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Tribunale Ordinario di Lucca Il giudice istruttore dott. Enrico Fontanini, all'esito dell'udienza dell'11/04/2024, come sostituita dal deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., viste le note scritte di parte, pronuncia ex art. 281 sexies c.p.c., nel procedimento RG 3880/2022 promosso da (...) C.F. (...) Avv. I.Sa. contro (...) C.F. (...) Avv. C.Ta. (...) C.F. (...) Avv. B.Gi. (...) C.F. (...) Avv. T.Si. (...) C.F. (...) Avv. A.Fr. (...) C.F. (...) Avv. P.An. (...) C.F. (...) Avv. P.An. (...) C.F. (...) Avv. A.Pr. Oggetto: Lite di vicinato Conclusioni delle parti: di cui all'udienza dell'04/03/2024 la seguente SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO (...) ha chiesto nei confronti dei convenuti indicati in epigrafe la cessazione delle turbative al suo diritto di proprietà, con conseguente risarcimento dei danni materiali, morali ed esistenziali subiti, asserendo l'essersi verificate numerose molestie a suo danno, tali da averla perfino obbligata ad abbandonare l'immobile di sua proprietà; inoltre, l'attrice ha chiesto anche, al fine di far cessare le suddette asserite turbative, il disporsi di una regolamentazione della corte comune condivisa con i convenuti, la quale è sita in Lucca alla (...) (cosiddetta Corte Soldo). I convenuti hanno contestato le argomentazioni avversarie chiedendo il rigetto di ogni domanda attorea, adducendo l'assenza di qualsiasi tipo di molestia a danno dell'attrice e l'esistenza di una regolamentazione tacita e pacifica relativa all'uso dello spazio comune già in essere da numerosi anni tra i comunisti. Inoltre, (...) e (...) anno rilevato la realizzazione di opere qualificate come illegittime ( ossia un pergolato e delle opere accessorie ) da parte della (...) sulla corte a comune e il posizionamento e l'utilizzo - senza il consenso degli altri comunisti - di due webcam munite di fari che prospettano sull'ingresso comune della corte stessa. A tal riguardo, quindi, hanno proposto domanda riconvenzionale richiedendo la condanna alla rimozione sia delle opere sia delle webcam, con la conseguente rimessione in pristino dei luoghi. In relazione alle domande di parte attrice, quella di regolamentazione della corte a comune, in particolare circa l'area destinata al parcheggio delle vetture dei residenti, appare generica in quanto priva di specifiche deduzioni sulla necessità di pervenire ad una regolamentazione da parte di altri, non risultando esperiti tentativi di formazione di maggioranze assembleari tra i comunisti, come richiede la disciplina in materia. Inoltre, la suddetta domanda appare anche inammissibile dal momento che può, appunto, farsi ricorso allo strumento di cui all'art. 1105 ult. comma c.c. che comporta, però, l'introduzione di un procedimento di volontaria giurisdizione. In secondo luogo, la domanda di ordine di cessazione delle molestie non è fondata. Infatti, gli interrogatori formali dei convenuti non hanno sortito alcun effetto favorevole nei confronti delle argomentazioni di parte attrice. Per quanto attiene all'escussione dei testimoni e alle risultanze da essa emerse, il Geom. (...) si è espresso esclusivamente circa la realizzazione e la sussistenza del pergolato, circostanze non dirimenti ai fini di provare la verificazione di molestie o meno. Relativamente all'altro teste (Avv. (...) - precedente legale dell'attrice) - e indipendentemente dall'eccezione della sua incapacità - le sue dichiarazioni sono da reputarsi irrilevanti e non utili in quanto trattasi di testimonianze esclusivamente de relato actoris. Il teste (...) inoltre, ha confermato la circostanza che "per quanto da lei riscontrato personalmente tali strutture ed opere - realizzate sullo spazio comune dall'attrice - restringono l'ampiezza della via di accesso alla sopra citata corte" e anzi ostacolano le manovre di ingresso e/o uscita. Non sussistono, dunque, mezzi probatori adeguati ai fini dell'accoglimento della suddetta domanda, la quale deve essere perciò rigettata. Quanto, infine, alla domanda riconvenzionale dei convenuti (...) e (...) essa - innanzitutto - non è stata specificamente contestata da parte attrice; inoltre, si deve distinguere: - Circa l'affissione delle due webcam soccorre, in primo luogo, l'art. 1122 - ter c.c. il quale prevede che " le deliberazioni concernenti l'installazione sulle parti comuni dell'edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono - e quindi devono - essere approvate dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art. 1136 comma 2 c.c. " - circostanza nel caso di specie non rispettata; in secondo luogo, è necessario fare riferimento alla normativa del Codice Privacy - nonché allo stesso Regolamento 2016/679 (c.d. GDPR) - poiché l'attivazione e la gestione di un sistema di videosorveglianza all'interno di un condominio o comunque di uno spazio in regime di comunione, al fine specifico di controllare le stesse aree comuni, comporta un trattamento di dati personali che deve essere necessariamente progettato ed eseguito attuando in modo efficace i principi di protezione dei dati personali poiché nella fattispecie de qua finisce per qualificarsi come un trattamento di dati personali automatizzato, permettendo i dispositivi installati di registrare e di "stoccare" dati personali quali video ed immagini che consentono l'identificazione di persone fisiche. Non solo, dunque, nel caso di specie non è stato richiesto il consenso degli aventi diritto ma non sono stati né individuati i ruoli necessari alla tutela effettiva della privacy dei soggetti coinvolti ( quale ad esempio la figura del titolare del trattamento ex art. 4 paragrafo 1 n.7 del GDPR), in violazione di quanto disposto ex lege, né effettuata una valutazione di contemperamento degli interessi in causa (da un lato la garanzia della sicurezza dei beni e delle persone e il fine di prevenire la realizzazione di illeciti, dall'altro la necessità effettiva di un trattamento che rispetti la normativa privacy) ovvero un piano di gestione appropriato, che rispettasse i principi di minimizzazione, limitazione della conservazione delle immagini entro un periodo di tempo limitato, esattezza ed integrità e sicurezza. Infine, le immagini registrate non possono essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per cui sono acquisite ex art. 5, paragrafo 1, lett. c) ed e), del Reg. e in base al principio di responsabilizzazione spetta allo stesso titolare del trattamento individuare i tempi di conservazione delle stesse, tenuto conto del contesto e delle finalità del trattamento, nonché del rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche: si può, dunque, osservare come l'attrice non abbia rispettato la suddetta normativa, emergendo dagli atti che le immagini risalgono anche a molti mesi fa. - Circa il pergolato con le relative opere accessorie, la stessa attrice in sede di interrogatorio formale ha confermato la circostanza per cui tali strutture posizionate davanti all'ingresso della sua abitazione sono state da lei realizzate " compresa la struttura del pergolato in legno, la pavimentazione, la recinzione munita di cancello e la siepe che la circonda" e prosegue dicendo che tutto ciò è avvenuto "nonostante i tentativi dei vicini di farmela togliere " (la siepe); si rileva, dunque, che è sicuramente assente il consenso degli altri comunisti nel mantenere dette opere insistenti su parte della corte comune; ne deriva, dunque, che l'attrice è incorsa nelle violazioni di cui all'art. 1102 c.c. La disciplina giuridica della comunione, con gli artt. 1100 ss. c.c., mira, infatti, a regolare i rapporti tra comproprietari nell'uso e nel godimento della cosa comune, a fissare i limiti entro cui è consentito il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione del bene comune o sono permesse le sue innovazioni e la sua disposizione, con la garanzia delle ragioni delle minoranze. La stessa giurisprudenza costante afferma che "queste norme escludono in radice che il singolo comproprietario, senza il consenso degli altri comunisti, possa cambiare destinazione al suolo comune ed edificare su di esso con l'intento di appropriarsi del medesimo ed escludere gli altri comproprietari dal suo godimento. [...] D'altra parte, il comproprietario che costruisce senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione realizza una alterazione della destinazione della cosa comune e impedisce agli altri comunisti di fare uso di essa secondo il loro diritto; egli infrange la disciplina della comunione e commette un "atto illecito", come "illegittima" è la costruzione realizzata sul suolo comune" (Cass. 2011, n. 1556; Cass. 2001, n. 6921). - In ogni caso, non si ritiene sussistente la necessità di adottare un provvedimento ex art. 614-bis c.p.c. Consegue, perciò, la condanna di cui in dispositivo. Le spese processuali seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, in persona del g. i. Enrico Fontanini, in funzione di giudice monocratico, 1) Respinge la domanda proposta da (...) nei confronti dei convenuti (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) 2) Condanna l'attrice alla rimozione del pergolato di cui in parte motiva con relative opere accessorie 3) Condanna l'attrice a riposizionare le due webcam - sopra descritte - di modo che riprendano solo un angolo visuale limitato agli spazi di pertinenza esclusiva e che rispettino - in ogni caso - i dettati in materia privacy e civilistica; nel caso in cui ciò non fosse possibile, condanna la medesima alla rimozione degli stessi dispositivi 4) Condanna l'attrice alla rifusione in favore dei convenuti delle spese processuali liquidate: - Quanto a (...) e (...) in complessivi Euro 6.000; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) n Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.800; - Quanto a (...) in Euro 4.400; Oltre - in tutti i casi - al 15% per rimborso forfettario, IVA e CPA e oltre quanto a (...) e (...) Euro 585,80 per spese non imponibili; con distrazione in favore dei procuratori che si sono dichiarati antistatari. Sentenza redatta con la collaborazione della Dott.ssa Laura Tonelli, tirocinante ex art. 73 D.L. 69/2013. Così deciso in Lucca il 7 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2024.
TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA Sezione unica Civile Verbale con sentenza in udienza ex art. 281 sexies c.p.c. Udienza del 6 marzo 2024 Alle ore 10:26 davanti al Giudice, dott.ssa (...) sono comparsi l'Avv. (...) per l'attrice (...) s.r.l. e l'Avv. (...) in sostituzione dell'Avv. (...) per la convenuta (...) e (...) s.r.l. Il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, visto l'art. 281 seeies c.p.c., invita le parti a discutere la causa. I procuratori delle parti, previa discussione orale della causa, si riportano alle conclusioni precisate all'udienza del 24.1.2024 e alle deduzioni svolte nelle rispettive note conclusive. I procuratori delle parti dichiarano che al collegamento non sono presenti soggetti terzi sprovvisti di legittimazione a partecipare all'udienza. I procuratori delle parti dichiarano altresì che l'udienza, alla quale hanno partecipato effettivamente nel rispetto del contraddittorio, si è svolta regolarmente. Il Giudice all'esito della discussione orale della causa indica le ore 15:50 per la lettura della sentenza. I procuratori delle parti rinunciano a comparire e si disconnettono. Il verbale viene sospeso e il giudice si ritira in camera di consiglio. Il Giudice procede alla lettura della sentenza in assenza, concordata, dei procuratori delle parti. (...) (...) Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa (...) pronuncia la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1692/2022 R.G. tra le seguenti parti: (...) S.R.L., P.IVA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore (...) elettivamente domiciliata in (...) presso lo studio dell'Avv. (...) , che la rappresenta e difende come da procura rilasciata su separato supporto cartaceo allegato all'atto di citazione mediante copia informatica in formato PDF autenticata con firma digitale attrice contro (...) E (...) S.R.L. ((...), P.IVA (...), in persona del legale rappresentate pro tempore (...) rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata in (...) presso lo studio dell'Avv. (...) come da procura rilasciata su separato supporto cartaceo allegato alla comparsa di costituzione e risposta mediante copia informatica in formato PDF autenticata con firma digitale convenuta Posizione delle parti La società (...) s.r.l. (inde cit. (...) o attrice) ha citato in giudizio la (...) e (...) s.r.l. chiedendo che questo Tribunale voglia: "respinta ogni contraria richiesta, accertare la sussistenza dei vizi del carburante venduto da (...) S.r.l. (P.Iva (...)) a (...) S.r.l. in data (...) e per l'effetto risolvere il suddetto contratto di vendita di carburante e per l'effetto condannare (...) e (...) S.r.l. a restituire in favore di (...) il prezzo pagato pari ad euro 623,22 ((...)) nonché al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi pari ad euro 10.629,38 (Iva escl.) o la maggiore o minor somma che verrà accertata in corso di causa. Con vittoria di spese, competenze e onorari di causa". A fondamento della domanda l'attrice ha allegato che: - in data (...) il camion di sua proprietà targato (...) effettuava rifornimento di gasolio presso la stazione di (...) di (...) gestita dalla (...) (...) s.r.l., sostenendo la spesa di Euro 623,22 (IVA esclusa); - subito dopo il rifornimento il veicolo segnalava avaria al motore, costringendo l'autista ad interrompere il servizio e a portarlo presso l'officina (...) la quale, a seguito di controlli, accertava che il guasto era stato causato dal rifornimento di carburante contaminato da sporcizia e acqua, riconsegnando il veicolo all'attrice in data (...) per provarne il funzionamento su strada previo nuovo rifornimento di carburante, che veniva effettuato presso la stazione di servizio di (...) - in data (...) il camion si arrestava nuovamente e cessava di funzionare a causa di problemi riconducibili al rifornimento di carburante del 21.12.2021, rendendosi necessario il suo traino presso la (...) dove venivano effettuate ulteriori operazioni di riparazione del guasto, in esito alle quali il veicolo veniva riconsegnato all'attrice il (...); - in data (...) l'attrice denunciava formalmente al venditore i vizi del carburante acquistato e richiedeva il ristoro dei danni subiti, senza ricevere positivo riscontro; - in data (...) veniva redatto dal P.I. (...) rapporto, ai sensi del R.D. 11.02.1929 n. 275, sul carburante estratto da (...) dal camion durante le operazioni di riparazione avvenute dopo il rifornimento del 21.12.2021, in esito al quale il tecnico periziava che "La carica microbica risulta nella condizione di contaminazione grave", rilevando altresì la condizione di prossimo blocco dei filtri; - in conseguenza di quanto sopra, l'attrice sosteneva spese pari ad Euro 10.029,38 (IVA esclusa) per le varie riparazioni eseguite da (...) nonché Euro 600,00 (IVA esclusa) per spese di traino del camion in avaria presso l'officina di (...) Radicatosi il contraddittorio, si è costituita in giudizio la convenuta (...) e (...) s.r.l. (inde cit. (...) o convenuta) eccependo, in via (pregiudiziale di rito, ma in realtà) preliminare di merito, la decadenza dell'attrice dal diritto alla garanzia per i vizi del bene venduto e(...) art. 1495 c.c., in quanto il rifornimento di carburante è avvenuto il (...) e la denuncia dei vizi è stata effettuata il (...), vale a dire oltre il termine decadenziale di otto giorni dalla scoperta, che assume essere coincidente con il giorno del rifornimento, momento nel quale il camion ha presentato l'asserita avaria del motore. La convenuta ha, in ogni caso, contestato la riconducibilità dell'avaria del camion lamentata dall'attrice a contaminazioni di sorta del carburante, riconoscendo di essere gestore della stazione di (...) di (...) ma controdeducendo che, a seguito della denuncia dei vizi inoltrata da (...) ha proceduto ad effettuare indagini (...) sull'approvvigionamento di carburante dal 20.12.2021 al 23.12.2021 presso il punto vendita in questione, con esito positivo sulla idoneità del carburante, nonché indagini sui filtri posti sulle colonnine di erogazione, riscontrandoli "perfettamente funzionanti e presenti sulle stesse", di talché "alcuna sedimentazione o contaminazione solida sarebbe potuta transitare durante l'erogazione di carburante ai clienti", né alcuna denuncia di vizi del carburante è mai pervenuta da altri clienti del punto vendita. (...) ha quindi concluso chiedendo che il Tribunale voglia: "1. In via preliminare e pregiudiziale, dichiarare l'intervenuta decadenza della domanda attorea in quanto in forza del combinato disposto e(...) artt. 1490 e 1495 c.c. e conseguentemente rigettare la domanda attrice in quanto tardiva; 2. Nel merito rigettare la domanda attorea in quanto infondata in fatto ed in diritto e soprattutto non provata, essendo assolutamente carente della prova certa del nesso causale tra il rifornimento del 21/12/2020 ed il preventivo lavori del 4/1/2022 e conseguentemente i danni lamentati, stante il lasso temporale intercorso tra i due suddetti circa 12 giorni ed infine, rigettare la domanda attrice, in quanto assolutamente carente del nesso tra la condotta dell'odierna convenuta ed i danni asseriti. 3. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio in favore del sottoscritto avvocato anticipatario". All'esito dell'istruttoria l'attrice ha precisato le conclusioni, chiedendo che il Tribunale voglia "accertare la sussistenza dei vizi del carburante venduto da (...) S.r.l. (P.Iva (...)) a (...) S.r.l. in data (...) e per l'effetto risolvere il suddetto contratto di vendita di carburante e per l'effetto condannare (...) S.r.l. a restituire in favore di (...) il prezzo pagato pari ad euro 654,92 ((...)) nonché al risarcimento di tutti i danni subiti pari ad euro 11.121,18 (Iva escl.) o nella maggiore o minor somma che risulterà dovuta. Condannare altresì parte convenuta al pagamento delle spese di CTU e alla refusione in favore di parte attrice delle spese sostenute per i consulenti in corso di causa pari ad euro 527,00 per anticipo spese di (...) Ind. (...) ed euro 1.435,20 (Iva escl.) per spese di (...) Leonello Benedetti. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa". Parte convenuta ha precisato le conclusioni nelle note conclusive, ribadendo quelle già formulate in comparsa di costituzione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. - Sull'an delle pretese risarcitone La domanda attorea è fondata e merita accoglimento. La causa è stata istruita con i documenti in atti e con prova orale, nonché mediante consulenza tecnica demandata al P.I. (...) volta ad accertare le cause dei danni lamentati dall'attrice e la loro entità. 1.1 Preliminarmente va respinta, poiché infondata, l'eccezione sollevata dalla convenuta di decadenza dell'acquirente dalla garanzia per i vizi del carburante venduto e(...) art. 1495 c.c., in quanto dall'espletata istruttoria è emerso inequivocabilmente che (...) ha appreso che l'avaria al motore del camion di sua proprietà era stata causata dalla presenza di acqua nel carburante in data (...), vale a dire quando il veicolo le è stato riconsegnato dall'officina (...) presso la quale era stato portato a seguito dell'avaria per effettuare le opportune verifiche e riparazioni (cfr. testimonianze (...) e (...) della cui attendibilità non sussistono in atti motivi di dubitare). Ne discende, pertanto, la tempestività della denuncia dei vizi effettuata dall'attrice in data (...), pacificamente ricevuta dalla convenuta (v. doc. 6 fascicolo attoreo). 1.2 Ciò posto, la sussistenza del difetto di conformità del carburante oggetto di rifornimento in data (...) e il suo nesso di causalità con i danni lamentati dall'attrice per l'avaria al motore del camion di sua proprietà hanno trovato puntuale riscontro nell'espletata istruttoria. Al riguardo appare, innanzitutto, opportuno fare chiarezza sui principi giuridici afferenti all'accertamento del nesso di causalità in tema di responsabilità civile, attese le difese di parte convenuta secondo cui non sussisterebbe prova del nesso di causalità, "al di là di ogni ragionevole dubbio", tra il rifornimento di carburante del 21.12.2021 e "i danni lamentati e manifestatisi solo il (...)". Premesso che i danni allegati dall'attrice sono quelli manifestatisi il (...) subito dopo il rifornimento di carburante di cui trattasi, i quali si sono ripresentati il (...), dopo la riconsegna del veicolo in data (...) da parte dell'officina (...) per la prova su strada, occorre osservare che, mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale e l'equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti. Inoltre, secondo il costante orientamento della giurisprudenza in tema di accertamento del nesso causale nella responsabilità civile, "qualora l'evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile a una pluralità di cause, si devono applicare i criteri della "probabilità prevalente" e del "più probabile che non"; pertanto, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l'impredicabilità di un'aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente" (Cass. n. 25884 del 2.9.2022). Nel caso di specie non vi sono concreti elementi probatori, neppure di natura indiziaria, che i danni lamentati dall'attrice siano riconducibili - come sostenuto da parte convenuta - ad una omessa manutenzione del veicolo, che al momento del verificarsi dell'avaria aveva poco più di anno (immatricolazione del 2020, v. doc. 2 fascicolo attoreo), né che il camion in questione avesse fatto rifornimento di carburante presso altri distributori (v. doc. 3 fascicolo attoreo proveniente dalla stessa , di cui la convenuta gestisce il distributore e v. anche testimonianza (...). Viceversa, vi sono plurimi elementi di prova (di cui infra), tra loro convergenti, precisi e attendibili, dai quali è possibile desumere con un elevato grado di probabilità idoneo al raggiungimento della prova che l'avaria in contestazione sia riconducibile al rifornimento di carburante effettuato dal camion attoreo in data (...) presso la stazione di (...) di (...) gestita dalla (...) In particolare, risulta per tabulas che in data (...) il camion attoreo targato (...) ha effettuato rifornimento di gasolio presso la stazione di (...) di (...) gestita dalla (...) (v. doc. 3 fascicolo attoreo cit.) e dall'istruttoria orale emerge che, dopo tale rifornimento, il camion si è diretto verso la città di (...) in prossimità della quale si è accesa la spia di avaria ed il motore ha iniziato a vibrare e a diminuire bruscamente di potenza, riuscendo comunque a giungere a destinazione e fare ritorno in (...) il giorno successivo (22.12.2021), allorquando il veicolo è stato portato presso l'officina (...) per effettuare le verifiche e riparazioni (v. testimonianze (...) e (...) della cui attendibilità non sussistono in atti motivi di dubitare). Dalle testimonianze rese in giudizio - dettagliate, univoche e coerenti - emerge inoltre che: nel corso delle verifiche effettuate dal 22.12.2021 al 30.12.2021 presso l'officina (...) è stato svuotato il serbatoio del carburante del camion e messo in una cisterna pulita e poi campionato per far effettuare le verifiche tecniche ad un laboratorio specialistico, dalle quali è risultata la presenza di acqua nel carburante, che ha comportato il difetto di funzionamento del veicolo (teste (...); il camion è stato riconsegnato all'attrice in data (...) e in tale occasione è stato comunicato ad (...) che l'avaria è stata causata dalla presenza di acqua nel carburante (testi (...) e (...); al momento della riconsegna del 30.12.2021 (...) è stata invitata a fare una prova su strada del veicolo previo rifornimento, avvenuto presso la stazione di servizio di (...) (testi (...) e (...); in data (...) il camion, mentre percorreva in (...) il (...) ha improvvisamente arrestato la marcia ed è stato trainato con il carroattrezzi presso l'officina (...) per le ulteriori verifiche e riparazioni (testi (...) (...) e (...); il difetto di funzionamento del veicolo, causato dalla presenza di acqua nel carburante, ha comportato un doppio intervento di riparazione da parte dell'officina (...) il primo consistito nello svuotare il serbatoio e nel sostituire i filtri carburante, il secondo consistito nella sostituzione degli iniettori e del flauto e nella pulizia dei serbatori, interventi tutti inseriti in un'unica fattura, la n. 158 del 27.1.2022 (testi (...) e (...). La contaminazione del carburante e la conseguente avaria del camion sono ulteriormente suffragate dall'esito delle analisi chimico-fisiche fatte effettuare dalla (...) sui campioni di carburante prelevato dal serbatoio del veicolo attoreo al momento del primo ricovero presso l'officina (del 22.12.2021), dal quale risulta che il carburante recava una carica microbiotica di 14520 UFC, indicante una "contaminazione grave, condizione di prossimo blocco dei filtri" (v. pag. 2 del rapporto di analisi, doc. 8 fascicolo attoreo). Tale accertamento peritale, sebbene non si sia svolto nel contraddittorio delle parti, assume un alto valore indiziario, sia perché richiesto da un soggetto terzo, la (...) sia perché fondato su indagini di laboratorio basate su criteri scientifici, nei confronti delle quali parte convenuta si è limitata ad una generica contestazione di mancato contraddittorio, senza svolgere puntuali contestazioni sul piano tecnico-scientifico. Né le su esposte emergenze istruttorie risultano in alcun modo contraddette dalle bolle di consegna del carburante presso la stazione di servizio di (...) dal 20.12.2021 al 25.1.2022, prodotte dalla convenuta a confutazione delle allegazioni attoree, trattandosi di documentazione unilateralmente formata e del tutto irrilevante ai fini della dimostrazione della idoneità del carburante venduto. In via istruttoria è stata disposta anche una consulenza tecnica d'ufficio affidata al P.I. (...) il quale, a seguito di un'indagine approfondita fondata su criteri metodologicamente corretti, ha accertato che: "il serbatoio del carburante presentava al suo interno evidenti tracce di fanghi (...) e relative impurità, che una volta entrate nel modulo di alimentazione del carburante (...) bypassando il filtro a reticella ormai saturo di sporco si depositano sul fondo, causando il malfunzionamento della pompa di alimentazione del carburante e di tutti i componenti relativi all'impianto di alimentazione quali: rail (...) [...], iniettori e relative tubazioni. Gli iniettori del gasolio, i relativi nebulizzatori e le tubazioni non sono stati analizzati in quanto, non sono più disponibili e non risulta alcuna documentazione fotografica presente in atti raffigurante tali componenti, comunque visto lo stato degli altri componenti, si presume che risultino non funzionanti a causa dei fanghi (...) rinvenuti all'interno del serbatoio come risulta dalle foto allegate agli atti di causa. Nelle foto in atti si può ancora vedere il carburante inquinato rimasto nel serbatoio del carburante. Viene fatto presente che a causa dell'inquinamento dell'intero impianto di alimentazione da parte del carburante contaminato, i suddetti componenti non sono in grado di funzionare e pertanto necessitano di essere sostituiti. Per quanto sopra esposto e dagli accertamenti effettuati, si evince che i danni rilevati sono senz'altro riconducibili ad un inquinamento da carburante in quanto: all'interno dell'impianto di alimentazione sono stati rinvenuti esclusivamente fanghi e impurità lasciate dalla miscela di acqua e gasolio (caratterizzata da una notevole percentuale di impurità) rinvenuta all'interno del carburante certificata anche dalla perizia effettuata su carburante presente in atti" (v. pagg. 7 e 8 relazione (...). Le conclusioni del consulente contenute nella relazione peritale sono prive di omissioni, esenti da vizi logici, complete, esaurienti, perfettamente motivate, prive di ogni considerazione aprioristica e ampiamente suffragate dagli accertamenti effettuati e dalle risultanze delle indagini ordinate, per cui ritiene questo giudice non doversene discostare. Non ostano a tale approdo i rilievi critici sollevati dalla difesa della convenuta, analiticamente riscontrati dal C.T.U. con condivisibili argomenti in replica che qui si richiamano integralmente. Pertanto, alla luce delle su esposte risultanze la società convenuta deve ritenersi responsabile per i vizi del carburante e per i conseguenti danni subiti dal camion attoreo, da ciò discendendo che la stessa è tenuta alla restituzione dell'importo versato dall'attrice per il rifornimento del carburante viziato e al risarcimento dei danni dubiti da quest'ultima. Par. 2. - Sul quantum debeatur (...) per tabulas che (...) per il rifornimento del carburante viziato, effettuato in data (...) presso la stazione di (...) di (...) dal camion targato (...) ha versato l'importo di Euro 654,92 al netto di IVA (v. doc. 3 fascicolo attoreo, cit.). (...) parimenti per tabulas e ha trovato conferma nell'istruttoria orale, che l'attrice per le riparazioni del veicolo resesi necessarie in conseguenza dei danni arrecati dal carburante viziato ha sostenuto spese per complessivi Euro 10.029,38 al netto di IVA (v. fattura n. 158/2022 di (...) doc. 7 fascicolo attoreo, nonché testimonianze (...) e (...), riparazioni ritenute corrette e spesa stimata congrua dal C.T.U. all'esito dell'accertamento peritale (v. pagg. 9 - 11 relazione peritale). Il consulente ha, inoltre, stimato in Euro 491,80 al netto di IVA il fermo tecnico e ritenuto congrua la spesa di Euro 600,00 al netto di (...) sostenuta dall'attrice per il traino del camion presso l'officina (...) (v. pag. 14 relazione peritale e doc. 5 fascicolo attoreo). Conseguentemente, il credito spettante all'attrice ammonta a complessivi Euro 11.121,18. Per il mancato godimento e(...) tunc di tale somma spetta all'attrice la rivalutazione monetaria secondo gli indici (...) e gli interessi annui al tasso legale dal fatto alla presente decisione, da computarsi, gli interessi, di anno in anno, sulla somma ottenuta rivalutando al 31 dicembre di ogni anno quella capitale, ed infine gli interessi al tasso legale sulla somma complessiva come risultante, dalla presente decisione al saldo effettivo (Cass. n. 1712/1995). 3. - Le spese di lite Le spese di lite seguono il principio della soccombenza, per cui fanno carico alla convenuta (...) e (...) s.r.l. Dette spese vengono liquidate in dispositivo con applicazione dei criteri stabiliti dal vigente D.M. n. 147/2022, e la determinazione del compenso viene effettuata in misura parametrale media, tenuto conto del valore della controversia (scaglione da Euro 5.200,01 ad Euro 26.000,00), dell'opera prestata (trattasi di causa che ha avuto ampia istruttoria) e della media complessità delle questioni giuridiche dedotte. Per il principio della soccombenza vanno rimborsate all'attrice anche le spese sostenute per il consulente di parte, pari ad Euro 1.435,20 al netto di IVA (v. fattura n. 82/2023 di (...) srls) e le spese della consulenza tecnica d'ufficio vanno definitivamente poste a carico di parte convenuta, con obbligo di rimborso in favore dell'attrice che le ha anticipate. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione respinta: 1) condanna la convenuta (...) e (...) s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare in favore dell'attrice (...) s.r.l., per i titoli di cui in parte motiva, la somma di Euro 11.121,18, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali come specificati in motivazione; 2) condanna la convenuta (...) e (...) s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a pagare in favore dell'attrice la somma di Euro 1.435,20 a titolo di rimborso delle spese di consulenza tecnica di parte; 3) condanna la convenuta (...) e (...) s.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a rimborsare all'attrice le spese di lite, liquidandole in complessivi Euro 6.102,55, di cui Euro 5.077,00 per compenso di avvocato, Euro 761,55 per rimborso spese generali ed Euro 264,00 per anticipazioni, oltre CAP ed IVA come per legge; 4) pone definitivamente le spese della consulenza tecnica d'ufficio a carico di parte convenuta, con obbligo di rimborso in favore dell'attrice che le ha anticipate. Così deciso in Lucca il 6 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI LUCCA SEZIONE CRISI D'IMPRESA E DELL'INSOLVENZA Il Tribunale di Lucca, sezione civile, composto dai Magistrati: - Giulio Lino Maria Giuntoli - Presidente - Carmine Capozzi - Giudice - Giacomo Lucente - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA letta istanza di apertura della procedura liquidazione controllata N.89-1/ 2023, proposta (...) FATTO E DIRITTO rilevato che il debitore, pur non costituendosi in giudizio, ha partecipato alle udienze del 18/7/2023, 12/9/2023, 3/10/2023 (in queste ultime assistito da difensore), nulla eccependo in ordine al credito azionato ma soltanto chiedendo termine per una sistemazione conciliativa con la controparte (tentativi che non hanno sortito effetto, come risulta dal verbale dell'odierna udienza); rilevato che lo stato di insolvenza emerge dalla persistenza dell'esposizione debitoria documentata in atti (v. titoli, anche giudiziali, non opposti, depositati dalla ricorrente; verbali negativi di pignoramento; informativa AER e INPS); verificata l'esistenza dei presupposti di cui agli artt.268, co.2 e 269 CCII; considerato, in particolare, che il credito della ricorrente ammonta ad Euro 16783,12; che l'informativa AER evidenzia debiti iscritti a ruolo per Euro 340.427,78, di cui soltanto Euro 288.359,71 oggetto di sospensione per effetto della richiesta di adesione alla c.d. rottamazione quater; che l'informativa INPS mostra debiti, oltre a quelli già passati all'agente della riscossione, per Euro 18.055,00; che, in conclusione, è superata la soglia di Euro 50.000,00 prevista dall'art.268, co.2 CCI; considerato ancora che un'istanza di fallimento proposta nel 2019 è stata respinta dal tribunale di Lucca sul presupposto che il resistente fosse un piccolo imprenditore (copia del provvedimento è prodotta dalla ricorrente); che da allora, alla luce dell'espletata istruttoria, nulla sembra essere cambiato, se non un aggravamento del debito fiscale; che pertanto devono reputarsi sussistenti le condizioni di cui all'art.2, co.1 lett.d) per la definizione di impresa minore; P.Q.M. Visti gli artt.49, 65, 270 CCII, - dichiara l'apertura della procedura di liquic azione controllata di (...) - nomina giudice delegato il dr. Carmine Capozzi; - nomina liquidatore il dott. M.N. dell'ODCEC di Lucca; - ordina al debitore di depositare entro sette giorni i bilanci, i libri e scritture contabili e fiscali obbligatori e l'elenco dei creditori; - assegna ai terzi che vantano diritti su beni del debitore e ai creditori risultanti dall'elenco depositato termine di sessanta giorni, con decorrenza dalla notificazione della sentenza di cui all'art.270, co.4, e 272, co.1 CCII, entro il quale, a pena di inammissibilità, devono trasmettere al liquidatore, a mezzo posta elettronica certificata, la domanda di restituzione, di rivendicazione e di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell'art.201 CCII; - ordina la consegna dei beni mobili e il rilascio dei beni immobili facenti parte del patrimonio di liquidazione, fatta eccezione per l'(eventuale) immobile adibito ad abitazione del debitore e della sua famiglia, che conserverà tale destinazione d'uso sino alla sua liquidazione; - dispone l'inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale di Lucca, oltre che la sua iscrizione presso il registro delle imprese; - ordina la trascrizione della presente sentenza presso gli uffici competenti, ove presenti beni mobili registrati o immobili; - dispone che il liquidatore provveda ad aprire un conto corrente bancario, intestato alla procedura e che la gestione dei mandati di pagamento avvenga, sino all'attuazione dell'art. 131 CCII, con le modalità telematiche di cui alla circolare del Presidente del Tribunale di Lucca del 16.6.2020 e successivamente con le modalità di cui all'art. 131, co. 4 CCII; - autorizza il liquidatore, con le modalità di cui agli artt.155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp. att. c.p.c., ad accedere alle banche dati e ad acquisire i documenti di cui all'art. 49, co. 3 lett. f), nn. da 1 a 5; - dispone che il liquidatore, decorsi tre anni dall'apertura della procedura, faccia pervenire, ai fini dell'art.282 CCII, una relazione sull'assenza delle condizioni ostative all'esdebitazione di cui agli artt. 280 e 282, co. 2 CCII. Manda alla Cancelleria per la comunicazione della sentenza alle parti e al liquidatore nominato. Così deciso in Lucca il 3 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria l'11 ottobre 2023.
TRIBUNALE DI LUCCA SEZIONE CRISI D'IMPRESA E DELL'INSOLVENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, composto dai Signori Magistrati: - dott. Giulio Lino Maria Giuntoli Presidente - dott. Giacomo Lucente Giudice - dott. Carmine Capozzi Giudice relatore sciogliendo la riserva formulata all'odierna udienza, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento unitario iscritto al n. 13, sub 1, 2, 3/2022, nel quale sono confluite la domanda di liquidazione giudiziale (n.13-1/2022) proposta da AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE nei confronti di (...) la domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi con riserva della documentazione (n.13-2/2022) e la successiva domanda di concordato preventivo (n.13-3) proposte dalla debitrice. RAGIONI DELLA DECISIONE I. I principali passaggi procedurali. 1. - L'Agenzia delle Entrate Riscossione ha proposto istanza di liquidazione giudiziale nei confronti di (...) (di seguito anche solo (...)) sede legale in (...). La debitrice, che gestisce la nota discoteca (e annesso stabilimento balneare) denominata (...) sita località (...) ha dapprima depositato domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi con riserva di deposito della documentazione e, successivamente, nel termine concesso, domanda di concordato preventivo. Il piano concordatario e la proposta prevedono, in sintesi: (i) il piano concordatario è in continuità diretta, con previsione, rapportata ad un orizzonte temporale di 36 mesi, della generazione di flussi di cassa positivi per Euro 350.000,00, al netto di tutti costi e dell'imposizione fiscale, da destinare alla soddisfazione dei creditori; (ii) il fabbisogno concordatario è integrato con apporto di risorse per Euro 4.000.000,00, in parte (per Euro 1.500.000,00) riconducibili al titolo ex art. 87, co. 1 lett. h), e quindi a risorse interne alla società in forma di crediti risarcitori nei confronti degli amministratori, e in parte (per Euro 2.500.000,00) da vera finanza esterna, proveniente da terzi, il tutto garantito, allo stato, da vincolo di destinazione costituito in data 17.1.2023, ai sensi dell'art. 2645 ter c.c., su immobili di proprietà di terzi, meglio individuati nel ricorso, nel piano e nell'atto di costituzione del vincolo allegato alla memoria integrativa del 18.1.2023; (iii) la suddivisione dei creditori in sei classi: - classe prima: creditori privilegiati ex 2751 bis n. 1 c.c., con proposta di pagamento al 100%; - classe seconda: creditori privilegiati ex art. 2751 bis n. 2 e 3, con proposta di pagamento al 100%; - classe terza: creditori I.N.P.S. e INAIL, con proposta di pagamento dei crediti privilegiati nella misura del 100% sino al valore di liquidazione e del 22% di quelli degradati a chirografo; - classe n. 4: creditore ERARIO, con proposta di pagamento del 22%; - classe n. 5: TRIBUTI LOCALI, con proposta di pagamento del 20%; - classe n. 6: chirografari ab origine, con proposta di pagamento al 20%; (iv) il pagamento dei creditori con la seguente tempistica: le spese di giustizia ex artt. 2755 e 2770 c.c., secondo la loro rispettiva maturazione, in base ai provvedimenti dell'autorità giudiziaria; i crediti privilegiati e quelli chirografari entro 36 mesi. 2. - Aperta la procedura di concordato preventivo, all'esito della votazione dei creditori il commissario giudiziale ha depositato relazione ex art. 110 CCII, rappresentando e documentando che la proposta è stata approvata soltanto dalla prima, seconda e sesta classe e che, pertanto, ai sensi dell'art. 109, co.5 CCII, essa deve considerarsi non approvata. 3. - Con decreto depositato in data 27.6.2023, ore 17,49, il tribunale, rilevato che proposta di concordato non era stata approvata, visti gli artt. 449 e 111 CCII, ha fissato per l'audizione della debitrice e del creditore che ha proposto istanza di liquidazione giudiziale l'odierna udienza, delegando l'attività istruttoria al giudice relatore. 4. - Con istanza depositata in data 27.6.2023, ore 19:45, la debitrice ha chiesto, in tesi, l'omologazione del concordato ex art. 88 bis CCII, sul presupposto che il concordato proposto sia di tipo misto con applicazione delle norme sul concordato liquidatorio, e in ipotesi l'omologazione del concordato per effetto della ristrutturazione trasversale dei debiti con applicazione dell'art. 88, co.2 bis (cram down fiscale e previdenziale) al fine di raggiungere le condizioni previste dall'art. 112, co. 2, lett. d) CCII. L'istanza è stata discussa all'odierna udienza. II. Sulla qualificazione tipologica del concordato proposto e sulla disciplina applicabile. In tutti gli atti processuali la debitrice ha qualificato il concordato preventivo proposto come un "concordato in continuità diretta ex art. 84 comma 2 ccii, con l'intervento di terzi soggetti che erogheranno finanza esterna, al fine di supportare la fattibilità della proposta" (così, fra l'altro, nel ricorso introduttivo). Nella sola istanza del 27.6.2023 ha invece qualificato il concordato proposto come di tipo misto, in prevalenza liquidatorio. La tesi è argomentata con richiamo al tema dei c.d. concordati misti e alla relazione illustrativa al CCII, in particolare con rinvio al criterio del "raffronto aritmetico tra flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività e flussi derivanti dalla liquidazione dei beni". Alla luce di tale criterio la ricorrente sostiene che "è in continuità il concordato che trae mezzi destinati al soddisfacimento dei creditori in misura rilevante dai proventi che derivano dalla prosecuzione dell'attività imprenditoriale, mentre è liquidatorio quello che consente il soddisfacimento dei creditori attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio". Secondo la debitrice non sussisterebbero le condizioni per qualificare il concordato proposto come in continuità aziendale diretta perché: (i) la continuità è limitata nel tempo (36 mesi), in quanto l'attività da essa svolta (gestione di discoteca e stabilimento balneare) su suolo demaniale dato in concessione è condizionata dalle vicende legate alla direttiva c.d. Bolkestein, dalle note sentenze del Consiglio di Stato e dalle iniziative governative in corso; (ii) la prosecuzione dell'attività d'impresa non ha pertanto funzione di conservazione dell'azienda; (iii) i creditori sono soddisfatti per la maggior parte (quasi il 90%) da proventi derivanti da risorse esterne. Dalla diversa qualificazione tipologica discenderebbe l'applicazione degli artt. 1109, co. 1 e 88, co. 2 bis CCII, con conseguente omologazione della proposta di concordato preventivo a seguito del cram down riferibile agli enti fiscali e previdenziali, che non hanno votato o hanno votato contro la proposta. La tesi sostenuta dalla debitrice non è conforme al CCII, come modificato a seguito del decreto legislativo n. 83/2022. Decreto, quest'ultimo, che, in sede di recepimento ed attuazione della direttiva UE 2019/1023 (infra, direttiva insolvency), ha profondamente modificato l'impianto del CCII, proprio, fra l'altro, quanto alla disciplina del concordato preventivo. Nell'assetto originario il concordato in continuità aziendale era definito in relazione ai mezzi di soddisfacimento dei creditori, che dovevano derivare in misura prevalente dalla continuità aziendale diretta o indiretta (art. 84, co.2 CCII, primo periodo). Lo stesso codice poneva una presunzione di prevalenza (art. 84, co.2, secondo periodo), stabilendo che la "prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà (dei lavoratori) della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso". Tale criterio discretivo è stato completamente abbandonato dal D.Lgs. 83/2022, il quale oggi prevede che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità diretta o indiretta (art. 84, co.3, primo periodo CCII) e che 'Ha continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell'attività di impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato domanda di concordato, ovvero indiretta se è prevista dal piano la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo (art. 84, co. 2 CCII). Il criterio della prevalenza dei flussi è pertanto venuto meno, ciò che rileva ai fini della qualificazione tipologica è soltanto se c'è continuità aziendale, diretta o indiretta, nei termini sopra riportati. Nel caso di specie, è indubitabile che il piano sia in continuità diretta, continuando la debitrice la propria attività d'impresa di gestione di una discoteca e di uno stabilimento balneare. Né in senso contrario può argomentarsi dal fatto che la ricorrente esercita la propria attività d'impresa per mezzo di un bene demaniale oggetto di concessione, rispetto al quale si pone il problema dell'applicazione della direttiva Bolkestein e della note decisioni dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n.17 e 18 del 2021); concessione, pertanto, che a seguito di procedura di evidenza pubblica, quando sarà espletata, potrebbe essere assegnata ad altro soggetto. Invero, questo profilo rileva ai fini della fattibilità del piano, che correttamente è stato limitato ad un orizzonte temporale di 36 mesi e prevede un meccanismo di integrazione delle risorse necessarie per pagare i creditori per il caso in cui i provvedimenti di riallocazione delle concessioni demaniali fossero intervenuti prima di tale momento e la concessione non fosse assegnata alla debitrice, ma non anche ai fini della qualificazione del concordato che è chiaramente in continuità diretta, continuando l'attività d'impresa ad opera dello stesso imprenditore proponente. Ne discende che la disciplina applicabile è quella del concordato in continuità aziendale e non quella del concordato liquidatorio (infra, anche "concordato altro"). III. - Sull'applicazione degli artt. 88, co. 2 bis e 112, co. 2 CCII. In subordine, per il caso in cui il concordato fosse stato qualificato come in continuità aziendale diretta, la debitrice richiede l'applicazione degli artt. 888, co. 2 bis e 112, co. 2 sul presupposto che il primo articolo sia applicabile anche al concordato in continuità aziendale e, in particolare, alla c.d. ristrutturazione trasversale dei debiti e che, per effetto del cram down dei creditori fiscali e previdenziali, nella ricorrenza degli altri presupposti previsti dall'art. 112, co.2, sarebbe raggiunta (art. 112, co. 2 lett. d), prima ipotesi) la maggioranza delle classi o, in via gradata, vi sarebbe l'approvazione della classe III, rispetto alla quale si realizzerebbe la condizione prevista dalla seconda ipotesi regolata dall'art.112, co. 2 lett. d). Secondo la debitrice l'art. 88, co. 2 bis opererebbe, ancora, nell'ottica dell'art. 112, co. 2 lett. d), per rendere possibile l'approvazione del concordato da parte della maggioranza delle classi, quando questa possa essere raggiunta soltanto grazie al cram down fiscale/previdenziale, oppure da parte della classe rispetto alla quale potrebbero realizzarsi le condizioni previste dall'art. 112, co. 2 lett. d, seconda ipotesi. In altre parole, il cram down fiscale/previdenziale servirebbe a realizzare i presupposti della c.d. ristrutturazione trasversale e, quindi, a consentire infine l'omologazione del concordato in continuità aziendale. La tesi non può essere accolta per queste ragioni. L'art. 88 CCII è stato modificato con il decreto legislativo 83/2022. In particolare, il decreto è intervenuto, prevedendo le seguenti modifiche: (i) al comma primo, rispetto alla formulazione originaria, è stato inserito il seguente incipit: "Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall'art. 112, co. 2 (...)"; (ii) al comma secondo, nella parte finale, è stata aggiunta questa previsione (riferita ali'oggetto dell'attestazione del professionista indipendente): "e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore"; (iii) è stato poi introdotto il comma 2 bis, il quale stabilisce: "Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza dell'adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 109, co. 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfiacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria". Tali modifiche sono conseguenza della complessiva riscrittura dell'art. 112 CCII, in tema di giudizio di omologazione (come anche dell'art. 109 in tema di maggioranze per l'approvazione), e della possibilità della ristrutturazione trasversale dei debiti in caso di concordato in continuità aziendale, introdotta in attuazione dell'art. 11 della direttiva insolvency. La stessa relazione governativa al D.Lgs. 83/2022, chiarisce che "l'art.88 sul Trattamento dei crediti tributari e contributivi" - è stato modificato-" per circoscriverne la portata in ragione della nuova disciplina del concordato in continuità e per recepire al suo interno, come fatto per l'art. 63 sugli accordi di ristrutturazione, la disposizione dell'attuale articolo 48, co. 5, sull'omologazione anche in assenza di adesione dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie". In altre parole, seguendo il tracciato disegnato nella relazione governativa, si dire che: (a) il nuovo incipit dell'art. 88 CCII tiene conto della possibilità della ristrutturazione trasversale dei debiti (art. 112, co.2); (b) la frase aggiunta alla fine dell'art. 88, co. 2, tiene conto delle novità in materia di concordato in continuità aziendale; (c) il comma 2 bis dell'art. 88 recepisce all'interno della disciplina relativa al trattamento dei crediti tributari e contributivi la disposizione prima contenuta nell'articolo 48, co. 5, sull'omologazione anche in assenza di adesione dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. Il raccordo tra l'art. 88, modificato, e il nuovo art. 112 CCII pone diverse questioni interpretative di non agevole soluzione, fra cui, principalmente, quella sollevata dalla debitrice, e cioè se la disciplina del cram down fiscale e previdenziale trovi applicazione nel caso in cui la proposta di concordato in continuità aziendale implichi una ristrutturazione trasversale dei debiti, regolata dall'art. 112, co. 2 CCII e, quindi, il cram down possa essere utilizzato, nel senso indicato dalla odierna debitrice, per realizzare la condizione della ristrutturazione trasversale prevista dall'art. 112, co. 2 lett. d). E' opinione del collegio che alla questione interpretativa debba darsi risposta negativa. Militano per tale conclusione rilievi di ordine letterale e di carattere sistematico. Quanto ai primi, l'incipit dell'art. 88, co. 1 CCII, come introdotto dal decreto n. 83/2022, fa salve le diverse previsioni dell'art. 112, co. 2 CCII per la ristrutturazione trasversale dei debiti. Inoltre, l'art. 88, co. 2 bis CCII richiama l'art. 109, co. 1 (maggioranze nel concordato altro) ma non anche l'art. 109, co. 5 e, soprattutto, l'art. 112, co. 2 lett. d) CCII (concordato in continuità con ristrutturazione trasversale dei debiti). Sul piano dell'interpretazione letterale, quindi, non è possibile agganciare l'art. 88, co. 2 bis all'art. 112, co. 2, lett. d). Quanto ai secondi, la ristrutturazione trasversale dei debiti consiste, in sintesi, nel fatto che i flussi di cassa della continuità (i beni futuri nel senso deU'art.2740 c.c.) non sono distribuiti nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (c.d. absolute priority rule, infra APR) ma in maniera tale che i creditori inseriti in una classe, pur non ricevendo l'intero flusso di cassa futuro a cui avrebbero avuto diritto in base all'APR, ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello dei creditori delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi inferiori (c.d. relative priority rule, infra RPR). Nel diritto francese, più efficacemente, si parla di "Application forcée interclasse", così esprimendo l'idea di un piano di ristrutturazione che s'impone in maniera forzata alle classi di grado superiore che ricevono di meno rispetto a quanto riceverebbero applicando l'APR. La RPR introduce, nel nostro ordinamento, una deroga agli art. 2740 e 2741 c.c. e, prima ancora, ali'art. 24 Cost., disposizione nel cui perimetro di copertura rientrano anche le azioni esecutive intese in senso lato (comprese, quindi, le azioni di regolazione dell'insolvenza del debitore/imprenditore). Ne discende che le norme che regolano la RPR sono norme di carattere eccezionale, insuscettibili di applicazione analogica (art. 14 preleggi). Analogamente le norme sul cram down fiscale e previdenziale, consentendo l'omologazione in difetto dell'approvazione (o addirittura contro il voto espresso dalla) dell'amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali, sono a loro volta norme di carattere eccezionale, insuscettibili di applicazione analogica. Ovviamente è ammissibile, secondo i canoni generali, l'interpretazione estensiva. Si tratta allora di verificare se è possibile un'interpretazione estensiva dell'art. 88, co.2 bis, cioè un'interpretazione che vada oltre il dato letterale, in modo da realizzare il risultato sostenuto dalla ricorrente. E' opinione del tribunale che ciò non sia possibile per varie ragioni: (i) la direttiva insolvency, nel dettare, all'art. 11, le condizioni della c.d. ristrutturazione trasversale dei debiti, non fa mai riferimento alla possibilità di considerare un voto non espresso da un creditore o da una classe dei creditori (o addirittura un voto contrario, come nel caso di specie), come un voto di adesione alla proposta per effetto di una fictio iuris, ma richiede che la proposta sia approvata dalla maggioranza delle classi o anche da una sola classe, come definita all'art. 11, 1, lett. b, ii). L'approvazione deve essere quindi effettiva e riferibile ad una manifestazione di volontà della classe dei creditori. Pertanto, un'interpretazione del diritto interno orientata al rispetto del diritto euronitario porta ad escludere l'ammissibilità di un meccanismo, quale quello delineato dalla ricorrente, che conduce alla ristrutturazione trasversale dei debiti con la distribuzione del surplus concordatario in deroga all'art.2741 c.c. per effetto di una fictio iuris (fictio iuris che consente di ritenere approvato un concordato non sostenuto dai creditori pubblici e, in ipotesi, da nessun creditore). Il cram down fiscale e previdenziale è stato pensato nel nostro ordinamento in un contesto in cui non esisteva la regola della RPR, ma solo quella dell'APR. Non pare possibile, in difetto di chiari indici normativi, applicare la stessa soluzione alla diversa ipotesi in cui i beni futuri vengono distribuiti non secondo le regole dell'APR ma secondo quelle delI'RPR. In alcune proposte di concordato tali flussi possono quasi esaurire Finterò attivo concordatario. Pensare, quindi, di imporre ad un creditore (o classe di creditori) una soluzione che lo penalizza (nel caso di specie, ad esempio, la classe III, enti previdenziali, è chiaramente danneggiata dall'applicazione della RPR sul c.d. surplus concordatario) in difetto di una sua volontà esplicita e in forza di un meccanismo legale che equipari la mancata adesione all'adesione, non appare conforme ai principi di carattere sistematico sopra delineati. D'altro canto, per effetto di un simile meccanismo la soluzione finirebbe con l'imporsi non solo al creditore pubblico (amministrazione finanziaria e enti previdenziali e assistenziali) ma anche agli altri creditori, in ipotesi parimenti danneggiati, che pure si erano opposti alla proposta, e sempre in assenza o contro la volontà da loro manifestata, prescindendosi, in ipotesi estrema, del tutto dalla approvazione (espressa) del piano da parte di una classe dei creditori. Soluzione che, ancora una volta, sembra porsi in contrasto con la direttiva insolvency, la quale non dice che per fare la ristrutturazione trasversale dei debiti è sufficiente che il valore di liquidazione sia distribuito secondo la regola dell'APR, ma che la proposta, in relazione alle modalità di distribuzione del valore della continuità, oltre a rispettare la regola della RPR, deve anche essere approvata dalla maggioranza delle classi o, in ipotesi, dall'unica classe per la quale ricorrano le condizioni di cui all'art. 11, 1, lett. b ii). Un'approvazione, esplicita, deve pertanto esserci. Anche negli accordi di ristrutturazione dei debiti è disciplinata la transazione su crediti tributari e contributivi. E anche in tal caso il cram down è previsto (art. 63, co. 2 bis) soltanto quando l'adesione dei creditori pubblici è necessario per raggiungere le percentuali richieste dagli artt. 557, co. 1 e 60, co. 1, ma non anche quando vengano in rilievo le maggioranze dell'art. 61, co. 2, lett. c) per i c.d. accordi ad efficacia estesa, in cui l'accordo s'impone anche ai creditori estranei e, quindi, il cram down, ove fosse consentito, porterebbe con sé l'effetto di estendere l'efficacia dell'accordo non solo al creditore pubblico contrario o non aderente ma anche a tutti gli altri creditori non aderenti. Ammettere una diversa soluzione consentirebbe, in altra parole, di realizzare un cram down indiretto anche per i creditori, diversi da quelli pubblici, non aderenti, appartenenti in ipotesi alla stessa categoria. (iv)Nel piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (infra, PRO), in cui il valore generato dal piano può essere distribuito in deroga agli artt. 22740 e 2741 c.c., il mancato richiamo dell'art. 88 e l'espressa esclusione dell'applicazione dell'art. 112 CCII (v. art. 64 bis, co.9) rendono evidente come non sia possibile applicare la disciplina del cram down fiscale e contributivo, e ciò perché, fra l'altro, ancora una volta viene in rilievo una possibile deroga alle regole distributive previste dal codice civile in caso di concorso dei creditori. Il principio che emerge dall'art.64 bis CCII è sempre lo stesso: la deroga va approvata dal creditore o, rectius, dalla classe dei creditori interessata, con le regole di maggioranza previste dalla legge. L'accettazione deve essere ancora una volta effettiva, e non può essere frutto del meccanismo previsto dall'art.88, co.2 bis CCII. (v) La disciplina del PRO, in relazione alla possibilità data al debitore, la cui proposta non sia stata approvata dall'unanimità delle classi, di modificare la domanda formulando una proposta di concordato preventivo (c.d. conversione, regolata dall'art. 64 quater) offre, poi, un ulteriore argomento a sostegno della soluzione scelta dal tribunale. Si pensi all'ipotesi in cui la proposta di PRO sia congegnata in maniera da rispettare le prime tre condizioni previste dall'art. 112, co. 2 per la ristrutturazione trasversale dei debiti e non sia stata approvata dall'unanimità delle classi (ad esempio, in caso di quattro classi per effetto del voto contrario della classe dei creditori previdenziali e della classe dei creditori tributari). Ritenere che in caso di proposta di concordato preventivo presentata ex art. 64 quater sia possibile la realizzazione della quarta condizione (quella dell'art. 112, co. 2 lett. d) per effetto dell'applicazione dell'art. 88, co.2 bis senza una significativa modifica del contenuto della proposta, darebbe luogo ad un'evidente incoerenza di sistema, in quanto consentirebbe, per effetto della conversione della procedura, di conseguire un risultato non raggiungibile nel PRO senza che vi sia alcuna ragione giustificativa della diversa soluzione. Incoerenza di sistema che sarebbe evidente anche nell'ipotesi in cui la ristrutturazione trasversale dei debiti fosse stata presentata ab origine non come PRO ma direttamente come domanda di concordato preventivo in continuità aziendale. In conclusione, discende dalle superiori considerazioni che, non ricorrendo nel caso di specie i presupposti per l'applicazione dell'art. 112, co. 2 CCII (non essendo stato il concordato in continuità approvato dalla maggioranza delle classi né da una classe rispetto alla quale sussistano le condizioni di cui all'art. 112, co. 2 lett.d), seconda ipotesi), il concordato non approvato non è omologabile e non è necessario pertanto aprire il relativo procedimento. Ricorrendo i presupposti di cui agli artt. 49, co. 2 e 111 CCII (mancata approvazione della proposta di concordato, istanza di liquidazione giudiziale pendente), è necessario infine esaminare la domanda di liquidazione giudiziale. IV - Presupposti per l'applicazione dell'art. 121 CCII ed esercizio provvisorio. La debitrice è un'imprenditrice commerciale non piccola. Lo stato di insolvenza è conclamato, non riuscendo più la debitrice a far fronte in modo regolare al complessivo indebitamento, che ammonta a Euro 12.600.592,00 alla data di presentazione della domanda di concordato con riserva di deposito della documentazione. Dal bilancio al 31.12.2021 risulta inoltre che il patrimonio sociale netto è negativo per Euro 7.552.820. Dalla situazione patrimoniale aggiornata al 31.10.2022 emerge un'ulteriore perdita di esercizio per oltre 230.000 Euro. Lo stato d'insolvenza è pacificamente ammesso dalla debitrice e constatato dal commissario giudiziale. Sussistono, pertanto, i presupposti ex art. 121 CCII per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale. E' necessario disporre, ai sensi dell'art. 211, co. 2 CCII, l'esercizio provvisorio dell'impresa sino al termine della corrente stagione balneare per preservare nell'immediato la continuità aziendale e il residuo avviamento. Dall'interruzione dell'attività d'impresa nel pieno della stagione balneare, in cui la debitrice realizza la più parte dei flussi di cassa dell'anno, potrebbe derivare infatti un grave nocumento ai creditori e, soprattutto, alle possibilità di conservazione valori aziendali in vista della riallocazione dell'azienda. P.Q.M. visti gli artt. 22, 40, 41, 49, 111, 121 CCII, dichiara l'apertura della procedura di liquidazione della società (...) con sede in (...), P.I. avente ad oggetto: attività gestione di discoteca e stabilimento balneare; nomina Giudice Delegato il dr. Carmine Capozzi; tenuto conto dei criteri di cui all'art. 358, co. 3 CCII, nomina curatore il dr. Ga.As. dell'ODCEC di Lucca (già commissario giudiziale); dispone l'esercizio provvisorio dell'impresa, precisando che il curatore potrà compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione senza necessità di specifica autorizzazione; per l'esecuzione dei mandati di pagamento ex art. 131 CCII, saranno osservate le disposizioni di cui alla nota circolare del presidente del tribunale di Lucca in tema di pagamenti con modalità telematiche nelle procedure concorsuali; ordina al debitore il deposito in Cancelleria entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell'art,2215 bis c.c., dei libri sociali, delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA dei tre esercizi precedenti, nonché dell'elenco dei creditori corredato dall'indicazione del loro domicilio digitale, se già non eseguito a norma dell'art. 39 CCII; stabilisce il giorno 16-1-2024, ore 9:20, per l'esame dello stato passivo nell'Ufficio del Giudice Delegato; assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, termine perentorio di trenta giorni prima dell'adunanza per la presentazione in Cancelleria delle domande di insinuazione. Autorizza il curatore, con le modalità di cui agli artt. 1155 quater, 155 quinquies e 155 sexies disp.att. cpc: 1) ad accedere alle banche dati dell'anagrafe tributaria e dell'archivio dei rapporti finanziari; 2) ad accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi; 3) ad acquisire l'elenco dei clienti e l'elenco dei fornitori di cui all'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni; 4) ad acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l'impresa debitrice, anche se estinti; 5) ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l'impresa debitrice. Visto l'art. 146 del D.P.R. 30/05/2002 n. 115, autorizza l'ammissione della procedura alla prenotazione a debito. Dispone la pubblicazione della sentenza ai sensi dell'art. 49, co. 4 CCII a cura della Cancelleria, che procederà altresì alla formazione del fascicolo della procedura ai sensi dell'art. 199 CCII. Così deciso in Lucca il 7 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di LUCCA Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente all'esito di trattazione cartolare SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 170/2022 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. ME.PA. ricorrente e MIUR - MINISTERO DELL'ISTRUZIONE DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA con il patrocinio della d.ssa (...) Resistente All'esito di trattazione cartolare con deposito di note scritte il ricorso è stato deciso con sentenza. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La ricorrente rilevava che in sede di compilazione della domanda di accesso alla graduatoria relativa agli istituti scolastici, ha rilasciato dichiarazione ai sensi di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. 28 decembre 2000, n. 445 avente ad oggetto la circostanza "di non avere riportato condanne penali (anche se sono stati concessi amnistia, indulto, condono o perdono giudiziale) in Italia e/o all'estero. Tale dichiarazione veniva resa sulla scorta delle risultanze del certificato del casellario giudiziale estratto dall'attuale ricorrente presso il Ministero della Giustizia ai sensi e per gli effetti dell'art. 24 D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 in data 19.05.2020, nel quale si attestava che nella Banca dati del Casellario giudiziale risulta: NULLA. In data 8.9.21 la ricorrente sottoscriveva contratto individuale di lavoro a tempo determinato, in qualità di docente scuola primaria, per n. 24 ore settimanali di lezione, con decorrenza dall'8/09/2021 e fino al 30/06/2022; con Provv. del 23 dicembre 2021, veniva comunicato alla ricorrente la risoluzione anticipate del contratto di lavoro in quanto, da un controllo effettuato al casellario giudiziario circa le dichiarazioni rilasciate nella domanda di inserimento nelle GPS, le stesse sarebbero risultate non veritiere. In particolare la ricorrente non aveva dichiarato di aver riportato due condanne di applicazione della pena su richiesta delle parti, la prima emessa dal GIP presso il Tribunale di Lucca in data 7.06.2012 irrevocabile in data 13.07.2012 - per la violazione dell'art. 2 comma 1 bis L. 11 novembre 1983, n. 638 (multa di Euro 760,00 - pena estinta mediante l'integrale pagamento della somma in data 3.07.2013); la seconda emessa dal GIP Tribunale di Grosseto in data 18.04.2016, irrevocabile in data 6.05.2016 per la violazione dell'art. 223 e 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione computata la diminuente per il rito con il beneficio della sospensione condizionale della pena e non menzione). Rilevava che le suddette condanne non risultavano dal casellario giudiziale da lui richiesto atteso che l'art. 28 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 così come modificato dal D.Lgs. n. 122 del 2018 (riforma Orlando del Casellario Giudiziale in vigore dal 10 novembre 2019) al comma VII prevede: "L'interessato che a norma degli art. 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel Casellario Giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui al comma VII, nonché di cui all'art. 24 comma I". L'art. 24 comma I D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, indica espressamente alla lettera e) i provvedimenti previsti dall'articolo 445, del codice di procedura penale, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e ai decreti penali. Il Ministero si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso; rilevava che il docente non si era limitato ad omettere di dichiarare precedenti penali a suo carico ma aveva dichiarato di non averne. Il Ministero, sottolineando come la decadenza è conseguenza automatica rispetto all'accertamento delle dichiarazioni non veritiere, rilevava ancora come la suddetta decadenza costituisce una sanzione discendente dall'accertamento, anche a distanza di tanti anni, di condotte gravemente scorrette o addirittura fraudolente, che hanno consentito o favorito l'attestazione documentale di requisiti inesistenti e, con ciò, l'instaurazione, ab origine insanabilmente viziata, del rapporto di pubblico impiego. Il ricorso è fondato e va accolto. Su questione analoga questo Giudice si è già pronunciato nella causa avente rg 945/21 all'esito di ricorso in via d'urgenza pertanto possono richiamarsi le relative argomentazioni che, pur riguardando un caso non pienamente sovrapponibile a quello oggetto dell'odierno vaglio giudiziario (in quanto nella vicenda richiamata il docente ometteva di dichiarare i precedenti, laddove qui il ricorrente dichiara di non avere precedenti penali), possono tuttavia pienamente valere anche nella vicenda del ricorrente. "Si osserva che l'esclusione dalle graduatorie dell'odierno ricorrente e la risoluzione del relativo contratto di lavoro a tempo determinato di cui trattasi sono state poste in essere a seguito di un controllo effettuato al casellario giudiziale del ricorrente, dal quale sarebbe emersa la non veridicità delle dichiarazioni dallo stesso rilasciata in sede di domanda di inserimento nelle GPS, o meglio di omissione di dichiarazione. Più in particolare, dal controllo emergeva che il docente OMISSIS aveva riportato una condanna penale, risalente a fatti commessi nell'anno 2009, precisamente una condanna penale ad Euro 1.440,00 di ammenda, condanna questa, secondo la tesi di parte ricorrente, non dichiarata nella domanda di ammissione alle G.P.S. proprio in forza della natura della condanna penale riportata, e quindi in applicazione del disposto di cui all'art. 28, comma 7, del D.P.R. n. 313 del 2012, così come modificato dall'art. 4, comma 1 lett. G) del D.Lgs. n. 122 del 2018 (...); in aggiunta il ricorrente rileva come alcun beneficio aveva tratto dalla mancata indicazione della condanna riportata. L'art. 28 del DPR 313/02 prevede espressamente che "l'interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto ad indicare la presenza di quelli di cui al comma 7 nonché di cui all'articolo 24 comma 1", il comma 7 del medesimo articolo indica tra le fattispecie non iscritte nel casellario giudiziale richiesto a tali fini tra le altre "le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e alle condanne per reati estinti a norma dell'articolo 167, primo comma, del codice penale". Ebbene a fronte di una tale chiara previsione da parte di una legge di rango primario (di rango subordinato alla Costituzione e alle leggi costituzionali) non possono certo farsi ricadere sui singoli cittadini le conseguenze derivanti dal sempre più frequente mancato coordinamento tra le norme. L'art. 7 dell'O.M. n. 60 del 1920 relativo alla "Istanza di partecipazione" prevede al comma 4 che "Nell'istanza di partecipazione ogni aspirante dichiara: a) il possesso dei requisiti generali e l'assenza delle condizioni ostative di cui all'articolo 6; b) di essere fisicamente idoneo allo svolgimento delle funzioni proprie del docente o educativo per i distinti ruoli; c) le eventuali condanne penali riportate (anche se sono stati concessi amnistia, indulto, condono o perdono giudiziale) e gli eventuali procedimenti penali pendenti, in Italia e/o all'estero. Tale dichiarazione deve essere resa anche se negativa, a pena di esclusione dalla procedura." E' evidente come la suddetta previsione dell'O.M. n. 60 del 1920, che impone e grava sul singolo aspirante di dichiarare anche dati sostanzialmente irrilevanti ed inutili ai fini poi della predisposizione delle graduatorie, atteso che la previsione della dichiarazione di tutte le eventuali condanne penali subite oltre quelle riportate e ricomprese nell'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, non ha alcuna influenza sulla graduatoria predisposta, risulta irragionevole ed illegittima oltre che in contrasto con una norma di legge. D'altra parte la previsione ministeriale, come ribadito, non consente alcun margine di valutazione aldirigente volta ad esempio ad accertare profili di errore scusabile; può ben accadere che l'omissione riguardi fatti avvenuti tempo orsono e che incolpevolmente il dichiarante abbia omesso di indicare, perché magari non costituenti più reato per intervenuta depenalizzazione. Non si ritiene sussistente un pregiudizio di tale gravità in capo all'amministrazione da giustificare viceversa le gravi conseguenze che ricadono sugli aspiranti a fronte di tali omissioni di dichiarazioni imposte solo da una fonte secondaria che supera quanto disposto da norme di rango primario; non può infatti valorizzarsi la peculiarità del settore scolastico, che si occupa della formazione, dell'educazione e della trasmissione dei valori alle nuove generazioni per giustificare tali conseguenze e disparità di trattamento. Ciò vale ancor di più laddove si consideri che la commissione in sé dei suddetti reati non è ostativa all'insegnamento e pertanto non inficia la possibilità per il docente di formare ed educare ed in concreto non comporta alcun beneficio per il ricorrente che sarebbe stato ugualmente inserito nella medesima posizione in graduatoria. Ancora, si rileva come la previsione dell'O.M. n. 60 del 1920, laddove consente la rideterminazione dei punteggi assegnati ai candidati in caso di esito negativo delle dichiarazioni rese anche in ordine ai titoli posseduti, risulta incoerente ed irragionevole proprio in ragione della mancata analoga previsione in caso di omessa dichiarazione di precedenti penali di per sé non ostativi all'accesso alle GPS. La suddetta regolamentazione ministeriale esclude irragionevolmente qualsivoglia valutazione discrezionale del dirigente laddove, accertata l'omessa dichiarazione di pendenze penali non ricomprese tra quelle di cui all'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, è tenuto sic et sempliciter all'esclusione dell'interessato, pur non avendo lo stesso ottenuto alcun beneficio dall'omessa dichiarazione. In tali ipotesi manca, altresì, qualsivoglia lesione dell'interesse degli altri aspiranti così come l'affidamento dell'amministrazione, atteso che l'omissione non comporta benefici per l'interessato e la pa è comunque tenuta alla verifica della veridicità delle dichiarazioni in caso di primo incarico. L'O.M. n. 60 del 1920 si pone in contrasto, come detto, con le norme legislative di rango superiore che disciplinano la materia, nella specie il D.P.R. n. 445 del 2000, D.P.R. n. 313 del 2002 e D.Lgs. n. 122 del 2018, nonché con la consolidata giurisprudenza che si è formata sulle suddette disposizioni. Infatti la Cassazione ha escluso qualsivoglia automatismo, laddove ha ripetutamente affermato che "In occasione dell'accesso al pubblico impiego, la produzione di falsi documentali o di dichiarazioni non veritiere è causa di decadenza, con conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l'instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A; nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell'assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento, ai sensi dell'art. 55-quater, lett. d), del D.Lgs. n. 165 del 2001, in esito al relativo procedimento disciplinare ed a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti." (cfr. Cass. sez. Lav. 18699/19 e succ. 22673/20). Né può ritenersi che la previsione di cui all'art. 7 dell'O.M. n. 60 del 1920 indica un requisito di ammissione ulteriore rispetto a quello previsto dalla legge, che avrebbe ben potuto disporre, limitandosi, viceversa, ad imporre al candidato di dichiarare dati, evidentemente sensibili, per i quali per legge non è tenuto e che non possono ritenersi giustificati in ragione dell'eventuale incarico che andrà a ricoprire; diversamente potrebbe argomentarsi per l'accesso ad altre attività per cui sono richieste informazioni e requisiti più rigorosi, basti pensare alle forze armate o alle dichiarazioni di accesso alla magistratura, per evidenti ragioni non comparabili con quelle sottese all'accesso alle GPS della scuola. Diversamente, ritenendo operativa la suddetta lex specialis si finirebbe per riservare un ingiusto trattamento diseguale e peggiorativo a fronte di situazioni e omissioni irrilevanti; infatti, come innanzi detto, laddove l'aspirante dichiari titoli ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso, non sarà automaticamente escluso, bensì si vedrà rideterminato il punteggio. Viceversa l'aspirante, come nel caso dell'odierno ricorrente, che ha omesso di dichiarare di aver riportato una condanna penale per un reato non ostativo a cui non era obbligato ai sensi dell'art. 28 D.P.R. n. 313 del 2002, che pertanto non ha tratto alcun beneficio dalla suddetta omissione, subirà la più grave conseguenza del depennamento e della conseguente risoluzione del contratto di lavoro stipulato. Ebbene, tale disparità di trattamento è assolutamente irrazionale, irragionevole e non giustificata anche alla luce della giurisprudenza richiamata, che comunque esclude qualsivoglia automatismo in caso di dichiarazioni non veritiere rese dall'aspirante. L'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 prevede che in caso di non veridicità delle dichiarazioni sostitutive presentate alla pa si realizza decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, la norma, pertanto, non ha carattere afflittivo atteso che la decadenza è mero effetto della mancanza dei requisiti dichiarati. Diversamente la previsione dell'O.M. n. 60 del 1920 non individua requisiti la cui mancanza comporta decadenza automatica, sanzionando il solo fatto storico della mancata dichiarazione a prescindere dalle ripercussioni che tale omissione ha; così letta la disposizione ha carattere meramente punitivo ancor di più se si consideri che l'esclusione dalle graduatorie e la conseguente risoluzione del contratto avviene non per mancanza dei requisiti o per aver riportato condanne penali ostative, ma per la semplice omessa dichiarazione di un dato sostanzialmente neutro ai fini della graduatoria. Orbene, il conflitto tra la disciplina di rango primario e l'ordinanza ministeriale, che pare esigere un obbligo dichiarativo di latitudine maggiore agli aspiranti all'inserimento nelle graduatorie deve essere risolto, in piena applicazione del principio di gerarchia delle fonti, in favore della prima, come ampiamente argomentato anche dalle sentenze di merito richiamate dal ricorrente che qui si intendono richiamate (cfr. Trib. Massa, sez. lavoro, ord. del 8.6.2021; Trib. Pisa, sez. lavoro, ord. del 2.8.2021). L'accoglimento di questo motivo di censura è assorbente rispetto alle ulteriori argomentazioni e rilievi sollevati dal ricorrente nei confronti del provvedimento di esclusione e della conseguente risoluzione del contratto di lavoro." Ebbene le suddette motivazioni richiamate sono pienamente valide anche nella vicenda dell'odierna ricorrente atteso che nella fattispecie lo stesso nella sostanza ha omesso di dichiarare precedenti penali, omissione tuttavia pienamente in linea con la previsione legislativa primaria che come detto laddove l'interessato, a norma degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, rende dichiarazioni sostitutive relative all'esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto ad indicare la presenza di quelli di cui al comma 7 nonché di cui all'articolo 24 comma 1", il comma 7 del medesimo articolo indica tra le fattispecie non iscritte nel casellario giudiziale richiesto a tali fini tra le altre "le condanne per contravvenzioni punibili con la sola ammenda e alle condanne per reati estinti a norma dell'articolo167, primo comma, del codice penale. Ciò trova conforto anche nella pronuncia della Cassazione innanzi richiamata nn. 18699/19 e succ. 22673/20, che affronta la questione più specifica di dichiarazioni false e non veritiere. Il ricorso va pertanto accolto; le spese possono compensarsi stante la novità della questione e la presenza di contrasti giurisprudenziali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie il ricorso; - spese compensate. Così deciso in Lucca il 4 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 99/2022 promossa da: (...) S.P.A. (C.F.: (...)) rappresentata dall'avv. Mi.Za., giusta procura speciale ai rogiti del Dr. (...), Notaio in S., in data (...), repertorio (...), con il patrocinio dell'avv. Prof. Pi.IC., dell'avv. Gu.BU. e dell'avv. Ra.ME., tutti del Foro di Milano, nonché dell'avv. Ga.CH. del Foro di Siena e dell'avv. Um.GI. del Foro di Lucca ed elettivamente domiciliata presso quest'ultimo difensore in Lucca, Via (...) - San Concordio, giusta procura allegata al ricorso introduttivo Opponente - ricorrente e (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliato presso il difensore nello studio in Lucca, via (...), giusta procura allegata alla memoria di costituzione Opposto-resistente Oggetto: opposizione a precetto CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I)-La presente causa trae origine dall'emissione della sentenza del Tribunale di Lucca, Sezione Lavoro, Giudice dott.ssa (...), del 18 ottobre 2021, n. 248 che ha definito una causa intentata dall'odierno resistente per far accertare il demansionamento da lui subito e una serie di condotte vessatorie nei suoi confronti e per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, anche da perdita di professionalità e biologico (comprensivo della personalizzazione). Nella motivazione della sentenza si indica che a) è provato il demansionamento e vi è dunque il diritto del sig. (...) ad ottenere il risarcimento del danno per la "dispersione del proprio bagaglio professionale, per il depauperamento dell'immagine nell'ambito lavorativo, per il peggioramento delle relazioni sociali e familiari" (pag. 9 sentenza), per "le irrituali critiche al suo operato e il successivo licenziamento". Osserva il giudice che "Il parametro per giungere alla liquidazione di detto danno non può che essere equitativo" (pag. 10 sentenza). La sentenza emessa all'esito del processo, per quanto d'interesse, "Accerta e dichiara l'intervenuto demansionamento ai danni di (...) e per l'effetto condanna la resistente (...) a risarcire il conseguente danno quantificato in Euro 157.935,85 oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulla somma mensilmente rivalutata" In ragione di tale condanna (...) spa aveva quantificato e pagato la somma complessiva di Euro 171.998,21 di cui: - Euro 157.935,85 a titolo di somma capitale, come liquidata in sentenza; - Euro 2.617,03 a titolo di interessi legali; - Euro 7.314,41 a titolo di rivalutazione monetaria, - Euro 4.130,92 a titolo di spese legali (cfr. doc. 3 ric). II)- Con l'atto di precetto la difesa del (...) ha dato atto che era intervenuto un pagamento da parte della (...) Spa, ma, ritenendo che questa "aveva provveduto a pagare solo parzialmente le somme dovute" in forza della sentenza "omettendo di corrispondere gli interessi moratori maturati dopo la data del deposito del ricorso al Giudice del Lavoro ai sensi dell'art. 1284 IV comma c.c." e che "pertanto residua da pagare a titolo di interessi di mora dalla data del deposito del ricorso al 3011.2021 l'importo di Euro 49.420,42", ha intimato alla (...) spa di pagare quest'ultima somma entro 10 giorni dalla notifica del precetto, oltre alle competenze per la redazione dell'atto di precetto e oltre agli ulteriori interessi sino al saldo. III)- L'opponente contesta il credito di cui sopra, osservando che gli interessi moratori ex art. 1284 IV comma c.c. in questo caso non sono dovuti e contesta, comunque, il calcolo degli interessi ex adverso effettuato, chiedendo in subordine/estremo subordine una minore quantificazione dell'importo degli interessi ex adverso pretesi. IV)- La causa, previo accoglimento dell'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo oggetto di opposizione (atto di precetto del 3 gennaio 2022, notificato il 13 gennaio 2022), è stata istruita documentalmente e, previo deposito da parte dei difensori di note conclusive, è stata discussa all'odierna udienza L'opposizione è fondata e per ciò meritevole di accoglimento. Si osserva: 1)-nel richiamare quanto sopra sintetizzato e riportato rispetto al giudizio che ha originato la sentenza posta a fondamento del precetto, si osserva che la somma di Euro 157.935,85 si configura come un debito di valore, quantificato in via equitativa e con un valore necessariamente attualizzato al momento della pronuncia giudiziale. La condanna è infatti in considerazione della violazione dal parte di (...) dell'obbligo di assegnare il (...) a mansioni confacenti con la sua qualifica e il suo livello professionale, ciò che -come esplicitato nella sentenza- gli aveva causato un danno non patrimoniale "per la dispersione del proprio bagaglio professionale, per il depauperamento dell'immagine nell'ambito lavorativo, per il peggioramento delle relazioni sociali e familiari, per le irrituali critiche al suo operato e il successivo licenziamento" Non si tratta dunque né di un'obbligazione pecuniaria e neppure di un debito che prima della pronuncia, ed anzi alla data della domanda giudiziale, avesse i caratteri di liquidità ed esigibilità necessari per l'applicazione dell'art. 1284, IV comma, c.c.. La Corte di Cassazione nella sentenza del 7 novembre 2018, n. 28409 ha chiarito che la norma contenuta nel comma IV dell'art. 1284 c.c. si applica alle sole obbligazioni pecuniarie di fonte contrattuale rispetto alle quali "Se le parti non ne hanno determinato la misura..." si applica il saggio d'interesse proprio delle transazioni commerciali. Richiamando la pronuncia suddetta, che questo giudice condivide e fa propria, va infine "considerata proprio la finalità deflattiva perseguita dal Legislatore con l'adozione degli interessi commerciali, aventi saggio assai più elevato degli interessi legali siccome individuati art. 1284 c.c., ex comma 1. Difatti il cenno alla convenzione tra le parti sul punto lumeggia come la voluntas legis sia diretta a colpire l'inadempienza rispetto ad un obbligo liberamente e pattiziamente assunto, anche mediante l'abuso del processo come mezzo per prolungare ai danni del creditore la soddisfazione del suo diritto. Quindi si deve concludere che la norma di cui all'art. 1284 c.c., comma 4, disciplina il saggio degli interessi legali - e come tali dovuti automaticamente senza necessità di apposita precisazione del loro saggio in sentenza - applicato a seguito d'avvio di lite sia giudiziale che arbitrale però in correlazione ad obbligazione pecuniaria che trova la sua fonte in un contratto stipulato tra le parti, anche se afferenti ad obbligo restitutorio": dunque nel nostro caso non vi è spazio per l'applicazione della norma sugli interessi moratori ex art. 1284 comma IV c.c. a latere la considerazione, già svolta, circa il fatto che solo con la sentenza vi è stata la liquidazione del danno, in moneta attuale. Ancora vi è da considerare che in tema di rapporti di lavoro esiste una speciale legislazione giacché anche in punto di retribuzione vi è la norma inderogabile prevista dall'art. 429, comma 3, c.p.c. per la quale il credito di lavoro produce interessi e rivalutazione dalla maturazione del credito, sicché il Giudice in tutti i casi di condanna al pagamento di crediti di lavoro, oltre agli interessi nella misura legale ex art. 1284 c.c., è tenuto a condannare il datore di lavoro al maggior danno derivante al lavoratore dalla diminuzione di valore del suo credito, ossia al pagamento anche della rivalutazione monetaria.. Trattandosi di fattispecie già regolata da norma speciale, anche per questo, non può ritenersi applicabile una disciplina (speciale) riferita alle transazioni commerciali. Le ragioni fin qui esplicitate paiono a questa giudicante dirimenti e idonee a fondare la presente pronuncia giudiziale, non senza sottacere che sembrano comunque da accogliere anche le considerazioni svolte da parte opponente circa la mancata presenza di accordi tra le parti per interessi e (conseguentemente) la mancata previsione ad opera delle parti di qualsivoglia "misura degli interessi", invece richiesta dall'art. 1284,, comma IV c.c. Conclusivamente l'opposizione è fondata e merita accoglimento, non essendo dovuti nel caso gli interessi moratori di cui all'art. 1284 comma IV c.c.. Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in relazione all'attività svolta e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, nonché della limitatezza delle questioni trattate. Vengono quindi applicati i compensi minimi dello scaglione di riferimento e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal D.M. n. 37 del 2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: -accoglie l'opposizione e, per l'effetto, - accerta, riconosce e dichiara che il dott. (...) non ha il diritto di procedere ad esecuzione forzata nei confronti della (...), in virtù né della sentenza del Tribunale di Lucca, dott.ssa (...), del 18 ottobre 2021, n. 248 (R.G. 71/2018), né del successivo atto di precetto notificato in data 13 gennaio 2022, con riferimento all'importo di Euro 49.420,42, richiesto a titolo di interessi moratori ex art. 1284 co. 4 c.c., oltre alle spese legali di Euro 350,00, e per l'effetto, accerta e dichiara l'invalidità dell'atto di precetto oggetto di opposizione e lo priva di qualsiasi efficacia. Condanna altresì il dott. (...) a rimborsare alla (...) spa le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3689,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex art. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott. Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 902/2022 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. Gi.PA. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore giusta procura allegata al ricorso introduttivo ricorrente e (...) SRL in persona del legale rappresentante sig. (...) con il patrocinio dell'avv. Ma.RU. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore giusta procura allegata alla memoria difensiva Resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1)-Il ricorrente ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "voglia dichiarare illegittimo e, comunque, annullare il licenziamento per giusta causa comunicato dalla società (...) in data 17/08/2022 e, per l'effetto, condannare ai sensi dell'art. 18, L. n. 300 del 1970, la società (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegra dell'odierno ricorrente nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica, ed alla corresponsione di tutto quanto dovutogli a titolo di retribuzioni ed oneri accessori, a far data dell'intervenuto licenziamento sino a quella dell'effettiva reintegrazione nel suo posto di lavoro, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge, dichiarando la non interruzione del rapporto di lavoro; Condannare la società convenuta, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al versamento di tutti i contributi essenziali e previdenziali dalla data del licenziamento sino a quella dell'effettiva reintegrazione; In via subordinata, in caso di applicabilità del regime della tutela obbligatoria, condannare ai sensi dell'art. 8 L. n. 604 del 1996, così come novellato dall'art. 2 L. n. 108 del 1990, la società (...) s.r.l. alla riassunzione del sig. (...) nel proprio posto di lavoro, con le medesime mansioni e qualifica entro il termine di tre giorni, o in alternativa al risarcimento del danno da quantificarsi nella misura tra un minino di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, il tutto oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge. Con vittoria di spese ed onorari di causa". 2)- La parte resistente si è costituita chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: " in tesi: accertata e dichiarata la sussistenza dei fatti posti alla base del licenziamento e, dunque, la sussistenza della giusta causa, respingere integralmente il ricorso proposto dal Sig. (...), dichiarando e confermando la risoluzione del rapporto di lavoro alla data di ricevimento della comunicazione di licenziamento da parte del medesimo (24 agosto 2022) o alla diversa data di giustizia; per l'effetto: respingere ogni richiesta di reintegrazione e/o di risarcimento e/o di indennizzo, così come proposte dal lavoratore; Con vittoria di spese e compensi professionali di causa". 