Sentenze recenti Tribunale Matera

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MATERA Il Tribunale, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Anna Zaccaria, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1925/2016, avente ad oggetto "riscatto agrario", promossa da: (...) (CF CodiceFiscale_1) e (...) (CF CodiceFiscale_2 X con il Patrocinio dell'avv. (...), elettivamente forniteti presso il difensore, indirizzo telematico ATTORI contro (...) (CF CodiceFiscale_3 X con il Patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato presso il difensore, indirizzo telematico CONVENUTO CONCLUSIONI I procuratori delle parti concludono come da verbale di udienza di precisazione delle conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta, ai sensi degli artt. 132, co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., come modificati dalla l. Data_1 n. 69, senza l'esposizione dello svolgimento del processo e con una concisa esposizione dei fatti e delle ragioni giuridiche rilevanti ai fini della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. Con atto di citazione ritualmente notificato, gli odierni attori evocavano in giudizio (...) (...) al fine di esercitare il proprio diritto di riscatto agrario ex artt. 8 Legge 590/65 e 7 Legge 817/71 sui fondi rustici ubicati nel Comune di (...) alla località (...) o (...), meglio identificati in atti, che il convenuto aveva acquistato dalla proprietaria venditrice (...) con atto a rogito notaio Persona_1 del Data_2 , rep. n. 82017 racc. n. 27169, senza che fosse stata effettuata la dovuta denuntiatio. Evidenziavano, in particolare, di essere proprietari del contiguo fondo rustico, meglio identificato in atti, da loro regolarmente coltivato. Chiarivano, inoltre, di essere in possesso di tutti gli altri requisiti di legge per l'esercizio del diritto di riscatto. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data Data_3 , si costituiva in giudizio il convenuto, il quale in via preliminare eccepiva l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria da parte degli attori; in subordine, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda di riscatto proposta dagli attori, per assenza in capo a costoro dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge; in ulteriore subordine e nella denegata ipotesi di accertamento dei requisiti oggettivi e soggettivi in capo agli attori, e previo accertamento dei medesimi requisiti anche in capo al sig. (...) riconoscere a quest'ultimo il diritto di essere preferito nell'esercizio del diritto di prelazione rispetto agli attori, in considerazione della maggiore rispondenza dell'azienda del (...) alle finalità perseguite dalla normativa che disciplina la prelazione agraria; confermando, conseguentemente, valido e legittimo il trasferimento di proprietà dalla sig.ra (...) ed in favore del convenuto (...) del qui considerato fondo agricolo; il tutto con vittoria di spese e compensi di lite. Alla prima udienza del (...) il Giudice rilevata l'eccezione di improcedibilità della domanda, assegnava il termine di legge per l'esperimento del procedimento di mediazione. Espletata l'istruttoria mediante prove orali (interrogatori formali delle parti e prove testimoniali), nonché mediante una consulenza tecnica d'ufficio a mezzo della dott.ssa agr. (...) Persona_2 le parti precisavano le conclusioni, rinunciando ai termini di cui all'art. 190 c.p.c., e la causa veniva trattenuta in decisione. Preliminarmente è opportuno rilevare che la presente causa ha ad oggetto una controversia per la quale l'art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 prescrive, a pena di improcedibilità, il preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione. Il menzionato art. 5, comma 1 bis prevede, infatti, che "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo (...), n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1. (...), n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non é stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37,140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo (...), nr.206, e successive modificazioni". Ne consegue che incombe sull'attore l'onere di attivare il procedimento di mediazione. Fatte le considerazioni di cui sopra e passando all'esame della fattispecie concreta, va in primo luogo rimarcato che, non avendo le parti realizzato la condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28/2010, con ordinanza del (...), è stato assegnato il termine di giorni 15 previsto dalla legge per procedere al tentativo di mediazione, con conseguente differimento dell'udienza di trattazione. Parte convenuta ha eccepito l'improcedibilità della domanda ex art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, deducendo il mancato esperimento del procedimento di mediazione. Va premesso che l'art. 8 comma 1 terzo periodo D.Lgs. n. 28/2010 prevede che "al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato". Interpretando letteralmente tale disposizione, la giurisprudenza di merito prevalente ritiene necessaria e inderogabile, salve obiettive e valide giustificazioni, la presenza personale della parte all'incontro fissato per la mediazione (ex pluris Trib. Roma (...); Trib. Firenze (...), Trib. Palermo (...), Trib. Vasto (...), Trib. Bologna (...), Trib. Pavia (...)). Si è, infatti, osservato che la presenza personale delle parti sarebbe posta a garanzia della stessa finalità che il legislatore ha inteso perseguire con la disciplina sulla mediazione, in quanto i titolari degli interessi contrapposti in un giudizio potrebbero tutelarli al meglio con la propria partecipazione attiva al procedimento, pervenendo più facilmente ad un accordo conveniente per tutte le parti. Pur condividendo la sopra menzionata ratio della necessaria partecipazione personale delle parti al tentativo di mediazione, recentemente la Suprema Corte (Cass. civ. n. 8473/2019), evidenziando l'assenza di disposizioni di legge che introducano una deroga alla generale possibilità, in materia di diritti disponibili e atti non personalissimi, di conferire mandato con rappresentanza ad altro soggetto, ha riconosciuto la possibilità per la parte non presente personalmente all'incontro di mediazione di delegare un altro soggetto (anche il proprio difensore), purché munito di procura speciale sostanziale. Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista. Ebbene, dalle risultanze del verbale negativo di mediazione del Data_14 in atti (cfr. produzione documentale depositata il (...) nel fascicolo parte attrice) si evince che all'incontro innanzi all'organismo di mediazione adito ha partecipato personalmente solo l'attore (...) , mentre l'altra attrice (...) non è comparsa personalmente, bensì a mezzo dell'Avv. (...), in sostituzione dell'avv. (...), tant'è che in calce al predetto verbale risulta apposta unicamente la sottoscrizione dell'avv. (...) (oltre che del (...) del procuratore di controparte e del mediatore). Né, d'altro canto, è stata data prova del fatto che il predetto difensore - ivi comparso per conto della propria cliente quale "procuratore della sig.ra (...) ((...)), come da procura speciale depositata" - fosse munito di procura speciale sostanziale che gli attribuisse la rappresentanza sostanziale della parte per come chiarito dalla sopra richiamata sentenza della Cassazione. Da tale complessivo ordine di ragioni non può, dunque, che seguire la declaratoria di improcedibilità della domanda. Non vi è dubbio, infatti, che tale circostanza abbia determinato la sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda, ponendo una questione pregiudiziale che assume valore assorbente e dirimente, così precludendo lo scrutinio delle argomentazioni difensive svolte da ambo le parti nel merito dell'odierna res controversa. D'altra parte, le norme che fissano condizioni di ammissibilità e procedibilità sono di ordine pubblico processuale, di talché la loro violazione è rilevabile anche d'ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, risultando altresì sottratte al regime imposto dall'art. 101, comma 2 c.p.c. (in tal senso, si segnala Cass. civ., sez. VI, (...), n. 6218 e Cass. civ. sez. VI, (...), n. 19372, che ha stabilito che "In tema di contraddittorio, le questioni di esclusiva rilevanza processuale, siccome inidonee a modificare il quadro fattuale ed a determinare nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti, non rientrano tra quelle che, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., nel testo introdotto dall'art. 45, comma 13, della l. n. 69 del 2009, se rilevate d'ufficio, vanno sottoposte alle parti, le quali, per altro verso, devono avere autonoma consapevolezza degli incombenti cui la norma di rito subordina l'esercizio delle domande giudiziali"). Sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti, in considerazione della natura meramente processuale delle ragioni di reiezione della domanda, unitamente all'assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto. P.Q.M. il Tribunale di Matera, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, sulla causa in epigrafe trascritta, così provvede: 1. dichiara l'improcedibilità della domanda proposta da (...) e (...) 2. spese compensate. Così deciso in Matera (...)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Unico del Tribunale di Matera, Gaetano CATALANI, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero di Ruolo Generale 396/2022, avente ad oggetto "appello avverso sentenza del Giudice di Pace di Matera n. 734/2021" TRA LI.VI. (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in Matera alla Via (...) presso lo studio dell'avv. Fr.Eu.Ma. (C.F. (...)) che lo rappresenta e difende in virtù di mandato in atti; - APPELLANTE- CONTRO CONDOMINIO VIA (...) - MATERA (C.F. (...)), in persona dell'amministratore p.t., elettivamente domiciliato in Via (...) Matera presso lo studio dell'Avv. Mo.Pa. (C.F. (...)), che lo rappresenta e difende in virtù di mandato in atti; - APPELLATO - riservata per la decisione all'udienza del 27/04/2023, la causa è stata trattata ex art.127 ter c.p.c., nella parte in cui dispone la trattazione scritta delle udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti), avendo le parti depositato le note scritte, contenenti le rispettive conclusioni da intendersi qui richiamate e trascritte. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta, ai sensi degli articoli 132 n. 4 e 118 disp. att. c.p.c. (come modificati con legge n. 69/09), senza l'esposizione dello svolgimento del processo e con una concisa esposizione dei fatti e delle ragioni giuridiche rilevanti ai fini della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. LI.VI. ha impugnato la sentenza n. 734 resa dal Giudice di Pace di Matera il 23/8/2021 che aveva accolto l'opposizione promossa dal Condominio di via (...) Matera, avverso il decreto ingiuntivo n. 8 emesso il 7-2-2017 per il pagamento di Euro 1.086,65, vantati dall'appellante per somme anticipate, nella qualità di amministratore del condominio nel periodo 2012-2016 e rigettato la riconvenzionale proposta dall'opponente condominio, tesa al riconoscimento dei danni subiti per mala gestio del Li. con compensazione tra le parti delle spese processuali. L'appellante ha lamentato l'erronea applicazione degli artt. 1988 c.c. e 2697 c.c. per non essere stato riconosciuto al verbale di consegna della documentazione del condominio, sottoscritto il 21-5-2016, dall'amministratore uscente e da quello subentrante (ancorché accettato con riserva da quest'ultimo) valore di ricognizione del debito di Euro 1.086,65, riconosciuto in bilancio con delibera approvata dall'assemblea condominiale il 29-5-2016. Ha, inoltre, eccepito la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 1988 c.c., evidenziando che detto verbale di consegna erroneamente non era stato ritenuto una promessa di pagamento titolata, in base alla quale invertire l'onere probatorio, da porre a carico del condominio, nonché rilevando, a conferma della sussistenza del proprio credito, di aver prodotto documenti comprovanti le spese sostenute (giardinaggio, riparazione portone e porta di accesso, sostituzione lampadine, invio telematico 770), non contestate nel corso del giudizio con conseguente effetto di implicito riconoscimento, della fattura emessa per il pagamento di Euro 796,53, quale compenso per l'amministrazione condominiale per l'anno 2015 (Euro 682,74) e per i primi due mesi del 2016. Quanto al mancato pagamento in favore della ditta El. s.n.c. delle spese di manutenzione dell'ascensore, posto a fondamento della domanda riconvenzionale, ha richiamato la ricevuta del 15-3-2012 nella quale la ditta attestava di non avere altre pretese creditorie in essere, contestando a tale proposito la testimonianza contraria resa dall'amministratrice della stessa società, ritenendola inattendibile poiché portatrice di interesse proprio, inidonea a superare la prova scritta. Ha, infine, riproposto l'eccezione relativa all'illegittima mancata assunzione della prova testimoniale di D.Ar.Fr., teste a cui aveva rinunciato l'opponente condominio, riformulandone la richiesta di assunzione e concludendo per il rigetto dell'opposizione al D.I. n.81/2017 e la condanna dell'appellato alle spese del doppio grado di giudizio. Il Condominio di via (...) Matera, nel costituirsi ha preliminarmente eccepito l'improcedibilità dell'impugnazione per tardiva costituzione dell'appellante che aveva iscritto a ruolo la causa in data 7-3-2022, oltre il termine di dieci giorni dalla notifica dell'atto di appello, avvenuta via pec il 24-2-2022, nonché l'inammissibilità, ai sensi degli artt. 342 e 348 bis c.p.c., per non essere state indicate le parti del provvedimento appellate, le modifiche proposte, le circostanze da cui era derivata la violazione di legge e per manifesta infondatezza dell'impugnazione. Nel merito ha sostenuto che: - il verbale di passaggio dei documenti tra amministratori non era stato integrato da giustificativi contabili idonei a provare il fondamento della pretesa pecuniaria vantata dal Li. poiché il bilancio condominiale approvato con verbale del 29-5-2016 non faceva riferimento a somme anticipate dall'amministratore; - il verbale di consegna dei documenti tra amministratori non poteva qualificarsi come promessa di pagamento o ricognizione di debito poiché atto predisposto unilateralmente dall'amministratore e ricevuto non dalla parte personalmente ma dal suo mandatario, ossia il nuovo amministratore; - la documentazione prodotta da controparte in relazione alle spese anticipate in favore del condominio era stata espressamente contestata dal condominio stesso sia a mezzo verifiche contabili che avevano rivelato l'indicazione in bilancio di poste non giustificate da fatture o ricevute, mentre dall'istruttoria compiuta era emerso che Mu.Pa., addetto alla manutenzione del condominio, aveva ricevuto dal Li. pagamenti non accompagnati da relativa fattura; - era attendibile la deposizione resa da Ma.D. in ordine alla quietanza di pagamento della ditta El., non essendo la teste parte del giudizio; - il Li. avrebbe dovuto espressamente manifestare la propria opposizione alla rinuncia di controparte all'escussione del teste D.Ar.Fr. nella medesima udienza in cui era avvenuta la rinuncia unilaterale, pur restando l'espletamento del mezzo istruttorio nella discrezionalità del giudice. Il condominio ha, poi, proposto appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato la domanda riconvenzionale e in relazione alla compensazione delle spese, lamentando l'omessa motivazione e valutazione delle prove documentali e di quelle emerse in sede istruttoria a sostegno della domanda, censurando la ritenuta soccombenza reciproca, poiché l'accoglimento dell'opposizione al D.I. avrebbe dovuto comportare la condanna alle spese dell'opposto, sicché ha chiesto il rigetto dell'appello principale e l'accoglimento di quello incidentale con rifusione degli oneri del doppio grado di giudizio. Preliminarmente va disattesa l'eccezione preliminare sollevata dal Condominio via (...) d'improcedibilità dell'appello per costituzione tardiva dell'attore, atteso che l'iscrizione a ruolo è avvenuta in data 7/3/2022, ossia nei dieci giorni dalla notifica dell'impugnazione, avuto riguardo al fatto che il termine scadeva in giorno festivo. Del pari è infondata l'eccezione di inammissibilità con riferimento alla genericità per omessa indicazione delle parti del provvedimento impugnate, ai sensi dell'art. 342 c.p.c, avendo il Li. lamentato il rigetto della sua pretesa creditoria per mancata valutazione della prova documentale e acquisizione di quella orale: sul punto si richiama l'orientamento giurisprudenziale per cui è sufficiente che l'appello indichi le prove che si assumono non correttamente valutate e la diversa scelta che il giudicante avrebbe dovuto compiere (cfr. Cass. Civ. Sez. III ord. 5/5/2017 n.10916), Sez.VI-3, ord.17/12/2021 n.40560). Quanto al merito, l'appello è infondato poiché il giudice di primo grado correttamente ha ritenuto non assolto l'onere della prova gravante sull'opposto geom. Li.. In proposito si ritiene che nel giudizio di cognizione instaurato a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo, incomba sull'opposto, quale attore sostanziale, l'onere di provare il fatto costitutivo del diritto di credito azionato, a norma dell'art. 2697 c.c.. In proposito la sottoscrizione da parte del nuovo amministratore del verbale con la documentazione condominiale consegnata dal precedente amministratore non costituisce prova del debito nei confronti di questi da parte dei condomini per l'importo corrispondente al disavanzo tra rispettive poste contabili, spettando sempre all'assemblea l'approvazione del conto consuntivo, da confrontarsi con il preventivo. Né la stessa integra ricognizione di debito del condominio sulle anticipazioni di pagamenti eseguite dal precedente amministratore, risultanti dalla situazione di cassa registrata (Cass. Civ. Sez. VI ord. 23/07/2020 n.15702). Anche il bilancio condominiale approvato dall'assemblea condominiale con delibera del 29-5-2016 non rappresenta la prova del credito vantato dall'amministratore uscente poiché nel citato documento l'assemblea aveva approvato il bilancio consuntivo redatto dal nuovo amministratore, in cui non vi è alcun riferimento a debiti del condominio per somme anticipate dallo stesso. Infine, alcun valore probatorio può essere riconosciuto alla fattura pro forma emessa dal Li. a titolo di compenso professionale, trattandosi di atto proveniente dallo stesso attore sostanziale ed essendo peraltro diverso l'oggetto della fattura rispetto alla pretesa fatta valere con il procedimento monitorio. In proposito l'allegazione di ricevute di spese sostenute dal Li. nell'interesse del Condominio non costituisce prova idonea a riconoscere il credito di Euro 1.086,65 richiesto quale rimborso di presunte anticipazioni perché non è possibile dalla documentazione prodotta risalire alla corrispondenza ed evidenza contabile tra le spese sostenute ed anticipate dall'amministratore e i versamenti di quote eseguiti dai condomini per sostenere tali oneri. Da ultimo va disattesa l'istanza istruttoria di escussione di D.Fr., essendo l'appellante decaduta per effetto della mancata intimazione testimoniale dello stesso, dopo la rinuncia al mezzo istruttorio formulata dalla parte che ne ha chiesto l'assunzione, a norma dell'art. 104 disp. att. c.p.c.. Ad analoga conclusione deve giungersi con riferimento alla domanda riconvenzionale articolata dal Condominio, oggetto di appello incidentale: infatti, da un canto non è stata provata l'irregolarità nella presentazione del mod.770, non potendo porsi a base della pretesa risarcitoria la mera allegazione dell'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, in assenza di verifica della fondatezza dello stesso; d'altro canto il Condominio non ha fornito la dimostrazione dell'ascrivibilità al Li. di tale irregolarità. Quanto alle fatture n.298/299/2009 emesse dalla El. s.n.c. non risulta provato che nel bilancio approvato relativo a quell'esercizio dall'assemblea condominiale fosse inserita tale spese, ma - pur laddove si assuma che tale circostanza sia incontroversa tra le parti, a norma dell'art. 115 c.p.c. - si reputa che la dichiarazione testimoniale dell'amministratrice della società creditrice, in assenza di una specifica pretesa fatta valere giudizialmente con disconoscimento formale della quietanza prodotta in atti dal Li., sia circostanza che non consente di fondare la domanda restitutoria avanzata dall'appellante incidentale. Infine, relativamente alla diversa aliquota che avrebbe dovuto essere richiesta in ordine alla fattura emessa dalla ditta per la manutenzione ordinaria dell'ascensore non è stata neanche allegata la disposizione che consentirebbe simile agevolazione fiscale e, in ogni caso, sarebbe stato onere dell'emittente prevedere una misura inferiore dell'imposta con conseguente diritto del Condominio alla ripetizione nei confronti di questi della maggior somma indebitamente versata, ciò che giustifica il rigetto della pretesa risarcitoria. Infine, il rigetto della domanda riconvenzionale articolata dall'opponente è circostanza che integra gli estremi della soccombenza reciproca, tali da giustificare la compensazione delle spese processuali, correttamente disposta dal primo giudice, a norma dell'art.92 cpc. Le medesime argomentazioni, relative al rigetto dell'appello e di quello incidentale, impongono la compensazione delle spese del presente grado di giudizio. Ai sensi dell'art. 13 comma uno quater D.P.R. n.115/2002 il Li. va dichiarato tenuto al pagamento di ulteriore importo pari al contributo unificato. Si precisa, infine che, ai sensi della normativa sulla privacy, in caso di diffusione del presente documento al di fuori della sua naturale destinazione, è obbligatorio l'oscuramento dei dati che rendono possibile l'identificazione dei soggetti coinvolti. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando sull'appello principale proposto con atto di citazione notificato il 24/2/2022 da LI.VI. nei confronti del Condominio di Via (...) avverso la sentenza n. 734/2021 resa dal Giudice di Pace di Matera, così provvede nel contraddittorio tra le parti: - rigetta l'appello; - rigetta l'appello incidentale; - compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio, -dichiara LI.VI. tenuto al pagamento di importo pari al contributo unificato. Così deciso in Matera, il 5 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Unico del Tribunale di Matera, dr.ssa (...) ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al numero di Ruolo Generale (...) avente ad oggetto "opposizione a decreto ingiuntivo" Tra (...), nella di titolare e legale rappresentante della Ditta (...) quale garante, e (...), in proprio quale garante, rappresentati e difesi dall'Avv. (...) OPPONENTI Contro (...), in persona suo legale rappresentata e difesa dall'Avv.to (...) OPPOSTA All'udienza del 16.6.20, sulle conclusioni delle parti depositate ai sensi dell'art. 83 del D.L. 17 marzo 2020, di cui al relativo verbale, la causa era trattenuta in decisione, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. FATTO E DIRITTO Con decreto ingiuntivo nB/2016, il Tribunale di Matera ha ingiunto a (...) nella qualità di titolare e legale rappresentante della Ditta (...) ed in proprio quale fideiussore nonché a (...) quale fideiussore, di pagare la complessiva somma di Euro 210.575,10. Con atto di citazione ritualmente notificato i suddetti (...) hanno proposto la presente opposizione per sentir accogliere ottenere la revoca del decreto opposto e, previa rideteiminazione dell'esatto dare-avere fra le parti, la condanna della banca opposta a restituire quanto pjercepito indebitamente ed a risarcire il danno subito dagli opponenti por l'indebita segnalazione effettuata alla centrale rischi. A sostegno dell'opposizione hanno dedotto: "a) l'insussistenza delle condizioni per la concessione del decreto ingiuntivo, b) la responsabilità della banca per aver agito in giudizio con mala fede, c) il difetto assoluto di prova dell'asserito credito, d) la nullità dei contratti anche di fideiussione, e) l'inefficacia delle fideiussioni, f) la nullità della clausole di applicazione di tassi ultralegali......anche per usurietà, g) l'inammissibilità della c.m.c. obbligo di restituzione, h) l'inammissibilità del gioco di valute ed obbligo di restituzione, i) l'inammissibilità delle spese di tenuta conto - obbligo di restituzione ...". Parte opposta regolarmente costituita ha contestato le avverse deduzioni e chiesto il rigetto dell'opposizione. La causa è stata istruita tramite produzione documentale e consulenza tecnica contabile, le parti hanno precisato le proprie conclusioni depositando note scritte ex art. 83 D.l. 18/20 e la causa è stata riservata per la decisione. L'opposizione è fondata nei termini che seguono. La pretesa creditoria azionata dalla Banca trae origine nel contratto di conto corrente n. (...) annessi "lettere/contratti di credito") stipulato fra la banca e la società opponente e nei contratti di fideiussione in data 28.4.2004 ed in data 9.1.2007 stipulati con i (...). Ragioni di ordine logico suggeriscono di affrontare in primis le questioni afferenti la stipulate da (...) e (...). Sul punto la scrivente, pur nella consapevolezza dell'esistenza di un vivace dibattito giurisprudenziale riguardante la validità delle fideiussioni rilasciate in violazione della normativa antitrust dettata dalla l. 287/1990 e - soprattutto - le conseguenze derivanti da detta violazione, che - per parte della giurisprudenza di merito - comporta la nullità dell'intero contratto fideiussiorio, mentre - per altra parte - si ripercuote esclusivamente sulla validità delle singole clausole frutto di una intesa anticoncorrenziale, rileva che si è ormai formato un orientamento prevalente, già adottato anche dall'intestato Tribunale, cui si intende aderire e dare continuità con le conseguenze che seguono. Ciò premesso, vanno disattese le doglianze di parte opposta in punto di incompetenza del Tribunale adito a giudicare sul punto (dovendo rinviare - a suo dire - al c.d. Tribunale delle imprese) poiché la nullità dedotta dagli opponenti è solleva in via di eccezione al fine di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo azionato nei propri confronti e per i quale l'intestato Tribunale è pacificamente competente. Altrettanto inconferente è la circostanza che la garanzia fideiussoria sia stata prestata a favore di una s.r.l. e non di un consumatore poiché la disciplina dettata dalla legge 287/1990 è posta a tutela della libertà di concorrenza ed ha come destinatari tutti i soggetti partecipanti al libero mercato indipendentemente dalla qualifica soggettiva degli stessi. Venendo, quindi, all'esame dell'eccezione, la stessa è fondata è va accolta. Già il 12/12/2017, con la sentenza n. 29810 la Cassazione aveva affermato la nullità dei patti fideiussori conclusi in conformità ad una intesa restrittiva della concorrenza. Il contratto di fideiussione, nel tempo, è stato oggetto di crescente attenzione da parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale, ha avuto modo di fissare c chiarire vari principi; nel novero di tale giurisprudenza si colloca, per ciò che qui interessa, la recente pronuncia della Suprema Corte, secondo la quale la stipulazione a "valle" di contratti o negozi che costituiscano applicazione di intese anticoncorrenziali, vietate dall'art. 2 della l. 287/1990, sarebbe idonea, di per sé, a fondare la nullità della fideiussione stessa e ciò anche con riguardo a quei contratti stipulati anteriormente all'accertamento da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (Cass. civ. Sez. I Ordinanza, 12/12/2017, n. 29810). Ebbene, dall'analisi del corredo probatorio emerge con chiarezza che il contratto di fideiussione stipulato tra gli odierni opponenti, a garanzia della società (...) e la Banca opposta sia una riproduzione fedele dello schema contrattuale relativo alla fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie predisposto dall'Associazione Bancaria Italiana (d'ora in poi ABI). Tale dato sarebbe irrilevante se non vi fossero evidenti contrasti tra le clausole che compongono lo schema contrattuale e la disciplina codicistica ovvero l'impianto normativo che regola la materia concorrenziale; tuttavia, violazioni di questo tipo già furono rilevate dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con provvedimento n. 14251 del 2005, e dalla Banca d'Italia, con il provvedimento n. 55 del 2005, giungendo alla considerazione che gli arti. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall'ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie - nella misura in cui se ne desse applicazione fedele - contenessero disposizioni contrastanti con la normativa Antitrust. In altri termini, le clausole contrattuali nelle quali si articola il modello predisposto dall'ABI - scrutinate dalla Banca d'Italia, in qualità di Autorità Garante della concorrenza tra gli istituti di credito (funzione esercitata fino al 12 gennaio 2006) - costituiscono il frutto di una intesa illecita intervenuta tra le banche, in quanto contraria a norme imperative. Gli effetti della contrarietà dello schema contrattuale adottato dalle banche rispetto alla normativa antitrust vigente sono evidenti: i contratti di fideiussione che si mostrino fedeli al richiamato schema contrattuale dovranno essere considerati nulli, essendo caratterizzati da causa illecita, perché contraria a norme imperative. Ciò che viene in rilievo, ai fini della dichiarazione di nullità del contratto fideiussorio, è l'illecita condotta anticoncorrenziale posta in essere dal sistema bancario, concretatasi nella predisposizione di modelli negoziali uniformi; tale illecita condotta è idonea ad inficiare la validità di tutti i successivi contratti che di essa sono diretta applicazione, anche quelli temporalmente anteriori all'accertamento effettuato dalla Banca d'Italia. La normativa antitrust mira, infatti, a sanzionare il fatto della distorsione della concorrenza ogniqualvolta essa costituisca il risultato di "un perseguito obiettivo di coordinare, verso un comune interesse, le attività economiche". Questo risultato è stigmatizzato qualunque sia la forma attraverso la quale viene realizzato. Assumono, pertanto, rilevanza, ai fini dell'accertamento della violazione della disciplina antitrust, non solo le fattispecie contrattuali, ma anche i comportamenti "non contrattuali" o "non negoziali'', purché coinvolgano la partecipazione di almeno due imprese, oppure, le fattispecie in cui l'intesa costituisce espressione del ricorso a schemi giuridici meramente "unilaterali". Alla stregua della Legge Antitrust e del provvedimento della Banca d'Italia n. 55 del 2 maggio 2005, devono ritenersi nulle le fideiussioni prestate a garanzia delle operazioni bancarie che, conformandosi pedissequamente allo schema di contratto predisposto dall'ABI, contengono la sostanza delle clausole innanzi esaminate. Alla stregua delle su esposte considerazioni, il contratto di fideiussione dedotto in giudizio deve ritenersi viziato da nullità assoluta, in quanto redatto secondo il modello standard predisposto dall'ABI e quindi stipulato in violazione dell'art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287/90, in conformità a quanto accertato dalla Banca d'Italia con il richiamato provvedimento in data 2 maggio 2005. Secondo l'organo di vigilanza bancaria, infatti, la predisposizione di clausole uniformi di fideiussione da parte delle banche, oltretutto peggiorative della responsabilità del garante, risjjetto alla disciplina del codice civile, comporta di fatto una restrizione della possibilità di scelta da parte di chiede l'accesso al credito, distorcendo e vanificando, così, il meccanismo concorrenziale dell'offerta, in palese violazione della Legge Antitrust, che sanziona con la nullità ogni intesa restrittiva della libertà di concorrenza. Tale vizio determina l'inefficacia ex lune della fideiussione e comporta inevitabilmente l'infondatezza della pretesa creditoria azionata dalla opposta nei confronti dei fideiussori, non essendo configurabile alcun diritto di credito che abbia la sua fonte giuridica nella stipulazione di un contratto nullo. Né sembra che sia possibile ravvisare la nullità parziale del contralto di fideiussione, non estesa alle clausole che non hanno costituito oggetto del provvedimento della Banca d'Italia numero 55 