Sentenze recenti Tribunale Macerata

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI MACERATA SEZIONE LAVORO Il Giudice dott. Giovanni Iannielli, quale Giudice del Lavoro, nella causa iscritta al n. 213/2015 RG. alla udienza del 13.11.2018, richiamato il contenuto narrativo degli atti d causa, viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti, di esito di discussione orale ha pronunciato la seguente: SENTENZA TRA (...) rappr. e dif. da avv.to (...) ricorrente opponente E INPS in persona del suo l. r. pro tempore, rapp. e dif. dall'avv. (...) resistente opposto MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso regolarmente notificato, Ce.Pa. esponeva quanto segue: che in data 19.04.2013 veniva notificato atto di accertamento relativamente all'Irpef, all'IVA e all'IRAP, per l'anno 2008, emesso dall'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Macerata, a seguito di P.V.C. del 30.06.2011 elevato dalla medesima Agenzia, dal quale derivavano conseguenze anche in ordine all'entità dei contributi previdenziali obbligatori, sulla base dei maggiori ricavi dedotti, con un maggior onere contributivo pari ad Euro 11.145,00; che, in data 05.11.2014 era stato sottoscritto l'atto di conciliazione giudiziale, ex articolo 48 del D. Lgs. 546/92, attraverso il quale la pretesa tributaria ero stata sensibilmente ridotta in particolare, i presunti maggiori ricavi originariamente contestati per Euro 125,927,49 erano stati rideterminari in Euro 44.674,00; che in data 22.12.2014, la Commissione Tributaria di Macerata, con decreto N. 902/02/14, dichiarava l'estinzione del giudizio in relazione alla pretesa tributaria de qua; che in data 21.01.2015, veniva notificato dell'INPS l'avviso di addebito n. (...), con il quale veniva richiesto la complessiva somma di Euro 20.756,26 di cui Euro 11.145,07 per contributi, Euro 6.687,04 per sanzioni ed Euro 1.997,94 per interessi; che, a seguito delle contestazioni comunicate all'INPS, l'istituto inviava una generica comunicazione, nella quale, si indicavano importi asseritamente sgravati, rispetto all'originaria pretesa, senza nessuna indicazione cri come l'Ufficio fosse pervenuto alla quantificazione dello sgravio; che la legittimità della richiesta previdenziale era subordinata al resistenza dell'atto amministrativo dell'Agenzia delle Entrate, il quale era medio tempore venuto a mancare per l'intervenuta conciliazione; che dunque l'I.N.P.S. non poteva più richiedere il pagamento di detto importo originario, ma dovevo ricalcolare l'onere contributivo sulla base dei nuovi imponibili rideterminati in sede di conciliazione tributaria; che comunque nella irrituale comunicazione di parziale sgravio, non venivano esplicitati i passaggi logico giuridici, attraverso i quali era stata determinata la somma residuale; che l'addebito di sanzioni ed interessi, era da ritenersi del tutto illegittimo in quanto i vari istituti deflativi dei contenzioso tributario prevedevona espressamente, a seguito di definizione amministrativa o extragiudiziale (così la norma di cui all'articolo 2, comma 5 del D.Lgs. 218/97), l'inapplicabilità delle sanzioni e degli interessi sulle somme di titolo di contributi previdenziali ed assistenziali; che dunque, alla luce dei risultati definitivi del procedimento tributario presupposto, il maggior onere contributivo doveva essere Individuato nella somma di Euro 6.237,00, senza ulteriori addebiti. Ciò posto, chiedeva che fosse statuito che i contributi previdenziali ed assistenziali dovevano essere rideterminati in complessivi Euro 6.237,00, con esclusione di ogni ulteriore addebito a titolo di sanzioni, interessi e spese; in subordine chiedeva la riduzione delle sanzioni nella misura degli interessi legali. Si costituiva l'INPS osservando che prima della scadenza del termine per l'impugnazione era stata espressamente anticipato al (...) (con mail del 19/02/2015) l'avvenuto sgravio dell'addebito, a seguito della conciliazione giudiziale della lite tributaria; che l'avviso di addebito era stato formato dall'INPS il 09/12/2014 e dunque prima che l'ente fosse messo a conoscenza da parte del ricorrente dell'avvenuta rideterminazione del reddito imponibile; che una tempestiva comunicazione avrebbe consentito all'ente di formare l'avviso di addebito direttamente sulla base dei redditi risultanti dall'accertamento con adesione; che comunque in data 19/02/2015 l'INPS aveva effettuato lo sgravio parziale delta pretesa; Ciò posto, l'INPS chiedeva il rigetto dell'opposizione in quanto infondata, preso atto del già disposto sgravio parziale dell'avviso di addebito con conferma del residuo importo Euro 11.142,36 a titolo di contributi, sanzioni ed interessi. Veniva disposta ed espletata CTU tecnico contabile. L'opposizione è fondata e pertanto deve essere accolta. Con riferimento alta pretesa dell'INPS relativa alla contribuzione non versata dal (...), va rilevato, che la somma effettivamente dovuta a tale titolo dal ricorrente ammonta ad Euro 6.237,86 e pertanto sul punto non può che accogliersi il ricorso, avendo l'Istituto nell'avviso di addebito opposto richiesto una somma maggiore rispetto a quella dovuta. Il nominato perito ha infatti determinato nella somma sopra indicata l'ammontare dovuto dal (...) a titolo di contribuzione non versata. Va tuttavia rilevato che l'Istituto, prima della scadenza del termine per l'impugnazione, aveva già comunicato al (...) l'intervenuto parziale sgravio proprio nei termini sopra indicati, come dotto stesso ricorrente ammesso mediante la produzione in atti dell'allegato n. 9. Con riferimento alla ulteriore richiesta di esclusione di ogni ulteriore addebito a titolo di sanzioni, interessi e spese o a quella subordinata di riduzione dette sanzioni nella misura degli interessi legali, si rileva che le stesse non possono trovare accoglimento. Quanto alla prima richiesta, la stessa è inaccoglibile atteso che le sanzioni, come correttamente osservato dell'istituto resistente, sono obbligazioni accessorie diretta ed automatica conseguenza dei ritardo o dell'omissione nel pagamento dei contributi, debito aggiuntivo (Corte Cost. 14/6/1966, n. 76; Corte Cost. 27/3/1974, n. 88) che cresce percentualmente in ragione d'anno e con diverse velocità (a seconda che si tratti di fattispecie evasiva od omissiva). Quanto alla riduzione, parimenti la domanda non può essere accolta atteso che nel caso di specie si versa in una evidente ipotesi di evasione, come si evince dalla proposta di conciliazione giudiziale dell'Agenzia dette Entrate prodotta dallo stesso ricorrente. Nella stessa infatti si legge che per l'anno 2008 il ricorrente aveva dichiarato un reddito di Impresa pari a zero. Dunque si tratta di evasione contributiva e - correttamente - le sanzioni sono state calcolate su tale parametro; né può infine applicarsi la chiesta riduzione ex art. 116, comma 15 della legge n. 388/2000, non versandosi, nel caso di specie, in alcuna dette ipotesi contemplate dalla normativa invocata. L'avviso di addebito oggetto di opposizione, olia luce delle sopra esposte considerazioni va dunque annullato e l'opponente va condannato al pagamento, in favore dell'INPS, della somma di Euro 6.237,86, oltre sanzioni e interessi. Le spese, liquidate per intero come da dispositivo, seguono la soccombenza e, stante la parziale soccombenza dei ricorrente, Se ne dispone la compensazione per metà tra le parti. A carico dell'INPS vanno poste infine in via definitiva le spese di CTU. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) accoglie l'opposizione e per l'effetto annulla l'avviso di addebito oggetto di opposizione; b) condanna l'opponente al pagamento, in favore dell'INPS, della somma di Euro 6.237,86, oltre sanzioni e interessi: c) pone a carico dell'INPS le spese del giudizio, che si liquidano per l'intero in complessivi Euro 2.800,00 per competenze, oltre IVA e Cap come per legge e rimborso spese generali, compensando le stesse per metà tra le parti; d) pone a carico dell'INPS, in via definitiva, le spese di CTU liquidate come da separato provvedimento. Così deciso in Macerata il 13 novembre 2018. Depositata in Cancelleria il 13 novembre 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MACERATA GIUDICE DELL'APPELLO Il Tribunale, nella persona del Giudice dr. Luigi Reale ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al n. r.g. 2633/2015 promossa da: (...) SNC , C.F. (...), assistito e difeso dall'avv. (...) elettivamente domiciliato in MACERATA, presso il difensore; nei confronti di CONSORZIO URBANISTICO (...), C.F. (...), assistito e difeso dall'avv. (...) elettivamente domiciliato in MACERATA, presso il difensore; OGGETTO: appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Macerata -adempimento contrattuale CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 9.3.18 riportandosi all'atto introduttivo. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta secondo le indicazioni dettate dagli art.li 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., così come modificati dalla legge n. 69 del 18/6/2009, entrata in vigore il 4/7/2009: disposizioni applicabili ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore delle predetta legge, dovendosi intendere come pendenti anche le cause già rimesse in decisione ed in fase di deliberazione. Fondato, e quindi da accogliersi, l'appello che la snc (...), di (...) ha proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace di Macerata del 8 / 12.1.15, n. 23/15, RG 52/14, con la quale veniva respinta la opposizione che l'odierno appellante aveva proposto avverso il decreto ingiuntivo n. 1404/13 del 12.11.13 per la somma di euro 1.880,57 oltre accessori e spese, notificato dal Consorzio Urbanistico (...), soc. cons. coop. a r.l., per le fatture n. 10/12, n. 71/12 e n. 130/12. Esponeva l'opponente che le prime due erano relative a lavori allaccio Italgas e adeguamento rotatoria, mentre la terza a contributi consortili; rappresentava di avere nelle more provveduto al pagamento di quest'ultima, ed eccepiva la carenza di giurisdizione della AGO per essere prevista nello statuto sociale una clausola compromissoria (art. 35) in forza della quale "... qualsiasi controversia insorgesse tra i soci, ovvero tra i soci e la società consortile ... circa la interpretazione ed applicazione del presente statuto verrà rimessa ... al giudizio di un collegio arbitrale composto ..." e per essere relativa la pretesa di pagamento di somme delle quali l'opponente sosteneva non essere tenuto al pagamento o perché relative a lavori già previsti (e pagati) nel piano di urbanizzazione o perché relative a lavori non previsti e non approvati. Lamentava quindi in appello che il giudice di prime cure aveva fatto riferimento alla clausola di solve et repete contenuta (art. 7) nel regolamento allegato alla statuto sociale (della quale comunque lamentava la mancata approvazione nelle forme di cui all'art. 1341 c.c.), erroneamente ritenendola di carattere processuale e quindi impeditiva della instaurazione del rapporto processuale: donde, in considerazione del mancato pagamento delle fatture 10/12 e 71/12, il rigetto della opposizione la conferma dell'impugnato decreto ingiuntivo. Erronea, siccome lamentato, la motivazione del primo giudice sulla natura processuale della clausola del solve et repete: insegna Cass. 10697/94 (non risultano pronunce più recenti e viene riportata la parte motivazionale e non invece la sola massima) che "la disciplina del "solve et repete" disposta dall'art. 1462 c.c. ha un contenuto fondamentale di diritto sostanziale, come è reso manifesto non solo dalla collocazione della norma nel codice civile ma soprattutto dagli interessi che essa tutela (garantire al creditore di una prestazione il soddisfacimento della sua pretesa, senza il ritardo imposto dall'esame delle eccezioni del debitore). Il preventivo adempimento che rende possibile l'esame delle eccezioni ed anche delle domande riconvenzionali non può perciò essere considerato come un presupposto processuale, la cui mancanza impedisca l'instaurazione di un regolare rapporto processuale e non possa essere rimossa nel corso del processo stesso. La clausola limitativa prevista dall'art. 1462 c.c., pertanto, è destinata ad operare solo sul terreno dell'adempimento, cosicché non può rinvenirsi alcun ostacolo all'esame dell'eccezione o della domanda riconvenzionale, quando, sia pure in corso del giudizio, sia avvenuto il soddisfacimento della prestazione (cfr. Cass. 14 luglio 1967 n. 1767; 6 agosto 1968 n. 2826; 16 luglio 1976 n. 2819). La clausola, per volontà dei contraenti, attua una separazione, almeno temporanea, tra le contrapposte prestazioni e garantisce al contraente, in favore del quale la clausola è stabilita, il soddisfacimento della sua pretesa senza il ritardo imposto dall'esame delle eccezioni (o domande) del debitore". Continua la Suprema Corte, affrontando il merito, pertinente a fattispecie del tutto analoga a quella all'odierno esame: "tale essendo lo scopo di tale mezzo di autotutela, è evidente che -rispetto al contenuto di diritto sostanziale della disciplina del "solve et repete"- è del tutto indifferente che il soddisfacimento della pretesa della (...) S.p.A. (ora (...) S.p.A.) sia avvenuto per effetto della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto". Va quindi verificato se sia intervenuto nelle more il pagamento delle somme richieste con l'impugnato decreto ingiuntivo: le parti concordano in senso affermativo sul punto (anche per via della immediata esecutività concessa all'impugnato decreto ingiuntivo), tale che la eccezione di compromesso in arbitri può essere affrontata e decisa secondo la prospettazione dell'appellante, in ragione della estensione sostanzialmente illimitata (il richiamato regolamento fa salve, pleonasticamente, le sole materie legislativamente escluse dalla possibile compromissione in arbitri) della disciplina pattizia. L'impugnato decreto va quindi revocato per il sopravvenire della possibilità per l'ingiunto di far valere la causa derogatrice della giurisdizione; le spese di questo provvedimento, come regolamentate dal giudice che lo ha pronunciato, restano a carico dell'opponente-appellante, che all'epoca -stante il mancato pagamento e nella vigenza della clausola- non aveva ancora versato le somme, le quali peraltro, non potranno essere richieste in restituzione se non all'eventuale pronuncia del collegio arbitrale che accolga la tesi dell'appellante. Le spese dei due gradi del giudizio di merito, in ragione del tardivo adempimento della snc vanno interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, quale giudice dell'appello, nel contraddittorio delle parti ed in riforma della impugnata sentenza resa dal Giudice di Pace di Macerata il 8 / 12.1.15, n. 23/15, RG 52/14, DICHIARA la propria carenza di giurisdizione per compromesso in arbitri; per l'effetto, REVOCA il decreto ingiuntivo reso dal Giudice di Pasce di Macerata n. 1404/13 del 12.11.13, ma ne conferma la liquidazione ed il carico delle spese; COMPENSA per intero tra le parti le spese dei due gradi del giudizio. Macerata, 12 giugno 2018. Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2018.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI MACERATA SEZIONE LAVORO Il Giudice dott. Giovanni Iannielli, quale Giudici del Lavoro, nella causa iscritta al n. 493/2010 RG. alla udienza del 7.10.2017, richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa, viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti, all'esito di discussione orale ha pronunciato la seguente: SENTENZA TRA MA.GI. rapp. e dif. dall'avv.to S. Ma.; ricorrente E (...) in persona del suo legale rapp. p.t.r rapp. e dif. da avv.ti S. Be. e S. Tr.; resistente MOTIVI DELLA DECISIONE Tra la ricorrente e la società resistente sono intercorsi due contratti, di agenzia l'ultimo dei quali stipulalo il 3.1.2000, con validità dal 20,4.1999. Premesso che il contratto si era risolto per volontà del preponente del tutto illegittimamente, non ricorrendo la giunta causa evidenziata nella raccomandata a/r con cui veniva comunicata della risoluzione, la ricorrente agiva in giudizio per ottenere quanto a lei spettante per i seguenti titoli: euro 2.077,60 per provvigioni residue; euro 31.420.37 a titolo di indennità sostituiva del mancato preavviso; Euro 18.976.14 a titolo di indennità suppletiva di clientela ex art. 10. capo II lettera A Aec 20.3.2002; ulteriore somma, da determinarsi mediante ctu a titolo di indennità suppletiva di clientela di cui all'art. 10, capo II lettera B del medesimo AEC. Si costituiva La (...), chiedendo il rigetto del ricorso. Il rapporto intercorrente tra le parti si interrompeva a seguito della ricezione da parte della ricorrente della missiva datata 12 novembre 2009, con cui la (...) le comunicava il recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia. Nella missiva in oggetto la società resistente contestava alla (...) di aver tenuto "un comportamento ostruzionistico e privo di qualsiasi forma di collaborazione e disponibilità". In particolare ci si lamentava della mancata attività lavorativa della (...) a partire dal mesi di ottobre 2009. In particolare di ponevano a fondamento della risoluzione i reiterati rifiuti di ogni colloquio, anche soltanto telefonico, con i referenti aziendali (...) e (...) i quali venivano invitati a indirizzare ogni richiesta tramite legale ed il rifiuto di ricevere la password di accesso al sistema, riattivato a seguito della cessazione della causa sospensiva del rapporto. Tali eventi e condotte costituivano, ad avviso della preponente una lesione grave ed irreparabile dell'elemento fiduciario che rendeva impossibile la prosecuzione anche provvisoria de rapporto. Dall'esame della documentazione allegata e dalle prove orali raccolte in giudizio, la risoluzione del rapporto tra le parti, ad opera della (...), risulta essere assistita da giusta causa. (...) contattava la ricorrente con e-mail il 14 ottobre 2009 dal seguente testo: "Ciao (...), a seguito delle mie precedenti richieste di incontro da te disattese, volevo comunicarti che venerdì 16 ottobre 2009, alle ore 9,30, ci dobbiamo incontrare presso il mio ufficio, per la verifica degli andamenti produttivi. Qualora tale orario non fosse possibile ci vediamo alle ore 14.30 sempre presso l'ufficio di Tolentino" "doc. 25 di parte ricorrente). La (...) non si presentava all'incontro, come riferito dal teste (...) all'udienza del 8.10.2015, senza addurre giustificazione alcuna, per cui lo stesso 16 ottobre il (...) inviava alla ricorrente un telegramma del seguente tenore: "Ti invito martedì 20 ottobre 2009, alle ore 9.30, presso la sede di Ancona per confrontarci sugli andamenti produttivi e pianificare insieme, viste le particolari situazioni di mercato e considerato che non abbiamo avuto modo di farlo nelle scorse settimane. (...)" (documento 26 della produzione di parte ricorrente). A tale telegramma rispondeva la (...) in data 19 ottobre 2009, comunicando seccamente e senza addurre giustificazione alcuna, con lo stesso mezzo, che nella data indicata (20 ottobre 2009, ore 9,30) non avrebbe potuto essere presente. Il (...), in pari data, preso atto della indisponibilità della ricorrente per il giorno 20 ottobre, le comunicava quanto segue: "Considerato che ti sei resa irreperibile per tutto il mese di ottobre e non avendo avuto il piacere di incontrarti da luglio 2009 per la tua indisponibili la agli impegni già fissati. Ti invito a comunicarmi entro domani quando la prossima settimana potrai venire presso la nostra sede di Ancona per la verifico degli andamenti produttivi ed elaborazione nuove strategie di vendita. (...)" (doc. 28 di parte ricorrente). A tale missiva rispondeva la ricorrente in data 22 ottobre 2009, a mezzo telegramma che non il proprio medico curante le aveva prescritto riposo assoluto e cure fino alla data del 1 novembre e pertanto non sarebbe stato possibile incontrare il (...) prima di quella data. Correttamente dunque la resistente, preso atto della necessità di riposo assoluto e cure della ricorrente, le comunicava la sospensione, dall'incarico a far data dal 22/10/2009 fino a quando non avesse ripreso l'attività lavorativa e ciò ai sensi dell'art. 12 del vigente AEC 20.3.2002. La norma collettiva richiamata infatti indica legittima la sospensione temporanea del rapporto di agenzia allorquando l'agente versi in und stato di malattia o infortunio tale da impedire temporaneamente lo svolgimento del mandato, in presenza di espressa richiesta di sospensione da parte della preponente ovvero dall'agente. Nel caso di specie la ricorrente aveva comunicato alla (...) uno stato di malattia (non potendosi interpretare in maniera diversa la prescrizione di riposo assoluto e cure da parte di un medico) e quindi correttamente la (...) aveva richiesto l'applicazione dell'istituto della sospensione. Risulta poi destituita di fondamento la lamentata impossibilità della (...) di accedere ad internet ed al portale aziendale a far data dal 20 ottobre 2009 atteso che in data 21 ottobre 2009 la stessa inviava una e-mail all'ufficio del (...) (come si evince dal documento 31 allegato dalla stessa parte ricorrente). Peraltro dallo deposizione del teste (...) si evince chiaramente che alle richiesto di fissare un incontro organizzativo per sapere se fosse in, condizioni di riprendere l'attività, la (...): si rendeva totalmente indisponibile, chiedendo di indirizzare ogni richièsta al suo legale. Il teste riferiva anche che nel mese di ottobre la (...), non partecipò ad alcuna riunione. Quanto poi alla asserita prosecuzione dell'attività lavorativa, della stessa non vi è prova certa. Il teste (...) ha espressamente dichiarato di non essere in grado di riferire se la (...) nel mese di ottobre avesse svolto o meno attività lavorativa; affermava il teste che gli erano giunte solo due o tre raccomandate, contenenti contratti stipulati, ma non era in grado di specificare se gli stessi fossero stati effettivamente stipulati nell'ottobre del 2009 o in un periodo antecedente. Dai documenti e dalle prove orali è dunque emerso che la ricorrente ha effettivamente tenuto comportamenti ostruzionistici, costituiti dalla mancanza di collaborazione e disponibilità da parte dell'agente irreperibilità della ricorrente quantomeno dall'inizio del mese di ottobre 2009 e reiterato rifiuto di ogni colloquio con il referenti aziendali, quali venivano anzi espressamente invitati ad indirizzare ogni richiesta attraverso il legale della ricorrente medesima (e-mail e telegrammi in atti e deposizione testi (...) e (...)); Dall'esame delle emergenze processuali appare evidente la fondatezza del recesso della (...) a seguito della lesione del rapporto fiduciario con la (...) e pertanto, costituendo dette circostanze giusta causa di risoluzione, in tal caso non ricorre il diritto dell'agente a percepire alcuna indennità sostitutiva di preavviso, non essendo la stessa dovuta. Quanto al pagamento di provvigioni non corrisposte, le stesse non sono state provate dalla ricorrente, né nell'an ne nel quantum. Sul punto si richiama la perizia disposta nei corso del giudizio) in cui si legge; "La sottoscritta non è stata in grado di ricostruire l'importo delle somme richieste dalla ricorrente pari ad e uno 1.300,00 per provvigioni relative al 4 trimestre 2009 euro ed euro 777,60 per provvigioni relative agli ordini conclusi e spediti prima dell'interruzione da parte di (...) spa del rapporto di agenzia, in quanto la stessa non ha specificato le basi di calcolo di tale importi, e non ha allegato nessun documento che possa in qualche modo essere utile per ricostruire tali importi e verificarne la correttezza. La parte ricorrente, in conclusione, non ha allegato i documenti che possano fornire alla sottoscritta elementi per il calcolo delle provvigioni del a trimestre 2009 e provvigioni rotative agli ordini conclusi e spediti prima dell'interruzione da parte di (...)". Parimenti risultano non dovute le indennità previste alle lettere A e B dal capo il dell'art. 10 dell'AEC 20.3.2002, in quanto "il trattamento di cui al presente capo li non è dovuto se il contratto si scioglie per un fatto imputabile all'agente o rappresentante", come recita lo stesso art. 10 al penultimo capoverso. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. A carico della ricorrente vanno infine poste, in via definitiva, le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento. Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede; 1. rigetta il ricorso; 2. pone a carico della ricorrente le spese del giudizio che liquida ih complessivi euro 2.500,00, per competenze, oltre IVA e CAP come per legge; 3. pone a carico della ricorrente in via'definitiva, le spese di CTU liquidate come da separato provvedimento. Così deciso in Macerata il 17 ottobre 2017. Depositata in Cancelleria il 17 ottobre 2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MACERATA Il Tribunale, nella persona del Giudice dr. Luigi Reale ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 100801/2008 promossa da: ATTORE: (...) SRL, assistito e difeso dall'avv. (...) e dall'avv. (...), DOM.TO C/O AVV. (...) V. (...) CORRIDONIA; contro CONVENUTO: BANCA (...) SPA, assistito e difeso dall'avv. (...) e dall'avv. (...), elettivamente domiciliato c/o avv. (...) in Civitanova Marche, v. (...); OGGETTO: contratti bancari MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta secondo le indicazioni dettate dagli art.li 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., così come modificati dalla legge n. 69 del 18/6/2009, entrata in vigore il 4/7/2009: disposizioni applicabili ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore delle predetta legge, dovendosi intendere come pendenti anche le cause già rimesse in decisione ed in fase di deliberazione. Parzialmente fondata la domanda di declaratoria di nullità proposta dal (...) S.r.l., corrente in Montecosaro Scalo, in persona del l. r. p.t., nei confronti di Banca (...) S.p.A., corrente in (...) in persona del l. r. p.t., in relazione al contratto di conto corrente n. (...) - aperto in data 03.05.90 ed estinto in data 18.03.98 -, nonché ai conti anticipi e al conto in valuta estera in esso afferenti, per ivi essere stati previsti capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e commissione di massimo scoperto, nonché interessi, asseritamente usurari, e giorni di valuta con riferimento alle "condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza". Anzitutto sfornita di prova la domanda di declaratoria nullità delle clausole contrattuali che disciplinano gli interessi, i giorni di valuta e la commissione di massimo scoperto, perché riproducenti un accordo di cartello tra Banche, asseritamente concluso nel 1952, in quanto parte attrice omette di dare qualsivoglia tipo di prova dell'esistenza di tale accordo. Fondata invece la domanda di declaratoria di nullità della previsione del tasso degli interessi contenuta nel contratto (cfr. clausola n. 7 comma 3) poiché, in contrasto con l'art. 1284 c.c., essa non contiene una reale determinazione del tasso di interessi applicato al rapporto, contenendo invece un generico rinvio ad un parametro, quale è quello delle "condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza", che non ne consente l'esatta conoscenza (cfr. sul punto la recente Cass. 22179/15). Alla detta nullità segue che ai rapporti oggetto del giudizio dovranno applicarsi: il tasso di interesse legale fino all'entrata in vigore della L. n. 154/92 e il tasso di interesse previsto dall'art. 5 della stessa (...) - ora art. 117 TUB - successivamente e fino all'estinzione del rapporto. Fondata è anche la domanda di declaratoria di nullità della clausola n. 7 comma 2 dei contratto di apertura conto corrente che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, con riferimento all'epoca di vigenza del rapporto (dal maggio 1990 al marzo 1998): è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità l'insussistenza di un uso normativo nel quale possa trovare giustificazione l'applicazione della capitalizzazione per i rapporti antecedenti al 22 aprile 2000 (Circolare Interministeriale Credito e Risparmio del 9.2.00), con la conseguente illegittimità per contrasto con Kart. 1283 c.c. della previsioni di qualsiasi forma di capitalizzazione (cfr. ex multis Cass. S.U. 24418/10). Infondata invece la domanda di declaratoria di nullità della previsione di interessi debitori in ragione della loro usurarietà a norma degli art. 644 c.p. e 1815 c.c. come novellati dalla L. n. 108/96: la disciplina richiamata - che, come chiarito dal d.l. 394/00, va applicata agli interessi nel momento in cui vengono convenuti (nella specie 1990) e non invece nel momento in cui vengono corrisposti - non è retroattiva e quindi non può applicarsi ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore (cfr. Cass. 801/16). Fondate altresì le censure sollevate avverso l'applicazione della commissione di massimo scoperto nonché dei giorni di valuta, le quali secondo la ricostruzione attorea non avevano trovato affatto (la CMS) o non aver trovato sufficiente determinazione contrattuale (i giorni di valuta - la cui determinazione contiene un generico rinvio agli usi delle aziende di credito su piazza-): infatti in relazione alla prima (CMS) nel corso dell'Istruttoria non è emersa alcuna prova della sua determinazione contrattuale seppur in forma verbale; mentre in relazione alla seconda, non può ritenersi che la clausola di rinvio agli usi delle aziende di credito su piazza (...) una reale determinazione non essendo possibile desumersi da essa i giorni di valuta applicati. Alla irretroattività dell'art. 117 Tub segue anche l'infondatezza della domanda di accertamento della violazione delle norme sulla trasparenza ed in particolare, i commi 4 e 6 di detta norma che gli attori assumono essere stata violata. Sfornita di prova infine anche la domanda risarcitoria del danno derivato alla attrice dalla condotta inadempiente della banca convenuta: inoltre, come è noto, il danno di natura patrimoniale, quale la mancata disponibilità di somme liquide di danaro, non può essere determinato in via equitativa occorrendo invece che esso venga provato dalla parte (oltre che nell'an) anche nel quantum. Infondate anche le eccezioni sollevate da Banca (...) S.p.A. In relazione alla inammissibilità della contestazione in mancanza di qualsivoglia censura mossa in occasione dell'Invio degli estratti conto periodicamente inviati al correntista si deve precisare che "Ai sensi dell'art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell'estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate (con conseguente decadenza delle parti dalla facoltà di proporre eccezioni relative ad esse), ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti" (cfr. Cass. 23421/16). Poiché nella specie viene contestata la applicabilità della CMS e cioè il relativo accordo, e poiché non vi è prova che detto accordo sia stato raggiunto (anche in forma orale, valida in ragione dell'epoca della stipula, maggio 1990), non può trovare applicazione l'addebito della indicata causale. Infondata è anche l'eccezione di prescrizione dell'azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. dal momento che come chiarito da Cass. S.U. 24418/10 il termine prescrizionale per l'azione di ripetizione dei pagamenti effettuati, decorre, salvo che non si dia prova dell'esistenza di pagamenti solutori antecedenti, dal momento in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi sono registrati. Pur essendo stato chiuso il rapporto nel mese di marzo 1998 ed essendosi il presente giudizio avviato con atto di citazione depositato in data 29.5.08, è depositata in atti una missiva interruttiva della prescrizione ricevuta dalla banca convenuta nel gennaio del 2008. Neppure potrà configurarsi il pagamento da parte della società correntista adempimento di un'obbligazione naturale e pertanto irripetibile a norma dell'art. 2034 c.c., atteso che esso è stato eseguito in esecuzione di obblighi contrattuali e non già spontaneamente. Quindi il calcolo dell'andamento del rapporto deve prendere in considerazione i seguenti elementi: applicazione degli interessi al tasso legale fino all'entrata In vigore della L. n. 154/92 e il tasso di interesse previsto dall'art. 5 della stessa (...) - ora art. 117 TUB - successivamente e fino all'estinzione del rapporto (calcolo già reso in sede di CTU); applicazione di alcuna capitalizzazione per tutta la durata del rapporto (calcolo non effettuato in CTU); applicazione di alcuna CMS (calcolo non effettuato); applicazione di alcun giorno di valuta (calcolo non effettuato in CTU). Segue quindi la necessità di riconvocare il CTU per ricostruire il saldo del conto corrente e dei relativi conti anticipi, secondo le indicazioni della presente sentenza. Spese al definitivo. P.Q.M. il Tribunale di Macerata, non definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, CONDANNA Banca (...) S.p.A., corrente in (...)in persona del l.r.p.t. a restituire al (...) s.r.l., corrente in Montecosaro Scalo, in persona del l. r. p.t. le somme da quest'ultima versate a titolo di interessi, CMS e valuta non dovuti, nella somma da determinarsi nel proseguo del giudizio; riserva alla sentenza definitiva la regolamentazione delle spese del giudizio. Così deciso in Macerata, 26 settembre 2017. Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MACERATA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, in persona del dott. Andrea Enrico Polimeni, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa civile iscritta al n. 1318 del Ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2008, trattenuta in decisione all'udienza del 18 aprile 2016 e vertente tra (...) S.r.l. (p. iva (...)), rappresentata e difesa dagli avv. Em.Ar. Attrice Banca (...) S.p.A., rappresentata e difesa da (...) CONVENUTA OGGETTO: contratti bancari - anatocisino - commissione di massimo scopertousura. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) S.r.l. ha convenuto in giudizio Banca (...) S.p.A. (d'ora innanzi, breviter, (...) e, premesso: - di aver acceso presso la filiale di Macerata il conto corrente bancario n. (...) datato 31.3.1980; - che, come risultante dai relativi estratti, nel corso del 1991, era stato attivato anche il conto s.b.f. n. (...) regolato sul predetto conto corrente; - che il saggio di interesse e le altre condizioni del conto corrente di corrispondenza erano disciplinate mediante rinvio alle condizioni abitualmente praticate su piazza (...) la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; - che la (...) aveva addebitato ulteriori oneri, invero non dovuti, a titolo di commissione di massimo scoperto, per spese di tenuta del conto e per valute; ha formulato coerenti conclusioni chiedendo, in particolare, la condanna della convenuta Banca alla restituzione della somma di Euro 177.302,53 o di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia oltre interessi e rivalutazione monetaria nonché al risarcimento del danno per non aver potuto disporre di maggiori risorse finanziarie nell'esercizio dell'attività commerciale pari a complessivi Euro 50.000,00 o da liquidarsi in via equitativa. Costituitasi in giudizio, (...), ha contrastato l'avversa pretesa chiedendone il rigetto. Istruita in via documentale nonché tramite C.T.U. contabile, la causa è ritenuta in decisione sulle conclusioni precisate dai procuratori delle parti all'udienza del 18 aprile 2016. Ai fini della corretta soluzione della controversia, trattandosi di questioni preliminari di merito, devono in primo luogo essere esaminate e risolte le eccezioni di decadenza dall'azione per mancata contestazione degli estratti di conto corrente ex art. 1832 c.c. e di prescrizione, quinquennale ex art. 2948 n. 4) c.c. e, in subordine, decennale ordinaria, del diritto alla ripetizione dell'indebito, tempestivamente sollevate dalla (...). In questa ottica, va premesso che l'azione tendente a far valere la nullità della clausola di mero rinvio agli usi, senza pattuizione scritta, in ordine alla misura dell'interesse passivo e della commissione di massimo scoperto, applicabili al rapporto bancario, e della clausola che prevede l'anatocismo ira relazione alle suddette voci, è imprescrittibile ai sensi dell'art. 1422 c.c., mentre tutt'altra questione è quella relativa alla prescrizione della conseguente azione di ripetizione di ciò che è stato prestato in adempimento della clausola nulla, come chiaramente emerge dallo stesso disposto dell'art. 1422 appena citato. Ciò posto, quanto alla eccezione di decadenza, deve osservarsi che la declaratoria di illegittimità non c inibita dalla mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conto in pendenza di rapporto; infatti, è noto che la mancata tempestiva contestazione dell'estratto conto trasmesso da una banca al cliente rende inoppugnabili gli addebiti soltanto sotto il profilo meramente contabile, ma non sotto i profili della validità e dell'efficacia dei rapporti obbligatori dai quali le partite inserite nel conto traggono fondamento: in tal caso, infatti, l'impugnabilità investe direttamente il titolo ed è regolata dalle norme generali sui contratti (efr, Cass. n. 1.2507/1999; Cass. n. 1978/1996; Trib. Genova sent. 5.5.2002; C. App., Lecce n. 598/2001); in altri termini, la sopravvenuta incontestabilità delle risultanze dell'estratto di conto corrente, derivante dall'art. 1832 c.c., riguarda le partite a debito ed a credito annotate in conto solamente sul piano della loro realtà materiale e non anche sul piano giuridico sostanziale, in relazione alla validità dell'atto e del contratto da cui esse derivano. Quanto, poi, alla sollevata eccezione di prescrizione del credito, deve in primo luogo senz'altro ritenersi che il termine sia quello ordinario decennale (art. 2946 c.c.), e non quinquennale, non potendosi fare riferimento, infatti, né alla prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno, trattandosi di obbligazione derivante dalla legge (2033 c.c.), e non da obbligazione ex delicto, né al termine eli cinque anni previsto dall'art. 2948, n. 4), c.c., che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano annualmente o in termini più brevi, e non la diversa domanda di restituzione di parte degli stessi in quanto indebitamente corrisposti. Per altro verso, in generale si osserva che la giurisprudenza di legittimità ormai unanime afferma che il termine di decorrenza della prescrizione va individuato in via generale nel momento in cui il contratto bancario in conto corrente viene risolto (Cass. S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418). Tale impostazione è condivisa dal giudicante, atteso che non possono trovare applicazione le norme e i principi di fondo che presiedono al contratto di conto corrente disciplinato dagli artt. 1823 e ss. c.c., sia perché quest'ultimo rappresenta uno specifico negozio giuridico e non una modalità operativa di gestione del contratto di deposito o di apertura di credito, sia perché l'art. 1857 richiama soltanto e nominativamente gli artt. 1826, 1829 e 1832 c.c., escludendo pertanto l'operatività degli artt. 1823 e 1831 c.c. Il rapporto (di deposito, di apertura di credito ecc.) è evidentemente unitario e l'azione di ripetizione di indebito si prescrive decorsi dieci anni dalla cessazione dello stesso, id est successivamente allo scioglimento del contratto. La chiusura del conto annuale è meramente contabile e non determina, differentemente da quanto accade nel contratto di conto corrente, un rinnovo del contratto (tfr. art. 18232 c.c., non richiamato dall'art. 1857 c.c.). La rimessa non ha la funzione di estinguere l'obbligazione debitoria, ma nell'ambito del rapporto di conto corrente di corrispondenza ha l'effetto del tutto diverso (fatte salve le rimesse a dimostrata valenza solutoria: extra - fido o in assenza di affidamento) di modificare la quantità di moneta di cui il correntista può, ex art. 1852 c.c., (disporre in qualsiasi momento). Nella specie, poiché la Banca non ha contestato che il conto fosse affidato, sarebbe stato suo onere indicare specificamente e provare le rimesse ritenute solutorie, distinguendole da quelle ripristinatone, onere nella presente sede in alcun modo soddisfatto, donde l'infondatezza dell'eccezione. Con riguardo alla illegittima applicazione di un saggio di interesse ultralegale in quanto non convenuto per iscritto, deve ribadirsi che, nella specie, nel contratto di conto corrente, stipulato nel 1980, non risulta essere stato pattuito un interesse debitorio ultralegale in misura predeterminata per iscritto, come in seguito meglio illustrato. Ciò posto, l'art. 1284, commi 2 e 3, c.c. stabilisce: "Allo stesso saggio (legale, come determinato in base al comma 1) si computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno determinato la misura. Gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale". La Legge n. 154/1992 (artt. 2 - 3 - 4 - 5 - 6), prima, ed il TU. bancario n. 385 del 1993 (artt. 116, 117 e 118), poi, hanno introdotto obblighi generali di pubblicità e di pattuizione scritta delle condizioni contrattuali in materia bancaria e finanziaria, sancendo la nullità delle clausole di mero rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticati, nonché delle clausole che prevedono tassi, prezzi, condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati, con un meccanismo di integrazione ex lege (art. 117, comma 7) della clausola nulla, e stabilendo anche la necessità di comunicazioni specifiche (nei modi e termini stabiliti dal C.I.C.R.) al cliente - nei contratti di durata in cui sia stato convenuto, in una apposita clausola contrattuale, specificamente sottoscritta dal cliente, l'esercizio, da parte della banca, dello ius variandi dei tassi, dei prezzi e delle altre condizioni - delle variazioni a cui sfavorevoli, con diritto di recesso del medesimo cliente (art. 118 nel testo originariamente vigente). Lo ius variandi è stato comunque introdotto legislativamente solo con l'art. 4 L. n. 154/1992 (mentre prima vi era solo di disposto di cui all'art. 1284 c.c.). È stata quindi, con detta normativa, definitivamente sancita la nullità delle clausole determinative per relationem la misura degli interessi ultralegali. Secondo l'orientamento oggi prevalente, la convenzione relativa agli interessi (nel regime anteriore alla Legge n. 154/1992) deve ritenersi correttamente stipulata, ex art. 1284 c.c., solo quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri, anche estrinseci rispetto al documento negoziale, univoci ed oggettivamente indicati, essendo nulla la clausola contenente un generico riferimento "alle condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza", ove non coordinata all'esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari che garantiscano, sin dall'atto della costituzione del rapporto, la totale assenza di discrezionalità nell'apprensione ed utilizzo del dato, vale a dire a misura del saggio (cfr. Cass. 12222/2003, 5675/2001, 9465/2000, 6247/1998, 11042/1997, 10657/1996). La stessa Corte, peraltro, ha ritenuto rilevante la presenza di accordi di cartelli interbancari osservando che: "In tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della disciplina dettata dalla legge sulla trasparenza bancaria 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfusa nel testo unico 1 settembre 1993, n. 385, la clausola che, per la pattuizione di interessi dovuti dalla clientela in misura superiore a quella legale, si l'uniti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazzia, è priva del carattere della sufficiente univocità, e non può quindi giustificare la pretesa della banca al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale; né rileva la presenza di accordi di cartello interbancari, diretti a fissare i tassi di interesse attivi e passivi in modo vincolante in ambito nazionale, atteso che tali accordi, se garantiscono l'obiettività del criterio di determinazione del tasso di interesse, debbono tuttavia ritenersi nulli in applicazione dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 - applicabile nei confronti delle aziende ed istituti di credito ai sensi del successivo art. 20 -, che vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ricomprendendo espressamente ira tali intese quelle che detto risultato perseguano o determinino attraverso attività consistenti nel fissare, direttamente o indirettamente, prezzi di acquisto o di vendita dei rispettivi prodotti" (Cass. n. 4490/2002). Risultano quindi nulle, relativamente ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della Legge n. 154/1992, sia le clausole che non prevedono una specifica pattuizione scritta del tasso degli interessi, ma un generico rinvio agli usi di piazza, sia le clausole legittimanti l'esercizio da parte della banca di uno ius variandi inpeius, rispetto al correntista, senza criteri di sufficiente, oggettiva e certa determinabilità del tasso poi applicato al rapporto. Alla declaratoria di nullità della clausola consegue quindi l'applicazione, per i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della Legge n. 154/1992 o del T.U. 385/1993, del tasso legale ex art. 1284 c.c. ovvero del tasso legale sino all'entrata in vigore della Legge n. 154/1992 e successivamente del tasso di sostituzione, previsto dall'art. 5 della Legge n. 154/1992 e dall'art. 117, comma 7, T.U.B. n. 385/1993. Detta normativa, avendo carattere innovativo e non interpretativo, è da ritenersi insuscettibile di applicazione (con riguardo anche al meccanismo di integrazione ex lege delle clausole nulle, ivi contemplato) ai contratd stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore (art. 161 comma 6 T.U.B. n. 385/1993 in base al quale "i contratti già conclusi... restano regolati dalle norme anteriori"). La Corte di cassazione è intervenuta in diverse pronunce sulla problematica relativa alle clausole di mero rinvio agli usi di piazza, contenute nei contratti stipulati antecedentemente alla Legge n. 154/1992 ed al T.U.B. n. 385/1993 ed ancora in essere. All'art. 7 delle norme generali regolanti il rapporto, riportate nel contratto, come già osservato, era infatti previsto che "gli interessi dovuti dal Correntista alla Cassa, salvo patto diverso, si intendono determinati alle condizioni praticate usualmente dalle Agende di Credito sulla pianga, e producono a loro volta interessi nella stessa misura". Secondo alcuni peraltro si può applicare la nuova disciplina e quindi il tasso previsto dall'art. 5 della L. 154/1992 e dall'arti 17, comma 7, T.U.B. n. 385/1993 per "le obbligazioni sorte in epoca successiva" anche se il contratto sia stato stipulato prima della entrata in vigore di tali norme ma il rapporto non sia ancora esaurito. Parte convenuta ha altresì dedotto che, invero, i tassi di interesse fossero regolati non mediante il rinvio al c.d. "uso piazza" ma agli accordi interbancari. Tuttavia, ancorché nella presente fattispecie per predicare la nullità dell'accordo interbancario non sarebbe invocabile la disciplina di cui alla sopra richiamata legge 10 ottobre 1990, n. 287, in quanto il contratto è anteriore alla sua entrata in vigore, resta in ogni caso il fatto che il contenuto di tali accordi interbancari non è stato in alcun modo allegato e quindi tantomeno provato, di talché risulta comunque impossibile procedete alla verifica del rispetto dei requisiti di determinatezza e determinabilità (gli accordi interbancari non sono evidentemente fonte del diritto oggettivo, donde non può applicarsi il principio iura novit curia). Il rinvio agli accordi interbancari, peraltro, è da considerarsi sufficiente solo ove esistano vincolanti discipline del saggio fissate su scala nazionale con accordi di cartello e non già ove tali accordi contengano diverse apologie di tassi o, addirittura, non costituiscano più un parametro centralizzato e vincolante, essendo, in quest'ultimo caso, necessario accertare in concreto il grado di univocità della fonte richiamata, per stabilire a quale previsione le paia abbiano potuto effettivamente riferirsi (Cass. n. 6187/2005, Cass. 29 luglio 2009 n. 17679; Cass. 2 febbraio 2007 n. 2317; Cass. 25 maggio 2005 n. 4095). D'altra parte, non può farsi a meno di rilevare l'equivocità del testo contrattuale là dove, nel frontespizio, al fine di regolare il conto corrente, allo stesso tempo, per un verso, si rinvia all'accordo interbancario e, per altro verso, alle "norme generali riportate a tergo della presente" tra le quali, appunto, compare quella dettata dall'art. 7 citato. Per altro verso, alla luce della rilevata nullità della clausola previdente lo ius variandi (nella specie contenuta nell'art. 16 delle condizioni generali di contratto, ma comunque nemmeno specificamente approvata per iscritto), non assume in ogni caso rilievo che a partire dal 1992 negli estratti di conto risultassero le variazioni dei tassi e delle condizioni. Quanto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, va in primo luogo rilevato che il contratto di apertura del conto corrente risale al 1980 e che nell'art. 7 delle "Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi" è stabilito "I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente (...)", così disciplinandosi la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e la correlativa produzione sugli stessi di interessi anatocistici. Orbene, detta clausola è nulla, non potendo che ribadirsi l'indirizzo della Suprema Corte (Cass. 30 marzo 1999 n. 3096, Cass. 16 marzo 1999 n. 2374 e Cass, S.U. 4 novembre 2004 n. 21095) che ha sancito detta invalidità per violazione dell'art. 1283 c.c., stante l'inesistenza di un uso normativo in tal senso anteriormente al 1942. A nulla rileva poi la giurisprudenza anteriore al 1999, che aveva affermato il contrario (ma ormai superato) principio dell'esistenza di un uso normativo legittimante l'anatocismo trimestrale degli interessi debitori. La Suprema Corte, infatti, ha da tempo escluso che un orientamento giurisprudenziale possa di per sé consolidare un uso normativo in tal senso, "dato che la funzione detta giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta né ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione "medio tempore" di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata" (Cass. S.U. 4 novembre 2004 n. 21095). Peraltro, non potrebbe nemmeno richiamarsi il disposto degli artt. 1823 e ss. c.c. per sostenere la validità della clausola anatocistica in esame, come pure sostenuto dalla banca. Ed invero, deve osservarsi come si tratti di norme del solo contratto di conto corrente ordinario ex art. 1823 c.c., non applicabili alle "operazioni bancarie in conto corrente" se non per gli artt. 1826, 1829 e 1832 c.c., ininfluenti sull'istituto dell'anatocismo (Cass. 22 marzo 2005 n. 6187). Pertanto, alla stregua di quanto osservato, non è possibile discostarsi dal più recente orientamento della Suprema Corte che reputa nulle le clausole disciplinanti l'anatocismo trimestrale degli interessi debitori. A tal proposito si deve osservare che l'art. 120 cpv. T.U. bancario, introdotto dall'art. 252 del D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 ha previsto che il C.I.C.R. stabilisse "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". Con ciò è stata introdotta nell'ordinamento una norma di rango primario, evidentemente in deroga all'art. 1283 c.c., che consente l'anatocismo nei limiti e secondo le modalità previste dalla fonte secondaria autorizzata (deliberazione del C.I.C.R.) e alla condizione della pari periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori quando si tratti di operazioni in conto corrente. Al riguardo, l'art. 7 della delibera C.T.C.R. 9 febbraio 2000 ha previsto in via transitoria, per i contratti anteriori tuttora pendenti, che "2 Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30/6/00, possono provvedere all'adeguamento, in via generale., mediante pubblicatone nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30/12/00. 3 Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela". Nella specie, la banca ha pubblicato in G.U. la comunicazione della variazione (chiusura trimestrale dei conti debitori e creditori) (doc. 8), ottemperando quindi a quanto previsto dal comma 2 dell'art. 7 della delibera del C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, tuttavia è lecito dubitare che ciò sia sufficiente a fare salva la possibilità di capitalizzare trimestralmente gli interessi. Infatti, rispetto a un rapporto bancario in cui al cliente non possono essere addebitati interessi su interessi, l'introduzione del meccanismo di capitalizzazione, sia pure su base di pari periodicità, ma con disparità nei tassi creditori e debitori, rappresenta un sicuro peggioramento delle condizioni contrattuali ed esige quindi la specifica approvazione per iscritto (art. 7.3.) come previsto in via generale dall'art. 6 delibera C.I.C.R. 9.2.2000 per i nuovi contratti (cfr. ad es. Trib. Mantova 12.7.2008 e Trib. Mondovì 17.2.2009). È stato d'altra parte acutamente osservato (Trib. Mondovì) che "l'art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 conteneva tre commi: il primo modificava la rubrica dell'art. 120 del T.U. bancario; il secondo introduceva un nuovo comma due al suddetto articolo, che demandava al C.I.C.R. du stabilire - con con norma sostanziale - modalità e criteri per la produzione di interessi; il terzo comma conteneva una norma transitoria volta a riconoscere validità alle vecchie clausole anatocistiche ed a disciplinare le modalità attraverso le quali si poteva "confermare. "tale validità anche per il futuro. Demandando ad un atto di normazione secondaria (la delibera C.I.C.R.) il potere di incidere sulla disciplina dell'anatocismo, il D.Lgs. n. 342 del 1999, assumeva la natura di norma sub - delegante e conferiva al regolamento una forza pari alla legge ordinaria; solo così era possibile che una fonte regolamentare potesse derogare alla normativa codicistica dell'anatocismo, che, altrimenti, quale fonte sovraordinata, avrebbe prevalso. Aia ciò significa anche che la delibera C.I.C.R. pub derogare alla legge (in questo caso al codice civile) solo nei limiti in cui sia emanata in conformità ed in esecuzione di una valida nonna con forza primaria. A questo punto si deve richiamare il doppio contenuto dell'art. 25 o, se vogliamo, la doppia delega: da un lato l'art. 25 (al comma due, divenuto il nuovo secondo comma dell'art. 120 del T.U. bancario) conferiva alla delibera un potere sostanziale di disciplina di modalità e criteri per la produzione di interessi, che non poteva avere efficacia retroattiva, ai sensi dell'art. 11 preleggi; dall'altro, l'art. 25 (al comma tre) sanciva la validità delle vecchie clausole anatocistiche e disponeva che esse potessero mantenere efficacia anche per il futuro, ma a condizione che venissero adeguate alle nuove disposizioni. Il C.I.C.R. era delegato a stabilire modalità e tempi dell'adeguamento". Sennonché, come e noto, il terzo comma dell'art. 25 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo (Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425) ed è con ciò caduto anche il fondamento di legittimità della normativa transitoria secondaria e, per quanto interessa in questa sede, la possibilità di qualificare la capitalizzazione trimestrale con pari periodicità come "modifica non peggiorativa" suscettibile di adozione per il tramite di una semplice pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 al comma 3 dell'art. 25 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 425 del 9-17 ottobre 2000. La delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000, adottata prima della pronunzia c della censura della Corte Costituzionale, regola tutti i commi dell'art. 25 del citato D. Lgs. 342/1999, incluso quella dichiarato incostituzionale dalla Consulta. È doveroso rilevare che l'art. 7 ("Disposizioni transitorie") si riferisce inequivocabilmente all'abrogato comma 3 della citata norma. Intatti, al comma 1 dell'art. 7 si stabilisce: "Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 10 luglio". E evidente che, quando ivi menziona condizioni contrattuali stipulate prima dell'entrata in vigore della delibera, il C.I.C.R. considera tali pattuizioni come valide in forza di quanto retroattivamente disposto dal comma dichiarato incostituzionale. Ma, una volta impedita la validazione delle clausole anatocistiche, la nullità travolge le "condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera". Perché si possa passare da un regime di divieto dell'anatocismo ad un regime in cui questo è consentito occorre stipulare una apposita convenzione scritta, rispettosa dei dettami contenuti nel comma 2 dell'art. 25 D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342 trasfuso nell'art. 1202, D.Lgs. n. 385/93 e gli art. 2 e 6 della più volte citata delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 Tribunale Piacenza, 27.10.2014; Tribunale Torino, 20.6.2014; Tribunale Taranto). Una volta dichiarata la nullità di tale clausola, si pone il problema di stabilire, se nel ricalcolo dei rapporti dare avere tra correntista e banca, debba farsi luogo alla capitalizzazione annuale ovvero non debba applicarsi alcuna capitalizzazione degli interessi. Ad avviso del Tribunale, sulla scorta dell'indirizzo giurisprudenziale espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 24418/2010, che ha risolto un contrasto, alla nullità dell'anatocismo trimestrale non è possibile supplire con nessuna altra tipologia di capitalizzazione, neppure annuale: "L'articolo 1283 c.c., norma imperativa ed eccezionale rispetto anche al successivo articolo 1284 c.c., che individua nell'anno il termine di scadenza e obbligazione di interessi, enuncia, a chiare lettere, l'illegittimità di qualunque calcolo di interesse sugli interessi (tanto trimestrale quanto annuale) al di fuori le specifiche tassative ipotesi ivi previste che, nel caso in esame, non ricorrano. Ne discende che gli interessi che possono legittimamente essere applicati dalla banca opposta sono quelli semplici, calcolati cioè esclusivamente sul capitale" (cfr., Trib. di Bari - Sezione distaccata di Monopoli, est. De., 17.11.2011). In ordine, poi, alla eccezione relativa alla mancata pattuizione della commissione di massimo scoperto, deve osservarsi che nel contratto in atti l'art. 7 si limitava alla seguente generica statuizione "I rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale a fine dicembre di ogni anno, portando in conto gli interessi e le commissioni nella misura stabilita, ...". La commissione di massimo scoperto non veniva determinata nel suo preciso ammontare né venivano individuati gli specifici parametri per il suo calcolo, donde la nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità. Identica valutazione deve essere condotta con riguardo alle spese. Ciò posto, in ordine alle conseguenti domande di restituzione delle somme indebitamente versate a titolo di interessi ultralegali e anatocistici, di commissione di massimo scoperto e di spese, deve in primo luogo rilevarsi che, come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza, nel caso in cui sia il correntista ad agire in giudizio per la ripetizione di indebito, incombe sullo stesso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2967, comma 1, c.c., l'onere di allegare i fatti posti a base della domanda, ossia dimostrare l'esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa, rispetto alle quali l'applicazione delle stesse avrebbe determinato esborsi maggiori rispetto a quelli dovuti a fronte della nullità riscontrate. Il correntista, dovrà produrre il contratto di conto corrente, gli estratti conto relativi a tutto il rapporto contrattuale e, nel caso in cui non provveda in tal ultimo senso, la ricostruzione del rapporto di dare - avere sarà circoscritta al periodo in relazione al quale risultano prodotti gli estratti. La ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti deve essere quindi effettuata in base alle produzioni dell'attrice, la quale, peraltro, ha formulato una istanza ex art. 210 c.p.c., volta alla esibizione di tutti gli estratti di conto corrente, tuttavia inammissibile, non essendo supportata dalla dimostrazione di averne in precedenza fatta richiesta alla (...) ex art. 119 T.U.B. Da quanto sin qui esposto deriva che, una volta dichiarata la nullità del contratto di apertura di conto corrente n. 4358 del 31 marzo 1980 nella parte in cui è prevista la determinazione dei tassi di interessi con rinvio all'"accordo interbancario" e "alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di credito su piazza", la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, la commissione di massimo scoperto e le spese, per decidere sulle conseguenti domande di restituzione, e dunque per determinare l'effettivo ammontare degli interessi ultralegali ex artt. 1284 c.c. c. 117, co. 7, T.U.B. c anatocistici, delle commissioni di massimo scoperto e delle spese addebitati negli estratti di conto corrente o dai conti scalari versati in atti dall'attrice, è necessario effettuare le operazioni di ricalcolo a decorrere dall'estratto di c/c o dal conto scalare più risalente prodotto in atti, prendendo a riferimento il saldo ivi risultante e, là dove la documentazione in atti sia lacunosa per periodi intermedi, procedendo al calcolo per blocchi, considerando come saldo iniziale quello risultante dal successivo estratto o conto scalare da cui riprende la serie storica, in quanto, essendo il correntista ad agire per la ripetizione, sullo stesso grava l'onere di dimostrare che il saldo da cui riprende la serie sia l'effetto di addebiti illegittimi e quindi, prima ancora, l'onere di dimostrare gli addebiti medesimi. Conseguentemente, le lacune non possono che andare a discapito di parte attrice senza comportare, nei suoi confronti, alcun tipo di vantaggio nella ricostruzione contabile del rapporto. In definitiva, posto che nella specie parte attrice non ha versato in atti l'intera serie storica degli estratti di conto corrente o dei conti scalari e che comunque la documentazione prodotta, in ogni caso proveniente dalla Banca, non è stata oggetto di contestazione, atteso che il CTU ha correttamente proceduto nell'analisi contabile per blocchi, le risultanze peritali sono senz'altro utilizzabili nella presente sede decisoria. Il CTU, dott. (...), previa eliminazione delle spese e delle commissioni non validamente pattuite, ha provveduto a riliquidare gli interessi attivi e passivi applicando il tasso legale fino al secondo trimestre del 1992 ed ex art. 117, co. 7, T.U.B. per il periodo successivo in relazione al conto n. (...) e al conto s.b.f. n. (...) sul primo regolato, arrivando a determinare in complessivi Euro 197.308,86 le somme illegittimamente addebitate dalla (...). Quanto alla dedotta usurarietà, la questione è evidentemente superata dallo storno delle poste imputate a titolo di commissione di massimo scoperto: è certo, assumendo qualsivogiia dei criteri proposti dal C.T.U., che i tassi applicati (esclusa evidentemente la C.M.S.) si mantengono al di sotto del tasso soglia; tanto più che nella fattispecie non si tratterebbe comunque di usurarietà pattizia originaria ma di quella (cosiddetta) sopravvenuta, che non comporterebbe le conseguenze di cui all'art. 18152 c.c. ma la sola riconduzione nei limiti del tasso soglia. Con riguardo, infine, alla domanda di risarcimento del danno, la stessa è da respingere in quanto, non solo dedotta genericamente ma anche del tutto sfornita di prova atteso che nemmeno risultano prodotti i bilanci, dall'esame dei quali, a detta dell'attrice (pag. 20 citazione), sarebbero stati agevolmente rinvenibili gli elementi che avrebbero provato un simile danno alla luce della redditività dell'impresa. Né alla carenza allegatoria e probatoria potrebbe sopperirsi con l'invocata CTU, che, infatti, assumerebbe connotati meramente esplorativi, o attraverso la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. la quale presuppone comunque la prova dell'an e l'impossibilità di provare il danno nel suo preciso ammontare ("L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c. presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa" ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente dispone nonostante la riconosciuta difficoltà, si da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa detenni nazione del danno stesso", così Cass. 8 gennaio 2016 n. 127). Le spese di lite, stante la parziale soccombenza di parte attrice, devono essere dichiarate compensate per un quarto, mentre per i residui tre quarti, come liquidati in dispositivo, devono essere poste a carico di parte convenuta. Le spese di CTU, come liquidate in corso causa, devono invece essere definitivamente poste a carico di parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa civile recante n. 1318/2008 R.G., disattesa ogni altra domanda, eccezione e difesa, così decide: 1) accerta e dichiara la nullità del contratto di apertura di conto corrente del 31 marzo 1980 n. 4358 acceso presso la fidale di Macerata della (...) S.p.A. nella parte in cui è prevista: la determinazione dei tassi di interessi con rinvio all'"accordo interbancario" e "alle condizioni praticate usualmente dalle Aziende di Credito sulla piazza", la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori; la commissione di massimo scoperto e le spese; 2) rigetta le eccezioni di prescrizione e di decadenza sollevate dalla parte convenuta; 3) condanna parte convenuta al pagamento in favore dell'attrice della complessiva somma di Euro 197.308,86 oltre ad interessi e rivalutazione a far data dalla domanda; 4) rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta dall'attrice; 5) compensa per un quanto le spese di lite e condanna parte convenuta alla rifusione in favore dell'attrice dei residui tre quarti liquidati in Euro 388,07 per esborsi e in Euro 10.072,50 per compensi oltre al 15% per rimborso forfetario spese generali, IVA e CPA come per legge 6) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU come liquidate in corso di causa. Così deciso in Macerata il 2 novembre 2016. Depositata in Cancelleria il 2 novembre 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale civile di Macerata, in composizione monocratica, nella persona del giudice onorario (...) ha pronunciato ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 2445/2015 del Ruolo Generale degli affari contenziosi civili promosso da (...) e (...), rappresentati e difesi dall'Avv. (...) ATTORI Contro: CONDOMINIO (...) CONVENUTO CONTUMACE (...) rappresentata e difesa dall'Avv. (...) PREMESSO La presente sentenza viene redatta tenendo conto del disposto di cui al n. 4) dell'art. 132, 2 comma c.p.c. (è stato soppresso il riferimento allo "svolgimento del processo" stabilendosi che la sentenza deve contenere solo la "concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisone"), come sostituito ex art. 45, 17 comma L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009 ma applicabile, ex art. 58, 2 comma L. 69/09 cit., anche ai giudizi pendenti in primo grado a tale data. Con atto di citazione, ritualmente notificato il 26 giugno 2015, i signori (...) citavano in giudizio, dinanzi all'intestata autorità giudiziaria, il Condominio di Via (...), per ivi sentire dichiarare invalida, nulla e/o annullabile la delibera del 20 maggio 2015 per violazione del combinato disposto dell'art. 67, disp., att. e 1106, Codice Civile, ovvero in subordine, dichiarare invalida, nulla e/o annullabile la delibera del 20 maggio 2015, relativamente al punto 2 e 3 posti all'ordine del giorno, per mancato raggiungimento del quorum millesimale di cui all'art. 1136, comma quarto, Codice Civile. Con vittoria di spese competenze e onorari. Deducevano gli attori l'irregolare costituzione e svolgimento della riunione impugnata del 20 maggio 2015, per illegittima partecipazione alla stessa da parte del Sig. (...) poiché intervenuto a loro insaputa, senza una valida designazione ex art. 67, disp. att., e 1106, cod. civ., da parte degli attori stessi quali appunto comproprietari dell'appartamento interno 1 di (...). Lamentavano quindi gli attori la lesione del loro diritto di partecipazione all'assemblea stessa. In via subordinata poi, invocavano l'annullabilità e/o la nullità della delibera del 20 maggio 2015, relativamente al punto 2 (nomina amministratore) e 3 (redazione del regolamento di condominio e dotazione dei criteri di valutazione e ripartizione spese), per mancato raggiungimento del quorum millesimale a mente dell'art. 1136, c. VI, cod. civ. Nessuno si costituiva per il Condominio convenuto di (...) che veniva dichiarato contumace. Interveniva volontariamente la condomina Dott.ssa (...) richiedendo, in via preliminare, la riunione del presente procedimento con gli altri giudizi promossi dagli attori nei confronti del Condominio di (...), ed eccependo la tardività dell'impugnazione per asserito mancato rispetto del termine di 30 giorni ai sensi dell'art. 1137 cod. civ. In via principale e nel merito, insisteva per il rigetto della domanda poiché ritenuta infondata in fatto e diritto. In via più gradata, in ipotesi di accoglimento della domanda attrice, chiedeva di essere tenuta indenne da ogni conseguenza pregiudizievole. Con vittoria o compensazione delle spese di lite. Alla prima udienza, dichiarata la contumacia del Condominio convenuto, questo Giudice rigettava l'istanza di riunione del presente giudizio a quelli ulteriori promossi dagli attori nei confronti dello stesso convenuto motivandola sulla diversità dell'oggetto (petitum) e per le differenti ragioni (causa petendi) che hanno ispirato l'introduzione dei suddetti giudizi. Veniva acquisita la documentazione e, ritenuta matura per la decisione, la causa veniva rinviata all'udienza odierna per la discussione orale e decisione ex art. 281 sexies c.p.c., assegnando termine per il deposito delle comparse conclusionali. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO La domanda attorea risulta essere fondata e provata e quindi merita di essere accolta. Va ricordato in primo luogo che il novellato art. 67, disp. att., del cod. civ., dispone che qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, che è designato dai comproprietari interessati a norma dell'articolo 1106 del codice", ossia dalla maggioranza di loro secondo il valore delle rispettive quote. Ciò comporta che il rappresentante della comunione non può essere più eletto dal presidente dell'assemblea in mancanza di un accordo, ma deve essere necessariamente eletto dalla maggioranza della comunione ed in mancanza di un accordo dinanzi al Giudice in sede di volontaria giurisdizione. L'elezione da parte della maggioranza garantisce a ciascun comproprietario di partecipare a mezzo di rappresentante legittimamente designato. Formalmente, tra l'altro, la designazione deve avvenire ed essere accreditata con delibera assembleare secondo i modi e la procedura prevista dall'art. 1106 cod. civ., ossia deve essere adottata in via deliberativa e con le maggioranze qui contemplate. Pertanto la violazione dell'art. 1106 c.c. e dell'art. 67, dd. aa., cod. civ., determina la lesione del diritto di partecipare e un conseguente vizio nella costituzione dell'assemblea e nel corretto svolgimento della stessa. In giudizio è emerso, attraverso prova documentale, che (...) comproprietario dell'appartamento int. 1 abbia partecipato alla riunione del 20 maggio 2015, senza una valida designazione da parte degli altri due comproprietari ovvero in mancanza senza nomina da parte dell'autorità giudiziaria, in sede di volontaria giurisdizione e ciò ha comportato una palese violazione del diritto a partecipare all'assemblea del 20 maggio 2015, con conseguente invalidità dell'assemblea e delle decisioni assunte. Aggiungasi poi che, seppur si dovesse escludere dal computo del voto collegialmente manifestato dall'assemblea quello espresso dal (...) per le ragioni sopra dette, emerge che la delibera è invalida anche relativamente ai punti 2 e 3 dell'ordine del giorno. In ordine al punto 2 all'assemblea del 20 maggio 2015, hanno partecipato i titolari di due appartamenti, su cinque, rappresentativi di un valore catastale, considerato che non vi sono tabelle millesimali, pari a Euro 735,95, su un totale di Euro 1.781,78, in spregio a quanto previsto dall'art. 1136 comma 2, che sia per la valida nomina dell'amministratore (punto 2) che per la redazione del regolamento di condominio, delle tabelle millesimali e dei criteri di riparto delle spese (punto 3 e 4) richiede la maggioranza degli intervenuti che debbono rappresentare almeno la metà del valore degli appartamenti. Nel caso in oggetto non si è assolutamente raggiunto questo secondo quorum che sarebbe appunto equivalente a Euro 890,89. Questo quorum non si raggiunge neppure a voler addizionare al valore dei due appartamenti (Euro 735,95) validamente presenti, quello, pari ad un terzo della rendita catastale dell'appartamento int. 1 ((Euro 348,61: 3 = 116,20), facente capo al solo BJBH0 Difatti, sommando la rendita catastale rappresentata dagli altri due appartamenti, pari a Euro 735, 95, la quota parte del (...) appunto a Euro 116,20, si raggiunge il valore di Euro 852,15. Inferiore, dunque, al valore catastale della metà più uno di tutti gli appartamenti che, come si è appena detto, corrisponde a Euro 890,89. Va rigettata poi l'eccezione sollevata dall'intervenuta di tardività dell'impugnativa per preteso mancato rispetto del termine di trenta giorni di cui all'art. 1137 cod. civ. atteso che gli attori, assenti alla assemblea, hanno ricevuto la raccomandata contenente il verbale dell'assemblea del 20 maggio 2015, rispettivamente il 29 maggio 2015 e il 01 giugno 2015, come provato dal tracciato storico della raccomandata n. (...), e della raccomandata n. (...), e hanno ritualmente notificato l'impugnativa al Condominio convenuto il 26 giugno 2016, nel rispetto del termine dei trenta giorni previsto dall'art. 1137 cod. civ.. Si rigetta altresì l'eccezione di tardivo espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione ex lege 98/2013 e assenza di volontà ad accordarsi da parte degli attori tenuto conto che il condominio non ha mai partecipato a nessuno dei tentativi obbligatori di mediazione avviati dagli attori. Alcuna responsabilità si ravvisa poi in capo al (...) per non aver informato preventivamente gli altri condomini di essere privo di regolare designazione da parte degli altri due comproprietari, in quanto era onere dell'amministratore conoscere dell'esistenza di comproprietari e quindi di controllare la validità delle presenze e delle deleghe, prima di procedere all'apertura dell'assemblea. Per tutte queste ragioni la domanda va accolta, le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo. Per quanto riguarda la regolamentazione delle spese tra parte attrice e intervenuta, l'evidente interesse dell'intervenuta ad intervenire nella causa, nonostante l'accoglimento della domanda attorea giustifica la compensazione integrale tra le stesse parti delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, disattesa ogni diversa domanda, istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: - accoglie la domanda di parte attrice e per l'effetto annulla la delibera assembleare assunta il 20 maggio 2015; - condanna il Condominio (...) in persona dell'amministratore pro tempore, al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.000,00 oltre rimborso forfetario in misura del 15%, CAP e IVA come per legge. - compensa integralmente le spese di lite tra parte attrice e (...). Così deciso in Macerata il 16 settembre 2016. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE DI MACERATA - SEZIONE LAVORO - Il Giudice Onorario di Tribunale dott. Angelo Caldarello, in funzione di Giudice del Lavoro, nella pubblica udienza del 18/07/2016 ha pronunciato, mediante lettura del solo dispositivo la seguente: SENTENZA nella controversia con Rg. 402 /2014 in materia di lavoro, promossa da CA.SI. rappresentato e difeso dagli Avv.t.i Sa.Tr., St.Tr., e Ma.Ro. giusta procura a margine del ricorso ed elettivamente domiciliato in MACERATA c/o Avv. CI.AR. RICORRENTE CONTRO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI -DIREZIONE TERRITORIALE DEL LAVORO DI MACERATA in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dal Direttore pro tempore Dr Pi.Ra. ex lege elettivamente domiciliato in Macerata; Istituto Nazionale della Previdenza Sociale in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall'Avv. Va.Sa. nonché dell'Avv. It.Pi. in virtù di procura alle liti per atto Notaio ed elettivamente domiciliato in Macerata; RESISTENTI Conclusioni: come in atti Oggetto : Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria MOTIVI DELLA DECISIONE Premesso che ai sensi dell'art.lo 132 cpc lo svolgimento processuale ben può dal Giudice essere omesso in quanto non costituisce contenuto essenziale della sentenza e limitarsi alla concisa esposizione delle ragioni in fatto ed in diritto, sottese alla propria decisione senza dovere motivare su tette le questione poste dalle parti limitandosi a quelle poste alla base della propria decisione. Richiamato il contenuto assertivo del ricorso versato in atti e della memoria di costituzione versata in atti. Nel caso in esame, questo Giudice ritiene che la Direzione Territoriale del Lavoro di Macerata non ha assolto all'onere della prova a suo carico, con la conseguenza che l'ordinanza -ingiunzione n. 43 - Prot. N. 4827 CDG 10453 ed il Verbale di accertamento n. 37 del 4 dicembre 2012 devono essere dichiarati nulli per i seguenti motivi. Nel presente giudizio l'unica testimone sentita la Petcu Alexndra "ho avuto rapporti di lavoro con Ca.Si. dall'anno 2011 fino al 2013-2014, avevo un rapporto di lavoro a progetto sui capitoli del ricorso: a) io nel periodo in cui vi lavoravo mi sono spesso assentata dal lavoro senza chiede il permesso ad alcuno; per il giorno di assenza non ero retribuita; b) non avevo obbligo di chiedere ferie né tantomeno permessi; c) si è vero avevo la possibilità di sospendere in qualsiasi momento la prestazione, il tasto break poteva essere azionata in qualsiasi momento di sospendere l'attività lavorativa e riprenderla successivamente e addirittura uscire dalla sede aziendale; adr Ci arrivano i nominativi da chiamare tramite il computer ci forniva l'azienda So. i nominativi da contattare, era la cliente del ricorrente; d) Premesso che ho fatto assenze e ritardi e non sono stato mai rimproverata e richiamata e) non ho mai timbrato né tantomeno smarcato cartellini; f) Ricevo solo i nominativi ed io provvedevo ad effettuare le telefonate; g) non è vero non collaboravo ero autonoma; h) nei miei confronti non è stato mai aperto un procedimento disciplinare;" altri testimoni nel presente giudizio, rimangono le dichiarazioni rilasciate agli ispettori dai lavorati che non si ritiene che siano ne concordanti né tanto meno sufficienti per ritenere che il rapporto di lavoro in essere potesse avere tutte le caratteristiche per essere qualificato rapporto di lavoro subordinato in mancanza di prove sufficienti a dimostrare la verosimiglianza delle contestazioni della DTL la domanda del ricorrente deve essere accolta. Rilevato che L'INPS non è legittimato passivo nella presente controversia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, in cui - per costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. lav., n. 6126/2005; Cass. Civ., sez. lav., n. 6353/1998) - la legittimazione passiva spetta solo all'autorità (DTL) che l'ha emessa né consegue l'estromissione dal giudizio. Per quanto riguarda il governo delle spese di lite la buona fede del ricorrente unitamente alla natura delle questione trattate giustificano la compensazione delle spese di lite per tutte le posizioni processuali. P.Q.M. Definitivamente pronunciando sulle domande proposte da CA.SI. disattesa ogni altra istanza, eccezione, difesa, e/o domanda così provvede : Annulla l'ordinanza di ingiunzione nr. 43 Prot. nr. 4827 CDG 10453 data 03/03/2014 della Direzione territoriale del Lavoro di Macerata notificata il 10/03/2014; Accertata la carenza di legittimazione passiva, estromette l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale dal presente giudizio. Dispone l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa. Fissa termine di giorni 60 per il deposito della sentenza con motivazione. Così deciso in Macerata 18 luglio 2016. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MACERATA Il Giudice Istruttore del Tribunale Ordinario di Macerata, Dott.ssa Marta D'Eramo, in funzione di Giudice monocratico ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile in I grado iscritta al N. 239 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi del l'anno 1990, trattenuta in decisione air udienza del 25 ottobre 2007, promossa da: Pr.Fo. S.p.a. (già Pr.Fo. S.r.l.) con sede in Mo. in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Ma., alla via Iv.No. (...) presso e nello studio degli Avv.ti En.Ro. e Gi.Ma.Po., che la rappresentano e difendono, in forza di procura speciale alle liti in calce al ricorso per sequestro conservativo; attrice CONTRO Ic. di Br.Ga. e Il.Gi. S.n.c., corrente in Ch.di.Tr. (Me) rappresentata e difesa, in virtù di delega a margine della comparsa di costituzione e risposta, dell'avv. Al.Va. e con lui elettivamente domiciliata in Ma., alla Galleria de.Co. (...) : convenuta OGGETTO: convalida sequestro conservativo - responsabilità contrattuale CONCLUSIONl DELLE PARTI Come da verbale di udienza SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 30.1.1990 parte attrice conveniva in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale, la società convenuta, per ivi sentir accogliere le conclusioni rassegnate nei propri atti di causa. Sosteneva, in particolare, che: - in data 7.8.1986 aveva stipulato con la ditta convenuta un preliminare di compravendita avente ad oggetto il complesso immobiliare sito in Ch.di.Tr., c.da Co. (...), descritto al N.C.E.U. del Comune di Tr., partita n. 1555, identificabile con l'intera particella n. 17 del foglio 13 consistente in un'area di mq. 2820, composto da due appartamenti per civile abitazione, magazzino, locale deposito, laboratorio ed opificio industriale, al prezzo concordato di £ 400.000.000, da corrispondersi nei termini essenziali ed improrogabili stabiliti agli artt. 4, 5 e 6; - nonostante la promissoria acquirente fosse stata immessa nel possesso dei beni alla data di sottoscrizione del preliminare, i termini di pagamento previsti in contratto e quelli successivamente concordati tra le parti per mero spirito solidaristico non erano stati rispettati, di talché la stessa aveva accumulato un debito nominale pari a £ 291.000.000 per sorte residua, £ 216.255.527 per interessi maturati e £ 25.200.000 per rimborso I.V.A. su fatture; - su ricorso della odierna deducente era stato concesso in data 10.1.1990 sequestro conservativo sui beni mobili di appartenenza alla debitrice fino alla concorrenza di £ 100.000.000 eseguito il successivo 19.1.1990, di cui si avanzava in questa sede richiesta di convalida (istanza che non veniva, tuttavia, riproposta dalla odierna deducente in sede di precisazione delle conclusioni), in uno con la declaratoria di intervenuta risoluzione del preliminare di compravendita ripassato tra le parti in data 7.8.1986, di diritto ovvero per grave inadempimento della convenuta, con condanna della stessa al risarcimento del danno. in misura comunque non inferiore a £ 100.000.000. Si costituiva in giudizio la società convenuta, la quale contrastava l'avversa domanda sostenendo che: - alcun inadempimento poteva esserle addebitato in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio, stante la previsione contrattuale che consentiva al promissorio acquirente di far fronte al pagamento del corrispettivo facendo intervenire all'atto pubblico un istituto di credito per la costituzione di ipoteche o quant'altro necessario per ottenere affidamenti o mutui: - essa deducente aveva regolarmente corrisposto un acconto di £ 60.000.000, nonché le prime due rate con scadenza rispettivamente al 31.12.1986 ed al 28.2.1987 per ulteriori £ 80.000.000, fintanto che, intervenuta la necessità di ottenere il previsto mutuo ipotecario per provvedere al pagamento integrale del prezzo ed avviate presso la Bn. le pratiche a tal fine necessarie, in accordo con la promissoria venditrice, in data 28.10.1987 venivano stipulati patti aggiuntivi alla scrittura privata 7.8.1986, con cui quest'ultima si impegnava a ritirare gli effetti cambiari consegnati alla ditta acquirente a garanzia del pagamento, in cambio dell'autorizzazione a trattenere la somma corrispondente dal ricavo netto dell'erogando mutuo; - ottenuta in data 26.11.1987 la concessione di un mutuo per £ 300.000.000, la promissoria venditrice si rifiutava, tuttavia, di addivenire alla stipula dell'atto pubblico, sostenendo che sarebbe residuata a suo credito la somma di £ 40.000.000 a titolo di interessi, né si determinava a concludere la vendita una volta ottenuta, da parte del promissorio acquirente, la disponibilità da altro istituto di credito a concederle un mutuo di importo più consistente, mentre successivamente concludeva essa stessa con la Bn. un mutuo identico a quello che avrebbe dovuto ottenere la promissaria acquirente, con ciò manifestando evidentemente la propria intenzione di non addivenire alla stipula dell'atto pubblico di compravendita; - il sequestro conservativo veniva, dunque, richiesto ed ottenuto sulla base di una rappresentazione dei fatti non veritiera, omettendo addirittura di menzionare i patti aggiuntivi del 28.10.1987, con ciò evidenziando un comportamento assolutamente inadempiente a fronte dell'obbligo di collaborazione sancito al punto n. 2 del contratto di compravendita, concretantesi nell'aver impedito alla ditta acquirente di ottenere il mutuo necessario per adempiere alle proprie obbligazioni; la misura concessa andava, dunque, revocata e la domanda respinta nel merito, con condanna della controparte al risarcimento ex art. 96 c.p.c. Peraltro, con successivo atto di citazione notificato in data 21.3.1995 la Ic. conveniva in giudizio l'odierna parte attrice, al fine di ottenere una sentenza che costituisse valido titolo di trascrizione dell'intervenuto trasferimento in suo favore degli immobili oggetto del preliminare di vendita innanzi descritti ovvero, in subordine, una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che tenesse luogo del contratto definitivo di compravendita, oltre al risarcimento dei danni, da quantificarsi in corso di causa, previa compensazione di quanto dovutole in esecuzione del preliminare di compravendita e successivi accordi integrativi; costituitasi in giudizio, la ditta Fo. chiedeva il rigetto della domanda e spiegava domanda riconvenzionale volta alla declaratoria dell'intervenuta risoluzione e del preliminare di vendita ripassato tra le parti, con condanna della Ic. al risarcimento del danno ed al rilascio del compendio immobiliare. Il Giudice, verificata la regolare costituzione delle parti e disposta la riunione dei due giudizi. istruiva la causa con prove orali e documentali; indi, all'udienza del 25.10.2007. cui si perveniva all'esito di numerosi rinvii dovuti all'avvicendarsi di diversi giudici assegnatari, la tratteneva in decisione, concedendo alle parti i termini di giorni quaranta per il deposito di memorie conclusionali e di giorni venti per il deposito di memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda risulta fondata e, pertanto, merita accoglimento. La sistematicità nella trattazione delle questioni sottoposte all'attenzione del giudicante impone di procedere, in prima istanza, all'esame della domanda spiegata da parte attrice nel giudizio più remoto, dalla stessa instaurato al fine di vedere convalidato il sequestro conservativo concesso ante causam - da intendersi per implicitamente rinunciata in quanto dalla stessa non espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, ma che deve, tuttavia, costituire oggetto della presente statuizione, avendo la controparte insistito per la revoca della misura (vedasi fogli allegati a verbale di udienza 2.3.2005, cui le parti facevano pedissequo richiamo in sede di udienza 25.10.2007) - ed accertata e dichiarata, nel merito, l'intervenuta risoluzione del preliminare che la vedeva promissaria venditrice del compendio immobiliare in premessa descritto, ripassato con la controparte in data 7.8.1986, ipso jure ovvero per suo grave inadempimento, con condanna della stessa al risarcimento del danno. Si impone a tal fine una dettagliata analisi della documentazione versata in atti. E' stabilito nel contratto ripassato tra le parti in data 7.8.1986 -il cui tenore letterale induce a ritenere, a tutti gli effetti, quale preliminare di compravendita, dovendo ai fini di tale qualificazione aversi esclusivo riguardo alla volontà effettiva dei contraenti, da intendersi finalizzata al raggiungimento di un accordo di contenuto predeterminato circa la stipula di un successivo contratto volto alla regolamentazione definitiva dell'affare, e non al nomen juris ed alle espressioni letterali utilizzate - che il prezzo convenuto di £ 400.000.000 dovesse essere corrisposto in parte (£ 60.000.000) all'atto della sottoscrizione -che assumeva la valenza di quietanza liberatoria - somma da intendersi quale caparra confirmatoria - e per la restante quota (pari a £ 340.000.000, oltre interessi al tasso indicato sulle somme dovute a decorrere dal 31.10.1986 fino al saldo effettivo) secondo le cadenze indicate sub. 5) dal 31.12.1986 al 31.10.1987, data ultima per la stipula dell'atto pubblico: si legge ancora nella richiamata clausola contrattuale che i termini convenuti dovevano ritenersi essenziali ed improrogabili per il promissario alienante e che il mancato rispetto, da parte del promissario acquirente, che veniva immediatamente immesso nel possesso, dei termini di pagamento convenuti avrebbe determinato la risoluzione ipso jure del contratto, con facoltà del promissario venditore di trattenere la caparra a titolo di risarcimento danni ed obbligo del primo di provvedere alla riconsegna dell'immobile nel termine di giorni trenta dalla comunicazione della intervenuta risoluzione del contratto. Con successivo accordo integrativo sottoscritto in data 28.10.1987 le parti convenivano che, a fronte dell'autorizzazione concessa dalla Ie. alla Fo. di accreditare in suo favore il ricavo netto relativo alla erogazione di un mutuo ipotecario concesso dalla Bn. (si veda al riguardo la scrittura privata sottoscritta in pari data dal legale rappresentante Ic., ove è sancito testualmente che l'importo accreditato "costituirà acconto sul prezzo convenuto nel preliminare di vendita, atto che rimane valido ed efficace tra le parti non costituendo l'odierna assunzione di obbligazione aggiuntiva modifica novativa del precedente rapporto), quest'ultima assumeva l'impegno di ritirare le cinque scadenze cambiarie dal 30.11.1987 al 10.2.1988 ivi indicate e di trattenere da tale ricavo le somme relative alle scadenze del 30.8.87 e del 31.10.1987 contemplate nella scrittura privata 7.8.1986; si legge ancora: "le parti si impegnano altresì a considerare il suddetto netto ricavo del mutuo ipotecario fino a concorrenza di altri titoli, esclusi gli effetti cambiari in scadenza al 31.10.1987. di interessi di dilazione, di eventuale I.v.a. a conguaglio delle fatture di cui alle trascrizioni immobiliari, sempre che l'erogazione del mutuo e dell'eventuale anticipo avvenga prima della scadenza di tutti i titoli qui indicati". Tra la produzione documentale versata in atti risultano, inoltre, di particolare evidenza: missiva 26.11.1987 con cui la Bn. comunicava alla Ic. la possibilità di procedere alla stipulazione del mutuo condizionato solo qualora il venditore, attuale proprietario, si fosse reso disponibile a concedere ipoteca, ferma restando la conclusione dell'atto definitivo di erogazione una volta ottenuta la disponibilità necessaria ad effettuare l'acquisto dell'immobile cauzionale (documento il cui contenuto risulta confermato dal teste Tr.Gi., direttore Bn., il quale riferisce al riguardo che la prassi adottata prevedeva la stipula del mutuo mediante un primo atto finalizzato alla iscrizione dell'ipoteca ed un secondo atto di erogazione e che il trasferimento della proprietà poteva avvenire indifferentemente al momento della conclusione del contratto condizionato o di quello definitivo) : missiva 14.8.1988 con cui il Banco di Si. manifestava alla Ic., la propria disponibilità a dar corso all'istruttoria per la concessione di un finanziamento pari a £ 200.000.000: racc. 28.9.1989 a firma Fo. con cui veniva dichiarata la intervenuta risoluzione di diritto del preliminare di vendita, in forza della richiamata clausola contrattuale, per reiterato inadempimento della controparte agli impegni assunti. L'intervenuta richiesta di finanziamento ad opera della Ic. ed il mancato raggiungimento di un accordo con i predetti istituti bancari trovano, peraltro, conferma nelle deposizioni rese dai testi escussi: riferisce, in particolare, il teste Fo.Iv., all'epoca collaboratore della odierna società istante, di aver assistito alle trattative intervenute tra le parti per la erogazione del mutuo in favore della Ic., che veniva successivamente acceso in proprio dalla stessa Fo., in maniera frazionata. su suggerimento dei funzionari Bn., al fine di non far perdere il beneficio alla promissaria acquirente e di agevolarla per il caso in cui avesse voluto procedere all'acquisto del compendio immobiliare in oggetto in maniera parziale o progressiva, ed aggiunge al riguardo che la mancata erogazione del finanziamento alla Ic. trovava causa nel fatto che l'istituto bancario cui la richiesta era stata inoltrata aveva preteso il contestuale trasferimento della proprietà dell'immobile in favore del promissario acquirente, circostanza di cui sostiene di essere al corrente per averla appresa dall'amministratore della Fo. e dai funzionari Bn., mentre i testi La.St., all'epoca contabile Ic., e Br.Si., padre di Br.Ga., si limitano a riferire in proposito, in via del tutto generica, rispettivamente, delle trattative intercorse tra le parti per la stipula del mutuo e della richiesta a tal fine inoltrata dalla promissaria acquirente all'istituto di credito. Quanto al corrispettivo pattuito, la circostanza dell'intervenuto pagamento delle somme portate dalle fatture versate in atti relative agli acconti di £ 60.000.000, con scadenza al 31.10.1986, di £ 30.000.000 al 31.12.2986 e di £ 50.000.000 al 28.2.1987 viene riferita dal teste Br., il quale precisa che il versamento era avvenuto tramite assegni intestati alla Fo., tutti regolarmente incassati, e che la Ic.. aveva altresì provveduto al pagamento, per non meno di dieci volte, della somma di £ 1.000.000 per ogni effetto cambiario ritirato, andati tutti a buon fine, mentre viene negata dal teste Fo., il quale riferisce al riguardo che la Ic. aveva provveduto ad effettuare un unico versamento dell'importo di £ 60.000.000 all'atto di sottoscrizione del preliminare e che gli effetti cambiari erano stati consegnati personalmente al Segretario di Tr., avendo la Fo. aderito alla richiesta di rinnovo dei titoli al solo fine di evitarne il protesto in danno della Ic.; di alcun rilievo, ai fini della dimostrazione dell'effettivo versamento delle somme indicate dalla promissaria acquirente, paiono infine le deposizioni rese sul punto dai testi Ca.Al., madre di Br.Ga., e La.St., essendosi la prima limitata a riferire di avere personalmente accompagnato la figlia in occasione dei versamenti degli assegni, ma di non avere assistito personalmente alla consegna dei titoli, e l'altro a confermare l'intervenuto rilascio di titoli in favore della Fo. (di cui non risultava, tuttavia, in grado di precisare numero ed importo), alcuni dei quali lenivano incassati ed altri sostituiti. Posto che. oltre che di evidenza documentale, la circostanza del mancato rispetto, tanto delle pattuizioni contenute nel preliminare di vendita, quanto degli accordi integrativi di cui alla scrittura 28.10.1987, non appare contestata, la verifica da compiersi in questa sede investe, dunque, il profilo della imputabilità del riscontrato