3) -La causa è stata istruita documentalmente Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte: A) Legittimità del licenziamento La difesa del ricorrente assume che in data 3 agosto 2022 la società (...) srl aveva inviato al sig. (...) - direttore commerciale della società - una lettera di contestazione disciplinare ex art. 7 e ss. L. n. 300 del 1970 con sospensione cautelare dal lavoro, assumendo che il ricorrente aveva richiesto e incassato denaro contante da parte dei clienti della (...) srl, senza nessuna autorizzazione da parte della società, appropriandosi delle somme incassate. Ricevute le osservazioni del dipendente, in data 17 agosto 2022 la società gli comunicava il licenziamento per giusta causa adducendo il venir meno del rapporto fiduciario fra la (...) srl e il dipendente, stante le condotte penalmente rilevanti poste in essere dal sig. (...) (nel caso di specie appropriazione indebita di somme di denaro destinate all'azienda). Il ricorrente l'1 settembre 2022 impugnava il licenziamento contestando gli addebiti a lui mossi ma la società ribadiva la legittimità del licenziamento intimato. Il sig. (...) ritiene che il suo licenziamento sia illegittimo, non rispondendo al vero le contestazioni mosse dalla società, e deduce che quest'ultima era a conoscenza degli incassi da lui effettuati, come dimostravano le ricevute di pagamento su carta intestata della società allegate al ricorso. Il ricorrente ritiene inoltre legittima la trattenuta delle somme da lui operata per sostenere le varie spese di trasferta da lui effettuate per conto della società. La convenuta nella memoria difensiva contesta le deduzioni avversarie sottolineando che: -Il compito di ciascun operatore del commerciale, compreso il Sig. (...), era quello di recarsi presso i potenziali clienti ed ivi svolgere sopralluoghi, che talora assumono la veste di vere e proprie perizie, al fine di procacciare contratti di servizi di disinfestazione per la datrice di lavoro; - I tecnici si recano sul posto e raccolgono l'eventuale ordine (c.d. "ordine di intervento") da parte del cliente e se concludono la vendita del servizio proposto da (...), chiedono un acconto sul lavoro da svolgere. Sempre e solo in caso di sottoscrizione del contratto, è a loro discrezione includere, nella quotazione proposta, la spesa per il sopralluogo. Se, invece, non riescono ad acquisire l'intervento, sono tenuti a richiedere comunque il pagamento di tale spesa, poiché essa, in tal caso, rappresenta solo un costo per l'azienda, costo che deve essere recuperato. Sia l'acconto, che la somma relativa al sopralluogo possono essere riscossi in contanti, ma anche mediante POS, di cui i tecnici sono muniti in occasione della loro visita. Il costo dei sopralluoghi è di regola pari ad Euro 150,00 oltre IVA (dunque Euro 183,00 totali) e può salire nei casi di maggiore complessità dell'ispezione. Gli impiegati del commerciale, quando rientrano dal loro giro di sopralluoghi, sono tenuti a: -recarsi nella stanza degli amministrativi e -comunicare loro gli affari conclusi; -indicare le fatture di acconto da emettere per gli interventi acquisiti, nonché comunicare e consegnare il denaro; - la Società aveva ricevuto mail e telefonate di clienti che confermavano che il sig. (...) aveva trattenuto somme maggiori rispetto al costo base dei sopralluoghi da lui effettuati; - la Società nella lettera di licenziamento (così come in quella di contestazione dell'infrazione) aveva scritto non già che il ricorrente non era autorizzato a riscuotere somme dai clienti, bensì che egli non era autorizzato a riscuoterle per poi trattenerle; - lo stesso ricorrente aveva confermato di aver trattenuto somme di denaro destinate alla datrice di lavoro; - mancava d'altra parte una qualsiasi prova della riconsegna delle somme contestate nelle casse della società; - inoltre la società aveva riscontrato ben 21 ammanchi nell'arco di 3 mesi, ammanchi derivanti da incassi fatti in contanti dal sig. (...) in occasione dei vari sopralluoghi e non versati alla società. Prima di addentrarsi nella disamina circa la legittimità del licenziamento, appare opportuno riportare il contenuto della lettera di contestazione disciplinare, limitatamente alla condotta ascrivibile al ricorrente : "nel corso del Suo lavoro costituito altresì dall'effettuazione di sopralluoghi presso Clienti e/o potenziali Clienti, nonostante non fosse a ciò autorizzato, in occasione dei sopralluoghi su indicati ha richiesto e incassato denaro in contanti e se ne è appropriato, non consegnando alla nostra scrivente società datrice di lavoro le relative su indicate somme, peraltro da lei riscosse senza autorizzazione alcuna." Dalla semplice lettura della contestazione sopra richiamata si evince come il fatto principale, a fronte del quale è stato intimato il licenziamento al ricorrente, consista nell'essersi lo stesso appropriato delle somme incassate per conto della società. Il ricorrente, sia nel ricorso che nella nota autorizzata, non ha negato di aver trattenuto le somme a lui contestate, anzi, ha sottolineato che le somme in questione erano state da lui trattenute per far fronte alle spese di trasferta e che l'azienda era informata di ciò, senza tuttavia provare quest'ultima circostanza. Viceversa, la parte convenuta ha prodotto in giudizio le buste paga del ricorrente all'interno delle quali è riportata una specifica voce della retribuzione denominata "trasferte italia", ragion per cui è da escludere che il sig. (...) abbia trattenuto il denaro per questa motivazione. Inoltre quand'anche il ricorrente avesse sostenuto spese aggiuntive in occasione delle trasferte avrebbe dovuto documentarle alla Società e in ogni caso dedurre in questa sede di quali spese si fosse trattato e perché le stesse non fossero ricomprese nell'importo riconosciuto in busta paga. In relazione alle spese di trasferta giova richiamare la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione che, in merito ad altra fattispecie relativa a rimborsi anomali, ha statuito che "E' legittimo il licenziamento intimato al dipendente che domanda rimborsi anomali per le trasferte, a nulla valendo che egli lamenti la inconsapevolezza circa la rilevanza" (Cass. sentenza n.7703/2020) La condotta tenuta dal sig. (...) consistente nell'aver trattenuto le somme riscosse in merito a perizie e sopralluoghi effettuati per conto della società (...) è certamente tale da far venir meno il rapporto di fiducia tra società e il proprio dipendente. A tal proposito questo Giudice fa proprio l'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione cristallizzato nella sentenza n. 24601/2020 all'interno della quale si afferma " il licenziamento disciplinare è giustificato nei casi in cui i fatti attribuiti al prestatore d'opera rivestano carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da ledere irrimediabilmente l'elemento fiduciario; il giudice di merito deve, pertanto, valutare gli aspetti concreti che attengono principalmente alla natura del rapporto di lavoro, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni specifiche del dipendente, al nocumento arrecato, alla portata soggettiva dei fatti, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo." Invero, nel caso di specie risulta che il ricorrente ricopriva un ruolo di responsabilità all'interno della società, avendo egli la qualifica di responsabile del comparto tecnico-commerciale, ruolo che richiede un notevole grado di affidamento. Rileva altresì il fatto che rientrasse tra i compiti del ricorrente anche la possibilità di incassare denaro contante per i costi di sopralluogo, il che implica un elevato grado di affidamento della società nei suoi confronti, rileva ancora che egli non ha affatto negato di aver trattenuto le somme riscosse e contestate dalla società a fronte dei sopralluoghi/perizie da lui condotti, adducendo motivi assolutamente non plausibili. Va inoltre considerata un'occasione ben rappresentata all'interno del documento n. 29 allegato alla memoria di parte resistente, nella quale il sig. (...), nel corso di un sopralluogo effettuato a favore di (...), oltre ad incassare i contati per l'operazione da lui svolta, si era qualificato al cliente come proprietario della società (...). I fatti sopra descritti e oggetto di contestazione disciplinare creano anche un grave nocumento alla società e sono accompagnati da un elemento psicologico di natura intenzionale, dato che è lo stesso ricorrente a confermare di aver riscosso le suddette somme, poi non versate. La sanzione del licenziamento disciplinare appare pertanto proporzionata rispetto al fatto pacificamente posto in essere dal lavoratore, richiamandosi l'insegnamento e i principi fissati dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 24619/2019 per cui " la valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione contestata, nell'ambito del licenziamento disciplinare, deve tener conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi della condotta, ivi compresa la posizione professionale rivestita dal lavoratore, sia sul piano dell'obbligo di diligenza, sia con riguardo al disvalore ambientale che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per altri dipendenti dell'impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi." Il licenziamento è pertanto legittimo e sorretto da giusta causa, in quanto sono stati acclarati come sussistenti i fatti posti alla base dello stesso: ne consegue il rigetto del ricorso Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014, in relazione all'attività svolta, non comprensiva dell'attività istruttoria e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 così come modificati dal D.M. n. 147 del 2022, contenendo le spese nei valori minimi dello scaglione di riferimento, ma applicando la maggiorazione del 30% prevista dall'art. 4 comma 1-bis del D.M. n. 55 del 2014 per il caso che gli atti "depositati con modalità telematiche siano redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto" P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta il ricorso. - condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 4.795,70 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 2 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 334/2022 promossa da: I.M., con il patrocinio dell'avv. Ma.Ma. ricorrente e Ministero dell'Istruzione e del Merito; Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana Ufficio IX ambito territoriale Lucca e Massa Carrara Istituto Comprensivo Lucca 3 Tutti rappresentati e difesi ai sensi dell'art. 417 bis c.p.c. dal funzionario d.ssa Ma.La. resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il 19.4.22 parte ricorrente riferiva di aver presentato domanda di inserimento nelle graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia della provincia di Lucca per il triennio 2021/24 in qualità di personale A.T.A. per i profili professionali di assistente amministrativo e di collaboratore scolastico; in sede di inserimento della domanda dichiarava di aver indicato il possesso del titolo di OSS presso il centro studi (...) di (...) conseguito in data 22.4.21, data questa di inserimento della domanda, pur non avendo effettivamente conseguito il suddetto titolo. Il ricorrente specificava di aver inserito tale dato perché la mancata valorizzazione di tale elemento nel modulo telematico predisposto dal Miur non avrebbe consentito di proseguire nella compilazione della domanda e di aver precisato nella sezione dedicata alle note di chiarimento "...è in corso di conseguimento la qualifica professionale di operatore socio sanitario presso l'Ente di formazione professionale (Centro Studi (...)) ...", chiedendo, in via subordinata, "...l'ammissione con riserva del punteggio collegato al titolo da conseguire all'esito del corso già iniziato ...". In virtù della sua posizione in graduatoria il sig. (...) veniva convocato per incarichi di collaboratore scolastico; con decreto dell'11.11.21 l'Istituto comprensivo Lucca 3 rettificava e convalidava il punteggio del ricorrente. Tuttavia, con successivo decreto del 15.12.21 disponeva la non convalida per aver appurato che il ricorrente aveva dichiarato nella domanda di inserimento il possesso del titolo di OSS, laddove il centro studi (...) aveva precisato che il ricorrente aveva frequentato il corso ed era in attesa di esame finale. Pertanto l'Istituto ritenendo che il ricorrente avesse inserito nella domanda una dichiarazione non veritiera disponeva l'esclusione dello stesso dalle graduatorie di Istituto della Provincia di Lucca per il profilo CS e AA. Il ricorrente si duole dell'operato dell'amministrazione rilevando di non aver commesso alcuna falsità, in quanto pur avendo dichiarato il possesso del titolo aveva inserito nella sezione specifica note le relative precisazioni; rilevava altresì l'illegittimità del depennamento e della conseguente risoluzione del rapporto per violazione dell'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2001. Ancora evidenzia la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento con conseguente inosservanza dell'art. 7 della L. n. 241 del 1990 e sotto altro profilo del D.M. n. 50 del 1921 in relazione alla mancata tempestività delle verifiche. Il ricorrente pertanto chiede con il ricorso di "a) Accertare e dichiarare la nullità, illegittimità ed inefficacia del decreto di depennamento del ricorrente dalla III Fascia delle (...) ATA della Provincia di Lucca per il triennio 2021/2024 per il profilo di Collaboratore scolastico e di Assistente Amministrativo, e, per l'effetto, b) Annullarlo; c) Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente ad essere reinserito nella III Fascia delle (...) ATA della Provincia di Lucca per il profilo di (...) e (...) con il punteggio spettante, eventualmente decurtato da quello relativo al percorso professionale di OSS; d) Ordinare alle Amministrazioni resistenti di reinserire il ricorrente nella III Fascia delle predette Graduatorie di Istituto per il profilo si (...) e (...). Con vittoria di spese e competenze professionali, con distrazione" Il Ministero si costituiva eccependo in via preliminare la carenza di legittimazione passiva dell'ufficio scolastico regionale e territoriale nonché dell'Istituto comprensivo essendo solo l'amministrazione centrale legittimata a contraddire in ordine alle controversie relative al rapporto di lavoro del personale della scuola. Nel merito evidenziava la correttezza dell'operato dell'amministrazione a cui spetta uno specifico potere di controllo delle dichiarazioni presentate dagli aspiranti per le graduatorie; rilevava altresì l'infondatezza dell'eccezione relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, prevedendo il D.M. n. 50 del 1921 la possibilità per l'amministrazione di procedere in qualsiasi momento a disporre l'esclusione degli aspiranti non in possesso dei titoli dichiarati. Da ultimo il Ministero rappresentava l'infondatezza delle doglianze relative alla mancata osservanza della procedura di cui all'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2001 atteso che la fattispecie in esame non attiene ad un'ipotesi di licenziamento disciplinare bensì la risoluzione del contratto è conseguenza automatica dell'annullamento della procedura di reclutamento. Pertanto chiede il rigetto del ricorso. La causa, istruita documentalmente, veniva fissata per la discussione in modalità cartolare e previo deposito di note scritte è decisa con sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato. Preliminarmente in punto legittimazione passiva, deve rilevarsi che soltanto il Ministero è legittimato a contraddire in ordine nelle controversie relative al rapporto di lavoro del personale della scuola. In tal senso si veda la costante giurisprudenza di legittimità riferita alla carenza di legittimazione passiva degli istituti scolastici, con la quale è sempre stata affermata l'esclusiva legittimazione in capo al M.I.U.R.: "anche dopo l'estensione della personalità giuridica, per effetto della L. delega n. 59 del 1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione, ai circoli didattici, alle scuole medie e agli istituti di istruzione secondaria, il personale ATA e docente della scuola si trova in rapporto organico con l'Amministrazione della Pubblica Istruzione dello Stato, a cui l'art. 15 del D.P.R. n. 275 del 1999 ha riservato le funzioni relative al reclutamento del personale, e non con i singoli istituti, che sono dotati nella materia di mera autonomia amministrativa. Ne consegue che, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro, sussiste la legittimazione passiva del Ministero, mentre difetta la legittimazione passiva del singolo istituto" (Cass. 21 marzo 2011 n. 6372, Cass. 15 ottobre 2010 n. 21276 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20521). Deve poi aggiungersi rilevarsi che l'Ufficio scolastico regionale, a norma dell'art. 8 D.P.R. 20 gennaio 2009, n. 17, "costituisce un autonomo centro di responsabilità amministrativa". La medesima disposizione attribuisce poi all'Ufficio scolastico regionale competente la rappresentanza in giudizio, ma non crea (né avrebbe potuto visto il rango della norma) un nuovo ed autonomo soggetto giuridico. Il conferimento di poteri previsto dalla norma costituisce fatto interno al Ministero, che è e resta soggetto unitario, restando indifferente rispetto ai terzi la sua articolazione organizzativa. La Corte di Cassazione "nell'affermare che il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 16, lett. f), laddove dispone che i dirigenti di uffici dirigenziali generali (o strutture sovraordinate) "promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di transigere, fermo restando quanto disposto dalla L. 3 aprile 1979, n. 103, art. 12, comma 1", precisa il riparto di competenze tra organi di gestione e organi di governo, ma non modifica certamente il criterio di individuazione dell'organo che rappresenta legalmente l'amministrazione, rientrando nell'ambito delle competenze dirigenziali i soli poteri sostanziali di gestione delle liti, ha messo in rilievo che lo Stato agisce ed è chiamato in giudizio in persona del ministro competente o in persona del Presidente del Consiglio, mentre le strutture interne ai ministeri non sono dotate di soggettività sul piano dei rapporti esterni, come del resto è comprovato dall'espresso disposto del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, comma 1, (nel testo novellato dalla L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 1), il quale prescrive che la notifica degli atti giudiziari presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato debba essere effettuata nella persona del Ministro competente (Cass. Sez. Un, 6 luglio 2006, n. 15342)" (Cass., 26 marzo 2008, n. 7862). Pertanto la dizione legittimazione passiva contenuta nell'art. 8 D.P.R. n. 17 del 2009 (come già prima nell'art. 7 D.P.R. n. 260 del 2007 ed ancor prima nell'art. 8 D.P.R. n. 319 del 2003) è impropria perché la norma ha semplicemente inteso richiamare la legittimazione processuale dei dirigenti prevista dall'art.16 co. 1 lettera f, D.Lgs. n. 165 del 2001. Anche la legittimazione di cui al citato art. 8 D.P.R. n. 17 del 2009 deve quindi intendersi come legittimazione processuale, poiché nessuna norma ha dotato di personalità giuridica l'Ufficio scolastico regionale. Conseguentemente gli Uffici scolastici regionali restano articolazioni periferiche del MIUR (Cass., 3 novembre 2011, n. 22743), per cui unico soggetto legittimato passivo nel presente giudizio rimane il M.I.U.R. In diritto, va premesso che la formazione delle graduatorie di III Fascia del personale ATA, per il triennio 2021/2024 è disciplinata, dal D.M. n. 50 del 1921 che dispone espressamente all'art. 2 comma 13 che "I requisiti ed i titoli valutabili ai fini del presente decreto devono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione della relativa domanda di cui al successivo articolo 4, comma 1." Ed ancora al successivo art. 6 "Tutte le dichiarazioni inserite attraverso le apposite procedure informatizzate sono rese dall'aspirante sotto la propria responsabilità, ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. Vigono al riguardo le disposizioni di cui agli articoli 75 e 76 del richiamato provvedimento normativo. L'aspirante è pertanto consapevole delle conseguenze penali derivanti da dichiarazioni mendaci e del fatto che la formazione di atti falsi, l'utilizzo degli stessi nei casi previsti dal richiamato DPR o l'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità sono puniti ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. 2. È ammessa esclusivamente la dichiarazione di requisiti, qualità e titoli di cui l'aspirante sia in possesso entro la data di scadenza del termine di presentazione della domanda" "...Nei casi e con le modalità previste dagli articoli 71 e 72 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 sono effettuati i relativi controlli in merito alle dichiarazioni degli aspiranti. 11. L'istituzione scolastica ove l'aspirante stipula il primo contratto di lavoro, sulla base della graduatoria di circolo o d'istituto di terza fascia nel periodo di vigenza delle graduatorie effettua, tempestivamente, i controlli delle dichiarazioni presentate. Tali controlli devono riguardare il complesso delle situazioni dichiarate dall'aspirante, per tutte le graduatorie in cui il medesimo è risultato incluso. 12. All'esito dei controlli di cui al comma 11, il dirigente scolastico che li ha effettuati convalida a sistema i dati contenuti nella domanda e ne dà comunicazione all'interessato. In caso di esito negativo della verifica, il dirigente scolastico che, ai sensi del comma 11, ha effettuato i controlli, adotta il relativo provvedimento registrando a sistema l'esclusione di cui all'articolo 7, ovvero la rideterminazione dei punteggi e delle posizioni assegnati all'aspirante. Il dirigente scolastico comunica il provvedimento di esclusione o di rideterminazione del punteggio all'aspirante e alle scuole da quest'ultimo individuate in fase di presentazione dell'istanza. Restano in capo al dirigente scolastico che ha effettuato i controlli la valutazione e le conseguenti determinazioni ai fini dell'eventuale responsabilità penale di cui all'articolo 76 del citato D.P.R. n. 445 del 2000. Il positivo accertamento dei titoli di servizio e di cultura dichiarati comporta la validazione degli stessi alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, anche per i periodi di vigenza delle graduatorie di circolo e di istituto dei trienni successivi. 15. Conseguentemente alle determinazioni di cui al comma 13, l'eventuale servizio prestato dall'aspirante in assenza del titolo di studio richiesto per l'accesso al profilo e/o ai profili richiesti o sulla base di dichiarazioni mendaci, e assegnato nelle precedenti graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia, sarà, con apposito provvedimento emesso dal Dirigente scolastico già individuato al comma 11, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall'interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell'anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura" Il successivo art. 7 "L'Amministrazione scolastica dispone l'esclusione degli aspiranti che: a. risultino privi di qualcuno dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2 e 3; b. abbiano reso, nella compilazione della domanda,dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale. 2. La presentazione di domande per più province comporta, oltre all'esclusione dalla procedura in esame, anche l'esclusione da tutte le graduatorie di circolo o di istituto in cui si chieda l'inserimento e la decadenza dalle graduatorie di circolo o di istituto in cui l'aspirante sia inserito. 3. Le autodichiarazioni mendaci o la produzione di certificazioni false o, comunque, la produzione di documentazioni false comportano l'esclusione dalla procedura di cui al presente decreto per tutti i profili e graduatorie di riferimento, nonché la decadenza dalle medesime graduatorie, nel caso di inserimento nelle stesse, e comportano, inoltre, l'irrogazione delle sanzioni di cui alla vigente normativa, come prescritto dagli artt. 75 e 76 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445. 4. Tutti gli aspiranti sono inclusi nelle graduatorie con riserva di accertamento del possesso dei requisiti di ammissione. L'Amministrazione, in qualsiasi momento, può disporre, con provvedimento motivato, l'esclusione degli aspiranti non in possesso dei citati requisiti di ammissione". Ebbene è evidente dal tenore letterale come, salvo l'ipotesi di errore materiale, è assolutamente irrilevante la motivazione che possa aver indotto l'aspirante a rendere dichiarazione non veritiera in ordine al possesso dei titoli, così come non è richiesta alcuna valutazione in ordine ad eventuale dolo o colpa del dichiarante. D'altra parte nel caso di specie come correttamente osservato dal Ministero il ricorrente dichiarava il possesso del titolo di OSS pur non avendolo conseguito e né all'atto della pubblicazione della graduatoria in cui risultava in possesso di un punteggio maggiorato, né all'atto della sottoscrizione del contratto di lavoro, ha segnalato all'Amministrazione scolastica l'attribuzione di un punteggio errato in quanto comprensivo dell'ulteriore punteggio della dichiarata abilitazione in realtà non posseduta, ciò anche in considerazione della circostanza nota che il sistema informatico attribuisce in automatico il punteggio per ciascun titolo e/o abilitazione inserito nella domanda. Avendo riguardo alla documentazione prodotta emerga, altresì, che il ricorrente fosse consapevole di ciò, infatti nelle precisazioni inserite nella note in calce alla domanda, diversamente da quanto dedotto in ricorso, il ricorrente non si limita a rappresentare che il titolo è in corso di conseguimento chiedendo l'ammissione con riserva ma dichiara testualmente "il sottoscritto dichiara altresì che è in corso di conseguimento la qualifica professionale di operatore socio sanitario (OSS) presso l'ente di formazione professionale (centro studi E.) Santa Maria Capua Vetere (CE). Per questo motivo è stato avviato un ricorso al Tar del Lazio, per ottenere la sospensione della procedura concorsuale e la riapertura dei termini per presentare la domanda, ovvero in via subordinata l'ammissione con riserva del punteggio collegato al titolo da conseguire all'esito del corso già iniziato". È evidente quindi la piena consapevolezza del ricorrente dell'impossibilità di dichiarare ed avvalersi del titolo non ancora posseduto tanto da determinarsi, come dallo stesso dichiarato, a proporre ricorso al Tar per sospendere la procedura concorsuale. Pertanto, a fronte della pacifica dichiarazione non veritiera del possesso del suddetto titolo presentata dal ricorrente pienamente legittimo è stato l'operato dell'amministrazione, dovendo ritenersi assolutamente infondati gli ulteriori rilievi procedurali evidenziati in ricorso. Alla luce delle richiamate disposizioni D.M. n. 50 del 2021 il Dirigente Scolastico, infatti, all'atto del conferimento del primo incarico, è dunque tenuto a compiere tempestivi accertamenti circa la regolarità, veridicità e validità dei titoli di cui l'istante abbia dichiarato il possesso in sede di presentazione della domanda. L'esito negativo può comportare: 1) l'assunzione di determinazioni onde segnalare alle autorità competenti eventuali dichiarazioni mendaci; 2) l'espunzione di alcuni titoli con conseguente attribuzione di un nuovo (e inferiore) punteggio; 3) l'esclusione dalle graduatorie. L'esclusione dalle graduatorie è peraltro previsto sia nell'ipotesi di autodichiarazioni mendaci o di certificazioni e autocertificazioni false, sia nell'ipotesi di verificata insussistenza dei requisiti di ammissione. Occorre infatti evidenziare che le disposizioni richiamate hanno inteso esplicitamente contemplare la sanzione della esclusione (dalle graduatorie e dalla stessa procedura di aggiornamento delle graduatorie) quale specifica conseguenza della falsità, anche a prescindere dal fatto che da essa sia derivato il venir meno dei requisiti minimi di ammissione. In tal caso il servizio reso dall'aspirante in qualsiasi profilo professionale è da considerarsi prestato di fatto e non utile alla maturazione di ulteriore punteggio. Deve per contro ritenersi che, lì dove le verifiche abbiano escluso le suddette falsità, pervenendo tuttavia alla mancata convalida di uno o più titoli dichiarati nella domanda e ciò abbia determinato il venir meno dei requisiti minimi di accesso alla graduatoria di relativa ad un determinato profilo professionale, l'aspirante sarà estromesso dalla graduatoria medesima e sarà considerato prestato di fatto il solo servizio reso nel corrispondente profilo professionale; in caso contrario (ovvero la mancata convalida di uno tra i plurimi titoli dichiarati per l'accesso alla graduatoria di un medesimo profilo non abbia determinato il venir meno del requisito di accesso) sarà possibile una mera rideterminazione del punteggio. Nella fattispecie in esame l'estromissione è stata disposta in ragione della mendacità dell'autodichiarazione. Orbene, il ricorrente contesta la legittimità dei provvedimenti sotto diversi profili. Infondata è l'eccezione concernente la tardività delle verifiche. Va infatti sottolineato che, sebbene sia previsto genericamente la tempestività dei controlli, esso non contiene termini di decadenza, né introduce sanzioni nei riguardi dei controlli operati tardivamente. Né pare corretto mutuare il termine di 30 giorni dalle L. n. 69 del 2009, che introduce il suddetto termine con esplicito riferimento alla conclusione dei procedimenti amministrativi "di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali", mediante una disposizione di contenuto programmatico priva di sanzioni per l'ipotesi di inosservanza. Sembra evidente l'inapplicabilità della disposizione alla fattispecie, disciplinata da una normativa speciale, ancorché di natura regolamentare, che conferisce ai singoli istituti scolastici la competenza in tema di verifica delle dichiarazioni dell'aspirante ai fini del regolare svolgimento della procedura di formazione delle graduatorie. Va anche aggiunto che nella specie nessuna illegittimità potrebbe in astratto sostenersi né per la tardività dei controlli, né per il fatto che i titoli fossero già stati oggetto di approvazione da parte dell'Istituto Comprensivo. Per considerazioni analoghe va disattesa anche l'eccezione inerente l'omessa comunicazione di avvio del procedimento di depennamento e di risoluzione del contratto ex art. 7 L. n. 241 del 1990: per un verso le norme sul procedimento amministrativo sono infatti da ritenere inapplicabili alla fattispecie, nella quale viene in rilievo un rapporto di lavoro, espressamente regolato dalle norme di diritto privato ex art. 2, comma 3, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165; per altro verso va sottolineata la sostanziale incompatibilità della richiamata disciplina, rispetto a quella del D.M. n. 50 del 1921 il quale disciplina il procedimento di formazione delle graduatorie, collegandone l'avvio alla presentazione della domanda dell'aspirante e affidando le connesse operazioni di verifica alla istituzione scolastica che procede al conferimento del primo incarico. L'esigenza che la L. n. 241 del 1990 intende assicurare, ravvisabile nella partecipazione dell'utente al processo formativo dell'amministrazione, è dunque assicurata dalla conoscenza dello stesso nell'avvio del procedimento, ferma restando la competenza esclusiva dell'istituzione scolastica nella verifica delle dichiarazioni rese nella domanda di ammissione. Parimenti infondata è l'eccezione sollevata in ordine al mancato rispetto dall'art. 55 D.Lgs. n. 165 del 2021 infatti nel caso di specie non è certo configurabile un licenziamento disciplinare, atteso che la risoluzione del contratto è conseguenza automatica dell'annullamento della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto. Il contratto è radicalmente nullo in conseguenza della non veridicità delle dichiarazioni rese dall'aspirante all'atto della presentazione della domanda. Ne consegue che non trova applicazione la procedura dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2021 perché non si tratta di licenziamento disciplinare; tanto è stato ribadito in più occasioni dalla Cassazione da ultimo con la sentenza Sez. L. n. 11011 del 2022 in analoga fattispecie "in mancanza del titolo di servizio previsto, requisito che doveva essere posseduto per l'inserimento negli elenchi provinciali, ha fatto corretta applicazione dei principi già enunciati da questa Corte con la sentenza n. 22673 del 2020, con la quale si è chiarito che sul piano contrattuale la "decadenza dai benefici" si risolve in un vizio genetico del contratto, ossia nella nullità dello stesso, e ciò è stato affermato in linea con l'orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte, alla stregua del quale nel pubblico impiego contrattualizzato la regola posta dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 35 e 36, che in attuazione dell'art. 97 Cost. impongono alle Pubbliche Amministrazioni l'individuazione del contraente nel rispetto delle procedure concorsuali o, per le qualifiche meno elevate, delle modalità di avviamento di cui al combinato