del 2005, al riguardo potendosi fondatamente osservare che la clientela non concorre alla formazione delle condizioni generali di contratto adottate dagli istituti bancari per disciplinare in modo uniforme i rapporti fra le banche ed i clienti, cosicché ben difficilmente si può ipotizzare che la banca avrebbe acconsentito ugualmente a stipulare il contratto di fideiussione qualora il fideiussore si fosse opposto alla inserzione nel contratto delle clausole "incriminate". Ciò posto, passando all'esame della posizione della debitrice principale, all'esito della ctu è emerso che la pretesa creditoria vantata dall'Istituto di credito nei confronti della sola società opponente è parzialmente fondata. Sul punto, non è superfluo ricordare come la Suprema Corte di Cassazione si sia recentemente espressa su due questioni di rilevanza fondamentale nel presente giudizio al fine di determinare l'esatto dare-avere fra le parli. Infatti, con decisione a sezioni unite del 20 giugno 2018, n. 16303 la Corte ha chiarito che "la CMS non può non rientrare tra le "commissioni" o "remunerazioni" del credito menzionate sia dall'art. 644, comma 4, c.p." (determinazione del tasso praticato in concreto) che dall'art. 2 comma 1, legge n. 108/1996 (determinazione del TEGM), attesa la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca. Inoltre, sempre a SS.UU., con sentenza 19/10/2017 n. 24675 la Cassazione ha escluso l'automatica inefficacia del tasso ultra soglia sancendo il seguente principio di diritto; "Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula". Chiarito quanto sopra, lo scrivente magistrato ritiene di poter fare riferimento, in merito alla quantificazione dell'esatto ammontare del credito vantato da parte opposta, alle conclusioni precisate dall'espletata consulenza tecnica, cui si ritiene di aderire, in quanto connotata da motivazione adeguata, sorretta da argomentazioni esaustive e convincenti, oltre che priva di incoerenze argomentative, nonché avvalorata dalla copiosa documentazione e tale da non rendere necessaria una esposizione analitica delle ragioni del convincimento dello scrivente, che ritiene sufficiente rinviare per una più compiuta disamina tecnica alla relazione del consulente d'ufficio, da intendersi qui integralmente richiamate e trascritte e da considerare parte integrante del presente provvedimento. Il ctu ha rilevato che "1) all'accensione del rapporto, il 05.04.2004, sia il T.A.N. sia il T.A.E. debitori pattuiti, rispettivamente del 13,43% e del 14,12%, erano inferiori alla soglia di cui alla L 108/96 del 18,24%(all. 8); 2) nel corso del rapporto, dal 01.01.2006 al 25.08.2015, tutti i T.E.G. trimestrali praticati, calcolati secondo le regole della Banca d'Italia, sono risultati sempre inferiori alle soglie di usura (all. 9); 3) non sono state prodotte, né dalla banca opposta né dalla s.r.l. opponente, pattuizioni che autorizzino la banca a ribaltare le competenze del o dei c/anticipi sul c/c ordinario; 4) il saldo rideterminato del c/c ordinario al 25.08.2015 è di Euro 104.438,42 a debito della S.r.l. a fronte degli Euro 210.575,10 a debito della S.r.l. risultanti dall'e/c al 25.08.2015 (all. 10)". Va evidenziato che il ctu, nel confermare le suddette conclusioni ha anche puntualmente risposto alle osservazioni della Banca convenuta, che ha lamentato la erronea determinazione delle competenze passive e della contabilizzazione degli interessi rivenienti dai conti anticipi sul conto corrente principale. Risulta, infatti, per tabulas che la Banca non ha adempiuto all'onere probatorio (a suo carico, quale attore sostanziale) di produzione dei contratti di accensione del c/anticipi. Di conseguenza, non vi è prova in atti dell'esistenza di valide pattuizioni con cui l'opponente abbia autorizzato la Banca a "ribaltare" e contabilizzare interessi e competenze passive rinvenienti da tali conti sul conto corrente principale. Il Ctu, inoltre, ha anche correttamente eliminato, dalla ricostruzione del c/c ordinario, ogni addebito per C.M.S., perché, in nessuno dei contratti prodotti per il c/c ordinario, la banca ha indicato la modalità di calcolo con la quale ha applicato tale commissione, limitandosi ad esporne le aliquote. In tal modo tale commissione è da considerarsi nulla per indeterminatezza. Chiarito quanto sopra va anche rilevato che l'oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto, ma si estende all'accertamento dei fatti costitutivi, modificativi ed estintivi con riferimento alla situazione esistente al momento della sentenza. Ne deriva che, se il debito su cui si fonda il decreto ingiuntivo risulti anche parzialmente non dovuto, si deve comunque revocare in loto il decreto opposto. Per tale ragione, nei termini che precedono, merita accoglimento l'odiema opposizione, e la sola (...) deve essere condannata al pagamento del credito così come rideterminato, pari ad Euro 104.438,42. Alla luce del complessivo esito della controversia si ritiene di dover compensare integralmente le spese processuali. Si precisa, infine che. ai sensi della normativa sulla privacy, in caso di diffusione del presente documento al di fuori della sua naturale destinazione, è obbligatorio l'oscuramento dei dati che rendono possibile l'identificazione dei soggetti coinvolti. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Accoglie l'opposizione per quanto di ragione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. (...) del Tribunale di Matera; - Dichiara la fideiussioni prestate da (...) e (...) come meglio identificate in atti; - Condanna la (...) persona del legale rappresentante p.t. a pagare a parte opposta la somma di Euro 104.438,42. oltre interessi legali dall'introduzione del presente giudizio al saldo; - Spese compensate. Così deciso in Matera il 29 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Unico del Tribunale di Matera, dr. Giuseppe DISABATO, ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al numero di Ruolo Generale 1908/2018, avente ad oggetto "opposizione a decreto ingiuntivo", riservata per la decisione all'udienza del 4 febbraio 2020 TRA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) MATERA - OPPONENTI - CONTRO BANCA (...) (C.F. (...)) con l'Avv. (...) (C.F. (...)) elettivamente domiciliato in (...) - OPPOSTA - All'udienza sopra indicata le parti hanno concluso come da verbale in atti. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta, ai sensi degli articoli 132 n. 4 e 118 disp. att. c.p.c. (come modificati con legge n. 69/09), senza l'esposizione dello svolgimento del processo e con una concisa esposizione dei fatti e delle ragioni giuridiche rilevanti ai fini della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. La domanda monitoria - L'opposta ha chiesto ed ottenuto un decreto ingiuntivo per la condanna in solido dei convenuti al pagamento, in suo favore, della somma di (...) per la quale rispondono, quale debitore principale, l'opponente (...) s.r.l. in liquidazione, e gli altri opponenti quali fideiussori, a seguito di mutuo chirografario contratto dalla prima e garantito dai secondi. Sull'eccezione d'incompetenza funzionale - L'opposto istituto di credito, a seguito dei motivi d'opposizione dedotti dagli opponenti e, in particolare, dell'eccepita nullità della fideiussione prestata per violazione dell'articolo 2 della legge n. 287/90 (legge Antitrust), ha eccepito l'incompetenza funzionale di questo giudice, per essere competente il Tribunale delle Imprese ai sensi dell'articolo 33 della citata legge. L'eccezione non è condivisibile perché, come correttamente evidenziato dalla difesa degli opponenti, l'eccepita nullità costituisce oggetto di un accertamento incidentale, il cui esame compete a questo Tribunale perché trattasi di eccezione riconvenzionale, come tale idonea solo a paralizzare la domanda di pagamento introdotta con il ricorso monitorio (sul punto si richiama Tribunale di Belluno, sentenza n. 53 del 31.01.2019, richiamata dalla difesa degli opponenti). 1 MOTIVO D'OPPOSIZIONE - Gli opponenti hanno disconosciuto la documentazione prodotta in copia dell'istituto di credito opposto che, a seguito di tale disconoscimento, ha prodotto gli originali di tali documenti per cui, sul punto, l'opposizione va disattesa (e, del resto, gli opponenti su tale motivo null'altro hanno dedotto nel corso del giudizio). 2 MOTIVO D'OPPOSIZIONE - Gli opponenti hanno contestato la validità della clausola negoziale, con la quale è stato pattuito il tasso d'interesse del 12,56%, da loro ritenuto usuraio. Anche questo motivo d'opposizione dev'essere disatteso, in quanto l'istituto di credito opposto ha prodotto copia del decreto ministeriale di rilevazione dei tassi usurari nel periodo in cui il finanziamento è stato stipulato, dal quale emerge che per il tipo di operazione compiuta il tasso soglia è pari al 17,325%. 3 MOTIVO D'OPPOSIZIONE - Gli opponenti hanno contestato la nullità del contratto di fideiussione, per violazione dell'articolo 2 della legge n. 287/90 (legge Antitrust). In particolare, la difesa degli opponenti assume che nel contratto di fideiussione in oggetto, sono state inserite agli articoli 2, 7 e 9 le clausole di "sopravvivenza", di "reviviscenza" e rinuncia ai termini ex articolo 1957 c.c., conformi al modello elaborato nel 2003 dall'ABI con l'emissione delle norme bancarie uniformi, sanzionato dalla Banca d'Italia con provvedimento n. 55 del 2.5.2005 perché contrario al citato articolo 2 della legge n. 287/90, conformità che risulta provata dalla produzione documentale in atti e, comunque, non è stata contestata dall'istituto di credito opposto. Quest'ultimo, sul punto, ha eccepito che quella prestata è una fideiussione specifica in quanto relativa ad affare determinato (il finanziamento per cui è causa), mentre il provvedimento del 2.5.2005 della Banca d'Italia, al punto n. 9, dispone espressamente che la censura riguarda lo schema contrattuale relativo alla ""fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie", che disciplina la prestazione della garanzia fornita da un soggetto (fideiussore) a beneficio di qualunque obbligazione, presente e futura, del debitore di una banca", ovvero la c.d. fideiussioni omnibus. L'eccezione sollevata dall'istituto di credito non può essere condivisa, atteso che la Banca d'Italia, nel censurare l'intesa ABI, ha fatto riferimento alle condizioni generali di contratto da applicare alla "fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie" in generale (vedasi punto 91 del citato provvedimento n. 55 del 2.5.2005) e, comunque, anche a voler ritenere la censura operata dalla predetta autorità di vigilanza limitata alle sole fideiussioni omnibus, nulla impedirebbe a questo giudice di ritenere illegittimo tale schema contrattuale quando applicato ad altri tipi di fideiussione, quale quella prestata nella fattispecie dagli opponenti, in quanto