Sentenze recenti Tribunale Lucca

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LUCCA SEZIONE CRISI D'IMPRESA E DELL'INSOLVENZA Il Tribunale di Lucca, sezione civile, composto dai Magistrati: - Giulio Lino Maria Giuntoli - Presidente - Carmine Capozzi - Giudice - Giacomo Lucente - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA letta istanza di apertura della procedura liquidazione controllata N.89-1/ 2023, proposta (...) FATTO E DIRITTO rilevato che il debitore, pur non costituendosi in giudizio, ha partecipato alle udienze del 18/7/2023, 12/9/2023, 3/10/2023 (in queste ultime assistito da difensore), nulla eccependo in ordine al credito azionato ma soltanto chiedendo termine per una sistemazione conciliativa con la controparte (tentativi che non hanno sortito effetto, come risulta dal verbale dell'odierna udienza); rilevato che lo stato di insolvenza emerge dalla persistenza dell'esposizione debitoria documentata in atti (v. titoli, anche giudiziali, non opposti, depositati dalla ricorrente; verbali negativi di pignoramento; informativa AER e INPS); verificata l'esistenza dei presupposti di cui agli artt.268, co.2 e 269 CCII; considerato, in particolare, che il credito della ricorrente ammonta ad Euro 16783,12; che l'informativa AER evidenzia debiti iscritti a ruolo per Euro 340.427,78, di cui soltanto Euro 288.359,71 oggetto di sospensione per effetto della richiesta di adesione alla c.d. rottamazione quater; che l'informativa INPS mostra debiti, oltre a quelli già passati all'agente della riscossione, per Euro 18.055,00; che, in conclusione, è superata la soglia di Euro 50.000,00 prevista dall'art.268, co.2 CCI; considerato ancora che un'istanza di fallimento proposta nel 2019 è stata respinta dal tribunale di Lucca sul presupposto che il resistente fosse un piccolo imprenditore (copia del provvedimento è prodotta dalla ricorrente); che da allora, alla luce dell'espletata istruttoria, nulla sembra essere cambiato, se non un aggravamento del debito fiscale; che pertanto devono reputarsi sussistenti le condizioni di cui all'art.2, co.1 lett.d) per la definizione di impresa minore; P.Q.M. Visti gli artt.49, 65, 270 CCII, - dichiara l'apertura della procedura di liquic azione controllata di (...) - nomina giudice delegato il dr. Carmine Capozzi; - nomina liquidatore il dott. M.N. dell'ODCEC di Lucca; - ordina al debitore di depositare entro sette giorni i bilanci, i libri e scritture contabili e fiscali obbligatori e l'elenco dei creditori; - assegna ai terzi che vantano diritti su beni del debitore e ai creditori risultanti dall'elenco depositato termine di sessanta giorni, con decorrenza dalla notificazione della sentenza di cui all'art.270, co.4, e 272, co.1 CCII, entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, la domanda di restituzione, di rivendicazione e di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell'art.201 CCII; - ordina la consegna dei beni mobili e il rilascio dei beni immobili facenti parte del patrimonio di liquidazione, fatta eccezione per l'(eventuale) immobile adibito ad abitazione del debitore e della sua famiglia, che conserverà tale destinazione d'uso sino alla sua liquidazione; - dispone l'inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale di Lucca, oltre che la sua iscrizione presso il registro delle imprese; - ordina la trascrizione della presente sentenza presso gli uffici competenti, ove presenti beni mobili registrati o immobili; - dispone che il liquidatore provveda ad aprire un conto corrente bancario, intestato alla procedura e che la gestione dei mandati di pagamento avvenga, sino all'attuazione dell'art. 131 CCII, con le modalità telematiche di cui alla circolare del Presidente del Tribunale di Lucca del 16.6.2020 e successivamente con le modalità di cui all'art. 131, co. 4 CCII; - autorizza il liquidatore, con le modalità di cui agli artt.155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c.p.c., ad accedere alle banche dati e ad acquisire i documenti di cui all'art. 49, co. 3 lett. f), nn. da 1 a 5; - dispone che il liquidatore, decorsi tre anni dall'apertura della procedura, faccia pervenire, ai fini dell'art.282 CCII, una relazione sull'assenza delle condizioni ostative all'esdebitazione di cui agli artt. 280 e 282, co. 2 CCII. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della sentenza alle parti e al liquidatore nominato. Così deciso in Lucca il 3 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente all'esito di trattazione cartolare SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 170/2022 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. ME.PA. ricorrente e MIUR - MINISTERO DELL'ISTRUZIONE DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA con il patrocinio della d.ssa (...) Resistente All'esito di trattazione cartolare con deposito di note scritte il ricorso è stato deciso con sentenza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La ricorrente rilevava che in sede di compilazione della domanda di accesso alla graduatoria relativa agli istituti scolastici, ha rilasciato dichiarazione ai sensi di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 decembre 2000, n. 445 avente ad oggetto la circostanza "di non avere riportato condanne penali (anche se sono stati concessi amnistia, indulto, condono o perdono giudiziale) in Italia e/o all'estero. Tale dichiarazione veniva resa sulla scorta delle risultanze del certificato del casellario giudiziale estratto dall'attuale ricorrente presso il Ministero della Giustizia ai sensi e per gli effetti dell'art. 24 D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 in data 19.05.2020, nel quale si attestava che nella Banca dati del Casellario giudiziale risulta: NULLA. In data 8.9.21 la ricorrente sottoscriveva contratto individuale di lavoro a tempo determinato, in qualità di docente scuola primaria, per n. 24 ore settimanali di lezione, con decorrenza dall'8/09/2021 e fino al 30/06/2022; con Provv. del 23 dicembre 2021, veniva comunicato alla ricorrente la risoluzione anticipate del contratto di lavoro in quanto, da un controllo effettuato al casellario giudiziario circa le dichiarazioni rilasciate nella domanda di inserimento nelle GPS, le stesse sarebbero risultate non veritiere. In particolare la ricorrente non aveva dichiarato di aver riportato due condanne di applicazione della pena su richiesta delle parti, la prima emessa dal GIP presso il Tribunale di Lucca in data 7.06.2012 irrevocabile in data 13.07.2012 - per la violazione dell'art. 2 comma 1 bis L. 11 novembre 1983, n. 638 (multa di Euro 760,00 - pena estinta mediante l'integrale pagamento della somma in data 3.07.2013); la seconda emessa dal GIP Tribunale di Grosseto in data 18.04.2016, irrevocabile in data 6.05.2016 per la violazione dell'art. 223 e 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione computata la diminuente per il rito con il beneficio della sospensione condizionale della pena e non menzione). Rilevava che le suddette condanne non risultavano dal casellario giudiziale da lui richiesto atteso che l'art. 28 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 così come modificato dal D.Lgs. n. 122 del 2018 (riforma Orlando del Casellario Giudiziale in vigore dal 10 novembre 2019) al comma VII prevede: "L'interessato che a norma degli art. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel Casellario Giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui al comma VII, nonché di cui all'art. 24 comma I". L'art. 24 comma I D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, indica espressamente alla lettera e) i provvedimenti previsti dall'articolo 445, del codice di procedura penale, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e ai decreti penali. Il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso; rilevava che il docente non si era limitato ad omettere di dichiarare precedenti penali a suo carico ma aveva dichiarato di non averne. Il Ministero, sottolineando come la decadenza è conseguenza automatica rispetto all'accertamento delle dichiarazioni non veritiere, rilevava ancora come la suddetta decadenza costituisce una sanzione discendente dall'accertamento, anche a distanza di tanti anni, di condotte gravemente scorrette o addirittura fraudolente, che hanno consentito o favorito l'attestazione documentale di requisiti inesistenti e, con ciò, l'instaurazione, ab origine insanabilmente viziata, del rapporto di pubblico impiego. Il ricorso è fondato e va accolto. Su questione analoga questo Giudice si è già pronunciato nella causa avente rg 945/21 all'esito di ricorso in via d'urgenza pertanto possono richiamarsi le relative argomentazioni che, pur riguardando un caso non pienamente sovrapponibile a quello oggetto dell'odierno vaglio giudiziario (in quanto nella vicenda richiamata il docente ometteva di dichiarare i precedenti, laddove qui il ricorrente dichiara di non avere precedenti penali), possono tuttavia pienamente valere anche nella vicenda del ricorrente. "Si osserva che l'esclusione dalle graduatorie dell'odierno ricorrente e la risoluzione del relativo contratto di lavoro a tempo determinato di cui trattasi sono state poste in essere a seguito di un controllo effettuato al casellario giudiziale del ricorrente, dal quale sarebbe emersa la non veridicità delle dichiarazioni dallo stesso rilasciata in sede di domanda di inserimento nelle GPS, o meglio di omissione di dichiarazione. Più in particolare, dal controllo emergeva che il docente OMISSIS aveva riportato una condanna penale, risalente a fatti commessi nell'anno 2009, precisamente una condanna penale ad Euro 1.440,00 di ammenda, condanna questa, secondo la tesi di parte ricorrente, non dichiarata nella domanda di ammissione alle G.P.S. proprio in forza della natura della condanna penale riportata, e quindi in applicazione del disposto di cui all'art. 28, comma 7, del D.P.R. n. 313 del 2012, così come modificato dall'art. 4, comma 1 lett. G) del D.Lgs. n. 122 del 2018 (...); in aggiunta il ricorrente rileva come alcun beneficio aveva tratto dalla mancata indicazione della condanna riportata. L'art. 28 del DPR 313/02 prevede espressamente che "l'interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto ad indicare la presenza di quelli di cui al comma 7 nonché di cui all'articolo 24 comma 1", il comma 7 del medesimo articolo indica tra le fattispecie non iscritte nel casellario giudiziale richiesto a tali fini tra le altre "le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e alle condanne per reati estinti a norma dell'articolo 167, primo comma, del codice penale". Ebbene a fronte di una tale chiara previsione da parte di una legge di rango primario (di rango subordinato alla Costituzione e alle leggi costituzionali) non possono certo farsi ricadere sui singoli cittadini le conseguenze derivanti dal sempre più frequente mancato coordinamento tra le norme. L'art. 7 dell'O.M. n. 60 del 1920 relativo alla "Istanza di partecipazione" prevede al comma 4 che "Nell'istanza di partecipazione ogni aspirante dichiara: a) il possesso dei requisiti generali e l'assenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 6; b) di essere fisicamente idoneo allo svolgimento delle funzioni proprie del docente o educativo per i distinti ruoli; c) le eventuali condanne penali riportate (anche se sono stati concessi amnistia, indulto, condono o perdono giudiziale) e gli eventuali procedimenti penali pendenti, in Italia e/o all'estero. Tale dichiarazione deve essere resa anche se negativa, a pena di esclusione dalla procedura." E' evidente come la suddetta previsione dell'O.M. n. 60 del 1920, che impone e grava sul singolo aspirante di dichiarare anche dati sostanzialmente irrilevanti ed inutili ai fini poi della predisposizione delle graduatorie, atteso che la previsione della dichiarazione di tutte le eventuali condanne penali subite oltre quelle riportate e ricomprese nell'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, non ha alcuna influenza sulla graduatoria predisposta, risulta irragionevole ed illegittima oltre che in contrasto con una norma di legge. D'altra parte la previsione ministeriale, come ribadito, non consente alcun margine di valutazione aldirigente volta ad esempio ad accertare profili di errore scusabile; può ben accadere che l'omissione riguardi fatti avvenuti tempo orsono e che incolpevolmente il dichiarante abbia omesso di indicare, perché magari non costituenti più reato per intervenuta depenalizzazione. Non si ritiene sussistente un pregiudizio di tale gravità in capo all'amministrazione da giustificare viceversa le gravi conseguenze che ricadono sugli aspiranti a fronte di tali omissioni di dichiarazioni imposte solo da una fonte secondaria che supera quanto disposto da norme di rango primario; non può infatti valorizzarsi la peculiarità del settore scolastico, che si occupa della formazione, dell'educazione e della trasmissione dei valori alle nuove generazioni per giustificare tali conseguenze e disparità di trattamento. Ciò vale ancor di più laddove si consideri che la commissione in sé dei suddetti reati non è ostativa all'insegnamento e pertanto non inficia la possibilità per il docente di formare ed educare ed in concreto non comporta alcun beneficio per il ricorrente che sarebbe stato ugualmente inserito nella medesima posizione in graduatoria. Ancora, si rileva come la previsione dell'O.M. n. 60 del 1920, laddove consente la rideterminazione dei punteggi assegnati ai candidati in caso di esito negativo delle dichiarazioni rese anche in ordine ai titoli posseduti, risulta incoerente ed irragionevole proprio in ragione della mancata analoga previsione in caso di omessa dichiarazione di precedenti penali di per sé non ostativi all'accesso alle GPS. La suddetta regolamentazione ministeriale esclude irragionevolmente qualsivoglia valutazione discrezionale del dirigente laddove, accertata l'omessa dichiarazione di pendenze penali non ricomprese tra quelle di cui all'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, è tenuto sic et sempliciter all'esclusione dell'interessato, pur non avendo lo stesso ottenuto alcun beneficio dall'omessa dichiarazione. In tali ipotesi manca, altresì, qualsivoglia lesione dell'interesse degli altri aspiranti così come l'affidamento dell'amministrazione, atteso che l'omissione non comporta benefici per l'interessato e la pa è comunque tenuta alla verifica della veridicità delle dichiarazioni in caso di primo incarico. L'O.M. n. 60 del 1920 si pone in contrasto, come detto, con le norme legislative di rango superiore che disciplinano la materia, nella specie il D.P.R. n. 445 del 2000, D.P.R. n. 313 del 2002 e D.Lgs. n. 122 del 2018, nonché con la consolidata giurisprudenza che si è formata sulle suddette disposizioni. Infatti la Cassazione ha escluso qualsivoglia automatismo, laddove ha ripetutamente affermato che "In occasione dell'accesso al pubblico impiego, la produzione di falsi documentali o di dichiarazioni non veritiere è causa di decadenza, con conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l'instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A; nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell'assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento, ai sensi dell'art. 55-quater, lett. d), del D.Lgs. n. 165 del 2001, in esito al relativo procedimento disciplinare ed a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti." (cfr. Cass. sez. Lav. 18699/19 e succ. 22673/20). Né può ritenersi che la previsione di cui all'art. 7 dell'O.M. n. 60 del 1920 indica un requisito di ammissione ulteriore rispetto a quello previsto dalla legge, che avrebbe ben potuto disporre, limitandosi, viceversa, ad imporre al candidato di dichiarare dati, evidentemente sensibili, per i quali per legge non è tenuto e che non possono ritenersi giustificati in ragione dell'eventuale incarico che andrà a ricoprire; diversamente potrebbe argomentarsi per l'accesso ad altre attività per cui sono richieste informazioni e requisiti più rigorosi, basti pensare alle forze armate o alle dichiarazioni di accesso alla magistratura, per evidenti ragioni non comparabili con quelle sottese all'accesso alle GPS della scuola. Diversamente, ritenendo operativa la suddetta lex specialis si finirebbe per riservare un ingiusto trattamento diseguale e peggiorativo a fronte di situazioni e omissioni irrilevanti; infatti, come innanzi detto, laddove l'aspirante dichiari titoli ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso, non sarà automaticamente escluso, bensì si vedrà rideterminato il punteggio. Viceversa l'aspirante, come nel caso dell'odierno ricorrente, che ha omesso di dichiarare di aver riportato una condanna penale per un reato non ostativo a cui non era obbligato ai sensi dell'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, che pertanto non ha tratto alcun beneficio dalla suddetta omissione, subirà la più grave conseguenza del depennamento e della conseguente risoluzione del contratto di lavoro stipulato. Ebbene, tale disparità di trattamento è assolutamente irrazionale, irragionevole e non giustificata anche alla luce della giurisprudenza richiamata, che comunque esclude qualsivoglia automatismo in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall'aspirante. L'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 prevede che in caso di non veridicità delle dichiarazioni sostitutive presentate alla pa si realizza decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, la norma, pertanto, non ha carattere afflittivo atteso che la decadenza è mero effetto della mancanza dei requisiti dichiarati. Diversamente la previsione dell'O.M. n. 60 del 1920 non individua requisiti la cui mancanza comporta decadenza automatica, sanzionando il solo fatto storico della mancata dichiarazione a prescindere dalle ripercussioni che tale omissione ha; così letta la disposizione ha carattere meramente punitivo ancor di più se si consideri che l'esclusione dalle graduatorie e la conseguente risoluzione del contratto avviene non per mancanza dei requisiti o per aver riportato condanne penali ostative, ma per la semplice omessa dichiarazione di un dato sostanzialmente neutro ai fini della graduatoria. Orbene, il conflitto tra la disciplina di rango primario e l'ordinanza ministeriale, che pare esigere un obbligo dichiarativo di latitudine maggiore agli aspiranti all'inserimento nelle graduatorie deve essere risolto, in piena applicazione del principio di gerarchia delle fonti, in favore della prima, come ampiamente argomentato anche dalle sentenze di merito richiamate dal ricorrente che qui si intendono richiamate (cfr. Trib. Massa, sez. lavoro, ord. del 8.6.2021; Trib. Pisa, sez. lavoro, ord. del 2.8.2021). L'accoglimento di questo motivo di censura è assorbente rispetto alle ulteriori argomentazioni e rilievi sollevati dal ricorrente nei confronti del provvedimento di esclusione e della conseguente risoluzione del contratto di lavoro." Ebbene le suddette motivazioni richiamate sono pienamente valide anche nella vicenda dell'odierna ricorrente atteso che nella fattispecie lo stesso nella sostanza ha omesso di dichiarare precedenti penali, omissione tuttavia pienamente in linea con la previsione legislativa primaria che come detto laddove l'interessato, a norma degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto ad indicare la presenza di quelli di cui al comma 7 nonché di cui all'articolo 24 comma 1", il comma 7 del medesimo articolo indica tra le fattispecie non iscritte nel casellario giudiziale richiesto a tali fini tra le altre "le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e alle condanne per reati estinti a norma dell'articolo167, primo comma, del codice penale. Ciò trova conforto anche nella pronuncia della Cassazione innanzi richiamata nn. 18699/19 e succ. 22673/20, che affronta la questione più specifica di dichiarazioni false e non veritiere. Il ricorso va pertanto accolto; le spese possono compensarsi stante la novità della questione e la presenza di contrasti giurisprudenziali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie il ricorso; - spese compensate. Così deciso in Lucca il 4 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 99/2022 promossa da: (...) S.P.A. (C.F.: (...)) rappresentata dall'avv. Mi.Za., giusta procura speciale ai rogiti del Dr. (...), Notaio in S., in data (...), repertorio (...), con il patrocinio dell'avv. Prof. Pi.IC., dell'avv. Gu.BU. e dell'avv. Ra.ME., tutti del Foro di Milano, nonché dell'avv. Ga.CH. del Foro di Siena e dell'avv. Um.GI. del Foro di Lucca ed elettivamente domiciliata presso quest'ultimo difensore in Lucca, Via (...) - San Concordio, giusta procura allegata al ricorso introduttivo Opponente - ricorrente e (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliato presso il difensore nello studio in Lucca, via (...), giusta procura allegata alla memoria di costituzione Opposto-resistente Oggetto: opposizione a precetto CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I)-La presente causa trae origine dall'emissione della sentenza del Tribunale di Lucca, Sezione Lavoro, Giudice dott.ssa (...), del 18 ottobre 2021, n. 248 che ha definito una causa intentata dall'odierno resistente per far accertare il demansionamento da lui subito e una serie di condotte vessatorie nei suoi confronti e per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, anche da perdita di professionalità e biologico (comprensivo della personalizzazione). Nella motivazione della sentenza si indica che a) è provato il demansionamento e vi è dunque il diritto del sig. (...) ad ottenere il risarcimento del danno per la "dispersione del proprio bagaglio professionale, per il depauperamento dell'immagine nell'ambito lavorativo, per il peggioramento delle relazioni sociali e familiari" (pag. 9 sentenza), per "le irrituali critiche al suo operato e il successivo licenziamento". Osserva il giudice che "Il parametro per giungere alla liquidazione di detto danno non può che essere equitativo" (pag. 10 sentenza). La sentenza emessa all'esito del processo, per quanto d'interesse, "Accerta e dichiara l'intervenuto demansionamento ai danni di (...) e per l'effetto condanna la resistente (...) a risarcire il conseguente danno quantificato in Euro 157.935,85 oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulla somma mensilmente rivalutata" In ragione di tale condanna (...) spa aveva quantificato e pagato la somma complessiva di Euro 171.998,21 di cui: - Euro 157.935,85 a titolo di somma capitale, come liquidata in sentenza; - Euro 2.617,03 a titolo di interessi legali; - Euro 7.314,41 a titolo di rivalutazione monetaria, - Euro 4.130,92 a titolo di spese legali (cfr. doc. 3 ric). II)- Con l'atto di precetto la difesa del (...) ha dato atto che era intervenuto un pagamento da parte della (...) Spa, ma, ritenendo che questa "aveva provveduto a pagare solo parzialmente le somme dovute" in forza della sentenza "omettendo di corrispondere gli interessi moratori maturati dopo la data del deposito del ricorso al Giudice del Lavoro ai sensi dell'art. 1284 IV comma c.c." e che "pertanto residua da pagare a titolo di interessi di mora dalla data del deposito del ricorso al 3011.2021 l'importo di Euro 49.420,42", ha intimato alla (...) spa di pagare quest'ultima somma entro 10 giorni dalla notifica del precetto, oltre alle competenze per la redazione dell'atto di precetto e oltre agli ulteriori interessi sino al saldo. III)- L'opponente contesta il credito di cui sopra, osservando che gli interessi moratori ex art. 1284 IV comma c.c. in questo caso non sono dovuti e contesta, comunque, il calcolo degli interessi ex adverso effettuato, chiedendo in subordine/estremo subordine una minore quantificazione dell'importo degli interessi ex adverso pretesi. IV)- La causa, previo accoglimento dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo oggetto di opposizione (atto di precetto del 3 gennaio 2022, notificato il 13 gennaio 2022), è stata istruita documentalmente e, previo deposito da parte dei difensori di note conclusive, è stata discussa all'odierna udienza L'opposizione è fondata e per ciò meritevole di accoglimento. Si osserva: 1)-nel richiamare quanto sopra sintetizzato e riportato rispetto al giudizio che ha originato la sentenza posta a fondamento del precetto, si osserva che la somma di Euro 157.935,85 si configura come un debito di valore, quantificato in via equitativa e con un valore necessariamente attualizzato al momento della pronuncia giudiziale. La condanna è infatti in considerazione della violazione dal parte di (...) dell'obbligo di assegnare il (...) a mansioni confacenti con la sua qualifica e il suo livello professionale, ciò che -come esplicitato nella sentenza- gli aveva causato un danno non patrimoniale "per la dispersione del proprio bagaglio professionale, per il depauperamento dell'immagine nell'ambito lavorativo, per il peggioramento delle relazioni sociali e familiari, per le irrituali critiche al suo operato e il successivo licenziamento" Non si tratta dunque né di un'obbligazione pecuniaria e neppure di un debito che prima della pronuncia, ed anzi alla data della domanda giudiziale, avesse i caratteri di liquidità ed esigibilità necessari per l'applicazione dell'art. 1284, IV comma, c.c.. La Corte di Cassazione nella sentenza del 7 novembre 2018, n. 28409 ha chiarito che la norma contenuta nel comma IV dell'art. 1284 c.c. si applica alle sole obbligazioni pecuniarie di fonte contrattuale rispetto alle quali "Se le parti non ne hanno determinato la misura..." si applica il saggio d'interesse proprio delle transazioni commerciali. Richiamando la pronuncia suddetta, che questo giudice condivide e fa propria, va infine "considerata proprio la finalità deflattiva perseguita dal Legislatore con l'adozione degli interessi commerciali, aventi saggio assai più elevato degli interessi legali siccome individuati art. 1284 c.c., ex comma 1. Difatti il cenno alla convenzione tra le parti sul punto lumeggia come la voluntas legis sia diretta a colpire l'inadempienza rispetto ad un obbligo liberamente e pattiziamente assunto, anche mediante l'abuso del processo come mezzo per prolungare ai danni del creditore la soddisfazione del suo diritto. Quindi si deve concludere che la norma di cui all'art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali - e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza - applicato a seguito d'avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio": dunque nel nostro caso non vi è spazio per l'applicazione della norma sugli interessi moratori ex art. 1284 comma IV c.c. a latere la considerazione, già svolta, circa il fatto che solo con la sentenza vi è stata la liquidazione del danno, in moneta attuale. Ancora vi è da considerare che in tema di rapporti di lavoro esiste una speciale legislazione giacché anche in punto di retribuzione vi è la norma inderogabile prevista dall'art. 429, comma 3, c.p.c. per la quale il credito di lavoro produce interessi e rivalutazione dalla maturazione del credito, sicché il Giudice in tutti i casi di condanna al pagamento di crediti di lavoro, oltre agli interessi nella misura legale ex art. 1284 c.c., è tenuto a condannare il datore di lavoro al maggior danno derivante al lavoratore dalla diminuzione di valore del suo credito, ossia al pagamento anche della rivalutazione monetaria.. Trattandosi di fattispecie già regolata da norma speciale, anche per questo, non può ritenersi applicabile una disciplina (speciale) riferita alle transazioni commerciali. Le ragioni fin qui esplicitate paiono a questa giudicante dirimenti e idonee a fondare la presente pronuncia giudiziale, non senza sottacere che sembrano comunque da accogliere anche le considerazioni svolte da parte opponente circa la mancata presenza di accordi tra le parti per interessi e (conseguentemente) la mancata previsione ad opera delle parti di qualsivoglia "misura degli interessi", invece richiesta dall'art. 1284,, comma IV c.c. Conclusivamente l'opposizione è fondata e merita accoglimento, non essendo dovuti nel caso gli interessi moratori di cui all'art. 1284 comma IV c.c.. Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in relazione all'attività svolta e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, nonché della limitatezza delle questioni trattate. Vengono quindi applicati i compensi minimi dello scaglione di riferimento e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal D.M. n. 37 del 2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: -accoglie l'opposizione e, per l'effetto, - accerta, riconosce e dichiara che il dott. (...) non ha il diritto di procedere ad esecuzione forzata nei confronti della (...), in virtù né della sentenza del Tribunale di Lucca, dott.ssa (...), del 18 ottobre 2021, n. 248 (R.G. 71/2018), né del successivo atto di precetto notificato in data 13 gennaio 2022, con riferimento all'importo di Euro 49.420,42, richiesto a titolo di interessi moratori ex art. 1284 co. 4 c.c., oltre alle spese legali di Euro 350,00, e per l'effetto, accerta e dichiara l'invalidità dell'atto di precetto oggetto di opposizione e lo priva di qualsiasi efficacia. Condanna altresì il dott. (...) a rimborsare alla (...) spa le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3689,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex art. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott. Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 902/2022 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Gi.PA. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore giusta procura allegata al ricorso introduttivo ricorrente e (...) SRL in persona del legale rappresentante sig. (...) con il patrocinio dell'avv. Ma.RU. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore giusta procura allegata alla memoria difensiva Resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1)-Il ricorrente ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "voglia dichiarare illegittimo e, comunque, annullare il licenziamento per giusta causa comunicato dalla società (...) in data 17/08/2022 e, per l'effetto, condannare ai sensi dell'art. 18, L. n. 300 del 1970, la società (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra dell'odierno ricorrente nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica, ed alla corresponsione di tutto quanto dovutogli a titolo di retribuzioni ed oneri accessori, a far data dell'intervenuto licenziamento sino a quella dell'effettiva reintegrazione nel suo posto di lavoro, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, dichiarando la non interruzione del rapporto di lavoro; Condannare la società convenuta, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al versamento di tutti i contributi essenziali e previdenziali dalla data del licenziamento sino a quella dell'effettiva reintegrazione; In via subordinata, in caso di applicabilità del regime della tutela obbligatoria, condannare ai sensi dell'art. 8 L. n. 604 del 1996, così come novellato dall'art. 2 L. n. 108 del 1990, la società (...) s.r.l. alla riassunzione del sig. (...) nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica entro il termine di tre giorni, o in alternativa al risarcimento del danno da quantificarsi nella misura tra un minino di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. Con vittoria di spese ed onorari di causa". 2)- La parte resistente si è costituita chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: " in tesi: accertata e dichiarata la sussistenza dei fatti posti alla base del licenziamento e, dunque, la sussistenza della giusta causa, respingere integralmente il ricorso proposto dal Sig. (...), dichiarando e confermando la risoluzione del rapporto di lavoro alla data di ricevimento della comunicazione di licenziamento da parte del medesimo (24 agosto 2022) o alla diversa data di giustizia; per l'effetto: respingere ogni richiesta di reintegrazione e/o di risarcimento e/o di indennizzo, così come proposte dal lavoratore; Con vittoria di spese e compensi professionali di causa". 3) -La causa è stata istruita documentalmente Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte: A) Legittimità del licenziamento La difesa del ricorrente assume che in data 3 agosto 2022 la società (...) srl aveva inviato al sig. (...) - direttore commerciale della società - una lettera di contestazione disciplinare ex art. 7 e ss. L. n. 300 del 1970 con sospensione cautelare dal lavoro, assumendo che il ricorrente aveva richiesto e incassato denaro contante da parte dei clienti della (...) srl, senza nessuna autorizzazione da parte della società, appropriandosi delle somme incassate. Ricevute le osservazioni del dipendente, in data 17 agosto 2022 la società gli comunicava il licenziamento per giusta causa adducendo il venir meno del rapporto fiduciario fra la (...) srl e il dipendente, stante le condotte penalmente rilevanti poste in essere dal sig. (...) (nel caso di specie appropriazione indebita di somme di denaro destinate all'azienda). Il ricorrente l'1 settembre 2022 impugnava il licenziamento contestando gli addebiti a lui mossi ma la società ribadiva la legittimità del licenziamento intimato. Il sig. (...) ritiene che il suo licenziamento sia illegittimo, non rispondendo al vero le contestazioni mosse dalla società, e deduce che quest'ultima era a conoscenza degli incassi da lui effettuati, come dimostravano le ricevute di pagamento su carta intestata della società allegate al ricorso. Il ricorrente ritiene inoltre legittima la trattenuta delle somme da lui operata per sostenere le varie spese di trasferta da lui effettuate per conto della società. La convenuta nella memoria difensiva contesta le deduzioni avversarie sottolineando che: -Il compito di ciascun operatore del commerciale, compreso il Sig. (...), era quello di recarsi presso i potenziali clienti ed ivi svolgere sopralluoghi, che talora assumono la veste di vere e proprie perizie, al fine di procacciare contratti di servizi di disinfestazione per la datrice di lavoro; - I tecnici si recano sul posto e raccolgono l'eventuale ordine (c.d. "ordine di intervento") da parte del cliente e se concludono la vendita del servizio proposto da (...), chiedono un acconto sul lavoro da svolgere. Sempre e solo in caso di sottoscrizione del contratto, è a loro discrezione includere, nella quotazione proposta, la spesa per il sopralluogo. Se, invece, non riescono ad acquisire l'intervento, sono tenuti a richiedere comunque il pagamento di tale spesa, poiché essa, in tal caso, rappresenta solo un costo per l'azienda, costo che deve essere recuperato. Sia l'acconto, che la somma relativa al sopralluogo possono essere riscossi in contanti, ma anche mediante POS, di cui i tecnici sono muniti in occasione della loro visita. Il costo dei sopralluoghi è di regola pari ad Euro 150,00 oltre IVA (dunque Euro 183,00 totali) e può salire nei casi di maggiore complessità dell'ispezione. Gli impiegati del commerciale, quando rientrano dal loro giro di sopralluoghi, sono tenuti a: -recarsi nella stanza degli amministrativi e -comunicare loro gli affari conclusi; -indicare le fatture di acconto da emettere per gli interventi acquisiti, nonché comunicare e consegnare il denaro; - la Società aveva ricevuto mail e telefonate di clienti che confermavano che il sig. (...) aveva trattenuto somme maggiori rispetto al costo base dei sopralluoghi da lui effettuati; - la Società nella lettera di licenziamento (così come in quella di contestazione dell'infrazione) aveva scritto non già che il ricorrente non era autorizzato a riscuotere somme dai clienti, bensì che egli non era autorizzato a riscuoterle per poi trattenerle; - lo stesso ricorrente aveva confermato di aver trattenuto somme di denaro destinate alla datrice di lavoro; - mancava d'altra parte una qualsiasi prova della riconsegna delle somme contestate nelle casse della società; - inoltre la società aveva riscontrato ben 21 ammanchi nell'arco di 3 mesi, ammanchi derivanti da incassi fatti in contanti dal sig. (...) in occasione dei vari sopralluoghi e non versati alla società. Prima di addentrarsi nella disamina circa la legittimità del licenziamento, appare opportuno riportare il contenuto della lettera di contestazione disciplinare, limitatamente alla condotta ascrivibile al ricorrente : "nel corso del Suo lavoro costituito altresì dall'effettuazione di sopralluoghi presso Clienti e/o potenziali Clienti, nonostante non fosse a ciò autorizzato, in occasione dei sopralluoghi su indicati ha richiesto e incassato denaro in contanti e se ne è appropriato, non consegnando alla nostra scrivente società datrice di lavoro le relative su indicate somme, peraltro da lei riscosse senza autorizzazione alcuna." Dalla semplice lettura della contestazione sopra richiamata si evince come il fatto principale, a fronte del quale è stato intimato il licenziamento al ricorrente, consista nell'essersi lo stesso appropriato delle somme incassate per conto della società. Il ricorrente, sia nel ricorso che nella nota autorizzata, non ha negato di aver trattenuto le somme a lui contestate, anzi, ha sottolineato che le somme in questione erano state da lui trattenute per far fronte alle spese di trasferta e che l'azienda era informata di ciò, senza tuttavia provare quest'ultima circostanza. Viceversa, la parte convenuta ha prodotto in giudizio le buste paga del ricorrente all'interno delle quali è riportata una specifica voce della retribuzione denominata "trasferte italia", ragion per cui è da escludere che il sig. (...) abbia trattenuto il denaro per questa motivazione. Inoltre quand'anche il ricorrente avesse sostenuto spese aggiuntive in occasione delle trasferte avrebbe dovuto documentarle alla Società e in ogni caso dedurre in questa sede di quali spese si fosse trattato e perché le stesse non fossero ricomprese nell'importo riconosciuto in busta paga. In relazione alle spese di trasferta giova richiamare la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione che, in merito ad altra fattispecie relativa a rimborsi anomali, ha statuito che "E' legittimo il licenziamento intimato al dipendente che domanda rimborsi anomali per le trasferte, a nulla valendo che egli lamenti la inconsapevolezza circa la rilevanza" (Cass. sentenza n.7703/2020) La condotta tenuta dal sig. (...) consistente nell'aver trattenuto le somme riscosse in merito a perizie e sopralluoghi effettuati per conto della società (...) è certamente tale da far venir meno il rapporto di fiducia tra società e il proprio dipendente. A tal proposito questo Giudice fa proprio l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione cristallizzato nella sentenza n. 24601/2020 all'interno della quale si afferma " il licenziamento disciplinare è giustificato nei casi in cui i fatti attribuiti al prestatore d'opera rivestano carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l'elemento fiduciario; il giudice di merito deve, pertanto, valutare gli aspetti concreti che attengono principalmente alla natura del rapporto di lavoro, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni specifiche del dipendente, al nocumento arrecato, alla portata soggettiva dei fatti, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo." Invero, nel caso di specie risulta che il ricorrente ricopriva un ruolo di responsabilità all'interno della società, avendo egli la qualifica di responsabile del comparto tecnico-commerciale, ruolo che richiede un notevole grado di affidamento. Rileva altresì il fatto che rientrasse tra i compiti del ricorrente anche la possibilità di incassare denaro contante per i costi di sopralluogo, il che implica un elevato grado di affidamento della società nei suoi confronti, rileva ancora che egli non ha affatto negato di aver trattenuto le somme riscosse e contestate dalla società a fronte dei sopralluoghi/perizie da lui condotti, adducendo motivi assolutamente non plausibili. Va inoltre considerata un'occasione ben rappresentata all'interno del documento n. 29 allegato alla memoria di parte resistente, nella quale il sig. (...), nel corso di un sopralluogo effettuato a favore di (...), oltre ad incassare i contati per l'operazione da lui svolta, si era qualificato al cliente come proprietario della società (...). I fatti sopra descritti e oggetto di contestazione disciplinare creano anche un grave nocumento alla società e sono accompagnati da un elemento psicologico di natura intenzionale, dato che è lo stesso ricorrente a confermare di aver riscosso le suddette somme, poi non versate. La sanzione del licenziamento disciplinare appare pertanto proporzionata rispetto al fatto pacificamente posto in essere dal lavoratore, richiamandosi l'insegnamento e i principi fissati dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 24619/2019 per cui " la valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione contestata, nell'ambito del licenziamento disciplinare, deve tener conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi della condotta, ivi compresa la posizione professionale rivestita dal lavoratore, sia sul piano dell'obbligo di diligenza, sia con riguardo al disvalore ambientale che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per altri dipendenti dell'impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi." Il licenziamento è pertanto legittimo e sorretto da giusta causa, in quanto sono stati acclarati come sussistenti i fatti posti alla base dello stesso: ne consegue il rigetto del ricorso Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in relazione all'attività svolta, non comprensiva dell'attività istruttoria e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 così come modificati dal D.M. n. 147 del 2022, contenendo le spese nei valori minimi dello scaglione di riferimento, ma applicando la maggiorazione del 30% prevista dall'art. 4 comma 1-bis del D.M. n. 55 del 2014 per il caso che gli atti "depositati con modalità telematiche siano redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto" P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta il ricorso. - condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 4.795,70 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 334/2022 promossa da: I.M., con il patrocinio dell'avv. Ma.Ma. ricorrente e Ministero dell'Istruzione e del Merito; Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana Ufficio IX ambito territoriale Lucca e Massa Carrara Istituto Comprensivo Lucca 3 Tutti rappresentati e difesi ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c. dal funzionario d.ssa Ma.La. resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 19.4.22 parte ricorrente riferiva di aver presentato domanda di inserimento nelle graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia della provincia di Lucca per il triennio 2021/24 in qualità di personale A.T.A. per i profili professionali di assistente amministrativo e di collaboratore scolastico; in sede di inserimento della domanda dichiarava di aver indicato il possesso del titolo di OSS presso il centro studi (...) di (...) conseguito in data 22.4.21, data questa di inserimento della domanda, pur non avendo effettivamente conseguito il suddetto titolo. Il ricorrente specificava di aver inserito tale dato perché la mancata valorizzazione di tale elemento nel modulo telematico predisposto dal Miur non avrebbe consentito di proseguire nella compilazione della domanda e di aver precisato nella sezione dedicata alle note di chiarimento "...è in corso di conseguimento la qualifica professionale di operatore socio sanitario presso l'Ente di formazione professionale (Centro Studi (...)) ...", chiedendo, in via subordinata, "...l'ammissione con riserva del punteggio collegato al titolo da conseguire all'esito del corso già iniziato ...". In virtù della sua posizione in graduatoria il sig. (...) veniva convocato per incarichi di collaboratore scolastico; con decreto dell'11.11.21 l'Istituto comprensivo Lucca 3 rettificava e convalidava il punteggio del ricorrente. Tuttavia, con successivo decreto del 15.12.21 disponeva la non convalida per aver appurato che il ricorrente aveva dichiarato nella domanda di inserimento il possesso del titolo di OSS, laddove il centro studi (...) aveva precisato che il ricorrente aveva frequentato il corso ed era in attesa di esame finale. Pertanto l'Istituto ritenendo che il ricorrente avesse inserito nella domanda una dichiarazione non veritiera disponeva l'esclusione dello stesso dalle graduatorie di Istituto della Provincia di Lucca per il profilo CS e AA. Il ricorrente si duole dell'operato dell'amministrazione rilevando di non aver commesso alcuna falsità, in quanto pur avendo dichiarato il possesso del titolo aveva inserito nella sezione specifica note le relative precisazioni; rilevava altresì l'illegittimità del depennamento e della conseguente risoluzione del rapporto per violazione dell'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2001. Ancora evidenzia la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento con conseguente inosservanza dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990 e sotto altro profilo del D.M. n. 50 del 1921 in relazione alla mancata tempestività delle verifiche. Il ricorrente pertanto chiede con il ricorso di "a) Accertare e dichiarare la nullità, illegittimità ed inefficacia del decreto di depennamento del ricorrente dalla III Fascia delle (...) ATA della Provincia di Lucca per il triennio 2021/2024 per il profilo di Collaboratore scolastico e di Assistente Amministrativo, e, per l'effetto, b) Annullarlo; c) Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente ad essere reinserito nella III Fascia delle (...) ATA della Provincia di Lucca per il profilo di (...) e (...) con il punteggio spettante, eventualmente decurtato da quello relativo al percorso professionale di OSS; d) Ordinare alle Amministrazioni resistenti di reinserire il ricorrente nella III Fascia delle predette Graduatorie di Istituto per il profilo si (...) e (...). Con vittoria di spese e competenze professionali, con distrazione" Il Ministero si costituiva eccependo in via preliminare la carenza di legittimazione passiva dell'ufficio scolastico regionale e territoriale nonché dell'Istituto comprensivo essendo solo l'amministrazione centrale legittimata a contraddire in ordine alle controversie relative al rapporto di lavoro del personale della scuola. Nel merito evidenziava la correttezza dell'operato dell'amministrazione a cui spetta uno specifico potere di controllo delle dichiarazioni presentate dagli aspiranti per le graduatorie; rilevava altresì l'infondatezza dell'eccezione relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, prevedendo il D.M. n. 50 del 1921 la possibilità per l'amministrazione di procedere in qualsiasi momento a disporre l'esclusione degli aspiranti non in possesso dei titoli dichiarati. Da ultimo il Ministero rappresentava l'infondatezza delle doglianze relative alla mancata osservanza della procedura di cui all'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2001 atteso che la fattispecie in esame non attiene ad un'ipotesi di licenziamento disciplinare bensì la risoluzione del contratto è conseguenza automatica dell'annullamento della procedura di reclutamento. Pertanto chiede il rigetto del ricorso. La causa, istruita documentalmente, veniva fissata per la discussione in modalità cartolare e previo deposito di note scritte è decisa con sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato. Preliminarmente in punto legittimazione passiva, deve rilevarsi che soltanto il Ministero è legittimato a contraddire in ordine nelle controversie relative al rapporto di lavoro del personale della scuola. In tal senso si veda la costante giurisprudenza di legittimità riferita alla carenza di legittimazione passiva degli istituti scolastici, con la quale è sempre stata affermata l'esclusiva legittimazione in capo al M.I.U.R.: "anche dopo l'estensione della personalità giuridica, per effetto della L. delega n. 59 del 1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione, ai circoli didattici, alle scuole medie e agli istituti di istruzione secondaria, il personale ATA e docente della scuola si trova in rapporto organico con l'Amministrazione della Pubblica Istruzione dello Stato, a cui l'art. 15 del D.P.R. n. 275 del 1999 ha riservato le funzioni relative al reclutamento del personale, e non con i singoli istituti, che sono dotati nella materia di mera autonomia amministrativa. Ne consegue che, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, sussiste la legittimazione passiva del Ministero, mentre difetta la legittimazione passiva del singolo istituto" (Cass. 21 marzo 2011 n. 6372, Cass. 15 ottobre 2010 n. 21276 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20521). Deve poi aggiungersi rilevarsi che l'Ufficio scolastico regionale, a norma dell'art. 8 D.P.R. 20 gennaio 2009, n. 17, "costituisce un autonomo centro di responsabilità amministrativa". La medesima disposizione attribuisce poi all'Ufficio scolastico regionale competente la rappresentanza in giudizio, ma non crea (né avrebbe potuto visto il rango della norma) un nuovo ed autonomo soggetto giuridico. Il conferimento di poteri previsto dalla norma costituisce fatto interno al Ministero, che è e resta soggetto unitario, restando indifferente rispetto ai terzi la sua articolazione organizzativa. La Corte di Cassazione "nell'affermare che il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 16, lett. f), laddove dispone che i dirigenti di uffici dirigenziali generali (o strutture sovraordinate) "promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 12, comma 1", precisa il riparto di competenze tra organi di gestione e organi di governo, ma non modifica certamente il criterio di individuazione dell'organo che rappresenta legalmente l'amministrazione, rientrando nell'ambito delle competenze dirigenziali i soli poteri sostanziali di gestione delle liti, ha messo in rilievo che lo Stato agisce ed è chiamato in giudizio in persona del ministro competente o in persona del Presidente del Consiglio, mentre le strutture interne ai ministeri non sono dotate di soggettività sul piano dei rapporti esterni, come del resto è comprovato dall'espresso disposto del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, comma 1, (nel testo novellato dalla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 1), il quale prescrive che la notifica degli atti giudiziari presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato debba essere effettuata nella persona del Ministro competente (Cass. Sez. Un, 6 luglio 2006, n. 15342)" (Cass., 26 marzo 2008, n. 7862). Pertanto la dizione legittimazione passiva contenuta nell'art. 8 D.P.R. n. 17 del 2009 (come già prima nell'art. 7 D.P.R. n. 260 del 2007 ed ancor prima nell'art. 8 D.P.R. n. 319 del 2003) è impropria perché la norma ha semplicemente inteso richiamare la legittimazione processuale dei dirigenti prevista dall'art.16 co. 1 lettera f, D.Lgs. n. 165 del 2001. Anche la legittimazione di cui al citato art. 8 D.P.R. n. 17 del 2009 deve quindi intendersi come legittimazione processuale, poiché nessuna norma ha dotato di personalità giuridica l'Ufficio scolastico regionale. Conseguentemente gli Uffici scolastici regionali restano articolazioni periferiche del MIUR (Cass., 3 novembre 2011, n. 22743), per cui unico soggetto legittimato passivo nel presente giudizio rimane il M.I.U.R. In diritto, va premesso che la formazione delle graduatorie di III Fascia del personale ATA, per il triennio 2021/2024 è disciplinata, dal D.M. n. 50 del 1921 che dispone espressamente all'art. 2 comma 13 che "I requisiti ed i titoli valutabili ai fini del presente decreto devono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione della relativa domanda di cui al successivo articolo 4, comma 1." Ed ancora al successivo art. 6 "Tutte le dichiarazioni inserite attraverso le apposite procedure informatizzate sono rese dall'aspirante sotto la propria responsabilità, ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Vigono al riguardo le disposizioni di cui agli articoli 75 e 76 del richiamato provvedimento normativo. L'aspirante è pertanto consapevole delle conseguenze penali derivanti da dichiarazioni mendaci e del fatto che la formazione di atti falsi, l'utilizzo degli stessi nei casi previsti dal richiamato DPR o l'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità sono puniti ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. 2. È ammessa esclusivamente la dichiarazione di requisiti, qualità e titoli di cui l'aspirante sia in possesso entro la data di scadenza del termine di presentazione della domanda" "...Nei casi e con le modalità previste dagli articoli 71 e 72 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 sono effettuati i relativi controlli in merito alle dichiarazioni degli aspiranti. 11. L'istituzione scolastica ove l'aspirante stipula il primo contratto di lavoro, sulla base della graduatoria di circolo o d'istituto di terza fascia nel periodo di vigenza delle graduatorie effettua, tempestivamente, i controlli delle dichiarazioni presentate. Tali controlli devono riguardare il complesso delle situazioni dichiarate dall'aspirante, per tutte le graduatorie in cui il medesimo è risultato incluso. 12. All'esito dei controlli di cui al comma 11, il dirigente scolastico che li ha effettuati convalida a sistema i dati contenuti nella domanda e ne dà comunicazione all'interessato. In caso di esito negativo della verifica, il dirigente scolastico che, ai sensi del comma 11, ha effettuato i controlli, adotta il relativo provvedimento registrando a sistema l'esclusione di cui all'articolo 7, ovvero la rideterminazione dei punteggi e delle posizioni assegnati all'aspirante. Il dirigente scolastico comunica il provvedimento di esclusione o di rideterminazione del punteggio all'aspirante e alle scuole da quest'ultimo individuate in fase di presentazione dell'istanza. Restano in capo al dirigente scolastico che ha effettuato i controlli la valutazione e le conseguenti determinazioni ai fini dell'eventuale responsabilità penale di cui all'articolo 76 del citato D.P.R. n. 445 del 2000. Il positivo accertamento dei titoli di servizio e di cultura dichiarati comporta la validazione degli stessi alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, anche per i periodi di vigenza delle graduatorie di circolo e di istituto dei trienni successivi. 15. Conseguentemente alle determinazioni di cui al comma 13, l'eventuale servizio prestato dall'aspirante in assenza del titolo di studio richiesto per l'accesso al profilo e/o ai profili richiesti o sulla base di dichiarazioni mendaci, e assegnato nelle precedenti graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia, sarà, con apposito provvedimento emesso dal Dirigente scolastico già individuato al comma 11, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall'interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell'anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura" Il successivo art. 7 "L'Amministrazione scolastica dispone l'esclusione degli aspiranti che: a. risultino privi di qualcuno dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2 e 3; b. abbiano reso, nella compilazione della domanda,dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale. 2. La presentazione di domande per più province comporta, oltre all'esclusione dalla procedura in esame, anche l'esclusione da tutte le graduatorie di circolo o di istituto in cui si chieda l'inserimento e la decadenza dalle graduatorie di circolo o di istituto in cui l'aspirante sia inserito. 3. Le autodichiarazioni mendaci o la produzione di certificazioni false o, comunque, la produzione di documentazioni false comportano l'esclusione dalla procedura di cui al presente decreto per tutti i profili e graduatorie di riferimento, nonché la decadenza dalle medesime graduatorie, nel caso di inserimento nelle stesse, e comportano, inoltre, l'irrogazione delle sanzioni di cui alla vigente normativa, come prescritto dagli artt. 75 e 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. 