inadempimento, valutazione che presuppone un accertamento di ordine preliminare circa la valenza assunta da tali ultime pattuizioni in relazione alla promessa di vendita del 7.8.1986, in seno alla quale, assumendo in quella sede l'impegno testualmente "di mettere a disposizione della Pr.Fo. S.p.a. il netto ricavo del finanziamento impegnandosi a dar mandato irrevocabile alla banca presso cui la pratica di mutuo risulta appoggiata di accreditare direttamente alla S.p.a. Fo. il suddetto netto ricavo", il legale rappresentante della Ic.. dichiarava espressamente che tale importo doveva considerarsi acconto sul prezzo convenuto nel preliminare di vendita, che restava vincolante per le parti, non dovendo detta pattuizione aggiuntiva intendersi quale modifica novativa del precedente rapporto; a fronte di tale impegno, la Pr.Fo. S.p.a. assumeva a sua volta quello di ritirare le scadenze cambiarie al 30.11.1987 (per £ 30.000.000), al 15.11.1987 (per £ 48.000.000), al 31.12.1987 (per £ 40.000.000), al 10.1.1988 (per £ 30.000.000) ed al 10.2.1988 (per £ 28.000.000), di trattenere da tale ricavo netto le somme relative alle scadenze contemplate nella scrittura privata 7.8.1986 del 30.8.1987 e del 31.10.1987, nonché di considerare il suddetto netto ricavo del mutuo ipotecario fino alla concorrenza di altri titoli (esclusi gli effetti cambiari in scadenza al 31.10.1987), di interessi di dilazione, di eventuale I.v.a. a conguaglio delle fatture di cui alle trascrizioni immobiliari testualmente "sempre che l'erogazione del mutuo e dell'eventuale anticipo avvenga prima della scadenza di tutti i titoli indicati". Orbene, il tenore letterale di tale accordo integrativo consente evidentemente di escludere che a mezzo dello stesso le parti abbiano inteso estinguere le obbligazioni originariamente assunte circa termini e modalità di versamento del corrispettivo della vendita e sostituirne ad esse delle nuove: la compatibilità tra il nuovo assetto di interessi delineatosi a seguito della intervenuta modifica del preliminare e l'attuazione del rapporto originario ben può desumersi, infatti, oltre che dall'assenza dell'animus novandi, quale si evince dalla dichiarazione resa nella medesima sede dal promissorio acquirente, dall'espresso riferimento, operato in seno a tale accordo integrativo, alle due ultime scadenze contemplate nel preliminare di vendita, mentre del tutto neutra appare a tal fine la circostanza che la promittente venditrice abbia contestualmente assunto l'obbligazione di ritirare le scadenze cambiarie indicate (successive ai termini di pagamento contemplati nel preliminare) e di considerare il ricavo netto del mutuo fino alla concorrenza di altri titoli, di interessi di dilazione e dell'I.v.a. eventualmente dovuta a conguaglio di fatture, al cui riguardo non risulta, peraltro, specificato se trattasi di titoli inerenti o estranei alla compravendita in oggetto. Difettano, dunque, nella specie i requisiti dell'animus novandi, da intendersi quale inequivoca e comune intenzione di entrambe le parti di estinguere l'originaria obbligazione sostituendola con una nuova, e l'aliquid novi, ossia il mutamento sostanziale dell'oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, che caratterizzano la fattispecie descritta all'art. 1230 c.c., dovendo ritenersi che mediante l'accordo integrativo innanzi richiamato le parti abbiano inteso intervenire in via esclusiva sulle concrete modalità della prestazione di pagamento del corrispettivo posta a carico del promissorio acquirente, attraverso la disposizione di accredito del ricavo netto del finanziamento acceso con l'istituto di credito effettuata dalla Ic. in favore della Fo., il cui contenuto rimane per il resto immutato, circostanza che trova puntuale conferma nell'espresso richiamo -ivi operato ai fini della imputazione di tale ricavo netto al pagamento del corrispettivo - all'acconto sul prezzo indicato nel preliminare ed alle scadenze contemplate del 30.8.1987 e del 31.10.1987. L'intervenuto rilascio degli effetti cambiari alle scadenze indicate, che risultano successive ai termini di pagamento previsti in contratto, e l'adesione prestata dalla promissoria venditrice alla sostituzione di detti titoli, circostanze che trovano puntuale conferma nelle deposizioni rese dai testi escussi, mentre appaiono irrilevanti in relazione alla connotazione del contenuto della prestazione di versamento del corrispettivo della vendita, da ritenersi immutato rispetto alle originarie previsioni, attestano in via inequivocabile l'intervenuta proroga delle scadenze di pagamento indicate nel preliminare; orbene, nell'ottica - che, in accordo con l'orientamento dottrinario e giurisprudenziale prevalente, si ritiene di dover assumere alla base del ragionamento di seguito svolto - secondo cui l'animus novandi costituirebbe il punto di riferimento utile per decidere se le parti abbiano inteso affiancare una nuova obbligazione a quella originaria, l'eliminazione o la proroga di un termine soggettivamente essenziale, ossia tale per espressa volontà delle parti, quali devono intendersi quelli indicati nel preliminare di vendita, non comporta novazione, dal che va a fortori escluso che si versi nella specie nell'ipotesi contemplata all'art. 1230 c.c.Rilievo determinante ai fini della interpretazione del contenuto degli accordi integrativi al preliminare assume, infine, la clausola posta a chiusura della richiamata scrittura privata 28.10.1987 che subordina l'impegno assunto dalla Fo. al ritiro delle cambiali elencate ed alla imputazione del ricavo netto ottenuto dal finanziamento alle somme relative alle richiamate scadenze ed agli altri titoli ivi indicati, alla intervenuta erogazione del mutuo e dell'eventuale anticipo prima della loro scadenza, circostanza futura ed incerta, esterna al negozio e tale da condizionarne l'efficacia, dovendo gli effetti delle pattuizioni ivi contemplate ritenersi subordinate al suo avveramento: la mancata concessione alla Ic. del finanziamento richiesto determina, per l'effetto, che vada nella specie esclusa l'efficacia di tale accordo integrativo. Operato un simile inquadramento della fattispecie in esame, occorre, dunque, stabilire se il mancato rispetto degli accordi contrattuali relativi all'integrale versamento del corrispettivo prima della stipula dell'atto pubblico di compravendita, circostanze comprovate agli atti e pacificamente ammesse dallo stesso promissorio acquirente, debba a questi imputarsi ed, in caso affermativo. appaia tale da determinare una pronuncia risolutoria del preliminare di vendita ai sensi e per gli effetti dell'art. 1455 c.c..Premesso al riguardo che la valutazione a tal fine richiesta va effettuata alla stregua dell'interesse dell'altra parte all'esatto e tempestivo adempimento (ex plurimis: C. 01/1773) e della fiducia che la stessa possa ancora nutrire sul futuro corretto comportamento della parte inadempiente, secondo un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale (C. 00/11784) che muova da un duplice parametro, oggettivo, attraverso la verifica se l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto, sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, e soggettivo, alla luce del comportamento tenuto da entrambe le parti (atteggiamento incolpevole o tempestiva riparazione dell'una, reciproco inadempimento o protratta tolleranza dell'altra: in tal senso: C. 06/7083), deve rilevarsi come l'esito della espletata attività istruttoria abbia attestato che le richieste di finanziamento avanzate dalla promissoria acquirente, dapprima alla Bn. (che subordinava la concessione del mutuo condizionato alla disponibilità della promissoria venditrice alla dazione di ipoteca sull'immobile oggetto di vendita, ferma la conclusione dell'atto definitivo solo una volta ottenuta dalla società richiedente la somma necessaria all'acquisto) e di seguito al Banco di Si. (il quale manifestava la propria disponibilità a dar corso alla istruttoria per la concessione di un finanziamento dell'importo pari a £ 200.000.000) restavano prive di seguito, stante il mancato raggiungimento di un accordo all'esito delle trattative intervenute tra le parti, tanto che il mutuo veniva successivamente acceso dalla stessa Fo. in proprio; non può, invece, ritenersi raggiunta la piena prova dell'avvenuto versamento, ad opera della Ic., delle somme portate dalle fatture versate in atti, relative agli acconti sul prezzo di vendita ivi indicati, oltre che dell'ulteriore importo di £ 1.000.000 per ogni effetto cambiario ritirato, se non limitatamente alla somma di £ 60.000.000 corrisposta all'atto di sottoscrizione del preliminare. Ciò posto, facendo applicazione del principio di ordine generale sancito all'art. 2967 c.c. che. in tema di illecito contrattuale, lascia al debitore la dimostrazione della non imputabilità dell'inadempimento, non può sostenersi, sulla base dei dati acquisiti, che questi abbia assolto l'onere probatorio posto a suo carico: se pur non si ritiene a tal fine necessaria la dimostrazione dello specifico inadempimento che ha cagionato l'impossibilità della prestazione, ben potendo la prova della non imputabilità essere offerta a mezzo della dimostrazione che la causa dell'inadempimento non può essere imputata al debitore, non è dato, tuttavia, ravvisare in atti alcun fondato elemento a sostegno delle argomentazioni svolte dalla odierna convenuta, tanto in punto di insussistenza, in capo alla promissaria venditrice, di un credito residuo idoneo a legittimare il proprio rifiuto di addivenire alla stipula dell'atto pubblico, quanto di assenza, ad opera della stessa, di ogni collaborazione ai fini dell'ottenimento del finanziamento, al cui riguardo l'unico dato acquisito agli atti attiene alla indisponibilità della Bn. a concedere il mutuo alle condizioni indicate dalla promissaria acquirente. Tale ordine di considerazioni induce, dunque, a ritenere che la comprovata situazione di inadempienza in cui quest'ultima è incorsa a fronte dell'obbligazione principale posta a suo carico di provvedere al versamento del corrispettivo pattuito per l'acquisto del compendio immobiliare, nel cui possesso pur veniva immessa all'atto stesso di sottoscrizione del preliminare, e, quindi, di predisporre tutti gli strumenti necessari ad ottenere la disponibilità della somma richiesta, dando corso alle necessarie incombenze, debba ad essa imputarsi in via esclusiva e, nell'ottica di un complessivo bilanciamento delle reciproche posizioni contrattuali, ritenersi tale da giustificare una declaratoria di risoluzione del preliminare in oggetto: l'esigua consistenza degli acconti versati a fronte dell'intervenuto acquisto del possesso dell'immobile fin dall'atto di sottoscrizione del preliminare, il mancato rispetto dell'impegno assunto a mezzo della scrittura privata 28.10.1987. per cause che le evidenze agli atti non consentono di addebitare alla promissoria venditrice, la valutazione assolutamente condivisibile resa in fase cautelare circa la sussistenza dei requisiti richiesti per la concessione della misura invocata, elementi tutti da considerarsi nell'ottica del principio della buona fede contrattuale che governa e sorregge l'intera fase del rapporto ed alla stregua della funzione economico-sociale del contratto e degli interessi perseguiti dalle parti, non ultimo, quello della promissaria venditrice alla esatta e tempestiva esecuzione della prestazione, ben consentono, infatti, di ritenere l'inadempimento perpetrato dalla controparte di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 1453 e 1455 c.c. con conseguente obbligo restitutorio, in capo alla odierna convenuta, del compendio immobiliare che ne costituisce l'oggetto. Ne consegue, per l'effetto, che la stessa risulta tenuta al risarcimento del danno procurato alla promittente venditrice, atteso che la legittimità originaria del possesso deve intendersi venula meno a seguito della risoluzione, lasciando che l'occupazione dell'immobile si configuri come "sine titulo" per cui tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato, che non ha potuto trarre frutti né dal pagamento del prezzo né dal godimento dell'immobile, vanno liquidati con riferimento all'intera durata dell'occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale (in tal senso: Cass. Civ. Sez. II n. 1307 del 29.1.2003). Le considerazioni innanzi svolte circa le pattuizioni intervenute tra le parti in relazione a termini e modalità di pagamento e la conseguente inoperatività della clausola di cui all'art. 10 del preliminare, inducono peraltro a ritenere inapplicabile nella specie la previsione ivi contemplata relativa al versamento di una penale per il ritardo pari a £ 200.000 giornaliere, il che determina che la valutazione debba in tal caso compiersi in via equitativa, stante l'impossibilità di offrirne con precisione la prova dell'ammontare del danno, che, tenuto conto delle circostanze del caso concreto ed. in particolare, del notevole lasso di tempo trascorso dall'evento dedotto in giudizio, si stima equo quantificare nella somma complessiva di Euro 50.000.000, da maggiorarsi degli interessi legali dalla presente statuizione al saldo effettivo. L'accoglimento della domanda attorea determina, per l'effetto, che la riconvenzionale spiegata dalla convenuta, volta alla pronuncia di una sentenza costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c. che tenga luogo del contratto di compravendita, con condanna della parte venditrice al risarcimento del danno, debba ritenersi inammissibile, in quanto assorbita nella intervenuta declaratoria di risoluzione del preliminare; va a fortiori osservato come una pronuncia costitutiva nei termini indicati risulti inibita, in primis dal comprovato inadempimento della promissoria acquirente, esposta in tal modo all'avversa eccezione di inadempimento, oltre che a voler fare applicazione del principio più volte affermato dalla Suprema Corte (ex plurimis: Cass. Civ. 30.8.2004 n. 17358) secondo cui la sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso non può introdurre varianti al contenuto del cd. compromesso, ancorché riguardanti le sole modalità di esecuzione di una delle prestazioni, dovendo integralmente rispecchiare le previsioni negoziali delle parti quali risultanti dalla interpretazione del preliminare medesimo, il che appare nella specie impossibile non foss'altro che per le modifiche in ordine alle modalità di pagamento nelle more intervenute. Venendo, infine, alla richiesta di revoca del sequestro conservativo concesso ante causam, la domanda riconvenzionale spiegata dalla odierna convenuta non può che rilevarsi, anche sotto tale profilo, infondata, atteso che, se siffatta pronuncia presuppone il mancato riscontro, in sede di convalida, dei presupposti giustificativi della misura concessa inaudita altera parte, va di contro evidenziata la sussistenza nella fattispecie dei presupposti giustificativi dell'eseguito sequestro, che ben poteva ritenersi, secondo un giudizio compiuto in base al criterio della prognosi postuma, misura strumentale all'azione di merito di seguito instaurata al fine di ottenere il riconoscimento di un diritto, che veniva ritenuto a ragione fondato sulla base di un giudizio di verosimiglianza. peraltro in presenza di una situazione che ben lasciava presupporre il timore del creditore di perdere le garanzie del proprio credito: il provvedimento reso in data 10.1.1990 va, dunque, convalidato. Le spese seguono la soccombenza e vanno perciò poste integralmente a carico della convenuta. come da dispositivo che segue. P.Q.M. il Tribunale di Macerata, definitivamente pronunciando nella causa civile vertente tra Pr.Fo. S.p.a. in persona del legale rappresentante pro-tempore, e Ic. di Br.Ga. & Il.Gi. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro-tempore, ogni contraria istanza. eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e, per l'effetto, convalida il provvedimento reso inaudita altera parte in data 10.1.1990: - accerta e dichiara l'intervenuta risoluzione del preliminare di compravendita ripassato tra le parti in data 7.8.1986 per grave inadempimento della Ic. di Br.Ga. & Il.Gi. S.n.c. e per l'effetto, la condanna all'immediato rilascio del compendio immobiliare che ne costituisce oggetto, libero da persone e/o cose nella disponibilità della Pr.Fo. S.p.a.; - condanna la Ic. di Br.Ga. & Il.Gi. S.n.c. al risarcimento del danno subito dalla Pr.Fo. S.p.a., che quantifica in complessivi Euro 50.000,00, oltre interessi legali dalla presente statuizione al saldo effettivo; rigetta ogni ulteriore domanda; condanna la Ic. di Br.Ga. & Il.Gi. S.n.c. al pagamento, in favore della Pr.Fo. S.p.a., delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 15.918,37, di cui Euro 421,75 per spese, Euro 5.496,62 per diritti ed Euro 10.000,00 per onorario, oltre spese generali I.v.a. e c.p.a. come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale civile di Macerata riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei signori Magistrati: Dott. Giovanni Rebori - Presidente Dott. Germana Russo - Giudice Dott. Luigi Reale - Giudice ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n. 3464 R.G. per l'anno 2003 e promossa DA S.p.A. Mc. (già Me. Ce. S.p.A.) appartenente al Gruppo Bancario Ca. con sede in Ro. Via Pi. n. (...) elettivamente domiciliato in Ma. Vi. Fe. n. (...) presso e nello studio dell'Avv. Ru. Ma. e rappresentato e difeso dagli Avv.ti Eu. Sc. del Foro di Ri. dall'Avv. Ru. Ma. del Foro di Ma. in virtù di delega a margine della domanda di ammissione al passivo. OPPONENTE CONTRO Fallimento Fa S.r.l. con sede in Po. Pi. in persona del Curatore Rag. Le. CioBwdli (fallimento n. (...) del (...)) OPPOSTO CONTUMACE Oggetto: opposizione allo stato passivo ex art. 98 Le. Fa. Ca. riservata a sentenza sulle seguenti conclusioni precisate dal procuratore dell'opponente: "La S.p.A. Mc. chiede che l'Ill. mo Tribunale di Ma. voglia ammettere in via privilegiata ipotecaria al passivo del fallimento Fa. S.r.l. l'ulteriore complessivo credito pari a Euro 1.003.794,06 già parzialmente ammesso in via chirografaria per Euro 568.670,62 oltre gli interessi sulla complessiva somma ammessa al passivo successivi al fallimento a norma di legge:" SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La S.p.A. Mc. proponeva domanda di ammissione al passivo del fallimento della società Fa. a r.l. con sede in Po. Pi. (fallimento n. (...) del (...)) in via ipotecaria per la complessiva somma di Euro 1.940.994,19 per rate scadute e non pagate e per gli interessi contrattuali e di mora. Il Giudice Delegato, con provvedimento comunicato il 14/10/2003, dichiarava esecutivo lo stato passivo ammettendo il credito della Mc. S.p.A. in via ipotecaria per Euro 937.200,13, ai sensi dell'art. 2855 c.c. per sorte ed interessi convenzionali dell'annualità in corso e delle due precedenti e in via chirografaria per Euro 538.670,92, relativamente agli interessi convenzionali anteriori alle due annualità precedenti e tutti gli interessi di mora, oltre gli interessi convenzionali dalla data del fallimento e fino al 31/12/2003, nonché gli interessi successivi al tasso legale, escludendo i maggiori interessi richiesti in quanto eccedenti gli importi previsti contrattualmente. Avverso lo stato passivo dal fallimento Fa. la S.p.A. Mc. proponeva rituale e tempestiva opposizione con ricorso ex art. 98 legge fallimentare depositato il 29 ottobre 2003 chiedendo: 1) l'ammissione in via privilegiata ipotecaria degli interessi convenzionali precedenti all'annualità in corso e alle due precedenti, sostenendo che nei contratti di mutuo gli interessi di ammortamento, determinando unitamente al capitale il piano di restituzione rateale della somma indicata, diventano parte integrante della prestazione restitutoria e pertanto costituiscono componenti della rata secondo la tabella di ammortamento del mutuo e devono ritenersi capitale da restituirsi al mutuatario; 2) l'ammissione degli interessi di mora in via ipotecaria ai sensi dell'art. 2855 C.C., poiché la coordinata lettura dell'art. 54 e 55° L. F. e dell'art. 2855 C.C. non consentivano la distinzione tra interessi moratori e interessi corrispettivi ai fini del riconoscimento del privilegio; in altri termini, secondo la S. p. a. Mc., l'art. 2855 C.C. prevede la collocazione in via ipotecaria degli interessi convenzionalmente pattuiti, senza porre alcune distinzione tra interessi corrispettivi ed interessi moratori, né tale distinzione era posta dagli artt. 54 e 55 L.F; 3) per quanto riguarda l'esclusione dei " maggiori interessi richiesti ed esclusi in quanto eccedenti gli importi previsti" la S.p.A. Mc. ribadiva che gli importi richiesti dovevano essere ammessi come da domanda in quanto erano stati calcolati nel pieno rispetto delle norme contrattuali. Il G.D. disponeva la comparizione delle parti davanti a sé fissando all'uopo l'udienza del 3/2/2004. Il Curatore del fallimento non si costituiva in giudizio. Il G.D. dava disposizioni per la trattazione della causa. L'istruttoria constava dell'acquisizione dei documenti prodotti dall'opponente Al. la causa veniva assegnata in decisione sulle conclusioni precisate dall'opponente S.p.A. Mc. come in epigrafe integralmente trascritte. MOTIVI DELLA DECISIONE Osserva il Collegio che l'opponente S.p.A. Mc., con domanda di ammissione al passivo in data 25/9/2003, premesso di aver accordato il 2/5/1995 con altre banche un finanziamento in pool alla Fa. s.r.l., senza vincolo di solidarietà, erogando la propria quota pari a Lire 1.500.000.000; di aver accordato lo stesso giorno un secondo finanziamento analogo al primo erogando la propria quota pari a Lire 1.500.000.00; che al fine di garantire l'adempimento delle obbligazioni derivanti dal suddetto contratto la Fa. S.r.l. acconsentiva che a suo carico venissero iscritte ipoteche sul complesso di suoli e di fabbricati siti nel Comune di Ca. e Ca.; di essere rimasta creditrice insoddisfatta della somma di Euro 1.455.756,01 con riferimento al primo finanziamento e della somma di Euro 485.238,18 con riferimento al secondo contratto di finanziamento, ha chiesto l'ammissione al passivo del Fallimento Fa. in via privilegiata ipotecaria della complessiva somma di Euro 1.940.994,19 per le rate scadute e non pagate e per gli interessi contrattuali e di mora. Il credito della S.p.A. Mc. veniva ammesso al passivo fallimentare come segue "si ammette in via ipotecaria per Euro 937.200,13 (per sorte ed interessi convenzionali dell'annualità in corso e delle due precedenti, ex art. 2855 c.c.) ed in via chirografaria per 538. 670,62 (relativamente agli interessi convenzionali anteriori alle due annualità precedenti e tutti gli interessi di mora) oltre gli interessi convenzionali alla data del fallimento e fino al 31/12/2003 ed oltre agli interessi successivi, al tasso legale, come per legge. Si escludono i maggiori interessi richiesti in quanto eccedenti gli importi previsti contrattualmente". Con ricorso ex art. 98 legge fallimentare lamenta la mancata ammissione al passivo del fallimento in via privilegiata ipotecaria degli interessi convenzionali precedenti all'annualità in corso all'atto della dichiarazione di fallimento e alle due precedenti (vale a dire quelli precedenti il triennio), sostenendo che nei contratti di mutuo gli interessi di ammortamento, determinando unitamente al capitale il piano di restituzione rateale della somma mutuata, diventano parte integrante della prestazione restitutoria e pertanto costituiscono componenti della rata secondo la tabèlla di ammortamento del mutuo e devono ritenersi capitale da restituirsi al mutuatario; conseguentemente, gli interessi contrattuali, che costituirebbero a tutti gli effetti capitale da restituirsi, ancorché maturati in data anteriore al biennio di cui all'art.2855 c.c., dovrebbero - secondo la S.p.A. Mc. - essere ammessi al passivo in via privilegiata ipotecaria e non già in via chirografaria. Al riguardo, ritiene il Collegio di aderire alla contraria opinione espressa dalla Corte di Cassazione (Cass. Sez. 1 n. 10070 in data 17/9/1999 - R.V. 530127), la quale afferma proprio il contrario principio che in caso di conglobamento nella rata del capitale e degli interessi, ai fini dell'ammissione del credito al passivo fallimentare in rango prelatizio o chirografario occorre scindere, nell'ambito del credito conglobato, le componenti relative al capitale ed agli interessi e per quanto attiene al credito per capitale ammetterlo in via di prelazione ipotecaria e quanto a quello per interessi ammetterlo al rango prelatizio solo per la parte corrispondente alla somma di tutte le frazioni imputate ad interessi nelle rate venute a scadenza e non pagate nelle due annate anteriori a quella in corso all'atto della dichiarazione di fallimento. La opponente Mc. nelle sue difese non fa riferimento ad una supposta peculiare disciplina dei mutui fondiari con riferimento appunto al conglobamento in ciascuna rata del capitale e degli interessi. Questo Tribunale, tuttavia, in fattispecie simili a quella in esame, è stato investito della questione dell'esistenza di una particolare disciplina relativa ai mutui fondiari nel senso di un riconoscimento del rango prelatizio ipotecario agli interessi anteriori all'annata in corso all'atto della dichiarazione del fallimento e alle due anteriori, è ha ritenuto che la disciplina speciale del credito fondiario non contiene alcuna deroga alla disciplina generale dell'art. 2855 c.c. e pertanto i crediti nascenti da operazioni di credito fondiario trovano collocazione, anche in sede di fallimento, soltanto nei limiti delle due annualità anteriori e di quella in corso al giorno del pignoramento per quanto ovviamente concerne gli interessi convenzionali. I privilegi riconosciuti agli istituti di credito fondiario (peraltro in questa sede non invocati dalla S.p.A. Mc.) hanno natura processuale e non incidono quindi sulla disciplina sostanziale dei rapporti, che è regolata dalle norme ordinane, compreso l'art. 2855 c.c. (Tribunale Ro. 4/2/2005 in Gi. Merito 2005 9 1827; Tribunale Milano 9/9/2002 in Banca borsa tit. cred. 2005 II 64; Tribunale Napoli 8/6/2001 Banca borsa tit. cred. 2003 II 90, Corte Appello Roma 18/12/1996 in Gi. (...)). Nemmeno alla stregua del disposto degli artt. 38 e ss. D.Lgs. 385/1993, ai mutui stipulati sulla base delle norme in questione, si deve riconoscere l'unicità del credito di rata per omologazione al capitale delle altre componenti, ivi compresi gli interessi; con conseguente riconoscimento delle prelazione di cui all'art. 2855 c.c. anche agli interessi anteriori al triennio. La lettura degli artt. 38 e seguenti del D.Lgs. 385/1993 non consente di individuare in essi né l'affermazione del conglobamento degli interessi al capitale nelle singole rate né alcuna eccezione alle disposizioni dell'art. 2855 c.c. per quanto concerne l'estensione del privilegio ipotecario sugli interessi convenzionali antecedenti all'ultimo triennio (il comma 3° dell'art. 39, per esempio, parla di estensione della garanzia ipotecaria, ma limitatamente a quanto dovuto in forza di clausola di indicizzazione degli interessi). La S.p.A. Mc. in sede di opposizione ex art. 98 L.F. lamenta, inoltre, la mancata ammissione degli interessi di mora in via ipotecaria, sostenendo la tesi della perfetta equivalenza degli interessi convenzionali e degli interessi moratori ai fini del privilegio ipotecario, che la stessa opponente invoca a suo vantaggio. Al riguardo di quanto sopra il Collegio ritiene di aderire all'insegnamento della Corte di Cassazione che esclude l'applicabilità agli interessi moratori dell'estensione degli effetti dell'iscrizione ipotecaria agli interessi ex art. 2855 c.c. (collocazione degli interessi in privilegio ipotecario limitatamente alle due annate anteriori e a quella in corso al giorno del pignoramento). Osserva il Supremo Collegio che l'iscrizione di un credito per capitale al passivo concorsuale fa collocare nello stesso grado anche il credito per interessi maturato limitatamente alle due annate anteriori e a quella in corso alla data di dichiarazione di fallimento, ma soltanto quanto "corrispettivi" Infatti, osserva la Corte con argomentazione che appare a questo Tribunale perfettamente convincente, l'art. 2855 c.c. fa riferimento, come si desume dalla espressione usata nel secondo comma, ove si fa menzione dell'iscrizione al passivo concorsuale di un capitale "che produce interessi", ai soli interessi compensativi, che costituiscono una remunerazione del capitale e non a quelli moratori, i quali trovano il loro presupposto in un ritardo imputabile al debitore (Cass. Ses. 1 sentenza n. 18312 del 30/8/2007; conformi Cass. Sez. 1 Sentenza n. 10070 del 17/9/1999; Cass. Sentenza n. 8657 del 29 agosto 1998). Infine, con il terzo ed l'ultimo motivo di doglianza contenuto nell'atto di opposizione ex art. 98 L.F. lamenta l'esclusione dei "maggiori interessi in quanto eccedenti gli importi previsti contrattualmente", ribadendo che i predetti interessi dovranno essere ammessi come da domanda, poiché gli importi richiesti sono stati calcolati rispetto alle norme contrattuali. L'opponente richiama i propri conteggi riferiti ai finanziamenti n. (...) e (...) allegati al fascicolo di parte (documenti n. 7 e 8 del citato fascicolo). Non vi è dubbio che ove ci si limitasse alla lettera delle clausole contrattuali, ove è previsto un interesse di mora pari al 20%, i conteggi e le conseguenti pretese della S.p.A. Mc. risulterebbero fondate. Invero, a fronte di una domanda di insinuazione di complessivi Euro 1.940.994,19, con l'opposto provvedimento del G. D. sono stati ammessi in privilegio Euro 937.200,13 per sorte ed interessi convenzionali dell'annualità in corso e delle due precedenti, ed in via chirografaria per Euro 538.670,62, relativamente agli interessi convenzionali anteriori alle due annualità precedenti e tutti gli interessi di mora. Risultano non ammessi per differenza tra le due cifre sopra riportate Euro 465.123,44, mentre i conteggi prodotti dall'opponente S.p.A. Mc., che appunto tengono conto degli interessi di mora al 20%, porterebbero all'insinuazione dell'intera somma pretesa dalla S.p.A. Mc. (fermo rimanendo la non ammissione in privilegio degli interessi di mora per quanto sopra si è detto al riguardo). La giustificazione del provvedimento del G.D. la si rinviene nell'inserimento automatico nel regolamento contrattuale dei rapporti tra le parti delle norme imperative della legge 7/3/1996 n. 108 e dei decreti attuativi di detta legge emanati del Ministero del Tesoro relativamente alla soglia degli interessi ammessi. Infatti, come si dimostrerà in prosieguo, l'interesse moratorio previsto dalle parti, pari al 20%, supera per l'intero periodo in considerazione il tasso soglia ammesso secondo le sopra richiamate disposizioni imperative. Poiché quest'ultime disposizioni sono destinate a prevale e a sostituirsi alle diverse previsioni contrattuali delle parti, il tasso degli interessi moratori ammissibili nella specie sarà diverso ed inferiore, tale da giustificare ampiamente la mancata ammissione della quale la S.p.A. Mc. si duole in questa sede. omissis) Alla stregua di quanto sopra gli interessi eccedenti la soglia usuraria e quindi non ammissibili risultano dal seguente conteggio: richiesta della S.p.A. Mc. alla stregua del tasso di interesse di mora del 20% pari a (...) (Euro 651.122,73 relativamente al primo finanziamento e Euro 216.913,26 relativamente al secondo finanziamento come da tabelle n. 7 e 8 allegate al fascicolo di parte opponente); interessi ammissibili in quanto compresi nell'ambito della soglia ammessa, come sopra si è dimostrato, Euro 389.769,68 (Euro 292.447,52 per quanto concerne il primo finanziamento e Euro 97.322,16 per quanto concerne il secondo finanziamento); differenza non ammissibile in quanto superiore alla soglia Euro 478.266,31, importo superiore a quello di Euro 465.123,44 della quale la S.p.A. Mc. lamenta la mancata ammissione. Pertanto l'opposizione della S.p.A. Mc. va respinta. Spese compensate in quanto la Cu. del Fallimento non si è costituita nel presente giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata definitivamente pronunciando sull'opposizione ex art. 98 Le. Fa. proposta dalla S.p.A. Mc. (già Me. S.p.A.), con sede in Ro., come in epigrafe rappresentata e difesa nei confronti Fallimento Fa. S.r.l. con sede in Po. Pi. in persona del Curatore Ra. Le. Cì. (fallimento n. (...) del (...)) respinge l'opposizione stessa. Spese compensate.