anch'essa posta in essere in violazione del citato articolo 2 della legge n. 287/90. Altra eccezione sollevata dall'istituto di credito sempre in ordine alla nullità del contratto di fideiussione, è quella secondo cui si tratterebbe di nullità parziale e, in quanto tale, non potrebbe inficiare l'intero contratto (richiama, sul punto, Cass. Civ., sez. I, 26.9.2019, n. 24044, secondo cui "Con riguardo a contratti di fideiussione in cui figurino clausole che riproducono il contenuto delle clausole ABI, dichiarate illegittime dall'Autorità Garante, deve ritenersi che, avendo l'Autorità amministrativa circoscritto l'accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle norme bancarie uniformi (NBU) trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali predisposte dalla banca e rese in attuazione di intese illecite ai sensi dell'art. 2 della L. 10.10.1990, n. 287, ciò non esclude, né è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba valutarsi dal giudice alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 cod. civ. laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite"). Anche tale eccezione non può essere condivisa. Al riguardo deve osservarsi che l'articolo 1419 c.c. dispone che "La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità"" e la giurisprudenza ha precisato che l'effetto estensivo della nullità della singola clausola all'intero contratto, assume carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione dello stesso contratto (così, per tutte, Cass. Civ. Sez. III, 27.1.2003, n. 1189, secondo cui "L'estensione all'intero contratto della nullità delle singole clausole o del singolo patto, secondo la previsione dell'art. 1419 c.c., ha carattere eccezionale perché deroga al principio generale della conservazione del contratto e può essere dichiarata dal giudice solo in presenza di una eccezione della parte che vi abbia interesse, perché senza quella clausola non avrebbe stipulato il contratto""), e che l'estensione della nullità all'intero contratto, si verifica quando la nullità delle parti o della singola clausola si riferisce ad un elemento essenziale del negozio ("Il principio di conservazione del negozio giuridico affetto da nullità parziale, nel sistema del codice civile, è la regola mentre l'estensione all'intero negozio degli effetti di tale nullità costituisce l'eccezione che deve essere provata dalla parte interessata e si verifica quando la nullità è relativa ad un elemento essenziale del negozio o ad una pattuizione legata alle altre da un rapporto di interdipendenza ed inscindibilità" - Cass. Civ. Sez. I, 19.7.2002, n. 10536). Ciò posto, nel caso in esame le pattuizioni (conformi allo schema ABI) contenute nelle clausole 2 e 9 della fideiussione prestata, hanno sicuramente avuto una funzione rilevante e fondamentale ai fini della conclusione del contratto, in quanto estendono la garanzia fideiussoria sia al caso in cui, estinta l'obbligazione, l'istituto di credito fosse stato costretto a restituire delle somme a seguito di annullamento, revoca o inefficacia dei pagamenti estintivi (articolo 2), sia a quello in cui l'obbligazione principale fosse stata dichiarata invalida (articolo 9), pattuizioni con le quali l'istituto di credito ha rafforzato in maniera forte la garanzia che andava ad assumere dai fideiussori, il che porta a ritenere che senza tali ulteriori pattuizioni il prestito non sarebbe stato concesso. 4 MOTIVO D'OPPOSIZIONE - Gli opponenti hanno contestato la validità del contratto di fideiussione, perché viziato il consenso (articolo 1427 e ss. c.c.), motivo sul quale questo giudice si esime dal pronunciarsi, stante le conclusioni che precedono e sulla base delle quale è stata ritenuta la nullità del contratto. 5 MOTIVO D'OPPOSIZIONE - Gli opponenti, nella memoria ex articolo 183 c.p.c., hanno contestato l'idoneità del contratto di finanziamento chirografario quale titolo esecutivo, eccezione da un lato tardiva e dall'altro irrilevante, atteso che il credito vantato dall'istituto di credito è stato azionato con richiesta di decreto ingiuntivo. L'opposizione, quindi, è parzialmente fondata, in quanto l'opposto decreto ingiuntivo dev'essere revocato e al pagamento della somma ingiunta dev'essere condannata la sola debitrice principale, (...) in liquidazione. Tenuto conto del parziale accoglimento dell'opposizione, che comporta una soccombenza reciproca, ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio sostenute da ciascuna delle parti. La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti, a norma dell'articolo 282 c.p.c., così come riformato. Si precisa, infine che, ai sensi della normativa sulla privacy, in caso di diffusione del presente documento al di fuori della sua naturale destinazione, è obbligatorio l'oscuramento dei dati che rendono possibile l'identificazione dei soggetti coinvolti. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente decidendo sull'opposizione formulata, con atto notificato in data 11.10.2018, da (...) in liquidazione, (...), avverso il decreto ingiuntivo n. (...)/2018, emesso da questo Tribunale in data (...), con il quale gli opponenti venivano condannati in solido al pagamento, in favore della Banca (...), della somma di (...) oltre interessi e spese di procedura così come ivi liquidati, ogni contraria istanza o eccezione disattesa, così provvede: 1. revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2. condanna l'opponente (...) in liquidazione al pagamento, in favore dell'istituto di credito opposto, della somma di (...), oltre interessi legali dal giorno della domanda al soddisfo; 3. compensa le spese di giudizio tra le parti; 4. sentenza esecutiva per il capo 2. Così deciso in Matera il 6 luglio 2020. Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2020.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI MATERA composto dai Sigg. magistrati - Dott. Giorgio PICA Presidente - Dott. Giuseppe DISABATO Giudice - Dott. Antonello VITALE Giudice rel. ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di grado Iscritta al n. 2419/2012 R.G.A.C., avente per oggetto "riconoscimento figlio naturale", promossa da TR.VI., rappresentato e difeso dall'avv. Lu.Na. attore c/ SA.GI., rappresentato e difeso dall'avv. Gi.La. ed avv. Ma.Lo. convenuto e con l'intervento del Pubblico Ministero MOTIVAZIONE - Considerato che con atto di citazione ritualmente notificato Tr.Vi., conveniva in giudizio Sa.Gi., chiedendo al Tribunale la pronunzia di riconoscimento della paternità del Sa., e nei confronti dell'attore Tr.; deduceva all'uopo esservi stata una relazione sentimentale tra la madre Tr.An. ed il Sa., e che tale ultimo, dopo aver assunto le proprie responsabilità per la nascita del figlio, negava successivamente gli iniziali propositi, trasferendosi a Genova senza interessarsi del figlio, che veniva riconosciuto quindi dalla sola madre; veniva quindi formulata richiesta di risarcimento danni conseguenti alla privazione della figura paterna, e relative conseguenze, deducendo di non aver potuto anche e per l'effetto, intraprendere gli studi universitari; - considerato che il convenuto si costituiva dichiarando di non opporsi agli accertamenti peritali del caso, deducendo di non essere mai venuto meno agli obblighi di assistenza, avendo seguito il percorso di vita del Tr., ed asserendo che sia il Tr. sia la di lui madre, avevano rifiutato di poter regolarizzare la posizione lavorativa dei Tr. ed alle dipendenze della agenzia del Sa.; veniva anche contestata la domanda per danni formulata. - rilevato che all'esito dell'espletamento della ctu e della prova testi, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni, quindi riservata per la decisione; - ritenuto che la domanda di riconoscimento debba essere accolta, essendo emerso all'esito della verifica peritale, e con appositi test genetici, che l'attore è figlio biologico dei Sa. Deve al riguardo rilevarsi che (cfr. Cassazione civile sez. I 13 settembre 2013 n. 21014) "a seguito delle più recenti acquisizioni scientifiche le prove ematologiche e genetiche hanno assunto l'idoneità a fornire anche da sole la certezza sia in senso negativo" sia anche in senso positivo del rapporto biologico di paternità." ed ancora che (Cassazione civile sez. I 16 aprile 2008 n. 10007). In tema di accertamento giudiziale della paternità (o maternità) naturale le indagini genetiche, grazie al progressi della scienza biomedica, consentono di dimostrare la esistenza o la non esistenza dei rapporto di filiazione. Le stesse, pertanto, hanno un valore decisivo nei giudizi di filiazione e non solo meramente integrativo di risultanze acquisite altrimenti - da tanto desumendosi la rilevanza dirimente dei relativi accertamenti. In considerazione delle chiare risultanze degli accertamenti condotti dal Ctu, ed alla stregua di quanto ritenuto in giurisprudenza, può essere accolta la domanda dell'attore, con correlata dichiarazione della relativa paternità in capo ai Sa. Residua all'esito la valutazione della richiesta risarcitoria come formulata. L'attore ha chiesto il risarcimento per danni conseguenti alla asserita mancanza di sostegno morale e materiale da parte del genitore, lamentando in particolare di non aver potuto intraprendere gli studi universitari in conseguenza del mancato sostegno. E' stata quindi formulata domanda per risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura di Euro 150.000,00 o nella misura ritenuta di giustizia. Il convenuto ha contrastato la detta domanda eccependo la carenza di prova al riguardo, ed asserendo di essere comunque stato presente nella vita del figlio, e di aver dato lui sostegno. Ai riguardo occorre premettere che la domanda concerne profili di solo danno non patrimoniale riferito a quanto lamentato dall'attore. Non devono quindi essere affrontate questioni concernenti l'omesso mantenimento e contribuzione, stanti i limiti del petitum attoreo. Il genitore de quo ha dedotto essere stato comunque presente nella vita del figlio. Deve al riguardo rilevarsi comunque che dalle scarne risultanze istruttorie, non è dato desumere che quanto asserito in comparsa di risposta ed in atti circa i) sostegno dato dal convenuto, possa aver trovato riscontro. Deve difatti rilevarsi che nella specie alcune dichiarazioni risultano essere meramente confermative degli articolati indicati in atti, non assumendo quindi valenza di riscontri, ed in quanto affatto descrittive dei fatti e circostanze di prova. Peraltro deve anche rilevarsi che alcuni testi risultano essere stretti parenti dell'una o dell'altra parte, e che i medesimi hanno reso dichiarazioni configgenti che quindi confutano reciprocamente quanto affermato a sostegno dell'una o dell'altra parte, risultando per l'effetto prive di idonea valenza probatoria, salvo che per quanto concerne la più analitica indicazione riferita alla partecipazione ad