4. Tutti gli aspiranti sono inclusi nelle graduatorie con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione. L'Amministrazione, in qualsiasi momento, può disporre, con provvedimento motivato, l'esclusione degli aspiranti non in possesso dei citati requisiti di ammissione". Ebbene è evidente dal tenore letterale come, salvo l'ipotesi di errore materiale, è assolutamente irrilevante la motivazione che possa aver indotto l'aspirante a rendere dichiarazione non veritiera in ordine al possesso dei titoli, così come non è richiesta alcuna valutazione in ordine ad eventuale dolo o colpa del dichiarante. D'altra parte nel caso di specie come correttamente osservato dal Ministero il ricorrente dichiarava il possesso del titolo di OSS pur non avendolo conseguito e né all'atto della pubblicazione della graduatoria in cui risultava in possesso di un punteggio maggiorato, né all'atto della sottoscrizione del contratto di lavoro, ha segnalato all'Amministrazione scolastica l'attribuzione di un punteggio errato in quanto comprensivo dell'ulteriore punteggio della dichiarata abilitazione in realtà non posseduta, ciò anche in considerazione della circostanza nota che il sistema informatico attribuisce in automatico il punteggio per ciascun titolo e/o abilitazione inserito nella domanda. Avendo riguardo alla documentazione prodotta emerga, altresì, che il ricorrente fosse consapevole di ciò, infatti nelle precisazioni inserite nella note in calce alla domanda, diversamente da quanto dedotto in ricorso, il ricorrente non si limita a rappresentare che il titolo è in corso di conseguimento chiedendo l'ammissione con riserva ma dichiara testualmente "il sottoscritto dichiara altresì che è in corso di conseguimento la qualifica professionale di operatore socio sanitario (OSS) presso l'ente di formazione professionale (centro studi E.) Santa Maria Capua Vetere (CE). Per questo motivo è stato avviato un ricorso al Tar del Lazio, per ottenere la sospensione della procedura concorsuale e la riapertura dei termini per presentare la domanda, ovvero in via subordinata l'ammissione con riserva del punteggio collegato al titolo da conseguire all'esito del corso già iniziato". È evidente quindi la piena consapevolezza del ricorrente dell'impossibilità di dichiarare ed avvalersi del titolo non ancora posseduto tanto da determinarsi, come dallo stesso dichiarato, a proporre ricorso al Tar per sospendere la procedura concorsuale. Pertanto, a fronte della pacifica dichiarazione non veritiera del possesso del suddetto titolo presentata dal ricorrente pienamente legittimo è stato l'operato dell'amministrazione, dovendo ritenersi assolutamente infondati gli ulteriori rilievi procedurali evidenziati in ricorso. Alla luce delle richiamate disposizioni D.M. n. 50 del 2021 il Dirigente Scolastico, infatti, all'atto del conferimento del primo incarico, è dunque tenuto a compiere tempestivi accertamenti circa la regolarità, veridicità e validità dei titoli di cui l'istante abbia dichiarato il possesso in sede di presentazione della domanda. L'esito negativo può comportare: 1) l'assunzione di determinazioni onde segnalare alle autorità competenti eventuali dichiarazioni mendaci; 2) l'espunzione di alcuni titoli con conseguente attribuzione di un nuovo (e inferiore) punteggio; 3) l'esclusione dalle graduatorie. L'esclusione dalle graduatorie è peraltro previsto sia nell'ipotesi di autodichiarazioni mendaci o di certificazioni e autocertificazioni false, sia nell'ipotesi di verificata insussistenza dei requisiti di ammissione. Occorre infatti evidenziare che le disposizioni richiamate hanno inteso esplicitamente contemplare la sanzione della esclusione (dalle graduatorie e dalla stessa procedura di aggiornamento delle graduatorie) quale specifica conseguenza della falsità, anche a prescindere dal fatto che da essa sia derivato il venir meno dei requisiti minimi di ammissione. In tal caso il servizio reso dall'aspirante in qualsiasi profilo professionale è da considerarsi prestato di fatto e non utile alla maturazione di ulteriore punteggio. Deve per contro ritenersi che, lì dove le verifiche abbiano escluso le suddette falsità, pervenendo tuttavia alla mancata convalida di uno o più titoli dichiarati nella domanda e ciò abbia determinato il venir meno dei requisiti minimi di accesso alla graduatoria di relativa ad un determinato profilo professionale, l'aspirante sarà estromesso dalla graduatoria medesima e sarà considerato prestato di fatto il solo servizio reso nel corrispondente profilo professionale; in caso contrario (ovvero la mancata convalida di uno tra i plurimi titoli dichiarati per l'accesso alla graduatoria di un medesimo profilo non abbia determinato il venir meno del requisito di accesso) sarà possibile una mera rideterminazione del punteggio. Nella fattispecie in esame l'estromissione è stata disposta in ragione della mendacità dell'autodichiarazione. Orbene, il ricorrente contesta la legittimità dei provvedimenti sotto diversi profili. Infondata è l'eccezione concernente la tardività delle verifiche. Va infatti sottolineato che, sebbene sia previsto genericamente la tempestività dei controlli, esso non contiene termini di decadenza, né introduce sanzioni nei riguardi dei controlli operati tardivamente. Né pare corretto mutuare il termine di 30 giorni dalle L. n. 69 del 2009, che introduce il suddetto termine con esplicito riferimento alla conclusione dei procedimenti amministrativi "di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali", mediante una disposizione di contenuto programmatico priva di sanzioni per l'ipotesi di inosservanza. Sembra evidente l'inapplicabilità della disposizione alla fattispecie, disciplinata da una normativa speciale, ancorché di natura regolamentare, che conferisce ai singoli istituti scolastici la competenza in tema di verifica delle dichiarazioni dell'aspirante ai fini del regolare svolgimento della procedura di formazione delle graduatorie. Va anche aggiunto che nella specie nessuna illegittimità potrebbe in astratto sostenersi né per la tardività dei controlli, né per il fatto che i titoli fossero già stati oggetto di approvazione da parte dell'Istituto Comprensivo. Per considerazioni analoghe va disattesa anche l'eccezione inerente l'omessa comunicazione di avvio del procedimento di depennamento e di risoluzione del contratto ex art. 7 L. n. 241 del 1990: per un verso le norme sul procedimento amministrativo sono infatti da ritenere inapplicabili alla fattispecie, nella quale viene in rilievo un rapporto di lavoro, espressamente regolato dalle norme di diritto privato ex art. 2, comma 3, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165; per altro verso va sottolineata la sostanziale incompatibilità della richiamata disciplina, rispetto a quella del D.M. n. 50 del 1921 il quale disciplina il procedimento di formazione delle graduatorie, collegandone l'avvio alla presentazione della domanda dell'aspirante e affidando le connesse operazioni di verifica alla istituzione scolastica che procede al conferimento del primo incarico. L'esigenza che la L. n. 241 del 1990 intende assicurare, ravvisabile nella partecipazione dell'utente al processo formativo dell'amministrazione, è dunque assicurata dalla conoscenza dello stesso nell'avvio del procedimento, ferma restando la competenza esclusiva dell'istituzione scolastica nella verifica delle dichiarazioni rese nella domanda di ammissione. Parimenti infondata è l'eccezione sollevata in ordine al mancato rispetto dall'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2021 infatti nel caso di specie non è certo configurabile un licenziamento disciplinare, atteso che la risoluzione del contratto è conseguenza automatica dell'annullamento della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto. Il contratto è radicalmente nullo in conseguenza della non veridicità delle dichiarazioni rese dall'aspirante all'atto della presentazione della domanda. Ne consegue che non trova applicazione la procedura dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2021 perché non si tratta di licenziamento disciplinare; tanto è stato ribadito in più occasioni dalla Cassazione da ultimo con la sentenza Sez. L. n. 11011 del 2022 in analoga fattispecie "in mancanza del titolo di servizio previsto, requisito che doveva essere posseduto per l'inserimento negli elenchi provinciali, ha fatto corretta applicazione dei principi già enunciati da questa Corte con la sentenza n. 22673 del 2020, con la quale si è chiarito che sul piano contrattuale la "decadenza dai benefici" si risolve in un vizio genetico del contratto, ossia nella nullità dello stesso, e ciò è stato affermato in linea con l'orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte, alla stregua del quale nel pubblico impiego contrattualizzato la regola posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36, che in attuazione dell'art. 97 Cost. impongono alle Pubbliche Amministrazioni l'individuazione del contraente nel rispetto delle procedure concorsuali o, per le qualifiche meno elevate, delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 1, lett. b), e del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 23 e s.s., seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette sulla validità del negozio, perché individua un requisito che deve sussistere in capo al contraente, di tal ché, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l'azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici (citata Cass., n. 22673 del 2020, che richiama, Cass. n. 30999 del2019, Cass. n. 17002 del 2019). Con riguardo ai poteri che la Pubblica Amministrazione può esercitare ove si avveda dell'illegittimità dell'assunzione si è evidenziato che l'atto con il quale l'amministrazione revochi l'incarico a seguito dell'annullamento della procedura concorsuale o dell'inosservanza dell'ordine di graduatoria "equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l'assenza di un vincolo contrattuale" (Cass., nn. 8328/2010, 19626/2015, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019). Si tratta di vicenda giuridica diversa rispetto alla sanzione disciplinare o al licenziamento, istituti ai quali non è riferibile la fattispecie in esame. Come affermato dalla Corte d'Appello il rapporto di lavoro, in quanto affetto da nullità, può produrre effetti nei soli limiti indicati dall'art. 2126, c.c., applicabile anche alle Pubbliche Amministrazioni, e pertanto, ferma l'irripetibilità delle retribuzioni corrisposte in ragione della prestazione resa, sia pure in via di mero fatto, dello stesso non si può tenere conto ai fini di successive assunzioni o di avanzamenti di carriera, operando in tal caso la regola generale secondo cui quod nullum est nullum producit effectum.". Il ricorso va pertanto rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 147 del 1922 tenuto conto dell'attività svolta con la riduzione del 20% essendosi difeso il Ministero con proprio funzionario delegato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2951,20 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a.. Così deciso in Lucca l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 274/2021 promossa da: (...) S.P.A. con il patrocinio dell'avv. RO.GI. ricorrente e (...) con il patrocinio dell'avv. MA.AL. resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE All'esito dell'udienza del 12.1.23, previa discussione orale, la causa veniva decisa come da sentenza contestuale. Parte ricorrente propone opposizione avverso l'ordinanza conclusiva della fase sommaria del rito cd. Fornero del 25.3.21. Nel ricorso di opposizione il datore di lavoro ribadisce essenzialmente le medesime motivazioni di cui alla prima fase del ricorso Fornero. La lavoratrice si costituiva chiedendo il rigetto dell'opposizione previa conferma dell'ordinanza impugnata, ribadiva altresì la richiesta di declaratoria di nullità del licenziamento per difetto di preventiva affissione del codice disciplinare, ovvero perché ritorsivo/punitivo/persecutorio e comunque discriminatorio. L'opposizione è infondata, pertanto l'ordinanza va confermata. In sede di opposizione la società opponente ripropone le medesime doglianze oggetto della memoria di costituzione depositata della prima fase del giudizio. La fase sommaria è stata adeguatamente istruita attraverso l'esame degli informatori. In tale fase di opposizione, essendo completo il quadro probatorio e non essendo state formulate richieste nuove o comunque rilevanti rispetto a quanto già emerso nella fase sommaria, non può che ribadirsi quanto già espresso nell'ordinanza conclusiva della prima fase. Deve esclusivamente rilevarsi come in ordine al primo motivo di opposizione è pacifico che la lettera di contestazione alla dipendente è del 14.2.19 laddove si rimprovera alla stessa di svolgere attività di consulente di bellezza, tuttavia la circostanza era nota alla banca almeno dalla "seconda parte del 2018" come testualmente riferito dal teste di parte resistente (...) in sede di udienza del 28.9.20" Laricorrente svolgeva anche attività di rappresentante di prodotti della (...), preciso di aver visto personalmente in almeno due occasioni consegnare in agenzia relativi prodotti durante l'orario di lavoro. La collega (...) mi riferì che in un'occasione di una fiera aveva visto la ricorrente che esponeva un banco della (...). Tale circostanza fu riferita anche agli altri colleghi, credo anche a (...). Ho visto un giorno la ricorrente con una donna credo tale "(...)" che aveva ritirato in banca i prodotti della (...), tanto che incontrando questa donna fuori le chiesi se era stata trattata bene dalla (...) per la vendita dei prodotti cosmetici e lei mi rispose che le aveva fatto il prezzo da catalogo. Questo accadeva all'incirca nella seconda parte del 2018". Chiaro ed evidente, a dispetto della ricostruzione forzata fornita dalla Banca nell'opposizione all'ordinanza, che la circostanza riferita dal (...), direttore dell'istituto di credito, avveniva all'incirca nella seconda parte del 2018 a fronte poi di una contestazione formale di febbraio 2019. In ordine poi al secondo motivo di opposizione deve confermarsi quanto già espresso nell'ordinanza impugnata rilevando che anche in sede di opposizione il datore di lavoro non deduce quale sia il conflitto di interessi tra l'attività della (...) di dipendente della banca con contratto part-time e l'asserito svolgimento da parte della stessa di consulente di bellezza. D'altra parte in sede istruttoria non è assolutamente emerso che la stessa svolgesse attività lavorativa concreta di promozione, consulenza e vendita di prodotti all'interno dell'istituto di credito, avendo gli informatori riferito esclusivamente di aver visto consegnare in alcune occasioni a clienti della banca buste con il marchio (...) null'altro. Anche il collega di lavoro (...) riferisce di aver visto l'(...) uscire dalla banca con la sig.ra (...). di non aver visto scambio di danaro ma solo che si allontanavano con una busta con il marchio della (...). Ed ancora che la stesse gli chiese se poteva essere interessato a prodotti di bellezza per la moglie, senza null'altro aggiungere. Ebbene affinchè possa affermarsi che l'(...) svolgesse vera e propria attività lavorativa subordinata ulteriore rispetto a quella di dipendente dell'istituto di credito, di per sé non vietata atteso che il rapporto con la ricorrente era part-time, sarebbe dovuto emergere qualcosa di più che non la semplice consegna di prodotti cosmetici o la presenza della dipendente a fiere peraltro durante il fine settimana; né possono considerarsi dirimenti in tal senso le risultanze del conto corrente dell'(...) (laddove pure utilizzabili) da cui emergono acquisti di prodotti della (...) che secondo la ricostruzione della banca la stessa poi rivendeva. In ordine poi alla contestazione dei continui ritardi in entrata dell'(...) si ribadisce, contrariamente a quanto rilevato dall'opponente, come la mancata formale contestazione ovvero la decurtazione sulla busta paga rappresentano quantomeno indici di acquiescenza della banca ai suddetti comportamenti risalenti e ripetuti oramai da mesi; ciò a fortiori laddove è emerso che si trattava di pochi minuti di ritardo che venivano recuperati dalla dipendente in uscita. Si ribadiscono le motivazioni già espresse nell'ordinanza impugnata in ordine a tutte le doglianze anche ulteriori rispetto a quelle qui richiamate. Avendo riguardo poi alla memoria di costituzione dell'(...) deve effettivamente rilevarsi come l'ordinanza impugnata non si sia pronunciata sulla dedotta mancata affissione del codice disciplinare in data antecedente alle contestazioni che hanno portato al licenziamento della stessa. Tuttavia avendo riguardo alle risultanze istruttorie deve richiamarsi, perché dirimente sul punto, la deposizione dell'informatore E.B., della cui attendibilità non può dubitarsi non essendo emersi elementi specifici idonei a minare la sincerità dello stesso, avendo anche riguardo all'intero contenuto delle dichiarazioni rese, che risultano oggettive atteso che per certi versi confermano quanto dedotto dall'(...) per altri quanto rilevato dall'odierna opponente. Ebbene in relazione proprio all'affissione del codice disciplinare il suddetto teste testualmente riferisce: "Confermo la circostanza di cui al cap. 23 i libri di lavoro sono affissi sul retro affianco al bancomat dal lato interno, vicino la macchina del caffè ove c'è una bacheca con all'interno il codice disciplinare, con l'indicazione in ordine di gravità delle sanzioni che la banca può irrogare a seconda delle condotte contestate allavoratore. La suddetta bacheca con il codice disciplinare l'ho vista per la prima volta lì nel 2008 ed è stata sempre affissa costantemente nello stesso posto che ho detto." Tanto basta, avendo anche riguardo alla neutralità delle ulteriori testimonianze sul punto, atteso che il (...), convivente dell'(...), riferisce di non aver visto affisso il codice disciplinare, tuttavia precisa di sapere che vi è una macchina del caffè accessibile ai dipendenti ma di non sapere dove si trova, circostanza questa dirimente perché è emerso che il codice disciplinare sarebbe stato esposto nella bacheca presente vicino alla macchina del caffè; pertanto il suddetto non avendo cognizione di dove fosse la macchina del caffè non poteva aver visto la bacheca con il codice esposto. L'affissione del codice disciplinare sul luogo di lavoro accessibile ai dipendente è sufficiente per ritenere ottemperato l'obbligo di cui all'art. 7 Statuto dei Lavoratori anche alla luce della prevalente giurisprudenza "il precetto dell'art. 7, primo comma, della (...) n. 300 del 1970, concernente l'affissione in luogo accessibile a tutti delle norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni ed alle procedure di contestazione delle stesse, è soddisfatto - realizzandosi in entrambi i casi l'esigenza di una più agevole conoscibilità del potere punitivo del datore di lavoro e dei relativi limiti - sia quando le norme disciplinari siano affisse come tali, avulse dal contratto che le contiene, sia quando sia affisso il contratto che contiene le stesse norme. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto assolto l'obbligo di pubblicità in presenza di un'affissione ininterrotta, in luogo idoneo, dell'intero contratto collettivo, comprensivo del codice disciplinare)" ( Cass. Sez. (...) n. 33811 del 1921). Ribadendo integralmente quanto già motivato nell'ordinanza impugnata si riporta ex art. 118 disp att c.p.c. quale parte integrante della presente sentenza, il suddetto provvedimento: "La ricorrente, dipendente presso (...) S.p.a., Agenzia di Seravezza Querceta, dall'1.1.2005 sino al 19.3.2019 ( data del licenziamento per giusta causa), con contatto di lavoro a tempo indeterminato part- time, svolgeva la mansione di impiegata con l'inquadramento di Area 3 Liv.3 del CCNL di categoria. In data 14/02/ 2019 veniva consegnata alla sig.ra (...) la lettera di contestazione del 4/02/19 contenente anche un provvedimento di allontanamento cautelativo dal servizio ai sensi dell'art. 44. 2 comma, del vigente CCNL 31 Marzo 2015. In essa, le venivano addebitati "gravissimi comportamenti": in primo luogo, la ricorrente avrebbe omesso di informare la Banca, tramite "l'apposito modulo/questionario OBI di attività remunerata consigliera di bellezza per l'azienda (...)";"la citata attività si concreta nella rivendita a clienti privati ... allestendo persino un apposito banco per la vendita presso sagre o fiere della zona in cui risiede quanto da Lei acquistato dalla azienda (...), ricavando direttamente un provvigione". Ed ancora le si contestava " a rendere ancora più grave quanto sopra contestato, anche il fatto che lei utilizza la banca ed i clienti con i quali entra in contatto quale dipendente della stessa, per promuovere la vendita dei prodotti (...)". Venivano richiamati a titolo esemplificativo due episodi, nei quali sarebbe avvenuto l'acquisto e la consegna dei prodotti di bellezza in una busta all'interno dei locali della Banca e con due clienti della medesima (rispettivamente con la sig.ra (...) 21.12.2018 e con la sig.ra (...) il 17.01. 2019). Nel prosieguo della contestazione si rilevava che "quanto sopra contestato si inserisce in un contesto in cui la Sua prestazione professionale è non in linea con gli obiettivi a Lei assegnati dalla Banca, come attestato dalle Sue schede di valutazione dal 2015 al 2018, e , soprattutto, caratterizzata da continui ritardi la mattina in cui non entra mai prima delle 8.30 da settembre 2018, circostanza quest'ultima che incide profondamente sull'organizzazione della Agenzia in cui Lei opera". In Veniva, altresì, addebitato alla ricorrente un "tentativo di scavalcamento della linea gerarchica", poiché "dopo aver ricevuto il diniego alle ferie del Direttore (...), per i giorni dal 2 al 4 gennaio 2019, approfittando in assenza del Direttore (...) per ferie", la stessa riproponeva "indebitamente la medesima richiesta al Sig. (...), Addetto Operativo di Area Senior". Infine, la lettera di contestazione conclude dichiarando che "tali Suoi comportamenti appaiono in evidente contrasto con norme di legge e di contratto, integrando comunque violazione dei principi fondamentali del rapporto di lavoro e si traducono anche in un gravissimo danno di immagine per la Banca". Alla suddetta lettera di contestazione, faceva seguito in data 18.3.2019 il licenziamento tempestivamente impugnato dalla ricorrente. Avendo riguardo alle contestazione avanzate alla ricorrente, all'esito dell'istruttoria è emerso che a fronte dell'orario part-time previsto 8.15/13.30, la (...) arrivasse in ritardo, tuttavia a parte il testimone (...) che riferisce un orario di arrivo sempre successivo alle 08.30, gli altri testi, in particolare (...) e (...) riferiscono che la ricorrente arrivava in banca intorno alle 8.20 / 08.30 e che comunque spesso si tratteneva oltre le 13.30 per finire il lavoro (anche sino alle 14.00). Entrambi i suddetti testimoni escludono che vi fu una contestazione formale del suddetto ritardo, solo il (...) riferisce che il direttore (...) riprese verbalmente la ricorrente. Pertanto, può considerarsi circostanza pacifica che la ricorrente sforasse gli orari di ingresso di non oltre 10/15 minuti trattenendosi tuttavia oltre l'orario previsto; che a fronte dei suddetti ritardi mai la resistente ha effettuato alcuna contestazione formale, o decurtazione sulla busta paga, né nel presente giudizio è stata fornita alcuna prova in ordine ad eventuali disagi che il suddetto ritardo avrebbe determinato sull'organizzazione aziendale. Anche avendo riguardo alla contestazione circa lo scarso rendimento della ricorrente, a fronte di una valutazione del 2017 in cui il responsabile riferiva "obiettivi quasi raggiunti", la valutazione del 2018 del responsabile è di mancato raggiungimento degli obiettivi; la suddetta valutazione è immediatamente precedente alla contestazione disciplinare (in particolare circa lo svolgimento di attività lavorativa ulteriore e di scavalcamento della linea gerarchica). La resistente si limita a richiamare la suddetta valutazione e quella del 2016 senza però dedurre e provare che si tratti di un notevole inadempimento. Infatti anche in ordine a tale contestazione la resistente è carente in punto di onere probatorio "Il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un'ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell'attività resa per un'apprezzabile periodo di tempo. In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito e si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto; l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 cod. civ., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. (Cass. 31487/18). Ciò detto è possibile il licenziamento per scarso rendimento laddove sussistono i seguenti presupposti: - il rendimento del lavoratore deve essere inferiore alla media (circostanza che deve dimostrare l'azienda per poter affermare la legittimità del licenziamento: in altri termini, il datore deve dare prova del grado di efficienza "media" raggiunto dai colleghi del licenziato nonché dello standard produttivo inizialmente concordato con il dipendente). In altre parole lo scarso rendimento deve essere di "notevole importanza"; - la diminuzione del rendimento del lavoratore deve essere causata da colpa del lavoratore (non sarebbe così, ad esempio, se questi dovesse aver contratto una malattia o se questi non è messo nelle condizioni fisiche e organizzative di lavorare in modo proficuo); - lo scarso rendimento deve avere, infine, ricadute negative sulla produzione. Ebbene occorre evidenziare che la ricorrente è dipendente della resistente sin dal 2005, con anzianità pertanto ultradecennale e che solo nel corso degli ultimi anni ha manifestato le suddette difficoltà, che tuttavia non sono mai state oggetto di contestazione formale da parte della resistente che non ha dimostrato né le ricadute negative in termini di produzione né il rendimento inferiore rispetto alla media. A fronte della mera deduzione di file e di lamentele dei clienti della banca, alcuna prova è stata fornita in ordine alle suddette circostanze. Ancora priva del carattere di illiceità è la condotta contesta alla ricorrente del "tentativo di scavalcamento della linea gerarchica", poiché "dopo aver ricevuto il diniego alle ferie del Direttore (...), per i giorni dal 2 al 4 gennaio 2019, approfittando in assenza del Direttore (...) per ferie", la ricorrente riproponeva "indebitamente la medesima richiesta al Sig. (...), Addetto Operativo di Area Senior" ebbene non vi è alcuna norma di legge e di contratto che vieta simile richiesta nei confronti sostanzialmente del facente funzioni di direttore, soprattutto a fronte della motivata reiterata richiesta connessa alla presenza di una figlia minore in tenera età della ricorrente. Da ultimo occorre porre l'attenzione sull'asserita attività lavorativa ulteriore svolta dalla ricorrente: ebbene preliminarmente si evidenzia come lo svolgimento "di consulenza di bellezza" della (...) fosse circostanza pacifica e nota in banca. Il direttore dott. (...) riferisce di esserne a conoscenza almeno dalla metà del 2018, laddove la contestazione è stata fatta solo nel febbraio del 2019; comunque deve rilevarsi oltre alla tardività della contestazione la mancanza stessa dell'illiceità della condotta contestata. Infatti, avendo riguardo alla documentazione prodotta e alle stesse dichiarazioni rese, è pacifico che l'eventuale ed ulteriore attività che il dipendente svolga affinché possa avere rilievo deve essere in conflitto di interessi con quelli della banca e deve avere carattere remunerativo. Lo stesso (...) dice espressamente che per lo svolgimento di ulteriore attività "c'è un modulo che va compilato per consentire alla banca di valutare eventuali conflitti di interessi". Il codice di condotta prodotto definisce "conflitto di interessi" la situazione nella quale un dipendente sia in condizioni di approfittare di una facoltà professionale al fine di realizzare un vantaggio indebito, danneggiando uno o più clienti, ovvero quando esista la percezione di un comportamento scorretto in grado di ledere la fiducia. Ancora l'art. 25 definisce "conflitti derivanti da interessi personali dei dipendenti (OBI) nel caso in cui un dipendente abbia un interesse significativo nei confronti di un fornitore del Gruppo e sia contemporaneamente coinvolto nel processo di acquisto per conto del Gruppo. Anche nel capitolo relativo a "interessi in altre occupazioni professionali" si fa riferimento al divieto, peraltro non assoluto, posto ai dipendenti ad essere assunti da altre società e ad accettare qualsivoglia remunerazione per servizi professionali a loro resi. Nel caso di specie non si tratta di alcuna ulteriore assunzione della ricorrente né è emerso il carattere remunerativo dell'attività di consulente di bellezza. Ad ogni modo il divieto non è assoluto atteso che è prevista la possibilità di esprimere parere favorevole alle condizioni indicate; nella situazione sottoposta all'odierno vaglio giudiziario alcuna allegazione, né qualsivoglia utile elemento è stato fornito per poter ritenere che l'asserita attività di consulente di bellezza dell'(...) avesse carattere remunerativo e generasse un conflitto di interessi per come previsto dalla legge e dallo stesso codice etico della banca. D'altra parte non emerge neanche icto oculi quale conflitto possa esserci tra lo svolgimento dell'attività di consulente di bellezza e quello di dipendente di banca, né tantomeno la resistente ha dedotto è provato che si trattasse di attività che impegnasse la ricorrente in maniera tale da influire sul suo rendimento. Non è emersa la prova che la suddetta attività avesse carattere remunerativo, sotto il profilo documentale si ritiene Illegittima la produzione della resistente concernente l'estratto conto della ricorrente per un'evidenteviolazione delle norme a tutela della privacy. Tuttavia, anche qualora questa produzione fosse considerata legittima, non è rilevante poiché attesta soltanto le uscite dal conto della ricorrente in favore della azienda (...) e non le c.d. "provvigioni", quindi le entrate che la stessa avrebbe ricevuto dalla azienda medesima. Si ritiene pertanto in particolare avendo riguardo a tale contestazione, che dal tenore della lettera di licenziamento è il motivo principale del licenziamento, l'insussistenza del fatto tale da giustificare la tutela reintegratoria ed indennitaria di cui al comma 4 dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori con condanna al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Infatti la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l'insussistenza del fatto non vada intesa nel mero e solo senso materiale bensì anche nelle ipotesi in cui difetti il carattere dell'illiceità; si richiama sul punto una recente pronuncia della Cassazione che è particolarmente rispondente al caso di specie in cui "In tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della (...) n. 92 del 2012, comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, come nell'ipotesi del dipendente che, durante il periodo di assenza per malattia, svolga un'altra attività lavorativa, senza che ciò determini, per le sue concrete modalità di svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia né alcun ritardo nella ripresa del lavoro, e dunque senza violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto" (Cass. Ord. (...) n. 3655 del 2019). Ed ancora la Cass. n. 13383/2017: l'"insussistenza del fatto contestato", di cui all'art. 18, comma 4, Stat. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della (...) n. 92 del 2012, comprende sia l'ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, nondimeno non presenti profili di illiceità, sicché, in tale ipotesi, si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata. In senso conforme Cass. n. 18418/2016, n. 20540/2015 (R.) (secondo la quale e la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art.18, quarto comma); sul punto efficacemente Cass. n. 10019 del 2016 ha affermato che il fatto contestato comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare, ovvero, quanto al profilo soggettivo, la condotta non sia imputabile al dipendente. Anche su questa norma è intervenuta la S.C. (Cass. n. 12174/2019, est. (...)) che, con riferimento all'espressione "insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore" ha ribadito il già esposto principio secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare. Non può invece trovare accoglimento la richiesta di declaratoria di nullità del licenziamento in quanto discriminatorio/ritorsivo atteso che la ricorrente indica indifferentemente il licenziamento come ritorsivo/discriminatorio, quando ormai è pacifico che "La nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della (...) n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della (...) n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico" (Cassazione civile sez. lav., 05/04/2016, n.6575). Inoltre l'onere di provare la natura discriminatoria del licenziamento spetta al lavoratore, che deve portare a sostegno della sua tesi elementi specifici tali da dimostrare con sufficiente certezza l'intento del datore di lavoro (Cass. 27 settembre 2018 n. 23338; Cass. 25 maggio 2004 n. 10047). Nel caso di specie, questo Giudice ritiene che non siano stati acquisiti agli atti del giudizio elementi sufficienti al fine di poter ritenere assolto l'onere della prova come appena delineato. Per quanto riguarda la discriminatorietà del licenziamento la ricorrente si è limitata ad indicare che il ritardo dovrebbe essere tollerato se finalizzato all'accudimento della prole, senza però dimostrare una richiesta di modifica dell'orario di entrata e il conseguente diniego. Ancora, ha semplicemente indicato il profilo discriminatorio del diniego di ferie, concesse invece al collega (...) con inferiore anzianità senza null'altro aggiungere. Per quanto riguarda la richiesta di nullità per ritorsività del licenziamento, il ricorso sul punto è carente anche sotto il profilo delle deduzioni ed allegazioni, non avendo concretamente indicato a fronte di quale legittima pretesa o condotta della ricorrente sia seguito il licenziamento e quel quid pluris che consenta di individuare nel comportamento datoriale l'esclusivo arbitrario intento punitivo rispetto ad una condotta del lavoratore. In ordine alla determinazione dell'indennità risarcitoria da riconoscere alla ricorrente in uno con la tutela reintegratoria, la stessa andrà determinata avendo riguardo alla retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2281,94 come indicata dalla ricorrente in assenza di contestazioni da parte della convenuta. Si ritiene equo, avendo riguardo all'anzianità di servizio della ricorrente, all'assenza di contestazioni precedenti a quelle oggetto del licenziamento, alle condizioni economiche e alle dimensioni della società convenuta (trattasi di istituto di credito società quotata in borsa), riconoscere alla ricorrente un'indennità risarcitoria pare a 8 mensilità della suddetta retribuzione globale di fatto". L'ordinanza impugnata 846/21 del 25.3.21 va pertanto confermata e il presente ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ex D.M. n. 147 del 1922 considerata la limitata attività svolta e la mancanza di istruttoria testimoniale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta il ricorso e per l'effetto conferma l'ordinanza impugnata del 25.3.21; - Condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente (...) le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3689,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a.. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1248/2019 promossa da: (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio degli avvocati Ma. e Pa.MA. ed elettivamente domiciliato presso i difensori nello studio dei suddetti procuratori in La Spezia (SP) via (...), come da procura con domiciliazione allegata in via telematica al ricorso introduttivo ricorrente e (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del l.r. p.t., con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliata presso il difensore giusta procura con domiciliazione allegata in via telematica alla memoria di costituzione Resistente Con riunita la causa RG 170/2021 tra (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del l.r. p.t., con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliata presso il difensore giusta procura con domiciliazione allegata in via telematica al ricorso introduttivo Ricorrente-opponente e (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio degli avvocati Ma. e Pa.MA. ed elettivamente domiciliato presso i difensori nello studio dei suddetti procuratori in La Spezia (SP) via (...), come da procura con domiciliazione allegata in via telematica alla memoria difensiva e di costituzione Resistente-opposto Oggetto: licenziamento individuale per g.m.o. (RG 1249/2019) e spettanze retributive (RG 170/2021) CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il ricorrente, assunto dalla (...) S.r.l. il 16.6.2015, ha impugnato il licenziamento intimatogli il 27.5.2019 a seguito di contestazione disciplinare del 18.1.2019 (rinnovata con racc. del 19.2.2019 ricevuta dal lavoratore il 15.3.2019) in conseguenza di un incidente occorsogli il 17.1.2019 quando egli, essendo alla guida di un autocarro della (...) srl con un rimorchio carico di cippato, nel percorrere la via (...) in direzione (...), aveva spostato la direzione del mezzo verso destra, causandone la fuoriuscita dalla carreggiata, l'urto della parte spigolare della sponda destra del rimorchio contro un pino posto sulla banchina stradale, la fuoriuscita del carico di cippato per un lungo tratto della strada, in quanto il mezzo si era fermato solo dopo aver percorso circa 200 metri. Sul posto erano intervenuti agenti della Polizia Municipale a cui il sig. (...) aveva dichiarato "di non aver mantenuto il controllo del veicolo a causa di un sorpasso di presunto veicolo che lo aveva portato a spostarsi verso destra con conseguente fuoriuscita dalla sede stradale e impatto con il pino" (così dal verbale della Polizia Municipale intervenuta nell'immediatezza del fatto su richiesta dello stesso (...) cfr. doc.5 ric. "relazione di incidente stradale 17.1.2019"). Rimanendo all'esame del verbale si osserva che da esso risulta che la strada era rettilinea con limite di velocità di 60 km/h, che la Polizia intervenuta non aveva rilevato tracce di frenata, né scarrocciamenti e/o abrasioni del suolo, e che aveva appurato che il cippato ricopriva totalmente, e in alcuni tratti parzialmente, la sede stradale per circa 200 metri. Va qui osservato che in ordine all'accadimento posto dalla società a fondamento del provvedimento non sono emerse prove di alcun genere circa il presunto sorpasso che avrebbe indotto il ricorrente a spostarsi verso destra. In sede di ricorso poi si ipotizza una qualche possibile avaria del mezzo, non indicata alla Polizia Municipale intervenuta, né espressa direttamente dal ricorrente prima della presentazione del ricorso e invero "ipotizzata" quale possibile causa dell'accadimento solo da un sindacalista intervenuto nell'incontro del 1.3.2019 in cui il (...) dal canto suo aveva ripetuto la versione data agli agenti intervenuti nell'immediatezza del fatto, ossia che aveva fatto la manovra di spostamento a destra per evitare l'urto con un veicolo che, nel rientrare da un sorpasso, gli aveva tagliato la strada. Ebbene poiché la versione ipotizzata dal sindacalista contrasta con quanto sempre dichiarato dal ricorrente è stata ritenuta esplorativa, superflua e irrilevante la CTU richiesta con il ricorso considerando anche che il ricorrente mai ha indicato in cosa sarebbe consistita l'anomalia. In assenza di prova di una qualsiasi altra causa idonea che abbia prodotto l'evento, deve quindi giungersi a ritenere che il sinistro è stato diretta conseguenza della condotta di guida negligente del ricorrente, negligenza a cui consegue l'obbligo di risarcire i danni alla (...) srl. -Entità dei danni La CTU licenziata in ordine ai danni causati al mezzo dall'urto contro il pino posto all'esterno della carreggiata, ha accertato in base ai conteggi eseguiti che il costo complessivo delle riparazioni (comprensivo di pezzi di ricambio e di manodopera) ammonta a Euro. 10.609,94 + 11.592,00 Euro. 22.201,94, oltre ad Euro. 4.884,42 di IVA (totale generale Euro. 27,086,36). Si noti che la quantificazione in 20000 Euro della spesa necessaria per le riparazioni era già stata fatta dalla società nel corso degli incontri avvenuti nel marzo 2019 alla presenza anche dei rappresentanti sindacali (secondo la ricostruzione del ricorrente cfr. pagg. 8-9- del ricorso), allorché era stato proposto al (...) di mutare mansioni (non più autista, ma operatore alla motosega) e di contribuire alla sola spesa dei pezzi di ricambio nella misura di 5000 Euro (proposta della società non accettata dal (...) cfr. pag. 9 ric). La gravosità del danno economico è stata confermata dal Consulente d'Ufficio nominato, alla cui relazione tecnica si fa espresso rinvio, essendo le conclusioni cui è pervenuto il CTU corrette, rispondenti ai criteri di valutazione adottati nel settore di riferimento, e così idonee a sostenere la presente decisione. Dalla quantificazione del danno al mezzo effettuata dal CTU si perviene alla conclusione che il comportamento di guida del ricorrente ha comportato per la società gravi danni materiali rapportabili ad una fattispecie tipizzata di comportamento legittimante la sanzione espulsiva ex art. 81 CCNL di riferimento (doc. 2 res.) ossia al danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione idoneo a legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, tanto più che nel caso è stato prodotto un grave nocumento materiale. Ciò posto, è ormai consolidato in sede di legittimità il principio secondo cui in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 17321/2020; Cass. n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019). Nel caso la censura di mancanza di proporzionalità della sanzione sollevata dalla difesa del lavoratore appare a questo giudice infondata: il CCNL prevede il licenziamento in caso di infrazione che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale, anche nel caso di danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione, come in effetti è stato nel caso in esame: - il comportamento di guida tenuto dal ricorrente è stato stigmatizzato dagli agenti che, dopo aver esaminato il fondo stradale (in cui non si ravvisavamo segni di frenata o scarrocciamento) e tenendo conto di tutti gli elementi a loro disposizione (ivi compreso il fatto che il veicolo dopo l'urto ha proseguito la sua corsa per oltre 200 metri perdendo il carico sulla carreggiata), hanno concluso che il (...) aveva perduto il controllo del veicolo, irrogandogli una sanzione amministrativa, mai impugnata; il ricorrente ha addotto inizialmente una versione funzionale a limitare la propria responsabilità non corroborata da prova alcuna e in seguito ha mutato versione cercando di far ricadere la responsabilità dell'accaduto addirittura sul datore di lavoro In punto di mancanza di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto commesso la difesa del ricorrente pone in luce l'assenza di recidiva e l'assenza di negligenza nella causazione del sinistro, osservando che lui era risultato negativo ai test sul tasso alcoolemico, che la velocità tenuta nell'occasione era stata accertata esser nei limiti di quella consentita, che lui aveva rispettato i tempi di guida e di riposo desumendo da ciò che l'evento non poteva che essersi verificato a causa della vetustà del mezzo "che aveva reagito in modo insolito e inaspettato". Ebbene, si ribadisce che in questo modo la difesa dà una versione dell'accaduto completamente difforme da quella resa dal ricorrente agli agenti nell'immediatezza dell'evento: egli non ha mai accennato ad un'anomalia nel mezzo da lui trasportato, ha invece dichiarato essersi trovato di fronte a un (mai provato-presunto) sorpasso di un' auto che gli avrebbe tagliato la strada, potendo così desumersi che in tale situazione egli abbia reagito con una manovra improvvisa che aveva avuto ripercussioni sul rimorchio il quale, infatti, era fuoriuscito dalla carreggiata andando ad impattare contro un pino esterno alla stessa. La fuoriuscita in grande quantità del cippato (che aveva invaso totalmente e in alcuni tratti parzialmente la strada per circa 200 metri) indica le ripercussioni dell'impatto del rimorchio contro il pino. Se il ricorrente avesse avvertito che il mezzo su cui viaggiava non andava bene, oppure anche solo una strana reazione del mezzo, perché non lo ha dichiarato agli agenti nell'immediatezza del fatto, senza limitarsi ad aderire in questa sede all'ipotesi avanzata da rappresentanti delle OOSS negli incontri avvenuti dopo la contestazione disciplinare? Come mai anche in seguito ad essa mai il lavoratore ha parlato di anomalia del comportamento del mezzo, né in cosa sarebbe -se del caso- consistita questa anomalia? Questa anomalia non può esistere solo perché affermata apoditticamente a posteriori e su suggerimento di terzi, ben potendosi piuttosto e più verosimilmente ipotizzare un momento di distrazione del lavoratore durante la guida. Il negligente comportamento di guida del ricorrente e questo atteggiamento soggettivo del lavoratore è tale da mirare il rapporto di fiducia tra lo stesso e la società quantomeno circa il ruolo di autotrasportatore: il ricorrente, ben poteva accettare la proposta avanzata, in sede di procedimento disciplinare, dalla società di essere adibito ad altre mansioni ( segnatamente operatore alla motosega), ma stante il diniego perentorio, circa una eventuale ipotesi di sanzione conservativa, la società si è vista costretta ad irrogare la sanzione massima del licenziamento. Sanzione che per i motivi sopra esposti (principalmente per la grave negligenza tenuta nell'episodio in contestazione e la conseguente compromissione del rapporto fiduciario tra le parti) è da ritenersi proporzionata. Debbono essere ora valutate le censure mosse dalla difesa del ricorrente al procedimento disciplinare: in particolare la difesa del ricorrente sottolinea che mentre nella lettera di contestazione disciplinare del 19.1.2019 la società aveva contestato al ricorrente la responsabilità in ordine all'accaduto e la negligenza nell'aver provocato danni al semirimorchio, successivamente (lettera raccomandata ricevuta dal (...) il 15.3.2019) si era espressa in termini di grave responsabilità per la negligenza e imprudenza con cui aveva condotto l'autocarro da cui era derivato il sinistro e i danni causati, danni quantificati in 19850,00 oltre a gli ulteriori danni per la perdita delle consegne dovute al fermo del mezzo e per la bonifica della strada, ponendo in luce che mentre dalla prima contestazione poteva derivare ai sensi del CCNL applicato solo una sanzione conservativa, alla seconda poteva conseguire il licenziamento per g.m.s. Le censure della difesa di parte ricorrente non appaiono accoglibili: il fatto contestato in effetti resta lo stesso, ma per effetto dell'acquisizione del verbale della polizia municipale e per effetto della valutazione tecnica sulle conseguenze del sinistro, non disponibili nell'immediatezza dell'evento, è emersa la gravità del fatto sia sotto il profilo della negligenza che sotto il profilo della gravità dei danni sul piano economico. Dunque il fatto storico poteva esser contestato immediatamente, ma non così il resto. In particolare la quantificazione dei danni al mezzo non poteva che intervenire dopo accertamenti (a opera di tecnici), volti sia a verificare le parti ammalorate e da sostituire, sia il costo necessario per la sostituzione dei pezzi e anche per la manodopera impiegata per i lavori. Vi è quindi da ritenere che l'intervallo di tempo nelle more trascorso risulta giustificato dalla necessità di svolgere ulteriori indagini occorrenti alla definizione della posizione del lavoratore. Dunque l'integrazione della contestazione disciplinare nel caso non tocca il fatto, ossia la guida negligente e perciò colposa, a cui sono conseguiti danni, poiché la società nulla aggiunge se non la gravità del fatto sotto il profilo della significativa rilevanza dei danni materiali causati alla società, in una situazione di totale carenza di prova circa fattori esterni (sorpasso, segni di frenata...) potenzialmente incidenti sulla dinamica del sinistro. La giurisprudenza è costante nel ritenere che per circostanze nuove, tali cioè da mutare la tipologia dell'illecito, si devono intendere solo quelle che si sostanziano in un fatto storico nuovo in quanto mai contestato, e non quelle che, fermo il fatto contestato inteso nella sua essenza e a prescindere da ogni valutazione della sua gravità, ne consentano un migliore apprezzamento del disvalore e dell'incidenza sullo svolgimento del rapporto. E' ancora da osservare che la giurisprudenza ritiene legittima la rinnovazione della precedente contestazione fino a che non sia stato emesso il provvedimento disciplinare, sempreché essa intervenga in un ambito temporale contenuto e , ove tale contestazione integrativa sia arricchita di ulteriori elementi fattuali per renderla maggiormente specifica, sia consentito al lavoratore di approntare le sue difese su circostanze precise e oggettive. Nel caso in esame al lavoratore in effetti sono stati dati ulteriori termini per le osservazioni, sono intervenuti ulteriori incontri con i rappresentati delle OO.SS. e, solo all'esito e non essendo stato trovato un punto di incontro tra le posizioni della società (che voleva mantenere il sig. (...) alle sue dipendenze, ma con le mansioni di operatore alla motosega -assegnate con racc. del 30.1.2019- e non di autista) e quelle del sig. (...) (che voleva restare, ma solo nel ruolo di autista), è stato disposto il provvedimento disciplinare del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, stante la gravità dell'accaduto e delle sue conseguenze in termini di danni. Conclusivamente le doglianze di illegittimità del licenziamento ai sensi dell'art. 7, comma 2, della L. n. 300 del 1970 non sono fondate e non possono essere accolte -mancata pubblicazione del codice disciplinare Determinante appare sul punto la deposizione della sig.a N.N., impiegata nell'azienda che, escussa come teste, ha dichiarato che il codice disciplinare era affisso in bacheca da tanti anni, tanto che i fogli erano ormai ingialliti. Di nessun rilievo sono le dichiarazioni degli altri due testi, ignari persino dell'esistenza della bacheca, non essendo mai andati nell'officina, come da loro dichiarato. Deve quindi ritenersi provata l'affissione del codice disciplinare, non senza osservare che la dottrina e la giurisprudenza sono da tempo orientate nel senso che, laddove si tratti di comportamenti che possono facilmente essere percepiti come contrari al comportamento a cui il lavoratore è doverosamente tenuto, ossia contrari al c.d. minimo etico, la mancata pubblicazione del codice disciplinare non rende illegittima la sanzione (anche espulsiva). Nel caso il comportamento tenuto dal (...) è stato contrario a quello configurato come doveroso dal CdS: quest'ultimo impone all'autista di un mezzo di guidare a una velocità che sia idonea rispetto alle condizioni della strada, rispetto al mezzo che si sta guidando e anche alla situazione di carico dello stesso, insomma di guidare con la diligenza necessaria per conservarne sempre il controllo. Il fatto che il (...) abbia perso il controllo del mezzo e che egli non abbia provato che questo sia dovuto ad una causa a lui non imputabile è inconfutabilmente espressivo della negligenza con cui, in quella occasione, ha guidato il veicolo a lui affidato dalla (...) srl , causando a questa un pregiudizio di carattere economico grave, anche solo per quanto considerato dal CTU. Essendo stata elevata una sanzione per violazione del Codice della Strada e non impugnato il relativo provvedimento sanzionatorio è fuori discussione la sussistenza della colpa (che si presuppone di grado) grave Conclusivamente, poiché la riconducibilità del sinistro alla negligenza del lavoratore determina per quest'ultimo l'obbligo di provvedere a risarcire i danni-conseguenza, la domanda avanzata in via riconvenzionale dalla (...) srl è fondata e merita accoglimento nei limiti dell'importo riconosciuto dal CTU oltre interessi, come per legge, fino all'effettivo pagamento. RG 170/2021 -Giudizio di opposizione a d.i. Pacifico è il mancato pagamento della busta paga finale in relazione alla quale il ricorrente aveva chiesto l'emissione del d.i. oggetto di opposizione nel procedimento RG 170/2021 La somma di Euro 7560,92 al netto delle trattenute fiscali di legge è quindi dovuta al lavoratore ma, stante l'accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla difesa della (...) srl, la somma predetta dovrà essere sottratta da quanto il lavoratore è tenuto a pagare a titolo di risarcimento danni residuando come dovuto dal lavoratore l'importo di Euro 11.439,08 oltre interessi come per legge Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo in relazione all'attività svolta e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (integrato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2002 e in vigore dal 23 ottobre 2022) con applicazione dei compensi minimi dello scaglione di riferimento stante la relativa semplicità delle questioni trattate e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal D.M. n. 37 del 2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. Le spese della CTU, già liquidate con separato provvedimento, sono poste definitivamente a carico di (...). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'impugnazione del licenziamento proposta da (...) - in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta (...) srl, accerta e dichiara la responsabilità del sig. (...) in ordine al sinistro occorsogli il 17.01.2019 quando era alla guida dell'autocarro di proprietà della società opponente, -accerta che i danni arrecati alla (...) srl ammontano a complessivi Euro 19.000,00 e, previa compensazione con i crediti spettanti al lavoratore a titolo di retribuzione, istituti contrattuali e TFR di cui all'ultima busta paga, ammontanti, al netto delle ritenute di legge, ad Euro 7.560,92 condanna (...), a titolo di risarcimento del danno dovuto, a dare e pagare alla (...) srl la differenza pari ad Euro 11.439,08, oltre interessi come per legge; - revoca e dichiara privo di ogni effetto il decreto ingiuntivo opposto. Condanna altresì (...) a rimborsare alla (...) Srl le spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.629,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a, , oltre al rimborso delle spese della CTU e della consulenza tecnica di parte in sede di CTU, pari al complessivo importo di Euro 2.960,08. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 928/2018 promossa da: (...) S.p.A. (C.F.: (...) con il patrocinio dell'avv. Fr.AL. del Foro di Milano e dell'avv. Si.FA. (mandato anche disgiunto) ed elettivamente domiciliata presso e nello studio del secondo difensore come da procura con domiciliazione allegata al ricorso introduttivo ricorrente e (...) (C.F.: (...) con il patrocinio dell'avv. Sa.MA. del Foro di Pisa ed elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'avv. Ad.MO. giusta procura allegata alla memoria di costituzione resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I) (...) S.p.A. (di seguito anche "la Società") ha agito in giudizio chiedendo al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni "Nel merito: disattesa ogni diversa deduzione, istanza o eccezione, accertata la responsabilità del convenuto per violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) S.p.A. per l'effetto condannare il convenuto a risarcire ad (...) S.p.A. tutti i danni patiti e segnatamente: - il danno da lucro cessante in misura pari ad Euro 20.407,07 o in quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, - il danno per lesione della reputazione commerciale in misura non inferiore a Euro 10.000,00, - il danno per la perdita di chance da mancato rinnovo dei contratti in essere, nonché - il danno emergente rappresentato dai costi e dall'impegno dovuto profondere per gestire estinzioni anticipate, reclami dei clienti ed esposti all'OAM, tutte voci di danno, eccetto la prima, di cui si domanda la liquidazione in equitativa. Oltre interessi ex art. 1282 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo". II) Si è costituito (...) chiedendo che il Tribunale voglia: "preliminarmente dichiarare inammissibile e/o improcedibile il ricorso proposto avverso per omessa attivazione del procedimento di mediazione sempre in via preliminare dichiarare la propria incompetenza per materia, rimettendo la causa le sezioni specializzate di impresa competente per territorio ulteriormente in via preliminare disporre il mutamento del rito in favore del giudice ordinario con assegnazione dei termini di cui all'articolo 427 CPC nel merito respingere la domanda attrice perché infondata in fatto e in diritto, con condanna in via riconvenzionale della stesa al pagamento di una somma a titolo di indennità meritocratica per le ragioni esposte nella memoria di costituzione" La difesa di (...) riguardo alla domanda riconvenzionale volta all'ottenimento della c.d. indennità meritocratica (ex art. 1751 c.c.) ha detto che essa era da quantificare equitativamente in relazione alla media dello sviluppo del volume d'affari del preponente (circa Euro 9.500.000,00) e a quella dei corrispettivi provvigionali (riscossi per circa Euro 600.000,00) che a detta del resistente risulta ampiamente superiore anche al quantum avanzato dalla ricorrente (Cassazione 3.10.2006 numero 21309). III) La causa è stata istruita documentalmente e a mezzo escussione di testi Il ricorso è fondato per quanto le ragioni di seguito indicate La Società ha chiesto al convenuto il risarcimento di danni da Lei asseritamente subiti a seguito di comportamenti - a suo dire illeciti - tenuti dal (...), già suo agente. In particolare la Società, appartenente al gruppo bancario (...) S.p.A. (iscritta al n. 40 dell'albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d'Italia) ha esposto di operare nel settore dell'intermediazione finanziaria, occupandosi di finanziamento dietro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, oppure di delegazione di pagamento sullo stipendio e che il signor (...), agente in attività finanziaria regolarmente iscritto all'Organismo degli Agenti e Mediatori dal 27.12.2012, era stato un suo agente per promuovere la conclusione di queste tipologie di operazioni di finanziamenti, lavorando in esclusiva e in regime di mono-mandato, come prescritto dalla legge. La Società ha dedotto che: - il 30.10.2017 si era dimesso in tronco il responsabile della rete agenti di (...), sig. Barbarossa che subito dopo era stato assunto dalla (...) S.p.A. concorrente di (...); - immediatamente vari agenti (...) avevano comunicato il recesso (ben 16 su 70) e tra essi anche il signor (...) che, come altri 12 di loro, era stato poi contrattualizzato da (...) spa: (...) con pec del 4.12.2017 aveva comunicato il recesso dal contratto di agenzia nel rispetto dei termini (5 mesi) di preavviso; - già il 17 novembre 2017 tuttavia (ossia quando cioè egli era ancora agente di (...)), (...) aveva indotto il sig. (...), cliente di (...), a estinguere anticipatamente il contratto di cessione del quinto in corso, finanziamento che il (...) aveva aperto nuovamente in favore di (...) S.p.A. prima che maturasse il pagamento dei 2/5 (due quinti) delle rate: il suddetto cliente aveva dichiarato a personale di (...) che (...) gli si era presentato come agente di (...), che gli aveva detto che la finanziaria erogatrice sarebbe stata sempre (...). Il sig. (...) tuttavia e solo in un secondo tempo si era reso conto di aver firmato moduli contrattuali in favore di (...) spa. (...), avendo saputo di questi fatti, aveva posto fine al mandato in essere con (...) con raccomandata del 12.3.2018, anticipata via pec, interrompendo l'ulteriore preavviso dovuto e segnalando quanto accaduto sia all'OAM che a (...) S.p.A. a fronte delle evidenze documentali fornitele dal sig. (...); - dal 23.4.2018 il signor (...) era diventato agente di (...) Spa; - durante il periodo di preavviso dato da (...) altri 4 clienti, originariamente da lui procacciati, avevano domandato l'estinzione del contratto di finanziamento in essere con (...) prima che maturasse il termine previsto dall'art. 39 del D.P.R. 180/1995 e avevano poi rinnovato il contratto in favore di (...) che infatti (proprio lei) aveva direttamente bonificato a (...) le somme dovute da clienti e specificate nei relativi conteggi estintivi; - ulteriore reclamo era stato presentato da (...), quando ormai il mandato (e il preavviso) si era concluso: ella aveva esposto che nell'aprile 2018 (...), sconosciuto a (...) ma che si era sempre qualificato come collaboratore di (...) in qualità di agente, le aveva fornito assicurazioni e aveva continuato ad operare tramite l'account (...) fatto questo consentito dal (...). La Società censura i sopra descritti comportamenti tenuti dal sig. (...), rilevandone la natura di gravi violazioni di obblighi contrattuali II) - Il convenuto (...) costituendosi ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni sopra trascritte. In primo luogo, il resistente eccepisce l'improcedibilità della domanda per non aver il ricorrente attivato il procedimento di mediazione prima della proposizione dell'azione giudiziaria. In secondo luogo, la difesa del resistente riconduce la fattispecie dedotta da parte ricorrente all'ipotesi di concorrenza sleale tra imprese (con conseguente competenza delle Sezioni specializzate delle Imprese) per il richiamo fatto dalla ricorrente ai plurimi casi di agenti trasferitisi alla (...) dopo la cessazione del rapporto agenziale con (...) e al danno asseritamente patito a causa di tale passaggio. La difesa del (...) ha contestato la correttezza del rito osservando che, nel caso, la competenza spetta al giudice ordinario e non al giudice del lavoro, dovendosi pertanto disporre il mutamento del rito Infine la difesa del resistente ha contestato la fondatezza nel merito delle domande proposte da (...), in ultimo osservando che le segnalazioni da questa inviate all'OAM (e prodotte unitamente al ricorso introduttivo) relativamente all'operato del sig. (...) non avevano prodotto alcun esito e che la documentazione prodotta da controparte non riportava il nominativo del sig. (...). Inoltre in alcuni casi, non solo si trattava di reclamo riferibile a periodo successivo alla conclusione del rapporto con (...) (caso di (...)