disposto del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 1, lett. b), e del D.P.R. n. 487 del 1994, artt. 23 e s.s., seppure non direttamente attinente al contenuto delle obbligazioni contrattuali, si riflette sulla validità del negozio, perché individua un requisito che deve sussistere in capo al contraente, di tal ché, ove si consentisse lo svolgimento del rapporto con soggetto privo del requisito in parola, si finirebbe per porre nel nulla la norma inderogabile, posta a tutela di interessi pubblici alla cui realizzazione, secondo il Costituente, deve essere costantemente orientata l'azione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici (citata Cass., n. 22673 del 2020, che richiama, Cass. n. 30999 del2019, Cass. n. 17002 del 2019). Con riguardo ai poteri che la Pubblica Amministrazione può esercitare ove si avveda dell'illegittimità dell'assunzione si è evidenziato che l'atto con il quale l'amministrazione revochi l'incarico a seguito dell'annullamento della procedura concorsuale o dell'inosservanza dell'ordine di graduatoria "equivale alla condotta del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità, trattandosi di un comportamento con cui si fa valere l'assenza di un vincolo contrattuale" (Cass., nn. 8328/2010, 19626/2015, 13800/2017, 7054/2018, 194/2019). Si tratta di vicenda giuridica diversa rispetto alla sanzione disciplinare o al licenziamento, istituti ai quali non è riferibile la fattispecie in esame. Come affermato dalla Corte d'Appello il rapporto di lavoro, in quanto affetto da nullità, può produrre effetti nei soli limiti indicati dall'art. 2126, c.c., applicabile anche alle Pubbliche Amministrazioni, e pertanto, ferma l'irripetibilità delle retribuzioni corrisposte in ragione della prestazione resa, sia pure in via di mero fatto, dello stesso non si può tenere conto ai fini di successive assunzioni o di avanzamenti di carriera, operando in tal caso la regola generale secondo cui quod nullum est nullum producit effectum.". Il ricorso va pertanto rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 147 del 1922 tenuto conto dell'attività svolta con la riduzione del 20% essendosi difeso il Ministero con proprio funzionario delegato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 2951,20 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a.. Così deciso in Lucca l'8 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 274/2021 promossa da: (...) S.P.A. con il patrocinio dell'avv. RO.GI. ricorrente e (...) con il patrocinio dell'avv. MA.AL. resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE All'esito dell'udienza del 12.1.23, previa discussione orale, la causa veniva decisa come da sentenza contestuale. Parte ricorrente propone opposizione avverso l'ordinanza conclusiva della fase sommaria del rito cd. Fornero del 25.3.21. Nel ricorso di opposizione il datore di lavoro ribadisce essenzialmente le medesime motivazioni di cui alla prima fase del ricorso Fornero. La lavoratrice si costituiva chiedendo il rigetto dell'opposizione previa conferma dell'ordinanza impugnata, ribadiva altresì la richiesta di declaratoria di nullità del licenziamento per difetto di preventiva affissione del codice disciplinare, ovvero perché ritorsivo/punitivo/persecutorio e comunque discriminatorio. L'opposizione è infondata, pertanto l'ordinanza va confermata. In sede di opposizione la società opponente ripropone le medesime doglianze oggetto della memoria di costituzione depositata della prima fase del giudizio. La fase sommaria è stata adeguatamente istruita attraverso l'esame degli informatori. In tale fase di opposizione, essendo completo il quadro probatorio e non essendo state formulate richieste nuove o comunque rilevanti rispetto a quanto già emerso nella fase sommaria, non può che ribadirsi quanto già espresso nell'ordinanza conclusiva della prima fase. Deve esclusivamente rilevarsi come in ordine al primo motivo di opposizione è pacifico che la lettera di contestazione alla dipendente è del 14.2.19 laddove si rimprovera alla stessa di svolgere attività di consulente di bellezza, tuttavia la circostanza era nota alla banca almeno dalla "seconda parte del 2018" come testualmente riferito dal teste di parte resistente (...) in sede di udienza del 28.9.20" Laricorrente svolgeva anche attività di rappresentante di prodotti della (...), preciso di aver visto personalmente in almeno due occasioni consegnare in agenzia relativi prodotti durante l'orario di lavoro. La collega (...) mi riferì che in un'occasione di una fiera aveva visto la ricorrente che esponeva un banco della (...). Tale circostanza fu riferita anche agli altri colleghi, credo anche a (...). Ho visto un giorno la ricorrente con una donna credo tale "(...)" che aveva ritirato in banca i prodotti della (...), tanto che incontrando questa donna fuori le chiesi se era stata trattata bene dalla (...) per la vendita dei prodotti cosmetici e lei mi rispose che le aveva fatto il prezzo da catalogo. Questo accadeva all'incirca nella seconda parte del 2018". Chiaro ed evidente, a dispetto della ricostruzione forzata fornita dalla Banca nell'opposizione all'ordinanza, che la circostanza riferita dal (...), direttore dell'istituto di credito, avveniva all'incirca nella seconda parte del 2018 a fronte poi di una contestazione formale di febbraio 2019. In ordine poi al secondo motivo di opposizione deve confermarsi quanto già espresso nell'ordinanza impugnata rilevando che anche in sede di opposizione il datore di lavoro non deduce quale sia il conflitto di interessi tra l'attività della (...) di dipendente della banca con contratto part-time e l'asserito svolgimento da parte della stessa di consulente di bellezza. D'altra parte in sede istruttoria non è assolutamente emerso che la stessa svolgesse attività lavorativa concreta di promozione, consulenza e vendita di prodotti all'interno dell'istituto di credito, avendo gli informatori riferito esclusivamente di aver visto consegnare in alcune occasioni a clienti della banca buste con il marchio (...) null'altro. Anche il collega di lavoro (...) riferisce di aver visto l'(...) uscire dalla banca con la sig.ra (...). di non aver visto scambio di danaro ma solo che si allontanavano con una busta con il marchio della (...). Ed ancora che la stesse gli chiese se poteva essere interessato a prodotti di bellezza per la moglie, senza null'altro aggiungere. Ebbene affinchè possa affermarsi che l'(...) svolgesse vera e propria attività lavorativa subordinata ulteriore rispetto a quella di dipendente dell'istituto di credito, di per sé non vietata atteso che il rapporto con la ricorrente era part-time, sarebbe dovuto emergere qualcosa di più che non la semplice consegna di prodotti cosmetici o la presenza della dipendente a fiere peraltro durante il fine settimana; né possono considerarsi dirimenti in tal senso le risultanze del conto corrente dell'(...) (laddove pure utilizzabili) da cui emergono acquisti di prodotti della (...) che secondo la ricostruzione della banca la stessa poi rivendeva. In ordine poi alla contestazione dei continui ritardi in entrata dell'(...) si ribadisce, contrariamente a quanto rilevato dall'opponente, come la mancata formale contestazione ovvero la decurtazione sulla busta paga rappresentano quantomeno indici di acquiescenza della banca ai suddetti comportamenti risalenti e ripetuti oramai da mesi; ciò a fortiori laddove è emerso che si trattava di pochi minuti di ritardo che venivano recuperati dalla dipendente in uscita. Si ribadiscono le motivazioni già espresse nell'ordinanza impugnata in ordine a tutte le doglianze anche ulteriori rispetto a quelle qui richiamate. Avendo riguardo poi alla memoria di costituzione dell'(...) deve effettivamente rilevarsi come l'ordinanza impugnata non si sia pronunciata sulla dedotta mancata affissione del codice disciplinare in data antecedente alle contestazioni che hanno portato al licenziamento della stessa. Tuttavia avendo riguardo alle risultanze istruttorie deve richiamarsi, perché dirimente sul punto, la deposizione dell'informatore E.B., della cui attendibilità non può dubitarsi non essendo emersi elementi specifici idonei a minare la sincerità dello stesso, avendo anche riguardo all'intero contenuto delle dichiarazioni rese, che risultano oggettive atteso che per certi versi confermano quanto dedotto dall'(...) per altri quanto rilevato dall'odierna opponente. Ebbene in relazione proprio all'affissione del codice disciplinare il suddetto teste testualmente riferisce: "Confermo la circostanza di cui al cap. 23 i libri di lavoro sono affissi sul retro affianco al bancomat dal lato interno, vicino la macchina del caffè ove c'è una bacheca con all'interno il codice disciplinare, con l'indicazione in ordine di gravità delle sanzioni che la banca può irrogare a seconda delle condotte contestate allavoratore. La suddetta bacheca con il codice disciplinare l'ho vista per la prima volta lì nel 2008 ed è stata sempre affissa costantemente nello stesso posto che ho detto." Tanto basta, avendo anche riguardo alla neutralità delle ulteriori testimonianze sul punto, atteso che il (...), convivente dell'(...), riferisce di non aver visto affisso il codice disciplinare, tuttavia precisa di sapere che vi è una macchina del caffè accessibile ai dipendenti ma di non sapere dove si trova, circostanza questa dirimente perché è emerso che il codice disciplinare sarebbe stato esposto nella bacheca presente vicino alla macchina del caffè; pertanto il suddetto non avendo cognizione di dove fosse la macchina del caffè non poteva aver visto la bacheca con il codice esposto. L'affissione del codice disciplinare sul luogo di lavoro accessibile ai dipendente è sufficiente per ritenere ottemperato l'obbligo di cui all'art. 7 Statuto dei Lavoratori anche alla luce della prevalente giurisprudenza "il precetto dell'art. 7, primo comma, della (...) n. 300 del 1970, concernente l'affissione in luogo accessibile a tutti delle norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni ed alle procedure di contestazione delle stesse, è soddisfatto - realizzandosi in entrambi i casi l'esigenza di una più agevole conoscibilità del potere punitivo del datore di lavoro e dei relativi limiti - sia quando le norme disciplinari siano affisse come tali, avulse dal contratto che le contiene, sia quando sia affisso il contratto che contiene le stesse norme. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto assolto l'obbligo di pubblicità in presenza di un'affissione ininterrotta, in luogo idoneo, dell'intero contratto collettivo, comprensivo del codice disciplinare)" ( Cass. Sez. (...) n. 33811 del 1921). Ribadendo integralmente quanto già motivato nell'ordinanza impugnata si riporta ex art. 118 disp att c.p.c. quale parte integrante della presente sentenza, il suddetto provvedimento: "La ricorrente, dipendente presso (...) S.p.a., Agenzia di Seravezza Querceta, dall'1.1.2005 sino al 19.3.2019 ( data del licenziamento per giusta causa), con contatto di lavoro a tempo indeterminato part- time, svolgeva la mansione di impiegata con l'inquadramento di Area 3 Liv.3 del CCNL di categoria. In data 14/02/ 2019 veniva consegnata alla sig.ra (...) la lettera di contestazione del 4/02/19 contenente anche un provvedimento di allontanamento cautelativo dal servizio ai sensi dell'art. 44. 2 comma, del vigente CCNL 31 Marzo 2015. In essa, le venivano addebitati "gravissimi comportamenti": in primo luogo, la ricorrente avrebbe omesso di informare la Banca, tramite "l'apposito modulo/questionario OBI di attività remunerata consigliera di bellezza per l'azienda (...)";"la citata attività si concreta nella rivendita a clienti privati ... allestendo persino un apposito banco per la vendita presso sagre o fiere della zona in cui risiede quanto da Lei acquistato dalla azienda (...), ricavando direttamente un provvigione". Ed ancora le si contestava " a rendere ancora più grave quanto sopra contestato, anche il fatto che lei utilizza la banca ed i clienti con i quali entra in contatto quale dipendente della stessa, per promuovere la vendita dei prodotti (...)". Venivano richiamati a titolo esemplificativo due episodi, nei quali sarebbe avvenuto l'acquisto e la consegna dei prodotti di bellezza in una busta all'interno dei locali della Banca e con due clienti della medesima (rispettivamente con la sig.ra (...) 21.12.2018 e con la sig.ra (...) il 17.01. 2019). Nel prosieguo della contestazione si rilevava che "quanto sopra contestato si inserisce in un contesto in cui la Sua prestazione professionale è non in linea con gli obiettivi a Lei assegnati dalla Banca, come attestato dalle Sue schede di valutazione dal 2015 al 2018, e , soprattutto, caratterizzata da continui ritardi la mattina in cui non entra mai prima delle 8.30 da settembre 2018, circostanza quest'ultima che incide profondamente sull'organizzazione della Agenzia in cui Lei opera". In Veniva, altresì, addebitato alla ricorrente un "tentativo di scavalcamento della linea gerarchica", poiché "dopo aver ricevuto il diniego alle ferie del Direttore (...), per i giorni dal 2 al 4 gennaio 2019, approfittando in assenza del Direttore (...) per ferie", la stessa riproponeva "indebitamente la medesima richiesta al Sig. (...), Addetto Operativo di Area Senior". Infine, la lettera di contestazione conclude dichiarando che "tali Suoi comportamenti appaiono in evidente contrasto con norme di legge e di contratto, integrando comunque violazione dei principi fondamentali del rapporto di lavoro e si traducono anche in un gravissimo danno di immagine per la Banca". Alla suddetta lettera di contestazione, faceva seguito in data 18.3.2019 il licenziamento tempestivamente impugnato dalla ricorrente. Avendo riguardo alle contestazione avanzate alla ricorrente, all'esito dell'istruttoria è emerso che a fronte dell'orario part-time previsto 8.15/13.30, la (...) arrivasse in ritardo, tuttavia a parte il testimone (...) che riferisce un orario di arrivo sempre successivo alle 08.30, gli altri testi, in particolare (...) e (...) riferiscono che la ricorrente arrivava in banca intorno alle 8.20 / 08.30 e che comunque spesso si tratteneva oltre le 13.30 per finire il lavoro (anche sino alle 14.00). Entrambi i suddetti testimoni escludono che vi fu una contestazione formale del suddetto ritardo, solo il (...) riferisce che il direttore (...) riprese verbalmente la ricorrente. Pertanto, può considerarsi circostanza pacifica che la ricorrente sforasse gli orari di ingresso di non oltre 10/15 minuti trattenendosi tuttavia oltre l'orario previsto; che a fronte dei suddetti ritardi mai la resistente ha effettuato alcuna contestazione formale, o decurtazione sulla busta paga, né nel presente giudizio è stata fornita alcuna prova in ordine ad eventuali disagi che il suddetto ritardo avrebbe determinato sull'organizzazione aziendale. Anche avendo riguardo alla contestazione circa lo scarso rendimento della ricorrente, a fronte di una valutazione del 2017 in cui il responsabile riferiva "obiettivi quasi raggiunti", la valutazione del 2018 del responsabile è di mancato raggiungimento degli obiettivi; la suddetta valutazione è immediatamente precedente alla contestazione disciplinare (in particolare circa lo svolgimento di attività lavorativa ulteriore e di scavalcamento della linea gerarchica). La resistente si limita a richiamare la suddetta valutazione e quella del 2016 senza però dedurre e provare che si tratti di un notevole inadempimento. Infatti anche in ordine a tale contestazione la resistente è carente in punto di onere probatorio "Il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un'ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell'attività resa per un'apprezzabile periodo di tempo. In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito e si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto; l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 cod. civ., sicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. (Cass. 31487/18). Ciò detto è possibile il licenziamento per scarso rendimento laddove sussistono i seguenti presupposti: - il rendimento del lavoratore deve essere inferiore alla media (circostanza che deve dimostrare l'azienda per poter affermare la legittimità del licenziamento: in altri termini, il datore deve dare prova del grado di efficienza "media" raggiunto dai colleghi del licenziato nonché dello standard produttivo inizialmente concordato con il dipendente). In altre parole lo scarso rendimento deve essere di "notevole importanza"; - la diminuzione del rendimento del lavoratore deve essere causata da colpa del lavoratore (non sarebbe così, ad esempio, se questi dovesse aver contratto una malattia o se questi non è messo nelle condizioni fisiche e organizzative di lavorare in modo proficuo); - lo scarso rendimento deve avere, infine, ricadute negative sulla produzione. Ebbene occorre evidenziare che la ricorrente è dipendente della resistente sin dal 2005, con anzianità pertanto ultradecennale e che solo nel corso degli ultimi anni ha manifestato le suddette difficoltà, che tuttavia non sono mai state oggetto di contestazione formale da parte della resistente che non ha dimostrato né le ricadute negative in termini di produzione né il rendimento inferiore rispetto alla media. A fronte della mera deduzione di file e di lamentele dei clienti della banca, alcuna prova è stata fornita in ordine alle suddette circostanze. Ancora priva del carattere di illiceità è la condotta contesta alla ricorrente del "tentativo di scavalcamento della linea gerarchica", poiché "dopo aver ricevuto il diniego alle ferie del Direttore (...), per i giorni dal 2 al 4 gennaio 2019, approfittando in assenza del Direttore (...) per ferie", la ricorrente riproponeva "indebitamente la medesima richiesta al Sig. (...), Addetto Operativo di Area Senior" ebbene non vi è alcuna norma di legge e di contratto che vieta simile richiesta nei confronti sostanzialmente del facente funzioni di direttore, soprattutto a fronte della motivata reiterata richiesta connessa alla presenza di una figlia minore in tenera età della ricorrente. Da ultimo occorre porre l'attenzione sull'asserita attività lavorativa ulteriore svolta dalla ricorrente: ebbene preliminarmente si evidenzia come lo svolgimento "di consulenza di bellezza" della (...) fosse circostanza pacifica e nota in banca. Il direttore dott. (...) riferisce di esserne a conoscenza almeno dalla metà del 2018, laddove la contestazione è stata fatta solo nel febbraio del 2019; comunque deve rilevarsi oltre alla tardività della contestazione la mancanza stessa dell'illiceità della condotta contestata. Infatti, avendo riguardo alla documentazione prodotta e alle stesse dichiarazioni rese, è pacifico che l'eventuale ed ulteriore attività che il dipendente svolga affinché possa avere rilievo deve essere in conflitto di interessi con quelli della banca e deve avere carattere remunerativo. Lo stesso (...) dice espressamente che per lo svolgimento di ulteriore attività "c'è un modulo che va compilato per consentire alla banca di valutare eventuali conflitti di interessi". Il codice di condotta prodotto definisce "conflitto di interessi" la situazione nella quale un dipendente sia in condizioni di approfittare di una facoltà professionale al fine di realizzare un vantaggio indebito, danneggiando uno o più clienti, ovvero quando esista la percezione di un comportamento scorretto in grado di ledere la fiducia. Ancora l'art. 25 definisce "conflitti derivanti da interessi personali dei dipendenti (OBI) nel caso in cui un dipendente abbia un interesse significativo nei confronti di un fornitore del Gruppo e sia contemporaneamente coinvolto nel processo di acquisto per conto del Gruppo. Anche nel capitolo relativo a "interessi in altre occupazioni professionali" si fa riferimento al divieto, peraltro non assoluto, posto ai dipendenti ad essere assunti da altre società e ad accettare qualsivoglia remunerazione per servizi professionali a loro resi. Nel caso di specie non si tratta di alcuna ulteriore assunzione della ricorrente né è emerso il carattere remunerativo dell'attività di consulente di bellezza. Ad ogni modo il divieto non è assoluto atteso che è prevista la possibilità di esprimere parere favorevole alle condizioni indicate; nella situazione sottoposta all'odierno vaglio giudiziario alcuna allegazione, né qualsivoglia utile elemento è stato fornito per poter ritenere che l'asserita attività di consulente di bellezza dell'(...) avesse carattere remunerativo e generasse un conflitto di interessi per come previsto dalla legge e dallo stesso codice etico della banca. D'altra parte non emerge neanche icto oculi quale conflitto possa esserci tra lo svolgimento dell'attività di consulente di bellezza e quello di dipendente di banca, né tantomeno la resistente ha dedotto è provato che si trattasse di attività che impegnasse la ricorrente in maniera tale da influire sul suo rendimento. Non è emersa la prova che la suddetta attività avesse carattere remunerativo, sotto il profilo documentale si ritiene Illegittima la produzione della resistente concernente l'estratto conto della ricorrente per un'evidenteviolazione delle norme a tutela della privacy. Tuttavia, anche qualora questa produzione fosse considerata legittima, non è rilevante poiché attesta soltanto le uscite dal conto della ricorrente in favore della azienda (...) e non le c.d. "provvigioni", quindi le entrate che la stessa avrebbe ricevuto dalla azienda medesima. Si ritiene pertanto in particolare avendo riguardo a tale contestazione, che dal tenore della lettera di licenziamento è il motivo principale del licenziamento, l'insussistenza del fatto tale da giustificare la tutela reintegratoria ed indennitaria di cui al comma 4 dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori con condanna al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Infatti la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l'insussistenza del fatto non vada intesa nel mero e solo senso materiale bensì anche nelle ipotesi in cui difetti il carattere dell'illiceità; si richiama sul punto una recente pronuncia della Cassazione che è particolarmente rispondente al caso di specie in cui "In tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della (...) n. 92 del 2012, comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, come nell'ipotesi del dipendente che, durante il periodo di assenza per malattia, svolga un'altra attività lavorativa, senza che ciò determini, per le sue concrete modalità di svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia né alcun ritardo nella ripresa del lavoro, e dunque senza violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto" (Cass. Ord. (...) n. 3655 del 2019). Ed ancora la Cass. n. 13383/2017: l'"insussistenza del fatto contestato", di cui all'art. 18, comma 4, Stat. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b), della (...) n. 92 del 2012, comprende sia l'ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, nondimeno non presenti profili di illiceità, sicché, in tale ipotesi, si applica la tutela reintegratoria cd. attenuata. In senso conforme Cass. n. 18418/2016, n. 20540/2015 (R.) (secondo la quale e la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art.18, quarto comma); sul punto efficacemente Cass. n. 10019 del 2016 ha affermato che il fatto contestato comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare, ovvero, quanto al profilo soggettivo, la condotta non sia imputabile al dipendente. Anche su questa norma è intervenuta la S.C. (Cass. n. 12174/2019, est. (...)) che, con riferimento all'espressione "insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore" ha ribadito il già esposto principio secondo cui in tema di licenziamento disciplinare, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare. Non può invece trovare accoglimento la richiesta di declaratoria di nullità del licenziamento in quanto discriminatorio/ritorsivo atteso che la ricorrente indica indifferentemente il licenziamento come ritorsivo/discriminatorio, quando ormai è pacifico che "La nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della (...) n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della (...) n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico" (Cassazione civile sez. lav., 05/04/2016, n.6575). Inoltre l'onere di provare la natura discriminatoria del licenziamento spetta al lavoratore, che deve portare a sostegno della sua tesi elementi specifici tali da dimostrare con sufficiente certezza l'intento del datore di lavoro (Cass. 27 settembre 2018 n. 23338; Cass. 25 maggio 2004 n. 10047). Nel caso di specie, questo Giudice ritiene che non siano stati acquisiti agli atti del giudizio elementi sufficienti al fine di poter ritenere assolto l'onere della prova come appena delineato. Per quanto riguarda la discriminatorietà del licenziamento la ricorrente si è limitata ad indicare che il ritardo dovrebbe essere tollerato se finalizzato all'accudimento della prole, senza però dimostrare una richiesta di modifica dell'orario di entrata e il conseguente diniego. Ancora, ha semplicemente indicato il profilo discriminatorio del diniego di ferie, concesse invece al collega (...) con inferiore anzianità senza null'altro aggiungere. Per quanto riguarda la richiesta di nullità per ritorsività del licenziamento, il ricorso sul punto è carente anche sotto il profilo delle deduzioni ed allegazioni, non avendo concretamente indicato a fronte di quale legittima pretesa o condotta della ricorrente sia seguito il licenziamento e quel quid pluris che consenta di individuare nel comportamento datoriale l'esclusivo arbitrario intento punitivo rispetto ad una condotta del lavoratore. In ordine alla determinazione dell'indennità risarcitoria da riconoscere alla ricorrente in uno con la tutela reintegratoria, la stessa andrà determinata avendo riguardo alla retribuzione globale di fatto pari ad Euro 2281,94 come indicata dalla ricorrente in assenza di contestazioni da parte della convenuta. Si ritiene equo, avendo riguardo all'anzianità di servizio della ricorrente, all'assenza di contestazioni precedenti a quelle oggetto del licenziamento, alle condizioni economiche e alle dimensioni della società convenuta (trattasi di istituto di credito società quotata in borsa), riconoscere alla ricorrente un'indennità risarcitoria pare a 8 mensilità della suddetta retribuzione globale di fatto". L'ordinanza impugnata 846/21 del 25.3.21 va pertanto confermata e il presente ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo ex D.M. n. 147 del 1922 considerata la limitata attività svolta e la mancanza di istruttoria testimoniale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta il ricorso e per l'effetto conferma l'ordinanza impugnata del 25.3.21; - Condanna altresì la parte ricorrente a rimborsare alla parte resistente (...) le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 3689,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a.. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 12 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1248/2019 promossa da: (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio degli avvocati Ma. e Pa.MA. ed elettivamente domiciliato presso i difensori nello studio dei suddetti procuratori in La Spezia (SP) via (...), come da procura con domiciliazione allegata in via telematica al ricorso introduttivo ricorrente e (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del l.r. p.t., con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliata presso il difensore giusta procura con domiciliazione allegata in via telematica alla memoria di costituzione Resistente Con riunita la causa RG 170/2021 tra (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del l.r. p.t., con il patrocinio dell'avv. Ma.AN. ed elettivamente domiciliata presso il difensore giusta procura con domiciliazione allegata in via telematica al ricorso introduttivo Ricorrente-opponente e (...) (C.F.: (...)), con il patrocinio degli avvocati Ma. e Pa.MA. ed elettivamente domiciliato presso i difensori nello studio dei suddetti procuratori in La Spezia (SP) via (...), come da procura con domiciliazione allegata in via telematica alla memoria difensiva e di costituzione Resistente-opposto Oggetto: licenziamento individuale per g.m.o. (RG 1249/2019) e spettanze retributive (RG 170/2021) CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il ricorrente, assunto dalla (...) S.r.l. il 16.6.2015, ha impugnato il licenziamento intimatogli il 27.5.2019 a seguito di contestazione disciplinare del 18.1.2019 (rinnovata con racc. del 19.2.2019 ricevuta dal lavoratore il 15.3.2019) in conseguenza di un incidente occorsogli il 17.1.2019 quando egli, essendo alla guida di un autocarro della (...) srl con un rimorchio carico di cippato, nel percorrere la via (...) in direzione (...), aveva spostato la direzione del mezzo verso destra, causandone la fuoriuscita dalla carreggiata, l'urto della parte spigolare della sponda destra del rimorchio contro un pino posto sulla banchina stradale, la fuoriuscita del carico di cippato per un lungo tratto della strada, in quanto il mezzo si era fermato solo dopo aver percorso circa 200 metri. Sul posto erano intervenuti agenti della Polizia Municipale a cui il sig. (...) aveva dichiarato "di non aver mantenuto il controllo del veicolo a causa di un sorpasso di presunto veicolo che lo aveva portato a spostarsi verso destra con conseguente fuoriuscita dalla sede stradale e impatto con il pino" (così dal verbale della Polizia Municipale intervenuta nell'immediatezza del fatto su richiesta dello stesso (...) cfr. doc.5 ric. "relazione di incidente stradale 17.1.2019"). Rimanendo all'esame del verbale si osserva che da esso risulta che la strada era rettilinea con limite di velocità di 60 km/h, che la Polizia intervenuta non aveva rilevato tracce di frenata, né scarrocciamenti e/o abrasioni del suolo, e che aveva appurato che il cippato ricopriva totalmente, e in alcuni tratti parzialmente, la sede stradale per circa 200 metri. Va qui osservato che in ordine all'accadimento posto dalla società a fondamento del provvedimento non sono emerse prove di alcun genere circa il presunto sorpasso che avrebbe indotto il ricorrente a spostarsi verso destra. In sede di ricorso poi si ipotizza una qualche possibile avaria del mezzo, non indicata alla Polizia Municipale intervenuta, né espressa direttamente dal ricorrente prima della presentazione del ricorso e invero "ipotizzata" quale possibile causa dell'accadimento solo da un sindacalista intervenuto nell'incontro del 1.3.2019 in cui il (...) dal canto suo aveva ripetuto la versione data agli agenti intervenuti nell'immediatezza del fatto, ossia che aveva fatto la manovra di spostamento a destra per evitare l'urto con un veicolo che, nel rientrare da un sorpasso, gli aveva tagliato la strada. Ebbene poiché la versione ipotizzata dal sindacalista contrasta con quanto sempre dichiarato dal ricorrente è stata ritenuta esplorativa, superflua e irrilevante la CTU richiesta con il ricorso considerando anche che il ricorrente mai ha indicato in cosa sarebbe consistita l'anomalia. In assenza di prova di una qualsiasi altra causa idonea che abbia prodotto l'evento, deve quindi giungersi a ritenere che il sinistro è stato diretta conseguenza della condotta di guida negligente del ricorrente, negligenza a cui consegue l'obbligo di risarcire i danni alla (...) srl. -Entità dei danni La CTU licenziata in ordine ai danni causati al mezzo dall'urto contro il pino posto all'esterno della carreggiata, ha accertato in base ai conteggi eseguiti che il costo complessivo delle riparazioni (comprensivo di pezzi di ricambio e di manodopera) ammonta a Euro. 10.609,94 + 11.592,00 Euro. 22.201,94, oltre ad Euro. 4.884,42 di IVA (totale generale Euro. 27,086,36). Si noti che la quantificazione in 20000 Euro della spesa necessaria per le riparazioni era già stata fatta dalla società nel corso degli incontri avvenuti nel marzo 2019 alla presenza anche dei rappresentanti sindacali (secondo la ricostruzione del ricorrente cfr. pagg. 8-9- del ricorso), allorché era stato proposto al (...) di mutare mansioni (non più autista, ma operatore alla motosega) e di contribuire alla sola spesa dei pezzi di ricambio nella misura di 5000 Euro (proposta della società non accettata dal (...) cfr. pag. 9 ric). La gravosità del danno economico è stata confermata dal Consulente d'Ufficio nominato, alla cui relazione tecnica si fa espresso rinvio, essendo le conclusioni cui è pervenuto il CTU corrette, rispondenti ai criteri di valutazione adottati nel settore di riferimento, e così idonee a sostenere la presente decisione. Dalla quantificazione del danno al mezzo effettuata dal CTU si perviene alla conclusione che il comportamento di guida del ricorrente ha comportato per la società gravi danni materiali rapportabili ad una fattispecie tipizzata di comportamento legittimante la sanzione espulsiva ex art. 81 CCNL di riferimento (doc. 2 res.) ossia al danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione idoneo a legittimare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, tanto più che nel caso è stato prodotto un grave nocumento materiale. Ciò posto, è ormai consolidato in sede di legittimità il principio secondo cui in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nella attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all'art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 17321/2020; Cass. n. 3283/2020; Cass. n. 13865/2019). Nel caso la censura di mancanza di proporzionalità della sanzione sollevata dalla difesa del lavoratore appare a questo giudice infondata: il CCNL prevede il licenziamento in caso di infrazione che provochi all'azienda grave nocumento morale o materiale, anche nel caso di danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione, come in effetti è stato nel caso in esame: - il comportamento di guida tenuto dal ricorrente è stato stigmatizzato dagli agenti che, dopo aver esaminato il fondo stradale (in cui non si ravvisavamo segni di frenata o scarrocciamento) e tenendo conto di tutti gli elementi a loro disposizione (ivi compreso il fatto che il veicolo dopo l'urto ha proseguito la sua corsa per oltre 200 metri perdendo il carico sulla carreggiata), hanno concluso che il (...) aveva perduto il controllo del veicolo, irrogandogli una sanzione amministrativa, mai impugnata; il ricorrente ha addotto inizialmente una versione funzionale a limitare la propria responsabilità non corroborata da prova alcuna e in seguito ha mutato versione cercando di far ricadere la responsabilità dell'accaduto addirittura sul datore di lavoro In punto di mancanza di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto commesso la difesa del ricorrente pone in luce l'assenza di recidiva e l'assenza di negligenza nella causazione del sinistro, osservando che lui era risultato negativo ai test sul tasso alcoolemico, che la velocità tenuta nell'occasione era stata accertata esser nei limiti di quella consentita, che lui aveva rispettato i tempi di guida e di riposo desumendo da ciò che l'evento non poteva che essersi verificato a causa della vetustà del mezzo "che aveva reagito in modo insolito e inaspettato". Ebbene, si ribadisce che in questo modo la difesa dà una versione dell'accaduto completamente difforme da quella resa dal ricorrente agli agenti nell'immediatezza dell'evento: egli non ha mai accennato ad un'anomalia nel mezzo da lui trasportato, ha invece dichiarato essersi trovato di fronte a un (mai provato-presunto) sorpasso di un' auto che gli avrebbe tagliato la strada, potendo così desumersi che in tale situazione egli abbia reagito con una manovra improvvisa che aveva avuto ripercussioni sul rimorchio il quale, infatti, era fuoriuscito dalla carreggiata andando ad impattare contro un pino esterno alla stessa. La fuoriuscita in grande quantità del cippato (che aveva invaso totalmente e in alcuni tratti parzialmente la strada per circa 200 metri) indica le ripercussioni dell'impatto del rimorchio contro il pino. Se il ricorrente avesse avvertito che il mezzo su cui viaggiava non andava bene, oppure anche solo una strana reazione del mezzo, perché non lo ha dichiarato agli agenti nell'immediatezza del fatto, senza limitarsi ad aderire in questa sede all'ipotesi avanzata da rappresentanti delle OOSS negli incontri avvenuti dopo la contestazione disciplinare? Come mai anche in seguito ad essa mai il lavoratore ha parlato di anomalia del comportamento del mezzo, né in cosa sarebbe -se del caso- consistita questa anomalia? Questa anomalia non può esistere solo perché affermata apoditticamente a posteriori e su suggerimento di terzi, ben potendosi piuttosto e più verosimilmente ipotizzare un momento di distrazione del lavoratore durante la guida. Il negligente comportamento di guida del ricorrente e questo atteggiamento soggettivo del lavoratore è tale da mirare il rapporto di fiducia tra lo stesso e la società quantomeno circa il ruolo di autotrasportatore: il ricorrente, ben poteva accettare la proposta avanzata, in sede di procedimento disciplinare, dalla società di essere adibito ad altre mansioni ( segnatamente operatore alla motosega), ma stante il diniego perentorio, circa una eventuale ipotesi di sanzione conservativa, la società si è vista costretta ad irrogare la sanzione massima del licenziamento. Sanzione che per i motivi sopra esposti (principalmente per la grave negligenza tenuta nell'episodio in contestazione e la conseguente compromissione del rapporto fiduciario tra le parti) è da ritenersi proporzionata. Debbono essere ora valutate le censure mosse dalla difesa del ricorrente al procedimento disciplinare: in particolare la difesa del ricorrente sottolinea che mentre nella lettera di contestazione disciplinare del 19.1.2019 la società aveva contestato al ricorrente la responsabilità in ordine all'accaduto e la negligenza nell'aver provocato danni al semirimorchio, successivamente (lettera raccomandata ricevuta dal (...) il 15.3.2019) si era espressa in termini di grave responsabilità per la negligenza e imprudenza con cui aveva condotto l'autocarro da cui era derivato il sinistro e i danni causati, danni quantificati in 19850,00 oltre a gli ulteriori danni per la perdita delle consegne dovute al fermo del mezzo e per la bonifica della strada, ponendo in luce che mentre dalla prima contestazione poteva derivare ai sensi del CCNL applicato solo una sanzione conservativa, alla seconda poteva conseguire il licenziamento per g.m.s. Le censure della difesa di parte ricorrente non appaiono accoglibili: il fatto contestato in effetti resta lo stesso, ma per effetto dell'acquisizione del verbale della polizia municipale e per effetto della valutazione tecnica sulle conseguenze del sinistro, non disponibili nell'immediatezza dell'evento, è emersa la gravità del fatto sia sotto il profilo della negligenza che sotto il profilo della gravità dei danni sul piano economico. Dunque il fatto storico poteva esser contestato immediatamente, ma non così il resto. In particolare la quantificazione dei danni al mezzo non poteva che intervenire dopo accertamenti (a opera di tecnici), volti sia a verificare le parti ammalorate e da sostituire, sia il costo necessario per la sostituzione dei pezzi e anche per la manodopera impiegata per i lavori. Vi è quindi da ritenere che l'intervallo di tempo nelle more trascorso risulta giustificato dalla necessità di svolgere ulteriori indagini occorrenti alla definizione della posizione del lavoratore. Dunque l'integrazione della contestazione disciplinare nel caso non tocca il fatto, ossia la guida negligente e perciò colposa, a cui sono conseguiti danni, poiché la società nulla aggiunge se non la gravità del fatto sotto il profilo della significativa rilevanza dei danni materiali causati alla società, in una situazione di totale carenza di prova circa fattori esterni (sorpasso, segni di frenata...) potenzialmente incidenti sulla dinamica del sinistro. La giurisprudenza è costante nel ritenere che per circostanze nuove, tali cioè da mutare la tipologia dell'illecito, si devono intendere solo quelle che si sostanziano in un fatto storico nuovo in quanto mai contestato, e non quelle che, fermo il fatto contestato inteso nella sua essenza e a prescindere da ogni valutazione della sua gravità, ne consentano un migliore apprezzamento del disvalore e dell'incidenza sullo svolgimento del rapporto. E' ancora da osservare che la giurisprudenza ritiene legittima la rinnovazione della precedente contestazione fino a che non sia stato emesso il provvedimento disciplinare, sempreché essa intervenga in un ambito temporale contenuto e , ove tale contestazione integrativa sia arricchita di ulteriori elementi fattuali per renderla maggiormente specifica, sia consentito al lavoratore di approntare le sue difese su circostanze precise e oggettive. Nel caso in esame al lavoratore in effetti sono stati dati ulteriori termini per le osservazioni, sono intervenuti ulteriori incontri con i rappresentati delle OO.SS. e, solo all'esito e non essendo stato trovato un punto di incontro tra le posizioni della società (che voleva mantenere il sig. (...) alle sue dipendenze, ma con le mansioni di operatore alla motosega -assegnate con racc. del 30.1.2019- e non di autista) e quelle del sig. (...) (che voleva restare, ma solo nel ruolo di autista), è stato disposto il provvedimento disciplinare del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, stante la gravità dell'accaduto e delle sue conseguenze in termini di danni. Conclusivamente le doglianze di illegittimità del licenziamento ai sensi dell'art. 7, comma 2, della L. n. 300 del 1970 non sono fondate e non possono essere accolte -mancata pubblicazione del codice disciplinare Determinante appare sul punto la deposizione della sig.a N.N., impiegata nell'azienda che, escussa come teste, ha dichiarato che il codice disciplinare era affisso in bacheca da tanti anni, tanto che i fogli erano ormai ingialliti. Di nessun rilievo sono le dichiarazioni degli altri due testi, ignari persino dell'esistenza della bacheca, non essendo mai andati nell'officina, come da loro dichiarato. Deve quindi ritenersi provata l'affissione del codice disciplinare, non senza osservare che la dottrina e la giurisprudenza sono da tempo orientate nel senso che, laddove si tratti di comportamenti che possono facilmente essere percepiti come contrari al comportamento a cui il lavoratore è doverosamente tenuto, ossia contrari al c.d. minimo etico, la mancata pubblicazione del codice disciplinare non rende illegittima la sanzione (anche espulsiva). Nel caso il comportamento tenuto dal (...) è stato contrario a quello configurato come doveroso dal CdS: quest'ultimo impone all'autista di un mezzo di guidare a una velocità che sia idonea rispetto alle condizioni della strada, rispetto al mezzo che si sta guidando e anche alla situazione di carico dello stesso, insomma di guidare con la diligenza necessaria per conservarne sempre il controllo. Il fatto che il (...) abbia perso il controllo del mezzo e che egli non abbia provato che questo sia dovuto ad una causa a lui non imputabile è inconfutabilmente espressivo della negligenza con cui, in quella occasione, ha guidato il veicolo a lui affidato dalla (...) srl , causando a questa un pregiudizio di carattere economico grave, anche solo per quanto considerato dal CTU. Essendo stata elevata una sanzione per violazione del Codice della Strada e non impugnato il relativo provvedimento sanzionatorio è fuori discussione la sussistenza della colpa (che si presuppone di grado) grave Conclusivamente, poiché la riconducibilità del sinistro alla negligenza del lavoratore determina per quest'ultimo l'obbligo di provvedere a risarcire i danni-conseguenza, la domanda avanzata in via riconvenzionale dalla (...) srl è fondata e merita accoglimento nei limiti dell'importo riconosciuto dal CTU oltre interessi, come per legge, fino all'effettivo pagamento. RG 170/2021 -Giudizio di opposizione a d.i. Pacifico è il mancato pagamento della busta paga finale in relazione alla quale il ricorrente aveva chiesto l'emissione del d.i. oggetto di opposizione nel procedimento RG 170/2021 La somma di Euro 7560,92 al netto delle trattenute fiscali di legge è quindi dovuta al lavoratore ma, stante l'accoglimento della domanda riconvenzionale formulata dalla difesa della (...) srl, la somma predetta dovrà essere sottratta da quanto il lavoratore è tenuto a pagare a titolo di risarcimento danni residuando come dovuto dal lavoratore l'importo di Euro 11.439,08 oltre interessi come per legge Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo in relazione all'attività svolta e tenuto conto dei criteri e parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (integrato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2002 e in vigore dal 23 ottobre 2022) con applicazione dei compensi minimi dello scaglione di riferimento stante la relativa semplicità delle questioni trattate e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal D.M. n. 37 del 2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. Le spese della CTU, già liquidate con separato provvedimento, sono poste definitivamente a carico di (...). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'impugnazione del licenziamento proposta da (...) - in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta (...) srl, accerta e dichiara la responsabilità del sig. (...) in ordine al sinistro occorsogli il 17.01.2019 quando era alla guida dell'autocarro di proprietà della società opponente, -accerta che i danni arrecati alla (...) srl ammontano a complessivi Euro 19.000,00 e, previa compensazione con i crediti spettanti al lavoratore a titolo di retribuzione, istituti contrattuali e TFR di cui all'ultima busta paga, ammontanti, al netto delle ritenute di legge, ad Euro 7.560,92 condanna (...), a titolo di risarcimento del danno dovuto, a dare e pagare alla (...) srl la differenza pari ad Euro 11.439,08, oltre interessi come per legge; - revoca e dichiara privo di ogni effetto il decreto ingiuntivo opposto. Condanna altresì (...) a rimborsare alla (...) Srl le spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.629,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a, , oltre al rimborso delle spese della CTU e della consulenza tecnica di parte in sede di CTU, pari al complessivo importo di Euro 2.960,08. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro e della Previdenza e Assistenza obbligatorie, nella persona del Giudice dott.ssa Alfonsina Manfredini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 928/2018 promossa da: (...) S.p.A. (C.F.: (...) con il patrocinio dell'avv. Fr.AL. del Foro di Milano e dell'avv. Si.FA. (mandato anche disgiunto) ed elettivamente domiciliata presso e nello studio del secondo difensore come da procura con domiciliazione allegata al ricorso introduttivo ricorrente e (...) (C.F.: (...) con il patrocinio dell'avv. Sa.MA. del Foro di Pisa ed elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'avv. Ad.MO. giusta procura allegata alla memoria di costituzione resistente CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I) (...) S.p.A. (di seguito anche "la Società") ha agito in giudizio chiedendo al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni "Nel merito: disattesa ogni diversa deduzione, istanza o eccezione, accertata la responsabilità del convenuto per violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) S.p.A. per l'effetto condannare il convenuto a risarcire ad (...) S.p.A. tutti i danni patiti e segnatamente: - il danno da lucro cessante in misura pari ad Euro 20.407,07 o in quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia, - il danno per lesione della reputazione commerciale in misura non inferiore a Euro 10.000,00, - il danno per la perdita di chance da mancato rinnovo dei contratti in essere, nonché - il danno emergente rappresentato dai costi e dall'impegno dovuto profondere per gestire estinzioni anticipate, reclami dei clienti ed esposti all'OAM, tutte voci di danno, eccetto la prima, di cui si domanda la liquidazione in equitativa. Oltre interessi ex art. 1282 comma 4 c.c. dalla domanda al saldo". II) Si è costituito (...) chiedendo che il Tribunale voglia: "preliminarmente dichiarare inammissibile e/o improcedibile il ricorso proposto avverso per omessa attivazione del procedimento di mediazione sempre in via preliminare dichiarare la propria incompetenza per materia, rimettendo la causa le sezioni specializzate di impresa competente per territorio ulteriormente in via preliminare disporre il mutamento del rito in favore del giudice ordinario con assegnazione dei termini di cui all'articolo 427 CPC nel merito respingere la domanda attrice perché infondata in fatto e in diritto, con condanna in via riconvenzionale della stesa al pagamento di una somma a titolo di indennità meritocratica per le ragioni esposte nella memoria di costituzione" La difesa di (...) riguardo alla domanda riconvenzionale volta all'ottenimento della c.d. indennità meritocratica (ex art. 1751 c.c.) ha detto che essa era da quantificare equitativamente in relazione alla media dello sviluppo del volume d'affari del preponente (circa Euro 9.500.000,00) e a quella dei corrispettivi provvigionali (riscossi per circa Euro 600.000,00) che a detta del resistente risulta ampiamente superiore anche al quantum avanzato dalla ricorrente (Cassazione 3.10.2006 numero 21309). III) La causa è stata istruita documentalmente e a mezzo escussione di testi Il ricorso è fondato per quanto le ragioni di seguito indicate La Società ha chiesto al convenuto il risarcimento di danni da Lei asseritamente subiti a seguito di comportamenti - a suo dire illeciti - tenuti dal (...), già suo agente. In particolare la Società, appartenente al gruppo bancario (...) S.p.A. (iscritta al n. 40 dell'albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d'Italia) ha esposto di operare nel settore dell'intermediazione finanziaria, occupandosi di finanziamento dietro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, oppure di delegazione di pagamento sullo stipendio e che il signor (...), agente in attività finanziaria regolarmente iscritto all'Organismo degli Agenti e Mediatori dal 27.12.2012, era stato un suo agente per promuovere la conclusione di queste tipologie di operazioni di finanziamenti, lavorando in esclusiva e in regime di mono-mandato, come prescritto dalla legge. La Società ha dedotto che: - il 30.10.2017 si era dimesso in tronco il responsabile della rete agenti di (...), sig. Barbarossa che subito dopo era stato assunto dalla (...) S.p.A. concorrente di (...); - immediatamente vari agenti (...) avevano comunicato il recesso (ben 16 su 70) e tra essi anche il signor (...) che, come altri 12 di loro, era stato poi contrattualizzato da (...) spa: (...) con pec del 4.12.2017 aveva comunicato il recesso dal contratto di agenzia nel rispetto dei termini (5 mesi) di preavviso; - già il 17 novembre 2017 tuttavia (ossia quando cioè egli era ancora agente di (...)), (...) aveva indotto il sig. (...), cliente di (...), a estinguere anticipatamente il contratto di cessione del quinto in corso, finanziamento che il (...) aveva aperto nuovamente in favore di (...) S.p.A. prima che maturasse il pagamento dei 2/5 (due quinti) delle rate: il suddetto cliente aveva dichiarato a personale di (...) che (...) gli si era presentato come agente di (...), che gli aveva detto che la finanziaria erogatrice sarebbe stata sempre (...). Il sig. (...) tuttavia e solo in un secondo tempo si era reso conto di aver firmato moduli contrattuali in favore di (...) spa. (...), avendo saputo di questi fatti, aveva posto fine al mandato in essere con (...) con raccomandata del 12.3.2018, anticipata via pec, interrompendo l'ulteriore preavviso dovuto e segnalando quanto accaduto sia all'OAM che a (...) S.p.A. a fronte delle evidenze documentali fornitele dal sig. (...); - dal 23.4.2018 il signor (...) era diventato agente di (...) Spa; - durante il periodo di preavviso dato da (...) altri 4 clienti, originariamente da lui procacciati, avevano domandato l'estinzione del contratto di finanziamento in essere con (...) prima che maturasse il termine previsto dall'art. 39 del D.P.R. 180/1995 e avevano poi rinnovato il contratto in favore di (...) che infatti (proprio lei) aveva direttamente bonificato a (...) le somme dovute da clienti e specificate nei relativi conteggi estintivi; - ulteriore reclamo era stato presentato da (...), quando ormai il mandato (e il preavviso) si era concluso: ella aveva esposto che nell'aprile 2018 (...), sconosciuto a (...) ma che si era sempre qualificato come collaboratore di (...) in qualità di agente, le aveva fornito assicurazioni e aveva continuato ad operare tramite l'account (...) fatto questo consentito dal (...). La Società censura i sopra descritti comportamenti tenuti dal sig. (...), rilevandone la natura di gravi violazioni di obblighi contrattuali II) - Il convenuto (...) costituendosi ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni sopra trascritte. In primo luogo, il resistente eccepisce l'improcedibilità della domanda per non aver il ricorrente attivato il procedimento di mediazione prima della proposizione dell'azione giudiziaria. In secondo luogo, la difesa del resistente riconduce la fattispecie dedotta da parte ricorrente all'ipotesi di concorrenza sleale tra imprese (con conseguente competenza delle Sezioni specializzate delle Imprese) per il richiamo fatto dalla ricorrente ai plurimi casi di agenti trasferitisi alla (...) dopo la cessazione del rapporto agenziale con (...) e al danno asseritamente patito a causa di tale passaggio. La difesa del (...) ha contestato la correttezza del rito osservando che, nel caso, la competenza spetta al giudice ordinario e non al giudice del lavoro, dovendosi pertanto disporre il mutamento del rito Infine la difesa del resistente ha contestato la fondatezza nel merito delle domande proposte da (...), in ultimo osservando che le segnalazioni da questa inviate all'OAM (e prodotte unitamente al ricorso introduttivo) relativamente all'operato del sig. (...) non avevano prodotto alcun esito e che la documentazione prodotta da controparte non riportava il nominativo del sig. (...). Inoltre in alcuni casi, non solo si trattava di reclamo riferibile a periodo successivo alla conclusione del rapporto con (...) (caso di (...)-(...)), ma - inoltre--inoltre - i reclami prodotti erano diretto a (...) che non aveva provveduto a far transitare il rimborso delle rate dallo stipendio alla pensione, con il rischio per il cliente di vedersi addebitare ingiusti aggravi di interessi. Lamenta, altresì, la temerarietà della causa e avanza domanda riconvenzionale sulla base della mancata corresponsione al sig. (...), una volta cessato il rapporto con (...), della c.d. indennità meritocratica prevista all'art. 1751 c.c. da quantificarsi equitativamente, sulla base della media del volume di affari prodotto dal preponente e quella dei corrispettivi provvigionali riscossi. A) Eccezione di competenza a favore del Tribunale sezione specializzata delle Imprese L'eccezione avanzata dalla parte resistente è infondata: la domanda avanzata dal ricorrente verte su un asserito inadempimento contrattuale del contratto di agenzia stipulato tra (...) S.p.A. e (...), materia rientrante nelle controversie attribuite al Giudice del Lavoro ex art. 409 c.p.c., comma primo, n. 3 "rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa". B) Eccezione di competenza a favore del Tribunale Ordinario Per le stesse motivazioni sopra citate deve ritenersi infondata l'eccezione volta ad attribuire la competenza in materia al Tribunale Ordinario, dato che il codice di rito attribuisce espressamente tale materia al Giudice del Lavoro e al relativo rito speciale, disciplinato dagli artt. 409 e seguenti. C)-Infondata è anche l'eccezione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria. Le ipotesi di mediazione obbligatoria sono infatti tassativamente identificate dall'art. 5, comma 1 - bis, D.Lgs. n. 28 del 2010 e riguardano le controversie vertenti in varie materie, tutte non pertinenti al caso in esame, non potendosi condividere la tesi della difesa del sig. (...) per la quale in questo giudizio si verte di contratti assicurativi, bancari o finanziari. Quest'ultima ipotesi prevista dal art. 5, comma 1-bis, suddetto, si riferisce infatti ai rapporti tra il singolo cliente e l'istituto bancario, assicurativo, finanziario con il quale i rapporti sono intrattenuti, non certo al caso in esame ove si verte di rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e comunque altri rapporti di collaborazione tra un agente e un mandante. D)-Violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) S.p.A. Il resistente, nel periodo in cui era ancora in essere il contratto di mandato tra lo stesso e (...) ((...) è stato agente di (...) dal 27.12.2012 fino al 12.3.2018), si è presentato, in qualità di agente della medesima società, presso l'abitazione del sig. (...) in data 17 novembre 2017 (il quale aveva già sottoscritto dei moduli contrattuali intestati a (...)) per sottoporgli una proposta a firma (...) avente ad oggetto una nuova cessione del quinto dello stipendio, contratto poi concluso dal cliente, previa estinzione del precedente contratto di cessione del quinto sottoscritto con (...). Questa circostanza è confermata dall'esame congiunto del documento n. 7 e del documento n. 8 di parte ricorrente. Dal documento 7 si può apprendere del reclamo del sig. (...) (documento n. 7) in cui il sig. (...) si lamenta della condotta tenuta da tale (...) (verosimilmente il (...), dato che è l'agente della zona di riferimento) che il 17 novembre 2017 si era presentato presso la sua abitazione per fargli firmare dei fogli inerenti al contratto con (...) che il (...) ha poi scoperto essere riconducibili a (...). Dal documento 8 (modulo di proposta contrattuale di (...)) si evince nome e recapito telefonico del convenuto e il contratto è stato successivamente perfezionato, come risulta dai documenti n. 13 b (conteggio di estinzione) e 13 c (accrediti da parte di (...)). In particolare, nel documento 13 c, precisamente a pagina 3 dello stesso, viene riportato l'accredito effettuato mediante bonifico da parte di (...) in favore di (...), avente la seguente causale "estinzione anticipata (...) Matteo" per un importo complessivo pari ad Euro 10.644,58. Quest'ultimo aspetto è stato confermato anche in sede di istruttoria, mediante l'escussione del teste (...) addetta al back office presso (...): la teste ha dichiarato di aver avuto un contatto telefonico con il sig. (...) circa una richiesta di informazioni da parte di quest'ultimo in merito allo stato della sua posizione presso (...), e che lei gli aveva riferito che la sua posizione era stata estinta a seguito di un versamento effettuato da (...). Si ritiene che la documentazione indicata ed esaminata unitamente alle dichiarazioni rese dalla teste (...), siano di per sé sufficiente a dimostrare la violazione delle disposizioni codicistiche che prevedono l'obbligo di esclusiva e il dovere di lealtà e buona fede, così come sancito dall'art. 1743 c.c. ovvero "il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo di affari di più imprese in concorrenza tra loro." Addirittura, il divieto imposto all'agente dall'art. 1743 c.c. di trattare per lo stesso ramo gli affari di più imprese concorrenti tra loro non va necessariamente riferito alla produzione o commercializzazione di identici prodotti da parte di più imprese: è sufficiente, infatti, che queste si rivolgano a una clientela anche solo potenzialmente comune, sicché l'una possa ricevere danno dall'ingresso e dall'espansione dell'altra sul mercato a cui entrambe si rivolgono (o prevedibilmente si rivolgeranno). Degna di nota sul punto è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 30065/2019 secondo cui "anche se i prodotti commercializzati dalle due aziende operanti nel settore edile erano diversi, essi potevano essere impiegati alternativamente per la realizzazione di manufatti: le due imprese erano, pertanto, da considerarsi in concorrenza tra loro". Risulta altresì violato l'obbligo posto a carico dell'agente, che nell'esecuzione dell'incarico deve tutelare gli interessi del preponente ed agire con lealtà e buona fede, ai sensi del primo comma dell'art. 1746 c.c. Le condotte sopra descritte violano anche quanto disposto nell'art. 128-quater, comma 4, del Testo Unico Bancario, nonché quanto riportato nel mandato sottoscritto dalle parti, segnatamente nella prima parte del paragrafo 2.5. Prive di pregio sono le doglianze avanzate dalla difesa del sig. (...), che ritiene che le circostanze sopra evidenziate non siano state confermate, non essendosi il teste (...) presentato a deporre, e avendo la difesa di (...) rinunciato a sentirlo, come si evince dall'ordinanza del 3 maggio 2022. In proposito va osservato che, come risulta dal verbale di udienza del 25 marzo 2022, relativamente al teste (...) (di cui era stato disposto l'accompagnamento coattivo) la Stazione dei Carabinieri di Badi a Settimo ha trasmesso certificato medico comprovante lo stato di salute del (...) e l'impossibilità per lui di spostarsi dalla sua residenza, ubicata nella provincia di Firenze. La mancata escussione del teste risulta esser dovuta a un legittimo impedimento del teste che dal certificato prodotto il 24.3.2022 risulta impossibilitato a spostarsi dal proprio domicilio per importanti motivi di salute e sempre dalla documentazione in atti risulta esser stato ricoverato il 26 settembre 2021 (per insufficienza respiratoria con scompenso cardiaco). Dunque egli non si è deliberatamente sottratto all'escussione e, preso atto della rinuncia all'escussione del suddetto teste, stante la documentazione sopra riportata e contestualmente esaminata, questo Giudice ritiene di non condividere le asserzioni di controparte contenute nelle note conclusive autorizzate. Risulta poi dalla documentazione presente in atti, nonché da quanto appreso in sede di escussione testimoniale, come l'agente (...) si sia avvalso per lo svolgimento della sua attività professionale di un collaboratore, tale (...), il cui nominativo non è stato comunicato né a (...), né all'Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi, meglio conosciuto con l'acronimo OAM. Nello specifico, ciò risulta dalla mail inviata all'indirizzo (...) da (...) per conto della moglie (...) in data 5 maggio 2018 (documento n. 14 di parte ricorrente) avente ad oggetto un reclamo inerente a un contratto di cessione del quinto: dal contenuto della stessa si evince che il sig. (...) ha intrattenuto rapporti con la cliente (...) per conto di (...). Tale circostanza è stata confermata in sede di escussione testimoniale dalle dichiarazioni rese dal sig. (...), il quale, seppur non ricorda il nome dell'agente, conferma il contenuto del documento 14 sopra citato, oltre a confermare che l'indirizzo (...) corrisponde al suo indirizzo