una festa di nozze ed a qualche festa di compleanno e laurea. Comunque dalla complessiva valutazione di quanto desumibile da alcune risposte più specifiche date dai testi, può desumersi che in generale non vi sia stata una adeguata partecipazione e sostegno dal Sa. alla vita del figlio Tr.Vi., odierno attore. Le prove espletate non hanno dato riscontri in tal senso, avendo fornito elementi in senso contrarlo, salvo che con riferimento ad alcune occasioni di incontro specificamente indicate dal testi. Alla stregua di quanto testé rilevata, deve quindi valutarsi la domanda risarcitoria formulata dal Tr. Tale domanda non attiene comunque ad ipotesi di cui all'art. 709ter c.p.c. "danno c.d. "punitivo" o di tipo sanzionatorio" ma attiene a danni da c.d. "illecito endofamiliare". Occorre rilevare che indubbiamente possono ravvisarsi ipotesi di "illecito endofamiliare" anche nei rapporti di filiazione; basti pensare, ad esempio, ai comportamenti omissivi di completo disinteresse verso la prole, ai danni arrecati nella sfera patrimoniale del figlio per non aver potuto egli godere del mantenimento, dell'istruzione e dell'educazione che il genitore inadempiente avrebbe dovuto garantirgli, o ancora ai comportamenti volti ad ostacolare gli incontri con l'altro genitore, che integrano una lesione dei diritti del genitore e del figlio. Tale ipotesi risarcitoria porta a configurare tali danni non patrimoniali, in quanto sussumibili nell'alveo della previsione di cui all'art. 2059 c.c., e per la lesione complessivamente considerata delle situazioni giuridiche che coinvolgono rilevanti pregiudizi dei diritti della personalità. Deve al riguardo comunque ribadirsi che nei caso di specie, è riscontrabile "per quanto in precedenza evidenziato" - la mancanza da parte del genitore di adeguato sostegno nei confronti del figlio, non essendo emersi dalla istruttoria elementi idonei in tal senso, e tali da poter consentire l'infondatezza delle doglianze dell'attore. Occorre quindi rilevare che, secondo anche quanto ritenuto dalle più recenti pronunzie in materia, integra gli estremi dell'Illecito civile, cagionando la lesione di diritti costituzionalmente protetti, e dando luogo a fattispecie risarcitoria e per danni non patrimoniali ai sensi dell'art. 2059 c.c., la avvenuta deprivazione per i figli della figura genitoriale paterna, figura che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita, tanto essendo idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità aquiliana, al sensi del combinato disposto degli artt. 2043 e 2059 c.c. Può quindi evidenziarsi che, secondo alcuni pertinenti arresti giurisprudenziali (cfr. Cassazione civile sez. VI 16 febbraio 2015 n. 3079) "il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli artt. 2 e 30 Cost. - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela" sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole,"-, ed ancora (Tribunale Milano sez. IX 23 luglio 2014) è un comportamento rivelatore di responsabilità genitoriale l'avere deprivato i figli della figura genitoriale paterna, che costituisce un fondamentale punto di riferimento soprattutto nella fase della crescita, e idoneo ad integrare un fatto generatore di responsabilità aquiliana. La voce di pregiudizio de quo sfugge a precise quantificazioni in termini monetari, per cui si impone la liquidazione dei danni in via equitativa ex art. 1226 c.c."; si è anche sottolineato che (Tribunale Monza 16 novembre 2004) - il riconoscimento dei diritti della famiglia, di cui all'art. 29 della Costituzione, va inteso, "nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto genitoriale ispira, generando bisogni e doveri, ma anche dando luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati". Allorché un fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto provocando una determinante riduzione, se non un annullamento delle positività che dai rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale, consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita deve trovare ristoro nella tutela apprestata dall'art. 2059 c.c. in caso di lesioni di un interesse costituzionalmente protetto può ancora citarsi altra pronunzia di merito che ritiene (Tribunale Venezia 30 giugno 2004) "il figlio che venga trascurato o rifiutato dal genitore subisce l'ingiusta privazione di un rapporto che la Costituzione gli garantisce e la violazione dei diritto fondamentale all'apporto morale ed esistenziale del genitore; una tale lesione, pur trascendendo l'ambito strettamente patrimoniale, pur non generando patologie apprezzabili e rilevanti sul piano psicopatologico idonee a configurare un danno biologico, comporta il risarcimento del danno esistenziale"; ed ancora (Tribunale Roma 04 febbraio 2011). Il figlio (legittimo o naturale) che sia stato sempre totalmente ignorato da un genitore (nella specie, il padre) sia sul piano economico, sia sul piano affettivo, psicologico e sociale, può ottenere il risarcimento del danno esistenziale subito (individuato e qualificato quale modificazione peggiorativa dei propri rapporti relazionali e delle proprie abitudini di vita, vale a dire il danno conseguente al raffronto tra la situazione sociofamiliare goduta, in concreto, dalla vittima rispetto alla situazione di cui avrebbe potuto beneficiare ove il genitore avesse, invece, ottemperato ai propri doveri parentali) solo a condizione che, anche in via presuntiva, dimostri rilevanti alterazioni negative dei suoi assetti individuali, relazionali e vitali, e la perdita subita, in concreto, con riguardo agii studi, alle attività parascolastiche, alle attività lavorative, alle frequentazioni sociali, ed a qualsivoglia ulteriore aspetto attinente alla vita di relazione: non è, quindi, sufficiente, allo scopo risa rei torio, dedurre che il genitore inadempiente fosse o fesse stato un dirigente della p.a. senza specificare e provare il tenore di vita del genitore predetto, le sue condizioni reddituali e patrimoniali, le sue condizioni sociali, e le opportunità od i traguardi cui la vittima avrebbe potuto aspirare ove il genitore avesse onorato i propri doveri parentali, nonché le concrete condizioni in cui essa è vissuta, potendo contare solo sul rapporto affettivo, economico, sociale e relazionale dell'altro genitore; al tempo stesso, la cifra richiesta non deve essere, in ogni caso, punitiva perché sproporzionata od eccessiva: all'uopo, il giudice può legittimamente fare riferimento, in via equitativa, alle tabelle comunemente applicate" per quantificare il danno, nei caso della morte di un familiare". Con riferimento al caso di specie, deve rilevarsi che è acclarata la mancata presenza del padre e partecipazione alla vita del figlio e nel corso degli anni. Gli sporadici episodi di contatto, quali desumibili da quanto riferito da alcuni testi in ordine ad inviti e partecipazioni ad alcune feste familiari, non consentono di ritenere ravvisabili sufficienti riscontri in ordine alla partecipazione e seguito del genitore alla vita del figlio Neppure quanto dedotto da parte convenuta sull'asserito supporto ai fini lavorativi, risulta aver trovato idoneo riscontro in atti. Non sono peraltro desumibili dagli atti di causa, elementi che possano indurre indurre a ritenere che tale protratta assenza possa essere almeno in parte giustifica bile. SI ritiene comunque di evidenziare che la causa di riconoscimento di paternità è iniziata solo allorquando l'odierno attore aveva circa trenta anni, e mal prima alcuno "neppure la madre" si è determinato in tal senso, non essendo mai stati addotti motivi di doglianza in epoca antecedente, e rispetto alle relazioni familiari ed ai rapporti padre/figlio. Pur stanti tali inerzie, deve anche rilevarsi che neppure il padre "e pur a fronte della mancanza di iniziativa della madre", dovendo essere consapevole della paternità e da periodo risalente, e tanto essendo desumibile dal complesso delle risultanze istruttorie in atti, risulta essersi affatto Interessato e/o adoperato per avere una maggiore presenza e partecipazione, o per consentire un riconoscimento anche ai fini del sostegno economico del figlio. Può anche ritenersi che le difficoltà relazionali siano indubbiamente imputabili anche al Sa., stante il mancato riconoscimento, e le Successive difficoltà di frequentazione ed accettazione nell'ambito dei rapporti parentali. Peraltro deve ribadirsi quanto già poc'anzi evidenziato, id est che già la madre dell'attore avrebbe potuto chiedere in tempo risalente il riconoscimento giudiziale della paternità; altrettanto avrebbe potuto fare anche il figlio, e dopo il raggiungimento della maggiore età, essendosi determinato a tanto solo intorno ai trent'anni, e lamentando solo con la causa iniziata nel 2012 le mancanze e privazioni di cui all'atto di citazione. Quanto sopra evidenziato in ordine ai periodi e tempi delle iniziative ed azioni intraprese si ritiene debba incidere anche sulla determinazione dei danni richiesti, sia pur comunque ravvisabili nella specie, essendo mancato il coinvolgimento del padre nei corso della Vito del figlio, e con configurabile incidenza negativa sulla crescita del figlio. Deve comunque essere evidenziato che l'asseconda mento e recupero del rapporto padre - figlio, pur a fronte di condizionamenti negativi conseguenti alla esistenza di un nucleo familiare già formato dal convenuto, poteva essere non solo tentato, ma pienamente perseguito, ed a tanto avrebbe dovuto e potuto contribuire il riconoscimento, quale effettuato in tempo più risalente rispetto alla introduzione della causa; deve anche rilevarsi che il raggiungimento delle suddette finalità, può essere perseguito con un pieno e reciproco atteggiamento assecondativo, "peraltro non essendo affatto assecondatale nella persistenza del conflitto, ed in particolare di quello giudiziale". In definitiva deve ritenersi acclarata la configurabilità dei danni di specie, atteso che la mancanza di supporti del padre nel corso del tempo, deve ritenersi non aver consentito al figlio "di tanto non vi è prova, ed anche in particolare in ordine al sostegno economia" un percorso di vita e di crescita qualitativamente differente, rispetto a quello che avrebbe potuto avere con il supporto paterno, essendo l'attore pertanto stato costretto a vivere con li solo reddito della madre, e dovendo per l'effetto ritenersi privato di diverse attività realizzatrici della persona che avrebbero potuto comporre il compendio della sua crescita psico - fisica. In tal guisa può quindi configurarsi il conseguente danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (esistenziale) da privazione della figura genitoriale paterna, a causa del comportamento consapevole e colposo del padre Deve quindi procedersi a valutare i profili concernenti la quantificazione. La relativa liquidazione non potrà quindi che essere effettuata in