-(...)), ma - inoltre--inoltre - i reclami prodotti erano diretto a (...) che non aveva provveduto a far transitare il rimborso delle rate dallo stipendio alla pensione, con il rischio per il cliente di vedersi addebitare ingiusti aggravi di interessi. Lamenta, altresì, la temerarietà della causa e avanza domanda riconvenzionale sulla base della mancata corresponsione al sig. (...), una volta cessato il rapporto con (...), della c.d. indennità meritocratica prevista all'art. 1751 c.c. da quantificarsi equitativamente, sulla base della media del volume di affari prodotto dal preponente e quella dei corrispettivi provvigionali riscossi. A) Eccezione di competenza a favore del Tribunale sezione specializzata delle Imprese L'eccezione avanzata dalla parte resistente è infondata: la domanda avanzata dal ricorrente verte su un asserito inadempimento contrattuale del contratto di agenzia stipulato tra (...) S.p.A. e (...), materia rientrante nelle controversie attribuite al Giudice del Lavoro ex art. 409 c.p.c., comma primo, n. 3 "rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa". B) Eccezione di competenza a favore del Tribunale Ordinario Per le stesse motivazioni sopra citate deve ritenersi infondata l'eccezione volta ad attribuire la competenza in materia al Tribunale Ordinario, dato che il codice di rito attribuisce espressamente tale materia al Giudice del Lavoro e al relativo rito speciale, disciplinato dagli artt. 409 e seguenti. C)-Infondata è anche l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria. Le ipotesi di mediazione obbligatoria sono infatti tassativamente identificate dall'art. 5, comma 1 - bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 e riguardano le controversie vertenti in varie materie, tutte non pertinenti al caso in esame, non potendosi condividere la tesi della difesa del sig. (...) per la quale in questo giudizio si verte di contratti assicurativi, bancari o finanziari. Quest'ultima ipotesi prevista dal art. 5, comma 1-bis, suddetto, si riferisce infatti ai rapporti tra il singolo cliente e l'istituto bancario, assicurativo, finanziario con il quale i rapporti sono intrattenuti, non certo al caso in esame ove si verte di rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e comunque altri rapporti di collaborazione tra un agente e un mandante. D)-Violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) S.p.A. Il resistente, nel periodo in cui era ancora in essere il contratto di mandato tra lo stesso e (...) ((...) è stato agente di (...) dal 27.12.2012 fino al 12.3.2018), si è presentato, in qualità di agente della medesima società, presso l'abitazione del sig. (...) in data 17 novembre 2017 (il quale aveva già sottoscritto dei moduli contrattuali intestati a (...)) per sottoporgli una proposta a firma (...) avente ad oggetto una nuova cessione del quinto dello stipendio, contratto poi concluso dal cliente, previa estinzione del precedente contratto di cessione del quinto sottoscritto con (...). Questa circostanza è confermata dall'esame congiunto del documento n. 7 e del documento n. 8 di parte ricorrente. Dal documento 7 si può apprendere del reclamo del sig. (...) (documento n. 7) in cui il sig. (...) si lamenta della condotta tenuta da tale (...) (verosimilmente il (...), dato che è l'agente della zona di riferimento) che il 17 novembre 2017 si era presentato presso la sua abitazione per fargli firmare dei fogli inerenti al contratto con (...) che il (...) ha poi scoperto essere riconducibili a (...). Dal documento 8 (modulo di proposta contrattuale di (...)) si evince nome e recapito telefonico del convenuto e il contratto è stato successivamente perfezionato, come risulta dai documenti n. 13 b (conteggio di estinzione) e 13 c (accrediti da parte di (...)). In particolare, nel documento 13 c, precisamente a pagina 3 dello stesso, viene riportato l'accredito effettuato mediante bonifico da parte di (...) in favore di (...), avente la seguente causale "estinzione anticipata (...) Matteo" per un importo complessivo pari ad Euro 10.644,58. Quest'ultimo aspetto è stato confermato anche in sede di istruttoria, mediante l'escussione del teste (...) addetta al back office presso (...): la teste ha dichiarato di aver avuto un contatto telefonico con il sig. (...) circa una richiesta di informazioni da parte di quest'ultimo in merito allo stato della sua posizione presso (...), e che lei gli aveva riferito che la sua posizione era stata estinta a seguito di un versamento effettuato da (...). Si ritiene che la documentazione indicata ed esaminata unitamente alle dichiarazioni rese dalla teste (...), siano di per sé sufficiente a dimostrare la violazione delle disposizioni codicistiche che prevedono l'obbligo di esclusiva e il dovere di lealtà e buona fede, così come sancito dall'art. 1743 c.c. ovvero "il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo di affari di più imprese in concorrenza tra loro." Addirittura, il divieto imposto all'agente dall'art. 1743 c.c. di trattare per lo stesso ramo gli affari di più imprese concorrenti tra loro non va necessariamente riferito alla produzione o commercializzazione di identici prodotti da parte di più imprese: è sufficiente, infatti, che queste si rivolgano a una clientela anche solo potenzialmente comune, sicché l'una possa ricevere danno dall'ingresso e dall'espansione dell'altra sul mercato a cui entrambe si rivolgono (o prevedibilmente si rivolgeranno). Degna di nota sul punto è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 30065/2019 secondo cui "anche se i prodotti commercializzati dalle due aziende operanti nel settore edile erano diversi, essi potevano essere impiegati alternativamente per la realizzazione di manufatti: le due imprese erano, pertanto, da considerarsi in concorrenza tra loro". Risulta altresì violato l'obbligo posto a carico dell'agente, che nell'esecuzione dell'incarico deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede, ai sensi del primo comma dell'art. 1746 c.c. Le condotte sopra descritte violano anche quanto disposto nell'art. 128-quater, comma 4, del Testo Unico Bancario, nonché quanto riportato nel mandato sottoscritto dalle parti, segnatamente nella prima parte del paragrafo 2.5. Prive di pregio sono le doglianze avanzate dalla difesa del sig. (...), che ritiene che le circostanze sopra evidenziate non siano state confermate, non essendosi il teste (...) presentato a deporre, e avendo la difesa di (...) rinunciato a sentirlo, come si evince dall'ordinanza del 3 maggio 2022. In proposito va osservato che, come risulta dal verbale di udienza del 25 marzo 2022, relativamente al teste (...) (di cui era stato disposto l'accompagnamento coattivo) la Stazione dei Carabinieri di Badi a Settimo ha trasmesso certificato medico comprovante lo stato di salute del (...) e l'impossibilità per lui di spostarsi dalla sua residenza, ubicata nella provincia di Firenze. La mancata escussione del teste risulta esser dovuta a un legittimo impedimento del teste che dal certificato prodotto il 24.3.2022 risulta impossibilitato a spostarsi dal proprio domicilio per importanti motivi di salute e sempre dalla documentazione in atti risulta esser stato ricoverato il 26 settembre 2021 (per insufficienza respiratoria con scompenso cardiaco). Dunque egli non si è deliberatamente sottratto all'escussione e, preso atto della rinuncia all'escussione del suddetto teste, stante la documentazione sopra riportata e contestualmente esaminata, questo Giudice ritiene di non condividere le asserzioni di controparte contenute nelle note conclusive autorizzate. Risulta poi dalla documentazione presente in atti, nonché da quanto appreso in sede di escussione testimoniale, come l'agente (...) si sia avvalso per lo svolgimento della sua attività professionale di un collaboratore, tale (...), il cui nominativo non è stato comunicato né a (...), né all'Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi, meglio conosciuto con l'acronimo OAM. Nello specifico, ciò risulta dalla mail inviata all'indirizzo (...) da (...) per conto della moglie (...) in data 5 maggio 2018 (documento n. 14 di parte ricorrente) avente ad oggetto un reclamo inerente a un contratto di cessione del quinto: dal contenuto della stessa si evince che il sig. (...) ha intrattenuto rapporti con la cliente (...) per conto di (...). Tale circostanza è stata confermata in sede di escussione testimoniale dalle dichiarazioni rese dal sig. (...), il quale, seppur non ricorda il nome dell'agente, conferma il contenuto del documento 14 sopra citato, oltre a confermare che l'indirizzo (...) corrisponde al suo indirizzo di posta elettronica. Questo documento, confermato dal teste (...), deve essere letto in combinato disposto con il documento n. 17 di parte ricorrente - mail di risposta al reclamo della sig. (...) inviata da (...) ed indirizzata a (...) - dove il (...) precisa che la sua mail era riconducibile al dominio del sig. (...) ed afferma, inoltre, di essere dipendente del ricorrente. Per quanto sopra esposto si ritiene integrata la violazione dell'art. 128 novies, comma 3, TUB che così dispone:" i mediatori creditizi e gli agenti in attività finanziaria diversi da quelli indicati al comma 2 trasmettono all'Organismo di cui all'articolo 128 undeaes l'elenco dei propri dipendenti e collaboratori", nonché di quanto disposto nel paragrafo 4.3 del mandato (documento n. 2 di parte ricorrente). Le condotte illecite sopra richiamate, giustificano il recesso anticipato dal rapporto ad opera di (...) del 12.3.2018, recesso intervenuto prima dello spirare del termine di preavviso di 5 mesi, dato dal ricorrente a seguito del recesso dal contratto di agenzia presentato a mezzo pec in data 4 dicembre 2017 (il quale sarebbe divenuto efficace in data 4 maggio 2018). E) Domanda riconvenzionale: riconoscimento dell'indennità meritocratica di cui all'art.1751 c.c. Tenuto fermo quanto sopra esposto, va considerato quanto disposto dall'art. 1751 c.c., che prevede, all'atto di cessazione del rapporto, il riconoscimento da parte del preponente di un'indennità a favore dell'agente al ricorrere di determinate condizioni tipizzate nell'articolo in parola, e prevede, al secondo comma, i casi in cui l'indennità non è dovuta. Tra questi vi rientra il caso in cui "il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto". Questa giudicante ritiene che quest'ultima fattispecie si sia integrata per le violazioni contrattuali e del dettato normativo poste in essere dal sig. (...), per cui egli è reso protagonista di una inadempienza contrattuale a lui ascrivibile, inadempienza che, stante la sopra descritta violazione del vincolo fiduciario che legava il sig. (...) alla società finanziaria (...), ha carattere di tale gravità da non consentire la prosecuzione del rapporto di agenzia. Si ricorda inoltre come nel contratto di agenzia "il vincolo fiduciario assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, e ciò per la maggiore autonomia di gestione della prestazione resa dall'agente per luoghi, tempo, modalità e mezzi in funzione del conseguimento delle finalità aziendali. Ne consegue che nel rapporto di agenzia basta un fatto di minore gravità a legittimare un recesso per inadempimento dell'agente" (Cass. 6915/2021) F) risarcimento del danno - lucro cessante Giova ricordare quanto affermato dalla Suprema Corte in tema di risarcimento del danno, con particolare riferimento al lucro cessante. Gli ermellini insegnano che serve una prova rigorosa e il giudice deve procedere alla liquidazione solo sulla base di una valutazione di tipo probabilistico e non di mera possibilità (tra le altre si cita l'ordinanza resa dalla Suprema Corte in data 8 marzo 2018 la n. 5616). Il danno, pertanto, non può essere riconosciuto automaticamente, bensì il ricorrente deve fornire la prova dell'esistenza di elementi oggettivi da cui poter quantomeno desumere l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Orbene, sulla base delle produzioni documentali e dell'istruttoria espletata, nonché delle considerazioni sopra riportate e riguardanti l'inadempimento contrattuale posto in essere dal (...), emerge che: - (...), a seguito dell'estinzione anticipata da parte sig. (...) del finanziamento cessione del quinto dello stipendio a fronte della sottoscrizione di un nuovo finanziamento con (...), non si è vista corrispondere gli interessi sulla somma in precedenza finanziata per la residua parte del rapporto, che dal documento 13 b di parte ricorrente risulta pari a Euro 4.362,52. - la stessa (...) a fronte dell'estinzione ha perso la possibilità di rinegoziare tale finanziamento; - (...) ha però incassato la cifra risultante dal conteggio di estinzione anticipata (vedasi documentazione in atti); - i clienti (...), (...), (...) e (...) hanno estinto i loro finanziamenti, ma non è stata fornita la prova, neppure presuntiva, che le suddette estinzioni siano dovute ad attività poste in essere dal (...); - i clienti godevano di un diritto potestativo consistente nel poter estinguere anticipatamente, a loro insindacabile giudizio, e per le ragioni più varie, il finanziamento in essere al raggiungimento di una determinata percentuale di rate corrisposte. In tale situazione, stante l'impossibilità di liquidare esattamente il danno sulla base degli elementi di prova forniti, il danno è da determinarsi in via equitativa sulla base di presunzioni che dagli stessi possono essere ricavate. Così si è espressa la Corte di Cassazione: "occorre che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'id quod plerumque accidit - connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità" (Cassazione civile, sez. III, 8 novembre 2007, n. 23304). Orbene nel caso l'unico dato certo che risulta essere stato provato e non contestato è l'ammontare degli interessi che sarebbero stati dovuti dal sig. (...) qualora il rapporto tra lo stesso e (...) S.p.A. non si fosse estinto anticipatamente, pari ad Euro 4.362,52 come risulta dal documento n. 13 b, allegato da parte ricorrente, mentre non vi sono elementi per presumere che il cliente ove non avesse estinto il finanziamento lo avrebbe rinegoziato. Sulla base di queste considerazioni la cifra che può essere liquidata a titolo di danno appare quindi l'importo di Euro 4.362,52 oltre accessori di legge. G) risarcimento del danno - danno per la lesione della reputazione commerciale Più volte insegna la giurisprudenza di legittimità: "Il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria che ricomprende in sé tutte le possibili componenti del pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale; esso deve liquidarsi in modo omnicomprensivo, evitando duplicazioni risarcitone" Cassazione n. 4617/2019. Sempre secondo l'insegnamento della Corte di legittimità, che anche di recente si è espressa in merito a tale voce di danno evidenziando che "il danno di immagine e della reputazione non sussiste in re ipsa dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sodale della vittima. (Cassazione civile sez. III, sent. 4 del 18/02/2020), non si può prescindere da un esame specifico del presumibile pregiudizio subito dalla vittima sulla base di ciò che è stato dedotto e dimostrato. Orbene, posto che il danno all'immagine aziendale può derivare ad esempio, da un comportamento diffamatorio di un soggetto esterno all'azienda o da un comportamento scorretto da parte di un dipendente e posto che questo danno consiste nella diminuzione di considerazione da parte dei consumatori e di altre società con cui l'azienda interagisce, occorre che l'atto lesivo sia immediatamente percepibile e si ripercuota sull'azienda stessa. Sulla base delle risultanze emerse e sopra compiutamente descritte emerge che, l'unico comportamento inequivocabilmente provato il quale può essere preso in considerazione a livello presuntivo al fine liquidare tale voce di danno sia quello addebitabile al sig. (...) collaboratore del (...) mai segnalato come tale (...). In particolare, lo stesso ha sicuramente intrattenuto un rapporto con tale sig.ra (...) cliente di (...) per conto della stessa, mediante un contatto mail riconducibile al dominio del (...), che per stessa ammissione del (...) risulta essere dipendete del ricorrente, questo implica un danno reputazionale per la società. Il danno alla reputazione/all'immagine della società risulta tuttavia contenuto, stante la modesta diffusione dei fatti idonei a determinare questa perdita di reputazione/immagine aziendale. Nonostante la posizione "sociale" di cui senz'altro gode la società finanziaria convenuta, sulla base degli elementi concreti allegati ed emersi nel corso del giudizio non è possibile fare riferimento ad altri criteri presuntivi. Com'è noto la Cassazione, al fine di poter determinare la voce di danno in via equitativa, offre i seguenti criteri: "la sussistenza di un danno non patrimoniale in concreto subito, dunque, deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (fr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del26/10/2017)". Sulla base di quanto fin qui esposto, e tenuto conto che in materia di danno alla reputazione/immagine aziendale non può che essere liquidato in via equitativa si ritiene equa a titolo di risarcimento per tale voce di danno addebitabile al sig. (...), l'importo di Euro 1.500,00. Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo, vista la nota spese e ritenuta la medesima non congrua dovendosi procedere avendo riguardo a quanto riconosciuto, ai sensi del DM 55/2014 tenuto conto dell'attività svolta, dei criteri e parametri di cui al DM 55/2014. Vengono quindi applicati i compensi medi dello scaglione di riferimento e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal DM 37/2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accerta la responsabilità del convenuto per violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) spa. - Condanna il sig. (...) a risarcire ad (...) S.p.A. il danno da lucro cessante in misura pari ad Euro 4.362,52 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo e oltre il danno per lesione della reputazione commerciale in misura pari ad Euro 1.500,00 oltre interessi dalla presente pronuncia al saldo effettivo. - Rigetta la domanda riconvenzionale del convenuto. Condanna altresì (...) a rimborsare alla società ricorrente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 5.131,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 13 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 628/2021 promossa da: (...), con l'avv. St.Ba. Contro INPS Rappr e dif dall'avv. Qu.Ro. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE All'esito di istruttoria documentale, la causa, previo deposito di note scritte della sola parte ricorrente, veniva discussa e decisa con sentenza contestuale. Con ricorso depositato telematicamente in data 7.09.2021, la ricorrente (...) ha convenuto in giudizio l'INPS affinché il Tribunale voglia: "1. accertato e dichiarato che nella base di calcolo dell'indennità di maternità spettante alle lavoratrici assistenti di volo devono essere considerati integralmente tutti gli elementi retributivi costituenti la retribuzione del mese antecedente l'inizio del congedo obbligatorio, dichiarare il diritto della ricorrente ad ottenere la rideterminazione degli importi dovuti a titolo di indennità di maternità; 2. per l'effetto, condannare, l'INPS -Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., a corrispondere alla ricorrente l'importo complessivo lordo di Euro 7.306,26 a titolo di differenza tra quanto dovuto e quanto percepito per il periodo 02.07.2018/11.09.2019, oltre la maggior somma tra interessi e rivalutazione dalle scadenze, ovvero in subordine la maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa, anche attraverso CTU tecnico-contabile. In via subordinata, 3. accertare e dichiarare che i criteri adottati da INPS per la liquidazione dell'indennità di maternità alla ricorrente sono discriminatori in quanto adottati in violazione degli artt. 22 e 23 T.U. 151/2001, nonché delle altre norme nazionali e comunitarie richiamate in ricorso, nonché accertare e dichiarare che l'erogazione della predetta indennità di maternità nei termini censurati costituisce comportamento discriminatorio anche ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2006 e della Direttiva 54/2006 CE; 4. Per l'effetto, accertata l'illegittimità e la discriminatorietà del criterio di calcolo adottato per la liquidazione dell'indennità di maternità nei confronti delle lavoratrici assistenti di volo, dichiarare il diritto della ricorrente al risarcimento del danno e condannare l'INPS - Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere alla sig.ra C.C. l'importo complessivo lordo di Euro. 7.306,26 pari alla differenza tra quanto la ricorrente avrebbe percepito se fosse stata utilizzata la medesima base di calcolo presa come parametro per le altre lavoratrici e quanto effettivamente erogato dall'INPS per tutto il periodo del congedo obbligatorio, nonché interessi e rivalutazione dalla messa in mora, ovvero in subordine la maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa, anche attraverso CTU tecnico-contabile o che verrà ritenuta equa e/o di giustizia. Con vittoria di spese, competenze e onorari, oltre IVA e CPA, da distrarsi nei confronti dello scrivente difensore che si dichiara antistatario". L'INPS, costituitosi tempestivamente in giudizio, ha contestato "integralmente quanto dedotto ed eccepito ex adverso, chiedendo il rigetto della pretesa avanzata, rilevandone l'inammissibilità ed infondatezza". In particolare, ha chiesto a questo Giudice di: "1) dichiarare inammissibile la domanda per intervenuta decadenza dell'azione ex art.47 D.P.R. n. 639 del 1970; 2) dichiarare l'intervenuta prescrizione annuale del diritto di credito vantato; 3) dichiarare la domanda comunque infondata nel merito e pertanto rigettarla. Con vittoria di spese ed onorari di causa". Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. La ricorrente, dipendente dal 13.1.2009 di (...) Spa (ora in (...)) con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, part time, in qualità di assistente di volo, mansione che ha sempre svolto in via stabile e continuativa su scali italiani ed esteri, lamenta di aver percepito l'indennità di maternità per un ammontare notevolmente inferiore rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente. In particolare, secondo la ricorrente ciò configurerebbe un comportamento discriminatorio, poiché nell'erogazione dell'indennità di maternità, l'INPS (per il tramite del proprio polo ex- Ipsema di Genova), nella sua veste di gestore (a decorrere dal 1.01.2014 e in subentro all'INAIL, ai sensi dell'art.10. comma 3, del D.L. n. 76 del 2013, convertito con modificazione nella L. n. 99 del 2013), le avrebbe riservato un trattamento deteriore, dal momento che l'Istituto previdenziale nella determinazione del quantum avrebbe erroneamente conteggiato, nella retribuzione media globale giornaliera, l'indennità di volo solo nella misura del 50% anziché nella misura dell'80%. Sosteneva come nella base del calcolo delle voci retributive da utilizzare per la quantificazione della misura dell'indennità di maternità doveva essere ricompreso l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello in cui era iniziato il congedo, senza limitazioni quantitative non previste da alcuna norma. Secondo il conteggio predisposto dalla ricorrente (ed allegato) avrebbe percepito una indennità di maternità di Euro 16.011,55, anziché di Euro 23.317,81 (quanto avrebbe dovuto percepire), risultando quindi creditrice dell'ente previdenziale per l'importo complessivo di Euro 7.306,26. La ricorrente fonda la sua domanda sulle previsioni di cui agli artt. 22 e 23 del D.Lgs. n. 151 del 2001 dai quali non si desumerebbe un'interpretazione restrittiva nella determinazione della misura dell'indennità, come operata dall'INPS. Infine, la ricorrente agisce ai sensi dell'art. 25 D.Lgs. n. 198 del 2006 nei confronti dell'INPS richiamando la discriminazione rinvenibile nella condotta dell'Istituto previdenziale ed invocando la tutela risarcitoria conseguente all'accertamento della condotta discriminatoria. Con riferimento alla domanda principale occorre tenere distinta la richiesta di accertamento della natura discriminatoria della condotta dell'Istituto previdenziale dalla richiesta di risarcimento così come configurata nel ricorso. Questo giudicante, pur ritenendo discriminatoria la condotta dell'INPS, il quale non ha computato per intero l'indennità di volo nel calcolo dell'indennità di maternità, deve constatare che tale condotta non è attualmente in atto e nessuna delle conseguenze invocate e delle rivendicazioni risarcitorie così come avanzate nelle conclusioni del presente ricorso possono essere accolte atteso che devono ritenersi fondate le eccezioni preliminari di decadenza e di prescrizione sollevate dall'ente previdenziale. La Corte di Cassazione (v. sentenza n. 11414 del 2018; ordinanza n. 20673 del 2020) ha ritenuto erronea la modalità di calcolo attuata dall'ente previdenziale INPS, il quale applica gli artt. 22 e 23 del D.Lgs. n. 151 del 2001 (c.d. "T.U. sulla maternità e paternità"), in combinato disposto con l'art. 12, comma 10, della L. n. 153 del 1969 (così come modificato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 314 del 1997), sulla scorta dell'interpretazione fornita da un interpello del Ministero del Lavoro (n. 63 del 23 dicembre del 2008), secondo la quale ai fini del computo dell'indennità di maternità, la base imponibile sarebbe la retribuzione costituita dagli stessi elementi che vengono considerati ai fini della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per le indennità di malattia, ove la voce indennità di volo viene computata al 50%. Inoltre, altrettanto non condivisibile appare l'indicazione per la quale l'indennità di volo consista in una "diaria" e che, come tale, non rappresenterebbe una voce retributiva e conseguentemente dovrebbe essere esclusa dal calcolo della retribuzione. Infatti, tale voce, nonostante il nomen "indennità", compare nella parte retributiva della busta paga e non ha natura indennitaria. Va precisato invero che sul punto oggetto di questa controversia si rinviene copiosa giurisprudenza di merito (per altro ad oggi tutt'altro che pacifica), richiamata ed allegata sia dalla parte ricorrente sia dalla parte resistente. A sostegno della tesi concernente la natura discriminatoria del calcolo compiuto dall'INPS, questo giudicante si riporta integralmente alla motivazione enunciata dal Tribunale di Tivoli - sez. lavoro (sentenza del 12.01.2021), avente ad oggetto un caso analogo: "condividendosi al riguardo quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione secondo cui: "l'art. 22 del TU 151/2001 disciplina, in generale, il trattamento economico e normativo del congedo di maternità, stabilendo, quanto a quello economico (comma 1), che lo stesso sia "pari all'80% della retribuzione" e, quanto agli aspetti normativi (comma 2), che il trattamento sia corrisposto "con le modalità di cui al D.L. 30 dicembre 1979, n. 633, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33" e con gli "stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie". Il rinvio ai "criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie", diversamente da quanto ritenuto dall'INAIL, deve intendersi riferito esclusivamente agli istituti che disciplinano l'indennità di malattia, come, per esempio, in tema di domanda amministrativa o di regime prescrizionale (cfr., in motivazione, Cass. n. 2865 del 2004). Per il resto, l'indennità di malattia gode di una propria disciplina "autonoma in ordine alla specifica indicazione dell'evento protetto, dei soggetti beneficiari e del livello di prestazioni garantite all'avente diritto. Soprattutto, vi è differenza tra le due tutele in ragione delle modalità di finanziamento" (in motivazione, Cass. n. 24009 del 2017). La disciplina del "calcolo" del trattamento economico di maternità e dunque delle modalità di determinazione del quantum - si rinviene, infatti, esclusivamente nel successivo art. 23 che, come correttamente interpretato dalla Corte di Appello, richiama solo gli "elementi" (id est voci retributive) che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità. Ciò perché la norma stabilisce una specifica disciplina di calcolo, prevedendo espressamente che la "retribuzione parametro", da prendere a riferimento per determinare, nella misura dell'80% di essa (come stabilito dal precedente art. 22), l'indennità medesima (recte di malattia), sia costituita dalla "retribuzione media globale giornaliera" che si ottiene dividendo per trenta l'importo "totale" della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo. In questo senso, appare corretto anche il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla pronuncia di questa Corte n. 8469 del 2003 che, sia pure in relazione a fattispecie diversa (disciplinata, ratione temporis dalla L. n. 1204 del 1971, art. 16 e relativa a lavoratrici dello spettacolo) ma assimilabile, per analoghi riferimenti letterali, al contenuto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 23, affermava che la misura dell'indennità di maternità andasse determinata in relazione alla "retribuzione media globale giornaliera percepita" restando, invece, esclusa "la possibilità di computarla facendo applicazione del sistema di calcolo stabilito per una indennità intrinsecamente diversa quale quella di malattia". A ciò è da aggiungere che, come sottolineato anche dai giudici di merito, viene in rilievo la particolare tutela della maternità, che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 23 è finalizzato a garantire, in armonia con gli artt. 30,31 e 37 Cost., privilegiando, anche in via di interpretazione sistematica, un criterio di maggior mantenimento possibile del livello retributivo immediatamente precedente al congedo rispetto a criteri che, come quelli per il computo dell'indennità di malattia, comportano una attribuzione parziale di alcune voci retributive. Ciò risulta anche conforme agli indirizzi costituzionali secondo i quali l'indennità è diretta ad assicurare alla donna lavoratrice la possibilità di vivere l'evento senza una radicale riduzione del tenore di vita (Corte Costituzionale n. 132 del 1991 e n. 271 del 1999) ed, altresì, agli indirizzi e alla legislazione Europea (a partire, in particolare, dalle direttive n. 86/613/CEE, n. 92/85/CE e n. 96/34/CE) ove da tempo, sia a livello dell'Unione nel suo complesso sia da parte dei singoli Stati, si riconosce che la tutela della maternità può favorire l'aumento dell'occupazione femminile che, a sua volta, può avere ricadute positive sulla sostenibilità del modello sociale, sul miglioramento del tasso di crescita del sistema economico e sulla riduzione del rischio di povertà delle famiglie in generale (in motivazione, Cass. n. 5361 del 2012)". (Cassazione Civile sez. lav., 11/05/2018, n. 11.414)". Alla suddetta motivazione questo giudicante si conforma non essendo stati dedotti in causa motivi per discostarsene. Nonostante quanto appena osservato circa la sussistenza dell'elemento discriminatorio, questo giudicante ritiene di accogliere le eccezioni di decadenza e prescrizione sollevante dall'ente. Quanto all'accoglimento dell'eccezione di decadenza dell'azione giudiziaria, si rammenta che l'art. 