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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Mantova Sezione Civile Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n.r.g. 255/2022 promossa da: (...) in persona del Curatore Dott. (...) con l'Avvocato An.Ca. - ricorrente - contro (...) con gli Avvocati El.Cr. e Ri.Ma. del Foro di Milano - resistente - Conclusioni delle parti Per (...) ricorrente: IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO, accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale di (...) in persona del direttore pro tempore, e per l'effetto, condannare (...) (...), in persona del direttore pro tempore, a restituire al (...) in persona del Curatore fallimentare (...), la somma di Euro 32.500,00=, o quella somma maggiore o minore che l'Ill.mo Tribunale riterrà equa e di giustizia. In ogni caso: Con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Per p parte resistente: In via preliminare: dare atto che poiché alla (...) convenuta non risulta chiaro dal tenore del ricorso introduttivo se controparte abbia inteso svolgere azione di mera responsabilità contrattuale ovvero anche azione di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, per tale ultima ipotesi la (...) stessa ha cautelativamente eccepito prima di ogni altra difesa la prescrizione quinquennale ex art. 2947 co. 1 c.c. del diritto al risarcimento del relativo danno, conseguentemente dichiarandolo per tale ipotesi prescritto; - Nel merito, in via principale, dato atto in particolare che: a) le operazioni contestate risultano a suo tempo approvate dal correntista; b) tali operazioni in ogni caso erano state richieste dai soggetti legittimati a disporle; c) il contratto inter partes non prevede il diritto del cliente a pretendere la formale corrispondenza agli specimen delle sottoscrizioni apposte sulle disposizioni bancarie per cui è causa; d) la ricorrente ha omesso di provare il danno effettivo subito a suo tempo dal correntista (...); per l'effetto respingere tutte le domande formulate da parte ricorrente nei confronti della convenuta (...) (...) perché infondate in fatto e in diritto per le ragioni esposte in atti; - Nel merito, in via subordinata e nel denegato caso in cui fosse ravvisata qualunque eventuale responsabilità della (...) convenuta, dichiarare che ai sensi dell'art. 1227 co. 1 e 2 c.c. nulla è comunque dovuto atteso che il danno risulta imputabile alla negligenza del titolare del conto signor (...) il quale avrebbe comunque potuto evitarlo ove si fosse adoperato con la diligenza dovuta; - In ulteriore subordine e sempre ai sensi dell'art. 1227 co. 1 e 2 c.c. ridurre il risarcimento in misura corrispondente alla colpa del titolare del conto signor (...) - Con vittoria di spese e compensi, oltre al rimborso spese forfettarie in misura pari al 15% dei compensi totali ex D.M.55/2014 ed oltre ancora a CPA ed IVA (partita quest'ultima non detraibile per la (...). Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 1.2.2022, il (...) esponeva: che, in data 08/05/2006, presso la Banca (...), filiale di Sant'Angelo Lodigiano (LO), il Signor (...) aveva sottoscritto con il detto Istituto Bancario contratto di conto corrente n. 273/65; che, nell'occasione, il Signor (...) aveva depositato la propria firma per esteso e conferito al proprio fratello, (...), delega ad operare sul predetto conto corrente facendo depositare la firma del medesimo; che, con sentenza n. 56/2010 del 20/10/2010, era stato dichiarato il fallimento del Signor (...) in qualità di socio illimitatamente responsabile della società (...) (...) e nominato quale curatore fallimentare il Dott. (...) che, da un esame della documentazione bancaria relativa al Signor (...) il curatore del (...) aveva riscontrato delle anomalie in merito alle operazioni effettuate sul detto conto corrente e, precisamente, aveva rilevato che, a far data dal mese di maggio 2007 sino al mese di settembre 2007, vi erano stati prelevamenti di ingente valore a firma apocrifa; che, dalle distinte versate agli atti, si evinceva come i prelevamenti fossero stati effettuati da soggetti non identificati, le cui firme, o meglio sigle, non coincidevano con alcuna delle sottoscrizioni depositate presso la filiale; che il Dott. (...) pertanto, aveva provveduto a far nominare dal Giudice delegato un legale al fine di procedere nei confronti dell'(...) Bancario convenuto; che, inviata - in data 27/04/2015 - una prima raccomandata di richiesta chiarimenti, seguita da una seconda raccomandata di richiesta di incontro - in data 09/11/2015 - entrambe rimaste senza riscontro, in data 16/01/2017, a seguito di autorizzazione a procedere del Giudice Delegato, era stato introdotto il procedimento di mediazione avanti all'Organismo di Mediazione presso il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Mantova, il cui primo incontro veniva fissato in data 09/03/2017 e nessuno era comparso per la (...) (...) che era interesse ed intenzione del Dott. (...) in qualità di curatore fallimentare del (...), procedere giudizialmente nei confronti di (...) per ottenere la restituzione della somma di Euro 32.500,00= quale importo risultante indebitamente prelevato dal conto corrente n. 273/65 e ciò, per la responsabilità della (...) medesima che aveva omesso i dovuti controlli sui soggetti che avevano operato sul detto conto corrente, non correttamente indentificati. Sosteneva il Fallimento ricorrente: che, nelle condizioni generali relative al rapporto Banca - Cliente era previsto: "Art. 6 - Identificazione della clientela e di altri soggetti che entrano in rapporto con la banca -1. All'atto della costituzione dei singoli rapporti, il cliente è tenuto a fornire alla banca i dati identificativi propri e delle persone eventualmente autorizzate a rappresentarlo, in conformità alla normativa vigente anche in materia di antiriciclaggio. 2. Al fine di tutelare il proprio cliente, la banca valuta, nello svolgimento delle operazioni comunque connesse ad atti di disposizione del medesimo l'idoneità dei documenti eventualmente prodotti come prova dell'identità personale dei soggetti che entrano in rapporto con essa (quali portatori di assegni, beneficiari di disposizioni di pagamento, ecc.)."; Art.7 - Deposito delle firme autorizzate" 1. Le firme del cliente e dei soggetti a qualsiasi titolo autorizzati ad operare nei rapporti con la banca sono depositate presso lo sportello ove il relativo rapporto è intrattenuto. 2. Il cliente e i soggetti di cui al comma precedente sono tenuti ad utilizzare, nei rapporti con la banca, la propria sottoscrizione autografa in forma grafica corrispondente alla firma depositata, ovvero - previo accordo fra le parti - nelle altre forme consentite dalle leggi vigenti (es. firma elettronica)."; che era palese l'omissione posta in essere dall'Istituto Bancario rispetto ai richiamati articoli 6 e 7; che, all'atto dell'apertura del conto corrente bancario, il signor (...) aveva provveduto al regolare deposito della propria firma per esteso, nonché al conferimento di delega ad operare sul conto corrente, autorizzando all'uopo il fratello (...) con contestuale deposito della firma per esteso del medesimo; che applicabili alla fattispecie erano gli artt. 1176 e 1854 c.c. nonché l'art. 18 del D.Lgs. n. 231/07 attuativo della Direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose, la Direttiva 2006/70/CE, l'art. 119 T.U.B., i cui disposti si richiamavano unitamente a giurisprudenza di legittimità che si era espressa in materia; che, nel caso di specie, dall'esame delle distinte prodotte in atti in confronto sia con lo specimen del cliente, (...) che del suo delegato, (...), si evinceva come l'intermediario convenuto non avesse correttamente operato in quanto, ictu oculi, appariva sussistere una palese difformità della sottoscrizione apposta sul modulo di prelievo rispetto alle sottoscrizioni autorizzate ad operare; che, dalle distinte, si evinceva come le firme del correntista, delegato o richiedente non correntista fossero sigle apposte in carattere corsivo, palesemente difformi rispetto alle sottoscrizioni a suo tempo depositate presso l'intermediario. Il Fallimento ricorrente concludeva nei termini in epigrafe indicati. Notificato il ricorso e il decreto di fissazione di udienza, si costituiva tempestivamente (...) contestando quanto ex adverso dedotto e rilevando: che tra i mesi di maggio e settembre 2007 erano stati effettuati i girofondi per complessivi Euro 32.500,00 dal conto corrente indicato da parte attrice n. 273.65 ad altri quattro conti correnti presso la stessa Filiale della (...) e che le suddette operazioni erano state materialmente disposte dal titolare del conto (...) ovvero dal fratello (...) quale delegato, presentandosi personalmente presso lo sportello, dove erano ben conosciuti, onde compilare contestualmente i moduli prodotti ex adverso su cui risultavano apposte: sottoscrizioni di (...) identiche a quelle di cinque distinte di versamento - che la Banca convenuta produceva in giudizio - effettuate dallo stesso (...) tra il maggio e l'agosto 2007 e relative ad operazioni non contestate, e, per altre operazioni specificamente indicate in comparsa, la firma del delegato (...) conforme a quella in calce al contratto della carta di credito Blu Evolution datato 2/3/2007, contratto che la convenuta del pari allegava; che le suddette operazioni erano state regolarmente riportate negli estratti conto prodotti in atti, inviati sia a ciascun titolare dei quattro conti accreditati e al titolare del conto di addebito (...) il quale mai aveva formulato contestazione o mosso obiezione alcuna agli addebiti effettuati per le operazioni contestate; che solo successivamente, al fallimento dichiarato nel 2010, secondo quanto esposto dal ricorrente, nell'ottobre del 2011 sarebbe accaduto che il fallito (...) si sarebbe recato di persona assistito dalla propria legale di fiducia avv. An.Ca. presso il ridetto Curatore per fargli presente di avere rilevato presunte "operazioni anomale sul conto corrente della società nell'anno 2007, aperto presso la Banca (...)"; che il legale del (...) aveva quindi ritenuto di assumere concrete iniziative solo quattro anni più tardi, inviando alla (...) le raccomandate 27/04/2015 e 9/11/2015, per poi procedere giudizialmente soltanto nel febbraio 2022. La (...) eccepiva la prescrizione per il caso in cui si fosse ritenuta configurabile una responsabilità di natura extracontrattuale della convenuta, non essedo stato chiarito a che titolo il (...) facesse valere la propria pretesa; rilevava che le operazioni erano effettuate nel 2007 e contestate soltanto con il ricorso introduttivo del 2022, il titolare del conto di addebito, signor (...) mai avendo prima eccepito alcunché rispetto all'operato della (...) né tanto meno impugnato gli estratti conto a suo tempo inviati con la regolare contabilizzazione di ciascuna operazione; che l'art. 11 delle condizioni giuridiche del conto corrente rubricato "Approvazione dell'estratto conto" approvato con sottoscrizione specifica ai sensi dell'art. 1342 co. 2 c.c., prevede espressamente che l'operato della Banca si intenda approvato trascorsi trenta giorni dall'invio dell'estratto conto, salvo solo il caso - nella specie pacificamente insussistente - di errori di scritturazione o di calcolo, omissioni o duplicazioni di partite; che la suddetta clausola contrattuale fa espresso riferimento all'art. 1712 c.c. in tema di mandato, secondo cui una volta comunicata l'esecuzione dell'incarico al mandante, il silenzio di questi per un congruo tempo, attesa la natura dell'affare o gli usi, importa approvazione; che il suddetto articolo 11 delle condizioni giuridiche costituisce altresì applicazione di specie del principio sancito in tema di contratto di conto corrente dall'art. 1832 c.c. che pone a carico del cliente l'onere di impugnare il conto entro il termine di sei mesi a pena di decadenza, termine sicuramente decorso nella fattispecie; che, pertanto, l'azione avversaria risultava infondata per essere avvenuta nelle more l'approvazione del conto da parte del titolare signor (...) sia sotto il profilo delle norme sul mandato, comunque richiamate espressamente dal contratto di conto corrente in atti, sia delle norme in tema di conto corrente bancario. Parte convenuta evidenziava come il ricorrente si fosse limitato a contestare la corrispondenza agli specimen delle sottoscrizioni in calce ai moduli con cui erano state disposte le singole operazioni; che la vicenda, occorsa nel 2007, poteva essere ricostruita oggi sulla base dei documenti in atti, a cominciare dalle contabili prodotte dalla Curatela, evidentemente consegnate da (...) che ne era in possesso; che tutte le operazioni contestate erano state disposte da soggetti presentatisi personalmente allo sportello bancario dove erano ben conosciuti; che dai singoli moduli compilati e prodotti ex adverso risultava come le sottoscrizioni di (...) erano uguali a quelle in calce alle cinque distinte dei versamenti effettuati dal medesimo tra il maggio e l'agosto 2007 prodotte in atti e le firme apposte da (...) erano conformi a quelle risultanti dal contratto della carta di credito del 2/3/2007 da questi sottoscritto e pure prodotto in atti; che tutte le operazioni effettuate erano consistite in meri girofondi, cioè in trasferimenti dal conto corrente 273.65 intestato a (...) ad altri conti correnti presso la stessa Filiale della (...) disposti in favore di soggetti strettamente collegati al titolare del conto di addebito, come risultava documentalmente; che, pertanto, tali operazioni risultavano essere state approvate dal titolare del conto e le modalità concrete della loro esecuzione, così come risultanti per tabulas, dimostravano come fossero state legittimamente disposte dai soggetti legittimati e puntualmente eseguite dalla (...) secondo le istruzioni ricevute da tali soggetti; che gli artt. 6 e 7 delle condizioni generali del rapporto (...) - Cliente, richiamate dalla ricorrente ponevano l'onere di sottoscrivere in modo corrispondente allo specimen a carico del cliente e degli eventuali delegati ad operare sul conto, al fine di consentire alla (...) (allorquando la concreta situazione potesse dar luogo a dubbi o incertezze) di procedere con le verifiche formali del caso in operazioni nelle quali non partecipavano personalmente il titolare del conto o suoi delegati, quali ad esempio il pagamento di un assegno emesso con la firma di traenza del correntista o di un delegato e presentato all'incasso dal beneficiario (portatore); che tale onere di sottoscrizione conforme allo specimen a carico del cliente non generava un diritto di quest'ultimo a pretendere che la (...) verificasse l'applicazione di tale modalità di sottoscrizione in tutti gli atti ad essa diretti per le funzionalità del rapporto di conto corrente, essendo la (...) libera di apprezzare la modalità di sottoscrizione delle disposizioni fornitele dal cliente quando non abbia motivo di dubitare della loro genuinità come, esemplificativamente, allorquando il cliente stesso o il suo delegato si presentino personalmente allo sportello per consegnare la disposizione medesima, ancorché sottoscritta con sigla difforme dallo specimen.; che la (...) quale mandataria tenuta ad operare in modo diligente nell'interesse del cliente, nel caso in cui la legittimazione di chi disponeva l'operazione risultasse comunque accertata (come era accaduto nella fattispecie in cui le operazioni erano state personalmente disposte allo sportello della Filiale da soggetti conosciuti in favore di rapporti facenti evidentemente capo alla cerchia del titolare), aveva il dovere di eseguire le operazioni richieste e sarebbe venuta meno ai propri obblighi ove le avesse rifiutate; che inconferente era il riferimento effettuato da parte avversa alla disciplina in tema di antiriciclaggio, non essendo in discussione né l'identificazione del titolare effettivo del conto, né tanto meno la natura eventualmente sospetta delle operazioni de quibus sotto il profilo di tale disciplina; che l'asserita violazione degli ipotetici obblighi contrattuali affermati dal ricorrente a carico della (...) comportava al più un correlativo obbligo risarcitorio a carico di quest'ultima solo se e in quanto da tale violazione potesse dirsi conseguito un effettivo danno al cliente, danno che, nella specie, non era neppure allegato; che, quand'anche la (...) avesse violato il preteso diritto azionato ex adverso, nessun risarcimento sarebbe dunque spettato al (...); che, in ogni caso, trovava applicazione l'art. 1227 c.c., comma 1 e comma 2 c.c., dal momento che il danno era stato cagionato con il concorso del fatto colposo del titolare del conto corrente signor (...), il quale avrebbe potuto evitarlo o quanto meno ridurlo ove si fosse attivato tempestivamente all'epoca delle operazioni disposte nel 2007, riferite come "irregolari' al curatore solo a distanza di anni. La convenuta concludeva nei termini in epigrafe indicati. All'esito dell'udienza di prima comparizione, il giudice, ritenuta necessaria un'istruzione non sommaria, disponeva il mutamento del rito e rinviava la causa ex art. 183 c.p.c. all'udienza del 15/11/2022; concessi i termini ex art. 183 comma VI c.p.c. per il deposito di memorie, a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 18.4.2023, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 26.2.2024; la causa era quindi trattenuta in decisione con concessione di termini ex art. 190 comma 1 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. La domanda proposta va rigettata. La responsabilità di cui l'attore chiede l'accertamento va qualificata come contrattuale. Deve, infatti, condividersi l'autorevole indirizzo dottrinale che qualifica il rapporto obbligatorio come un "fascio di diritti e obblighi reciproci", che, parallelamente all'obbligazione principale e caratterizzante il contratto, conosce una serie di obbligazioni accessorie che contribuiscono a definire l'oggetto del rapporto contrattuale in applicazione degli obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. Ne discendono una serie di doveri strumentali a carico dei soggetti contraenti, tra cui -nel caso di specie - l'obbligo di protezione del correntista che è immanente al principio costituzionale di solidarietà e si declina nel dovere di ciascuna parte contrattuale di compiere tutte quelle attività secondarie necessarie a proteggere la sfera giuridica altrui. Sul punto, numerosi arresti della Corte di Cassazione confermano che tale obbligazione "enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost., che (...) esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge" (così Cass., Sez. 3, sent. n. 22819 del 10 novembre 2010; confermativa di Cass., Sez. 1, sent. n. 23273 del 27 ottobre 2006, di Cass., Sez. 1, sent. n. 21250 del 6 agosto 2008 e Cass., Sez. 3, sent. n. 20067 del 19 luglio 2008). Nel caso specifico, deve ritenersi che tra gli obblighi accessori della banca e scaturenti dall'apertura di un rapporto di conto corrente sussista certamente anche quello di verificare l'identità del soggetto che chiede di eseguire operazioni sul conto stesso, essendo doveroso ed esigibile un controllo sulla legittimazione del disponente. L'attività dell'istituto di credito è un'attività professionale e l'adempimento delle obbligazioni ad essa inerenti deve essere valutato "con riguardo alla natura dell'attività esercitata", ex art. 1176, comma 2, c.c.. Applicato tale grado di diligenza alla banca contraente, si deve validamente ritenere che tale parametro debba essere utilizzato anche nella valutazione del corretto adempimento all'obbligazione (derivante, come detto, dal combinato disposto degli artt. 1175 e 1375 c.c.) di verificare la legittimazione e l'identità del soggetto che ponga in essere operazioni bancarie. Sulla sussistenza del requisito della diligenza specifica in capo agli istituti di credito si sono espressi sia i giudici di legittimità (ad esempio, "la banca, svolgendo attività professionale, deve adempiere a tutte le obbligazioni, con la diligenza particolarmente qualificata dell'accorto banchiere, assunte nei confronti dei propri clienti, non solo con riguardo all'attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni tipo di operazione oggettivamente esplicata (art. 1176 c.c.). Pertanto la banca risponde di tutti i rischi tipici della sua sfera professionale per la cui eliminazione non ha provveduto alla adozione di mezzi idonei", così Cass., Sez. 1, sent. n. 13777 del 12 giugno 2007; sulla scorta di costante giurisprudenza, ex aliis Cass., Sez. 1, sent. n. 5617 del 12 maggio 1992, n. 5617, confermata da Cass., Sez. 1, sent. n. 806 del 19 gennaio 2016: "la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell'accorto banchiere"); sia i giudici di merito (App. Pa., Sez. 3, sent. n. 76 del 20 gennaio 2016; Trib. Milano, 9 ottobre 2007: "La diligenza cui l'accorto banchiere e la banca devono attenersi non è quella di cui all'art. 1176 comma 1 c.c., ma precisamente quella del comma 2 dello stesso articolo: la diligenza qualificata di colui che esercita un'attività professionale"). Ciò detto, deve essere conseguentemente respinta l'eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca convenuta per l'ipotesi in cui la responsabilità della convenuta fosse stata qualificata come extracontrattuale. Invero, nel giudizio de quo, l'azione risarcitoria promossa dalla curatela trova fondamento nella dedotta violazione di obblighi di diligenza e vigilanza della (...) nella conclusione ed esecuzione del contratto di conto corrente bancario sottoscritto con il socio illimitatamente responsabile in bonis. La (...) ha, inoltre, eccepito la decadenza della Curatela attrice dall'esercizio dei diritti di cui al presente giudizio, per non avere il titolare del conto corrente mai contestato gli estratti conto regolarmente inviati dall'Istituto di credito negli anni in questione. Detta eccezione risulta infondata, alla luce delle argomentazioni che seguono, confortate dal costante orientamento giurisprudenziale in materia. Costituisce principio ricorrente in giurisprudenza quello secondo il quale la ricezione degli estratti conto non fa decadere il cliente dal diritto di contestare le nullità che viziano il rapporto bancario. In proposito, si rileva che la Suprema Corte ha più volte chiarito che non è mai precluso al correntista contestare gli errori di contabilizzazione anche in caso di mancata impugnazione dell'estratto conto bancario. In base alla corretta esegesi del combinato disposto degli artt. 1857 e 1832 c.c., infatti, espressa in un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, l'approvazione tacita o espressa, del conto non comporta la decadenza da eventuali eccezioni relative alla validità in senso lato o all'efficacia di singoli negozi o fatti giuridici che costituiscono titolo dell'annotazione. Il tutto, ove si consideri che l'incontestabilità delle risultanze del conto, derivante dalla mancata impugnazione, si riferisce ai rispettivi accrediti ed addebiti considerati nella loro realtà effettuale e non alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori da cui essi derivano. Pertanto, nel rapporto di conto corrente bancario il termine di decadenza di sei mesi per l'impugnazione dell'estratto conto trasmesso al cliente, fissato dall'art. 1832, 2° comma, c.c., ove non esercitato, non preclude la possibilità di contestare il debito da esso risultante, che sia fondato su negozio nullo, annullabile inefficace o, comunque su situazione illecita (in tal senso cfr. ex multis, Cass. Civ. n. 10186/2001; Cass. Civ. n. 18626/2003; Cass. Civ. n. 76625/2005; Cass. Civ. n. 11749/2006; Cass. Civ. n. 12372/2006; Cass. Civ. n. 6514/2007, e Cass. Civ. n. 17679/2009). Come noto, la natura contrattuale della responsabilità produce conseguenze circa il riparto dell'onere della prova in ordine all'inadempimento. Avendo, infatti, l'attore provato il titolo contrattuale ed allegato l'inadempimento della banca, spetta a quest'ultima provare di avere esattamente adempiuto (Cass., Sez. Un., sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001). Dunque, secondo i principi propri della responsabilità contrattuale, perché la banca possa andare esente da responsabilità, è tenuta a dimostrare di aver esattamente adempiuto alle obbligazioni derivanti dal contratto; l'istituto di credito deve, cioè, provare anche di aver soddisfatto l'obbligazione accessoria di verificare l'identità del soggetto che ha eseguito le operazioni bancarie. Nel caso analizzato, ciò comporta la dimostrazione di aver verificato l'identità e la legittimazione del soggetto che ha realizzato le operazioni sul conto corrente del quale era titolare il sig. (...) Sul punto, va detto che parte attrice allega esclusivamente la difformità delle sottoscrizioni apposte agli atti di disposizione oggetto di contestazione rispetto allo specimen delle stesse depositato, altro non specificando. Per contro, la (...) ha dato conto della corrispondenza delle stesse rispetto ad altra documentazione in suo possesso che ha indicato nel dettaglio e versato agli atti e che è riferibile a operazioni poste in essere da (...) e (...), mai contestate. L'(...) ha altresì precisato che i sig.ri (...) erano ben conosciuti in filiale e che le operazioni sono state poste in essere dagli stessi presentandosi personalmente presso lo sportello. A fronte di quanto documentato e dedotto dalla (...) il (...), non ha sollevato altrettanto specifici rilievi, non ha prodotto documenti, né ha formulato idonee istanze istruttorie a sostegno. Va dunque ricordato che il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. opera non solo per il convenuto ma anche per l'attore (Cass. n. 8647/2016). Secondo la giurisprudenza della Corte, infatti, il principio di contestazione tempestiva (con il relativo corollario della non necessità di prova riguardo ai fatti non tempestivamente contestati, e, a fortiori non contestati tout court, e dovere, per il giudice, di ritenere non necessaria la prova per ciò che non è espressamente contestato), è applicabile sia nei confronti dell'attore che del convenuto. Si è infatti affermato che "ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l'altra parte ha l'onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio" (Cass. n. 1540/2007). Pertanto, per quanto possa allegarsi la circostanza che la (...) non abbia adempiuto ai propri obblighi contrattuali derivanti dagli obblighi di protezione, a fronte di quanto specificamente dedotto e documentato dall'istituto, era onere dell'attrice fornire precisi elementi a conferma delle rilevate difformità di firma e della mancata verifica - secondo la richiesta diligenza - della legittimazione del soggetto che stava operando sul conto corrente da parte della convenuta. A quanto esposto deve aggiungersi che, posta la natura della responsabilità contrattuale allegata da parte attrice, la conseguente domanda di risarcimento del danno postula la sussistenza della relativa prova. Infatti, la natura contrattuale dell'illecito e la ripartizione come sopra delineata in relazione alla sussistenza dell'inadempimento non comporta anche l'inversione dell'onere probatorio in relazione all'esistenza di un danno risarcibile, in capo all'attore. In questo senso, si esprime anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui "in tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore" (così Cass., Sez. 1, sent. n. 21140 del 10 ottobre 2007; in senso conforme si veda Cass. Sez. 3, sent. n. 5960 del 18 marzo 2005). In relazione al danno patrimoniale lamentato, la prova richiede la dimostrazione che le somme oggetto delle disposizioni ed operazioni bancarie indicate siano state destinate a fini non autorizzati, né ratificati, dal socio correntista Tale prova del danno risarcibile non è stata offerta e fornita da parte attrice. In relazione alla risarcibilità si aggiunge la dirimente rilevanza del concorso del fatto colposo del creditore che rende, comunque, il danno lamentato non risarcibile. In capo alla curatela del fallimento, quale soggetto che accede e succede alla posizione sostanziale del soggetto fallito, è ravvisabile un concorso nella causazione del danno attesa la condotta omissiva del socio illimitatamente responsabile in bonis che riveste un ruolo di esclusiva efficienza nella causazione del danno ex art. 1227 c.c.: il danno si sarebbe potuto evitare o quanto meno ridurre ove il socio, titolare del conto, si fosse attivato tempestivamente all'epoca delle operazioni disposte nel 2007, riferite genericamente come irregolari solo a distanza di anni. Ciò vale ad escludere la risarcibilità degli eventuali danni, in applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c.. Il Fallimento non può considerarsi soggetto terzo per la pretesa avanzata nei confronti della Banca. Secondo l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8914 del 4/06/2003): "la posizione del curatore fallimentare è differenziata secondo che egli - può dirsi genericamente - rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti di terzi; nel primo caso egli è terzo, nell'altro subentra nella medesima posizione del debitore fallito, facendone valere i diritti così come in capo a quello esistevano e si configuravano. Si trova in quest'ultima posizione allorché agisce per la riscossione di un credito del fallito". Nel caso di specie, il (...) agisce in giudizio per far valere diritti sorti in capo al socio illimitatamente responsabile antecedentemente alla dichiarazione di fallimento e riguardanti il rapporto contrattuale con l'istituto di credito convenuto. Ne discende che la posizione sostanziale e processuale della curatela attrice si pone in perfetta continuità con quella del socio, del quale è avente causa a tutti gli effetti. Pertanto, anche alla luce del mancato raggiungimento della prova del danno risarcibile ed in virtù dell'applicazione dell'art. 1227, comma 2, c.c. - ritualmente eccepito -, non può essere accolta la domanda proposta dal (...). Deve essere accolta la domanda di condanna della convenuta al pagamento, in favore dell'Erario, di somma pari al contributo unificato ai sensi dell'art. 8 comma 4-bis del D.Lgs. 28/2010, ratione temporis applicabile, non avendo la (...) addotto adeguate giustificazioni in ordine alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria come risulta da verbale di mediazione riferito all'incontro fissato in data 9.3.2017. Deve al riguardo ritenersi priva di rilevanza la valutazione prognostica, formulata dalla convenuta, circa l'inutilità della procedura per l'impossibilità di raggiungere la conciliazione (in tal senso, C.d.A. Genova n. 652/2020). In ordine alle spese di lite, si rileva che, nonostante il rigetto della domanda per mancanza di prova del danno risarcibile, la domanda non poteva dirsi totalmente destituita di fondamento, considerato l'onere probatorio che gravava sulla convenuta contrattualmente obbligata, il tempo trascorso dalle operazioni contestate e l'oggettiva incertezza che ne è conseguita in termini di accertamento; si ritengono dunque sussistere gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione integrale delle medesime. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita; rigetta la domanda di parte attrice; compensa le spese tra le parti; condanna (...) al versamento all'entrata di bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Mantova, 14 agosto 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Mantova SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Venturini ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3524/2022 promossa da: (...) (C.F. (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) ATTORE OPPONENTE contro (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso dall'avv. (...) e dall'avv. (...) CONVENUTA OPPOSTA Oggetto: Contratti bancari CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Premesso che: con atto dì citazione ritualmente notificato (...) ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. (...)22 ottenuto nei suoi confronti da (...) per il pagamento di Euro 13.051,34, quale cessionaria del credito derivante dal contratto di finanziamento n. (...) in essere originariamente con la cedente, (...), eccependo l'insussistenza del credito fatto valere in via monitoria per la mancata erogazione del finanziamento, a fronte dell'insussistenza del rapporto di c/c sul quale lo stesso risultava essere stato bonificato, e comunque disconoscendo la sottoscrizione apposta al contratto di finanziamento prodotto dalla creditrice opposta come prova del credito. Si costituiva l'opposta che contestava tutto quanto cosi eccepito e dedotto da controparte chiedendo il rigetto dell'opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo. Respinta la richiesta di provvisoria esecuzione, il Giudice, con ordinanza 3.05.2023, assegnava termine di gg. 15 per la presentazione della domanda di mediazione, ai sensi dell'art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010; all'udienza fissata per la verifica dell'avvenuto rituale esperimento del procedimento di mediazione parte convenuta depositava verbale di mediazione con esito negativo in data 3.07.2023, mentre palle attrice eccepiva l'improcedibilità della domanda ex adverso formulata, per essere stato il procedimento di mediazione promosso dalla convenuta avanti ad (...) con sede in (...) e quindi incompetente, motivo per il quale il proprio difensore aveva dichiarato la mancata adesione dell'attore alla domanda, e rilevando come solo a seguito di tale comunicazione, in data 18 giugno 2023, "allorchè i 15 giorni concessi per l'instaurazione del procedimento di mediazione erano già ampiamente spirati, l'organismo di (...) inviava altra pec, con la quale comunicava che per errore la procedura era stata instaurata a (...) ma in realtà, in forza di un presunto accordo stipulato ex art. 7 D.Lgs. n. 28 del 2010 con la Camera Mantovana di Mediazione e conciliazione non prodotto né allegato la mediazione si sarebbe tenuta su (...) e quindi presso un organismo competente"; instaurato il contraddittorio in ordine a detta eccezione, la causa veniva rimessa in decisione su tale questione pregiudiziale, con fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni e discussione della causa ex art. 281 sexies c.p.c. Ciò premesso rileva quanto segue: Sono stati prodotti: "Convocazione delle parti per la mediazione obbligatoria" inviata via pec al difensore di parte attrice in data 25.05.2023 da parte di (...), Organismo di mediazione con sede in (...) con fissazione di primo incontro per il giorno 22.06.2023 "presso (...) - (...) Palestrina (...) - (...), incontro "che si terrà in videoconferenza"; dichiarazione di mancata adesione trasmessa dal legale di parte attrice in data 7.06.2023 "essendo l'organismo adito incompetente per territorio", e seconda PEC inviata da (...) in data 18.06.2023 del seguente tenore: "Per errore nostro, la procedura è stata erroneamente convocata su Roma, pur avendo noi stipulato un accordo ex art. 7 del D.Lgs. n. 28 del 2010 con la Camera Mantovana di Mediazione e Conciliazione per la singola mediazione e, pertanto, essedo competente territorialmente, come la legge consente. Dato atto quanto sopra, la procedura è pertanto correttamente instaurata. Atteso che immaginiamo necessario un congruo termine per la valutazione da parte Vostra dell'opportunità dell'adesione, rincontro viene rinviato alla data del 3 luglio 2023, ore 15,00, presso la sede di ex at. 7 D.Lgs. n. 28 del 2010 di (...) (...) ed in videoconferenza su portale (...) per il quale si prega di fornire indirizzo e-mail al fine dell'invio dell'invito", che non risulta contenere allegati (v. doc. parte attrice 22.09.2023 e doc. parte convenuta 3.10.2023); verbale dell'incontro di mediazione relativo al suddetto procedimento, svolto da mediatore nominato da (...) in data 3.07.2023, in cui, pur riportando come luogo di redazione (...), viene dato atto che all'incontro svolto "presso la sede di (...) dell'Organismo di Mediazione (...) parte convenuta "non si è presentata", e della conseguente impossibilità di procedere alla mediazione (deposito parte convenuta 22.09.2023); a fronte delle eccezioni sollevate da parte opponente parte convenuta ha prodotto "accordo ex art. 7/2 comma lett. c D.M. n. 180 del 2010 del 15.5.2023" fra (...) e (...) con il quale le suddette parti "convengono di consorziarsi" per la procedura oggetto, rimanendo a carico dell'Organismo "gestore" ((...) tutti gli adempimenti relativi alla mediazione, da svolgersi da parte di mediatore nominato dallo stesso, e con previsione del diritto dell'Organismo "consorziato" (...) al 50% "delle sole indennità di mediazione", sostenendo quindi che il procedimento di mediazione, regolarmente introdotto entro il termine di gg. 15, è stato poi svolto correttamente, insistendo per il rigetto dell'eccezione di improcedibilità sollevata dall'opponente. Ritenuto che: appare forse superfluo evidenziare come il procedimento di mediazione "finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali", condizione di procedibilità delle azioni individuate dal legislatore all'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, non costituisca un mero adempimento burocratico. Com'è noto le norme che hanno introdotto nell'ordinamento tale strumento deflattivo sono state oggetto di successivi plurimi interventi legislativi, e da ultimo anche del D.Lgs. n. 149 del 2022 (c.d. Riforma Cartabia), che, con decorrenza dal 30.06.2023, ha sostituito l'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010; in particolare nella nuova formulazione della norma non è più prevista la fissazione, da parte del giudice, del "termine di quindici giorni per la presentazione della domanda", ma unicamente la fissazione di "successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6" (che disciplina la durata del procedimento di mediazione). E' qui del pari superfluo accertare se la suddetta modifica sia applicabile anche al procedimento di mediazione che costituisce condizione di procedibilità della presente causa (come sostenuto da parte convenuta), al fine di ritenere "non perentorio" il termine di gg. 15 per la presentazione della domanda, qui assegnato alle parti con ordinanza 3.05.2023, in quanto la perentorietà di tale termine, non espressamente statuita dal legislatore, era già stata esclusa dall'interpretazione del testo previgente della norma da palle della Suprema Corte (v. Corte Cass. n. 40035 del 14/12/2021). Ciò che qui rileva è invece il disposto dell'art. 4 D.Lgs. n. 28 del 2010, a norma del quale, come previsto dal legislatore del 2013, "La domanda di mediazione relativa alla controversie di cui all'articolo 2 è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia... La competenza dell'organismo è derogabile solo su accordo delle parti"; come chiarito dalla Circolare del Ministero della Giustizia del 27 novembre 2013, tenuto conto di tale disposizione, "la domanda di Mediazione dovrà essere presentata presso un Organismo di Mediazione accreditato che abbia la propria sede principale o secondaria nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia che si intende proporre." Nel caso è pacifico che l'Organismo unilateralmente adito dalla convenuta, (...) abbia la propria sede in (...) e non abbia nel circondario del Tribunale di Mantova sedi secondarie e che pertanto la domanda sia stata "depositata" presso organismo incompetente, con conseguente inefficacia della stessa, come sostenuto dall'orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito, e a cui questo Giudice aderisce, posto che tale competenza territoriale "è derogabile solo su accordo delle parti, che possono rivolgersi, con domanda congiunta, ad altro organismo" (cfr. in tal senso, Trib. Torino 10 giugno 2022, Trib. Foggia n. 1831/2021; Trib. Ragusa n. 496/2020; Trib. Napoli, 14 marzo 2016; Trib. Milano, 26 febbraio 2016). Parte convenuta ha sostenuto che tale incompetenza non sussista per essere stato il secondo incontro fissato in (...) presso la sede di (...) , in forza di accordo con questa concluso "ex art. 7/2 comma lett. c D.M. n. 180 del 2010". L'assunto è infondato. L'art. 7 del D.M. n. 180 del 2010, relativo al regolamento che deve essere adottato da ogni organismo di mediazione, statuisce che: "2. L'organismo può prevedere nel regolamento: ... c) la possibilità di avvalersi delle strutture, del personale e dei mediatori di altri organismi con i quali abbia raggiunto a tal fine un accordo, anche per singoli affari di mediazione, nonché di utilizzare i risultati delle negoziazioni paritetiche basate su protocolli di intesa tra le associazioni riconosciute ai sensi dell'articolo 137 del Codice del Consumo e le imprese, o loro associazioni, e aventi per oggetto la medesima controversia.", disposizione che non modifica (e che non potrebbe modificare) l'individuazione dell'organismo competente, prevista dall'art. 4 del D.Lgs. n. 28 del 2010, ma che prevede unicamente la possibilità per l'organismo adito (e quindi per l'organismo competente), se previsto dal proprio regolamento, di avvalersi, per lo svolgimento del procedimento di mediazione, anche di "strutture, personale, mediatori" di altri organismi, "con i quali abbia raggiunto a tal fine un accordo". Anche se l'organismo adito, (...) ha provveduto alla stipula di un accodo per svolgere (successivamente al rilievo di incompetenza, rappresentata da parte attrice) il procedimento di mediazione in un luogo (la sede di (...) Mediazione (...)) situato nella circoscrizione del "giudice territorialmente competente", ciò non comporta quindi che lo stesso sia, per ciò, divenuto "Organismo territorialmente competente", ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 28 del 2010. All'incompetenza territoriale dell'Organismo avanti al quale la domanda di mediazione è stata proposta, e alla conseguente inefficacia della stessa e del procedimento così svoltosi avanti a detto organismo, consegue l'improcedibilità della domanda monitoria, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto (Cass. SS.UU. n. 19596/2020). Le spese di lite seguono alla soccombenza. Dette spese vengono liquidate come indicato in dispositivo, tenuto conto del valore della causa e dell'attività difensiva in concreto svolta, secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 (valori minimi della tabella di riferimento). Non sussistono nel caso, avendo la presente decisione ad oggetto unicamente questione pregiudiziale, i presupposti di cui all'art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, così giudica: Dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale proposta da parte convenuta e conseguentemente revoca il decreto ingiuntivo n. (...)22 emesso da questo Tribunale nei confronti di parte attrice opponente in data 5.10.2022. Dichiara tenuta e condanna parte convenuta opposta alla rifusione delle spese di lite sostenute da parte opponente, che si liquidano in complessivi Euro 75,00 per spese ed Euro 2.538,50 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali 15%, IVA e CPA come per legge. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c. Così deciso in Mantova il 21 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Emmanuela Raciti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 3237/2019 PROMOSSA DA (...) (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), giusta procura in atti; ATTRICE CONTRO CONDOMINIO (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...), giusta procura in atti; CONVENUTO CONCLUSIONI Per parte attrice: "NEL MERITO: - condannarsi la convenuta al pagamento in favore dell'istante di complessivi Euro 17.849,60 per i titoli dedotti in atto, oltre ad interessi legali dal 7 settembre 2015 al pagamento; - con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio, oltre ad IVA e CPA, rimborso del contributo unificato e accessori, come per legge. IN VIA ISTRUTTORIA: per mero tuziorismo difensivo, benché in punto "an" e "quantum" la domanda risulti decisamente provata anche all'esito della prova orale che ha visto l'ammissione e poi la conferma di precisi capitoli riferiti specificatamente alla quantificazione del danno, si insiste per l'ammissione: - CTU tecnica volta alla determinazione della causa dell'allagamento avvenuto il 5 luglio 2009 nei locali (...) siti in Mantova nella via (...) e così la compatibilità del nesso causale tra i fatti allegati in citazione e i danni descritti; quantifichi il CTU i danni lamentati dall'attrice." Per parte convenuta: "L'avv. (...), nel ribadire l'eccepita inammissibilità della testimonianza del Signor (...) - con conseguente nullità della relativa deposizione - già rilevata in sede di udienza del 30.06.2021, e nel rifiutare, comunque, il contraddittorio su ogni domanda nuova avversaria, chiede che l'Ill.mo Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, decida in accoglimento delle seguenti conclusioni, contrariis reiectis: NEL MERITO - Respingersi le istanze di parte attrice, in quanto infondate in fatto e in diritto e come meglio, nonché a fronte della intervenuta prescrizione. - In subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento delle istanze avversarie, contenersi le stesse nei limiti del giusto e del provato e ridurre il risarcimento eventualmente ritenuto dovuto all'attrice escludendo i danni che la stessa avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, comma II, c.c.) e comunque in rapporto alla gravità della sua colpa e all'entità delle conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, comma I, c.c.). - In ogni caso, spese e compensi di causa rifusi. IN VIA SUBORDINATA ISTRUTTORIA - Accogliersi le istanze ed ammettersi le prove tutte così come dedotte nella memoria ex art. 183, comma VI, n. 2) c.p.c., datata 05.06.2020, nonché in sede di udienza del 30.06.2021 e del 19.01.2022, e non accolte ovvero non ammesse, e in particolare: - ammettersi prova per interpello di parte attrice sulle circostanze come di seguito capitolate: - 1) vero è che nella notte tra il 4 ed il 5 luglio 2009 la città di Mantova - così come la relativa provincia - fu colpita da un fenomeno atmosferico particolarmente intenso; - 2) vero è che a Mantova, nella notte tra il 4 ed il 5 luglio 2009, in un'ora caddero 26 mm. di pioggia; - 3) vero è che l'area antistante il negozio condotto in da (...), alla Via Cremona in Mantova, costituiva pertinenza esclusiva dello stesso e posta nella esclusiva disponibilità del titolare dei relativi locali; - 4) vero è che i pluviali del complesso immobiliare nel quale risultavano inseriti i locali condotti in locazione da (...), alla Via (...) in Mantova, erano stati puliti nel 2008, in occasione di alcuni lavori interessanti la copertura di uffici posti al secondo piano dell'edificio; - 5) vero è che il pluviale che (...) assume essersi danneggiato in occasione del fenomeno meteorologico del 04-05 luglio 2009 conduce lo scarico nel piazzale antistante la rampa di ingresso al negozio, mentre la bocca di lupo posta nell'area di pertinenza di quest'ultimo si trova in corrispondenza delle finestre del locale seminterrato; - 6) vero è che le immagini prodotte dal Condominio convenuto sub 5) e sub 14) - da rammostrare al teste - evidenziano la presenza di pilette di scarico der(...)ti da bocchette poste lungo l'area antistante il negozio ed atte a far defluire le acque, la cui manutenzione competeva a (...); - 7) vero è che (...) era solita sistemare nell'areaprospicente il negozio attrezzature e vasi di piante, come da immagini prodotte sub 5), da rammostrare al teste; - 8) vero è che l'edificio del quale facevano parte gli immobili condotti in locazione da (...), alla Via (...) in Mantova, è munito di due pluviali per ciascun "lato lungo" dell'immobile, come da immagini prodotte sub 13), da rammostrare al teste; - 9) vero è che l'"allagamento" del luglio 2009, lamentato da (...), e di cui è causa, interessò il locale cantina, di pertinenza del negozio, posto al piano seminterrato; - 10) vero è che le immagini prodotte da parte attrice sub 2), sub 3) e sub 12) - da rammostrare al teste - si riferiscono al locale cantina, di pertinenza del negozio, posto al piano seminterrato; - 11) vero è che (...) conservava la propria merce - e ciò anche in occasione del fenomeno atmosferico del 4-5 luglio 2009 - nel locale cantina, di pertinenza del negozio, posto al piano seminterrato; - 12) vero è che il documento prodotto da parte convenuta sub 19) - da rammostrare al teste - si riferisce alla scheda di accatastamento dell'immobile interessato dall'"allagamento" lamentato da (...) e posto in Mantova - alla Via (...); -13) vero è che i locali situati al piano interrato rispetto al negozio posto in Mantova - alla Via (...), ven(...)o indicati, nella scheda di accatastamento, come cantinati; - ammettersi altresì prova per testi sulle circostanze innanzi capitolate sub 1), 3), 7), 12), 13). Si indicano quali testi: - (...), residente in Mantova - Via (...); - (...), residente in Mantova - Via (...); - disporre che, ai sensi dell'art. 257 c.p.c., sia nuovamente esaminato (...), residente in Mantova - Via (...), al fine di chiarire le circostanze in forza delle quali il sinistro di cui è causa non sarebbe stato indennizzato dalla compagnia assicuratrice dell'attrice e i motivi per i quali lo stesso non sarebbe rientrato nelle garanzie della polizza assicurativa inerente ai locali utilizzati dalla stessa; - previa eventuale rimessione in termini, ordinarsi, nei confronti di parte attrice, l'esibizione ex art. 210 c.p.c. della polizza assicurativa in relazione alla quale - con riferimento al sinistro di cui è causa - la stessa presentava richiesta di indennizzo che non veniva accolta, secondo quanto riferito dal teste (...) in occasione dell'udienza del 19.01.2022, nonché della documentazione relativa alla gestione del medesimo sinistro." Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 30 settembre 2019 l'attrice "(...)" ha chiamato in giudizio il Condominio (...), chiedendo al Tribunale adito la condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni patrimoniali subiti in conseguenza dell'allagamento dei locali del proprio negozio avvenuto in data 5 luglio 2009, e quantificati nella somma di 9.709,32 euro. In particolare, a fondamento della domanda l'attrice ha, anzitutto, allegato di aver occupato, a decorre re dall'1 giugno 2004, e in forza di contratto di locazione commerciale, l'unità immobiliare di proprietà di "(...) s.r.l.", inserita nel complesso condominiale (...), adibendo il locale posto al piano terra a negozio e il seminterrato a magazzino; ciò premesso, ha esposto che il giorno 5 luglio 2009, in occasione di un temporale estivo, la porzione immobiliare collocata al piano interrato si era allagata, cagionando ingenti danni ai prodotti zootecnici ivi stoccati. In ordine alle cause di tale evento parte attrice ha dedotto che, a seguito di un accertamento effettuato immediatamente dopo il fatto, era emerso che: (i) l'acqua piovana non era defluita correttamente lungo il pluviale di scarico condominiale, perché ostacolata da un "tappo" (di foglie, rametti, polvere, sassolini e terriccio) che si era formato all'interno dello stesso; (ii) tale occlusione aveva provocato la rottura del pluviale, con conseguente dispersione delle acque sia contro il muro adiacente detta tubazione sia sul marciapiede, sia all'interno della bocca di lupo situata accanto ad essa, causando anche lo sfondamento del vetro della finestrella posta nella bocca medesima. Con comparsa di risposta depositata in data 30 dicembre 2019 si è costituito in giudizio il convenuto Condominio (...), il quale ha, in via preliminare, sollevato eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno fatto valere dall'attrice, ritenendo che i documenti prodotti da controparte non erano idonei ad assumere valore interruttivo della prescrizione; nel merito ha contestato la fondatezza della domanda attorea, replicando che: (i) l'evento atmosferico occorso la notte tra il 4 e il 5 luglio 2009 aveva avuto carattere eccezionale, in quanto - come rilevato anche dal Centro Meteo del (...) - in una sola ora era caduti 26 mm. di pioggia; (ii) di conseguenza, l'allegamento dei locali occupati dell'attrice non era stato causato dall'erroneo funzionamento del pluviale di scarico, quanto piuttosto dall'accesso diretto delle acque piovane al magazzino seminterrato, verificatosi tramite la bocca di lupo presente nell'area antistante il negozio. A sostegno di tale conclusione la convenuta ha allegato che la posizione del suddetto pluviale - che conduceva lo scarico nel piazzale antistante la rampa di ingresso al negozio - non era compatibile con la causazione di tale evento dannoso, tanto più che tale tubo era stato oggetto di recenti interventi di manutenzione. In relazione al quantum debeatur, la convenuta ha poi contestato sia l'esistenza all'interno del locale cantinato dell'elenco dei mobili indicati in citazione sia l'entità delle perdite stimate dall'attrice. Concessi i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'assunzione della prova orale e l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti. Esaurita l'attività istruttoria, all'udienza del 7 febbraio 2023 le parti hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe e la causa è stata, quindi, posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. In via preliminare va anzitutto esaminata l'eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta. Rispetto a tale questione occorre osservare che l'art. 2943 comma 4 c.c. enuclea tra le cause di interruzione della prescrizione qualunque atto idoneo a costituire in mora il debitore. In ordine alla portata applicativa di tale previsione normativa la giurisprudenza di legittimità ha affermato, anche recentemente, che "l'atto di interruzione della prescrizione non deve necessariamente consistere "in una richiesta o intimazione" (essendo questa una caratteristica riconducibile all'istituto della costituzione in mora), ma può anche emergere da una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti, puramente e semplicemente, l'intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante, in tal guisa dovendosi interpretare estensivamente il disposto dell'articolo 2943, comma quarto, cod. civ., in sinergia ermeneutica con la più generale norma dettata, in tema di prescrizione, dall'articolo 2934 cod. civ." (cfr. Cassazione civile, sez. 3, sentenza n. 15766 del 12 luglio 2006; Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza n. 1166 del 18 gennaio 2018). Nel caso di specie assume rilievo la missiva inviata a mezzo fax, in data 11 febbraio 2014, dall'avv. (...), per conto dell'impresa "(...)" (cfr. doc.8 allegato alla citazione), nella quale si legge quanto segue: "(...) Ti preciso che il danno complessivamente subito dalla sig.ra (...) ammonta ad euro 10.000,00, comprensivo del materiale sopra indicato, nonché del mancato guadagno e degli esborsi per lo smaltimento dello stesso, oltreché per la sistemazione dei locali (costi tutti documentabili). Rimango in attesa di un Tuo cenno, in relazione alle intenzioni risarcitorie che saranno maturate dal condominio, confidando che la richiesta possa essere trasmessa alla compagnia di assicurazione, con la quale trattare la liquidazione del sinistro. Per correttezza e completezza, Ti anticipando che la nominata mi ha conferito mandato di assistenza giudiziale. Confido, comunque, che tale evento possa essere scongiurato, con la mediazione dei nostri studi." Ebbene, tale lettera risulta munita delle caratteristiche minime a consentirne la qualificazione giuridica come atto interruttivo della prescrizione, essendo palese che con tale atto, pur in mancanza di qualsivoglia formale intimazione o richiesta di adempimento, l'attrice abbia inequivocabilmente manifestato l'intento di esercitare il diritto al risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro de quo. Ed infatti, tale missiva reca, oltre alla quantificazione del danno di cui si chiede il ristoro, anche la sollecitazione a trasmettere la richiesta risarcitoria alla compagnia assicuratrice della convenuta, nonché la manifestazione di disponibilità ad una definizione transattiva della controversia. Per effetto di tale atto, compiuto prima del decorso del termine quinquennale di prescrizione, deve conteggiarsi un nuovo periodo con decorrenza dal 12 febbraio 2014. Ciononostante, anche rispetto a tale secondo termine l'attrice ha provato l'esistenza di una causa di interruzione di prescrizione, costituita dall'istanza di mediazione presentata in data 2 maggio 2018 avanti all'Organismo di Mediazione Forense di Mantova. Invero, sul punto è sufficiente richiamare la disposizione di cui all'art. 5 comma 6 del D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, nel testo precedente le modifiche apportate dal D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, la quale prevede espressamente che "dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale"; in particolare, considerato che la domanda giudiziale è annoverata tra le cause interruttive della prescrizione indicate dall'art. 2943 comma 1 c.c., analoga efficacia deve, quindi, riconoscersi - in forza del collegamento attuato dalla succitata disposizione - anche alla presentazione dell'istanza di mediazione. Di conseguenza, alla luce delle considerazioni che precedono, e tenuto conto che la procedura di mediazione è stata esperita prima del decorso del secondo termine di prescrizione e che, del pari, il presente giudizio è stato incardinato prima dello spirare di un ulteriore quinquennio, l'eccezione di prescrizione deve ritenersi infondata e va, pertanto, rigettata. Sempre in via preliminare vanno rigettate le istanze istruttorie reiterate dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni, per i motivi già esposti nell'ordinanza dell'8 gennaio 2021 e nel provvedimento reso all'udienza del 19 gennaio 2022, che si richiamano integralmente; inoltre, vanno respinte le istanze di rinnovazione, ex art. 257 comma 2 c.p.c., dell'esame del testimone (...) e di esibizione, ex art. 210 c.p.c., della polizza assicurativa stipulata dall'attrice, in quanto superflue ai fini decisori. Ciò posto, prima di passare al merito del giudizio appare opportuno osservare, in punto di diritto, che l'azione promossa dall'attrice nei confronti del Condominio (...) va inquadrata nel fattispecie della responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia disciplinata dall'art. 2051 c.c.. In particolare, tale disposizione normativa prevede espressamente che: "Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito". La funzione della norma è, dunque, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, in conformità al principio "cuius commoda eius et incommoda". Ne discende che elementi essenziali di tale fattispecie di responsabilità sono: a) l'esistenza di una relazione di custodia tra un soggetto e la res, tale da consentire al custode il potere di controllare le modalità di uso e conservazione della stessa, di eliminare le situazioni di pericolo eventualmente insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; b) la sussistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, a prescindere dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa e dalla condotta, diligente o meno, in concreto tenuta dal custode (cfr., fra le altre, Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 2477 dell'1 febbraio 2018; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 4476 del 24 febbraio 2011). Quanto al regime di riparto dell'onere della prova, la giurisprudenza di legittimità - muovendo dalla premessa che la responsabilità prevista dall'art. 2051 cod. civ. si fonda, non su un comportamento o un'attività del custode, ma su una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa e che il limite di tale responsabilità risiede nell'intervento di un fattore (il caso fortuito) che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno - ha chiarito che: "all'attore compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il convenuto per liberarsi dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o del danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'assoluta eccezionalità" (cfr., fra le altre, Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 5031 del 20 maggio 1998). In altri termini, viene in rilievo un'inversione dell'onere della prova, per cui il danneggiato ha solo l'onere di provare l'esistenza di un idoneo nesso causale tra la cosa e il danno, mentre sul custode grava l'onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa ma dal caso fortuito, nel cui ambito possono essere compresi, oltre al fatto naturale, anche quello del terzo e quello dello stesso danneggiato (cfr., fra le altre, Cassazione civile, ordinanza n. 27724 del 30 ottobre 2018). Così ricostruiti i principi di diritto applicabili alla fattispecie in esame, deve, in primo luogo, rilevarsi - quanto al merito della domanda attorea - che non è contestato che il 5 luglio 2009 si sia verificato un allagamento del locale occupato dalla parte attrice per l'esercizio della propria attività commerciale di vendita di prodotti per animali. Con riferimento alle cause dell'allagamento, alla luce delle risultanze della prova orale e della documentazione acquisita nel corso del giudizio risulta provato che tale evento sia stata cagionato dalla rottura del pluviale di scarico posto nelle vicinanze della bocca di lupo, che - provocando la dispersione di un ingente quantitativo di acqua e detriti - aveva comportato lo sfondamento del vetro della finestrella posta nella bocca medesima. Ed infatti i testimoni (...) e (...) - i quali erano intervenuti nei luoghi di causa la mattina successiva al temporale avvenuto nella notte tra il 4 ed il 5 luglio 2009 - hanno confermato di aver constatato che il pluviale di scarico situato nell'area adiacente alla bocca di lupo era rotto e che il muro sottostante alla tubazione era bagnato; inoltre, il testimone (...) ha riferito che dopo l'evento (pur non ricordando il periodo esatto) il pluviale di scarico era stato sostituito. Le dichiarazioni rese dai predetti testimoni, sulla cui attendibilità non si ha ragione di dubitare, convergono con lo stato dei luoghi raffigurato nelle fotografie prodotte dall'attrice (cfr. doc. 2 allegato alla citazione), le quali mostrano chiaramente la parte del pluviale di scarico lacerata e le macchie di umidità presenti nella parete retrostante. Va poi rilevato, rispetto alla deposizione resa dal testimone (...), che non risulta fondata l'eccezione di nullità sollevata dal convenuto per violazione delle prescrizioni imposte dall'art. 244 c.c. in merito all'indicazione specifica delle persone da interrogare: invero, come osservato dalla Suprema Corte, la regola di cui all'art. 244 c.p.c., la quale stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare (e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata), va coordinata con il principio della nullità a rilevanza variabile enucleabile dall'art. 156 comma 2 c.p.c., in base al quale la nullità può essere pronunciata solo quando l'atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili al raggiungimento dello scopo, cosicché, pur dovendo il teste essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, un'imperfetta o incompleta designazione dei relativi elementi identificativi (nella specie, del nome del testimone) è idonea ad arrecare un "vulnus" alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l'assunzione di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l'aspettativa della controparte (cfr. Cassazione civile, sez. 2, sentenza n. 26058 del 20 novembre 2013); nel caso di specie, non vi è dubbio che l'atto abbia raggiunto lo scopo a cui era destinato, essendo stato intimata e sentita la persona che avrebbe dovuto essere interrogata (rectius: il collaboratore della "(...)"), la quale peraltro - all'udienza del 30 giugno 2021 - ha confermato che il proprio soprannome è "(...)" e che nel negozio della parte attrice non vi erano mai stati altri collaboratori indicati con il nominativo "(...)". Orbene, a fronte di tali emergenze processuali, e tenuto conto che il pluviale di scarico danneggiato era proprio quello posizionato in prossimità dell'area in cui era collocata la bocca di lupo in questione, risulta, quindi, provato il nesso di causalità tra la res (nella specie: la rottura del pluviale di scarico) e l'evento dannoso descritto in citazione: invero, è evidente che la lacerazione di tale tubazione, che serviva - unitamente ad altri tre pluviali (cfr. doc. 13 del fascicolo di parte convenuta) - a convogliare l'acqua del tetto dell'intero complesso condominiale, per poi condurla nelle fogne - aveva comportato l'impatto di un ingente quantitativo di acqua e detriti contro la bocca di lupo; la forte pressione esercitata da tale accumulo di acqua e materiale aveva poi causato la rottura del vetro della predetta bocca di lupo, e il conseguente allagamento del locale utilizzato dall'attrice come magazzino. Accertata, dunque, la sussistenza del rapporto di causalità tra la res in custodia e l'evento dannoso, resta, invece, a carico del convenuto l'onere di provare il caso fortuito, cioè il fatto estraneo alla sua custodia, connotato da imprevedibilità ed eccezionalità ed avente efficienza causale autonoma ed assorbente nella produzione dell'evento lesivo. Sotto questo profilo va considerato che il Condominio (...), come già sopra detto, ha eccepito l'esistenza del caso fortuito, deducendo che l'evento atmosferico occorso la notte tra il 4 e il 5 luglio 2019 aveva assunto connotati di eccezionale portata, e producendo a tal fine un articolo di cronaca locale in cui si dava atto di numerosi allagamenti causati dal suddetto temporale e il report dei dati metereologici raccolti dal Centro Meteo del (...), che aveva registrato la caduta di 26 mm. di pioggia in una sola ora. Orbene, si rende necessario anzitutto rilevare che i dati metereologici prodotti dal convenuto, inerenti esclusivamente al periodo 3-6 luglio 2019, non sono sufficienti a fornire la prova del caso fortuito, dovendosi richiamare sul punto l'orientamento accolto dalla Suprema Corte, la quale in diverse pronunce ha ribadito che l'accertamento dei caratteri dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità dell'evento atmosferico debba essere effettuato sulla base delle prove offerte dalla parte onerata (cioè, il custode), e con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico di lungo periodo riferiti al contesto specifico di localizzazione della "res" oggetto di custodia (cfr., fra le altre, Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 4588 del 11 febbraio 2022; Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 4588 dell'11 febbraio 2022). D'altro canto, per completezza va considerato che l'attrice ha prodotto - a confutazione delle argomentazioni svolte dal Condominio (...) - la relazione redatta dal Centro Meteo del (...) relativa all'anno 2009 (cfr. doc. 16 allegato alla prima memoria istruttoria), ove si legge - in ordine alle precipitazioni avvenute in quell'anno - quanto segue: "Anche nel 2009 si è assistito a violente precipitazioni nel breve periodo, seppur in modo meno accentuato rispetto agli anni scorso, si ricorda infatti che il 13 settembre 2008 si è registrata la pioggia giornaliera più intensa degli ultimi due secoli, con ben 136 mm. La precipitazione massima giornaliera ha raggiunto i 41,2 mm il giorno 29 marzo, valore abbastanza elevato ma non straordinario che non ha provocato particolari disagi." Ebbene, tale report non reca alcuna menzione specifica dell'evento atmosferico de quo, e peraltro i dati metereologici riportati nella relazione consentono di escludere che il quantitativo di precipitazioni caduto la notte del 4-5 luglio 2009 avesse carattere eccezionale (essendo, tra le altre cose, inferiore a quello registrato il giorno 29 marzo, a sua volta considerato elevato ma non straordinario). Sulla scorta dei predetti dati deve, quindi, escludersi che l'evento atmosferico abbia assunto i caratteri tipici dell'ipotesi di caso fortuito. Infine, non risulta configurabile alcuna condotta colposa a carico dell'attrice. In particolare, sul piano della causalità materiale, va evidenziato che il testimone (...) ha riferito che era solito pulire tutti i giorni la pavimentazione e la parte esterna della bocca di lupo, e di effettuare la pulizia interna quando vi era la necessità, e comunque circa ogni due o tre mesi. In termini simili, anche il testimone (...) ha confermato che la bocca di lupo era pulita spesso, ed ha precisato che qualche volta egli stesso aveva provveduto a pulirla personalmente. Del pari, quanto al rapporto di causalità giuridica tra l'evento dannoso e i danni subiti dall'attrice, deve escludersi che l'utilizzo del locale interrato per il deposito dei prodotti zootecnici possa integrare una condotta colposa rilevante ai sensi dell'art. 1227 comma 2 c.c.: a tal fine merita, anzitutto, segnalare che l'unità immobiliare in cui si è verificato l'allegamento è indicata nel contratto di locazione commerciale come accatastata "al N.C.E.U. di Mantova, al foglio (...), particella (...), sub 302, situata in via Cremona n. 25, piano S1-T, categoria C/1, classe 6" (e, dunque, anche il piano interrato è indicato come "Negozio e Bottega"); in ogni caso, anche ove si tenga conto dell'osservazione svolta dal convenuto - che ha evidenziato che prima della legge n. 208/2015 le cantine venivano, indiscriminatamente, inserite nella stessa planimetria del bene principale e non erano suscettibili di specifica identificazione catastale -, resta del tutto irrilevante e pretestuosa la questione sollevata dal condominio in ordine alla qualificazione del locale come "cantina" e al suo utilizzo come "magazzino", atteso che anche la cantina - analogamente al magazzino - è un luogo di deposito. In conclusione, il fatto dannoso deve ritenersi quindi imputabile in via esclusiva al Condominio (...), rientrando il pluviale di scarico tra le parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art. 1117 comma 1 n. 3) c.c.. Infine, quanto alla liquidazione dei pregiudizi sofferti da parte attrice, come già sopra rilevato quest'ultima ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali rappresentati dal valore dei prodotti zootecnici rimasti danneggiati a seguito del sinistro, e di cui era divenuta impossibile la vendita. In particolare, l'attrice ha allegato in modo specifico l'elenco dei prodotti danneggiati e ceduti a titolo gratuito al canile di Mantova (cfr. 2 della citazione); inoltre, ha aggiunto che un altro quantitativo di merce (nella specie, cuscineria e collari) era stato smaltito o regalato, perché non recuperabile in altro modo. Il convenuto, come già detto, ha contestato la corrispondenza tra la merce oggetto delle fatture di acquisito prodotte dall'attrice e quelle oggetto di danneggiamento, nonché la conformità con quella che era stata donata al canile. In ordine a tali circostanze va poi considerato che dalle deposizione rese dai testimoni (...), intermediario di assicurazione, e da (...) e (...), al tempo entrambi dipendenti dell'impresa "(...)", emerge che quest'ultima conservava la merce nel locale interrato, ad eccezione di quella che era esposta nel negozio. Inoltre, il testimone (...) ha riferito che la mattina del 6 luglio, insieme alla titolare (...), avevano diviso la merce che era presente nel magazzino, separando quella recuperabile, che era stata trattenuta dall'attrice, da quella danneggiata, che era stata data in beneficenza ad un canile: più in dettaglio, il testimone ha confermato che il documento n. 17 allegato alla seconda memoria istruttoria di parte attrice è l'inventario della merce danneggiata, che egli aveva redatto insieme alla sig.ra (...), ed ha infine confermato che la merce indicata nei documenti di trasporto allegati alla citazione (cfr. doc. 5 A e 5 B) era stata consegnata alla "Associazione Cagnofila Mantovana", sita in Vignale di Borgoforte. Ciò detto, si osserva che la tipologia e quantità di merce indicata nell'inventario contenuto nel citato documento n. 17 corrisponde a quella descritta nell'elenco riportato alle pagg. 4 e 5 della citazione. Pertanto, utilizzando quale criterio di stima il prezzo dei prodotti indicati nelle fatture di acquisto (cfr. doc. 4 allegato alla citazione) ed applicando tali valori ai prodotti indicati nell'inventario, discende che il danno subito dall'attrice è quantificabile nella somma pari a 8.682,41 euro (non rinvenendosi nelle fatture di acquisto versate in atti la merce indicata come n. 40 Multipack Hill's, e non potendosi quindi determinare il suo esatto valore). Ed ancora, a fronte dell'esperimento della procedura di mediazione anteriormente all'instaurazione del presente giudizio, volta al raggiungimento di una composizione transattiva della controversia, risulta documentata l'utilità, in una prospettiva ex ante, dell'attività svolta dal legale dell'attrice nella fase precontenziosa, il cui costo ha natura di danno emergente, e va liquidato secondo le tariffe forensi (cfr., fra le altre, Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 24481 del 4 novembre 2020; Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 16990 del 10 luglio 2017); di conseguenza, in applicazione degli anzidetti criteri e della nota spese depositata in atti (cfr. doc. 11 allegato alla citazione), deve riconoscersi all'attrice la somma pari a 661,63 euro a titolo di rimborso delle spese di assistenza stragiudiziale. Conseguentemente il Condominio (...) va condannato a risarcire all'attrice il danno patrimoniale di importo complessivo pari a 9.344,04 euro. Trattandosi di debito di valore, tale somma va rivalutata anno per anno, dal giorno del sinistro (5 luglio 2009) alla data di pubblicazione della presente decisione, secondo gli indici Istat di ciascun anno di riferimento; su ciascuno importo annuale vanno applicati gli interessi compensativi, nella misura degli interessi legali dell'anno di riferimento; infine, dalla data della presente sentenza al saldo saranno dovuti i soli interessi legali. Quanto alla regolamentazione delle spese di lite, le stesse seguono la soccombenza e vanno liquidate secondi parametri indicati dal D.M. 55/2014 (nella formulazione aggiornata a seguito del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022), applicando - tenuto conto della natura delle questioni giuridiche trattate e della complessiva attività difensiva in concreto svolta - i valori medi di ciascuna fase espletata (fase di studio della controversa, fase introduttiva del giudizio, fase istruttoria e fase decisionale). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) CONDANNA il CONDOMINIO (...) al pagamento in favore di (...) della somma pari a 9.344,04 euro, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale; su tale somma va operata la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, nonché applicati gli interessi nella misura del saggio legale, da calcolarsi come in parte motiva indicato. 2) CONDANNA altresì il CONDOMINIO (...) a rimborsare all'attrice (...) le spese di lite, che si liquidano in 5.077,00 euro per compensi al difensore, 264,00 euro per spese vive, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Mantova, 28 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 4 settembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Mantova Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Mauro Pietro Bernardi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1012/2022 promossa da: Ne. (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. SA.GI. e dell'avv. An.Sa., elettivamente domiciliato in VIA (...) - ROSARNO presso lo studio dei predetti difensori (indirizzo telematico: (...)), come da mandato redatto su atto separato e allegato alla citazione; OPPONENTE contro N. S.R.L. (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. FE.PI., elettivamente domiciliato in VIA (...) ROMA presso lo studio del predetto difensore (indirizzo telematico: (...)), come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; OPPOSTA Oggetto: 100001 - opposizione a precetto CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 5-4-2022 l'opponente esponeva 1) che, con atto di precetto notificato il 23-3-2022, le era stato intimato di pagare l'importo di Euro 135.049,02 e ciò in virtù del titolo costituito dall'atto n. (...) rep. e n. (...) racc. notaio dott. An.Ca. del (...) con il quale Ma. s.c. (poi fusa per incorporazione in Ba. e Ma. s.c.) le aveva concesso un finanziamento di originario importo pari a Euro 180.000,00 garantito da ipoteca su immobili di proprietà della titolare dell'impresa L.G. iscritta il 30-7-200 ai n. 4528/1254 presso la Conservatoria dei RR.II. di Mantova, Sezione Distaccata di Castiglione delle Stiviere; 2) che Ne. s.p.a., che aveva agito in qualità di mandataria di Il. s.p.a., non era titolare del rapporto di credito; 3) che il mutuo in questione era affetto da nullità parziale in quanto a) gli interessi pretesi, sia corrispettivi che di mora, erano usurari in quanto pattuiti in violazione di quanto previsto dalla L. n. 108 del 1996 e 1815 II co. c.c. posto i) che era stato convenuto un piano di ammortamento c.d. alla francese omettendo di indicare il tipo di capitalizzazione adottato; ii) era prevista l'operatività della commissione di anticipata estinzione del mutuo anche in caso d'inadempimento del mutuatario che comportava un celato aumento degli interessi di mora oltre la soglia di usura; iii) che la pattuizione della commissione di estinzione anticipata costituiva un onere ulteriore che si aggiunge sia agli interessi corrispettivi che moratori con conseguente superamento della soglia usuraria; iiii) che, stante l'operatività del disposto di cui all'art. 1815 II co. c.c. e imputandosi gli importi pagati alla sola quota capitale, il mutuo risultava saldato sino alla rata n. 112 scaduta il 30-11-2016 con un credito residuo ancora da imputare a capitale di Euro 322,16; 4) che erano state violate le norme di cui gli artt. 1283, 1284 co. III, 1343, 1344, 1346, 1418 c.c. e 117 t.u.b., poiché le condizioni economico-normative del contratto erano del tutto indeterminate e ciò in quanto a) la banca per la costruzione del piano di ammortamento aveva indicato una days count convention act/act (anno civile) corretto ma aveva applicato la convenzione dei giorni act/365 non corretto, con conseguente aggravio economico per la mutuataria; b) la rata e il piano di ammortamento erano stati costruiti con la formula dell'interesse composto, applicando interessi anatocistici; c) che il criterio di calcolo di cui al punto precedente realizzava una elusione della norma di cui all'art. 1283 c.c. e dell'art. 120 t.u.b., e così configurandosi un contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c.; d) che il tasso effettivo globale annuo era inferiore a quello effettivo; e) che era previsto in contratto un celato aumento degli interessi corrispettivi essendo convenuto una garanzia occulta di introito minimo pari al 3% che integra uno strumento finanziario "derivati impliciti" in mancanza delle necessarie informazioni in violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, dell'art. 29 co. 1 del regolamento Consob n. 11522/1998 e dell'art. 39 co. 6 del regolamento Consob n. 16190/2007; f) che il contratto prevedeva dei derivati impliciti sotto forma di opzioni sui tassi di interesse con previsione di un'alea squilibrata in favore della banca (floor 3%) con una differenza pagata in più dal cliente ammontante a Euro 9.635,18; g) che il monte interessi era stato determinato in regime composto anziché semplice con una lievitazione esponenziale degli interessi; h) che non erano specificate le modalità di composizione della rata in quota capitale e quota interessi; i) che le violazioni delle disposizioni di legge comportavano che non fosse dovuto alcun interesse ovvero l'applicazione del tasso di cui all'art. 117 t.u.l.b.; l) che la previsione del tasso euribor era da ritenersi nulla in quanto frutto di un illecito accordo di cartello finalizzato a manipolare i parametri di riferimento dei tassi: alla stregua di tali deduzioni l'opponente chiedeva che venisse dichiarata la carenza della titolarità del credito in capo alla società Ne. s.r.l. quale mandataria di Il. s.p.a. e, in subordine, la nullità del mutuo o, quantomeno, delle clausole concernenti gli interessi con necessità di rideterminarne la misura. Si Ca. s.r.l. la quale sosteneva che le censure sollevate erano generiche e, comunque, infondate: alla luce di tali considerazioni la difesa dell'opposta chiedeva che la citazione venisse dichiarata nulla e che l'opposizione venisse rigettata. Rigettate le istanze istruttorie formulate, la causa veniva rimessa in decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate. L'opposizione non è fondata e deve essere rigettata. In primo luogo, va rigettata l'eccezione di nullità della citazione (peraltro genericamente dedotta) essendo stati sufficientemente chiariti dall'opponente il petitum e la causa petendi, come agevolmente desumibile dal confronto tra le conclusioni formulate e il testo dell'atto introduttivo. Va poi rigettata l'istanza di ammissione di consulenza tecnica richiesta dalla difesa dell'opponente essendo stati acquisiti sufficienti elementi per la decisione. Quanto al merito, premesso che il contratto di mutuo di cui all'atto n. (...) rep. e n. (...) racc. notaio dott. An.Ca. del (...) era stato concesso da Ma. s.c. (poi fusa per incorporazione in Ba. e Ma. s.c.) a G.L. in qualità di titolare della impresa individuale denominata N.L. di G.L., deve ritenersi infondata l'eccezione di difetto di titolarità del credito in capo all'opposta in quanto la sussistenza di tale requisito risulta provata dalla pubblicazione dell'avviso di cessione del credito sulla Gazzetta Ufficiale, dalla disponibilità del titolo negoziale, dalla dichiarazione della cedente che il credito è stato ceduto a Il. s.p.a. del 21-9-2022 (su tale punto vedasi App. Milano 24-1-2023 n. 220) nonché dal fatto che, successivamente all'intervento di Il. s.p.a. la Ba. e Ma. s.c. non ha più svolto attività finalizzata al recupero del residuo, evidenziandosi che il contratto di cessione del credito non richiede una particolare forma (v. Cass. 9-7-2018 n. 18016; Cass. 15-5-1974 n. 1396) e può essere provato anche mediante presunzioni come nel caso di specie (cfr. sul tema Cass. 16-4-2021 n. 10200; v. anche App. Milano cit.). Va ulteriormente rilevato che, in caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca ex art. 58 D.Lgs. n. 385 del 1993, la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti "in blocco" è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze (cfr. Cass. 10-2-2023 n. 4277; Cass. 29-12-2017 n. 31188), ipotesi che ricorre nel caso di specie atteso che, nell'avviso pubblicato in G.U. il 6-7-2021, si fa riferimento a crediti non performing classificati a sofferenza e che soddisfacevano ai seguenti criteri: a) credito denominati in euro; b) crediti derivanti da contratti regolati dalla legge italiana; c) crediti derivanti da rapporti rientranti nelle seguenti tipologie: conto corrente, crediti di firma escussi, conto corrente ipotecario, credito al consumo, finanziamento import, mutuo chirografario, mutuo fondiario, mutuo ipotecario, anticipo fatture; d) crediti derivanti da rapporti sorti nel periodo compreso tra il 27 ottobre 1982 e il 15 aprile 2020; e) crediti nei confronti di debitori segnalati come in sofferenza nella Centrale dei Rischi di B.D. entro la data del 31 dicembre 2020; f) crediti indicati come crediti di titolarità di Ba. e M. - C.C. - Società Cooperativa nella lista di cui all'atto di deposito del 26 giugno 2021, autenticato dal notaio G.D.N., notaio in C.B., iscritto al Collegio Notarile di Milano, consultabile presso i suoi uffici in C.B., Via G. C. n. 8. In ordine alla deduzione concernente il punto sub 4 a), va detto che la censura appare generica e indimostrata. In ordine ai rilievi di cui ai punti 3 -i) e 4, b, c, g, h), va osservato, da un lato, che l'ammontare del rimborso del finanziamento è regolato per ciascuna rata dalla seguente formula rata capitale + capitale residuo * tan (dati tutti indicati nel contratto e quindi puntualmente determinati) e, dall'altro, che l'ammortamento "alla francese" o "a rata costante" prevede che le rate siano posticipate e che la somma ricevuta dal debitore all'inizio (t = 0) sia il valore attuale di una rendita a rate costanti dimodoché ciascuna rata è comprensiva di parte del capitale (quota capitale) ed i relativi interessi (quota interessi) calcolati sul capitale residuo non ancora restituito (debito residuo). Va aggiunto che merita adesione l'orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui "tale sistema non determina alcun fenomeno anatocistico, in quanto gli interessi vengono calcolati unicamente sulla quota capitale via via decrescente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata laddove ogni rata determina il pagamento, unicamente, degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce, importo che viene, quindi, integralmente pagato con la rata, mentre la rimanente parte della quota serve ad abbattere il capitale; la quota di interessi di cui alla rata successiva è calcolata unicamente sulla residua quota di capitale, cioè sul capitale originario, detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti, metodologia di calcolo che non implica affatto una capitalizzazione degli interessi, essendo questi unicamente calcolati sulla quota di capitale via via decrescente, ovvero sul capitale originario detratto l'importo già pagato con la rata o con le rate precedenti: gli interessi convenzionali sono, quindi, calcolati unicamente sulla quota di capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento della rata mentre la quota di interessi dovuti dal mutuatario nelle rate successive non è determinata capitalizzando in tutto o in parte gli interessi corrisposti nelle rate precedenti. Da ultimo va osservato che non può sostenersi di essere in presenza di un interesse "composto" per il solo rilievo che il metodo di ammortamento alla francese determina un maggior onere di interessi rispetto al piano di ammortamento all'italiana che si fonda sulle rate a capitale costante, posto che il piano di ammortamento alla francese è più ossequioso del dettato dell'articolo 1194 c.c., in quanto prevede un criterio di restituzione del debito che privilegia sotto il profilo cronologico l'imputazione più ad interessi che a capitale (in tal senso v. Trib. Roma 21-6-2019; Trib. Monza 19-6-2017; v. anche Trib. Torino 10-1-2019; Trib. Torino 2-3-2018; Trib. Padova 29-5-2016; Trib. Treviso 12-1- 2015; Trib. Modena 11-11-2014; Trib. Venezia 27-11-2014; Trib. Siena 17-7-2014; Trib. Milano 5-5-2014; Tribunale Mantova, 11-3-2014). In ordine alla asserita usurarietà del contratto di mutuo dedotta in relazione alla pattuizione della clausola di estinzione anticipata del contratto (v. punto 3-iii), va osservato che tale commissione non può essere considerata un costo del credito posto che la scelta di avvalersi di tale facoltà consegue esclusivamente alla volontà del mutuatario (Trib. Milano 5-12-2019 n. 11231; Trib. Roma 27-9-2018 n. 18278; Trib. Mantova, sent. n. 529/2018) e non potendosi tenere conto di oneri (come remunerazioni, commissioni e spese meramente potenziali) non dovuti per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinati al verificarsi di eventi futuri ma concretamente non verificatisi. In relazione al punto 4 d) in ordine alla asserita disparità tra TAEG indicato in contratto e TAEG effettivamente applicato, anche ove si ritenesse la critica fondata, va esclusa la invalidità del contratto. La disciplina di riferimento è contenuta rispettivamente negli artt. 116 e 117 D.P.R. n. 385 del 1993, che impongono alle Banca di pubblicizzare in modo chiaro le condizioni economiche applicate nei rapporti con i clienti, nonché nell'art. 122 TUB in relazione al credito al consumo, come originariamente formulato (con notevoli esclusioni). Solo a fronte della Del.CICR del 4 marzo 2003, n. 283, è stato introdotto un parametro analogo al TAEG, denominato ISC, per le operazioni e i servizi che sarebbero stati individuati dalla B.D.I.. F. quindi seguito la circolare della B.I. in data 25.7.2003 con la quale è stato aggiunto alle I.D.V. il nuovo Titolo X intitolato per l'appunto alla "Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari", all'interno del quale il 9 della II Sezione, rubricato "Indicatore sintetico di costo", impone che "il contratto e il documento di sintesi" contengano l'ISC, da calcolarsi conformemente alla disciplina del TAEG di cui all'art. 122 TUB nella sua formulazione all'epoca per mutui, anticipazioni bancarie e altri finanziamenti. Con la circolare della B.D.I. 29 luglio 2009 è stata prevista (al paragrafo 8 della II sezione) la estensione della disciplina dell'ISC ai contratti di conto corrente destinati ai consumatori e alle aperture di credito destinate ai clienti al dettaglio. Orbene l'orientamento, fatto proprio anche da questo Tribunale, ove si è sottolineato che se anche l'ISC fosse sbagliato si applicherà comunque il tasso previsto nel contratto, "l'omessa (o erronea) specificazione nel contratto dell'indicatore sintetico di costo non inficia la validita del contratto", atteso che trattasi di mero indicatore, mentre l'art. 117/6 TUB si riferisce invece esclusivamente a "tassi, prezzi e condizioni" e quindi non si applica alla omessa specificazione dell'ISC (o TAEG). Al contempo nell'ordinamento vigente non è prevista una ipotesi di invalidità per la fattispecie in esame, come invece prevista dall'art. 125 bis comma 6 del TUB. Pertanto, seguendo il canone ermeneutico "ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit", deriva che, in assenza di specifica previsione, non può trarsi una volontà legislativa nel senso voluto da parte opponente. L'ISC non può essere ritenuto "regola di validità", integrando piuttosto "regola di comportamento", comportante una eventuale obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale. Tale conclusione è avvalorata anche dalla disciplina della B.D.I. del 2003 sopra richiamata, ove l'ISC è regolato nell'ambito della "II Sezione", dedicata, per l'appunto, alla "pubblicità e informazione precontrattuale", e non nella Sezione III, disciplinante i "requisiti di forma e di contenuto minimo dei contratti", e pure da quella del 2009 ove l'indicazione del T.A.E.G./I.S.C. è prevista unicamente nel foglio informativo e nel documento di sintesi e non nel contratto. La violazione dell'obbligo informativo in parola non è dunque idonea a determinare invalidità del contratto di mutuo (o della sola clausola relativa agli interessi), ma può configurarsi eventualmente, quale fonte di responsabilità contrattuale dell'intermediario a fini risarcitori. Tale condivisibile orientamento giurisprudenziale (cfr., ex multis, Tribunale Brindisi sez. I, 22/12/2021, n.1699, Tribunale Verona sez. III, 08/02/2021), di recente ribadito anche da questo Tribunale va riconfermato. In relazione ai rilievi di cui ai punti 4 e) e f) concernenti la legittimità della clausola floor va notato che ai sensi dell'art. 5 del contratto di mutuo dedotto in lite, il tasso applicato non può essere inferiore al 3,00%. In proposito va osservato, da un lato, che il tenore di tale clausola risulta del tutto chiaro e, dall'altro, che non può condividersi l'affermazione secondo la quale in tal modo il contratto diventerebbe un "derivato implicito", ovvero uno strumento finanziario, posto che la causa del contratto in esame è quella di procurarsi una provvista da restituire ratealmente dietro corresponsione degli interessi pattuiti, mentre lo strumento derivato è il titolo finanziario che deriva il proprio valore da un altro asset finanziario oppure da un indice detto sottostante, ipotesi che non ricorre nel caso di specie (in tal senso vedasi Trib. Ferrara 16-12-2015; Trib. Padova 25-10-2016; Trib. Mantova, n. 529/18 del 10-7-2018; Trib. Castrovillari 16-9-2021 n. 949). La clausola floor va infatti ricondotta alla struttura di determinazione del tasso di interesse debitorio per il cliente ed ha, pertanto, natura "creditizia" e non finanziaria, cosicché non è assimilabile ad un'operazione creditizia accompagnata da una componente derivativa implicita (c.d. derivati impliciti), idonea a determinare l'applicazione delle regole poste dalla normativa primaria e secondaria di riferimento in tema di servizi di investimento: nel contratto oggetto di controversia non v'è infatti alcuno scambio di flussi finanziari con pagamento del differenziale di valore, ovverosia il vero e proprio oggetto dei contratti derivati. Nel caso del contratto di mutuo, dunque, anche in presenza di una clausola floor, si deve ritenere che non venga alterata la riconducibilità dell'operazione allo schema tipico delle operazioni creditizie, cioè l'acquisizione di una somma di denaro propria del finanziamento (Trib. Monza, sent. 1587 del 2017; Trib. Milano sent. n. 4904 del 2017; Trib. Ferrara, sent. 1131 del 2015). Né assume rilievo la questione relativa alla eventuale minore convenienza economica di un contratto che preveda una clausola floor rispetto a uno che non la contempli, che non incide sulla validità del patto e della relativa clausola, senza che neppure possa ritenersi la necessità di una corrispondente clausola che determini il tasso massimo denominata cap. Infine, quanto al rilievo sub 4- l), va rilevato, che, per un verso, mediante il richiamo al parametro dell'euribor, il tasso di interesse è tempo per tempo determinabile mediante il rinvio ricettizio ad un parametro di riferimento certo (v. Trib. Roma 7-11-2018 n. 21337) potendo la determinazione della misura degli interessi essere validamente pattuita dalle parti anche per relationem (v. Cass. 30-3-2018 n. 8028; Cass. 19-2-2014 n. 3968 in motivazione; Cass. 19-5-2010 n. 12276; Cass. 19-2-2014 n. 3968) e, per un altro, che non vi è prova che l'istituto di credito convenuto abbia effettivamente partecipato all'intesa anticoncorrenziale, da ciò conseguendo l'infondatezza dell'assunto prospettato (in tal senso si vedano Trib. Padova 3-12-2019; Trib. Bolzano 21 febbraio 2018, Trib. Bologna 9 febbraio 2018, Trib. Avellino 11 gennaio 2018, Trib. Milano 30 novembre 2017, Trib. Pisa 14 agosto 2017, App. Milano 29 marzo 2017, Trib. Sciacca 17 gennaio 2017, Trib. Castrovillari 3 gennaio 2017, Trib. Bologna 6 dicembre 2016, Trib. Monza 15 giugno 2016, Trib. Marsala 14 giugno 2016, Trib. Torino 27 aprile 2016, Trib. Latina 12 marzo 2016, Trib. Palermo, Sez. Spec. Imprese, 16 gennaio 2015, Trib. Udine 16 settembre 2013). Ogni ulteriore questione dedotta deve ritenersi assorbita. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in conformità dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche. P.Q.M. Il Tribunale di Mantova, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'opposizione; - condanna altresì la parte opponente a rimborsare alla parte opposta le spese di lite, che si liquidano in Euro 14.103,00 per onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Mantova il 30 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 30 agosto 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Emmanuela Raciti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n.r.g. 972/2017 PROMOSSA DA (...) (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Bu.St., giusta procura in atti; ATTRICE CONTRO (...) DI (...) S.R.L. (C.F.: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Ca.Gi., giusta procura in atti; CONVENUTO E NEI CONFRONTI DI (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Ga.Pa., giusta procura in atti; (...) S.P.A. (C.F. - P. IVA: (...)), rappresentata e difesa dagli avv.ti Da.Ol. e Ga.Ro., giusta procura in atti; TERZI CHIAMATI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Fatti oggetto di causa Con atto di citazione notificato in data 14 marzo 2017 l'attrice (...) ha chiamato in giudizio l'(...) DI (...) s.r.l., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'intervento chirurgico di artroprotresi di ginocchio destro a cui era stata sottoposta in data 26 febbraio 2013. A fondamento della domanda l'attrice ha, anzitutto, premesso che in data 2 marzo 2013, all'esito di un decorso clinico regolare, era stata dimessa dalla struttura ospedaliera con diagnosi di "artrosi localizzata primaria, ginocchio" ed aveva successivamente seguito il percorso riabilitativo prescrittole ai fini della graduale ripresa funzionale dell'arto; ciononostante - come allegato dalla stessa in citazione - tale risultato non era stato raggiunto, ed al contrario nel tempo aveva iniziato a manifestare una zoppia nell'arto destro, sì da rendere necessario l'uso del deambulatore antibrachiale. In ordine alle cause di tale aggravamento delle condizioni cliniche dell'arto l'attrice ha richiamato, in primo luogo, la relazione della dott.ssa (...), medico chirurgico specialista in Ortopedia e Traumatologia, la quale aveva ravvisato l'esistenza di una "tumefazione esterna del ginocchio destro e un avvallamento centrale" e di "segni di lussazione esterna della rotula", ed aveva altresì rappresentato che, a seguito di radiografie assiali del ginocchio, era stata riscontrata "una netta lussazione esterna di rotula da vizio torsionale della protesi", tale da rendere necessario un nuovo intervento chirurgico, avente tuttavia esiti incerti. Inoltre, l'attrice ha dedotto di aver esperito un procedimento di accertamento tecnico preventivo avanti a questo Tribunale, iscritto al n.r.g. 150/2016, a cui avevano partecipato sia l'(...) DI (...) s.r.l. che il dott. (...) (medico primo operatore) e la compagnia (...) s.p.a., e che si era concluso con il deposito della relazione peritale redatta dal consulente tecnico d'ufficio dott.ssa (...), la quale aveva accertato che l'intervento chirurgico de quo non era stato eseguito a regola d'arte. Sulla scorta di tali rilievi tecnici l'attrice ha allegato che l'erronea esecuzione dell'intervento chirurgico di artroprotresi a cui era stata sottoposta aveva causato un danno iatrogeno differenziale quantificabile nella somma pari ad Euro 54.586,00, oltre alle spese relative al procedimento di accertamento tecnico preventivo e quelle inerenti alla procedura di mediazione. Con comparsa di risposta depositata in data 6 giugno 2017 si è costituito in giudizio l'(...) DI (...) s.r.l., il quale - in via preliminare - ha chiesto di chiamare in causa il medico ortopedico che aveva eseguito l'intervento chirurgico, dott. (...), deducendo che quest'ultimo, all'epoca dell'intervento, aveva stipulato un contratto libero professionale con l'(...) DI (...) s.r.l., in forza del quale si era obbligato a manlevare la struttura ospedaliera per eventuali danni causati a terzi in occasione dell'esercizio della propria prestazione sanitaria. In ogni caso, in merito degli addebiti mossi dall'attrice all'operato del medico che aveva eseguito l'intervento chirurgico di artroprotresi, il convenuto ha rappresentato come l'iter diagnostico terapeutico, l'indicazione chirurgica e l'atto operatorio erano stati condotti con la dovuta scrupolosità e perizia, e che nessuna criticità era stata rilevata, né risultava documentata, nel decorso postoperatorio e durante il percorso riabilitativo; inoltre, ha contestato la sussistenza del nesso di causalità tra l'operazione chirurgica de qua e i danni lamentati dall'attrice, replicando a tal fine che soltanto con la TAC e la radiografia, effettuati due anni dopo all'intervento, era emersa una patologia rotulea (la quale poteva, peraltro, trovare origine in altre cause: ad esempio, lassità capsulo legamentosa o cedimento degli alari e del vasto media), e replicando - a confutazione delle conclusioni rassegnate nella consulenza tecnica d'ufficio depositata nel procedimento di accertamento tecnico - che la documentazione medica intraoperatoria attestava il corretto posizionamento della protesi e della rotula, e che peraltro non vi era alcuna contezza del fatto che l'attrice avesse proseguito la terapia riabilitativa per tutto il tempo necessario. Ed ancora, il convenuto ha eccepito la lacunosità della consulenza tecnica d'ufficio, ritenendo che il CTU non avesse risposto adeguatamente al quesito in ordine al grado di complessità dell'intervento chirurgico de quo, in quanto - a suo avviso - aveva fatto riferimento in modo generico alla tipologia di operazione in questione, e non alle specificità del caso clinico in esame. Infine, l'(...) DI (...) s.r.l. ha contestato il criterio di determinazione del danno iatrogeno adottato dal CTU, ritenendo che tale pregiudizio dovesse essere valutato come "danno puro" e non come "maggior danno" rispetto agli esiti connaturati alla regolare esecuzione dell'intervento di artroprotesi al ginocchio, e ciò al fine di evitare che il medico debba rispondere, in via automatica, di una misura del danno incrementata da fattori estranei alla sua condotta. All'esito di tali difese ed eccezioni il convenuto ha chiesto: (i) in via principale, il rigetto della domanda attorea; (ii) in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse accertarsi la responsabilità dei sanitari dell'(...), che sia accertata la riconducibilità del caso in esame alla fattispecie di responsabilità prevista dall'art. 2236 c.c. e che, pertanto, sia esclusa la responsabilità dell'(...) DI (...) s.r.l. per assenza di colpa grave nella condotta del personale medico; (iii) nel merito, in via ulteriormente subordinata, che sia accertato l'obbligo del sanitario di manlevare l'(...) S.r.l. da ogni responsabilità per gli eventuali danni imputabili all'esercizio della propria prestazione medica e, in subordine, che sia ridotta la misura del danno risarcibile rispetto a quanto richiesto in citazione, in quanto arbitraria, non provata ed eccessiva; (iv) nel merito, in via ancora subordinata, che sia accertato e dichiarato il diritto dell'ente ospedaliero ad agire in via di regresso ex art. 2055 c.c. - per l'intero o in proporzione alla gravità delle rispettive colpe - nei confronti del dott. (...). In via istruttoria, l'(...) DI (...) s.r.l. ha poi chiesto il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio espletata nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, o in subordine l'audizione del CTU e dei consulenti tecnici di parte in camera di consiglio ex art. 197 c.p.c., ai fini dell'acquisizione dei necessari chiarimenti per la comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio. A seguito del differimento di udienza finalizzato a consentire la chiamata in causa del terzo, con comparsa di risposta depositata in data 19 ottobre 2017 si è costituito in giudizio (...), il quale - in via preliminare - ha, a propria volta, chiesto di chiamare in causa l'(...) S.p.A. (...), in forza della polizza assicurativa n. (...) stipulata con quest'ultima, e nel merito ha ribadito le difese svolte dall'(...) DI (...) s.r.l. in ordine alla corretta esecuzione dell'intervento di artroprotesi e alla mancanza di prova del nesso di causalità tra tale operazione e il danno lamentato dall'attrice, evidenziando anch'egli come l'unica documentazione medica intra-operatoria esistente (nella specie: la radiografia intra-operatoria) dimostrasse che la protesi era stata correttamente posizionata e che la rotula risultava posta al centro della troclea protesica e, quindi, perfettamente in asse; inoltre, il terzo chiamato ha reiterato le censure già svolte dall'Ospedale convenuto rispetto al criterio di individuazione del danno iatrogeno utilizzato dal CTU, ritenendo anch'egli erronea l'applicazione delle tabelle con punto progressivo computato a partire dal livello di invalidità preesistente. Sulla base di tali argomenti il terzo chiamato (...) ha chiesto: (i) in via principale, il rigetto della domanda attorea; (ii) in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui dovesse accertarsi la responsabilità del sanitario, liquidarsi il danno nella misura effettivamente provata, e accertarsi e dichiararsi l'obbligo dell'(...) a manlevare il medesimo per l'intera somma che dovesse essere condannato a pagare all'esito del presente giudizio; (iii) in via istruttoria, ha chiesto il rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio, e in subordine l'audizione del CTU e dei consulenti tecnici di parte in camera di consiglio ex art. 197 c.p.c.. Concesso un ulteriore differimento di udienza finalizzato a consentire la chiamata in garanzia della compagnia assicuratrice, con comparsa di risposta depositata in data 7 febbraio 2018 si è costituita in giudizio l'(...) S.p.A. (...), la quale ha, in primo luogo, eccepito l'inoperatività della garanzia assicurativa in relazione alla fattispecie in esame, evidenziando che l'(...) ha chiamato nel presente giudizio il dott. (...) in forza di un titolo (quello negoziale) diverso da quello contemplato dall'art. 16 del contratto di assicurazione (che fa esclusivo riferimento all'obbligo ex lege), ed avente un distinto oggetto (nella specie: le somme corrisposte dalla struttura ospedaliera al paziente a titolo di risarcimento del danno) rispetto a quello assicurato (segnatamente: il danno occorso al paziente); a ciò ha aggiunto che - diversamente dall'obbligo di garanzia contrattualmente assunto dal medico nei confronti della struttura ospedaliera - l'art. 16 n. 4 del contratto di assicurazione offre espressamente copertura soltanto per danni imputabili a "colpa grave" del sanitario. In secondo luogo, l'(...) S.p.A. ha sollevato eccezione ex art. 1892 c.c. nei confronti dell'assicurato, per non aver informato la compagnia assicuratrice dell'obbligo di manleva contrattualmente assunto nei confronti dell'(...) S.r.l., deducendo che la conoscenza di tale circostanza avrebbe indotto la medesima a non prestare il proprio consenso, ovvero a prestarlo a condizioni diverse (ad esempio, aumentando il premio in proporzione al maggior rischio assunto, o espressamente escludendo dalla copertura le eventuali richieste di manleva provenienti dall'ente nei confronti del medico). In via alternativa, la compagnia assicuratrice, invocando l'art. 16 n. 3 del contratto di assicurazione, ha eccepito l'operatività a secondo rischio della predetta garanzia in presenza di altra polizza a copertura del medesimo rischio, richiamando a tal proposito la normativa di settore che pone un obbligo legale a carico delle strutture sanitarie di garantire il proprio personale per la responsabilità civile connessa all'esercizio dell'attività di servizio, per mezzo di idonea copertura assicurativa; muovendo da tale premessa ha, quindi, sollevato eccezione ex artt. 1914 e 1915 c.c., per violazione dell'obbligo di salvataggio da parte del terzo chiamato (...), contestando a quest'ultimo di non aver adempiuto l'onere a suo carico di dichiarare di voler profittare dell'eventuale polizza stipulata da (...) S.r.l., o, in caso di mancata stipula di detta polizza, di sollevare nei confronti dell'ente l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c., con contestuale domanda riconvenzionale di risarcimento del danno. In via ulteriormente subordinata, l'(...) S.p.A. ha replicato che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda di manleva proposta dal terzo chiamato nei propri confronti, trovano applicazione i limiti di operatività della copertura assicurativa, sicché l'indennizzo può essere riconosciuto soltanto con riferimento alla quota di responsabilità direttamente riferibile alla condotta del professionista/assicurato. Concessi i termini per il deposito di memorie istruttorie ex art. 183 comma VI c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'acquisizione di documenti e l'assunzione delle prove orali richieste da parte attrice. Esaurita l'attività istruttoria, la causa è stata trattenuta una prima volta in decisione da questo Giudice (assegnatario del procedimento dal 19 aprile 2019), e poi rimessa sul ruolo al fine di acquisire chiarimenti dal CTU sul referto radiologico post-operatorio menzionato nelle difese del convenuto e dei terzi chiamati, e per acquisire agli atti del presente giudizio, ex art. 698 c.p.c., il fascicolo d'ufficio relativo al procedimento di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis iscritto al n.r.g. 150/2016. Infine, all'udienza del 20 dicembre 2022, svolta con la modalità a trattazione scritta prevista dall'art. 83 comma 7 lett. h) del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e successive modifiche), le parti hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe, e la causa è stata, quindi, posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. In diritto Tanto premesso in fatto, merita anzitutto rilevare in punto di diritto che la responsabilità della struttura sanitaria per i danni conseguenti alla condotta colposa del personale medico trova fondamento nel disposto di cui all'art. 1228 c.c., in virtù del quale: "Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro". Tale criterio di imputazione, fondato sul principio "cuius commoda eius et incommoda" , comporta la configurazione di una responsabilità indiretta della struttura sanitaria per i danni derivati dalla condotta colposa del personale medico di cui si sia avvalsa per l'esecuzione della prestazione di assistenza sanitaria. Sul punto, è poi opportuno precisare che "la responsabilità per fatto dell'ausiliario o del preposto prescinde dall'esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato del medico con la struttura (pubblica o privata) sanitaria, essendo irrilevante la natura del rapporto tra i medesimi sussistente ai fini considerati, laddove fondamentale rilevanza assume viceversa la circostanza che dell'opera del terzo il debitore originario comunque si avvalga nell'attuazione del rapporto obbligatorio" (cfr., fra le altre, Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 8826 del 13 aprile 2007). In relazione, poi, alla questione relativa al titolo della responsabilità della struttura sanitaria, secondo l'orientamento giurisprudenziale formatosi in pendenza del regime normativo anteriore alla L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco), si tratta di un responsabilità per inadempimento, alla quale consegue l'applicazione del regime di riparto dell'onere probatorio previsto dagli artt. 1218 e 2697 c.c.: invero, a sostegno di tale conclusione è stato osservato che l'accettazione del paziente nella struttura sanitaria, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (c.d. "contratto di spedalità" o di "assistenza sanitaria"), in virtù del quale: "a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo "lato sensu" alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 cod. civ., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto" (cfr. sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, 14 giugno 2007, n. 13953). Tale qualificazione del rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria conduce al riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente-danneggiato, con conseguente applicazione del regime di riparto dell'onere probatorio previsto dagli artt. 1218 e 2697 c.c, come interpretato alla luce dei principi generali enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza del 30 ottobre 2001 n. 13533. In particolare, da tale inquadramento discende, in punto di riparto dell'onere della prova, che spetta al paziente danneggiato l'onere di provare l'esistenza del contratto e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, mentre, rimane a carico del medico convenuto e/o della struttura sanitaria l'onere di provare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 11 gennaio 2008, n. 577, Cassazione civile sez. III, sentenza n. 27855 del 12 dicembre 2013; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 20547 del 30 settembre 2014; Cassazione, sez. III, sentenza n. 24073 del 13 ottobre 2017). Pertanto, ove il danneggiato abbia assolto gli oneri di prova ed allegazione a proprio carico, compete alla struttura sanitaria dimostrare il proprio adempimento o la non imputabilità dell'inadempimento, in quanto determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza, o ancora la mancanza di efficienza eziologica dell'inadempimento in relazione all'evento hic et nunc verificatosi. Parimenti, quanto alla responsabilità del medico, è noto che l'orientamento giurisprudenziale delineatosi a partire dalla sentenza n. 577 dell'11 gennaio 2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha qualificato come obbligazione contrattuale la prestazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ravvisando il titolo costitutivo della stessa - nel caso in cui non ricorra già uno specifico rapporto contrattuale - nel c.d. "contatto sociale" che si instaura tra il medico e il paziente. Secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente tale regime giuridico è rimasto immutato anche dopo l'introduzione dell'art. 3 della c.d. legge B. (D.L. n. 158 del 13 settembre 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 189 dell'8 novembre 2012, e successive modifiche, ed entrato in vigore il 24 aprile 2013): invero, come chiarito dalla Corte di Cassazione, la predetta disposizione, nel prevedere che "l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve", fermo restando, in tali casi, "l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile", non ha espresso alcuna opzione per la configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale, ma ha inteso solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della colpa lieve (cfr. Cassazione civile, ordinanza n. 8940 del 17 aprile 2014; Cassazione civile, ordinanza n. 27391 del 24 dicembre 2014). Per completezza, va altresì dato atto che il legislatore, con l'emanazione della L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco), ha poi espressamente qualificato la responsabilità della struttura sanitaria, pubblica ovvero privata, in termini di "responsabilità contrattuale" da ricollegare al regime giuridico generale previsto dagli artt. 1218 e 1228 c.c..: infatti, con l'introduzione dell'art. 7, comma 1, della citata L. n. 24 del 2017, ha previsto che "la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose e colpose". Inoltre, la succitata novella normativa ha modificato anche il regime della responsabilità del medico, introducendo - con l'art. 7 comma 3 - un sistema a doppio binario, in base al quale, in assenza di un contratto tra il sanitario e il paziente, il primo risponde del proprio operato a titolo extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c.. Tuttavia, sul punto occorre precisare che - in virtù del principio di irretroattività della legge previsto dall'art. 11 disp. att. c.c. - le norme sostanziali contenute tanto nel D.L. n. 158 del 2012 quanto nella citata L. n. 24 del 2017 trovano applicazione solamente ai fatti dannosi avvenuti successivamente alla sua entrata in vigore (cfr., Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 28994 dell'11 novembre 2019; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 28811 dell'8 novembre 2019), e non possono, dunque, essere invocate nella fattispecie in esame, che ha ad oggetto fatti che si sono svolti e conclusi prima della data di entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, posto che il rapporto professionale tra l'attrice e la struttura sanitaria chiamata in giudizio si è svolto dal 25 febbraio 2013, data del ricovero, al 2 marzo 2013, data delle dimissioni. 3. Nel merito della domanda attorea 3.1 Responsabilità struttura sanitaria Ciò posto, l'oggetto del presente giudizio attiene alla valutazione della corretta esecuzione dell'intervento chirurgico di artroprotresi di ginocchio destro a cui l'attrice si era sottoposta in data 26 febbraio 2013 per gonartrosi destra. Nel caso di specie, non risulta contestato - e, comunque, si tratta di circostanza documentata (cfr. cartella clinica) - che tale intervento chirurgico era stato eseguito presso l'Unità operativa di Ortopedia e Traumatologia dell'(...) DI (...) s.r.l., e che era stato effettuato dal medico convenuto - dott. (...) - in qualità di ausiliario di detta struttura sanitaria. Pertanto, parte attrice ha assolto l'onere di provare la conclusione del contratto c.d. di spedalità (perfezionatosi al momento dell'accettazione del paziente presso l'ente ospedaliero chiamato in giudizio) sia il c.d. "contatto sociale" con il medico convenuto (instauratosi al momento in cui quest'ultimo ha preso in carico il paziente). Inoltre, l'attrice - in coerenza con principi di diritto sopraesposti - ha indicato gli specifici profili di colpa contestati alla struttura sanitaria e al dott. (...), allegando che l'intervento chirurgico di artroprotresi non era stato eseguito correttamente ed aveva comportato un peggioramento delle condizioni cliniche del ginocchio destro, degenerate in una marcata instabilità rotulea, con conseguente necessità di sottoporsi ad un ulteriore intervento chirurgico correttivo. Dall'altro lato, l'(...) DI (...) s.r.l. non ha, invece, fornito la prova liberatoria a proprio carico, consistente nella dimostrazione della corretta esecuzione della prestazione medica ovvero della riconducibilità degli esiti peggiorativi di cui si è detto ad un evento imprevisto ed imprevedibile. Invero, il consulente tecnico d'ufficio dott.ssa (...), nella relazione peritale depositata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo iscritto al n.r.g. 150/2016, ha concluso affermando che l'intervento chirurgico a cui era stata sottoposta l'attrice non era stato eseguito a regola d'arte; in particolare il CTU - muovendo anche dalle considerazione medico legali espresse dall'ausiliario ortopedico, dott. (...) - ha accertato che le componenti protesiche erano state posizionate in modo anomalo, evidenziando a tal fine come dall'esame della documentazione iconografica in atti risultava "un discreto, ma non assolutamente corretto orientamento della componente femorale, mentre la componente tibiale" presentava "una più evidente anomala intrarotazione rispetto alla norma (19-20)", nonché "un'inclinazione verso l'interno della rima di circa 5". Il consulente ha poi riscontrato che l'anomalo posizionamento delle componenti protesiche aveva determinato lo svilupparsi della lussazione esterna della rotula, come confermato anche dalla radiografia eseguita dall'attrice in data 23 ottobre 2015, con conseguente persistenza della sintomatologia algica e disfunzionale a carico del ginocchio destro. Come già detto, il CTU è pervenuto a tali conclusioni, previa acquisizione del parere dell'ausiliario ortopedico, il quale ha chiarito che l'anomalo posizionamento della componenti protesiche - nonostante l'utilizzo di un modello a menisco mobile - aveva costituito "un elemento causale determinante" per lo sviluppo della lussazione esterna della rotula, aggiungendo altresì che la sintomatologia dolorosa e disfunzionale lamentata dall'interessata era correlabile a tale alterazione e che, a causa di tale anomalia, le condizioni dell'apparato estensore del ginocchio sinistro erano esposte a progressive deterioramento con il trascorrere degli anni. Le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d'ufficio meritano di essere condivise, stante la correttezza del metodo scientifico seguito e la coerenza logica delle argomentazioni svolte, la cui attendibilità trova pieno riscontro negli elementi di giudizio emergenti dalla documentazione sanitaria versata in atti. Per tali ragioni vanno respinte sia la richiesta di rinnovo della consulenza tecnica d'ufficio sia quella di convocazione dei consulenti in camera di consiglio ex art. 197 c.p.c., in quanto superflue ai fini decisori. Ed infatti, il consulente tecnico d'ufficio - con la relazione peritale depositata nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, ed integrata dai chiarimenti resi all'udienza del 25 ottobre 2022 - ha risposto in modo esaustivo e puntuale ai quesiti posti al suo vaglio, fornendo motivazioni supportate dai referti medici in atti, e prendendo posizione in modo preciso e puntuale alle osservazioni formulate dal consulente tecnico dell'(...), oltre che dalla predetta parte e dal dott. (...) direttamente nei rispettivi scritti difensivi. Più in dettaglio, rispetto alle criticità mosse dall'(...) DI (...) s.r.l. e dal medico ortopedico alle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio va evidenziato che: 1) l'unico referto radiologico in atti che raffigura lo stato della protesi e della rotula successivamente all'intervento di artroprotesi è la radiografia intra-operatoria, non essendo stata prodotto in giudizio alcun referto radiologico riferito al decorso post-operatorio (contrariamente a quanto allegato dall'(...), che alla pagina 3 della prima memoria istruttoria ha fatto riferimento all'esistenza di due referti, e nella specie la "radiografia intra operatoria" e il "referto radiologico postoperatorio"); 2) il suddetto referto radiologico intra-operatorio (da cui si evince che la rotula era stata posta al centro della troclea protesica e, quindi, perfettamente in asse), come chiarito dal CTU all'udienza del 25 ottobre 2022, assume scarso rilievo clinico, "in quanto raffigura una situazione statica nell'immediato post-operatorio, da cui non può che emerge il corretto posizionamento della protesi", mentre "è soltanto nel momento in cui il paziente inizia a deambulare e porta il carico sull'arto operato che possono farsi le considerazioni sull'effettivo corretto posizionamento della protesi"; in ragione di ciò, il CTU ha, quindi, ribadito la rilevanza degli esami strumentali eseguiti dall'attrice nell'anno 2015, atteso che questi rappresentano l'evoluzione del quadro clinico nel periodo successivo all'intervento chirurgico; 3) peraltro, la valenza probatoria delle risultanze degli esami a cui si era sottoposta l'attrice nel 2015 risulta ulteriormente suffragata dall'esclusione dell'esistenza o concorso di fattori causali alternativi (come, ad esempio, la lassità capsulo legamentosa e il cedimento degli alari e del basso mediale), avendo il CTU chiaramente affermato - sia nella relazione peritale sia in sede di chiarimenti - che non è stata rilevata, né strumentalmente né clinicamente, l'esistenza delle altre cause o concause indicate dal consulente tecnico di parte convenuta; 4) infine, alcuna incidenza assume sull'accertamento del nesso di causalità tra l'inadempimento e il danno l'incertezza sull'effettivo compimento del percorso riabilitativo prescritto all'attrice, trattandosi di circostanza che - come emerge dalle pag. 12 e 13 della relazione peritale - rileva ai soli fini della determinazione del periodo di inabilità temporanea, trattandosi di attività che non impatta sul posizionamento della protesi, ma mira esclusivamente a ripristinare la funzionalità dell'arto nella fase post-operatoria (come, d'altra parte, confermato anche dall'ausiliario ortopedico, che ha chiaramente affermato che l'anomalo posizionamento della componenti protesiche aveva costituito la causa determinante della lussazione esterna della rotula). Ebbene, alla luce delle considerazioni sopraesposte e delle risultanze della consulenza esperita nel presente giudizio - la quale, in ambito di responsabilità medica, assume funzione percipiente ed opera come fonte oggettiva di prova (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 4792 del 26 febbraio 2013; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 22225 del 20 ottobre 2014; Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 21008 del 23 agosto 2018) - risultano provati sia l'erronea esecuzione della prestazione sanitaria sia il nesso di causalità tra tale inadempimento e l'evento lesivo verificatosi. A ciò deve poi aggiungersi che - come confermato dalla relazione peritale - che l'intervento de quo ha natura routinaria, trattandosi di prestazione che rientra nell'ambito di quelle comunemente esigibili da chirurghi ortopedici che si occupano di traumatologia degli arti inferiori. Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto e dal dott. (...), che hanno eccepito la lacunosità della relazione peritale rispetto a tale questione, deve invece evidenziarsi che il CTU - oltre a prendere posizione, come già detto, sulla tipologia (routinaria) dell'intervento - ha esaminato le caratteristiche specifiche del caso clinico sub iudice ed ha escluso che "la prestazione, nel caso in esame, comportasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà" (pag. 14 della relazione peritale). Escluso, quindi, che il caso di specie rientri nella fattispecie prevista dall'art. 2236 c.c., deve quindi ritenersi che la struttura sanitaria sia chiamata a rispondere dei danni cagionati dal professionista anche per colpa lieve. In conclusione, deve dichiararsi la responsabilità professionale dell'(...) DI (...) s.r.l. per i danni occorsi all'attrice in conseguenza dell'erronea esecuzione dell'intervento chirurgico eseguito dal dott. (...), medico di cui si è avvalsa nell'attuazione del rapporto obbligatorio. 3.2 Responsabilità del medico ortopedico Ciò posto, passando all'esame della posizione del dott. (...) va preliminarmente considerato che la struttura ospedaliera si è costituita in giudizio chiedendo di chiamare in causa il sanitario, al fine di proporre domanda di manleva per tutti gli eventuali danni imputabili alla prestazione resa da quest'ultimo e, in subordine, agire in via di regresso ex art. 2055 c.c.. Come noto, nell'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo, indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore, la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario; diversamente nell'eventualità della chiamata del terzo in garanzia la predetta estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (cfr. Cassazione civile sez. I, sentenza n. 7930 del 20 marzo 2023; Cassazione civile sez. III, sentenza n. 516 del 15 gennaio 2020; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 5400 del 5 marzo 2013). Nel caso di specie l'ospedale convenuto ha chiamato in giudizio il sanitario anche quale terzo corresponsabile, formulando nei suoi confronti azione di regresso ex art. 2055 c.c. in via anticipata, sicché - in applicazione dei principi di diritto sopraenunciati - deve ritenersi che tale chiamata in causa abbia comportato un'estensione automatica della domanda attorea nei suo confronti. Da ciò consegue, nel caso di specie, che sia il convenuto che il medico terzo chiamato devono, quindi, ritenersi solidalmente responsabili nei confronti del danneggiato al risarcimento del danno cagionato dall'erronea esecuzione della prestazione medica. Invece, quanto ai rapporti interni tra le suddette parti, tale disciplina risulta condizionata dalla definizione delle domande di manleva e di regresso proposte dall'(...) nei confronti del dott. (...). In particolare, l'(...) ha proposto, in via primaria, domanda di manleva nei confronti del medico ortopedico per l'intera somma che l'ente convenuto dovesse essere costretto a pagare all'attrice, ed ha fondato tale domanda sulla previsione contenuta nell'art. 6 del contratto di incarico libero professionale stipulato tra il medico e il nosocomio, in forza del quale il primo si era obbligato a manlevare la struttura sanitaria per gli eventuali danni causati dalle prestazioni professionali personalmente svolte presso l'ospedale. Tuttavia, la compagnia (...) s.p.a. ha formulato (per la prima volta) all'udienza di precisazione delle conclusioni del 7 dicembre 2021, domanda di accertamento della nullità del patto di manleva contenuto nel suddetto contratto vigente tra le parti; dall'altro lato l'(...) DI (...) s.r.l. ha eccepito l'inammissibilità di detta la domanda, in quanto tardivamente proposta. Ebbene, va osservato che - sebbene la domanda di accertamento della nullità della clausola formulata dal convenuto in via riconvenzionale è inammissibile, in quanto tardiva - il giudice non può, tuttavia, esimersi dall'esaminare il relativo tema "sub specie" di eccezione, trattandosi nel caso di specie di un'eccezione in senso lato, non soggetta quindi al regime delle preclusioni processuali. Quanto al merito della questione di nullità sollevata dalla compagnia assicuratrice, si rende necessario muovere dalla lettera del cit. art. 6 del contratto di incarico libero professionale stipulato tra l'(...) DI (...) s.r.l. e il dott. (...), che così dispone: "1. Il professionista si obbliga a tenere l'Ospedale sollevato da ogni e qualsiasi responsabilità civile e/o penale per eventuali danni da lui provocati a sé stesso e/o a terzi nell'esecuzione del presente contratto, addebitabili a qualsiasi tipo di colpa, colpa, colpa grave o dolo, sia per azione che per omissione, o per mancanza di vigilanza e di verifica nei confronti dei terzi collaboratori. 2. Il professionista è personalmente ed esclusivamente responsabile degli eventuali danni causati, con esclusione di ogni responsabilità in capo alla struttura. In relazione a quanto sopra, a copertura dei relativi rischi, il professionista dichiara di essere titolare, prima dell'effettivo inizio dell'attività, di una o più polizze assicurative annuali a primo rischio sulla responsabilità civile e professionale, con un primario Istituto assicurativo, con la previsione di un massimale unico non inferiore ad Euro 500.000,00 per ogni sinistro". In ordine alla validità di tale clausola va richiamato l'orientamento formatasi nella giurisprudenza di merito, che ritiene tali patti nulli per i seguenti motivi: 1) per violazione del requisito di determinatezza o determinabilità dell'oggetto del contratto, non essendo possibile individuare a priori le conseguenze patrimoniali che scaturiscono da tale patto; 2) per carenza di causa, in quanto si caratterizza per un evidente squilibrio in favore della struttura ospedaliera e per l'assenza di un apprezzabile interesse per il sanitario, che assume in via preventiva un obbligo indefinito senza alcuna diretta contropartita; 3) per violazione dell'art. 1322 comma 2 c.c., in quanto l'interesse che tale patto mira a realizzare (nella specie: traslare sulla parte debole del rapporto le conseguenze patrimoniali della responsabilità della parte forte, ponendo a carico di quest'ultima esclusivamente il rischio di insolvenza del professionista) non supera il vaglio di meritevolezza previsto da tale disposizione. Per tali ragioni, in adesione dei principi giurisprudenziali soprarichiamati, deve ritenersi fondata la questione di nullità della clausola sollevata dalla compagnia assicuratrice, e di conseguenza la domanda di manleva avanzata dalla struttura sanitaria sulla base di tale patto deve essere rigettata (e, per l'effetto, risulta assorbita l'eccezione sollevata, ai sensi dell'art. 1892 c.c., dalla compagnia (...) s.p.a. nei confronti del sanitario). Al rigetto della domanda di manleva segue l'esame dell'azione di regresso proposta - ai sensi dell'art. 2055 c.c. - dalla struttura ospedaliera nei confronti del sanitario, e la connessa questione della gradazione delle responsabilità tra le predette parti. A questo proposito deve richiamarsi l'indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "in tema di azione di rivalsa nel regime anteriore alla L. n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale, a meno che dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione" (cfr. Cassazione civile, sezione III, sentenza n. 28987 dell'11 novembre 2019; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 29001 del 20 ottobre 2021). Come chiarito dalla Suprema Corte, la ratio sottesa al succitato orientamento giurisprudenziale è che l'eventuale condotta negligente del medico va pur sempre inquadrata nella cornice dell'organizzazione predisposta dalla struttura sanitaria: ed infatti, nella parte motiva della succitata sentenza n. 28987/2019 la Corte di Cassazione sottolinea come "il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l'attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere agevolmente "isolata" dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante (...)". Nel caso di specie, la struttura sanitaria convenuta non ha neppure allegato l'esistenza di un'assorbente responsabilità del medico, nei termini di una derivazione causale del danno sofferto dal paziente da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, né ha fornito prova della predisposizione di un apparato organizzativo e funzionale idoneo, quanto meno a livello potenziale, a evitare rischi di errori dei propri incaricati, sicché deve farsi applicazione della presunzione di pari responsabilità, di cui sono speculare espressione l'art. 1298 comma 2 c.c. e l'art. 2055 comma 3 c.c.. 3.3 Domanda di garanzia nei confronti della compagnia (...) s.p.a. Quanto, poi, alla domanda del dott. (...) di essere garantito - in forza della polizza n. (...) - da (...) S.p.A., si osserva in primo luogo che il contratto stipulato dal predetto convenuto con la terza chiamata copre il periodo cui si riferiscono i fatti oggetto del giudizio. La terza chiamata ha sollevato eccezione di inoperatività della polizza se non a secondo rischio, citando i punti 2 e 3 dell'art. 16 delle condizioni generali di contratto, che prevedono quanto segue: "2) Qualora l'attività del Medico assicurato sia svolta in regime di dipendenza e/o intramoenia allargata all'interno di (...), (...), (...) o altra struttura sanitaria, tenuti egualmente in responsabilità, la presente garanzia si intende operante in secondo rischio, oltre il massimale assicurato dell'Ente stesso ovvero, in mancanza di copertura assicurativa dell'Ente, per la sola ipotesi di insolvenza del medesimo Ente. 3) In caso risultino stipulate altre assicurazioni con altri Assicuratori dell'Assicurato e/o da strutture pubbliche o private abilitate all'erogazione dell'assistenza sanitaria, la presente polizza opera in eccedenza ai massimali pagati dalle altre assicurazioni e sino a concorrenza dei massimali garantiti dalla presente polizza". In ordine alla portata applicativa di tale clausola contrattuale appare opportuno richiamare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità - al quale questo giudice intende aderire - secondo cui non possano esservi sovrapposizioni tra assicurazioni che tutelano rischi diversi. Più in dettaglio, la Suprema Corte ha chiarito che se un medico operante all'interno di una struttura sanitaria ha stipulato una "assicurazione personale", questa non può che coprire la responsabilità civile del medico stesso. In altri termini, l'assicurazione della responsabilità civile del medico operante all'interno d'una struttura sanitaria ha ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto a quello coperto dall'assicurazione della responsabilità civile dalla struttura in cui il medico si trova ad operare, in quanto la prima copre per definizione il rischio di depauperamento del patrimonio di quest'ultimo, mentre la seconda copre il rischio di depauperamento del patrimonio della struttura sanitaria. Si evidenzia, pertanto, che i due contratti sono diversi, i due rischi sono diversi, i due assicurati sono diversi, per cui non può sussistere per definizione ne' una coassicurazione, ne' una assicurazione plurima, ne' una copertura "a secondo rischio" (la quale presuppone, invece, che il rischio dedotto nel contratto sia già assicurato da un'altra polizza). Ne consegue che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non può mai "operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici", perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti" (cfr. Tribunale Pavia, sezione I, sentenza n. 502 del 17 aprile 2023; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 30314 del 21 novembre 2019; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 4936 del 2015). Di conseguenza, va respinta l'eccezione di operatività della polizza "a seconda rischio". Parimenti, deve essere disattesa l'eccezione di decadenza per violazione degli obblighi previsti dall'art. 1914 c.c., posto che tale disposizione censura comportamenti dell'assicurato che non evitino o non limitino il danno oggetto del contratto di assicurazione, ma non può riguardare comportamenti di terzi che possano concorrere a coprire l'indennizzo dovuto, e dovendosi peraltro evidenziare - come già detto - che l'eventuale polizza assicurativa stipulata dall'ospedale avrebbe, comunque, coperto un rischio diverso da quello che costituisce oggetto della "assicurazione personale". Ne discende, quindi, che va riconosciuta la piena dell'operatività della garanzia assicurativa azionata dal dott. (...) nei confronti della compagnia assicuratrice. Dal momento che, come correttamente dedotto da (...) s.p.a., l'art. 18 delle condizioni generali di contratto delimita il rischio coperto dalla polizza "alla sola quota di responsabilità dell'Assicurato con esclusione di qualsiasi responsabilità derivantegli in via di solidarietà", la compagnia assicuratrice deve essere condannata a tenere indenne il dott. (...) dalle conseguenze negative derivanti a quest'ultimo dalla presente pronuncia (corrispondenti alla quota del 50% di responsabilità). 4. Liquidazione del danno Fermo tutto quanto sopra, deve infine provvedersi alla quantificazione del danno. In particolare, l'attore ha chiesto il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza di tale inadempimento. In ordine alla liquidazione del danno biologico, va rilevato che all'attore va riconosciuto il c.d. danno iatrogeno per il pregiudizio non patrimoniale derivante dai postumi permanenti e dall'inabilità temporanea ulteriori rispetto a quelli che sarebbero comunque derivati - anche in presenza di un adeguato trattamento medico chirurgico - a causa della patologia preesistente. In particolare, il c.d. danno iatrogeno è un danno differenziale, che identifica i soli pregiudizi direttamente riconducibili all'operato del sanitario, da distinguere dall'intero danno finale subìto dal paziente, consistente nella combinazione tra la patologia originaria e l'ulteriore lesione della salute dipesa dalla condotta del sanitario. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto e dal terzo chiamato (...), la quantificazione del danno iatrogeno va, quindi, compiuta sottraendo al risarcimento effettivamente dovuto quello che sarebbe stato dovuto se la prestazione medica fosse stata eseguita correttamente. A tal fine, occorre prima stabilire quale sarebbe stato il grado di invalidità permanente, la durata della malattia e il danno morale che l'attore avrebbe subiti ove il sanitario non fosse incorso in colpa professionale, nonché quale sia stato in concreto l'effettivo grado di invalidità permanente, l'effettiva durata della malattia e l'effettivo danno morale patito dall'attore, per poi detrarre il valore globale delle singole voci raggiunto dal primo calcolo dal valore globale raggiunto dal secondo calcolo. Nel caso di specie, il CTU ha accertato che gli esiti dell'anomalo posizionamento delle componenti protesiche hanno comportato un'invalidità permanente pari al 23%, mentre i postumi che sarebbero residuati dall'intervento di artroprotesi correttamente eseguito sarebbero stati quantificabili - in base ai comuni barèmes di riferimento - nella misura non inferiore al 15%: pertanto, all'erronea prestazione professionale resa dal medico ortopedico dell' (...) DI (...) s.r.l. sono ascrivibili i postumi permanenti compresi tra il 15% e il 23%. Il CTU ha poi dato atto che, sulla base della documentazione prodotta dall'attrice nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, non è possibile indicare se vi sia stato un prolungamento dell'inabilità temporanea, non essendo stato neppure documentato il periodo durante il quale l'attrice ha seguito la terapia riabilitativa. Né peraltro l'attrice ha fornito nella presente sede ulteriore documentazione o elementi di prova da utilizzare per la determinazione del periodi di inabilità temporanea aggiuntiva, avendo piuttosto limitato la propria domanda al risarcimento del danno iatrogeno differenziale per i soli postumi permanenti. Ciò detto, per la liquidazione del danno biologico trovano applicazione le tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 7 settembre 2005 (c.d. Codice delle assicurazioni private), come disposto dal richiamo contenuto all'art. 3 comma 3 della c.d. legge B. (D.L. n. 158 del 13 settembre 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 189 dell'8 novembre 2012, e successive modifiche) - e confermato anche dall'art. 7 comma 4 della L. n. 24 del 2017 - ove è previsto che: "Il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo." Sul punto, va poi precisato che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28990 dell'11 novembre 2019, ha accolto l'orientamento giurisprudenziale - condiviso da questo giudice - secondo cui la norma contenuta nell'art. 3, comma 3, del D.L. n. 158 del 2012 (convertito dalla L. n. 189 del 2012), e sostanzialmente riprodotta nell'art. 7, comma 4, della L. n. 24 del 2017, trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul "quantum"), in quanto la disposizione, non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso, ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l'ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno. Ciononostante, va considerato che tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica è, oggi, legalmente prevista solo per le lesioni cd. micropermanenti (1-9%) in quanto, come noto, per le lesioni cd. macropermanenti (10-100)%, il Ministero competente non ha ancora provveduto ad esercitare il potere normativo delegato. Di conseguenza, allo stato, in mancanza della tabella di riferimento, trovano applicazione per la liquidazione del danno per lesioni di non lieve entità le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, le quali hanno assunto la natura di parametro uniforme di liquazione equitativa del danno, ancorché modulabile in relazione alle circostanze del caso concreto; infatti, la Corte di Cassazione - nella recente sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 - ha conferito "vocazione" nazionale al sistema tabellare (...), chiarendo che: "nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c. - salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito". In particolare, secondo il sistema tabellare (...) i valori di liquidazione per il danno permanente da lesione all'integrità psico-fisica sono parametrati all'età del danneggiato e alla percentuale di invalidità permanente accertata in sede medico-legale. Pertanto, avuto riguardo all'età dell'attrice al momento dei fatti per cui è causa (57 anni), e tenuto conto dell'effettiva percentuale di invalidità permanente del 23% , il danno ammonta a 82.574,00 euro. A tale somma va detratto l'importo derivante dal calcolo effettuato in ragione dell'età del danneggiato all'epoca dei fatti per cui è causa, con applicazione di una percentuale invalidante del 15% che l'attrice avrebbe subito ove il sanitario non fosse incorso in colpa professionale: la somma determinata ammonta a 39.093,00 euro. La differenza tra i due valori individua la misura del danno iatrogeno sofferto dall'attrice, che è dunque pari a 43.481,00 euro. In merito alla personalizzazione del danno invocata da parte attrice appare opportuno richiamare l'orientamento consolidato della Corte di Cassazione (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 23778 del 7 novembre 2014; Cassazione civile, ordinanza n. 10912 del 7 maggio 2018; Cassazione civile, ordinanza n. 5865 del 4 marzo 2021) secondo cui il grado di invalidità permanente espresso da un "baréme" medico legale esprime la misura in cui il pregiudizio alla salute incide su tutti gli aspetti della vita quotidiana della vittima, restando preclusa la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona, quali il danno alla vita di relazione e alla vita sessuale, il danno estetico e il danno esistenziale. Soltanto in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali, tempestivamente allegate e provate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età, è consentito al giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione. Nel caso di specie, alla luce delle risultanze processuali emerse, deve ritenersi che non ricorrono i presupposti per procedere ad una personalizzazione del danno. Infatti, le uniche circostanze allegate da parte attrice, a fondamento di tale domanda, consistono nell'aver dovuto ricorrere all'ausilio di un bastone per deambulare, nella rinuncia a qualsivoglia attività implicante l'utilizzo dell'arto danneggiato, e in particolare a quella svolta come collaboratrice dell'azienda artigiana del figlio sin dall'anno 2007, nonché nell'aver dovuto sottoporsi a nuovo intervento chirurgico per porre rimedio alle conseguenze negative della prima operazione. Ebbene, in applicazione dei principi di diritto soprarichiamati, deve ritenersi che la prima e la terza circostanza rientrano nelle conseguenze ordinarie connaturate alla gravità delle lesioni accertate a carico dell'attrice, e conseguentemente sono già ricomprese nella liquidazione unitaria del danno biologico; invece, la seconda circostanza - sebbene rivesta, in astratto, carattere di specificità ed eccezionalità - non risulta provata, stante la genericità delle dichiarazioni rese dai testimoni, da cui non è possibile trarre alcun elemento in ordine a orari di lavoro, retribuzione e durata del rapporto. In definitiva, l'importo totale spettante a parte attrice a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale è, quindi, pari a 43.481,00 euro. A ciò devono aggiungersi le somme da liquidarsi a favore dell'attrice a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, nell'ambito delle quali devono computarsi - in quanto provate - le spese sostenute per la perizia medico-legale redatta dalla dott.ssa (...) (pari a 2.642,00 euro) e quelle versate per l'esperimento della procedura di mediazione (pari a 56,05 euro). Pertanto, il danno emergente va determinato nella somma complessiva pari a 2.698,05 euro. Il danno risarcibile complessivo va, quindi, liquidato nella somma pari a 46.179,05 euro. La somma così determinata - liquidata in applicazione dei valori più recenti - va devalutata avuto riguardo al momento dell'evento (26 febbraio 2013). Quindi, trattandosi di debito di valore, va rivalutata anno per anno dal giorno del fatto sino alla data della pubblicazione della presente decisione, secondo gli indici Istat di ciascun anno di riferimento. Su ciascuno importo annuale vanno applicati gli interessi compensativi, nella misura degli interessi legali dell'anno di riferimento; infine, dalla data della pubblicazione della presente decisione al saldo saranno dovuti i soli interessi legali. Ogni altra questione di rito, di merito o istruttoria risulta assorbita. 5. Spese di lite Le spese di lite sostenute dall'attrice nel procedimento di accertamento tecnico preventivo e nel presente giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 (nella formulazione aggiornata a seguito del D.M. n. 147 del 13 agosto 2022), assumendo come parametro i valori medi di ciascuna fase svolta, e tenendo conto del valore della controversia, nonché della natura delle questioni giuridiche trattate e di tutte le fasi in concreto svolte. Quanto ai rapporti tra l'(...) DI (...) s.r.l. e il terzo chiamato (...), le spese di lite dei due procedimenti - in ragione dell'accoglimento solo parziale delle domande proposte dalla convenuta e della declaratoria di nullità del patto di manleva - possono essere integralmente compensate. In ragione dell'accoglimento della domanda di garanzia avanzata dal terzo chiamato (...) verso l'assicurazione, le spese di lite sostenute dal primo sia nel procedimento di accertamento tecnico preventivo sia nel presente giudizio vanno poste carico della compagnia (...) S.p.A. e liquidate secondo i medesimi criteri sopraindicati (assumendo, però, come parametro il valore della quota di responsabilità accertata in capo al sanitario). In ultimo, tenuto conto della entità delle responsabilità accertate in capo alla struttura sanitaria e al medico ortopedico, le spese dell'accertamento tecnico espletato nel procedimento di istruzione preventiva iscritto al n.r.g. 150/2016 vanno poste definitivamente a carico dell'(...) DI (...) s.r.l. e del dott. (...), nella misura della metà ciascuno. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) condanna (...) DI (...) S.R.L. e (...), in solido tra loro, al pagamento in favore di (...) della somma di 43.481,00 a titolo di risarcimento del danno; su tale somma va operata la devalutazione, rivalutazione e applicazione di interessi compensativi come indicate in parte motiva, oltre interessi legali dalla data della pubblicazione della presente decisione al saldo; 2) accoglie parzialmente le domande proposte dall'(...) DI (...) S.R.L. nei confronti di (...) e, per l'effetto, condanna quest'ultimo, a tenere indenne, in via di regresso, nei limiti del 50%, la struttura sanitaria convenuta di quanto la stessa sarà tenuto a pagare all'attrice in dipendenza della presente sentenza; 3) condanna (...) DI (...) S.R.L. e (...), in solido tra loro, a rimborsare a (...) le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in 7.616,00 euro per compensi al difensore, 786,00 euro per spese vive, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 4) condanna (...) DI (...) S.R.L. e (...), in solido tra loro, a rimborsare a (...) le spese di lite del procedimento di istruzione preventiva iscritto al n.r.g. 150/2016, che si liquidano in 3.056,00 euro per compensi al difensore, 286,00 euro per spese vive, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 5) condanna (...) S.P.A. a garantire (...) rispetto alle somme che il medesimo è tenuto a versare in relazione ai capi che precedono, e limitatamente alla quota di responsabilità ad esso ascritta (pari al 50%); 6) compensa integralmente le spese di lite nei rapporti tra dall'(...) DI (...) S.R.L e (...); 7) condanna (...) S.P.A. a rimborsare a (...) le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in 5.077,00 euro per compensi al difensore, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 8) condanna (...) S.P.A. a rimborsare a (...) le spese di lite del procedimento di istruzione preventiva iscritto al n.r.g. 150/2016, che si liquidano in 2.337,00 euro per compensi al difensore, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 9) pone le spese di C.T.U. relative al procedimento di istruzione preventiva iscritto al n.r.g. 150/2016 definitivamente a carico dell'(...) DI (...) S.R.L. e (...), nella misura della metà ciascuno. Così deciso in Mantova l'11 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Mantova Sezione civile Il Tribunale, nella persona della dott.ssa Francesca Arrigoni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 833/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. PA.MA. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. MA.MA. e dell'avv. BI.MA. CONVENUTO/I (...) SPA (C.F. (...) ) con il patrocinio dell'avv. DE.MO. e dell'avv. RO.GA. TERZO CHIAMATO Oggetto: Responsabilità professionale CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Sintesi delle questioni (...) ricorse ex art. 702 bis c.p.c. contro (...), esponendo: 1) di essersi rivolto, tra il mese di luglio 2014 e il mese di aprile 2019 alla resistente per alcuni trattamenti implanto - protesici; 2) di aver incaricato uno specialista in odontoiatria e protesi dentale al fine di valutare la propria situazione, che così concluse: "errato progetto protesico e mancanza di indicazione alle terapie nell'arcata superiore; mancanza di valido consenso informato pre-cure; errato inserimento degli impianti endossei; errata realizzazione protesica"; 3) che, in assenza di riscontro all'esito di denuncia del sinistro, l'esponente instaurava ricorso per a.t.p. nel corso del quale il C.T.U. nominato confermava le censure mosse dal ricorrente; 4) che nè la resistente nè la compagnia assicurativa provvedevano alla definizione della vertenza; 5) che, risultando la responsabilità della resistente confermata all'esito dell'a.t.p., consegue la obbligazione di risarcimento dei danni subiti, così quantificati: danno non patrimoniale nella misura di cui alla tabella del D.M. 9 gennaio 2019, danno patrimoniale emergente per le nuove cure di riabilitazione (Euro 15.000,00), per quella medico legale (pari ad Euro 1.220,00) e per la disposta CTU (Euro 3.660,00) per un totale di Euro 19.880,00, il tutto oggetto di rivalutazione e interessi, per il complessivo seguente conteggio: I.T.P accertata al 15% 540,00 Valore per ogni giorno di I.T.P al 15% Euro 7,06 1) Totale danno non patrimoniale Euro 3.812,67 Danno emergente Euro 15.000,00 danno emergente (assistenza tecnica stragiudiziale) Euro 1.220,00 2) Totale danno patrimoniale Euro 16.220,00 3) Spese di Ctu (1.830,00) Euro e di Ctp (Euro 1.830,00) Euro 3.660,00 TOTALE (1+2+3) Euro 23.692,67. Si costituì la resistente, contestando l'avverso ricorso e chiedendo autorizzarsi la chiamata della propria compagnia di assicurazione (istanza accolta), ed eccependo: 1) la piena operatività della polizza conclusa con la società (...); 2) la correttezza del proprio operato; 3) che la condotta del ricorrente, che non interruppe il fumo nel periodo anteriore e successivo all'intervento, non curava una corretta igiene orale e non si sottopose con cadenza regolare ai controlli, determinarono il danno occorso; 4) che si contestano le conclusioni cui pervenne il CTU in sede di atp; 5) che sussistono i presupposti per la conversione del giudizio sommario in ordinario, anche in relazione alle proprie istanze istruttorie. Si costituì la terza chiamata eccependo: 1) la violazione dell'obbligo di cui all'art. 1892 c.c. atteso che la stipula del contratto è avvenuta solo 10 giorni dopo l'insorgenza dell'ultima problematica e con garanzia retroattiva illimitata, sicchè la polizza non opera; 2) che i fatti contestati al medico risalgono al 2014 quando la convenuta era assicurata con altra compagnia, che pertanto avrebbe dovuto essere coinvolta, sicchè la clausola claims made è nulla perchè non contrappesata da retroattività decennale; 3) che inoltre ai sensi dell'art. 2 del contratto nel caso di esistenza di altre polizze per il medesimo rischio o di successiva stipula da parte dell'assicurato, la assicurazione opererà a secondo rischio; 4) che in subordine la polizza opera solo per la quota di responsabilità accertata a carico della dott.ssa L.; 5) la contestazione delle singole poste di danno indicate; 6) che in caso (come nel presente) in cui il danneggiato non abbia richiesto la restituzione del compenso, tale posta non può essere coperta dall'assicurazione (Cass., 17346/2015); 7) che anche le spese legali sostenute non possono essere integralmente riconosciute, posto che si è verificata soccombenza parziale reciproca (Cass., n. 1269/2020); 8) che in subordine il contratto opera nei limiti di polizza, tenuto conto che la tutela legale opera in relazione al periodo di operatività della garanzia. In sede di prima udienza (e anche con memoria ex art. 183/6 n. 1 c.p.c. per ciò che riguarda la posizione della convenuta) le parti contestavano le avverse eccezioni. Disposto il mutamento del rito, la causa venne istruita in via documentale, mediante acquisizione delle risultanze dell'a.t.p. e integrazione della consulenza tecnica medico legale espletata in sede di atp ed è stata trattenuta in decisione sulla base delle conclusioni indicate in epigrafe. RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO - Sull'inadempimento di parte convenuta All'esito della istruttoria svolta, la domanda di parte attrice è parzialmente fondata, nei termini e per le ragioni che seguono. Il titolo dell'azione promossa da (...) va ricondotto a responsabilità contrattuale nei confronti della convenuta. E' infatti pacifico che l'attore si sia rivolto nell'anno 2014 presso lo studio della convenuta per essere visitato e sottoposto a terapia, sicchè non viene neppure in rilievo la questione della esistenza o meno di una responsabilità cd. da contatto sociale a carico del sanitario (peraltro condivisibilmente riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità), perché nel caso in esame il rapporto medico-paziente sorgeva in forza di elezione da parte del paziente, sicchè vi fu un vero e proprio accordo comportante il sorgere di una responsabilità contrattuale. Nessun effetto spiega dunque (anche prescindendo dalla questione circa la non retroattività della previsione) la disposizione di cui all'art. 7/3 della L. n. 24 del 2017 nella parte in cui prevede che "L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, atteso che tale norma prevede una espressa esclusione (salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente) che è appunto il caso del presente giudizio. Sul piano del riparto degli oneri di allegazione e prova ne deriva che, sin da Cass. Sez. un. n. 577 del 2008 e sul solco di Cass. Sez U n. 13533 del 2001, è indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui "l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno e ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno". Ciò premesso, parte attrice, attraverso la relazione svolta dal perito dott. R., ha contestato: a) carenza-inadeguatezza della documentazione clinica e radiografica; b) errato progetto protesico e mancanza di indicazione alle terapie nell'arcata superiore; c) mancanza dei necessari accertamenti pre-cura; d) mancanza di valido consenso informato pre-cure; e) errato inserimento degli impianti endossei; f) errata realizzazione protesica; g) errata gestione del caso (doc. 2). La convenuta ha eccepito in merito: 1) la indicazione delle terapie effettuate; 2) che la "non buona riuscita delle cure" dipese dalla condotta dell'attore che non si sottoponeva regolarmente ai controlli, aveva scarsa igiene orale, mai smise di fumare, pur edotto della necessità quantomeno di sospendere il fumo nel periodo ante e successivo alla realizzazione dei due impianti applicati all'arcata superiore. All'esito dell'accertamento svolto dal consulente tecnico d'ufficio dott.ssa (...), unitamente allo specialista odontoiatra prof. (...), le censure svolte dal paziente risultano fondate, nei termini e con le precisazioni che seguono. Premesso che è circostanza incontestata, avuto anche riguardo al tenore della comparsa di costituzione e risposta, che le cure non ebbero una buona riuscita, l'accertamento medico legale condotto dalla Dott.ssa Rastelli, unitamente all'ausiliario specialista, approfondito, immune da vizi nel percorso logico (che sono quelli che il giudice, evidentemente non tecnico della materia in cui ha nominato un consulente, è in grado di apprezzare), e ampiamente argomentato, va pienamente condiviso, ad eccezione di quanto si dirà in ordine alla concreta quantificazione del danno emergente, valutazione che coinvolge giudizi di natura prettamente giuridica e quindi rimessi al giudicante. In particolare il Ctu, dopo aver ricostruito i fatti e ripercorso in dettaglio il contenuto della cartella clinica in atti, ha precisato come, al paziente che nel luglio 2014 si rivolse per un parere circa i trattamenti odontoiatrici da eseguire, la dott.ssa L. ebbe ad indicare la necessità di realizzare cinque corone protesiche fisse superiori nel settore frontale, supportate da tre impianti endossei, e una protesi mobile scheletrata inferiore con ganci in metallo, previa estrazione di alcuni denti anteriori. Poi in realtà vennero eseguiti nell'arcata superiore due impianti frontali nonchè una protesi con "flangia rosa" di 5 elementi avvitati su soli due impianti. Tali cure si sono svolte fino al mese di agosto 2015, e dal settembre 2015 al 2019 si manifestarono varie problematiche (rottura viti, frattura della protesi scheletrata inferiore) con algie e difficoltà di masticazione con la conseguente necessità di sottoporsi a diversi interventi correttivi, senza tuttavia riuscire a risolvere le problematiche. Ciò premesso, il Ctu ha affermato di ravvisare delle criticità in ordine ai trattamenti implanto-protesici a cui fu sottoposto il D.M., sia in merito alla indicazione terapeutica che alla realizzazione protesica. In particolare il CTU ha condivisibilmente affermato che: "In primo luogo, si rileva come la scelta di eseguire una terapia implantologica fosse controindicata, trattandosi di un soggetto parodontopatico, forte fumatore, con malaocclusione dento scheletrica. I suddetti fattori erano negativi per una riabilitazione odontoprotesica fissa, poiché non era consentito un sufficiente compromesso occlusale, a discapito della stabilità del risultato nel tempo. La protesi fissa realizzata all'arcata superiore ha previsto una fixture che ha gravato in toto su due soli impiantiendossei anteriori. I reiterati interventi posti in atto dall'odontoiatra al fine di ovviare, già dopo pochi mesi, a rottura della protesi, a perdita di elementi della fixture, evidenziano altresì una incongrua progettazione e inadeguata realizzazione delle stesse. Inferiormente la protesi mobile scheletrata si è spezzata in due parti, con perdita della sella destra non più incorporabile. Ciò depone per un'errata indicazione di trattamento implanto protesico, errato progetto e realizzazione protesica. Il modulo del "consenso informato" sottoscritto dal signor D.M. non riporta alcuna data; si tratta peraltro di un consenso generico, senza alcuna indicazione relativamente alla diagnosi posta, alle possibili alternative terapeutiche, ai rischi della terapia implantologica e alle relative percentuali di insuccesso. Si tratta invero di un modulo di consenso non personalizzato al caso concreto, inadeguato sotto il profilo della dimostrazione di avere fornito una corretta e completa informazione al paziente". Poichè le difese svolte dalla convenuta nel presente giudizio di merito, come sopra ricostruite, si sono concentrate sulla imputabilità all'attore degli esiti sfavorevoli della terapia instaurata, al fine di consentire appieno al debitore di assolvere al proprio onere probatorio, è stata ammessa una integrazione del quesito peritale formulato in sede di a.t.p. del seguente tenore: "dica il CTU se la condotta del paziente di consumo di sigarette, di mancata rigorosa igiene orale, nonché di omissione di controlli periodici, nel corso e all'esito dei trattamenti effettuati dalla convenuta, possa avere aggravato le conseguenze dannose, come quantificate in sede di ATP e in caso di risposta positiva indichi - ove possibile - in quale percentuale ciò abbia cagionato un incremento del pregiudizio occorso". All'esito di tale integrazione il C.T.U., unitamente all'ausiliario specialista, ha escluso che le circostanze sopra indicate possano aver influito, anche solo in termini di aggravamento, sulle conseguenze dannose riportate dal paziente a seguito degli errati trattamenti praticati dalla dott.ssa L.; il richiamo ad una valutazione di influenza di tali condotte nei limiti del 10-20% non trova invero riscontro nella relazione depositata dal consulente d'ufficio. In particolare, infatti, la dott.ssa Rastelli ha chiarito che nel caso in esame non si è verificata una mancata osteointegrazione degli impianti all'arcata superiore per il tabagismo o la scarsa igiene orale, ma gli impianti sono stati malposizionati, atteso che la protesi fissa dell'arcata superiore su due soli impianti, in soggetto con malaocclusione dento scheletrica, non poteva avere ragionevole presunzione di stabilità e durata nel tempo. Al contempo la protesi mobile inferiore si è fratturata per un'errata progettazione tecnica, e non per la perdita di elementi dentali da parodontopatia da scarsa igiene. Non vale ad escludere la riscontrata responsabilità la circostanza, evidenziata dalla società terza chiamata, che gli impianti (male eseguiti) sarebbero stati realizzati da altri due professionisti, dott. (...) e dott. (...), posto che in primo luogo, e in via già assorbente, il CTU ha ravvisato la responsabilità della convenuta nella scelta della terapia, pacificamente ad essa imputabile, senza che alcuna allegazione (nè tantomeno prova) sia stata fornita in merito ad una decisione collegiale nella prima fase di individuazione della terapia da porre in essere. Al contempo, poi, anche in ordine alla esecuzione di tali interventi la convenuta, pacificamente titolare dello studio professionale e del rapporto con il paziente, nonchè soggetto che ebbe a somministrare il modulo di consenso informato, pure gravemente carente secondo quanto riscontrato dal C.T.U., non ha in alcun modo allegato in comparsa di costituzione e risposta circostanze tali da escludere la paternità e responsabilità, quantomeno quale "specialista curante e responsabile dello studio professionale", per l'intero ciclo di cure, limitandosi invero ad attribuire gli esiti dell'insuccesso all'atteggiamento generale di "scarsa compliance" che caratterizzava il D.M.. Va ribadito il giudizio di inammissibilità della istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. dello scheletrato inferiore mobile rotto, al fine di sottoporlo a CTU, per determinare se la rottura del manufatto sia imputabile a cattiva manutenzione, ovvero per accertare nel contraddittorio le ignote cause della rottura del manufatto, verificandone lo stato, l'integrità e l'eventuale presenza di bolle d'aria o di eventuali difetti che potrebbero averne causato o concausato la rottura, atteso che, alla luce di quanto evidenziato dal CTU in ordine alla erronee indicazione e progettazione tecnica, anche dello scheletrato inferiore, risulterebbe invero superfluo accertare una eventuale cattiva manutenzione; nè un eventuale difetto di fabbricazione varrebbe ad escludere la responsabilità del professionista nel presente giudizio, per quanto sopra osservato in merito alla erronea progettazione tecnica. - Sul danno Il C.t.u. ha quindi dapprima escluso la esistenza di un danno biologico permanente in capo al D.M., conclusione condivisibile ove si osservi che da un lato è pacifica la alterazione clinica orale preesistente sul piano parodontale, con notevole riassorbimento osseo e dall'altro, soprattutto, il CTU ha chiarito che il peggioramento dell'attuale quadro clinico, con ulteriore perdita ossea, è conseguente alla parodontopatia di base e non ai trattamenti praticati, oggetto del presente giudizio. Va pure condivisa la conclusione raggiunta dal consulente in merito alla sussistenza di una danno da inabilità temporanea parziale, pari al 15%, corrispondente al periodo in cui vennero svolte prestazioni aggiuntive a quelle ordinariamente connesse a interventi del tipo di quelli di cui è causa, pari a 18 mesi (corrispondenti al periodo compreso tra il mese di gennaio 2018 e il mese di febbraio 2019, senza considerare invece il lasso di tempo in cui l'attore non si sottopose ad alcun trattamento). La liquidazione del danno andrà effettuata avendo riguardo agli importi di cui all'art. 139/1 del codice delle assicurazioni private, come aggiornati da ultimo a decorrere dal mese di aprile 2022 (D.M. 8 giugno 2022), come richiamato dall'art. 7/4 della L. n. 24 del 2017, e pertanto il danno da inabilità temporanea va quantificato in Euro 7,6185*540=4.113,99. Per quanto attiene infine alla quantificazione del danno emergente, in sede di a.t.p. il CTU così concludeva: "In ordine al danno emergente odontoiatrico che il signor D.M. dovrà sostenere per una nuova riabilitazione, esso può essere stimato nella somma di Euro 15.000 (quindicimila), in particolare: circa 3.000 Euro per la rimozione degli impianti ritenuti nella premaxilla e per un intervento di osteoplastica delle stessa; riabilitazione odontoprotesica dell'arcata superiore, con protesi scheletrata con attacchi di precisione da agganciare agli elementi dentari presenti per un costo presumibile di Euro 4.000 circa; riabilitazione dell'arcata inferiore mediante inserimento di 4 impianti collegati ad una barra di sostegno di una nuova protesi mobile totale, il cui costo è preventivabile nell'ordine di 8.000". Va senza dubbio condivisa la prima parte della valutazione esposta dal CTU in merito al danno consistente nelle spese necessarie per eliminare le conseguenze dannose degli interventi non indicati o erronei, ovvero per la rimozione degli impianti ritenuti nella pre-maxilla e per un intervento di osteoplastica della stessa, stimato nella condivisibile misura di Euro 3.000,00. Per quanto invece attiene agli interventi ritenuti indicati, relativi alla nuova protesi scheletrata superiore con attacchi di precisione da agganciare agli elementi dentari presenti e alla protesi mobile totale dell'arcata inferiore, per il complessivo importo di Euro 12.000 (segnatamente Euro 4.000+8.000) deve precisarsi quanto segue. Posto che è pacifico che l'attore abbia sostenuto per le cure di cui è causa il minor importo di Euro 8.102,00, ove fosse ritenuto come danno emergente l'intero costo per le nuove cure ritenute indicate, come condivisibilmente eccepito dalla compagnia terza chiamata, si violerebbe il principio della "compensatio lucri cum damni", che governa il sistema risarcitorio, con riguardo alla differenza tra la somma di Euro 12.000 e quella già versata, posto che trattasi di esborso che l'attore avrebbe comunque dovuto sostenere anche in assenza dell'evento lesivo. Al contrario il danno emergente va identificato nel costo sostenuto per un trattamento sostanzialmente inutile, da ripetere in toto e pertanto nella somma di Euro 8.102,00. Tale conclusione appare a maggior ragione fondata, in via solo incidentale, sotto altro profilo, ovvero quello che, qualora per qualsiasi ragione l'attore decidesse di non accedere alle cure indicate dal CTU, si troverebbe a fruire di una riparazione superiore al pregiudizio effettivamente sopportato (esborso di una somma in assenza di risultato utile). Trattandosi di somme dovute a titolo di risarcimento dei danni, e quindi di debiti di valore, esse andranno rivalutate secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo; dalla data del verificarsi del danno (previa devalutazione del capitale a quella data, ove determinato alla data successiva come per quanto attiene al danno non patrimoniale) sino al passaggio in decisione della causa sono dovuti gli interessi compensativi del ritardo patito del ristoro; tali interessi, nella misura legale, in ossequio a quanto statuito da Cass., sez. un., n. 1712/1995, andranno calcolati sul valore del capitale via via rivalutato anno per anno; dalla data della presente sentenza sino all'effettivo saldo sono infine dovuti gli interessi nella misura legale ex art. 1284/4 c.c.. Per quanto attiene al danno non patrimoniale, stimato al mese di aprile 2022 in Euro 4.113,99, esso va devalutato alla data del verificarsi del danno (in Euro 3.837,68) e quindi rivalutato all'attualità (in Euro 4.440,20) e maggiorato degli interessi compensativi del ritardo patito del ristoro (Euro 158,57), per il complessivo importo di Euro 4.598,77. Per quanto attiene al danno patrimoniale, quantificato in Euro 11.102,00, esso andrà rivalutato all'attualità in Euro 12.845,01, oltre a interessi compensativi per Euro 458,74, per il complessivo importo di Euro 13.303,75. - Sulla domanda di manleva La domanda di manleva svolta nei confronti della compagnia di assicurazione è infondata, per i motivi che seguono. Ai sensi dell'art. 17 delle condizioni di polizza, "l'assicurazione vale per le richieste di risarcimento pervenute alla Società dall'assicurato per la prima volta durante il periodo di validità del contratto, qualunque sia l'epoca in cui è stato commesso il fatto che ha dato origine alla richiesta di risarcimento. trova in ogni caso piena applicazione l'art. 1892 c.c. Tuttavia se l'assicurato aveva stipulato con assicuratrice milanese e per il medesimo rischio una polizza o più polizze in successione nel tempo sostituite o riprese dalla presente senza nessuna interruzione della garanzia, il contratto è operante anche per i sinistri originati da comportamenti colposi posti in essere durante la vigenza della polizza o delle polizze precedenti, ancorchè non denunciati all'atto della stipula della nuova polizza con esclusione della applicazione dell'art. 1892 c.c.". La retroattività della garanzia era dunque collegata all'obbligo di trasparenza in ordine a circostanze tali da integrare il sinistro. Nel presente giudizio risulta in via documentale che la convenuta ebbe a stipulare la polizza di cui è causa con effetto dal 31/12/2017. Risulta dalla documentazione in atti, come ricostruita dal consulente tecnico, che il trattamento si concluse nel mese di agosto del 2015, quindi per tutto il 2016 e fino al dicembre 2017 il D.M. non si sottopose ad alcun controllo; solo in data 21/12/2017 (cfr. cartella clinica) venne visitato e si legge "cambiato vite - 12 - su 22 rotta vite". Quindi soltanto dieci giorni prima della stipula della polizza di cui è causa il paziente si era ripresentato presso lo studio della convenuta, che aveva riscontrato l'insorgenza delle problematiche degli interventi praticati (quantomeno la rottura della vite, come indicato in cartella clinica). Dunque, al momento di stipula del contratto di assicurazione, il trattamento eseguito era terminato, si erano manifestate le problematiche e il paziente ne aveva reso edotto il medico, essendosi recato dallo stesso. Trattasi invero di circostanze tali da incidere sul rischio, nel senso che riguardavano elementi di per sè idonei (allora) a rendere più probabile l'avveramento del rischio previsto in contratto, nel senso che l'inadempimento si era realizzato, gli effetti erano visibili e il medico ne era stato edotto dal paziente da circa una decina di giorni, peraltro collocati durante le festività natalizie, sicchè la coincidenza temporale è ancora più significativa. Pertanto, atteso che è pacifico tra le parti che la convenuta tacque tali elementi al momento della stipula del contratto di assicurazione, ed è documentale che nel questionario sottoscritto abbia barrato la casella "no" in relazione alla domanda se fosse a conoscenza di circostanze influenti sulla scelta della compagnia di concludere il contratto, la reticenza dell'assicurato in merito a tali circostanze integra quantomeno colpa grave, tale da rendere fondata la eccezione di inoperatività della polizza. E' noto infatti che le reticenze di cui all'art. 1892 c.c. producono, se scoperte dopo l'avveramento del rischio (come in questo caso), la perdita del diritto all'indennizzo (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 1166 del 21/01/2020 per la quale "In tema di assicurazione contro gli infortuni, l'onere, imposto dall'art. 1892 c.c. all'assicuratore, di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l'azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell'assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l'assicuratore sia venuto a sapere dell'inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell'indennizzo, che l'assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell'obbligo, esistente a carico dell'assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio", Cass, Sez. 3, Sentenza n. 12831 del 2014, Sez. 3, Sentenza n. 3165 del 2003). Va infine confermato in questa sede il giudizio già reso di inammissibilità dei capitoli di prova orale formulati da parte convenuta (...) per testi e interrogatorio formale, siccome vertenti su circostanze non contestate, negative, troppo genericamente formulate e superflue per la decisione, anche alla luce della integrazione di CTU disposta nel presente giudizio; parimenti inammissibile, per quanto esposto in motivazione, è l'ordine di esibizione dello scheletrato inferiore mobile; i capitoli di prova della terza chiamata sono inammissibili in quanto vertenti su circostanze superflue e troppo genericamente formulate, così come è superfluo per la decisione l'ordine di esibizione della polizza assicurativa della convenuta per il periodo 2014/2017, per quanto osservato in questo paragrafo. - Sulle spese di lite Le spese di lite (ivi comprese quelle sostenute durante il procedimento di a.t.p. e quelle di C.T.U.) seguono la soccombenza di parte convenuta sia nei rapporti con parte attrice che nei confronti della terza chiamata. Va infatti precisato che l'accoglimento in misura ridotta della domanda attorea non determina soccombenza reciproca, nè ricorrono a tal fine i presupposti di cui all'art. 92/2 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. un., n. 32061 del 2022). Per quanto attiene alle spese per consulenza tecnica di parte nella prima fase, ripetibili se ritenute non eccessive o superflue e anche se ancora dovute (cfr. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 30289 del 20/11/2019) parte attrice ha documentato la debenza e l'avvenuto esborso della somma di Euro 1.830,00 relativa alla fattura n. (...) del dott. C.R. che risulta quietanzata (doc. 8); per quanto attiene alla ulteriore posta relativa a mera fattura pro-forma di fattura n. (...) invero, in assenza di emissione di regolare fattura (peraltro in epoca anteriore alla successiva fattura n. (...)) non può ritenersi che tale somma sia effettivamente ancora dovuta, e neppure vi è prova che sia stata pagata, sicchè tale importo non può essere riconosciuto. Potrà quindi essere ripetuta la spesa relativa alla fattura n. (...), da ritenersi congrua tenuto conto delle attività svolte e di quanto liquidato dal Giudice al Ctu. Le spese di lite vanno liquidate in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 (avuto riguardo, per il procedimento di atp, ai valori anteriori alla entrata in vigore del DECRETO 13 agosto 2022, n. 147, che all'art. 6 ha specificato la applicabilità delle modifiche alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla entrata in vigore), come segue: giudizio di a.t.p. Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 540,00 Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 675,00 Fase istruttoria, valore medio: Euro 1.010,00 Compenso tabellare (valori medi) Euro 2.225,00 giudizio di merito: Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 919,00 Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 777,00 Fase istruttoria e/o di trattazione, valore medio: Euro 1.680,00 Fase decisionale, valore medio: Euro 1.701,00 Compenso tabellare (valori medi) Euro 5.077,00 Ai sensi dell'art. 93 c.p.c., attesa la dichiarazione del difensore di parte attrice, andrà disposta la distrazione dei compensi e delle spese anticipate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita o rigettata, così provvede: 1. In parziale accoglimento della domanda di parte attrice, condanna (...) al pagamento a (...) della somma di Euro 17.902,52, oltre a interessi legali, calcolati sul solo capitale rivalutato (di Euro 16.925,21) dalla data della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo; 2. Rigetta la domanda di manleva proposta da (...) nei confronti di (...) SPA; 3. Condanna (...) alla rifusione delle spese di lite in favore di (...), che liquida in Euro 577,00 per spese vive, Euro 1.830,00 per spese di consulenza tecnica di parte, ed Euro 7.302,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge, con la precisazione che dette somme andranno distratte in favore del difensore di parte attrice, ai sensi dell'art. 93 c.p.c.; 4. Condanna (...) alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) SPA, che liquida in complessivi Euro 7.302,00 per compenso professionale, oltre spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge 5. Pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU come liquidate nel presente giudizio e in quello per a.t.p. con separati decreti in atti, con la precisazione che le somme anticipate da parte attrice andranno distratte in favore del difensore, ex art. 93 c.p.c. Così deciso in Mantova il 10 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MANTOVA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Mantova, nella persona del giudice dott. Nicolò Pavoni, ha pronunciato, con contestuale motivazione, la seguente SENTENZA nella causa di lavoro n. 550/2021 di R.G. promossa da (...) (C.F. C.F. (...)) con l'avv. Ma.Gu. -ricorrente - contro (...) S.R.L. (C.F. e P.IVA (...)) - convenuta contumace - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con depositato in data 1.12.2021, il procuratore di parte ricorrente esponeva: che il sig. (...) è stato dipendente della società (...) S.r.l. dal 14.11.2017 fino al 30.09.2021, con la qualifica di operario comune (1 livello contrattuale) mansione di aiuto carpentiere ed addetto di semplici lavori di edilizia complementari alla carpenteria; che, nonostante le numerose richieste, al Sig. (...) non è mai stato consegnato il successivo contratto di lavoro a tempo indeterminato; che, allo stesso modo, al lavoratore non venivano mai consegnate con puntualità le proprie buste paga e i pagamenti avvenivano in tempi diversi e senza regolarità; che il sig. (...) svolgeva la propria attività lavorativa presso diversi cantieri secondo quanto indicato, di volta in volta, dalla società (...); che, nel mese di ottobre 2020, dopo alcuni mesi in cui il lavoratore era stato oggetto di trattamento parziale di integrazione salariale, la società convenuta non comunicava più al Sig. (...) dove (e come) svolgere la propria attività, senza alcuna giustificazione espressa né alcun chiarimento in merito ad una eventuale collocazione in cassa integrazione e/o cambio di cantiere; che tale situazione costringeva il lavoratore ad inviare in data 15.10.2020, per mezzo della CGIL, formale lettera di espressa offerta di prestazione lavorativa, a cui, tuttavia non seguiva riscontro alcuno; che, a seguito di ulteriore PEC inviata dal sindacato in data 08.01.2021 al datore di lavoro, solo in data 05.02.2021, venivano trasmesse a CGIL, da parte del consulente del lavoro S.C. S.r.l., le due buste paga di settembre ed ottobre 2020 da cui risultava l'intervenuta cessazione del rapporto di lavoro in data 30.09.2020, mai comunicata al lavoratore; che non era mai stata consegnata dal datore di lavoro la busta paga relativa alla mensilità di agosto 2020; che, successivamente, il lavoratore, a mezzo del proprio difensore, provvedeva a richiedere, in data 26.02.2021, a (...) S.r.l. di avere copia di tutte le buste paga emesse dalla data di assunzione ad oggi; che, in data 29.03.2021, il Sig. (...), per tramite del difensore, inviava a mezzo di posta elettronica certificata formale impugnazione di licenziamento e anche tale missiva rimaneva senza riscontro; che, dopo l'invio dell'impugnazione, veniva effettuato un tentativo di avvio di trattative stragiudiziali con la controparte tramite il consulente del lavoro, nella persona della Rag. (...) presso lo (...) S.r.l., rimasto senza esito; che, con PEC del 13.09.2021, il Sig. (...), sempre tramite il proprio difensore, inviava al datore di lavoro ed all'Ispettorato Territoriale del Lavoro di Mantova tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. e art. 31 L. n. 183 del 2010 a cui, tuttavia, non seguiva adesione nei termini di legge da parte di (...) S.r.l.; che, nel frattempo il ricorrente, in data 17.04.2021, sottoscriveva con la società (...) S.r.l.s. contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e determinato con inquadramento categoria (...) Operario, livello 2, mansione di muratore ed era quindi sua intenzione procedere giudizialmente per vedere definitivamente accertata la nullità, illegittimità, inefficacia o come meglio del licenziamento mai intimato al Sig. (...), come disposto dall'art. 2 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 in materia di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale. Parte ricorrente sosteneva la nullità del licenziamento, in quanto mai formalmente intimato ex art. 2 D.Lgs. n. 23 del 2015, considerato che, solo dopo numerosi solleciti, erano state inviate nel mese di febbraio 2021 le biste paga (con la sola eccezione di quella di agosto 2020) così comprendendo dalla lettura della voce relativa al TFR, che il rapporto di lavoro era stato concluso unilateralmente senza che allo stesso ne fosse stata data notizia; che l' l'articolo 2, comma 1, della L. n. 604 del 1966 stabilisce che il licenziamento - qualificabile tra i negozi unilaterali recettizi - deve essere comunicato al prestatore di lavoro per iscritto e le successive modifiche legislative impongono, anche, che la comunicazione del licenziamento debba contenere la specificazione dei motivi al fine di rendere edotto il lavoratore delle circostanze determinanti la cessazione del rapporto, la violazione di tale principio provocando l'illegittimità, nullità, inefficacia o come meglio del licenziamento, in quanto contrario a norme imperative di legge; che, per ciò che concerne l'onere della prova, occorreva far riferimento in via analogica alla disciplina del licenziamento orale, trattandosi di licenziamento viziato dalla carenza della forma scritta, laddove, in tema di licenziamento orale, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la prova circa la sussistenza del licenziamento orale spetti al lavoratore; che, nel caso in esame, l'elemento idoneo a ricondurre l'interruzione del rapporto di lavoro all'esclusiva volontà del datore di lavoro risiedeva nelle plurime richieste formulate del Sig. (...) di apprendere il cantiere dove svolgere la propria attività o, in alternativa, di conoscere di essere stato oggetto della misura della Cassa Integrazione, richieste, dapprima orali e poi sfociate nell'offerta formale di lavoro redatta con l'ausilio della CGIL; che, trattandosi di licenziamento inesistente, non decorreva il termine di decadenza per l'impugnativa stragiudiziale e, in ogni caso, il Sig. (...) aveva provveduto ad impugnare formalmente il licenziamento in data 29 marzo 2021 nel termine, dunque, dei 60 giorni dalla data di ricezione delle ultime buste paga (05.02.2021), quando ha avuto contezza della cessazione del rapporto di lavoro: Concludeva parte ricorrente nei termini in epigrafe indicati. All'udienza del 7.4.2022, rilevato che, nonostante la regolarità della notificazione la società non si era costituita in giudizio, ne veniva dichiarata la contumacia. La causa, istruita sulla base della documentazione versata agli atti e mediante assunzione di prove orali per testimoni e interpello del legale rappresentante della società convenuta, all'udienza del 27.6.2023, di cui si disponeva la trattazione a mezzo di note scritte, veniva trattenuta in decisione. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. L'art. 2 della L. n. 604 del 1966 dispone: "Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace". Secondo quanto previsto dall'art. 2 del D.Lgs. n. 23 del 2015 ("jobs act"), "Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perche' discriminatorio a norma dell'articolo 15 L. n. 300 del 1970 e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto.... Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. Con la pronuncia di cui al comma 1, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Il datore di lavoro è condannato, altresì per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essereeffettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione." Occorre precisare che mentre il licenziamento scritto dev'essere impugnato entro il termine decadenziale di sessanta giorni successivi al momento in cui se ne ha conoscenza, il licenziamento verbale (cui deve essere equiparato per questo profilo il licenziamento nemmeno comunicato, considerato che l'eccezione di decadenza ha come elemento costitutivo la sussistenza di un licenziamento quale atto negoziale scritto e comunicato) può essere impugnato entro il termine ordinario ex lege di prescrizione di cinque anni dal momento in cui viene irrogato. E' consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "l'azione per far valere l'inefficacia del licenziamento orale è sottratta all'onere dell'impugnazione stragiudiziale in ragione dell'assenza di un atto scritto da cui l'art. 6 della L. n. 604 del 1966, anche a seguito delle modifiche apportate dall'art. 32 della L. n. 183 del 2010, possa far decorrere il termine di decadenza per proporre impugnazione", con la conseguenza che l'azione avverso il licenziamento così intimato risulta assoggettata al solo termine prescrizionale (Cass. n. 25561/2018). Peraltro, la decadenza in parola non può essere rilevata d'ufficio, ma, attenendo ad un elemento disponibile, necessita di eccezione in senso stretto che la parte convenuta deve proporre nella memoria di costituzione (Cass. n. 523/2019) e che, nella specie, non è stata sollevata essendo il datore di lavoro rimasto contumace. Va detto, altresì, che il lavoratore subordinato che impugni un licenziamento allegando che è stato intimato senza l'osservanza della forma prescritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della sua domanda, che la risoluzione del rapporto di lavoro è ascrivibile alla volontà del datore di lavoro, anche se manifestata con comportamenti concludenti; la mera cessazione nell'esecuzione delle prestazioni non è circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova. (Cass. n. 18402/2019). Nel caso di specie, parte ricorrente ha dato prova documentale che il licenziamento era ascrivibile a esclusiva volontà del datore di lavoro, stante l'offerta formale in data 14.10.2020 della propria prestazione da parte del lavoratore (doc. n.6 di parte ricorrente), offerta reiterata con l'impugnativa del licenziamento in data 29.3.2021 (doc. n. 10 di parte ricorrente). Quanto all'istruttoria orale, è stata sentita come testimone la rag. (...) che ha lavorato come consulente del lavoro e ha avuto rapporti di natura professionale con la società convenuta. La testimone ha confermato che il ricorrente è stato dipendente della società (...) S.r.l. dal 14.11.2017 fino al 30.09.2020 e dichiarato che la fine del rapporto di lavoro con il ricorrente le era stata "... comunicata per la fine cantiere; ricordo che mi è stato consegnato un prospetto, può essere che fosse ottobre 2020; successivamente alla consegna del prospetto mi è stato detto verbalmente, non ricordo la data precisa in cui mi è stato comunicato; era circa la metà di ottobre 2020". Le circostanze in questione non sono state disattese da parte resistente: il datore di lavoro è rimasto inerte a fronte del tentativo di conciliazione e ha scelto di rimanere contumace nel giudizio; fissata udienza al 21.3.2023 per l'interrogatorio formale, il legale rappresentante non si è presentato senza addurre giustificato motivo: ragione per cui, considerati gli ulteriori elementi di prova addotti, può ritenersi confermata la circostanza della mancata comunicazione del licenziamento nelle forme prescritte. Era, peraltro, onere della convenuta dimostrare di aver comunicato per iscritto il recesso al ricorrente e, pertanto, stante la contumacia del datore di lavoro, non resta che ritenere il licenziamento impugnato inefficace/inesistente e, come tale, inidoneo ad incidere sulla continuità del rapporto di lavoro e quindi sul diritto del lavoratore alla retribuzione fino alla riammissione in servizio. Di conseguenza, la (...) s.r.l. deve essere condannata: a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato, ferma restando la facoltà del ricorrente di chiedere il pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegra (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 23 del 2015) entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia; a corrispondere allo stesso lavoratore un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dalla data del licenziamento all'effettiva riammissione in servizio, dedotto l'aliunde perceptum; al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali di legge. Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. il Tribunale di Mantova, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa , così provvede: dichiara inefficace il licenziamento impugnato e condanna la (...) s.r.l. a reintegrare (...) nel posto di lavoro e al pagamento in favore del ricorrente di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione detratto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (in misura non inferiore alle cinque mensilità), nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento sino alla reintegrazione; condanna la società convenuta alla rifusione delle spese di lite sostenute dal ricorrente che liquida in Euro 2.500,00 per onorario, oltre al 15 % di spese generali, C.P.A. e IVA come per legge. Così deciso in Mantova il 27 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Emmanuela Raciti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 1857/2018 PROMOSSA DA (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dagli avv.ti Bo.Da. e Bo.An., giusta procura in atti; ATTORE CONTRO (...) S.P.A. (P.IVA: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Re.Fr., giusta procura in atti; (...) (C.F.: (...)), contumace; CONVENUTI CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato in data 16 maggio 2018 (...) ha chiamato in giudizio i convenuti (...) e (...) s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza del sinistro avvenuto il giorno 4 gennaio 2016 presso il cortile della propria abitazione sita in (...), in via (...) 5C. In particolare, a fondamento della domanda il ricorrente ha esposto che in tale data, alle ore 14,00 circa, mentre si trovava su una scala nel cortile della propria abitazione ed era intento a tagliare i rami di alcune piante, era stato urtato dall'autovettura guidata dalla convenuta (...), la quale - nel compiere la manovra di retromarcia per uscire dal cortile - non si era avveduta della sua presenza. Il ricorrente ha poi allegato che, a seguito della collisione tra l'autovettura e la scala, era caduto a terra, riportando una "frattura pluriframmentaria del calcagno dx", come da certificato medico prodotto in atti. Muovendo da tale ricostruzione dei fatti il ricorrente ha chiesto che fosse accertata la responsabilità esclusiva della convenuta (...) nella causazione del sinistro, e la condanna della stessa e della compagnia assicuratrice (...) s.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto in conseguenza dell'evento, e quantificato nella somma complessiva pari a 61.616,03 (di cui 2.922,30 Euro per spese mediche e 58.693,73 a titolo di danno non patrimoniale). Con memoria difensiva depositata in data 11 giugno 2018 si è costituita in giudizio la compagnia assicuratrice (...) s.p.a., chiedendo in via preliminare il mutamento del rito, da sommario di cognizione a rito ordinario. Quanto al merito, la compagnia assicuratrice (...) s.p.a. ha, in primo luogo, eccepito l'inammissibilità dell'azione diretta proposta dall'attrice nei propri confronti, ritenendo che tale strumento trovi applicazione soltanto con riferimento ai sinistri verificatasi in area pubblica o ad uso pubblico; in secondo luogo, ha contestato la dinamica del sinistro come descritta nel c.d. modulo di contestazione amichevole di incidente (CAI), replicando che - a proprio avviso - il sinistro sarebbe stato causato da una caduta autonoma dell'attore dalla scala sulla quale si trovava. Sulla scorta di tali eccezioni e difese la compagnia assicuratrice ha, quindi, chiesto in via pregiudiziale la dichiarazione di inammissibilità della domanda attorea ai sensi degli artt. 122 e 144 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (c.d. Codice delle Assicurazioni Private), e nel merito il rigetto. La convenuta (...) non si è costituita in giudizio, e all'udienza del 26 giugno 2018 ne è stata dichiarata la contumacia. Con ordinanza resa alla predetta udienza è stato disposto il mutamento del rito, dal procedimento sommario al procedimento ordinario di cognizione; successivamente, concessi i termini per il deposito di memorie istruttorie ex art. 183 comma VI c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'acquisizione di documenti e l'assunzione delle prove orali. Esaurita l'attività istruttoria, all'udienza del 15 novembre 2022 le parti costituite hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe avanti a questo Giudice (assegnatario del procedimento dal 3 maggio 2019), e la causa è stata, quindi, posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Ciò posto, va anzitutto esaminata l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla compagnia assicuratrice rispetto all'azione diretta per il risarcimento del danno proposta nei propri confronti, trattandosi di questione preliminare rispetto al merito. In particolare, sul punto va osservato che sino al 2021 la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto in modo fermo che l'azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile era ammissibile soltanto se il sinistro era avvenuto in un'area pubblica o in un'area privata ad essa equiparata, in quanto aperta alla circolazione di un numero indeterminato di persone diverse dai titolari di diritti su di essa (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 17017 del 28 giugno 2018; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 8090 del 3 aprile 2013; Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 1561 del 13 febbraio 1998). Tuttavia, in ordine a tale questione si è recentemente registrato un mutamento di orientamento giurisprudenziale. Invero, a seguito di numerose sentenze pronunciate negli ultimi anni dalla Corte Giustizia dell'Unione Europea (cfr. Corte di Giustizia del 4 settembre 2014 in causa C-162/2013; Corte Giustizia, Grande Sezione, del 28 novembre 2017 in causa C-514/2016; Corte Giustizia del 20 dicembre 2017 in causa C-334/2016; Corte Giustizia, Grande Sezione, del 4 settembre 2018 in causa C-80/2017; Corte Giustizia del 20 giugno 2019 in causa C-100/2018), che hanno valorizzato la matrice "funzionale" dell'obbligo assicurativo di r.c.a., sono da ultimo intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 21983 emessa in data 30 luglio 2021 hanno operato una rivisitazione ermeneutica dell'art. 122 del Codice delle Assicurazioni Private, affermando che - ai fini dell'operatività della garanzia per R.C.A. - la succitata disposizione va interpretata conformemente al diritto dell'Unione europea e alla giurisprudenza eurounitaria, nel senso che per circolazione su aree equiparate alle strade va intesa quella effettuata su ogni spazio ove il veicolo possa essere utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale. Alla luce di tale revirement giurisprudenziale, che ha ancorato l'obbligo assicurativo previsto dall'art. 122 del Codice delle Assicurazioni Private alla categoria concettuale di "utilizzo del veicolo in modo conforme alla funzione abituale dello stesso" (a prescindere dal luogo di transito), deve dunque ritenersi esperibile l'azione diretta contro l'assicuratore del veicolo responsabile anche nel caso di sinistro avvenuto in area privata. Applicando tali principi di diritto alla fattispecie concreta in esame deve, quindi, concludersi che l'azione diretta per il risarcimento del danno promossa dall'attore verso la compagnia assicuratrice sia ammissibile. Ed infatti, nel caso di specie è pacifico che al momento del sinistro - verificatosi nel cortile dell'abitazione dell'attore (e, dunque, in area privata aperta alla sola circolazione dei soggetti titolari dei diritti su di essa) - il veicolo danneggiato fosse utilizzato nella sua funzione abituale di mezzo di trasporto, tanto che la convenuta era intenta a compiere una manovra in retromarcia al fine di immettersi nella strada pubblica. Pertanto, in applicazione dell'orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla succitata sentenza delle Sezioni Unite n. 21983/2021, va quindi respinta l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla compagnia assicuratrice. Quanto al merito, va anzitutto confermato il provvedimento di rigetto della richiesta di ammissione della consulenza tecnica d'ufficio formulata dall'attore, stante la superfluità di tale mezzo istruttorio ai fini decisori. Invero, all'esito dell'attività istruttoria espletata nel corso del giudizio non risulta provata la dinamica del sinistro come descritta nel ricorso introduttivo. In primo luogo deve rilevarsi che la convenuta (...) ha redatto e sottoscritto il modulo di constatazione amichevole di sinistro, recante una descrizione sintetica del sinistro. A questo proposito va però osservato, quanto al valore probatorio da riconoscere alla constatazione amichevole di sinistro, già prevista dall'art. 5 del D.Lgs. 23 dicembre 1976, n. 857 (modificato dalla L. n. 39 del 1977) e ribadita dall'art. 143 comma 2 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle assicurazioni private), che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione - con la sentenza n. 10311 del 5 maggio 2006 - hanno chiarito in particolare che: "Nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell'assicuratore della responsabilità civile da circolazione stradale, il responsabile del danno, che deve essere chiamato nel giudizio sin dall'inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, poiché la controversia deve svolgersi in maniera unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale (danneggiato, assicuratore e responsabile del danno) e coinvolge inscindibilmente sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell'assicurato, sia il rapporto assicurativo, con la derivante necessità che il giudizio deve concludersi con una decisione uniforme per tutti i soggetti che vi partecipano. Pertanto, avuto riguardo alle dichiarazioni confessorie rese dal responsabile del danno, deve escludersi che, nel giudizio instaurato ai sensi dell'art. 18 della L. n. 990 del 1969, sia nel caso in cui sia stata proposta soltanto l'azione diretta che nell'ipotesi in cui sia stata avanzata anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile del danno, si possa pervenire ad un differenziato giudizio di responsabilità in base alle suddette dichiarazioni, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall'altro. Conseguentemente, va ritenuto che la dichiarazione confessoria, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro (cosiddetto C.I.D.), resa dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e - come detto - litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all'art. 2733, terzo comma, cod. civ., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l'appunto, liberamente apprezzata dal giudice" (negli stessi termini, cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 3567 del 13 febbraio 2013; Cassazione civile, sez. III, ordinanza n. 25770 del 14 ottobre 2019). Per tali ragioni, in virtù del disposto di cui all'art. 2733 comma 3 c.c., deve ritenersi che tanto la confessione stragiudiziale contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro sottoscritto dalla convenuta, quanto la confessione giudiziale dalla stessa resa in sede di interrogatorio formale all'udienza del 2 ottobre 2019 hanno efficacia di prova liberamente valutabile dal giudice. A ciò deve poi aggiungersi che la ricostruzione dei fatti resa dalla convenuta sia nella constatazione amichevole del sinistro che in sede di interrogatorio formale non trova ulteriori riscontri probatori, atteso che l'unico testimone presente sul luogo del sinistro - (...), ex convivente dell'attore - ha riportato tre diverse versioni dell'accadimento. In particolare, nel modulo di dichiarazioni spontanee compilato in data 15 febbraio 2016 la testimone (...) ha riferito quanto segue: "Dopo esserci salutati (...) è salita in macchina, ma la mia bambina ha insistito per andare a darle un bacio, quindi ci siamo avvicinate al finestrino sul lato di guida. Dopo qualche minuto mi sono avviata verso la mia auto per prendere il telecomando del cancello, quando mi sono girata per aprire il cancello ho sentito (...) urlare chiamandomi. Mi sono avvicinata e lì ho visto (...) a terra". Invece, nella successiva dichiarazione sottoscritta in data 7 luglio 2016 la testimone ha riportato la seguente esposizione dei fatti: "Il giorno 4 gennaio 2016 mentre premevo il pulsante del cancello ho visto (...) in retromarcia far cadere (...) dalla scala e urlare il mio nome. Appena mi sono avvicinata alla macchina, ho visto (...) a terra dolorante. Io e (...) abbiamo portato (...) in casa e fatto appoggiare sul divano". E' evidente, dunque, la discrepanza tra le due dichiarazioni, posto che nella prima la testimone ha riferito di aver sentito le urla della convenuta e di aver visto l'attore a terra solo dopo essersi avvicinata alla macchina, mentre nella seconda ha dichiarato di aver visto l'intera dinamica del sinistro, compresa la caduta del Righetti. Ed ancora, in sede di prova testimoniale la (...) - rispondendo al capitolo di prova n. 3 della seconda memoria istruttoria di parte attrice, capitolo avente ad oggetto la dinamica del sinistro - ha dichiarato quanto segue: "Preciso che non ho visto personalmente la signora (...) urtare le scale in retromarcia. In quel momento ero in casa con i bambini. Ho visto Righetti sulle scale mentre accompagnavo la mia amica (...) alla porta di casa. La mia amica è andata via e io sono rientrata in casa. (...) istanti dopo Righetti era terra, era caduto dalla scala. Non ho visto il momento descritto nel capitolo." Anche tale dichiarazione si pone inequivocabilmente in contrasto con le altre precedenti, in particolare sotto due rilevanti profili: infatti, in primo luogo, diversamente dalle due dichiarazioni scritte, in sede di deposizione testimoniale la (...) ha riferito che al momento del sinistro non si trovava nel cortile dell'abitazione, ma era in casa con i bambini; inoltre, in senso contrario rispetto a quanto riportato nella dichiarazione sottoscritta in data 7 luglio 2016, la testimone all'udienza dell'1 luglio 2021 ha affermato di non aver assistito al sinistro e di non aver visto, pertanto, la caduta. In conclusione, a fronte della palese contraddittorietà intrinseca delle dichiarazioni provenienti dall'unica persona indicata come testimone del sinistro e della mancanza di ulteriori riscontri probatori delle confessioni rese dalla convenuta, non può ritenersi raggiunta la prova del fatto dannoso come allegato dall'attore. Di conseguenza, per i motivi che precedono la domanda attorea non risulta fondata, e va pertanto rigettata. Ogni altra questione di rito, di merito o istruttoria risulta assorbita. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate secondi parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014, aggiornati in base al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, assumendo come parametro il valore della controversia ai sensi dell'art. 5 comma 1 del cit. D.M. n. 55 del 2014 ed applicando - in ragione della natura delle questioni giuridiche trattate e della complessiva attività difensiva in concreto svolta - i valori medi per tutte le fasi espletate (fase di studio della controversa, fase introduttiva del giudizio, fase istruttoria e fase decisionale). Invece, con riguardo alla convenuta (...), stante la contumacia di quest'ultima, le stesse vanno dichiarate irripetibili. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) rigetta, per le causali di cui in motivazione, la domanda attorea; 2) condanna (...) a rimborsare alla convenuta (...) S.P.A. le spese di lite, che si liquidano in 14.103,00 Euro per compensi al difensore, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 3) dichiara irripetibili le spese di lite rispetto a (...). Così deciso in Mantova il 5 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Emmanuela Raciti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. r.g. 2758/2018 PROMOSSA DA (...) (C.F.: (...)) e (...) (C.F.: (...)), rappresentati e difesi dagli avv.ti (...), giusta procura in atti; ATTORI CONTRO (...) (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...), giusta procura in atti; CONVENUTA CONCLUSIONI Per parte attrice: "L'avv. (...) precisa le conclusioni come da atto di citazione." Per parte convenuta: "L'avv. (...) precisa le conclusioni come da comparsa di costituzione e risposta." Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 10/11 luglio 2018 (...) e (...) hanno chiamato in giudizio (...), al fine di ottenere l'accertamento giudiziale dell'esistenza del diritto di servitù - avente contenuto di passaggio, pedonale e carraio, da e per la via (...) - a favore del fondo di loro proprietà, identificato al catasto del Comune di Suzzara al foglio (...) mappale (...) sub. i e al foglio (...) mappale (...) sub. 2 (e comprensivo dei mappali 92 sub. 1 e 164 sub. 2), ed a carico del fondo di proprietà della convenuta, catastalmente identificato al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e 303, con contestuale richiesta di rimessione delle cose in pristino; inoltre, in via subordinata, hanno chiesto la costituzione, anche in via coattiva, del predetto diritto di servitù di passaggio, in ragione dello stato di interclusione del fondo. A fondamento della domanda gli attori hanno allegato: (i) di essere comproprietari, per la quota della metà indivisa ciascuno, dei beni immobili siti in Suzzara, località Riva di Suzzara, come sopra identificati, ad essi pervenuti a seguito di compravendita stipulata in data 22 dicembre 1983; (ii) che la convenuta (...) è proprietaria, in conseguenza di atto di compravendita del 12 maggio 1998 e successiva divisione giudiziale del 21 aprile 2010, dei beni immobili sopraindicati; (iii) che l'attuale assetto di proprietà è il risultato di un frazionamento e successivi atti di trasferimento di un'unica proprietà immobiliare appartenuta all'originaria parte venditrice (tale Signora (...)), che con gli atti notarili di compravendita del 22 marzo 1955 e del 14 ottobre 1956 aveva posto i due fondi risultanti dal frazionamento in una situazione di subordinazione idonea ad integrare il contenuto della servitù oggetto del presente giudizio. Tanto premesso gli attori hanno poi esposto che la predetta servitù di passaggio, pedonale e carraio, era stata esercitata pacificamente e continuativamente sino all'anno 2001, allorquando la convenuta aveva chiuso con lucchetto il cancello di accesso e svuoto da e per la via (...), trattenendo le chiavi, ed aveva inoltre edificato opere permanenti, consistenti in un muretto con recinzione, precludendo così l'utilizzo dell'area cortiva e l'accesso al loro fondo. Con comparsa di risposta depositata in data 20 novembre 2018 si è costituita in giudizio la convenuta, la quale ha preliminarmente dato atto di essere divenuta proprietaria del fondo confinante con quello degli attori a seguito della stipula dell'atto di compravendita del 12 maggio 1998 (per la quota del 50%) e per la restante quota del 50% per effetto dell'apertura della successione ereditaria del marito, ed ha precisato che dal momento dell'acquisto dei beni immobili alcuna persona aveva transitato o chiesto di transitare per la corte, motivo per cui dopo la morte del marito, al fine di sentirsi più tutelata nella sua proprietà, aveva fatto erigere nell'area una recinzione. Ed ancora, in ordine allo stato di interclusione del fondo di proprietà della controparte, la convenuta ha allegato che già dal 1982 (periodo in cui erano stati svolti lavori di installazione dei servizi igienici nell'immobile di proprietà (...) e contestuale allaccio alla rete dell'acquedotto) l'accesso da e per la via pubblica veniva effettuato esclusivamente tramite i mappali 93 e 179 di proprietà degli attori, e soltanto successivamente tale sbocco era stato chiuso, mediante la formazione di una zona barbecue con rete ombreggiante. All'esito di tale ricostruzione dei fatti la convenuta ha, quindi, chiesto il rigetto delle domande attoree, con conseguente accertamento dell'inesistenza del diritto di servitù carraio invocato dagli attori, ed inoltre ha formulato domanda riconvenzionale di accertamento e dichiarazione dell'intervenuta estinzione del diritto di servitù pedonale per mancato utilizzo ultraventennale. Concessi i termini per il deposito di memorie istruttorie ex art. 183 comma VI c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'acquisizione di documenti e l'assunzione delle prova orali. Esaurita la fase istruttoria, all'udienza dell'8 novembre 2022 le parti hanno precisato le conclusioni come riportate in epigrafe avanti a questo Giudice e la causa è stata, quindi, posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Preliminarmente deve darsi atto che il procuratore di parte attrice, in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, ha comunicato che l'attore (...) è deceduto nel corso del giudizio. Sul punto va rilevato che - secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità e di merito, al quale questo Giudice ritiene di aderire - la dichiarazione del difensore prevista dall'art. 300 c.p.c. ha carattere negoziale, in quanto si tratta di una dichiarazione di volontà e non di scienza (Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 6062 del 30 maggio 1995), e presuppone dunque che il procuratore della parta colpita dall'evento esprima la volontà che il giudizio sia interrotto (cfr. Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 4668 del 18 luglio 1981, Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 2837 del 23 marzo 1987); di conseguenza, l'interruzione non si verifica se l'evento sia esposto dal procuratore per fini diversi da quello interruttivo (cfr. Cassazione civile, sez. II, sentenza n. 10210 del 19 maggio 2015) o quando la dichiarazione sia resa per uno scopo meramente informativo (Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 15131 del 23 novembre 2000; Corte d'Appello Roma, sez. I, sentenza del 26 gennaio 2009), senza che il procuratore si sia contestualmente astenuto dallo svolgimento di qualsiasi altra attività difensiva. Nel caso di specie non vi è dubbio che il procuratore di parte attrice si è limitato a dare notizia dell'evento verificatosi, e ciò a mero scopo informativo e non al precipuo fine di conseguire l'interruzione del processo, tanto che ha poi proseguito lo svolgimento dell'attività difensiva, rassegnando le conclusioni inerenti al merito del giudizio. Conseguentemente deve ritenersi che la posizione giuridica dell'attore (...) resti stabilizzata nel presente giudizio, quale persona ancora esistente e capace, nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione. Quanto al merito, deve anzitutto osservarsi che, sebbene la domanda attorea sia stata formalmente introdotta come actio negatoria servitutis, ai sensi dell'art. 949 c.c., in realtà detta azione - in quanto volta all'accertamento della titolarità, in favore degli attori, della servitù di passaggio a favore del loro fondo ed a carico di quello della convenuta, ed alla conseguente rimessione delle cose in pristino - deve riqualificarsi come actio confessoria servitutis ex art. 1079 c.c.. Ciò posto, come già detto parte attrice ha dedotto, quale fonte costitutiva del preteso diritto di servitù di passaggio, gli atti pubblici di compravendita del 22 marzo 1955 e del 14 ottobre 1956, con cui l'originaria proprietaria dell'intero compendio immobiliare aveva venduto a terzi il fondo attualmente intestato alla convenuta (...); in subordine, stante l'interclusione del proprio fondo, ha chiesto che fosse comunque disposta la costituzione della detta servitù in maniera coattiva. Dall'altro lato la convenuta ha eccepito l'inesistenza del diritto di servitù di passaggio carraio e l'estinzione, per mancato utilizzo ultraventennale, della servitù di passaggio pedonale. Orbene, al fine di accertare l'esistenza e contenuto della summenzionata servitù di passaggio occorre muovere l'esame dall'atto notarile del 22 marzo 1955, n. rep. 3609/n. fasc. 623 (doc. 7 allegato all'atto di citazione), con cui l'originaria proprietaria dell'intero compendio immobiliare (tale Signora (...)) aveva venduto l'area di cui al mappale 59/b (ora catastalmente identificata al foglio (...) mappale (...)), così procedendo alla divisione dei due fondi. In particolare, alla clausola n. 5 della parte dedicata a "diritti e servitù'' del predetto atto notarile si legge quanto segue: "L'area antistante la casa compravenduta (mappale (...)/b) resta di uso e godimento comune con la parte venditrice e la compratrice avrà solo facoltà di occupare, in detta area, con costruzioni precarie l'angolo di nordovest per un ampiezza massima di metri 2 - due - dalla rete e metri 4 - quattro - dalla casa"; inoltre, la clausola n. 6 statuiva l'obbligo a carico della parte acquirente di provvedere alla manutenzione del portone di accesso all'area in uso comune e dei relativi pilastri. Parimenti, il contratto di compravendita del 14 ottobre 1956 (cfr. doc. 8 allegato all'atto di citazione) con cui l'originaria proprietaria (...) aveva trasferito all'acquirente (...) la proprietà della porzione di casa posta a sud-est, di cui al foglio (...) mappale (...)/a e (...)/3 (corrispondente all'area attualmente identificata al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e sub. 303, di proprietà della convenuta (...)), prevedeva che la parte acquirente potesse usare "la corte della venditrice limitatamente alla fronte della propria casa qui acquistata, senza dar luogo ad occupazione permanente e senza pregiudicare il libero e comodo passaggio di tutti gli aventi diritto". Infine, con successivo atto di permuta del 6 luglio 1971 (atto notarile n. rep. 15681/n. 3090 fasc.) l'originaria proprietaria (...) aveva ceduto in permuta alla suindicata (...) il piccolo locale rustico con annessa area cortiva, identificato catastalmente al foglio (...) mapp. nn. (...)/a e (...)/d, con accesso alla strada comunale attraverso la corte comune di cui ai mappali 59/b e 59/e. Orbene, alla luce del tenore dell'atto notarile del 22 marzo 1955, n. rep. 3609/n. fasc. 623, e dell'atto notarile del 14 ottobre 1956 (n. rep. 5712/n. fasc. 1037) risulta provata l'esistenza di una servitù di passaggio a carico del fondo di proprietà della convenuta e a favore di quello di proprietà degli attori. In ordine al contenuto di detta servitù occorre rilevare che i predetti titoli non specificano l'estensione e le modalità di esercizio della stessa; pertanto - a fronte dell'impossibilità di stabilire, mediante i generali criteri di interpretazione del contratto previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., l'esatto contenuto della servitù di passaggio - deve farsi applicazione della regola sancita dall'art. 1065 c.c., secondo cui "nel dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente", senza che al riguardo possa assumere rilevanza l'esercizio concreto della stessa, cioè il suo possesso, come invece avviene per le servitù acquistate per usucapione (cfr. Cassazione civile, sez. II, sentenza n. 4222 del 23 febbraio 2007). Conseguentemente, considerato che all'epoca dei suddetti rogiti notarili la parte venditrice era proprietaria di altre porzioni dell'originario compendio immobiliare unitario (condizione che, pertanto, conduce ad escludere lo stato di interclusione dei fondi) e tenuto conto che il fondo di proprietà degli attori ospita esclusivamente una porzione di fabbricato costituita da abitazione, cantina e cortile (stato dei luoghi che non è indefettibilmente collegato all'esercizio di un passaggio mediante veicoli), deve quindi concludersi che la servitù costituita in virtù dei suddetti titoli negoziali è una servitù di passaggio pedonale. Né può accogliersi la domanda attorea di costituzione coattiva della servitù di passaggio, atteso che l'accesso alla via pubblica è tuttora possibile tramite le aree di cui ai mappali (...) e (...), di cui gli attori - come dagli stessi allegato nella prima memoria istruttoria - sono proprietari (quanto alla prima) o comproprietari (quanto alla seconda): peraltro, tale circostanza trova conferma nella deposizione resa dallo stesso testimone di parte attrice, (...), all'udienza del 4 novembre 2020, nella quale ha dichiarato che, a quella data, per accedere all'abitazione di proprietà attorea stava utilizzando un piccolo cancellino pedonale installato sul fondo di cui al mappale (...). Infine, con riguardo alla perdurante esistenza o meno di detta servitù di passaggio va, anzitutto, evidenziato che la convenuta ha dedotto a fondamento dell'intervenuta estinzione di tale diritto reale che dal momento dell'acquisto dell'immobile (avvenuto nel 1998) nessuno era mai transitato nella corte di sua proprietà e che dal 1982 e fino a pochi anni fa l'accesso dalla via pubblica all'immobile di proprietà degli attori era effettuato esclusivamente tramite i mappali 93 e 179, che al tempo erano privi di qualsiasi recinzione. Ebbene, entrambe le circostanze non risultano neppure in astratto idonee a provare l'estinzione del diritto di servitù di passaggio, in quanto fanno riferimento ad un periodo di tempo inferiore al ventennio. In ogni caso, per completezza, appare opportuno rilevare che dalle deposizioni rese dai testimoni emerge che le aree di cui ai mappali (...) (di cui gli attori sono, rispettivamente, proprietari e comproprietari) e quella di cui al mappale (...) (oggetto del presente giudizio) fino al 2001 non presentavano alcuna recinzione o barriera divisoria, salva la presenza di alcune fioriere che comunque non ostacolavano il passaggio a piedi dall'uno all'altro fondo, ed inoltre l'area cortiva di proprietà della convenuta era di fatto utilizzata in forma pedonale da diverse persone. A questo proposito si osserva che il testimone (...), precedente conduttore dell'immobile di cui è attualmente proprietaria la convenuta, ha dichiarato che, durante il periodo in cui aveva vissuto in detta abitazione, il passaggio sulla corte - comprendente al tempo, stante l'assenza di recinzioni, sia l'area di cui al mappale (...) che quella di cui ai mappali (...) - era libero a tutti gli inquilini delle abitazioni prospicienti sulla corte, ed utilizzato dagli stessi sia per il transito pedonale che carraio. Ed ancora, in modo più dettagliato, il testimone (...) - inquilino dell'abitazione di proprietà degli attori - ha riferito che prima del 2001 era solito accedere dal cancello carraio prospiciente la via (...), per poi parcheggiare sull'area di cui ai mappali nn. (...), e del pari aveva visto anche il precedente conduttore dell'unità immobiliare, da cui era stato ospitato per un periodo, percorrere lo stesso tragitto. Va poi evidenziato che la rilevanza probatoria delle predette deposizioni non può ritenersi scalfita dalle dichiarazioni rese dal testimone (...), il quale - come dallo stesso riferito - può avere contezza delle modalità di utilizzo di tale passaggio soltanto in relazione agli anni in cui aveva svolto lavori di ristrutturazione per l'immobile di cui sono attualmente proprietari gli attori (e, dunque, per gli anni 1983, 1984, e 1985 circa). Peraltro, con riferimento a tale periodo il testimone ha dichiarato che l'impresa esecutrice dei lavori aveva utilizzato esclusivamente la spazio insistente sui mappali nn. 179 e 93, da cui entravano tutti i mezzi e le attrezzature, ma aveva comunque notato ogni tanto delle persone passare a piedi anche dall'area cortiva di cui al mappale n. 95: tale circostanza comprova, quindi, che il predetto passaggio, fino alla chiusura dell'accesso, fosse aperto ai proprietari delle abitazioni prospicienti e praticato dagli stessi. Esclusa quindi l'esistenza di una situazione idonea a determinare l'estinzione del diritto per mancato utilizzo ultraventennale, deve in ultimo rilevarsi che risulta incontestato - oltre che ammesso dalla stessa convenuta in sede di interrogatorio formale - che nel 2001 quest'ultima abbia commissionato la costruzione di un muretto di recinzione sulla corte e di un cancello, del quale non ha fornito agli attori le chiavi, così precludendo loro il libero accesso e passaggio pedonale tramite l'area di cui al mappale n. (...). In conclusione, alla luce dei principi di diritto e degli elementi di fatto acquisiti, va accertato e dichiarato il diritto di (...) e (...), nella loro qualità di proprietari del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del suddetto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 1 e foglio (...) mappale (...) sub. 2, di passare, a piedi, attraverso l'area cortiva del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del medesimo Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, con conseguente condanna della convenuta (...) (nella qualità di proprietaria di questi ultimi cespiti) a rimuovere immediatamente ogni ostacolo diretto ad impedire agli attori l'esercizio della predetta servitù, nonché a rendere effettivo il godimento della stessa secondo le prescrizioni dettate nel titolo costitutivo. In considerazione del contenuto del provvedimento di condanna, sussistono i presupposti per l'applicabilità del meccanismo della c.d. coercizione indiretta previsto dall'art. 614 bis c.p.c.. Ai fini della quantificazione della somma appare opportuno assumere come parametro di riferimento il valore della causa, il danno subendo dagli attori e l'entità della violazione posta in essere, con la conseguenza che si ritiene equo individuare la somma di denaro dovuta dall'obbligato in 50,00 euro per ogni giorno di ritardo, da computarsi dal 90° giorno successivo alla pubblicazione della sentenza. A fronte dell'accoglimento parziale della domanda attorea le spese di lite vanno compensate per metà e per la restante parte vanno poste a carico della convenuta (...) e liquidate secondi i parametri indicati dal D.M. 55/2014 (aggiornati in base al D.M. n. 147 del 13 agosto 2022), come in dispositivo, assumendo come parametri di riferimento - in ragione della natura delle questioni giuridiche trattate e dell'attività difensiva in concreto svolta - quelli medi previsti per le cause di valore compreso tra 52.001,00 euro e 260.000,00 euro). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) accoglie parzialmente, per le causali di cui in motivazione, la domanda principale, e per l'effetto accerta e dichiara che il fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. di detto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, attualmente di proprietà di (...), è gravato da servitù di passaggio pedonale - da e per la via (...) - in favore del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. del medesimo Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 1 e foglio (...) mappale (...) sub. 2, attualmente di proprietà di (...) e (...); 2) condanna (...), nella qualità di proprietaria del fondo sito in Suzzara, identificato al N.C.E.U. di detto Comune al foglio (...) mappale (...) sub. 302 e foglio (...) mappale (...) sub. 303, a rimuovere immediatamente ogni ostacolo diretto ad impedire agli attori l'esercizio della predetta servitù, nonché a rendere effettivo il godimento della stessa secondo le prescrizioni dettate nel titolo costitutivo; 3) visto l'art. 614 bis c.p.c., fissa in 50,00 euro al giorno la somma di denaro che sarà dovuta dalla convenuta per ogni violazione e inosservanza nell'esecuzione della condanna di cui sopra, da computarsi con decorrenza dal 90° giorno successivo alla pubblicazione della presente sentenza; 4) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta; 5) compensa tra le parti le spese di lite per la metà e condanna (...) al pagamento in favore degli attori (...) e (...) della restante parte delle spese, che si liquidano in 3.808,00 euro per compensi al difensore, 272,50 euro per spese vive, oltre rimborso spese generali, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Mantova, 29 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di MANTOVA Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2706/2019 promossa da: (...) rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ga., e con domicilio eletto presso il suo studio in Foggia, Viale (...); ATTRICE contro (...) titolare dell'impresa individuale "M. di (...)" rappresentata e difesa dagli avv. Cr.Ac. e Al.Ac., e con domicilio eletto presso il loro studio in Mantova, Via (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in "opposizione a precetto e in opposizione agli atti esecutivi ex artt. 615 e 617 c.p.c. con istanza di sospensione" in data 1/8/19, (...), ragioniere commercialista, ha evocato in giudizio (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", con sede in (...), esponendo: 1) che in data 8/7/19 l'impresa individuale (...), in persona della titolare (...), aveva richiesto la notifica, a mezzo posta, della sentenza n. 272/2019 di questo Tribunale e pedissequo atto di precetto col quale aveva intimato la consegna di scritture contabili e documentazione fiscale, nonché il pagamento della somma complessiva di Euro 8.159,89, e che la notifica si era perfezionata per compiuta giacenza in data 20/7/19; 2) che, con la citata sentenza n. 272/2019 del 8/4/19 (dep. il 9/4/19), questo Tribunale avrebbe confermato il decreto ingiuntivo n. 500/2015 emesso in data 21-29/3/15 ad istanza della impresa individuale (...) di (...), e avrebbe condannato l'opponente "a consegnare alla ditta (...) ( . . . ) i documenti/scritture contabili tutti in originale afferenti alla ditta medesima e specificatamente: registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva, dichiarazione Iva relativa all'anno 2013, modelli intracee 2014; modello Unico completo Redditi 2013, libro cespiti ammortizzabili"; 2) "alla refusione delle spese di lite in favore di (...) che liquida nella misura complessiva di Euro 5.871,00 oltre il 15% delle spese generali Iva e Cpa come per legge"; 3) che nessun atto di pignoramento presso terzi era stato notificato all'opponente né alcun pignoramento mobiliare o immobiliare era stato effettuato o trascritto. L'opponente ha dedotto i seguenti motivi di opposizione: 1) Nullità del precetto per l'indeterminatezza della descrizione dei beni oggetto di consegna; 2) Sussistenza di controcredito da opporre in compensazione pari a Euro 8788,03; 3) Sussistenza dei gravi motivi richiesti dall'art. 615 c.p.c. per provvedere alla sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo. Ciò premesso (...) ha chiesto l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "contrariis reiectis 1. In via preliminare Disporsi ai sensi dell'art. 615 e/o 624 c.p.c. l'immediata sospensione, inaudita altera parte, dell'efficacia esecutiva della sentenza del Tribunale di Mantova, n. 272/2019 del 8/4/2019 pubblicata in data 9.04.2019, notificata unitamente all'atto diprecetto del 5.07.2019 sussistendone i gravi motivi previsti dall'art. 615 c.p.c. ovvero, previa fissazione di udienza di comparizione delle parti, disporsi ugualmente la sospensione dell'efficacia esecutiva e/o dell'esecuzione della citata sentenza. 2. Nel merito 2.1 Accertarsi e dichiararsi la nullità dell'atto di precetto datato 5.07.2019, stante la indeterminatezza della descrizione dei beni da consegnare e la sua difformità rispetto alla condanna alla consegna contenuta nella sentenza n. 272/2019 del 9.04.2019. 2.2. Accertarsi e dichiararsi l'intervenuta compensazione del credito della ditta (...) portato dal precetto 5.07.2019 con il maggior controcredito dell'odierna attrice di complessivi Euro 8.788,03 di cui (i) Euro 4028,00 oltre 15% per spese generali, iva e Cpa come per legge e quindi per complessivi Euro 5.877,34 a titolo di spese legali liquidate con sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019 e (ii) Euro 2.910,69 dovuta a titolo di interessi moratori maturati sulla somma di Euro 17.800,00 oltre accessori di legge, al netto di quanto versato a tale titolo, conseguentemente accertarsi e dichiararsi l'insussistenza del diritto della ditta (...) di procedere ad esecuzione forzata per l'importo oggetto di compensazione. 3. In ogni caso Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio, oltre ad accessori tutti di legge. 4. In via istruttoria Con espressa riserva di ogni ulteriore domanda, eccezione e conclusione, nonché di ogni consentita deduzione sia di merito che istruttoria, anche in relazione al comportamento processuale della controparte ed alle prove da quest'ultima eventualmente offerte.". Si è ritualmente costituita la convenuta contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, In via preliminare/pregiudiziale: - Accertarsi e dichiararsi la nullità assoluta ed insanabile della notificazione dell'atto di citazione in opposizione a precetto per invalidità e/o nullità della notifica PEC eseguita presso un diverso indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario non estratto dal pubblico elenco ReGIndE; - Rigettare e/o respingere la richiesta di sospensione dell'efficacia esecutiva e/o dell'esecuzione del titolo, in quanto priva dei presupposti/requisiti di legge per i motivi dedotti in narrativa. In via principale: - rigettare e/o respingere l'opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. e comunque le domande formulate dalla rag. (...) nei confronti della ditta (...) di (...), siccome inammissibili e comunque infondate in fatto e in diritto per i motivi dedotti in narrativa e, per l'effetto, dichiarare/confermare/accertare sussistente il diritto della impresa individuale "(...)" ad agire/procedere in via esecutiva in forza del titolo e dell'atto di precetto intimato; -rigettare ogni diversa avversaria domanda perché inammissibile e/o infondata in fatto e in diritto per le ragioni espresse in narrativa e, per l'effetto, dichiarare/confermare/accertare sussistente il diritto della impresa individuale "(...)" ad agire/procedere in via esecutiva in forza del titolo e dell'atto di precetto intimato; In ogni caso: con vittoria di spese, anche generali (15,00%), diritti ed onorari e competenze del presente giudizio, oltre CPA e IVA se dovuta, come per legge. In via istruttoria: -ammettere prova testimoniale e interrogatorio formale sulle circostanze esposte in narrativa, e che nei successivi scritti difensivi si capitoleranno, con riserva di indicare i testi; -si chiede altresì che i testi che verranno indicati siano sentiti anche a prova contraria sui capitoli di prova che verranno formulati da controparte nella denegata ipotesi fossero ammessi dall'Ill.mo Giudice adito.". Con ordinanza in data 27/2/20 è stata rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo richiesta dall'opponente. Esperito infruttuosamente tentativo di conciliazione e senza espletamento di attività istruttoria, la causa è stata, una prima volta, trattenuta in decisione all'udienza del 7/12/21. Con ordinanza in data 18/6/22 la causa è stata rimessa sul ruolo essendosi rilevato il difetto di valida costituzione in giudizio del nuovo difensore dell'opponente. La causa è stata da ultimo trattenuta in decisione all'udienza del 18/10/22 sulle conclusioni delle parti come sopra riportate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Va anzitutto osservato che la difesa dell'opponente non ha precisato le conclusioni nel rispetto di quanto disposto dall'art. 189 c.p.c., e cioè nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183 c.p.c.. Si farà quindi riferimento alle conclusioni come precisate dalla difesa dell'opponente nella prima memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c., coincidenti con quelle dell'atto di citazione. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. Quanto al primo motivo di opposizione va anzitutto richiamato quanto già osservato sul punto con ordinanza 27/2/20 e che qui si riporta: "nella esecuzione per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili il precetto deve contenere, oltre le indicazioni di cui all'art. 480 c.p.c., anche la descrizione sommaria dei beni stessi; tuttavia, ove nel precetto sia omessa la descrizione del bene, ma essa sia contenuta nel titolo esecutivo, non è necessario, in relazione alla finalità della legge, che la descrizione sia ripetuta due volte, essendo sufficiente che sia ben identificato il bene in ordine al quale si deve procedere all'esecuzione (Cass. Civ. Sez. III 26/4/82 n. 2579)". A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, la descrizione del bene non è omessa, essendo chiaramente indicata la documentazione contabile (ed in particolare il tipo di registri e libri in questione), dolendosi la parte opponente (solo) della mancata indicazione delle annualità di riferimento per alcune tipologie di documenti (registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva e libro cespiti ammortizzabili). La difesa dell'opponente ha replicato, a quanto osservato con la citata ordinanza, che "anche dalla lettura del dispositivo della sentenza 271/2019 rectius 272/2019 (cfr. all 1 atto di citazione in opposizione) permane lo stato di incertezza e indeterminatezza eccepito. Infatti anche il dispositivo di sentenza omette di indicare le annualità del registro acquisti, registro fatture emesse, liquidazioni periodiche Iva e libro cespiti ammortizzabili, annullando pertanto la sua funzione integrativa dell'atto di precetto nell'individuazione dei beni oggetto di esecuzione, invocata da controparte" (v. memoria ex art. 183 comma sesto n. 1 c.p.c. nell'interesse di (...)). La richiamata funzione integrativa va riferita, però, non al solo dispositivo, ma all'intero contenuto del titolo, e, dalla semplice lettura dello stesso, si evince chiaramente a quali annualità si sia inteso fare riferimento. Invero ciò risulta dallo stesso capitolato di prova della difesa di (...) in quella sede, come riportato nelle conclusioni in allora precisate. Si legge infatti (pagg. 2 e 3 della sentenza n. 272/19): " . . . ammettere prova per testi e per interrogatorio formale della sig.ra R.M. sulle seguenti circostanze: 1) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del registro degli acquisti, del registro delle fatture emesse e delle liquidazioni periodiche IVA relativi alle annualità dal 2007 al 2013, il 20 maggio, 25 agosto, 20 novembre ed il successivo 28 febbraio, di tutti gli anni in considerazione, in occasione della restituzione delle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 2) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del registro degli acquisti, del registro delle fatture emesse e delle liquidazioni periodiche IVA relativi all'annualità 2014, il 20 maggio, 25 agosto, 20 novembre in occasione della restituzionedelle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 3 "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova dei modelli Intracee 2014, il 20 maggio 2014, il 25 agosto 2014, il 20 novembre 2014 in occasione della restituzione delle fatture registrate per la liquidazione trimestrale?". 4) "Vero che la rag. (...) ha consegnato alla sig.ra (...) stampe di prova del libro cespiti ammortizzabili relativo agli anni dal 2007 al 2013, il 31 marzo dell'anno successivo a tutti quelli in considerazione, in occasione della restituzione della situazione contabile (bilancio) della relativa impresa individuale?" Si indicano come testi . . . ". Il che, del resto, è in linea con quanto sostenuto poi anche in questa sede, e cioè che "si è estinto il diritto della signora (...) ad ottenere la documentazione richiesta con il precetto opposto in quanto la stessa è già stata integralmente consegnata dalla ragioniera (...) alla controparte, o al marito della stessa sig. (...), ed in ogni caso depositata in allegato agli atti di cui al giudizio R.G. 1723/2015 in seno al quale è stata pronunciata la citata sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019" (v. atto di citazione pag. 4, sub. (...)). La "documentazione richiesta con il precetto opposto" è stata quindi chiaramente individuata, segno evidente che la funzione integrativa di cui si è detto è stata efficacemente svolta. La pure eccepita difformità dell'atto di precetto "rispetto alla condanna alla consegna contenuta nella sentenza n. 272/2019 del 09 aprile 2019" è del tutto infondata, atteso che quanto intimato col precetto opposto coincide esattamente col dispositivo della citata sentenza. Per quanto riguarda le altre questioni sollevate in atto di citazione nell'ambito dello stesso motivo di opposizione (sub. (...), pag. 2), e relative alla normativa in materia di consegna di documentazione rilevante ai fini fiscali e tributari (sub. (...), pagg. 3 e 4) e alla (asserita) già intervenuta consegna della documentazione oggetto di precetto (sub. (...), pag. 4), si tratta di questioni che non possono essere delibate in questa sede e che, come tali, vanno ritenute inammissibili. Invero, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte (per tutte Cass. Civ., Sez. III, 13/6/17 n. 14636), già richiamato nella citata ordinanza 27/2/20, in sede di opposizione di merito si possono far valere solo i fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto azionato in via esecutiva (o che si minaccia di azionare in executivis), che siano avvenuti successivamente al formarsi del giudicato (o meglio successivi all'ultimo momento utile per farli valere nell'ambito del giudizio in cui si è formato il titolo), ma non i fatti precedenti che avrebbero potuto e dovuto essere dedotti nel giudizio di cognizione preordinato alla formazione del titolo stesso. Trattasi di orientamento costantemente seguito nella giurisprudenza di merito che ha avuto modo di condivisibilmente affermare, tra l'altro (Trib. Bergamo, Sez. II, 24/11/21 n. 2178, in motivazione),: ". . . . . Deve, invero, evidenziarsi che costituisce principio pacifico che "la parte minacciata con il precetto di esecuzione forzata in base a decreto di ingiunzione provvisoriamente esecutivo, avendo promosso giudizio di opposizione alla ingiunzione - per sostenere che questa è stata emessa in carenza delle condizioni di ammissibilità previste dall'art. 633 c.p.c. - non può proporre anche opposizione alla esecuzione per le medesime ragioni, perché tale opposizione non può avere per oggetto questioni attinenti ai vizi di formazione del titolo, a meno che non ne determinino l'inesistenza giuridica, o al merito della decisione che in esso è contenuta, e perché egli manca di interesse alla predetta opposizione, atteso che l'opposizione alla ingiunzione, esaurendo ogni possibile accertamento della fondatezza o non delle ragioni dedotte anche in rapporto al diritto della parte istante di procedere alla esecuzione, è in grado di realizzare, anche attraverso la possibilità di ottenere la sospensione dell'esecuzione provvisoria, a norma dell'art. 649 c.p.c., la tutela del suo interesse ad evitare l'esecuzione forzata in forza di quel titolo" (in tal senso, ex multis, Cassazione civile, sez. III, 19/06/2001, n. 8331). Detto altrimenti, quando l'esecuzione è minacciata sulla base di un titolo di formazione giudiziale, i motivi di nullità del decreto stesso o le ragioni di infondatezza del credito da esso accertato debbono essere fatte valere con lo specifico rimedio impugnatorio finalizzato alla caducazione del titolo stesso (ovvero, nell'ipotesi di decreto ingiuntivo, mediante opposizione ex art. 645 c.p.c.), mentre debbono essere fatte valere con l'opposizione a precetto unicamente le ragioni che si traducano nella inesistenza del titolo esecutivo o in altri vizi del procedimento esecutivo ovvero nella presenza di fatti estintivi o modificativi sopravvenuti alla formazione del titolo (in tal senso, ex multis, si segnala Cassazione civile, sez. VI, 18/2/2015, n. 3277, secondo cui "nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base a titolo esecutivo di formazione giudiziale, la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame"). Pertanto, qualora alla base dell'azione esecutiva sia posto un titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell'opposizione preventiva o successiva all'esecuzione non può effettuare alcun controllo intrinseco sul titolo, diretto cioè ad invalidarne l'efficacia in base ad eccezioni o difese che andavano dedotte nel giudizio nel cui corso è stato pronunziato il titolo medesimo, potendo controllare soltanto la persistenza della validità di quest'ultimo e quindi attribuire rilevanza solamente a fatti posteriori alla sua formazione o, se successiva, al conseguimento della definitività. Ebbene, venendo all'esame del merito dell'odierna res controversa - premesso che non risulta eccepita la giuridica inesistenza del titolo (nella specie, oggi costituito dalla sentenza n. 1679/2021 del 18.9.2021 Trib. Bergamo) - non può che ritenersi che sia esclusivo appannaggio del giudice che conosce dell'opposizione a decreto ingiuntivo lo scrutinio delle ragioni di infondatezza del relativo credito e dei molteplici profili fattuali che attengono alle vicende negoziali sottese al titolo giudiziale posto a fondamento della azione esecutiva minacciata con il precetto opposto. Tali questioni esulano, evidentemente, dal thema decidendum proprio del presente procedimento, in linea con il costante insegnamento della Suprema Corte secondo cui "nel giudizio di opposizione all'esecuzione è possibile contestare solo la regolarità formale o l'esistenza del titolo esecutivo giudiziale, ma non il suo contenuto decisorio. La violazione di tale regola da parte dell'opponente costituisce causa di inammissibilità, e non di infondatezza, dell'opposizione, e come tale è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado d'appello. Il potere di cognizione del giudice dell'opposizione all'esecuzione è quindi limitato all'accertamento della portata esecutiva del titolo posto a fondamento dell'esecuzione stessa, mentre le eventuali ragioni di merito incidenti sulla formazione di detto titolo devono essere fatte valere unicamente tramite l'impugnazione della sentenza che lo costituisce" (Cassazione civile, sez. lav., 19/12/2014, n. 26948).". L'opponente ha poi chiesto, in accoglimento del secondo motivo di opposizione, "Accertarsi e dichiararsi l'intervenuta compensazione del credito della ditta (...) portato dal precetto 5.07.2019 con il maggior controcredito dell'odierna attrice di complessivi Euro 8.788,03 di cui (i) Euro 4028,00 oltre 15% per spese generali, iva e Cpa come per legge e quindi per complessivi Euro 5.877,34 a titolo di spese legali liquidate con sentenza del Tribunale di Mantova n. 271/2019 e (ii) Euro 2.910,69 dovuta a titolo di interessi moratori maturati sulla somma di Euro 17.800,00 oltre accessori di legge, al netto di quanto versato a tale titolo, conseguentemente accertarsi e dichiararsi l'insussistenza del diritto della ditta (...) di procedere ad esecuzione forzata per l'importo oggetto di compensazione.". Il controcredito opposto in compensazione è relativo, quanto a Euro 5.877,34, all'asserito mancato pagamento da parte di (...) delle spese di lite relative al giudizio (n. 1723/2015 R.G.) definito da questo Tribunale con sentenza n. 271/2019, dep. il 9/4/19, e, quanto al resto, all'asserita mancata corresponsione integrale degli interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002 dovuti sulla somma oggetto della pronuncia di condanna nei confronti dell'odierna opposta di cui alla citata sentenza n. 271/2019. Come è noto la compensazione si verifica solo tra due debiti che hanno ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere ed egualmente liquide ed esigibili. Pertanto, la compensazione presuppone che si tratti di crediti certi, liquidi ed esigibili (o di facile e pronta liquidazione), con la conseguenza che un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale, attesa la sua illiquidità, né di compensazione giudiziale, poiché esso potrà essere liquidato soltanto in quel giudizio (infatti la compensazione giudiziale presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinnanzi al quale la compensazione è invocata e non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e prima che questo accertamento sia divenuto definitivo (v. Cass. Civ. n. 9680/2013; Cass. Civ. n. 8338/2011, oltre a Cass. Civ., Sez. Unite, 15/11/16 n. 23225, già citata nell'ordinanza 27/2/20). Nel caso di specie non è contestato che la sentenza n. 271/2019 sia stata impugnata dall'odierna opposta avanti la Corte di Appello di Brescia (Sez. Seconda civile, n. 1150/2019 R.G.), e che l'atto di precetto afferente la somma asseritamente dovuta a titolo di interessi moratori sia stato opposto. Anche il secondo motivo di opposizione non può quindi trovare accoglimento. Conclusivamente l'opposizione va rigettata. Nella prima memoria di replica la difesa dell'opposta ha chiesto "la cancellazione delle espressioni sconvenienti e/o offensive contenute nella comparsa conclusionale priva di data depositata telematicamente il giorno 07/02/2022 come in memoria di replica meglio indicato, e per l'effetto assegnare alla sig.ra (...), ed a carico della rag. (...), una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 89 c.p.c.". Il fatto che la domanda sia contenuta nella prima memoria di replica, e che la causa sia stata successivamente rimessa sul ruolo, consente di esaminarla nella sua interezza dovendo altrimenti essere ritenuta inammissibile, quanto alla richiesta risarcitoria (Cass. Civ., Sez. III, 9/7/09 n. 16121). Ciò premesso la domanda non merita accoglimento non ravvisandosi che le espressioni in parola siano state dettate da un passionale e scomposto intento dispregiativo meramente offensivo nei confronti della controparte (Cass. Civ. Sez. II 6/8/19 n. 21019). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018 avuto riguardo ai valori minimi per lo scaglione corrispondente. P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Rigetta l'opposizione; 2) Condanna (...) alla rifusione delle spese in favore di (...), titolare dell'impresa individuale "(...) di (...)", che liquida in Euro 4835,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali 15% e a quanto dovuto per legge. Così deciso in Mantova l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1628/2021 promossa da: (...) S.R.L. rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Va., e con domicilio eletto presso il suo studio in Trescore Balneario (Bg), Via (...); ATTRICE contro (...) S.R.L. non in proprio ma qual mandataria di (...) spa rappresentata e difesa dall'avv. Da.D'A., e con domicilio eletto presso il suo studio in Bergamo, Via (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in data 28/5/21, ritualmente notificato, (...) srl ha evocato in giudizio L. srl, con sede in (...), esponendo: 1) che in data 6/7/18 la società (...) spa le aveva notificato atto di pignoramento immobiliare avente ad oggetto immobili (fabbricato commerciale e abitazione civile) siti in (...) di (...), oggi (...); 2) che, a seguito dell'iscrizione a ruolo di detto pignoramento, il G.E. aveva fissato l'udienza per la comparizione personale delle parti e nominato l'esperto stimatore; 3) che, in data 14/1/19, era stato depositato l'elaborato tecnico nel quale l'esperto aveva assegnato al compendio immobiliare un prezzo base d'asta di Euro 612.000,00; 4) che, in data 21/12/20, a seguito di sei esperimenti d'asta infruttuosi, a fronte dei quali il prezzo base era sceso a Euro 27.433,00, l'opponente aveva depositato istanza di chiusura anticipata dell'esecuzione ex art. 164 bis disp. di att. c.p.c. e, in subordine, di sospensione della procedura esecutiva; 5) che in predetta istanza era stato evidenziato come il nuovo prezzo base d'asta fosse sceso addirittura al 3% del valore inizialmente periziato, ed era stata rilevata l'assoluta infruttuosità dell'espropriazione forzata; 6) che, in via subordinata, l'opponente aveva insistito per la sospensione della procedura per un periodo di 24 mesi stante la situazione stagnante del mercato immobiliare connesso anche alla persistenza di una situazione di emergenza sanitaria che aveva avuto innegabili riflessi negativi; 7) che, all'udienza del 2/2/21, il G.E. ritenendo non ricorrenti i presupposti di cui all'art. 164 bis disp. di att. c.p.c. aveva respinto l'istanza di estinzione anticipata disponendo la prosecuzione della procedura e nulla prevedendo in ordine alla subordinata richiesta di sospensiva; 8) che, avverso detto provvedimento, (...) srl aveva proposto ricorso ex art. 617 comma secondo c.p.c., e che, all'udienza di comparizione delle parti, il Giudice si era riservato di decidere; 9) che, a scioglimento della riserva, il G.E. aveva rigettato l'istanza di sospensione dell'esecuzione ed assegnato il termine perentorio di giorni trenta per l'inizio del giudizio di merito; 10) che l'esperimento d'asta del 17/5/21 aveva avuto esito positivo ed il bene pignorato era stato aggiudicato al prezzo definitivo di Euro 31.010,00. (...) srl, instaurando il giudizio di merito, ha chiesto l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Si è ritualmente costituita (...) spa, non in proprio ma quale mandataria di (...) srl, contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Con decreto 1/6/22 è stato disposto che l'udienza del 21/6/22, cui la causa era stata rinviata per la precisazione delle conclusioni, si svolgesse con trattazione scritta, con avvertimento che la causa sarebbe stata trattenuta per la decisione allo scadere del termine di cui all'art. 190 c.p.c.. Le conclusioni sono state precisate dalle parti in via telematica come sopra riportate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Preliminarmente si osserva che la difesa dell'opponente non ha depositato la comparsa conclusionale ma ha redatto solo la memoria di replica. Tale comportamento processuale, anche se formalmente non vietato dalla legge, deve ritenersi illegittimo per la sostanziale violazione del principio del contraddittorio in quanto, alterando il normale percorso processuale di cui all'art. 190 c.p.c. che si articola nel deposito di una memoria finale per illustrare le proprie ragioni difensive e quindi nel deposito di una eventuale memoria per replicare alle argomentazioni avversarie, impedisce in pratica alla controparte di ribattere alle deduzioni svolte. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. La tesi della difesa dell'opponente muove sostanzialmente dal prezzo di aggiudicazione (definito irrisorio, e pari a Euro 31.010,00), ma, così facendo, la stessa difesa incorre in un errore di impostazione. Si legge tra l'altro nell'atto di citazione che "la valutazione di infruttuosità può aver luogo quando, in relazione all'entità del prezzo base dell'ultimo tentativo, l'eventuale aggiudicazione possa presumersi o implausibile, per essersi rivelato l'immobile fuori mercato e quindi in concreto invendibile, oppure - tale da coprire esclusivamente i costi, oppure - tale da determinare una somma netta irrisoria da destinare ad accessori e sorta capitale dei creditori, tenuto conto delle rispettive cause legittime di prelazione. Una simile valutazione di infruttuosità potrà adeguatamente fondarsi sul rilievo che il bene offerto in vendita è risultato per oggettive caratteristiche - non solo sopravvenute, ma pure preesistenti ma diversamente valutate - con ogni probabilità non vendibile, oppure vendibile a condizioni talmente rovinose da lasciare prefigurare un soddisfacimento irrisorio di sorta e accessori già maturati o, a maggior ragione, delle sole successive spese del processo esecutivo. Al contrario, questo sarà allora valutato meritevole di prosecuzione finchè appaia ancora idoneo a far conseguire, in esito alle attività di liquidazione ancora a disporsi ed in base alla fruttuosità delle stesse quale desumibile anche dalla pregressa storia del processo e dall'inanità incolpevole dei precedenti tentativi, una somma ricavata significativa, cioè tale fa consentire il soddisfacimento non irrisorio di alcuno tra i crediti azionati, ad iniziare da quelli assistiti da cause di prelazione e, a parità di esse, da quelli di maggiore importo". La stessa opponente riconosce, quindi che, il processo deve proseguire "finchè appaia ancora idoneo a far conseguire . . . una somma ricavata significativa". Ciò, a ben vedere, è proprio quello che si è verificato nel caso di specie. Nell'ordinanza, emessa all'esito della fase cautelare, in data 28/4/21 si legge infatti che "dalla relazione del professionista delegato del 9-3-2021 emerge come in relazione alla vendita fissata per il 13-3-2021 e non tenutasi per sopravvenuti inconvenienti tecnici, vi fossero dei soggetti interessati all'acquisto", e che "il concreto interessamento di due soggetti fa presumere che dalla vendita potrà essere ricavato un ragionevole soddisfacimento della pretesa del creditore". Il G.E. ha, quindi, a suo tempo, opportunamente rigettato l'istanza di estinzione anticipata e disposto la prosecuzione del processo esecutivo, avendo ritenuto, in ipotesi, che fosse ancora idoneo a far conseguire una somma significativa. Tale convinzione è stata poi ribadita dopo il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, rigettando l'istanza di sospensione sulla base del dato oggettivo dell'interessamento "concreto" all'acquisto di due soggetti, il che induceva a prevedere una gara al rialzo che, sempre in ipotesi, avrebbe potuto portare ad un prezzo di aggiudicazione di rilievo. In questo si rivela l'errore di impostazione dell'opponente cui si faceva riferimento sopra, e cioè nel fatto di argomentare la propria tesi sulla base del prezzo finale di aggiudicazione e non piuttosto sulla base di quello che appariva ragionevole al momento di valutare la istanza di estinzione anticipata. Come è stato autorevolmente osservato, è di centrale importanza considerare il presumibile risultato economico della vendita, ma non può tralasciarsi la valutazione delle probabilità che una vendita ipoteticamente vantaggiosa possa comunque avere successo. La difesa dell'opponente ha poi richiamato l'art. 586 c.p.c. indicandola come "altra disposizione con la quale il legislatore si è posto l'obiettivo di evitare che l'espropriazione del debitore si risolva in una svendita dei suoi beni, che lascerebbe sostanzialmente invariato il rapporto debitorio ed andrebbe unicamente a vantaggio del terzo acquirente", e ha ribadito, citando giurisprudenza di merito, che "appare oramai chiaro come la procedura esecutiva immobiliare avrebbe dovuto considerarsi "infruttuosa" ai sensi dell'art. 164 bis c.p.c. ed il prezzo di cui all'ultimo avviso di vendita (ed allo stesso modo il prezzo effettivo di aggiudicazione) non possa considerarsi "giusto prezzo"...". Al riguardo ed a confutazione anche di tale tesi, pare opportuno richiamare alcuni punti della motivazione di Cass. Civ., Sez. III, 10/6/20 n. 11116: "22. Non ravvisa il Collegio alcun motivo di discostarsi dall'approdo ermeneutico di Cass.21/09/2015, n. 18451, raggiunto all'esito di una ampia, accurata ed esaustiva disamina dell'istituto della sospensione della vendita dopo l'aggiudicazione, che riconosce la legittimità dell'esercizio di quella potestà del giudice dell'esecuzione solo quando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all'aggiudicazione, non conosciuti nè conoscibili dalle altre parti prima di essa, purchè costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l'esercizio del potere del giudice dell'esecuzione. 23. Proiezione in sede esecutiva del principio della rilevanza della sola verità processuale, vale a dire di quella accertata con la corretta applicazione delle regole del processo di cognizione sulla ricostruzione o rappresentazione dei fatti quali presupposti del giudizio di diritto idoneo a regolare la fattispecie e definire la controversia, è il principio, da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dell'identificazione del prezzo giusto con quello che risulta da un corretto svolgimento delle operazioni di vendita: allo stesso modo in cui non è giusto ciò che la parte ritiene o che comunque si sostiene al di fuori del giudizio di cognizione (ma solo quello che in esso viene accertato e definito tale), così non è giusto il prezzo soggettivamente reputato tale da uno dei soggetti del processo, ma solo quello che si forma all'esito del corretto funzionamento dei meccanismi processuali istituzionalmente deputati a determinarlo. 24. Del resto, neppure la valutazione dell'esperto stimatore condiziona la validità dell'ordinanza di vendita e dell'aggiudicazione, poichè anche il valore di mercato da lui individuato rappresenta un dato meramente indicativo (Cass. 10/02/2015, n. 2474; Cass. 31/03/2008, n. 8304) e poichè l'individuazione del giusto prezzo è rimessa all'esito della gara sollecitata tra gli offerenti estranei al processo e correttamente tenuta; e proprio la citata Cass. 18451/15 si diffonde sull'individuazione del giusto prezzo e sui suoi rapporti con quello di mercato, sicché è superfluo qui ogni approfondimento. 25. La stessa determinazione del prezzo al quale porre in vendita il bene staggito, che fa riferimento a quello di mercato, può legittimamente aver luogo in relazione ad ogni elemento, purchè non palesemente incongruo o avulso dal contesto economico o dagli elementi fondamentali della scienza dell'estimo, che colleghi la valutazione operata del prezzo base a cui porre in vendita il bene a quello che potrebbe essere il valore risultante in esito ad una contrattazione sul mercato, ovviamente tenendo conto delle peculiarità dello specifico settore delle espropriazioni immobiliari in cui comunque la vendita giudiziaria viene a collocarsi, come reso evidente anche dalle recenti modifiche legislative sul contenuto della relazione di stima (Cass. ord. 20/07/2016, n. 14968). 26. In tale ordito normativo, postulato ormai che la vendita giudiziaria abbia luogo alle stesse condizioni di una vendita volontaria e purchè in concreto il giudice dell'esecuzione - o il suo delegato - la faccia svolgere correttamente nelle migliori condizioni ricavabili in applicazione di tutti gli istituti a tale fine apprestati e doverosamente attivati o almeno tentati, quell'equiparazione comporta che la vendita volontaria non potrebbe verosimilmente conseguire un esito diverso o più vantaggioso; sicchè è l'interazione col mercato dei beni oggetto della vendita giudiziaria a costituire idonea garanzia di ottenimento del massimo risultato giusto ed utile possibile. 27. A meno dell'attivazione di diversi istituti, significativamente estranei alla struttura di quello, è allora privo di base giuridica fare carico al processo esecutivo ed al sistema delle vendite giudiziarie (ed al giudice dell'esecuzione od ai suoi ausiliari) dello stato o dell'andamento del mercato ed in particolare dell'esito della vendita del bene a condizioni asserite come più svantaggiose rispetto a quelle di un mercato ideale o dei rischi che tanto possa accadere. 28. Infatti, del mercato e del suo andamento fanno parte non solo il suo peculiare settore incentrato sulle vendite giudiziarie, ma anche le crisi, più o meno cicliche e finanche di particolare gravità, che lo attraversano e che ne costituiscono uno sviluppo sfortunatamente plausibile, se non intrinsecamente connaturato: pertanto, anche quando si tratti di crisi di sistema, mancando interventi strutturali di spettanza del legislatore deve prevalere la tutela del corrispondente buon diritto consacrato in capo al creditore e la vendita del bene è sempre doverosa. 29. Ora, la vendita giudiziaria si attiva quando viene dato impulso dal creditore al processo esecutivo con l'istanza di vendita (Cass. 19/07/2004, n. 13354; Cass. Sez. U. 29/07/2013, n. 18185), tutto il successivo corso risultando ufficioso e del pari doveroso, salve le sole eccezioni previste espressamente (Cass. 14968/16, cit.) e comunque impregiudicate le ipotesi di chiusura anticipata (sulla cui nozione basti qui un richiamo a Cass. ord. 10/05/2016, n. 9501) per il rilievo della impossibilità del raggiungimento dello scopo del processo. 30. E' ben vero che la norma non prevede espressamente una reiterabilità indefinita dei tentativi di vendita infruttuosi ed anzi parrebbe offrire, quale alternativa, solo l'amministrazione giudiziaria e per il non breve periodo di tre anni; ed è non meno vero che non sono mancati tentativi, anteriori però alle riforme dal 2005 e ad opera di una parte della giurisprudenza di merito (variamente accolta dai diversi contesti territoriali di applicazione), di contenimento dei tempi di persistenza infruttuosa del processo esecutivo - il cosiddetto processo esecutivo inane - mediante la previsione, adeguatamente prefigurata al momento dell'ordinanza di vendita, di un numero massimo di tentativi al cui infruttuoso esito ravvisare l'impossibilità non ascrivibile ad alcuno dei soggetti di esso - del processo stesso di raggiungere il risultato di soddisfacimento della creditoria azionata, con conseguente sua chiusura anticipata. 31. Tuttavia, è altrettanto vero che, ormai equiparato con le novelle dell'ultimo quindicennio il sistema delle vendite giudiziarie a quello delle vendite volontarie, nulla più osta - salvi i casi di chiusura anticipata (tra cui quelli di cui appresso o le conseguenze di peculiari condotte inerti delle parti a vario titolo onerate) - ad una reiterazione dei tentativi di vendita: tanto è consentito dalla tecnica possibilità di testuale riapplicazione circolare della disciplina prevista per il caso di vendita infruttuosa e, del resto, corrisponde a prassi largamente invalsa, sia pure opportunamente modulata nel senso della previsione di un limite dei ribassi o delle rifissazioni o del tempo destinato ai tentativi di vendita. 32. Certo, la reiterazione della fissazione delle vendite non può procedere all'infinito ed è allora legittima un'espressa preventiva autolimitazione (peraltro revocabile o modificabile) del relativo potere fin dall'ordinanza di vendita, intesa a razionalizzarla e contenerne numero e modalità: ma, salvi tutti gli altri casi di chiusura anticipata elaborati dalla giurisprudenza, il giudice ha il dovere, prima di dichiarare impossibile il raggiungimento del fine specifico dell'espropriazione consistente nella liquidazione alla base del soddisfacimento dei creditori, di procedere ad uno o più nuovi tentativi di vendita e di avvalersi - o di tentare di avvalersi, o di motivare congruamente sulle ragioni per le quali non si avvale - di tutti gli strumenti messi a sua disposizione espressamente dal codice (non ultima, almeno fino alla novella del 2019, la liberazione di tutti gli immobili staggiti, essendo intuitivo che solo quelli liberi possono essere venduti ad un prezzo conveniente per il venditore) o dall'elaborazione giurisprudenziale dei suoi poteri di direzione del processo (tra cui la rimodulazione del prezzo a base di gara, pure all'esito della rinnovazione della stima da parte dell'esperto). 33. E' ben vero che tra tali strumenti rientra, come invocata dai ricorrenti, proprio l'amministrazione giudiziaria: e tuttavia essa è fondata sulla specifica prognosi del recupero di un maggior valore di collocamento sul mercato all'esito dei periodi, più o meno prolungati, di sottrazione del bene dal circuito delle vendite e conseguente protrazione dei tempi del processo e di maturazione degli accessori dei crediti; la sua scelta implica allora un aggravio di costi ed oneri oltre che di tempi di definizione e resta pertanto dissonante dall'ordinaria dinamica della liquidazione del bene ormai irreversibilmente avviata. 34. Ne consegue che, pure rimanendo una valida alternativa a sua disposizione, ad essa può il giudice dell'esecuzione in via discrezionale preferire la rifissazione della vendita, potendo anche solo per implicito qualificare insussistenti i presupposti dell'amministrazione; sicchè non è viziata la rifissazione senza il previo tentativo di procedere ad essa. 35. Sul punto, va fatta applicazione del seguente principio di diritto: "poichè, impregiudicati i casi di chiusura anticipata del processo esecutivo, è legittima la reiterazione della fissazione della vendita anche con successivi ribassi del prezzo base e senza ricorso all'amministrazione giudiziaria, non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, tanto meno idoneo a fondare la sospensione prevista dall'art. 586 c.p.c., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, nè si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura già elaborati dalla giurisprudenza (fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; determinazione del prezzo fissato nella stima quale frutto di dolo scoperto dopo l'aggiudicazione; fatti o elementi conosciuti da una sola delle parti prima dell'aggiudicazione, non conosciuti nè conoscibili dalle altre parti prima di essa, purchè costoro li facciano propri), elementi perturbatori tra cui non si possono annoverare l'andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare". L'opposizione pertanto non può trovare accoglimento e va rigettata. L'esistenza di differenti orientamenti nella giurisprudenza di merito circa l'applicazione del disposto di cui all'art. 164 bis disp. di att. c.p.c. giustifica la compensazione delle spese. P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Rigetta l'opposizione; 2) Dichiara interamente compensate le spese. Così deciso in Mantova il 4 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Mauro Pietro Bernardi ha pronunciato la seguente SENTENZA NON DEFINITIVA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1089/2021 promossa da: (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. PI.ST., elettivamente domiciliato in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla citazione; ATTRICE contro (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. BI.MI., elettivamente domiciliato in VIA (...) - MANTOVA, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTO e contro (...) (C.F.: (...)) e (...) (C.F.: (...)) entrambe con il patrocinio dell'avv. AL.GA., elettivamente domiciliate in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio del predetto difensore, come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTE e contro (...) s.r.l. (C.F.: (...)), con il patrocinio dell'avv. FU.MA. e dell'avv. prof. TA.BR., elettivamente domiciliata in VIA (...) - MANTOVA presso lo studio legale Re. come da mandato redatto su atto separato e allegato alla comparsa di costituzione; CONVENUTA Oggetto: 131011 - divisione di beni non caduti in successione CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 2-7 aprile 2021 (...) esponeva 1) di essere creditrice di (...) in virtù a) di decreto ingiuntivo n. 2105/18 emesso in data 31-12-2018 dal Giudice di Pace di Mantova con il quale essa gli aveva intimato di pagare l'importo di Euro 3.086,96 oltre interessi, spese del procedimento e accessori, credito per il quale aveva notificato atto di precetto in data 18-2-2019 per l'importo di Euro 3.910,20; b) di decreto ingiuntivo n. 358/19 emesso il 11-3-2019 dal Tribunale di Mantova per l'importo di Euro 10.000,00 a titolo di canoni scaduti di locazione oltre ai canoni successivi fino alla liberazione del cespite e oltre agli interessi legali, alle spese di procedura e agli accessori di legge, credito per il quale essa aveva notificato atto di precetto per il complessivo importo di Euro 20.645,83 in data 11-4-2019; 2) che, a garanzia dei propri crediti, essa aveva iscritto, presso l'Agenzia del Territorio di Mantova, due ipoteche giudiziali (la prima in data 6-3-2019 ai n. 2787 RG e n. 349 RP e la seconda in data 11-4-2019 ai n. 4542 RG e n. 602 RP) sulla quota di 5/24 delle porzioni di fabbricato sito in M., via G. B., 37 e così censite: Catasto Fabbricati, fg. (...), part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...); part. (...) sub. (...), cat. (...) meglio descritte in citazione; 3) che essa aveva quindi notificato atto di pignoramento in data 28-6-2019 trascritto il 22-7-2019 ai n. 9203 RG e n. 6167 RP e che aveva quindi incardinato la procedura esecutiva n. 149/19 RGE; 4) che gli altri comproprietari erano (...) (per la quota di 8/24), (...) (per la quota di 11/24); 5) che la comproprietaria (...) aveva presentato istanza di assegnazione della quota di proprietà di (...); 6) che la quota veniva messa in vendita e che (...), risultata aggiudicataria delle quote indivise del compendio immobiliare, non aveva tuttavia provveduto al versamento del residuo prezzo nei termini stabiliti; 7) che, su istanza del professionista delegato alla vendita, avv. (...), il G.E. con decreto del 22-3-2021 aveva dichiarato la decadenza dell'aggiudicatario e disposto che si procedesse a nuove vendite; 8) che, con successivo Provv. del 24 marzo 2021, il G.E. aveva ordinato procedersi a giudizio di divisione fissando per la trattazione aventi a sé l'udienza del 22-6-2021; 9) che, in adempimento del predetto provvedimento, essa aveva quindi introdotto il giudizio divisionale e citato in giudizio tutti i comproprietari nonché la società (...) s.r.l.: alla stregua di tali deduzioni l'istante chiedeva procedersi alla divisione ponendo in vendita il compendio immobiliare oggetto di pignoramento. Si costituiva (...), il quale non si opponeva alla divisione rilevando che la stessa poteva essere effettuata in natura tramite la reciproca cessione delle quote, con o senza conguaglio. Si costituivano altresì (...) e (...) che svolgevano difese identiche rispetto a quelle formulate da (...). Si costituiva infine società (...) s.r.l. la quale faceva presente di essere intervenuta nel procedimento esecutivo n. 149/19 RGE essendo creditrice nei confronti di (...) dell'importo di Euro 402.600,00 in forza di due titoli cambiari, credito per cui aveva notificato in data 20-10-2018 atto di precetto per il complessivo importo di Euro 404.413,33 e chiedeva procedersi alla divisione del compendio immobiliare pignorato, disponendone la vendita. Essendovi contrasto fra le parti circa la necessità di disporre la vendita del compendio pignorato, la causa veniva rimessa in decisione all'udienza del 18-1-2022, tenutasi secondo la modalità della trattazione scritta, sulle conclusioni in epigrafe riportate. Premesso che il compendio immobiliare pignorato è composto da quattro beni (due appartamenti, un ufficio e un deposito) e che tali cespiti appartengono a (...) per 5/24, a (...) per 8/24 e a (...) per 11/24, va osservato che la divisione proposta dai comproprietari per effetto della quale il debitore esecutato cederebbe la propria quota di 5/24 degli immobili ad uso abitativo già identificati nei lotti 2 e 3 dell'esecuzione 149/2019 R.G. a fronte della cessione a proprio favore della quota di 19/24 di titolarità delle altre comproprietarie dell'immobile ad uso ufficio già identificato nel lotto 1 dell'esecuzione in parola, non ha trovato l'adesione dei creditori procedenti (...) e (...) s.r.l. i quali hanno diritto di espropriare i beni del debitore ex art. 2910 c.c. e ai quali una divisione come prospettata sarebbe inopponibile ex art. 2915 II co. c.c. sicché la stessa non può essere disposta. Ne consegue che occorre verificare, ai sensi dell'art. 720 c.c., se il compendio sia comodamente divisibile e in proposito va rammentato che tale concetto postula, sotto l'aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano formarsi senza dovere fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi, e, sotto l'aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote, rapportate proporzionalmente al valore dell'intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso (cfr. Cass. 19-8-2015 n. 16918; Cass. 21-8-2012 n. 14577; Cass. 29-5-2007 n. 12498; Cass. 7-2-2002 n. 1738; Cass. 11-8-1990 n. 8201): orbene tenendo conto della natura e diversità strutturale dei cespiti pignorati (divisi in tre lotti dal consulente ing. S.), della presenza di un androne di ingresso in comune e delle quote spettanti ai comproprietari (quella del debitore esecutato è pari a 5/24) ne consegue che il compendio pignorato è indivisibile. Va aggiunto che all'istanza di assegnazione, formulata da (...) e a suo tempo accolta nel corso del procedimento espropriativo, non è poi stato dato seguito, sicché non resta che procedere alla vendita dell'intero compendio secondo i lotti e i prezzi di stima indicati dall'ing. (...) e, a tal fine, la causa va rimessa in istruttoria come da separata ordinanza onde procedere agli ulteriori incombenti. Trattandosi di sentenza non definitiva, nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese. P.Q.M. Il Tribunale di Mantova, non definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) dichiara sciolta la comunione fra (...), (...) e (...) avente ad oggetto il compendio immobiliare sito in M. e così censito: Comune di M., via B. 37, foglio (...), particelle n.ri: - (...) sub (...), Cat. (...) cl. (...), mq. 143, vani 6, RC. Euro 619,75; (...) sub (...), Cat. (...) cl. (...), mq. 14, RC. Euro 42,14; (...) sub (...), Cat. (...), cl. (...), vani 3,5, mq. 128, R.C. Euro 1.138,79; (...) sub (...), Cat. (...), cl. (...), vani 6,5, mq. 120, R.C. Euro 503,55; 2) dichiara che il compendio immobiliare sopra descritto non è comodamente divisibile; 3) dispone la vendita del predetto compendio immobiliare; 4) rimette la causa in istruttoria come da separata domanda; 5) nulla per le spese. Così deciso in Mantova il 20 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. Andrea Gibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1207/2018 promossa da: (...) SOC. COOP. IN LIQUIDAZIONE (...) rappresentata e difesa dagli avv. Ma.Co. e Al.Ca., e con domicilio eletto presso il loro studio in Modena, Corso (...); ATTRICE contro (...) S.R.L. rappresentata e difesa dall'avv. Su.Ga. e con domicilio eletto presso il suo studio in Volta Mantovana, Piazza (...); CONVENUTA IN FATTO E IN DIRITTO Con atto di citazione in data 22/3/18, ritualmente notificato, la (...) soc. coop. in Liquidazione (...), con sede in M., in persona del Commissario Liquidatore, ha evocato in giudizio (...) srl, con sede in C. sull'O., esponendo: 1) di essere stata una primaria società di costruzioni operante nel campo dell'edilizia pubblica e privata che aveva risentito, al pari di altre, della pesante crisi del 2008 senza riuscire a recuperare un equilibrio economico e finanziario tale far garantire la continuità aziendale; 2) che, già in data 23/2/15, aveva concesso in affitto la propria azienda a (...) srl, con sede in M., società interamente partecipata da (...) spa, con sede in R., cessando quindi la propria attività d'impresa; 3) che, in data 4/3/15, aveva depositato presso il Tribunale di Modena domanda di concordato preventivo con riserva ai sensi dell'art. 161 comma sesto L.F. ammettendo di trovarsi in stato di crisi; 4) che, successivamente, aveva rinunciato alla domanda di concordato preventivo in previsione dell'ammissione alla liquidazione (...); 5) che, con decreto del 26/6/15, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva disposto l'apertura della procedura di liquidazione (...), e che, a seguito di ricorso ex art. 202 L.F., il Tribunale di Modena aveva dichiarato lo stato di insolvenza di CDC con sentenza del 23/12/15; 6) che, nell'anno antecedente al deposito della domanda di concordato preventivo (4.3.14 - 4/3/15), CDC aveva estinto la quasi totalità dei propri debiti pecuniari scaduti ed esigibili verso (...) srl con le modalità di seguito riportate: a) prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare in data 20/11/04; b) pagamento parziale in data 17/12/14 di tre fatture scadute; c) compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e seg. in data 11/2/15; 7) che, tanto la "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" del 20.11.2014, quanto la "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." dell'11/2/15, atti ove i contraenti non avevano provveduto alla corresponsione del prezzo di vendita se non in misura minima, avevano avuto il dichiarato obiettivo di creare i presupposti per dare luogo all'estinzione del debito scaduto ed esigibile di CDC verso (...) mediante la diversa prestazione consistente nel trasferimento di res pro pecunia; 8) che tali modalità estintive, pacificamente riconducibili alla fattispecie della datio in solutum, costituivano una forma di pagamento anomalo e revocabile ex art. 67, comma primo, n. 2 L.F.; 9) che i pagamenti in data 17/12/14 di debiti liquidi ed esigibili di cui alle tre fatture scadute tra settembre e novembre avvenuti nel semestre antecedente al deposito avanti al Tribunale di Modena della domanda di concordato preventivo ex art. 161, sesto comma, L.F., erano revocabili ex art. 67, comma secondo, L.F.. Ciò premesso l'attrice ha chiesto l'accoglimento delle sopra riportate conclusioni. Si è ritualmente costituita (...) srl contestando quanto ex adverso dedotto ed insistendo per l'accoglimento, nel merito, delle sopra riportate conclusioni. Assunta prova per testi, la causa è stata trattenuta per la decisione all'udienza del 25/5/21 sulle conclusioni delle parti come sopra precisate. Ciò premesso si osserva quanto segue. Con sentenza n. 194 in data 23/12/15 (dep. il 24/12/15) il Tribunale di Modena ha dichiarato lo stato di insolvenza della (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...), ex art. 202 L.F.. Ne consegue ex art. 203 L.F. l'applicabilità degli artt. 64 e segg. L.F.. Non è contestato che gli atti di cui si discute siano stati posti in essere nel periodo "sospetto". La causa può essere decisa senza dare ingresso a ulteriore attività istruttoria. La difesa di parte convenuta ha insistito per l'accoglimento delle istanze istruttorie non accolte e così, in particolare, nelle istanze ex artt. 210 e 213 c.p.c. nei confronti, rispettivamente, di (...) Società Cooperativa e dell'INPS di Modena, e nella richiesta di Ctu. Al riguardo va ricordato, in generale, che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, in tema di prove documentali e