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MACERATA Il Giudice Istruttore del Tribunale Ordinario di Macerata, Dott.ssa Marta D'ERAMO, in funzione di Giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in I grado iscritta al N. 1866 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi dell'anno 1989, trattenuta in decisione all'udienza del 26 aprile 2007, promossa da: Pa. Eg., residente in Sa. Gi. In. Ma. (Fg), rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa 10.4.1990, dall'Avv. Ti. Ce., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Ma., via Ma. n. (...); attore CONTRO Si. Go. S.r.l., corrente in Ci. Ma., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Ma. Al., residente in Ci. Ma., entrambi rappresentati e difesi dall'Avv. Gi. De. Be., presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Ma., c.so Ca. n. (...), giusta delega, rispettivamente, in calce alla copia notificata dell'atto di citazione passivo ed a margine della comparsa di costituzione e risposta 28.1.1998; convenuti nonché contro Sa. As. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Al. Sq., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Ci. Ma., via Sa. n. (...), giusta delega in calce all'atto di citazione passivo; convenuta OGGETTO: risarcimento danni CONCLUSIONI DELLE PARTI Come da verbale di udienza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in 27.10.1989 Pa. Eg. conveniva in giudizio, dinanzi il l'intestato Tribunale, i convenuti, per ivi sentir accogliere le conclusioni rassegnate nei propri atti di causa. Sosteneva, in particolare, che: - in data 6.11.1987, nel mentre scaricava i contenitori ripieni di gomma dall'autocarro condotto da esso istante, il Ma., dipendente della società convenuta addetto allo scarico, lo urtava con il carrello, provocando la caduta di tali contenitori sulla sua persona; - prontamente trasportato presso il reparto di Ortopedia dell'Ospedale di Ci. Ma., veniva sottoposto ad intervento chirurgico: dalle lesioni riportate derivava a parte attrice un dannocomplessivo quantificabile in Lire 157.919.612; - nessun seguito avevano avuto le richieste risarcitone rivolte sia al Ma. ed alla società di cui lo stesso era dipendente, che alla compagnia di assicurazioni convenuta, mentre a seguito di tale accadimento la situazione economica dell'attore aveva subito un netto peggioramento. Chiedeva, pertanto, la condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito, previa liquidazione di una provvisionale pari a Lire 60.000.000. Si costituivano in giudizio i convenuti (Ma. Al. si costituiva in giudizio solo in sede di udienza 29.1.1998), i quali contrastavano l'avversa domanda sostenendo che la responsabilità per l'evento lesivo occorso alla persona dell'attore andava ascritta in via esclusiva allo stesso, in quanto, pur avendo certamente esperienza della pericolosità delle operazioni di scarico della merce, si era imprudentemente avvicinato all'autocarro, creando in tal modo la situazione di pericolo che aveva dato erigine al sinistro, il quale si era venuto a determinare per effetto del sobbalzo del muletto, con inseguente caduta del carico; la pretesa risarcitoria risultava, peraltro, assolutamente infondata anche in ordine al quantum, per cui la domanda andava respinta. Chiedevano, peraltro, in via subordinata, per l'ipotesi in cui venisse accertata la loro responsabilità per il sinistro de quo, la condanna della compagnia di assicurazioni in forza della polizza per la responsabilità civile sottoscritta dalla società convenuta. La compagnia di assicurazioni Sa. S.p.A. eccepiva, invece, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva, adducendo l'assenza di copertura assicurativa della Si. Go. S.r.l., per essere la presente controversia estranea alla materia dell'infortunistica stradale. Il Giudice, verificata la regolare costituzione delle parti, istruita la causa con prove orali e documentali ed espletata C.T.U. medico-legale sulla persona di parte attrice, a seguito di numerosi rinvii dovuti all'avvicendarsi di diversi giudici assegnatari, la tratteneva in decisione all'udienza del 26.4.2007, previa concessione dei termini massimi di cui all'art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Agisce in giudizio parte attrice al fine di vedere pronunciata la condanna, in via solidale, del danneggiante, del proprio datore di lavoro e della compagnia con cui lo stesso risultava assicurato, al risarcimento del danno derivatole in conseguenza dell'accadimento in premessa descritto. Costituitasi ritualmente in giudizio la Si. Go. S.r.l. si limitava a chiedere il rigetto dell'avversa domanda, avanzando, in via subordinata, solo in sede di precisazione della conclusioni, espressa richiesta di condanna dalla compagnia di assicurazioni convenuta, in forza della polizza dalla stessa sottoscritta, mentre il convenuto Ma. si costituiva in giudizio all'udienza 29.1.1998, senza tuttavia chiedere la rimessione in termini, avuto riguardo alle intervenute preclusioni. E' stato in proposito osservato che, proposta dal danneggiato l'azione diretta contro il danneggiante e l'assicuratore, la domanda di manleva rivolta dall'un convenuto nei confronti dell'altro deve ritenersi domanda nuova, come tale espressamente vietata dalle disposizioni di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla L. n. 353/90 applicabile ratione temporis al caso di specie (violazione ritenuta non sanzionabile solo in presenza di un atteggiamento non oppositorio della controparte consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento includente diretto in tal senso: si veda, tra tutte, Cass. Civ., Sez. II, n. 25242 del 29.11.2006), di talché, avendo la difesa della Sa. As. S.p.A. sollevato, in sede di precisazione delle conclusioni, la relativa eccezione, la domanda di manleva spiegata dalla Si. Go. S.r.l. nei confronti dell'assicurazione convenuta deve ritenersi inammissibile poiché tradiva, al pari di quella proposta dal Ma., stante il regime delle preclusioni desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 293 e 294 c.p.c.. Non può, invece, ritenersi tardiva l'eccezione sollevata dalla Sa. As. S.p.A. in ordine alla mancata copertura assicurativa del sinistro, atteso che la richiamata disposizione di cui all'art. 184 c.p.c., nella formulazione precedente alla riforma del 1990, consentiva fino alla precisazione delle conclusioni la modifica di domande, eccezioni e conclusioni precedentemente formulate e la proposizione di nuove accezioni, non precluse da specifiche disposizioni di legge. La stessa deve, tuttavia, ritenersi priva di fondamento: alla stregua del principio in tema di ripartizione dell'onere della prova, recepito nel nostro ordinamento e sancito all'art. 2697 c.c. grava, infatti, sulla parte che eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda ovvero la modificazione o l'estinzione del diritto fatto valere in giudizio, fornire la relativa prova, mentre la difesa della compagnia di assicurazioni convenuta non ha nella specie addotto alcun elemento che consenta di affermare che il carrello elevatore utilizzato nell'occasione dal Ma. non risultasse coperto dalla polizza n. (...). Né può fondatamente sostenersi che la Sa. As. S.p.A. risulti priva di legittimazione passiva, per non avere il sinistro trovato causa nella violazione delle norme sulla circolazione stradale e non risultare il carrello elevatore coperto da garanzia assicurativa R.C.A.; si è infatti osservato al riguardo che, laddove il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale, viene a discutersi non della legittimatio ad causam - da intendersi in tal caso quale identità tra il soggetto evocato in giudizio e colui al quale la legge riconosce il potere di contrastare l'azione proposta - ma della effettiva titolarità passiva del rapporto controverso, di talché la questione attiene al merito della causa, dovendo il giudizio essere condotto sulla base della stessa norma di diritto da applicarsi in sede di decisione, per la cui individuazione il giudice non deve limitarsi ad un mero controllo estrinseco della domanda, ma procedere piuttosto alla sua interpretazione (C. 95/2924 e C. 93/4063). Orbene, nonostante l'erronea indicazione, nell'atto introduttivo, del numero di polizza, dall'espresso richiamo - contestualmente operato da parte attrice - alla copertura assicurativa per "responsabilità per infortuni sul lavoro" si evince chiaramente come la vocatio in jus della Sa. As. S.p.A. trovi causa nella garanzia dalla stessa assunta nei confronti della Si. Go. S.r.l. con la polizza per responsabilità civile verso terzi prodotta agli atti e non nella garanzia R.C.A., non avendo, peraltro, l'istante fatto cenno alcuno alla violazione delle norme sulla circolazione stradale. Così delineate la portata e l'estensione della domanda, occorre valutarne la fondatezza, al cui fine risulta necessario, in via preliminare, operare la qualificazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio, sì da individuare la fonte costitutiva della responsabilità che la difesa di parte attrice ravvisa del combinato disposto di cui agli artt. 2043 e 2049 c.c.. Riferisce al riguardo il Pa. in sede di interrogatorio formale: "durante le operazioni di scarico io ro posizionato all'altezza della cabina di guida vicino alla ruota anteriore destra. L'incidente è avvenuto nel momento in cui il Ma. stava scaricando le ultime due casse posizionate nella parte terminale del cassone, cioè nella parte posteriore del camion. Prese le due casse il Ma. ha fatto retromarcia con il muletto ed è ripartito verso il capannone mantenendo una direzione parallela-obliqua verso l'esterno rispetto alla fiancata del camion ... Al momento dell'incidente mi trovavo con le spalle alla cabina di guida, non mi sono accorto della caduta delle casse e mi sono ritrovato sotto le due casse". Tale ricostruzione della dinamica del sinistro trova sostanziale conferma nelle dichiarazioni rese dallo tesso Ma., il quale riferisce che durante lo scarico delle ultime due casse, dopo aver fatto marcia indietro, nell'abbassare il carrello, la cassa sottostante posizionata sullo stesso cedeva, determinando la caduta di quella superiore sul Pa., che si trovava davanti alla cabina del camion; alcun dubbio sussiste, dunque, in ordine al fatto che il sinistro occorso alla sua persona sia stato determinato dalla caduta di una cassa dal muletto durante le operazioni di scarico della merce dal camion. E' stato osservato, con particolare riguardo alle operazioni di carico e scarico di navi con mezzi meccanici (Cass. Civ., Sez. I, n. 10951 del 9.12.1996), come detta attività debba qualificarsi "pericolosa" ai sensi e per gli effetti dell'art. 2050 c.c., proprio in considerazione della natura dei mezzi adoperati, il che determina un criterio di imputazione della responsabilità di tipo oggettivo, basato cioè;u un mero giudizio di causalità materiale: la disciplina dettata da tale disposizione postula, infatti, solo l'accertamento del fatto obiettivo della derivazione causale del danno dall'esercizio dell'attività pericolosa, dal che consegue la responsabilità dell'esercente detta attività che non fornisca la prova di aver adottato tutte le misure che, in base ad una valutazione ex ante, risultino idonee ad evitare il danno. Non essendo, pertanto, in contestazione nella fattispecie la materiale riconducibilità dell'evento lesivo accorso al Pa. all'attività posta in essere dal Ma. e non avendo questi offerto la prova positiva richiesta di aver adottato ogni cura e misura idonea ad evitare il danno, anche suggerita dalla ordinaria diligenza e dalla comune prudenza (riferisce al riguardo il teste Ba. Se. che le casse non erano legate al muletto, ma incastrate l'una sull'altra), ne va senz'altro affermata la responsabilità in relazione all'evento dedotto in giudizio. Quanto alla posizione assunta dalla società convenuta, risultando pacifico - per ammissione stessa di controparte - che il sinistro è stato occasionato dall'espletamento di incombenze connesse allo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze della stessa, si versa - come correttamente evidenzia a difesa di parte attrice - nella fattispecie descritta all'art. 2049 c.c., che delinea una forma di responsabilità oggettiva solidale per fatto altrui, basata cioè sulla mera sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell'illecito stesso alle mansioni svolte dal dipendente, a prescindere da ogni accertamento relativo all'elemento oggettivo. Dovendo, dunque, ritenersi raggiunta la prova in ordine alla sussistenza del fatto illecito del preposto in tutti i suoi elementi, all'espletamento, ad opera dello stesso, di un incarico connesso al vincolo di dipendenza alla società convenuta ed al nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni a questi nell'occasione affidate e l'evento lesivo, la Si. Go. S.r.l. non può mandarsi esente da responsabilità, per cui risulta tenuta, in solido con l'autore del fatto illecito, al risarcimento del danno patito dall'istante. Quanto alla compagnia di assicurazioni convenuta, la fonte della responsabilità sulla stessa gravante va, invece, ravvisata nella garanzia assunta - a decorrere dal 30.7.1986 fino al 31.12.1996 - nei confronti ella Si. Go. S.r.l. con la polizza n. (...) versata in atti, che copre il rischio della responsabilità civile per i danni involontariamente cagionati a terzi dall'assicurato o da persone delle quali o con le quali lo stesso sia chiamato a rispondere nella sua qualità di proprietario di n. 2 carrelli levatori su ruote gommate (individuati mediante numero di matricola), compresa la circolazione su aree private; rientrando l'evento dedotto in giudizio in siffatta previsione, la compagnia di assicurazione è, dunque, chiamata a rispondere del danno occorso all'attore in via solidale con il danneggiante e l'assicurato, attesa la eadem causa obligandi rinvenibile nel nesso tra debito aquiliano ed obbligazione indennitaria sulla stessa gravante ex lege. Venendo alla determinazione del quantum, va senz'altro disattesa la richiesta di rimessione della causa (...) istruttoria avanzata dalla difesa della compagnia di assicurazioni convenuta, attesa l'ininfluenza, ai (...) della decisione da assumersi in questa sede, della acquisizione agli atti di copia della denuncia I.N.A.I.L. effettuata dall'attore: se è indiscusso, infatti, che la liquidazione del danno non può mai costituire oggetto di locupletazione per l'infortunato, esula, tuttavia, dall'odierno thema decidendum l'indagine relativa all'eventuale esercizio del diritto di surroga dell'istituto gestore delle assicurazioni sociali, soggetto estraneo al presente giudizio, ove si controverte esclusivamente in tema di illiceità della dedotta fattispecie e del conseguente obbligo risarcitorio del terzo danneggiante, del proprio datore di lavoro e della compagnia assicuratrice dello stesso. Ciò premesso, dovendo la liquidazione del danno necessariamente effettuarsi sulla base di criteri (...) ed, in particolare, oltre che su una somma predeterminata per ogni giorno di invalidità temporanea, sul valore medio del punto di invalidità permanente - calcolato sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano - il parametro di tale quantificazione risulta offerto dalla stima effettuata dal C.T.U., che ha valutato la durata dello stato di malattia in complessivi giorni 253, di cui 100 di incapacità totale e 153 di incapacità temporanea parziale al 50% ed i postumi permanenti nella misura del 9-10%, dal che consegue che il danno biologico complessivamente subito dal Pa. deve quantificarsi in Euro 23.469,89 (somma ad oggi rivalutata), di cui Euro 11.775,00 a titolo di danno biologico da invalidità permanente (invalidità al 9% su soggetto di anni 52 all'epoca dell'incidente ed Euro 11.694,89 quale danno biologico da invalidità temporanea (110 giorni di inabilità assoluta ad Euro 66,26 pro die e 153 giorni di inabilità parziale al 50%). Vi è poi da considerare il danno morale (inteso quale "patema d'animo" o "sofferenza contingente") che, tenuto conto della dinamica dell'accadimento, della entità delle lesioni riportate e dei postumi derivati all'infortunato, si stima equo quantificare in 1/3 quello biologico, per un ammontare pari ad Euro 7.823,30, di talché il danno complessivo alla persona, dallo stesso subito, deve quantificarsi in Euro 31.293,19, somma già debitamente rivalutata alla data della presente sentenza in ragione della perdita del potere d'acquisto della moneta, determinata secondo gli indici Istat, cui vanno aggiunti gli interessi legali, da calcolarsi - alla luce della sentenza della Suprema Corte S.U. n. 1712/95 in materia cumulo tra compenso per il deprezzamento monetario ed interessi per il danno conseguito al ritardato adempimento dell'obbligazione risarcitoria - sulle somme annualmente rivalutate (e non, dunque sull''intero importo innanzi indicato), fino all'effettivo soddisfo. Va, invece, disattesa la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale che l'istante sostiene essergli derivato dalla mancata percezione di redditi nell'anno 1988, per non avere egli offerto, neanche a mezzo di presunzioni, la prova che l'invalidità permanente abbia inciso sulla propria capacità di guadagno, atteso che tra la lesione della salute e la diminuzione della capacità di produrre reddito non assiste alcun rigido automatismo che consenta di ritenere quest'ultima ridotta in egual misura, gravando in ogni caso sul soggetto leso l'onere di allegare e provare detta circostanza (facendo applicazione di tale principio la Suprema Corte con sentenza n. 10031 del 29.4.2006 ha confermato la decisione del giudice di merito che non aveva ritenuto sufficienti a provare la diminuzione di introiti per la società di fatto cui il danneggiato partecipava le risultanze delle dichiarazioni dei rediti prodotte); deve a fortori escludersi, la sussistenza nella fattispecie di un danno patrimoniale conseguente alla (...) della capacità di guadagno, avendo il C.T.U. evidenziato a chiare lettere che i postumi descritti non incidono in misura apprezzabile sulla specifica capacità lavorativa e produttiva del periziando. Entro tali limiti la richiesta risarcitoria avanzata da parte attrice merita, dunque, accoglimento e va, per effetto, pronunciata la condanna solidale dei convenuti al risarcimento del danno in favore di parte (...). Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Ma., definitivamente pronunciando nella causa civile vertente tra Pa. Eg. nei confronti di Ma. Al., Si. Go. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e, per l'effetto, condanna i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno subito da Pa. Eg., che si quantifica nella complessiva somma di Euro 31.293,19, oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata al saldo; - dichiara inammissibile la domanda proposta dai convenuti Ma. Al. e Si. Go. S.r.l. nei confronti di Sa. S.p.A.; - condanna i convenuti, in solido tra loro, al pagamento, in favore di Pa. Eg., delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 8.830,46, di cui Euro 1.087,46 per spese, Euro 2.993,00 per diritti ed Euro 4.750,00 per onorario, oltre spese generali. I.V.A. e C.P.A. come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MACERATA UFFICIO DEL GIUDICE UNICO Il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Vincenzo Semeraro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 748 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili dell'anno 1996 e promossa da Fa. di Ca.Fa. & c., società in nome collettivo, in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Ca.Fa. avente sede sociale in Mo.Sa.Gi. (MC), via Ma.De.Co., rappresentata e difesa dall'Avv. Am.Ma., del Foro di Macerata, presso lo studio legale del proprio patrocinatore, in Mo.Sa.Gi. (MC), via Pu., elettivamente domiciliata, giusta delega a margine dell'atto di citazione; attrice contro S. I. di Br.Ot. & C., società in accomandita semplice, in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Br.Ot., avente sede sociale in Po.A.Ca.Fu. (FI), via De.Co., rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente, dall'Avv. Ma.Gi., del Foro di Firenze, e dall'Avv. Fa.St., del Foro di Macerata, presso e nello studio legale di quest'ultimo, in Ma., corso Ca., elettivamente domiciliata, giusta procura speciale a margine della comparsa di costituzione in giudizio e di risposta; CONVENUTA CONCLUSIONI ATTRICE Piaccia all'Ecc. mo Tribunale adito, in accoglimento delle richieste della parte attrice e per i motivi esposti nella superiore narrativa, condannare la convenuta S.I. s. a. s. al risarcimento del danno causato alla Fa. s. n. c. per le lavorazioni non eseguite a regola d'arte, e per effetto di ciò condannarla al pagamento della somma di Lire 189.000.000 o di quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, anche a seguito di apposita C. T. U. con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulla sorte di condanna dal 16/4/96 al saldo effettivo; con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa. CONCLUSIONI CONVENUTA Voglia l' Ill.mo Tribunale di Macerata, ogni contraria istanza ed eccezione reietta e disattesa: - in via preliminare, riconoscere e dichiarare la propria incompetenza per territorio a favore del Tribunale di Firenze; - in subordine, respingere la domanda attrice perché infondata in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese, funzioni ed onorari. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'atto introduttivo del giudizio, notificato in data 7-10 giugno 1996 per il tramite del servizio postale, il signor Fa.Ca., in qualità di legale rappresentante pro tempore della società in nome collettivo Fa. di Fa.Ca. & c., meglio individuata in epigrafe, adiva il Tribunale di Macerata esponendo come, nel precedente mese di novembre 1995, esso attore aveva acquistato, nella qualifica predetta, un quantitativo rilevante di pelli bovine intere di prima scelta, conciate in "We.Bl. ", dalla ditta St.Pe. Successivamente, il Ca. pattuiva accordo con la società in accomandita semplice S.I. di Br.Ot. & c., pure meglio identificata in epigrafe, in base al quale le pelli suddette sarebbero state rilavorate e conciate da quest'ultima società, al fine di donare alle pelli stesse colorazioni differenti rispetto a quelle originarie: più in particolare, alcune pelli dovevano essere tinte in bianco, altre in nero, altre in marrone. Alla resa delle pelli conciate e tinteggiate, il Ca. sottoponeva le stesse a prove di lavorazione, all'esito delle quali si rivelavano vari difetti dell'opera prestata dalla s. a. s. S.I. : in particolare, le pelli tinte in bianco presentavano, in realtà, colorazione grigio -chiara e varie macchie in avorio, mentre le pelli tinteggiate in nero tendevano a perdere la tinta stessa, che stingeva sino al grigio scuro, e, soprattutto, presentavano una assoluta fragilità del fiore della pelle, tale da causare la totale assenza di elasticità del materiale, soggetto a rotture allorché subiva piegamenti a 180°. Il Ca. asseriva di aver provveduto alla immediata denunzia dei vizi riscontrati, che rendevano la merce resa totalmente inadatta alla sua naturale destinazione (la rivendita a calzaturifici per l'impiego nella fabbricazione di calzature), e di aver subito un danno economico pari a Lire 189.000.000. Visto vano ogni tentativo di recuperare la perdita economica in via stragiudiziale, il Ca. adiva la strada dell'azione giudiziaria per ottenere la condanna della società convenuta al risarcimento del danno cagionato per negligenza ed imperizia nella lavorazione delle pelli; chiedeva, infine, la condanna della società convenuta alla rifusione delle spese del grado di giudizio. Si costituiva in giudizio la società in accomandita semplice S.I. di Br.Ot. & c., in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Br.Ot., che vivacemente confutava gli assunti avversari, contestando, in limine litis, la sussistenza della competenza per territorio della adita A.G. ed indicando quella del Tribunale di Firenze, avente giurisdizione sulla zona in cui essa convenuta aveva il proprio insediamento industriale ed ove era stato stipulato il contratto dedotto in giudizio ed ove era stata eseguita l'obbligazione; inoltre, nel merito, ricusava ogni propria responsabilità nella causazione del danno lamentato dalla controparte, asserendo come le pelli fossero state consegnate per la lavorazione senza alcuna indicazione della destinazione che le stesse dovevano avere dopo la conciatura; da ultimo, si contestava la tempestività della denunzia dei vizi riscontrati dalla società attrice. Concludeva, quindi, la convenuta, per la reiezione della domanda attorea, con condanna della controparte alla rifusione delle spese del grado di giudizio. Dopo l'udienza di prima comparizione e la fase della trattazione, la causa veniva istruita per il tramite di assunzione di prova testimoniale, nonché, ancora, di affidamento di incarico peritale di natura tecnica, atto a verificare la sussistenza dei vizi denunziati nonché la loro riconducibilità alla inadeguatezza dei lavori eseguiti. In esito al compimento dell'istruttoria, veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni, nel corso della quale i procuratori delle parti si riportavano alle richieste formalizzate nei rispettivi atti introduttivi. La causa veniva trattenuta in decisione previa assegnazione dei termini di cui all'art. 281 quinquies c.c. La sola difesa della parte attrice provvedeva al deposito di comparsa conclusionale. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, si osserva come non appaia fondata l'eccezione di incompetenza per territorio, sollevata, in limine litis, dalla difesa della società convenuta. È pur vero che la sede sociale di quest'ultima è compresa nel circondario del Tribunale di Firenze, ma è altrettanto vero che il foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni, come individuato dal disposto dell'art. 19 c.p. C, concorre con quello relativo alla cause inerenti ad obbligazioni (quale indubbiamente quella sottoposta all'odierno vaglio di questo giudicante), di cui all'art. 20 c.p. C, che determina il criterio di radicamento territoriale nel luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio. Nella specie, l'obbligazione prefata origina dalla stipulazione di contratto di appalto, intercorso tra la società attrice e quella convenuta, concluso, secondo quanto riferito dal teste To.Fa., indotto proprio dalla difesa della parte convenuta, in maniera verbale, il che lascia presumere, secondo l'ordinarietà e la correntezza dei rapporti commerciali e secondo le stesse prassi seguite dalle parti dell'odierna vicenda processuale (si vedano le testimonianze rese dal ridetto To. e da Me.Lo., moglie del legale rappresentante pro tempore della società convenuta), che l'accordo verbale sia avvenuto tra soggetti non compresenti, ma a distanza, mediante l'utilizzo dello strumento telefonico. Dunque, il luogo di conclusione del contratto, alla stregua della disciplina di cui all'art. 1326 C.C., è da individuare in quello ove il proponente (Ca.Fa., in qualità di legale rappresentante pro tempore della società attrice) ebbe contezza della accettazione manifestata dal legale rappresentante pro tempore della società convenuta, cioè il luogo ove era la sede sociale della società attrice (Mo.Sa.Gi.). Quanto al merito della questione dedotta in giudizio, occorre aggiungere che la pretesa dell'odierna attrice può trovare parziale accoglimento. L'esperimento dell'istruttoria ha consentito di appurare che, anzitutto, fu tempestiva la denunzia dei vizi, siccome operata, sempre telefonicamente, dalla società attrice nei confronti della società convenuta: di ciò fanno fede le dichiarazioni rese dai testi indotti dalla stessa parte attrice, Ma.Ma. e Ci.Om. Quest'ultima, in particolare, ha riferito di aver assistito personalmente alla telefonata intercorsa tra il Ca. ed il Br. ed avente ad oggetto la denunzia dei vizi summenzionati ed ha individuato l'epoca in cui l'episodio si verificò per quella immediatamente successiva all'ultima consegna di pellami da parte della società convenuta. Tali dichiarazioni non sono efficacemente contrastate da quelle dei testi indotti dalla difesa della parte convenuta: il teste To.Fa., infatti, pur premettendo di essere uno dei due impiegati della società convenuta addetto a mansioni di segreteria, tra cui quella di ricezione delle telefonate dirette al titolare della ditta, ha meramente escluso di aver ricevuto personalmente chiamate da parte della società attrice nel periodo utile per la denunzia dei vizi, con ciò non escludendo che la telefonata in questione possa essere stata ricevuta dall'altro impiegato addetto alle stesse mansioni. La teste Me.Lo., in cui deve individuarsi tale altro impiegato, ha asserito di non ricordare nulla del periodo in questione e delle telefonate ricevute durante lo stesso. L'esistenza dei vizi di cui all'atto di citazione può essere desunta vuoi dalla nota, redatta in data 16 aprile 1996 dal legale della società attrice e diretta a quello della società convenuta, con cui si provvedeva, tra l'altro, ad una denunzia scritta dei vizi stessi, vuoi dalla perizia giurata, compilata dal Dott. Prof. Pi.Te. in data 14 maggio 1996, offerta in comunicazione dalla difesa della parte attrice. A tal proposito, si sottolinea come, secondo consolidato orientamento esegetico della giurisprudenza di legittimità, la perizia giurata, depositata da una parte, non è dotata di efficacia probatoria nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di avere accertato, non essendo prevista dall'ordinamento la precostituzione fuori dal giudizio di un siffatto mezzo di prova. Ad essa si può solo riconoscere valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto (v. Cass., sez. II^ civile, 19 maggio 1997, n. 4437, Fabiani v. Nardi, in Giust. civ. Mass., 1997, 785). Orbene, la perizia compilata dal Prof. Te. costituisce, dunque, indizio della esistenza dei vizi in essa descritti analiticamente, e tutt'affatto coincidenti con quelli di cui all'atto di citazione; tale indizio è corroborato dalle ulteriori emergenze processuali di cui si è già parlato (la missiva di denunzia compilata dal legale della società attrice, la denunzia verbale effettuata, in maniera tempestiva dal legale rappresentante pro tempore della società attrice). Il quadro indiziario che ne risulta appare connotato dalla compresenza di numerose e concordanti apparenze, che, in maniera univoca, consentono di affermare come le pelli restituite dalla società convenuta a quella attrice fossero affette dai vizi meglio descritti in altra parte del presente provvedimento (attinenti alla colorazione ed, in qualche caso, anche alla elasticità del prodotto), tali da rendere la merce inidonea all'uso cui era destinata (confezionamento di calzature) e, soprattutto, per quel che in questa sede rileva, tali da essere ascrivibili ad imperizia e negligenza della società convenuta nella esecuzione dei lavori commissionatile. Si rifletta, infatti, che i vizi vennero riscontrati dal personale della società attrice subito dopo la consegna della merce da parte della società convenuta, sì che la contiguità temporale, priva di alcuna soluzione di continuità, rende evidente che i difetti stessi trovassero la loro causa in una conciatura eseguita non a perfetta regola d'arte (post hoc, ergo propter hoc). Nulla è emerso che consenta di appurare l'intervento di fattori causali indipendenti (nella fase intercorsa tra la lavorazione delle pelli da parte della società convenuta e la consegna del prodotto semilavorato alla società attrice) tali da aver generato i difetti riscontrati in maniera autonoma. Il caso dei vizi e delle difformità dell'opera realizzata è disciplinato dal primo comma dell'art. 1668 C. C, che contempla sanzioni più attenuate rispetto alla risoluzione del contratto, tra le quali il risarcimento del danno cagionato. La difformità consiste in una discordanza di qualsiasi specie dalle prescrizioni contrattuali ed è, quindi, la risultante di un giudizio comparativo tra l'essere ed il dovere essere in conformità al contenuto del programma negoziale; il vizio si manifesta, invece, in una mancanza di modalità o qualità che, pur non specificamente pattuite (ciò rende giustizia dell'assunto difensivo della convenuta, secondo cui l'attrice non ebbe a specificare la destinazione che dovevano avere i pellami dopo la lavorazione commissionata da essa convenuta), debbono inerire all'opera secondo le regole dell'arte o la natura delle cose. La giurisprudenza collega la responsabilità dell'appaltatore all'ampio margine di autonomia tecnica ed organizzativa da lui goduta, che gli impone di attenersi alle regole dell'arte e di assicurare al committente il risultato tecnico conforme alle esigenze concrete (ex plurimis Cass., 14 novembre 1994, n. 9562). Quanto precede induce a ritenere raggiunta la dimostrazione dell'assunto attoreo: invero, la società attrice chiede il solo risarcimento dei danni in ragione della lamentata sussistenza dei vizi dedotti e denunziati. L'accertata sussistenza dei vizi lamentati rende ragione dell'accoglimento della pretesa attorea diretta ad ottenere declaratoria di condanna della convenuta al risarcimento dei danni subiti dall'attrice. A questo proposito, si sottolinea come l'esperimento della consulenza tecnica d'ufficio ha consentito di appurare come, in epoca successiva alla consegna della merce da parte della società convenuta, la società attrice abbia, comunque, proceduto alla vendita di parte dei pellami affetti dai vizi, sia pure a prezzi inferiori agli stessi esborsi da essa attrice sopportati per le lavorazioni commissionate alla società convenuta. Dunque, il danno subito dalla società attrice deve essere individuato nella somma pagata per l'acquisto delle pelli (pari a Lire 24.000.000), nella somma corrisposta per le lavorazioni commissionate alla società convenuta (pari a Lire 165.000.000), cui deve essere sottratta la somma percepita dalla società attrice in esito alla vendita di parte dei pellami ridetti (pari a Lire 73.834.522). Il danno subito dalla società Fa., dunque, ammonta a Lire 115.165.478 (centoquindici milioni, centosessantacinquemila e quattrocentosettantotto). Conseguentemente, la società convenuta dovrà restituire all'odierno attore la somma summenzionata, pari, nell'attualità, a Euro 59.478 (cinquantanovemila e quattrocentosettantotto) e centesimi 1 (uno); tale somma andrà rivalutata secondo gli indici ISTAT. Sulla somma stessa andranno corrisposti interessi al tasso legale, dalla data della notificazione dell'atto di citazione (10 giugno 1996), mancando, in atti, prova di precedente messa in mora della società convenuta in relazione all'obbligo di risarcimento dei danni cagionati (tale non può essere considerata la missiva in data 16 aprile 1996, che costituisce mero atto di denunzia dei vizi stessi, non contenendo alcuna prospettazione dei danni subiti ed alcuna richiesta risarcitoria). Il regolamento delle spese processuali si informa al principio della soccombenza; a tal uopo, si dichiara che le spese, liquidate come da dispositivo, da rifondere alla parte attrice vengono compensate nella misura del 30%, in ragione della parziale soccombenza della stessa parte attrice, la cui pretesa, con riferimento al quantum della stessa, non ha trovato totale accoglimento. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Fa. di Ca.Fa. & c., società in nome collettivo, in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Ca.Fa., con atto di citazione notificato per il tramite del servizio postale, nei confronti della convenuta S.I. di Br.Ot. & c., società in accomandita semplice, in persona del legale rappresentante pro tempore, signor Br.Ot., ogni contraria domanda, eccezione e deduzione respinta, così provvede: a) accerta la responsabilità della società convenuta per inadempimento del contratto di appalto stipulato con la società attrice in ragione della sussistenza di vizi dell'opera effettuata e, per l'effetto, condanna la società convenuta al risarcimento dei danni subiti dalla società attrice, che si determinano, per le ragioni di cui in motivazione, nella somma di Lire 115.165.478, pari a Euro 59.478 (cinquantanovemila e quattrocentosettantotto) e centesimi 1 (uno); tale somma andrà rivalutata secondo indici ISTAT e sulla stessa andranno corrisposti interessi al tasso legale, dalla data della notificazione dell'atto di citazione (10 giugno 1996) sino all'effettivo soddisfo; b) condanna la società in accomandita semplice S.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio e di lite, sostenute dalla parte attrice nel presente grado di giudizio, che si liquidano, previa compensazione al 30%, in complessivi Euro 7.833 (settemila ed ottocentotrentatre) e centesimi 65 (sessantacinque), di cui Euro 2.670 (duemila e seicentosettanta) e centesimi 77 (settantasette) per diritti di procuratore, Euro 4.900/00 (quattromila e novecento) per onorari di avvocato, Euro 262 (duecentosessantadue) e centesimi 88 (ottantotto) per spese borsuali imponibili, oltre ad I.V.A., se dovuta, C.P.A. e rimborso forfetario come per legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MACERATA SEZIONE STRALCIO Il Tribunale di Macerata, sezione stralcio, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Vincenzo Semeraro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 419 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili dell'anno 1987 e promossa da Ma.Va., nato il giorno (...) a Po.Pi. (MC), ivi residente, assistito e difeso dall'Avv. Gi.Fa., del Foro di Ma., elettivamente domiciliato in Ci.Ma. (MC), via Ma., presso e nello studio legale del proprio patrono, giusta procura speciale estesa a margine dell'atto di citazione; Attore contro Ai.Gi., residente in Ci.Ma. (MC), contrada Mi., rappresentato e difeso dall'avv. Fe.Ga., del Foro di Ma., elettivamente domiciliato in Ci.Ma. (MC), corso Um.I., presso e nello studio legale del proprio difensore, giusta procura speciale redatta a margine della comparsa di costituzione in giudizio e di risposta; Convenuto e con l'intervento di Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato di Macerata, avente sede in Ma., in persona del dirigente, rappresentata e difesa dall'Avv. Go.Bi., del Foro di Ma., elettivamente domiciliata in Ma., via Cr., presso e nello studio legale del proprio patrono, giusta procura speciale redatta in calce alla copia notificata dell'atto di citazione; Intervenuto Conclusioni Attore Piaccia al giudice adito, ogni contraria istanza disattesa o rigettata, confermato il provvedimento del Pretore di Civitanova Marche, accertare e dichiarare la nullità del titolo per cui è causa, dichiarare che il Sig. Ma.Va. nulla deve al sig. Ai.Gi. in relazione al titolo medesimo e disporre che non venga pubblicato il protesto nel Bollettino Ufficiale della Camera di Commercio relativo all'assegno in questione, con vittoria di spese e onorari di lite. Conclusioni Convenuto Piaccia all Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione reietta, respingere la domanda attrice perché inammissibile e, comunque, infondata in fatto e in diritto. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio. Conclusioni Intervenuta Si conclude pertanto chiedendo: declaratoria di inefficacia del provvedimento del Pretore di Civitanova Marche del giorno 06.11.1986 ed in atti citato. Revoca in ogni caso del provvedimento stesso perché emesso da giudice incompetente per territorio. Declaratoria di inefficacia o revoca per mancanza di richiesta di convalida nei termini fissati dal Pretore. Il tutto con vittoria di spese ed onorari di lite. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'atto introduttivo del giudizio, notificato in data 3 marzo 1987 per il tramite del servizio postale, il signor Va.Ma. citava in giudizio il signor Ai.Gi., asserendo che entrambi, nell'anno precedente, in qualità di soci della società a responsabilità limitata Pu., avevano prestato fideiussione, in favore della compagine societaria, unitamente agli altri membri della stessa, onde consentire la apertura di nuove linee di credito da parte del sistema bancario; in particolare, l'istituto bancario con cui ordinariamente operava la società aveva richiesto, oltre alla garanzia personale dei soci, anche la prestazione di garanzia reale, sicché proprio l'Ai.Gi. si era indotto alla dazione in pegno di due libretti bancari, recanti un saldo attivo per complessive Lire 280.000.000. In tale occasione, peraltro, l'Ai. aveva preteso che gli altri soci, tra cui esso attore, gli rilasciassero, in proporzione della rispettiva partecipazione societaria, assegni bancari in garanzia della copertura delle somme che esso Ai. si fosse trovato ad esborsare effettivamente in favore della società. Fu così che, nell'assunto attoreo, il Ma. consegnò all'Ai. un assegno bancario, privo della indicazione della data e del luogo di emissione, dell'importo di Lire 46.666.666, che doveva costituire garanzia dell'impegno del Ma. stesso alla restituzione, prò quota, di quanto l'Ai. avesse sborsato. La banca, nel frattempo, liquidava il pegno, sicché l'Ai. subiva l'effettivo esborso della somma recata dai libretti di deposito summenzionati; in ragione di ciò, nell'assunto attoreo, l'Ai. procedeva, illecitamente, a porre all'incasso l'assegno bancario rilasciato dal Ma., contrariamente agli accordi intercorsi ed a sua insaputa. Già aveva adito, esso attore, il Pretore di Ci.Ma. per chiedere, in via d'urgenza, alla stregua del disposto dell'art. 700 c.p. C, la sospensione della pubblicazione del protesto, che era stato levato a seguito del mancato pagamento dell'assegno. Agiva, ora, dopo aver ottenuto tutela nella fase interdittale, per conseguire una declaratoria di nullità dell'assegno stesso e di non debenza di esso attore nei confronti dell'Ai., con conseguente condanna del medesimo alla rifusione delle spese di giudizio. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale contestava vibratamente tutti gli assunti di controparte, asserendo che l'assegno di cui all'atto di citazione, così come tutti quelli rilasciatigli dagli altri soci della s. r. l. Pu., non avevano lo scopo di costituire garanzia del futuro adempimento di obblighi di restituzione, ma erano stati consegnati proprio e soltanto a titolo di pagamento di quanto da ciascuno dei soci dovuto ad esso convenuto, che aveva anticipato, anche nell'interesse degli altri, la somma recata dai libretti di deposito costituiti in pegno in favore dell'istituto di credito che ciò aveva richiesto (la Cassa di Risparmio di Lo.). La pretesa dell'attore doveva, conseguentemente, essere respinta, con condanna dello stesso alla rifusione delle spese del grado di giudizio. Interveniva volontariamente anche la C.C.I.A.A. di Ma., la quale deduceva l'incompetenza del Pretore adito durante la fase interdittale in favore di quello di Ma. e l'inammissibilità del provvedimento che concedeva la cautela richiesta dal Ma., oltre che della stessa azione di merito, in ragione della circostanza che l'attore non aveva domandato nulla in relazione alla eventuale ratifica del provvedimento cautelare prefato. Dopo varie udienze di trattazione, in seguito alla assunzione di testimonianze indotte dalla parte attrice e dalla parte convenuta, la causa veniva trattenuta in decisione, con riserva di riferire al Collegio, da parte del G.I.: l'udienza collegiale di discussione veniva fissata per il giorno 10 dicembre 1998. Successivamente all'entrata in vigore della legge n. 276/1997 la causa veniva assegnata alla sezione stralcio dell'intestato Tribunale. Il G. O. A. designato provvedeva alla convocazione delle parti al solo fine di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione. La parte attrice modificava, a verbale, le conclusioni assunte nel corso delle precorse udienze, sino a che, nel corso dell'udienza del 14 marzo 2006, la causa veniva trattenuta in decisione da questo giudicante, cui la stessa era stata assegnata a seguito della cessazione della sezione stralcio. Le parti rinunciavano espressamente ai termini per lo scambio di comparse conclusionali e di repliche. MOTIVI DELLA DECISIONE La pretesa azionata dall'attore nei confronti del solo Ai.Gi. (che, nei confronti della c.c. I. A. A. di Ma. il Ma. non avanza istanza di alcun genere, per lo meno in questa fase) non può trovare accoglimento. Preliminarmente, si osserva come la decisione di questo giudicante debba vertere sul thema decidendum, così come delineato nel corso dell'udienza del 22 marzo 1988 e, successivamente, mediante la comparsa di costituzione in giudizio del convenuto Ai., senza che si possa tenere alcun conto delle conclusioni, siccome variamente articolate dalle parti in epoca successiva. E valga il vero: in questa sede si tratta di decidere se all'udienza di comparizione fissata per l'esperimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 13 della legge n. 276/1997 sia ammissibile, preso atto dell'impossibilità di conciliare la controversia (così come, nella specie, è accaduto per le parti che, nell'attualità, ancora controvertono), la produzione di documenti e la ripetizione delle conclusioni in via istruttoria già in precedenza precisate ovvero, addirittura, la modifica delle conclusioni stesse, espressamente invocata dalla parte attrice. Autorevole dottrina esprime parere secondo cui (relativamente alle cause con litispendenza anteriore al 30 aprile 1995, già rimesse al collegio alla data del 20 agosto 1997) " l'udienza innanzi al giudice aggregato non è un'udienza di trattazione: pertanto le parti non possono modificare le conclusioni, allegare fatti, produrre documenti e chiedere nuovi mezzi di prova. La causa - che si trovava già in fase decisoria al momento dell'entrata in vigore della legge - rimane in fase decisoria (...) Co., il referente temporale di efficacia della sentenza, per quanto attiene ai fatti, resta l'udienza di precisazione delle conclusioni già svoltasi anteriormente all'entrata in vigore della legge. ". Le conclusioni appaiono pienamente condivisibili, in quanto atte a cogliere il reale senso dell'intervento del legislatore. Ci. detto, occorre subito aggiungere che, nella specie, indipendentemente dalle conclusioni formulate dalla parte attrice dinanzi al G. O. A., deve essere dichiarato il difetto di legittimazione ad agire (e, quindi, ad intervenire) della c.c. I. A. A.. Preliminarmente, si osserva, infatti, che, essendo il giudice tenuto, ai sensi dell'art. 182 c.p. C, a verificare d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti, rientra nel suo potere rilevare di propria iniziativa, anche in sede impugnatoria, e salvo il limite dell'eventuale formazione del giudicato interno, il difetto di legittimazione attiva o passiva, siccome trattasi di profilo d'indagine che attiene alla regolare instaurazione del contraddittorio. Tale verifica deve essere condotta, se non vi sono contestazioni al riguardo, sulla base degli atti processuali che siano stati acquisiti al processo, né l'organo giudicante è tenuto a svolgere con proprio impulso alcun'altra indagine, tanto meno a sollecitare le parti alla produzione di documenti idonei a suffragare la qualità spesa in giudizio, a meno che non lo ritenga opportuno, atteso che il secondo comma del citato art. 182 affida all'organo giudicante la mera facoltà di colmare - mediante l'invito alle parti a mettere in regola atti o documenti che riconosce difettosi, come pure attraverso l'assegnazione di un termine per la costituzione della persona cui spetta la rappresentanza o l'assistenza o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni - le lacune delle stesse parti, rimettendone l'esercizio al suo prudente apprezzamento (v. Cass., sez. 1^ civile, 14 marzo 2006, n. 5515, Soc. Elvi in conc. prev. v. Cassa risp. Alessandria ed altro, in Giust. civ. Mass., 2006, 3). Ciò detto, si osserva ulteriormente che in tema di pubblicazione degli elenchi protesti, l'operato della c.c. I. A. A. si caratterizza quale mero atto materiale con fasi indicate in maniera particolareggiata dalla legge e non è riconosciuto all'Ente camerale alcun tipo di discrezionalità. Trattasi, infatti, di atto divulgativo di notizie e non autoritativo. Non è, pertanto, nemmeno ipotizzabile un eventuale nocumento ad interessi legittimi e, di conseguenza, non può trovare spazio la giurisdizione amministrativa e, neppure, è configurabile un interesse giuridico della Camera di commercio a stare in giudizio, se, come nella specie, non le vengono mossi specifici rimproveri, in quanto il contenzioso civile ha il solo scopo di tutelare il soggetto ingiustamente protestato a causa di comportamenti estranei alla c.c. I. A. A.. In tal senso si inquadra l'insegnamento della Suprema Corte secondo il quale l'ordine di sospensione e di cancellazione del Giudice alla Camera di commercio viene impartito all'ente non quale autore della levata dei protesti, ma quale ente deputato alla loro pubblicazione. Anche nell'ipotesi di atto di protesto illegittimamente levato per errore commesso dal Pubblico Ufficiale abilitato, e di conseguente instaurazione di procedimento cautelare e della successiva fase di merito da parte del soggetto illegittimamente protestato nei confronti sia dell'Ufficiale levatore che della c.c. I. A. A., competente per la pubblicazione, il giudice di merito, oltre ad ordinare la cancellazione del protesto dal R. I. P., ragionevolmente statuisce che la chiamata in giudizio dell'Ente camerale o l'eventuale intervento volontario dello stesso si verificano erroneamente perché l'ente suddetto è parte estranea, non necessaria al processo e priva di qualsiasi interesse antitetico o contrario a quello dell'attore. Costituisce posizione già ben consolidata in giurisprudenza quella secondo cui l'attività della Camera di commercio nella pubblicazione degli elenchi dei protesti si sostanzia in una "semplice attività materiale" avente come risultato la divulgazione di notizie e risolventesi in comportamenti ed atti posti in essere al di fuori di una qualsiasi potestà amministrativa. Ciò stante, l'ente camerale sarebbe erroneamente chiamato in giudizio (od erroneamente interverrebbe in giudizio) nella fase di merito. La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che il provvedimento ex art. 700 c.c. ha carattere strumentale rispetto alla pronuncia di merito ed è emesso in funzione della sua idoneità ad assicurare provvisoriamente gli effetti di tale decisione e con un contenuto capace di neutralizzare il pregiudizio imminente ed irreparabile. Nel caso di ordine di sospensione di un protesto del quale si delinei l'illegittimità della levata, il decreto d'urgenza necessariamente si modella con un contenuto ed una direzione tali che il destinatario del mezzo di tutela cautelare è un soggetto diverso da quello che dovrà essere convenuto nel giudizio di merito quale soggetto nei cui confronti è richiesta la tutela giurisdizionale finale e definitiva di accertamento dell'illecito e risarcitoria. In altre parole, per la Suprema Corte i motivi della presenza in giudizio della c.c. I. A. A. si esauriscono con l'esaurirsi della fase cautelare; la partecipazione dell'ente alla conseguente fase del merito non è perciò necessaria. Dunque, mancando la legittimazione passiva in capo alla Ca. di commercio nel giudizio di merito, nulla è dovuto dalla (od alla) medesima in tema di spese processuali, in quanto non è da applicarsi il principio della soccombenza ex art. 91 c.c. (v. Cass., sez. 1^ civile, 30 agosto 2004, n. 17415, Crisci v. Camera di Comm. Chieti, in Giust. civ. Mass., 2004, 7 - 8). Quanto all'azione esperita dal Ma. nei confronti dell'Ai., si osserva che, anche a voler accedere alla fondatezza della ricostruzione fattuale prospettata dall'attore, la stessa non potrebbe trovare accoglimento. E valga il vero: l'atto di protesto di assegno ha il compito di rilevare formalmente il mancato pagamento dello stesso e di sancirne la fine della circolazione in considerazione della tutela dell'interesse pubblico alla efficacia ed alla celerità dei rapporti commerciali, rendendo di pubblico dominio il nominativo del debitore insolvente. Esiste peraltro, secondo la giurisprudenza, il diritto soggettivo alla non pubblicazione del protesto solo nel caso di debitore incolpevole, in considerazione del fatto che in siffatta ipotesi, essendo il mancato pagamento assolutamente legittimo, non v'è spazio l'accennato interesse pubblico. In tali situazioni, l'Autorità Giudiziaria Ordinaria ha piena facoltà di disporre sia la sospensione, che la definitiva cancellazione del protesto. La vigenza di questo tipo di sistema legislativo e giurisprudenziale realizza un trattamento differenziato fra debitori colpevoli ed incolpevoli, garantendo, inoltre, l'onorabilità ed il buon nome commerciale di questi ultimi, da un lato, e la generale esigenza di una spedita informazione della collettività circa i nominativi dei primi, dall'altro. Alla luce di tutto ciò, non assume la veste di "debitore incolpevole" colui che emette e concede in garanzia un assegno privo di copertura e/o sprovvisto di data e luogo di emissione anche qualora il creditore, violando l'accordo sottostante, invece che restituire il titolo, provveda a girarlo ad altra persona la quale lo presenti all'incasso prima della scadenza pattuita tra debitore e beneficiario ovvero, esso stesso, provveda a mettere all'incasso il titolo. In tale situazione non è, difatti, nemmeno ravvisabile un fumus boni juris per un eventuale accoglimento di istanza cautelare ex art. 700 c.p. C, tendente ad ottenere la sospensione della pubblicazione del protesto. In primo luogo, perché la consegna al creditore dell'assegno privo della data di emissione viola il disposto degli artt. 1197 e 1182 C. C, così da non assurgere a valido mezzo di pagamento, ma a semplice promessa ex art. 1988 c.c. (v. Cass., sez. 1^ civile, 30 maggio 1996, n. 5039). In secondo luogo, la giurisprudenza qualifica nullo il patto di garanzia, in quanto la contrarietà dell'assegno, oltre che alle disposizioni codicistiche teste citate, anche alle norme imperative di cui agli artt. 1 e 2 del R. D. 21 dicembre 1933, n. 1736, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, fa ritenere non meritevoli di tutela giuridica gli interessi perseguiti dalle parti con l'accordo "atipico" tramite il quale si conferisce, all'emissione di un assegno, la funzione di garanzia, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume contenuto nell'art. 1343 c.c. (v. Cass., sez. II^ Civ., 19 aprile 1995, n. 1368). Ne consegue che non può definirsi debitore incolpevole, vale a dire vittima di illecito penale o civile cui sia seguito un ingiusto protesto, il soggetto che faccia affidamento nel rispetto di un accordo nullo, al quale egli stesso abbia coscientemente aderito, emettendo così un titolo privo di validità sia ai fini di garanzia, che a quelli di pagamento e, per di più, senza indicazione di data e luogo di emissione. Oltre tutto, ma ciò si dice per mera completezza espositiva, l'esperimento della istruttoria ha condotto alla emersione di risultanze le quali consentono di affermare come, anche a voler aderire alla tesi attorea (assegno emesso in garanzia del futuro adempimento di obblighi di restituzione di somme di denaro sborsate dall'Ai.), si deve concludere che l'odierno convenuto non abbia violato il pattizio intercorso con l'attore, in quanto, avendo effettivamente dovuto far fronte, personalmente, ed in favore della compagine societaria della quale faceva parte anche il Ma., all'esborso di somma pari a Lire 280.000.000, ebbe a porre all'incasso il titolo rilasciatogli dal Ma., così come avvenne per gli altri consegnatigli dagli altri soci, solo dopo aver preavvertito il Ma. stesso del suo intendimento di recuperare, prò quota, nei suoi confronti, le somme corrisposte alla Cassa di Risparmio di Lo. (v., in atti, copia della nota inviata tramite raccomandata a. r. in data 22 ottobre 1986 al Ma.) e, quindi, è dato arguire, dopo la scadenza del termine previsto dall'accordo sulla garanzia costituita dall'assegno bancario di cui si discute. Di ciò fanno fede anche le dichiarazioni rese dalla teste Ci.Fl., la quale ha dichiarato (v. verbale dell'udienza del 30 giugno 1994) che essa Ci., vedova di Gi.Ca., socio della Pu. s. r. l., aveva provveduto a saldare quanto dovuto dal marito, dopo che la Cassa di Risparmio di Lo. aveva proceduto alla liquidazione del pegno, ed, anzi, aveva versato anche quanto di spettanza del Ma., che, per ciò che era di sua competenza, aveva ricusato il pagamento. Di analogo tenore, quanto alla corresponsione, prò quota, di quanto dovuto all'Ai., sono le dichiarazioni del teste Re.Ma., pure esaminato nel corso dell'udienza del 30 giugno 1994. A nulla rileva che la Ci. abbia asserito che, per quanto a sua conoscenza, l'Ai. ebbe a porre all'incasso il titolo consegnatogli dal Ma. all'insaputa di quest'ultimo: intanto, la Ci., nel rendere tale affermazione, aggiunge che la sua fonte di conoscenza è costituita dalle voci correnti nel Pu. Quindi, in maniera, oltre tutto, molto vaga e generica, la Ci., sul punto, altro non rende che testimonianza de relato. Orbene, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la deposizione testimoniale de relato, di per sé sola, non ha alcun valore probatorio e può acquisire rilevanza solo attraverso il riscontro di altre circostanze, le quali, quindi, devono avere adeguata consistenza ed essere congruamente esaminate dal giudice di merito nel loro rilievo e nella loro funzione (v. Cass., sez. III^ civile, 20 gennaio 2006, n. 1109, Caprioli v. Urbani, in Giust. civ. Mass., 2006, 1, 94). Nella fattispecie, non solo non è dato ravvisare tra le emergenze processuali alcun dato di riscontro alla affermazione prefata della Ci., ma, anzi, esiste prova documentale (la richiamata nota inviata dall'Ai. al Ma. in data 22 ottobre 1986) che apertamente confuta la dichiarazione della teste. Deve, dunque, concludersi che la pretesa dell'attore non può trovare accoglimento. Conseguentemente, deve essere revocato il provvedimento con cui, in data 10 novembre 1986, il Pretore di Civitanova Marche concedeva, inaudita altera parte, provvedimento di sospensione della pubblicazione nel R. I. P. (allora, Bollettino dei Protesti) del protesto elevato nei confronti del Ma.Va. per l'emissione dell'assegno di cui all'atto di citazione, tratto su conto corrente bancario intestato alla moglie del Ma. ed in relazione al quale il Ma. stesso non era dotato di potere di firma. Premesso che, secondo quanto ricordato all'inizio della presente trattazione, nulla spetta alla c.c. I. A. A. di Ma. a titolo di rimborso delle spese processuali sostenute per l'intervento volontario nella presente fase del giudizio, il regolamento delle spese processuali stesse si informa al criterio della soccombenza; le spese vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Ma.Va., meglio identificato in epigrafe, nei confronti del convenuto Ai.Gi., con atto di citazione notificato in data 3 marzo 1986, con l'intervento volontario della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato di Macerata, ogni contraria domanda, eccezione e deduzione respinta, così provvede: a) dichiara l'assenza di legittimazione a contraddire e ad intervenire della c.c. I. A. A. di Macerata e ne dispone l'estromissione dal giudizio; b) respinge la domanda di declaratoria di nullità dell'assegno bancario numero (...), tratto sul conto corrente bancario numero (...), acceso presso la agenzia di Ci.Ma. della Cassa di Risparmio di Ma., dell'importo di Lire 46.666.666, e di accertamento della non debenza di alcuna somma di denaro nei confronti di Ai.Gi., proposta da Ma.Va.; c) revoca il provvedimento reso in data 10 novembre 1986 dal Pretore di Civitanova Marche con cui quella A, G. disponeva la sospensione della pubblicazione del protesto relativo all'assegno di cui al punto b) che precede; d) condanna Ma.Va. alla rifusione delle spese di costituzione in giudizio e di lite, sostenute da Ai.Gi. nel presente grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.417 (quattromila e quattrocentodiciassette) e centesimi 88 (ottantotto), di cui Euro 1.564 (mille e cinquecentosessantaquattro) e centesimi 20 (venti) per diritti di procuratore, Euro 2.520/00 (duemila e cinquecentoventi) per onorari di avvocato, Euro 333 (trecentotrentatre) e centesimi 68 (sessantotto) per spese borsuali, oltre ad I.V.A., C.P.A. e rimborso forfetario come per legge. Sentenza provvisoriamente esecutiva.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MACERATA Ufficio del Giudice Unico Il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Vincenzo SEMERARO, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 389 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi Civili dell'anno 2000 e promossa da Pa.Ma.Gr., nata il giorno (...) a Pe., ivi residente in via Sa.Gi., codice fiscale (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ba.Cu. e dall'A w. La.Fr., entrambi del Foro di Ma., elettivamente domiciliata in Ma., via Ma., n. (...), presso e nello studio legale del primo, giusta procura speciale estesa a margine dell'atto di citazione. ATTRICE contro Co. di Pe., in persona del Si., legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Ma.Or., del Foro di Fe., in una al proprio patrono elettivamente domiciliato presso e nello studio legale dell'Avv. Al.Cr., del Foro di Ma., in Ma., via Do.Ro., n. (...), giusta delega in calce dell'atto di citazione passivo e secondo delibera del Consiglio Comunale n. (...); CONVENUTO Co.Nu.Ti. di As., Ri. e Ca., società per azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, avente sede sociale in Ro., rappresentata e difesa dall'Avv. Ga.Co., del Foro di Ma., presso il cui studio legale, in Ma., Ga. del Co., n. (...), è elettivamente domiciliata giusta delega in calce dell'atto di citazione per chiamata di terzo; CHIAMATO IN CAUSA CONCLUSIONI ATTORE Voglia l'adito Tribunale, riconosciuta la responsabilità del Comune di Pe., condannare il Me. e i suoi eventuali mallevadori in solido, a risarcire la Pa.Ma.Gr. dei danni infertiLe, materiali, morali, biologici nella misura che verrà quantificata in corso di causa o di quella che sarà ritenuta di giustizia, anche in via equitativa. Con vittoria di spese e competenze di lite. CONCLUSIONI CONVENUTO Ciò premesso si conclude per il rigetto della azione avversaria, con vittoria di spese ed onorari; nella denegata ipotesi che il G.I. voglia riconoscere la responsabilità del Comune di Pe., si chiede che venga condannata al ristoro dei danni tutti la Co.Nu.Ti.As. S.P.A. in virtù della polizza (...). CONCLUSIONI CHIAMATA IN CAUSA Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, per le causali di cui in narrativa e quant'altro ritenuto di giustizia: - in via preliminare, dichiarare la nullità dell'originario libello introduttivo ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 164, 4° comma c.p.c. e con ogni di ciò giuridica conseguenza; - nel merito ed in ogni caso, respingere la proposizione attrice in quanto infondata sia in linea di fatto che di diritto; vittoria di spese, diritti e competenze di lite. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con l'atto introduttivo del giudizio, notificato per il tramite del servizio postale, in data 8-9 marzo 2000 al convenuto Comune di Pe., Pa.Ma.Gr., meglio qualificata in epigrafe, adiva questa giustizia esponendo di essere rimasta vittima, in data 27 marzo 1999, di un sinistro stradale, verificatosi lungo la strada comunale che congiunge la località Fo., del suddetto Comune, al bivio per Sa.Gi., frazione sempre compresa in agro del Comune di Pe.. In particolare, la Pa. si trovava alla guida del proprio motociclo, allorché, marciando con direzione Sa.Gi., veniva a perdere il controllo della guida del mezzo, in ragione della presenza di fanghiglia e di zolle di terreno sul manto stradale, che rendevano viscida la superficie della strada percorsa. I residui terrosi si erano sparsi sulla sede viaria a causa del dilavamento dei terreni circostanti, cagionato da fenomeni atmosferici piovosi, verificatisi nei giorni antecedenti e sino alla notte prima rispetto al giorno del sinistro. Immediatamente soccorsa, la Pa., che aveva perso i sensi, veniva condotta, mediante eliambulanza, presso il nosocomio Um. di An., dal quale veniva dimessa solo in data 13 aprile 1999 con diagnosi di trauma cranico commotivo con contusione emorragica cerebrale tempora - basale destra, fratture costali multiple all'emicostato di sinistra, frattura della clavicola sinistra e della caviglia sinistra, frattura cranica temporale sinistra irradiata alla rocca petrosa. Tali gravi lesioni determinavano uno stato di invalidità temporanea totale e relativa, oltre che una invalidità permanente. La Pa. conveniva, quindi, in giudizio l'amministrazione comunale di Pe., in persona del Sindaco pro tempore, al fine di sentirne pronunziare la condanna al ristoro di tutti i danni, da essa attrice subiti, quantificati come da conclusioni trascritte in epigrafe, oltre che alla rifusione delle spese e competenze di lite. Si costituiva in giudizio l'amministrazione convenuta, per il tramite di procuratore, appositamente investito di mandato difensivo, la quale contestava vibratamente gli assunti attorei, negando ogni propria responsabilità nell'accaduto. Preliminarmente, l'amministrazione convenuta denunziava l'incompetenza della A.G., adita, dovendo ritenersi rientrare, la controversia agitata, nella sfera di competenza del Giudice di Pace; secondariamente, la richiesta stragiudiziale di risarcimento doveva ritenersi tardiva, essendo stata diretta ad essa amministrazione dopo il decorso del termine di sessanta giorni dal sinistro. Quanto al merito della vicenda, il sinistro doveva ritenersi ascrivibile alla imperita condotta di guida della Pa., che non si era avveduta dei detriti terrosi presenti sulla sede viaria, i quali, peraltro, in ragione delle ottime condizioni climatiche del giorno in cui si era verificato il sinistro e dell'ora di accadimento (piena mattinata), dovevano ritenersi perfettamente avvistabili. In via di ulteriore subordine, l'amministrazione convenuta chiedeva di essere autorizzata a chiamare in giudizio la compagnia di assicurazioni La.Nu.Ti. s.p.a., con cui aveva stipulato apposita polizza a garanzia dei rischi per sinistri derivati a terzi per la manutenzione delle strade. Concludeva, la convenuta, chiedendo, comunque, la reiezione delle pretese attrici ovvero, in via gradata, la condanna della società assicuratrice alla manleva, con conseguente vittoria di spese. All'udienza del 3 ottobre 2000, anche i procuratori della parte attrice chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa la compagnia di assicurazioni summenzionata ed in tal senso provvedeva il competente G. I.. Si costituiva, pertanto, in giudizio la ridetta società assicuratrice, la quale, in limine litis, eccepiva la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza dell'oggetto e della causa petendi; nel merito, la difesa della costituita compagnia assicuratrice si riportava alle osservazioni svolte dal Comune di Pe., domandando la reiezione delle pretese azionate dalla Pa.. Dopo l'udienza di prima comparizione delle parti e la fase della trattazione, la causa veniva istruita per il tramite di assunzione di interrogatorio formale dell'attrice e di testimoni, indotti dalla stessa parte attrice, nonché di affidamento di incarico peritale di natura medico - legale, diretto a verificare entità e natura delle lesioni, riportate dall'attrice in conseguenza del sinistro stradale per cui è causa, determinazione della invalidità temporanea assoluta e di quella parziale, grado dell'invalidità permanente e sua incidenza sulla capacità lavorativa dell'attrice, congruità delle spese mediche dalla stessa affrontate, per come denunziate nel libello introduttivo. In esito al compimento dell'istruttoria, a seguito dello scambio di memorie conclusionali e di repliche, la causa veniva trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Non può trovare accoglimento l'eccezione di incompetenza per materia, sollevata dalla difesa della parte convenuta: si osserva, a tal proposito, che il presente giudizio non ha ad oggetto un danno derivante dalla circolazione stradale in senso stretto, in quanto il danno lamentato non trova la sua causa efficiente nella circolazione, bensì direttamente nella struttura stradale, in custodia all'amministrazione convenuta, che è chiamata a rispondere del sinistro a norma dell'art. 2051 C.C. (e solo in via gradata dell'art. 2043 C.C). Senza disconoscere il carattere oscillante della giurisprudenza sia dei giudici di merito, che della stessa Corte di Cassazione sul punto, si osserva che appare preferibile l'indirizzo giurisprudenziale che propende per un'interpretazione restrittiva del concetto di danno da circolazione stradale, evidenziando come il danno cui si riferisce l'art. 7, secondo comma, C.P.C. (danno prodotto dalla circolazione dei veicoli e dei natanti), sia solo quello che trova la sua causa nella circolazione stradale, escludendo l'applicazione del disposto della norma surrichiamata (e con esso il concetto stesso di danno da circolazione stradale), ogni volta che la circolazione costituisca una mera occasione del verificarsi dell'evento dannoso, prodotto da un agente estraneo alla circolazione e con indipendenza dalla violazione delle norme del codice della strada che ne regolano lo svolgimento (cfr. Cass. n. 14564/2002 con specifico riferimento a danni che trovano causa in insidie stradali). Stessa identica motivazione deve essere addotta per la reiezione della eccezione inerente alla mancata osservanza del termine di cui all'art. 22 della legge n. 990 del 1969. Quanto, invece, alla eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza dell'oggetto e/o della causa petendi, sollevata, in limine, dalla difesa della società assicuratrice chiamata in causa, si osserva che l'atto introduttivo contiene compiuta, anche se stringata, descrizione del fatto originatore della responsabilità (mancata custodia del bene - strada comunale, cui è conseguita la presenza di insidia costruita dalla fanghiglia e dalle zolle erbose che avevano invaso la sede viaria), nonché delle conseguenze lesive derivatene alla attrice (si veda la analitica descrizione delle patologie di cui alla diagnosi stilata dai sanitari del nosocomio Um. di An.). Non sembra, quindi, che si sia verificata alcuna incertezza nell'individuazione della editio actionis e che da ciò sia derivato alcun pregiudizio in capo alle parti, convenuta e chiamata in causa, quanto al loro diritto di dispiegare una corretta e compiuta difesa tecnica. D'altro canto, l'unica conseguenza del rilievo della nullità, invocata dalla difesa della parte chiamata in causa sin dal primo atto costitutivo (comparsa di costituzione e risposta), sarebbe stata quella di fissare un termine entro il quale l'attore avrebbe dovuto provvedere alla specificazione della editio actionis: così il G.I. non ha fatto, pur avendo, sicuramente, esaminato l'eccezione di nullità che, pertanto, deve ritenersi tacitamente essere stata respinta già in epoca antecedente, con giudizio che qui si accoglie. Non resta, dunque, che passare alla disamina del merito della questione: l'attrice invoca, primariamente, la norma (recte: la tutela offerta dalla norma) di cui all'art. 2051 C.C., deducendo, soltanto in via subordinata, la sussistenza degli estremi per l'applicazione anche della norma di cui all'art. 2043 C.C.. Viceversa, tanto l'amministrazione convenuta, quanto la società assicurativa chiamata in causa fondano la propria rispettiva linea difensiva sull'assunto che, essendo avvenuto il sinistro su strada pubblica, aperta all'uso diretto da parte della generalità dei consociati, non sarebbe invocabile una responsabilità della P.A. proprietaria della res (nella specie, della strada), in ragione dei principi di diritto già affermati da consolidata giurisprudenza di legittimità, che, in ragione dei canoni interpretativi surrichiamati, predica l'inapplicabilità alla fattispecie che ne occupa della disciplina di cui all'art. 2051 C.C.. In realtà, il principio sostenuto dalla Suprema Corte non è semplificatale (verrebbe di dire, ma absit iniuria verbis, banalizzarle) all'assunto delle difese della parte convenuta e di quella chiamata in causa: non è sufficiente, cioè, che un sinistro si verifichi su di una strada pubblica, costituente bene demaniale, perché sia, comunque, escluso ogni profilo di responsabilità della P.A. proprietaria nella manutenzione e nella custodia, ovvero, più precisamente, perché debba essere invocata, sempre e soltanto, la tutela apprestata dall'art. 2043 C.C., con quel che ne consegue in tema di onere della prova e di limitazione della tutela stessa (sussistenza della cosiddetta insidia, caratterizzata dalle connotazioni della non visibilità e della non prevedibilità). Invero, la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione è orientata nel senso di escludere che, con riguardo ai danni subiti da utenti delle strade, trovi applicazione l'art. 2051 C.C. nei confronti della pubblica amministrazione che ne è proprietaria, in quanto il bene è oggetto di uso diretto e generale ed ha estensione tale da non consentire una vigilanza idonea ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo; e, per contro, una violazione del generale principio del neminem laedere e dell'art. 2043 C.C. intanto sia configurabile, in quanto l'ente proprietario o gestore abbia provocato o non abbia rimosso una situazione di pericolo occulto (insidia o trabocchetto), la quale ricorra in presenza dei requisiti della non visibilità e della non prevedibilità. Si è da più parti lamentato che la generalizzazione del principio, in una all'applicazione del restrittivo criterio di imputazione della responsabilità cui s'è appena accennato, si risolve in un privilegio per la pubblica amministrazione e, di riflesso, in un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati. Con sentenza n. 156 del 1999 la Corte costituzionale lo ha escluso, in riferimento ai parametri costituzionali di raffronto costituiti dagli arti 3 e 24 Cost., sulla scorta dei rilievi che, come sottolineato in alcune sentenze, " ...la notevole estensione del bene e l'uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici dell'impossibilità del concreto esercizio del potere di controllo e di vigilanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non già in virtù di un puro e semplice riferimento alla natura demaniale del bene, ma solo a seguito di un Indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità...". La ratio dell'esclusione della responsabilità a titolo di custodia è, dunque, fondata sulla impossibilità di evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo in un bene: e non già perché è demaniale, ma in quanto soggetto all'uso diretto da parte di un rilevantissimo numero di utenti ed in quanto particolarmente esteso, tanto da rendere impossibile l'esercizio di un controllo adeguato. La demanialità del bene è, cioè, solo un indice sintomatico di quella impossibilità, ma non la attesta in modo automatico, tanto che non si è omesso di chiarire che quando è consentita un'adeguata attività di vigilanza che valga ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per i terzi, l'art. 2051 C.C. trova senz'altro applicazione pure nei confronti della pubblica amministrazione (v. Cass. 21 gennaio 1987, n. 526; Cass., 7 gennaio 1982, n. 58; Cass. 27 novembre 1995, n. 13114). Ora, non pare revocabile in dubbio che la possibilità o l'impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza - dalle quali rispettivamente dipendono l'applicabilità o la non applicabilità dell'art. 2051 C.C. - non si atteggiano univocamente in relazione ad ogni tipo di strada. E ciò non solo in relazione alla loro estensione, ma anche alle loro caratteristiche, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che le connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico volta a volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti. Orbene, sembra di poter affermare che, in ragione del principio appena esposto, non possa negarsi che, nella fattispecie sottoposta all'odierno vaglio di questo giudicante, trovi applicazione proprio e soltanto la disciplina di cui all'art. 2051 C.C: si consideri, a tal proposito, che il Comune di Pe. ha un'estensione di poco più di 15 km2 ed una densità abitativa pari a poco più di 130 abitanti per km2 (fonte: I Quaderni dell'Osservatorio delle Politiche Sociali della Provincia di Ma., anno 2002); il tratto di strada comunale su cui è avvenuto l'incidente di cui si discute congiunge due frazioni rurali del predetto Comune e, pertanto, sembra possa ragionevolmente affermarsi che l'estensione del bene in questione non sia tale da ostare ad un controllo costante da parte dell'ente proprietario. Altrettanto sembra possa affermarsi anche in relazione alle condizioni di traffico sulla strada in questione, che non dovrebbe mai essere tale da risultare paragonabile a quello che si svolge su una grande arteria statale. D'altro canto, il teste Ci.Lo., indotto dalla parte attrice, esaminato nel corso dell'udienza del 3 ottobre 2002, dipendente del Comune di Pe., ha asserito: "Tutte le mattine dopo le piogge controllo le strade. ". Ciò dimostra che il Comune convenuto aveva la concreta possibilità di intervenire anche sul tratto di strada in questione per verificarne lo stato di manutenzione. Invero, il teste Ci. ha aggiunto di essersi portato anche sulla strada di cui si discute, ma di essere giunto allorché il sinistro si era già verificato; ha aggiunto, altresì, che la strada stessa presenta un avvallamento in corrispondenza di un attraversamento della strada da parte di tubazioni, sì che, in occasione di fenomeni atmosferici particolari - piogge intense - si può verificare la presenza di terriccio sul manto stradale. Proprio quest'ultimo particolare dimostra che il Comune di Pe. era a conoscenza della peculiare pericolosità della strada di sua proprietà, quanto meno nel tratto in questione, sicché, proprio in ragione della già sottolineata possibilità di provvedere concretamente ad un costante controllo della stessa, la verifica dello stato manutentivo, nella circostanza che ne occupa, sarebbe dovuta avvenire con maggiore sollecitudine, poiché i fenomeni atmosferici piovosi, accompagnati dallo spirare di forti raffiche di vento, si erano verificati per ben due giorni prima di quello in cui accadde il sinistro per il quale è processo (si veda la testimonianza resa dal Ci.Lo.). Ciò stante, nella fattispecie, onere dell'attrice è quello di provare la sussistenza di un danno, siccome cagionato dalla cosa in custodia dell'ente convenuto, e la sussistenza del nesso di causalità tra il danno e la cosa: orbene, il teste Sa.Fa., indotto dalla parte attrice ed esaminato nel corso dell'udienza del 3 ottobre 2002, ha dichiarato di aver assistito personalmente all'accaduto, trovandosi a transitare, alla guida della sua vettura, sui luoghi di causa, alla distanza di circa 200 - 300 metri dal motociclo condotto dalla Pa. ed ha aggiunto di aver visto l'attrice perdere il controllo del mezzo e rovinare improvvisamente a terra, proprio dopo essere transitata su quella parte della strada in cui il manto asfaltato era coperto di melma e di terriccio. La circostanza non è smentita da alcun'altra emergenza processuale e comprova adeguatamente il nesso causale tra la cosa in custodia dell'ente convenuto (il tratto di strada invaso dalla fanghiglia e dalle zolle terrose) e l'evento (la brusca caduta al suolo della Pa.), da cui sono conseguite le lesioni, meglio descritte dal C.T.U. medico - legale, nominato in corso di istruttoria (trauma cranico commotivo, con contusione cerebrale temporo - basale destra, con microiperdensità cortico - meningea nella sede da microsanguinamento, infrazione petro - mastoidea sinistra irradiata alla squama del temporale con probabile emotimpano, frattura della clavicola sinistra al terzo medio, frattura dell'arco posteriore della seconda, terza, quarta, quinta, sesta e settima costola a sinistra, frattura composta del malleolo peroneale a sinistra). Consegue, quindi, l'affermazione della responsabilità dell'amministrazione convenuta e della stessa società assicurativa chiamata in causa, in virtù del rapporto assicurativo dedotto in causa, per la causazione dei danni sofferti dall'attrice, che dovranno essere adeguatamente risarciti. A tal proposito, il nominato C.T.U. medico - legale asserisce che le lesioni riscontrate, e poc'anzi descritte, cagionarono alla Pa. uno stato di inabilità temporanea totale, al 100%, per la durata di 43 giorni ed uno stato di inabilità temporanea parziale, al 50%, per la durata di 57 giorni; al quadro nosografico riscontrato sono conseguiti reliquati che hanno indotto alterazioni permanenti, incidenti sulla capacità fisica della Pa. nella misura del 17%. Aggiunge, ancora, il C.T.U. che tali alterazioni non comportano una significativa diminuzione della capacità di produzione del reddito, essendo la Pa., pensionata, soggetto che da anni, ormai, non produce più alcun reddito. Invero, tale ragionamento, sic et simpliciter, appare degno di rilievi: non si tiene nel debito conto, infatti, che anche un soggetto che svolga attività "casalinga" appare, comunque, produttivo di reddito. Infatti, la più recente elaborazione della giurisprudenza di legittimità è giunta alla conclusione che la perduta possibilità di provvedere da sé alle incombenze domestiche può costituire un danno patrimoniale risarcibile (e non soltanto per la casalinga, ma per gli individui di qualunque sesso o condizione), ma a condizione che: a) i lavori suddetti fossero svolti direttamente dalla vittima, e non demandati a terzi (come colf, lavandaie, e così via); b) il danno in questione sia debitamente allegato e provato (v. Cass., sez. III^ civile, 3 marzo 2005, n. 4657, Pr. e altro v. At., in D&G - Dir. e Giust, 2005, f. 14, 33, annotata). Ciò anche nel caso in cui il soggetto danneggiato svolga attività di cura della cose domestiche anche part - time: in caso di sinistro stradale che cagioni una menomazione alla capacità motoria di una persona che svolga attività lavorativa sia come insegnante che -part time - come casalinga coniugata con figli, riguardo all'attività prestata come insegnante non va riconosciuto né il diritto al risarcimento del danno per lucro cessante con riferimento all'attività lavorativa specifica, né il danno da inabilità temporanea, in quanto la danneggiata abbia percepito lo stipendio dovuto per tutto il periodo di malattia. Va, invece, riconosciuto il diritto al risarcimento riguardo alla capacità di lavoro prestata come casalinga, qualora la danneggiata, per effetto dei danni alla capacità di deambulazione, possa svolgere le mansioni di casalinga con consistenti limiti (v. Trib. Treviso, 11 aprile 1996, Emanuele v. Tonet ed altro, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1996, 643). Peraltro, come la Corte Suprema, recentemente, ha più volte affermato, anche una casalinga può trovarsi a subire un danno di natura patrimoniale qualora si veda in misura maggiore o minore privata per il futuro della possibilità di svolgere l'attività in questione (appunto quella di casalinga). Vanno ricordate in particolare le seguenti decisioni: A) "La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge pur tuttavia un'attività suscettibile di valutazione economica, sicché va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile autonomamente rispetto al danno biologico) quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa. Il fondamento di tale diritto, specie quando la casalinga sia componente di un nucleo familiare legittimo (ma anche quando lo sia in riferimento ad un nucleo di convivenza comunque stabile), è, difatti, pur sempre di natura costituzionale, ma riposa sui principi di cui agli artt. 4 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro, ed i diritti della donna lavoratrice), mentre il fondamento della risarcibilità del danno biologico si fonda sul diverso principio della tutela della salute" (Cass. n. 15580 del 11/12/2000). B) "La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge, cionondimeno, un 'attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell'espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento, «lato sensu», della vita familiare, così che costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, e che sussiste anche nel caso in cui ella sia solita affidare la parte materiale del proprio lavoro a persone estranee. Consistendo il danno «de quo» nella perdita di una situazione di vantaggio, e non rimanendo esso escluso neanche dalla mancata sopportazione di spese sostitutive, legittimo risulta il riferimento, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito di una collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamenti dettati dalla maggiore ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga" (Cass. n. 10923 del 06/11/1997). C) "Il danno patrimoniale come conseguenza della riduzione della capacità lavorativa generica di una persona è risarcibile autonomamente dal danno biologico soltanto se vi è la prova che il soggetto leso svolgesse - o fosse presumibilmente in procinto di svolgere - un 'attività lavorativa produttiva di reddito, sia pure figurativo (come nel caso della casalinga). " (Cass. n. 10015 del 15/11/1996). Di fronte a tale filone interpretativo giurisprudenziale parte della dottrina ha anzitutto rilevato che da esso (ed in particolare dalla sentenza n. 15580/00) sembra emergere la generalizzata risarcibilità di detta asserita componente del danno patrimoniale, mentre sulla base dell'art. 2043 C.C. (e della altre norme in materia) deve ritenersi che debbono essere risarcite solo le voci di danno effettivamente esistenti e provate. Parte della dottrina ritiene, poi, che non si possa parlare di una capacità lavorativa specifica della casalinga poiché l'attitudine al lavoro domestico non si riconnette ad un vero e proprio rapporto di lavoro (retribuito); e poiché, inoltre, detto lavoro è in ogni caso svolto a titolo gratuito e, quindi, non può dar luogo ad un guadagno suscettibile di essere perduto ovvero diminuito. Da ciò deriverebbe che la ritenuta risarcibilità del danno in questione comporterebbe delle duplicazioni risarcitorie in quanto la perdita della capacità lavorativa generica è già considerata nell'ambito della liquidazione del danno biologico. Secondo talune tesi, infine, la perdita o la diminuzione dell'idoneità a svolgere il lavoro casalingo può talora comportare delle ripercussioni di ordine patrimoniale, ma solo ed esclusivamente sotto il profilo del danno emergente, ed unicamente nell'eventualità che si renda necessario il ricorso ad un aiuto esterno. Da ciò deriverebbe la non configurabilità di un danno emergente nel caso che il soggetto danneggiato avesse affidato detto lavoro a terze persona già prima del sinistro. Non sembra che tali critiche riescano ad inficiare la tesi giurisprudenziale sopra esposta (se esattamente interpretata). Quanto alla necessità che la sussistenza di un danno effettivo debba essere in concreto provata (in conformità con le regole generali sostanziale e processuali in questione; e quindi, tra l'altro, anche con la possibilità del ricorso a presunzioni) basta rilevare che la cosa è certamente indubbia e che non risulta esser stata messa in discussione (neppure nella pronuncia n. 15580/00 sopra citata, se ben interpretata). Con riferimento, poi, al fatto che la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge purtuttavia un'attività suscettibile di valutazione economica, basta rilevare che ciò è incontestabile; e la cosa appare in tutta la sua evidenza se si considera che il venir meno della sua opera può (pacificamente) comportare il sorgere di un danno (oltre che morale anche) patrimoniale per i familiari (cfr., tra le tante, Cass. n. 11453 del 03/11/1995: "Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, che spetta, a norma dell'art. 2043 Cod. Civ., ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, richiede l'accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a fruire in futuro. Pertanto, quello subito dal marito e dal figlio minore per il decesso, a seguito dell'altrui fatto illecito, del congiunto (rispettivamente moglie e madre), costituisce, anche nel caso in cui quest'ultimo fosse stato privo di un effettivo reddito personale, danno patrimoniale risarcibile, concretantesi nella perdita, da parte dei familiari, di una serie di prestazioni economicamente valutabili, attinenti alla cura, all'educazione ed all'assistenza, cui il marito ed il figlio avevano ed hanno diritto nei confronti della rispettiva moglie e madre nell'ambito del rapporto familiare"; cfr., inoltre, Cass. n. 08970 del 10/09/1998: "Il danno patrimoniale subito dai familiari di una casalinga deceduta in conseguenza dell'altrui atto illecito, e consistente nella perdita delle prestazioni domestiche erogate dalla propria congiunta, può essere legittimamente liquidato facendo riferimento non al reddito di una collaboratrice domestica, ma al triplo della pensione sociale"). A questo punto si impongono due precisazioni: A) la radicale evoluzione dei costumi non consente più di confinare la problematica in questione alla casalinga, essendo ormai ben possibile il sorgere del danno in questione anche con riferimento ad una donna che svolga anche attività di casalinga e con riferimento ad un danneggiato di sesso maschile. B) stranamente finora il lavoro domestico è stato considerato prevalentemente con riferimento all'utilità che ne ricavano altri, ed in particolare i familiari del soggetto in questione; e non con riferimento all'utilità che ne ricava direttamente quest'ultimo; ma è evidente che se un soggetto abituato a svolgere detto lavoro solo (ovvero anche) in proprio favore (si pensi ad una figura sempre più comune: il cosiddetto "single"; ed in particolare ad un "single" che pulisce il proprio appartamento, lava e stira la propria biancheria, cucina i suoi pasti etc. senza ricorrere a "colf, ristoranti, lavanderie, ovvero a soluzioni più radicali come alberghi o pensioni; etc.) viene a trovarsi privato in tutto od in parte della propria capacità provvedere a dette sue necessità insorge un evidente danno emergente (tipicamente patrimoniale) derivante dal fatto che dovrà cominciare a ricorrere (in misura maggiore o minore a seconda dell'invalidità subita) a "colf, ristoranti, lavanderie etc, quindi, dato che oggi una percentuale sempre maggiore di persone (anche se con attività lavorativa retribuita) dedica parte delle proprie energie lavorative a faccende domestiche, una sopravvenuta incapacità ad attendere alle medesime comporta di regola un danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente. Non può peraltro escludersi che detta incapacità comporti anche un lucro cessante; basta pensare infatti, ad es., che nell'impresa familiare (art. 230 bis C.C.) la prestazione lavorativa può (pacificamente) consistere anche in lavori domestici (purché - secondo una tesi - si riflettano sull'andamento dell'impresa accrescendone la produttività) e che ai sensi del primo comma della norma predetta i diritti (anche di contenuto più tipicamente patrimoniale; e quindi inerenti ad introiti che in caso di cessazione danno luogo ad un tipico caso di lucro cessante) del partecipante all'impresa medesima sono proporzionali alla quantità e qualità del lavoro prestato; e, quindi, sono suscettibili di diminuzione qualora la capacità di lavoro diminuisca (v. in particolare il primo comma dell'art. 230 bis cit: "Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi della azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato..."). Da quanto sopra esposto emerge, altresì, che l'insorgere di un danno patrimoniale non è in linea generale (salve le eventuali eccezioni) configurabile se il soggetto danneggiato, già prima dell'incidente, non svolgeva lavori domestici (va rilevato che l'espressione "lavori domestici" va intesa in senso ampio e, quindi, comprensivo anche di quell'attività di "coordinamento, «lato sensu», della vita familiare" di cui ha parlato la sopra citata Cass. n. 10923 del 06/11/1997) in quanto questi erano integralmente devoluti a colf, o per altre ragioni; mentre è, invece, eccezionalmente configurabile nell'ipotesi, indubbiamente infrequente, che la persona danneggiata affermi e riesca, poi, a dimostrare che, all'epoca del sinistro, era in procinto di mutare le proprie abitudini (per un cambiamento delle proprie condizioni economiche o per altre ragioni) nel senso che stava per iniziare a provvedere personalmente, in tutto od in parte, a lavori prima demandati a colf. Emerge, inoltre, che, in linea generale (fatte salve le eccezioni come quella sopra citata di cui all'art. 230 bis cit), un danno patrimoniale del danneggiato è possibile solo in relazione ai lavori domestici svolti in suo favore; mentre, con riferimento ai lavori svolti gratuitamente in favore di altri, gli eventuali soggetti danneggiati possono essere eventualmente solo questi ultimi. In tal senso, anche recentissima pronunzia del Supremo Collegio (v. Cass., sez. III^ civile, 20 ottobre 2005, n. 20324, Pres. Vittoria, Est. Spirito, D.C. ed altri v. C. Ass.ni s.p.a.). Peraltro, nella fattispecie che ne occupa la parte attrice non ha fornito alcuna dimostrazione della circostanza che, prima del sinistro, essa Pa. svolgesse attività di casalinga, non retribuita, per sé e per i propri familiari, non avendo articolato, neanche, apposita prova testimoniale sul punto. Non resta, quindi, che passare alla concreta determinazione dell'entità monetaria dei danni da risarcire. Pa.Ma.Gr., nata il (...) e di anni (...) e mesi (...) al momento del sinistro, ha riportato, in seguito all'evento avvenuto in data (...), un danno biologico permanente valutato nella misura del 17%; l'invalidità temporanea assoluta (al 100%) ha avuto una durata di giorni 43; l'invalidità temporanea parziale è stata al 50% per giorni 57. Il danno biologico permanente, viene liquidato sulla base dei criteri tabellari per punto di invalidità utilizzati dal Tribunale Milano (anno 2006), che rapportano l'entità del risarcimento ad un valore progressivo con riferimento all'incremento dei punti di invalidità e con una funzione regressiva di decurtazione con riferimento all'elevarsi dell'età del danneggiato al momento del sinistro. Per ciascun punto viene riconosciuto l'importo tabellare di Euro 1.702,65, debitamente abbattuto col coefficiente di riferimento per l'età del danneggiato (pari a 0,685). Tale danno va liquidato nell'importo complessivo di Euro 28.945,00. Per ciascun giorno di invalidità temporanea assoluta va liquidato (sulla base dei criteri stabiliti uniformemente dalla tabella prescelta) un importo di Euro 66,26. Il danneggiato ha subito una invalidità temporanea assoluta di giorni 43 che va liquidata in Euro 2.849,18. Per la invalidità temporanea parziale la liquidazione della diaria avviene in misura proporzionale alla percentuale di invalidità riconosciuta per ciascun giorno. La invalidità temporanea parziale di giorni 57 al 50% va liquidata in Euro 1.888,41. A titolo di danno biologico per invalidità temporanea (I.T.A. e I.T.P.) spetta alla danneggiata l'importo complessivo di Euro 4.737,59. In totale, a titolo di danno biologico, sia per la permanente (I.P.) che per la temporanea (I.T.), va liquidato l'importo complessivo di Euro 33.682,59. Danno MORALE (non patrimoniale). Va liquidato il danno non patrimoniale a favore del danneggiato. Il danno morale viene liquidato con riferimento ad una percentuale dell'importo determinato a titolo di danno biologico. Il danno biologico preso in considerazione come base per il calcolo è solo quello da invalidità permanente. La tabella del