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 e successive modificazioni e/o integrazioni, dispone che "Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88, l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione". L'ultimo comma della norma precisa inoltre che: "Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte". Dal citato dettato normativo, si evince che, nel caso di specie, la parte ricorrente risulta decaduta, dal momento che ha ottenuto l'ultimo pagamento in data 11.9.2019 e non ha nel termine previsto ex art. 47 proposto nei confronti dell'INPS una specifica domanda né amministrativa né giudiziale contestando l'asserito parziale inadempimento e/o l'erroneità del calcolo dell'indennità di maternità da parte dell'Istituto previdenziale. La ricorrente ha depositato il ricorso amministrativo in data 6.9.2021 e il ricorso presso questo Tribunale in data 7.9.2021, quindi ben oltre il termine, pertanto, la ricorrente è incorsa in decadenza. Da ultimo si specifica, come è noto e come anche la parte resistente rileva che l'istituto della decadenza in ambito previdenziale assume natura e valenza non solo processuale, ma anche sostanziale di ordine pubblico, " ... in quanto annoverabile tra (le discipline) dettate a protezione dell'interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti l'erogazione di spese gravanti su conti pubblici ..." ( Cass. civ. - Sez. 6-L, Ordinanza n. 28639 del 09/11/2018). Per i suddetti motivi, questo giudicante dichiara inammissibile la domanda per intervenuta decadenza dell'azione ex art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970. Per quanto riguarda l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione si richiama l'art. 6 L. n. 138 del 1943, il quale prevede che il diritto all'indennità di maternità sia in ogni caso soggetto al termine annuale di prescrizione (sulla prescrizione annuale l'orientamento della giurisprudenza di legittimità appare consolidato, cfr. ex multiis Cass. 24031/2017; 5572/2012; da ultimo Cass. 25400/2021). Nel caso di specie, a fronte di ricorso giudiziario depositato il 7.9.2021 la ricorrente ha goduto del congedo di maternità nel periodo 2.7.2018 - 11.9.2019 e l'unico atto di messa in mora astrattamente idoneo a produrre l'interruzione della prescrizione sarebbe configurato dalla lettera del 7.3.2020. Il ricorso tuttavia è stato depositato oltre il termine, quando la prescrizione era già maturata. Al tal proposito, ancora, si condivide integralmente la pronuncia del già ampiamente citato Tribunale di Tivoli: "Nel caso di specie, la ricorrente ha percepito l'indennità di maternità - la cui misura viene in questa sede contestata - nel periodo che va dal 6 maggio 2014 al 3 novembre 2015 e il ricorso è stato depositato in data 3 luglio 2019. Inoltre, l'unico atto di messa in mora astrattamente idoneo a produrre l'interruzione della prescrizione è la lettera del 21 gennaio 2019 quando la prescrizione era già maturata. Sulla base di tali circostanze di fatto e, visto il contesto normativo che regola la presente fattispecie, la domanda non può che dirsi infondata; essendo maturati sia i termini di decadenza che di prescrizione, infatti, il diritto invocato è definitivamente estinto. Al riguardo nessun rilievo può ascriversi al fatto che si contesti un asserito comportamento discriminatorio da parte dell'Istituto previdenziale e del datore di lavoro posto che è la stessa ricorrente a riconoscere come la domanda sia volta ad ottenere "il riconoscimento del diritto della lavoratrice alla corresponsione della prestazione previdenziale parzialmente negata dall'INPS." Ora è evidente che un diritto ormai estinto non può essere riconosciuto come spettante. D'altra parte l'azione antidiscriminatoria non può mutare la natura del diritto rivendicato, sottraendolo alla relativa disciplina e rendendo ogni diritto imprescrittibile. Se, infatti, può dirsi imprescrittibile l'azione dichiarativa che accerta l'avvenuta discriminazione, allo stesso tempo non può dirsi imprescrittibile l'azione volta a riconoscere il diritto violato in conseguenza della perpetrata discriminazione; esattamente come si predica l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, ma la prescrittibilità dell'azione di ripetizione di quando consegnato indebitamente in forza del contratto nullo. O ancora l'imprescrittibilità dei diritti della persona, ma la prescrittibilità dell'azione di risarcimento del danno per l'avvenuta lesione degli stessi. Si consideri, inoltre, che una diversa conclusione sarebbe difficilmente armonizzabile con il nostro sistema giuridico; slegare completamente il diritto azionato dalla disciplina di riferimento quale mera conseguenza della natura discriminatoria della lesione patita, vorrebbe dire riconoscere una prestazione anche a distanza di moltissimi anni dal prodursi dei fatti costitutivi del diritto stesso negando del tutto le esigenze di certezza dei rapporti giuridici che sottendono le disposizioni in tema di prescrizione e decadenza. Detta conclusione è ancora più inaccettabile nel caso di specie considerato che nella materia previdenziale le norme in tema di prescrizione e decadenza sono "dettate a protezione dell'interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti l'erogazione di spese gravanti su conti pubblici" (cfr. Tribunale di Tivoli sez. lav., 12.01.2021; Tribunale Ivrea sez. lav., 1.09.2020; Tribunale Milano sez. lav., 18.02.2020). Alla luce di quanto sopra esposto, tale interpretazione appare dirimente, poiché coerente con una valutazione di carattere sistematico ed in ossequio al generale principio di certezza del diritto. Come sottolineato dalla recente sentenza del Tribunale di Tivoli e sostenuto altresì dal Tribunale di Verona, infatti, "...le azioni dichiarative o di mero accertamento (quale quella della discriminatorietà di una condotta, così come quella di nullità) sono imprescrittibili ed hanno effetto retroattivo, ripristinando ex tunc la situazione giuridica preesistente (nel caso di specie è coerente "la rimozione degli effetti")". In riferimento a tali situazioni si richiama l'orientamento della Cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 15669 del 2011), che con riferimento alla decorrenza della prescrizione dell'azione di indebito in relazione ad un contratto nullo, ha affermato: "Del resto siffatta opzione ermeneutica appare l'unica in grado di garantire l'unitarietà e l'intrinseca coerenza del sistema, in ragione della sua omogeneità con il principio, assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, per cui la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di quanto pagato, in applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, decorre, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., dal giorno del pagamento stesso, non già dalla data della pronuncia d'incostituzionalità o della pubblicazione della medesima, configurandosi la vigenza della norma viziata da incostituzionalità non ancora dichiarata, come una mera difficoltà di fatto, che non impedisce la possibilità di far valere la pretesa restitutoria" (cfr. Cass. civ. 15 marzo 2001 n. 3796; Cass. civ. 1 giugno 2000 n. 7289; Cass. civ. 19 maggio 2000 n. 6486)". In maniera ancora più chiara la Corte di Cassazione con la recente sentenza 12443/2020 del 24.6.2020, nell'enunciare il principio di diritto ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c. in relazione al trattamento discriminatorio riservato ai docenti a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato ed alla natura e prescrizione dei crediti conseguenti, ha affermato che: "ciò implica che la pretesa che il singolo fa valere, nel rivendicare le stesse condizioni di impiego previste per il lavoratore comparabile, partecipa della medesima natura della condizione alla quale l'azione si riferisce e, pertanto, qualora la denunciata discriminazione sia relativa a pretese retributive, la domanda con la quale si rivendica il trattamento ritenuto di miglior favore va qualificata di adempimento contrattuale e soggiace alle medesime regole che valgono per la domanda che l'assunto a tempo indeterminato potrebbe, in ipotesi, azionare quale quella stessa obbligazione non fosse correttamente adempiuta". Pertanto, si condivide la conclusione per cui: "pur se l'azione contro la discriminatorietà mira a ripristinare la condizione della parte che ha subito la medesima, non può di fatto far sorgere un diritto del tutto svincolato dagli istituti normativi che improntano il nostro sistema giuridico e tale da modificare il regime prescrizionale introducendone uno più favorevole" (v. Tribunale di Tivoli sez. lav., 12/01/2021). Nel caso di specie la parte ricorrente, pur invocando la condotta discriminatoria, ambisce ad ottenere soltanto una liquidazione del risarcimento del danno, domanda che però non può essere accolta a causa delle maturate preclusioni previste dalla legge. Alla luce delle considerazioni e delle motivazioni sopra esposte, pur dovendosi ritenere discriminatoria la scelta della parte resistente (INPS) di non includere l'indennità di volo nella misura del 80%, insieme agli altri elementi retributivi costituenti la retribuzione del mese antecedente l'inizio del congedo di maternità, non può ritenersi conseguibile la tutela richiesta nelle conclusioni di cui al presente ricorso. Le spese di lite, stante la novità della questione e i contrasti giurisprudenziali in atto, possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Spese compensate. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 5 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, composto dai Sigg.ri Magistrati: 1) Gerardo Boragine - Presidente relatore 2) Giampaolo Fabbrizzi - Giudice 3) Alice Croci - Giudice riunito in Camera di Consiglio all'udienza del 7 giugno 2022 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado di giurisdizione iscritta al n. ...2021 R.G. avente ad oggetto: divorzio contenzioso - scioglimento del matrimonio tra V.M.C., nata a L. (L.) il (...) elettivamente domiciliata in Lucca (LU), piazza..., presso lo studio dell'avvocato..., che la rappresenta e difende giusta procura in atti - RICORRENTE - e M.S., nato a C. (L.) il (...) elettivamente domiciliato in Lucca (LU), piazza della..., presso lo studio dell'avvocato..., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti - RESISTENTE - con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO Svolgimento del processo V.M.C. proponeva ricorso al Tribunale di Lucca affinché venisse dichiarato lo scioglimento del matrimonio civile contratto in Altopascio (LU) il 2 luglio 2005 con M.S., debitamente trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di A. (LU) al Numero 8, Parte II, Serie C, Anno 2005. Dall'unione coniugale nascevano, rispettivamente in data 27 ottobre 1998 ed in data 6 maggio 2011, la figlia A., maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, e il figlio D., ancora minorenne. La ricorrente, in particolare, richiedeva l'affidamento condiviso del figlio minore D., con la previsione della facoltà per il padre di tenerlo con sé a fine settimana alternati e l'obbligo a carico del medesimo di contribuire al di lui mantenimento mediante la corresponsione di Euro 250,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie. A seguito del ricorso, ritualmente notificato, M.S. depositava memoria difensiva, con la quale, pur non opponendosi alla domanda di scioglimento del matrimonio, richiedeva la conferma delle condizioni già concordate in sede di separazione consensuale. Nel corso dell'udienza presidenziale, tenutasi in data 7 giugno 2022, il Presidente del Tribunale, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, prendeva atto che le parti avevano raggiunto un accordo. Pertanto, il Presidente disponeva il passaggio alla fase di merito, nominando se stesso Giudice Istruttore, e fissava in prosecuzione la prima udienza di comparizione e trattazione. Quindi, il Giudice Istruttore, dato atto dell'accordo raggiunto dalle parti nei termini di cui alle conclusioni congiunte in epigrafe riportate, disponeva in conformità e tratteneva la causa per la decisione collegiale. Motivi della decisione Il Collegio ritiene che la domanda diretta alla dichiarazione di scioglimento del matrimonio sia fondata e debba essere accolta. 1. Sulla separazione personale. In via preliminare, è necessario precisare che il Tribunale di Lucca, con decreto del 12 marzo 2015, omologava la separazione dei coniugi V.M.C. e M.S. alle condizioni di cui al ricorso per separazione consensuale. I coniugi, in particolare, avevano stabilito l'affidamento congiunto dei figli A. e D., al tempo entrambi minorenni. La figlia A., all'epoca sedicenne, veniva collocata prevalentemente presso il padre, con diritto di visita in favore della madre; viceversa, il figlio D., data la tenera età, veniva collocato prevalentemente presso la madre, con diritto di visita in favore del padre. Inoltre, tenuto conto del concordato regime sopra esposto, le parti stabilivano che ciascuna di esse avrebbe provveduto al mantenimento ordinario in egual misura dei figli, salva la ripartizione a metà delle spese straordinarie, previamente concordate e documentate. 2. Sulla domanda di scioglimento del matrimonio. Non vi è dubbio alcuno in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, per la pronuncia di scioglimento del matrimonio di cui si discute e, in particolare, di quelle previste dall'art. 3 della citata L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 1 della L. 6 maggio 2015, n. 55 (cd. Legge sul divorzio breve), il quale stabilisce che la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta da uno dei coniugi nei casi in cui "è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale (...)" (n. 2, lett. b) e la separazione si è protratta ininterrottamente "da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale (...)". Orbene, nel caso di specie, dalla documentazione prodotta emerge che i coniugi sono comparsi dinanzi al Presidente del Tribunale in data 5 novembre 2014 per dar corso al procedimento di separazione consensuale, poi ritualmente definito con decreto di omologa del 12 marzo 2105. E' pacifico, dunque, che alla data di presentazione del ricorso per lo scioglimento del matrimonio sia decorso il termine minimo previsto dall'art. 3 sopra menzionato. Né, peraltro, è stata eccepita l'interruzione della separazione, che - come noto - deve essere opposta dalla parte convenuta. Appare, dunque, irreversibile la frattura determinatasi tra i coniugi ed evidente l'impossibilità della ricostruzione, tra di loro, della comunione materiale e spirituale, come si evince inconfutabilmente dalle ragioni addotte, in un primo momento, nel ricorso e nella memoria difensiva e, in un secondo momento, nell'accordo raggiunto nelle more del procedimento. 3. Sulle condizioni dello scioglimento del matrimonio. Chiarita l'esistenza dei presupposti legittimanti la domanda di divorzio, occorre soffermarsi sulle condizioni congiuntamente rassegnate dalle parti, in ordine alle quali ritiene il Collegio che non vi siano motivi ostativi al loro accoglimento. 3.1. Sull'affidamento condiviso e sulla collocazione del figlio minore. Vi è sostanziale accordo tra le parti in ordine all'affidamento condiviso del figlio minore, D., e sulla sua collocazione prevalente presso la madre. Sul punto, non vi sono motivi per disattendere la volontà delle parti. Tale regime di affidamento, infatti, appare del tutto conforme al dettato normativo e all'interesse morale e materiale della prole, nel rispetto del principio di bigenitorialità, da intendersi "quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazione affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione e istruzione" (cfr. Cass. Civ., sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902). E' noto, peraltro, come, al fine di assicurare al minore un centro di consolidate abitudini e di stabile imputazione dei suoi interessi, risulti opportuno individuare un genitore presso il quale sia prevalentemente collocato Nel caso di specie, tale genitore è da individuarsi - per concorde volontà delle parti - nella madre, assieme alla quale il minore continuerà a risiedere. L'esercizio della potestà genitoriale sarà disgiunto solo per gli affari di ordinaria amministrazione, rimanendo, invece, necessario che i genitori assumano di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per la prole, attinenti alla istruzione, alla educazione ed alla salute. Restano fermi, ovviamente, il diritto del minore ad una significativa e piena relazione anche con il padre ed il diritto di quest'ultimo ad una piena realizzazione della sua relazione con il figlio e all'esplicazione del suo ruolo educativo. In tale prospettiva, risulta adeguato e funzionale il regime di visita e di frequentazione padre-figlio come stabilito dalle parti, in virtù del quale il M. potrà vedere e tenere con sé il figlio a fine settimana alternati con la madre. 3.2. Sul mantenimento del figlio minore. L'affidamento condiviso, come è noto, non comporta il venire meno dell'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento del figlio. In particolare, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, "l'obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza" (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, ordinanza n. 16739 del 6 agosto 2020). Alla luce di quanto sopra esposto, tenuto conto di quanto emerso con riferimento alle condizioni reddituali e patrimoniali delle parti e degli ulteriori parametri indicati dall'art. 337-ter, comma 4, cod. civ., si ritiene congrua la ripartizione tra le parti - come concordata dalle medesime - del contributo per il mantenimento del figlio D.. In particolare, fino al 31 dicembre 2023, alle spese di natura ordinaria ed al mantenimento del figlio D. provvederà personalmente la Sig.ra V.C.. Successivamente, a partire dall'1 gennaio 2024, il Sig. M.S. verserà alla Sig.ra V.C. - entro il giorno 15 di ogni mese - la somma di Euro 175,00 mensili, annualmente rivalutabile secondo gli indici forniti dall'Istat. Resta ferma, inoltre, la suddivisione a metà tra i genitori delle spese straordinarie necessarie per il figlio, previamente concordate e documentate, come da Protocollo in vigore presso il Tribunale di Lucca. 3.4. Sulla collocazione e sul mantenimento della figlia maggiorenne. Giova soffermare l'attenzione sull'analisi dell'art. 337-septies cod. civ., dal cui enunciato normativo emerge l'esigenza di assicurare alla prole non autosufficiente dal punto di vista economico, nonostante la raggiunta maggiore età, continuità di tutela da parte dei genitori, in particolare sotto lo specifico profilo del protrarsi dell'obbligo di mantenimento. Così, infatti, come ribadito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne ma non economicamente indipendente, non cessa fintanto che "lo stesso versi in una situazione di non autosufficienza economica incolpevole, da valutarsi, caso per caso, secondo il principio di autoresponsabilità (...)" (si veda Cass. Civ., Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183). Orbene, nel caso di specie, le parti hanno concordato che la figlia A. continuerà a risiedere presso l'abitazione del padre, il quale provvederà autonomamente al di lei mantenimento. Ed anche in relazione a tale aspetto non si ravvisa alcuna ragione per dissentire, non pregiudicando lo stesso l'interesse della figlia. 4. Sulle spese processuali. L'accordo raggiunto dalle parti non consente di esprimersi in termini di soccombenza. Ergo, appare opportuna la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, definitivamente pronunciando, così provvede: a) DICHIARA lo scioglimento del matrimonio celebrato in Altopascio (LU) in data 2 luglio 2005 tra V.M.C., nata a L. (L.) il (...), e M.S., nato a C. (L.) il (...), trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di Altopascio (LU) al Numero 8, Parte II, Serie C, Anno 2005, alle condizioni indicate nelle conclusioni congiuntamente rassegnate, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte; b) DICHIARA interamente compensate le spese di lite; c) MANDA al Cancelliere di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Altopascio (LU) per le prescritte annotazioni e le consequenziali ulteriori incombenze. Conclusione Così deciso in Lucca in Camera di Consiglio il giorno 7 giugno 2022, su relazione del Presidente estensore dott. Gerardo Boragine. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022.

  • TRIBUNALE DI LUCCA Il Tribunale di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, e composto dai Sigg.ri Giudici: Dott. Gerardo Boragine - Presidente Dott. Giampaolo Fabbrizzi - Giudice Dott.ssa Alice Croci - Giudice Riunito in Camera di Consiglio in data 20 luglio 2022, sentita la relazione del giudice relatore, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. ...dell'anno 2022 R.G., pendente TRA M.A. NATA A F. (F.) IL (...) ELETTIVAMENTE DOMICILIATA IN LUCCA (LU), VIALE..., PRESSO LO STUDIO DELL'AVVOCATO..., CHE LA RAPPRESENTA E DIFENDE GIUSTA PROCURA IN ATTI - PARTE RICORRENTE - E D.N.A. NATO A L. (L.) IL (...) ELETTIVAMENTE DOMICILIATO IN LUCCA (LU), CORSO..., PRESSO LO STUDIO DELL'AVVOCATO..., CHE LO RAPPRESENTA E DIFENDE GIUSTA PROCURA IN ATTI - PARTE RICORRENTE - CON L'INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO avente a oggetto: divorzio congiunto - scioglimento del matrimonio Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 13 luglio 2022 i coniugi, congiuntamente, hanno richiesto lo scioglimento del matrimonio civile tra loro celebrato a ...(LU) in data..., debitamente trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune ...(LU) al Numero..., Parte 1, Anno..., deducendo a fondamento della domanda l'ininterrotta separazione legale oltre il termine previsto dalla legge e l'impossibilità di ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Dall'unione coniugale nascevano, rispettivamente in data ...ed in data..., i due figli A. e A.. Data la comunicazione al Pubblico Ministero del decreto per la comparizione delle parti, è stato, poi, preso atto della rinuncia dei coniugi a comparire all'udienza del 20 luglio 2022, celebrata con le forme di cui all'art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, in L. n. 27 del 2020. Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, sulla base delle conformi decisioni rassegnate dalle parti, ha pronunciato la seguente sentenza. Motivi della decisione Non vi è alcun dubbio in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla L. n. 898 del 1970 per la pronuncia di scioglimento del matrimonio di cui si discute e, in particolare, di quelle previste dall'art. 3 della citata L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 1 della L. n. 55 del 2015 (cd. Legge sul divorzio breve), il quale stabilisce che la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta da uno dei coniugi nei casi in cui "è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale (...)" (n. 2, lett. b) e la separazione si è protratta ininterrottamente "da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale (...)". Dalla documentazione prodotta emerge, infatti, che i coniugi presentavano ricorso ex art. 711 cod. proc. civ. per dar corso al procedimento di separazione consensuale, poi ritualmente definito con decreto di omologa del..., n. ...sep. È pacifico, dunque, che alla data della presentazione del ricorso per lo scioglimento del matrimonio sia decorso il termine minimo previsto dall'art. 3 della L. n. 898 del 1970. Né, peraltro, è stata eccepita l'interruzione della separazione, che - come noto - deve essere opposta dalla parte convenuta. Appare, dunque, irreversibile la frattura determinatasi tra i coniugi ed evidente l'impossibilità della ricostruzione, tra di loro, della comunione materiale e spirituale, come si evince dal ricorso congiunto dagli stessi depositato. Quanto alle condizioni concordate, alle quali integralmente si rinvia, non vi è dubbio che le stesse siano conformi a norme inderogabili e che non vi siano ragioni ostative al loro accoglimento, non pregiudicando l'interesse della prole. Sul punto, infatti, preme ribadire il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale, qualora sia stata proposta istanza congiunta di divorzio, il Tribunale deve "provvedere ugualmente all'accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all'esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori. Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell'ambito del quale l'accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 della L. n. 898 del 1970, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l'adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose" (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza n. 19540 del 24/7/2018). Orbene, nel caso di specie, i figli A. ed A., entrambi maggiorenni, manterranno la residenza anagrafica presso la casa familiare, posta in L. (L.), località T., via di T. n. 775, continuando a vivere con la madre. Le parti hanno quantificato il contributo al mantenimento da parte del padre a favore dei figli - rispetto al quale si ritiene non vi siano ragioni ostative al relativo accoglimento - nel modo che segue. Per quanto riguarda il figlio A., quest'ultimo in data ...è stato assunto a tempo determinato con scadenza al 31 dicembre 2022 dalla ditta... Il padre corrisponderà direttamente al predetto, mediante bonifico sul conto corrente bancario allo stesso intestato da effettuarsi entro il giorno 10 di ogni mese, la somma mensile di Euro 200,00, annualmente rivalutabile in base agli indici forniti dall'Istat con base il mese di giugno. Per quanto riguarda la figlia A., quest'ultima in data ...è stata assunta a tempo determinato con scadenza al 31 ottobre 2022 dalla società ...ed è iscritta alla facoltà di Scienze della Comunicazione presso l'Università di Pisa, continuando a studiare ed a sostenere gli esami. Il padre corrisponderà direttamente alla predetta, mediante bonifico sul conto corrente bancario alla stessa intestato da effettuarsi entro il giorno 10 di ogni mese, la somma mensile di Euro 200,00, annualmente rivalutabile secondo gli indici forniti dall'Istat con base il mese di giugno. A ciò si aggiunge che il Sig. D.N.A. sosterrà nella misura del 50% le spese mediche dei figli, che necessitano del preventivo accordo tra i genitori e non, come dettagliatamente individuate nelle condizioni di cui al ricorso congiunto. Viceversa, tutte le altre spese straordinarie necessarie di cui al Protocollo in vigore presso il Tribunale di Lucca saranno sostenute integralmente dalla Sig.ra M.A.. Inoltre, non si rinvengono ragioni ostative all'accoglimento di quanto pattuito dai ricorrenti in relazione alla definizione dei loro rapporti di carattere patrimoniale. A tale proposito, in particolare, l'accordo raggiunto dalle parti prevede, a definizione dei suddetti rapporti e quale elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione congiunta della crisi coniugale e nel superiore interesse dei figli, l'impegno dei ricorrenti ad attuare, mediante successivo atto notarile, la seguente sistemazione patrimoniale: cessione dei diritti di comproprietà pari ad ½ (un mezzo) sull'immobile adibito a casa familiare posto in L. (L.), località T., via di T. n. 775, da parte del Sig. D.N.A. alla Sig.ra M.A., secondo le modalità specificamente descritte nel ricorso congiunto, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte. A completamento del suddetto accordo, le parti hanno anche convenuto che, qualora nel termine di dieci anni dalla stipula del pubblico atto di vendita dei diritti alla Sig.ra M.A., quest'ultima decidesse di vendere in tutto o in parte i propri diritti sulla casa familiare a terzi, che non siano i figli, la medesima dovrà corrispondere al Sig. D.N.A. la somma di Euro 30.000,00 entro quindici giorni dal rogito di trasferimento dei predetti diritti. L'accordo raggiunto dalle parti non consente di esprimersi in termini di soccombenza. Ergo, appare opportuna la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale Civile di Lucca, definitivamente pronunciando nella causa individuata come in epigrafe, così provvede: a) DICHIARA lo scioglimento del matrimonio celebrato a Lucca (LU) ...tra M.A., nata a F. (F.) il (...), e D.N.A., nato a L. (L.) il (...), trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di...