di posta elettronica. Questo documento, confermato dal teste (...), deve essere letto in combinato disposto con il documento n. 17 di parte ricorrente - mail di risposta al reclamo della sig. (...) inviata da (...) ed indirizzata a (...) - dove il (...) precisa che la sua mail era riconducibile al dominio del sig. (...) ed afferma, inoltre, di essere dipendente del ricorrente. Per quanto sopra esposto si ritiene integrata la violazione dell'art. 128 novies, comma 3, TUB che così dispone:" i mediatori creditizi e gli agenti in attività finanziaria diversi da quelli indicati al comma 2 trasmettono all'Organismo di cui all'articolo 128 undeaes l'elenco dei propri dipendenti e collaboratori", nonché di quanto disposto nel paragrafo 4.3 del mandato (documento n. 2 di parte ricorrente). Le condotte illecite sopra richiamate, giustificano il recesso anticipato dal rapporto ad opera di (...) del 12.3.2018, recesso intervenuto prima dello spirare del termine di preavviso di 5 mesi, dato dal ricorrente a seguito del recesso dal contratto di agenzia presentato a mezzo pec in data 4 dicembre 2017 (il quale sarebbe divenuto efficace in data 4 maggio 2018). E) Domanda riconvenzionale: riconoscimento dell'indennità meritocratica di cui all'art.1751 c.c. Tenuto fermo quanto sopra esposto, va considerato quanto disposto dall'art. 1751 c.c., che prevede, all'atto di cessazione del rapporto, il riconoscimento da parte del preponente di un'indennità a favore dell'agente al ricorrere di determinate condizioni tipizzate nell'articolo in parola, e prevede, al secondo comma, i casi in cui l'indennità non è dovuta. Tra questi vi rientra il caso in cui "il preponente risolve il contratto per un'inadempienza imputabile all'agente, la quale per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto". Questa giudicante ritiene che quest'ultima fattispecie si sia integrata per le violazioni contrattuali e del dettato normativo poste in essere dal sig. (...), per cui egli è reso protagonista di una inadempienza contrattuale a lui ascrivibile, inadempienza che, stante la sopra descritta violazione del vincolo fiduciario che legava il sig. (...) alla società finanziaria (...), ha carattere di tale gravità da non consentire la prosecuzione del rapporto di agenzia. Si ricorda inoltre come nel contratto di agenzia "il vincolo fiduciario assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, e ciò per la maggiore autonomia di gestione della prestazione resa dall'agente per luoghi, tempo, modalità e mezzi in funzione del conseguimento delle finalità aziendali. Ne consegue che nel rapporto di agenzia basta un fatto di minore gravità a legittimare un recesso per inadempimento dell'agente" (Cass. 6915/2021) F) risarcimento del danno - lucro cessante Giova ricordare quanto affermato dalla Suprema Corte in tema di risarcimento del danno, con particolare riferimento al lucro cessante. Gli ermellini insegnano che serve una prova rigorosa e il giudice deve procedere alla liquidazione solo sulla base di una valutazione di tipo probabilistico e non di mera possibilità (tra le altre si cita l'ordinanza resa dalla Suprema Corte in data 8 marzo 2018 la n. 5616). Il danno, pertanto, non può essere riconosciuto automaticamente, bensì il ricorrente deve fornire la prova dell'esistenza di elementi oggettivi da cui poter quantomeno desumere l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Orbene, sulla base delle produzioni documentali e dell'istruttoria espletata, nonché delle considerazioni sopra riportate e riguardanti l'inadempimento contrattuale posto in essere dal (...), emerge che: - (...), a seguito dell'estinzione anticipata da parte sig. (...) del finanziamento cessione del quinto dello stipendio a fronte della sottoscrizione di un nuovo finanziamento con (...), non si è vista corrispondere gli interessi sulla somma in precedenza finanziata per la residua parte del rapporto, che dal documento 13 b di parte ricorrente risulta pari a Euro 4.362,52. - la stessa (...) a fronte dell'estinzione ha perso la possibilità di rinegoziare tale finanziamento; - (...) ha però incassato la cifra risultante dal conteggio di estinzione anticipata (vedasi documentazione in atti); - i clienti (...), (...), (...) e (...) hanno estinto i loro finanziamenti, ma non è stata fornita la prova, neppure presuntiva, che le suddette estinzioni siano dovute ad attività poste in essere dal (...); - i clienti godevano di un diritto potestativo consistente nel poter estinguere anticipatamente, a loro insindacabile giudizio, e per le ragioni più varie, il finanziamento in essere al raggiungimento di una determinata percentuale di rate corrisposte. In tale situazione, stante l'impossibilità di liquidare esattamente il danno sulla base degli elementi di prova forniti, il danno è da determinarsi in via equitativa sulla base di presunzioni che dagli stessi possono essere ricavate. Così si è espressa la Corte di Cassazione: "occorre che dagli atti risultino elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chances, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile, ma che appaia invece - anche semplicemente in considerazione dell'id quod plerumque accidit - connesso all'illecito in termini di certezza o, almeno, con un grado di elevata probabilità" (Cassazione civile, sez. III, 8 novembre 2007, n. 23304). Orbene nel caso l'unico dato certo che risulta essere stato provato e non contestato è l'ammontare degli interessi che sarebbero stati dovuti dal sig. (...) qualora il rapporto tra lo stesso e (...) S.p.A. non si fosse estinto anticipatamente, pari ad Euro 4.362,52 come risulta dal documento n. 13 b, allegato da parte ricorrente, mentre non vi sono elementi per presumere che il cliente ove non avesse estinto il finanziamento lo avrebbe rinegoziato. Sulla base di queste considerazioni la cifra che può essere liquidata a titolo di danno appare quindi l'importo di Euro 4.362,52 oltre accessori di legge. G) risarcimento del danno - danno per la lesione della reputazione commerciale Più volte insegna la giurisprudenza di legittimità: "Il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria che ricomprende in sé tutte le possibili componenti del pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale; esso deve liquidarsi in modo omnicomprensivo, evitando duplicazioni risarcitone" Cassazione n. 4617/2019. Sempre secondo l'insegnamento della Corte di legittimità, che anche di recente si è espressa in merito a tale voce di danno evidenziando che "il danno di immagine e della reputazione non sussiste in re ipsa dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, ed assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sodale della vittima. (Cassazione civile sez. III, sent. 4 del 18/02/2020), non si può prescindere da un esame specifico del presumibile pregiudizio subito dalla vittima sulla base di ciò che è stato dedotto e dimostrato. Orbene, posto che il danno all'immagine aziendale può derivare ad esempio, da un comportamento diffamatorio di un soggetto esterno all'azienda o da un comportamento scorretto da parte di un dipendente e posto che questo danno consiste nella diminuzione di considerazione da parte dei consumatori e di altre società con cui l'azienda interagisce, occorre che l'atto lesivo sia immediatamente percepibile e si ripercuota sull'azienda stessa. Sulla base delle risultanze emerse e sopra compiutamente descritte emerge che, l'unico comportamento inequivocabilmente provato il quale può essere preso in considerazione a livello presuntivo al fine liquidare tale voce di danno sia quello addebitabile al sig. (...) collaboratore del (...) mai segnalato come tale (...). In particolare, lo stesso ha sicuramente intrattenuto un rapporto con tale sig.ra (...) cliente di (...) per conto della stessa, mediante un contatto mail riconducibile al dominio del (...), che per stessa ammissione del (...) risulta essere dipendete del ricorrente, questo implica un danno reputazionale per la società. Il danno alla reputazione/all'immagine della società risulta tuttavia contenuto, stante la modesta diffusione dei fatti idonei a determinare questa perdita di reputazione/immagine aziendale. Nonostante la posizione "sociale" di cui senz'altro gode la società finanziaria convenuta, sulla base degli elementi concreti allegati ed emersi nel corso del giudizio non è possibile fare riferimento ad altri criteri presuntivi. Com'è noto la Cassazione, al fine di poter determinare la voce di danno in via equitativa, offre i seguenti criteri: "la sussistenza di un danno non patrimoniale in concreto subito, dunque, deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima (fr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del26/10/2017)". Sulla base di quanto fin qui esposto, e tenuto conto che in materia di danno alla reputazione/immagine aziendale non può che essere liquidato in via equitativa si ritiene equa a titolo di risarcimento per tale voce di danno addebitabile al sig. (...), l'importo di Euro 1.500,00. Spese di lite Le spese seguono la soccombenza, come per legge. Esse sono liquidate nel dispositivo, vista la nota spese e ritenuta la medesima non congrua dovendosi procedere avendo riguardo a quanto riconosciuto, ai sensi del DM 55/2014 tenuto conto dell'attività svolta, dei criteri e parametri di cui al DM 55/2014. Vengono quindi applicati i compensi medi dello scaglione di riferimento e senza la maggiorazione del compenso fino al 30% rispetto al valore, prevista dal DM 37/2018 dell'8 marzo 2018 allorché gli atti, depositati con modalità telematiche, siano redatti "con tecniche informatiche idonee ad agevolare la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all'interno dell'atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all'interno dell'atto", non essendo stati gli atti redatti in tali modalità. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza e/o eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accerta la responsabilità del convenuto per violazione degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti di (...) spa. - Condanna il sig. (...) a risarcire ad (...) S.p.A. il danno da lucro cessante in misura pari ad Euro 4.362,52 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo e oltre il danno per lesione della reputazione commerciale in misura pari ad Euro 1.500,00 oltre interessi dalla presente pronuncia al saldo effettivo. - Rigetta la domanda riconvenzionale del convenuto. Condanna altresì (...) a rimborsare alla società ricorrente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 5.131,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese forfetario 15%, i.v.a., c.p.a. Sentenza resa ex articolo 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 13 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI LUCCA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Antonella De Luca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 628/2021 promossa da: (...), con l'avv. St.Ba. Contro INPS Rappr e dif dall'avv. Qu.Ro. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE All'esito di istruttoria documentale, la causa, previo deposito di note scritte della sola parte ricorrente, veniva discussa e decisa con sentenza contestuale. Con ricorso depositato telematicamente in data 7.09.2021, la ricorrente (...) ha convenuto in giudizio l'INPS affinché il Tribunale voglia: "1. accertato e dichiarato che nella base di calcolo dell'indennità di maternità spettante alle lavoratrici assistenti di volo devono essere considerati integralmente tutti gli elementi retributivi costituenti la retribuzione del mese antecedente l'inizio del congedo obbligatorio, dichiarare il diritto della ricorrente ad ottenere la rideterminazione degli importi dovuti a titolo di indennità di maternità; 2. per l'effetto, condannare, l'INPS -Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante p.t., a corrispondere alla ricorrente l'importo complessivo lordo di Euro 7.306,26 a titolo di differenza tra quanto dovuto e quanto percepito per il periodo 02.07.2018/11.09.2019, oltre la maggior somma tra interessi e rivalutazione dalle scadenze, ovvero in subordine la maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa, anche attraverso CTU tecnico-contabile. In via subordinata, 3. accertare e dichiarare che i criteri adottati da INPS per la liquidazione dell'indennità di maternità alla ricorrente sono discriminatori in quanto adottati in violazione degli artt. 22 e 23 T.U. 151/2001, nonché delle altre norme nazionali e comunitarie richiamate in ricorso, nonché accertare e dichiarare che l'erogazione della predetta indennità di maternità nei termini censurati costituisce comportamento discriminatorio anche ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2006 e della Direttiva 54/2006 CE; 4. Per l'effetto, accertata l'illegittimità e la discriminatorietà del criterio di calcolo adottato per la liquidazione dell'indennità di maternità nei confronti delle lavoratrici assistenti di volo, dichiarare il diritto della ricorrente al risarcimento del danno e condannare l'INPS - Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere alla sig.ra C.C. l'importo complessivo lordo di Euro. 7.306,26 pari alla differenza tra quanto la ricorrente avrebbe percepito se fosse stata utilizzata la medesima base di calcolo presa come parametro per le altre lavoratrici e quanto effettivamente erogato dall'INPS per tutto il periodo del congedo obbligatorio, nonché interessi e rivalutazione dalla messa in mora, ovvero in subordine la maggiore o minore somma che verrà accertata in corso di causa, anche attraverso CTU tecnico-contabile o che verrà ritenuta equa e/o di giustizia. Con vittoria di spese, competenze e onorari, oltre IVA e CPA, da distrarsi nei confronti dello scrivente difensore che si dichiara antistatario". L'INPS, costituitosi tempestivamente in giudizio, ha contestato "integralmente quanto dedotto ed eccepito ex adverso, chiedendo il rigetto della pretesa avanzata, rilevandone l'inammissibilità ed infondatezza". In particolare, ha chiesto a questo Giudice di: "1) dichiarare inammissibile la domanda per intervenuta decadenza dell'azione ex art.47 D.P.R. n. 639 del 1970; 2) dichiarare l'intervenuta prescrizione annuale del diritto di credito vantato; 3) dichiarare la domanda comunque infondata nel merito e pertanto rigettarla. Con vittoria di spese ed onorari di causa". Il ricorso è infondato e pertanto va rigettato. La ricorrente, dipendente dal 13.1.2009 di (...) Spa (ora in (...)) con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, part time, in qualità di assistente di volo, mansione che ha sempre svolto in via stabile e continuativa su scali italiani ed esteri, lamenta di aver percepito l'indennità di maternità per un ammontare notevolmente inferiore rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente. In particolare, secondo la ricorrente ciò configurerebbe un comportamento discriminatorio, poiché nell'erogazione dell'indennità di maternità, l'INPS (per il tramite del proprio polo ex- Ipsema di Genova), nella sua veste di gestore (a decorrere dal 1.01.2014 e in subentro all'INAIL, ai sensi dell'art.10. comma 3, del D.L. n. 76 del 2013, convertito con modificazione nella L. n. 99 del 2013), le avrebbe riservato un trattamento deteriore, dal momento che l'Istituto previdenziale nella determinazione del quantum avrebbe erroneamente conteggiato, nella retribuzione media globale giornaliera, l'indennità di volo solo nella misura del 50% anziché nella misura dell'80%. Sosteneva come nella base del calcolo delle voci retributive da utilizzare per la quantificazione della misura dell'indennità di maternità doveva essere ricompreso l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello in cui era iniziato il congedo, senza limitazioni quantitative non previste da alcuna norma. Secondo il conteggio predisposto dalla ricorrente (ed allegato) avrebbe percepito una indennità di maternità di Euro 16.011,55, anziché di Euro 23.317,81 (quanto avrebbe dovuto percepire), risultando quindi creditrice dell'ente previdenziale per l'importo complessivo di Euro 7.306,26. La ricorrente fonda la sua domanda sulle previsioni di cui agli artt. 22 e 23 del D.Lgs. n. 151 del 2001 dai quali non si desumerebbe un'interpretazione restrittiva nella determinazione della misura dell'indennità, come operata dall'INPS. Infine, la ricorrente agisce ai sensi dell'art. 25 D.Lgs. n. 198 del 2006 nei confronti dell'INPS richiamando la discriminazione rinvenibile nella condotta dell'Istituto previdenziale ed invocando la tutela risarcitoria conseguente all'accertamento della condotta discriminatoria. Con riferimento alla domanda principale occorre tenere distinta la richiesta di accertamento della natura discriminatoria della condotta dell'Istituto previdenziale dalla richiesta di risarcimento così come configurata nel ricorso. Questo giudicante, pur ritenendo discriminatoria la condotta dell'INPS, il quale non ha computato per intero l'indennità di volo nel calcolo dell'indennità di maternità, deve constatare che tale condotta non è attualmente in atto e nessuna delle conseguenze invocate e delle rivendicazioni risarcitorie così come avanzate nelle conclusioni del presente ricorso possono essere accolte atteso che devono ritenersi fondate le eccezioni preliminari di decadenza e di prescrizione sollevate dall'ente previdenziale. La Corte di Cassazione (v. sentenza n. 11414 del 2018; ordinanza n. 20673 del 2020) ha ritenuto erronea la modalità di calcolo attuata dall'ente previdenziale INPS, il quale applica gli artt. 22 e 23 del D.Lgs. n. 151 del 2001 (c.d. "T.U. sulla maternità e paternità"), in combinato disposto con l'art. 12, comma 10, della L. n. 153 del 1969 (così come modificato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 314 del 1997), sulla scorta dell'interpretazione fornita da un interpello del Ministero del Lavoro (n. 63 del 23 dicembre del 2008), secondo la quale ai fini del computo dell'indennità di maternità, la base imponibile sarebbe la retribuzione costituita dagli stessi elementi che vengono considerati ai fini della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria per le indennità di malattia, ove la voce indennità di volo viene computata al 50%. Inoltre, altrettanto non condivisibile appare l'indicazione per la quale l'indennità di volo consista in una "diaria" e che, come tale, non rappresenterebbe una voce retributiva e conseguentemente dovrebbe essere esclusa dal calcolo della retribuzione. Infatti, tale voce, nonostante il nomen "indennità", compare nella parte retributiva della busta paga e non ha natura indennitaria. Va precisato invero che sul punto oggetto di questa controversia si rinviene copiosa giurisprudenza di merito (per altro ad oggi tutt'altro che pacifica), richiamata ed allegata sia dalla parte ricorrente sia dalla parte resistente. A sostegno della tesi concernente la natura discriminatoria del calcolo compiuto dall'INPS, questo giudicante si riporta integralmente alla motivazione enunciata dal Tribunale di Tivoli - sez. lavoro (sentenza del 12.01.2021), avente ad oggetto un caso analogo: "condividendosi al riguardo quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione secondo cui: "l'art. 22 del TU 151/2001 disciplina, in generale, il trattamento economico e normativo del congedo di maternità, stabilendo, quanto a quello economico (comma 1), che lo stesso sia "pari all'80% della retribuzione" e, quanto agli aspetti normativi (comma 2), che il trattamento sia corrisposto "con le modalità di cui al D.L. 30 dicembre 1979, n. 633, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33" e con gli "stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie". Il rinvio ai "criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie", diversamente da quanto ritenuto dall'INAIL, deve intendersi riferito esclusivamente agli istituti che disciplinano l'indennità di malattia, come, per esempio, in tema di domanda amministrativa o di regime prescrizionale (cfr., in motivazione, Cass. n. 2865 del 2004). Per il resto, l'indennità di malattia gode di una propria disciplina "autonoma in ordine alla specifica indicazione dell'evento protetto, dei soggetti beneficiari e del livello di prestazioni garantite all'avente diritto. Soprattutto, vi è differenza tra le due tutele in ragione delle modalità di finanziamento" (in motivazione, Cass. n. 24009 del 2017). La disciplina del "calcolo" del trattamento economico di maternità e dunque delle modalità di determinazione del quantum - si rinviene, infatti, esclusivamente nel successivo art. 23 che, come correttamente interpretato dalla Corte di Appello, richiama solo gli "elementi" (id est voci retributive) che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità. Ciò perché la norma stabilisce una specifica disciplina di calcolo, prevedendo espressamente che la "retribuzione parametro", da prendere a riferimento per determinare, nella misura dell'80% di essa (come stabilito dal precedente art. 22), l'indennità medesima (recte di malattia), sia costituita dalla "retribuzione media globale giornaliera" che si ottiene dividendo per trenta l'importo "totale" della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo. In questo senso, appare corretto anche il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, alla pronuncia di questa Corte n. 8469 del 2003 che, sia pure in relazione a fattispecie diversa (disciplinata, ratione temporis dalla L. n. 1204 del 1971, art. 16 e relativa a lavoratrici dello spettacolo) ma assimilabile, per analoghi riferimenti letterali, al contenuto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 23, affermava che la misura dell'indennità di maternità andasse determinata in relazione alla "retribuzione media globale giornaliera percepita" restando, invece, esclusa "la possibilità di computarla facendo applicazione del sistema di calcolo stabilito per una indennità intrinsecamente diversa quale quella di malattia". A ciò è da aggiungere che, come sottolineato anche dai giudici di merito, viene in rilievo la particolare tutela della maternità, che il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 23 è finalizzato a garantire, in armonia con gli artt. 30,31 e 37 Cost., privilegiando, anche in via di interpretazione sistematica, un criterio di maggior mantenimento possibile del livello retributivo immediatamente precedente al congedo rispetto a criteri che, come quelli per il computo dell'indennità di malattia, comportano una attribuzione parziale di alcune voci retributive. Ciò risulta anche conforme agli indirizzi costituzionali secondo i quali l'indennità è diretta ad assicurare alla donna lavoratrice la possibilità di vivere l'evento senza una radicale riduzione del tenore di vita (Corte Costituzionale n. 132 del 1991 e n. 271 del 1999) ed, altresì, agli indirizzi e alla legislazione Europea (a partire, in particolare, dalle direttive n. 86/613/CEE, n. 92/85/CE e n. 96/34/CE) ove da tempo, sia a livello dell'Unione nel suo complesso sia da parte dei singoli Stati, si riconosce che la tutela della maternità può favorire l'aumento dell'occupazione femminile che, a sua volta, può avere ricadute positive sulla sostenibilità del modello sociale, sul miglioramento del tasso di crescita del sistema economico e sulla riduzione del rischio di povertà delle famiglie in generale (in motivazione, Cass. n. 5361 del 2012)". (Cassazione Civile sez. lav., 11/05/2018, n. 11.414)". Alla suddetta motivazione questo giudicante si conforma non essendo stati dedotti in causa motivi per discostarsene. Nonostante quanto appena osservato circa la sussistenza dell'elemento discriminatorio, questo giudicante ritiene di accogliere le eccezioni di decadenza e prescrizione sollevante dall'ente. Quanto all'accoglimento dell'eccezione di decadenza dell'azione giudiziaria, si rammenta che l'art. 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 e successive modificazioni e/o integrazioni, dispone che "Per le controversie in materia di prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della L. 9 marzo 1989, n. 88, l'azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di un anno dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell'Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione". L'ultimo comma della norma precisa inoltre che: "Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte". Dal citato dettato normativo, si evince che, nel caso di specie, la parte ricorrente risulta decaduta, dal momento che ha ottenuto l'ultimo pagamento in data 11.9.2019 e non ha nel termine previsto ex art. 47 proposto nei confronti dell'INPS una specifica domanda né amministrativa né giudiziale contestando l'asserito parziale inadempimento e/o l'erroneità del calcolo dell'indennità di maternità da parte dell'Istituto previdenziale. La ricorrente ha depositato il ricorso amministrativo in data 6.9.2021 e il ricorso presso questo Tribunale in data 7.9.2021, quindi ben oltre il termine, pertanto, la ricorrente è incorsa in decadenza. Da ultimo si specifica, come è noto e come anche la parte resistente rileva che l'istituto della decadenza in ambito previdenziale assume natura e valenza non solo processuale, ma anche sostanziale di ordine pubblico, " ... in quanto annoverabile tra (le discipline) dettate a protezione dell'interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti l'erogazione di spese gravanti su conti pubblici ..." ( Cass. civ. - Sez. 6-L, Ordinanza n. 28639 del 09/11/2018). Per i suddetti motivi, questo giudicante dichiara inammissibile la domanda per intervenuta decadenza dell'azione ex art. 47 D.P.R. n. 639 del 1970. Per quanto riguarda l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione si richiama l'art. 6 L. n. 138 del 1943, il quale prevede che il diritto all'indennità di maternità sia in ogni caso soggetto al termine annuale di prescrizione (sulla prescrizione annuale l'orientamento della giurisprudenza di legittimità appare consolidato, cfr. ex multiis Cass. 24031/2017; 5572/2012; da ultimo Cass. 25400/2021). Nel caso di specie, a fronte di ricorso giudiziario depositato il 7.9.2021 la ricorrente ha goduto del congedo di maternità nel periodo 2.7.2018 - 11.9.2019 e l'unico atto di messa in mora astrattamente idoneo a produrre l'interruzione della prescrizione sarebbe configurato dalla lettera del 7.3.2020. Il ricorso tuttavia è stato depositato oltre il termine, quando la prescrizione era già maturata. Al tal proposito, ancora, si condivide integralmente la pronuncia del già ampiamente citato Tribunale di Tivoli: "Nel caso di specie, la ricorrente ha percepito l'indennità di maternità - la cui misura viene in questa sede contestata - nel periodo che va dal 6 maggio 2014 al 3 novembre 2015 e il ricorso è stato depositato in data 3 luglio 2019. Inoltre, l'unico atto di messa in mora astrattamente idoneo a produrre l'interruzione della prescrizione è la lettera del 21 gennaio 2019 quando la prescrizione era già maturata. Sulla base di tali circostanze di fatto e, visto il contesto normativo che regola la presente fattispecie, la domanda non può che dirsi infondata; essendo maturati sia i termini di decadenza che di prescrizione, infatti, il diritto invocato è definitivamente estinto. Al riguardo nessun rilievo può ascriversi al fatto che si contesti un asserito comportamento discriminatorio da parte dell'Istituto previdenziale e del datore di lavoro posto che è la stessa ricorrente a riconoscere come la domanda sia volta ad ottenere "il riconoscimento del diritto della lavoratrice alla corresponsione della prestazione previdenziale parzialmente negata dall'INPS." Ora è evidente che un diritto ormai estinto non può essere riconosciuto come spettante. D'altra parte l'azione antidiscriminatoria non può mutare la natura del diritto rivendicato, sottraendolo alla relativa disciplina e rendendo ogni diritto imprescrittibile. Se, infatti, può dirsi imprescrittibile l'azione dichiarativa che accerta l'avvenuta discriminazione, allo stesso tempo non può dirsi imprescrittibile l'azione volta a riconoscere il diritto violato in conseguenza della perpetrata discriminazione; esattamente come si predica l'imprescrittibilità dell'azione di nullità, ma la prescrittibilità dell'azione di ripetizione di quando consegnato indebitamente in forza del contratto nullo. O ancora l'imprescrittibilità dei diritti della persona, ma la prescrittibilità dell'azione di risarcimento del danno per l'avvenuta lesione degli stessi. Si consideri, inoltre, che una diversa conclusione sarebbe difficilmente armonizzabile con il nostro sistema giuridico; slegare completamente il diritto azionato dalla disciplina di riferimento quale mera conseguenza della natura discriminatoria della lesione patita, vorrebbe dire riconoscere una prestazione anche a distanza di moltissimi anni dal prodursi dei fatti costitutivi del diritto stesso negando del tutto le esigenze di certezza dei rapporti giuridici che sottendono le disposizioni in tema di prescrizione e decadenza. Detta conclusione è ancora più inaccettabile nel caso di specie considerato che nella materia previdenziale le norme in tema di prescrizione e decadenza sono "dettate a protezione dell'interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti l'erogazione di spese gravanti su conti pubblici" (cfr. Tribunale di Tivoli sez. lav., 12.01.2021; Tribunale Ivrea sez. lav., 1.09.2020; Tribunale Milano sez. lav., 18.02.2020). Alla luce di quanto sopra esposto, tale interpretazione appare dirimente, poiché coerente con una valutazione di carattere sistematico ed in ossequio al generale principio di certezza del diritto. Come sottolineato dalla recente sentenza del Tribunale di Tivoli e sostenuto altresì dal Tribunale di Verona, infatti, "...le azioni dichiarative o di mero accertamento (quale quella della discriminatorietà di una condotta, così come quella di nullità) sono imprescrittibili ed hanno effetto retroattivo, ripristinando ex tunc la situazione giuridica preesistente (nel caso di specie è coerente "la rimozione degli effetti")". In riferimento a tali situazioni si richiama l'orientamento della Cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 15669 del 2011), che con riferimento alla decorrenza della prescrizione dell'azione di indebito in relazione ad un contratto nullo, ha affermato: "Del resto siffatta opzione ermeneutica appare l'unica in grado di garantire l'unitarietà e l'intrinseca coerenza del sistema, in ragione della sua omogeneità con il principio, assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, per cui la prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di quanto pagato, in applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, decorre, ai sensi dell'art. 2935 cod. civ., dal giorno del pagamento stesso, non già dalla data della pronuncia d'incostituzionalità o della pubblicazione della medesima, configurandosi la vigenza della norma viziata da incostituzionalità non ancora dichiarata, come una mera difficoltà di fatto, che non impedisce la possibilità di far valere la pretesa restitutoria" (cfr. Cass. civ. 15 marzo 2001 n. 3796; Cass. civ. 1 giugno 2000 n. 7289; Cass. civ. 19 maggio 2000 n. 6486)". In maniera ancora più chiara la Corte di Cassazione con la recente sentenza 12443/2020 del 24.6.2020, nell'enunciare il principio di diritto ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c. in relazione al trattamento discriminatorio riservato ai docenti a tempo determinato rispetto a quello a tempo indeterminato ed alla natura e prescrizione dei crediti conseguenti, ha affermato che: "ciò implica che la