Tribunale Milano (anno 2006) adotta il seguente criterioliquidatorio: calcolato in percentuale alla liquidazione del danno biologico: danno morale soggettivo da un quarto alla metà; per il danno non patrimoniale (diverso dal biologico) è elevata fino a due terzi della somma liquidata a titolo di danno biologico; nel caso di specie tenendo conto della gravità della colpa, dell'entità delle lesioni sofferte dal danneggiato, del grado di invalidità derivante da dette infermità, dell'impatto che tali infermità hanno avuto sulla persona del danneggiato, della durata della invalidità temporanea, si può equitativamente liquidare il danno morale nella misura di 1/4 del danno biologico per un importo pan a Euro 7.236,25. In totale a titolo di danno morale va liquidata la somma complessiva di Euro 7.236,25. DANNI MATERIALI. Vanno liquidati anche i danni materiali conseguenti agli esborsi di somme che la parte danneggiata ha dovuto sostenere in conseguenza delle lesioni subite. Tali danni vanno riconosciuti nei seguenti importi (le date indicate sono quelle in cui risultano eseguiti gli esborsi, o, in mancanza, viene indicata la data dell'evento lesivo) : IMPORTO: £ 302.500 DATA: 14-03-2000 CATEGORIA DI SPESA: Spese legali DESCRIZIONE: consulenza tecnica di parte In totale i danni materiali che vanno liquidati sono pari a Euro 156,23 (£ 302.500). RIEPILOGO DELLA LIQUIDAZIONE DEL DANNO I danni che vanno liquidati (e, poi, in quanto crediti di valore, rivalutati con attribuzione anche degli interessi ed. compensativi) sono quindi i seguenti: Danno biologico da invalidità permanente: Euro 28.945,00. Tale danno è stato calcolato utilizzando le tabelle del danno biologico Tribunale Milano (anno 2006) e la liquidazione è rapportata all'epoca in cui le tabelle utilizzate sono state elaborate (1 gennaio 2006). Poiché l'evento lesivo è precedente alla data in cui è stata redatta la tabella, occorre procedere alla devalutazione dell'importo liquidato a titolo di danno biologico, al fine di avere valori omogenei (rispetto alle altre voci di danno) sui quali, poi, calcolare la rivalutazione e gli interessi (c.d. compensativi) fino alla data della liquidazione. Va considerato che è ormai principio giurisprudenziale consolidato (Cass., sez. IlI, 20 giugno 1996, n. 5680) che la rivalutazione delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno da invalidità permanente parziale, quando questa sia successiva ad un periodo di invalidità temporanea liquidata separatamente, decorre dal momento della cessazione dell'invalidità temporanea e non dal giorno dell'evento dannoso. Di conseguenza la data di riferimento per tale calcolo va fatta non alla data del fatto lesivo (27 marzo 1999), ma da quella in cui è terminata la invalidità temporanea. Poiché la invalidità temporanea è stata determinata in 100 giorni, la data a cui si deve fare riferimento per la liquidazione è quella del 5 luglio 1999. La percentuale di devalutazione utilizzando gli indici ISTAT del c.d. costo della vita è pari al 13,59% ed il danno alla data del 5 luglio 1999 è pari a Euro 25.012,51. II danno biologico da invalidità temporanea è stato calcolato (vedi sopra) nella misura di Euro 4.737,59. Tale importo va riportato in valori monetari alla data di verificazione del fatto dannoso e, conseguentemente, la liquidazione va determinata in base ai medesimi criteri di cui sopra, nella misura di Euro 4.064,00. Il danno morale è stato valutato nella misura di Euro 7.236,25; in base ai medesimi criteri sopra esposti tale danno va riportato, in termini monetari, alla data del fatto lesivo e va, dunque, liquidato nella misura di Euro 6.207,40. I danni materiali (esborsi) sono stati determinati complessivamente in Euro 156,23 (£ 302.500); le date di liquidazione sono quelle in cui sono avvenuti gli esborsi (ovvero, in via di accettabile approssimazione, quella del fatto dannoso); per tali danni sono queste le date di decorrenza ai fini della rivalutazione monetaria e degli interessi. RIVALUTAZIONE. Le somme liquidate (crediti di valore) vanno rivalutate dalle date in cui sono state monetariamente determinate (c.d. aestimatio) fino alla data della loro liquidazione definitiva (c.d. taxatio) che va fissata al giorno 14 aprile 2007. La rivalutazione va effettuata applicando sulle somme gli indici della rivalutazione monetaria ricavati dalle pubblicazioni ufficiali dell'Istituto Nazionale di Statistica. Gli indici presi in considerazione sono quelli del ed. costo della vita, ovverossia del paniere utilizzato dall'ISTAT per determinare la perdita di capacità di acquisto con riferimento alla tipologie dei consumi delle famiglie di operai ed impiegati (indice F.O.I.). Tale rivalutazione viene presa in considerazione per ciascuna delle voci di cui si compone la liquidazione del danno e dalla decorrenza per ciascuna indicata (vedi sopra). INTERESSI. Nella liquidazione del danno la giurisprudenza è concorde nel riconoscere anche il danno da ritardo nella prestazione e tale importo viene liquidato in via sostanzialmente equitativa attraverso il riconoscimento al danneggiato di una ulteriore voce che correntemente viene definita come "interessi compensativi" (altri li definiscono "moratori", ma ai fini della presente valutazione le differenze terminologiche sono indifferenti). Tali interessi sono calcolati dalla data del momento generativo della obbligazione risarcitoria sino al momento della liquidazione. Gli interessi vanno liquidati al tasso nella misura legale che, in base alla normativa vigente, viene variato in relazione alle dinamiche dei tassi correnti sul mercato, sia un parametro di riferimento adeguato per determinare il danno da ritardo della prestazione risarcitoria. Tali interessi vanno calcolati non sulle somme integralmente rivalutate (il che condurrebbe ad una duplicazione delle voci risarcitorie, come affermato nella nota sentenza Sezioni Unite del 17.2.1995, n. 1712) il che comporta un calcolo di interessi alquanto inferiore a quelli calcolati integralmente per l'intero periodo. La cadenza della rivalutazione comportali calcolo degli interessi sulla somma via via rivalutata con periodicità annuale (Cass. 20.6.1990, n. 6209, soluzione accolta, in genere, con riferimento alle esigenze di semplificazione dei calcoli). In tal caso, il calcolo della rivalutazione viene fatto anno per anno alla data convenzionale del 31 dicembre ed in quella data vengono computati gli interessi che, poi, sono improduttivi di ulteriori interessi e non vengono capitalizzati in alcun modo. Le somme dovute complessivamente sono le seguenti: A) Danno liquidato al 27 marzo 1999 (c.d. aestimatio) : Euro 35.440,14 B1) Interessi maturati al 14 aprile 2007: Euro 8.463,96 B2) Rivalutazione maturata al 14 aprile 2007: Euro 6.370,53 B) Interessi e rivalutazione totali (B1 B2) : Euro 14.834,49 Totale A B: Euro 50.274,63 C) Anticipi versati (da dedurre) (n. 0 movimenti) : Euro 0,00 Importo totale (A B - C) dovuto al 14 aprile 2007 (c.d. taxatio) : Euro 50.274,63 di cui: Capitale = 35.440,14 -- Rivalutazione = 6.370,53 -- Interessi = 8.463,96 Il regolamento delle spese si informa al criterio della soccombenza; le spese vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Pa.Ma.Gr., meglio qualificata in epigrafe, nei confronti del convenuto Comune di Pe., in persona del Sindaco pro tempore, e della chiamata in causa Co. la Nu.Ti. di As., Ri.e Ca., società per azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, così provvede: a) dichiara il Comune di Pe. responsabile del sinistro verificatosi in data 27 marzo 1999 nella misura del 100% e lo condanna, in solido con la sua Co.As.Co. La Nu.Ti. di As., Ri. e Ca., società per azioni, a risarcire a Pa.Ma.Gr. i danni da costei subiti, liquidandoli nell'importo complessivo di Euro 50.274,63 (cinquantamila duecentosettantaquattro virgola sessantatre) comprensivo della rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT e degli interessi compensativi sulle somme via via rivalutate fino alla data del 14 aprile 2007, oltre gli interessi nella misura legale sulla somma complessiva da tale data fino al saldo; b) condanna il Comune di Pe. in solido con la sua Co. As., così come poc'anzi individuata, a pagare a Pa.Ma.Gr. le spese del giudizio nella misura del 100% che liquida complessivamente in Euro 7.561/00 (settemila e cinquecentosessantuno), di cui Euro 62 (sessantadue) per spese, Euro 1.499/00 (mille e quattrocentonovantanove) per diritti di procuratore, Euro 6.000/00 (seimila) per onorari di avvocato, oltre I.V.A., se dovuta, C.P.A. e rimborso forfetario come per legge; c) pone definitivamente a carico di Comune di Pe. le spese del consulente tecnico d'ufficio nella misura liquidata e lo condanna a rimborsare alla parte Pa.Ma.Gr. gli importi da questa anticipati; d) dichiara il presente dispositivo provvisoriamente esecutivo per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MACERATA SEZIONE STRALCIO nella persona del giudice dr.ssa Adriana De Tommaso, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 308/1989 r.g.a. promossa con citazione notificata il 7/2/1989 e vertente TRA El.Gi., rappr. e Dif. dall'avv. R. An. e dall'avv. G. Fa. giusta procura in calce alla citazione e alla comparsa del 9/1/92, elett. dom. in Ma. presso l'avv. G. Fa.; attrice CONTRO Sp.Lu., rappr. e Dif. dall'avv. G. Ra. per delega a margine della comparsa del 15/3/1990, elett. dom. in Ma. presso l'avv. Ra.; convenuto avente ad oggetto: determinazione compenso professionale Conclusioni: per l'attrice: "Piaccia al giudice adito, ogni contraria istanza disattesa o rigettata, in via principale dichiarare che la sig. ra El.Gi. nulla deve all'avv. Lu. per l'attività di cui in premessa; in via subordinata determinare il giusto compenso dovuto dalla signora El.Gi. all'avv. Lu. per l'attività di cui in premessa. Con vittoria di spese, diritti ed onorari". Per il convenuto. Voglia l'adito tribunale, contrariis rejectis, rigettare l'attrice domanda siccome infondata in fatto ed in diritto e, per il suo effetto, dichiarare Gi.El. tenutala pagamento delle competenze legali così come liquidate dal Consiglio dell'Ordine di Macerata e di cui ad elenco in narrativa e conseguentemente condannare la signora Gi.El. al pagamento in favore dell'avv. Lu. di Lire 11.314.110, per i titoli e le causali di cui in citazione, con gli interessi e svalutazione monetaria ed l. 533/1973 per la quale si spiega domanda riconvenzionale con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio". SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 4/2/1989 Gi.El. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Macerata assumendo nei suoi confronti le conclusioni di cui in epigrafe. Esponeva l'attrice che tra l'85 e l'86, in relazione alle fideiussioni prestate per il marito Pa.Ri. all'epoca commerciante e poi dichiarato fallito, le erano stati notificati quattro decreti ingiuntivi, emessi dal Tribunale di Macerata su istanza di quattro istituti bancari, ovvero la Ca. di Ri. di Ma., la Banca Na. dell'Ag., la Banca Na. del La., la Ca. Ru. e Ar. di Ci.Ma., e che nei relativi giudizi di opposizione si era fatta difendere dall'avv. Sp., ma che successivamente, in data 16/2/1988, resasi conto dell'inutilità delle procedure intraprese, aveva invitato l'avv. Sp. a rinunciarvi e ad inviarle la parcella; soggiungeva di aver notificato poi la rinuncia anche ai procuratori costituiti per gli istituti bancari e che l'avv. Sp. le aveva inviato una parcella per la complessiva somma di Lire 3.549.470 in data 28/11/1988, e con tre successive lettere del 20 e del 30/1/1989 le aveva chiesto altre somme per complessive Lire 7.748.750, ascendendo così la pretesa di pagamento delle prestazioni professionali dell'avvocato Sp. a Lire 11.318.220. Tanto esposto, la El. eccepiva l'assoluta inidoneità delle opposizioni predisposte dall'avv. Sp. a conseguire un risultato utile, sia l'iniquità della pretesa in relazione all'attività svolta e al valore delle controversie. L'avvocato Sp. si costituiva in giudizio e proponeva, come in epigrafe, domanda riconvenzionale per il pagamento della somma suindicata quale compenso per l'attività professionale svolta. Il convenuto contestava la domanda attrice, esponendo che la El. lo aveva officiato con la piena consapevolezza che le opposizioni instaurate passavano attraverso un cammino dottrinario e giurisprudenziale decisamente complesso; esponeva di aver chiesto al consiglio dell'ordine la liquidazione degli onorari su richiesta della cliente, e contestava l'affermazione della stessa secondo cui le opposizioni proposte sarebbero state del tutto inidonee a farle conseguire un risultato utile, perché la prestazione dell'avvocato era obbligazione di mezzo e non di risultato e poi le questioni dedotte in quei giudizi di opposizione erano rilevanti e portate alla cognizione di giudici di merito e di legittimità, a proposito della nullità delle fidejussioni per indeterminatezza dell'oggetto. La causa veniva istruita con prove orali e documentali e trattenuta per la decisione all'udienza del 27/9/2006. MOTIVI DELLA DECISIONE Secondo quanto emerge dalla narrativa che precede, Gi.El. ha agito in giudizio per sentir accertare di nulla dovere all'avv. Lu. per le prestazioni professionali dallo stesso rese nei quattro giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo introdotti presso il Tribunale di Macerata nei confronti di altrettanti Istituti bancari per debiti gravanti sull'attrice in forza di fideiussioni dalla stessa prestate per il marito, fallito; adduce a sostegno della domanda l'avvenuta rinuncia ai quattro giudizi, rivelatisi inutili, e l'iniquità della pretesa avanzata dall'avvocato Sp. Il convenuto ha dal canto suo proposto domanda riconvenzionale per ottenere la condanna della El. al pagamento della somma di Lire 11.314.110 quale compenso per le prestazioni professionali in oggetto. L'attività defensionale svolta dall'avv. Lu. nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo per l'attrice risulta comprovata in atti, giusta la documentazione prodotta dal convenuto; l'avvocato qui convenuto risulta aver patrocinato l'attrice nei quattro giudizi distinti specificamente con i numeri di ruolo generale 1658/1985, 1678/1985, 1694/1985 e 27/1986, rispettivamente contro la Ca. di Ri. di Ma., per il valore di Lire 101.233.933, contro la Ca. ru. e ar. di Ci.Ma. per il valore di Lire 64.149.470, contro la Banca Na. dell'Ag. per il valore di Lire 39.753.007 e contro la Banca Na. del la. per il valore di Lire 12.873.801. Per ciascuno dei giudizi la notula delle spese e competenze risulta liquidata dal locale Consiglio dell'Ordine. In particolare, contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice, nella lettera del 28 novembre 1988 che l'avv. Lu. ebbe ad inviare alla El. in data 28/11/1988 indicando le sue competenze per Lire 3.569.470, l'avvocato non faceva richiesta di tale somma quale corrispettivo per l'intera opera prestata, per tutti e quattro i giudizi di opposizione, bensì per il solo giudizio n. 1678/85 contro la Cassa ru. e ar. di Ci.Ma. e Mo., come si rileva dal confronto tra le somme indicate per onorari, diritti e rimborso spese nella lettera dell'avvocato e nel parere del consiglio dell'ordine in calce alla notula del 14 ottobre 1988 riferita, appunto, a quel giudizio di opposizione. (Lire 1.160.000 per onorari, Lire 1.452.000 per diritti e Lire 199.030 per spese vive, oltre alla tassa parere pari a Lire 82.300). Per ciascuno degli altri tre giudizi parimenti il consiglio dell'ordine espresse il parere sulla tariffa delle spese e competenze dell'avv. Sp.: quanto al giudizio contro la Banca Na. del la., n. 27/1986 r.g., il consiglio dell'ordine ritenne congruo l'importo di Lire 720.000 per diritti, di Lire 756.500 per onorari e Lire 127.000 per spese vive, oltre a Lire 49.200 per tassa parere; quanto al giudizio conto la Banca Na. dell'Ag. Lire 817.000 per onorari, Lire 547.500 per diritti, Lire 128.740 per spese vive, oltre a Lire 45.800 per tassa parere; quanto al giudizio contro la Ca. di Ri. della provincia di Ma. Lire 1.767.000 per onorari, Lire 1.164.000 per diritti, Lire 243.950 per spese vive, oltre a Lire 89.500 per tassa parere. Considerata l'attività difensiva svolta in ciascuno dei quattro giudizi in oggetto, le spettanze dell'avvocato Sp. vanno a questi riconosciute nella misura indicata nei relativi richiamati pareri del consiglio dell'ordine, in quanto sia gli importi per diritti che quelli per onorari trovano rispondenza negli atti e rispettano i valori delle tariffe vigenti all'epoca della prestazione, così come per quanto riguarda le spese vive sostenute dall'avvocato; gli onorari in particolare si presentano congrui in relazione all'importanza e alla difficoltà delle controversie. L'asserzione dell'attrice in ordine alla inidoneità delle opposizioni predisposte dall'avv. Lu. a farle conseguire una qualsiasi utilità non è fondata e non vale ad esonerarla dall'obbligo di remunerare l'avvocato Sp. dell'attività professionale svolta, che dà luogo ad un'obbligazione di mezzi e non di risultato, e prescinde, quindi, dall'accoglimento della vittoria della causa. In corso di causa l'attrice ha dedotto e inteso dimostrare che aveva versato all'avv. Lu. l'importo complessivo di Lire 2.900.000 a titolo di fondo spese per le opposizioni a decreto ingiuntivo, tramite la segretaria dello stesso legale. Fallito l'interpello del convenuto sul punto, sono state assunte le deposizioni di Gi.Co. e Pa.Ri., sentiti in ordine all'avvenuto pagamento della somma suindicata. Il Ri., marito dell'attrice (e debitore principale quanto ai crediti di cui ai monitori opposti) ha sostenuto di aver versato lui stesso alla "signorina Da." la somma di Lire 400.000 verso la fine dell'anno 1985, e di aver saputo dalla moglie dell'avvenuto versamento di Lire 2.500.000 nel periodo in cui lui si trovava in ospedale. Il teste Co. ha a sua volta riferito di aver visto la El., che era andato a trovare nella prima decade del dicembre del 1985, preparare la somma di Lire 2.500.000 da portare all'avv. Lu. per spese di iscrizione a ruolo di alcune pratiche, nonché di averla lui stesso accompagnata allo studio dell'avvocato, dove non era però entrato insieme all'attrice, vedendo poi la borsa aperta, mostratagli dalla El., come a significare che la stessa aveva pagato. La deposizione del Ri., in quanto marito della El., appare poco attendibile, sia per quanto concerne l'asserito pagamento diretto di Lire 400.000, in mancanza di qualsiasi ricevuta di pagamento, sia per quanto riguarda il versamento del resto della somma, del resto a lui nota "de relato"; anche la deposizione del Co., poi, non può essere considerata adeguata prova dell'avvenuto pagamento della somma di Lire 2.500.000 effettuato dalla El. nelle mani della segretaria dell'avv. Sp., sia per intrinseca inverosimiglianza della circostanza di tenere in casa un importo invero considerevole in contanti (la somma va rapportata al valore che aveva 21 anni fa), soprattutto nella vicissitudine del "tracollo economico" di cui ha riferito il teste, sia perché, comunque, il Co. non vide la scena della dazione; è comunque fortemente inverosimile la dazione di un importo siffatto senza contemporaneo rilascio di ricevuta. Soprattutto, smentiscono l'asserto dell'attrice le deposizioni dei testi Da.D'e. (la segretaria dell'avv. Sp., indicata come "signorina Da." dal Ri.) e di Si.Gi.: la D'e. ha infatti negato di aver mai riscosso la somma indicata dalla El., precisando che la riscossione dei compensi dell'avvocato non rientrava nelle sue mansioni, mentre il Gi., all'epoca ragioniere dello studio dell'avv. Sp., dopo aver escluso di aver mai redatto una fattura per quel compenso, ha anzi riferito una circostanza del tutto incompatibile con quanto affermato dall'attrice, ovvero che la stessa, dopo essere stata una volta, anni prima, a colloquio dal legale, uscendo gli aveva confidato di essere afflitta da alcune vicende e, nella specie, di non avere neanche i soldi per costituire il fondo spese per lo svolgimento della sua difesa da parte dell'avvocato Sp. Anche alla luce di tali deposizioni, quindi, non si dispone di prova oggettiva ed affidabile dell'avvenuto pagamento del complessivo importo di Lire 2.900.000 nelle mani della segretaria dell'avv. Sp. per l'attività defensionale svolta nelle quattro opposizioni a decreto ingiuntivo in oggetto, quando invece avrebbe dovuto essere particolarmente rigorosa la prova testimoniale sul pagamento, attese le limitazioni, poste dalla legge (art. 2726 c.c.) a tale genere di prova, comunque ammessa dal giudice istruttore siccome non fatta oggetto di specifica eccezione da parte del convenuto (che eccepiva, invece, la non pertinenza del capitolo rispetto alle deduzioni difensive di cui all'atto di citazione). Né può essere omesso di considerare che la stessa El. non aveva fatto alcun accenno all'avvenuto pagamento della somma di Lire 2.900.000 nella prima lettera spedita all'avv. Sp. il 16/2/88 in cui esprimeva la volontà di rinunciare alle opposizioni proposte e chiedeva l'invio della parcella, per far valere poi quei pretesi pagamenti solo molti mesi dopo, nel dicembre del 1988, dopo l'invio della prima richiesta di pagamento da parte dell'avv. Sp., riferita solo ad uno dei quattro giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo (il n. 1658/85 r.g.). Per quanto detto, disattesa la domanda attrice, di accertamento negativo del diritto di credito dell'avv. Sp., va accolta la domanda riconvenzionale dello stesso, per una somma pari agli importi liquidati dal consiglio dell'ordine degli avvocati di Ma. per diritti, onorari e spese per ciascuno dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in cui l'avvocato svolse l'attività difensiva, oltre agli importi sborsati per tassa parere del consiglio (nel giudizio 1678/85 Lire 2.893.320, nel giudizio 1658/85 Lire 3.264.450, nel giudizio 27/86 Lire 1.653.400, nel giudizio 1694/85 Lire 1.538.510), per complessive Lire 9.349.680, oggi pari ad Euro 4.828,71, da maggiorare, all'atto del pagamento, dell'Iva e della Ca. Pr. e As. avvocati come per legge. In tal senso va emessa pronunzia. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Macerata, definitivamente pronunciando nel giudizio n. 308/89 r.g. introdotto con citazione notificata l'8/2/1989, disattesa ogni diversa istanza, eccezione, deduzione. Respinge la domanda attrice e in accoglimento della domanda del convenuto condanna El.Gi. a pagare a Sp.Lu. la somma di Euro 4.828,71 con IVA e CPA come per legge; condanna El.Gi. a rifondere al convenuto le spese della lite, liquidate in Euro 2.000 per onorari, Euro 1.780 per diritti, Euro 26,32 per esborsi, oltre al rimborso forfetario su diritti e onorari, IVA e CPA come per legge.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MACERATA nella persona del Avv. Antonino Arceri in funzione di Giudice Onorario Aggregato alla Sezione Stralcio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1464/92 R. G. iniziata con atto di citazione notificato il 7/9/92 avente per oggetto: "risarcimento danni da incidente stradale" e promossa DA Ga. Ro., Al. Ma. e Ba. Ma. quali eredi di Vi. Ma. elettivamente domiciliati in Ma. presso lo studio degli Avvocati Nu. Ro. Va., Ro. Za. e Ro. Na. che li rappresentano e difendono come da delega a margine della comparsa di costituzione; ATTORI CONTRO Ma. Bi. elettivamente domiciliato in Ma. presso lo studio dell'Avv. Gi. Av. che lo rappresenta e difende come da delega a margine della comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTO e posta in decisione il 2/10/2006 sulle seguenti CONCLUSIONI La difesa di parte attrice così precisava: "Piaccia all'Ill.mo Giudice adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa e reietta, condannare il convenuto Ma.Bi. al risarcimento del danno cagionato all'attore nel sinistro per cui è giudizio da quantificarsi, come segue, alla luce dell'espletata C. T. U. e delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano: danno biologico 3 punti, età all'epoca del sinistro anni 49, Euro 2.525,00, Inv. Temp. ass. 30 gg x Euro 65,00 Euro 1.950,00; Inv. temp. parz. al 50% 30 gg. x Euro 65,00/2 Euro 975,00; Inv. temp. parz. al 25% gg. 30 x Euro 65,00/4 Euro 487,50; danno morale 1/3 biologico danno inv. temp. Euro 1.979,17 e così in totale euro 7.916,67 od in quella somma maggiore o minore che verrà ritenuta equa dal Giudice, oltre le spese documentate o comunque da liquidarsi equitativamente dal Giudice, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla maggior somma secondo il cumulo matematico o quello che verrà ritenuto equo dal Giudice, dalla data del sinistro a quella dell'effettivo saldo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di procedura". La difesa di parte convenuta non rassegnava le conclusioni. SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con atto di citazione notificato il 7/9/92 Ma. Vi. conveniva in giudizio il sig. Bi. Ma., assumendo che in data 18/7/91 in Ma., Co. Ca., verso le ore 19,45 veniva investito dal convenuto alla guida di un ciclomotore mentre stava attraversando la detta via Ca. Assumeva di essere caduto a terra subendo varie lesioni. Sul luogo dell'incidente interveniva la Polizia Municipale di Ma. la quale eseguiva i necessari rilievi. Concludeva chiedendo il risarcimento del danno subito oltre alle spese legali. Si costituiva in giudizio il convenuto chiedendo il rigetto delle domande attorce. La causa veniva istruita con produzione del rapporto della Polizia Municipale di Ma. con allegata planimetria. Venivano escussi testi sulle modalità dell'incidente nonché ammessa ed espletata C.T.U. medico-legale sulla persona dell'attore. In data 10/3/2005 decedeva l'attore per cui si costituivano i suoi eredi, Ro. Ga. moglie e le figlie Al. e Ba. Ma. facendo proprie le istanze del loro dante causa. La causa veniva assegnata alla Sezione Stralcio di questo Tribunale con provvedimento del 4/5/2005. Precisate le conclusioni come in epigrafe, da parte del solo attore, il G.O.A. tratteneva la causa in decisione con la concessione alla parte dei termini di cui all'art. 190 c.c. per il deposito delle memorie difensive. MOTIVI DELLA DECISIONE La causa va decisa alla stregua della risultanze processuali, vale a dire sul rapporto e planimetria redatti dal corpo di Polizia Municipale di Ma. ed in particolare sulla deposizione del teste oculare Ca.Fa., teste qualificato ed attendibile. Dal rapporto risulta che l'incidente si è verificato sul corso Ca. di Ma. con traffico intenso in un tratto di strada a senso unico di marcia. Le modalità dell'incidente vengono così esattamente descritte dal teste Ca., Vigile Urbano in servizio appiedato. "Il Ma. stava attraversando la carreggiata da destra verso sinistra rispetto al senso di marcia consentito sull'apposito passaggio pedonale sito all'altezza del civico n. 25. Giunto dalla parte opposta della carreggiata in corrispondenza della striscia di parcheggio ivi esistente, e prima di risalire sul marciapiede detto pedone chiedeva al teste un informazione, successivamente si incamminava lungo la corsia di sinistra di corso Ca. con direzione Pi.Vi. a ridosso della fila di autoveicoli in sosta ali Interno della striscia di parcheggio. Giunto ali 'incirca all'altezza del civico n. 27 il pedone (Ma.) iniziava ad attraversare la carreggiata di corso Ca. da sinistra verso destra, invadendo così la corsia di sinistra. Contemporaneamente sopraggiungeva il ciclomotore investitore sulla corsia centrale di corso Ca., con direzione Pi.Ga., sbucando da dietro un autocarro. Giunto in prossimità del civico n. 27 il ciclomotorista (Bi. Ma.), si spostava improvvisamente sulla sinistra immettendosi così sulla corsia di sinistra di corso Ca. e trovando subito davanti a sé il pedone, che nel frattempo era arrivato a metà circa della corsia di sinistra, frenava ed urtava il pedone con la parte anteriore del ciclomotore e la sua gamba sinistra. Il pedone veniva sbalzato a terra così come il conducente del ciclomotore ". Il teatro del sinistro è rappresentato dalla centrale corso Ca., a senso unico di marcia, con una sede stradale utilizzabile di mt. 8,60. Il passaggio pedonale che il pedone aveva utilizzato poco prima per attraversare la strada è sito a pochi metri dal luogo in cui il pedone ha di nuovo riattraversato la strada dopo che un autocarro gli era sfilato davanti. La Polizia Municipale contravvenzionava il pedone per violazione dell'art. 134 C. d. S. e cioè per non essersi servito dell'attraversamento pedonale, mentre contravvenzionava il ciclomotorista (art. 102 C. d. S.) per non aver tenuto una velocità adeguata alla presenza di un pedone. La costante giurisprudenza di legittimità e di merito, afferma che in tema di investimento di pedone può essere affermata la colpa esclusiva dello stesso quando ricorrono le seguenti circostanze: 1) il conducente per motivi estranei ad ogni diligenza sia venuto a trovarsi nella condizione obiettiva di non poter avvistare il pedone ed osservarne con tempestività i movimenti; 2) i movimenti siano stati così rapidi ed inaspettati da convergere all'improvviso in direzione della linea percorsa dal veicolo in modo che il pedone venga a trovarsi a distanza così breve dal veicolo, da rendere inevitabile l'urto; 3) nessuna infrazione benché minima sia addebitabile al conducente, avendosi in caso contrario soltanto una colpa concorrente del pedone. Come è noto il diritto di precedenza spettante all'automobilista non può considerarsi illimitato, dovendosi sempre essere subordinato al principio del "neminem laedere", posto che, ove il pedone attraversi la carreggiata fuori dalle strisce, come è avvenuto nella fattispecie il conducente del veicolo è sempre tenuto a rallentare la velocità ed eventualmente ad interromperne la marcia al fine di evitare incidenti. Se ciò non avviene la responsabilità per l'eventuale evento colposo verificatosi è sempre a lui attribuibile, pur se al comportamento del pedone, possa, secondo le condizioni del caso, attribuirsi un efficienza causale concorsuale. Ritornando alla fattispecie, il pedone ha effettuato l'attraversamento della carreggiata fuori dalle strisce pedonali ed a breve distanze dalle stesse, di contro il ciclomotoristà è sbucato da dietro l'autocarro senza verificare che la sede stradale di sorpasso fosse libera da ostacoli o da persone e quindi effettuando un sorpasso alla cieca e del tutto rischioso. In considerazione di quanto sopra il giudicante ritiene che entrambi i comportamenti degli attori del sinistro non siano esenti da colpa, tenuto conto anche del fatto che il ciclomotorista non ha dato alcuna prova idonea a vincere la presunzione di colpa su di lui gravante ai sensi dell'art. 2054, II comma, c.c.. Sulla scorta del rapporto redatto dalla Polizia Municipale e dalle dichiarazioni dei protagonisti oltre che dall'unico teste oculare, ritiene il giudicante che l'incidente debba essere ascritto a colpa concorrente del pedone e dell'automobilista nella misura del 50% cadauno. In ordine al "quantum debeatur", gli eredi dell'attore hanno diritto di ottenere il risarcimento dei danni che sarebbe spettato al loro congiunto. Il giudicante ritiene completa ed esaustiva, nonché condivisibile la C.T.U. redatta dal Dr. Gu. Al. La valutazione del danno viene effettuata in base alla tabella "Re. Mi. " (Gi. Ed. 2006) con i calcoli tabellari di liquidazione in uso presso il Tribunale di Milano P.Q.M. Il Giudice Onorario Aggregato Avv. An. Ar., definitivamente decidendo nella causa R.G. n. 14654/92 promossa da Ga. Ro., Al. Ma. e Ba. Ma. quali eredi di Vi. Ma. e Ma. Bi., così provvede: - dichiara che l'incidente stradale di cui è causa si è verificato per colpa concorrente del 50% del pedone e del 50% del ciclomotorista; - di conseguenza condanna il convenuto Bi. Ma. al risarcimento dei danni in favore degli eredi del Ma. Vi. nella misura di EURO 4.384,48 oltre ad interessi e svalutazione monetaria dalla data della presente sentenza sino al saldo; - dichiara totalmente compensate le spese legali tra le parti, ivi comprese quelle della C.T.U.

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