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  • TRIBUNALE DI MODENA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Modena - Seconda Sezione Civile-, in persona del Giudice Unico dott. Michele Cifarelli, ha emesso la seguente SENTENZA 7241/2020 nella causa civile iscritta col n. /241/2020 al Ruolo Generale e vertente tra (...) e (...) (avv. Da.Ma.) - ATTORIe (...) (avv. An.Ba.) - CONVENUTA - Oggetto: risoluzione, recesso, caparra OSSERVA 1) L'oggetto della domanda originariamente proposta dagli attori non è ricompreso fra quelli elencati nell'art.5 co 1-bis del Dlgs n. 28 del 2010, per cui il procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda. E' poi superfluo chiedersi se le domande proposte in via riconvenzionale dalla convenuta rientrino in dette materie, visto che l'eventuale loro autonoma improcedibilità non è stata eccepita dalla controparte, né rilevata d'ufficio dal giudice, entro la prima udienza, come imposto dalla medesima norma. Le contrapposte domande delle parti vanno, dunque, affrontate nel merito. 2) Rispetto al contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato dalle parti il 29 agosto 2019, si contrappongono due domande, aventi identica finalità solutoria: A) quella degli attori, promissari acquirenti, che chiedono venga pronunciata la risoluzione di tale contratto per inadempimento della promittente venditrice (...), con altrui condanna al pagamento del doppio della caparra; B) quella proposta in via riconvenzionale da quest'ultima, che chiede venga accertata la legittimità del proprio recesso, ed il conseguente diritto di ritenere la caparra versata. 2.1) Secondo il convincente insegnamento di Cass. SU n°553 del 2009, il diritto di recesso previsto dall'art.1385 c.c. non è altro "che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l'inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)") tanto che, ad esempio, "una domanda di risoluzione contrattuale correlata ad una richiesta risarcitoria contenuta nei limiti della caparra.....non è altro ... che una domanda di accertamento dell'avvenuto recesso". Ciò comporta la necessità di procedere a corretta qualificazione in iure delle contrapposte domande solutorie al di là del loro dato formale, considerando l'interesse in concreto perseguito dalle parti. Interesse che nella specie è per entrambe volto ad ottenere, con la caducazione del contratto, il beneficio previsto dall'art. 1385 co. 2 c.c. (di ritenere la caparra, o, specularmente, di conseguirne il doppio), per effetto dell'altrui inadempimento. Beneficio che non è possibile conseguire senza l'esercizio del diritto di recesso ed il conseguente accertamento dell'avvenuta risoluzione negoziale del contratto; nella specie, neppure per la via alternativa del risarcimento ordinario dei danni - conseguibile in caso di pronuncia dichiarativa o costitutiva di risoluzione, che per entrambe le parti è in causa del tutto sfornito di allegazione e prova. Le speculari domande vanno pertanto entrambe ricondotte nell'alveo del recesso; che per entrambe le parti va considerato esercitato con i rispettivi atti introduttivi del giudizio - posto che l'anteriore recesso della promittente venditrice non è mai pervenuto a conoscenza dei promissari acquirenti. Peraltro, la questione della corretta riqualificazione delle domande non ha altre ricadute processuali, visto che "nell'indagine sull'inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l'interesse dell'altro al mantenimento del negozio" (sempre Cass. n. 553/09); ovvero "si sia resa responsabile delle trasgressioni che, per numero o per gravità ovvero per entrambe le cause, si rivelino idonee a turbare il sinallagma contrattuale' (Cass. n. 28391 del 2020). 3) Operando nel modo suddetto, si osserva in primo luogo che nel contratto per cui è causa, stipulato il 29 agosto 2019, era prevista a carico dei promissari acquirenti la contestuale consegna di una caparra di Euro 45.000 a mezzo assegno. E pacifico o documentato che l'assegno a tal fine consegnato, tratto dalla sig.ra (...), è risultato insoluto, sicché (...), ottenuto decreto ingiuntivo nei suoi confronti ed iscritta ipoteca su un suo immobile (sito in Modena, via (...)), ha poi incassato la somma corrispondente alla caparra dalla terza acquirente di tale immobile, maggiorata di spese, in forza di apposita previsione nel rogito d'acquisto del 27 gennaio 2020, cui per questo ha personalmente partecipato. 3.1) Sostengono a tal proposito gli attori che, una volta incassata la caparra, non v'era più alcun loro rilevante inadempimento che potesse giustificare l'altrui iniziativa di recesso - che risulta intrapresa nel febbraio 2020, con raccomandate però non ricevute per irreperibilità o restituzione al mittente senza invio. 3.2) Il rilievo è corretto. In effetti, la ricezione della caparra (che va fatta risalire all'incasso, posto che "la caparra confirmatoria può essere costituita anche mediante la consegna di un assegno bancario, pur se l'effetto proprio di essa si perfeziona al momento della riscossione della somma da esso recata e, dunque, salvo buon fine": Cass. n. 10366 del 2022) è avvenuta in un momento in cui era ancora possibile dar corso all'attività prevista nel preliminare, secondo cui "lo studio (...) di Formigine, nella persona dell'arch. (...), o suo incaricato, in concerto con un tecnico abilitato nominato dalla parte promittente l'acquisto presenterà presso il comune di Campogalliano una pratica edilizia di 'valutazione preventiva' unica cumulativa atta ad ottenere un parere preventivo di fattibilità del comune stesso...". Attività prevista come prodromica alla vendita ("ottenuta la valutazione preventiva dal comune di Campogalliano, le parti addiverranno alla compravendita.."), sicché la previsione di termine per il rogito definitivo "entro e non oltre il 30 novembre 2019" (per il lotto A; per il lotto B il termine è al 31 marzo 2023) risulta chiaramente considerata non essenziale dalle parti. 3.3) Ciò, per altro verso, consente anche di escludere in radice rilievo alle condotte delle parti relative all'invito a rogito entro detto termine, che in assenza della preventiva valutazione positiva del comune, costituente "idoneo titolo per la stipula del rogito notarile (lotto A)" sarebbe stato comunque privo di effetti. 4) Entrambe le parti sostengono che non si sia pervenuti neppure alla valutazione preventiva del comune, addebitandosene reciprocamente la colpa. L'adempimento non è più possibile, perché inibito dalle reciproche domande solutorie delle parti, ex art. 1453 co. 3 c.c. Può quindi darsi per avvenuta la caducazione contrattuale, e certa la sua dipendenza causale da tale iniziale inerzia. Occorre, pertanto, indagare sulla condotta delle parti contraenti, per verificare se il mancato compimento dell'attività prodromica, secondo previsione contrattuale da compiersi "in concerto", sia imputabile in via esclusiva ad una sola di esse. Detta analisi va condotta, in punto di fatto, tenendo conto del noto principio giurisprudenziale fissato da Cass. sez. U., sent. n. 13533 del 30 ottobre 2001, secondo cui "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento, deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento'; che va integrato con il rilievo secondo cui "nel caso di proposizione di una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento contrattuale, l'attore ha l'onere di indicare le specifiche circostanze materiali lesive del proprio diritto e di allegare le specifiche circostanze integranti l'inadempimento, in quanto l'allegazione costituisce l'imprescindibile presupposto che circoscrive i fatti cui si correla il diritto di difesa, a presidio del contraddittorio" (Cass. n. 10141 del 2021). Principio che, nel caso di contrapposte domande solutorie, qui ricorrente, impone di ritenere ciascuna parte onerata della prova del proprio esatto adempimento, nel perimetro fissato dalle altrui allegazioni d'inadempimento 5) L'attività prodromica alla vendita non portata a termine consisteva nella presentazione al comune di "una pratica edilizia di "valutazione preventiva" unica cumulativa atta ad ottenere un parere preventivo di fattibilità del comune", munita degli "elementi necessari a valutare: cambio di destinazione d'uso da ufficio ad abitazione; progetto di ristrutturazione con modifiche interne ed accorpamento delle due unità (ora A/10 e A/7) in una sola ... con redazione di nuove planimetrie di progetto da depositare in Comune e catastali, elaborato planimetrico con evidenziata area esclusiva di proprietà ed assegnazione di nuove Rendite Catastali". Come detto, era previsto che tale attività fosse svolta "in concerto" fra l'arch. (...) dello studio (...), incaricato della venditrice, ed un tecnico incaricato dai promissari acquirenti, ovvero l'ing. (...). Mentre può darsi per certo (per ragioni giuridico-amministrative) che il deposito finale fosse a carico del rappresentante della proprietà, il contratto non disciplina specificamente le modalità di realizzazione del concerto. Ciò significa che entrambe le parti, tramite i loro rappresentanti, erano gravate dal reciproco obbligo contrattuale di collaborazione, che implica, da un lato, il dovere di interlocuzione sull'altrui iniziativa; dall'altro, la necessità di assumere l'iniziativa in caso di altrui inerzia. 6) La prova raccolta in causa - documentale ed orale-, in parte qua, riguarda esclusivamente gli accadimenti iniziali, fino al luglio 2019. Non risulta, invece, alcuna iniziativa delle parti riconducibile all'adempimento dell'obbligo (come sopra declinato) successiva al gennaio 2020, in cui la caparra è stata ricevuta dalla promittente venditrice. Per quello che dicono gli atti, costei ha (inutilmente) inviato raccomandata di recesso nel febbraio 2020, e null'altro. I promissari acquirenti, dal canto loro, si sono limitati ad inviare nel settembre 2020 una diffida ad adempiere, in cui si allega l'altrui inerzia colpevole. 7) Procedendo all'analisi del materiale istruttorio secondo la regola di riparto esposta in precedenza, si perviene alla constatazione che nessuna delle parti ha offerto sufficiente prova del proprio esatto adempimento. Queste le ragioni. 7.1) I promissari acquirenti hanno dato prova (testimoniale) di aver inizialmente consegnato allo studio (...) della documentazione, ma non anche che la stessa fosse sufficiente allo scopo di consentire allo studio (...) di procedere in autonomia al completamento e deposito della pratica. Ciò non può presumersi, visto che la documentazione asseritamente consegnata (a doc.4 prodotto dagli attori con la memoria n. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.) è un progetto di ristrutturazione interna dell'edificio, ma non risulta che il concerto si limitasse alla sua consegna, e che pertanto spettasse allo studio (...) di procedere in autonomia alla "redazione di nuove planimetrie di progetto da depositare in Comune e catastali, elaborato planimetrico con evidenziata area esclusiva di proprietà ed assegnazione di nuove Rendite Catastali", costituente l'ulteriore attività specificata in contratto come da compiersi in collaborazione. Ciò non può ritenersi neppure in esito alla deposizione del teste Angelo Catania sul cap.7) - teso a dimostrare "che nell'incontro successivo alla consegna dell'elaborato progettuale redatto dall'Ing. (...) lo studio (...) comunicava alla (...) la fattibilità dello stesso oltre allo svolgimento da parte propria di ogni attività necessaria per la presentazione all'Ufficio Tecnico del Comune di Campogalliano della documentazione per ottenere una valutazione preventiva", poiché costui non ha presenziato a tale incontro, ed avrebbe appreso la circostanza che i professionisti della proprietà "avrebbero garantito la fattibilità" soltanto "giorni dopo" dalla sig.ra (...). In parte qua trattasi, quindi, di teste "de relato actoris"; che sono "quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa" (ex multis Cass. n. 569 del 2015). L'insufficienza di prova della circostanza di aver esattamente adempiuto rende per altro verso del tutto irrilevante la successiva diffida ad adempiere, che per conseguire i suoi effetti (peraltro non invocati in causa) necessiterebbe della certezza istruttoria che, a tale momento, l'incaricato della proprietà fosse in grado di (prima ancora che tenuto a) procedere in autonomia al completamento e deposito della pratica, senza ulteriori interlocuzioni con l'altrui tecnico. 7.2) La condotta inerte della promittente venditrice fino al gennaio 2020 trova giustificazione nell'altrui inadempimento alla consegna della caparra. Dopo la ricezione della caparra, però, come detto, vi è stata piena riespansione dell'obbligo in concerto. La promittente venditrice avrebbe quindi dovuto dar prova: a) di essere impedita a dar corso al proprio adempimento, a causa della omessa collaborazione altrui; b) di aver diligentemente sollecitato la controparte a detta collaborazione, assumendo quell'iniziativa costituente parte integrante dell'obbligo. In realtà, la dimostrazione della circostanza a) non è fornita, mentre quella sub b) non risulta neppure allegata dalla parte onerata. 8) Più in generale, risulta evidente che il concerto delle parti si è realizzato nel non dar corso all'attività preliminare alla vendita, reciprocamente giustificando il proprio inadempimento con quello altrui. Tale fine accomuna la condotta della promittente venditrice che, ottenuta per vie traverse e complicate la consegna della caparra a distanza di mesi, subito dopo prova ad inviare raccomandata di recesso, senza assumere altre iniziative; con quella dei promissari acquirenti che, finalmente pagata la caparra, restano inerti per sette mesi, salvo poi inviare una diffida ad adempiere fondata sull'indimostrato presupposto di aver già eseguito quanto era in proprio obbligo. Deve pertanto conclusivamente ritenersi che la mancata esecuzione del contratto sia dipesa da colpa equivalente di entrambe le parti contrattuali. 9) In detta situazione, non è pertanto possibile assegnare all'una o all'altra parte la colpa esclusiva, o quantomeno prevalente, della caducazione del contratto. In tal caso il giudice, "non potendo pronunziare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell'impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta (ex art. 1453 c.c., comma 2) di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all'art. 1458 c.c. ...Il giudice deve in tale ipotesi far comunque luogo a declaratoria di risoluzione del contratto, in quanto le contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, attese le contrastanti premesse, sono tuttavia dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale" (ex multis Cass. n. 6675 del 2018). 10) In definitiva, le contrapposte domande solutorie conducono a pronuncia di risoluzione del contratto. Poiché la caducazione non è però addebitabile in via esclusiva ad una delle parti contrattuali, vanno rigettate le contrapposte domande ex art. 1385 co. 2 cc, non avendo né i promissari acquirenti diritto alla restituzione del doppio della caparra, né la promittente venditrice diritto a trattenere la caparra. 11) La caparra va, però, restituita; perché la sua restituzione è effetto della risoluzione, che priva ex tunc il pagamento della sua causa (art. 1458 cc), e perché la relativa richiesta è da intendersi ricompresa nel perimetro della domanda proposta dagli attori, di condanna al pagamento del suo doppio, o in quella somma maggiore e/o minore che sarà accertata in corso di causa e/o comunque ritenuta, ex art. 1226 Cod. Civ., congrua, equa e di giustizia. In tal senso si pronuncia. Trattandosi di obbligo restitutorio conseguente a caducazione contrattuale, come tale governato dai "principi della ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c." (ex multis Cass 35280 del 2022), la somma capitale di Euro 45.000 non va rivalutata, ma maggiorata degli interessi legali dal giorno della domanda (11 novembre 2020), dovendo escludersi la mala fede dell'accipiens. 12) Passando alla domanda proposta da (...) allo scopo di ottenere il risarcimento del danno da occupazione dell'immobile per il periodo in cui, scaduto il contratto di comodato, essa è divenuta sine titulo e, quindi, illegittima, si rileva che: a) gli attori hanno ricevuto la materiale disponibilità dell'immobile in forza di contratto di comodato gratuito "convenuto a titolo precario, quindi senza determinazione di durata. I comodatari, ai sensi dell'art. 1810 c.c. saranno obbligati a liberare e restituire gli ambienti in questione entro due mesi dalla richiesta avanzata dalla comodante o suoi aventi causa senza possibilità alcuna di ottenere proroghe o di opporre eccezioni' (art. 8: vedi doc.2 convenuta); b) nella sentenza che ha disposto il rilascio si dà per non controversa l'avvenuta richiesta di restituzione nel settembre 2019. L'occupazione risulta quindi non più legittima a partire dal dicembre 2019, in cui è scaduto il termine contrattuale di rilascio; c) l'immobile è stato rilasciato, in esito ad esecuzione in data 7 giugno 2021. Il periodo in considerazione è pari, dunque, a circa 18 mesi. 12.1) La parte istante allega unicamente la mancata disponibilità dell'immobile per detto periodo, senza prospettare occasioni di guadagno mancate. Orbene, nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile la recente Cass. SU n. 33645 del 2022, a soluzione di pregresso contrasto giurisprudenziale, ha evidenziato che in tal caso il danno può consistere sia in un mancato guadagno, che in una perdita, ed ha chiarito che in tale seconda ipotesi "fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta". Ove il risarcimento sia richiesto per tale danno, come nella specie, l'onere assertivo si risolve nell'allegazione del "fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa"; mentre l'onere probatorio, salvo specifiche contestazioni del convenuto costituito, "può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici'. Inoltre, "sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell'art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell'ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa.". Poiché nella specie gli attori nulla hanno dedotto, ne consegue il riconoscimento del diritto di (...) al risarcimento del danno per il periodo di altrui illegittima occupazione di 18 mesi circa. Danno da liquidarsi in via equitativa, ex art. 1226 c.c. 12.2) Nella specie, non disponendosi di alcun dato relativo al parametro di mercato, il danno si determina, prudenzialmente, nel 50% di quello richiesto dalla parte, e quindi in attuali complessivi Euro 10.500, oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo. 13) La reciproca soccombenza giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. definitivamente pronunziando; riqualificate le contrapposte domande come in motivazione; ogni altra istanza rigettata; 1) DICHIARA risolto il contratto preliminare di compravendita immobiliare stipulato in data 29 agosto 2019 da (...) e (...), quali promissari acquirenti, e (...), quale promittente venditrice; 2) CONDANNA (...) al pagamento, in favore di controparte, della somma di Euro 45.000 oltre interessi legali maturati dal 11 novembre 2020 e maturandi al saldo, a titolo di restituzione della caparra a suo tempo ricevuta; 3) CONDANNA (...) e (...) al solidale pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 10.500 oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo, a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima. 4) DICHIARA le spese di giudizio integralmente compensate fra le parti. Così deciso in Modena l'8 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Giudice Onorario del Tribunale di Modena Dott.ssa Liviana Legittimo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 27/2020 R.G., promossa da: (...) - ricorrente, con l'Avv. G.Gi. - contro I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE DI MODENA - resistente, con l'Avv. G.Ba. e l'Avv. O.Ma. - (...) S.P.A. - resistente, contumace - Causa decisa sulle conclusioni precisate dalle parti, come da atti, che qui si intendono integralmente riportate e trascritte. IN PUNTO A: opposizione avverso l'avviso di addebito n. (...) formato presso la sede I.N.P.S. di Modena il giorno 09.11.2019 e notificato in data 02.12.2019 per l'importo complessivo di Euro 18.903,75, ed avverso l'avviso di addebito n. (...), formato presso la sede I.N.P.S. di Modena in data 09.11.2019 e notificato il giorno 02.12.2019, per l'importo complessivo di Euro 11.913,78, entrambi concernenti contributi previdenziali derivanti dal maggior reddito accertato dall'Agenzia delle Entrate rispettivamente riguardo al periodo gennaio 2013 - dicembre 2013 e gennaio 2014 - dicembre 2014. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Mediante ricorso depositato in data 09.01.2020, la ricorrente Sig.ra (...) proponeva opposizione avverso l'avviso di addebito n. (...), formato presso la sede I.N.P.S. di Modena il giorno 09.11.2019 e notificato in data 02.12.2019, per l'importo complessivo di Euro 18.903,75, ed avverso l'avviso di addebito n. (...), formato presso la sede I.N.P.S. di Modena in data 09.11.2019, notificato il giorno 02.12.2019, per l'importo complessivo di Euro 11.913,78, entrambi concernenti contributi previdenziali derivanti dal maggior reddito accertato dall'Agenzia delle Entrate rispettivamente riguardo al periodo gennaio 2013 - dicembre 2013 e gennaio 2014 - dicembre 2014. La ricorrente contestava gli avvisi di addebito impugnati per violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, per nullità degli stessi per erroneità degli importi richiesti, per intervenuta prescrizione del credito relativamente ai contributi fissi della Gestione Artigiani per l'anno 2013 e perchè rispettivamente derivanti da avviso di accertamento n. (...) e n. (...), parzialmente annullati sia dalla Commissione Tributaria Provinciale di Modena, sia dalla Commissione Tributaria Regionale; chiedeva, inoltre, sospendersi l'efficacia degli avvisi di addebito in oggetto. Letto il ricorso ed iscritto al n. 27/2020 R.G., ritenuta la tempestività del medesimo, il Giudice Dott. (...) fissava udienza di comparizione delle parti per il 26.01.2021, sospendendo la provvisoria esecuzione degli avvisi di addebito opposti. In data 16.01.2021 si costituiva parte resistente Istituto Nazionale della Previdenza Sociale contestando tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito e chiedendo il rigetto del ricorso. All'udienza suddetta, i procuratori delle parti si riportavano ai rispettivi scritti difensivi, insistendo nelle istanze, deduzioni ed eccezioni ivi articolate. Il Giudice, a scioglimento della riserva assunta, attesa la regolarità della notifica dichiarava la contumacia di (...) S.p.A. e rinviava per decisione all'udienza del giorno 03.03.2022. La causa veniva assegnata al Giudice Onorario Dott.ssa Li.Le., rimessa in istruttoria ed all'uopo rinviata al giorno 04.03.2022. All'udienza di cui sopra, tenutasi con la modalità ex art. 83, comma 7, lett. h), D.L. n. 18 del 2020, come modificato dall'art. 221 della L. n. 77 del 2020 e s.m.i. e, quindi, con contraddittorio meramente scritto, viste le note di trattazione scritta tempestivamente depositate unicamente dal procuratore di parte ricorrente, la causa veniva rinviata per decisione all'udienza del giorno 05.04.2023. Terminata l'udienza suddetta, sulle conclusioni precisate dalle parti, il Giudice Onorario di Tribunale si è riservato la pronuncia della presente sentenza contestuale ai sensi dell'art. 429 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Va preliminarmente rilevato, per quanto attiene alla eccepita violazione dell'art. 24, III comma, D.Lgs. n. 46 del 1999, che detto articolo, rubricato "Iscrizioni a ruolo dei crediti degli Enti previdenziali", stabilisce al terzo comma che "Se l'accertamento effettuato dall'ufficio è impugnato davanti all'autorità giudiziaria, l'iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del Giudice". Il potere di iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali è, pertanto, inibito allorché l'atto presupposto, verbale di accertamento/ispettivo, sia impugnato dinnanzi all'autorità giudiziaria. In caso di proposizione dell'azione di accertamento negativo delle pretese contributive iscrivibili a ruolo, si determina pertanto una stasi nel procedimento amministrativo di formazione del ruolo, ovvero una temporanea carenza del potere-dovere della Pubblica Amministrazione di agire in via esecutiva. Il sopra menzionato art. 24, non distingue, comunque, tra accertamento eseguito dall'Istituto previdenziale ed accertamento operato da altra Pubblica Amministrazione. Consolidato insegnamento del Giudice di legittimità, peraltro, asserisce che "L'iscrizione a ruolo dei crediti degli Enti previdenziali è subordinata, ai sensi dell'art. 24, comma 3, del D.Lgs. n. 46 del 1999, all'emissione di un provvedimento esecutivo del Giudice ove l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, senza distinguere se esso sia eseguito dall'Ente previdenziale ovvero da altro Ufficio pubblico e senza richiedere la conoscenza, da parte dell'Ente creditore, dell'impugnazione proposta" (ex multis, Cassazione n. 4032/2016 e Cassazione n. 12333/2015). Con specifico riferimento all'impugnazione del verbale dell'Agenzia delle Entrate, inoltre, la giurisprudenza ha statuito che "In tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli Enti previdenziali, l'art. 24, comma 3, del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, che prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia il provvedimento esecutivo del Giudice, qualora l'accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all'autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l'accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall'Ente previdenziale, ma anche quello operato da altro Ufficio pubblico come l'Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini della non iscrivibilità a ruolo, che, in quest'ultima ipotesi, l'I.N.P.S. sia messo a conoscenza dell'impugnazione dell'accertamento innanzi al Giudice tributario" (ex plurimis, Cassazione-Sezione Lavoro, sentenza n. 8379 del giorno 09.04.2014). Per tutto quanto sopra dedotto ed argomentato, pertanto, può certamente affermarsi che tale orientamento consente di saldare insieme la duplice esigenza di scongiurare, da un lato, contrasti di giudicati e di evitare, dall'altro, inutili duplicazioni di attività processuali, e che deve senza dubbio ritenersi, quindi, inibito all'I.N.P.S., nella situazione in esame, di emettere avvisi di addebito per pretesi recuperi contributivi, sino all'intervenuta definitività del giudizio relativo all'accertamento della legittimità dei verbali di accertamento dell'Agenzia delle Entrate. Nondimeno, si deve comunque rilevare che il Giudice dell'opposizione che ritenga illegittima l'iscrizione a ruolo, non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza delle domande di pagamento dell'Istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l'opposizione a decreto ingiuntivo, con la conseguenza che gli eventuali vizi formali dell'avviso di addebito o della cartella esattoriale comportano soltanto l'impossibilità, per l'Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l'accertamento in sede giudiziaria dell'esistenza e dell'ammontare del proprio credito (ex multis, Cassazione n. 14149/2012; Cassazione n. 774/2015 e Cassazione n. 26395/2011). Ebbene, i principi esposti si ritiene siano senz'altro applicabili al caso de quo, avendo l'I.N.P.S. chiesto il pagamento dei contributi accertati dall'Agenzia delle Entrate, nella misura indicata negli avvisi di addebito e, pertanto, devono essere valutate nel merito le pretese contributive del convenuto, che traggono origine dal verbale di accertamento dell'Agenzia delle Entrate n. (...), relativamente all'anno d'imposta 2013 e n. (...), relativamente all'anno di imposta 2014, ritenendo la stessa sussistere un maggior reddito in capo alla ricorrente e su tale maggior reddito l'Agenzia medesima ha calcolato anche i maggiori contributi dovuti all'I.N.P.S. - Gestione Artigiani. 2. Per quanto attiene, inoltre, alla eccepita prescrizione del credito contributivo dall'I.N.P.S. vantato con riferimento all'anno 2013, ritiene codesto Giudicante che la detta eccezione di prescrizione vada accolta. Pregiudizialmente, infatti, occorre dare atto della ondivaga giurisprudenza sul punto che, in più occasioni, si è espressa in maniera discordante fino ad assumere, negli ultimi arresti, una posizione ferma e nettamente predominante in ordine, appunto, alla individuazione del termine di prescrizione. Diversi orientamenti si sono, infatti, avuti sul punto della prescrizione, a partire dalle pronunce secondo le quali il termine decorre dalla presentazione della dichiarazione (ex multis, Cassazione, ordinanza 20.04.2016, n. 7836), a quelle secondo cui lo stesso decorre dalla data di scadenza del pagamento del contributo (ex multis, Cassazione - Sezione Lavoro, sentenza 31.10.2018, n. 27950), fino a quelle che lo ritengono sospeso in costanza della mancata compilazione del quadro RR ritenendolo ipotesi di doloso occultamento del credito (ex multis, Cassazione - Sezione Lavoro, 07.03.2019, n. 6677). Tra tutti i predetti orientamenti, si ritiene di potere pacificamente individuare tale termine decorrente dalla data di scadenza del pagamento del contributo, dando in tal modo continuità ad uguale orientamento, ormai da considerarsi diritto vivente. A suffragio di quanto argomentato, si veda la sentenza della Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, 23.02.2021, n. 4899, allorquando statuisce "L'inadempimento dell'obbligo di versare i contributi, si verifica nel momento in cui, alla scadenza fissata, il contribuente omette il versamento. Solo da quel momento I.N.P.S. può esercitare il suo diritto di credito, non essendo rilevanti né la modalità prescelta per la presentazione della dichiarazione dei redditi (cartacea o telematica), né l'epoca temporale per detto adempimento". Ed ancora "In materia previdenziale, la prescrizione dei contributi decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo" (ex plurimis, Cassazione - Sezione Lavoro, 11.02.2021, n. 3367). Ancora, "In tema di contributi, il termine di prescrizione decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla successiva data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo" (ex multis, Cassazione - Sezione Lavoro, 09.07.2020, n. 14638). Ad abundantiam, "In tema di contributi a percentuale, posto che il fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva è rappresentato dall'avvenuta produzione da parte del lavoratore autonomo di un determinato reddito professionale, la prescrizione decorre dal momento in cui scadono i termini di pagamento per il versamento delle relative somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi" (ex multis, Cassazione - Sezione Lavoro, 31.10.2018, n. 27950). Dunque, nel caso di specie, essendo i contributi riferiti all'anno 2013, il termine di pagamento, giusto lo slittamento disposto con D.P.C.M. 13 giugno 2014, aveva scadenza in data 07.07.2014 e da tale data decorreva, quindi, la prescrizione. Da quanto sopra argomentato, consegue inevitabilmente che l'atto interruttivo della prescrizione ricevuto mediante avviso di addebito consegnato con lettera raccomandata il giorno 02.12.2019 e riferito all'anno 2013 è da reputarsi del tutto intempestivo, escludendo anche, tutti i predetti elementi, che possa delinearsi, sul piano oggettivo, nel comportamento in concreto adottato dalla ricorrente, l'intenzionale, doloso occultamento del debito contributivo in questione. Né parte resistente ha dato prova di ulteriori e precedenti atti interruttivi della prescrizione. 