pretesa che il singolo fa valere, nel rivendicare le stesse condizioni di impiego previste per il lavoratore comparabile, partecipa della medesima natura della condizione alla quale l'azione si riferisce e, pertanto, qualora la denunciata discriminazione sia relativa a pretese retributive, la domanda con la quale si rivendica il trattamento ritenuto di miglior favore va qualificata di adempimento contrattuale e soggiace alle medesime regole che valgono per la domanda che l'assunto a tempo indeterminato potrebbe, in ipotesi, azionare quale quella stessa obbligazione non fosse correttamente adempiuta". Pertanto, si condivide la conclusione per cui: "pur se l'azione contro la discriminatorietà mira a ripristinare la condizione della parte che ha subito la medesima, non può di fatto far sorgere un diritto del tutto svincolato dagli istituti normativi che improntano il nostro sistema giuridico e tale da modificare il regime prescrizionale introducendone uno più favorevole" (v. Tribunale di Tivoli sez. lav., 12/01/2021). Nel caso di specie la parte ricorrente, pur invocando la condotta discriminatoria, ambisce ad ottenere soltanto una liquidazione del risarcimento del danno, domanda che però non può essere accolta a causa delle maturate preclusioni previste dalla legge. Alla luce delle considerazioni e delle motivazioni sopra esposte, pur dovendosi ritenere discriminatoria la scelta della parte resistente (INPS) di non includere l'indennità di volo nella misura del 80%, insieme agli altri elementi retributivi costituenti la retribuzione del mese antecedente l'inizio del congedo di maternità, non può ritenersi conseguibile la tutela richiesta nelle conclusioni di cui al presente ricorso. Le spese di lite, stante la novità della questione e i contrasti giurisprudenziali in atto, possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il ricorso; - Spese compensate. Sentenza resa ex artt. 429 e 281-sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza e allegazione al verbale. Così deciso in Lucca il 5 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, composto dai Sigg.ri Magistrati: 1) Gerardo Boragine - Presidente relatore 2) Giampaolo Fabbrizzi - Giudice 3) Alice Croci - Giudice riunito in Camera di Consiglio all'udienza del 7 giugno 2022 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado di giurisdizione iscritta al n. ...2021 R.G. avente ad oggetto: divorzio contenzioso - scioglimento del matrimonio tra V.M.C., nata a L. (L.) il (...) elettivamente domiciliata in Lucca (LU), piazza..., presso lo studio dell'avvocato..., che la rappresenta e difende giusta procura in atti - RICORRENTE - e M.S., nato a C. (L.) il (...) elettivamente domiciliato in Lucca (LU), piazza della..., presso lo studio dell'avvocato..., che lo rappresenta e difende giusta procura in atti - RESISTENTE - con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO Svolgimento del processo V.M.C. proponeva ricorso al Tribunale di Lucca affinché venisse dichiarato lo scioglimento del matrimonio civile contratto in Altopascio (LU) il 2 luglio 2005 con M.S., debitamente trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di A. (LU) al Numero 8, Parte II, Serie C, Anno 2005. Dall'unione coniugale nascevano, rispettivamente in data 27 ottobre 1998 ed in data 6 maggio 2011, la figlia A., maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, e il figlio D., ancora minorenne. La ricorrente, in particolare, richiedeva l'affidamento condiviso del figlio minore D., con la previsione della facoltà per il padre di tenerlo con sé a fine settimana alternati e l'obbligo a carico del medesimo di contribuire al di lui mantenimento mediante la corresponsione di Euro 250,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie. A seguito del ricorso, ritualmente notificato, M.S. depositava memoria difensiva, con la quale, pur non opponendosi alla domanda di scioglimento del matrimonio, richiedeva la conferma delle condizioni già concordate in sede di separazione consensuale. Nel corso dell'udienza presidenziale, tenutasi in data 7 giugno 2022, il Presidente del Tribunale, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, prendeva atto che le parti avevano raggiunto un accordo. Pertanto, il Presidente disponeva il passaggio alla fase di merito, nominando se stesso Giudice Istruttore, e fissava in prosecuzione la prima udienza di comparizione e trattazione. Quindi, il Giudice Istruttore, dato atto dell'accordo raggiunto dalle parti nei termini di cui alle conclusioni congiunte in epigrafe riportate, disponeva in conformità e tratteneva la causa per la decisione collegiale. Motivi della decisione Il Collegio ritiene che la domanda diretta alla dichiarazione di scioglimento del matrimonio sia fondata e debba essere accolta. 1. Sulla separazione personale. In via preliminare, è necessario precisare che il Tribunale di Lucca, con decreto del 12 marzo 2015, omologava la separazione dei coniugi V.M.C. e M.S. alle condizioni di cui al ricorso per separazione consensuale. I coniugi, in particolare, avevano stabilito l'affidamento congiunto dei figli A. e D., al tempo entrambi minorenni. La figlia A., all'epoca sedicenne, veniva collocata prevalentemente presso il padre, con diritto di visita in favore della madre; viceversa, il figlio D., data la tenera età, veniva collocato prevalentemente presso la madre, con diritto di visita in favore del padre. Inoltre, tenuto conto del concordato regime sopra esposto, le parti stabilivano che ciascuna di esse avrebbe provveduto al mantenimento ordinario in egual misura dei figli, salva la ripartizione a metà delle spese straordinarie, previamente concordate e documentate. 2. Sulla domanda di scioglimento del matrimonio. Non vi è dubbio alcuno in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, per la pronuncia di scioglimento del matrimonio di cui si discute e, in particolare, di quelle previste dall'art. 3 della citata L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 1 della L. 6 maggio 2015, n. 55 (cd. Legge sul divorzio breve), il quale stabilisce che la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta da uno dei coniugi nei casi in cui "è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale (...)" (n. 2, lett. b) e la separazione si è protratta ininterrottamente "da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale (...)". Orbene, nel caso di specie, dalla documentazione prodotta emerge che i coniugi sono comparsi dinanzi al Presidente del Tribunale in data 5 novembre 2014 per dar corso al procedimento di separazione consensuale, poi ritualmente definito con decreto di omologa del 12 marzo 2105. E' pacifico, dunque, che alla data di presentazione del ricorso per lo scioglimento del matrimonio sia decorso il termine minimo previsto dall'art. 3 sopra menzionato. Né, peraltro, è stata eccepita l'interruzione della separazione, che - come noto - deve essere opposta dalla parte convenuta. Appare, dunque, irreversibile la frattura determinatasi tra i coniugi ed evidente l'impossibilità della ricostruzione, tra di loro, della comunione materiale e spirituale, come si evince inconfutabilmente dalle ragioni addotte, in un primo momento, nel ricorso e nella memoria difensiva e, in un secondo momento, nell'accordo raggiunto nelle more del procedimento. 3. Sulle condizioni dello scioglimento del matrimonio. Chiarita l'esistenza dei presupposti legittimanti la domanda di divorzio, occorre soffermarsi sulle condizioni congiuntamente rassegnate dalle parti, in ordine alle quali ritiene il Collegio che non vi siano motivi ostativi al loro accoglimento. 3.1. Sull'affidamento condiviso e sulla collocazione del figlio minore. Vi è sostanziale accordo tra le parti in ordine all'affidamento condiviso del figlio minore, D., e sulla sua collocazione prevalente presso la madre. Sul punto, non vi sono motivi per disattendere la volontà delle parti. Tale regime di affidamento, infatti, appare del tutto conforme al dettato normativo e all'interesse morale e materiale della prole, nel rispetto del principio di bigenitorialità, da intendersi "quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazione affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione e istruzione" (cfr. Cass. Civ., sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902). E' noto, peraltro, come, al fine di assicurare al minore un centro di consolidate abitudini e di stabile imputazione dei suoi interessi, risulti opportuno individuare un genitore presso il quale sia prevalentemente collocato Nel caso di specie, tale genitore è da individuarsi - per concorde volontà delle parti - nella madre, assieme alla quale il minore continuerà a risiedere. L'esercizio della potestà genitoriale sarà disgiunto solo per gli affari di ordinaria amministrazione, rimanendo, invece, necessario che i genitori assumano di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per la prole, attinenti alla istruzione, alla educazione ed alla salute. Restano fermi, ovviamente, il diritto del minore ad una significativa e piena relazione anche con il padre ed il diritto di quest'ultimo ad una piena realizzazione della sua relazione con il figlio e all'esplicazione del suo ruolo educativo. In tale prospettiva, risulta adeguato e funzionale il regime di visita e di frequentazione padre-figlio come stabilito dalle parti, in virtù del quale il M. potrà vedere e tenere con sé il figlio a fine settimana alternati con la madre. 3.2. Sul mantenimento del figlio minore. L'affidamento condiviso, come è noto, non comporta il venire meno dell'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento del figlio. In particolare, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, "l'obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza" (cfr. Cass. Civ., Sez. 1, ordinanza n. 16739 del 6 agosto 2020). Alla luce di quanto sopra esposto, tenuto conto di quanto emerso con riferimento alle condizioni reddituali e patrimoniali delle parti e degli ulteriori parametri indicati dall'art. 337-ter, comma 4, cod. civ., si ritiene congrua la ripartizione tra le parti - come concordata dalle medesime - del contributo per il mantenimento del figlio D.. In particolare, fino al 31 dicembre 2023, alle spese di natura ordinaria ed al mantenimento del figlio D. provvederà personalmente la Sig.ra V.C.. Successivamente, a partire dall'1 gennaio 2024, il Sig. M.S. verserà alla Sig.ra V.C. - entro il giorno 15 di ogni mese - la somma di Euro 175,00 mensili, annualmente rivalutabile secondo gli indici forniti dall'Istat. Resta ferma, inoltre, la suddivisione a metà tra i genitori delle spese straordinarie necessarie per il figlio, previamente concordate e documentate, come da Protocollo in vigore presso il Tribunale di Lucca. 3.4. Sulla collocazione e sul mantenimento della figlia maggiorenne. Giova soffermare l'attenzione sull'analisi dell'art. 337-septies cod. civ., dal cui enunciato normativo emerge l'esigenza di assicurare alla prole non autosufficiente dal punto di vista economico, nonostante la raggiunta maggiore età, continuità di tutela da parte dei genitori, in particolare sotto lo specifico profilo del protrarsi dell'obbligo di mantenimento. Così, infatti, come ribadito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne ma non economicamente indipendente, non cessa fintanto che "lo stesso versi in una situazione di non autosufficienza economica incolpevole, da valutarsi, caso per caso, secondo il principio di autoresponsabilità (...)" (si veda Cass. Civ., Sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183). Orbene, nel caso di specie, le parti hanno concordato che la figlia A. continuerà a risiedere presso l'abitazione del padre, il quale provvederà autonomamente al di lei mantenimento. Ed anche in relazione a tale aspetto non si ravvisa alcuna ragione per dissentire, non pregiudicando lo stesso l'interesse della figlia. 4. Sulle spese processuali. L'accordo raggiunto dalle parti non consente di esprimersi in termini di soccombenza. Ergo, appare opportuna la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, definitivamente pronunciando, così provvede: a) DICHIARA lo scioglimento del matrimonio celebrato in Altopascio (LU) in data 2 luglio 2005 tra V.M.C., nata a L. (L.) il (...), e M.S., nato a C. (L.) il (...), trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di Altopascio (LU) al Numero 8, Parte II, Serie C, Anno 2005, alle condizioni indicate nelle conclusioni congiuntamente rassegnate, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte; b) DICHIARA interamente compensate le spese di lite; c) MANDA al Cancelliere di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Altopascio (LU) per le prescritte annotazioni e le consequenziali ulteriori incombenze. Conclusione Così deciso in Lucca in Camera di Consiglio il giorno 7 giugno 2022, su relazione del Presidente estensore dott. Gerardo Boragine. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022.
TRIBUNALE DI LUCCA Il Tribunale di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, e composto dai Sigg.ri Giudici: Dott. Gerardo Boragine - Presidente Dott. Giampaolo Fabbrizzi - Giudice Dott.ssa Alice Croci - Giudice Riunito in Camera di Consiglio in data 20 luglio 2022, sentita la relazione del giudice relatore, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. ...dell'anno 2022 R.G., pendente TRA M.A. NATA A F. (F.) IL (...) ELETTIVAMENTE DOMICILIATA IN LUCCA (LU), VIALE..., PRESSO LO STUDIO DELL'AVVOCATO..., CHE LA RAPPRESENTA E DIFENDE GIUSTA PROCURA IN ATTI - PARTE RICORRENTE - E D.N.A. NATO A L. (L.) IL (...) ELETTIVAMENTE DOMICILIATO IN LUCCA (LU), CORSO..., PRESSO LO STUDIO DELL'AVVOCATO..., CHE LO RAPPRESENTA E DIFENDE GIUSTA PROCURA IN ATTI - PARTE RICORRENTE - CON L'INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO avente a oggetto: divorzio congiunto - scioglimento del matrimonio Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 13 luglio 2022 i coniugi, congiuntamente, hanno richiesto lo scioglimento del matrimonio civile tra loro celebrato a ...(LU) in data..., debitamente trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune ...(LU) al Numero..., Parte 1, Anno..., deducendo a fondamento della domanda l'ininterrotta separazione legale oltre il termine previsto dalla legge e l'impossibilità di ricostituire la comunione materiale e spirituale tra i coniugi. Dall'unione coniugale nascevano, rispettivamente in data ...ed in data..., i due figli A. e A.. Data la comunicazione al Pubblico Ministero del decreto per la comparizione delle parti, è stato, poi, preso atto della rinuncia dei coniugi a comparire all'udienza del 20 luglio 2022, celebrata con le forme di cui all'art. 83, comma 7, lett. h), del D.L. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, in L. n. 27 del 2020. Il Tribunale, riunito in camera di consiglio, sulla base delle conformi decisioni rassegnate dalle parti, ha pronunciato la seguente sentenza. Motivi della decisione Non vi è alcun dubbio in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dalla L. n. 898 del 1970 per la pronuncia di scioglimento del matrimonio di cui si discute e, in particolare, di quelle previste dall'art. 3 della citata L. n. 898 del 1970, come modificato dall'art. 1 della L. n. 55 del 2015 (cd. Legge sul divorzio breve), il quale stabilisce che la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere proposta da uno dei coniugi nei casi in cui "è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale (...)" (n. 2, lett. b) e la separazione si è protratta ininterrottamente "da almeno dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale (...)". Dalla documentazione prodotta emerge, infatti, che i coniugi presentavano ricorso ex art. 711 cod. proc. civ. per dar corso al procedimento di separazione consensuale, poi ritualmente definito con decreto di omologa del..., n. ...sep. È pacifico, dunque, che alla data della presentazione del ricorso per lo scioglimento del matrimonio sia decorso il termine minimo previsto dall'art. 3 della L. n. 898 del 1970. Né, peraltro, è stata eccepita l'interruzione della separazione, che - come noto - deve essere opposta dalla parte convenuta. Appare, dunque, irreversibile la frattura determinatasi tra i coniugi ed evidente l'impossibilità della ricostruzione, tra di loro, della comunione materiale e spirituale, come si evince dal ricorso congiunto dagli stessi depositato. Quanto alle condizioni concordate, alle quali integralmente si rinvia, non vi è dubbio che le stesse siano conformi a norme inderogabili e che non vi siano ragioni ostative al loro accoglimento, non pregiudicando l'interesse della prole. Sul punto, infatti, preme ribadire il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale, qualora sia stata proposta istanza congiunta di divorzio, il Tribunale deve "provvedere ugualmente all'accertamento dei presupposti per la pronuncia richiesta, per poi procedere, in caso di esito positivo della verifica, all'esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agli interessi dei figli minori. Infatti, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell'ambito del quale l'accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 della L. n. 898 del 1970, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l'adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose" (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza n. 19540 del 24/7/2018). Orbene, nel caso di specie, i figli A. ed A., entrambi maggiorenni, manterranno la residenza anagrafica presso la casa familiare, posta in L. (L.), località T., via di T. n. 775, continuando a vivere con la madre. Le parti hanno quantificato il contributo al mantenimento da parte del padre a favore dei figli - rispetto al quale si ritiene non vi siano ragioni ostative al relativo accoglimento - nel modo che segue. Per quanto riguarda il figlio A., quest'ultimo in data ...è stato assunto a tempo determinato con scadenza al 31 dicembre 2022 dalla ditta... Il padre corrisponderà direttamente al predetto, mediante bonifico sul conto corrente bancario allo stesso intestato da effettuarsi entro il giorno 10 di ogni mese, la somma mensile di Euro 200,00, annualmente rivalutabile in base agli indici forniti dall'Istat con base il mese di giugno. Per quanto riguarda la figlia A., quest'ultima in data ...è stata assunta a tempo determinato con scadenza al 31 ottobre 2022 dalla società ...ed è iscritta alla facoltà di Scienze della Comunicazione presso l'Università di Pisa, continuando a studiare ed a sostenere gli esami. Il padre corrisponderà direttamente alla predetta, mediante bonifico sul conto corrente bancario alla stessa intestato da effettuarsi entro il giorno 10 di ogni mese, la somma mensile di Euro 200,00, annualmente rivalutabile secondo gli indici forniti dall'Istat con base il mese di giugno. A ciò si aggiunge che il Sig. D.N.A. sosterrà nella misura del 50% le spese mediche dei figli, che necessitano del preventivo accordo tra i genitori e non, come dettagliatamente individuate nelle condizioni di cui al ricorso congiunto. Viceversa, tutte le altre spese straordinarie necessarie di cui al Protocollo in vigore presso il Tribunale di Lucca saranno sostenute integralmente dalla Sig.ra M.A.. Inoltre, non si rinvengono ragioni ostative all'accoglimento di quanto pattuito dai ricorrenti in relazione alla definizione dei loro rapporti di carattere patrimoniale. A tale proposito, in particolare, l'accordo raggiunto dalle parti prevede, a definizione dei suddetti rapporti e quale elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione congiunta della crisi coniugale e nel superiore interesse dei figli, l'impegno dei ricorrenti ad attuare, mediante successivo atto notarile, la seguente sistemazione patrimoniale: cessione dei diritti di comproprietà pari ad ½ (un mezzo) sull'immobile adibito a casa familiare posto in L. (L.), località T., via di T. n. 775, da parte del Sig. D.N.A. alla Sig.ra M.A., secondo le modalità specificamente descritte nel ricorso congiunto, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte. A completamento del suddetto accordo, le parti hanno anche convenuto che, qualora nel termine di dieci anni dalla stipula del pubblico atto di vendita dei diritti alla Sig.ra M.A., quest'ultima decidesse di vendere in tutto o in parte i propri diritti sulla casa familiare a terzi, che non siano i figli, la medesima dovrà corrispondere al Sig. D.N.A. la somma di Euro 30.000,00 entro quindici giorni dal rogito di trasferimento dei predetti diritti. L'accordo raggiunto dalle parti non consente di esprimersi in termini di soccombenza. Ergo, appare opportuna la compensazione integrale delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale Civile di Lucca, definitivamente pronunciando nella causa individuata come in epigrafe, così provvede: a) DICHIARA lo scioglimento del matrimonio celebrato a Lucca (LU) ...tra M.A., nata a F. (F.) il (...), e D.N.A., nato a L. (L.) il (...), trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di...(LU) al Numero..., Parte 1, Anno..., alle condizioni indicate nelle conclusioni congiuntamente rassegnate, che qui si intendono integralmente richiamate e trascritte; b) DICHIARA interamente compensate le spese di lite; c) MANDA al Cancelliere di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficio di Stato Civile del Comune di Lucca (LU) per le annotazioni e le ulteriori incombenze di legge, ivi compresa quella di cui all'art. 5 della Legge sul divorzio come modificata. Conclusione Così deciso in Lucca, nella Camera di consiglio del 20 luglio 2022, su relazione del Presidente estensore Gerardo Boragine. Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Lucca, in persona del dr. Carmine Capozzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4234/2020 R.G., avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo di pagamento in materia bancaria, e vertente TRA (...) (C.F. (...)) residente in Lucca domiciliato per la lite in Arma di Taggia (LU), domiciliato per la lite in Arma di Taggia (IM), Via (...), presso l'Avv. CO.FE. (C.F. (...)), che lo rappresenta e difende giusta procura allegata all'atto di citazione. Opponente (...) S.r.l. (P.I. (...) come rappresentata dalla mandataria con rappresentanza (...) SpA, domiciliata per la lite in (...) presso l'Avv. (...) (C.F. (...)) che la rappresenta e difende giusta procura generale alle liti in atti. Opposta FATTI DI CAUSA 1. - (...) ha opposto il decreto ingiuntivo n. 1255/2020, emesso da questo ufficio giudiziario, con il quale, su ricorso di (...), e per essa della mandataria con rappresentanza, gli è stato ingiunto di pagare la somma di Euro 79.893,96, oltre accessori e spese di procedura, quale fideiussore omnibus, sino all'importo di Euro 90.000,00, della (...) SRL. L'opponente non ha proposto eccezioni relative al rapporto principale, ma ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo eccependo la decadenza del creditore ex art. 1957 c.c., previo accertamento della nullità della clausola n. 6 della fideiussione omnibus (di deroga all'art.1957 c.c.) - fideiussione da lui rilasciata in data 25.10.2011 a favore della Banca (...) SpA, originaria titolare del credito, poi ceduto a (...) srl - per violazione della normativa ANTITRUST, in quanto conforme allo schema ABI del 2003, ritenuto dalla Banca d'Italia (decisione n. 55 del 2005) frutto d'intesa anticoncorrenziale in danno dei clienti/utenti bancari. 2. - L'opposta ha replicato nell'ordine: (i) che la fideiussione omnibus rilasciata dall'opponente in data 25.10.2011 è in realtà un contratto autonomo di garanzia, con conseguente non applicazione della decisione della Banca d'Italia; (ii) che il (...) non ha interesse ad agire per l'accertamento della nullità della fideiussione omnibus: (a) perché non è un cliente della banca (non esiste un mercato bancario delle fideiussioni) e il fideiussore non è il destinatario della tutela antitrust, riservata ai soli clienti che accedono al credito; (b) perché la durata della garanzia non è collegata alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento con conseguente inapplicabilità, in ogni caso, dell'art. 1957 c.c.; (iii) che non vi è prova dell'intesa anticoncorrenziale a monte e della partecipazione alla stessa di Banca (...); (iv) che non vi è prova del collegamento tra intesa illecita a monte e contratto a valle; (v) che, in ogni caso, per i contratti a valle dell'intesa illecita, la tutela spettante al contraente è solo quella risarcitoria. 3. - La causa è passata in decisione all'udienza del 25-3-2022 sulle conclusioni trascritte in epigrafe. La convenuta/opposta non ha depositato scritti conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. - L'opposizione è fondata e merita accoglimento. 2. - Nell'esaminare le questioni poste dalle parti è necessario muovere dall'analisi preliminare della fideiussione rilasciata dall'opponente in data 25.10.2011 a favore Banca (...) SpA. Va escluso che tale fideiussione possa essere qualificata come contratto autonomo di garanzia. L'esistenza della sola clausola di pagamento a prima richiesta non vale a snaturare il carattere accessorio della garanzia in esame. Ciò finisce, invero, per essere riconosciuto dalla stessa banca nella comparsa di costituzione, ove si assume che tale clausola sia da interpretare come "clausola solve et repete", di deroga all'art. 1945 c.c., e, pertanto, l'opponente non potrebbe far valere la proposta eccezione di nullità prima del pagamento del debito (v. pag.6 della comparsa). Ora, diversamente da quanto ritenuto dalla convenuta, simile previsione contrattuale non vale a rendere autonoma l'obbligazione di garanzia da quella garantita, ma determina unicamente un meccanismo di inversione processuale: il garante non può agire in giudizio od opporre eccezioni relative al rapporto garantito se non dopo il pagamento. Prima deve pagare e poi può agire in giudizio per far valere le proprie ragioni. Ma così ricostruita la fattispecie concreta sono evidenti le differenze con il contratto autonomo di garanzia, in cui l'astrazione del rapporto di garanzia da quello garantito arriva al c.d. punto di indifferenza e viene meno ogni carattere, anche quello più labile, di accessorietà nella garanzia prestata. In simile diversa figura il garante non può agire in giudizio anche quando abbia preventivamente pagato il proprio debito. In sintesi: la garanzia personale prestata dal (...) non è un contratto autonomo di garanzia, permanendo il suo carattere accessorio rispetto alle obbligazioni garantite. Dal che discende la piana applicabilità della decisione n. 55/2005 della Banca d'Italia anche alla concreta fattispecie. Alla luce di tale conclusione, la prima replica della banca opposta è pertanto destituita di fondamento. Inoltre, trattandosi di eccezione relativa al rapporto di garanzia e non al rapporto garantito, essa può essere opposta dal fideiussore. La clausola de qua deroga infatti all'art. 1945 c.c. (eccezioni che potrebbe proporre il debitore principale), ma non impedisce al fideiussore di eccepire l'inesistenza o nullità della garanzia e l'eventuale decadenza del creditore garantito dal diritto di agire nei suoi confronti. 3. - Anche la seconda questione preliminare posta dalla banca, relativa ad un asserito difetto d'interesse ad agire del (...) è infondata in relazione ad entrambi i profili coltivati. 3.1. - L'interesse ad eccepire del (...) si misura unicamente sul fatto che egli è destinatario di un'azione di pagamento. Pertanto, può reagire a tale azione proponendo tutte le difese utili, tra cui l'eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c., previo accertamento della nullità della relativa clausola di deroga. 3.2. - Non è esatto poi dire che l'art. 1957 c.c. non è applicabile perché la durata della garanzia non è collegata alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, perché tale affermazione, nella concreta fattispecie, si risolve in una tautologia. Invero, secondo una certa interpretazione dottrinale e giurisprudenziale la clausola contrattuale che colleghi la durata della garanzia non alla scadenza dell'obbligazione principale ma all'adempimento integrale dell'obbligazione garantita implica deroga convenzionale all'art. 1957 c.c. (v. Cass. civ. 16836/2015; Cass. civ. 16758/2002 e 16233/2005). Il punto dirimente è tuttavia che nel caso in esame simile deroga convenzionale è contenuta proprio nell'art.6 dello schema ABI di fideiussione omnibus (usato dall'opposta), censurato dalla Banca d'Italia, quale frutto d'intesa anticoncorrenziale. 4. - Gli assunti secondo cui non vi sarebbe prova dell'intesa anticoncorrenziale a monte e della partecipazione alla stessa di (...), nonché del collegamento tra l'intesa illecita a monte e il contratto a valle, sono privi di pregio ove si consideri che, secondo la prevalente giurisprudenza di merito, recepita nel recente arresto delle S.U. (su cui infra), è dirimente considerare sul piano probatorio (e per il principio di vicinanza della prova) che la perfetta conformità dello schema di fideiussione omnibus usato dalla banca opposta con quello oggetto di indagine e censura da parte della Banca d'Italia perciò stesso determina una presunzione circa la partecipazione della banca all'intesa anticoncorrenziale a monte e il collegamento tra l'una (l'intesa illecita) e l'altro (il contratto a valle). 5. - Infine, la questione del tipo di tutela spettante alla parte del contratto a valle dell'intesa illecita (risarcitoria, nullità parziale, nullità totale), è stata risolta di recente dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 41994/2021) nel senso coltivato in questo giudizio dall'opponente. Non resta, pertanto, che rinviare per relationem ex artt. 1118 disp. att. c.p.c. alla decisione delle Sezioni Unite, la quale offre inoltre una ricostruzione completa ed analitica anche delle questioni esaminate al precedente paragrafo 4. 6. - In conclusione, accertata incidentalmente la nullità parziale della clausola n. 6 della fideiussione omnibus in atti, e la conseguente piena operatività dell'art. 1957 c.c., e considerato che non risulta allegata e dimostrata la proposizione nei confronti del debitore principale dell'azione giudiziaria nel termine di sei mesi dal recesso dal rapporto bancario (27.12.20216), l'eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. è fondata, con conseguente rigetto dell'azione di pagamento e revoca del decreto ingiuntivo opposto. 7. - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo a favore del difensore della parte vittoriosa dichiaratosi antistatario. La liquidazione è fatta in assenza di notula con questi parametri: voce 2 - DM 55/2014, valore della causa: 79.893,96 - riduzione del 50% dei parametri medi previsti per le fasi 3 (istruttoria) e 4 (decisionale), in ragione del fatto che, quanto alla prima, non sono stati articolati mezzi istruttori e, quanto alla seconda, che la convenuta opposta non ha depositato scritti difensionali cui replicare. P.Q.M. Il Tribunale di Lucca, definitivamente decidendo, così provvede: - accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto (n. 1255/2020), respingendo l'azione di pagamento proposta contro (...); - condanna l'opposta, come rappresentata, a pagare le spese di lite a favore dell'Avv. (...), dichiaratosi antistatario, che sono liquidate in Euro 379,50 per spese vive (CU) ed Euro 8.705,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori di legge (IVA e CAP, se dovuti). Così deciso in Lucca il 20 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2022.
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