chiave equitativa, e modulata in conformità alla funzione così come configurata, non potendo peraltro essere individuabili relativi parametri di riferimento, e non essendo stata data dalla parte richiedente specifica giustificazione, - e neppure supporto argomentativo in ordine alla quantificazione indicata nella richiesta. Pertanto alla stregua di quanto rilevabile dagli atti, e stanti i riflessi cagionati In termini dannosi, e non essendo stati addotti o rilevabili peculiari profili che possano portare a valutare in chiave più specifica o personalizzata i danni di specie, si ritiene congruo liquidare a titolo di danni per quanto richiesto, la somma di Euro 20.000,00. Deve al riguardo osservarsi che secondo quanto ritenuto in giurisprudenza (Tribunale Milano sez. IX 23 luglio 2014) "La voce di pregiudizio de quo sfugge a precise quantificazioni in termini monetari, per cui si impone la liquidazione dei danni in via equitativa ex art. 1226 c.c.; in merito alla quantificazione in concreto del risarcimento, in caso di danno endofamiliare da privazione del rapporto genitoriale, può essere applicata, sul piano liquidatorio, la voce ad hoc prevista dalle Tabelle giurisprudenziali adottate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ("perdita dei genitore")". Sulla scorta di tale valutazione II Tribunale menzionato è pervenuto alla quantificazione dei danni configurabili sulla scorta del richiamo della tipologia di danno rinveniente dalla perdita del rapporto parentale per il figlio, e nella considerazione del diritto riconosciuto In capo al figlio alla piena realizzazione dei rapporto di specie, ed ai fini della propria crescita e vita di relazione. Si è quindi ritenuto che tale tipologia di danno debba essere risarcita per il fatto in sé della lesione (cfr. Cass. n. 7713/2000), potendo la relativa liquidazione far capo ad indici presuntivi e secondo nozioni di comune esperienza. Peraltro si è evidenziato che non assume incidenza ai fini della quantificazione del danno, II ritardo nella iniziativa giudiziale intrapresa (cfr. Cass. n. 26205/2013) ritardo ritenuto quindi ininfluente ai fini della configurazione e determinazione del danno non patrimoniale. L'applicazione conformata al caso di specie delle tabelle milanesi, ha anche trovato conforto in pronunzie della S.C. (Cass. I, n. 16657/2014). Pertanto dovrà tenersi conto dei parametri minimi e massimi riportati dalle dette tabelle per la perdita integrale del rapporto (vedasi valori di riferimento delle tabelle 2014), Deve per il caso di specie, considerarsi che non si verte in ipotesi di perdita definitiva, ma solo di privazione parziale. Ed ancora deve anche rilevarsi che comunque dall'istruttoria è emerso che ì rapporti padre/figlio non risultano essere stati del tutto negati, essendovi stati contatti e frequentazioni, ma non risultando avere il padre partecipato adeguatamente ed aver dato supporto alla vita del figlio, al riguardo dovendosi richiamare tutte le considerazioni sopra esposte. Sulla scorta di tutte le considerazioni poc'anzi richiamate, deve quindi procedersi alla rideterminazione degli importi tabellari. Pertanto, e per tutto quanto argomentato in merito alla fattispecie, si ritiene che, tenuto anche conto del lasso temporale trascorso, dei riscontri in ordine ad alcuni contatti avuti tra padre e figlio, e comunque delle considerazioni in ordine alle privazioni conseguenti alla mancanza di supporto dal genitore convenuto, adottando come base di calcolo l'importo minimo delle tabelle, ridotto di circa 1/4 (Euro 40.000,00) atteso che comunque la privazione della presenza non è stata totale, il risarcimento va quantificato in misura pari alla metà di tale somma ridotta, e quindi per complessivi Euro 20.000,00 già considerati congrui all'attualità. - Ritenuto che alla soccombenza debba conseguire la condanna alle spese, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. ti Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda, così provvede: - accoglie la domanda di riconoscimento di paternità, e dichiara che Tr.Vi., nato (...) e residente in Tursi in Corso (...), è il figlio di Sa.Gi., nato a (...) ed ivi residente a via (...); - Manda il Cancelliere a trasmettere copia autentica del dispositivo della presente sentenza, al passaggio in giudicato, all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Policoro, ove fatto di nascita è stato formato, perché provveda alle annotazioni e incombenze di legge; - condanna, per le causali di cui in motivazione, Sa.Gi. al pagamento in favore di Tr.Vi. della somma di Euro 20.000,00, oltre interessi come per legge dal di della pronunzia sino all'effettivo soddisfo; - condanna Sa.Vi. al pagamento delle spese di ctu, e delle ulteriori spese di lite a favore dell'Erario, e così come quantificate da separato decreto reso sulla richiesta di liquidazione per la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Così deciso in Matera il 6 dicembre 2017. Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2017.

  • IN FATTO Il ricorrente, docente di ruolo dell'ITC "Loperfido" di Matera, è stato sottoposto a procedimento disciplinare esitato nel decreto ministeriale di destituzione in data 19.1.2001, per fatti anche oggetto di procedimento penale conclusosi con sentenza ex art. 444 cpp, divenuta irrevocabile in data 1.9.1998. Il provvedimento di destituzione veniva impugnato, sostenendosi - tra l'altro - l'infondatezza dell'assunto accusatorio, anche oggetto del giudizio penale, sull'implicito presupposto che il patteggiamento non poteva considerarsi ammissione di responsabilità, ed all'uopo veniva richiesta l'ammissione di prova testimoniale volta a dimostrare l'estraneità del Carlucci ai fatti addebitati. Con ordinanza del 12.2.2002 la prova non veniva ammessa, ed il ricorrente - riconosciuto che all'ammissione ostava l'autorità di giudicato penale attribuito alla sentenza di patteggiamento dal combinato disposto dagli artt. 445 e 653 cpp, si come novellati dalla legge 27.3.2001 n. 97 - prospettava l'illegittimità costituzionale di tale sistema normativo che esclude il giudizio disciplinare dal principio secondo cui il patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi, così equiparando - rispetto al giudizio disciplinare - la sentenza di patteggiamento ad una pronunzia di condanna. IN DIRITTO La legge n. 97/01 ha ridisegnato il rapporto tra giudicato penale e giudizio per responsabilità disciplinare dinanzi alla pubblica autorità, prevedendo (mediante l'inserimento del comma 1 bis all'art. 653 cpp e la riformulazione dell'art. 445 cpp) che la sentenza penale irrevocabile di condanna (cui è espressamente equiparata, ai fini che qui interessano, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti) ha efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, così escludendosi il giudizio disciplinare dal principio secondo cui il patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. La prospettata questione di compatibilità costituzionale del descritto meccanismo legislativo è rilevante nel presente giudizio, dove l'autorità del giudicato penale (retroattivamente) attribuita alla sentenza di patteggiamento esclude che il giudice civile possa valutare liberamente la sussistenza e la commissione del fatto e dunque, nell'irrilevanza delle deduzioni difensive in ordine a tali questioni, le prove relative non possono essere ammesse. Quanto invece alla non manifesta infondatezza della questione, occorre distinguere. Il ricorrente ha dapprima prospettato puramente e semplicemente l'illegittimità costituzionale dell'equiparazione della sentenza di patteggiamento (passata in giudicato) a quella irrevocabile di condanna; di poi (a pag. 7 delle note illustrative autorizzate) ha censurato la disposta retroattività della novella, così evidenziando la violazione del diritto costituzionale della difesa, perché non poteva valutare, nel momento in cui si determinava ad accedere al rito speciale, l'effetto preclusivo che la sentenza di patteggiamento avrebbe esplicato, solo per effetto di un successivo intervento normativo, nel giudizio disciplinare (e, di conseguenza, in quello civile). A parere di questo giudicante, il primo profilo si appalesa manifestamente infondato, siccome risolventesi sostanzialmente nella prospettazione della contrarietà a (diversi) principi costituzionali dello stesso istituto del patteggiamento, dal ricorrente ritenuto come insufficientemente garantisca del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.. Vi è infatti che tale profilo è stato a più riprese, e sotto diverse angolature prospettiche, posto all'attenzione sia della Corte di legittimità (sollecitata ad investire della questione la Consulta) che della stessa Corte Costituzionale: ebbene, sulla scorta di tale consolidata giurisprudenza (per tutte, Cass. Civ., Sez. I, n. 9068/97; Corte Cost., ord. n. 230/95; id. ord. n. 116/92; id. sent. n. 313/90) è possibile ribadire l'esclusione di ogni profilo di violazione del diritto di difesa dell'interessato, posto che l'applicazione della pena su richiesta delle parti, introdotta con la riforma del codice allo scopo di attuare la massima semplificazione nello svolgimento del processo, con l'eliminazione di ogni attività non essenziale, e per effetto del quale, nei casi espressamente stabiliti, si applica la pena richiesta dall'imputato e dal pubblico ministero, costituisce uno strumento nel quale assume rilievo particolare la volontà delle parti in cui il consenso rende possibile un'anticipata soluzione del processo, ma ciò senza che ne risulti vincolato il giudice ad un riscontro di pura legittimità in esito al quale si addiviene alla mera omologazione di esso; poiché, al contrario, anche in questo caso vi è svolgimento pieno dell'attività giurisdizionale, dovendo il giudice compiere una valutazione in ordine alla congruità della pena cui sarà assoggettato l'imputato, in relazione alla funzione, rieducativa di questa. Ne consegue, pertanto, che la sentenza in esame deve essere un provvedimento motivato, emesso dal giudice nell'esercizio della giurisdizione, sicché, se pure è da escludere che l'accettazione del patteggiamento da parte dell'imputato comporti l'implicita confessione della sua responsabilità, è di tutta evidenza che il giudice accetta la richiesta, non soltanto quando non sussistono gli estremi per una sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p., ma anche quando, in base alle risultanze probatorie di cui si può disporre, traspare la colpevolezza del soggetto sottoposto al giudizio. Rilevato che l'art. 27 Cost. inibisce solo l'irrogazione di una pena senza giudizio, e che, attraverso il patteggiamento, viene solo esaltata la fase preliminare del procedimento penale, dando valore giuridico, in virtù del consenso tra le parti e del previsto controllo giudiziale, alle ipotesi formulate dal