 16.12.2015 il Giudice rigettava l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ed assegnava alla parte opponente termine per ilo deposito della domanda di mediazione e rinviava la causa al 20.04.2016. Alla successiva udienza, depositato verbale negativo di mediazione, il Giudice concedeva termini perentori ex art. 183 c.6 c.p.c. e rinviava la causa al 18.01.2017 per l'ammissione dei mezzi di prova. All'udienza del 18.07.2017, dopo i rinvii d'ufficio e la sostituzione definitiva con il Giudice Onorario avv. G.Lo., il Giudice non ammetteva nessun mezzo di prova e, ritenuto opportuno verificare la possibilità di raggiungere un accordo transattivo, formulava ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c. la seguente proposta di transazione: "Pagamento da parte della società (...) S.r.l. della somma di Euro 10.000,00 spese legali compensate". Sulla richiesta dei difensori di valutare la proposta formulata il Giudice rinviava la causa all'udienza del 18.09.2017 e successivamente d'ufficio al 23.10.17 disponendo la comparizione delle parti ex art. 185 c.p.c. All'udienza del 23.10.2017 il Giudice dato atto del mancato accordo transattivo, dichiarava chiusa la fase istruttoria e rinviava la causa, per precisazione delle conclusioni, all'udienza del 10.01.2018 nella quale le parti precisavano come da rito le conclusioni riportandosi ai propri scritti difensivi e, conseguentemente, il Giudice tratteneva la causa in decisione concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e della memorie di replica. L'opposizione è infondata e deve essere rigettata. Agli atti risulta che durante la assemblea condominiale del 5 giugno 2015 veniva illustrata ai condomini la grave situazione economica ed amministrativa lasciata dal vecchio Amministratore, il quale non aveva consegnato tutta la documentazione relativa alla gestione condominiale, oltre che portare a conoscenza del Condominio l'atto di precetto notificato dalla Società I. di Euro 12.718,40. Assemblea che, al contrario di quanto affermato in atto di citazione di controparte (a pag. 5 si legge: "si usa il condizionale perché anche di questa assemblea l'opponente non ha ricevuto notizia alcuna, se non in via informale - a cose fatte- da altri condomini") era stata preceduta da regolare convocazione condominiale, tant'è che il legale rappresentante Sig.ra (...) delegava, per tale assemblea, il Sig. (...) (Doc. 3 Comparsa di costituzione). Successivamente, in data 3 luglio 2015, veniva convocata un'ulteriore assemblea straordinaria ove il nuovo Amministratore illustrava la situazione economica debitoria pari ad Euro 44.528,90 per debiti ai fornitori ed Euro 94.393,00 quale rate condominiali scadute e non ancora saldate. In quest'ultima voce rientrava sia il decreto ingiuntivo contro la Sig.ra (...) sia il decreto ingiuntivo contro l'odierno attore di Euro 11.305,12 oltre ad altri condomini morosi (Doc. 4 Comparsa di costituzione). Senza entrare nel merito di quanto accaduto negl'anni precedenti al 2011, anche se a saldo 2011/2012 l'odierna opponente era a debito di Euro 4.444,58, è opportuno analizzare quanto contestato dalla Società (...) Srl in atto di citazione con riferimento all'assemblea del 01.09.2014 e di conseguenza al decreto ingiuntivo emesso in base alla stessa. Nel merito della opposizione si deve rilevare che: 1) Sulla lamentata mancanza di alcuna convocazione ed inoltro dei bilanci consuntivi e/o preventivi e dei relativi riparti: risulta agli atti che l'opponente abbia ricevuto regolare convocazione di assemblea ordinaria del 01.09.2015 (a mani della Sig.ra (...), dipendente della ditta "(...)") con copia del conto consuntivo 2012/2013 più riparto, consuntivo 2013/2014 più riparto, preventivo 2014/2015 più riparto prospetto rate es. 2014/2015 (Doc. 5 Comparsa di costituzione). (...) Srl era quindi venuta a conoscenza delle proprie spese condominiali ed avrebbe potuto, in sede assembleare, lagnarsi della propria situazione debitoria ma, all'assemblea del 01.09.2014, risultava assente e quindi il consuntivo 2012/2013- 2013/2014 ed il preventivo 2014/2015 venivano regolarmente approvati a maggioranza (Doc. 6 Comparsa di costituzione). 2) Sulla mancata missiva di messa in mora nel ricorso monitorio: L'opponente adduce di non aver ricevuto missiva alcuna relativa al proprio debito ma tale affermazione è in netto contrasto con la regolare convocazione dell'assemblea alla quale erano allegati i relativi riparti e scadenze dei pagamenti. Nessuna norma invece prevede che per richiedere il decreto ingiuntivo per spese condominiali debba preventivamente farsi luogo a messa in mora del condomino inadempiente. Vero è anche il fatto che la società G. non ha mai avuto intenzione di pagare nulla al condominio neppure quantto proposto dal Giudiuce a norma dell'art. 185 c.p.c. (Euro 10.000,00) 3) Sulla contestazione dell'importo relativo alle spese condominiali: Cass. Civ., sez. II, 8 agosto 2000 n. 10427: "L'amministratore del condominio può promuovere il procedimento monitorio per la riscossione degli oneri condominiali, e l'eventuale opposizione da parte del condomino ingiunto potrà