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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Emmanuela Raciti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2758/2018 PROMOSSA DA (...) (C.F.: (...)) e (...) (C.F.: (...)), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...), giusta procura in atti; ATTORI CONTRO (...) (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), giusta procura in atti; CONVENUTA CONCLUSIONI Per parte attrice: "L'avv. (...) precisa le conclusioni come da atto di citazione." Per parte convenuta: "L'avv. (...) precisa le conclusioni come da comparsa di costituzione e risposta." Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 10/11 luglio 2018 (...) e (...) hanno chiamato in giudizio (...), al fine di ottenere l'accertamento giudiziale dell'esistenza del diritto di servitù - avente contenuto di passaggio, pedonale e carraio, da e per la via (...) - a favore del fondo di loro proprietà, identificato al catasto del Comune di Suzzara al foglio (...) mappale (...) sub. i e al foglio (...) mappale (...) sub. 2 (e comprensivo dei mappali 92 sub. 1 e 164 sub. 2), ed a carico del fondo di proprietà della convenuta, catastalmente identificato al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e 303, con contestuale richiesta di rimessione delle cose in pristino; inoltre, in via subordinata, hanno chiesto la costituzione, anche in via coattiva, del predetto diritto di servitù di passaggio, in ragione dello stato di interclusione del fondo. A fondamento della domanda gli attori hanno allegato: (i) di essere comproprietari, per la quota della metà indivisa ciascuno, dei beni immobili siti in Suzzara, località Riva di Suzzara, come sopra identificati, ad essi pervenuti a seguito di compravendita stipulata in data 22 dicembre 1983; (ii) che la convenuta (...) è proprietaria, in conseguenza di atto di compravendita del 12 maggio 1998 e successiva divisione giudiziale del 21 aprile 2010, dei beni immobili sopraindicati; (iii) che l'attuale assetto di proprietà è il risultato di un frazionamento e successivi atti di trasferimento di un'unica proprietà immobiliare appartenuta all'originaria parte venditrice (tale Signora (...)), che con gli atti notarili di compravendita del 22 marzo 1955 e del 14 ottobre 1956 aveva posto i due fondi risultanti dal frazionamento in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto della servitù oggetto del presente giudizio. Tanto premesso gli attori hanno poi esposto che la predetta servitù di passaggio, pedonale e carraio, era stata esercitata pacificamente e continuativamente sino all'anno 2001, allorquando la convenuta aveva chiuso con lucchetto il cancello di accesso e svuoto da e per la via (...), trattenendo le chiavi, ed aveva inoltre edificato opere permanenti, consistenti in un muretto con recinzione, precludendo così l'utilizzo dell'area cortiva e l'accesso al loro fondo. Con comparsa di risposta depositata in data 20 novembre 2018 si è costituita in giudizio la convenuta, la quale ha preliminarmente dato atto di essere divenuta proprietaria del fondo confinante con quello degli attori a seguito della stipula dell'atto di compravendita del 12 maggio 1998 (per la quota del 50%) e per la restante quota del 50% per effetto dell'apertura della successione ereditaria del marito, ed ha precisato che dal momento dell'acquisto dei beni immobili alcuna persona aveva transitato o chiesto di transitare per la corte, motivo per cui dopo la morte del marito, al fine di sentirsi più tutelata nella sua proprietà, aveva fatto erigere nell'area una recinzione. Ed ancora, in ordine allo stato di interclusione del fondo di proprietà della controparte, la convenuta ha allegato che già dal 1982 (periodo in cui erano stati svolti lavori di installazione dei servizi igienici nell'immobile di proprietà (...) e contestuale allaccio alla rete dell'acquedotto) l'accesso da e per la via pubblica veniva effettuato esclusivamente tramite i mappali 93 e 179 di proprietà degli attori, e soltanto successivamente tale sbocco era stato chiuso, mediante la formazione di una zona barbecue con rete ombreggiante. All'esito di tale ricostruzione dei fatti la convenuta ha, quindi, chiesto il rigetto delle domande attoree, con conseguente accertamento dell'inesistenza del diritto di servitù carraio invocato dagli attori, ed inoltre ha formulato domanda riconvenzionale di accertamento e dichiarazione dell'intervenuta estinzione del diritto di servitù pedonale per mancato utilizzo ultraventennale. Concessi i termini per il deposito di memorie istruttorie ex art. 183 comma VI c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'acquisizione di documenti e l'assunzione delle prova orali. Esaurita la fase istruttoria, all'udienza dell'8 novembre 2022 le parti hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe avanti a questo Giudice e la causa è stata, quindi, posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Preliminarmente deve darsi atto che il procuratore di parte attrice, in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, ha comunicato che l'attore (...) è deceduto nel corso del giudizio. Sul punto va rilevato che - secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità e di merito, al quale questo Giudice ritiene di aderire - la dichiarazione del difensore prevista dall'art. 300 c.p.c. ha carattere negoziale, in quanto si tratta di una dichiarazione di volontà e non di scienza (Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 6062 del 30 maggio 1995), e presuppone dunque che il procuratore della parta colpita dall'evento esprima la volontà che il giudizio sia interrotto (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 4668 del 18 luglio 1981, Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 2837 del 23 marzo 1987); di conseguenza, l'interruzione non si verifica se l'evento sia esposto dal procuratore per fini diversi da quello interruttivo (cfr. Cassazione civile, sez. II, sentenza n. 10210 del 19 maggio 2015) o quando la dichiarazione sia resa per uno scopo meramente informativo (Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 15131 del 23 novembre 2000; Corte d'Appello Roma, sez. I, sentenza del 26 gennaio 2009), senza che il procuratore si sia contestualmente astenuto dallo svolgimento di qualsiasi altra attività difensiva. Nel caso di specie non vi è dubbio che il procuratore di parte attrice si è limitato a dare notizia dell'evento verificatosi, e ciò a mero scopo informativo e non al precipuo fine di conseguire l'interruzione del processo, tanto che ha poi proseguito lo svolgimento dell'attività difensiva, rassegnando le conclusioni inerenti al merito del giudizio. Conseguentemente deve ritenersi che la posizione giuridica dell'attore (...) resti stabilizzata nel presente giudizio, quale persona ancora esistente e capace, nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Quanto al merito, deve anzitutto osservarsi che, sebbene la domanda attorea sia stata formalmente introdotta come actio negatoria servitutis, ai sensi dell'art. 949 c.c., in realtà detta azione - in quanto volta all'accertamento della titolarità, in favore degli attori, della servitù di passaggio a favore del loro fondo ed a carico di quello della convenuta, ed alla conseguente rimessione delle cose in pristino - deve riqualificarsi come actio confessoria servitutis ex art. 1079 c.c.. Ciò posto, come già detto parte attrice ha dedotto, quale fonte costitutiva del preteso diritto di servitù di passaggio, gli atti pubblici di compravendita del 22 marzo 1955 e del 14 ottobre 1956, con cui l'originaria proprietaria dell'intero compendio immobiliare aveva venduto a terzi il fondo attualmente intestato alla convenuta (...); in subordine, stante l'interclusione del proprio fondo, ha chiesto che fosse comunque disposta la costituzione della detta servitù in maniera coattiva. Dall'altro lato la convenuta ha eccepito l'inesistenza del diritto di servitù di passaggio carraio e l'estinzione, per mancato utilizzo ultraventennale, della servitù di passaggio pedonale. Orbene, al fine di accertare l'esistenza e contenuto della summenzionata servitù di passaggio occorre muovere l'esame dall'atto notarile del 22 marzo 1955, n. rep. 3609/n. fasc. 623 (doc. 7 allegato all'atto di citazione), con cui l'originaria proprietaria dell'intero compendio immobiliare (tale Signora (...)) aveva venduto l'area di cui al mappale 59/b (ora catastalmente identificata al foglio (...) mappale (...)), così procedendo alla divisione dei due fondi. In particolare, alla clausola n. 5 della parte dedicata a "diritti e servitù'' del predetto atto notarile si legge quanto segue: "L'area antistante la casa compravenduta (mappale (...)/b) resta di uso e godimento comune con la parte venditrice e la compratrice avrà solo facoltà di occupare, in detta area, con costruzioni precarie l'angolo di nordovest per un ampiezza massima di metri 2 - due - dalla rete e metri 4 - quattro - dalla casa"; inoltre, la clausola n. 6 statuiva l'obbligo a carico della parte acquirente di provvedere alla manutenzione del portone di accesso all'area in uso comune e dei relativi pilastri. Parimenti, il contratto di compravendita del 14 ottobre 1956 (cfr. doc. 8 allegato all'atto di citazione) con cui l'originaria proprietaria (...) aveva trasferito all'acquirente (...) la proprietà della porzione di casa posta a sud-est, di cui al foglio (...) mappale (...)/a e (...)/3 (corrispondente all'area attualmente identificata al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e sub. 303, di proprietà della convenuta (...)), prevedeva che la parte acquirente potesse usare "la corte della venditrice limitatamente alla fronte della propria casa qui acquistata, senza dar luogo ad occupazione permanente e senza pregiudicare il libero e comodo passaggio di tutti gli aventi diritto". Infine, con successivo atto di permuta del 6 luglio 1971 (atto notarile n. rep. 15681/n. 3090 fasc.) l'originaria proprietaria (...) aveva ceduto in permuta alla suindicata (...) il piccolo locale rustico con annessa area cortiva, identificato catastalmente al foglio (...) mapp. nn. (...)/a e (...)/d, con accesso alla strada comunale attraverso la corte comune di cui ai mappali 59/b e 59/e. Orbene, alla luce del tenore dell'atto notarile del 22 marzo 1955, n. rep. 3609/n. fasc. 623, e dell'atto notarile del 14 ottobre 1956 (n. rep. 5712/n. fasc. 1037) risulta provata l'esistenza di una servitù di passaggio a carico del fondo di proprietà della convenuta e a favore di quello di proprietà degli attori. In ordine al contenuto di detta servitù occorre rilevare che i predetti titoli non specificano l'estensione e le modalità di esercizio della stessa; pertanto - a fronte dell'impossibilità di stabilire, mediante i generali criteri di interpretazione del contratto previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., l'esatto contenuto della servitù di passaggio - deve farsi applicazione della regola sancita dall'art. 1065 c.c., secondo cui "nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente", senza che al riguardo possa assumere rilevanza l'esercizio concreto della stessa, cioè il suo possesso, come invece avviene per le servitù acquistate per usucapione (cfr. Cassazione civile, sez. II, sentenza n. 4222 del 23 febbraio 2007). Conseguentemente, considerato che all'epoca dei suddetti rogiti notarili la parte venditrice era proprietaria di altre porzioni dell'originario compendio immobiliare unitario (condizione che, pertanto, conduce ad escludere lo stato di interclusione dei fondi) e tenuto conto che il fondo di proprietà degli attori ospita esclusivamente una porzione di fabbricato costituita da abitazione, cantina e cortile (stato dei luoghi che non è indefettibilmente collegato all'esercizio di un passaggio mediante veicoli), deve quindi concludersi che la servitù costituita in virtù dei suddetti titoli negoziali è una servitù di passaggio pedonale. Né può accogliersi la domanda attorea di costituzione coattiva della servitù di passaggio, atteso che l'accesso alla via pubblica è tuttora possibile tramite le aree di cui ai mappali (...) e (...), di cui gli attori - come dagli stessi allegato nella prima memoria istruttoria - sono proprietari (quanto alla prima) o comproprietari (quanto alla seconda): peraltro, tale circostanza trova conferma nella deposizione resa dallo stesso testimone di parte attrice, (...), all'udienza del 4 novembre 2020, nella quale ha dichiarato che, a quella data, per accedere all'abitazione di proprietà attorea stava utilizzando un piccolo cancellino pedonale installato sul fondo di cui al mappale (...). Infine, con riguardo alla perdurante esistenza o meno di detta servitù di passaggio va, anzitutto, evidenziato che la convenuta ha dedotto a fondamento dell'intervenuta estinzione di tale diritto reale che dal momento dell'acquisto dell'immobile (avvenuto nel 1998) nessuno era mai transitato nella corte di sua proprietà e che dal 1982 e fino a pochi anni fa l'accesso dalla via pubblica all'immobile di proprietà degli attori era effettuato esclusivamente tramite i mappali 93 e 179, che al tempo erano privi di qualsiasi recinzione. Ebbene, entrambe le circostanze non risultano neppure in astratto idonee a provare l'estinzione del diritto di servitù di passaggio, in quanto fanno riferimento ad un periodo di tempo inferiore al ventennio. In ogni caso, per completezza, appare opportuno rilevare che dalle deposizioni rese dai testimoni emerge che le aree di cui ai mappali (...) (di cui gli attori sono, rispettivamente, proprietari e comproprietari) e quella di cui al mappale (...) (oggetto del presente giudizio) fino al 2001 non presentavano alcuna recinzione o barriera divisoria, salva la presenza di alcune fioriere che comunque non ostacolavano il passaggio a piedi dall'uno all'altro fondo, ed inoltre l'area cortiva di proprietà della convenuta era di fatto utilizzata in forma pedonale da diverse persone. A questo proposito si osserva che il testimone (...), precedente conduttore dell'immobile di cui è attualmente proprietaria la convenuta, ha dichiarato che, durante il periodo in cui aveva vissuto in detta abitazione, il passaggio sulla corte - comprendente al tempo, stante l'assenza di recinzioni, sia l'area di cui al mappale (...) che quella di cui ai mappali (...) - era libero a tutti gli inquilini delle abitazioni prospicienti sulla corte, ed utilizzato dagli stessi sia per il transito pedonale che carraio. Ed ancora, in modo più dettagliato, il testimone (...) - inquilino dell'abitazione di proprietà degli attori - ha riferito che prima del 2001 era solito accedere dal cancello carraio prospiciente la via (...), per poi parcheggiare sull'area di cui ai mappali nn. (...), e del pari aveva visto anche il precedente conduttore dell'unità immobiliare, da cui era stato ospitato per un periodo, percorrere lo stesso tragitto. Va poi evidenziato che la rilevanza probatoria delle predette deposizioni non può ritenersi scalfita dalle dichiarazioni rese dal testimone (...), il quale - come dallo stesso riferito - può avere contezza delle modalità di utilizzo di tale passaggio soltanto in relazione agli anni in cui aveva svolto lavori di ristrutturazione per l'immobile di cui sono attualmente proprietari gli attori (e, dunque, per gli anni 1983, 1984, e 1985 circa). Peraltro, con riferimento a tale periodo il testimone ha dichiarato che l'impresa esecutrice dei lavori aveva utilizzato esclusivamente la spazio insistente sui mappali nn. 179 e 93, da cui entravano tutti i mezzi e le attrezzature, ma aveva comunque notato ogni tanto delle persone passare a piedi anche dall'area cortiva di cui al mappale n. 95: tale circostanza comprova, quindi, che il predetto passaggio, fino alla chiusura dell'accesso, fosse aperto ai proprietari delle abitazioni prospicienti e praticato dagli stessi. Esclusa quindi l'esistenza di una situazione idonea a determinare l'estinzione del diritto per mancato utilizzo ultraventennale, deve in ultimo rilevarsi che risulta incontestato - oltre che ammesso dalla stessa convenuta in sede di interrogatorio formale - che nel 2001 quest'ultima abbia commissionato la costruzione di un muretto di recinzione sulla corte e di un cancello, del quale non ha fornito agli attori le chiavi, così precludendo loro il libero accesso e passaggio pedonale tramite l'area di cui al mappale n. (...). In conclusione, alla luce dei principi di diritto e degli elementi di fatto acquisiti, va accertato e dichiarato il diritto di (...) e (...), nella loro qualità di proprietari del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del suddetto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 1 e foglio (...) mappale (...) sub. 2, di passare, a piedi, attraverso l'area cortiva del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del medesimo Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, con conseguente condanna della convenuta (...) (nella qualità di proprietaria di questi ultimi cespiti) a rimuovere immediatamente ogni ostacolo diretto ad impedire agli attori l'esercizio della predetta servitù, nonché a rendere effettivo il godimento della stessa secondo le prescrizioni dettate nel titolo costitutivo. In considerazione del contenuto del provvedimento di condanna, sussistono i presupposti per l'applicabilità del meccanismo della c.d. coercizione indiretta previsto dall'art. 614 bis c.p.c.. Ai fini della quantificazione della somma appare opportuno assumere come parametro di riferimento il valore della causa, il danno subendo dagli attori e l'entità della violazione posta in essere, con la conseguenza che si ritiene equo individuare la somma di denaro dovuta dall'obbligato in 50,00 euro per ogni giorno di ritardo, da computarsi dal 90° giorno successivo alla pubblicazione della sentenza. A fronte dell'accoglimento parziale della domanda attorea le spese di lite vanno compensate per metà e per la restante parte vanno poste a carico della convenuta (...) e liquidate secondi i parametri indicati dal D.M. 55/2014 (aggiornati in base al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022), come in dispositivo, assumendo come parametri di riferimento - in ragione della natura delle questioni giuridiche trattate e dell'attività difensiva in concreto svolta - quelli medi previsti per le cause di valore compreso tra 52.001,00 euro e 260.000,00 euro). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie parzialmente, per le causali di cui in motivazione, la domanda principale, e per l'effetto accerta e dichiara che il fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. di detto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, attualmente di proprietà di (...), è gravato da servitù di passaggio pedonale - da e per la via (...) - in favore del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del medesimo Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 1 e foglio (...) mappale (...) sub. 2, attualmente di proprietà di (...) e (...); 2) condanna (...), nella qualità di proprietaria del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. di detto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, a rimuovere immediatamente ogni ostacolo diretto ad impedire agli attori l'esercizio della predetta servitù, nonché a rendere effettivo il godimento della stessa secondo le prescrizioni dettate nel titolo costitutivo; 3) visto l'art. 614 bis c.p.c., fissa in 50,00 euro al giorno la somma di denaro che sarà dovuta dalla convenuta per ogni violazione e inosservanza nell'esecuzione della condanna di cui sopra, da computarsi con decorrenza dal 90° giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza; 4) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta; 5) compensa tra le parti le spese di lite per la metà e condanna (...) al pagamento in favore degli attori (...) e (...) della restante parte delle spese, che si liquidano in 3.808,00 euro per compensi al difensore, 272,50 euro per spese vive, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Mantova, 29 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di MANTOVA Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2706/2019 promossa da: (...) rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ga., e con domicilio eletto presso il suo studio in Foggia, Viale (...); ATTRICE contro (...) titolare dell'impresa individuale "M. di (...)" rappresentata e difesa dagli avv. Cr.Ac. e Al.Ac., e con domicilio eletto presso il loro studio in Mantova, Via (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in "opposizione a precetto e in opposizione agli atti esecutivi ex artt. 615 e 617 c.p.c. con istanza di sospensione" in data 1/8/19, (...), ragioniere commercialista, ha evocato in giudizio (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", con sede in (...), esponendo: 1) che in data 8/7/19 l'impresa individuale (...), in persona della titolare (...), aveva richiesto la notifica, a mezzo posta, della sentenza n. 272/2019 di questo Tribunale e pedissequo atto di precetto col quale aveva intimato la consegna di scritture contabili e documentazione fiscale, nonché il pagamento della somma complessiva di Euro 8.159,89, e che la notifica si era perfezionata per compiuta giacenza in data 20/7/19; 2) che, con la citata sentenza n. 272/2019 del 8/4/19 (dep. il 9/4/19), questo Tribunale avrebbe confermato il decreto ingiuntivo n. 500/2015 emesso in data 21-29/3/15 ad istanza della impresa individuale (...) di (...), e avrebbe condannato l'opponente "a consegnare alla ditta (...) ( . . . ) i documenti/scritture contabili tutti in originale afferenti alla ditta medesima e specificatamente: registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva, dichiarazione Iva relativa all'anno 2013, modelli intracee 2014; modello Unico completo Redditi 2013, libro cespiti ammortizzabili"; 2) "alla refusione delle spese di lite in favore di (...) che liquida nella misura complessiva di Euro 5.871,00 oltre il 15% delle spese generali Iva e Cpa come per legge"; 3) che nessun atto di pignoramento presso terzi era stato notificato all'opponente né alcun pignoramento mobiliare o immobiliare era stato effettuato o trascritto. L'opponente ha dedotto i seguenti motivi di opposizione: 1) Nullità del precetto per l'indeterminatezza della descrizione dei beni oggetto di consegna; 2) Sussistenza di controcredito da opporre in compensazione pari a Euro 8788,03; 3) Sussistenza dei gravi motivi richiesti dall'art. 615 c.p.c. per provvedere alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Ciò premesso (...) ha chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "contrariis reiectis 1. In via preliminare Disporsi ai sensi dell'art. 615 e/o 624 c.p.c. l'immediata sospensione, inaudita altera parte, dell'efficacia esecutiva della sentenza del Tribunale di Mantova, n. 272/2019 del 8/4/2019 pubblicata in data 9.04.2019, notificata unitamente all'atto diprecetto del 5.07.2019 sussistendone i gravi motivi previsti dall'art. 615 c.p.c. ovvero, previa fissazione di udienza di comparizione delle parti, disporsi ugualmente la sospensione dell'efficacia esecutiva e/o dell'esecuzione della citata sentenza. 2. Nel merito 2.1 Accertarsi e dichiararsi la nullità dell'atto di precetto datato 5.07.2019, stante la indeterminatezza della descrizione dei beni da consegnare e la sua difformità rispetto alla condanna alla consegna contenuta nella sentenza n. 272/2019 del 9.04.2019. 2.2. Accertarsi e dichiararsi l'intervenuta compensazione del credito della ditta (...) portato dal precetto 5.07.2019 con il maggior controcredito dell'odierna attrice di complessivi Euro 8.788,03 di cui (i) Euro 4028,00 oltre 15% per spese generali, iva e Cpa come per legge e quindi per complessivi Euro 5.877,34 a titolo di spese legali liquidate con sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019 e (ii) Euro 2.910,69 dovuta a titolo di interessi moratori maturati sulla somma di Euro 17.800,00 oltre accessori di legge, al netto di quanto versato a tale titolo, conseguentemente accertarsi e dichiararsi l'insussistenza del diritto della ditta (...) di procedere ad esecuzione forzata per l'importo oggetto di compensazione. 3. In ogni caso Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio, oltre ad accessori tutti di legge. 4. In via istruttoria Con espressa riserva di ogni ulteriore domanda, eccezione e conclusione, nonché di ogni consentita deduzione sia di merito che istruttoria, anche in relazione al comportamento processuale della controparte ed alle prove da quest'ultima eventualmente offerte.". Si è ritualmente costituita la convenuta contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, In via preliminare/pregiudiziale: - Accertarsi e dichiararsi la nullità assoluta ed insanabile della notificazione dell'atto di citazione in opposizione a precetto per invalidità e/o nullità della notifica PEC eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario non estratto dal pubblico elenco ReGIndE; - Rigettare e/o respingere la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva e/o dell'esecuzione del titolo, in quanto priva dei presupposti/requisiti di legge per i motivi dedotti in narrativa. In via principale: - rigettare e/o respingere l'opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. e comunque le domande formulate dalla rag. (...) nei confronti della ditta (...) di (...), siccome inammissibili e comunque infondate in fatto e in diritto per i motivi dedotti in narrativa e, per l'effetto, dichiarare/confermare/accertare sussistente il diritto della impresa individuale "(...)" ad agire/procedere in via esecutiva in forza del titolo e dell'atto di precetto intimato; -rigettare ogni diversa avversaria domanda perché inammissibile e/o infondata in fatto e in diritto per le ragioni espresse in narrativa e, per l'effetto, dichiarare/confermare/accertare sussistente il diritto della impresa individuale "(...)" ad agire/procedere in via esecutiva in forza del titolo e dell'atto di precetto intimato; In ogni caso: con vittoria di spese, anche generali (15,00%), diritti ed onorari e competenze del presente giudizio, oltre CPA e IVA se dovuta, come per legge. In via istruttoria: -ammettere prova testimoniale e interrogatorio formale sulle circostanze esposte in narrativa, e che nei successivi scritti difensivi si capitoleranno, con riserva di indicare i testi; -si chiede altresì che i testi che verranno indicati siano sentiti anche a prova contraria sui capitoli di prova che verranno formulati da controparte nella denegata ipotesi fossero ammessi dall'Ill.mo Giudice adito.". Con ordinanza in data 27/2/20 è stata rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo richiesta dall'opponente. Esperito infruttuosamente tentativo di conciliazione e senza espletamento di attività istruttoria, la causa è stata, una prima volta, trattenuta in decisione all'udienza del 7/12/21. Con ordinanza in data 18/6/22 la causa è stata rimessa sul ruolo essendosi rilevato il difetto di valida costituzione in giudizio del nuovo difensore dell'opponente. La causa è stata da ultimo trattenuta in decisione all'udienza del 18/10/22 sulle conclusioni delle parti come sopra riportate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Va anzitutto osservato che la difesa dell'opponente non ha precisato le conclusioni nel rispetto di quanto disposto dall'art. 189 c.p.c., e cioè nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183 c.p.c.. Si farà quindi riferimento alle conclusioni come precisate dalla difesa dell'opponente nella prima memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c., coincidenti con quelle dell'atto di citazione. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. Quanto al primo motivo di opposizione va anzitutto richiamato quanto già osservato sul punto con ordinanza 27/2/20 e che qui si riporta: "nella esecuzione per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili il precetto deve contenere, oltre le indicazioni di cui all'art. 480 c.p.c., anche la descrizione sommaria dei beni stessi; tuttavia, ove nel precetto sia omessa la descrizione del bene, ma essa sia contenuta nel titolo esecutivo, non è necessario, in relazione alla finalità della legge, che la descrizione sia ripetuta due volte, essendo sufficiente che sia ben identificato il bene in ordine al quale si deve procedere all'esecuzione (Cass. Civ. Sez. III 26/4/82 n. 2579)". A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, la descrizione del bene non è omessa, essendo chiaramente indicata la documentazione contabile (ed in particolare il tipo di registri e libri in questione), dolendosi la parte opponente (solo) della mancata indicazione delle annualità di riferimento per alcune tipologie di documenti (registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva e libro cespiti ammortizzabili). La difesa dell'opponente ha replicato, a quanto osservato con la citata ordinanza, che "anche dalla lettura del dispositivo della sentenza 271/2019 rectius 272/2019 (cfr. all 1 atto di citazione in opposizione) permane lo stato di incertezza e indeterminatezza eccepito. Infatti anche il dispositivo di sentenza omette di indicare le annualità del registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva e libro cespiti ammortizzabili, annullando pertanto la sua funzione integrativa dell'atto di precetto nell'individuazione dei beni oggetto di esecuzione, invocata da controparte" (v. memoria ex art. 183 comma sesto n. 1 c.p.c. nell'interesse di (...)). La richiamata funzione integrativa va riferita, però, non al solo dispositivo, ma all'intero contenuto del titolo, e, dalla semplice lettura dello stesso, si evince chiaramente a quali annualità si sia inteso fare riferimento. Invero ciò risulta dallo stesso capitolato di prova della difesa di (...) in quella sede, come riportato nelle conclusioni in allora precisate. Si legge infatti (pagg. 2 e 3 della sentenza n. 272/19): " . . . ammettere prova per testi e per interrogatorio formale della sig.ra R.M. sulle seguenti circostanze: 1) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del registro degli acquisti, del registro delle fatture emesse e delle liquidazioni periodiche IVA relativi alle annualità dal 2007 al 2013, il 20 maggio, 25 agosto, 20 novembre ed il successivo 28 febbraio, di tutti gli anni in considerazione, in occasione della restituzione delle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 2) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del registro degli acquisti, del registro delle fatture emesse e delle liquidazioni periodiche IVA relativi all'annualità 2014, il 20 maggio, 25 agosto, 20 novembre in occasione della restituzionedelle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 3 "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova dei modelli Intracee 2014, il 20 maggio 2014, il 25 agosto 2014, il 20 novembre 2014 in occasione della restituzione delle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 4) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del libro cespiti ammortizzabili relativo agli anni dal 2007 al 2013, il 31 marzo dell'anno successivo a tutti quelli in considerazione, in occasione della restituzione della situazione contabile (bilancio) della relativa impresa individuale?" Si indicano come testi . . . ". Il che, del resto, è in linea con quanto sostenuto poi anche in questa sede, e cioè che "si è estinto il diritto della signora (...) ad ottenere la documentazione richiesta con il precetto opposto in quanto la stessa è già stata integralmente consegnata dalla ragioniera (...) alla controparte, o al marito della stessa sig. (...), ed in ogni caso depositata in allegato agli atti di cui al giudizio R.G. 1723/2015 in seno al quale è stata pronunciata la citata sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019" (v. atto di citazione pag. 4, sub. (...)). La "documentazione richiesta con il precetto opposto" è stata quindi chiaramente individuata, segno evidente che la funzione integrativa di cui si è detto è stata efficacemente svolta. La pure eccepita difformità dell'atto di precetto "rispetto alla condanna alla consegna contenuta nella sentenza n. 272/2019 del 09 aprile 2019" è del tutto infondata, atteso che quanto intimato col precetto opposto coincide esattamente col dispositivo della citata sentenza. Per quanto riguarda le altre questioni sollevate in atto di citazione nell'ambito dello stesso motivo di opposizione (sub. (...), pag. 2), e relative alla normativa in materia di consegna di documentazione rilevante ai fini fiscali e tributari (sub. (...), pagg. 3 e 4) e alla (asserita) già intervenuta consegna della documentazione oggetto di precetto (sub. (...), pag. 4), si tratta di questioni che non possono essere delibate in questa sede e che, come tali, vanno ritenute inammissibili. Invero, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte (per tutte Cass. Civ., Sez. III, 13/6/17 n. 14636), già richiamato nella citata ordinanza 27/2/20, in sede di opposizione di merito si possono far valere solo i fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto azionato in via esecutiva (o che si minaccia di azionare in executivis), che siano avvenuti successivamente al formarsi del giudicato (o meglio successivi all'ultimo momento utile per farli valere nell'ambito del giudizio in cui si è formato il titolo), ma non i fatti precedenti che avrebbero potuto e dovuto essere dedotti nel giudizio di cognizione preordinato alla formazione del titolo stesso. Trattasi di orientamento costantemente seguito nella giurisprudenza di merito che ha avuto modo di condivisibilmente affermare, tra l'altro (Trib. Bergamo, Sez. II, 24/11/21 n. 2178, in motivazione),: ". . . . . Deve, invero, evidenziarsi che costituisce principio pacifico che "la parte minacciata con il precetto di esecuzione forzata in base a decreto di ingiunzione provvisoriamente esecutivo, avendo promosso giudizio di opposizione alla ingiunzione - per sostenere che questa è stata emessa in carenza delle condizioni di ammissibilità previste dall'art. 633 c.p.c. - non può proporre anche opposizione alla esecuzione per le medesime ragioni, perché tale opposizione non può avere per oggetto questioni attinenti ai vizi di formazione del titolo, a meno che non ne determinino l'inesistenza giuridica, o al merito della decisione che in esso è contenuta, e perché egli manca di interesse alla predetta opposizione, atteso che l'opposizione alla ingiunzione, esaurendo ogni possibile accertamento della fondatezza o non delle ragioni dedotte anche in rapporto al diritto della parte istante di procedere alla esecuzione, è in grado di realizzare, anche attraverso la possibilità di ottenere la sospensione dell'esecuzione provvisoria, a norma dell'art. 649 c.p.c., la tutela del suo interesse ad evitare l'esecuzione forzata in forza di quel titolo" (in tal senso, ex multis, Cassazione civile, sez. III, 19/06/2001, n. 8331). Detto altrimenti, quando l'esecuzione è minacciata sulla base di un titolo di formazione giudiziale, i motivi di nullità del decreto stesso o le ragioni di infondatezza del credito da esso accertato debbono essere fatte valere con lo specifico rimedio impugnatorio finalizzato alla caducazione del titolo stesso (ovvero, nell'ipotesi di decreto ingiuntivo, mediante opposizione ex art. 645 c.p.c.), mentre debbono essere fatte valere con l'opposizione a precetto unicamente le ragioni che si traducano nella inesistenza del titolo esecutivo o in altri vizi del procedimento esecutivo ovvero nella presenza di fatti estintivi o modificativi sopravvenuti alla formazione del titolo (in tal senso, ex multis, si segnala Cassazione civile, sez. VI, 18/2/2015, n. 3277, secondo cui "nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame"). Pertanto, qualora alla base dell'azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell'opposizione preventiva o successiva all'esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l'efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo controllare soltanto la persistenza della validità di quest'ultimo e quindi attribuire rilevanza solamente a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività. Ebbene, venendo all'esame del merito dell'odierna res controversa - premesso che non risulta eccepita la giuridica inesistenza del titolo (nella specie, oggi costituito dalla sentenza n. 1679/2021 del 18.9.2021 Trib. Bergamo) - non può che ritenersi che sia esclusivo appannaggio del giudice che conosce dell'opposizione a decreto ingiuntivo lo scrutinio delle ragioni di infondatezza del relativo credito e dei molteplici profili fattuali che attengono alle vicende negoziali sottese al titolo giudiziale posto a fondamento della azione esecutiva minacciata con il precetto opposto. Tali questioni esulano, evidentemente, dal thema decidendum proprio del presente procedimento, in linea con il costante insegnamento della Suprema Corte secondo cui "nel giudizio di opposizione all'esecuzione è possibile contestare solo la regolarità formale o l'esistenza del titolo esecutivo giudiziale, ma non il suo contenuto decisorio. La violazione di tale regola da parte dell'opponente costituisce causa di inammissibilità, e non di infondatezza, dell'opposizione, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello. Il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è quindi limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione di detto titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza che lo costituisce" (Cassazione civile, sez. lav., 19/12/2014, n. 26948).". L'opponente ha poi chiesto, in accoglimento del secondo motivo di opposizione, "Accertarsi e dichiararsi l'intervenuta compensazione del credito della ditta (...) portato dal precetto 5.07.2019 con il maggior controcredito dell'odierna attrice di complessivi Euro 8.788,03 di cui (i) Euro 4028,00 oltre 15% per spese generali, iva e Cpa come per legge e quindi per complessivi Euro 5.877,34 a titolo di spese legali liquidate con sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019 e (ii) Euro 2.910,69 dovuta a titolo di interessi moratori maturati sulla somma di Euro 17.800,00 oltre accessori di legge, al netto di quanto versato a tale titolo, conseguentemente accertarsi e dichiararsi l'insussistenza del diritto della ditta (...) di procedere ad esecuzione forzata per l'importo oggetto di compensazione.". Il controcredito opposto in compensazione è relativo, quanto a Euro 5.877,34, all'asserito mancato pagamento da parte di (...) delle spese di lite relative al giudizio (n. 1723/2015 R.G.) definito da questo Tribunale con sentenza n. 271/2019, dep. il 9/4/19, e, quanto al resto, all'asserita mancata corresponsione integrale degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 dovuti sulla somma oggetto della pronuncia di condanna nei confronti dell'odierna opposta di cui alla citata sentenza n. 271/2019. Come è noto la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere ed egualmente liquide ed esigibili. Pertanto, la compensazione presuppone che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione), con la conseguenza che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale, poiché esso potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio (infatti la compensazione giudiziale presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinnanzi al quale la compensazione è invocata e non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che questo accertamento sia divenuto definitivo (v. Cass. Civ. n. 9680/2013; Cass. Civ. n. 8338/2011, oltre a Cass. Civ., Sez. Unite, 15/11/16 n. 23225, già citata nell'ordinanza 27/2/20). Nel caso di specie non è contestato che la sentenza n. 271/2019 sia stata impugnata dall'odierna opposta avanti la Corte di Appello di Brescia (Sez. Seconda civile, n. 1150/2019 R.G.), e che l'atto di precetto afferente la somma asseritamente dovuta a titolo di interessi moratori sia stato opposto. Anche il secondo motivo di opposizione non può quindi trovare accoglimento. Conclusivamente l'opposizione va rigettata. Nella prima memoria di replica la difesa dell'opposta ha chiesto "la cancellazione delle espressioni sconvenienti e/o offensive contenute nella comparsa conclusionale priva di data depositata telematicamente il giorno 07/02/2022 come in memoria di replica meglio indicato, e per l'effetto assegnare alla sig.ra (...), ed a carico della rag. (...), una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 89 c.p.c.". Il fatto che la domanda sia contenuta nella prima memoria di replica, e che la causa sia stata successivamente rimessa sul ruolo, consente di esaminarla nella sua interezza dovendo altrimenti essere ritenuta inammissibile, quanto alla richiesta risarcitoria (Cass. Civ., Sez. III, 9/7/09 n. 16121). Ciò premesso la domanda non merita accoglimento non ravvisandosi che le espressioni in parola siano state dettate da un passionale e scomposto intento dispregiativo meramente offensivo nei confronti della controparte (Cass. Civ. Sez. II 6/8/19 n. 21019). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018 avuto riguardo ai valori minimi per lo scaglione corrispondente. P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Rigetta l'opposizione; 2) Condanna (...) alla rifusione delle spese in favore di (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", che liquida in Euro 4835,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali 15% e a quanto dovuto per legge. Così deciso in Mantova l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1628/2021 promossa da: (...) S.R.L. rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Va., e con domicilio eletto presso il suo studio in Trescore Balneario (Bg), Via (...); ATTRICE contro (...) S.R.L. non in proprio ma qual mandataria di (...) spa rappresentata e difesa dall'avv. Da.D'A., e con domicilio eletto presso il suo studio in Bergamo, Via (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in data 28/5/21, ritualmente notificato, (...) srl ha evocato in giudizio L. srl, con sede in (...), esponendo: 1) che in data 6/7/18 la società (...) spa le aveva notificato atto di pignoramento immobiliare avente ad oggetto immobili (fabbricato commerciale e abitazione civile) siti in (...) di (...), oggi (...); 2) che, a seguito dell'iscrizione a ruolo di detto pignoramento, il G.E. aveva fissato l'udienza per la comparizione personale delle parti e nominato l'esperto stimatore; 3) che, in data 14/1/19, era stato depositato l'elaborato tecnico nel quale l'esperto aveva assegnato al compendio immobiliare un prezzo base d'asta di Euro 612.000,00; 4) che, in data 21/12/20, a seguito di sei esperimenti d'asta infruttuosi, a fronte dei quali il prezzo base era sceso a Euro 27.433,00, l'opponente aveva depositato istanza di chiusura anticipata dell'esecuzione ex art. 164 bis disp. di att. c.p.c. e, in subordine, di sospensione della procedura esecutiva; 5) che in predetta istanza era stato evidenziato come il nuovo prezzo base d'asta fosse sceso addirittura al 3% del valore inizialmente periziato, ed era stata rilevata l'assoluta infruttuosità dell'espropriazione forzata; 6) che, in via subordinata, l'opponente aveva insistito per la sospensione della procedura per un periodo di 24 mesi stante la situazione stagnante del mercato immobiliare connesso anche alla persistenza di una situazione di emergenza sanitaria che aveva avuto innegabili riflessi negativi; 7) che, all'udienza del 2/2/21, il G.E. ritenendo non ricorrenti i presupposti di cui all'art. 164 bis disp. di att. c.p.c. aveva respinto l'istanza di estinzione anticipata disponendo la prosecuzione della procedura e nulla prevedendo in ordine alla subordinata richiesta di sospensiva; 8) che, avverso detto provvedimento, (...) srl aveva proposto ricorso ex art. 617 comma secondo c.p.c., e che, all'udienza di comparizione delle parti, il Giudice si era riservato di decidere; 9) che, a scioglimento della riserva, il G.E. aveva rigettato l'istanza di sospensione dell'esecuzione ed assegnato il termine perentorio di giorni trenta per l'inizio del giudizio di merito; 10) che l'esperimento d'asta del 17/5/21 aveva avuto esito positivo ed il bene pignorato era stato aggiudicato al prezzo definitivo di Euro 31.010,00. (...) srl, instaurando il giudizio di merito, ha chiesto l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Si è ritualmente costituita (...) spa, non in proprio ma quale mandataria di (...) srl, contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Con decreto 1/6/22 è stato disposto che l'udienza del 21/6/22, cui la causa era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni, si svolgesse con trattazione scritta, con avvertimento che la causa sarebbe stata trattenuta per la decisione allo scadere del termine di cui all'art. 190 c.p.c.. Le conclusioni sono state precisate dalle parti in via telematica come sopra riportate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Preliminarmente si osserva che la difesa dell'opponente non ha depositato la comparsa conclusionale ma ha redatto solo la memoria di replica. Tale comportamento processuale, anche se formalmente non vietato dalla legge, deve ritenersi illegittimo per la sostanziale violazione del principio del contraddittorio in quanto, alterando il normale percorso processuale di cui all'art. 190 c.p.c. che si articola nel deposito di una memoria finale per illustrare le proprie ragioni difensive e quindi nel deposito di una eventuale memoria per replicare alle argomentazioni avversarie, impedisce in pratica alla controparte di ribattere alle deduzioni svolte. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. La tesi della difesa dell'opponente muove sostanzialmente dal prezzo di aggiudicazione (definito irrisorio, e pari a Euro 31.010,00), ma, così facendo, la stessa difesa incorre in un errore di impostazione. Si legge tra l'altro nell'atto di citazione che "la valutazione di infruttuosità può aver luogo quando, in relazione all'entità del prezzo base dell'ultimo tentativo, l'eventuale aggiudicazione possa presumersi o implausibile, per essersi rivelato l'immobile fuori mercato e quindi in concreto invendibile, oppure - tale da coprire esclusivamente i costi, oppure - tale da determinare una somma netta irrisoria da destinare ad accessori e sorta capitale dei creditori, tenuto conto delle rispettive cause legittime di prelazione. Una simile valutazione di infruttuosità potrà adeguatamente fondarsi sul rilievo che il bene offerto in vendita è risultato per oggettive caratteristiche - non solo sopravvenute, ma pure preesistenti ma diversamente valutate - con ogni probabilità non vendibile, oppure vendibile a condizioni talmente rovinose da lasciare prefigurare un soddisfacimento irrisorio di sorta e accessori già maturati o, a maggior ragione, delle sole successive spese del processo esecutivo. Al contrario, questo sarà allora valutato meritevole di prosecuzione finchè appaia ancora idoneo a far conseguire, in esito alle attività di liquidazione ancora a disporsi ed in base alla fruttuosità delle stesse quale desumibile anche dalla pregressa storia del processo e dall'inanità incolpevole dei precedenti tentativi, una somma ricavata significativa, cioè tale fa consentire il soddisfacimento non irrisorio di alcuno tra i crediti azionati, ad iniziare da quelli assistiti da cause di prelazione e, a parità di esse, da quelli di maggiore importo". La stessa opponente riconosce, quindi che, il processo deve proseguire "finchè appaia ancora idoneo a far conseguire . . . una somma ricavata significativa". Ciò, a ben vedere, è proprio quello che si è verificato nel caso di specie. Nell'ordinanza, emessa all'esito della fase cautelare, in data 28/4/21 si legge infatti che "dalla relazione del professionista delegato del 9-3-2021 emerge come in relazione alla vendita fissata per il 13-3-2021 e non tenutasi per sopravvenuti inconvenienti tecnici, vi fossero dei soggetti interessati all'acquisto", e che "il concreto interessamento di due soggetti fa presumere che dalla vendita potrà essere ricavato un ragionevole soddisfacimento della pretesa del creditore". Il G.E. ha, quindi, a suo tempo, opportunamente rigettato l'istanza di estinzione anticipata e disposto la prosecuzione del processo esecutivo, avendo ritenuto, in ipotesi, che fosse ancora idoneo a far conseguire una somma significativa. Tale convinzione è stata poi ribadita dopo il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, rigettando l'istanza di sospensione sulla base del dato oggettivo dell'interessamento "concreto" all'acquisto di due soggetti, il che induceva a prevedere una gara al rialzo che, sempre in ipotesi, avrebbe potuto portare ad un prezzo di aggiudicazione di rilievo. In questo si rivela l'errore di impostazione dell'opponente cui si faceva riferimento sopra, e cioè nel fatto di argomentare la propria tesi sulla base del prezzo finale di aggiudicazione e non piuttosto sulla base di quello che appariva ragionevole al momento di valutare la istanza di estinzione anticipata. Come è stato autorevolmente osservato, è di centrale importanza considerare il presumibile risultato economico della vendita, ma non può tralasciarsi la valutazione delle probabilità che una vendita ipoteticamente vantaggiosa possa comunque avere successo. La difesa dell'opponente ha poi richiamato l'art. 586 c.p.c. indicandola come "altra disposizione con la quale il legislatore si è posto l'obiettivo di evitare che l'espropriazione del debitore si risolva in una svendita dei suoi beni, che lascerebbe sostanzialmente invariato il rapporto debitorio ed andrebbe unicamente a vantaggio del terzo acquirente", e ha ribadito, citando giurisprudenza di merito, che "appare oramai chiaro come la procedura esecutiva immobiliare avrebbe dovuto considerarsi "infruttuosa" ai sensi dell'art. 164 bis c.p.c. ed il prezzo di cui all'ultimo avviso di vendita (ed allo stesso modo il prezzo effettivo di aggiudicazione) non possa considerarsi "giusto prezzo"...". Al riguardo ed a confutazione anche di tale tesi, pare opportuno richiamare alcuni punti della motivazione di Cass. Civ., Sez. III, 10/6/20 n. 11116: "22. Non ravvisa il Collegio alcun motivo di discostarsi dall'approdo ermeneutico di Cass.21/09/2015, n. 18451, raggiunto all'esito di una ampia, accurata ed esaustiva disamina dell'istituto della sospensione della vendita dopo l'aggiudicazione, che riconosce la legittimità dell'esercizio di quella potestà del giudice dell'esecuzione solo quando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all'aggiudicazione, non conosciuti nè conoscibili dalle altre parti prima di essa, purchè costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione. 23. Proiezione in sede esecutiva del principio della rilevanza della sola verità processuale, vale a dire di quella accertata con la corretta applicazione delle regole del processo di cognizione sulla ricostruzione o rappresentazione dei fatti quali presupposti del giudizio di diritto idoneo a regolare la fattispecie e definire la controversia, è il principio, da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dell'identificazione del prezzo giusto con quello che risulta da un corretto svolgimento delle operazioni di vendita: allo stesso modo in cui non è giusto ciò che la parte ritiene o che comunque si sostiene al di fuori del giudizio di cognizione (ma solo quello che in esso viene accertato e definito tale), così non è giusto il prezzo soggettivamente reputato tale da uno dei soggetti del processo, ma solo quello che si forma all'esito del corretto funzionamento dei meccanismi processuali istituzionalmente deputati a determinarlo. 24. Del resto, neppure la valutazione dell'esperto stimatore condiziona la validità dell'ordinanza di vendita e dell'aggiudicazione, poichè anche il valore di mercato da lui individuato rappresenta un dato meramente indicativo (Cass. 10/02/2015, n. 2474; Cass. 31/03/2008, n. 8304) e poichè l'individuazione del giusto prezzo è rimessa all'esito della gara sollecitata tra gli offerenti estranei al processo e correttamente tenuta; e proprio la citata Cass. 18451/15 si diffonde sull'individuazione del giusto prezzo e sui suoi rapporti con quello di mercato, sicché è superfluo qui ogni approfondimento. 25. La stessa determinazione del prezzo al quale porre in vendita il bene staggito, che fa riferimento a quello di mercato, può legittimamente aver luogo in relazione ad ogni elemento, purchè non palesemente incongruo o avulso dal contesto economico o dagli elementi fondamentali della scienza dell'estimo, che colleghi la valutazione operata del prezzo base a cui porre in vendita il bene a quello che potrebbe essere il valore risultante in esito ad una contrattazione sul mercato, ovviamente tenendo conto delle peculiarità dello specifico settore delle espropriazioni immobiliari in cui comunque la vendita giudiziaria viene a collocarsi, come reso evidente anche dalle recenti modifiche legislative sul contenuto della relazione di stima (Cass. ord. 20/07/2016, n. 14968). 26. In tale ordito normativo, postulato ormai che la vendita giudiziaria abbia luogo alle stesse condizioni di una vendita volontaria e purchè in concreto il giudice dell'esecuzione - o il suo delegato - la faccia svolgere correttamente nelle migliori condizioni ricavabili in applicazione di tutti gli istituti a tale fine apprestati e doverosamente attivati o almeno tentati, quell'equiparazione comporta che la vendita volontaria non potrebbe verosimilmente conseguire un esito diverso o più vantaggioso; sicchè è l'interazione col mercato dei beni oggetto della vendita giudiziaria a costituire idonea garanzia di ottenimento del massimo risultato giusto ed utile possibile. 27. A meno dell'attivazione di diversi istituti, significativamente estranei alla struttura di quello, è allora privo di base giuridica fare carico al processo esecutivo ed al sistema delle vendite giudiziarie (ed al giudice dell'esecuzione od ai suoi ausiliari) dello stato o dell'andamento del mercato ed in particolare dell'esito della vendita del bene a condizioni asserite come più svantaggiose rispetto a quelle di un mercato ideale o dei rischi che tanto possa accadere. 28. Infatti, del mercato e del suo andamento fanno parte non solo il suo peculiare settore incentrato sulle vendite giudiziarie, ma anche le crisi, più o meno cicliche e finanche di particolare gravità, che lo attraversano e che ne costituiscono uno sviluppo sfortunatamente plausibile, se non intrinsecamente connaturato: pertanto, anche quando si tratti di crisi di sistema, mancando interventi strutturali di spettanza del legislatore deve prevalere la tutela del corrispondente buon diritto consacrato in capo al creditore e la vendita del bene è sempre doverosa. 29. Ora, la vendita giudiziaria si attiva quando viene dato impulso dal creditore al processo esecutivo con l'istanza di vendita (Cass. 19/07/2004, n. 13354; Cass. Sez. U. 29/07/2013, n. 18185), tutto il successivo corso risultando ufficioso e del pari doveroso, salve le sole eccezioni previste espressamente (Cass. 14968/16, cit.) e comunque impregiudicate le ipotesi di chiusura anticipata (sulla cui nozione basti qui un richiamo a Cass. ord. 10/05/2016, n. 9501) per il rilievo della impossibilità del raggiungimento dello scopo del processo. 30. E' ben vero che la norma non prevede espressamente una reiterabilità indefinita dei tentativi di vendita infruttuosi ed anzi parrebbe offrire, quale alternativa, solo l'amministrazione giudiziaria e per il non breve periodo di tre anni; ed è non meno vero che non sono mancati tentativi, anteriori però alle riforme dal 2005 e ad opera di una parte della giurisprudenza di merito (variamente accolta dai diversi contesti territoriali di applicazione), di contenimento dei tempi di persistenza infruttuosa del processo esecutivo - il cosiddetto processo esecutivo inane - mediante la previsione, adeguatamente prefigurata al momento dell'ordinanza di vendita, di un numero massimo di tentativi al cui infruttuoso esito ravvisare l'impossibilità non ascrivibile ad alcuno dei soggetti di esso - del processo stesso di raggiungere il risultato di soddisfacimento della creditoria azionata, con conseguente sua chiusura anticipata. 31. Tuttavia, è altrettanto vero che, ormai equiparato con le novelle dell'ultimo quindicennio il sistema delle vendite giudiziarie a quello delle vendite volontarie, nulla più osta - salvi i casi di chiusura anticipata (tra cui quelli di cui appresso o le conseguenze di peculiari condotte inerti delle parti a vario titolo onerate) - ad una reiterazione dei tentativi di vendita: tanto è consentito dalla tecnica possibilità di testuale riapplicazione circolare della disciplina prevista per il caso di vendita infruttuosa e, del resto, corrisponde a prassi largamente invalsa, sia pure opportunamente modulata nel senso della previsione di un limite dei ribassi o delle rifissazioni o del tempo destinato ai tentativi di vendita. 32. Certo, la reiterazione della fissazione delle vendite non può procedere all'infinito ed è allora legittima un'espressa preventiva autolimitazione (peraltro revocabile o modificabile) del relativo potere fin dall'ordinanza di vendita, intesa a razionalizzarla e contenerne numero e modalità: ma, salvi tutti gli altri casi di chiusura anticipata elaborati dalla giurisprudenza, il giudice ha il dovere, prima di dichiarare impossibile il raggiungimento del fine specifico dell'espropriazione consistente nella liquidazione alla base del soddisfacimento dei creditori, di procedere ad uno o più nuovi tentativi di vendita e di avvalersi - o di tentare di avvalersi, o di motivare congruamente sulle ragioni per le quali non si avvale - di tutti gli strumenti messi a sua disposizione espressamente dal codice (non ultima, almeno fino alla novella del 2019, la liberazione di tutti gli immobili staggiti, essendo intuitivo che solo quelli liberi possono essere venduti ad un prezzo conveniente per il venditore) o dall'elaborazione giurisprudenziale dei suoi poteri di direzione del processo (tra cui la rimodulazione del prezzo a base di gara, pure all'esito della rinnovazione della stima da parte dell'esperto). 33. E' ben vero che tra tali strumenti rientra, come invocata dai ricorrenti, proprio l'amministrazione giudiziaria: e tuttavia essa è fondata sulla specifica prognosi del recupero di un maggior valore di collocamento sul mercato all'esito dei periodi, più o meno prolungati, di sottrazione del bene dal circuito delle vendite e conseguente protrazione dei tempi del processo e di maturazione degli accessori dei crediti; la sua scelta implica allora un aggravio di costi ed oneri oltre che di tempi di definizione e resta pertanto dissonante dall'ordinaria dinamica della liquidazione del bene ormai irreversibilmente avviata. 34. Ne consegue che, pure rimanendo una valida alternativa a sua disposizione, ad essa può il giudice dell'esecuzione in via discrezionale preferire la rifissazione della vendita, potendo anche solo per implicito qualificare insussistenti i presupposti dell'amministrazione; sicchè non è viziata la rifissazione senza il previo tentativo di procedere ad essa. 35. Sul punto, va fatta applicazione del seguente principio di diritto: "poichè, impregiudicati i casi di chiusura anticipata del processo esecutivo, è legittima la reiterazione della fissazione della vendita anche con successivi ribassi del prezzo base e senza ricorso all'amministrazione giudiziaria, non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, tanto meno idoneo a fondare la sospensione prevista dall'art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, nè si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura già elaborati dalla giurisprudenza (fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; determinazione del prezzo fissato nella stima quale frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; fatti o elementi conosciuti da una sola delle parti prima dell'aggiudicazione, non conosciuti nè conoscibili dalle altre parti prima di essa, purchè costoro li facciano propri), elementi perturbatori tra cui non si possono annoverare l'andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare". L'opposizione pertanto non può trovare accoglimento e va rigettata. L'esistenza di differenti orientamenti nella giurisprudenza di merito circa l'applicazione del disposto di cui all'art. 164 bis disp. di att. c.p.c. giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Rigetta l'opposizione; 2) Dichiara interamente compensate le spese. Così deciso in Mantova il 4 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Mauro Pietro Bernardi ha pronunciato la seguente SENTENZA NON DEFINITIVA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1089/2021 promossa da: (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. PI.ST., elettivamente domiciliato in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla citazione; ATTRICE contro (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. BI.MI., elettivamente domiciliato in VIA (...) - MANTOVA, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTO e contro (...) (C.F.: (...)) e (...) (C.F.: (...)) entrambe con il patrocinio dell'avv. AL.GA., elettivamente domiciliate in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTE e contro (...) s.r.l. (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. FU.MA. e dell'avv. prof. TA.BR., elettivamente domiciliata in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio legale Re. come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTA Oggetto: 131011 - divisione di beni non caduti in successione CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 2-7 aprile 2021 (...) esponeva 1) di essere creditrice di (...) in virtù a) di decreto ingiuntivo n. 2105/18 emesso in data 31-12-2018 dal Giudice di Pace di Mantova con il quale essa gli aveva intimato di pagare l'importo di Euro 3.086,96 oltre interessi, spese del procedimento e accessori, credito per il quale aveva notificato atto di precetto in data 18-2-2019 per l'importo di Euro 3.910,20; b) di decreto ingiuntivo n. 358/19 emesso il 11-3-2019 dal Tribunale di Mantova per l'importo di Euro 10.000,00 a titolo di canoni scaduti di locazione oltre ai canoni successivi fino alla liberazione del cespite e oltre agli interessi legali, alle spese di procedura e agli accessori di legge, credito per il quale essa aveva notificato atto di precetto per il complessivo importo di Euro 20.645,83 in data 11-4-2019; 2) che, a garanzia dei propri crediti, essa aveva iscritto, presso l'Agenzia del Territorio di Mantova, due ipoteche giudiziali (la prima in data 6-3-2019 ai n. 2787 RG e n. 349 RP e la seconda in data 11-4-2019 ai n. 4542 RG e n. 602 RP) sulla quota di 5/24 delle porzioni di fabbricato sito in M., via G. B., 37 e così censite: Catasto Fabbricati, fg. (...), part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...) meglio descritte in citazione; 3) che essa aveva quindi notificato atto di pignoramento in data 28-6-2019 trascritto il 22-7-2019 ai n. 9203 RG e n. 6167 RP e che aveva quindi incardinato la procedura esecutiva n. 149/19 RGE; 4) che gli altri comproprietari erano (...) (per la quota di 8/24), (...) (per la quota di 11/24); 5) che la comproprietaria (...) aveva presentato istanza di assegnazione della quota di proprietà di (...); 6) che la quota veniva messa in vendita e che (...), risultata aggiudicataria delle quote indivise del compendio immobiliare, non aveva tuttavia provveduto al versamento del residuo prezzo nei termini stabiliti; 7) che, su istanza del professionista delegato alla vendita, avv. (...), il G.E. con decreto del 22-3-2021 aveva dichiarato la decadenza dell'aggiudicatario e disposto che si procedesse a nuove vendite; 8) che, con successivo Provv. del 24 marzo 2021, il G.E. aveva ordinato procedersi a giudizio di divisione fissando per la trattazione aventi a sé l'udienza del 22-6-2021; 9) che, in adempimento del predetto provvedimento, essa aveva quindi introdotto il giudizio divisionale e citato in giudizio tutti i comproprietari nonché la società (...) s.r.l.: alla stregua di tali deduzioni l'istante chiedeva procedersi alla divisione ponendo in vendita il compendio immobiliare oggetto di pignoramento. Si costituiva (...), il quale non si opponeva alla divisione rilevando che la stessa poteva essere effettuata in natura tramite la reciproca cessione delle quote, con o senza conguaglio. Si costituivano altresì (...) e (...) che svolgevano difese identiche rispetto a quelle formulate da (...). Si costituiva infine società (...) s.r.l. la quale faceva presente di essere intervenuta nel procedimento esecutivo n. 149/19 RGE essendo creditrice nei confronti di (...) dell'importo di Euro 402.600,00 in forza di due titoli cambiari, credito per cui aveva notificato in data 20-10-2018 atto di precetto per il complessivo importo di Euro 404.413,33 e chiedeva procedersi alla divisione del compendio immobiliare pignorato, disponendone la vendita. Essendovi contrasto fra le parti circa la necessità di disporre la vendita del compendio pignorato, la causa veniva rimessa in decisione all'udienza del 18-1-2022, tenutasi secondo la modalità della trattazione scritta, sulle conclusioni in epigrafe riportate. Premesso che il compendio immobiliare pignorato è composto da quattro beni (due appartamenti, un ufficio e un deposito) e che tali cespiti appartengono a (...) per 5/24, a (...) per 8/24 e a (...) per 11/24, va osservato che la divisione proposta dai comproprietari per effetto della quale il debitore esecutato cederebbe la propria quota di 5/24 degli immobili ad uso abitativo già identificati nei lotti 2 e 3 dell'esecuzione 149/2019 R.G. a fronte della cessione a proprio favore della quota di 19/24 di titolarità delle altre comproprietarie dell'immobile ad uso ufficio già identificato nel lotto 1 dell'esecuzione in parola, non ha trovato l'adesione dei creditori procedenti (...) e (...) s.r.l. i quali hanno diritto di espropriare i beni del debitore ex art. 2910 c.c. e ai quali una divisione come prospettata sarebbe inopponibile ex art. 2915 II co. c.c. sicché la stessa non può essere disposta. Ne consegue che occorre verificare, ai sensi dell'art. 720 c.c., se il compendio sia comodamente divisibile e in proposito va rammentato che tale concetto postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dovere fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi, e, sotto l'aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote, rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (cfr. Cass. 19-8-2015 n. 16918; Cass. 21-8-2012 n. 14577; Cass. 29-5-2007 n. 12498; Cass. 7-2-2002 n. 1738; Cass. 11-8-1990 n. 8201): orbene tenendo conto della natura e diversità strutturale dei cespiti pignorati (divisi in tre lotti dal consulente ing. S.), della presenza di un androne di ingresso in comune e delle quote spettanti ai comproprietari (quella del debitore esecutato è pari a 5/24) ne consegue che il compendio pignorato è indivisibile. Va aggiunto che all'istanza di assegnazione, formulata da (...) e a suo tempo accolta nel corso del procedimento espropriativo, non è poi stato dato seguito, sicché non resta che procedere alla vendita dell'intero compendio secondo i lotti e i prezzi di stima indicati dall'ing. (...) e, a tal fine, la causa va rimessa in istruttoria come da separata ordinanza onde procedere agli ulteriori incombenti. Trattandosi di sentenza non definitiva, nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese. P.Q.M. Il Tribunale di Mantova, non definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) dichiara sciolta la comunione fra (...), (...) e (...) avente ad oggetto il compendio immobiliare sito in M. e così censito: Comune di M., via B. 37, foglio (...), particelle n.ri: - (...) sub (...), Cat. (...) cl. (...), mq. 143, vani 6, RC. Euro 619,75; (...) sub (...), Cat. (...) cl. (...), mq. 14, RC. Euro 42,14; (...) sub (...), Cat. (...), cl. (...), vani 3,5, mq. 128, R.C. Euro 1.138,79; (...) sub (...), Cat. (...), cl. (...), vani 6,5, mq. 120, R.C. Euro 503,55; 2) dichiara che il compendio immobiliare sopra descritto non è comodamente divisibile; 3) dispone la vendita del predetto compendio immobiliare; 4) rimette la causa in istruttoria come da separata domanda; 5) nulla per le spese. Così deciso in Mantova il 20 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1207/2018 promossa da: (...) SOC. COOP. IN LIQUIDAZIONE (...) rappresentata e difesa dagli avv. Ma.Co. e Al.Ca., e con domicilio eletto presso il loro studio in Modena, Corso (...); ATTRICE contro (...) S.R.L. rappresentata e difesa dall'avv. Su.Ga. e con domicilio eletto presso il suo studio in Volta Mantovana, Piazza (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in data 22/3/18, ritualmente notificato, la (...) soc. coop. in Liquidazione (...), con sede in M., in persona del Commissario Liquidatore, ha evocato in giudizio (...) srl, con sede in C. sull'O., esponendo: 1) di essere stata una primaria società di costruzioni operante nel campo dell'edilizia pubblica e privata che aveva risentito, al pari di altre, della pesante crisi del 2008 senza riuscire a recuperare un equilibrio economico e finanziario tale far garantire la continuità aziendale; 2) che, già in data 23/2/15, aveva concesso in affitto la propria azienda a (...) srl, con sede in M., società interamente partecipata da (...) spa, con sede in R., cessando quindi la propria attività d'impresa; 3) che, in data 4/3/15, aveva depositato presso il Tribunale di Modena domanda di concordato preventivo con riserva ai sensi dell'art. 161 comma sesto L.F. ammettendo di trovarsi in stato di crisi; 4) che, successivamente, aveva rinunciato alla domanda di concordato preventivo in previsione dell'ammissione alla liquidazione (...); 5) che, con decreto del 26/6/15, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto l'apertura della procedura di liquidazione (...), e che, a seguito di ricorso ex art. 202 L.F., il Tribunale di Modena aveva dichiarato lo stato di insolvenza di CDC con sentenza del 23/12/15; 6) che, nell'anno antecedente al deposito della domanda di concordato preventivo (4.3.14 - 4/3/15), CDC aveva estinto la quasi totalità dei propri debiti pecuniari scaduti ed esigibili verso (...) srl con le modalità di seguito riportate: a) prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare in data 20/11/04; b) pagamento parziale in data 17/12/14 di tre fatture scadute; c) compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e seg. in data 11/2/15; 7) che, tanto la "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" del 20.11.2014, quanto la "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." dell'11/2/15, atti ove i contraenti non avevano provveduto alla corresponsione del prezzo di vendita se non in misura minima, avevano avuto il dichiarato obiettivo di creare i presupposti per dare luogo all'estinzione del debito scaduto ed esigibile di CDC verso (...) mediante la diversa prestazione consistente nel trasferimento di res pro pecunia; 8) che tali modalità estintive, pacificamente riconducibili alla fattispecie della datio in solutum, costituivano una forma di pagamento anomalo e revocabile ex art. 67, comma primo, n. 2 L.F.; 9) che i pagamenti in data 17/12/14 di debiti liquidi ed esigibili di cui alle tre fatture scadute tra settembre e novembre avvenuti nel semestre antecedente al deposito avanti al Tribunale di Modena della domanda di concordato preventivo ex art. 161, sesto comma, L.F., erano revocabili ex art. 67, comma secondo, L.F.. Ciò premesso l'attrice ha chiesto l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Si è ritualmente costituita (...) srl contestando quanto ex adverso dedotto ed insistendo per l'accoglimento, nel merito, delle sopra riportate conclusioni. Assunta prova per testi, la causa è stata trattenuta per la decisione all'udienza del 25/5/21 sulle conclusioni delle parti come sopra precisate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Con sentenza n. 194 in data 23/12/15 (dep. il 24/12/15) il Tribunale di Modena ha dichiarato lo stato di insolvenza della (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...), ex art. 202 L.F.. Ne consegue ex art. 203 L.F. l'applicabilità degli artt. 64 e segg. L.F.. Non è contestato che gli atti di cui si discute siano stati posti in essere nel periodo "sospetto". La causa può essere decisa senza dare ingresso a ulteriore attività istruttoria. La difesa di parte convenuta ha insistito per l'accoglimento delle istanze istruttorie non accolte e così, in particolare, nelle istanze ex artt. 210 e 213 c.p.c. nei confronti, rispettivamente, di (...) Società Cooperativa e dell'INPS di Modena, e nella richiesta di Ctu. Al riguardo va ricordato, in generale, che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, in tema di prove documentali e di scritture contabili delle imprese, perchè il Giudice eserciti legittimamente i suoi poteri officiosi occorre che la parte onerata dalla prova abbia tempestivamente e con sufficiente analiticità allegato i fatti specifici da provare e che, sempre tempestivamente, abbia almeno fondatamente allegato di non avere altro mezzo (o di avere invano esperito altri mezzi) per dimostrarli (da ultimo Cass. Civ., Sez. III, 12/6/12 n. 9522). In particolare, quanto all'istanza ex art. 210 c.p.c., va poi ricordato che l'esibizione deve presentarsi come indispensabile in rapporto alla prova di fornire. Nel caso di specie, come sostanzialmente rilevato dalla difesa di parte attrice laddove ha osservato che "controparte non chiarisce . . . le finalità delle predette richieste" (v. memoria ex art. 183 comma sesto, n. 3 c.p.c., pagg. 5 e 6), parte convenuta non ha allegato "con sufficiente analiticità" i fatti specifici da provare e gli elementi idonei a compiere la valutazione di ammissibilità e rilevanza dei documenti da esibire e giungere a ritenerli indispensabili. La consulenza tecnica d'ufficio richiesta per la "verifica di congruità del prezzo di cessione degli immobili di B. e di M. al valore di mercato degli stessi al momento della stipula dei due contratti definitivi, rispettivamente 20 novembre 2014 e 11 febbraio 2015" è irrilevante atteso che la domanda relativa alle cessioni degli immobili è fondata sull'art. 67 comma primo n. 2 L.F.. Le produzioni documentali che parte attrice ha allegato alla memoria ex art. 183 comma sesto n. 3 c.p.c. del 19/11/18 sono tardive. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. Il primo degli atti oggetto della domanda di revoca è costituito dalla "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" a ministero Notaio Dott.ssa (...), repertorio n. (...) - raccolta n. (...), del 20.11.2014, registrata a Modena il 28.11.2014 al n. 14624 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri immobiliari di M. in data 1.12.2014 (reg. gen. N. 27024 - reg. part. N. 19850), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari site nel Comune di B. (M.) contraddistinte al Catasto Fabbricati di detto Comune come segue: Fg. (...), mappale (...), sub. (...), Piazza (...) P. n. 18/B, p. 2-3-, cat. (...), cl. (...), vani 5,5. La domanda è fondata. La difesa della parte convenuta ha sostenuto (e provato) che il rogito di cui si discute è stato preceduto da contratto preliminare, registrato il 28/2/13 tra la (...) Soc. Coop. e (...) srl. (doc. 3 di parte convenuta), ed ha aggiunto che "è di tutta evidenza che la volontà contrattuale, di vendere e di comprare, si formò in data 20.02.2013, ossia in un momento storico temporale datato, rispetto alle disavventure economiche che coinvolsero nel prosieguo CDC. Si tratta quindi di un'epoca distante dal così detto "periodo sospetto": ciò esclude, quindi, la sussumibilità del trasferimento nella fattispecie invocata da controparte (art. 67 secondo comma L.F.) ..." (v. comparsa conclusionale di parte convenuta, pag. 6). Tale tesi non può essere condivisa. A parte il fatto che parte attrice richiama, in relazione all'atto di cui si discute, l'art. 67, primo comma n. 2, L.F., la Suprema Corte ha costantemente affermato che, in tema di revocatoria fallimentare di atto stipulato in adempimento di contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la Legge Fallimentare art. 67 ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l'obbligazione di cui l'atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento. (per tutte, Cass. Civ., Sez. I, 29/3/16 n. 6040). Come pure ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, qualora la prestazione di un opus (ma evidentemente lo stesso discorso vale per la fornitura di una res, N.d.R.) da parte dell'imprenditore poi dichiarato fallito si accompagni ad un patto che assegni alla prestazione medesima la funzione economico-giuridica di estinguere in tutto o in parte un precedente credito pecuniario del committente, tale estinzione è riconducibile non al meccanismo della compensazione legale, ma a una datio in solutum (art. 1197 c.c.), la quale configura anomala forma di adempimento del debito, e, pertanto, è assoggettabile a revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 comma primo n. 2 R.D. 16 febbraio 1942, n. 267 (Cass. Civ., Sez. VI, 14/11/17, n. 26927, ma già da Cass. Civ., Sez. I, 22/11/77, n. 5093). Lo schema tipico del contratto in questione prevede: a) la volontà del debitore di effettuare la prestazione dell'aliud per estinguere l'obbligazione e non a diverso titolo; b) il consenso del creditore; c) l'effettiva esecuzione della diversa prestazione. Nulla quaestio sulla sussistenza di tali requisiti. Per contro non è stata adeguatamente provata da parte convenuta l'inscentia decoctionis richiesta dall'art. 67, comma primo, L.F. per escludere la revocabilità degli atti in esso contemplati, che, peraltro, non può esaurirsi nella dimostrazione di uno stato d'animo o di un mero convincimento sulla normalità della situazione economica dell'imprenditore poi dichiarato fallito, occorrendo, per converso, la presenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente detto convincimento in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza (Cass. Civ., Sez. I, 26/1/99 n. 683). Le deposizioni dei testi di parte convenuta escussi non possono definirsi decisive. A parte il fatto che si tratta di dipendenti di (...) srl, e quindi di deposizioni da valutare con particolare prudenza, in ogni caso il teste A. nulla sa sul cap. 24, non ricorda il riferimento temporale del cap. 25, nulla sa di specifico sul cap. 26, dichiara quanto riferitogli da (...) sui cap. 27 e 28, non ricorda la circostanza di cui al cap. 29. Non dissimile è la deposizione del teste (...) che, sui cap. 24, 25 e 28 ha riferito di non sapere nulla, e, sul cap. 26, ha riferito trattarsi di circostanza di cui ha "sentito parlare in ditta". Del resto, alla data della stipula del definitivo (20/11/14), vi erano circostanze esterne tali da non indurre certo il convincimento della normalità della situazione economica della (...) Soc. Coop. quali, ad esempio, il ritardo nei pagamenti delle fatture n. (...) e (...) scadute il 30 settembre, pure oggetto di revocatoria. Passando appunto all'esame della domanda avente ad oggetto la revoca dei pagamenti del 17/12/14 ex art. 67, secondo comma L.F., va osservato che la difesa di parte convenuta ne ha eccepito l'esenzione ex art. 67 comma terzo lett. a) L.F. in forza del quale non sono soggetti all'azione revocatoria "i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso", affermando che in tale categoria sarebbe "sussumibile il pagamento della somma di Euro 40.543,27 ricevuta dalla impresa convenuta ed eseguita da CDC, in quanto riferito alle fatture emesse a seguito dei lavori commissionati, secondo intese intercorse tra le parti." (v. comparsa conclusionale di parte convenuta, pag. 13). L'eccezione non è fondata. Come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I 7/12/20 n. 27939, in motivazione): ". . . 2.3. - L'interpretazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), deve muovere dalla considerazione secondo cui la fattispecie ha riguardo ad una modalità di esecuzione del rapporto tra le parti, che - pur divergendo dalle clausole negoziali - sia ricompresa "nei termini d'uso". A fronte delle interpretazioni in astratto possibili della disposizione - dalla massima genericità, che ancora l'uso al mercato nel suo insieme; alla progressiva limitazione, con riguardo al settore commerciale di riferimento; alla considerazione, infine, del singolo rapporto tra le parti, a sua volta visto come si sia atteggiato in concreto per un certo tempo, oppure solo come risultante in forza dei patti originariamente conclusi - occorre ricercare, secondo la funzione assegnata dall'ordinamento alla Corte di Cassazione, non una qualsiasi delle plurime interpretazioni solo "possibili", ma quella più "esatta" (art. 65 ord. giud.), sulla base del diritto positivo. Pertanto, anzitutto deve escludersi che la locuzione afferisca alle clausole negoziali come previste in contratto, interpretazione che la priverebbe di qualsiasi portata innovativa. Tra le su ricordate modalità derogatorie degli originari patti - accordo una tantum, prassi preesistente al pagamento ed uso negoziale del settore - la seconda è quella confacente alla disposizione in esame. Non, invero, il primo, perchè non basterebbe un solo occasionale accordo ad integrare la nozione di "uso"; non il terzo, che imporrebbe di ricostruire la prassi in un ambito troppo esteso. Deve dunque disattendersi, da un lato, l'interpretazione generalizzante, sia se ancorata all'intero mercato (in cui sarebbe, del resto, arduo individuare una prassi comune a tutti gli operatori sul medesimo), sia se riferita agli operatori di una sottocategoria imprenditoriale nello specifico settore commerciale; nonché, dall'altro lato, l'interpretazione più strettamente individualistica, che riconduca la previsione alla clausola negoziale prevista a regolamentazione iniziale del rapporto. Se, infatti, la ratio dell'azione revocatoria, come regola, è quella di preservare la par condicio creditorum, onde le operazioni poste in essere nel cd. periodo sospetto dalla società sottoposta a procedura concorsuale debbano incorrere nella sanzione dell'inefficacia, dal suo canto la ratio dell'eccezionale esenzione sta nell'intento di circoscrivere, in modo ragionevole, l'estensione del rimedio, in relazione a situazioni assai diverse tra loro (basti leggere le lettere di cui si compone la L. Fall., art. 67, comma 3), ma, nondimeno, accomunate dalla presenza di un interesse ritenuto dal legislatore superiore. Per quanto qui rileva, la norma ha inteso tener conto del fatto che tra imprenditori può ben essere, di fatto, attuata una modalità di pagamento - non solo quanto al momento della scadenza, ma anche a varie altre modalità della prestazione di "dare" il corrispettivo dovuto: non potendo la parola "termini" reputarsi qui strettamente riferita solo al tempo dell'adempimento ex art. 1186 c.c. - diversa da quella inizialmente negoziata. In particolare, la previsione della lett. a) del comma 3 si pone in diretta correlazione con quella della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2). Se la regola è che sono revocati (con presunzione, oltretutto, della scientia decoctionis) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ciò è proprio in quanto l'accettazione di un mezzo inusuale di pagamento lascia presumere iuris et de iure la violazione della par condicio. Pertanto, l'eccezione al riguardo posta è necessariamente nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace, tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore - adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale - volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi. Non basterebbe, pertanto, che alcuni pagamenti fossero compiuti ed accettati in un lasso temporale maggiore: oggetto di prova è la circostanza di un "uso" diverso tra le parti, quale condotta reiterata sul piano oggettivo, stabilizzatasi già prima dei pagamenti sospetti. Per l'individuazione di una dilazione dei pagamenti secondo i "termini d'uso", dunque, non vale la mera esistenza di alcuni pagamenti in ritardo, rispetto ai termini pattuiti, ove essa derivi da singoli momenti patologici della vita dell'impresa, caratterizzati da specifici accadimenti di fatto e da un'isolata tolleranza da parte del creditore. L'effetto della disposizione di esonero è, in definitiva, che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell'ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus: tanto che non possano più, a quel punto, ritenersi pagamenti eseguiti "in ritardo", ossia inesatti adempimenti, ma siano divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti: con tutte le conseguenze relative all'inesistenza di un inadempimento dell'altro contraente (in ordine alla mora, all'art. 1460 c.c., all'azione di risoluzione, al risarcimento del danno, ecc.). 