di scritture contabili delle imprese, perchè il Giudice eserciti legittimamente i suoi poteri officiosi occorre che la parte onerata dalla prova abbia tempestivamente e con sufficiente analiticità allegato i fatti specifici da provare e che, sempre tempestivamente, abbia almeno fondatamente allegato di non avere altro mezzo (o di avere invano esperito altri mezzi) per dimostrarli (da ultimo Cass. Civ., Sez. III, 12/6/12 n. 9522). In particolare, quanto all'istanza ex art. 210 c.p.c., va poi ricordato che l'esibizione deve presentarsi come indispensabile in rapporto alla prova di fornire. Nel caso di specie, come sostanzialmente rilevato dalla difesa di parte attrice laddove ha osservato che "controparte non chiarisce . . . le finalità delle predette richieste" (v. memoria ex art. 183 comma sesto, n. 3 c.p.c., pagg. 5 e 6), parte convenuta non ha allegato "con sufficiente analiticità" i fatti specifici da provare e gli elementi idonei a compiere la valutazione di ammissibilità e rilevanza dei documenti da esibire e giungere a ritenerli indispensabili. La consulenza tecnica d'ufficio richiesta per la "verifica di congruità del prezzo di cessione degli immobili di B. e di M. al valore di mercato degli stessi al momento della stipula dei due contratti definitivi, rispettivamente 20 novembre 2014 e 11 febbraio 2015" è irrilevante atteso che la domanda relativa alle cessioni degli immobili è fondata sull'art. 67 comma primo n. 2 L.F.. Le produzioni documentali che parte attrice ha allegato alla memoria ex art. 183 comma sesto n. 3 c.p.c. del 19/11/18 sono tardive. Ciò premesso ulteriormente si osserva quanto segue. Il primo degli atti oggetto della domanda di revoca è costituito dalla "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" a ministero Notaio Dott.ssa (...), repertorio n. (...) - raccolta n. (...), del 20.11.2014, registrata a Modena il 28.11.2014 al n. 14624 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri immobiliari di M. in data 1.12.2014 (reg. gen. N. 27024 - reg. part. N. 19850), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari site nel Comune di B. (M.) contraddistinte al Catasto Fabbricati di detto Comune come segue: Fg. (...), mappale (...), sub. (...), Piazza (...) P. n. 18/B, p. 2-3-, cat. (...), cl. (...), vani 5,5. La domanda è fondata. La difesa della parte convenuta ha sostenuto (e provato) che il rogito di cui si discute è stato preceduto da contratto preliminare, registrato il 28/2/13 tra la (...) Soc. Coop. e (...) srl. (doc. 3 di parte convenuta), ed ha aggiunto che "è di tutta evidenza che la volontà contrattuale, di vendere e di comprare, si formò in data 20.02.2013, ossia in un momento storico temporale datato, rispetto alle disavventure economiche che coinvolsero nel prosieguo CDC. Si tratta quindi di un'epoca distante dal così detto "periodo sospetto": ciò esclude, quindi, la sussumibilità del trasferimento nella fattispecie invocata da controparte (art. 67 secondo comma L.F.) ..." (v. comparsa conclusionale di parte convenuta, pag. 6). Tale tesi non può essere condivisa. A parte il fatto che parte attrice richiama, in relazione all'atto di cui si discute, l'art. 67, primo comma n. 2, L.F., la Suprema Corte ha costantemente affermato che, in tema di revocatoria fallimentare di atto stipulato in adempimento di contratto preliminare, l'accertamento dei relativi presupposti va compiuto con riferimento alla data del contratto definitivo, in quanto la Legge Fallimentare art. 67 ricollega la consapevolezza dell'insolvenza al momento in cui il bene, uscendo dal patrimonio, viene sottratto alla garanzia dei creditori, rendendo irrilevante lo stato soggettivo con cui è assunta l'obbligazione di cui l'atto finale comporta esecuzione, salvo che ne sia provato il carattere fraudolento. (per tutte, Cass. Civ., Sez. I, 29/3/16 n. 6040). Come pure ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, qualora la prestazione di un opus (ma evidentemente lo stesso discorso vale per la fornitura di una res, N.d.R.) da parte dell'imprenditore poi dichiarato fallito si accompagni ad un patto che assegni alla prestazione medesima la funzione economico-giuridica di estinguere in tutto o in parte un precedente credito pecuniario del committente, tale estinzione è riconducibile non al meccanismo della compensazione legale, ma a una datio in solutum (art. 1197 c.c.), la quale configura anomala forma di adempimento del debito, e, pertanto, è assoggettabile a revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 comma primo n. 2 R.D. 16 febbraio 1942, n. 267 (Cass. Civ., Sez. VI, 14/11/17, n. 26927, ma già da Cass. Civ., Sez. I, 22/11/77, n. 5093). Lo schema tipico del contratto in questione prevede: a) la volontà del debitore di effettuare la prestazione dell'aliud per estinguere l'obbligazione e non a diverso titolo; b) il consenso del creditore; c) l'effettiva esecuzione della diversa prestazione. Nulla quaestio sulla sussistenza di tali requisiti. Per contro non è stata adeguatamente provata da parte convenuta l'inscentia decoctionis richiesta dall'art. 67, comma primo, L.F. per escludere la revocabilità degli atti in esso contemplati, che, peraltro, non può esaurirsi nella dimostrazione di uno stato d'animo o di un mero convincimento sulla normalità della situazione economica dell'imprenditore poi dichiarato fallito, occorrendo, per converso, la presenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente detto convincimento in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza (Cass. Civ., Sez. I, 26/1/99 n. 683). Le deposizioni dei testi di parte convenuta escussi non possono definirsi decisive. A parte il fatto che si tratta di dipendenti di (...) srl, e quindi di deposizioni da valutare con particolare prudenza, in ogni caso il teste A. nulla sa sul cap. 24, non ricorda il riferimento temporale del cap. 25, nulla sa di specifico sul cap. 26, dichiara quanto riferitogli da (...) sui cap. 27 e 28, non ricorda la circostanza di cui al cap. 29. Non dissimile è la deposizione del teste (...) che, sui cap. 24, 25 e 28 ha riferito di non sapere nulla, e, sul cap. 26, ha riferito trattarsi di circostanza di cui ha "sentito parlare in ditta". Del resto, alla data della stipula del definitivo (20/11/14), vi erano circostanze esterne tali da non indurre certo il convincimento della normalità della situazione economica della (...) Soc. Coop. quali, ad esempio, il ritardo nei pagamenti delle fatture n. (...) e (...) scadute il 30 settembre, pure oggetto di revocatoria. Passando appunto all'esame della domanda avente ad oggetto la revoca dei pagamenti del 17/12/14 ex art. 67, secondo comma L.F., va osservato che la difesa di parte convenuta ne ha eccepito l'esenzione ex art. 67 comma terzo lett. a) L.F. in forza del quale non sono soggetti all'azione revocatoria "i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso", affermando che in tale categoria sarebbe "sussumibile il pagamento della somma di Euro 40.543,27 ricevuta dalla impresa convenuta ed eseguita da CDC, in quanto riferito alle fatture emesse a seguito dei lavori commissionati, secondo intese intercorse tra le parti." (v. comparsa conclusionale di parte convenuta, pag. 13). L'eccezione non è fondata. Come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. I 7/12/20 n. 27939, in motivazione): ". . . 2.3. - L'interpretazione della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. a), deve muovere dalla considerazione secondo cui la fattispecie ha riguardo ad una modalità di esecuzione del rapporto tra le parti, che - pur divergendo dalle clausole negoziali - sia ricompresa "nei termini d'uso". A fronte delle interpretazioni in astratto possibili della disposizione - dalla massima genericità, che ancora l'uso al mercato nel suo insieme; alla progressiva limitazione, con riguardo al settore commerciale di riferimento; alla considerazione, infine, del singolo rapporto tra le parti, a sua volta visto come si sia atteggiato in concreto per un certo tempo, oppure solo come risultante in forza dei patti originariamente conclusi - occorre ricercare, secondo la funzione assegnata dall'ordinamento alla Corte di Cassazione, non una qualsiasi delle plurime interpretazioni solo "possibili", ma quella più "esatta" (art. 65 ord. giud.), sulla base del diritto positivo. Pertanto, anzitutto deve escludersi che la locuzione afferisca alle clausole negoziali come previste in contratto, interpretazione che la priverebbe di qualsiasi portata innovativa. Tra le su ricordate modalità derogatorie degli originari patti - accordo una tantum, prassi preesistente al pagamento ed uso negoziale del settore - la seconda è quella confacente alla disposizione in esame. Non, invero, il primo, perchè non basterebbe un solo occasionale accordo ad integrare la nozione di "uso"; non il terzo, che imporrebbe di ricostruire la prassi in un ambito troppo esteso. Deve dunque disattendersi, da un lato, l'interpretazione generalizzante, sia se ancorata all'intero mercato (in cui sarebbe, del resto, arduo individuare una prassi comune a tutti gli operatori sul medesimo), sia se riferita agli operatori di una sottocategoria imprenditoriale nello specifico settore commerciale; nonché, dall'altro lato, l'interpretazione più strettamente individualistica, che riconduca la previsione alla clausola negoziale prevista a regolamentazione iniziale del rapporto. Se, infatti, la ratio dell'azione revocatoria, come regola, è quella di preservare la par condicio creditorum, onde le operazioni poste in essere nel cd. periodo sospetto dalla società sottoposta a procedura concorsuale debbano incorrere nella sanzione dell'inefficacia, dal suo canto la ratio dell'eccezionale esenzione sta nell'intento di circoscrivere, in modo ragionevole, l'estensione del rimedio, in relazione a situazioni assai diverse tra loro (basti leggere le lettere di cui si compone la L. Fall., art. 67, comma 3), ma, nondimeno, accomunate dalla presenza di un interesse ritenuto dal legislatore superiore. Per quanto qui rileva, la norma ha inteso tener conto del fatto che tra imprenditori può ben essere, di fatto, attuata una modalità di pagamento - non solo quanto al momento della scadenza, ma anche a varie altre modalità della prestazione di "dare" il corrispettivo dovuto: non potendo la parola "termini" reputarsi qui strettamente riferita solo al tempo dell'adempimento ex art. 1186 c.c. - diversa da quella inizialmente negoziata. In particolare, la previsione della lett. a) del comma 3 si pone in diretta correlazione con quella della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2). Se la regola è che sono revocati (con presunzione, oltretutto, della scientia decoctionis) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con mezzi normali di pagamento compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ciò è proprio in quanto l'accettazione di un mezzo inusuale di pagamento lascia presumere iuris et de iure la violazione della par condicio. Pertanto, l'eccezione al riguardo posta è necessariamente nel senso che, pur quando le modalità di pagamento siano estranee alla previsione della relativa clausola contrattuale, il pagamento resta fermo ed efficace, tutte le volte che fra le parti si sia instaurata una prassi anteriore - adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi definire tale - volta a derogare a quella clausola contrattuale ed introdurre, come nuova regola inter partes, il pagamento nei termini diversi e più lunghi. Non basterebbe, pertanto, che alcuni pagamenti fossero compiuti ed accettati in un lasso temporale maggiore: oggetto di prova è la circostanza di un "uso" diverso tra le parti, quale condotta reiterata sul piano oggettivo, stabilizzatasi già prima dei pagamenti sospetti. Per l'individuazione di una dilazione dei pagamenti secondo i "termini d'uso", dunque, non vale la mera esistenza di alcuni pagamenti in ritardo, rispetto ai termini pattuiti, ove essa derivi da singoli momenti patologici della vita dell'impresa, caratterizzati da specifici accadimenti di fatto e da un'isolata tolleranza da parte del creditore. L'effetto della disposizione di esonero è, in definitiva, che non sono revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell'ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus: tanto che non possano più, a quel punto, ritenersi pagamenti eseguiti "in ritardo", ossia inesatti adempimenti, ma siano divenuti per prassi, proprio al contrario, esatti adempimenti: con tutte le conseguenze relative all'inesistenza di un inadempimento dell'altro contraente (in ordine alla mora, all'art. 1460 c.c., all'azione di risoluzione, al risarcimento del danno, ecc.). 2.4. - L'onere della prova di tale situazione è, ai sensi dell'art. 2697 c.c., in capo all'accipiens. Si noti che, in tal modo, la disposizione in esame abilita il rilievo di modifiche tacite a contratti pur se redatti per iscritto, posto che non avrebbe senso ammettere l'applicabilità dell'esenzione ai soli contratti conclusi verbalmente; onde si avrà ampia applicazione, quanto alla prova testimoniale eventualmente richiesta, dell'art. 2721 c.c., comma 2 e art. 2723 c.c.; la soluzione è coerente, altresì, con l'art. 2722 c.c., il quale vieta la prova per testimoni solo dei patti contrari conclusi prima o contemporaneamente al contratto. Naturalmente, è ben possibile che, nella specifica evenienza, esistano veri e propri usi negoziali di settore, che allora l'accipiens avrà comunque la facoltà di provare. ...". Nel caso di specie tale onere non è stato assolto da parte convenuta, che ne era gravata. Del resto la stessa difesa di parte convenuta richiamando "intese intercorse tra le parti" sembra riferirsi ad un accordo una tantum piuttosto che ad una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, così da potersi considerare tale. Ciò appare in linea con quanto affermato in comparsa di costituzione e risposta ove si legge tra l'altro (pagg. 11 e 12), che "nell'epoca anteriore e contestuale alla stipula, i pagamenti relativi alle fatture emesse erano regolarmente onorati, talvolta - in via del tutto occasionale - in preannunciato e concordato differimento. . .". Può ritenersi assolto l'onere, gravante su parte attrice, della prova della conoscenza in capo alla convenuta dello stato di insolvenza. Invero, come è noto, tale prova può essere data anche attraverso presunzioni, e il convincimento della probabilità di sussistenza e della compatibilità del fatto supposto con quello accertato può essere sorretto anche da una sola presunzione, grave e precisa. Nel caso di specie assume rilievo il fatto che i pagamenti di cui si discute siano avvenuti a meno di un mese dalla datio in solutum di cui si è detto e che la previsione contrattuale di pagamento di un debito tramite il trasferimento della proprietà di un bene costituisce un indizio di carenza di liquidità in capo al debitore, ossia un sintomo di insolvenza. Parte convenuta va quindi condannata alla restituzione in favore del Fallimento attore dell'importo di Euro 40.543,27. L'obbligazione restitutoria a carico dell'accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della domanda che ha natura costituiva. In tema di interessi va però osservato che il carattere costituivo della sentenza di revoca di pagamenti, ai sensi dell'art. 67 L.F., comporta che soltanto la sentenza stessa produce - dalla data di passaggio in giudicato - l'effetto caducatorio dell'atto giuridico impugnato e che soltanto a seguito di essa sorge il conseguente credito del fallimento alla restituzione di quanto pagato dal fallito, e finchè non è sorto il credito (restitutorio) per capitale, neppure sorge il credito accessorio per interessi. (Cass. Civ. Sez. I 30/7/12 n. 13560; Cass. Civ. Sez. I 20/4/01 n. 5843). Nulla compete quindi a titolo di interessi e rivalutazione monetaria. Da ultimo parte attrice ha chiesto la revoca della "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." in data 11.2.2015 a ministero Notaio Dott. (...) , repertorio n. (...) - raccolta n. (...) registrata all'Agenzia delle Entrate di Rovigo il 12.2.2015 al n. 761 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri Immobiliari di Reggio Emilia in data 13.2.2015 (reg. gen. N. 2465 - reg. part. N. 1781), avente ad oggetto il trasferimento, da (...) Società Cooperativa a (...) srl, della piena proprietà di unità immobiliari comprese in complesso edilizio sito in Comune di Reggio Emilia, frazione Villa (...), Via A. G.. In detto atto si legge, tra l'altro, che "Le Società contraenti, ciascuna a mezzo come sopra, attribuiscono concordemente alla porzione immobiliare come sopra trasferita in pagamento, a corpo, il valore di Euro 250.000,00 (duecentocinquantamila virgola zero zero). Di detta somma complessiva, per espressa e concorde volontà delle Società contraenti: - la somma di Euro 242.200,84 (duecentoquarantaduemiladuecento virgola ottantaquattro) viene posta a compensazione del debito di pari importo comprensivo di I.V.A. che la Società venditrice ha nei confronti della Società acquirente, come meglio detto in premessa, e compensa, a titolo transattivo l'ulteriore importo di Euro 12.113,12 fino alla concorrenza di Euro 254.313,96 (duecentocinquattraquattromilatrecentotredici virgola novantasei) - la somma di Euro 7.799,16 (settemilanovecentonovantanove virgola sedici) viene pagata con le modalità infra indicate dalla, Società acquirente alla Società venditrice, che, a mezzo come sopra rilascia ampia e liberatoria quietanza di saldo. La Società venditrice, a seguito del trasferimento della proprietà che precede a favore della Società acquirente, a titolo di pagamento del debito quale risultante dalle fatture emesse dalla società acquirente risultanti dall'elenco delle fatture medesime che, sottoscritto dalla Parti e da me Notaio si allega all'atto presente sotto la lettera "B", rilascia alla Società acquirente ampia e liberatoria quietanza di saldo prezzo del trasferimento di proprietà di cui al presente atto, ogni eccezione al riguardo rimossa, con promessa di mai più nulla avere a chiedere o a pretendere per lo stesso titolo. ...". L'operazione, posta in essere meno di un mese prima del deposito della domanda di concordato preventivo (4/3/15), è qualificabile quale datio in solutum, in quanto si tratta di cessione di un bene immobile con imputazione del prezzo a compensazione di un debito scaduto, come tale idonea ad integrare una modalità anomala di estinzione dell'obbligazione revocabile ex art. 67, comma primo, n. 2 L.F.. Valgono pertanto, anche in questo caso, le considerazioni di cui sopra relative alla "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" del 20/11/14. Sotto il profilo della mancata prova da parte della convenuta dell'inscientia decoctionis va aggiunto che questo atto è stato posto in essere dopo i pagamenti delle fatture scadute di cui si è sopra detto. La difesa di parte convenuta ha invocato, fin dalla comparsa di costituzione e risposta e in relazione anche all'atto del 20/11/14, la pratica del così detto "ritiro" immobiliare, che ha definito "modalità commerciale invalsa nella pratica edile, assunta anche da CDC, sia con l'impresa convenuta, che con gli altri subappaltatori" (v. comparsa di costituzione e risposta, pag. 2). Sul punto pare doversi condividere quanto sostenuto, in replica, dalla difesa di parte attrice, laddove ha sostenuto (v. memoria di replica, pag. 2) che "(...) non ha . . . dimostrato l'usualità tra le parti di ricorrere ad una modalità estintiva delle rispettive obbligazioni, quale quella adottata in occasione delle operazioni oggetto del presente giudizio, né tantomeno la sussistenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente l'inscientia decoctionis in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza. Al contrario, l'esistenza tra le parti della tanto invocata prassi commerciale di ricorrere allo strumento del "ritiro" degli immobili quale mezzo di estinzione delle obbligazioni, oltre ad essere definitivamente rimasta, appunto, indimostrata viene addirittura smentita dalla Convenuta, la quale giunge ad affermare che "nel corso del rapporto commerciale tre soli furono i "ritiri" compiuti da (...) ..." (v. comparsa conclusionale (...), pag. 6)". Ciò anche in considerazione del fatto che, stando a quanto si legge in comparsa di costituzione e risposta (pag. 4), la collaborazione tra le parti risale ai "primi anni 2000". Conclusivamente la domanda principale merita accoglimento ed esime dalla disamina della subordinata (e così di quanto richiesto in comparsa conclusionale, pag. 14, con riferimento all'atto del l'11/2/15, ferma restando la tardività della produzione del doc. 23, sopra rilevata). Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 e D.M. n. 37 del 2018, avuto riguardo ai valori minimi per lo scaglione corrispondente, tenuto conto che nei giudizi per azioni revocatorie si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta (art. 5 comma primo del citato decreto). P.Q.M. Il Tribunale ogni contraria istanza eccezione e deduzione disattesa così provvede: 1) Dichiara inefficaci nei confronti di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...): a) la "Prestazione in luogo di adempimento con trasferimento immobiliare" a ministero del Notaio Dott.ssa (...), repertorio n. (...) - raccolta n. (...), del 20.11.2014, registrata a Modena il 28.11.2014 al n. 14624 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri immobiliari di M. in data 1.12.2014 (reg. gen. N. 27024 - reg. part. N. 19850), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari site nel Comune di B. (M.) e contraddistinte al Catasto Fabbricati di detto Comune come segue: - fg. (...), mappale (...), sub. (...), Piazza (...) P. n. 18/B, p. 2-3-, cat. (...), cl. (...), vani 5,5; b) la "Compravendita ai sensi dell'art. 1285 c.c. e s.s." a ministero del Notaio Dott. (...) , repertorio n. (...) - raccolta n. (...), dell'11.2.2015, registrata all'Agenzia delle Entrate di Rovigo il 12.2.2015 al n. 761 serie 1T, trascritta presso l'Agenzia del Territorio - Conservatoria dei Registri Immobiliari di Reggio Emilia in data 13.2.2015 (reg. gen. N. 2465 - reg. part. N. 1781), avente ad oggetto il trasferimento della piena proprietà delle unità immobiliari contraddistinte al Catasto dei Fabbricati del Comune di Reggio Emilia come segue: -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. 2-3, cat. (...), vani 6,5; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...), mq. 5; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1, cat. (...), mq.18; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1, cat. (...), mq. 15; -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...) sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...) sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. S1-T, cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P. PS1-T-1-2, cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G. n. 4, P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); - foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T. cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); -foglio (...), mappale (...), sub. (...), via A. G., P.T., cat. (...); e, per l'effetto, condanna (...) srl alla restituzione a parte attrice degli immobili di cui sopra; 2) Ordina alle competenti Agenzie delle Entrate - Territorio di annotare ex art. 2655 c.c. la presente sentenza a margine delle trascrizioni degli atti di cui sub. (...); 3) Dichiara inefficaci nei confronti di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...) i seguenti pagamenti eseguiti da (...) soc. coop. a favore di (...) srl: - pagamento del 17.12.2014 per Euro 10.675,63; - pagamento del 17.12.2014 per Euro 9442,64; - pagamento del 17.12.2014 per Euro 20.425,00; e così per complessivi Euro 40.543,27 e, per l'effetto condanna (...) srl al pagamento in favore dell'attrice dell'importo di Euro 40.543,27; 4) Condanna (...) srl alla rifusione delle spese in favore di (...) Società Cooperativa in Liquidazione (...) che liquida in Euro 15.279,96 di cui Euro 12.678,00 per compensi, Euro 2601,96 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali 15% e a quanto dovuto per legge. Così deciso in Mantova il 4 ottobre 2021. Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Simona Gerola , ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. r.g. 370/201 promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'Avv. Cr.Sa. e dall'Avv. Er.De. PARTE RICORRENTE contro (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI rappresentata e difesa dall'Avv. Cl.Ma. e Lu.Ca. PARTE RESISTENTE ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 5.8.2021 (...) conveniva avanti al Tribunale di Mantova spa la (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI per sentire accogliere le conclusioni indicate in epigrafe Il procuratore del ricorrente esponeva: che in data 1/11/2018 (...) è stato assunto in qualità di socio-lavoratore, con contratto a tempo indeterminato, part-time 75% (massimo 39 ore), con la qualifica di operaio addetto ai servizi di pulizia, sulla base del CCNL del Multiservizi, alle dipendenze di (...) Cooperativa S.p.A. avente un numero di dipendenti al momento del licenziamento mediamente di 210; che il ricorrente veniva destinato a svolgere la propria attività lavorativa presso il (...) ed era tenuto era tenuto all'osservanza dei seguenti orari di lavoro: ? lunedì: 6.30-8.30 e 10-12.30 ? mercoledì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? giovedì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? venerdì: 6.30-8.30 e 15.30-19.00 ? sabato: 13.00-19.00 ? domenica: 13.00-19.00 per un monte ore settimanale di 30 ore, erroneamente indicate nel prospetto allegato al contratto in 33 ore, sei giorni su sette settimanali; che in data 9 dicembre 2020 al lavoratore veniva elevata con raccomandata a mani, una contestazione disciplinare datata 7.12.2020 relativa ai seguenti fatti: "Nella giornata di venerdì 4 dicembre 2020 intorno alle 13.15 mentre, durante il suo turno di lavoro presso il (...) S.p.A., puliva con la "bandiera"in galleria zona cassa 24, si chinava e raccoglieva un biglietto e una banconota da 10 euro e li riponeva nella tasca. Una cliente si accorgeva di questo movimento e chiedeva a lei stesso di consegnare il tutto alla cassiera, segnalando di essere caduti a terra al cliente precedente a lei. Infatti, la signora evidenzia che lei in quel momento tira fuori dalla tasca la banconota da 10 euro e il biglietto e lo consegna alla cassiera Signora (...), la quale avvisa immediatamente la cassa centrale per comunicare l'accaduto. Questo comportamento viene segnalato con mail odierna dalla committente. Vista la gravità dei fatti contestati ci riserviamo di sospenderla con effetto immediato dal servizio in attesa che lei fornisca le Sue osservazioni e giustificazioni nel termine di legge di cinque giorni dalla data di ricevimento della presente"; che in data 14/12/2020 il lavoratore rassegnava le proprie giustificazioni; che in data 22 gennaio 2021, non avendo ricevuto alcuna ulteriore comunicazione e protraendosi smisuratamente il periodo di sospensione irrogato sine die, il Sig. (...) inviava a (...) Società Cooperativa S.p.A., per il tramite dell'Avv. Cr.Sa., una missiva con cui contestava il provvedimento di sospensione adottato nei suoi confronti e diffidava la predetta società a reinserirlo regolarmente sul posto di lavoro; che tale missiva non veniva nemmeno riscontrata dalla società (...) Società Cooperativa S.p.A.; che a distanza di ben 51 giorni dalle rese giustificazioni, il Sig. (...) riceveva, mediante avviso immesso in cassetta in data 03.02.2021, un provvedimento disciplinare di licenziamento per giusta causa, datato 30 dicembre 2020, ma di fatto spedito, come risulta dal timbro postale apposto sulla busta, solamente in data 29.01.2021; che il licenziamento veniva intimato con effetto retrodatato dal 9.12.2020 e veniva motivato con l'asserita gravità dell'episodio contestato al lavoratore in data 9 dicembre 2020; che la società (...) non ha nemmeno riconosciuto e corrisposto al lavoratore: ? le retribuzioni relative al periodo di sospensione iniziato il 10 dicembre 2020 e terminato con la comunicazione del licenziamento per giusta causa in data 3 febbraio 2021; ? gli importi relativi alle ore di lavoro supplementare lavorate dal Sig. (...) nel mese gennaio 2020, per complessivi Euro 252,83, come risulta dal cedolino presenze , dalla busta paga e dai conteggi effettuati dal Sindacato (...); che inoltre, nel periodo dall'11/07/2020 al 4/08/2020, il Sig. (...) è stato sottoposto ad isolamento domiciliare per avere contratto il Covid 19, come risulta dalla certificazione dell'(...) allegata e tuttavia la società (...), per il periodo di quarantena a cui è stato sottoposto il lavoratore, non gli ha riconosciuto il periodo di malattia ma ha calcolato i giorni di assenza come periodo di ferie. Tanto premesso eccepiva la inefficacia, illegittimità, nullità e/o annullabilità del provvedimento di licenziamento adottato oltre il termine di trenta giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le sue giustificazioni ai sensi del disposto di cui all'art. 49 del C.C.N.L. Multiservizi. In via subordinata eccepiva l'insussistenza ed infondatezza della giusta causa addotta per il licenziamento posto che la pretestuosità della motivazione addotta per il licenziamento emerge all'evidenza ove si consideri che il lavoratore in tanti anni di servizio all'interno del Gigante non è mai venuto meno ai propri doveri; che per il fatto addebitato al lavoratore, e contestato in data 9 dicembre 2020 doveva essere irrogata al più al lavoratore una sanzione disciplinare conservativa. Rilevava che il sig. (...) ha prelevato la banconota da 10 euro e l'ha consegnata, senza quindi porre in essere alcun comportamento riprovevole o rimproverabile sotto qualsivoglia aspetto e , comunque, nella denegata ipotesi si volesse accogliere la ricostruzione operata dal datore di lavoro, non può non tenersi in considerazione la particolare tenuità del fatto che in alcun modo potrebbe essere perseguito ai termini di legge o sanzionatori, dato appunto l'esiguo importo di 10 euro e la condotta tenuta dal lavoratore il quale consegnava la banconota alla cliente. Eccepiva altresì la illegittimità della sospensione disposta dal datore di lavoro (...) Società Cooperativa per Azioni superiore ai 10 giorni ( dal giorno 10 dicembre 2020 al giorno 3 febbraio 2021) per violazione dell'art. 49 punto D del CCNL di settore con la conseguenza che deve essere riconosciuto al lavoratore il pagamento del predetto periodo nella misura di Euro 2.575,05, come da analitica differenze salariali cedolini predisposta dalla (...). Rivendicava inoltre il pagamento delle ore di lavoro supplementare effettuate dal lavoratore nella mensilità di gennaio 2020 sottolineando che dai conteggi eseguiti dalla (...) risulta che il ricorrente ha percepito in busta paga Euro 1.075,00 anziché la somma realmente dovuta per le ore effettivamente lavorate di Euro 1.327,89 , con la conseguenza che il ricorrente vanta un credito nei confronti della datrice di lavoro di Euro 252,83 Rilevava infine che i giorni erroneamente indicati nelle buste paga di luglio e agosto 2020 come periodo di ferie, per complessive 95,5 ore, dovranno essere riconosciuti e pagati al lavoratore quanto ad Euro 407,93 per i giorni di malattia dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e quanto ad Euro 793,19 per i giorni di ferie erroneamente inseriti in busta paga che andavano, invece, regolarmente liquidate al lavoratore al termine del rapporto contrattuale , con un credito ulteriore quindi di Euro 1.201,12 Rassegnava le conclusioni indicate in epigrafe. Si costituiva (...) Cooperativa Sociale per azioni contestando la fondatezza del ricorso. In punto di fatto il procuratore della convenuta esponeva che il giorno 7 dicembre 2021 (...) Cooperativa Sociale per azioni riceveva dal responsabile Appalti e locazioni della società (...) s.p.a., nonché responsabile della gestione dei centri commerciali " (...)" una mail con la quale comunicava che il dipendente della convenuta, addetto alle pulizie, era stato visto mentre raccoglieva una carta e una banconota da 10 Euro e li infilava in tasca; che una cliente del (...) si accorgeva di questo comportamento del lavoratore e chiedeva a quest'ultimo di consegnare il tutto alla cassiera.; che il fatto avvenuto il 4 dicembre 2021 intorno alle 13,15 è stato segnalato dall'Ufficio di sicurezza in data 06/12/2020 ; che a seguito di richiesta di colloquio formulata a mezzo della (...) le parti si sono incontrate in data 14.12.2020 e in quella sede il lavoratore (...) ammetteva di avere raccolto il biglietto e la banconota di 10 Euro ed ammetteva altresì che una cliente del centro commerciale (...) sosteneva che essi erano caduti dalla borsa alla cliente che la precedeva, ma negava invece di avere messo i soldi in tasca; che la versione del lavoratore non era ritenuta convincente dalla (...) Cooperativa Sociale per azioni e pertanto quest'ultima in data 30/12/2020 intimava al proprio dipendente (...) licenziamento per giusta; che la suddetta lettera di licenziamento è stata inviata al lavoratore (...) in data 30/12/2020 a mezzo PEC presso la (...), come si evince dalla ricevuta di accettazione e di consegna della PEC in atti ; che la lettera di licenziamento è stata altresì inviata a mezzo (...) al numero di cellulare del lavoratore (...) in data 28/01/2021 ed è stata inviata a mezzo mail all'indirizzo mail del lavoratore in data 28/01/211 e che , infine , la suddetta lettera di licenziamento, datata 30/12/2020 è stata inviata al signor (...) presso la sua residenza anche con raccomandata a.r. in data 29/01/2021, come confermato dallo stesso ricorrente nel suo ricorso e come si evince dalla ricevuta di ritorno prodotta in atti ; che la gravità del comportamento contestato deriva dal fatto che il lavoratore (...) si è appropriato della banconota di 10 Euro, mettendola in tasca e che, soltanto dopo l'intervento di una (...) che ha assistito al fatto, il lavoratore (...) ha consegnato la banconota; che la gravità del fatto giustifica la sanzione irrogata del licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art. 49 del contratto collettivo di lavoro Multiservizi; che il lavoratore ricorrente non soltanto ha provocato una lesione dell'immagine aziendale, ma ha comportato per l'azienda resistente un danno ancora maggiore visto che, come si evince dalla mail inviata dal responsabile Appalti e locazioni della Società (...) s.p.a., che ha appalto il servizio di pulizia delle parti comuni del (...)Q. s.p.a. ((...)) di (...) alla (...) Società Cooperativa per azioni, ha rischiato, e rischia tuttora di perdere l'appalto, con la conseguenza che nell'ipotesi di specie il danno non è soltanto quantificato nella somma di Euro 10,00, ma è bensì rappresentato dal rischio concreto per la resistente (...) Cooperativa Sociale per azioni, di perdere l'appalto; che l'eccezione di tardività del licenziamento è infondata in quanto la (...) nella persona di (...) ha rappresentato a tutti gli effetti il lavoratore (...), nella vertenza in oggetto, con la conseguenza che la comunicazione del licenziamento effettuata a mezzo PEC è a tutti gli effetti efficace in quanto assolutamente idonea ad introdurre nella sfera di conoscenza del lavoratore il provvedimento di licenziamento; che l'art. 2 della L. 15 luglio 1966, n. 604, infatti, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore, senza prescrivere particolari modalità della comunicazione stessa , essendo necessario e sufficiente che l'atto di recesso datoriale sia portato a conoscenza del lavoratore, come è senza dubbio avvenuto nel caso di specie. Rilevava infine che la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro formulata dal ricorrente è infondata in quanto incompatibile con l'eccezione di licenziamento tardivo sollevata dallo stesso ricorrente e che sul punto si sono pronunciate le Sezione Unite della Cassazione Civile che hanno escluso che la tardività della contestazione possa essere sanzionata con la tutela reale Concludeva chiedendo il rigetto del ricorso, La causa, istruita sulla documentazione versata in causa dalle parti , all'odierna udienza veniva discussa e decisa. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Le scansioni temporali del procedimento disciplinare oggetto di causa sono pacifiche. Il 9.12.2020 il datore di lavoro ha elevato al ricorrente la contestazione disciplinare datata 7.12.2020 ed ha contestualmente sospeso il dipendente dal servizio ; in data 14.12.2020 il ricorrente ha presentato le proprie giustificazioni ; in data 28.1.2021 la convenuta ha comunicato il licenziamento tramite la piattaforma (...) e via mail e in data 29.1.2021 la missiva contenente il recesso è stata inoltrata al ricorrente anche mediante raccomandata. La ricevuta di avvenuta consegna della PEC contenente il messaggio "licenziamento (...) inviata da (...) a (...) - (...), peraltro depositata in console tardivamente dal procuratore della società convenuta, non può essere considerato valida comunicazione del licenziamento". Se è vero che secondo la Corte di Cassazione il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione del documento scritto nella sua materialità, è altrettanto vero che il recesso deve essere comunicato al destinatario dell'atto stesso o , quanto meno, ad un soggetto terzo al quale il primo ha dato mandato di ricevere atti giuridici per suo conto e nel suo interesse. Nessuna procura è stata rilasciata dal ricorrente alla Federazione italiana lavoratori commercio, albergo, mensa e servizi e, in ogni caso, non vi è alcun elemento in atti da cui poter desumere che l'organizzazione sindacale (...) abbia reso edotto il ricorrente del contenuto della PEC che pare essere accettata dal sistema in data 30.12.2020. Pertanto deve escludersi che il rapporto sia stato validamente interrotto con la pec inoltrata dalla società convenuta a (...). Del pari viziato è il licenziamento intimato con messaggistica (...) e con mail in data 28.1.2021 , nonché con lettera raccomandata 29.1.2021 in quanto comunicato ben oltre il termine massimo di 30 (trenta) giorni previsto dal C.C.N.L. applicabile al rapporto per cui è causa. Ai sensi dell'art. 49 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro MULTISERVIZI "i provvedimenti disciplinari più gravi del richiamo verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 (cinque) giorni lavorativi dalla formale contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa e non oltre 30 (trenta) giorni lavorativi dal ricevimento delle giustificazioni. Se il datore di lavoro non adotta alcun provvedimento entro il termine di 30 (trenta) giorni lavorativi dal ricevimento delle giustificazioni ovvero di 30 (trenta) giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le sue giustificazioni, la contestazione è annullata e priva di effetti". Ne deriva che la contestazione disciplinare non potrà che essere dichiarata inefficace in quanto il licenziamento è stato adottato indubbiamente oltre il termine di trenta giorni lavorativi dal termine assegnato al lavoratore per presentare le proprie giustificazioni ai sensi del disposto di cui all'art. 49 del C.C.N.L. Multiservizi. La giurisprudenza si è posta la questione se prima della scadenza del termine previsto dal CCNL il datore di lavoro debba semplicemente adottare ed inviare la sanzione, ovvero se sia necessario che il lavoratore riceva la relativa comunicazione. L'orientamento prevalente ha fatto affidamento sul dato letterale della clausola contrattuale ritenendo sufficiente la semplice adozione del provvedimento disciplinare allorché la norma contrattuale utilizzi termini quale "spedire", "adottare", o "irrogare" e reputando viceversa che il provvedimento disciplinare debba essere anche ricevuto dal lavoratore qualora la clausola contrattuale faccia riferimento alla "comunicazione" della sanzione. Secondo un diverso orientamento di merito, al quale si ritiene di aderire, la sanzione dovrebbe invece essere portata a conoscenza del destinatario (e non solo adottata) entro il termine previsto dal contratto collettivo, atteso che il provvedimento disciplinare ha natura recettizia e pertanto esplica effetti soltanto quando giunge all'indirizzo del destinatario. In ogni caso, nel caso in esame , per le ragioni sopra esposte , il licenziamento non può ritenersi neppure adottato entro i termini previsti dal CCNL perché il ritardo non è da imputare all'imprevedibile tempo necessario per comunicare l'atto espulsivo al dipendente e, quindi all'imponderabile momento della sua ricezione da parte del destinatario della sua , bensì alla illegittima scelta di licenziare il lavoratore comunicando la decisione ad un sindacato. Diversamente detto: il datore di lavoro ha adottato la decisione con una modalità in radice illegittima e, pertanto la contestazione disciplinare è priva di effetti e deve essere annullata ai sensi della norma contrattuale citata. Fatta questa premessa occorre valutare ora quali siano le conseguenze dell'annullamento della contestazione. Trova applicazione il cd Jobs act in quanto il rapporto di lavoro per cui è causa è stato istaurato in data 1.11.2018. Ritiene il Tribunale che la particolarità del caso in esame non consenta di applicare l'orientamento giurisprudenziale che riconduce l'ipotesi del licenziamento non preceduto dalla contestazione dei fatti posti a suo fondamento nell'alveo dell'insussistenza del fatto. Nella fattispecie vagliata, infatti , la contestazione degli addebiti vi è stata ma per un vizio procedurale , ossia la violazione dei termini per l'intimazione del licenziamento , essa deve essere annullata e, pertanto , deve trovare applicazione l'art. 4 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23. Ritiene lo scrivente infatti che il vizio procedurale che affligge il licenziamento impugnato , qual è senza dubbio il mancato rispetto dei termini previsti dalla disciplina contrattual-collettiva, non possa trasmigrare all'interno della valutazione sostanziale in merito all'inesistenza del fatto contestato. Posto che la Corte Costituzionale con sentenza 24 giugno - 16 luglio 2020, n. 150, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alle parole "di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio", considerata l'anzianità di servizio del lavoratore, la particolare tenuità del fatto contestato, il numero degli occupati, le dimensioni dell'impresa e il comportamento e le condizioni delle parti, appare equo individuare l'indennità risarcitoria in 6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. Analizziamo ora le ulteriori domande svolte dal ricorrente. Esse devono essere integralmente accolte in quanto i fatti costitutivi delle stesse non sono stati minimamente contestati dalla convenuta e devono, quindi, ritenersi pacifici e accertati. In particolare, in ordine alla sospensione disposta dal datore di lavoro si osserva che ai sensi dell'art. 49, punto D CCNL Multiservizi la sospensione dal lavoro e della retribuzione si adotta - fino a 10 (dieci) giorni lavorativi - per mancanze gravi, a prescindere dall'entità del danno causato al datore di lavoro, quali (i) l'inosservanza ripetuta per oltre 2 (due) volte dell'orario di lavoro nello stesso mese, (ii) l'assenza ingiustificata di durata non superiore a 3 giorni anche non consecutivi, (iii) la mancata comunicazione della variazione di domicilio, (iv) l'inosservanza delle misure di prevenzione degli infortuni e delle relative disposizioni emanate dal datore di lavoro, (v) la presenza sul posto di lavoro in stato di alterazione, dovuto a sostanze alcooliche o stupefacenti, (vi) l'abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo, (vii) la consumazione di generi alimentari del datore di lavoro o di terzi presenti sul posto di lavoro, (viii) l'esecuzione di lavori per conto proprio o di terzi sul posto di lavoro, anche fuori dell'orario di lavoro, (ix) l'insubordinazione verso i superiori, (x) le irregolarità in materia di controllo delle presenze e (xi) ogni atto o comportamento indesiderati a connotazione sessuale, anche di tipo verbale, che offendano la dignità e la libertà della persona che li subisce, comprensivo del comportamento persecutorio e vessatorio (stalking); ....In caso di evento sanzionabile con il licenziamento, il datore di lavoro può disporre la sospensione cautelare del lavoratore, per un periodo massimo di 10 (dieci) giorni lavorativi e, qualora il licenziamento venga disposto, l'effetto del provvedimento decorre dal momento della sospensione". Pertanto deve dichiararsi illegittima la sospensione disposta dal datore di lavoro (...) Società Cooperativa per Azioni superiore ai 10 giorni ed andrà riconosciuto al lavoratore il pagamento della somma di Euro 2.575,05, come da conteggi (...) in atti non contestati. In riferimento alla mensilità di gennaio 2020, dalla busta paga in atti emerge che le ore lavorate dal ricorrente non sono state correttamente retribuite. Dai conteggi eseguiti dalla (...) , prodotti dalla parte ricorrente e non contestati dalla parte convenuta, risulta che il ricorrente ha percepito in busta paga Euro 1.075,00 anziché la somma realmente dovuta per le ore effettivamente lavorate di Euro 1.327,89 e, pertanto, il datore di lavoro deve essere condannato al pagamento della somma di Euro 252,83. Infine, dagli atti di causa emerge che nel luglio dell'anno 2020 (...) ha contratto il Covid 19, a causa del quale è stato sottoposto ad isolamento domiciliare per il periodo intercorrente dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e che tale periodo di assenza del ricorrente dal posto di lavoro è stato, illegittimamente considerato dalla società resistente come periodo di ferie, benché la malattia sia stata regolarmente certificata dall'(...) (cfr. docc. 14 e 15 di parte ricorrente). I giorni erroneamente indicati nelle buste paga di luglio e agosto 2020 come periodo di ferie, per complessive 95,5 ore, dovranno essere riconosciuti e pagati al lavoratore quanto ad Euro 407,93 per i giorni di malattia dall'11/07/2020 al 4/08/2020 e quanto ad Euro 793,19 per i giorni di ferie erroneamente inseriti in busta paga ma che avrebbero dovuto invece essere regolarmente liquidati al lavoratore al termine del rapporto contrattuale; il ricorrente, quindi, vanta nei confronti della convenuta un ulteriore credito di Euro 1.201,12 come da conteggio non contestato sub doc. 12 di parte ricorrente. In conclusione , il rapporto di lavoro deve dichiararsi risolto e la società convenuta deve essere condannata al pagamento in favore del ricorrente di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre agli accessori di legge (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI dovrà essere condannata inoltre al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di Euro 4029,00 a titolo di differenze retributive , oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Le spese di lite seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata in dispositivo. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa , così provvede: dichiara risolto il rapporto di lavoro fra le parti alla data del licenziamento e condanna (...) SOCIETA' COOPERATIVA PER AZIONI , in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di (...) di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, oltre agli accessori di legge; condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 4029,00 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria nonché alla rifusione delle spese di lite sostenute dallo stesso che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre rimb. forf, iva e cpa di legge da distrarsi a favore dei procuratori antistatali. Così deciso in Mantova il 16 dicembre 2021. Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MANTOVA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Venturini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2190/2018 promossa da: (...) SRL rappresentata e difesa dall'Avv.to MO.PI. ATTRICE contro (...) rappresentato e difeso dall'Avv.to COLOMBO PAOLO e dall'Avv.to BERTOLINI MONICA CONVENUTO e con la chiamata in causa di (...) PLC- Rappresentanza Generale per l'Italia rappresentata e difesa dall'Avv.to BE.GU. e dall'Avv. BE.FR. TERZA CHIAMATA Oggetto: Responsabilità professionale FATTO Con atto di citazione ritualmente notificato (...) s.r.l. (di seguito (...)) conveniva in giudizio l'architetto (...) allegando: di aver partecipato alla vendita immobiliare senza incanto relativa alla procedura esecutiva del Tribunale di Mantova rubricata al n. 501/2013 avente ad oggetto una casa unifamiliare (lotto 1) ed un edificio destinato a capannone con annessa area cortiva (lotto 2), posti nel Comune di Curtatone (MN) in via (...) n. 56, risultandone aggiudicataria, quanto al lotto 1 per il prezzo di Euro.209.925,00 e quanto al lotto 2 per il prezzo Euro.64.100,00, beni alla stessa trasferiti con decreto del Giudice dell'Esecuzione in data 16/06/16; che la perizia tecnica di stima degli immobili riguardanti l'esecuzione in oggetto era stata effettuata dall'architetto (...), il quale aveva attestato, in relazione all'immobile di cui al lotto 1 ("edificio destinato a casa unifamiliare posto nel comune di Curtatone (MN) alla via (...) n. 56, composto da un piano terra ed un piano primo, con due tettoie e centrale termica poste alle esterno ed area cortiva ad uso esclusivo") quanto segue "... In data 17 marzo 2005 veniva presentata la richiesta del certificato di agibilità, in data 4 aprile 2005 il Comune di Curtatone emetteva una richiesta di documentazione integrativa, con sospensione dei termini, alla richiesta del certificato di agibilità. Pertanto l'immobile oggetto della perizia risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all'integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro.800,00, comprensivo di spese tecniche", e, in relazione all'immobile di cui al lotto n. 2 ("edificio destinato a capannone con annessa area cortiva, posto nel comune di Curtatone (MN) alla via (...) n. 56") che lo stesso: "... risulta privo di Concessioni Edilizie e, di conseguenza, di certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'Ufficio Tecnico, che comporterà un onere di circa Euro.2.500,00, comprensivo di spese tecniche per predisposizione della domanda"; che dalla suddetta perizia risultava quindi che la casa unifamiliare era conforme alle autorizzazioni e concessioni amministrative, ma non aveva il certificato di agibilità, per il cui rilascio era sufficiente provvedere ad integrare la documentazione richiesta dal Comune sostenendo una modica spesa, pari ad Euro.800,00 spese tecniche incluse e che il capannone, pur presentando degli abusi (mancanza di concessioni edilizie e di certificato di agibilità) poteva essere trasferito, in quanto l'abuso era sanabile; che infatti il divieto di trasferire gli immobili che presentano in tutto o in parte degli abusi non si applica alle vendite esecutive immobiliari in virtù del combinato disposto degli articoli 46, comma 5, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e art. 40, comma 6 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 e che se vi sono le condizioni previste ex lege, l'aggiudicatario è rimesso nei termini per la presentazione della domanda della concessione in sanatoria; che quando (...) si era rivolta all'Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone per chiedere la concessione in sanatoria della licenza edilizia relativa al capannone, precisando che aveva acquistato l'immobile da una procedura esecutiva, le era stato riferito che nel caso in esame non vi erano le condizioni previste dalla legge per ottenere la sanatoria, in quanto l'abuso non era sanabile poiché il capannone sorgeva in zona agricola sottoposta a vincolo; che ciò era stato confermato dal tecnico cui si era successivamente rivolta l'attrice, Geom. (...), il quale aveva appurato che "...l'edificio catastalmente contraddistinto al mapp.(...) sub.(...) del Fog. (...) e identificato come Lotto 2 nella Perizia di Stima, parag. 1 e 2 in premessa, non può essere oggetto di sanatoria, ai sensi degli artt. 31 e 36 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e s.m.i. in quanto in "zona agricola (E1)" compresa nella fascia di rispetto di interazione della zona agricola con le abitazioni isolate, ove non sono ammesse nuove costruzioni"; che l'arch. (...) nella sua relazione di stima aveva commesso un altro rilevante errore, nella parte in cui in relazione al lotto 1 aveva dichiarato che per ottenere il certificato di agibilità mancante della casa unifamiliare era sufficiente integrare la documentazione richiesta dal Comune con una spesa di "...circa Euro.800,00 comprensivo di spese tecniche", in quanto, interpellato un tecnico del settore, era emerso che la spesa preventivabile per ottenere le certificazioni era pari ad Euro 5.950,00, oltre ad Euro 2.600,00 per competenze professionali; che essendo la situazione emersa del tutto diversa da quella descritta nella perizia di stima, l'attrice aveva richiesto chiarimenti all'arch. (...), il quale non aveva fornito chiari riscontri e non aveva formulato alcuna proposta risarcitoria. Ciò premesso l'attrice, allegando la responsabilità civile del convenuto per i danni arrecati nello svolgimento dell'incarico, concludeva chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento dei danni dalla stessa subiti, consistenti nella differenza tra il prezzo corrisposto pari ad Euro 64.100,00 ed Euro 3.975,00 (Euro 60.125,00), nelle spese necessarie per la demolizione del capannone (alla quale l'attrice sarà obbligata, non potendo ottenere la sanatoria), quantificate in Euro 8.000,00, nelle maggiori spese ed interessi sostenuti e che si sosterranno per il mutuo ottenuto dall'attrice al fine di acquistare anche il lotto 2, quantificabili in circa Euro 5.000,00, nelle spese sostenute (Euro 594,50) e da sostenere sino alla demolizione per assicurare il capannone in oggetto e nella maggior somma necessaria per regolarizzare il lotto 1, importo pari ad Euro 7.750,00, per complessivi Euro 81.399,50, ovvero la minor o maggior somma che sarà dichiarata di giustizia e che risulterà in corso di causa. Il convenuto, tempestivamente costituitosi, contestava quanto allegato da parte attrice e chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti. In particolare allegava che la affermazione dell'attrice secondo la quale il capannone di cui al lotto 2 non era suscettibile di sanatoria era errata, essendo l'immobile compreso in Zona agricola E1, normata dall'art. 76 e non dall'art. 77 delle citate NTA, all'interno della quale è perfettamente ammessa la realizzazione di nuove costruzioni, ancorché in presenza di specifici requisiti di ordine funzionale e soggettivo, prevedendo infatti le norme in argomento che i permessi di costruire relativi ad interventi in Zona E1, anche ove consistenti nella realizzazione di nuove costruzioni, sono ammessi esclusivamente per opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alla residenza dell'imprenditore agricolo a titolo principale e dei dipendenti dell'azienda, nonché per le attrezzature e le infrastrutture produttive, e che detti titoli autorizzativi possono essere rilasciati solo ai soggetti di cui all'art. 60 della L.R. Lombardia n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditore agricolo a titolo professionale, titolare o legale rappresentante dell'impresa agricola); che pertanto, come rilevato dall'artch. (...) l'immobile era ed è perfettamente sanabile in presenza dei requisiti di ordine funzionale e soggettivo previsti dall'art. 76 delle NTA del Piano delle Regole di Curtatone e dall'art. 60 della L.R. n. 12 del 2005; che la legale rappresentante della società aggiudicataria, (...), era la figlia di (...), che aveva acquistato nel 1985 gli immobili per cui è causa, per poi conferirli, nel 2005 nella società (...) Limited, con atto in cui si specificava che il Sig. (...) era il referente di detta società e si ribadiva che il conferimento riguardava un edificio rurale con annessa area agricola; che il T. con la famiglia dal 1985 aveva sempre abitato la casa di cui al lotto 1, contigua al capannone di cui al lotto 2, per cui (...) conosceva perfettamente, al momento della formulazione dell'offerta poi risultata aggiudicataria, lo stato degli immobili e la loro destinazione urbanistica; che pertanto se la società aggiudicataria non era stata in grado di ottenere la sanatoria ciò dipendeva dalla mancanza dei requisiti soggettivi e funzionali e non da un divieto posto dalla normativa tecnica di attuazione, con conseguente assenza di responsabilità in capo al convenuto per i danni prospettati dall'attrice; che i documenti per ottenere il certificato di abitabilità per l'immobile di cui al lotto 1 erano unicamente ai documenti che erano stati descritti dallo stesso Comune di Curtatone nella raccomandata a.r. in data 4 aprile 2005 e che l'oblazione richiesta era di importo compreso fra un minimo di Euro 500,00 ed un massimo di Euro 1.000,00, con ciò risultando giustificato il costo medio indicato in perizia di Euro 800,00. Nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande di parte attrice il convenuto chiedeva la chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice, (...) Plc, per la responsabilità professionale, al fine di tenerlo indenne e manlevato dall'eventuale obbligo di risarcimento e/o di ottenere condanna della stessa a pagare direttamente alla società attrice quanto eventualmente dovuto. Autorizzatane la chiamata in causa, si costituiva (...) Plc, chiedendo in via principale il rigetto delle domande avanzate dall'attrice nei confronti del proprio assicurato e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di accertata responsabilità del proprio assicurato, accogliersi la domanda di manleva da questi formulata con le limitazioni, massimali, franchigie e scoperti di polizza. La causa veniva istruita mediante CTU. DIRITTO Le domande di parte attrice risultano fondate nei limiti di seguito indicati. Va qui anzitutto ricordato che l'esperto nominato dal giudice per la stima del bene pignorato è equiparabile, una volta assunto l'incarico, al consulente tecnico d'ufficio, sicché è soggetto al medesimo regime di responsabilità ex art. 64 c.p.c., e, in particolare, all'obbligo di risarcire i danni cagionati in violazione dei doveri connessi all'ufficio. L'arch. (...) è stato nominato dal (...), nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare n. 501/2013 promossa contro la società (...) Limited, perito estimatore dei beni immobili oggetto di esecuzione, con ordinanza 27.02.2014; l'incarico aveva ad oggetto pertanto, oltre agli accertamenti preliminari richiesti al perito, la determinazione del valore degli immobili pignorati e la formazione di lotti per gruppi omogenei; il perito, effettuato sopralluogo ed ogni altro accertamento richiesto presso i pubblici uffici, "considerate le caratteristiche del cespite pignorato, costituito da due unità immobiliari ben distinte e insistenti su due aree anch'esse ben distinte (mappale (...) e mappale (...))" ha proceduto alla formazione di due lotti, previa "l'individuazione catastale dell'edificio del secondo lotto" e di altre due unite a servizio di altro mappale, di cui non era stato eseguito l'accatastamento, comprendendo nel primo lotto l'edificio bifamiliare e nel secondo lotto "un capannone isolato", suddiviso in due zone, di cui una destinata ad officina meccanica e l'altra a ricovero attrezzi; quanto all'accertamento richiesto dal (...) degli "estremi della licenza o della concessione edilizia", dell'eventuale assenza di licenza o concessione o di realizzazioni effettuate in difformità e, in caso di mancata presentazione di domanda di condono edilizio da parte del proprietario, dei relativi costi "assumendone le opportune informazioni presso gli uffici comunali competenti", il perito ha specificato che l'immobile di cui al lotto 1, verificata la documentazione presente presso il Comune di (...), "risulta regolarmente autorizzato, ma privo del relativo Certificato di agibilità. Sarà pertanto necessario provvedere all'integrazione di documentazione richiesta dal Comune, pratica che comporterà un onere di circa Euro 800,00, comprensivo di spese tecniche", mentre "L'immobile del lotto n. 2 risulta privo di Concessione Edilizia e, di conseguenza, di Certificato di Agibilità; pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda". Il perito ha quindi attribuito al lotto 1 un valore di mercato di Euro 357.200,00 e al lotto 2 un valore di mercato di Euro 106.400,00 (doc. 4 parte attrice e doc. 3 parte convenuta). Nella perizia si specifica che "viene allegata, quale parte integrante e sostanziale della presente, la documentazione dell'Ufficio Tecnico del Comune di Curtatone", che dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 6) risultano essere, oltre alle "certificazioni edilizie", la lettera 4 aprile 2005 del Comune di Curtatone. Nella parte relativa al quesito sulla regolarità urbanistica degli immobili pignorati, come allegato da parte attrice, il perito estimatore si è limitato ad indicare l'assenza di concessione edilizia quanto al capannone di cui al lotto 2 e che "pertanto sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico, tale domanda comporterà un onere di circa Euro 2.500,00, comprensivo delle spese tecniche per la predisposizione della domanda". Al CTU incaricato, ing. (...), è stato quindi richiesto di verificare se all'epoca della redazione della perizia di stima effettuata dal convenuto (23.06.2014) nell'ambito della procedura esecutiva n. 501/13 R.G. e dedotta in lite, era possibile procedere a sanatoria dell'immobile di cui al lotto 2 della perizia e nell'ipotesi in cui fossero richiesti requisiti soggettivi e funzionali specifici, di procedere alle ulteriori determinazioni di cui si dirà. Il CTU ha accertato che: "Gli immobili, citati come Lotto 1 e Lotto 2 ed oggetto della perizia estimativa del Convenuto datata 23.6.2014, appartenevano alla data di redazione della stessa perizia alla società (...) Limited, società che non risulta avesse svolto attività agricola, ed erano ad essa pervenuti tramite atto di conferimento da parte del precedente proprietario, sig. (...), che non risulta fosse imprenditore agricolo professionale, stipulato dal notaio (...) di (...), rep. (...), in data (...). Come dal rogito di cui in Allegato B, il sig. (...) acquisiva la proprietà dell'immobile identificato come Lotto 1 e dell'area agricola su cui ora insiste anche il capannone facente parte dei beni identificati come Lotto 2 in data 6.3.1985 dalla precedente proprietaria signora Z.M.. Come risulta inequivocabilmente dalle planimetrie catastali allegate all'atto (ottava pagina del rogito) e dall'atto stesso, alla data del 6.3.1985 non esisteva il capannone facente parte del Lotto 2. L'immobile di cui al Lotto 2 non era quindi edificato prima del 1.9.1967, data di entrata in vigore della L. n. 765 del 1967 che prescriveva anche la necessità di specifico titolo edilizio per edificare qualunque nuovo immobile. Dalle fotografie aeree di seguito riportate tratte da Google Earth, si nota che la porzione più piccola del capannone fosse già presente nel 2003 (Figura 1), mentre la seconda porzione è stata realizzata successivamente tra il 2004 e il 2005, come risulta sempre dalle immagini disponibili, giungendo quindi alla configurazione attuale (Figura 2). Dagli atti di perizia non risultano rilasciati dal Comune di Curtatone dopo il 1967 titoli autorizzativi della costruzione del capannone insistente sul Lotto 2. Dall'epoca della stesura degli strumenti urbanistici del Comune di Curtatone, sino ad oggi, l'area su cui insiste l'immobile di cui al Lotto 2 è classificata quale Area Agricola E1, come risulta dall'estratto sotto riportato della Tavola B.1.2-D16 (Figura 3), con relativa legenda (Figura 4), del P.G.T. del Comune di Curtatone; in tale porzione territoriale è permessa l'edificazione solo in forza di titoli autorizzativi rilasciati ai soggetti di cui all'art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i. (imprenditori agricoli professionali o legali rappresentanti di imprese agricole - in Allegato C viene riportato l'estratto dell'articolo pertinente delle Norme Tecniche di Attuazione - art. 76), previa sottoscrizione di convenzione con la quale il titolare del titolo abilitativo alla costruzione si deve impegnare al mantenimento della destinazione agricola su aree di sua proprietà, o a sua disposizione, di superficie proporzionata a quella dell'edificio da costruire. Gli stessi requisiti soggettivi sopra richiamati, necessari per l'edificazione di nuovi immobili in area agricola E1, sono richiesti anche nel caso in cui il proprietario di un immobile parzialmente o totalmente abusivo, edificato in zona agricola E1, ne chieda sanatoria. L'immobile per cui è causa rientra anche nella fascia di rispetto d'interazione della zona agricola con abitazioni isolate (linea azzurra a tratteggio). Tale circostanza non inficia l'edificabilità da parte di soggetti che ne possiedono gli opportuni requisiti soggettivi, ma pone semplicemente dei limiti alla tipologia del nuovo insediamento, che non deve risultare di alto impatto nei confronti delle limitrofe aree residenziali, come sarebbe nel caso, ad esempio, dell'insediamento di nuove attività zootecniche. Pertanto, nel caso di specie, alla data del 23.6.2014 era possibile procedere a sanatoria dell'immobile insistente sul Lotto 2 solo da parte dei soggetti in possesso degli specifici requisiti soggettivi e funzionali di cui all'art.60 della L.R. n. 12 del 2005 e s.m.i., ed in possesso anche di sufficiente area agricola in relazione alle superfici da edificare". Come sostenuto dal convenuto l'immobile abusivo era quindi sì sanabile, ma unicamente da soggetti in possesso di specifici requisiti soggettivi e funzionali, presupposto di cui non vi è traccia nella perizia estimativa; tale dato, all'evidenza, era di fondamentale rilievo ai fini della perizia estimativa, ossia al fine sia di rendere edotti i possibili acquirenti dell'effettivo stato di fatto e di diritto dei beni che dovevano essere posti in vendita all'asta, sia, soprattutto, incidendo tale dato in maniera significativa sulla determinazione del valore di mercato dell'immobile abusivo, corrispondendo il valore attribuito al bene dal perito al valore di un immobile "sanato", sanatoria ottenibile nel caso non da qualsiasi possibile acquirente (come previsto per l'aggiudicatario di immobile acquistato da procedura esecutiva), ma da una platea ristretta di soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa urbanistica, comportando invece la mancata sanatoria il possibile ordine di demolizione da parte del Comune o, in ogni caso, l'impossibilità di rivendere privatamente a terzi un immobile abusivo. Deve quindi affermarsi che tale omissione, nella perizia estimativa, integri violazione da parte del perito dei doveri sullo stesso gravanti nell'adempimento dell'incarico ricevuto, avendone inficiato i risultati e lo scopo; la perizia, parte integrante dell'avviso di vendita all'asta dell'immobile, in assenza della specificazione dei requisiti necessari per ottenere la sanatoria, era inidonea a rendere edotti i possibili acquirenti del reale stato giuridico dell'immobile posto in vendita (non potendo ritenersi, come sostenuto dal convenuto, che fosse onere di ogni possibile soggetto interessato informarsi direttamente presso il Comune di Curtatone sulle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui ricade l'immobile, essendo la destinazione agricola di detta zona "pacificamente identificabile alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone) e, soprattutto, del fatto che il valore attribuito al bene era quello ivi indicato solo nell'ipotesi in cui l'acquirente avesse posseduto i requisiti soggettivi e funzionali per poter procedere a sanatoria. E' pacifico che la società aggiudicataria di entrambi i lotti, (...) s.r.l., non possieda i requisiti soggettivi richiesti per procedere alla sanatoria. Come statuito dalla Suprema Corte "Il perito di stima nominato dal giudice dell'esecuzione risponde nei confronti dell'aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell'erronea valutazione dell'immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell'incarico, tale da determinare una significativa alterazione della situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell'acquirente". (v. Cass. Civ. n. 13010/2016). Il grave vizio della perizia estimativa, imputabile ad inadempimento colposo del perito nell'esecuzione degli atti richiesti (non avendo verificato i presupposti di una possibile sanatoria di immobile totalmente abusivo compreso in zona agricola e quindi delle ricadute di tale condizione giuridica sul valore di mercato del bene) deve ritenersi sicuramente incidente, sotto il profilo causale, sulla determinazione dell'aggiudicataria all'acquisto del bene alle condizioni di vendita di cui al bando d'asta, non potendo quest'ultima che confidare nella indicata possibilità di sanatoria dell'immobile, con la modica spesa indicata dal perito; ne consegue pertanto la responsabilità di quest'ultimo per i danni subiti dall'aggiudicataria e causalmente riconducibili all'accertato inadempimento. Va qui rigettata la difesa del convenuto secondo la quale tale responsabilità e il conseguente diritto al risarcimento in capo all'attrice dovrebbe escludersi, per essere la legale rappresentante della società la figlia dell'originario proprietario (conferente gli immobili alla società debitrice esecutata) e per aver la stessa vissuto nell'abitazione confinante con il lotto su cui sorge il capannone abusivo e quindi soggetto che era a conoscenza della destinazione urbanistica dell'immobile e in grado di valutarne la sanabilità al momento della formulazione dell'offerta. Tale "sillogismo" non ha alcun fondamento, non derivando certo dal mero rapporto familiare con il (presumibile) autore dell'abuso edilizio la effettiva conoscenza in capo ad un soggetto non solo del commesso abuso, ma anche delle norme urbanistiche applicabili nella zona in cui sorge l'edificio e dei requisiti richiesti per la sanatoria, trattandosi di competenze che non appartengono al quisque de populo, ma unicamente ai tecnici (tanto che la stima dei beni esecutati viene affidata ad un "perito", ossia ad un esperto del settore), e non potendo (e dovendo) il partecipante ad un'asta pubblica fare affidamento che su quanto riportato nella perizia estimativa, ove il bene è identificato come "capannone isolato", della superficie complessiva di mq 185,00, "posto centralmente rispetto all'ampia area esterna" di circa mq 4.054 (con dettagliata descrizione delle caratteristiche costruttive e delle aree interne), privo di concessione edilizia, e, come già riportato, per il quale viene indicato esclusivamente che "sarà necessario provvedere alla presentazione di una domanda di sanatoria presso l'ufficio tecnico". Va peraltro sottolineato che "Il perito nominato dal giudice ... risponde, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell'aggiudicatario per il danno da questi patito in conseguenza dell'erronea valutazione del bene qualora, nell'esecuzione della prestazione, non osservi la diligenza professionale qualificata richiesta - ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. - allo specialista in relazione alla natura dell'attività esercitata ed alle circostanze concrete del caso, incombendo, comunque, sul medesimo professionista di dare la prova della particolare difficoltà della detta prestazione" (Cass. Civ. n. 8486/2000, relativa ad ipotesi analoga di stima dei beni del fallito). Nel caso la difesa dello stesso convenuto ha sostenuto che la disciplina urbanistica applicabile era facilmente verificabile ed accertabile, "alla luce delle NTA del Piano delle Regole del Comune di Curtatone", essendo gli immobili "compresi infatti in Zona agricola E1, normata dall'art. 76 di dette NTA". Ciò premesso il danno subito dall'aggiudicataria non può identificarsi, come allegato, nella "differenza tra il valore del prezzo pagato e quello che sarebbe stato versato se non fosse subentrato "l'intervento colposo perturbatore" del perito e quindi se per il lotto 2 fosse stato valutato il valore del solo terreno", con ulteriore riduzione di quest'ultimo al 25%, essendosi la vendita realizzata in sede di secondo incanto. Per adempiere correttamente all'incarico il CTU avrebbe dovuto unicamente precisare che la sanatoria dell'immobile abusivo era possibile solo da parte di acquirenti in possesso dei requisiti previsti dalla normativa; nulla avrebbe quindi impedito alla procedura esecutiva di vendere all'asta l'immobile sulla base del valore dell'immobile "sanabile" a tali condizioni, non potendo escludersi a priori l'esistenza di soggetti interessati all'acquisto e in possesso dei requisiti, e la possibilità per la procedura, quindi, anche eventualmente con ulteriori esperimenti d'asta e ribassi, di acquisire un corrispettivo comunque superiore al solo valore del terreno su cui è stato edificato l'immobile abusivo. Il danno derivante dall'omissione del CTU, che ha determinato all'acquisto un soggetto che non può ottenere la sanatoria e che ora è proprietario di un immobile abusivo, non legittimamente utilizzabile e che non può essere rivenduto a terzi, se non previa demolizione dell'edificio (unica modalità con la quale può essere ripristinata dall'attuale proprietario la regolarità urbanistica del lotto), è quindi costituito non dalla differenza fra il prezzo di aggiudicazione e il prezzo a cui sarebbe stato venduto all'asta il nudo terreno, ma dalle spese necessarie per la demolizione del capannone e dalla differenza fra il prezzo corrisposto dall'attrice per l'acquisto (Euro 64.100,00) e il valore di mercato del lotto 2, ossia il valore di mercato del solo terreno. Tali determinazioni sono state affidate al CTU nominato, ing. (...), il quale ha quanto ai costi di demolizione, ha specificato quanto segue: "Con riferimento ai preziari ufficiali della Camera di Commercio di Mantova riferiti al 2014, la demolizione completa, eseguita prevalentemente con mezzi meccanici, di fabbricati isolati con struttura prevalente in muratura fino al piano di spiccato, valutati a metro cubo vuoto per pieno, escluso il trasporto delle macerie a discarica, ha un costo di 5 euro/mc. Ipotizzando l'operazione di demolizione effettuata con apposite macchine munite di pinze demolitrici, che non richiedono l'utilizzo di ponteggi, il costo di demolizione viene stimato in circa 5.000 euro, tenendo conto anche della demolizione delle parti più superficiali delle fondazioni, cui vanno sommati gli oneri di conferimento e smaltimento a discarica dei rottami di demolizione non ferrosi, stimati in 130 t circa, pari a circa 2.000 euro, per un totale di 7.000 euro. Il costo di demolizione delle parti metalliche viene considerato compensato dai ricavi derivanti dal conferimento degli stessi al rottamatore"; quanto al valore di mercato del terreno il CTU, premessi i criteri di stima utilizzati, il CTU ha ritenuto di poter far riferimento ai valori agricoli medi del 2014 per la zona agraria n. 5 della provincia di Mantova relativamente a terreni con destinazione a seminativo (come risultava catastalmente fino al 2005, prima dell'accatastamento come area urbana), pari a 4 euro/mq, quantificandone quindi, con argomentazioni che devono essere qui totalmente condivise, il valore complessivo in Euro 16.956,00 (quantificazione non contestata sotto il profilo tecnico quanto ai criteri utilizzati dal CTU, essendosi parte attrice limitata a riportare come "più corretta" la stima del proprio CTP, senza tuttavia confutare la risposta del CTU alle osservazioni del CTP di parte attrice, in cui il CTU ha confermato che "Il valore unitario di stima rappresenta effettivamente un valore medio delle contrattazioni di aree agricole nel sito oggetto di causa"). Al fine di quantificare il danno subito dalla società attrice (all'epoca del suo verificarsi, identificabile nella data di acquisto dei beni) gli importi indicati dal CTU (con riferimento alla data di redazione della perizia) devono quindi essere rivalutati dal 23.06.2014 (data della perizia) al 16.06.2016 (data del decreto di trasferimento); effettuata tale operazione le spese di demolizione risultano pari ad Euro 6.972,00 e il valore del terreno pari ad Euro 16.888,18 (essendosi verificata nel periodo deflazione). Il danno subito dall'attrice risulta pertanto quantificabile, alla data del 16.06.2016, in complessivi Euro 54.183,82 (Euro 64.100,00 - 16.888,18 + 6.972,00). Quali ulteriori voci di danno la società attrice in comparsa conclusionale non ha più fatto valere le spese assicurative del capannone, enunciate invece in atto di citazione, voce di danno che, in ogni caso, non può ritenersi danno conseguente all'inadempimento del perito, ma alla scelta dell'attrice di assicurare un immobile che sapeva essere abusivo e non sanabile, ed ha ribadito (in relazione al lotto 2 qui in esame) il risarcimento dovutole per i maggiori costi sostenuti e che dovrà sostenere per il mutuo contratto al fine di acquistare anche il lotto 2. In particolare la società attrice, allegando che "la condotta dell'Architetto (...) ha inciso sulla valutazione del bene di cui al lotto 2, costringendo la società attrice a richiedere un finanziamento per la somma di euro Euro 250.000,00 mentre lo avrebbe domandato per un importo inferiore, non superiore ad Euro 200.000,00 se il prezzo del lotto 2 fosse stato quello effettivo e non quello frutto dell'errore compiuto dall'Arch. (...)" e producendo il piano di ammortamento del mutuo asseritamente concesso per la somma di Euro 250.000,00 (doc. 11 prodotto in allegato all'atto di citazione) con quello (doc. 21), effettuato dalla stessa Banca e relativo ad un finanziamento sempre alle medesime condizioni, ma per in importo di Euro 200.000,00, ha affermato che tale voce di danno ammonta ad Euro 17.336,20 (corrispondente alla differenza fra gli interessi dovuti nelle due ipotesi di mutuo). Tale voce di danno non è stata dimostrata. La società attrice si è limitata a produrre i citati "piani di ammortamento", ma non ha prodotto né il contratto di mutuo che secondo quanto allegato avrebbe stipulato per procedere all'acquisto, né altra documentazione o richiesto prove volte a dimostrare la necessità, per la stessa, di ricorrere al prestito bancario al fine di acquistare i beni in questione. In assenza di prova nulla può pertanto riconoscersi a tale titolo. L'attrice ha lamentato ulteriore danno imputabile a responsabilità del perito, allegando una erronea quantificazione dei costi indicati in perizia al fine di ottenere il certificato di agibilità relativo alla casa bifamiliare di cui al lotto 1, spese indicate in perizia in complessivi Euro 800,00 e che in realtà, secondo quanto allegato, ammonterebbero ad importo superiore, quantificato in citazione in almeno Euro 8.550,00, come da preventivo richiesto a tecnico di fiducia. Anche in merito è stato richiesto accertamento al CTU nominato, il quale ha verificato, come correttamente riportato in perizia, che la richiesta del certificato di agibilità era stata presentata dal sig. (...) in data 17.3.2005, protocollo comunale n. (...), relativamente alla pratica edilizia n. 23/02 relativa alla ristrutturazione ed ampliamento del fabbricato di cui al Lotto 1 e che il relativo procedimento amministrativo era stato interrotto dall'ufficio comunale competente in data 4.4.2005 (come da comunicazione in pari data, allegata alla perizia) a causa della non completezza della documentazione presentata in allegato alla richiesta del certificato di agibilità; che alla data del 23.6.2014 lo stesso procedimento amministrativo, nonostante il tempo trascorso, poteva ancora essere riaperto presentando i documenti mancanti richiesti dall'Ufficio comunale con la lettera 4.04.2005. Il CTU ha quindi determinato, essendo state abolite le tariffe minime professionali, i costi necessari per l'acquisizione delle certificazioni ancora mancanti (altre essendo state acquisite dalla stessa procedura esecutiva a mezzo dello stesso perito), sulla base della propria esperienza professionale, in complessivi Euro 3.230,00; rispondendo alle osservazioni del CTP di parte convenuta e della terza chiamata, ha precisato "Si concorda con quanto osservato da alcuni CTP relativamente all'abolizione delle tariffe professionali. I valori esposti dal CTU per quanto riguarda i costi di sanatoria derivano da valutazioni personali dedotte dalla propria esperienza professionale, non escludendo che si possano ricevere offerte di professionisti con proposte di parcella a valori inferiori o superiori. A prescindere dai condivisibili rilievi del CTP di parte convenuta, ing. (...), secondo i quali alcune certificazioni mancanti, quali la dichiarazione di conformità delle opere realizzate, rientrano nella documentazione che il progettista fornisce nell'ambito della sua attività, senza alcun ulteriore esborso per il cliente, e dal fatto che i costi effettivi per spese tecniche potrebbero essere inferiori a quelli quantificati dal CTU, nel caso deve comunque escludersi una responsabilità risarcitoria in capo al perito, conseguente ad una errata determinazione dei costi per l'ottenimento del certificato di agibilità, trattandosi di una differenza comunque di importo limitato a due-tremila euro, a fronte di un valore di mercato dell'immobile di Euro 357.200,00 e di un prezzo di acquisto corrisposto dall'aggiudicataria di Euro 209.925,00. Nel caso alla perizia era stata allegata la comunicazione dell'Ufficio Comunale con l'elencazione dei documenti mancanti e necessari per il completamento della pratica, per cui l'aggiudicatario era sicuramente nelle condizioni di valutare i relativi costi, ma soprattutto, per quanto qui rileva, non può in alcun modo presumersi che l'ammontare di tali costi sia stata condizione influente sul consenso dell'aggiudicataria all'acquisto, non essendo stato neppure allegato che eventuali costi superiori a quelli indicati dal perito l'avrebbero fatta desistere dall'acquistare il bene all'asta. In applicazione dei principi espressi dalla Suprema Corte in materia e già sopra riportati deve quindi escludersi che il convenuto sia tenuto a risarcire all'attrice eventuali maggiori costi che la stessa debba sostenere al fine di ottenere il certificato di agibilità dell'immobile di cui al lotto 1, con conseguente rigetto della relativa domanda risarcitoria. Ciò accertato, vertendosi in ipotesi di risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale e quindi di debito di valore, la somma sopra indicata in complessivi Euro 54.183,82, corrispondente al danno accertato in capo all'attrice alla data del suo verificarsi (16.06.2016), ai fini della liquidazione del danno all'attualità, deve essere annualmente rivalutata secondo gli indici ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai e sulla somma annualmente rivalutata debbono calcolarsi (ai fini del risarcimento dell'ulteriore pregiudizio rappresentato dalla perduta possibilità per il danneggiato di disporre tempestivamente della somma dovutagli, e che costituisce componente necessaria del danno risarcibile) i c.d. interessi compensativi, in misura che si ritiene di dover determinare in misura pari a quella degli interessi legali (idonea a compensare il danno da ritardato adempimento, tenuto conto della normale redditività del denaro nel periodo intercorso dalla data del sinistro), secondo i criteri dettati da Cass. SS.UU. n. 1712/95., ai fini della liquidazione di tale danno all'attualità. Effettuate tali operazioni la somma dovuta alla data odierna a tale titolo risulta pari ad Euro 57.540,52. Il convenuto deve quindi dichiararsi tenuto, a titolo di risarcimento del danno subito dall'attrice, al pagamento di tale importo, liquidato all'attualità, oltre ad interessi legali di cui all'art. 1284, 1 c. c.c. (non vertendosi in ipotesi di inadempimento contrattuale e quindi non sussistendo i presupposti per l'applicazione di interessi moratori nella misura richiesta da parte attrice) dalla data della presente decisione al saldo effettivo. La domanda di manleva In via subordinata il convenuto ha avanzato di manleva nei confronti della terza chiamata, con la quale ha stipulato polizza assicurativa n. (...), relativa alla responsabilità professionale (doc. 1 parte convenuta). La terza chiamata (...) Plc, confermando la stipula della polizza, ha allegato che la Compagnia Assicuratrice potrà manlevare il proprio assicurato solo qualora il fatto rientri tra quelli garantiti dalla polizza allegata e, comunque, secondo le limitazioni, franchigie e massimali in essa indicati. Va qui precisato che la terza chiamata non ha in alcun modo contestato che la responsabilità qui fatta valere nei confronti del convenuto rientri fra i rischi assicurati, anzi riportando le condizioni generali di polizza in cui alla voce "Oggetto dell'assicurazione" è specificato che "La Compagnia si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di Risarcimento, per i seguenti Danni conseguenti ad un Comportamento colposo posto in essere durante l'esecuzione dell'Attività di Progettazione e Direzione Lavori nonché di tutte le attività consentite dalla legge e dai regolamenti che disciplinano l'esercizio della professione per: 1. Danni alla Persona...... 2. Danni materiali alle cose diverse dall'opera... 3. ....... 6. Perdite patrimoniali diverse da quelle indicate ai punti precedenti.", e in cui rientrano pertanto sicuramente i danni a terzi causati nell'esercizio di consulenza tecnica svolta dall'assicurato, quale attività professionale consentita dalla legge. La copertura assicurativa per il sinistro oggetto della presente controversia è stata peraltro espressamente riconosciuta con lettera in data 15.3.2018 del Centro liquidazione Danni di Brescia, prodotta dal convenuto quale doc. 2. La terza chiamata deve quindi condannarsi a tenere indenne e manlevare il convenuto da quanto questi è tenuto a corrispondere alla società attrice in forza della presente sentenza, importi contenuti nel massimale assicurato (Euro 500.000,00), detratta la franchigia, prevista in polizza, di Euro 2.500,00 per sinistro, ad esclusivo carico dell'assicurato (pag. 2 scheda di polizza, riquadro G.P. - (...)). Avendo il convenuto richiesto che la compagnia assicuratrice venga condannata a corrispondere direttamente all'attrice quanto risulti alla stessa dovuto, ai sensi dell'art. 1917, 2 c. c.c., la terza chiamata deve quindi condannarsi a corrispondere direttamente all'attrice l'importo di Euro 55.040,22, oltre agli interessi dalla pronuncia al saldo, come sopra determinati (Euro 57.540,52 - 2.500,00), mentre il convenuto va condannato a corrispondere all'attrice il residuo importo di Euro 2.500,00, a suo carico, a titolo di franchigia, oltre ad interessi legali dalla pronuncia al saldo. Le spese di lite Le spese seguono alla soccombenza e quindi il convenuto è tenuto a rifondere all'attore le spese di lite da questi sostenute, oltre alle spese anticipate di CTU (Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge, che vanno poste in via definitiva a carico di parte convenuta soccombente). Poiché, come precisato dalla Suprema Corte "In materia di assicurazione della responsabilità civile, l'assicurato ha diritto di essere tenuto indenne dal proprio assicuratore delle spese processuali che è stato costretto a rifondere al terzo danneggiato (c.d. spese di soccombenza) entro i limiti del massimale, in quanto costituiscono una delle tante conseguenze possibili del fatto illecito, nonché delle spese sostenute per resistere alla pretesa di quegli (c.d. spese di resistenza), anche in eccedenza rispetto al massimale purché entro il limite stabilito dall'art. 1917, comma 3, c.c., in quanto, pur non costituendo propriamente una conseguenza del fatto illecito, rientrano nel "genus" delle spese di salvataggio (1914 c.c.) perché sostenute per un interesse comune all'assicurato ed all'assicuratore; le spese di chiamata in causa dell'assicuratore non costituiscono invece né conseguenza del rischio assicurato né spese di salvataggio, bensì comuni spese processuali soggette alla disciplina degli artt. 91 e 92 c.p.c..". (v. Cass. Civ. n. 18076 del 31/08/2020), in forza del già richiamato disposto dell'art. 1917, 2 c.c. la terza chiamata, avendo il convenuto richiesto il pagamento diretto al danneggiato, deve condannarsi altresì al pagamento diretto in favore dell'attrice delle spese legali da questi sostenute, come di seguito liquidate, e delle spese di CTU. Quanto alle spese di lite sostenute dal convenuto la terza chiamata si è limitata a richiamare le condizioni di polizza ai sensi delle quali "La Compagnia non riconosce i Costi di difesa sostenuti dall'Assicurato per i legali o tecnici che non siano da essa designati o preventivamente autorizzati per iscritto e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia penale" (Gestione delle vertenze di danno - pag. 38 di 50 ultimo capoverso)". Tale clausola è inopponibile all'assicurato al fine di escludere il diritto dello stesso alla rifusione delle c.d. spese di resistenza, in quanto, come chiarito dalla Suprema Corte "In tema di assicurazione della responsabilità civile, in caso di contratto cd. "multirischio", contenente, oltre alla garanzia della responsabilità civile dell'assicurato, anche la copertura del rischio di sostenere esborsi per la tutela legale, le spese sostenute dall'assicurato per resistere alla domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti dal terzo danneggiato (cd. "spese di resistenza"), rientrano "ope legis" nella prima copertura, sino al limite di un quarto della somma assicurata, ai sensi dell'art.1917, comma 3, c.c., sicché eventuali clausole limitative del rischio per la sola tutela legale sono inopponibili dall'assicuratore ove la domanda di rifusione delle spese di resistenza sia contenuta nei suddetti limiti" (v. Cass. Civ. n. 3011 del 09/02/2021). Va qui ricordato infatti che l'obbligo a carico dell'assicuratore di cui all'art. 1917, 3 c. c.c., in quanto espressamente previsto dalla legge, costituisce un effetto naturale del contratto (art. 1374 c.c.), ed è inderogabile dalle parti, se non in senso più favorevole all'assicurato (art. 1932, comma primo, c.c.). Essendo il convenuto risultato vittorioso in relazione alla domanda di manleva la terza chiamata deve quindi condannarsi alla integrale rifusione delle spese di lite dal primo sostenute, comprendenti sia le spese per resistere all'azione del danneggiato, ex art. 1917 c.c., sia le spese di chiamata in causa della propria assicurazione, ai sensi dell'art. 91 c.p.c. Dette spese di lite vengono liquidate, tenuto conto del valore della causa e dell'attività svolta, come indicato in dispositivo, in conformità ai parametri (valori medi della tabella di riferimento) di cui al D.M. n. 55 del 2014. Vanno infine poste in via definitiva a carico del convenuto soccombente, come già anticipato, le spese di CTU, come liquidate in corso di causa. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione assorbita e disattesa, così giudica: accogliendo parzialmente le domande di parte attrice, accerta e dichiara, per le causali di cui in premessa, la responsabilità dell'Architetto (...) nello svolgimento di incarico di perito estimatore nella procedura esecutiva immobiliare n.501/2013 Reg. Es. Imm. del Tribunale di Mantova per gli errori da lui commessi nello svolgimento del suo operato, e per l'effetto dichiara tenuto il convenuto (...) al risarcimento dei danni subiti dall'attrice (...) srl a causa degli errori relativi al lotto 2 presenti nella relazione peritale dell'immobile oggetto del suddetto procedimento, danni che liquida all'attualità in complessivi Euro 57.540,52, oltre ad interessi legali di cui all'art. 1284, 1 c. c.c. dalla data della presente pronuncia al saldo; accogliendo la domanda di garanzia avanzata dal convenuto nei confronti della terza chiamata, dichiara tenuta e condanna (...) Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c., a corrispondere direttamente alla società attrice, per il titolo sopra indicato, l'importo di Euro 55.040,52, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, e condanna il convenuto (...) al pagamento in favore della società attrice del residuo importo di Euro 2.500,00, oltre ad interessi legali come sopra determinati dalla data della presente decisione al saldo, pari alla franchigia pattuita; dichiara tenuto il convenuto alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla società attrice, che liquida in complessivi Euro 786,00 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, detratta ritenuta d'acconto 20% (su compenso e spese imponibili) come richiesto; pone in via definitiva a carico del convenuto le spese di CTU, anticipate da parte attrice; dichiara tenuta e condanna la terza chiamata (...) Plc, ex art. 1917, 2 c. c.c. a corrispondere direttamente alla società attrice le spese di lite dovute dal convenuto, come sopra liquidate, oltre al pagamento delle spese di CTU anticipate da parte attrice, liquidate in corso di causa in Euro 3.315,00 oltre ad IVA e contributi nella misura di legge; dichiara tenuta e condanna la terza chiamata (...) Plc a rimborsare al convenuto le spese di lite da questi sostenute, che si liquidano in Euro 770,53 per spese ed Euro 13.430,00 per compenso professionale, oltre a rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge. Così deciso in Mantova il 27 settembre 2021. Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2021.

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