riguardare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell'ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare, ma non può estendersi alla nullità o annullabilità della delibera avente ad oggetto l'approvazione delle spese condominiali, che dovranno invece essere fatte valere in via separata con l'impugnazione di cui all'art. 1137 c.c.". Consegue che il condomino che intenda tutelarsi avverso la delibera de quo, quanto agli importi delle spese indicati nei conti e le relative partizioni, la deliberazione di approvazione degli stessi, vincolante anche per gli assenti, avrebbe l'onere di attivazione di un'autonoma impugnazione ex art. 1137 c.c. innanzi all'autorità giudiziaria, in ipotesi accompagnata dalla richiesta di sospensione della stessa ex art. 1137, comma 2 c.c., iniziativa che gli garantirebbe appieno un'auspicata difesa processuale. Passando alla deliberazioni dell'assemblea dei condomini, che in ipotesi siano poste a base di un decreto ingiuntivo ex art. 63 dis. att. c.c., in giurisprudenza si è soliti affermare che: a) se approvano un piano di riparto, hanno carattere dichiarativo, non già costitutivo, del diritto di credito dei condomini ed assurgono a vero e proprio titolo di credito del condominio; b) hanno quale unico rimedio impugnatorio il procedimento ex art. 1137 c.c., e nessun altro. In proposito, leggasi la Cass., sez. un., n. 4421/2007, cit.: "La delibera di approvazione del riparto delle spese non è costitutiva del diritto di credito del condomino ma solo dichiarativa di esso"; "Le deliberazioni condominiali sono soggette ad impugnativa ai sensi del secondo comma dell'art. 1137 c.c. e tuttavia, per espressa previsione della medesima norma, restano non di meno vincolanti per i singoli condomini, nonostante l'esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la sospensione dell'efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per sé, prova idonea, ai fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell'esistenza di tale credito, sì da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d'opposizione che quest'ultimo proponga contro tale decreto" (conf., ex multis, Cass. 18 febbraio 2003 n. 2387). Nel caso in esame il condomino (...) Srl allega di essere venuto a conoscenza della deliberazione in questione soltanto con la notifica del decreto ingiuntivo e che manca la prova della comunicazione da parte dell'Amministratore del verbale dell'Assemblea ordinaria del 01.09.2014. Poiché la norma ex art. 1137 c.c. non prescrive alcuna forma per la comunicazione, idonea per far decorrere il predetto termine per l'impugnazione, si deve però rilevare che (...) Srl non ha impugnato, separatamente né in questo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la deliberazione dell'assemblea del 01.09.2015 (sulla necessità di una espressa impugnazione ai sensi dell'art. 1137 c.c. per far valere la nullità/annullabilità delle deliberazioni si veda Cass. N. 10427/2000). Come correttamente osservato dalla opposta le doglianze ridondantemente sviluppate da parte attrice opponente si profilano meramente dilatorie, pretestuose e totalmente infondate. A dimostrazione della fondatezza del decreto ingiuntivo opposto, si respinge qualsiasi addebito in ordine agli asseriti vizi riscontrati dall'opponente. Analizzando i vizi segnalati da controparte pare di limpida evidenza che le contestazioni sollevate debbano considerarsi generiche e inconsistenti. Per tali motivi, atteso che il credito vantato dal Condominio (...) risulta certo, liquido ed esigibile perché documentato in modo inoppugnabile dal verbale d'approvazione del rendiconto, costituendo prova scritta della volontà assembleare, idoneo a costituire titolo di credito del condominio e, di per sé, prova l'esistenza di tale credito e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo ma anche la provvisoria esecutorietà. Oltretutto l'opposizione non è fondata su prova scritta o, comunque, di pronta soluzione, specie valutate le istanze istruttorie formulate da controparte nell'atto introduttivo del giudizio e considerato, altresì, il comportamento della debitrice che mira esclusivamente a sottrarsi alle sue obbligazioni, si insiste per il rigetto delle domande avversarie. Alla luce di quanto sopra l'opposizione del decreto ingiuntivo deve essere rigettata perché illegittima con condanna dell'opponente al pagamento delle spese di giudizio della opposizione che si liquidano come in dispositivo P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: Rigetta l'opposizione respingendo tutte le domande ex adverso proposte in quanto illegittime ed infondate in fatto e in diritto per i motivi sopraccitati; Confermare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo nr. 242/2015, R.G. 277/2015 emesso dal Tribunale di Lecco in data 02.03.2015 - munito di formula esecutiva in data 18.03.2015; Condanna l'Opponente a pagare alla parte opposta le spese del giudizio di opposizione che liquida in Euro 4,250,00 oltre 15% per spese a forfait, nonché oneri contributivi e fiscali come per legge. Così deciso in Lecco il 13 febbraio 2019. Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2019.

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