2.4. - L'onere della prova di tale situazione è, ai sensi dell'art. 2697 c.c., in capo all'accipiens. Si noti che, in tal modo, la disposizione in esame abilita il rilievo di modifiche tacite a contratti pur se redatti per iscritto, posto che non avrebbe senso ammettere l'applicabilità dell'esenzione ai soli contratti conclusi verbalmente; onde si avrà ampia applicazione, quanto alla prova testimoniale eventualmente richiesta, dell'art. 2721 c.c., comma 2 e art. 2723 c.c.; la soluzione è coerente, altresì, con l'art. 2722 c.c., il quale vieta la prova per testimoni solo dei patti contrari conclusi prima o contemporaneamente al contratto. Naturalmente, è ben possibile che, nella specifica evenienza, esistano veri e propri usi negoziali di settore, che allora l'accipiens avrà comunque la facoltà di provare. ...". Nel caso di specie tale onere non è stato assolto da parte convenuta, che ne era gravata. Del resto la stessa difesa di parte convenuta richiamando "intese intercorse tra le parti" sembra riferirsi ad un accordo una tantum piuttosto che ad una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi considerare tale. Ciò appare in linea con quanto affermato in comparsa di costituzione e risposta ove si legge tra l'altro (pagg. 11 e 12), che "nell'epoca anteriore e contestuale alla stipula, i pagamenti relativi alle fatture emesse erano regolarmente onorati, talvolta - in via del tutto occasionale - in preannunciato e concordato differimento. . .". Può ritenersi assolto l'onere, gravante su parte attrice, della prova della conoscenza in capo alla convenuta dello stato di insolvenza. Invero, come è noto, tale prova può essere data anche attraverso presunzioni, e il convincimento della probabilità di sussistenza e della compatibilità del fatto supposto con quello accertato può essere sorretto anche da una sola presunzione, grave e precisa. Nel caso di specie assume rilievo il fatto che i pagamenti di cui si discute siano avvenuti a meno di un mese dalla datio in solutum di cui si è detto e che la previsione contrattuale di pagamento di un debito tramite il trasferimento della proprietà di un bene costituisce un indizio di carenza di liquidità in capo al debitore, ossia un sintomo di insolvenza. Parte convenuta va quindi condannata alla restituzione in favore del Fallimento attore dell'importo di Euro 40.543,27. L'obbligazione restitutoria a carico dell'accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda che ha natura costituiva. In tema di interessi va però osservato che il carattere costituivo della sentenza di revoca di pagamenti, ai sensi dell'art. 67 L.F., comporta che soltanto la sentenza stessa produce - dalla data di passaggio in giudicato - l'effetto caducatorio dell'atto giuridico impugnato e che soltanto a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito, e finchè non è sorto il credito (restitutorio) per capitale, neppure sorge il credito accessorio per interessi. (Cass. Civ. Sez. I 30/7/12 n. 13560; Cass. Civ. Sez. I 20/4/01 n. 5843). Nulla compete quindi a titolo di interessi e rivalutazione monetaria. Da ultimo parte attrice ha chiesto la revoca della "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." in data 11.2.2015 a ministero Notaio Dott. (...) , repertorio n. (...) - raccolta n. (...) registrata all'Agenzia delle Entrate di Rovigo il 12.2.2015 al n. 761 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri Immobiliari di Reggio Emilia in data 13.2.2015 (reg. gen. N. 2465 - reg. part. N. 1781), avente ad oggetto il trasferimento, da (...) Società Cooperativa a (...) srl, della piena proprietà di unità immobiliari comprese in complesso edilizio sito in Comune di Reggio Emilia, frazione Villa (...), Via A. G.. In detto atto si legge, tra l'altro, che "Le Società contraenti, ciascuna a mezzo come sopra, attribuiscono concordemente alla porzione immobiliare come sopra trasferita in pagamento, a corpo, il valore di Euro 250.000,00 (duecentocinquantamila virgola zero zero). Di detta somma complessiva, per espressa e concorde volontà delle Società contraenti: - la somma di Euro 242.200,84 (duecentoquarantaduemiladuecento virgola ottantaquattro) viene posta a compensazione del debito di pari importo comprensivo di I.V.A. che la Società venditrice ha nei confronti della Società acquirente, come meglio detto in premessa, e compensa, a titolo transattivo l'ulteriore importo di Euro 12.113,12 fino alla concorrenza di Euro 254.313,96 (duecentocinquattraquattromilatrecentotredici virgola novantasei) - la somma di Euro 7.799,16 (settemilanovecentonovantanove virgola sedici) viene pagata con le modalità infra indicate dalla, Società acquirente alla Società venditrice, che, a mezzo come sopra rilascia ampia e liberatoria quietanza di saldo. La Società venditrice, a seguito del trasferimento della proprietà che precede a favore della Società acquirente, a titolo di pagamento del debito quale risultante dalle fatture emesse dalla società acquirente risultanti dall'elenco delle fatture medesime che, sottoscritto dalla Parti e da me Notaio si allega all'atto presente sotto la lettera "B", rilascia alla Società acquirente ampia e liberatoria quietanza di saldo prezzo del trasferimento di proprietà di cui al presente atto, ogni eccezione al riguardo rimossa, con promessa di mai più nulla avere a chiedere o a pretendere per lo stesso titolo. ...". L'operazione, posta in essere meno di un mese prima del deposito della domanda di concordato preventivo (4/3/15), è qualificabile quale datio in solutum, in quanto si tratta di cessione di un bene immobile con imputazione del prezzo a compensazione di un debito scaduto, come tale idonea ad integrare una modalità anomala di estinzione dell'obbligazione revocabile ex art. 67, comma primo, n. 2 L.F.. Valgono pertanto, anche in questo caso, le considerazioni di cui sopra relative alla "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" del 20/11/14. Sotto il profilo della mancata prova da parte della convenuta dell'inscientia decoctionis va aggiunto che questo atto è stato posto in essere dopo i pagamenti delle fatture scadute di cui si è sopra detto. La difesa di parte convenuta ha invocato, fin dalla comparsa di costituzione e risposta e in relazione anche all'atto del 20/11/14, la pratica del così detto "ritiro" immobiliare, che ha definito "modalità commerciale invalsa nella pratica edile, assunta anche da CDC, sia con l'impresa convenuta, che con gli altri subappaltatori" (v. comparsa di costituzione e risposta, pag. 2). Sul punto pare doversi condividere quanto sostenuto, in replica, dalla difesa di parte attrice, laddove ha sostenuto (v. memoria di replica, pag. 2) che "(...) non ha . . . dimostrato l'usualità tra le parti di ricorrere ad una modalità estintiva delle rispettive obbligazioni, quale quella adottata in occasione delle operazioni oggetto del presente giudizio, né tantomeno la sussistenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente l'inscientia decoctionis in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza. Al contrario, l'esistenza tra le parti della tanto invocata prassi commerciale di ricorrere allo strumento del "ritiro" degli immobili quale mezzo di estinzione delle obbligazioni, oltre ad essere definitivamente rimasta, appunto, indimostrata viene addirittura smentita dalla Convenuta, la quale giunge ad affermare che "nel corso del rapporto commerciale tre soli furono i "ritiri" compiuti da (...) ..." (v. comparsa conclusionale (...), pag. 6)". Ciò anche in considerazione del fatto che, stando a quanto si legge in comparsa di costituzione e risposta (pag. 4), la collaborazione tra le parti risale ai "primi anni 2000". Conclusivamente la domanda principale merita accoglimento ed esime dalla disamina della subordinata (e così di quanto richiesto in comparsa conclusionale, pag. 14, con riferimento all'atto del l'11/2/15, ferma restando la tardività della produzione del doc. 23, sopra rilevata). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018, avuto riguardo ai valori minimi per lo scaglione corrispondente, tenuto conto che nei giudizi per azioni revocatorie si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta (art. 5 comma primo del citato decreto). P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Dichiara inefficaci nei confronti di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...): a) la "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" a ministero del Notaio Dott.ssa (...), repertorio n. (...) - raccolta n. (...), del 20.11.2014, registrata a Modena il 28.11.2014 al n. 14624 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri immobiliari di M. in data 1.12.2014 (reg. gen. N. 27024 - reg. part. N. 19850), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari site nel Comune di B. (M.) e contraddistinte al Catasto Fabbricati di detto Comune come segue: - fg. (...), mappale (...), sub. (...), Piazza (...) P. n. 18/B, p. 2-3-, cat. (...), cl. (...), vani 5,5; b) la "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." a ministero del Notaio Dott. (...) , repertorio n. (...) - raccolta n. (...), dell'11.2.2015, registrata all'Agenzia delle Entrate di Rovigo il 12.2.2015 al n. 761 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri Immobiliari di Reggio Emilia in data 13.2.2015 (reg. gen. N. 2465 - reg. part. N. 1781), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari contraddistinte al Catasto dei Fabbricati del Comune di Reggio Emilia come segue: -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. 2-3, cat. (...), vani 6,5; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...), mq. 5; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1, cat. (...), mq.18; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1, cat. (...), mq. 15; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...) sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...) sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1-T, cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. PS1-T-1-2, cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G. n. 4, P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); - foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T. cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); e, per l'effetto, condanna (...) srl alla restituzione a parte attrice degli immobili di cui sopra; 2) Ordina alle competenti Agenzie delle Entrate - Territorio di annotare ex art. 2655 c.c. la presente sentenza a margine delle trascrizioni degli atti di cui sub. (...); 3) Dichiara inefficaci nei confronti di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...) i seguenti pagamenti eseguiti da (...) soc. coop. a favore di (...) srl: - pagamento del 17.12.2014 per Euro 10.675,63; - pagamento del 17.12.2014 per Euro 9442,64; - pagamento del 17.12.2014 per Euro 20.425,00; e così per complessivi Euro 40.543,27 e, per l'effetto condanna (...) srl al pagamento in favore dell'attrice dell'importo di Euro 40.543,27; 4) Condanna (...) srl alla rifusione delle spese in favore di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...) che liquida in Euro 15.279,96 di cui Euro 12.678,00 per compensi, Euro 2601,96 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali 15% e a quanto dovuto per legge. Così deciso in Mantova il 4 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Simona Gerola , ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 370/201 promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Cr.Sa. e dall'Avv. Er.De. PARTE RICORRENTE contro (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI rappresentata e difesa dall'Avv. Cl.Ma. e Lu.Ca. PARTE RESISTENTE ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 5.8.2021 (...) conveniva avanti al Tribunale di Mantova spa la (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI per sentire accogliere le conclusioni indicate in epigrafe Il procuratore del ricorrente esponeva: che in data 1/11/2018 (...) è stato assunto in qualità di socio-lavoratore, con contratto a tempo indeterminato, part-time 75% (massimo 39 ore), con la qualifica di operaio addetto ai servizi di pulizia, sulla base del CCNL del Multiservizi, alle dipendenze di (...) Cooperativa S.p.A. avente un numero di dipendenti al momento del licenziamento mediamente di 210; che il ricorrente veniva destinato a svolgere la propria attività lavorativa presso il (...) ed era tenuto era tenuto all'osservanza dei seguenti orari di lavoro: ? lunedì: 6.30-8.30 e 10-12.30 ? mercoledì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? giovedì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? venerdì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? sabato: 13.00-19.00 ? domenica: 13.00-19.00 per un monte ore settimanale di 30 ore, erroneamente indicate nel prospetto allegato al contratto in 33 ore, sei giorni su sette settimanali; che in data 9 dicembre 2020 al lavoratore veniva elevata con raccomandata a mani, una contestazione disciplinare datata 7.12.2020 relativa ai seguenti fatti: "Nella giornata di venerdì 4 dicembre 2020 intorno alle 13.15 mentre, durante il suo turno di lavoro presso il (...) S.p.A., puliva con la "bandiera"in galleria zona cassa 24, si chinava e raccoglieva un biglietto e una banconota da 10 euro e li riponeva nella tasca. Una cliente si accorgeva di questo movimento e chiedeva a lei stesso di consegnare il tutto alla cassiera, segnalando di essere caduti a terra al cliente precedente a lei. Infatti, la signora evidenzia che lei in quel momento tira fuori dalla tasca la banconota da 10 euro e il biglietto e lo consegna alla cassiera Signora (...), la quale avvisa immediatamente la cassa centrale per comunicare l'accaduto. Questo comportamento viene segnalato con mail odierna dalla committente. Vista la gravità dei fatti contestati ci riserviamo di sospenderla con effetto immediato dal servizio in attesa che lei fornisca le Sue osservazioni e giustificazioni nel termine di legge di cinque giorni dalla data di ricevimento della presente"; che in data 14/12/2020 il lavoratore rassegnava le proprie giustificazioni; che in data 22 gennaio 2021, non avendo ricevuto alcuna ulteriore comunicazione e protraendosi smisuratamente il periodo di sospensione irrogato sine die, il Sig. (...) inviava a (...) Società Cooperativa S.p.A., per il tramite dell'Avv. Cr.Sa., una missiva con cui contestava il provvedimento di sospensione adottato nei suoi confronti e diffidava la predetta società a reinserirlo regolarmente sul posto di lavoro; che tale missiva non veniva nemmeno riscontrata dalla società (...) Società Cooperativa S.p.A.; che a distanza di ben 51 giorni dalle rese giustificazioni, il Sig. (...) riceveva, mediante avviso immesso in cassetta in data 03.02.2021, un provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa, datato 30 dicembre 2020, ma di fatto spedito, come risulta dal timbro postale apposto sulla busta, solamente in data 29.01.2021; che il licenziamento veniva intimato con effetto retrodatato dal 9.12.2020 e veniva motivato con l'asserita gravità dell'episodio contestato al lavoratore in data 9 dicembre 2020; che la società (...) non ha nemmeno riconosciuto e corrisposto al lavoratore: ? le retribuzioni relative al periodo di sospensione iniziato il 10 dicembre 2020 e terminato con la comunicazione del licenziamento per giusta causa in data 3 febbraio 2021; ? gli importi relativi alle ore di lavoro supplementare lavorate dal Sig. (...) nel mese gennaio 2020, per complessivi Euro 252,83, come risulta dal cedolino presenze , dalla busta paga e dai conteggi effettuati dal Sindacato (...); che inoltre, nel periodo dall'11/07/2020 al 4/08/2020, il Sig. (...) è stato sottoposto ad isolamento domiciliare per avere contratto il Covid 19, come risulta dalla certificazione dell'(...) allegata e tuttavia la società (...), per il periodo di quarantena a cui è stato sottoposto il lavoratore, non gli ha riconosciuto il periodo di malattia ma ha calcolato i giorni di assenza come periodo di ferie. Tanto premesso eccepiva la inefficacia, illegittimità, nullità e/o annullabilità del provvedimento di licenziamento adottato oltre il termine di trenta giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le sue giustificazioni ai sensi del disposto di cui all'art. 49 del C.C.N.L. Multiservizi. In via subordinata eccepiva l'insussistenza ed infondatezza della giusta causa addotta per il licenziamento posto che la pretestuosità della motivazione addotta per il licenziamento emerge all'evidenza ove si consideri che il lavoratore in tanti anni di servizio all'interno del Gigante non è mai venuto meno ai propri doveri; che per il fatto addebitato al lavoratore, e contestato in data 9 dicembre 2020 doveva essere irrogata al più al lavoratore una sanzione disciplinare conservativa. Rilevava che il sig. (...) ha prelevato la banconota da 10 euro e l'ha consegnata, senza quindi porre in essere alcun comportamento riprovevole o rimproverabile sotto qualsivoglia aspetto e , comunque, nella denegata ipotesi si volesse accogliere la ricostruzione operata dal datore di lavoro, non può non tenersi in considerazione la particolare tenuità del fatto che in alcun modo potrebbe essere perseguito ai termini di legge o sanzionatori, dato appunto l'esiguo importo di 10 euro e la condotta tenuta dal lavoratore il quale consegnava la banconota alla cliente. Eccepiva altresì la illegittimità della sospensione disposta dal datore di lavoro (...) Società Cooperativa per Azioni superiore ai 10 giorni ( dal giorno 10 dicembre 2020 al giorno 3 febbraio 2021) per violazione dell'art. 49 punto D del CCNL di settore con la conseguenza che deve essere riconosciuto al lavoratore il pagamento del predetto periodo nella misura di Euro 2.575,05, come da analitica differenze salariali cedolini predisposta dalla (...). Rivendicava inoltre il pagamento delle ore di lavoro supplementare effettuate dal lavoratore nella mensilità di gennaio 2020 sottolineando che dai conteggi eseguiti dalla (...) risulta che il ricorrente ha percepito in busta paga Euro 1.075,00 anziché la somma realmente dovuta per le ore effettivamente lavorate di Euro 1.327,89 , con la conseguenza che il ricorrente vanta un credito nei confronti della datrice di lavoro di Euro 252,83 Rilevava infine che i giorni erroneamente indicati nelle buste paga di luglio e agosto 2020 come periodo di ferie, per complessive 95,5 ore, dovranno essere riconosciuti e pagati al lavoratore quanto ad Euro 407,93 per i giorni di malattia dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e quanto ad Euro 793,19 per i giorni di ferie erroneamente inseriti in busta paga che andavano, invece, regolarmente liquidate al lavoratore al termine del rapporto contrattuale , con un credito ulteriore quindi di Euro 1.201,12 Rassegnava le conclusioni indicate in epigrafe. Si costituiva (...) Cooperativa Sociale per azioni contestando la fondatezza del ricorso. In punto di fatto il procuratore della convenuta esponeva che il giorno 7 dicembre 2021 (...) Cooperativa Sociale per azioni riceveva dal responsabile Appalti e locazioni della società (...) s.p.a., nonché responsabile della gestione dei centri commerciali " (...)" una mail con la quale comunicava che il dipendente della convenuta, addetto alle pulizie, era stato visto mentre raccoglieva una carta e una banconota da 10 Euro e li infilava in tasca; che una cliente del (...) si accorgeva di questo comportamento del lavoratore e chiedeva a quest'ultimo di consegnare il tutto alla cassiera.; che il fatto avvenuto il 4 dicembre 2021 intorno alle 13,15 è stato segnalato dall'Ufficio di sicurezza in data 06/12/2020 ; che a seguito di richiesta di colloquio formulata a mezzo della (...) le parti si sono incontrate in data 14.12.2020 e in quella sede il lavoratore (...) ammetteva di avere raccolto il biglietto e la banconota di 10 Euro ed ammetteva altresì che una cliente del centro commerciale (...) sosteneva che essi erano caduti dalla borsa alla cliente che la precedeva, ma negava invece di avere messo i soldi in tasca; che la versione del lavoratore non era ritenuta convincente dalla (...) Cooperativa Sociale per azioni e pertanto quest'ultima in data 30/12/2020 intimava al proprio dipendente (...) licenziamento per giusta; che la suddetta lettera di licenziamento è stata inviata al lavoratore (...) in data 30/12/2020 a mezzo PEC presso la (...), come si evince dalla ricevuta di accettazione e di consegna della PEC in atti ; che la lettera di licenziamento è stata altresì inviata a mezzo (...) al numero di cellulare del lavoratore (...) in data 28/01/2021 ed è stata inviata a mezzo mail all'indirizzo mail del lavoratore in data 28/01/211 e che , infine , la suddetta lettera di licenziamento, datata 30/12/2020 è stata inviata al signor (...) presso la sua residenza anche con raccomandata a.r. in data 29/01/2021, come confermato dallo stesso ricorrente nel suo ricorso e come si evince dalla ricevuta di ritorno prodotta in atti ; che la gravità del comportamento contestato deriva dal fatto che il lavoratore (...) si è appropriato della banconota di 10 Euro, mettendola in tasca e che, soltanto dopo l'intervento di una (...) che ha assistito al fatto, il lavoratore (...) ha consegnato la banconota; che la gravità del fatto giustifica la sanzione irrogata del licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art. 49 del contratto collettivo di lavoro Multiservizi; che il lavoratore ricorrente non soltanto ha provocato una lesione dell'immagine aziendale, ma ha comportato per l'azienda resistente un danno ancora maggiore visto che, come si evince dalla mail inviata dal responsabile Appalti e locazioni della Società (...) s.p.a., che ha appalto il servizio di pulizia delle parti comuni del (...)Q. s.p.a. ((...)) di (...) alla (...) Società Cooperativa per azioni, ha rischiato, e rischia tuttora di perdere l'appalto, con la conseguenza che nell'ipotesi di specie il danno non è soltanto quantificato nella somma di Euro 10,00, ma è bensì rappresentato dal rischio concreto per la resistente (...) Cooperativa Sociale per azioni, di perdere l'appalto; che l'eccezione di tardività del licenziamento è infondata in quanto la (...) nella persona di (...) ha rappresentato a tutti gli effetti il lavoratore (...), nella vertenza in oggetto, con la conseguenza che la comunicazione del licenziamento effettuata a mezzo PEC è a tutti gli effetti efficace in quanto assolutamente idonea ad introdurre nella sfera di conoscenza del lavoratore il provvedimento di licenziamento; che l'art. 2 della L. 15 luglio 1966, n. 604, infatti, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore, senza prescrivere particolari modalità della comunicazione stessa , essendo necessario e sufficiente che l'atto di recesso datoriale sia portato a conoscenza del lavoratore, come è senza dubbio avvenuto nel caso di specie. Rilevava infine che la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro formulata dal ricorrente è infondata in quanto incompatibile con l'eccezione di licenziamento tardivo sollevata dallo stesso ricorrente e che sul punto si sono pronunciate le Sezione Unite della Cassazione Civile che hanno escluso che la tardività della contestazione possa essere sanzionata con la tutela reale Concludeva chiedendo il rigetto del ricorso, La causa, istruita sulla documentazione versata in causa dalle parti , all'odierna udienza veniva discussa e decisa. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Le scansioni temporali del procedimento disciplinare oggetto di causa sono pacifiche. Il 9.12.2020 il datore di lavoro ha elevato al ricorrente la contestazione disciplinare datata 7.12.2020 ed ha contestualmente sospeso il dipendente dal servizio ; in data 14.12.2020 il ricorrente ha presentato le proprie giustificazioni ; in data 28.1.2021 la convenuta ha comunicato il licenziamento tramite la piattaforma (...) e via mail e in data 29.1.2021 la missiva contenente il recesso è stata inoltrata al ricorrente anche mediante raccomandata. La ricevuta di avvenuta consegna della PEC contenente il messaggio "licenziamento (...) inviata da (...) a (...) - (...), peraltro depositata in console tardivamente dal procuratore della società convenuta, non può essere considerato valida comunicazione del licenziamento". Se è vero che secondo la Corte di Cassazione il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione del documento scritto nella sua materialità, è altrettanto vero che il recesso deve essere comunicato al destinatario dell'atto stesso o , quanto meno, ad un soggetto terzo al quale il primo ha dato mandato di ricevere atti giuridici per suo conto e nel suo interesse. Nessuna procura è stata rilasciata dal ricorrente alla Federazione italiana lavoratori commercio, albergo, mensa e servizi e, in ogni caso, non vi è alcun elemento in atti da cui poter desumere che l'organizzazione sindacale (...) abbia reso edotto il ricorrente del contenuto della PEC che pare essere accettata dal sistema in data 30.12.2020. Pertanto deve escludersi che il rapporto sia stato validamente interrotto con la pec inoltrata dalla società convenuta a (...). Del pari viziato è il licenziamento intimato con messaggistica (...) e con mail in data 28.1.2021 , nonché con lettera raccomandata 29.1.2021 in quanto comunicato ben oltre il termine massimo di 30 (trenta) giorni previsto dal C.C.N.L. applicabile al rapporto per cui è causa. Ai sensi dell'art. 49 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro MULTISERVIZI "i provvedimenti disciplinari più gravi del richiamo verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 (cinque) giorni lavorativi dalla formale contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa e non oltre 30 (trenta) giorni lavorativi dal ricevimento delle giustificazioni. Se il datore di lavoro non adotta alcun provvedimento entro il termine di 30 (trenta) giorni lavorativi dal ricevimento delle giustificazioni ovvero di 30 (trenta) giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le sue giustificazioni, la contestazione è annullata e priva di effetti". Ne deriva che la contestazione disciplinare non potrà che essere dichiarata inefficace in quanto il licenziamento è stato adottato indubbiamente oltre il termine di trenta giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le proprie giustificazioni ai sensi del disposto di cui all'art. 49 del C.C.N.L. Multiservizi. La giurisprudenza si è posta la questione se prima della scadenza del termine previsto dal CCNL il datore di lavoro debba semplicemente adottare ed inviare la sanzione, ovvero se sia necessario che il lavoratore riceva la relativa comunicazione. L'orientamento prevalente ha fatto affidamento sul dato letterale della clausola contrattuale ritenendo sufficiente la semplice adozione del provvedimento disciplinare allorché la norma contrattuale utilizzi termini quale "spedire", "adottare", o "irrogare" e reputando viceversa che il provvedimento disciplinare debba essere anche ricevuto dal lavoratore qualora la clausola contrattuale faccia riferimento alla "comunicazione" della sanzione. Secondo un diverso orientamento di merito, al quale si ritiene di aderire, la sanzione dovrebbe invece essere portata a conoscenza del destinatario (e non solo adottata) entro il termine previsto dal contratto collettivo, atteso che il provvedimento disciplinare ha natura recettizia e pertanto esplica effetti soltanto quando giunge all'indirizzo del destinatario. In ogni caso, nel caso in esame , per le ragioni sopra esposte , il licenziamento non può ritenersi neppure adottato entro i termini previsti dal CCNL perché il ritardo non è da imputare all'imprevedibile tempo necessario per comunicare l'atto espulsivo al dipendente e, quindi all'imponderabile momento della sua ricezione da parte del destinatario della sua , bensì alla illegittima scelta di licenziare il lavoratore comunicando la decisione ad un sindacato. Diversamente detto: il datore di lavoro ha adottato la decisione con una modalità in radice illegittima e, pertanto la contestazione disciplinare è priva di effetti e deve essere annullata ai sensi della norma contrattuale citata. Fatta questa premessa occorre valutare ora quali siano le conseguenze dell'annullamento della contestazione. Trova applicazione il cd Jobs act in quanto il rapporto di lavoro per cui è causa è stato istaurato in data 1.11.2018. Ritiene il Tribunale che la particolarità del caso in esame non consenta di applicare l'orientamento giurisprudenziale che riconduce l'ipotesi del licenziamento non preceduto dalla contestazione dei fatti posti a suo fondamento nell'alveo dell'insussistenza del fatto. Nella fattispecie vagliata, infatti , la contestazione degli addebiti vi è stata ma per un vizio procedurale , ossia la violazione dei termini per l'intimazione del licenziamento , essa deve essere annullata e, pertanto , deve trovare applicazione l'art. 4 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Ritiene lo scrivente infatti che il vizio procedurale che affligge il licenziamento impugnato , qual è senza dubbio il mancato rispetto dei termini previsti dalla disciplina contrattual-collettiva, non possa trasmigrare all'interno della valutazione sostanziale in merito all'inesistenza del fatto contestato. Posto che la Corte Costituzionale con sentenza 24 giugno - 16 luglio 2020, n. 150, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole "di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio", considerata l'anzianità di servizio del lavoratore, la particolare tenuità del fatto contestato, il numero degli occupati, le dimensioni dell'impresa e il comportamento e le condizioni delle parti, appare equo individuare l'indennità risarcitoria in 6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. Analizziamo ora le ulteriori domande svolte dal ricorrente. Esse devono essere integralmente accolte in quanto i fatti costitutivi delle stesse non sono stati minimamente contestati dalla convenuta e devono, quindi, ritenersi pacifici e accertati. In particolare, in ordine alla sospensione disposta dal datore di lavoro si osserva che ai sensi dell'art. 49, punto D CCNL Multiservizi la sospensione dal lavoro e della retribuzione si adotta - fino a 10 (dieci) giorni lavorativi - per mancanze gravi, a prescindere dall'entità del danno causato al datore di lavoro, quali (i) l'inosservanza ripetuta per oltre 2 (due) volte dell'orario di lavoro nello stesso mese, (ii) l'assenza ingiustificata di durata non superiore a 3 giorni anche non consecutivi, (iii) la mancata comunicazione della variazione di domicilio, (iv) l'inosservanza delle misure di prevenzione degli infortuni e delle relative disposizioni emanate dal datore di lavoro, (v) la presenza sul posto di lavoro in stato di alterazione, dovuto a sostanze alcooliche o stupefacenti, (vi) l'abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo, (vii) la consumazione di generi alimentari del datore di lavoro o di terzi presenti sul posto di lavoro, (viii) l'esecuzione di lavori per conto proprio o di terzi sul posto di lavoro, anche fuori dell'orario di lavoro, (ix) l'insubordinazione verso i superiori, (x) le irregolarità in materia di controllo delle presenze e (xi) ogni atto o comportamento indesiderati a connotazione sessuale, anche di tipo verbale, che offendano la dignità e la libertà della persona che li subisce, comprensivo del comportamento persecutorio e vessatorio (stalking); ....In caso di evento sanzionabile con il licenziamento, il datore di lavoro può disporre la sospensione cautelare del lavoratore, per un periodo massimo di 10 (dieci) giorni lavorativi e, qualora il licenziamento venga disposto, l'effetto del provvedimento decorre dal momento della sospensione". Pertanto deve dichiararsi illegittima la sospensione disposta dal datore di lavoro (...) Società Cooperativa per Azioni superiore ai 10 giorni ed andrà riconosciuto al lavoratore il pagamento della somma di Euro 2.575,05, come da conteggi (...) in atti non contestati. In riferimento alla mensilità di gennaio 2020, dalla busta paga in atti emerge che le ore lavorate dal ricorrente non sono state correttamente retribuite. Dai conteggi eseguiti dalla (...) , prodotti dalla parte ricorrente e non contestati dalla parte convenuta, risulta che il ricorrente ha percepito in busta paga Euro 1.075,00 anziché la somma realmente dovuta per le ore effettivamente lavorate di Euro 1.327,89 e, pertanto, il datore di lavoro deve essere condannato al pagamento della somma di Euro 252,83. Infine, dagli atti di causa emerge che nel luglio dell'anno 2020 (...) ha contratto il Covid 19, a causa del quale è stato sottoposto ad isolamento domiciliare per il periodo intercorrente dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e che tale periodo di assenza del ricorrente dal posto di lavoro è stato, illegittimamente considerato dalla società resistente come periodo di ferie, benché la malattia sia stata regolarmente certificata dall'(...) (cfr. docc. 14 e 15 di parte ricorrente). I giorni erroneamente indicati nelle buste paga di luglio e agosto 2020 come periodo di ferie, per complessive 95,5 ore, dovranno essere riconosciuti e pagati al lavoratore quanto ad Euro 407,93 per i giorni di malattia dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e quanto ad Euro 793,19 per i giorni di ferie erroneamente inseriti in busta paga ma che avrebbero dovuto invece essere regolarmente liquidati al lavoratore al termine del rapporto contrattuale; il ricorrente, quindi, vanta nei confronti della convenuta un ulteriore credito di Euro 1.201,12 come da conteggio non contestato sub doc. 12 di parte ricorrente. In conclusione , il rapporto di lavoro deve dichiararsi risolto e la società convenuta deve essere condannata al pagamento in favore del ricorrente di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre agli accessori di legge (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI dovrà essere condannata inoltre al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di Euro 4029,00 a titolo di differenze retributive , oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Le spese di lite seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata in dispositivo. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa , così provvede: dichiara risolto il rapporto di lavoro fra le parti alla data del licenziamento e condanna (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...) di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre agli accessori di legge; condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 4029,00 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nonché alla rifusione delle spese di lite sostenute dallo stesso che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre rimb. forf, iva e cpa di legge da distrarsi a favore dei procuratori antistatali. Così deciso in Mantova il 16 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Venturini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2190/2018 promossa da: (...) SRL rappresentata e difesa dall'Avv.to MO.PI. ATTRICE contro (...) rappresentato e difeso dall'Avv.to COLOMBO PAOLO e dall'Avv.to BERTOLINI MONICA CONVENUTO e con la chiamata in causa di (...) PLC- Rappresentanza Generale per l'Italia rappresentata e difesa dall'Avv.to BE.GU. e dall'Avv. BE.FR. TERZA CHIAMATA Oggetto: Responsabilità professionale FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) s.r.l. (di seguito (...)) conveniva in giudizio l'architetto (...) allegando: di aver partecipato alla vendita immobiliare senza incanto relativa alla procedura esecutiva del Tribunale di Mantova rubricata al n. 501/2013 avente ad oggetto una casa unifamiliare (lotto 1) ed un edificio destinato a capannone con annessa area cortiva (lotto 2), posti nel Comune di Curtatone (MN) in via (...) n. 56, risultandone aggiudicataria, quanto al lotto 1 per il prezzo di Euro.209.925,00 e quanto al lotto 2 per il prezzo Euro.64.100,00, beni alla stessa trasferiti con decreto del Giudice dell'Esecuzione in data 16/06/16; che la perizia tecnica di stima degli immobili riguardanti l'esecuzione in oggetto era stata effettuata dall'architetto (...), il quale aveva attestato, in relazione all'immobile di cui al lotto 1 ("edificio destinato a casa unifamiliare posto nel comune di Curtatone (MN) alla via (...) n. 56, composto da un piano terra ed un piano primo, con due tettoie e centrale termica poste alle esterno ed area cortiva ad uso esclusivo") quanto segue "... In data 17 marzo 2005 veniva presentata la richiesta del certificato di agibilità, in data 4 aprile 2005 il Comune di Curtatone emetteva una richiesta di documentazione integrativa, con sospensione dei termini, alla richiesta del certificato di agibilità. Pertanto l'immobile oggetto della perizia risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all'integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro.800,00, comprensivo di spese tecniche", e, in relazione all'immobile di cui al lotto n. 2 ("edificio destinato a capannone con annessa area cortiva, posto nel comune di Curtatone (MN) alla via (...) n. 56") che lo stesso: "... risulta privo di Concessioni Edilizie e, di conseguenza, di certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'Ufficio Tecnico, che comporterà un onere di circa Euro.2.500,00, comprensivo di spese tecniche per predisposizione della domanda"; che dalla suddetta perizia risultava quindi che la casa unifamiliare era conforme alle autorizzazioni e concessioni amministrative, ma non aveva il certificato di agibilità, per il cui rilascio era sufficiente provvedere ad integrare la documentazione richiesta dal Comune sostenendo una modica spesa, pari ad Euro.800,00 spese tecniche incluse e che il capannone, pur presentando degli abusi (mancanza di concessioni edilizie e di certificato di agibilità) poteva essere trasferito, in quanto l'abuso era sanabile; che infatti il divieto di trasferire gli immobili che presentano in tutto o in parte degli abusi non si applica alle vendite esecutive immobiliari in virtù del combinato disposto degli articoli 46, comma 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e art. 40, comma 6 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e che se vi sono le condizioni previste ex lege, l'aggiudicatario è rimesso nei termini per la presentazione della domanda della concessione in sanatoria; che quando (...) si era rivolta all'Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone per chiedere la concessione in sanatoria della licenza edilizia relativa al capannone, precisando che aveva acquistato l'immobile da una procedura esecutiva, le era stato riferito che nel caso in esame non vi erano le condizioni previste dalla legge per ottenere la sanatoria, in quanto l'abuso non era sanabile poiché il capannone sorgeva in zona agricola sottoposta a vincolo; che ciò era stato confermato dal tecnico cui si era successivamente rivolta l'attrice, Geom. (...), il quale aveva appurato che "...l'edificio catastalmente contraddistinto al mapp.(...) sub.(...) del Fog. (...) e identificato come Lotto 2 nella Perizia di Stima, parag. 