(LU) al Numero..., Parte 1, Anno..., alle condizioni indicate nelle conclusioni congiuntamente rassegnate, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte; b) DICHIARA interamente compensate le spese di lite; c) MANDA al Cancelliere di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficio di Stato Civile del Comune di Lucca (LU) per le annotazioni e le ulteriori incombenze di legge, ivi compresa quella di cui all'art. 5 della Legge sul divorzio come modificata. Conclusione Così deciso in Lucca, nella Camera di consiglio del 20 luglio 2022, su relazione del Presidente estensore Gerardo Boragine. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, in persona del dr. Carmine Capozzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4234/2020 R.G., avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento in materia bancaria, e vertente TRA (...) (C.F. (...)) residente in Lucca domiciliato per la lite in Arma di Taggia (LU), domiciliato per la lite in Arma di Taggia (IM), Via (...), presso l'Avv. CO.FE. (C.F. (...)), che lo rappresenta e difende giusta procura allegata all'atto di citazione. Opponente (...) S.r.l. (P.I. (...) come rappresentata dalla mandataria con rappresentanza (...) SpA, domiciliata per la lite in (...) presso l'Avv. (...) (C.F. (...)) che la rappresenta e difende giusta procura generale alle liti in atti. Opposta FATTI DI CAUSA 1. - (...) ha opposto il decreto ingiuntivo n. 1255/2020, emesso da questo ufficio giudiziario, con il quale, su ricorso di (...), e per essa della mandataria con rappresentanza, gli è stato ingiunto di pagare la somma di Euro 79.893,96, oltre accessori e spese di procedura, quale fideiussore omnibus, sino all'importo di Euro 90.000,00, della (...) SRL. L'opponente non ha proposto eccezioni relative al rapporto principale, ma ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo eccependo la decadenza del creditore ex art. 1957 c.c., previo accertamento della nullità della clausola n. 6 della fideiussione omnibus (di deroga all'art.1957 c.c.) - fideiussione da lui rilasciata in data 25.10.2011 a favore della Banca (...) SpA, originaria titolare del credito, poi ceduto a (...) srl - per violazione della normativa ANTITRUST, in quanto conforme allo schema ABI del 2003, ritenuto dalla Banca d'Italia (decisione n. 55 del 2005) frutto d'intesa anticoncorrenziale in danno dei clienti/utenti bancari. 2. - L'opposta ha replicato nell'ordine: (i) che la fideiussione omnibus rilasciata dall'opponente in data 25.10.2011 è in realtà un contratto autonomo di garanzia, con conseguente non applicazione della decisione della Banca d'Italia; (ii) che il (...) non ha interesse ad agire per l'accertamento della nullità della fideiussione omnibus: (a) perché non è un cliente della banca (non esiste un mercato bancario delle fideiussioni) e il fideiussore non è il destinatario della tutela antitrust, riservata ai soli clienti che accedono al credito; (b) perché la durata della garanzia non è collegata alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento con conseguente inapplicabilità, in ogni caso, dell'art. 1957 c.c.; (iii) che non vi è prova dell'intesa anticoncorrenziale a monte e della partecipazione alla stessa di Banca (...); (iv) che non vi è prova del collegamento tra intesa illecita a monte e contratto a valle; (v) che, in ogni caso, per i contratti a valle dell'intesa illecita, la tutela spettante al contraente è solo quella risarcitoria. 3. - La causa è passata in decisione all'udienza del 25-3-2022 sulle conclusioni trascritte in epigrafe. La convenuta/opposta non ha depositato scritti conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - L'opposizione è fondata e merita accoglimento. 2. - Nell'esaminare le questioni poste dalle parti è necessario muovere dall'analisi preliminare della fideiussione rilasciata dall'opponente in data 25.10.2011 a favore Banca (...) SpA. Va escluso che tale fideiussione possa essere qualificata come contratto autonomo di garanzia. L'esistenza della sola clausola di pagamento a prima richiesta non vale a snaturare il carattere accessorio della garanzia in esame. Ciò finisce, invero, per essere riconosciuto dalla stessa banca nella comparsa di costituzione, ove si assume che tale clausola sia da interpretare come "clausola solve et repete", di deroga all'art. 1945 c.c., e, pertanto, l'opponente non potrebbe far valere la proposta eccezione di nullità prima del pagamento del debito (v. pag.6 della comparsa). Ora, diversamente da quanto ritenuto dalla convenuta, simile previsione contrattuale non vale a rendere autonoma l'obbligazione di garanzia da quella garantita, ma determina unicamente un meccanismo di inversione processuale: il garante non può agire in giudizio od opporre eccezioni relative al rapporto garantito se non dopo il pagamento. Prima deve pagare e poi può agire in giudizio per far valere le proprie ragioni. Ma così ricostruita la fattispecie concreta sono evidenti le differenze con il contratto autonomo di garanzia, in cui l'astrazione del rapporto di garanzia da quello garantito arriva al c.d. punto di indifferenza e viene meno ogni carattere, anche quello più labile, di accessorietà nella garanzia prestata. In simile diversa figura il garante non può agire in giudizio anche quando abbia preventivamente pagato il proprio debito. In sintesi: la garanzia personale prestata dal (...) non è un contratto autonomo di garanzia, permanendo il suo carattere accessorio rispetto alle obbligazioni garantite. Dal che discende la piana applicabilità della decisione n. 55/2005 della Banca d'Italia anche alla concreta fattispecie. Alla luce di tale conclusione, la prima replica della banca opposta è pertanto destituita di fondamento. Inoltre, trattandosi di eccezione relativa al rapporto di garanzia e non al rapporto garantito, essa può essere opposta dal fideiussore. La clausola de qua deroga infatti all'art. 1945 c.c. (eccezioni che potrebbe proporre il debitore principale), ma non impedisce al fideiussore di eccepire l'inesistenza o nullità della garanzia e l'eventuale decadenza del creditore garantito dal diritto di agire nei suoi confronti. 3. - Anche la seconda questione preliminare posta dalla banca, relativa ad un asserito difetto d'interesse ad agire del (...) è infondata in relazione ad entrambi i profili coltivati. 3.1. - L'interesse ad eccepire del (...) si misura unicamente sul fatto che egli è destinatario di un'azione di pagamento. Pertanto, può reagire a tale azione proponendo tutte le difese utili, tra cui l'eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c., previo accertamento della nullità della relativa clausola di deroga. 3.2. - Non è esatto poi dire che l'art. 1957 c.c. non è applicabile perché la durata della garanzia non è collegata alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, perché tale affermazione, nella concreta fattispecie, si risolve in una tautologia. Invero, secondo una certa interpretazione dottrinale e giurisprudenziale la clausola contrattuale che colleghi la durata della garanzia non alla scadenza dell'obbligazione principale ma all'adempimento integrale dell'obbligazione garantita implica deroga convenzionale all'art. 1957 c.c. (v. Cass. civ. 16836/2015; Cass. civ. 16758/2002 e 16233/2005). Il punto dirimente è tuttavia che nel caso in esame simile deroga convenzionale è contenuta proprio nell'art.6 dello schema ABI di fideiussione omnibus (usato dall'opposta), censurato dalla Banca d'Italia, quale frutto d'intesa anticoncorrenziale. 4. - Gli assunti secondo cui non vi sarebbe prova dell'intesa anticoncorrenziale a monte e della partecipazione alla stessa di (...), nonché del collegamento tra l'intesa illecita a monte e il contratto a valle, sono privi di pregio ove si consideri che, secondo la prevalente giurisprudenza di merito, recepita nel recente arresto delle S.U. (su cui infra), è dirimente considerare sul piano probatorio (e per il principio di vicinanza della prova) che la perfetta conformità dello schema di fideiussione omnibus usato dalla banca opposta con quello oggetto di indagine e censura da parte della Banca d'Italia perciò stesso determina una presunzione circa la partecipazione della banca all'intesa anticoncorrenziale a monte e il collegamento tra l'una (l'intesa illecita) e l'altro (il contratto a valle). 5. - Infine, la questione del tipo di tutela spettante alla parte del contratto a valle dell'intesa illecita (risarcitoria, nullità parziale, nullità totale), è stata risolta di recente dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 41994/2021) nel senso coltivato in questo giudizio dall'opponente. Non resta, pertanto, che rinviare per relationem ex artt. 1118 disp. att. c.p.c. alla decisione delle Sezioni Unite, la quale offre inoltre una ricostruzione completa ed analitica anche delle questioni esaminate al precedente paragrafo 4. 6. - In conclusione, accertata incidentalmente la nullità parziale della clausola n. 6 della fideiussione omnibus in atti, e la conseguente piena operatività dell'art. 1957 c.c., e considerato che non risulta allegata e dimostrata la proposizione nei confronti del debitore principale dell'azione giudiziaria nel termine di sei mesi dal recesso dal rapporto bancario (27.12.20216), l'eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. è fondata, con conseguente rigetto dell'azione di pagamento e revoca del decreto ingiuntivo opposto. 7. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario. La liquidazione è fatta in assenza di notula con questi parametri: voce 2 - DM 55/2014, valore della causa: 79.893,96 - riduzione del 50% dei parametri medi previsti per le fasi 3 (istruttoria) e 4 (decisionale), in ragione del fatto che, quanto alla prima, non sono stati articolati mezzi istruttori e, quanto alla seconda, che la convenuta opposta non ha depositato scritti difensionali cui replicare. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, definitivamente decidendo, così provvede: - accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto (n. 1255/2020), respingendo l'azione di pagamento proposta contro (...); - condanna l'opposta, come rappresentata, a pagare le spese di lite a favore dell'Avv. (...), dichiaratosi antistatario, che sono liquidate in Euro 379,50 per spese vive (CU) ed Euro 8.705,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori di legge (IVA e CAP, se dovuti). Così deciso in Lucca il 20 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LUCCA In composizione monocratica, in persona del Giudice Dott.ssa Anna Martelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 2895/2017 del Registro Generale Affari Contenziosi promossa da (...), (...) (Avv. Pe.Pi.) Attori contro (...) (Avv. Ba.Al.) Convenuto Oggetto del processo: Scioglimento comunione ereditaria sulla base delle conclusioni precisate dalle parti da intendersi qui integralmente richiamate. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. In fatto e in diritto. Con atto di citazione ritualmente notificato (...) e (...), chiedevano lo scioglimento della comunione ereditaria formatasi sui beni costituenti l'eredità del defunto padre, (...), convenendo in giudizio l'erede ab intestato (...), moglie del de cuius. Esponevano gli attori che il padre - dopo la morte della madre Lucrezia Cima - aveva contratto matrimonio, in data 16.08.2003, con la sig.ra (...). Esponevano, altresì, che a seguito dell'apertura della successione ab intestato - ex art. 566 c.c. - avvenuta in data 06.03.2016, avevano preso visione dell'estratto del conto corrente intestato al padre, acceso presso la Cassa di Risparmio di Pistoia e della (...), riscontrando una serie di movimentazioni bancarie a favore dell'odierna convenuta. Nello specifico, rilevavano: un bonifico a favore della (...), pari ad Euro 50.000 eseguito in data 09.09.2009 (senza causale); un bonifico a favore della (...), pari ad Euro 50.000, eseguito in data 07.07.2014 (causale acquisto immobile); un bonifico a favore della (...), pari ad Euro 50.000, eseguito in data 22.09.2014 (causale acquisto immobile); un addebito pagamento premio assicurativo a fronte di polizza con beneficiaria (...) per Euro 50.000, del 22.09.2014; ripetuti prelievi presso la PCBA di Durres (Albania) con la carta di debito in uso alla (...); e, infine, un prelievo in contanti pari ad Euro 25.000, effettuato in data 26.11.2015. Per effetto delle su esposte operazioni, il compendio ereditario - al momento dell'apertura della successione - era formato solo dall'immobile, sito in Viareggio - via (...) n. 87 - e dalla quota di 1/3 dell'immobile latistante al predetto, consistente in una striscia di terreno ed un ripostiglio. Tutto ciò premesso, concludevano gli attori, chiedendo al Tribunale, previa quantificazione del valore della massa ereditaria considerando le donazioni già ricevute dalla (...), lo scioglimento della comunione (nei termini di cui all'atto di citazione); la condanna dell'odierna convenuta al risarcimento del danno, ovvero al pagamento dell'indennità di abusiva occupazione, conseguenti all'utilizzo più intenso dell'immobile principale caduto in successione ed all'utilizzo esclusivo del piccolo manufatto di cui al punto 13 dell'atto di citazione, oltre interessi e rivalutazione; e, infine, la condanna dell'odierna convenuta alla rendita del conto relativo ai beni ereditari da essa posseduti in via esclusiva, con condanna al pagamento delle somme che risulteranno dovute, oltre interessi e rivalutazione. (...)., costituitasi tardivamente in data 26.10.2017, chiedeva al Tribunale adito il rigetto delle domande attoree poiché infondate in fatto e in diritto, deducendo che non era tenuta a restituire alcuna somma all'eredità e che non era dovuto alcun risarcimento (o indennità) per il godimento dei beni immobili caduti in successione, essendo titolare del diritto di abitazione, a norma dell'art. 540, co. 2, c.c. Venivano depositate le memorie ex art, 183 co. 6 c.p.c.. La causa veniva istruita attraverso l'acquisizione dei documenti prodotti, mediante interrogatorio formale di parte convenuta e con espletamento di CTU. All'udienza "cartolare" del 14.05.2021 le parti precisavano le conclusioni; disposto lo scambio delle comparse conclusionali e repliche la causa veniva trattenuta in decisione. La domanda attorea è parzialmente fondata e deve essere accolta nei limiti di seguito meglio precisati. 2. Sulla natura dei trasferimenti di denaro effettuati dal de cuius al coniuge. Gli attori hanno agito per ottenere la ricostituzione della massa ereditaria, previa restituzione di somme che il de cuius aveva donato alla convenuta quando era in vita, con successivo scioglimento della comunione ereditaria ed attribuzione ai coeredi delle quote di spettanza. Per quanto riguarda i trasferimenti di denaro tra coniugi, gli odierni attori ritengono che le tre operazioni bancarie, eseguite dal padre - in data 09.09.2009, 07.07.2014, 22.09.2014 - in favore della convenuta, integrino o donazioni dirette (nulle per difetto di forma), oppure donazioni indirette (soggette all'obbligo di collazione). Questo Giudice, facendo proprio l'ordinamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ritiene che le tre operazioni bancarie de quo integrino donazioni dirette, ex art. 769 c.c., soggette al regime della forma solenne. In particolare, secondo la Suprema Corte - in tema di atti di liberalità - il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario, configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell'atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un'operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un'intermediazione gestoria dell'ente creditizio. Da ciò deriva che, qualora tale donazione sia stata effettuata senza che sia stata formalizzata in un atto pubblico, la stessa è nulla, con la conseguenza che le somme oggetto di bonifico si considerano come mai uscite dalla sfera giuridica del donante, con il diritto di pretenderne la restituzione (Cfr. Cass. Sez. Un., n. 18725/2017). Orbene, nel caso di specie, il de cuius ha effettuato tre trasferimenti di denaro in favore della moglie: il primo eseguito in data 09.09.2009 e sprovvisto di causale; il secondo e il terzo, eseguiti in data 07.07.2014 e in data 22.09.2014 con causale "acquisto immobile". Per quanto riguarda il primo bonifico, la circostanza che l'operazione bancaria sia sprovvista di qualsivoglia giustificazione causale, consente di ritenere che la stessa sia sorretta da un intento di liberalità. Quando un bonifico viene effettuato per mero spirito di liberalità (senza che, cioè, "a monte" sia giustificato da una diversa causa traslativa - es. pagamento del prezzo di un bene/servizio fornito dal beneficiario del bonifico) l'operazione si configura come donazione diretta (Cfr. Cass. Sez. Un., n. 18725/2017). Analoghe considerazioni possono farsi anche per gli altri due trasferimenti di denaro, con giustificazione causale "acquisto immobile", non avendo parte convenuta offerto prova dell'effettiva destinazione di dette somme di denaro per l'acquisto di un bene immobile in conformità con la causale del bonifico che deve pertanto ritenersi non corrispondente alla ragione giustificativa dello spostamento di denaro in favore della convenuta. Invero, la convenuta, in relazione a tali bonifici, si è difesa, da un lato, deducendo che le somme erano state impiegate dai coniugi per acquistare un'autovettura che, dai documenti in atti, risulta, invece, pagata con apposito assegno circolare, cfr. doc. 3 atto di citazione e dall'altro per finanziare molteplici viaggi all'estero. Anche tale ultima deduzione risulta priva di ogni risconto probatorio non essendo sufficiente, neppure a titolo di elemento indiziario, la produzione del passaporto con relativi visti, in assenza di una rigorosa prova del destinazione effettiva di tali somme per le spese sostenute durante i viaggi all'estero. Per le ragioni di cui sopra si può, pertanto, ritenere che anche tali movimentazioni di denaro siano state sorrette da spirito di liberalità (animus donandi) e configurino, dunque, donazioni dirette in favore della convenuta. Tutto ciò premesso, le tre operazioni bancarie di cui sopra - qualificandosi come donazioni tipiche - non di modico valore - devono dichiararsi nulle per difetto di forma. Nel caso di specie, difatti, manca sia l'atto pubblico (prescritto dall'art. 782 c.c.) sia la presenza di due testimoni (prevista dagli artt. 47 e 48 della legge notarile n. 89/1913). Sotto il profilo degli effetti, quando una donazione è nulla, il bene donato si considera come mai uscito dalla sfera giuridica del donante. Pertanto, da un lato, gli eredi hanno diritto di pretendere la restituzione del donatum nelle forme previste dall'art. 724 c.c., e dall'altro, il donatario ha l'obbligo di conferire le somme ricevute nell'asse ereditario. Alla luce delle su esposte considerazioni, la (...) è tenuta a conferire Euro 150.000,00 nell'asse ereditario, secondo quanto disposto dagli artt. 724 e 725 c.c. Da ultimo, deve rilevarsi la tardività dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta, costituitasi tardivamente, con riferimento al bonifico del 09.09.2099 in favore della (...), trattandosi di eccezione in senso stretto, non rilevabile di ufficio, che deve essere eccepita - a pena di decadenza - nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata. 3. Sulla polizza assicurativa con beneficiario il coniuge. Secondo l'orientamento maggioritario della Suprema Corte, le polizze di assicurazione sulla vita, aventi contenuto finanziario, sono da considerarsi come donazioni indirette (salvo prova contraria) del contraente a favore dei beneficiari delle polizze stesse, con conseguente applicazione della disciplina degli istituti successori della riduzione, della collazione e della revocazione (cfr. Cass. 3263 del 19 febbraio 2016). Per quanto concerne l'istituto della collazione - che opera in relazione al caso di specie - la Corte ha precisato che tale obbligo, previsto dall'art. 741 c.c., ha ad oggetto - non il capitale conseguito dal beneficiario - bensì l'ammontare dei premi pagati dal de cuius. L'odierna convenuta (che ha confermato in sede di interrogatorio formale di aver incassato il corrispettivo della polizza), pertanto deve conferire - per collazione - nell'asse ereditario una somma pari ai premi versati dal de cuius (euro 50.000 - cfr. doc. 4 comparsa di costituzione e risposta). 4. Sui prelievi in contanti. Per quanto concerne, invece, il prelievo in denaro contante effettuato in data 26.11.2015, pari ad Euro 25.000, non vi è prova agli atti che la somma sia stata prelevata e consegnata all'odierna convenuta; pertanto, tale operazione non può qualificarsi come donazione soggetta all'obbligo di collazione. 5. Sul valore del complesso immobiliare facente parte dell'asse ereditario. Il valore attuale di mercato dell'immobile caduto in successione è stato accertato con CTU, a firma del Geom. Centoni, ed è pari ad Euro 156.313,68. Il consulente ha determinato il valore di cui sopra, detraendo dal valore della piena proprietà dell'immobile libero da gravami (euro 308.460,00), il valore dell'indennità relativa alla servitù che insiste sul fondo (euro 7.856,76) e il valore dell'incidenza dei diritti relativi al diritto di abitazione in favore del coniuge superstite (144.289,56). Tali risultanze peritali sono condivisibili in quanto complete, esaurienti, perfettamente motivate, prive di ogni considerazione aprioristica e ampiamente suffragate dagli accertamenti effettuati e dalle risultanze delle indagini ordinate. 6. Massa ereditaria e formazione delle singole quote. L'intero asse ereditario (massa da dividere) derivante dalla somma del valore del bene immobile relitto oltre al valore delle donazioni oggetto di collazione risulta essere pari ad Euro 356.313,68, ed è stato così determinato: - Euro 156.313,68 quale valore dell'immobile sito in Viareggio - via (...) n. 87 (comprensivo del resede a corredo) al netto del valore del diritto di abitazione e della servitù; - Euro 150.000 corrispondente alle donazioni effettuate tramite bonifico dal de cuius alla (...) - dichiarate nulle per difetto di forma; - Euro 50.000, quale somma donata dal de cuius alla (...) - corrispondente al pagamento dei premi della polizza assicurativa con beneficiaria la stessa; Sulla somma così determinata, devono calcolarsi le quote di spettanza dei singoli coeredi, in base alle disposizioni che regolano la successione ab intestato - artt. 565 ss. c.c.. Secondo quanto disposto dall'art. 581 c.c. quando con il coniuge concorrono più figli, allo stesso è riservato 1/3 dell'eredità; i restanti 2/3 vengono divisi equamente tra i figli. Pertanto, nel caso di specie, a ciascun erede spetta 1/3 del valore della massa, pari ad Euro 118.771,227 (356.313,68:3). Cosi quantificato il valore ideale di ciascuna quota deve, pero, rilevarsi come le somme già ricevute dalla (...), con le liberalità di cui sopra, pari ad Euro 200.000,00, superino il valore della quota di spettanza della medesima (pari ad Euro 118.771,227). Ne consegue, che gli altri eredi, per effetto della disposizione di cui all'art. 725 c.c. che opera nel caso, come quello di specie, in cui i beni donati non siano stati conferiti in natura, hanno diritto di prelevare dalla massa ereditaria beni in proporzione delle loro rispettive quote. Pertanto, non essendo possibile un prelievo con beni della stessa natura (denaro) di quello che non e' stato conferito in natura dalla donataria (...), i coeredi ai sensi dell'art. 751 c.c. hanno diritto ad effettuare il prelievo sul bene immobile che esaurisce il relictum dell'asse ereditario. Tuttavia, il valore del bene immobile relictum, pari ad Euro 156.313,68, non è sufficiente a coprire le quote che spettano agli odierni attori; ne consegue che la convenuta dovrà essere condannata a pagare a titolo di conguaglio a favore di ciascuno degli attori la somma di Euro 40.614,386. Per effetto di quanto sopra l'immobile che, in ragione della sua consistenza, quale risulta dalla relazione peritale, non risulta comodamente divisibile - trattandosi di un'unica unità immobiliare - deve essere assegnato alle parti attrici, ex art. 720 c.p.c., in quanto titolari della quota maggiore e che, comunque, ne hanno chiesto l'assegnazione congiunta (sul punto cfr. Cass. civ. n. 5603/2016 - "in tema di divisione ereditaria, il giudice, ai sensi dell'art. 720 c.c., può attribuire, per l'intero, un bene non comodamente divisibile, non solo nella porzione del coerede con quota maggiore, ma anche nelle porzioni di più coeredi che tendano a rimanere in comunione, come titolari della maggioranza delle quote "). Pertanto, la comunione ereditaria deve essere sciolta nei termini di cui sopra con assegnazione congiunta agli attori del bene immobile meglio individuato catastalmente in CTU, con condanna della convenuta al pagamento della somma sopra quantificata a titolo di conguaglio per ciascuno degli attori. Deve essere rigettata la domanda risarcitoria e indennitaria proposta dagli odierni attori nei confronti della (...), in relazione al godimento da parte di quest'ultima del bene immobile (e del resede annesso) caduto in successione in quanto alla stessa in qualità di coniuge superstite, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, ai sensi dell'art. 540, co. 2, c.p.c.. Quanto alle spese di lite devono essere poste a carico di parte convenuta nei limiti di 5/6 con compensazione del rimanente sesto in considerazione della soccombenza di parte attrice in relazione alla domanda di risarcimento danni e rendiconto. Le spese di CTU sono poste definitivamente a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) dispone lo scioglimento della comunione ereditaria con assegnazione agli attori degli immobili come catastalmente identificati nella CTU (cfr pagina 8 e 9) con condanna di parte convenuta al pagamento a titolo di conguaglio in favore di ciascuno degli attori della somma di Euro 40.614,386; 2) ordina al Direttore dell'Ufficio del Territorio dell'Agenzia delle Entrate competente, con esonero di sue responsabilità al riguardo, di provvedere alle trascrizioni ed annotazioni di legge; 3) Condanna parte convenuta al pagamento in favore degli attori dei 5/6 delle spese di lite che liquida in Euro 10.565,00 per compensi oltre Iva, Cpa e spese generali come per legge compensando il rimanente sesto. 4) Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di Ctu così come liquidate con separato provvedimento. Così deciso in Lucca il 13 giugno 2022. Depositata in cancelleria il 14 giugno 2022.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. .../2020 promossa da: L.M.F. con il patrocinio dell'avv. ... ricorrente e INPS (ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE) con il patrocinio dell'avv. ... resistente Svolgimento del processo - Motivi della decisione Rilevato che: 1) - la ricorrente ha adito questo Tribunale al fine di vedere accolte le seguenti conclusioni:"1) dichiarare il diritto della ricorrente a percepire l'assegno sociale dal 1.12.2019 (primo giorno del mese successivo alla data della domanda amministrativa); 2) conseguentemente condannare l'INPS, in persona del Presidente pro-tempore, a corrispondere dalla data di decorrenza, l'assegno sociale, oltre agli interessi legali sul dovuto dal 121 giorno successivo alla domanda amministrativa". A fondamento della sua domanda, la ricorrente ha dedotto che: - il 26.11.19 aveva presentato all'I.N.P.S. domanda per il riconoscimento dell'assegno sociale; - la suddetta domanda veniva respinta da INPS con Provv. del 29 novembre 2019 con la seguente motivazione: "nella sentenza di separazione e confermato nello scioglimento del matrimonio le parti si ritengono soddisfatte a livello economico". - la tesi sostenuta dall'INPS nel respingere la domanda non può essere condivisa in quanto la ricorrente era in possesso di tutti i requisiti per ottenere la prestazione richiesta (essere cittadino italiano residente in I., avere compiuto 65 anni di età, versare in determinate situazione reddituali descritte all'art. 3 della L. n. 335 del 1995); - il fatto che la ricorrente non abbia chiesto l'assegno di mantenimento in sede di separazione non può essere ritenuto indicativo dell'assenza dello stato di bisogno; - in sede di separazione (e così nel divorzio) non vi fu una dichiarazione di autosufficienza reddituale e, anzi, emergono circostanze che evidenziano la "criticità" economica dei coniugi: era previsto che la ricorrente si trasferisse presso la residenza dei genitori con la figlia minore a lei affidata; - lo stato di bisogno trova conferma nell'essere la ricorrente ospitata dalla figlia e a carico della stessa. 