3. Passando ora al merito della vertenza, ritiene codesto Giudicante che l'opposizione meriti accoglimento. Occorre preliminarmente dare atto che l'opposizione ad avviso di addebito dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto contributivo, cosicché l'accertamento deve essere compiuto secondo le ordinarie regole in materia di onere della prova. Ex art. 2697 cod. civ., quindi, grava sull'Ente previdenziale l'onere di provare i fatti costitutivi dell'obbligo contributivo (ex plurimis, Cassazione, n. 5763/2002 e Cassazione, n. 23600/2009). Secondo, infatti, il consolidato insegnamento del Giudice di legittimità, "Nel giudizio promosso dal contribuente per l'accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all'I.N.P.S. l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva" (ex multis, Cassazione - Sezione Lavoro, sentenza n. 14965 del giorno 06.09.2012 e Cassazione - Sezione Lavoro, sentenza n. 22862 del 10.11.2010). Come inoltre ha chiarito anche la Corte di Appello di Bologna in numerose sentenze, l'I.N.P.S. è "tenuto a provare l'effettività del maggior reddito che si assume percepito" (ex plurimis, sentenza n. 733/2015 del 25.08.2015 e sentenza n. 1002/2015 del 20.10.2015) e nel caso di specie difetta proprio la prova del maggior reddito prodotto dalla ricorrente. L'I.N.P.S., infatti, ha posto a fondamento dell'avviso di addebito relativo all'anno 2014, esclusivamente il verbale di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, peraltro impugnato dinnanzi sia alla Commissione Tributaria Provinciale, sia innanzi a quella Regionale, quale atto-presupposto della pretesa contributiva, senza fornire allegazioni in fatti circa la natura e la sussistenza dei fatti costitutivi generatori del maggior reddito, né fornendo ulteriore documentazione contabile, circostanze che paralizzano l'ulteriore scrutinio nel merito della fondatezza della pretesa contributiva. L'I.N.P.S. non ha, pertanto, assolto all'onere della prova su di lui incombente in ordine alla dimostrazione dei fatti costitutivi posti a fondamento delle proprie pretese creditorie, con la conseguenza per cui l'avviso di addebito opposto e relativo all'anno 2014 deve essere dichiarato illegittimo ed inidoneo a fondare qualsiasi pretesa contributiva. Ad abundantiam, inoltre, occorre precisare pure che tutti i verbali di accertamento dell'Agenzia delle Entrate sono stati parzialmente annullati dal Giudice Tributario che ha accertato, in tal modo, pertanto, la parziale inesistenza delle pretese creditorie avanzate. Ebbene, da tutto quanto sopra esposto, si ritiene non si possa inconfutabilmente ritenere provata la tesi sostenuta dall'Istituto resistente. Per tutte le suddette ragioni, pertanto, non potendosi dire compiutamente e pienamente assolto l'onere probatorio a carico dell'Istituto previdenziale, non risulta neppure il maggior reddito così come imputato, per mancanza di allegazione e prova dei fatti costitutivi e, quindi, conclusivamente, per i motivi anzidetti, la controversia deve essere decisa come in calce. 4. Per quanto attiene alle spese di lite, infine, si deve avere riguardo alla sentenza n. 77/2018 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92, comma 2, c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le spese di lite ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni diverse da quelle tipizzate dal legislatore, asserendo che devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni" tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell'art. 92 comma 2, c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che "l'assoluta novità della questione trattata" ed il "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell'area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo. Ebbene, l'identità delle questioni affrontate nel procedimento attinente all'altro socio della (...) S.n.c., il contegno processuale di parte resistente e le incertezze interpretative in ordine ai rapporti tra lite fiscale e giudizio ordinario, giustificano la compensazione parziale delle spese di lite, nella misura del 50%, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c.. La restante quota del 50% deve essere posta a carico dell'I.N.P.S. in forza del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., da liquidarsi secondo i parametri del D.M. n. 147 del 2022. Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto: 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata; 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare; 3) delle condizioni soggettive del cliente; 4) dei risultati conseguiti; 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al D.M. della Giustizia n. 147 del 13 agosto 2022 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - Serie Generale - n. 236 del giorno 08.10.2022, in vigore dal 23.10.2022). In particolare, si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle suddette tariffe, al loro valore minimo per lo studio della controversia, per la fase introduttiva e per la fase decisoria (per controversie di valore compreso tra Euro 26.001,00 e Euro 52.000,00), e si determina in Euro 1.645,50 il compenso complessivo, già ridotto del 50%. A questo si aggiunge il contributo unificato, il rimborso forfettario delle spese generali pari al 15%, oltre I.V.A. e C.P.A. come per Legge. P.Q.M. Il Giudice Onorario, definitivamente pronunciando nella causa in epigrafe, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa e respinta; esaminati gli atti ed i documenti di causa; consultata la normativa vigente; così provvede: - ACCOGLIE il ricorso in opposizione proposto dalla ricorrente Sig.ra (...) avverso l'avviso di addebito n. (...) formato presso la sede I.N.P.S. di Modena il giorno 09.11.2019 e notificato in data 02.12.2019 ed avverso l'avviso di addebito n. (...), formato presso la sede I.N.P.S. di Modena in data 09.11.2019 e notificato il giorno 02.12.2019 che, per l'effetto, vengono dichiarati nulli ed annullati integralmente e dichiara non dovuti dalla ricorrente all'I.N.P.S. i contributi. - CONDANNA parte resistente I.N.P.S. al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite, che liquida nella complessiva somma di Euro 1.645,50, già ridotta del 50%, oltre contributo unificato, rimborso spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A., da distrarsi ex art. 93 c.p.c. - DICHIARA compensate le spese di lite nella misura del 50%. Così deciso in Modena il 5 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I grado iscritta al N. 729/2020 R.G. promossa da (...), nato a R. (M.) il (...), ivi residente in via G. n. 1927 (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Al.Gr.; RICORRENTE contro ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Roma, via (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Ba.; RESISTENTE Avente ad oggetto: pensione - neutralizzazione - riliquidazione RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 442 c.p.c. del 06.08.2020, (...) conveniva in giudizio l'INPS per sentir accogliere le seguenti conclusioni: a) in via principale: accertarsi il diritto alla riliquidazione della pensione di anzianità n. (...) (categoria (...)), escludendo dalla base di calcolo del quantum dovuto gli anni 1988, 1989, 1990 e 1991 lavorati in qualità di operaio giornaliero di campagna, conseguentemente condannarsi l'istituto previdenziale alla riliquidazione della pensione, con decorrenza dall'1.04.2014, nella misura di Euro. 1.057,95 e al versamento dei ratei differenziali arretrati maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria; b) in via subordinata: accertarsi il diritto alla riliquidazione della pensione di anzianità n. (...) (categoria (...)), assumendo come base per il calcolo della quota A (ante 31.12.1992) di pensione relativa alla gestione lavoratori dipendenti la retribuzione pensionabile annua equivalente a ritroso, alle 260 settimane effettive di lavoro antecedenti la decorrenza della pensione e come base per il calcolo della quota B (post 31.12.1992) l'intero periodo come stabilito dal 3 comma dell'art. 15, L. n. 153 del 1969, conseguentemente condannarsi l'istituto previdenziale alla riliquidazione della pensione, con decorrenza 01.04.2018, nella misura di Euro 1.049,39 e al pagamento degli importi differenziali arretrati, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria; c) in via ulteriormente subordinata: accertarsi il diritto alla riliquidazione della pensione di anzianità n. (...) (categoria (...)), con adeguamento della retribuzione effettiva percepita alle 52 settimane fittiziamente accreditate o comunque in conformità a quanto stabilito dal 3 comma dell'art. 15, L. n. 153 del 1969, con condanna dell'istituto previdenziale a riliquidare la pensione, con decorrenza 01.04.2018, nella misura di Euro. 964,21 ed a corrispondere il pagamento degli importi differenziali arretrati, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria; d) in via ancora più gradata: accertarsi il diritto alla riliquidazione della pensione n. (...) (categoria (...)), con sommatoria delle retribuzioni percepite in entrambe le gestioni (bracciante agricolo e coltivatore diretto) in conformità a quanto stabilito dal 2 comma dell'art. 15, L. n. 153 del 1969, con condanna dell'ente previdenziale a riliquidare la pensione nella misura che risulterà dall'istruttoria e al versamento dei ratei differenziali arretrati maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria. Il ricorrente deduceva: a) di aver svolto attività lavorativa utile ai fini pensionistici, dall'1.07.1973 al 27.02.1988 quale lavoratore dipendente, dall'1.01.1988 al 31.03.2018 quale lavoratore autonomo nella Gestione Coltivatori Diretti, con alcune giornate come lavoratore agricolo dipendente (gg. 8 nel 1988, gg. 15 nel 1989, gg. 11 nel 1990 e gg. 11 nel 1991); b) di avere presentato domanda di pensione in data 24.01.2018 e di avere ottenuto la liquidazione della pensione con decorrenza 01.04.2018, per un importo mensile di Euro. 733,13; c) che l'importo liquidato dall'istituto era frutto del cumulo delle contribuzioni versate in gestioni diverse, e precisamente delle contribuzioni versate nella Gestione Lavoratori Dipendenti e delle contribuzioni versate nella Gestione Coltivatori Diretti, che davano origine a due diverse quote, cumulate ex art. 16, L. n. 223 del 1990; d) che il calcolo del quantum della pensione era errato per difetto, poiché l'ente aveva calcolato la pensione assumendo quale retribuzione dell'ultimo quinquennio la retribuzione media del bracciante agricolo avventizio, che era stata percepita solo per 45 giornate lavorative, ripartendola per fictio iuris sulle ultime 260 settimane contributive; e) che escludendo dal conteggio gli ultimi 5 anni di contribuzione, non necessari al fine del raggiungimento dell'anzianità contributiva necessaria al pensionamento, l'importo della pensione liquidata sarebbe stato maggiore. 2. L'INPS, costituitosi oltre i termini di cui all'art. 416 c.p.c., contestava le domande attoree e ne chiedeva il rigetto. Il convenuto affermava di avere applicato correttamente gli artt. 14 e 15 della L. n. 153 del 1969, che disciplinavano compiutamente la situazione fattuale e giuridica del ricorrente, e che la domanda di neutralizzazione non poteva essere accolta perché i periodi contributivi da bracciante agricolo degli anni 1988,1989,1990,1991 erano necessari per il raggiungimento del diritto alla pensione. 3. Sul merito 3.1. Il thema decidendum della presente controversia ha ad oggetto la sussistenza del diritto del ricorrente alla neutralizzazione dei periodi contributivi degli anni 1988,1989,1990,1991, accreditati per il lavoro di bracciante agricolo dipendente. 