1 e 2 in premessa, non può essere oggetto di sanatoria, ai sensi degli artt. 31 e 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. in quanto in "zona agricola (E1)" compresa nella fascia di rispetto di interazione della zona agricola con le abitazioni isolate, ove non sono ammesse nuove costruzioni"; che l'arch. (...) nella sua relazione di stima aveva commesso un altro rilevante errore, nella parte in cui in relazione al lotto 1 aveva dichiarato che per ottenere il certificato di agibilità mancante della casa unifamiliare era sufficiente integrare la documentazione richiesta dal Comune con una spesa di "...circa Euro.800,00 comprensivo di spese tecniche", in quanto, interpellato un tecnico del settore, era emerso che la spesa preventivabile per ottenere le certificazioni era pari ad Euro 5.950,00, oltre ad Euro 2.600,00 per competenze professionali; che essendo la situazione emersa del tutto diversa da quella descritta nella perizia di stima, l'attrice aveva richiesto chiarimenti all'arch. (...), il quale non aveva fornito chiari riscontri e non aveva formulato alcuna proposta risarcitoria. Ciò premesso l'attrice, allegando la responsabilità civile del convenuto per i danni arrecati nello svolgimento dell'incarico, concludeva chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento dei danni dalla stessa subiti, consistenti nella differenza tra il prezzo corrisposto pari ad Euro 64.100,00 ed Euro 3.975,00 (Euro 60.125,00), nelle spese necessarie per la demolizione del capannone (alla quale l'attrice sarà obbligata, non potendo ottenere la sanatoria), quantificate in Euro 8.000,00, nelle maggiori spese ed interessi sostenuti e che si sosterranno per il mutuo ottenuto dall'attrice al fine di acquistare anche il lotto 2, quantificabili in circa Euro 5.000,00, nelle spese sostenute (Euro 594,50) e da sostenere sino alla demolizione per assicurare il capannone in oggetto e nella maggior somma necessaria per regolarizzare il lotto 1, importo pari ad Euro 7.750,00, per complessivi Euro 81.399,50, ovvero la minor o maggior somma che sarà dichiarata di giustizia e che risulterà in corso di causa. Il convenuto, tempestivamente costituitosi, contestava quanto allegato da parte attrice e chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti. In particolare allegava che la affermazione dell'attrice secondo la quale il capannone di cui al lotto 2 non era suscettibile di sanatoria era errata, essendo l'immobile compreso in Zona agricola E1, normata dall'art. 76 e non dall'art. 77 delle citate NTA, all'interno della quale è perfettamente ammessa la realizzazione di nuove costruzioni, ancorché in presenza di specifici requisiti di ordine funzionale e soggettivo, prevedendo infatti le norme in argomento che i permessi di costruire relativi ad interventi in Zona E1, anche ove consistenti nella realizzazione di nuove costruzioni, sono ammessi esclusivamente per opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alla residenza dell'imprenditore agricolo a titolo principale e dei dipendenti dell'azienda, nonché per le attrezzature e le infrastrutture produttive, e che detti titoli autorizzativi possono essere rilasciati solo ai soggetti di cui all'art. 60 della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditore agricolo a titolo professionale, titolare o legale rappresentante dell'impresa agricola); che pertanto, come rilevato dall'artch. (...) l'immobile era ed è perfettamente sanabile in presenza dei requisiti di ordine funzionale e soggettivo previsti dall'art. 76 delle NTA del Piano delle Regole di Curtatone e dall'art. 60 della L.R. n. 12 del 2005; che la legale rappresentante della società aggiudicataria, (...), era la figlia di (...), che aveva acquistato nel 1985 gli immobili per cui è causa, per poi conferirli, nel 2005 nella società (...) Limited, con atto in cui si specificava che il Sig. (...) era il referente di detta società e si ribadiva che il conferimento riguardava un edificio rurale con annessa area agricola; che il T. con la famiglia dal 1985 aveva sempre abitato la casa di cui al lotto 1, contigua al capannone di cui al lotto 2, per cui (...) conosceva perfettamente, al momento della formulazione dell'offerta poi risultata aggiudicataria, lo stato degli immobili e la loro destinazione urbanistica; che pertanto se la società aggiudicataria non era stata in grado di ottenere la sanatoria ciò dipendeva dalla mancanza dei requisiti soggettivi e funzionali e non da un divieto posto dalla normativa tecnica di attuazione, con conseguente assenza di responsabilità in capo al convenuto per i danni prospettati dall'attrice; che i documenti per ottenere il certificato di abitabilità per l'immobile di cui al lotto 1 erano unicamente ai documenti che erano stati descritti dallo stesso Comune di Curtatone nella raccomandata a.r. in data 4 aprile 2005 e che l'oblazione richiesta era di importo compreso fra un minimo di Euro 500,00 ed un massimo di Euro 1.000,00, con ciò risultando giustificato il costo medio indicato in perizia di Euro 800,00. Nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande di parte attrice il convenuto chiedeva la chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice, (...) Plc, per la responsabilità professionale, al fine di tenerlo indenne e manlevato dall'eventuale obbligo di risarcimento e/o di ottenere condanna della stessa a pagare direttamente alla società attrice quanto eventualmente dovuto. Autorizzatane la chiamata in causa, si costituiva (...) Plc, chiedendo in via principale il rigetto delle domande avanzate dall'attrice nei confronti del proprio assicurato e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accertata responsabilità del proprio assicurato, accogliersi la domanda di manleva da questi formulata con le limitazioni, massimali, franchigie e scoperti di polizza. La causa veniva istruita mediante CTU. DIRITTO Le domande di parte attrice risultano fondate nei limiti di seguito indicati. Va qui anzitutto ricordato che l'esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l'incarico, al consulente tecnico d'ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64 c.p.c., e, in particolare, all'obbligo di risarcire i danni cagionati in violazione dei doveri connessi all'ufficio. L'arch. (...) è stato nominato dal (...), nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 501/2013 promossa contro la società (...) Limited, perito estimatore dei beni immobili oggetto di esecuzione, con ordinanza 27.02.2014; l'incarico aveva ad oggetto pertanto, oltre agli accertamenti preliminari richiesti al perito, la determinazione del valore degli immobili pignorati e la formazione di lotti per gruppi omogenei; il perito, effettuato sopralluogo ed ogni altro accertamento richiesto presso i pubblici uffici, "considerate le caratteristiche del cespite pignorato, costituito da due unità immobiliari ben distinte e insistenti su due aree anch'esse ben distinte (mappale (...) e mappale (...))" ha proceduto alla formazione di due lotti, previa "l'individuazione catastale dell'edificio del secondo lotto" e di altre due unite a servizio di altro mappale, di cui non era stato eseguito l'accatastamento, comprendendo nel primo lotto l'edificio bifamiliare e nel secondo lotto "un capannone isolato", suddiviso in due zone, di cui una destinata ad officina meccanica e l'altra a ricovero attrezzi; quanto all'accertamento richiesto dal (...) degli "estremi della licenza o della concessione edilizia", dell'eventuale assenza di licenza o concessione o di realizzazioni effettuate in difformità e, in caso di mancata presentazione di domanda di condono edilizio da parte del proprietario, dei relativi costi "assumendone le opportune informazioni presso gli uffici comunali competenti", il perito ha specificato che l'immobile di cui al lotto 1, verificata la documentazione presente presso il Comune di (...), "risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo Certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all'integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro 800,00, comprensivo di spese tecniche", mentre "L'immobile del lotto n. 2 risulta privo di Concessione Edilizia e, di conseguenza, di Certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda". Il perito ha quindi attribuito al lotto 1 un valore di mercato di Euro 357.200,00 e al lotto 2 un valore di mercato di Euro 106.400,00 (doc. 4 parte attrice e doc. 3 parte convenuta). Nella perizia si specifica che "viene allegata, quale parte integrante e sostanziale della presente, la documentazione dell'Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone", che dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 6) risultano essere, oltre alle "certificazioni edilizie", la lettera 4 aprile 2005 del Comune di Curtatone. Nella parte relativa al quesito sulla regolarità urbanistica degli immobili pignorati, come allegato da parte attrice, il perito estimatore si è limitato ad indicare l'assenza di concessione edilizia quanto al capannone di cui al lotto 2 e che "pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda". Al CTU incaricato, ing. (...), è stato quindi richiesto di verificare se all'epoca della redazione della perizia di stima effettuata dal convenuto (23.06.2014) nell'ambito della procedura esecutiva n. 501/13 R.G. e dedotta in lite, era possibile procedere a sanatoria dell'immobile di cui al lotto 2 della perizia e nell'ipotesi in cui fossero richiesti requisiti soggettivi e funzionali specifici, di procedere alle ulteriori determinazioni di cui si dirà. Il CTU ha accertato che: "Gli immobili, citati come Lotto 1 e Lotto 2 ed oggetto della perizia estimativa del Convenuto datata 23.6.2014, appartenevano alla data di redazione della stessa perizia alla società (...) Limited, società che non risulta avesse svolto attività agricola, ed erano ad essa pervenuti tramite atto di conferimento da parte del precedente proprietario, sig. (...), che non risulta fosse imprenditore agricolo professionale, stipulato dal notaio (...) di (...), rep. (...), in data (...). Come dal rogito di cui in Allegato B, il sig. (...) acquisiva la proprietà dell'immobile identificato come Lotto 1 e dell'area agricola su cui ora insiste anche il capannone facente parte dei beni identificati come Lotto 2 in data 6.3.1985 dalla precedente proprietaria signora Z.M.. Come risulta inequivocabilmente dalle planimetrie catastali allegate all'atto (ottava pagina del rogito) e dall'atto stesso, alla data del 6.3.1985 non esisteva il capannone facente parte del Lotto 2. L'immobile di cui al Lotto 2 non era quindi edificato prima del 1.9.1967, data di entrata in vigore della L. n. 765 del 1967 che prescriveva anche la necessità di specifico titolo edilizio per edificare qualunque nuovo immobile. Dalle fotografie aeree di seguito riportate tratte da Google Earth, si nota che la porzione più piccola del capannone fosse già presente nel 2003 (Figura 1), mentre la seconda porzione è stata realizzata successivamente tra il 2004 e il 2005, come risulta sempre dalle immagini disponibili, giungendo quindi alla configurazione attuale (Figura 2). Dagli atti di perizia non risultano rilasciati dal Comune di Curtatone dopo il 1967 titoli autorizzativi della costruzione del capannone insistente sul Lotto 2. Dall'epoca della stesura degli strumenti urbanistici del Comune di Curtatone, sino ad oggi, l'area su cui insiste l'immobile di cui al Lotto 2 è classificata quale Area Agricola E1, come risulta dall'estratto sotto riportato della Tavola B.1.2-D16 (Figura 3), con relativa legenda (Figura 4), del P.G.T. del Comune di Curtatone; in tale porzione territoriale è permessa l'edificazione solo in forza di titoli autorizzativi rilasciati ai soggetti di cui all'art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditori agricoli professionali o legali rappresentanti di imprese agricole - in Allegato C viene riportato l'estratto dell'articolo pertinente delle Norme Tecniche di Attuazione - art. 76), previa sottoscrizione di convenzione con la quale il titolare del titolo abilitativo alla costruzione si deve impegnare al mantenimento della destinazione agricola su aree di sua proprietà, o a sua disposizione, di superficie proporzionata a quella dell'edificio da costruire. Gli stessi requisiti soggettivi sopra richiamati, necessari per l'edificazione di nuovi immobili in area agricola E1, sono richiesti anche nel caso in cui il proprietario di un immobile parzialmente o totalmente abusivo, edificato in zona agricola E1, ne chieda sanatoria. L'immobile per cui è causa rientra anche nella fascia di rispetto d'interazione della zona agricola con abitazioni isolate (linea azzurra a tratteggio). Tale circostanza non inficia l'edificabilità da parte di soggetti che ne possiedono gli opportuni requisiti soggettivi, ma pone semplicemente dei limiti alla tipologia del nuovo insediamento, che non deve risultare di alto impatto nei confronti delle limitrofe aree residenziali, come sarebbe nel caso, ad esempio, dell'insediamento di nuove attività zootecniche. Pertanto, nel caso di specie, alla data del 23.6.2014 era possibile procedere a sanatoria dell'immobile insistente sul Lotto 2 solo da parte dei soggetti in possesso degli specifici requisiti soggettivi e funzionali di cui all'art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i., ed in possesso anche di sufficiente area agricola in relazione alle superfici da edificare". Come sostenuto dal convenuto l'immobile abusivo era quindi sì sanabile, ma unicamente da soggetti in possesso di specifici requisiti soggettivi e funzionali, presupposto di cui non vi è traccia nella perizia estimativa; tale dato, all'evidenza, era di fondamentale rilievo ai fini della perizia estimativa, ossia al fine sia di rendere edotti i possibili acquirenti dell'effettivo stato di fatto e di diritto dei beni che dovevano essere posti in vendita all'asta, sia, soprattutto, incidendo tale dato in maniera significativa sulla determinazione del valore di mercato dell'immobile abusivo, corrispondendo il valore attribuito al bene dal perito al valore di un immobile "sanato", sanatoria ottenibile nel caso non da qualsiasi possibile acquirente (come previsto per l'aggiudicatario di immobile acquistato da procedura esecutiva), ma da una platea ristretta di soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa urbanistica, comportando invece la mancata sanatoria il possibile ordine di demolizione da parte del Comune o, in ogni caso, l'impossibilità di rivendere privatamente a terzi un immobile abusivo. Deve quindi affermarsi che tale omissione, nella perizia estimativa, integri violazione da parte del perito dei doveri sullo stesso gravanti nell'adempimento dell'incarico ricevuto, avendone inficiato i risultati e lo scopo; la perizia, parte integrante dell'avviso di vendita all'asta dell'immobile, in assenza della specificazione dei requisiti necessari per ottenere la sanatoria, era inidonea a rendere edotti i possibili acquirenti del reale stato giuridico dell'immobile posto in vendita (non potendo ritenersi, come sostenuto dal convenuto, che fosse onere di ogni possibile soggetto interessato informarsi direttamente presso il Comune di Curtatone sulle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui ricade l'immobile, essendo la destinazione agricola di detta zona "pacificamente identificabile alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone) e, soprattutto, del fatto che il valore attribuito al bene era quello ivi indicato solo nell'ipotesi in cui l'acquirente avesse posseduto i requisiti soggettivi e funzionali per poter procedere a sanatoria. E' pacifico che la società aggiudicataria di entrambi i lotti, (...) s.r.l., non possieda i requisiti soggettivi richiesti per procedere alla sanatoria. Come statuito dalla Suprema Corte "Il perito di stima nominato dal giudice dell'esecuzione risponde nei confronti dell'aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell'erronea valutazione dell'immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell'incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell'acquirente". (v. Cass. Civ. n. 13010/2016). Il grave vizio della perizia estimativa, imputabile ad inadempimento colposo del perito nell'esecuzione degli atti richiesti (non avendo verificato i presupposti di una possibile sanatoria di immobile totalmente abusivo compreso in zona agricola e quindi delle ricadute di tale condizione giuridica sul valore di mercato del bene) deve ritenersi sicuramente incidente, sotto il profilo causale, sulla determinazione dell'aggiudicataria all'acquisto del bene alle condizioni di vendita di cui al bando d'asta, non potendo quest'ultima che confidare nella indicata possibilità di sanatoria dell'immobile, con la modica spesa indicata dal perito; ne consegue pertanto la responsabilità di quest'ultimo per i danni subiti dall'aggiudicataria e causalmente riconducibili all'accertato inadempimento. Va qui rigettata la difesa del convenuto secondo la quale tale responsabilità e il conseguente diritto al risarcimento in capo all'attrice dovrebbe escludersi, per essere la legale rappresentante della società la figlia dell'originario proprietario (conferente gli immobili alla società debitrice esecutata) e per aver la stessa vissuto nell'abitazione confinante con il lotto su cui sorge il capannone abusivo e quindi soggetto che era a conoscenza della destinazione urbanistica dell'immobile e in grado di valutarne la sanabilità al momento della formulazione dell'offerta. Tale "sillogismo" non ha alcun fondamento, non derivando certo dal mero rapporto familiare con il (presumibile) autore dell'abuso edilizio la effettiva conoscenza in capo ad un soggetto non solo del commesso abuso, ma anche delle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui sorge l'edificio e dei requisiti richiesti per la sanatoria, trattandosi di competenze che non appartengono al quisque de populo, ma unicamente ai tecnici (tanto che la stima dei beni esecutati viene affidata ad un "perito", ossia ad un esperto del settore), e non potendo (e dovendo) il partecipante ad un'asta pubblica fare affidamento che su quanto riportato nella perizia estimativa, ove il bene è identificato come "capannone isolato", della superficie complessiva di mq 185,00, "posto centralmente rispetto all'ampia area esterna" di circa mq 4.054 (con dettagliata descrizione delle caratteristiche costruttive e delle aree interne), privo di concessione edilizia, e, come già riportato, per il quale viene indicato esclusivamente che "sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico". Va peraltro sottolineato che "Il perito nominato dal giudice ... risponde, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell'aggiudicatario per il danno da questi patito in conseguenza dell'erronea valutazione del bene qualora, nell'esecuzione della prestazione, non osservi la diligenza professionale qualificata richiesta - ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. - allo specialista in relazione alla natura dell'attività esercitata ed alle circostanze concrete del caso, incombendo, comunque, sul medesimo professionista di dare la prova della particolare difficoltà della detta prestazione" (Cass. Civ. n. 8486/2000, relativa ad ipotesi analoga di stima dei beni del fallito). Nel caso la difesa dello stesso convenuto ha sostenuto che la disciplina urbanistica applicabile era facilmente verificabile ed accertabile, "alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone", essendo gli immobili "compresi infatti in Zona agricola E1, normata dall'art. 76 di dette NTA". Ciò premesso il danno subito dall'aggiudicataria non può identificarsi, come allegato, nella "differenza tra il valore del prezzo pagato e quello che sarebbe stato versato se non fosse subentrato "l'intervento colposo perturbatore" del perito e quindi se per il lotto 2 fosse stato valutato il valore del solo terreno", con ulteriore riduzione di quest'ultimo al 25%, essendosi la vendita realizzata in sede di secondo incanto. Per adempiere correttamente all'incarico il CTU avrebbe dovuto unicamente precisare che la sanatoria dell'immobile abusivo era possibile solo da parte di acquirenti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa; nulla avrebbe quindi impedito alla procedura esecutiva di vendere all'asta l'immobile sulla base del valore dell'immobile "sanabile" a tali condizioni, non potendo escludersi a priori l'esistenza di soggetti interessati all'acquisto e in possesso dei requisiti, e la possibilità per la procedura, quindi, anche eventualmente con ulteriori esperimenti d'asta e ribassi, di acquisire un corrispettivo comunque superiore al solo valore del terreno su cui è stato edificato l'immobile abusivo. Il danno derivante dall'omissione del CTU, che ha determinato all'acquisto un soggetto che non può ottenere la sanatoria e che ora è proprietario di un immobile abusivo, non legittimamente utilizzabile e che non può essere rivenduto a terzi, se non previa demolizione dell'edificio (unica modalità con la quale può essere ripristinata dall'attuale proprietario la regolarità urbanistica del lotto), è quindi costituito non dalla differenza fra il prezzo di aggiudicazione e il prezzo a cui sarebbe stato venduto all'asta il nudo terreno, ma dalle spese necessarie per la demolizione del capannone e dalla differenza fra il prezzo corrisposto dall'attrice per l'acquisto (Euro 64.100,00) e il valore di mercato del lotto 2, ossia il valore di mercato del solo terreno. Tali determinazioni sono state affidate al CTU nominato, ing. (...), il quale ha quanto ai costi di demolizione, ha specificato quanto segue: "Con riferimento ai preziari ufficiali della Camera di Commercio di Mantova riferiti al 2014, la demolizione completa, eseguita prevalentemente con mezzi meccanici, di fabbricati isolati con struttura prevalente in muratura fino al piano di spiccato, valutati a metro cubo vuoto per pieno, escluso il trasporto delle macerie a discarica, ha un costo di 5 euro/mc. Ipotizzando l'operazione di demolizione effettuata con apposite macchine munite di pinze demolitrici, che non richiedono l'utilizzo di ponteggi, il costo di demolizione viene stimato in circa 5.000 euro, tenendo conto anche della demolizione delle parti più superficiali delle fondazioni, cui vanno sommati gli oneri di conferimento e smaltimento a discarica dei rottami di demolizione non ferrosi, stimati in 130 t circa, pari a circa 2.000 euro, per un totale di 7.000 euro. Il costo di demolizione delle parti metalliche viene considerato compensato dai ricavi derivanti dal conferimento degli stessi al rottamatore"; quanto al valore di mercato del terreno il CTU, premessi i criteri di stima utilizzati, il CTU ha ritenuto di poter far riferimento ai valori agricoli medi del 2014 per la zona agraria n. 5 della provincia di Mantova relativamente a terreni con destinazione a seminativo (come risultava catastalmente fino al 2005, prima dell'accatastamento come area urbana), pari a 4 euro/mq, quantificandone quindi, con argomentazioni che devono essere qui totalmente condivise, il valore complessivo in Euro 16.956,00 (quantificazione non contestata sotto il profilo tecnico quanto ai criteri utilizzati dal CTU, essendosi parte attrice limitata a riportare come "più corretta" la stima del proprio CTP, senza tuttavia confutare la risposta del CTU alle osservazioni del CTP di parte attrice, in cui il CTU ha confermato che "Il valore unitario di stima rappresenta effettivamente un valore medio delle contrattazioni di aree agricole nel sito oggetto di causa"). Al fine di quantificare il danno subito dalla società attrice (all'epoca del suo verificarsi, identificabile nella data di acquisto dei beni) gli importi indicati dal CTU (con riferimento alla data di redazione della perizia) devono quindi essere rivalutati dal 23.06.2014 (data della perizia) al 16.06.2016 (data del decreto di trasferimento); effettuata tale operazione le spese di demolizione risultano pari ad Euro 6.972,00 e il valore del terreno pari ad Euro 16.888,18 (essendosi verificata nel periodo deflazione). Il danno subito dall'attrice risulta pertanto quantificabile, alla data del 16.06.2016, in complessivi Euro 54.183,82 (Euro 64.100,00 - 16.888,18 + 6.972,00). Quali ulteriori voci di danno la società attrice in comparsa conclusionale non ha più fatto valere le spese assicurative del capannone, enunciate invece in atto di citazione, voce di danno che, in ogni caso, non può ritenersi danno conseguente all'inadempimento del perito, ma alla scelta dell'attrice di assicurare un immobile che sapeva essere abusivo e non sanabile, ed ha ribadito (in relazione al lotto 2 qui in esame) il risarcimento dovutole per i maggiori costi sostenuti e che dovrà sostenere per il mutuo contratto al fine di acquistare anche il lotto 2. In particolare la società attrice, allegando che "la condotta dell'Architetto (...) ha inciso sulla valutazione del bene di cui al lotto 2, costringendo la società attrice a richiedere un finanziamento per la somma di euro Euro 250.000,00 mentre lo avrebbe domandato per un importo inferiore, non superiore ad Euro 200.000,00 se il prezzo del lotto 2 fosse stato quello effettivo e non quello frutto dell'errore compiuto dall'Arch. (...)" e producendo il piano di ammortamento del mutuo asseritamente concesso per la somma di Euro 250.000,00 (doc. 11 prodotto in allegato all'atto di citazione) con quello (doc. 21), effettuato dalla stessa Banca e relativo ad un finanziamento sempre alle medesime condizioni, ma per in importo di Euro 200.000,00, ha affermato che tale voce di danno ammonta ad Euro 17.336,20 (corrispondente alla differenza fra gli interessi dovuti nelle due ipotesi di mutuo). Tale voce di danno non è stata dimostrata. La società attrice si è limitata a produrre i citati "piani di ammortamento", ma non ha prodotto né il contratto di mutuo che secondo quanto allegato avrebbe stipulato per procedere all'acquisto, né altra documentazione o richiesto prove volte a dimostrare la necessità, per la stessa, di ricorrere al prestito bancario al fine di acquistare i beni in questione. In assenza di prova nulla può pertanto riconoscersi a tale titolo. L'attrice ha lamentato ulteriore danno imputabile a responsabilità del perito, allegando una erronea quantificazione dei costi indicati in perizia al fine di ottenere il certificato di agibilità relativo alla casa bifamiliare di cui al lotto 1, spese indicate in perizia in complessivi Euro 800,00 e che in realtà, secondo quanto allegato, ammonterebbero ad importo superiore, quantificato in citazione in almeno Euro 8.550,00, come da preventivo richiesto a tecnico di fiducia. Anche in merito è stato richiesto accertamento al CTU nominato, il quale ha verificato, come correttamente riportato in perizia, che la richiesta del certificato di agibilità era stata presentata dal sig. (...) in data 17.3.2005, protocollo comunale n. (...), relativamente alla pratica edilizia n. 23/02 relativa alla ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato di cui al Lotto 1 e che il relativo procedimento amministrativo era stato interrotto dall'ufficio comunale competente in data 4.4.2005 (come da comunicazione in pari data, allegata alla perizia) a causa della non completezza della documentazione presentata in allegato alla richiesta del certificato di agibilità; che alla data del 23.6.2014 lo stesso procedimento amministrativo, nonostante il tempo trascorso, poteva ancora essere riaperto presentando i documenti mancanti richiesti dall'Ufficio comunale con la lettera 4.04.2005. Il CTU ha quindi determinato, essendo state abolite le tariffe minime professionali, i costi necessari per l'acquisizione delle certificazioni ancora mancanti (altre essendo state acquisite dalla stessa procedura esecutiva a mezzo dello stesso perito), sulla base della propria esperienza professionale, in complessivi Euro 3.230,00; rispondendo alle osservazioni del CTP di parte convenuta e della terza chiamata, ha precisato "Si concorda con quanto osservato da alcuni CTP relativamente all'abolizione delle tariffe professionali. I valori esposti dal CTU per quanto riguarda i costi di sanatoria derivano da valutazioni personali dedotte dalla propria esperienza professionale, non escludendo che si possano ricevere offerte di professionisti con proposte di parcella a valori inferiori o superiori. A prescindere dai condivisibili rilievi del CTP di parte convenuta, ing. (...), secondo i quali alcune certificazioni mancanti, quali la dichiarazione di conformità delle opere realizzate, rientrano nella documentazione che il progettista fornisce nell'ambito della sua attività, senza alcun ulteriore esborso per il cliente, e dal fatto che i costi effettivi per spese tecniche potrebbero essere inferiori a quelli quantificati dal CTU, nel caso deve comunque escludersi una responsabilità risarcitoria in capo al perito, conseguente ad una errata determinazione dei costi per l'ottenimento del certificato di agibilità, trattandosi di una differenza comunque di importo limitato a due-tremila euro, a fronte di un valore di mercato dell'immobile di Euro 357.200,00 e di un prezzo di acquisto corrisposto dall'aggiudicataria di Euro 209.925,00. Nel caso alla perizia era stata allegata la comunicazione dell'Ufficio Comunale con l'elencazione dei documenti mancanti e necessari per il completamento della pratica, per cui l'aggiudicatario era sicuramente nelle condizioni di valutare i relativi costi, ma soprattutto, per quanto qui rileva, non può in alcun modo presumersi che l'ammontare di tali costi sia stata condizione influente sul consenso dell'aggiudicataria all'acquisto, non essendo stato neppure allegato che eventuali costi superiori a quelli indicati dal perito l'avrebbero fatta desistere dall'acquistare il bene all'asta. In applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte in materia e già sopra riportati deve quindi escludersi che il convenuto sia tenuto a risarcire all'attrice eventuali maggiori costi che la stessa debba sostenere al fine di ottenere il certificato di agibilità dell'immobile di cui al lotto 1, con conseguente rigetto della relativa domanda risarcitoria. Ciò accertato, vertendosi in ipotesi di risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale e quindi di debito di valore, la somma sopra indicata in complessivi Euro 54.183,82, corrispondente al danno accertato in capo all'attrice alla data del suo verificarsi (16.06.2016), ai fini della liquidazione del danno all'attualità, deve essere annualmente rivalutata secondo gli indici ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai e sulla somma annualmente rivalutata debbono calcolarsi (ai fini del risarcimento dell'ulteriore pregiudizio rappresentato dalla perduta possibilità per il danneggiato di disporre tempestivamente della somma dovutagli, e che costituisce componente necessaria del danno risarcibile) i c.d. interessi compensativi, in misura che si ritiene di dover determinare in misura pari a quella degli interessi legali (idonea a compensare il danno da ritardato adempimento, tenuto conto della normale redditività del denaro nel periodo intercorso dalla data del sinistro), secondo i criteri dettati da Cass. SS.UU. n. 1712/95., ai fini della liquidazione di tale danno all'attualità. Effettuate tali operazioni la somma dovuta alla data odierna a tale titolo risulta pari ad Euro 57.540,52. Il convenuto deve quindi dichiararsi tenuto, a titolo di risarcimento del danno subito dall'attrice, al pagamento di tale importo, liquidato all'attualità, oltre ad interessi legali di cui all'art. 1284, 1 c. c.c. (non vertendosi in ipotesi di inadempimento contrattuale e quindi non sussistendo i presupposti per l'applicazione di interessi moratori nella misura richiesta da parte attrice) dalla data della presente decisione al saldo effettivo. La domanda di manleva In via subordinata il convenuto ha avanzato di manleva nei confronti della terza chiamata, con la quale ha stipulato polizza assicurativa n. (...), relativa alla responsabilità professionale (doc. 1 parte convenuta). La terza chiamata (...) Plc, confermando la stipula della polizza, ha allegato che la Compagnia Assicuratrice potrà manlevare il proprio assicurato solo qualora il fatto rientri tra quelli garantiti dalla polizza allegata e, comunque, secondo le limitazioni, franchigie e massimali in essa indicati. Va qui precisato che la terza chiamata non ha in alcun modo contestato che la responsabilità qui fatta valere nei confronti del convenuto rientri fra i rischi assicurati, anzi riportando le condizioni generali di polizza in cui alla voce "Oggetto dell'assicurazione" è specificato che "La Compagnia si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di Risarcimento, per i seguenti Danni conseguenti ad un Comportamento colposo posto in essere durante l'esecuzione dell'Attività di Progettazione e Direzione Lavori nonché di tutte le attività consentite dalla legge e dai regolamenti che disciplinano l'esercizio della professione per: 1. Danni alla Persona...... 2. Danni materiali alle cose diverse dall'opera... 3. ....... 6. Perdite patrimoniali diverse da quelle indicate ai punti precedenti.", e in cui rientrano pertanto sicuramente i danni a terzi causati nell'esercizio di consulenza tecnica svolta dall'assicurato, quale attività professionale consentita dalla legge. La copertura assicurativa per il sinistro oggetto della presente controversia è stata peraltro espressamente riconosciuta con lettera in data 15.3.2018 del Centro liquidazione Danni di Brescia, prodotta dal convenuto quale doc. 2. La terza chiamata deve quindi condannarsi a tenere indenne e manlevare il convenuto da quanto questi è tenuto a corrispondere alla società attrice in forza della presente sentenza, importi contenuti nel massimale assicurato (Euro 500.000,00), detratta la franchigia, prevista in polizza, di Euro 2.500,00 per sinistro, ad esclusivo carico dell'assicurato (pag. 2 scheda di polizza, riquadro G.P. - (...)). Avendo il convenuto richiesto che la compagnia assicuratrice venga condannata a corrispondere direttamente all'attrice quanto risulti alla stessa dovuto, ai sensi dell'art. 1917, 2 c. c.c., la terza chiamata deve quindi condannarsi a corrispondere direttamente all'attrice l'importo di Euro 55.040,22, oltre agli interessi dalla pronuncia al saldo, come sopra determinati (Euro 57.540,52 - 2.500,00), mentre il convenuto va condannato a corrispondere all'attrice il residuo importo di Euro 2.500,00, a suo carico, a titolo di franchigia, oltre ad interessi legali dalla pronuncia al saldo. Le spese di lite Le spese seguono alla soccombenza e quindi il convenuto è tenuto a rifondere all'attore le spese di lite da questi sostenute, oltre alle spese anticipate di CTU (Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge, che vanno poste in via definitiva a carico di parte convenuta soccombente). Poiché, come precisato dalla Suprema Corte "In materia di assicurazione della responsabilità civile, l'assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel "genus" delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore; le spese di chiamata in causa dell'assicuratore non costituiscono invece né conseguenza del rischio assicurato né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c..". (v. Cass. Civ. n. 18076 del 31/08/2020), in forza del già richiamato disposto dell'art. 1917, 2 c.c. la terza chiamata, avendo il convenuto richiesto il pagamento diretto al danneggiato, deve condannarsi altresì al pagamento diretto in favore dell'attrice delle spese legali da questi sostenute, come di seguito liquidate, e delle spese di CTU. Quanto alle spese di lite sostenute dal convenuto la terza chiamata si è limitata a richiamare le condizioni di polizza ai sensi delle quali "La Compagnia non riconosce i Costi di difesa sostenuti dall'Assicurato per i legali o tecnici che non siano da essa designati o preventivamente autorizzati per iscritto e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia penale" (Gestione delle vertenze di danno - pag. 38 di 50 ultimo capoverso)". Tale clausola è inopponibile all'assicurato al fine di escludere il diritto dello stesso alla rifusione delle c.d. spese di resistenza, in quanto, come chiarito dalla Suprema Corte "In tema di assicurazione della responsabilità civile, in caso di contratto cd. "multirischio", contenente, oltre alla garanzia della responsabilità civile dell'assicurato, anche la copertura del rischio di sostenere esborsi per la tutela legale, le spese sostenute dall'assicurato per resistere alla domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti dal terzo danneggiato (cd. "spese di resistenza"), rientrano "ope legis" nella prima copertura, sino al limite di un quarto della somma assicurata, ai sensi dell'art.1917, comma 3, c.c., sicché eventuali clausole limitative del rischio per la sola tutela legale sono inopponibili dall'assicuratore ove la domanda di rifusione delle spese di resistenza sia contenuta nei suddetti limiti" (v. Cass. Civ. n. 3011 del 09/02/2021). Va qui ricordato infatti che l'obbligo a carico dell'assicuratore di cui all'art. 1917, 3 c. c.c., in quanto espressamente previsto dalla legge, costituisce un effetto naturale del contratto (art. 1374 c.c.), ed è inderogabile dalle parti, se non in senso più favorevole all'assicurato (art. 1932, comma primo, c.c.). Essendo il convenuto risultato vittorioso in relazione alla domanda di manleva la terza chiamata deve quindi condannarsi alla integrale rifusione delle spese di lite dal primo sostenute, comprendenti sia le spese per resistere all'azione del danneggiato, ex art. 1917 c.c., sia le spese di chiamata in causa della propria assicurazione, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Dette spese di lite vengono liquidate, tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta, come indicato in dispositivo, in conformità ai parametri (valori medi della tabella di riferimento) di cui al D.M. n. 55 del 2014. Vanno infine poste in via definitiva a carico del convenuto soccombente, come già anticipato, le spese di CTU, come liquidate in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione assorbita e disattesa, così giudica: accogliendo parzialmente le domande di parte attrice, accerta e dichiara, per le causali di cui in premessa, la responsabilità dell'Architetto (...) nello svolgimento di incarico di perito estimatore nella procedura esecutiva immobiliare n.501/2013 Reg. Es. Imm. del Tribunale di Mantova per gli errori da lui commessi nello svolgimento del suo operato, e per l'effetto dichiara tenuto il convenuto (...) al risarcimento dei danni subiti dall'attrice (...) srl a causa degli errori relativi al lotto 2 presenti nella relazione peritale dell'immobile oggetto del suddetto procedimento, danni che liquida all'attualità in complessivi Euro 57.540,52, oltre ad interessi legali di cui all'art. 1284, 1 c. c.c. dalla data della presente pronuncia al saldo; accogliendo la domanda di garanzia avanzata dal convenuto nei confronti della terza chiamata, dichiara tenuta e condanna (...) Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c., a corrispondere direttamente alla società attrice, per il titolo sopra indicato, l'importo di Euro 55.040,52, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, e condanna il convenuto (...) al pagamento in favore della società attrice del residuo importo di Euro 2.500,00, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, pari alla franchigia pattuita; dichiara tenuto il convenuto alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla società attrice, che liquida in complessivi Euro 786,00 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, detratta ritenuta d'acconto 20% (su compenso e spese imponibili) come richiesto; pone in via definitiva a carico del convenuto le spese di CTU, anticipate da parte attrice; dichiara tenuta e condanna la terza chiamata (...) Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c. a corrispondere direttamente alla società attrice le spese di lite dovute dal convenuto, come sopra liquidate, oltre al pagamento delle spese di CTU anticipate da parte attrice, liquidate in corso di causa in Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge; dichiara tenuta e condanna la terza chiamata (...) Plc a rimborsare al convenuto le spese di lite da questi sostenute, che si liquidano in Euro 770,53 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Mantova il 27 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MANTOVA SEZIONE SECONDA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Mauro Pietro Bernardi ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite di I Grado iscritte al n. r.g. 4315/2018; n. 4316/18; n. 4317/18; n. 4318/18; n. 4319/19; n. 4320/18; n. 4321/18 promosse con separati atti rispettivamente da: 1) (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. MO.BI., elettivamente domiciliata in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore redatto su atto separato e allegato al ricorso (n. 4315/18 r.g.); 2) (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIALE (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore redatto su atto separato e allegato ai ricorsi (n. 4316/18 e n. 4317/18 r.g.); 3) (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIALE (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore redatto su atto separato e allegato ai ricorsi (n. 4318/18 e n. 4319/18 r.g.); 4) (...) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIALE (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore redatto su atto separato e allegato ai ricorsi (n. 4320/18 e n. 4321/18 r.g.); OPPONENTI contro 5) AGENZIA DELLE ENTRATE - RISCOSSIONE (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. BE.SI., elettivamente domiciliato in VIA (...) - CREMA lo studio del predetto difensore (indirizzo telematico: (...)), come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; e contro 6) AGENZIA DEL DEMANIO (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO di BRESCIA in persona dell'avv. PA.BI.; OPPOSTI Oggetto: 100001 - opposizione all'esecuzione Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato il 25-6-2018 avanti al Giudice del Lavoro, (...) esponeva 1) che, in data 5.6.2018, aveva ricevuto la notifica delle seguenti cartelle di pagamento emesse dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione: a) N. (...), relativa al ruolo n. 2018/134, emesso dall'Agenzia del Demanio, reso esecutivo il 15.2.2018 per un importo di Euro 36.079,88 e b) N. (...), relativa al ruolo n. 2018/134, emesso dall'Agenzia del Demanio, reso esecutivo il 15.2.2018, per un importo di Euro 38.391,50; 2) che il ruolo riguardava la riscossione di oneri concernenti la indennità per l'occupazione sine titulo dell'immobile denominato (...) sito in (...) (MN) Via (...) n. 89, di proprietà dello Stato; 3) che tale immobile era stato utilizzato dal Circolo Ricreativo ARCI (...), aderente ad A.N. Associazione Provinciale di Mantova; 4) che le somme portate dalle cartelle di pagamento le erano state chieste in qualità di associata in partecipazione ex art. 2549 e segg. c.c., in virtù del contratto stipulato il 7.8.2006 tra il Circolo Ricreativo ARCI (...) (in persona del Presidente G.R.) e i signori (...), (...), (...) e (...) che, in virtù di tale contratto, si erano occupate della gestione del servizio di ristorazione; 5) che, con contratto del 7.8.2006, si era costituita un'associazione in partecipazione tra il Circolo Arci di (...) denominato "(...)" (associante) ed i signori (...), (...), (...) e (...) (associati), avente ad oggetto l'affidamento del servizio di ristorazione; 5) che, trattandosi di indennità asseritamente dovute per il periodo 7.8.2006/31.7.2007, l'Agenzia del Demanio era decaduta dalla possibilità di esercitare il diritto azionato che, comunque, si era prescritto alla stregua del disposto di cui agli artt. 2947 o 2948 c.c.; 6) che essa aveva cessato la propria attività con riferimento al predetto contratto di associazione in partecipazione nel mese di dicembre 2006; 7) che le cartelle erano comunque nulle sia per carenza degli atti presupposti per il valido perfezionamento della procedura di riscossione, sia per omessa compilazione della relata di notifica; 8) che, in ogni caso, gli associati in partecipazione non sono responsabili delle obbligazioni contratte nei confronti di terzi soggetti da parte del Circolo e che nessun rilievo (esterno) poteva assumere la sussistenza della clausola contrattuale che preveda la partecipazione degli associati, oltre che agli utili, anche alle perdite; 9) che, in via subordinata, non era documentata l'esattezza della somma pretesa dalla Agenzia del Demanio: alla stregua di tali deduzioni l'istante chiedeva che venisse accertata l'inesistenza del diritto di credito vantato dall'amministrazione anche per decadenza o prescrizione e la conseguente insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione e che le cartelle di pagamento venissero annullate. Con distinti ricorsi (...) esponeva 10) che gli erano state notificate dalla Agenzia del Demanio la cartella di pagamento n. (...) di Euro 36.079,88 e quella n. (...) di Euro 38.391,50 entrambe concernenti la riscossione della indennità per l'occupazione sine titulo, da parte del Circolo Ricreativo ARCI (...), dell'immobile denominato (...) sito in (...) (MN) Via (...) n. 89, di proprietà dello Stato; 11) che la pretesa azionata era illegittima in quanto delle obbligazioni assunte dal Circolo Ricreativo ARCI (...) egli non poteva rispondere essendo un associato in partecipazione, che, comunque la stessa era prescritta e che, inoltre, difettava il titolo esecutivo: alla stregua di tali deduzioni la difesa di (...) chiedeva che venisse accertata l'inesistenza del diritto di credito vantato dall'amministrazione anche per prescrizione e la conseguente insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione e che le cartelle di pagamento venissero annullate. Con distinti ricorsi (...) affermava 12) che le erano state notificate dalla Agenzia del Demanio la cartella di pagamento n. (...) di Euro 38.391,50 e quella n. (...) di Euro 36.079,88 entrambe concernenti la riscossione della indennità per l'occupazione sine titulo, da parte del Circolo Ricreativo ARCI (...), dell'immobile denominato (...) sito in (...) (MN) Via (...) n. 89, di proprietà dello Stato; 13) che la pretesa azionata era illegittima in quanto delle obbligazioni assunte dal Circolo Ricreativo ARCI (...) essa non poteva rispondere essendo una associata in partecipazione, che, comunque la stessa si era prescritta e che, inoltre, difettava il titolo esecutivo: alla stregua di tali deduzioni la difesa di (...) chiedeva che venisse accertata l'inesistenza del diritto di credito vantato dall'amministrazione anche per prescrizione e la conseguente insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione e che le cartelle di pagamento venissero annullate. Infine, con distinti ricorsi, (...) affermava 14) che gli erano state notificate dalla Agenzia del Demanio la cartella di pagamento n. (...) di Euro 38.391,50 e quella n. (...) di Euro 36.079,88 entrambe concernenti la riscossione della indennità per l'occupazione sine titulo, da parte del Circolo Ricreativo ARCI (...), dell'immobile denominato (...) sito in (...) (MN) Via (...) n. 89, di proprietà dello Stato; 15) che la pretesa azionata era illegittima in quanto delle obbligazioni assunte dal Circolo Ricreativo ARCI (...) egli non poteva rispondere essendo un associato in partecipazione, che, comunque la stessa era prescritta e che, inoltre, difettava il titolo esecutivo: alla stregua di tali deduzioni la difesa di (...) chiedeva che venisse accertata l'inesistenza del diritto di credito vantato dall'amministrazione anche per prescrizione e la conseguente insussistenza del diritto di procedere ad esecuzione e che le cartelle di pagamento venissero annullate. In tutti i procedimenti instaurati si costituiva la Agenzia delle Entrate-Riscossioni la quale sosteneva 16) che essa era carente di legittimazione passiva in relazione alle deduzioni concernenti la formazione dei ruoli; 17) che le cartelle di pagamento erano state regolarmente notificate: alla stregua di tali osservazioni la difesa della Agenzia delle Entrate-Riscossioni chiedeva il rigetto delle opposizioni. Parimenti in tutti i procedimenti si costituiva, tramite la Avvocatura Distrettuale dello Stato di Brescia, la Agenzia del Demanio la quale esponeva 18) che la procedura esattoriale trovava fondamento nel disposto di cui all'art. 1 co. 274 della L. n. 311 del 2014; 19) che il pagamento concerneva l'indennità di occupazione per i periodi dal 7-8-2006 al 21-7-2007 e dal 22-7-2007 al 31-7-2007; 20) che la responsabilità degli intimati trovava fondamento nel combinato disposto di cui agli artt. 38 e 2549 c.c. nonché nella previsione statutaria secondo cui gli associati partecipavano agli utili e alle perdite di gestione; 21) che l'indennizzo preteso trovava fondamento nel disposto di cui all'art. 1591 ovvero 2041 c.c.; 22) che l'eccezione di prescrizione era infondata stante l'invio di raccomandata a.r. al Circolo in data 25-7-2007 avuto riguardo alla disciplina di cui all'art. 1310 c.c. e dovendo in ogni caso trovare applicazione il termine decennale di cui all'art. 2946 c.c.; 23) che le contestazioni relative al quantum dovuto erano generiche e che l'importo preteso era stato correttamente calcolato alla stregua delle previsioni contenute nell'art. 9 co. 30 della L. n. 537 del 1993, nella L. n. 392 del 1978 e nella L. n. 431 del 1998: alla luce di tali considerazioni la difesa dell'ente instava per il rigetto delle opposizioni, previo mutamento del rito che doveva essere quello ordinario. I ricorsi venivano di seguito assegnati alla sezione ordinaria del Tribunale e riuniti con decreto emesso il 14-2-2019. Con memoria redatta ex art. 183 VI co. n. 1 c.c., la difesa della Agenzia del Demanio deduceva l'inammissibilità delle opposizioni proposte in quanto erano state proposte questioni attinenti al merito del titolo esecutivo. Rigettate le istanze istruttorie formulate, la causa veniva quindi rimessa in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate. Le opposizioni sono fondate e meritano accoglimento. Premesso che non è fondata l'eccezione di difetto di legittimazione (rectius titolarità) passiva sollevata da Agenzia delle Entrate-Riscossioni essendo essa titolare esclusiva dell'azione esecutiva per la riscossione dei crediti esattoriali (cfr. Cass. 28-9-2018 n. 23627), in primo luogo va rilevato che le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi riservate, in materia di concessioni amministrative, dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 2, alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell'azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero quando investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull'an che sul quantum), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (cfr. Cass. S.U. 15-5-2017 n. 11988; Cass. S.U. 12-10-2011 n. 20939; Cass. S.U. 24-6-2011 n. 13903; Cass. 12-1-2007 n. 441; Cass. 23-10-2006 n. 22661). Ciò premesso e rilevato che l'amministrazione finanziaria ha chiesto il pagamento della indennità di occupazione avvalendosi della procedura esattoriale come previsto dall'art. 1 co. 274 della L. n. 311 del 2014 sicché la controversia instaurata appartiene alla giurisdizione del G.O., occorre rilevare che avverso la cartella deve ritenersi consentito il rimedio di cui all'art. 615 c.p.c. non avendo il debitore altro strumento processuale per difendersi dalla pretesa erariale come si desume dal sistema normativo venutosi a creare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 31-5-2018 n. 114 che ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 57 co. 1 lett. a) del D.P.R. n. 602 del 1973: ne consegue, inoltre, che non sussiste alcuna preclusione in ordine alla possibilità di valutare nel merito la fondatezza della pretesa erariale posto che, nella materia in questione, non vi è un altro giudice che possa conoscere della controversia oggetto di esame e "dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva" (v. Corte Cost. cit.). Risulta inoltre pacifico ed emerge dagli atti che l'immobile per cui è causa era stato detenuto (sia pure sine titolo) dal Circolo Ricreativo ARCI (...) e che tutti gli opponenti sono stati chiamati a rispondere del debito erariale sorto in capo a quest'ultimo in quanto parti del contratto di associazione in partecipazione stipulato il 7.8.2006 tra il Circolo Ricreativo ARCI (...) (in persona del Presidente G.R.) e gli attuali opponenti che, in virtù di tale negozio, si erano occupati della gestione del servizio di ristorazione In proposito va osservato che la associazione non riconosciuta e la associazione in partecipazione costituiscono figure del tutto distinte e autonomamente disciplinate dalla legge non potendo condividersi l'assunto della difesa dell'ente pubblico secondo cui la associazione in partecipazione costituirebbe una species del più ampio genus costituito dalla associazione non riconosciuta e, come tale, regolata anche dalle disposizioni di cui agli artt. 36 e segg. c.c.: infatti, mentre l'associazione non riconosciuta è un soggetto di diritto disciplinato dagli accordi stipulati dagli associati con il quale i membri si impegnano a perseguire un interesse comune dando vita a una organizzazione collettiva caratterizzata dalla presenza di una pluralità di organi che assume rilevanza esterna (v. sul tema cfr. Cass. 14-4-1986 n. 2601; Cass. 29-12-1976 n. 4753), l'associazione in partecipazione è un contratto di scambio caratterizzato dal sinallagma tra l'attribuzione di una quota degli utili derivanti dalla gestione dell'affare o della impresa da parte dell'un contraente e l'apporto patrimoniale da parte dell'altro, non determina la formazione di un soggetto nuovo o la costituzione di un patrimonio autonomo, nè la comunione dell'affare o dell'impresa, che restano di esclusiva pertinenza dell'associante il quale solo fa propri gli utili, salvo, nei rapporti interni, il suo obbligo di liquidare all'associato la sua quota di utili e di restituirgli l'apporto (cfr. Cass. 17-5-2001 n. 6757; Cass. 18-6-1987 n. 5353). Ne consegue che alla fattispecie in esame non possono trovare applicazione le norme di cui agli artt. 36 e segg. c.p.c. (e, in particolare, la norma di cui all'art. 38 c.c.) bensì solo ed esclusivamente quelle di cui agli artt. 2549 e segg. c.c. e, in particolare quella di cui all'art. 2551 c.c.. A tale riguardo occorre evidenziare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nell'associazione in partecipazione, ancorché sia convenzionalmente prevista la possibilità dell'associato di ingerirsi nella gestione dell'impresa, la titolarità e la conduzione di quest'ultima spettano esclusivamente all'associante, il quale è il solo ad intrattenere i rapporti con i terzi e ad assumerne la relativa responsabilità, salvo che tra l'associante e l'associato non venga a costituirsi una società di fatto (cfr. Cass. 20-5-1999 n. 4911; Cass. 15-3-1976 n. 958; Cass. 12-10-1970 n. 1946; Cass. 23-7-1969 n. 2774), ipotesi di cui non è stata fornita alcuna prova, essendo connaturata alla figura di cui all'art. 2549 c.c. la compartecipazione agli utili dell'associato come corrispettivo del suo apporto lavorativo all'impresa dell'associante e richiedendo la costituzione di una società di fatto un quid pluris nel caso di specie non dimostrato. Ne consegue che gli attuali opponenti non possono essere chiamati a rispondere delle obbligazioni sorte in capo al Circolo Ricreativo ARCI (...), sul quale solo esse dunque gravano. Ogni altra questione dedotta deve ritenersi assorbita. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in conformità dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, riducendosi al minimo il compenso per l'attività istruttoria a cui non è stato dato ingresso. P.Q.M. Il Tribunale di Mantova, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - in accoglimento delle opposizioni proposte da (...), (...), (...) e (...), dichiara che Agenzia delle Entrate-Riscossioni e la Agenzia del Demanio non hanno diritto a procedere a esecuzione forzata nei confronti degli opponenti; - condanna altresì Agenzia delle Entrate-Riscossioni e la Agenzia del Demanio, in solido fra loro, rimborsare a (...) le spese di lite, che si liquidano, come richiesto, in Euro 379,50 per spese e in Euro 8.030,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge; - condanna altresì Agenzia delle Entrate-Riscossioni e la Agenzia del Demanio, in solido fra loro, a rimborsare a (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 379,50 per spese, e in Euro 6.680,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. - condanna altresì Agenzia delle Entrate-Riscossioni e la Agenzia del Demanio, in solido fra loro, a rimborsare a (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 375,90 per spese e in Euro 6.680,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. - condanna altresì Agenzia delle Entrate-Riscossioni e la Agenzia del Demanio, in solido fra loro, a rimborsare a (...) le spese di lite, che si liquidano in Euro 375,90 per spese e in Euro 6.680,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Mantova l'1 giugno 2021. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA nella persona del dott. Simona Gerola, in funzione di giudice del lavoro, nel processo di cui in epigrafe, all'udienza del 27.5.2021 visto l'art. 429 c.p.c. ha pronunciato, con motivazione contestuale, la seguente: SENTENZA nella causa per controversia in materia lavoro promossa con domanda depositata in data 25.2.2021 da (...) SPA con il patrocinio dell'avv. Gi.Pa. e dell'avv. Bu.Gu. RICORRENTE CONTRO (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Fr.Ma. RESISTENTE ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO Con ricorso depositato in data 25.2.2021 (...) SPA proponeva opposizione avverso il precetto ad essa notificato in data 25.2.2020 sulla base della diffida accertativa notificatele dall'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Mantova e, contestualmente, chiedeva l'accertamento negativo dell'esistenza del diritto di credito pari ad Euro 1578,04 oggetto di detta diffida. Il procuratore di (...), premesso che la società opponente è preposta alla gestione del trasporto pubblico locale (urbano ed interurbano di Mantova e Provincia) oltre che a servizi di trasporto scolastico in diversi Comuni, esponeva: che a seguito dell'approvazione comunitaria del Regolamento CE 561/2006, l'Associazione datoriale di riferimento (...), in data 11 giugno 2007, ha inviato a tutte le aziende associate una circolare informativa relativa alle novità normative ivi contenute in tema di orario di lavoro per autolinee con percorrenza superiore ai 50 km, evidenziando che alla luce delle intervenute novità legislative "sono esclusi dal computo dell'orario di lavoro i periodi di interruzione dalla guida (45 minuti) consecutivi dopo un periodo di guida di 4,5 ore, i riposi intermedi, i periodi di riposo, i tempi di disponibilità" e attese le incertezze applicative derivanti dalle nuove norme di fonte nazionale e comunitario; che anche (...), a seguito dell' Interpello n. 27/2009 del 20 marzo 2009 del Ministero del Lavoro (che ha precisato che "si deve ritenere che oggi il D.Lgs. n. 234 del 2007 sia applicabile a tutti i lavoratori di aziende che svolgono autotrasporto di persone o merci, purché effettuino spostamenti e, naturalmente, purché le attività rientrino nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 561/06), ha inviato inutilmente piu' formali richieste di chiarimenti all'allora Direzione Provinciale del Lavoro di Mantova in merito all'ambito di applicazione del Regolamento CE 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007; che a partire dal settembre 2009, con l'avvio del servizio scolastico, (...) ha iniziato ad applicare le previsioni normative di cui al Reg. CE 561/2006 e al D.Lgs. n. 234 del 2007 nell'organizzazione e retribuzione dei turni relativi ai servizi di trasporto pubblico extraurbano di passeggeri, con percorrenza superiore a 50 km (cd. "turni CE"); che vi sono stati accordi con le OOSS e in data 12 marzo 2015, all'indomani dell'insediamento della nuova RSU, la Società ricorrente ha aperto un nuovo tavolo negoziale per ridiscutere alcuni aspetti dell'organizzazione del lavoro, fra i quali anche la gestione dei turni CE, ma le proposte aziendali non hanno trovato seguito atteso il contrasto tra OO.SS e RSU; che in data 28 novembre 2015 è stato rinnovato il CCNL Autoferrotranvieri il quale, all'art. 27, ha riconfermato l'applicabilità delle norme sull'orario di lavoro contenute nel Regolamento CE 561/2006 e nel D.Lgs. n. 234 del 2007 relativamente alle linee di competenza statale e per i servizi extraurbani con percorrenze superiori ai 50 km e, tuttavia, il testo di modifica dell'accordo integrativo aziendale è stato respinto dall'assemblea dei lavoratori; che in data 19 dicembre 2016 è iniziato un accertamento della DTL di Mantova che è sfociato nella notifica di 190 diffide accertative relative ad asseriti crediti a favore dei lavoratori con mansioni di autista addetti a servizi con percorrenza superiore a 50 km per "violazione del disposto delle lettere a) e j) dell'art. 6 della L. n. 138 del 1958 e la mancata remunerazione di detti tempi accessori a decorrere dall'aprile 2013 al corrente, sono state notificati per un importo complessivo di crediti patrimoniali riconosciuti a dipendenti, pari ad Euro 121.345,00. che il ricorso presentato da (...) è stato respinto dal Comitato Regionale con provvedimento del 16 luglio 2018; che con Verbale Unico di Accertamento e Notificazione n. (...) del 16 maggio 2018 l'ITL di Mantova ha contestato ad (...): (I) asserite "infedeli registrazioni nel Libro Unico del Lavoro"; (II) asserite violazioni delle disposizioni normative di cui alla L. n. 138 del 1958 in riferimento al riposo giornaliero, al riposo settimanale e all'orario lavorativo del personale viaggiante. In punto di diritto eccepiva preliminarmente la illegittimità costituzionale dell'art. 12 D.Lgs. n. 124 del 2004 per violazione degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione e per eccesso di delega. Nel merito premetteva che l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo e anche in presenza di una diffida accertativa e deduceva, con ampie e motivate argomentazioni giuridiche, che la diffida accertativa per crediti patrimoniali da cui trae origine il precetto impugnato è privi di qualsivoglia fondamento. In particolare, contestava la sussistenza dei due presupposti sui quali si fonda la diffida accertativa, ossia la ritenuta specialità della L. n. 138 del 1958 rispetto a quella di fonte Europea (Regolamento CEE n. 561/2006 recepita nel nostro Ordinamento dal D.Lgs. n. 234 del 2007) e l'argomentazione secondo la quale l'applicazione della richiamata L. n. 138 del 1958 relativamente ai periodi di interruzione dalla guida, di riposo intermedio e di disponibilità, troverebbe conferma negli interpelli del Ministero del Lavoro nn. 24/2008 e 27/2009 oltre che nelle disposizioni del C.C.N.L. 23.7.1976 e nella regolamentazione regionale (D.G.R.L. 14.3.2016 n. X/4927 e linee guida di coordinamento per l'affidamento dei servizi di TPL e per la formulazione dei contratti di servizio). Criticava inoltre la motivazione che ha integrato la diffida rilevandone la illegittimità anche in ragione del fatto che il Capo dell'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Mantova avrebbe dovuto limitarsi a convalidare il provvedimento di diffida ai fini della acquisizione, da parte dello stesso, dell'efficacia esecutiva. Contestava altresì la legittimità del provvedimento del Comitato regionale per i rapporti di lavoro negando la sussistenza di un uso aziendale vincolante (trattamenti economici di maggior favore già riconosciuti e corrisposti ai lavoratori) in forza del quale la società convenuta sarebbe ancora oggi tenuta ad applicare la vecchia L. n. 138 del 1958 e, in via subordinata, rilevava che l'uso aziendale sarebbe in ogni caso cessato dal lontano aprile 2013. In via subordinata rilevava inoltre che la pretesa capitale azionata è stata quantificata dalla corrispondente diffida accertativa, che ha assunto la mancata corresponsione di alcuni emolumenti retributivi per il periodo in essa indicato, senza alcuna ulteriore specificazione con conseguente totale carenza degli elementi identificativi minimi del quantum asseritamente dovuto. Ricordava di seguito che (...) è stata sottoposta ad accertamenti ispettivi nel mese di marzo 2012 dalla DTL di Mantova, e nel successivo mese di luglio 2013 dalla DTL di Brescia; che in entrambi i casi non è stata sollevata alcuna contestazione, né alcun rilievo a carico della Società quanto alle pretese inadempienze poi rilevate con la diffida accertativa posta alla base della intimazione di pagamento avversaria, con la conseguenza che detta diffida è da ritenersi illegittima anche per violazione del principio del ne bis in idem, stante l'applicabilità al caso di specie - anche in via analogica - di quanto previsto anche dall'art. 3, comma 20, L. n. 335 del 1995. Concludeva chiedendo di dichiarare la nullità e/o l'illegittimità e/o l'inefficacia dell'atto di precetto notificato, nonché l' accertamento dell'inesistenza del diritto del convenuto di procedere a esecuzione forzata in forza del precetto opposto. Si costituiva ritualmente (...) contestando la fondatezza dell'opposizione con ampie e argomentate argomentazioni giuridiche. Il procuratore del convenuto preliminarmente, alla luce delle due sentenze pronunciate dalla C.d.A di Brescia sulle questioni oggetto di causa, chiedeva prova per testi dello "spezzettamento" delle tratte extraurbane superiori a 50 km, onde evidenziare come i lavoratori adibiti a percorrenze assolutamente identiche potevano ora vedersi remunerati i c.d. "tempi accessori" e ora no e sconfessava l'unico presupposto in fatto su cui si fondano entrambe le pronunce (la circostanza per cui sarebbe stato "pacifico che il lavoratore è stato adibito a servizi di linea di trasporto di più di nove viaggiatori su tratte superiori a 50 km"), rilevando ed eccependo che il convenuto è stato adibito, anche mediante il meccanismo della c.d. "spezzettatura" e dell'intervallamento tra linee diverse, a tratte che (...) rendeva ora superiori ora inferiori ai 50 kilometri, senza peraltro percepire la "pausa retribuita 12%" e, comunque, i tempi accessori previsti dall'art. 6, lett.re a) f), L. n. 138 del 1958. Di seguito elencava le difese in diritto non ancora esaminate dal Tribunale di Mantova e dalla Corte di Brescia e, a confutazione delle argomentazioni (...), in estrema sintesi, rilevava che il D.Lgs. n. 234 del 2007 non è attuativo del Reg. CE n. 561/2006, bensì della direttiva 2002/15/CE; che la corretta ricostruzione del quadro normativo effettivamente applicabile alla fattispecie in esame evidenzia non solo come il D.Lgs. n. 234 del 2007 e la direttiva 2002/15/CE da esso attuato non abbiano inteso restringere il loro ambito di applicazione alle sole tratte con percorrenza superiore a 50 kilometri, ma anche come le stesse salvaguardino, anzi, i "tempi di disponibilità" e di "reperibilità" dell'autista, indennizzati o limitati dalla normativa nazionale e/o contrattual-collettiva, sancendone la computabilità nell'orario di lavoro effettivo (computabilità questa, neppure smentita dal Reg. CE n. 561/2006 che, anzi, fa a propria volta salvi i "tempi di disponibilità" e di "reperibilità" dell'autista, qualificandoli alla stregua di "altre mansioni" e, quindi, di attività ricomprese nell'orario di lavoro ) e che la normativa europea, invocata da controparte, è stata, di fatto, applicata da (...) S.p.A. in modo discriminatorio (mediante la creazione di "interruzioni cuscinetto" e "spezzando linee"), generando gruppi di lavoratori aventi diritto alla "pausa retribuita" ex art. 6, lett. f), L. n. 138 del 1958 e gruppi non aventi diritto alla "pausa remunerata 12%". In via subordinata prendeva posizione anche sugli ulteriori motivi di illegittimità della condotta di (...), tenendo conto di quanto evidenziato nel Verbale unico di accertamento e notificazione n. (...) del 16 maggio 2018 e sottolineava che i crediti oggetto della diffida traggono origine da documenti (quali turnistica, registrazioni nel LUL, carte cronotachigrafiche e badge) con la conseguenza che, una volta che il convenuto ha chiesto la formale esibizione in giudizio delle menzionate fonti di prova, deve ritenersi che egli abbia assolto compiutamente all'onere probatorio a suo carico. Di seguito sollevava, occorrendo, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, n. 3), D.Lgs. n. 234 del 2007 per divergenza dalla direttiva 2002/15/CE e, quindi, per contrasto con gli artt. 11 Cost. e 117, comma 1, Cost., anche in relazione all'art. 3 Cost.. Rassegnava le seguenti conclusioni "in via pregiudiziale, si chiede di voler trasmettere gli atti del presente giudizio alla Corte Costituzionale affinché la stessa sia chiamata a decidere circa l'eccezione di legittimità costituzionale della norma di diritto interno contenuta all'art. 3, comma 1, lett. a, n. 3), D.Lgs. n. 234 del 2007 per divergenza dalla direttiva 2002/15/CE e, quindi, per contrasto con gli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., anche in relazione all'art. 3 Cost., previo positivo giudizio di "rilevanza" e "non manifesta infondatezza" della suddetta questione; B) nel merito, di voler rigettare il ricorso avversario perché infondato in fatto ed in diritto, e ciò per tutti i motivi di cui in narrativa e per ogni altro sussistente, salva ogni migliore statuizione ritenuta di giustizia; C) per effetto dell'accoglimento della domanda di cui sub lett. B) che precede, accertare e dichiarare il diritto del Sig. (...) ad ottenere il pagamento dell'importo di Euro 1.416,58 e, comunque, confermare il contenuto e gli importi di cui al precetto qui opposto, salva ogni diversa somma ritenuta di giustizia; In tutti i casi, con vittoria di spese di lite ed onorari di causa, oltre IVA (se dovuta), CPA e spese generali computate al 15%, da distrarsi in favore dell'Avv. Fr.Ma., che si dichiara antistatario" All'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa sulla documentazione versata in causa dalle parti. Andrà premesso che, posto che (...) ha chiesto espressamente l'accertamento della insussistenza dei crediti precettati che trovano origine nelle diffide accertative dell'ITL, la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 12 D.Lgs. n. 124 del 2004, prima ancora che manifestamente infondata, è inammissibile difettando quel rapporto di "necessaria influenza o stretta pregiudizialità" fra giudizio a quo e processo costituzionale che costituisce l'indefettibile presupposto della rilevanza. Del pari inammissibile appare la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal convenuto per divergenza dell'art. 3, comma 1, lett a, n,3 del D.Lgs. n. 234 del 2007 con la direttiva 2002/15/CE (e, quindi, per contrasto con gli artt. 11 Cost. e 117, comma 1 Cost. anche in relazione all'art. 3 Cost) per le condivisibili motivazioni espresse dalla Corte di Appello di Brescia che saranno qui richiamate ai sensi dell'art. 118 d.a. c.p.c. La L. n. 77 del 2007 ha delegato il Governo a recepire, tra l'altro, la direttiva 2002/15/CE, senza dettare criteri direttivi diversi da quelli stabiliti in generale per l'attuazione delle direttive dall'art. 2 L. n. 62 del 2005. Il D.Lgs. n. 234 del 2007 ha dato corso alla delega, dettando norme di "attuazione della direttiva 2002/15/CE concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporti". Va precisato che, ovviamente, il Governo, nell'attuare la direttiva, non poteva non tenere conto delle disposizioni previste dal reg. CE 561/2006; ciò per due ordini di ragioni: in primo luogo, il reg. CE 561/2006 ha applicazione diretta e primaria nell'ordinamento italiano; in secondo luogo, i richiami della dir. 2002/15/CE al reg. CEE 3820/85 devono ora essere intesi al reg. CE 561/2006, in quanto integralmente sostitutivo del precedente regolamento. L'art. 2 D.Lgs. n. 234 del 2007 delimita il campo di applicazione, in piena conformità con la dir. 2002/15/CE e il reg. CE 561/2006: "le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ai lavoratori mobili alle dipendenze di imprese stabilite in uno Stato membro dell'Unione europea che partecipano ad attività di autotrasporto di persone e merci su strada contemplate dal regolamento (CE) n. 561/06 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006". L'art. 3 c. 1 lett. a) D.Lgs. n. 234 del 2007 riporta pedissequamente la definizione di "orario di lavoro" contenuta nell'art. 3 c. 1 lett. a) della direttiva e stabilisce (al n. 3) che "sono esclusi dal computo dell'orario di lavoro i periodi di interruzione dalla guida di cui all'articolo 7 del regolamento (CE) 561/06, i riposi intermedi di cui all'articolo 5, i periodi di riposo di cui all'articolo 6 e, fatte salve le clausole di indennizzo o limitazione di tali periodi previste dalla contrattazione collettiva, i tempi di disponibilità di cui alla lettera b)". Le esclusioni previste con richiamo agli artt. 5, 6 e 3 c. 1 lett. b) sono regolate in modo del tutto conforme alle previsioni della direttiva (salvo ovviamente il richiamo al reg. CE 561/06, che ha integralmente sostituito il reg. CEE 3820/85). Rispetto alla letterale formulazione della dir. 2002/15/CE, il D.Lgs. n. 234 del 2007 esclude dall'orario lavorativo anche dei periodi di interruzione dalla guida ex art. 7 reg. CE 561/06 (...) L'appellante trascura l'intimo collegamento - di cui si è ampiamente dato conto supra - tra i regg. CEE 3820/85 e CE 561/06, da un lato, e la dir. 2002/15/CE, espressamente adottata per la disciplina degli "altri aspetti dell'orario di lavoro per il settore dell'autotrasporto" rispetto alle "norme comuni relative ai tempi di guida e di riposo dei conducenti" dettate prima dal reg. CEE 3820/85 e poi dal reg. CE 561/06, integralmente sostitutivo del primo. Correttamente, pertanto, il D.Lgs. n. 234 del 2007, nel dare applicazione alla dir. 2002/15/CE, tiene in considerazione quanto disposto dal reg. CE 561/06. Tale regolamento contiene disposizioni, non solo già direttamente operanti nell'ordinamento italiano, ma che costituiscono il presupposto della disciplina data dalla dir. 2002/15/CE. Quanto più specificamente alle interruzioni ex art. 7 reg. CE 561/06 (già art. 7 reg. CEE 3820/85), che l'appellante ritiene indebitamente introdotte dal D.Lgs. n. 234 del 2007 nella disciplina delle esclusioni dall'orario di lavoro, si osserva che è lo stesso art. 6 dalla dir. 2002/15/CE, riproposto dall'art. 6 D.Lgs. n. 234 del 2007, che richiama le disposizioni sui periodi di riposo del reg. CEE 3820/85, in quella sede previste all'art. 7 e ora all'art. 7 reg. CE 561/06. Tale richiamo è del tutto coerente con la disciplina dei due atti comunitari ora in vigore: a) i "riposi intermedi" previsti dall'art. 5 dir. 2002/15/CE sono i "momenti i cui l'orario di lavoro deve essere interrotto", salve comunque le disposizioni del reg. CEE 3820/85 (ora reg. CE 561/06); b) le "interruzioni dalla guida", disciplinate in dettaglio dall'art. 7 CE 561/06, sono definite in termini generali dall'art. 4 lett. d), come "ogni periodo in cui il conducente non può guidare o svolgere altre mansioni e che serve unicamente al suo riposo "I "riposi intermedi" della dir. 2002/15/CE e le "interruzioni" del reg. CE 561/06 hanno quindi la medesima natura, trattandosi di momenti di interruzione dell'orario di lavoro esclusivamente dedicati al riposo del conducente (a prescindere dalla durata, venuta meno la durata minima di un'ora perché un'interruzione si qualifichi come "riposo"). Con la conseguenza che "riposi" e "interruzioni" risultano del tutto sovrapponibili, quantomeno ai fini della loro esclusione dall'orario di lavoro. Pertanto, la previsione dell'art. 3 c. 1 lett. a) D.Lgs. n. 234 del 2007, nella misura in cui esclude dall'orario di lavoro anche le interruzioni ex art. 7 reg. CE 561/06, non aggiunge alcunché e dà corretta attuazione della direttiva comunitaria. D'altra parte l'esclusione delle interruzioni di cui all'art. 7 dall'orario di lavoro, con la conseguente non retribuibilità delle stesse, non contrasta affatto con il fine del reg. CE 561/2006. Tanto i regolamenti quanto la direttiva, tra loro collegati, mirano a disciplinare complessivamente la disciplina dell'orario di lavoro per il raggiungimento dei fini - comunitariamente rilevanti - del miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori, della sicurezza stradale e del ravvicinamento delle condizioni di concorrenza. E' ovvio che i vari interessi contrapposti - della collettività degli utenti della strada (alla sicurezza), dei singoli lavoratori (al riposo e alla retribuzione) e dei datori di lavoro (alla organizzazione e all'economicità dell'impresa) - devono essere tra loro bilanciati. Il risultato è appunto quanto stabilito negli atti comunitari esaminati, non senza che sia stata prima valutata la condizione della sussidiarietà dell'intervento comunitario (la direttiva dà atto di attive, ma infruttuose, negoziazioni tra le parti sociali) e con salvezza eventuali condizioni più favorevoli per i lavoratori concordate con i datori di lavoro. Le interruzioni della guida, dedicate "unicamente al riposo" dell'autista, hanno il fine di tutelare gli interessi alla salute dei lavoratori e alla sicurezza degli utenti della strada, a discapito dell'interesse del datore di lavoro a una maggiore economicità e flessibilità nell'organizzazione dei trasporti; a fronte di tale sacrificio datoriale, i periodi di riposo sono esclusi dall'orario di lavoro e quindi dall'obbligo retributivo del datore di lavoro. Concludendo, tutto quanto sopra considerato consente di affermare che lo Stato italiano ha dato corretta attuazione alla dir. 2002/15/CE, dettando disposizioni relative ai principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro (ex art. 117 c. 3 Cost.), nel pieno rispetto di quanto disposto dal reg. CE 561/06 (...) Anche la censura relativa alla violazione dell'art. 3 Cost. è manifestamente infondata: Le lamentate disparità di trattamento rispetto ai conducenti su tratte inferiori ai 50 km e la violazione dell'art. 3 Cost. per irragionevolezza di un complesso normativo che retribuisce in modo inferiore "il lavoratore più sfruttato" sono questioni manifestamente infondate: è chiaro che la situazione lavorativa del conducente su tratte inferiori a 50 km non giustifica, in ragione della brevità delle stesse, la specifica disciplina di riposi e interruzioni e quindi di orario di lavoro (e il presupposto complesso bilanciamento dei contrapposti interessi della collettività, del lavoratore e dell'impresa, di cui sopra si è dato conto). Le due situazioni sono diverse e, ragionevolmente, sono trattate in modo diverso (cfr. C.d.A Brescia n. 253/2020). Nel merito è pacifico che le contestazioni mosse dall'Ispettorato ad (...) sono relative al pagamento della retribuzione dei tempi accessori nei turni con percorrenza superiore ai 50 km per il periodo specificamente indicato nella diffida accertativa censurata. Sul punto si è già espresso questo ufficio con un orientamene al quale si ritiene di dare continuità. L'unico nodo da sciogliere concerne l'individuazione della norma applicabile al rapporto di lavoro per cui è causa nel periodo oggetto della diffida accertative e del conseguente precetti in questa sede opposto (Reg. CE 561/2006 e D.Lgs. n. 234 del 2007 come vorrebbe (...) o L. n. 138 del 1958 come sostengono il convenuto e l' ITL). La L. n. 138 del 1958 disciplina l'"orario di lavoro del personale degli automezzi pubblichi di linea extraurbani adibiti al trasporto viaggiatori" e all'art. 6 prevede: "Si computa come lavoro effettivo per il personale viaggiante: a) Il tempo occorrente per la preparazione dell'autoveicolo, computato nel momento il cui il lavoratore è obbligato a presentarsi in servizio per approntare e prendere in consegna l'autoveicolo, a quello in cui è autorizzato a lasciarlo, incluse le soste di durata non superiore a 30 minuti; b) il tempo in cui e' richiesta la presenza del lavoratore sull'autoveicolo per essere pronto a partire e quello impiegato in autorimessa o durante il viaggio per qualsiasi lavoro di eccedenza, manutenzione e riparazione dell'autoveicolo; c) il tempo impiegato per la guida ed il periodo durante il quale il lavoratore e' comandato a disposizione dell'azienda; d) il tempo impiegato in prestazioni accessorie (...) f) un'aliquota non inferiore al 12 per cento nel periodo di tempo che il lavoratore trascorre inoperoso fuori residenza, e senza altro obbligo per esso che quello della reperibilita', ed escluso il periodo di riposo giornaliero di cui all'art. 7. Quindi, secondo la legge in questione i periodi di interruzione dalla guida, di riposo intermedio e di disponibilità sono da computarsi come lavoro effettivo e per tale ragione sono da retribuire. Il Regolamento CE, dopo aver definito, all'art. 1, il suo ambito di applicazione ("Disciplina dei periodi di guida, interruzioni e periodi di riposo per i conducenti che effettuano il trasporto di persone e di merci su strada"), nonché gli obiettivi preposti ("armonizzare le condizioni di concorrenza fra i diversi modi di trasporto terrestre, con particolare riguardo al trasporto su strada, nonché migliorare le condizioni di lavoro e di sicurezza stradale"), all'art. 2 specifica i casi di sua applicazione (tra cui, alla lettera b del comma 1, "il trasporto su strada di passeggeri effettuato da veicoli che, in base al loro tipo di costruzione e alla loro attrezzatura, sono atti a trasportare più di nove persone compreso il conducente") e all'art. 3 elenca i trasporti stradali che, invece, non rientrano nella sua disciplina, tra cui sono ricompresi, alla lett. a, quelli effettuati a mezzo di "veicoli adibiti al trasporto di passeggeri in servizio regolare di linea, il cui percorso non supera i 50 chilometri". Il Regolamento comunitario, inoltre, all'art. 7 definisce i periodi di interruzione dalla guida disponendo, al riguardo, che "Dopo un periodo di guida di quattro ore e mezza, il conducente osserva un'interruzione di almeno 45 minuti consecutivi, a meno che non inizi un periodo di riposo. Questa interruzione può essere sostituita da un' interruzione di almeno 15 minuti, seguita da una interruzione di almeno 30 minuti: le due interruzioni sono intercalate nel periodo di guida in modo da assicurare l'osservanza delle disposizioni di cui al primo comma". Il D.Lgs. n. 234 del 2007, che recepisce nell'Ordinamento Italiano il Regolamento Europeo di cui sopra, all'art. 2 prevede che "le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano ai lavoratori mobili alle dipendenze di imprese stabilite in uno Stato membro dell'Unione europea che partecipano ad attività di autotrasporto di persone e merci su strada contemplate dal regolamento (CE) n. 561/06 del Parlamento europeo e del Consiglio" e all'art. 3 prevede che "Sono esclusi dal computo dell'orario di lavoro i periodi di interruzione alla guida di cui all'art. 7 del regolamento (CE) 561/06, i riposi intermedi di cui all'art. 5, i periodi di riposo di cui all'art. 6 e, fatte salve le clausole di indennizzo o limitazione di tali periodi previste dalla contrattazione collettiva, i tempi di disponibilità di cui alla lettera b. Il punto b dell'art. 3 testè citato individua quali tempi di disponibilità "i periodi diversi dai riposi intermedi e dai periodi di riposo, durante i quali il lavoratore mobile, pur non dovendo rimanere sul posto di lavoro, deve tenersi a disposizione per rispondere ad eventuali chiamate con le quali gli si chiede di iniziare o riprendere la guida o di eseguire altri lavori". Come correttamente rilevato dalla società ricorrente è', quindi, pacifico che il Regolamento CE ed il D.Lgs. n. 234 del 2007 di suo recepimento escludono espressamente dal computo dell'orario di lavoro effettivo i periodi di interruzione dalla guida, i riposi intermedi e i tempi (periodi) di disponibilità dal computo dell'orario di lavoro effettivo Detto questo si ritiene di condividere le argomentazioni di (...) in ordine alla natura "speciale" del Regolamento CE 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007 rispetto alle norme contenute nella L. n. 138 del 1958. La L. n. 138 del 1958 aveva ad oggetto la disciplina dell'orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea extra urbani adibiti al trasporto viaggiatori, senza distinguere tra personale adibito a linee con percorrenze inferiori o superiori ai 50 km, mentre questa distinzione costituisce l'oggetto della disciplina temporalmente successiva di cui al Regolamento CE 561/2006 e al D.Lgs. n. 234 del 2007 volta, infatti, a regolamentare l'attività del personale addetto a trasporti con percorrenze superiori ai 50 km. Pertanto, come correttamente evidenziato da (...), la L. n. 138 del 1958 continua a disciplinare l'orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea extra urbani adibiti al trasporto viaggiatori su linee con percorrenza inferiore ai 50 km; la percorrenza superiore ai 50 km è lo specifico ambito di applicazione del Regolamento CE 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007 che escludono i periodi di interruzione dalla guida, dei riposi intermedi e dei periodi di disponibilità dal computo dell'orario di lavoro effettivo dei lavoratori addetti a linee con percorrenza superiore a 50 km. Quanto ai rapporti tra normativa comunitaria (e la disciplina che la recepisce) e la contrattazione collettiva si osserva che la prima prescrive testualmente: "occorre che le disposizione contenute nel presente regolamento non ostino a che datori di lavoratori e lavoratori possano concordare, tramite contrattazione collettiva o in altro modo, condizioni più favorevoli per i lavoratori ". La costruzione della frase, invero non chiarissima, ci porta ad interpretare detta "esigenza" come una possibilità offerta alle parti sociali (mediante contrattazione nazionale o decentrata/aziendale) di stabilire per il futuro condizioni più favorevoli. Posto che l'art. 3 del D.Lgs. n. 234 del 2007 deve essere interpretato alla luce e in armonia con le previsioni della normativa comunitaria che recepisce, non può che concludersi che la nuova disciplina non fa salve le eventuali precedenti diverse previsione della contrattazione collettiva, consentendo esclusivamente deroghe in melius ad opera della (eventuale) contrattazione collettiva successiva all'entrata in vigore del decreto legislativo stesso. Orbene, a parere di chi scrive, il CCNL siglato in data 28.11.2015 non ha derogato in melius alla normativa comunitaria, confermando invece la integrale applicabilità delle norme sull'orario di lavoro contenute nel Regolamento CE n. 561/2006 e nel D.Lgs. n. 234 del 2007 relativamente alle linee di competenza statale e per i servizi extraurbani con percorrenze superiori a 50 km. All'art. 27, comma 7 infatti, si legge: "per le autolinee di competenza statale e per i servizi extraurbani che rientrano nel campo di applicazione del regolamento CE n. 