2)l'Istituto resistente, regolarmente costituendosi, ha eccepito che: - la ricorrente non aveva i requisiti richiesti ai fini dell'erogazione dell'assegno sociale; - parte ricorrente non ha fornito la prova del suo stato di indigenza e non ha articolato mezzi di prova sul punto, cosicché è decaduta dalla prova in questione; - non si può dire dimostrata l 'incapienza del coniuge né tanto meno è provato che non vi siano altri familiari (quali i figli, in specie maggiorenni) che garantiscano l 'assistenza economica della ricorrente; - l'assegno sociale ha natura alternativa rispetto alle prestazioni alimentari, per cui, avendo la ricorrente in sede di separazione rinunciato a queste ultime, anche l'assegno sociale non può essere corrisposto. 3) - la causa è stata istruita documentalmente. Il ricorso è fondato nei termini di quanto segue. Pur a fronte di precedenti difformi di questo Tribunale, deve darsi atto dell'oramai consolidato mutamento di orientamento della Cassazione sulla questione, a cui si è uniformata la Corte di Appello di Firenze, come si evince dalla sentenza prodotta da parte ricorrente. È pacifico che la ricorrente al momento della presentazione della domanda possedesse i requisiti di cui all'art. 3 comma 6 L. n. 335 del 1995: la stessa aveva 66 anni ed era priva di redditi individuali. L'Inps rigettava la richiesta di assegno sociale motivando che "nella sentenza di separazione e confermato nello scioglimento del matrimonio le parti si ritengono soddisfatte a livello economico". Ebbene la suddetta argomentazione è tuttavia in contrasto con i principi oramai ribaditi dalla Cassazione, che da ultimo con la sentenza n. 24954/21 ha ribadito che "Il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, della L. n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dalla condizione oggettiva dell'assenza di redditi o dell'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, senza che assuma rilevanza la mancata richiesta, da parte dell'assistito, dell'importo dovuto dall'ex coniuge a titolo di assegno divorzile, non essendo previsto che lo stato di bisogno, per essere normativamente rilevante, debba essere anche incolpevole." Analogamente la Cassazione n. 14513/2020 rilevava che "l'assegno sociale rappresenta una prestazione di base avente natura assistenziale ed in quanto tale è volta ad assicurare "i mezzi necessari per vivere" (ai sensi dell'art. 38 Cost., comma 1) alle persone anziane che hanno superato una prefissata soglia di età, e che non dispongono di tutela previdenziale per fronteggiare l'evento della vecchiaia. Il relativo diritto si fonda sullo stato di bisogno accertato del titolare che viene desunto, in base alla legge, dalla mancanza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti al disotto del limite massimo indicato dalla legge. L'assegno viene infatti corrisposto per intero o ad integrazione, a coloro che, compiuta l'età prevista (oggi rileva l'età di 67 anni), siano privi di reddito o godano di un reddito inferiore al limite fissato dalla legge (raddoppiato in ipotesi di coniugio) ed adeguato nel tempo dal legislatore (da ultimo L. n. 448 del 2011, art. 38, comma 1, lett. b). La legge, come già visto, individua con precisione i redditi rilevanti ai fini del calcolo del requisito reddituale. Si tratta dei redditi personali e coniugali di qualsiasi natura. Si computano pure gli assegni familiari corrisposti a norma del codice civile. Non si computano invece il TFR e le relative anticipazioni, le competenze arretrate soggette a tassazione separata, nonché il proprio assegno e il reddito della casa di abitazione. Neppure concorre a formare reddito la pensione liquidata secondo il sistema contributivo ai sensi della stessa L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 6, a carico di gestioni ed enti previdenziali pubblici e privati che gestiscono forme pensionistiche obbligatorie in misura corrispondente ad un terzo della pensione medesima e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale... La legge nulla prevede per quanto riguarda il coniuge separato; ma, in base alla disciplina sopraindicata, va del tutto escluso che ai fini del requisito reddituale previsto per l'assegno sociale possa assumere rilievo una mera pretesa, costituita dall'astratta possibilità di chiedere l'assegno di mantenimento a carico del proprio coniuge in sede di separazione. Anzitutto perché non si tratta di "redditi, al netto dell'imposizione fiscale e contributiva, di qualsiasi natura, ivi compresi quelli esenti da imposte e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva", né di "assegni alimentari corrisposti a norma del codice civile"; ai quali soltanto, invece, la L. n. 335 del 1995 cit. attribuisce rilievo al fine del raggiungimento del requisito reddituale e della dimostrazione dello stato di bisogno. Ed in secondo luogo perché, in base alla stessa legge conta esclusivamente lo stato di bisogno effettivo risultante cioè dalla comparazione tra reddito dichiarato e reddito effettivamente percepito. "L'assegno è infatti erogato con carattere di provvisorietà sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliato, entro il mese di luglio dell'anno successivo, sulla base della dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti". In tal senso, quindi, va escluso che possa rilevare un reddito potenziale, mai attribuito e percepito dal soggetto che richiede l'assegno sociale nel periodo considerato. La sentenza impugnata deve allora ritenersi erronea anzitutto laddove, in carenza di qualsiasi previsione di legge, ha ritenuto che la semplice mancanza di richiesta dell'assegno di mantenimento al coniuge separato equivalga ad assenza dello stato bisogno ("ammissione di insussistenza delle condizioni di cui alla L. n. 335 del 1995, cit. art. 3, comma 6") dando luogo al riconoscimento del proprio stato di autosussistenza economica. Così opinando, la Corte territoriale ha in realtà introdotto nell'ordinamento l'ulteriore requisito (rilevante in generale, a livello dell'astratta disciplina legale, quale conditio iuris) dell'obbligo del richiedente l'assegno sociale di rivolgersi previamente al proprio coniuge separato; con effetti inderogabilmente ablativi del diritto all'assegno sociale, in caso di inottemperanza; pur nella accertata sussistenza dei requisiti esplicitamente dettati allo scopo dalla legge. Ma senza che la stessa disciplina contenga alcuna indicazione in tale direzione: dal momento che essa non prevede che la richiesta di assegno di mantenimento al coniuge separato possa rilevare né ai fini dell'accesso al diritto, né ai fini della misura dell'assegno sociale. Mentre allo scopo una disciplina di legge sarebbe stata invece indispensabile. Non solo per esigenze di certezza e di legalità (valevoli già in sede amministrativa per orientare la condotta dell'INPS). Ma soprattutto perché le situazioni dentro cui vanno valutati i rapporti tra i coniugi separati possono essere le più variegate ovvero essere integrate da una molteplicità di vicende concrete e di fatti, soggetti a continue evoluzioni (vi possono essere livelli reddituali assai differenti; coniugi separati che si sono risposati, anche più volte; coniugi che optano per la casa coniugale; coniugi con figli o senza figli; con figli già esistenti oppure sopravvenuti alla separazione; coniugi ai quali è stata addebitata la separazione; coniugi che si separano davanti all'ufficio dello stato civile senza essere adeguatamente assistiti sul piano legale; ecc.). Tali situazioni non si prestano certo ad essere valutate in sede giudiziale, semplicisticamente e con la medesima chiave presuntiva, tanto meno in sede di assistenza sociale, per tutti i destinatari della tutela. Perché in tal modo si rischia di conferire alla disciplina profili di irrazionalità ma anche di trattare in modo uguale situazioni assai differenti proprio sul piano reddituale, a cui la legge sull'assegno sociale conferisce rilievo predominante ai fini della tutela. In definitiva la stessa Corte d'appello, invece di dare rilievo allo stato di bisogno effettivo da accertarsi sulla base delle norme di legge (ovvero attraverso la verifica tra la dichiarazione presentata all'atto della domanda e la dichiarazione dei redditi effettivamente percepiti presentata l'anno successivo), ha attribuito rilevanza ad un reddito presunto di cui nella legge non vi è traccia. Dato che, come risulta dalla menzionata disciplina, la legge prevede, al contrario, come unico requisito, uno stato di bisogno accertato, caso per caso, non solo per concedere ma anche per mantenere la tutela di base assistenziale per gli anziani nel nostro Paese. Ciò posto, va ancor evidenziato in proposito, che questa Corte (Sez. L, sentenza n. 6570 del 18/03/2010) occupandosi di un caso in cui un richiedente l'assegno sociale, pur titolare dell'assegno di mantenimento nei confronti del coniuge separato, non aveva effettivamente percepito nulla per mancata erogazione dello stesso assegno, ha affermato che non potesse bastare la mera titolarità di un reddito e che non si potesse prescindere dalla sua concreta percezione. Nel caso in esame, invece, i giudici di merito si sono spinti oltre, attribuendo rilievo ad una condizione di diritto non prevista dalla legge, come l'obbligo di rivolgere una richiesta di assegno di mantenimento al coniuge separato. Ed al (presunto) possesso di un reddito (presunto) oltre il limite indicato dalla legge (invariabilmente) ricavato dal mancato assolvimento della medesima condizione ossia dalla mancata richiesta dello stesso assegno di mantenimento (purchessia). Mentre la legge, per garantire il diritto ex art. 38 Cost. al c.d. minimo vitale, degli anziani più poveri, ha istituito un sistema di accertamento basato sul controllo del reddito effettivamente posseduto (Cass. n. 6570/2010, cit.)". Le suddette motivazioni possono pienamente adattarsi al caso sottoposto all'odierno vaglio giudiziale con conseguente accoglimento del ricorso. Le spese possono compensarsi stante la presenza di precedenti difformi anche di questo Tribunale P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie il ricorso e per l'effetto dichiara il diritto della ricorrente a percepire l'assegno sociale dall'1.12.19 oltre agli interessi legali sul dovuto dal 121 giorno successivo alla domanda amministrativa; - spese compensate Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Conclusione Così deciso in Lucca, il 8 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 8 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, in persona del dr. Giacomo Lucente, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa n. 1989/2019 avente ad oggetto opposizione a D.I. n. 262/2019 promossa da: (...) S.R.L., P.IVA (...), in persona dell'Amministratore (...); (...) c.f. (...); (...) c.f. (...), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Roberto Fratoni (c.f. (...)) e dall'Avv. Pa.Le. ((...)), domiciliati presso il loro studio in Prato, via (...), come da mandato in calce all'atto di citazione. ATTORI Opponenti CONTRO (...)- Società per la gestione di crediti- S.P.A. - cod. fisc.e numero iscrizione al Registro Imprese di Roma (...), P.IVA (...) - con sede legale in R. via M. C. n. 131, in persona del procuratore speciale (...), in nome e per conto della mandante FONDO (...), c.f. (...) in persona del Presidente del Comitato di Gestione e legale rapp.te Avv. (...), titolare dei crediti volturati a sofferenza originatesi presso (...) Società Cooperativa ed, inter alia del credito in parola, giusta procura rilasciata in data 25.1.2018 con scrittura privata autenticata dal Notaio (...), rep n. (...) e racc. n. (...) elettivamente domiciliata in Pisa, via (...), presso lo studio dell'Avv. Si.Ma. (c.f. (...)) che la rappresenta e difende giusta procura alle liti allegata al ricorso per decreto ingiuntivo n. 262/2019 emesso dal Tribunale di Lucca il 15.2.2019. CONVENUTA Opposta SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In data 15.2.2019 il Fondo (...) (in qualità di cessionario "in blocco" dei crediti volturati a sofferenza originatisi presso il (...) Società Cooperativa ed, inter alia, del credito particolare) chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Lucca il Decreto Ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 262/2019 (R.G. 673/2019) con il quale veniva ingiunto a (...) S.r.l., in qualità di obbligato principale ed ai sigg. (...) e (...), in qualità di fideiussori, il pagamento della somma di euro 19.003,62 (Euro 18.644,66 a titolo di debito residuo mutuo chirografario n. (...) del 01/12/2015 e Euro 358,96 a titolo di saldo a debito del c/c n. (...) del 27/02/2014). Il tutto oltre agli interessi convenzionali come da domanda e spese del procedimento monitorio. Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori proponevano opposizione al D.I. in esame. A fondamento dell'opposizione i condebitori eccepivano vari profili di illegittimità del conto corrente e del mutuo chirografario (carenza di legittimazione attiva della convenuta; mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione; incompetenza per materia funzionale del Tribunale di Lucca). Enunciavano poi ulteriori questioni preliminari e di merito relative al contratto di conto corrente (inosservanza dell'obbligo di comunicazione ex art. 119 T.U.B. degli estratti conto e comunque l'insufficienza della documentazione ex art. 50 T.U.B.; illeggibilità della firma apposta in calce alla dichiarazione ex art. 50 T.U.B.; illegittimità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi nel c/c in esame) ed al contratto di mutuo (applicazione di interessi moratori usurari e nullità del tasso di interesse corrispettivo; illegittimità del piano di ammortamento alla francese). Relativamente alle fideiussioni bancarie prestata dai sigg. (...) e (...) in data 1.12.2015, con la I memoria ex art. 183 6 co. c.p.c., chiedevano che ne fosse dichiarata la nullità/annullabilità/inefficacia per violazione della normativa antitrust come accertato in relazione al modello uniforme ABI dalla pronuncia B. del 2-5-2005. Si costituiva in giudizio la (...) quale mandataria dell'Istituto di Credito chiedendo il rigetto di tutte le domande formulate ex adverso e la conferma del decreto ingiuntivo opposto. Sosteneva: di avere legittimazione attiva; di aver tempestivamente e completamente ottemperato (con PEC del 26.6.2019) all'ordine di esibizione ex art. 119 T.U.B.; la legittimità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi inserita nel contratto di c/c; la legittimità del piano di ammortamento alla francese; l'inammissibilità della domanda di nullità/annullamento delle fideiussioni, perché tardiva. Disattese le istanze istruttorie, le richieste di CTU e di sospensione della provvisoria esecuzione, espletato il tentativo di mediazione obbligatoria, la causa veniva istruita con sole produzioni documentali ed all'esito veniva trattenuta per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Tutte le questioni sollevate dagli attori sono infondate e pertanto vanno rigettate 1) Sulla legittimazione attiva L'eccepito difetto di legittimazione attiva del Fondo (...), sulla base della mancata produzione integrale delle formalità richieste dall'art. 58 T.U.B., è insussistente. Le contestazioni sono formali e generiche e l'eccezione è chiaramente dilatoria alla luce dei documenti prodotti dall'opposta, provenienti dal creditore cedente, da cui risulta l'effettiva cessione in blocco dei crediti e, inter alia, del credito particolare. La titolarità del credito in capo al cessionario è dimostrata dall'allegazione, nel ricorso per decreto ingiuntivo, della copia dell'estratto della G.U. Parte seconda n. 7 del 18.1.2018 contenente l'avviso dell'avvenuta cessione in blocco pro-soluto (con link di accesso per i dettagli della cartolarizzazione, consultabile pubblicamente) operata dal (...) a favore del Fondo (...) (doc.14). L'avviso pubblico in esame attrae nella cessione in blocco i rapporti "risolti o dove vi sia stata la decadenza dal beneficio del termine" ed ancora rapporti classificati a "sofferenza", contabilizzati alla data del 15.12.2015, nei quali è ricompreso il credito per cui è causa (vedasi doc.7-8 fascicolo monitorio per contabili sofferenza mutuo e conto corrente). La legittimazione a provare la titolarità del credito ceduto nell'ambito delle operazioni di cartolarizzazione ai sensi dell'art. 58 TUB e L. n. 130 del 1999, per giurisprudenza consolidata, è fornita con la produzione dell'avviso di pubblicazione in G.U. (Cass. 10200/21, 17110/19, 15884/19, 31188/17): "E' sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione". L'istituto di credito ha fugato ogni dubbio sulla sua legittimazione ad agire depositando anche il contratto di cessione del credito 20.12.2017 rep. n. (...) e le dichiarazioni del cedente ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 (doc. 3-7 fascicolo monitorio) le quali costituiscono un elemento documentale rilevante e potenzialmente decisivo al fine di dimostrare l'avvenuta cessione (in tal senso, ordinanza Cass. 10200/2021). 2) Sulla mediazione obbligatoria Parimenti è infondata l'eccezione di improcedibilità dell'azione per mancato esperimento preliminare del procedimento di mediazione obbligatorio. In caso di opposizione a D.I. in materia assoggettata alla mediazione obbligatoria, l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede l'obbligo per il Giudice di assegnare un termine ad hoc. All' udienza del 27.11.2019 venivano concessi i termini per l'attivazione del procedimento, che si concludeva con esito negativo (provvedimento di chiusura del 8.1.2020). 3) Sull'incompetenza funzionale L'eccezione di incompetenza per materia funzionale del Tribunale adito, per accertamento della violazione della normativa antitrust, a favore del Tribunale di Firenze Sezione Specializzata delle Imprese, è infondata. Nell'atto introduttivo del giudizio gli attori non hanno svolto domanda di nullità/annullamento delle fideiussioni ma si sono limitati ad eccepire l'incompetenza funzionale del Giudice adito, e solo in sede di memoria ex art. 183, 6 comma n. 1 c.p.c., hanno formulato domanda di nullità delle fideiussioni azionate in sede monitoria. Tuttavia, con la memoria ex art. 183, 6 comma n. 1 non possono essere proposte domande nuove, ma possono solo essere precisate o modificate quelle già proposte (Cass. ordinanza 30745/2019), per cui la domanda va dichiarata inammissibile. Le doglianze degli attori sulla violazione della normativa antitrust vanno dunque riqualificate in termini di eccezione riconvenzionale, proposta nell'atto di opposizione, e vanno esaminate, ma emerge chiaramente che sia la garanzia rilasciata dal solo C.T. il 4-7-2012, che quella successiva rilasciata da C. e (...) il 1-12-2015, non sono fideiussioni ma contratti autonomi di garanzia, in quanto entrambi prevedono il pagamento a prima richiesta. Per costante giurisprudenza infatti: "Al fine della configurabilità del contratto autonomo di garanzia è decisiva l'esclusione della legittimazione del debitore principale a chiedere al garante di opporre al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale, in deroga, quindi, alla disciplina legale dell'obbligazione fideiussoria tipica e accessoria di quella principale, in cui il fideiussore ha l'onere di preavvisare il debitore principale che intende procedere al pagamento allo scopo di metterlo in condizione di fare tempestiva opposizione, ove sussistano idonee ragioni da eccepire al creditore opponibili al fideiussore che abbia pagato senza osservare l'onere del preavviso." (Cass. 16213/2015, in senso conforme anche Cass. n. 12152/2016; Cass. n. 4717/2019). Alla clausola 5 di entrambe le garanzie in esame (doc. 9 ricorso monitorio) si prevede una espressa rinuncia del debitore garante alla facoltà di opporre eccezioni nei confronti del creditore prima di procedere al pagamento, ed infatti le parti hanno pattuito che "il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta"; l'inciso è di per sé sufficiente per qualificare il negozio in questione come di garanzia autonoma, dato che si evince chiaramente la volontà dell'opponente di offrire alla società creditrice opposta sicura soddisfazione di ogni suo credito vantato nei confronti della (...) S.R.L. scindendo il rapporto di accessorietà col debito principale, nei limiti dell'importo massimo garantito. Va evidenziato che la recente Cass. 15091/21 ha ritenuto l'esistenza di un contratto autonomo di garanzia anche in assenza della clausola "a prima richiesta e senza eccezioni", se è previsto che il garante debba pagare in un termine ristretto dalla richiesta del garantito, essendo in tal caso implicita l'impossibilità di opporre eccezioni, e nel caso di specie l'art. 5 del contratto prevede che il pagamento debba avvenire immediatamente, cosicché non possono esservi dubbi sulla natura autonoma della garanzia oggetto di causa. L'eccezione è pertanto infondata, ma per completezza va comunque evidenziato che la fideiussione del 1-12-2015 è stata prestata con riferimento ad un unico e specifico rapporto di mutuo chirografario, per cui non vi è dubbio che non si tratta di fideiussione a garanzia di una serie indeterminata di operazioni bancarie tra il debitore principale e l'istituto di credito, con indicazione dell'esposizione massima garantita. Si tratta di una fideiussione specifica che non rientra nell'ambito di applicazione del Provv. n. 55 del 2005 della (...), che ha dichiarato la contrarietà alla L. n. 287 del 1990 degli artt. 2, 6, 8 dello schema ABI del 2002, esclusivamente con riferimento alle fideiussioni omnibus perfezionate sulla scorta di tale modello contrattuale. Più precisamente, il provvedimento della (...) evidenzia che la fideiussione omnibus presenta una funzione specifica e diversa da quella della fideiussione civile, volta a garantire una particolare tutela alle specificità del credito bancario, in considerazione della rilevanza dell'attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica agli operatori economici. È con riguardo a tale fattispecie contrattuale che la (...) ha valutato come le clausole dello schema ABI (riguardante la fideiussione omnibus), di per sé lecite se inserite in fideiussioni specifiche, possano determinare effetti anticoncorrenziali, in senso ingiustificatamente sfavorevole alla clientela. Il contratto di fideiussione del 4-12-2012 con un importo massimo garantito pari a Euro 35.000,00, sarebbe in ipotesi qualificabile come contratto di fideiussione omnibus, ma l'onere probatorio dell'illiceità dell'intesa anticoncorrenziale a monte non risulta soddisfatto, in quanto gli attori si sono limitati ad invocare il Provv. n. 55 del 2005 della (...). Con riguardo ai contratti di fideiussione omnibus stipulati post 2005, il Provv. n. 55 del 2005 della (...) non costituisce prova privilegiata, in quanto non rappresenta una prova idonea dell'esistenza dell'intesa restrittiva della concorrenza con riguardo ad una fideiussione stipulata in un periodo successivo a quello in cui vi è stata indagine da parte dell'attività di vigilanza, la cui istruttoria ha, come è noto, coperto un arco temporale coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005; la fideiussione omnibus in questione è stata stipulata oltre sette anni dopo. Poiché il Provv. della (...) n. 55 del 2005 vale quale prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della Banca medesima, le parti attrici erano pertanto, onerate dell'allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie dell'illecito concorrenziale dedotto in giudizio, previsto dall'art. 2, comma 2 lett. a) della L. n. 287 del 1990, ma di cui non hanno fornito prova alcuna ( cfr. Trib. Milano sez. spec. impresa del 19/01/2022, Trib. Napoli sez. spec. impresa del 24-5-2022). 4) Sulla inosservanza dell'obbligo di comunicazione ex art. 119 T.U.B Parimenti è infondata l'eccezione di nullità del decreto opposto per mancata allegazione degli estratti conto in forma integrale e della documentazione richiesta ex art. 119 T.U.B. che, a detta degli attori, impediva la verifica della correttezza dei conteggi della banca in sede di opposizione. La Banca ha tempestivamente ottemperato all'ordine di esibizione ex art. 119 T.U.B. fornendo agli attori la documentazione richiesta (PEC del 26.6.2019 doc.3). Nel caso in esame la convenuta ha ampiamente dimostrato i fatti costitutivi della sua domanda depositando già nel giudizio monitorio (e, anche nel presente giudizio): i contratti di c/c n. (...) e di mutuo n. (...) (che contengono tutte le condizioni economiche); le certificazioni ex art. 50 T.U.B; tutte le comunicazioni annuali (inviate periodicamente e mai contestate) unitamente alla copia integrale degli estratti conto trimestrali (doc.4), dall'inizio del rapporto sino alla chiusura, che fanno piena prova del credito non solo in sede monitoria ma anche nel successivo procedimento di opposizione e in ogni altro giudizio di cognizione (Cass. n. 25857/2011). Di converso, gli opponenti non hanno fornito alcuna controprova per dimostrare l'attuale inesistenza del diritto di credito, e risultano quindi infondate e superate le questioni preliminari relative al compiuto esercizio del diritto di difesa ed alla correttezza della somma di Euro 358,96 indicato quale debenza nell'estratto ex art. 50 T.U.B.. Quanto poi alla censura fondata sulla illeggibilità della firma apposta in calce alla dichiarazione di attestazione del credito ex art. 50 T.U.B., è sufficiente osservare come la Corte di merito ha rilevato che, in tema di rapporti bancari, "anche ove dovesse ritenersi la mancanza della sottoscrizione" questa sarebbe priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell'Istituto di Credito idonei a dimostrare la volontà di avvalersi del contratto (es. invio periodico degli estratti conto) (Cass. n. 16070/2018). 5) Sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi nel contratto di c/c Parte attrice afferma che nel contratto di c/c manca l'indicazione del saggio di interesse effettivo nella previsione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (anatocismo), ma l'eccezione è infondata. Il contratto di conto corrente in esame - stipulato il 27.2.2014 e cioè dopo l'entrata in vigore dell'ormai nota Del.CICR del 9 febbraio 2000 - contiene, nel documento di sintesi, tutte le condizioni economiche del rapporto, compreso il tasso di interesse effettivo (tasso creditore annuo 0,05001%, tasso debitore annuo 13,09824%) e la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e creditori a pari periodicità (parte 2 art. 4 n.2), che pertanto è valida ai sensi dell'art. 120 T.U.B. 6) Sull'usurarietà degli interessi moratori nel contratto di mutuo n. (...) del 1.12.2015 I garanti eccepiscono che nel contratto di mutuo sia stato applicato un saggio moratorio superiore a quello previsto dal D.M. del periodo, indicato nel 17,5%. (doc. 2), con la conseguente nullità della clausola di pattuizione per superamento del tasso soglia. La contestazione è infondata: gli attori riportano mere ipotesi di calcolo, approssimative e non rispondenti ai criteri della (...); il contratto di mutuo chirografario (pag. 1 documento di sintesi) indica sempre il TAEG nella misura del 10,942% e gli opponenti non allegano e dimostrano che al rapporto sia stato applicato un TAEG diverso. Va pertanto rigettata la domanda di nullità. 7) Sull'illegittimità del piano di ammortamento "alla francese" Non si può nemmeno condividere l'eccezione attorea per cui l'adozione del sistema di ammortamento adottato dalla Banca comporta l'applicazione di un TAN maggiore di quello indicato nel contratto. Il mutuante ha adottato un piano di ammortamento "alla francese"- universalmente utilizzato per il mutuo - cioè un piano di rimborso con rata fissa costante: le rate periodiche sono composte da una quota capitale crescente e una quota di interessi decrescente. Copiosa giurisprudenza ha escluso che nel piano di ammortamento alla francese possa esserci capitalizzazione degli interessi poiché con il pagamento di ogni singola rata si azzerano gli interessi maturati fino a quel momento; manca dunque, in questo meccanismo, il presupposto dell'anatocismo e cioè la presenza di interessi scaduti su cui operare il ricalcolo (Cass. 9237/2020). Il contratto di mutuo depositato dirime ogni dubbio in merito, in quanto nel documento di sintesi sono indicati dettagliatamente il valore della quota capitale e del tasso di interesse da applicare a ciascuna rata in scadenza, da calcolarsi sul capitale ancora da restituire, per cui non sussiste in alcun modo indeterminatezza delle pattuizioni contrattuali e soprattutto, alcuna discordanza tra il tasso pattuito per iscritto e quello eventualmente effettivo: una volta raggiunto l'accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali. Pertanto, nel caso di specie, il sistema di ammortamento prescelto dalle parti è legittimo e rispettoso degli artt. 1283 e 1284 c.c. e 117 T.U.B. All'infondatezza delle domande proposte dagli attori e sopra esaminate, consegue il necessario rigetto delle altre richieste relative alla rideterminazione dell'esatto dare-avere tra le parti e alla restituzione/compensazione di tutte le somme indebitamente corrisposte. Conclusioni e spese. Per quanto sopra esposto l'opposizione è infondata e le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, definitivamente decidendo, così provvede: respinge l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo opposto; condanna gli opponenti (...) s.r.l., (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore del Fondo (...) liquidate in Euro. 4.835,00 oltre IVA, CAP e maggiorazione spese generali come per legge. Così deciso in Lucca il 3 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2022.

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