3.2. La domanda principale è fondata. Nel caso di specie trovano attuazione i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale. La Consulta ha chiarito che il principio cd. di "neutralizzazione" configura la regula iuris secondo cui la contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata, e comporta, conseguentemente, che i periodi contributivi che abbiano comportato una minore contribuzione vanno esclusi ai fini del calcolo della pensione, con conseguente immodificabilità in peius dell'importo della prestazione determinabile alla data del conseguimento del requisito per l'accesso al trattamento pensionistico (ex multis sentenze n. 388/1995, n. 264/1994, n. 428/1992, n. 307/1989 e n. 822/1988). In fattispecie assimilabile a quella scrutinata, la Corte Costituzionale ha statuito che "risulta palesemente contrario al principio di razionalità - implicante l'esigenza di conformità dell'ordinamento a valori di giustizia e di equità - che dall'applicazione del meccanismo previsto dal sistema previdenziale per la determinazione di tale retribuzione, il quale stabilisce che questa sia costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite durante il rapporto di lavoro (oppure corrispondenti o a periodi riconosciuti figurativamente o a eventuale contribuzione volontaria), risultante - per una presunzione di maggior favore verso il lavoratore - dal solo ultimo periodo lavorativo di 260 settimane, consegua, nel caso in cui in tale lasso di tempo debbano venire ricompresi periodi di contribuzione obbligatoria di importo notevolmente inferiore alla contribuzione precedente (e non utili per l'anzianità contributiva minima) una diminuzione del trattamento pensionistico del soggetto rispetto a quello che gli sarebbe spettato se non avesse dovuto effettuare dette diverse contribuzioni. Oltre che irragionevole e ingiusto, il verificarsi di una tale eventualità incide sul principio di proporzionalità tra pensione e quantità e qualità di lavoro prestato e sulla garanzia previdenziale, di cui, rispettivamente, agli artt. 36 e 38, Cost. E' pertanto costituzionalmente illegittimo l' art. 3, ottavo comma, L. 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non prevede che, nel caso di esercizio durante l'ultimo quinquennio di contribuzione di attività lavorativa, meno retribuita da parte del lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell' età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione, in quanto non necessari ai fini del requisito dell'anzianità contributiva minima" (sent. n. 264/1994). Dunque, alla luce della citata giurisprudenza, il giudice può procedere all'eliminazione del periodo contributivo ai fini del calcolo del quantum della pensione, sul presupposto della non necessità di tale periodo alla maturazione del diritto, nei casi in cui il computo del suddetto periodo determini un quantum inferiore di pensione. 3.3. La vicenda si inserisce all'interno di una cornice fattuale, analiticamente descritta in ricorso, da ritenersi pacifica poiché non contestata ex adverso. Dalle allegazioni delle parti e dalla documentazione in atti si ricava che (...) ha svolto attività lavorativa utile ai fini pensionistici, dall'1.07.1973 al 27.02.1988 quale lavoratore dipendente, dall'1.01.1988 al 31.03.2018 quale lavoratore autonomo nella Gestione Coltivatori Diretti, con alcune giornate lavorative come lavoratore agricolo dipendente (gg. 8 nel 1988, gg. 15 nel 1989, gg. 11 nel 1990 e gg. 11 nel 1991). L INPS ha calcolato la pensione utilizzando la retribuzione percepita nell'ultimo quinquennio per l'attività di bracciante agricolo avventizio, per complessivi 45 giorni. Ebbene, tale modalità di calcolo si traduce in un evidente pregiudizio per le ragioni del pensionato, posto che la "neutralizzazione" del periodo in esame (anni 1988,1989,1990,1991) consente la liquidazione di un trattamento pensionistico superiore a quello riconosciuto. Si rileva, inoltre, che le giornate lavorate come bracciante agricolo non sono necessarie al fine del raggiungimento dell'anzianità contributiva minima per l'accesso alla pensione, come riconosciuto dal convenuto (cfr. verbale d'udienza dell'1.12.2022 ). L'"estratto conto analitico" comprova la persistenza del diritto alla pensione del ricorrente anche nel caso di scorporo degli anni 1988,1989,1990,1991; l'ente, infatti, non ha computato le 45 giornate tra "le settimane utili alla pensione". E', quindi, provato che l'eliminazione del periodo contributivo 1988 - 1991 comporta il raggiungimento dell'anzianità contributiva necessaria al pensionamento, con aumento del quantum erogabile. 3.4. L'INPS afferma che la pretesa del ricorrente è impedita dal fatto che la neutralizzazione può operare solamente per gli ultimi cinque anni della carriera lavorativa (periodo 2013 - 2018) e non per il quinquennio antecedente il 1 gennaio 1993, come stabilito da Cass. n. 790/2021. La deduzione è infondata. E' pur vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "I trattamenti pensionistici liquidati dopo il 1 gennaio 1993 sono determinati, avuto riguardo alla disciplina di cui alla L. n. 421 del 1992 e al D.Lgs. n. 503 del 1992, sulla base di una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile, che obbedisce alla "ratio" di rendere l'importo della pensione il più possibile aderente all'effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa; ne consegue che, rispetto ad essi, non opera, anche con riferimento ai lavoratori che, alla predetta data, abbiano maturato un'anzianità superiore a 15 anni, il rimedio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della cd. "neutralizzazione" dei periodi a retribuzione ridotta, il quale ha la finalità di evitare un decremento della prestazione previdenziale nell'assetto legislativo delineato dall'art. 3 della L. n. 287 del 1982, incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro" (Cass. n. 28025/2018, Cass. n. 790/2021). Tuttavia, la disposizione transitoria contenuta nell'art. 13 del D.Lgs. n. 503 del 1992, relativa alle pensioni liquidate dopo il 10 gennaio 1993, dispone che l'importo della pensione deve essere determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1 gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta (determinata sulla retribuzione pensionabile corrispondente alle ultime 260 settimane) che a tal fine resta confermata in via transitoria; b) della quota di pensione corrispondente all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 10 gennaio 1993, calcolato secondo le nuove regole introdotte dal D.Lgs. n. 503 del 1992. Quindi per la quota di pensione A) opera la precedente normativa, "che a tal fine resta confermata in via transitoria". L'ultrattività implica che le pregresse disposizioni debbano essere interpretate alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di neutralizzazione (C. Cost. n. 264/1994), con conseguente applicazione del principio di irriducibilità del trattamento pensionistico raggiunto in itinere, alla stregua del quale una volta perfezionato il requisito minimo, l'ulteriore contribuzione non può compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata fino a quel momento. Orbene, alla data dell'1.01.1993 (...) aveva una anzianità contributiva superiore a 15 anni e la liquidazione è avvenuta pacificamente a seguito di domanda del 24.01.2018. Non è stato contestato dal resistente che "la liquidazione della retribuzione pensionabile del sig. S. è avvenuta UNICAMENTE nella quota A e per il periodo anteriore al 1993, NON essendovi liquidazione della cosiddetta quota B, ossia di quella determinata sulla base dell'anzianità contributiva maturata dal 1.01.1993 alla data di pensione sulla media delle retribuzioni-redditi degli ultimi 10 anni" (cfr. pag. 8 note finali ricorrente). E' pacifico che la pensione è stata calcolata sulla base delle retribuzioni percepite per l'attività di lavoro subordinato, considerando i cinque anni anteriori alla cessazione della carriera da dipendente (1986 - 1991), senza computo della contribuzione da lavoro autonomo degli anni 1988 - 2018 (confluita nella Gestione dei coltivatori diretti). Siccome la liquidazione della pensione è stata eseguita in accordo con la precedente disciplina di cui alla L. n. 297 del 1982, va riconosciuta la neutralizzazione sulla quota A) riferita al periodo ante 01.01.1993, unica quota liquidata dall'ente previdenziale. Tenuto conto della citata disposizione transitoria e stanti i principi di ragionevolezza, equità e proporzionalità ex artt. 3, 36 e 38 Cost., deve essere riconosciuta al ricorrente la neutralizzazione richiesta. 3.5. Sulla base del prospetto prodotto dal ricorrente, non oggetto di specifica e dettagliata contestazione, l'INPS deve essere condannato alla riliquidazione della pensione di anzianità n. (...) (categoria (...)), con decorrenza 01.04.2018, nella misura di Euro. 1.057,95 mensili, e al versamento dei relativi importi differenziali, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo. 4. Sulle spese di lite 4.1. Con la sentenza n. 77/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92, comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le spese di lite ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Secondo la Corte, devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni" tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell'art. 92 co. 2 c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che "l'assoluta novità della questione trattata" e il "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell'area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo. 4.2. La controvertibilità della questione esaminata e l'evoluzione giurisprudenziale giustificano la compensazione parziale delle spese di lite, nella misura del 50%. La restante quota del 50% deve essere posta a carico dell'INPS in ragione della soccombenza ex art. 91 c.p.c., da liquidarsi secondo i parametri del D.M. n. 147 del 2022. P.Q.M. Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione respinta: 1) ACCERTA E DICHIARA il diritto di (...) alla riliquidazione della pensione, escludendo dal calcolo del quantum dovuto il periodo contributivo degli anni 1988,1989,1990,1991 e, per l'effetto, condanna l'INPS alla riliquidazione della pensione di anzianità n. (...) (categoria (...)), con decorrenza 01.04.2018, nella misura di Euro. 1.057,95 mensili, e alla corresponsione dei relativi importi differenziali, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo; 2) CONDANNA l'INPS al pagamento del 50% delle spese di lite in favore del ricorrente, che liquida nella complessiva somma di Euro. 2.543,00 - già ridotta del 50% -, di cui Euro. 43,00 per anticipazioni e Euro. 2.500,00 per competenze legali, oltre rimborso spese generali nella misura di legge, I.V.A. (se dovuta), e C.P.A.; 3) DICHIARA compensate le spese di lite nella misura del 50%. Così deciso in Modena il 31 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Riccardo Di Pasquale - Presidente dott. Susanna Zavaglia - Relatore dott. Eugenio Bolondi - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 9486/2016 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. GO.GI. e dell'avv. SE.FR. ((...)) , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv. GO.GI. ATTRICE contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.FA. e dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 41100 MODENA presso il difensore avv. MA.FA. CONVENUTA (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.FA. e dell'avv. elettivamente domiciliato in VIA (...) MODENA presso il difensore avv. MA.FA. INTERVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), premesso che: - con atto a ministero Notaio (...) del 4.9.14 erano stati pubblicati i due testamenti olografi in data 16.4.2002 e 10.10.2007 mediante i quali (...) aveva disposto dei propri beni dopo la sua morte a favore delle figlie (...) e (...); - in particolare, il de cuius aveva attribuito alla figlia (...) la proprietà esclusiva dei fabbricati posti in San Cesario sul Panaro, catastalmente individuati al NCEU al Foglio (...) Mappale (...), sub (...) e (...), con l'area cortiliva di cui al mappale (...) sub (...) B.C.N.C.; - che, inoltre, egli aveva assegnato in proprietà esclusiva alla figlia (...) una porzione di terreno contiguo alla consistenza immobiliare sopra descritta, al fine di ampliare l'estensione dell'area cortiliva, da stralciarsi, mediante frazionamento, dall'appezzamento di terreno agricolo individuato al NCT del predetto comune al Foglio (...) con il Mappale (...); - che, ciò premesso, le sorelle (...) e (...) erano comproprietarie indivise, in ragione di una metà ciascuna, fatta eccezione per la porzione di terreno sopra descritta da stralciarsi dal mappale 17 del Foglio (...), da attribuirsi in proprietà esclusiva a (...), sia per successione apertasi per la morte della madre C.G., sia per successione apertasi per la morte del padre P.S., di alcuni terreni agricoli, accatastati come in atti; tutto ciò premesso, chiedeva disporsi la relativa divisione in natura. Si costituiva (...), contestando la divisibilità del terreno oggetto della domanda di parte attrice, e chiedendo, in via riconvenzionale, accertarsi che la reale volontà del testatore era quella di attribuire a ciascuna delle sue figlie (...) e (...) una quota della metà cadauna del valore del proprio patrimonio, indipendentemente dall'attribuzione all'una o all'altra dei singoli cespiti che lo componevano, condannando conseguentemente (...), cui erano stati devoluti, per effetto della divisione operata dal testatore, beni aventi un valore complessivo superiore alla metà del patrimonio, a corrispondere alla sorella il relativo conguaglio, pari ad ½ della differenza. Chiedeva altresì dichiararsi (...) tenuta alla collazione dell'importo di 60.000, percepito a seguito dell'incasso della polizza "vita" A. n. (...) stipulata e pagata dal de cuius P.S. con beneficiaria la sola (...), come tale da considerarsi quale donazione soggetta a collazione. Inoltre, domandava accertarsi il diritto della convenuta a percepire iure proprio, quale partecipante dell'impresa familiare, la quota del 50% degli incrementi patrimoniali conseguiti dall'azienda paterna nel periodo compreso fra il 1 gennaio 1997 e la data di apertura della successione per un importo pari ad Euro 313.458,46 (ovvero alla diversa somma provata in corso di causa o determinata in via equitativa dal giudice) e condannarsi (...), quale materiale apprenditrice di tutte le somme liquide relitte da P.S., ad eseguire il relativo pagamento a (...). In via subordinata, chiedeva dichiararsi la rescissione della divisione operata dal testatore ai sensi dall'art. 763 c.c., essendo stata (...) lesa oltre il quarto, ovvero, in ulteriore subordine, disporsi la riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione della quota di legittima alla stessa spettante, e condannarsi (...) al pagamento alla sorella della somma necessaria e sufficiente alla reintegrazione della quota lesa. In ogni caso, instava per la condanna di (...) a corrisponderle la somma di Euro 1.204,16 per imposta di successione a suo carico, la somma di Euro 886,82 quale quota del 50% a suo carico delle spese professionali occorse per la redazione ed il deposito della denuncia stessa, nonché la somma di Euro 30,66 corrispondente al 50% di imposte dovute da P.S. e pagate da (...), e così complessivamente Euro 2.121,64. Interveniva volontariamente in causa (...), marito di (...), deducendo di avere prestato a sua volta la propria collaborazione nell'azienda agricola del de cuius sino al suo decesso, senza averne mai percepito gli utili, e chiedendo pertanto accertarsi l'intervenuta costituzione di un'impresa familiare coltivatrice a far tempo dal 1.1.1997 con conseguente diritto del medesimo di percepire la quota del 10% degli incrementi patrimoniali dell'impresa, materialmente appresi dalla convenuta. La causa è stata istruita mediante l'escussione di testimoni e l'espletamento di CTU e, all'udienza del 20.9.2022, è stata trattenuta in decisione previo deposito delle note per la trattazione scritta. La presente controversia verte sulla divisione dell'eredità del padre (...), deceduto a S. C. sul P. (M.) il 24.7.2014, tra le sorelle (...) e (...), uniche eredi. L'eredità è devoluta per testamento; in particolare il de cuius, tramite due testamenti olografi in data 16.4.2002 e 10.10.2007 (doc. 1 fasc. att.) ha disposto di tutte le sue sostanze, assegnando alla figlia (...) l'immobile, con relative pertinenze, ubicato a S. C. sul P. (M.), in V.O. n. 2 e quivi censito al NCEU, Fg.(...), mapp.(...), sub. (...) e (...) ove egli stesso viveva insieme a (...) e alla sua famiglia, e all'altra figlia, (...), i risparmi depositati presso la B.C. (oggi U.B.) a C.E.. Ha inoltre disposto alcuni legati in denaro in favore delle nipoti e delle pronipoti e, quanto a tutti i beni residui (quote sociali, terreni, trattori e mezzi agricoli e tutto quanto non espressamente indicato), che fossero divisi a metà tra le due figlie. Si verte pertanto, come riconosciuto da entrambe le parti, in tema di cosiddetta "divisio inter liberos" (art. 734 c.c.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell'apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali (così già l'ordinanza di questo Tribunale nella fase cautelare, giudice Italiano, 26.4.2016 - doc. 19 conv.). Non vi è dubbio dunque sull'intervenuto acquisto in capo a (...) della proprietà della casa sin dal momento dell'apertura della successione. A (...) sono invece stati assegnati i "risparmi" custoditi presso la B.C. (oggi U.), la cui generica dizione vale indubbiamente ad includere la titolarità dei titoli bancari intestati al de cuius al momento del decesso, anche sopravvenuti in epoca successiva alla redazione del secondo testamento. Quanto al saldo attivo del conto corrente in essere presso la stessa Banca, ammontante alla data del decesso di (...) ad Euro. 24.398,21 (doc. 2 depositato dall'attrice il 12.5.2017), non avendolo il de cuius attribuito specificamente ad una sola delle figlie, esso deve ritenersi appartenere ad entrambe per il 50%. Come già evidenziato, anche altri beni non sono stati divisi dal testatore, ma solamente attribuiti alle due figlie in parti uguali: i terreni oggetto della domanda principale di divisione, i mezzi agricoli e il mobilio come da elenco contenuto nella CTU del geom. Ghirardini del 29.11.2019; deve pertanto ritenersi che siamo di fronte ad una divisione testamentaria parziale. Sul punto la dottrina ha chiarito che la divisione testamentaria, oltre che totale, può essere anche parziale, cioè prevedere la "distribuzione" tra gli eredi istituiti solo di una parte dei beni ereditari, purchè il testatore abbia inteso assegnare questa parte come quota, riservando invece la restante parte di beni alla successione ab intestatu o ad un successivo apporzionamento. Ciò posto, in corso di causa le parti sono addivenute ad un accordo in ordine alla divisione dei terreni e dei beni mobili, depositato in via telematica il 24.6.2022. Sul punto è dunque cessata la materia del contendere. E' appena il caso di rilevare che, come già specificato nell'ordinanza 28.7.22, detto accordo, che contiene una serie di patti collaterali rispetto all'assegnazione dei beni (inerenti la realizzazione del passo carrabile, l'utilizzo del pozzo, ecc..) configura una divisione convenzionale del terreno (e dei beni mobili ivi menzionati) posta in essere al di fuori delle forme di cui agli articoli 785 e ss. c.p.c., di talchè all'evidenza non può essere emessa ordinanza di approvazione del progetto ai sensi dell'art. 789 c.c., né può essere sul punto pronunciata una sentenza, essendo venuta meno la controversia tra le parti. La questione sulla ammissibilità delle domande riconvenzionali svolte dalla convenuta e dal terzo chiamato è già stata risolta del giudice istruttore con ordinanza del 20.6.2017, cui integralmente ci si riporta. Nel merito, va anzitutto esaminata la domanda della convenuta e dell'intervenuto (...) di vedersi riconoscere una quota degli incrementi dell'impresa familiare coltivatrice, quantificati complessivamente in Euro. 616.916,93, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato e detratto soltanto quanto il de cuius spendeva per la gestione della famiglia. Detta impresa sarebbe sorta, secondo la tesi degli istanti, a decorrere dal 1.1.1997, quando, cessato il rapporto di dipendenza di (...) dal padre, la prima, unitamente al marito, continuò a collaborare nella gestione e conduzione dell'azienda agricola, contribuendo ad incrementarne il patrimonio del 500%. La domanda non può essere accolta; invero, pur essendo emerso dall'istruttoria orale espletata che (...) e G.D., anche successivamente il 1996, hanno continuato a collaborare nell'azienda agricola del de cuius (così come, seppur più saltuariamente, l'attrice (...) - cfr. deposizione teste D.), non vi è prova che ciò sia avvenuto in maniera continuativa tanto da configurare tra le parti un'impresa familiare. In senso contrario depone la cessazione del rapporto lavorativo tra il padre e (...), da cui deve presumersi l'affievolimento dell'impegno di quest'ultima nell'azienda di famiglia, come si evince d'altro canto dal testamento del 16.4.2002 di (...), nel quale il de cuius dà atto che da quel momento la figlia si è limitata ad aiutarlo in campagna nei momenti del bisogno. Quanto al G., è pacifico che avesse un altro lavoro a tempo pieno in fabbrica e che pertanto fosse disponibile in maniera limitata per effettuare i lavori nei campi; inoltre, egli ebbe nell'agosto del 1998 un grave incidente (cadde da una scala) che giocoforza gli impedì di lavorare per un certo periodo