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007 e loro rispettive modifiche ed integrazioni successive, il computo dell'orario di lavoro nei limiti medio e massimi di cui ai commi 1 e 2, secondo capoverso, del presente accordo è disciplinato ai sensi delle predette normative". Non è affatto vero che la norma collettiva del 2015, come sostenuto dal convenuto, confermi la nuova disciplina comunitaria e statale solo per le ipotesi dei servizi di trasporto a lungo raggio esercitati con il doppio conducente in quanto il terzo periodo del comma 7 si occupa del servizi di trasporto con il doppio conducente al solo fine di sancire la equiparazione a lavoro effettivo ai fini dei riposi giornalieri e/o settimanali del tempo trascorso a bordo dal secondo autista nell'ambito dei servizi di trasporto esercitati con il doppio conducente. Neppure la previsione abrogativa contenuta nel comma 9 consente di ritenere che il CCNL unitario AutofferotranvieriInternavigatori Mobilità del 2015 abbia fatto salva la disciplina della remunerazione dei tempi intermedi anteriore alla normativa CE in quanto demanda ad accordi aziendali la determinazione dei tempi accessori, mentre è pacifico che (...) non ha sottoscritto, perché la RSU si è opposta, alcun accordo aziendale specifico sul punto e non è contestato che la società ricorrente non è azienda associata ANAC. Circa l'accordo integrativo aziendale del 29.7.2002 si osserva che esso non riguarda specificamente l'orario di lavoro e la remunerazione dello stesso ma piuttosto il Premio di Risultato come risulta espressamente dal titolo ("accordo integrativo sul premio di risultato ") e dalla premessa nella quale le parti danno atto dell'intenzione di raggiungere un accordo di secondo livello per la definizione di detto premio come previsto dall'Accordo Nazionale del 25.7.97. In secondo luogo, come anticipato, la contrattazione di secondo livello alla quale alludono le norme comunitarie e il CCNL del 2015, in grado di derogare alla disciplina da essi posta e' soltanto quella successiva all'entrata in vigore della legge e alla sigla del contratto collettivo vigente. In ogni caso anche se volessimo interpretare l'art. 3 del D.Lgs. n. 234 del 2007 che fa salve "le clausole di indennizzo o limitazioni dei periodi di riposo intermedio di cui all'art. 5 del regolamento comunitario e i periodi di riposo di cui all'art. 6 medesima fonte, previste dalla contrattazione collettiva" come norma che "guarda" al passato, non potremo concludere che il CCNL del 23 luglio 1976 costituisca deroga in melius alla normativa di recepimento del regolamento comunitario per i dipendenti di (...) Detto più chiaramente: la vecchia normativa pattizia del 1976 si occupa di orario di lavoro agli art. 4 A1 e 4C che prevedono testualmente: 4/A.1 - Personale viaggiante. L'orario medio giornaliero di lavoro del personale viaggiante e di quello graduato è fissato in ore 6,40, compresi i tempi accessori. L'orario di lavoro massimo giornaliero è fissato come segue: - personale viaggiante e graduato dei servizi urbani: ore 7,15'; - personale viaggiante e graduato dei servizi extraurbani: ore 8. Gli orari sopra indicati sono stabiliti sulla base della normale settimana lavorativa (sei giorni). L'orario medio giornaliero di lavoro sarà calcolato individualmente sull'intero ciclo dei turni al quale gli agenti sono interessati, ciclo che ai fini del calcolo non deve comunque superare sette settimane. Per tener conto delle esigenze specifiche di ciascuna azienda, resta di pertinenza degli accordi aziendali la determinazione; a) del nastro lavorativo; b) del numero e della durata delle riprese; c) degli intervalli fra le riprese; d) delle modalità di cambio; e) dei tempi accessori. Art. 4/C Orario di lavoro (Norme per le Aziende associate all'A.N.A.C.) Per l'orario di lavoro si fa riferimento alle norme di legge. La durata dell'orario di lavoro del personale di ogni ordine e grado è fissata in ore 6,40 giornaliere o 40 ore settimanali. La durata dell'orario di lavoro del personale di ogni ordine e grado è fissata in ore 6,40 giornaliere o 40 ore settimanali. In caso di prestazione di lavoro in limite eccedente quello sopra indicato si applicano le disposizioni di cui al successivo art. 17. Per gli impiegati tecnici la cui prestazione è direttamente connessa con il lavoro degli operai dell'officina può adottarsi, fermo restando la durata stabilita dal presente articolo, l'orario determinato per tali operai. Per il personale, agli effetti del computo del lavoro effettivo, viene riconosciuto il tempo previsto dalla lett. f) dell'art. 6 L. 14 febbraio 1958, n. 138 (12%) anche in caso di non richiesta reperibilità. Il nastro lavorativo del personale viaggiante è di 12 ore giornaliere. Le eventuali eccedenze per comprovate esigenze di esercizio, sono individuate e regolate aziendalmente dalle parti. Nessuna delle due parti accenna a contratti aziendali sottoscritti ai sensi dell'ultimo periodo dell'art. 4/A1, con la conseguenza che deve ritenersi che non siano mai stati stipulati contratti di prossimità in materia di orario di lavoro che, per tener conto delle "esigenze specifiche" dell'azienda, abbiano disciplinato i "tempi accessori". E' inoltre pacifico, lo si ripete, che (...) non è affiliato ANAC con la conseguenza che neppure la norma contenuta nell'art. 4/C del CCNL del 1976 può applicarsi alla fattispecie in esame e, dunque, non puo' ritenersi che al tempo in cui (...) ha cominciato ad applicare le norme comunitarie e quelle nazionali che hanno recepito le prime (dal 2013 in poi) la società ricorrente fosse tenuta ad applicare norme collettive di maggior favore per i lavoratori. Tanto basterebbe per dichiarare la illegittimità della diffide accertativa, nonché del precetti in questa sede opposti (che si fondano sulla prima) in quanto le opzioni ermeneutiche delle norme e, in particolare, la valutazione dell'ambito applicativo delle stesse effettuata da organi amministrativi non vincolano il giudice. Tuttavia si osserva che la complessità della materia e le probabili future conseguenze "a cascata" che potranno derivare dalle valutazioni dell'ITL di Mantova, impongono di prendere posizione in ordine agli ulteriori presupposti delle diffide. Circa le fonte regionale, sarà sufficiente ricordare che la L.R. n. 6 del 2012 che riguarda il settore dei trasporti pubblici elenca i compiti della Regione Lombardia in materia e fra questi non rientra la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle imprese che li gestiscono In ogni caso, non è neppure ipotizzabile che una legge regionale possa derogare a un regolamento comunitario recepito da norma statuale. Vi è da aggiungere, inoltre, che il richiamato allegato C alla L.R. n. 11 del 2009 " sopravvissuto" all'abrogazione di detta legge ad opera della L.R. 4 aprile 2012, come correttamente rilevato da (...), riporta formule matematiche per il calcolo dei costi e ricavi standard dei vari servizi di trasporto e richiama i tempi accessori di cui alla L. n. 138 del 1958 al solo fine della determinazione dei finanziamenti e dei contributi regionali ai gestori di servizi di trasporto (al fine, quindi, della determinazione del costo del lavoro) e non invece, come vorrebbero i convenuti, per disciplinare il tempo di lavoro degli autisti. Peraltro, vale la pena ripeterlo, detto allegato continua ad essere applicato alla categoria degli autisti addetti a tratte inferiori ai 50 km, posto che per quelli addetti a tratte superiori trova applicazione l'art. 3 del D.Lgs. n. 234 del 2007 adottato in applicazione del Reg. CE n. 561/2006. Per completezza andrà rilevato, infine, che con gli interpelli n. 24/2008 e n. 27/2008 formulati, rispettivamente, dall'UGL del settore autotranvieri e dall'Ordine dei Consulenti del lavoro sulle quali si fondano (quanto meno in parte) le diffide accertative oggetto di causa, il Ministero del lavoro non fornisce una risposta diretta e limpida alle questioni che ci occupano, ossia la remunerabilità o meno dei periodi di interruzione dalla guida, dei riposi intermedi e dei periodi di disponibilità dei lavoratori addetti a linee con percorrenza superiore a 50 km e, quindi, in merito alla inclusione o meno dal computo dell'orario di lavoro effettivo di dette "pause". L'interpello n. 24/2008, esclude (utilizzando la formula dubitativa "pare") l'applicabilità della normativa del regolamento CE allorchè il percorso "cumulativo" delle singole tratte e/o linee eseguite dallo stesso conducente superi i 50 km; precisa che dalle previsioni normative oggetto del Regolamento n.561/2006 non emerge alcuna distinzione tra trasporto urbano e extraurbano e, infine, risponde al quesito se la normativa comunitaria "abbia di fatto superato e/o abrogato le vecchie normative di settore quali il R.D.L. n. 2328 del 1923 e la L. n. 138 del 1956". Per quanto riguarda il terzo quesito, ossia l'unico che qui rileva, si osserva che il Ministero del Lavoro ha, ad avviso di questo Tribunale, confermato l'applicabilità del Regolamento CE 561/2006 per i conducenti impegnati in tratte superiori ai 50 km (con esclusione ai fini del raggiungimento di tale distanza della cumulabilità). Il parere del Ministero del Lavoro n. 27/2008 fornisce indicazioni in merito alla disciplina applicabile ai dipendenti di trasporto che svolgano attività differenti nell'arco della stessa giornata o della stessa settimana e alla disciplina relativa alla durata massima dell'orario di lavoro e ai riposi giornalieri e periodici applicabile ai lavoratori adibiti a diverse attività lavorative, alcune delle quali rientranti nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 66 del 2003 e altre in quello del D.Lgs. n. 234 del 2007 e del regolam. CE n. 561/2006 del 15 marzo 2006. Le "direttive interpretative "contenute nel primo interpello sono univoche ai fini che ci occupano soltanto laddove escludono che la normativa comunitaria abbia un effetto abrogativo delle vecchie normative di settore quali il R.D.L. n. 2328 del 1923 e la L. n. 138 del 1958. Il concetto è stato richiamato e ribadito dal Ministero dell'Interno in data 2.10.2018 allorchè ha risposto all'interpello di ASTRA. Detta presa di posizione è del tutto condivisibile in quanto, come anticipato, le normative di settore restano indubbiamente in vigore in ordine alla disciplina dell'orario di lavoro (e della retribuibilità dello stesso) dei conducenti addetti a linee con percorrenza inferiore a 50 km in quanto espressamente esclusi dall'ambito applicativo del regolamento CE n.561/2006. Le ulteriori indicazioni contenute negli interpelli n. 24/2008 e 27/2008 non appaiono avvalorare la tesi dell'ITL del Lavoro di Mantova, ma sembrano piuttosto sorreggere le argomentazioni di (...). Con il primo interpello il Ministero del Lavoro, come anticipato, ha infatti confermato la applicabilità del Regolamento CE n. 561/2006 per i conducenti impegnati in tratte superiori ai 50 km (con esclusione ai fini del raggiungimento di tale distanza della cumulabilità delle singole tratte) evidenziando, a supporto dell'assunto, che "questa interpretazione appare in linea con il punto 24 del preambolo del citato regolamento" in base al quale "gli Stati membri dovrebbero stabilire regole opportune per i veicoli impiegati nei servizi regolari di trasporto passeggeri operanti entro un raggio di 50 km". Come correttamente evidenziato dal procuratore di (...), nello stesso atto amministrativo il Ministero del Lavoro riconosce espressamente, il carattere di specialità della disciplina di cui D.Lgs. n. 234 del 2007 "in particolare per la categoria di lavoratori mobili, cui si applica la disciplina comunitaria sui tempi di guida e di riposo prevista dal regolamento CE n. 561/2006, opera la disciplina speciale introdotta dal D.Lgs. n. 234 del 2007 in attuazione della direttiva CE n. 2002/15 che ha completato la disciplina del tempo di lavoro complessivamente prestato dai conducenti nello svolgimento delle proprie mansioni . Diversamente, per i soli lavoratori mobili che non rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento CE n. 561, la disciplina dell'orario è dettata dal D.Lgs. n. 66 del 2003, fatta eccezione per gli art. 7,8,9 e 13 (riposo giornaliero, pausa, riposo settimanale e lavoro notturno) con la precisazione che per il personale mobile dipendente da aziende autoferrotranviarie, trovano applicazione le relative disposizioni di cui al R.D.L. n. 2328 del 1923 e alla L. n. 138 del 1956. Pure l'atto di interpello n. 27 del 20.3.2009 (che in verità, come anticipato, verte sui rapporti tra il D.Lgs. n. 66 del 2003 e il D.Lgs. n. 234 del 2007 e non su quelli fra il secondo e la L. n. 138 del 1958.) sembra confermare l'applicazione, per le fattispecie ivi ricomprese, della normativa di cui al Regolamento CE 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007. In esso si legge testualmente "si deve ritenere che il D.Lgs. n. 234 del 2007 sia applicabile a tutti i lavoratori di aziende che svolgono autotrasporto di persone o merci purché effettuino spostamenti (ed escludendo, quindi, il personale addetto esclusivamente a mansioni di tipo amministrativo) e, naturalmente, purché le attività rientrino nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 561/2006. Ciò in quanto la effettiva applicazione dello stesso Decreto deriva non già dall'attività espletata dall'impresa ma dalle concrete attività esercitate dai lavoratori mobili ed espressamente citate dalla normativa comunitaria ivi recepita. Per tutte le attività non contemplate soccorre, invece, la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 66 del 2003". Per tutte le considerazioni di cui sopra, l'addebito oggetto della diffida accertativa che ha originato il precetto opposto appare insussistente e, quindi, deve essere accolto il ricorso. Infine si osserva che l'istanza di ammissione della prova testimoniale volta a dimostrare che i cd Turni Ce elaborati da (...) sono il frutto di più tratte inferiori a 50 km e linee diversificate fra loro è stata implicitamente rigettata in quanto oltre a smentire il presupposto sul quale è stato emesso il precetto impugnato, costituisce argomento inammissibilmente nuovo. Innanzitutto, come condivisibilmente osservato dalla Corte di Appello di Brescia, le cui argomentazioni saranno qui richiamate ex art. 118 d.a. c.p,c., è innegabile che il presupposto di fatto che il convenuto fosse adibito al trasporto passeggeri su tratte extraurbane con percorrenza superiore a 50 Km, ha costituito la base della diffida accertativa emesse dalla ITL e sulla quale il convenuto ha fondato l'atto di precetto notificato ad (...). In altri termini, proprio sulla base del presupposto di fatto pacifico che gli appellanti fossero addetti alle suddette tratte, è scattato l'accertamento della ITL di Mantova, la quale ha ritenuto sussistere la violazione della L. n. 138 del 1958, appunto perché (...) aveva applicato a detti autisti la normativa di fonte europea (che riguarda appunto le linee extraurbane superiori a 50 Km) che secondo i funzionari della ITL non andava invece applicata. Ed invero, in tutte le diffide accertative, i funzionari hanno specificato chiaramente che la violazione era riferita "ai turni denominati CE, relativi ai servizi di trasporto pubblico extraurbano di passeggeri in servizio regolare di linea, con percorrenza superiore ai 50 km, che hanno l'obbligo dell'inserimento della carta tachigrafica del conducente (digitale o analogica) e di registrare l'attività di guida attraverso il tachigrafo" (cfr. le diffide accertative in atti). Se così non fosse stato, non sarebbe sorto alcun contenzioso, posto che la normativa di fonte europea non trova applicazione nel caso di tratte extraurbane di percorrenza inferiore ai 50 Km. I lavoratori azionando queste diffide accertative e notificando alla società il relativo atto di precetto, hanno in sostanza fatto proprio l'accertamento di fatto operato dalla ITL e posto alla base delle diffide (ossia l'essere autisti assegnati ai turni denominati CE, nel senso di essere assegnati a linee extraurbane con percorrenza superiore a 50 Km). Con la conseguenza che negando ora la sussistenza del suddetto presupposto di fatto, finiscono per negare i fatti su cui essi stessi hanno fondato la loro azione, attivando le diffide accertative emesse dalla ITL, così mutando la causa petendi della loro domanda. E' vero che i lavoratori, costituendosi nel giudizio di opposizione agli atti di precetto e alle diffide accertative poste alla base degli stessi, avrebbero potuto ampliare la causa petendi dell'originaria azione, appunto contestando il presupposto di fatto in questione nel caso in cui la tesi in diritto su cui si fondavano le diffide fosse stata disattesa, ma in questo caso avrebbero dovuto svolgere domanda riconvenzionale (cosa che non hanno fatto), attesa l'assoluta differenza della causa petendi della nuova azione, rispetto a quella esercitata con l'attivazione delle diffide di accertamento. Ciò al fine di consentire alla società opponente di esercitare il proprio diritto di difesa al riguardo, anche sotto il profilo istruttorio. Già queste considerazioni sarebbero sufficienti a fondare il rigetto della censura. In ogni caso, per completezza, deve rilevarsi che le deduzioni degli appellanti sull'insussistenza del presupposto di fatto qui in discussione, sono alquanto generiche e non consentono di comprendere in cosa consistesse lo "spezzettamento" dei percorsi di linea su tratte extraurbane superiori a 50 Km e come le linee "spezzate" incidessero sul dato oggettivo della lunghezza della tratta superiore a 50 Km. Ed i capitoli di prova formulati in tema, scontano lo stesso vizio di genericità, con conseguente loro inammissibilità. Peraltro, va pure rilevato, a decisa smentita delle deduzioni in fatto dei lavoratori, che nel novembre 2011, la nuova RSU appena eletta, contestando l'applicazione aziendale del Regolamento CE 561/2006 e del D.Lgs. n. 234 del 2007, non rinnovò gli accordi aziendali intervenuti nel corso del 2011 e relativi ai turni extraurbani, chiedendo di eliminare i c.d. turni CE, "spezzando" le linee al fine di evitare servizi di trasporto con percorrenza superiore a 50 Km (questo fatto è stato compiutamente dedotto da (...) al punto 14 dell'esposizione in fatto contenuta negli atti di opposizione di 1 grado, e non è stato contestato dai lavoratori): dal che non può che desumersi che sino a quel momento non esistevano in (...) linee di percorrenza superiore a 50 Km "spezzate" e poiché non risulta che (...) abbia accolto la richiesta della RSU, deve ritenersi che dette linee "spezzate" non siano mai state introdotte in azienda neppure successivamente (e in particolare nel periodo che rileva ai fini del giudizio, dal 2013 in poi) (cfr. C.d.A Bs n. 252/2020). Per tutte le considerazioni di cui sopra, l'addebito oggetto della diffida accertativa appare insussistente con il conseguente accoglimento dell'opposizione al precetto che si fonda sulla prima. La complessità delle questioni trattate, la natura interpretativa delle stesse e, non da ultimo, il fatto che il convenuto ha agito sulla scorta di un atto di un'autorità pubblica, impongono di compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra eccezione, deduzione o istanza disattesa o assorbita, così dispone: - dichiara l'inefficacia del precetto opposto e della diffida accertativa su cui si fonda; - dichiara l'inesistenza del credito retributivo del convenuto oggetto della diffida accertativa azionata con il precetto opposto; - dichiara compensate fra le parti le spese di lite Così deciso in Mantova il 27 maggio 2021. Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA Sezione Seconda Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 713/2017 promossa da: (...) S.P.A. rappresentata e difesa dall'avv. (...), e con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. (...); ATTRICE contro (...) (...) SRL rappresentati e difesi dall'avv. (...) e con domicilio eletto presso il suo studio in Mantova CONVENUTI e con l'intervento di (...) SPA QUALE MANDATARIA DI (...) SRL rappresentata e difesa dall'avv. (...) e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma INTERVENUTA CONCLUSIONI per l'attrice: in via preliminare: per tutti i motivi di cui in narrativa, anche singolarmente considerati, rigettare l'istanza di sospensione del presente giudizio avanzata dai convenuti in quanto priva di ogni fondamento. Nel merito: per tutti i motivi di cui in narrativa, anche singolarmente considerati, e/o accertati i presupposti di cui all'art. 2901 c.c. così come sopra descritti, revocare e, per l'effetto, dichiarare inefficace nei confronti di parte attrice il contratto di locazione del 25.02.2016 a ministero Notaio (...) di Viadana (Mn), n. 34792 Rep. - n. 21479 Racc., con cui i Sig.ri (...) hanno concesso in locazione all'az. (...) srl in persona del legale rappresentante pro tempore, il compendio immobiliare sito nel Comune di Roverbella (Mn), N.C.E.U fg. 26, mapp. 92 sub 1, 93 sub 1, 142,143,144, 145, cat. D/10. Inoltre per tutte le ragioni esposte in narrativa, accertata nel presente giudizio la responsabilità processuale aggravata dei convenuti per lite temeraria ex art. 96, 1° comma, c.p.c. condannarsi questi ultimi, in solido tra loro, al relativo risarcimento dei danni in favore di (...) spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, nella misura che il giudice riterrà equa, o, quantomeno, al pagamento della somma pecuniaria di cui all'art. 96, 3° comma c.p.c., da determinarsi equitativamente, oltre agli interessi dalla domanda al saldo effettivo. in ogni caso: con vittoria di spese e compensi di lite, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, CPA e IVA come per legge. per i convenuti: In via principale e pregiudiziale: sospendersi la seguente causa in attesa della risoluzione del giudizio pregiudicante R.G. 2531/2017 Tribunale di Verona. In via preliminare: dichiararsi inammissibile la domanda per mancata attuazione della procedura di mediazione ex lege 9/8/13 n. 98. In ogni caso: rigettarsi le domande col favore delle spese vinte le spese in ogni caso. Per l' intervenuta: precisa le conclusioni come da prima memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. in data 10/7/17 (...) in atti versata. IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in data 16/2/17, ritualmente notificato, (...) spa, con sede in Milano, ha evocato in giudizio (...), (...), (...), tutti residenti in Roverbella, e l'(...) srl, con sede in Roverbella, esponendo: 1) che, con contratto stipulato in data 20/4/15, il (...) soc. coop. (all'epoca della notifica dell'atto di citazione (...) spa) aveva concesso all'(...) di (...), corrente in Roverbella, Fraz. Pellaloco, Strada Pellaloco n. 25/8, in persona del titolare (...), un mutuo chirografario agrario per complessivi Euro 120.000,00 della durata di 60 mesi; 2) che, a garanzia delle obbligazioni derivanti dal suddetti finanziamento, in data 9/4/15 (...) e (...) avevano prestato in favore del (...) fideiussione specifica fino all'importo di Euro 120.000,00; 3) che la parte debitrice si era resa inadempiente al contratto di finanziamento non avendo provveduto al regolare versamento delle rate secondo le scadenze e gli importi indicati nel piano di ammortamento risultando così debitrice nei confronti del (...) del complessivo importo di Euro 125.585,47 oltre ai successivi interessi moratori dal 17/9/16 al saldo effettivo; 4) che, a fronte dell'inadempimento di cui sopra, con raccomandata A.R. in data 27/5/16 il (...) aveva comunicato sia alla parte debitrice che ai garanti (...), e (...) lo scioglimento di tutti i rapporti in corso, nonché la decadenza dal beneficio del termine con contestuale richiesta di pagamento del dovuto; 5) che nulla ottenendo il (...) aveva agito in via monitoria nei confronti sia della debitrice principale che dei garanti, tra cui (...), ottenendo l'emissione da parte del Tribunale di Verona in data 10/1/17 del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 141/2017 per l'importo di Euro 125.585,47 nei confronti di parte debitrice e dei garanti (limitatamente all'importo garantito) oltre interessi come da domanda e spese del procedimento monitorio; 6) che, con atto del 25/2/16 a ministero notaio (...) di Viadana n. 34792 Rep. e 21479 Racc., quindi un anno dopo la fideiussione in data 9/4/15, (...), (...), e (...) avevano concesso in locazione per la durata di 30 anni al canone irrisorio di Euro 2500,00 annuo all'(...) srl di cui (...) era amministratore unico, l'unico compendio immobiliare rimasto in loro proprietà, sito nel Comune di Roverbella NCEU fg. 26, mapp. 92 sub 1, 93 sub 1, 142,143,144,145, cat. D/10 su cui tra l'altro risultavano iscritte di recente due ipoteche giudiziali per un importo complessivo di Euro 63.000,00 ad ulteriore dimostrazione del grave pregiudizio delle ragioni creditorie del (...); 7) che l'atto di disposizione de quo era senza dubbio stato posto in essere al fine e nella consapevolezza di tutte le parti di arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie di parte attrice; 8) che, alla luce delle circostanze di cui sopra parte attrice aveva pieno titolo e diritto di pretendere che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti l'atto in data 25/2/16 n. 34792 Rep. e 21479 Racc. notaio (...). Ciò premesso l'attrice ha chiesto di revocare e dichiarare inefficace nei suoi confronti il contratto di locazione del 25.02.2016 a ministero Notaio (...) di Viadana (Mn), n. 34792 Rep. - n. 21479 Racc., con cui (...), (...) e (...) hanno concesso in locazione all'az. (...) srl in persona del legale rappresentante pro tempore, il compendio immobiliare sito nel Comune di Roverbella (Mn), N.C.E.U fg. 26, mapp. 92 sub 1, 93 sub 1, 142,143,144, 145, cat. D/10. Si sono ritualmente costituiti tutti i convenuti chiedendo l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Disposto l'espletamento di consulenza tecnica d'ufficio, all'udienza del 12/3/19 fissata per la precisazione delle conclusioni nessuno è comparso di tal che si è provveduto ex artt. 181 e 309 c.p.c.. Con atto di intervento ex art. 111 c.p.c. in data 25/3/19 è intervenuta in giudizio (...) spa, non in proprio ma in qualità di mandataria di (...) srl, quale cessionaria del credito vantato dal (...) spa, alle cui deduzioni e richieste si è riportata. Dopo alcuni rinvii, la causa è stata da ultimo trattenuta per la decisione all'udienza del 7/7/2020 sulle conclusioni delle parti come sopra riportate. Ciò premesso si osserva quanto segue. I convenuti hanno anzitutto eccepito che il decreto ingiuntivo n. 141/2017 Tribunale di Verona è stato opposto e che era pendente avanti allo stesso Tribunale il giudizio di opposizione rubricato al n. 2531/2017, chiedendo la sospensione della presente causa in attesa della decisione di quel giudizio. La richiesta di sospensione è infondata. Come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte la pendenza del giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo non osta alla declaratoria di inefficacia dell'atto pregiudizievole alle ragioni del creditore né comporta la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c. (Cass. Civ. Sez. II 1/6/07 n. 12849). La difesa dei convenuti ha poi eccepito il mancato esperimento della procedura di mediazione ex D.Lvo n. 28/10 e succ. mod.. Anche tale eccezione è infondata. Invero l'azione revocatoria non rientra tra quelle per le quali è obbligatorio il previo esperimento della mediazione per la conciliazione (per tutte Trib. Napoli, Sez. XI, 24/8/2020 n. 5519). Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. Nel giudizio, come si è detto, è intervenuta (...) spa, non in proprio ma quale mandataria di (...) srl. Non si ritiene di condividere l'orientamento di Cass. Civ., Sez. III, 12/12/17 n. 29637, secondo cui "nell'azione revocatoria il diritto controverso è quello all'inefficacia dell'atto e non il diritto di credito sicché il cessionario del credito non subentra automaticamente nel diritto controverso, non trovando applicazione l'art. 111 c.p.c. (per il caso di revocatoria fallimentare: Sez. I, sentenza n. 25660 del 4/12/2014 - Rv. 633414). Detto in altri termini, la cessione del credito non ha trasferito il diritto all'inefficacia della vendita. E questa Corte si è di recente espressa, in modo analogo, ritenendo inapplicabile l'art. 111 c.p.c., nel caso di esercizio di revocatoria, ex art. 67, comma 1, n. 1 L.F., della locazione di immobile, qualora avvenga la vendita forzata dell'immobile, con cui si trasferisce la locazione, nei limiti di opponibilità ex art. 2923 c.c., ma non il diritto di farne dichiarare l'inefficacia (in tal senso Cass. Civ. Sez. 1, Sentenza n. 16652 del 22/7/2014, che richiama a sua volta i principi della sentenza n. 8419/2000). La Corte in quel caso faceva discendere l'inammissibilità dell'intervento dell'aggiudicatario, nel giudizio promosso dal curatore ex art. 67 legge fall. . . .". Il Giudicante osserva al riguardo che alla cessione del credito consegue il trasferimento della titolarità del diritto di cui esso rappresentava l'oggetto, e così delle azioni a tutela di quel diritto, incidentalmente rilevando che, anche diversamente opinando, in ogni caso tali azioni spetterebbero al cessionario in base al generale principio della tutela giurisdizionale dei diritti. Quello che la citata sentenza definisce il diritto "all'inefficacia dell'atto" non è, a parere del Giudicante, il diritto controverso, che era e resta il diritto di credito, ma una delle possibili estrinsecazioni, sul piano processuale, della tutela del diritto, che al cessionario non può essere inibita, non potendosi impedire allo stesso, divenuto nuovo titolare del diritto, di agire in tutti i modi consentiti dall'ordinamento per la sua realizzazione, e quindi anche in revocatoria in considerazione di una futura e eventuale azione esecutiva. E' vero che la cessione del credito ha un effetto più circoscritto rispetto alla cessione del contratto, atteso che, in caso di cessione di un credito avente fonte contrattuale, vi è una scissione tra la titolarità del rapporto contrattuale, che rimane al cedente, e la titolarità del diritto di credito ceduto, che invece viene trasmessa al cessionario, il quale acquista però solo i diritti e le azioni rivolti alla realizzazione del credito ceduto ed all'adempimento della prestazione, non anche le azioni contrattuali. Ma non vi è dubbio che nell'oggetto della cessione rientra ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi appunto tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito (Cass. Civ., Sez. II, 6/7/18 n. 17727 in motivazione) Deve pertanto, a parere del Giudicante, ritenersi ammissibile l'intervento del cessionario ex art. 111 comma terzo c.p.c. nel giudizio in corso, fermo restando che, in difetto di estromissione del cedente sulla base del consenso di tutte le parti, il rapporto processuale continua a svolgersi tra le parti originarie dandosi così luogo a una sostituzione processuale del dante causa (sostituto) all'avente causa (sostituito). In tal senso si veda Cass. Civ. Sez. I 22/10/09 n. 22424, secondo cui la cessione del credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell'art. 111 c.p.c. la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso di intervento di quest'ultimo, fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti. Vanno quindi delibate le domande di (...), non estromessa dal giudizio. Va preliminarmente ricordato che, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un Istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1 prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ("scientia damni"), ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento di denaro da parte della Banca; l'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre fare riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (per tutte Cass. Civ. Sez. III 10/7/14 n. 15773). Va ricordato poi che, come pure ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, in ipotesi di più condebitori solidali verso un unico creditore, si configura una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi, correnti tra creditore ed ogni singolo debitore solidale ed aventi in comune solo l'oggetto della prestazione, di tal che creditore ha la facoltà, ex art. 1292 c.c., di scegliere il condebitore solidale a cui chiedere l'integrale adempimento, con la conseguenza che la garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c. grava sul patrimonio di ciascun coobbligato separatamente e per l'intero credito. Pertanto qualora un condebitore solidale compia atti di disposizione patrimoniale che diminuiscano la detta garanzia generica gravante sul suo patrimonio sì da renderla insufficiente in relazione all'entità del credito, il creditore può esercitare, nei confronti suoi e dell'acquirente, in presenza degli altri requisiti, l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c., ancorché i rispettivi patrimoni degli altri coobbligati, siano sufficienti a fornire - ciascuno di essi - la garanzia ex art. 2740 c.c. (Cass. Civ. Sez. III 13/3/87 n. 2623). La domanda di parte attrice ha ad oggetto la scrittura privata autenticata il 25/2/16 dal notaio (...) ai nn. 34.792 di Rep. e 21479 di Racc. e denominata "Contratto di locazione fondo rustico". Trattasi di atto a titolo oneroso posteriore al sorgere del credito. Premesso che i contratti di locazione ultranovennale sono soggetti all'azione revocatoria, qualora ne ricorrano gli estremi, in quanto, pur non essendo traslativi del bene, ne limitano, anche indirettamente, la possibilità di aggressione in sede esecutiva, pregiudicando le ragioni del creditore (Cass. Civ. Sez. II 16/11/2020 n. 25854; Trib. Treviso, Sez. I, 22/1/19 n. 125), era quindi onere della Banca provare: a) la sussistenza del diritto verso il debitore; b) l'eventus damni, e cioè il pregiudizio arrecato dall'atto di disposizione alla garanzia patrimoniale che assiste il credito ex art. 2740 c.c.; c) la scientia damni o fraudis, e cioè il fatto che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore e anche, trattandosi di atto a titolo oneroso, che il terzo fosse consapevole del pregiudizio arrecato ai creditori. Quanto alla sussistenza del diritto va ricordato che l'azione revocatoria spetta a chi è titolare di un diritto di credito che può anche essere a termine o sottoposto a condizione, illiquido o litigioso e che, come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, nel giudizio ex art. 2901 c.c., è sufficiente al creditore procedente l'allegazione di un decreto ingiuntivo nei confronti del preteso debitore per dimostrare la titolarità di un credito meritevole di tutela, in quanto già esaminato e ritenuto provato in sede monitoria (Cass. Civ. Sez. II 1/6/07 n. 12849). Certo è però che, per effetto dell'intervenuta cessione di cui sopra si è detto, l'attuale titolare del credito è pacificamente (...) s.r.l e non più (...), la cui azione revocatoria non può quindi trovare accoglimento. Segue il rigetto della domanda di condanna per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.. Le spese della ctu, come liquidate, vanno poste definitivamente carico di parte attrice. Le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti in considerazione della reciproca soccombenza, atteso che le parti convenute soccombono in ordine alle plurime eccezioni preliminari sollevate, rilevando incidentalmente che nessuna norma prevede, per il caso di soccombenza reciproca delle parti, un criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza dell'una o dell'altra basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna di esse, dovendo essere valutato l'oggetto della lite nel suo complesso (Cass. Civ. Sez. I 24/1/13 n. 1703). P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Rigetta le domande; 2) Ordina ex art. 2668 c.c. alla competente Agenzia delle Entrate - Territorio, Servizio di pubblicità immobiliare, la cancellazione della trascrizione dell'atto introduttivo del presente giudizio; 3) Pone definitivamente le spese di Ctu, come liquidate, a carico di parte attrice; 4) Dichiara interamente compensate le spese del giudizio. Così deciso in Mantova nella camera di consiglio dell'intestato Tribunale il 11 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Mantova Seconda Civile Il Tribunale, nella persona del dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di cui al n. 2468/17 di R.G., promossa con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo da: (...) con gli Avv.ti (...) - attore opponente - contro (...) S.p.a. con l'Avv. (...) - convenuta opposta - Conclusioni delle parti Per parte attrice/opponente: Previa ogni più utile declaratoria del caso e di legge, ogni contraria istanza ed eccezione respinta, rifiutato il contraddittorio su domande nuove o modificate: Nel merito: Per i motivi tutti in fatto e diritto esposti in atti. Voglia l'Ill.mo Tribunale adito: - dichiarare invalido, inefficace, privo di giuridico effetto e, comunque, revocare il decreto ingiuntivo opposto n. 757/2017ING. e 1706/2017 R.G. Tribunale di Mantova, dichiarando, in ogni caso, che nulla è dovuto dall'attore opponente al convenuto istituto di credito; - accertare la sussistenza nel rapporto di finanziamento n. (...) delle nullità, dei vizi e della anomalie descritti in atti, dichiarando di conseguenza, in via gradata e subordinata, i) la nullità del contratto di finanziamento per carenza di forma scritta ex art. 117 TUB, con conseguente condanna dell'istituto alla rifusione in favore dell'attore di tutte le somme illegittimamente incassate in forza del contratto; ii) l'usurarietà delle clausole di determinazione degli interessi e delle penali contrattuali, con conseguente l'applicazione al contratto dell'art. 1815 II comma c.c. e condanna dell'istituto alla rifusione in favore dell'attore di tutte le somme illegittimamente incassate a titolo di interessi, commissioni e spese; iii) la violazione della normativa bancaria in tema di trasparenza, determinatezza delle condizioni economiche, tutela del consumatore e informativa contrattuale e precontrattuale, con conseguente applicazione al contratto dei tassi sostitutivi di cui all'art. 117 TUB o di quelli diversi ritenuti di giustizia. In ogni caso ponendo le somme dovute all'attore in compensazione anche parziale con l'eventuale residuo debito in sorte capitale di quest'ultimo nei confronti della banca. - In ogni caso, per i motivi di cui in atti, i) dichiarare (...) tenuto all'eventuale pagamento in favore della banca convenuta solo della minor somma che risulterà di giustizia o all'esito dell'esperenda istruttoria, una volta operate le eventuali opportune compensazioni del caso nei rapporti di dare-avere tra le parti e/o una volta rideterminati gli interessi eventualmente dovuti dallo stesso alla banca; ii) disporre nel miglior modo la cancellazione/modifica delle segnalazioni a sofferenza a carico dell'attore promosse dalla banca convenuta presso tutto le banche dati creditizie, pubbliche o private. Con integrale rifusione delle spese e competenze di giudizio, da attribuirsi ai sottoscritti difensori, i quali dichiarano di averne fatto anticipo ex art. 93 c.p.c.. In via istruttoria: disporsi integrazione di CTU contabile volta ad accertare la difformità tra il tasso di interesse corrispettivo effettivo e quello dichiarato in contratto e, conseguentemente, a ricalcolare gli interessi applicati al tasso sostitutivo BOT ex art. 124 c. 5 TUB, nonché, essendo stata accertata usura contrattuale in relazione agli interessi moratori, ad eseguire un ricalcolo che preveda l'azzeramento degli stessi, nonché di ulteriori interessi, commissioni e spese ex art. 1815 c. 2 epe. Per parte convenuta/opposta: Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così giudicare: In via preliminare: - concedere, per tutte le ragioni esposte nella presente comparsa di costituzione e risposta, la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto n. 757/2017 (R.G. 1706/2017) emesso dal Tribunale di Mantova in data 9.05.2017. Nel merito, in via principale: - respingere ogni domanda ed eccezione avversaria, in quanto infondata in fatto e in diritto, per tutte le motivazioni esposte nella presente comparsa di costituzione e, per l'effetto, confermare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo opposto n. 757/2017 (R.G. 1706/2017) emesso dal Tribunale di Mantova in data 9.05.2017. In via subordinata: - nella denegata, e non creduta, ipotesi di revoca, per qualsiasi ragione, del decreto ingiuntivo opposto, condannare comunque il sig. (...) al pagamento, in favore di (...) S.p.A., della somma di Euro 11.222,02, oltre interessi come da domanda dal dovuto al saldo effettivo, ovvero della diversa somma che sarà accertata nel corso del presente giudizio; In via ulteriormente subordinata: - nella denegata, e non creduta, ipotesi di revoca del decreto ingiuntivo per accertata nullità del contratto ex art. 117 T.U.B., dichiarare che il sig. (...) è debitore della società (...) S.p.A. e, per l'effetto, condannarlo al pagamento della somma corrispondente al capitale residuo in linea capitale, al netto delle rate già pagate. IN VIA ISTRUTTORIA Con riserva di formulare istanza di verificazione nella denegata ipotesi di ammissione del disconoscimento avversario e di ulteriormente dedurre, argomentare e produrre, nei termini di cui all'art. 183, comma VI, c.p.c.. Il tutto, con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre accessori di legge, così come previsto dal D.M. 55/2014. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Il sig. (...) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Mantova n.757/2017 del 9.5.2017 per la somma di euro 11.222,02 - oltre interessi e spese della fase monitoria- , in relazione alla pretesa creditoria avanzata da s.p.a. in forza di contratto di finanziamento finalizzato all'acquisto del veicolo (...) contratto con cui il mutuatario si obbligava al rimborso del prestito erogato a mezzo n. 60 rate mensili di Lire 587.100 ciascuna. Parte opponente ha eccepito, l'omessa prova del credito azionato, contestando la conformità all'originale della copia fotostatica del contratto prodotta in sede monitoria e la non attinenza dell'estratto conto depositato dalla ingiungente rispetto al rapporto negoziale oggetto di giudizio; ha affermato quindi l'usurarietà del contratto di finanziamento per superamento del tasso soglia usura con specifico riguardo agli interessi moratori e la violazione della normativa vigente in tema di trasparenza e informativa precontrattuale. Si è costituita in giudizio (...) s.p.a contestando in fatto e diritto le avverse deduzioni. All'esito dell'udienza del 5.12.2017, con ordinanza del 11.1.2018, il giudice istruttore, a fronte dell'espresso disconoscimento della conformità della copia all'originale e della mancata produzione in giudizio da parte della convenuta dell'originale del contratto di finanziamento, ha rigettato l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione formulata ex art. 648 c.p.c. dalla convenuta; concessi termini per memorie ex art. 183, comma VI c.p.c., il giudice ha autorizzato il deposito dell'originale del contratto di finanziamento prodotto tempestivamente da parte opposta e, con ordinanza del 11.4.2019, verificata ulteriormente l'impossibilità di una conciliazione tra le parti, ha disposto C.T.U. finalizzata ad accertare l'usurarietà degli interessi moratori; depositata la perizia, il giudice fissava udienza al 22.9.2020 ove le parti precisavano le conclusioni e il giudice tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti termini ex art. 190, comma 1 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda di parte attrice opponente deve essere rigettata con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto. E' infondata l'eccezione relativa alla non conformità del contratto di finanziamento prodotto in copia da parte opponente con l'originale dello stesso tempestivamente versato agli atti del presente giudizio dalla convenuta (...) s.p.a. previa l'autorizzazione del giudice istruttore di cui all'ordinanza del 6.12.2018: tra la copia e l'originale non si ravvisa alcuna difformità. Parimenti infondata è la circostanza secondo cui l'estratto conto versato in sede monitoria sarebbe riferibile ad altro diverso contratto di finanziamento: risulta infatti la piena corrispondenza fra i dati indicati in contratto e quelli risultanti dall'estratto conto prodotto in sede monitoria, venendo a coincidere, tra l'altro, il numero delle rate e l'importo finanziato e la data si scadenza delle singole rate. Va aggiunto al riguardo che, a fronte delle produzioni documentali di parte opposta (il contratto di finanziamento e l'estratto conto analitico) che comprovano la sussistenza del titolo posto a fondamento della pretesa creditoria e l'importo del credito maturato nel seguito del rapporto contrattuale, le contestazioni dell'opponente riguardo alle difformità rilevate sono solo genericamente allegate non individuandosi gli elementi e i dati in cui si è concretamente manifestata l'affermata diversità come richiesto da costante giurisprudenza in materia (Cass. Civ. n. 16557/2019). L'estratto conto depositato a sostegno della domanda riporta l'annotazione di tutte le movimentazioni intervenute con riferimento al rimborso del prestito concesso, sin dalla stipula del contratto e, rispetto a tali annotazioni, parte opponente non ha mosso specifiche e puntuali contestazioni. Anche rispetto all'eccepita usurarietà del contratto la domanda è risultata infondata. E' stata al riguardo disposta CTU contabile e il perito, con l'elaborato depositato in data 5.11.2019, ha preso atto del tasso di mora indicato (dall'Istituto di Credito originario contraente) nel documento negoziale e, per tale ragione, ha eseguito il ricalcolo degli interessi moratori sia al tasso legale che al tasso convenzionale, secondo le indicazioni del quesito; il CTU ha ancora evidenziato la previsione contrattuale di apposita clausola di salvaguardia, con la conseguente applicazione del tasso di mora, in corso di rapporto, nella misura indicata in estratto conto del 15%, considerando che, se ritenuto di attribuire rilevanza alla clausola di salvaguardia ed al tasso concretamente applicato, non si rendeva necessario procedere ad alcun ricalcolo dell'importo ingiunto, in quanto il tasso di mora del 15% non risulta superiore al tasso soglia usura. Sul punto, deve darsi atto del contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno definitivamente chiarito che, una volta verificatosi l'inadempimento, l'unico tasso d'interesse di mora rilevante ai fini della verifica di usurarietà è quello concretamente applicato. Tale è l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite, cui si ritiene di doversi conformare: "Anche in corso di rapporto sussiste l'interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell'accordo; una volta verificatosi l'inadempimento ed il presupposto per l'applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all'interesse in concreto applicato dopo l'inadempimento" In tema di contratti di finanziamento, l'interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto, e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati; tuttavia, mentre nel primo caso si deve avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell'accordo, nel secondo la valutazione di usurarietà riguarderà l'interesse concretamente praticato dopo l'inadempimento" (Cass., 18-09-2020, n. 19597). Anche per questo profilo la domanda non può dunque trovare accoglimento. Sono genericamente indicate anche la violazioni delle regole di trasparenza, risultando per contro bome tutti i dati relativi all'operazione finanziaria (compresi i dati finanziari necessari al perfezionamento e all'esecuzione dell'operazione e, in particolare, il TAN, pari al 11%, ed il TAEG, previsto in misura pari al 11,58%) emergano nelle condizioni particolari e generali del contratto: né è stata fornita prova da parte dell'opponente in merito all'applicazione di condizioni e/o tassi diversi da quelli pattuiti. Risulta ancora la sottoscrizione del contratto di finanziamento da parte del mutuatario - anche ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c. - avendo egli espressamente dichiarato '"di aver ritirato contestualmente copia conforme all'originale della presente richiesta completa in ogni sua parte". In merito alla richiesta di cancellazione della segnalazione di sofferenza alla Centrale Rischi, premesso che non vi è prova dell'esistenza della stessa non avendo l'opponente assolto al relativo onere di allegazione, in ogni caso deve darsi atto dell'orientamento giurisprudenziale su punto (Tribunale Roma, 24.7.2018; Tribunale Patti 29.5.2020) secondo cui l'omissione del preavviso della segnalazione non è di per sé idonea a rendere illegittima la medesima segnalazione non ravvisandosi alcun indice dal quale poter desumere che, in ipotesi di preventiva comunicazione, l'opponente sarebbe stato in grado di offrire elementi concreti tali da verosimilmente impedire la segnalazione stessa e non risultando nella specie controverso il permanere negli anni dell'inadempimento del mutuatario. La domanda di parte attrice opponente va pertanto rigettata e, per l'effetto, deve essere confermato il decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come segue in applicazione del DM 55/14, considerati in relazione al valore effettivo della causa: fase di studio: euro 500,00; fase introduttiva: euro 400,00; fase istruttoria: euro 1.200,00 fase decisionale: euro 1.000,00; compenso tabellare euro 3.100,00. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita o rigettata, così provvede: rigetta l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 757/2017 (R.G. 1706/2017) emesso dal Tribunale di Mantova in data 9.5.2017; condanna l'opponente (...) al pagamento delle spese di lite in favore dell'opposta (...) s.p.a., spese che vengono liquidate nella misura di euro 3.100,00 a titolo di onorari, oltre a spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; pone definitivamente a carico di parte opponente le spese della disposta CTU liquidate con separato decreto del 12.12.2019. Mantova, 27.1.2021 Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di cui al n. 3341/2016 di R.G., promossa con atto di citazione da (...) e (...), con l'Avv. Lu.Pa. contro Dott. (...) con gli l'avv.ti Ma. e Ga.Al. e con la chiamata in causa di (...) Limited, con gli avv.ti Ma.Fe. e St.Gi. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE I sigg.ri (...) e (...) convengono in giudizio il notaio dott. (...) affermando la sua responsabilità per i danni che essi hanno subito a seguito della mancata tempestiva trascrizione di atto di compravendita immobiliare. Gli attori riferiscono: che, con atto di compravendita in data 15 ottobre 2009, avevano acquistato dall'impresa edile (...) s.r.l. corrente in (...) V. (M.) un immobile sito in C. (M.), via L. 108; che avevano conferito incarico al notaio dott. (...), per la redazione dell'atto, la trascrizione e la voltura catastale; che essi avevano corrisposto il prezzo di Euro 267.500,00 per l'acquisto del bene; che, sempre a ministero notaio (...), da (...) veniva dato assenso a sottrazione da ipoteca iscritta dalla venditrice (...) Srl a garanzia del mutuo che la stessa (...) aveva acceso per acquistare il riferito cespite; che essi avevano altresì pagato l'importo di Euro 3.800,00 al notaio per l'espletamento del suo incarico; che successivamente, avevano concesso in locazione l'immobile acquistato alla sig.ra (...); che, con raccomandata a mani di (...) Srl del 1.8.2014, i sigg.ri (...) e (...) erano stati messi a conoscenza del fatto che l'impresa edile venditrice aveva ricevuto da parte di (...) la notifica di un pignoramento sull'immobile oggetto di vendita; che, effettuato un accesso in catasto e in conservatoria, gli attori avevano riscontrato come, alla data del 1.8.2014, il cespite risultasse ancora di proprietà di (...) Srl in quanto non era mai stata effettuata la corretta trascrizione del passaggio di proprietà; che era emerso precisamente che la nota di trascrizione del 26.10.2009 predisposta dal notaio recava l'indicazione del comune di Mantova in luogo di quello di Curtatone con la conseguenza che il trasferimento del bene oggetto della compravendita del 15.10.2009 non era mai stato trascritto nei registri immobiliari; che, nella stessa data del 1.8.2014, era stata inviata diffida al notaio (...) e a (...) contestando l'errore professionale del professionista e rilevando come (...) non potesse considerarsi soggetto terzo cui era ignota la riferita compravendita, avendo partecipato alla stessa, ricevuto direttamente dagli esponenti importi tramite assegni e sottoscritto atto di assenso a sottrazione di beni da ipoteca; che da una più dettagliata analisi era nell'occasione emersa anche un'ipoteca giudiziale iscritta in data 10.7.2014 sull'immobile da parte di (...) Spa per un importo di Euro 180.000,00 e ciò, in forza di decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Mantova nei confronti di (...) s.r.l.; che il Notaio (...), preso atto del proprio errore professionale, si era quindi adoperato provvedendo alla trascrizione dell'atto di compravendita del 15.10.2009 con nota presentata il 22.9.2014; che (...), avendo riconosciuto il fatto di non poter esser considerato soggetto terzo rispetto alla compravendita, aveva acconsentito a sottrarre dall'ipoteca giudiziale il bene di proprietà degli attori con atto del 24.9.2014, con conseguente cancellazione del relativo pignoramento trascritto; che, pur essendosi il notaio attivato anche presso (...) in relazione all'ipoteca giudiziale, l'Istituto di credito interpellato non aveva acconsentito alla cancellazione, evidenziando che, al momento dell'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, il bene risultava dai registri immobiliari ancora di proprietà di (...) S.r.l.; che, nonostante le iniziative assunte dal notaio al fine di ottenere l'assenso alla sottrazione del bene dall'ipoteca giudiziale (con formulazione di proposta in denaro a tacitazione di ogni pretesa di (...) Spa), nel marzo 2015, veniva notificato il titolo esecutivo e il precetto da parte di (...) anche ai sigg.ri (...) e (...); che, fissata udienza ex art. 569 c.p.c. al 27.1.2017, il difensore dei sigg.ri (...) e (...), si era costituito per gli stessi attori nel procedimento n. 176/2016 RG esecuzioni immobiliari - Tribunale Mantova avente ad oggetto l'immobile acquistato dagli attori e nel corso del quale veniva nominato il professionista delegato alla vendita e fissata la prima asta al 24.5.2017; che, nelle more, nel mesi di dicembre 2016 - a causa della situazione di disagio e incertezza causata dalla procedura esecutiva immobiliare - la conduttrice, sig.ra (...), aveva disdetto il contratto di locazione, con effetto dal 01 febbraio 2017; che, all'immobile accedevano, a partire dal marzo 2017, il perito nominato nella procedura esecutiva immobiliare per il sopralluogo e, in diverse date successive del mese di maggio 2017, accompagnati dai rispettivi familiari, circa 15 interessati all'acquisto dell'immobile, tra i quali conoscenti personali dell'attrice sig.ra (...), con il conseguente notevole imbarazzo e disagio per la stessa; che già aveva creato angoscia e smarrimento la notizia del luglio 2014, consistente nell'iscrizione dell'ipoteca da parte di (...) sull' immobile degli esponenti: tali sentimenti erano stati ulteriormente accresciuti - fino a cagionare disturbi fisici e psichici agli attori - dalla notizia dell' esito negativo della trattativa tra il notaio (...) ed (...), dalla notifica del pignoramento immobiliare, dall'accesso all'immobile da parte del perito nominato dal Tribunale e degli interessati all'acquisto nell'ambito della procedura esecutiva, in cui peraltro veniva ordinata la liberazione dell'abitazione; che, la vendita nella procedura è stata all'ultimo evitata con la rinuncia da parte della creditrice (...), a seguito del versamento da parte dell'assicurazione del notaio convenuto dell'importo del precetto (pari a circa Euro 180.000,00) oltre alla totalità delle competenze e spese legali della procedura esecutiva e di quelle per la cancellazione dell'ipoteca gravante sull'immobile, per un totale di Euro 200.000,00; che la vicenda - che si è trascinata per tre anni, dal luglio 2014 (data dell'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, immediatamente comunicata da (...) Srl - reale debitrice di (...) - al sig. (...) e da quest'ultimo subito comunicato al notaio (...) affinchè rimediasse all'errore) sino al maggio 2017- ha cagionato pregiudizi patrimoniali e morali agli attori; che, tra i danni, va contemplato il fatto che l'attore, sig. (...), in quanto amministratore e legale rappresentante di (...) srl, - ai tempi dell'accadimento a sua volta socia accomandataria di (...) Sas di (...) Srl & (...) - , in ragione del pignoramento, era stato inserito nei registri attestanti pregiudizievoli in capo alle persone fisiche, cagionando gravissimi problemi alle ditte da questo amministrate, dal momento che gli istituti non avevano ulteriormente concesso credito alle suddette società per un considerevole periodo di tempo. Il convenuto, dott. (...), si è costituito tempestivamente, riconoscendo che l'errore nella compilazione della nota di trascrizione, per quanto materiale, occasionale e oltremodo sfortunato, vi era stato; rileva tuttavia che - fermo in ogni caso l'obbligo di manleva della assicurazione per la RC professionale (...) Limited, terza chiamata in causa - i sigg.ri (...) e (...) non hanno diritto di ottenere "più del dovuto" a titolo di danni, sottolineando come egli, in totale spirito conciliativo e pacificatorio e tramite la propria compagnia, avesse prima tentato personalmente - senza esito, stante la resistenza di (...) - di risolvere in via bonaria la complessa situazione e quindi avesse saldato, nel 2017, il credito precettato da (...), comprese spese legali della procedura esecutiva e quelle relative alla cancellazione dell'ipoteca; nello specifico, il convenuto contesta la sussistenza dei presupposti per richiedere la restituzione dell'onorario di Euro 3.800,00, avendo egli svolto la propria attività curando la vendita, regolarmente perfezionata tra le parti con ogni effetto di legge e il dedotto errore nella nota di trascrizione (sanato ex post) non inficiando l'opera svolta, né elidendo la validità e l'efficacia della compravendita; contesta altresì la fondatezza della domanda di condanna al pagamento di Euro 43.200,00 "per non poter più godere della corresponsione dei canoni di locazione", essendo in ogni caso onere degli attori provare le serie ed oggettive difficoltà di locare nuovamente l'immobile, onere che non risulta in alcun modo assolto; rileva che le domande di condanna per Euro 50.000,00 a titolo di danno non patrimoniale e di ulteriori Euro 50.000,00 a titolo di danno all'immagine sono genericamente formulate e prive, anch'esse, di qualsiasi supporto probatorio; rileva ancora che la domanda di rifusione delle spese legali di costituzione nel processo esecutivo appare infondata, poiché gli attori non avevano alcuna necessità di porre in essere tale attività processuale; evidenzia che la condotta di (...) s.p.a. ha contribuito a mettere in difficoltà il professionista dal momento che la banca, sulla sola scorta della ragione formale fondata sul principio di continuità delle trascrizioni, non ha acconsentito alla sottrazione di ipoteca e ha quindi rifiutato le ragionevoli proposte stragiudiziali del professionista, reo di un refuso materiale, ma in totale buona fede: conclude pertanto il convenuto come indicato in epigrafe. Si costituivano gli (...) alla cui chiamata il Notaio (...) rinunciava, venendo quindi dichiarata l'estinzione parziale del giudizio nel relativo rapporto processuale. Si costituiva tardivamente (...) Limited. La compagnia assicuratrice rileva: che (...) S.r.l. (loss adjuster incaricato alla gestione della polizza da parte di (...) Limited), una volta ricevuta la denuncia di sinistro, ha promosso contatti per verificare la possibilità di ipotesi transattive senza ammissione di responsabilità alcuna del proprio assicurato; che, instaurato il giudizio, il notaio dott. (...), nonostante la lettera di manleva inviata dalla Compagnia per mezzo del suo incaricato (...) S.r.l., ha comunque provveduto alla chiamata in causa della Compagnia (...) Limited, in tal modo venendo meno al patto espressamente previsto in polizza e costringendo la Compagnia di revocare la precedente manleva e a procedere alla costituzione in giudizio: per tale ragione anche le spese di resistenza del chiamante devono rimanere ad esclusivo carico dell'assicurato; conclude pertanto (...) Limited chiedendo il rigetto della domanda di manleva, in ogni caso richiamando il limite di Euro 5.000,00 di franchigia previsto dell'art. 4 della polizza; nel merito del rapporto principale, l'assicurazione si associa alla difesa svolta nell'interesse del convenuto, richiamandosi alle deduzioni in fatto e diritto della stessa. Dopo lo scambio delle memorie ex art. 183 6 comma c.p.c., il giudice, con ordinanza resa fuori udienza, ammetteva le prove testimoniali richieste dagli attori; alle successive udienze del 22/10/2018 e 26/11/2018 veniva assunta la prova testimoniale. Il giudizio veniva interrotto e poi riassunto e proseguito a seguito del decesso del difensore del convenuto. In data 21/07/2020 si svolgeva l'udienza di precisazione delle conclusioni nella forma della trattazione scritta: le parti depositavano note scritte e la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ex art. 190 comma 1 c.p.c.. La domanda deve essere accolta nei limiti di cui al prosieguo. Occorre rilevare che il convenuto ha riconosciuto l'errore professionale in cui è incorso e si è attivato per contenere gli effetti che ne sono derivati, cercando di addivenire ad un accordo transattivo con (...) s.p.a. che aveva intrapreso azione esecutiva a seguito di iscrizione di ipoteca giudiziale sul bene. Dette circostanze non sono oggetto di contestazione, come non contestato è il fatto che, all'esito negativo delle trattative intercorse tra il dott. (...) e la stessa (...), creditrice procedente nell'ambito dell'esecuzione immobiliare n. 167/2016 R.G.E., la vendita coattiva dell'immobile non ha avuto seguito verso il pagamento del somma di complessivi Euro 200.000,00 da parte della compagnia di assicurazioni del professionista. Riguardo alla domanda di accertamento della responsabilità in materia, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il notaio, pur essendo per legge tenuto allo svolgimento delle sue funzioni, in ragione della natura di servizio pubblico delle attività e prestazioni da esso eseguite, risponde a titolo di responsabilità contrattuale dell'eventuale inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto d'opera professionale stipulato con il cliente (ex multis Cassazione, sentenza del 3 gennaio 1994, n. 6; Cassazione, sez. III, sentenza del 15 giugno 1999, n. 5946). Fra notaio e parti si instaura, infatti, un rapporto contrattuale di prestazione d'opera intellettuale, come ribadito anche dalla giurisprudenza più recente secondo cui: "La responsabilità del notaio per colpa nell'adempimento delle sue funzioni ha, nei confronti delle parti, natura contrattuale in quanto pur essendo tale professionista tenuto ad una prestazione di mezzi e di comportamenti e non di risultato, pur tuttavia è tenuto a predisporre i mezzi di cui dispone, in vista del conseguimento del risultato perseguito dalle parti, impegnando la diligenza ordinaria media rapportata alla natura della prestazione" (cfr. Cassazione, 13/06/2013 n. 14865). La sentenza da ultimo citata richiama il canone della diligenza professionale di cui all'art. 1176, secondo comma, c.c., che pone in capo al debitore l'obbligo di eseguire la propria prestazione con diligenza, che dovrà essere valutata avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata. La norma in parola va ad integrare il contratto d'opera professionale operante tra notaio e cliente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1374 c.c., ponendo a carico del professionista rogante una serie di obblighi accessori, che pur non espressamente previsti dal contratto, scaturiscono proprio dall'obbligo di agire secondo diligenza. Dall'obbligo posto dal secondo comma dell'art. 1176 c.c., consegue che "l'opera professionale del notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell'atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell'atto e del risultato pratico perseguito dalle parti" (ex multis, Cass. sez. III, sentenza del 19 giugno 2013, n. 15305). Nella specie, si evidenzia che, per effetto di un errore ascrivibile a responsabilità del professionista, non ha potuto aver seguito la tempestiva trascrizione dell'atto di compravendita concluso in data 15.10.2009: poiché dai registri immobiliari proprietaria dell'immobile risultava ancora la venditrice (...) S.r.l., i creditori di questa, (...) e (...) s.p.a., hanno rispettivamente trascritto pignoramento immobiliare e iscritto ipoteca giudiziale sul bene precedentemente venduto agli attori. Messo a conoscenza della mancata trascrizione dell'atto, solo con nota del 22.9.2014, il notaio provvedeva ad eseguire la necessaria formalità; gli attori hanno quindi dovuto subire gli effetti dell'azione esecutiva intrapresa sull'immobile da parte di (...) s.p.a. e, per quanto la procedura esecutiva non abbia portato alla vendita dell'immobile, ne sono conseguiti i danni per il risarcimento dei quali gli stessi svolgono domanda nel presente giudizio. Parte attrice sottolinea gli esiti delle testimonianze assunte da cui è possibile desumere che: rispetto alla richiesta di ottenere un mutuo sono seguiti dinieghi da parte degli Istituti di credito riconducibili essenzialmente al fatto che dai registri di (...) Spa emergeva un pignoramento trascritto sull'immobile in questione (teste (...) - teste (...) sentite all'udienza del 22.10.2018); che, a seguito di disdetta della conduttrice (...), per quanto i sigg.ri (...) e (...) si fossero attivati a partire dal mese di luglio 2017 al fine di ricollocare in locazione l'immobile, non è stato possibile trovare un nuovo conduttore (teste (...) - verbale di udienza del 22.10.2018) e pertanto il bene è stato occupato dalla stessa testimone, figlia della sig.ra (...); che la conduttrice (...) (sentita all'udienza del 26.11.2018) si è determinata a dare disdetta in ragione delle vicende del pignoramento in ragione del conseguente disagio creato a lei e alla sua famiglia; il teste (...), funzionario di banca, sentito all'udienza del 22.10.2018, ha confermato che (...) aveva negato al sig. (...) la concessione del mutuo, atteso che dalle banche dati di (...) Spa risultava la presenza di un pignoramento immobiliare a carico dei sigg.ri (...) e (...) relativo all'immobile oggetto di causa, precisando altresì che, per ottenere il finanziamento, il sig. (...) doveva prestare garanzie sul proprio patrimonio personale e comunque che le relative condizioni erano deteriori rispetto a quelle applicabili qualora fosse stata assente la segnalazione in (...); il funzionario ha altresì dichiarato: "Prima della richiesta di questo finanziamento, avevo gestito altri finanziamenti nell'interesse di (...) e la (...) aveva dato esito positivo, non riscontrando alcun evento bancariamente significativo. Il pignoramento immobiliare di fatto blocca l'istruttoria della pratica di finanziamento". Il teste Dott. (...) (verbale di udienza del 22.10.2018) medico di (...) ha confermato di avere in cura il nominato quale "medico di famiglia", di averlo visitato, confermando la diagnosi di "trattamento con antidepressivi (sereupin) per sindrome ansioso/depressiva accentuatasi negli ultimi anni in seguito alle note vicende legali", precisando come le vicende legali fossero quelle relative all'ipoteca e al pignoramento subito e aggiungendo che: "durante la visita (...) riferì che le sue problematiche erano relative ai rapporti con le banche". Tanto premesso, si ritiene sussistere la responsabilità in cui è incorso il notaio nella fase successiva alla redazione dell'atto: nondimeno la domanda risarcitoria non può essere accolta se non nei limiti di cui al prosieguo. Occorre premettere che, in linea di principio, nessuna azione risarcitoria è esperibile (e se esperita va disattesa) se non vi è danno. Si richiama la massima della Cassazione, Sentenza n. 18995 del 12/12/2003, che si esprime in tali termini: "L'azione di responsabilità contrattuale nei confronti del debitore presuppone la produzione del danno, non diversamente dall'azione di responsabilità extracontrattuale, ancorché l'inadempimento del debitore sussista prima ed a prescindere dall'effetto dannoso." Per la specie il detto principio comporta che il diritto al risarcimento del danno non può discendere in via automatica dall'accertamento di una responsabilità contrattuale in capo al notaio rogante, essendo necessaria l'effettiva sussistenza del danno risarcibile. Tanto viene affermato dalla giurisprudenza oramai prevalente, la quale precisa che: "La responsabilità professionale del notaio, nei confronti del cliente, per inadempimento della prestazione professionale, non dà diritto al risarcimento ove dall'inadempimento non derivi un danno risarcibile" (Cass. Civ n. 24682/2009; Cass. n. 18244/2014). Non diversamente si deduce dalla lettura delle norme del codice e in particolare dall'art. 1223 c.c., che indica quali componenti del danno risarcibile, sia la perdita subita, sia il mancato guadagno: "in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta": se pure è vero che l'inadempimento può immediatamente risolversi comunque in un danno, atteso il suo significato di evento lesivo dell'interesse protetto nel rapporto obbligatorio, è altrettanto vero, però, che specifico oggetto della responsabilità risarcitoria, secondo l'ordinamento, non è l'inadempimento in sé e per sé considerato, ma la perdita ed il mancato guadagno effettivamente subiti dal creditore per effetto di esso. E' quindi opportuno richiamare, sempre in linea generale, i principi espressi in generale dalla Suprema Corte in materia, secondo cui, pur dimostrato il fatto illecito, è a carico di colui che chieda il risarcimento del danno offrire la dimostrazione di quest'ultimo, sia patrimoniale che non patrimoniale, sia in termini di lucro cessante che di mancato guadagno. Principio che si desume, ex plurimis, da Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 11968 del 16/05/2013, secondo cui "In sede di liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 cod. civ., ciò che necessariamente si richiede è la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio equitativo solo all'entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura". Ciò premesso, si ritiene che l'attività consistita nella redazione dell'atto notarile di vendita abbia prodotto i suoi effetti, essendo indubbiamente la vendita valida ed efficace: gli attori hanno conseguito la proprietà dell'immobile in forza dell'atto e la validità e l'efficacia dello stesso consente ad essi di continuare ad esercitare i diritti che ad esso pertengono: pertanto la domanda di risarcimento riferita all'esborso delle competenze per l'attività professionale svolta dal convenuto (per Euro 3.800,00 o la minor o maggior somma che risulterà in corso di causa, se del caso anche in via equitativa, relativamente a quanto era stato corrisposto dagli attori al convenuto per le competenze professionali di quest'ultimo) non può trovare accoglimento. In ordine alla richiesta della somma di Euro 43.200,00 (o la minor o maggior somma che risulterà in corso di causa, se del caso anche in via equitativa), parte attrice sostiene di essersi attivata per ricollocare in locazione l'immobile dal Luglio 2017, ma non specifica e non prova in che termini e con quali modalità i proprietari si sarebbero adoperati per trovare un nuovo conduttore; risulta altresì che, dopo la disdetta, la figlia della sog.ra (...) ((...), sentita come testimone all'udienza del 22.10.2018), dopo il recesso della sig.ra (...), abbia occupato l'immobile (a partire dal febbraio 2017), immobile che pertanto è rimasto nella disponibilità di un membro della famiglia; va tuttavia rilevato che, in seguito alla trascrizione del pignoramento sul bene e del successivo ordine di liberazione dell'immobile emesso nel corso dell'esecuzione, è rimasta preclusa agli attori qualsiasi possibilità di trovare collocazione utile alternativa del bene almeno fino all'estinzione della procedura esecutiva; e tanto, dopo che la conduttrice sig.ra (...) ha esercitato il recesso in regione dei disagi che lei e la sua famiglia hanno dovuto subire a seguito dei ripetuti e legittimi accessi del perito e del custode della stessa procedura esecutiva n. 267/2017 R.G.E., nonché da parte dei numerosi interessati all'acquisto: va pertanto riconosciuto il danno derivato agli attori a seguito del venir meno, a partire dal febbraio 2017, del sicuro pagamento del canone mensile da parte della conduttrice fino alla definizione della procedura esecutiva avvenuta con Provv. del 27 maggio 2017 e con cancellazione della trascrizione del pignoramento in data 6.6.2017, tenendo conto della circostanza che, in assenza di quella situazione di disagio, il rapporto di locazione avrebbe presumibilmente avuto naturale seguito: come detto, non vi è prova delle concrete modalità con cui gli attori si sarebbero successivamente (dal Luglio 2017) adoperati per trovare un conduttore, a fronte della circostanza che dell'immobile ha potuto disporre la figlia della sig.ra (...) sin dal febbraio 2017. Parte attrice chiede quindi la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 50.000,00 (o la minor o maggior somma che risulterà in corso di causa, se del caso anche in via equitativa) relativamente al danno non patrimoniale patito dagli attori derivante dalle sofferenze subite in ragione delle circostanze di fatto descritte. Tuttavia, deve essere ribadito che, in base ai fondamentali principi stabiliti in tema di onere probatorio dall'art. 2697 c.c. spetta a parte attrice dimostrare di aver subìto un turbamento psichico il quale, alla pari di qualsiasi altro stato interiore, assume rilievo solo quando ricorrono elementi obiettivi riscontrabili e ricavabili da altre circostanze di fatto esterne, come, ad esempio, la presenza di malattie psico-somatiche, insonnia, inappetenze, disturbi del comportamento (cfr. Cass. civ. 17.11.2017, n. 27324): circostanze che sono state invero dedotte, ma non provate. In caso di domanda di risarcimento dei danni cagionati dall'altrui inadempimento, il risarcimento spetta solo se i danni lamentati siano conseguenza immediata e diretta del dedotto inadempimento e sempre che il danneggiato fornisca la prova della loro esistenza (da ultimo, Cass. civ., 31 maggio 2017, n. 13792). Anche laddove la parte solleciti l'esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., è comunque necessario che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicché grava sulla parte interessata l'onere di provare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (Cass. civ., 8 gennaio 2016, n. 127). Gli attori non hanno provato che tali stati d'animo si sono tradotti in situazioni di patologia così determinando un danno risarcibile. Gli invocati danni morali sono indicati in una condizione di sofferenza e di disagio solo genericamente prospettata e ricondotta alla circostanza della scoperta a distanza di diversi anni dell'esistenza di iscrizioni pregiudizievoli per la mancata trascrizione dell'atto di compravendita stipulato in data 15.10.2009; il turbamento psichico viene ancora attribuito alle addotte circostanze degli accessi all'immobile che non era al momento da essi utilizzato in quanto in detenzione della sig.ra (...) in forza di contratto di locazione: la conduttrice ha confermato di aver subito, personalmente e insieme ai propri familiari, il disagio degli accessi ai locali; sempre dalle prove assunte risulta altresì che, dopo la disdetta della conduttrice sig.ra (...), dal febbraio 2017 l'immobile sia stato occupato dalla figlia degli attori: ne consegue che, anche avuto riguardo a questi soli dati oggettivi, non emerge che il danno non patrimoniale che gli attori lamentano sia riconducibile alle visite di estranei interessati all'acquisto: e tanto, con riferimento al solo profilo della consequenzialità - diretta ed immediata - che deve intercorrere tra l'evento lesivo e la condotta, pur colposa, del notaio. In ordine al danno non patrimoniale, nulla può aggiungere la testimonianza del medico di base, dott. (...), cui è stato demandato di esprimere una valutazione scientifica e che si è espresso affermando che l'ansia e il turbamento psichico accertati erano riconducibili alle vicende legali, secondo quanto riferitogli dal solo attore (...). Analoghe considerazioni non possono non valere con riguardo al danno non patrimoniale ("c.d. all'immagine e alla reputazione o con altra qualificazione ritenuta più calzante") lamentato per l'illegittima segnalazione nei circuiti bancari quali cattivi pagatori. Deve essere al riguardo richiamato l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità sul punto: "Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione quale conseguenza di un ingiusto protesto, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento" (Cass. Civ. n. 21865/2013). "In tema di responsabilità civile, il danno all'immagine ed alla reputazione (nella specie, "per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi"), in quanto costituente "danno conseguenza", non può ritenersi sussistente "in re ipsa", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento (Cass. Civ. n. 7594/2018). Secondo Cass. Civ. n. 31537/2018, "In tema di responsabilità civile derivante da pregiudizio all'onore ed alla reputazione, il danno risarcibile non è "in re ipsa" e va pertanto individuato, non nella lesione del diritto inviolabile, ma nelle conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di tale danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno derivante dall'illegittimo protesto di un assegno sulla base dell'astratta affermazione che tale illecito avrebbe potuto "verosimilmente" pregiudicare la stima e la reputazione di cui gli attori godevano, senza precisare quale fosse tale stima, in quali ambienti fosse goduta e se in essi si fosse propagata la notizia del protesto". Gli attori, in citazione e nella memoria ex art. 183, comma VI c.p.c. n. 1) hanno affermato di aver subito, per effetto della negligenza del professionista, una lesione alla propria reputazione ex art. 2059 c.c., che avrebbe comportato la mancata concessione di finanziamenti alla società (...) srl facente capo al sig. (...), ma non hanno allegato e specificato quale concreto e specifico danno avrebbero subito per effetto della dedotta mancata concessione di credito. Solo con la seconda memoria ex art. 183 comma VI hanno dedotto nuove circostanze a fondamento della pretesa, indicate nella negoziazione e stipula, da parte della società (...), di un mutuo con la (...) a condizioni più gravose (rilascio di fideiussioni personali e tassi maggiori) di quelle che sarebbero state concesse in assenza del pignoramento. Il funzionario della banca, (teste S.) sentito al riguardo, ha confermato che il mutuo è stato concesso a dette condizioni, ma precisando: "non posso ricordare la classe di rischio assegnata a (...). Posso solo riscontrare che nel doc 41, che mi viene mostrato, è presente un rischio che comportava maggiori approfondimenti; la tipologia moderata è conseguente all'avvenuta iscrizione del pignoramento". In ogni caso, tali ultimi fatti costitutivi della pretesa attorea, anteriori all'instaurazione del giudizio, costituiscono circostanze nuove che concorrono a introdurre ulteriori elementi di incertezza sulla fondatezza della pretesa attorea dal momento che si pongono in contrasto con quanto sostenuto originariamente sul diniego della concessione del credito da parte delle banche. Tanto rilevato in punto di fatto, rimane comunque indimostrato il nesso di consequenzialità diretta e immediata tra la condotta del notaio e il danno, come priva di alcun riferimento concreto risulta l'allegata entità del danno stesso nella misura richiesta. Anche per tale titolo la domanda attorea non può pertanto trovare accoglimento. Diversamente, deve essere riconosciuto il danno conseguente ai compensi legali che gli attori hanno dovuto sostenere nella procedura esecutiva n. 176/2016 R.G.E. ("Euro 2.645,00 o nella minor o maggior somma che risulterà in corso di causa, se del caso in via equitativa, per i compensi legali sostenuti dagli attori i quali si sono dovuti costituire nel procedimento n. 176/2016 RGE"): gli attori devono essere risarciti delle spese che hanno dovuto sostenere per resistere nella procedura esecutiva immobiliare n. 167/2016 R.G.E. promossa da (...) s.p.a., essendo evidente la necessità di monitorare il prosieguo della stessa a mezzo dell'assistenza tecnica di un legale al fine di verificarne i possibili diversi esiti: in assenza della difesa e della costituzione nel processo esecutivo, nessun controllo sarebbe stato consentito agli attori sugli intendimenti del creditore procedente e sulla possibilità di scongiurare la vendita dell'immobile. In conclusione, si impongono in primo luogo, l'accoglimento, per quanto di ragione, della domanda attorea, e, per l'effetto, - previo l'accertamento della responsabilità contrattuale per colpa nella quale è incorso il convenuto notaio (...) incaricato della redazione dell'atto di compravendita stipulato in data 15.10.2009 oggetto di causa - la condanna del medesimo notaio al risarcimento dei soli danni patrimoniali conseguentemente cagionati a parte attrice che vengono determinati tenendo conto dei canoni di locazione non conseguiti dalla disdetta della conduttrice sig.ra (...), con effetto dal febbraio 2017 fino al conseguimento, nel giugno 2017, della libera disponibilità dell'immobile per effetto della estinzione della procedura esecutiva n. 167/2016 R.G.E. (e quindi per l'importo di Euro 4.500,00 pari a n.5 mensilità a canone mensile previsto in Euro 900,00), nonché del rimborso delle spese legali sostenute per la difesa nella procedura esecutiva n. 176/2016 R.G.E. nella misura richiesta di Euro 2.645,00, tanto per la somma complessiva e omnicomprensiva di Euro 7.145,00. Tale somma che deve essere maggiorata deli interessi compensativi calcolati sul capitale annualmente rivalutato a far data dal febbraio 2017 in conformità all'orientamento consolidato della giurisprudenza secondo cui: "L'obbligazione di risarcimento del danno, sebbene derivante da inadempimento contrattuale, costituisce debito di valore, sicché deve essere quantificata tenendo conto, anche d'ufficio, della rivalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione" (cfr. Cass. civ., sez. III, 27.6.2016, n. 13225). La domanda di manleva del convenuto svolta nei confronti dell'Assicurazione deve trovare accoglimento. Al riguardo non possono condividersi le eccezioni formulate dalla terza chiamata (...) Limited risultando incontestato che i danni richiesti e le spese legali sono oggetto della garanzia offerta: va considerato che la chiamata in giudizio della Compagnia è in ogni caso necessaria al fine di evitare che la decisione di eventuale condanna possa produrre effetto esclusivamente nei confronti dell'assicurato e che la scelta del proprio difensore da parte del convenuto è stata avallata dall'Assicurazione, come risulta dai documenti versati agli atti. Deve darsi peraltro atto che la polizza prevede una franchigia pari ad Euro 5.000,00 di cui occorre tenere conto agli effetti di manleva. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come segue in applicazione del D.M. n. 55 del 2014, considerati in relazione al valore effettivo della controversia: fase di studio: Euro 900,00; fase introduttiva: Euro 600,00; fase istruttoria,: Euro 900,00; fase decisionale Euro 1.500,00 e così per complessivi Euro 3.900,00 per onorario, oltre spese generali. C.A. e IVA come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita o rigettata, così provvede: in parziale accoglimento della domanda attorea, accertata la responsabilità professionale del notaio dott. (...), lo condanna al pagamento in favore degli attori (...) e (...), a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, della somma di Euro 7.145,00 per capitale liquidato in moneta attuale da devalutarsi al 1.2.2017, oltre rivalutazione e interessi legali sul capitale annualmente rivalutato, oltre interessi calcolati nella misura legale sul capitale dalla sentenza al saldo; condanna (...) Limited a tenere indenne, decurtando la franchigia di Euro 5.000,00, il convenuto (...) per quanto questi sarà tenuto a pagare in forza di quanto disposto al precedente capo; condanna il convenuto (...) al pagamento delle spese di lite in favore degli attori (...) e (...), spese che liquida in complessivi Euro 3.900,00 per onorario, oltre spese generali al 15%, C.A. e IVA come per legge; condanna (...) Limited a rimborsare in favore di (...) le spese di lite liquidate in Euro 3.900,00 per onorario, oltre spese generali al 15%, C.A. e IVA come per legge. Così deciso in Mantova il 2 gennaio 2021. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 678/2018 promossa da: (...) - attore - rappresentato e difeso dall'Avv. Me.Ca. del foro di Brescia contro (...) s.n.c. - convenuta - rappresentata e difesa dall'Avv. Lu.Vi. del foro di Mantova RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione 6.2.2018, (...) conveniva in giudizio la (...) s.n.c. per ottenere la condanna al pagamento della somma di Euro 25.747,00 oltre Iva, quale costo corrispondente alla realizzazione delle opere necessarie all'eliminazione integrale a regola d'arte dei vizi accertati presso l'immobile dell'attore: vizi come descritti nella C.T.U. redatta dall'Ing. (...) nell'ambito del procedimento per accertamento tecnico preventivo R.G. n. 4328/2016 proposto avanti il Tribunale di Mantova. L'attore chiedeva altresì la refusione delle spese della predetta C.T.U. dal medesimo sostenute nonché di quelle del proprio consulente tecnico e delle spese legali sostenute nel procedimento di accertamento tecnico preventivo; chiedeva, infine, il risarcimento dei danni subiti per i disagi conseguenti ai dedotti vizi. Si costituiva in giudizio la (...) s.n.c., rilevando essenzialmente come i vizi e gli inadempimenti descritti dal c.t.u., Ing. (...), nella perizia 16.5.2017 fossero stati contestati dal consulente di parte resistente, Ing. (...): tali contestazioni - riguardanti tutti i vizi rilevati in sede di accertamento tecnico preventivo - venivano quindi riprese e ribadite con la comparsa di costituzione ove, in via preliminare, si eccepiva inoltre il difetto di legittimazione passiva della convenuta, ritenendosi che le negligenze e imperizie riguardanti i lavori del tetto mansardato dovessero essere addebitate al progettista e direttore lavori: ragione per cui la convenuta chiedeva la rinnovazione della CTU per verificare la responsabilità in via esclusiva o concorrente del progettista e direttore lavori o, in subordine, che il CTU venisse chiamato a rendere chiarimenti. Nel corso della disposta istruttoria orale venivano sentiti i testimoni di parte convenuta alle udienze del 2.4.2019 e 25.6.2019. All'esito il giudice, rigettata l'istanza di rinnovazione della CTU e di chiamata a chiarimenti del consulente tecnico - avendo l'ausiliario compiutamente risposto al quesito assegnatogli ed avendo lo stesso preso posizione sulle osservazioni formulate dal CTP -, fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 26.05.2020, successivamente differita, per l'emergenza sanitaria, alla data del 18.6.2020 e tenutasi con le modalità della trattazione scritta ex art. 83, comma 7, lettera h) del D.L. n. 18 del 2020. La domanda merita accoglimento nei limiti di cui al prosieguo. Si ritiene di dover condividere le conclusioni di cui alla perizia del C.T.U. del 16.5.2017 che non presenta manifeste incongruenze nelle valutazioni espresse, ha dato conto, punto per punto, di vizi, difetti e inadempienze e riscontrato motivatamente le osservazioni del consulente di parte convenuta. Occorre dare atto che la parte preponderante dei costi di cui alla domanda riguardano i vizi e difetti relativi al manto di copertura in legno ove venivano riscontrate le seguenti difformità: 1) Corpo A: il tetto mansardato a vista evidenzia abbondanti viti e chiodi che fuoriescono dai travetti e dall'assito. La doglianza sussiste per la parte di tetto di 94 m2 in effettivo sviluppo ove si lamentano i difetti, in quanto nel corso delle operazioni peritali del 14.02.2017 si è rilevato che i travetti presentano n.(16+25) viti fuori travetto, 16 nella zona a giorno e 25 nella zona sottotetto. Si rilevano 4+9 buchi nelle tavole, due travetti che non toccano il colmo. N. 6 travetti esterni, posizionati sulle mensole, sono leggermente staccati. In alcuni si nota un solo fissaggio, in un travetto si notano 2 fissaggi dei quali uno troncato, e un altro travetto con 3 fissaggi e 1 troncato. Vi è da rilevare che la nuova struttura in legno non risulta dotata né della regolamentare relazione di calcolo strutturale in zona sismica, e né del progetto esecutivo, talché non è possibile verificare se la struttura è stata realizzata a regola d'arte. Analogamente, non esiste il progetto strutturale del cordolo perimetrale e né della putrella HEB 160 posta fra la cucina e il soggiorno, a sostegno dei colmi del tetto. 2) Corpo A: i colmi delle due porzioni di copertura presentano imperfezioni e incoerenze. La doglianza sussiste, in quanto nel corso delle operazioni peritali del 14.02.2017 si è rilevato che i colmi della parte bassa si sovrappongono da sinistra verso destra, mentre i colmi della parte alta si sovrappongono da destra verso sinistra. 3) Corpo A: manca la documentazione relativa ai dispositivi della linea vita installata sulla copertura. La doglianza sussiste, in quanto non è stata fornita la relativa documentazione, mancando il fascicolo tecnico, il certificato di corretta posa e il certificato di conformità dei dispositivi. Sui punti in questione il consulente di parte convenuta, Ing. (...), presentava le osservazioni che di seguito si riportano: - a): premesso che siamo in presenza di un tetto in legno che per la sua natura presenta delle imperfezioni e delle irregolarità non collegabili ad un difetto di posa, ma insite nella natura del materiale, che risultano in continua evoluzione con l'essicazione naturale e che pertanto rientrano nell'ambito delle tolleranze di fornitura, - b): per quanto riguarda la presenza di viti e chiodi fuori travetto vorrei sottolineare che siamo in presenza di microfori, sia pur numerosi, del diametro di qualche millimetro che possono essere sistemati con l'eliminazione di chiodi e viti dall'intradosso della copertura e adeguata stuccatura con mastice specifico per legno, - c): per quanto riguarda la documentazione tecnica relativa alle strutture di copertura di cui è segnalata la carenza, ritengo che l'impresa abbia realizzato l'opera sulla base delle indicazioni fornite dai tecnici preposti (Progettista, D.L.; Strutturista, ecc.) nominati dal committente, i quali dovevano, per competenza, produrre l'adeguata e necessaria documentazione. Così rispondeva alle osservazioni del consulente di parte il CTU: Risposta per l'osservazione 1a): le irregolarità insite nella natura del materiale a cui fa riferimento l'ing. (...), non rientrano fra le doglianze evidenziate nel ricorso. Risposta per l'osservazione 1b): sussistono numerose viti e chiodi fuori travetto, due viti a vista, quelle in corrispondenza delle mensole, risultano spezzate in fase di montaggio. Non si tratta di eliminare chiodi e viti e di stuccare con mastice il foro nel legno, bensì di effettuare il collegamento strutturale mancante, stante il fuori travetto. Risposta per l'osservazione 1c): le opere strutturali dovevano essere denunciate dal costruttore prima dell'inizio dei lavori, con deposito sia del progetto dell'opera firmato dal progettista strutturale, che della relazione illustrativa firmata anche dal direttore dei lavori strutturale (art. 4 L. 5 novembre 1971, n. 1086). L'ing. (...) non fornisce alcuna documentazione al riguardo. Sul punto, parte convenuta eccepisce il proprio difetto di legittimazione passiva, affermando la responsabilità di direttore lavori e progettista in via esclusiva o concorrente. L'eccezione deve essere respinta. Secondo orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. Civ. n. 16323/2018), l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli è infatti obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. "In mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori" (v. in questo senso Cass. n. 23594 del 2017). L'appaltatore, essendo tenuto alla realizzazione di un'opera tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente risultanti dal contratto, ha il conseguente dovere di rendere edotto il committente medesimo di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all'utilizzazione dell'opera ai fini pattuiti (Cass. n. 1981 del 2016). Al riguardo la società convenuta non ha dato prova di aver rilevato l'erroneità delle istruzioni impartite dal committente e di aver manifestato il dissenso all'esecuzione delle stesse in quanto ritenute palesemente errate. Deve peraltro condividersi la replica sul punto secondo cui era onere di parte convenuta attivarsi per la chiamata in causa del progettista e direttore lavori, se e nella misura in cui fosse configurabile una responsabilità in tal senso, Al riguardo va precisato che la natura solidale dell'obbligazione dell'appaltatore e del direttore è peraltro è pacifica in giurisprudenza: "In tema di contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse" (così fra le altre Cass. Sez. 2, Sentenza 20294 del 14.10.2004 e n.18521 del 21.9.2016). La solidarietà tra co-obbligati "trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 cod. civ., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale" (Corte di Cassazione n. 14650 del 27.8.2012). Nella specie risulta che i vizi e le difformità, per come descritti in dettaglio dal C.T.U. (viti spezzate in fase di montaggio, fuoriuscita delle viti in 41 punti diversi, etc.), inerissero prevalentemente alla fase di stretta esecuzione dei lavori da parte dell'appaltatore. Sulla rilevanza delle difformità e necessità degli interventi di sistemazione e delle spese professionali per gli importi indicati, il C.T.U. ha rimarcato il mancato deposito del progetto dell'opera firmato dal progettista strutturale e della relazione illustrativa firmata anche dal direttore dei lavori. E' stata pertanto accertata la necessità di predisporre una relazione di calcolo strutturale con relativo progetto esecutivo e di procedere, tra gli altri interventi richiesti, alla rimozione del manto di copertura e al nuovo fissaggio della struttura portante. Alla luce della perizia svolta e della richiamata giurisprudenza, si ritiene che parte convenuta sia tenuta al risarcimento del relativo danno contrattuale, nella misura determinata in perizia, nell'importo di Euro 12.437,00. Quanto agli ulteriori vizi e difformità, deve darsi conto di quanto emerso all'esito dell'istruttoria esperita in esecuzione dell'ordinanza del 14.12.2018 con cui è stata disposta l'assunzione di tre testimoni sui capitoli formulati da parte convenuta e non ammessa parte attrice a prova contraria. Va ancora richiamato al riguardo quanto, anche recentemente, ribadito dalla giurisprudenza in tema: "L'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori" (Cass. n. 777/2020). In mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, pertanto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per i ritardi, le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (Cass. 21/05/2012, n. 8016; Cass. 29/01/1983, n. 821); All'udienza del 2.4.2019 è stato sentito (...), geometra contattato dalla società resistente nel 2013/2014 per la redazione della pratica edilizia e la direzione dei lavori di ristrutturazione dell'abitazione dell'attore. Il testimone ha dichiarato: .."io sono stato contattato quando il contratto di appalto tra le parti era già stato stipulato, ho seguito i lavori fino alla loro chiusura parziale, i lavori non sono stati ultimati per mancanza di budget, durante l'esecuzione dei lavori sono sorte opere extra contratto, la struttura portante del tetto era in condizioni peggiori di quanto si pensasse ed il committente ha dovuto e voluto realizzare opere non previste, che hanno comportato l'esaurimento del suo budget; il rifacimento dei muri del bagno e della lavanderia li ha voluti realizzare l'attore, mentre gli extra per la struttura del tetto erano, a mio avviso, necessari per la messa in sicurezza dell'edificio... la lattoniera è stata realizzata non in rame sicuramente, era o in lamiera preverniciata o in alluminio preverniciato, non so se fosse l'una o l'altra, ad occhio non si vede, occorrerebbe contattare il fornitore;.. il cappotto non è stato realizzato per questioni economiche, doveva essere l'ultima cosa da fare, inizialmente si era parlato di uno slittamento agli anni successivi, poi non è più stato realizzato per ragioni economiche, la decisione è stata del committente, io gli consigliai di aspettare a farlo. Lui, avendo capito di non avere i soldi per realizzarlo, pensava di collocare personalmente i pannelli di polistirolo per poi chiamare un'altra impresa solo per le finiture, io glielo sconsigliai, perché non sarebbe venuto bene. Allora lui disse che l'avrebbe fatto successivamente, una volta avuti i soldi per realizzarlo... Il resoconto è stato redatto dalla convenuta, quando c'erano opere extra l'attore voleva sapere quanto gli sarebbero costate, tanto che quando vennero fuori gli imprevisti per la copertura, io insistevo per realizzare l'opera e verificai i prezzi unitari, perché all'attore i prezzi sembravano eccessivi. Gli dissi che il tetto era importante e che era meglio fare quello piuttosto che le finiture, che potevano aspettare. Il (...) ha accettato il resoconto, altrimenti le opere non sarebbero state effettuate. Almeno lo presumo, però l'attore era quotidianamente in cantiere e se avesse visto la realizzazione di opere per le quali non aveva ricevuto i preventivi avrebbe fermato i lavori..." Alla stessa udienza è stata raccolta la testimonianza di V.G., artigiano, chiamato dalla società convenuta per la posa delle lattonerie il quale ha dichiarato:".. feci il preventivo ed i campioni, il padrone di casa ha scelto il campione, penso, e poi io ho realizzato la fornitura e la posa... io ho portato i campioni di lamiera, alluminio e rame, poi ho realizzato le lattonerie che hanno scelto, penso che abbia scelto il padrone di casa, ma io non ero presente alla scelta, non ricordo quale hanno scelto, può darsi che fossero in lamiera visto che c'erano problemi economici, sono sicuro che il pluviale fosse in lamiera,..". Sentito all'udienza del 25.6.2019, (...), artigiano, ha dichiarato: "..il sig. (...) mi ha chiesto di dargli una mano per fare lavori al tetto, alle travi, per togliere un solaio e mettere a posto delle finestre nell'abitazione del sig. (...). In quella occasione ho conosciuto l'attore... ho sentito, in cantiere, il sig. (...) dire che in quel momento non avrebbe fatto il cappotto e la finitura della tinteggiatura, perché non poteva economicamente, almeno penso che il motivo fosse quello, disse che avrebbe fatto i lavori un po' alla volta, più avanti..". Le testimonianze raccolte dimostrano che il committente era "quotidianamente" presente in cantiere e che, per sua scelta, la lattoniera non è stata realizzata in alluminio ma in lamiera preverniciata e, sempre per sua scelta e per ragioni economiche, non è stato realizzato il cappotto come previsto originariamente. Trovano pertanto conferma sul punto le osservazioni del consulente di parte, Ing. (...), secondo cui la sostituzione della lattoniera in lamiera anziché in alluminio era stata valutata e accettata dal committente a modifica delle condizioni del capitolato e, per quanto riguarda il cappotto e la tinteggiatura, la mancata realizzazione era dovuta ad una scelta del committente. La mancata esecuzione dei detti lavori è pertanto frutto di una scelta del committente - risultato assiduamente presente durante i lavori come evidenziato nelle testimonianze rese - e pertanto, di essa non può essere chiamata a rispondere l'impresa appaltatrice convenuta. Ne consegue che, avuto riguardo ai valori indicati in perizia e già ridotti a seguito delle osservazioni presentate, gli importi attribuiti all'isolamento termico delle murature perimetrali e relativa finitura per tinteggiatura per Euro 7.500,00 e per la lattoniera in lamiera preverniciata anziché in alluminio preverniciato per Euro 200,00 devono essere dedotti dalla somma di Euro 25.747,00 oggetto di domanda. Rimane da valutare la domanda di risarcimento del danno svolta dall'attore, danno indicato nei disagi dovuti alla mancata agibilità dei luoghi abitativi. La domanda deve essere respinta non essendo stata fornita alcuna prova a suo fondamento: da quanto emerso nel corso del giudizio, la parziale esecuzione delle opere nei termini descritti e la conseguente inagibilità dell'abitazione non risultano essere causalmente e direttamente ricollegabili a esclusiva responsabilità della convenuta, potendo essere ricondotte alle sopravvenute difficoltà economiche del committente di cui è dato conto nelle testimonianze e che hanno portato a rivedere il progetto iniziale in più circostanze al fine di contenere i costi. Quanto alle spese del procedimento di accertamento tecnico preventivo, si ritiene che, per il principio di causalità, le stesse debbano gravare su parte convenuta, nei soli limiti del compenso per la consulenza tecnica d'ufficio liquidato con separato decreto del 25.5.2017 e delle spese legali sostenute dal ricorrente nello stesso procedimento di istruzione preventiva, spese, queste ultime, che si liquidano in Euro 1.000,00. Le spese del presente giudizio, considerata la reciproca soccombenza, vengono compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita o rigettata, così provvede: in parziale accoglimento della domanda dell'attore (...), condanna la convenuta (...) s.n.c. a corrispondere in favore di (...) la somma di Euro 18.047,00 oltre I.V.A., corrispondente al costo per l'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei vizi accertati nella perizia del C.T.U., Ing. (...), del 16.5.2017 escluse le opere relative all'isolamento termico delle murature perimetrali e finitura con tinteggiatura e quelle relative alla lattoniera; rigetta la domanda di (...) di condanna della convenuta (...) s.n.c. al risarcimento dei danni per i disagi dovuti alla mancata agibilità dei luoghi abitativi; pone a carico di parte convenuta (...) s.n.c. le spese liquidate con separato decreto del 25.5.2017 relative alla consulenza tecnica d'ufficio svolta nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo n. 4328/2016 R.G. e le spese legali nello stesso procedimento sostenute dal ricorrente che si liquidano nella misura di Euro 1.000,00; compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Così deciso in Mantova il 13 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di MANTOVA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Simona Gerola, ha pronunciato, con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa promossa da: (...) assistito e rappresentato dall'avv. (...) PARTE RICORRENTE CONTRO (...) S.R.L. assistita e rappresentata dall'avv. (...) e dall'avv. (...) PARTE CONVENUTA CONCLUSIONI Per la parte ricorrente : In via principale: previe le declaratorie del caso, accertare, per i motivi e le causali sopra esposte, l'illegittimità della riduzione delle provvigioni operata da (...) Srl nei confronti del Sig. (...), sulle vendite delle "Guide Routine" dal mese di aprile 2018 alla cessazione del rapporto di agenzia, e per l'effetto: ordinare a (...) Srl, nella persona del legale rappresentante pro tempore, il pagamento in favore del Sig. (...) della somma di Euro 6.337,75, o della minore o maggiore somma che risulterà dall'espletanda istruttoria; In ogni caso: Competenze professionali del presente giudizio interamente rifuse, oltre IVA e CPA come per legge. Per la parte convenuta 1) in via principale, nel merito: previo ogni opportuno accertamento, dichiarare inammissibili e comunque rigettare in toto le avversarie domande; 2) in via subordinata: previo ogni opportuno accertamento, accertare la legittimità della variazione contrattuale oggetto del giudizio e in caso di declaratoria della sua media entità ai sensi dell'art. 2 AEC, riconoscere il diritto del ricorrente ad ottenere il pagamento del solo importo di Euro 300,52=, pari ai 15 giorni residui di preavviso; 3) in ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio. Sentenza provvisoriamente esecutiva FATTO E DI DIRITTO Con ricorso depositato in data 4.3.2020 (...) Fabio conveniva avanti al Tribunale di Mantova la (...) Srl per sentirla condannare al pagamento della somma di euro 6.337,75 Il procuratore del ricorrente esponeva: che in data 01.07.2005 (...) Srl e (...) sottoscrivevano un contratto di agenzia a tempo indeterminato che disciplinava le condizioni del rapporto quali zona, prodotti, clienti e provvigioni e, in particolare, queste ultime, erano stabilite nella misura del 10% del fatturato (...) Srl con riserva da parte della Società di modificarle previa concessione di un preavviso di 3 mesi; che dal mese di maggio 2018 la Società modificava unilateralmente e senza preavviso le provvigioni sul prodotti Guide Routine per il cliente NCG, portandole dal 10% al 5% del fatturato; che il sig. (...) nel corso del 2017 ha fatturato Euro 7.424,00 per le Guide Routine cliente NGC e Euro 31.176,00 complessivamente per (...), mentre nel corso nel periodo aprile 2018 - febbraio 2019 egli ha fatturato Euro 6.639,75 per le "Guide Routine" cliente NGC ed Euro 24.991,53 per (...) Srl; che senza la riduzione delle provvigioni sui prodotti Guide Routine nel periodo maggio 2018 - febbraio 2019 il fatturato del Sig. (...) sarebbe stato di Euro 12.675,50 anziché di Euro 6.337,75; che in data 14.02.2019 (...) Srl risolveva il rapporto di agenzia con effetto immediato, affermando di voler corrispondere l'indennità di mancato preavviso; che l'agente, a mezzo del proprio legale, richiedeva in data 20.08.2019 il pagamento delle provvigioni ingiustificatamente ridotte, oltre al pagamento del FIRR, dell'indennità suppletiva di clientela e dell'indennità di mancato preavviso e l'Azienda negava il diritto del ricorrente alle prime e corrispondeva nelle more soltanto le indennità richieste. In punto di diritto rilevava che gli AEC non sono richiamati nel contratto individuale con la conseguenza che, essendo solamente gli artt. 1742 e ss. del Codice Civile a disciplinare il rapporto, la Società non poteva unilateralmente ridurre la provvigione e che nessuna rilevanza può essere attribuita all'art. 16 del contratto di agenzia che prevede la facoltà per il preponente di modificare le condizioni contrattuali in quanto, trattandosi icto oculi di una clausola vessatoria, necessitava di una specifica approvazione ai sensi e per gli effetti degli art. 1341 e 1342 c.c Invocava l'applicazione del dlg. 81/2017 (c.d. Jobs Act autonomi) e, in via subordinata, nell'ipotesi di ritenuta applicabilità dell'AEC Commercio rilevava che, simulando l'incidenza delle nuove provvigioni sul fatturato dell'anno precedente (2017), si ottengono questi dati: il fatturato sulle "Guide Routine" dell'anno 2017, con le provvigioni al 10%, è stato di Euro 7.424,00, con le provvigioni al 5% sarebbe stato di Euro 3.712,00; togliendo tale importo al fatturato totale (...) Srl nell'anno 2017, lo stesso si ridurrebbe dal Euro 31.177,50 ad Euro 27.465,50, con una diminuzione del 12%; che, trattandosi di una modifica di media entità, la Società poteva realizzarla solo previa comunicazione scritta all'agente con un preavviso di almeno due mesi e che, pertanto, avendo la preponente omesso qualsivoglia comunicazione scritta, la riduzione unilaterale della provvigione è illegittima . Rassegnava le conclusioni indicate in epigrafe. Si costituiva (...) srl contestando la fondatezza del ricorso . In punto di fatto il procuratore della convenuta esponeva: che nel corso del rapporto di agenzia il sig. (...) era solito predisporre trimestralmente la fattura per le proprie provvigioni, sulla base dei tabulati che regolarmente la preponente gli trasmetteva via mail; che a gennaio 2018 (...) srl raggiungeva un accordo commerciale con il cliente NGC Medical per la vendita di Guide da Routine che prevedeva un sensibile sconto sul prezzo delle Guide da Routine fino al 50% e un ulteriore sconto al raggiungimento del target di vendita definito e condiviso con lo stesso cliente; che la società convenuta, dopo alcuni mesi necessari per verificare che l'accordo preso avesse effettivamente generato un significativo incremento delle vendite, comunicava a tutti i propri agenti interessati alle vendite al cliente NGC, compreso il sig. (...), che, con decorrenza maggio 2018, la provvigione relativa ai soli prodotti oggetto dell'accordo commerciale (le Guide da Routine) e limitatamente al solo cliente NGC sarebbe stata ridotta dal 10% al 5%.; che, in particolare, la comunicazione della riduzione provvigionale in questione veniva data verbalmente al sig. (...) in data 12.3.2018 dal Direttore Commerciale della (...) srl, Ing. (...), durante un pranzo di lavoro; che nel corso di tutto l'anno 2017 il sig. (...), con riferimento alle sole vendite di Guide da Routine ai centri del cliente NGC, ha ottenuto un fatturato di Euro 60.105,00 (su un fatturato complessivo, inclusi gli altri prodotti e clienti, di Euro 311.775,00) che gli ha fruttato provvigioni del 10% pari ad Euro 6.010,50 (su un totale di provvigioni complessivo di Euro 31.177,5); che, sempre con riferimento alle sole vendite di Guide da Routine ai centri del cliente NGC, nel periodo tra gennaio 2018 e aprile 2018, il sig. (...) ha ottenuto un fatturato di Euro 34.485,00 (su un fatturato complessivo di Euro 113.477,30), con provvigioni del 10% pari ad Euro 3.448,50 (su un totale di provvigioni complessivo di Euro 11.347,73) e nel periodo dal maggio 2018 al dicembre 2018, successivo alla riduzione provvigionale, egli ha ottenuto un fatturato di Euro 105.835,00 (su un fatturato complessivo di Euro 251.846,00), con provvigioni del 5% pari ad Euro 5.291,75 (su un totale di provvigioni complessivo di Euro 19.892,85); che infine, nei primi due mesi del 2019, con riferimento alle Guide da Routine e al cliente NGC, il (...) ha ottenuto un fatturato di Euro 21.700,00 (su un fatturato complessivo di Euro 52.197,00), con provvigioni del 5% pari ad Euro 1.085,00 (su un totale di provvigioni complessivo di Euro 4.134,70). In punto di diritto contestava l'applicabilità alla figura professionale dell'agente della disciplina di cui al D.Lgs. 81/2017e rilevava che le parti hanno sempre prestato adesione alle condizioni di cui all'AEC per gli agenti di commercio del settore terziario del 16.02.2009. Deduceva che l'art 3 degli AEC si applica esclusivamente a quelle variazioni contrattuali (da intendersi, in senso ampio, come variazioni di una o più condizioni contrattuali, come la zona, i prodotti, i clienti, la misura delle provvigioni etc.) che comportino una perdita dell'agente in termini di aspettativa di guadagno (misurabile in una percentuale negativa rispetto al monte provvigioni dell'anno solare) mentre nella fattispecie in esame la modifica unilaterale della preponente nei fatti ha comportato, non una perdita di guadagno per il sig. (...), bensì un incremento. Rilevava che in ogni caso, con riferimento al requisito della forma scritta, la norma in esame non prevede che essa sia necessario ad substantiam, con la conseguenza che l'inosservanza della forma convenzionale produce i medesimi effetti dell'inosservanza della forma ad probationem, senza alcuna conseguenza sulla validità dell'atto. In via di estremo subordine, considerato che la variazione in argomento ha avuto decorrenza pacifica dal mese di maggio 2018, consegue che la comunicazione risulta essere stata data con 1 mese e mezzo di preavviso e, quindi, al più al sig. (...) spetterebbe solo il pagamento di metà mese di provvigioni al 10%, per un valore pari ad Euro 300,52= (6.010,50 Euro pari al valore della differenza ex adverso rivendicata per 10 mesi/10 = 601,05 Euro pari al valore di un mese/2). Rassegnava le conclusioni indicate in epigrafe. La causa, istruita sulla documentazione versata in causa dalle parti, all'odierna udienza veniva discussa e decisa. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento. Innanzitutto va esclusa l'applicazione al caso di specie del cd Job Act Autonomi laddove prevede che devono considerarsi abusive e prive di effetto le clausole che consentono al datore di lavoro di modificare unilateralmente uno o più elementi del contratto a suo tempo stipulato in quanto per espressa volontà del legislatore la nuova disciplina si applica a tutti i lavoratori autonomi, purché non siano imprenditori o "piccoli imprenditori". Per la prevalente giurisprudenza l'agente di commercio è, a seconda dell'organizzazione e dimensioni della sua attività e dell'investimento di capitali, un imprenditore commerciale ex art. 2082 cod. civ. o, quanto meno, un piccolo imprenditore ex art. 2083 c.c. (cfr. fra le tante Cass. 16513/2004). Pure l'eccezione di inapplicabilità degli AEC è infondata in quanto le parti hanno aderito all'accordo non solo per fatti concludenti ma richiamando espressamente la norma collettiva (...) srl, infatti, con la comunicazione di risoluzione del contratto del 14.2.2019, ha espressamente fatto riferimento al preavviso previsto dagli AEC e lo stesso (...), nella lettera del 28.02.2019, ha comunicato alla preponente di restare in attesa "della quantificazione delle competenze di fine mandato dovute ai sensi di legge, contrattuali e degli AEC in vigore" (cfr. doc. 8 di parte convenuta). Accertata l'applicazione degli AEC al rapporto di agenzia per cui è causa, occorre analizzare le disposizioni che consentono al preponente di apportare unilateralmente modifiche al contratto L'art. 3 del AEC Accordo economico collettivo 16 febbraio 2009 settore commercio prevede "(...) le Parti concordano sull'opportunità di pattuire strumenti di flessibilità durante lo svolgimento del rapporto di agenzia con particolare riferimento alle variazioni del contenuto economico del contratto, derivanti da variazioni di zona e/o di prodotti e/o di clienti e/o della misura delle provvigioni. Le variazioni di zona e/o di prodotti e/o di clientela e/o della misura delle provvigioni si considerano: - di lieve entità quando comportano modifiche comprese tra 0 (zero) e 5 (cinque) per cento delle provvigioni di competenza dell'agente nell'anno civile precedente la variazione, ovvero nei 12 (dodici) mesi antecedenti la variazione qualora l 'anno precedente non sia stato lavorato per intero; - di media entità quando comportano modifiche comprese tra 5 (cinque) e 20 (venti) per cento delle provvigioni di competenza dell'agente nell'anno civile precedente la variazione, ovvero nei 12 (dodici) mesi antecedenti la variazione qualora l'anno precedente non sia stato lavorato per intero; - di sensibile entità quando comportano modifiche superiori 20 (venti) per cento delle provvigioni di competenza dell'agente nell'anno civile precedente la variazione, ovvero nei 12 (dodici) mesi antecedenti la variazione qualora l'anno precedente non sia stato lavorato per intero. Le variazioni di lieve entità potranno essere realizzate senza preavviso e saranno efficaci sin dal momento della ricezione della comunicazione della casa mandante. Le variazioni di media entità potranno essere realizzate previa comunicazione scritta all'agente o rappresentante di commercio con un preavviso di almeno 2 (due) mesi per i plurimandatari, ovvero 4 (quattro) mesi per i monomandatari. Le variazioni di sensibile entità potranno essere realizzate previa comunicazione scritta all'agente o rappresentante di commercio con un preavviso non inferire a quello previsto per la risoluzione del rapporto. Qualora l'agente o rappresentante comunichi entro 30 giorni di accettare le variazioni che modificano sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante (...)". Ritiene questo giudicante del tutto condivisibili le argomentazioni della convenuta in merito alla necessità di valutare l'incidenza complessiva della riduzione della percentuale provvigionale sul fatturato dell'agente relativo al cliente NGC, in coerenza con la lettera e la ratio della norma collettiva. Non è quindi sufficiente considerare la riduzione dell'aliquota provvigionale rispetto al monte provvigionale complessivamente maturato dal ricorrente nell'anno solare precedente alla variazione, ma bisogna necessariamente aggiungere a tale valutazione anche l'impatto sul fatturato complessivo dell'agente che ha avuto il contestuale abbassamento del prezzo unitario dei prodotti oggetto della variazione. Ora, i dati relativi alle provvigioni maturate e fatturate dal (...) sul cliente NGC prima e dopo la riduzione della provvigione dal 10 al 5% non sono stati specificamente contestati dal ricorrente il quale, anzi, liberamente interrogato ha confermato che la "manovra aziendale" nel suo complesso ha comportato nel tempo un aumento delle provvigioni sui prodotti Guide Routine. Può dirsi pacifico, quindi, che l'accordo commerciale tra (...) e NGC chiuso nel gennaio 2018 ha comportato per il sig. (...) un aumento considerevole del fatturato per il prodotto specifico (118%), che ha ampiamente compensato la variazione provvigionale dal 10% al 5%, che, lungi dall'implicare una riduzione dell'introiti dell'agente, ha provocato un incremento delle provvigioni riconosciute al sig. (...) per il cliente e per il prodotto specifico del 9,36%. Ne consegue che siamo al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 2 degli AEC giacché la modifica alle condizioni contrattuali nel suo complesso, ha apportato all'agente un aumento dei suoi guadagni e non una variazione in negativo, con salvezza della ratio della norma collettiva . Vi è da aggiungere che appare scarsamente credibile che il ricorrente abbia avuto conoscenza della riduzione soltanto a rapporto risolto poiché è pacifico che la società convenuta gli ha trasmesso regolarmente gli estratti conto trimestrali sulla scorta dei quali il sig. (...) ha fatturato all'azienda le provvigioni maturate . Quindi pure in mancanza di comunicazione scritta egli, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto recedere dal rapporto. Il sig. (...) non lo ha fatto, verosimilmente in quanto ha valutato il perdurare della convenienza del rapporto di agenzia (esattamente ciò a cui la norma contrattual-collettiva tende) e, pertanto, di nulla può dolersi. In ogni caso, l'AEC conferisce al preponente la facoltà - con semplice comunicazione scritta - di modificare gli elementi naturali del contratto con riflessi sul suo contenuto economico, lasciando all' agente unicamente la possibilità di provocare la cessazione del rapporto attraverso il rifiuto delle sole variazioni di "sensibile entità". Dunque, da un lato, al preponente è conferita la facoltà di apportare variazioni che comportano la riduzione dell' area di operatività, dei prodotti, della clientela e/o delle provvigioni dell' agente e, da altro lato, l'agente, per le variazioni che comportano modifiche superiori al 20% delle provvigioni nell'anno civile precedente la variazione, ha la facoltà di rifiutare la proposta nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, così trasformando la natura della variazione conservativa in recesso contrattuale ad iniziativa del preponente con inizio del periodo di preavviso per il caso di cessazione del rapporto. Peraltro, liberamente interrogato il ricorrente ha dichiarato che se fosse venuto a conoscenza della variazione avrebbe concentrato in suoi sforzi su altri prodotti, mentre nessun accenno ha fatto alla volontà di non accettare la modifica o di porre fine al rapporto. Nessuna clausola dell'AEC consente un'interpretazione che conduca alla conclusione che in mancanza di comunicazione scritta la modifica sia priva di effetti, con il conseguente diritto dell'agente alle provvigioni che avrebbe maturato in difetto della variazione. Invero proprio questo sembra prospettare il ricorrente rassegnando le conclusioni indicate in epigrafe, forse ipotizzando una forma scritta ad substantiam; si tratta di una tesi destituita di fondamento volta che la forma scritta non è prevista a pena di nullità neppure per il contratto al quale le modifiche successive alla stipulazione si riferiscono. Per tutte le considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: rigetta il ricorso e condanna (...) alla rifusione delle spese di lite sostenute da (...) srl che liquida in complessivi euro 2.100,00, oltre IVA e CPA di legge Così deciso in Mantova, il 12 novembre 2020. Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di MANTOVA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Simona Gerola, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 490/20 promossa da: promossa da: (...) assistita e difesa dall'avv. (...) ricorrente contro (...) contumace CONCLUSIONI Per la carte ricorrente In via principale: Accertare per i motivi e le causali sopra esposte l'illegittimità e/o la nullità del licenziamento intimato da (...) nei confronti della Sig.ra (...) con lettera del 09.06.2020 e, per l'effetto: a. ordinare a (...) nella persona del legale rappresentante pro tempore, la reintegrazione della Sig.ra (...) nel posto di lavoro; b. condannare (...), nella persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno pari ad un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, in ogni caso non inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto; c. condannare al versamento di tutti 1 contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria. In via subordinata: nella denegata ipotesi in cui non si ritenesse applicabile quanto previsto dall'art. 2 del d.lgs. n. 23/2015, ordinare a (...) il ripristino del rapporto di lavoro con la Sig.ra (...) il pagamento del risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva riammissione in servizio. In via ulteriormente subordinata: a. dichiarare risolto il rapporto di lavoro tra le parti dalla data del 30.06.2020; b. condannare la resistente a riassumere la Sig.ra (...) o in alternativa, a risarcirle il danno versandole un'indennità pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, ovvero la diversa indennità ritenuta congrua, fatta salva la facoltà del ricorrente di poter "monetizzare il diritto alla riassunzione", in analogia con quanto stabilito per il regime della tutela reale di cui all'art. 18 L n. 300/70", oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo (Cass. Civ., sez, lav. 05.01.01, n. 107, Cass. civ., sez. lav. 10.12.98, n. 12442, C. Cosi. n. 44/96). In ogni caso: Competenze professionali del presente giudizio interamente rifuse. Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato in data 1.9.2020 (...) conveniva avanti al Tribunale di Mantova per sentire accogliere le conclusioni indicate in epigrafe. Il procuratore della ricorrente esponeva: che (...) e stata assunta da (...) che svolge attività di commercio al dettaglio di abbigliamento e bigiotteria, con insegna (...) in data 10.05.2018 con contratto di apprendistato professionalizzante, mansioni di "aiuto commessa" ed inquadrata nel livello 6" del CCNL Commercio con sede presso l'unità locale in (...); che nel mese di marzo 2020 Incorrente veniva posta in CIG a causa dell'emergenza sanitaria sino alla fine del mese di maggio; dal 01.06.2020 al 30.06.2020 veniva collocata in ferie e con comunicazione del 09.06.2020, il datore di lavoro le ha comunicato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, precisando "Con la presente ci dispiace comunicarle che è emersa la necessità di risolvere il rapporto di lavoro ai sensi dell'art. 3 L. 604/1966 per giustificato motivo oggettivo per chiusura sede operativa sita in (...) e successiva cessazione dell'attività dell'azienda. Tenuto conto del periodo di preavviso previsto dalla legge e di contratto il rapporto cesserà alla data del 30.06.2020."; che in realtà la società resistente non ha cessato l'attività aziendale poiché non solo è ancora attivo il negozio (...) con insegna (...) dove lavorano ancora le colleghe ma sono ad oggi ancora attivi i punti vendita di (...); che ad oggi la ricorrente è priva di occupazione e la retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto è pari ad Euro 1.231,95 lordi, ai quali va aggiunta la quota di 13 e 14 mensilità per un importo lordo di euro 1.437,27. Tanto premesso eccepiva la nullità del licenziamento per violazione dell'art. 46 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 ("Decreto Cura Italia"), convertito in L. n.27/2020 e succ. integrazioni. In via subordinata evidenziava che il licenziamento impugnato è motivato in maniera generica e non è sorretto da (...) ribadendo che sia la sede di Ostiglia che le altre sedi in provincia di Verona e Brescia sono tutt'ora aperte. In ulteriore subordine eccepiva la violazione dell'obbligo di repechage gravante sul datore di lavoro rilevando che la convenuta avrebbe potuto collocare il lavoratore in altri sedi lavorative. Concludeva come sopra riportato. (...) non si costituiva e, pertanto, verificata la regolarità della notifica del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione della prima udienza, veniva dichiarata contumace. La causa, istruita mediante la documentazione versata in causa dalle parte, all'odierna udienza veniva discussa e decisa. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Il divieto generalizzato di licenziamento individuale per giustifico motivo oggettivo è stato inizialmente introdotto dall'art. 46 del Decreto c.d. Cura Italia (D.L. n. 18/2020) fino alla data del 17 maggio 2020, è stato prorogato con il Decreto c.d. Rilancio (D.L. n. 34/2020) fino alla data del 17 agosto 2020 e nuovamente prorogato con l'art. 14 del c.d. decreto Rilancio 2 (D.L. 14 agosto 2020, n. 104) che consente di intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo solo dopo aver concluso il periodo di ammortizzatori sociali previsti dall'art. 1 del Decreto o soltanto dopo aver fruito dell'agevolazione contributiva prevista dall'art. 3 del D.L. 104/2020. Trattasi di una tutela temporanea della stabilità rapporti per salvaguardare la stabilità del mercato e del sistema economico ed è una misura di politica del mercato del lavoro e di politica economica collegata ad esigenze di ordine pubblico. Dal carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola, con una sanzione ripristinatoria ex art. 18, 1° comma, l. 300/1970 e ex art. 2 D.Lgs. 23/2015 (derivando la nullità 'espressamente' dall'art. 1418 c.c.). La giurisprudenza prevalente ritiene applicabile al contratto di apprendistato la disciplina del licenziamento valevole per i contratti a tempo indeterminato stante l'assimilabilità del rapporto di apprendistato all'ordinario rapporto di lavoro con la conseguenza che la ricorrente, pacificamente licenziata in data 9.6.2020 in violazione del divieto di cui sopra, dovrà essere reintegrata nel posto di lavoro precedentemente occupato e (...) dovrà essere condannata al pagamento della retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr (euro 1437,27 lordi) dalla data del licenziamento fino alla riammissione in servizio, ferma restando la facoltà della lavoratrice di optare per la indennità sostitutiva della reintegra. Vi è da aggiungere, in ogni caso, che è noto che è onere del datore di lavoro provare la giusta causa o il giustificato motivo del licenziamento e nella fattispecie in esame nulla è stato dimostrato poiché (...) scelto di non costituirsi con la conseguenza che, a prescindere dalla legislazione d'emergenza, la ricorrente ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro perché il datore di lavoro non ha provato di aver cessato l'attività come enunciato nella lettera di licenziamento. In definitiva, la domanda principale della ricorrente deve essere accolta. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così provvede: accoglie il ricorso e per effetto dichiara nullo il licenziamento intimato in data 9.6.2020 a (...) e condanna (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato; condanna la società convenuta al pagamento in favore della ricorrente di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegrazione, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra; condanna infine (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione delle spese di lite sostenute da (...) liquida in complessivi euro (...) oltre rimb. forf., iva e cpa di legge. Così deciso in Mantova, l'11 novembre 2020. Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2020.

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