P.M., va infine osservato che le garanzie difensive del rito speciale, nella misura in cui sono quantitativamente minori di quelle proprie del rito ordinario, sono tuttavia la conseguenza di una scelta libera e responsabile dell'imputato, e che la richiesta di applicazione di una pena da parte dell'imputato, ovvero il consenso sulla richiesta formulata dal pubblico ministero, ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, esprimono essi stessi una modalità di esercizi del diritto di difesa (che di conseguenza non può dirsi violato), in quanto costituisce efficiente strumento di tale diritto la possibilità offerta all'imputato di avvalersi, con libera scelta, dell'istituto in esame e di acquisire, quindi, una pena minima sottraendosi al rischio di più gravi sanzioni. E che da tale scelta potranno discendere ulteriori effetti pregiudizievoli, consistenti, nel successivo procedimento disciplinare (o giudiziale), nell'incidenza preclusiva sugli accertamenti di sussistenza del fatto e di commissione dello stesso, ciò non lede in alcun modo il diritto di difesa dell'interessato, posto che questi - nel momento in cui accede al rito premiale - è consapevole di tutti gli effetti dello stesso, ed alcun affidamento può riporre in un autonomo accertamento nella sede non penale. Ma, e proprio per tale ragione, diverso discorso è invece da farsi con riguardo al secondo profilo di illegittimità prospettato, concernente la retroattività della legge n. 97/01 applicabile ai patteggiamenti perfezionatisi (come quello in questione) anteriormente alla legge stessa, in virtù dell'art. 10 della stessa legge. Invero (come già osservato da Cass. Civ., sez. III, ord. 27.7.2001, n. 10313, il cui ragionamento è da questo giudicante integralmente condiviso), ancorché il legislatore (salvo il limite dell'art. 25 Cost. in materia penale) possa emanare norme retroattive, anche innovative, ciò tuttavia deve avvenire nei limiti della ragionevolezza (il che è a dire che la scelta normativa deve rispondere ad adeguata giustificazione, pena la violazione dell'art. 3 Cost.), e senza porsi in contrasto con principi costituzionali: ebbene, attribuire alla sentenza di patteggiamento intervenuta prima della nuova legge efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza del fatto e alla sua commissione, significa frustrare - senza alcuna logica ragione - l'aspettativa di chi aveva inteso accedere al rito speciale facendo affidamento sul fatto (tanto consolidato in via interpretativa da costituire diritto vivente) che la sentenza di applicazione della pena non pregiudicava irreversibilmente la possibilità di ottenere un successivo autonomo accertamento dei fatti in sede non penale. La previgente disciplina, infatti, non attribuiva alla sentenza di patteggiamento efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, tra i due giudizi essendo ravvisabile un rapporto di autonomia sostanziale, in virtù del quale nel secondo giudizio occorre procedere a nuova e completa disamina del fatto che l'organo disciplinare (ovvero il giudice civile, nel successivo giudizio instaurato a seguito dell'irrogazione della sanzione disciplinare) è chiamato a valutare. Ne discende il fondato sospetto di incostituzionalità del citato art. 10 della legge 27.3.2001 n. 97, nella parte in cui prevede che gli effetti preclusivi della sentenza di patteggiamento nel giudizio disciplinare operino retroattivamente, con riguardo anche ai patteggiamenti perfezionatisi anteriormente al 6.4.2001, data di entrata in vigore della legge stessa. Quanto alle norme violate, il citato art. 3 della Costituzione viene in rilievo sotto un duplice profilo, quello, già evidenziato, della irragionevolezza della scelta legislativa, comportante pressocché automatiche conseguenze punitive che il previgente sistema non autorizzava, così concorrendo a determinare la scelta dell'imputato del rito premiale, e quello della omologazione di situazioni affatto diverse e non assimilabili: da un lato quella di chi, addivendendo al patteggiamento successivamente all'entrata in vigore della novella, è ben consapevole delle conseguenze preclusive della scelta operata, frutto dunque di opzione libera e responsabile dell'imputato, come tale espressione di una modalità di esercizio del diritto di difesa, e dall'altro quella di chi, al momento del patteggiamento, non poteva valutare tali effetti pregiudizievoli, perché ancora non previsti dalla legge, né desumibili in via interpretativa dal sistema. Viene infine in rilievo l'art. 24. Cost., in quanto la difesa dell'interessato risulta svuotata di concreto contenuto in ordine alla sussistenza ed alla commissione del fatto. P.Q.M. Ritenuto che la questione - così come delineata in motivazione - appare rilevante ai fini del procedimento e non manifestamente infondata, così provvede: 1) Sospende il processo. 2) Rimette gli atti alla Corte Costituzionale perché valuti la prospettata illegittimità dell'art. 10 della legge 27.3.2001 n. 97, come sopra specificata, per contrarietà agli arrt. 3 e 24 della Costituzione. Si notifichi alle parti in causa. Si comunichi, altresì, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Sigg. Presidenti delle Camere. Manda alla Cancelleria per i predetti incombenti.

  • (Omissis). È necessario valutare il fondamento della licenza per finita locazione. L'ulteriore richiesta di recesso per necessità, a prescindere dalla applicabilità della disciplina anche alle locazioni ad uso abitativo, e a prescindere dalla circostanza se essa costituisca nella presente causa una domanda subordinata a quella di licenza, in ogni caso non è stata affatto curata nel corso del giudizio, né risulta in alcun modo dimostrata la lamentata necessità di lavori di straordinaria manutenzione. L'intimata si oppone con due motivi. Con il primo si contesta il contenuto della raccomandata, che non conterrebbe una disdetta, con il secondo si evidenzia comunque la tardività della raccomandata (rispetto alla decorrenza del contratto), per cui comunque il rapporto si sarebbe rinnovato per ulteriori quattro anni. Entrambe le asserzioni sono infondate per i motivi appresso spiegati. Con riguardo al contenuto della raccomandata, essa contiene espressamente un "diniego di rinnovo della locazione" e tale terminologia non può che essere inquadrata nella volontà di disdetta. Parimenti non può condividersi la sostenuta intempestività della disdetta. Parte attrice pretende di contrastare, innanzitutto, con motivazioni di carattere giuridico la convenuta, ricorrendo agli artt. 1599 e 1600 c.c. Spiega che, non essendovi contratto di data certa, il locatore ad altro non era tenuto se non che a comunicare la volontà di licenza sei mesi prima dell'intimato rilascio. Evidenzia che tali conclusioni discendono dalla mancanza di contratto scritto, per cui è impossibile risalire alla data certa di inizio del rapporto locatizio tra il suo dante causa, M. A., e l'intimata. Pertanto, la durata della locazione, per l'acquirente di immobile già locato, va disciplinata dall'art. 1600 cit. La ricostruzione giuridica della fattispecie non può essere condivisa. L' art. 1599 c.c., innanzitutto, nonostante che alcune interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali pretendano vincolarlo alla presenza d'un atto scritto, non limita affatto l'accertamento della data di stipula del negozio alla sussistenza di una scrittura. Basti evidenziare, come ha fatto acuta ed autorevole dottrina, che la forma ordinaria della stipula dei contratti di locazione, ad eccezione di quelli ultranovennali, è libera. D'altronde, neppure l' art. 1600 c.c. va interpretato nel senso indicato dall'attore. Infatti, dalla norma non si ricava affatto che, ove non altrimenti dimostrabile la data di inizio del rapporto, comunque anteriore alla vendita dell'immobile per il solo fatto della detenzione da parte del locatario, l'acquirente sia solo tenuto a comunicare la disdetta sei mesi prima dell'invito al rilascio, ma dispone che la locazione duri il tempo fissato dal legislatore nell'ipotesi di locazioni a tempo indeterminato (art. 1574, n. 1, c.c.). Ciò significa che evidentemente il terzo acquirente, secondo la disciplina dell'art. 1600 c.c. deve riconoscere la durata della locazione per un tempo non inferiore ad un anno. Peraltro, considerando che con l'introduzione della legge 392/78 le locazioni di immobili per uso abitativo non possono essere per legge di durata inferiore a un quadriennio, normativa che sostituisce quella codicistica e pone nel nulla ogni clausola negoziale che diversamente disponga (cfr. artt. 1 e 7 legge cit.), se ne dovrebbe dedurre che, nell'ipotesi in cui non sia possibile determinare la data di inizio del rapporto locatizio ed ogni rinnovo successivo alla scadenza della frazione temporale quadriennale, il terzo acquirente, cui necessariamente incombe l'onere probatorio, dovrebbe consentire la durata della locazione almeno per un periodo di quattro anni, decorrenti dal giorno della vendita dell'immobile. A tali conclusioni tuttavia, nel caso che ci occupa, non è necessario addivenire, perché, mentre è incontestato che la locazione ebbe inizio nel 1985, l'istruttoria espletata ha provato più precisamente che il rapporto negoziale sorse nell'agosto '85. Infatti, il tempo indicato dalla R., maggio '85, risulta una mera affermazione senza alcun sostegno probatorio. Al contrario il D. O. ha provato l'inizio del rapporto in data non precedente al 31 agosto 1985. Tale data trova conferma, infatti, nella testimonianza del L. (resa all'udienza del 9 giugno 1999), il quale ha riferito che nel maggio '85 il precedente proprietario dell'immobile, M. A., residente in Canada, non si trovava in Pisticci, per cui non poteva pattuire alcuna locazione; inoltre, riferisce che lui stesso, sino a prima del 31 agosto '85, stava eseguendo lavori all'interno dell'immobile, senza che questo fosse già locato alla G. Le dichiarazioni del teste trovano conferma sia nella circostanza che effettivamente il M. risiede in Canada, sia nella documentazione prodotta dall'attore, che, a conferma di lavori eseguiti nell'immobile, attesta i versamenti che il M., come proprietario, e il L., evidentemente come esecutore dei lavori, eseguirono al Comune di Pisticci per la sanatoria delle opere abusive realizzate in via M. P. Infine, non priva di significato è la circostanza che la convenuta risulti residente in quella casa dall'ottobre '85. Può dunque ritenersi dimostrato che l'inizio della locazione decorre dal 31 agosto 1985. Partendo da quella data, il contratto scadeva per la terza volta a fine agosto 1997, per cui tempestiva è stata la raccomandata trasmessa per la disdetta il 18 febbraio 1997. Trovando fondamento la domanda attorea, la G. è obbligata al rilascio dell'immobile per cui è causa (omissis).

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