e comunque anche in seguito di eseguire i lavori fisicamente più impegnativi. Nel testamento del 16/4/02 il de cuius, al riguardo, così, testualmente, si esprime: "il genero quando à potuto mi dava una mano coi lavori di campagna", ciò che conferma la saltuarietà dell'impegno prestato dal G.. In sostanza, pacifico che vi fosse una qualche collaborazione della figlia e del genero conviventi nella gestione della casa e dell'azienda agricola, non può ritenersi che essa fosse di natura tale da integrare i requisiti richiesti dall'art. 230 bis c.c.. Di più, non risulta che da tale collaborazione sia derivato un incremento del patrimonio personale di (...), tanto meno nella misura indicata negli atti di costituzione di giudizio. La convenuta e il terzo intervenuto, infatti, al fine di dare la prova dell'incremento, fanno riferimento a dati non omogenei, richiamando alla data del 31.12.1996 il - solo - saldo del conto corrente intestato a (...) pari ad Euro. 13.128,07, mentre al 10.11.2014 (tre mesi dopo il decesso), il saldo unitamente ai titoli e agli strumenti finanziari al medesimo intestati, ammontante ad Euro. 630.045,00. Ebbene, a parte la considerazione che quest'ultimo dato, oggetto di contestazione, non è ricavabile dalla documentazione depositata dalla convenuta (doc. 6, illeggibile), risultando al contrario dalle produzioni dell'attrice che, alla data del decesso, l'ammontare dell'importo liquido, derivante dal conto corrente (Euro 24.398,21) e del deposito titoli n (...) (406.304,92) intestati al de cuius era pari alla minor somma di Euro 430.703,13 (doc n 2 depositato con la II memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c.), la disomogeneità dei dati non consente di ritenere provato l'incremento, nulla essendo stato allegato (né provato) in ordine alla consistenza degli strumenti finanziari in capo al de cuius alla data del supposto inizio dell'impresa familiare. E' provato che alla data del 30/6/2005 i depositi ammontavano già ad Euro. 318.631,35 (doc n 1 depositato con la citata memoria di parte attrice), ma nulla è dato sapere in ordine alla situazione precedente, né a come si sia determinato il successivo incremento del patrimonio finanziario. La scarna documentazione bancaria a disposizione non consente dunque di ritenere dimostrato che gli incrementi patrimoniali registrati a distanza di diversi anni nel portafoglio del defunto provenissero dagli introiti dell'attività agricola (e non piuttosto, ad esempio, alla redditività degli investimenti, incasso cedole e dividendi, ecc.), non essendo stato prodotto nemmeno un estratto del conto corrente intestato al de cuius in relazione al rapporto bancario durato almeno 20 anni. D'altro canto, non sussiste neppure la prova che la gestione dell'azienda agricola abbia portato un effettivo aumento al patrimonio di (...): dalla contabilità personalmente redatta dal predetto (che la convenuta contesta solo parzialmente e comunque in maniera del tutto generica), emerge che le spese annualmente fatte per la coltivazione del podere e per l'integrale mantenimento della famiglia della convenuta (...) (vitto, luce, gas, acqua, telefono, riscaldamento, tasse, manutenzione e rinnovo fabbricati, assicurazioni ecc.), quantomeno a far tempo dall'anno 2006, superavano, e di non poco, gli importi ricavati dalla vendita dei prodotti agricoli, costituenti le sole entrate del podere, ovverossia le somme pagate dall'Agra per il conferimento della frutta, dalle Cantine Riunite Civ per il conferimento dell'uva e dalla Progeo per il conferimento dei cereali (grano, mais e sorgo) (docc. da 3 a 18 depositati dall'attrice il 12.5.2017). Che le figlie di (...) contribuissero alle spese di casa, d'altra parte, è circostanza mai allegata dalla convenuta, emersa solo in sede di escussione testimoniale delle figlie stesse che, al di là della valutazione in ordine alla relativa attendibilità, non può tenersi in considerazione in quanto del tutto generica e non circostanziata, in assenza di dati in ordine alla relativa situazione economica e alle effettive disponibilità. D'altro canto, è la stessa (...) ad affermare di non aver più percepito alcuna retribuzione a decorrere dal 1.1.1997, di talchè non si comprende con quali redditi avrebbe potuto provvedere al proprio sostentamento e a quello delle figlie, quantomeno sino al raggiungimento della relativa indipendenza economica. In conclusione, non vi è prova che l'asserita impresa familiare coltivatrice abbia portato un effettivo incremento del patrimonio di (...). Venendo alla interpretazione del testamento, deduce la convenuta che intenzione del padre, espressa nella scheda testamentaria, fosse quella di ripartire in parti uguali il proprio patrimonio relitto, di talchè (...) avrebbe diritto ad un conguaglio da parte della sorella, cui il de cuius aveva assegnato (involontariamente) beni di valore superiore. Deduce inoltre che la divisione fatta dal testatore è suscettibile di rescissione ai sensi dell'art. 763 c.c. in quanto, alla figlia (...), vengono devoluti beni per un valore quasi triplo rispetto a quello dei beni attribuiti a (...). Le domande non sono fondate; invero, come già evidenziato, il testatore ha diviso tutti i suoi beni tra le figlie, attribuendone alcuni specificamente all'una o all'altra e i residui ad entrambe in parti uguali. In tal modo egli ha sicuramente inteso distribuire il proprio patrimonio in maniera il più possibile equa, tenuto conto della storia familiare (richiamata nella premessa del primo testamento), cercando di non privilegiare una figlia rispetto all'altra ("vorrei non fare differenza a nessuna delle figlie"); nondimeno, non si evince dal testo dell'atto (né dalla sua interpretazione), che egli abbia inteso stabilire due quote esattamente uguali, ben potendo ritenersi che la modifica effettuata con il secondo testamento (con cui ha posto il legato in favore delle nipoti a carico della figlia (...)) fossa volta a rimediare quella che il testatore riteneva essere una eccessiva sperequazione tra le porzioni effettuate, ma non a pareggiarle del tutto. A tal fine egli avrebbe potuto utilizzare (o quantomeno richiamare) l'istituto del conguaglio (così Cass. 13380/2005), indicato proprio per correggere le diseguaglianze in natura delle quote. In altre parole, non vi è prova che il testatore abbia stabilito le quote di eredità, ricavabili, per contro, a posteriori dalla valutazione comparativa delle singole porzioni dal medesimo formate. Non può dunque ritenersi che sia dovuto a (...) alcun conguaglio. Inoltre, a ciò consegue la non applicabilità al caso di specie dell'istituto della rescissione disciplinato dall'art. 763 c.c., considerato che la dedotta diseguaglianza delle quote non può ritenersi significativa di una lesione, rispondendo piuttosto alla volontà del testatore di distribuire il patrimonio secondo quote diseguali (così da ultimo Cass. 6449/2008). La relativa domanda è dunque inammissibile. Non può essere accolta la domanda della convenuta di collazione dell'importo di Euro. 60.000 percepito dalla sorella a seguito dell'incasso della polizza "vita" A. n. (...), avendo la Suprema Corte da tempo chiarito che "L'istituto della collazione, limitato al conferimento nella massa ereditaria delle donazioni non contenenti espressa dispensa, è incompatibile con la divisione con la quale il testatore abbia ritenuto effettuato, ai sensi dell'art. 734 cod. civ., la spartizione dei suoi beni (o di parte di essi), distribuendoli mediante l'assegnazione di singole e concrete quote ("divisio inter liberos"), evitando così la formazione della comunione ereditaria e, con essa, la necessità di dar luogo al relativo scioglimento, in funzione del quale soltanto si giustificherebbe il conferimento nella massa previsto dagli artt. 724 e 737 cod. civ." (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12830 del 23/05/2013). E' altresì infondata la domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie per lesione della quota di legittima spettante a (...) formulata in via subordinata. Per verificare la lesione occorre accertare il valore dei beni relitti al momento dell'apertura della successione. Ebbene, dalla CTU espletata dal geom. (...), emergono i seguenti valori dei beni relitti, concordati con i consulenti di parte: Fabbricati Euro. 265.000; terreni Euro. 205.000; beni mobili Euro. 5.000. La documentazione bancaria prodotta attesta inoltre che, alla data del decesso, il de cuius era titolare di liquidità in conto corrente per un importo di Euro 24.398,22, e di titoli obbligazionari e quote fondi di investimento per un valore complessivo di Euro 406.304,92, (doc. 2 allegato alla memoria 22.5.2017 parte attrice). A entrambe le figlie sono inoltre pervenuti il 50% della quota del capitale sociale A. per un importo di Euro 3.667,13, della quota sociale COOP per un importo di Euro 185,03 e del credito giacente presso Cantine Riunite CIV per un importo di Euro 4.844,10 (importi indicati dall'attrice e non contestati). Il valore complessivo della massa ereditaria ammonta dunque ad Euro. 923.095,66. Da tale importo vanno detratte le spese funerarie, pari ad Euro. 5.180 (doc. 23 e 24 fasc. conv.). Al netto dei debiti ereditari, dunque, il valore della massa diviene pari ad Euro. 917.915,66. Ad esso va aggiunto l'importo dei beni donati: nel caso di specie, non è contestato che (...) sia beneficiaria esclusiva della polizza assicurativa A., stipulata dal de cuius nell'anno 2011, con un premio unico iniziale di Euro 60.000,00 (doc. n. 7 conv.). Il valore complessivo di relictum+donatum ammonta dunque ad Euro. 977.915,66. Deve ora accertarsi il valore dei beni attribuiti a (...), onde appurare se siano inferiori alla quota riservatale ex lege, pari ad un quarto del patrimonio. Il valore dei beni attribuiti a (...) ammonta ad Euro. 387.055,41 (quote sociali+credito CIV+100%valore fabbricati+50%terreni+50%beni mobili+50%saldo attivo conto corrente detratti legati e spese). Dalla quota di (...) va tuttavia detratto l'importo dei legati ai nipoti, il cui onere è stato posto a suo carico dal testatore, pari ad Euro. 75.000; ne consegue che il valore della quota diviene pari ad Euro. 312.055,41. Ne risulta l'infondatezza dell'azione di riduzione esercitata, essendo il valore dei beni attribuiti a (...) superiore al quarto del patrimonio. Essendo pacifico che (...) ha incassato l'intero saldo attivo del conto corrente intestato al de cuius, spettante per metà alla sorella, la prima va condannata a corrispondere alla seconda l'importo di Euro. 12.199,15, avendo (...) già corrisposto la propria quota parte delle spese funerarie. Inoltre, (...) deve corrispondere a (...) il 50% delle spese sostenute dalla seconda per la denuncia di successione, la quota imputabile alla prima delle imposte ipotecarie e catastali, nonché le altre spese inerenti l'eredità e indicate in atti (pag. 11 comparsa di costituzione), per un importo complessivo di Euro. 2.121,64 (docc. 13-15 fasc. conv.). Su tali somme sono dovuti gli interessi legali dalla domanda (14.2.2017) al saldo. Tutti i restanti beni, come già evidenziato, sono già stati divisi tra le parti tramite la scrittura del 23.6.2022. Il complessivo esito del giudizio giustifica la compensazione integrale tra la parte attrice e la convenuta delle spese di lite, ivi comprese quelle del CTU (avendo, tra l'altro, entrambe le parti usufruito dell'ausilio del consulente per giungere all'accordo conciliativo). L'intervenuto, integralmente soccombente, va condannato a corrispondere all'attrice le spese di lite inerenti la difesa sulla domanda dal medesimo proposto (di valore pari ad Euro. 61.691,69), che si liquidano in dispositivo in ossequio ai paramenti di cui al D.M. n. 55 del 2014 e succ. mod.. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita: - dichiara cessata la materia del contendere con riguardo alla domanda di scioglimento della comunione proposta dalla parte attrice; - condanna (...) a corrispondere a (...) la somma di Euro. 14.320,79, oltre interessi legali dalla domanda (14.2.2017) al saldo; - rigetta tutte le altre domande riconvenzionali formulate dalla convenuta; - rigetta le domande proposte dal terzo intervenuto (...); - compensa integralmente tra la parte attrice e la convenuta le spese di lite, ivi comprese quelle del CTU; - condanna (...) a corrispondere alla parte attrice le spese di lite, che liquida in Euro. 8.000 per compensi ex D.M. n. 55 del 2014, oltre al 15% di spese generali, i.v.a. e c.p.a.. Così deciso in Modena il 29 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Andrea Marangoni ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 780/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Via C. (...) 63 41121 (...) I., rappresentato e difeso dall'avv. RU.MO. RICORRENTE/I contro (...) S.P.A. (C.F. (...) ), elettivamente domiciliata in VIA R. (...) 60 (...), rappresentata e difesa dall'Avv. BA.FR.; RESISTENTE/I IN FATTO ED IN DIRITTO Con ricorso depositato in data 8/9/2020, (...), già dipendente della società (...), società che produce e commercializza materiali ceramici , con decorrenza dall'1.12.1999 , inizialmente con mansioni di Funzionario commerciale Italia ed inquadramento come Quadro, poi successivamente, dall'1.01.2008, con mansioni di dirigente, premettendo di aver ricevuto una contestazione disciplinare in data 3 marzo 2020, seguita dall'irrogazione del licenziamento, ne ha dedotto l'illegittimità per insussistenza del fatto, sproporzione della sanzione rispetto all'addebito e per il carattere ingiurioso del medesimo, nonché ha dedotto di non aver percepito la relativa indennità in relazione alle trasferte effettuate, ha chiesto di: "condannarsi (...) S.p.A. (...), come sopra al pagamento in favore del ricorrente d elle seguenti somme: - preavviso lordo Euro 94.519,07 - incidenza del preavviso sul TFR - indennità supplementare massima Euro 189.038,13 ovvero nella misura minima di Euro 141.778,60 - indennità di trasferta Euro 129235,00 - danno da licenziamento ingiurioso, nella misura di Euro 47.259,54 O di quei diversi importi maggiori o minori che dovessero risultare all'esito del giudizio, oltre interessi e rivalutazione monetaria". Si è costituita la (...) SPA, deducendo la piena legittimità del licenziamento irrogato e la non debenza dell'indennità di trasferta. Istruita con i documenti prodotti dalle parti e con l'assunzione di prove testimoniali, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza, celebrata col rito della trattazione scritta. Sulla giustificatezza e sulla giusta causa di recesso. L'onere di provare la sussistenza dei motivi posti a fondamento del licenziamento grava sulla datrice di lavoro (Cass. Sent. n. 7830 del 29.03.2018). Come noto, poi, ai fini del riconoscimento dell'indennità supplementare prevista per la categoria dei dirigenti, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, L. n. 604 del 1966, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ. (cfr. Cass. n. 25145/2010; Cass. n. 23894/2018). Secondo condivisa e consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, "la nozione di "giustificatezza" del licenziamento del dirigente, prevista da alcuni contratti collettivi ai fini del riconoscimento di un'indennità supplementare, non coincide con quella di "giusta causa" o "giustificato motivo" del licenziamento del lavoratore subordinato, ma è molto più ampia, e si estende sino a comprendere qualsiasi motivo di recesso che ne escluda l'arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, e del divieto di licenziamento discriminatorio. Di conseguenza fatti o condotte, che con riguardo al rapporto di lavoro in generale non integrano giusta causa o giustificato motivo, possono giustificare il licenziamento del dirigente con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva (Cass. n. 775 del 17.1.2005; nello stesso senso: cfr. Cass. n. 14604 del 20.11.2001, Cass. n. 15749 dell'8.11.2002, Cass. n. 322 del 13.1.2003, Cass. n. 16263 del 19.8.2004, Cass. n. 7838 del 15.4.2005, Cass. n. 11691 dell'1.6.2005 e Cass. n. 21748 del 22.10.2010). Più recentemente, la Corte ha ulteriormente argomentato che ai fini della giustificatezza del licenziamento dirigenziale "può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, sicché maggiori poteri presuppongono una maggiore intensità della fiducia e uno spazio ampio ai fatti idonei a scuoterla" (Cass. n. 12204/2016; conformi n. 24941/2015; n. 2205/206 e altre). Pacifico che, ferma la specificità della posizione del dirigente anche all'atto del recesso dal rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, l'onere della prova della sussistenza di un'idonea giustificazione a base del licenziamento (con o senza preavviso), gravi pur sempre sulla parte datoriale (cfr. Cass., Sez. L., Sentenza n. 16263/2004 cit.). Nel caso di rapporto dirigenziale, la valutazione dei fatti idonea a compromettere la fiducia "va compiuta in modo più rigido e fermo che non nei confronti di qualsiasi altro dipendente per via dell'essenziale rapporto di fiducia di positiva valutazione del dirigente "imprenditore" con la conseguenza che " la giusta causa indicata dall'articolo 2119 c.c. risente, sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione precisa dettata dall'esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze, dell'investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l'attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, direzione di orientamento della struttura organizzativa aziendale" (Trib. Milano n. 832/2013). La Corte di Cassazione ha altresì statuito, in tema di licenziamento del dirigente, che "l'unica verifica demandata al giudice è l'esistenza di una ragionevole causa che dimostri l'impossibilità del perdurare del vincolo fiduciario di particolare intensità che deve caratterizzare il rapporto tra datore di lavoro e dirigente" (Cass. n. 2137/2011; conforme n. 15496/2008). La giurisprudenza è quindi consolidata nel senso di attribuire rilevanza fondamentale alla violazione dell'elemento fiduciario nell'ambito del rapporto di lavoro. Ove il comportamento del dipendente abbia fatto venire meno tale elemento, il rapporto di lavoro potrà essere legittimamente risolto anche in ipotesi di insussistenza di qualunque danno patrimoniale. Si comprende pertanto che tali principi assurgano a massima intensità laddove il dipendente rivesta, all'interno della struttura societaria, il ruolo di sostanziale alter ego dell'imprenditore, con rapporto di lavoro caratterizzato da un legame fiduciario particolarmente forte, proprio in funzione del ruolo ricoperto all'interno dell'azienda. A ciò si aggiunga che, per pacifico assetto giurisprudenziale, la legittimità di una sanzione disciplinare irrogata al lavoratore subordinato per una pluralità di infrazioni contestate non può essere esclusa con riguardo al principio di proporzionalità di cui all'articolo 2106 cod. civ. solo per il fatto che alcuni di tali addebiti risultino infondati (fuori dall'ipotesi di una specifica previsione contrattuale che configuri i diversi addebiti come componenti essenziali di un'unica figura complessa di illecito disciplinare), atteso che la proporzionalità risulta dalla comparazione tra sanzione inflitta e infrazione commessa nel caso concreto, e che anche una sola delle infrazioni può risultare proporzionata alla sanzione inflitta (cfr. Cass. 4.5.2005 n. 9262 ed, in tema di sanzione espulsiva, Cass. 2 febbraio 2009, n. 2579). Tanto premesso in diritto, ritiene questo Giudice come il recesso sia giustificato ma non sorretto da giusta causa. E' pacifico che, pochi mesi prima dei fatti di causa, (...) s.p.a. abbia realizzato una nuova linea di rivestimento in formato 25x75 denominata "N.", per lanciare la quale ha dovuto realizzare una piccola quantità di pannelli-campione destinati all'utilizzo da parte dei propri responsabili di vendita; è altresì pacifico che, poiché in quel momento (...) non disponeva ancora di pannelli adeguati alla misura di questo nuovo formato, l'(...), su specifica richiesta del ricorrente, abbia fatto mettere a disposizione di (...) pannelli realizzati da (...) s.p.a. per la propria linea "(...)", recanti stampato il logo "(...)". La teste (...) ha confermato che il dott. (...) abbia dato specifica disposizione al dott. (...) di far coprire il logo (...) con un diverso adesivo, in modo da rendere quanto meno anonimo il pannello, in quanto avrebbero dovuto essere utilizzati esclusivamente dai funzionari interni, senza lasciarli nella disponibilità degli agenti; e ciò proprio al fine di evitare possibili equivoci. E' infine pacifico che i pannelli siano pervenuti in Sicilia privi del chiesto adesivo. Non è stata fornita in giudizio la prova che il ricorrente avesse dato specifiche disposizioni circa l'apposizione del medesimo, non essendo di per sé dirimente il fatto che, per il viaggio in Sardegna, gli adesivi fossero stati regolarmente creati e apposti, giacché una circostanza non esclude l'altra. A ogni modo, rientrava senza dubbio nel perimetro della responsabilità del ricorrente prevenire ciò in merito a cui l'(...) si era raccomandato, ad esempio sincerandosi col personale preposto che il lavoro fosse stato effettivamente eseguito, dopo aver impartito le opportune istruzione. E' nozione di comune esperienza che il Dirigente debba rispondere, per quanto attiene al rapporto fiduciario nei confronti del Datore di lavoro, anche della negligenza del personale la cui attività rientri nella propria sfera di controllo. Il fatto che si trovasse fuori sede non ricade certo nell'alveo del brocardo ad impossibilia nemo tenetur. L'omissione del ricorrente ha inciso su interesse meritevole di tutela e non certo emulativo del datore di lavoro, ovvero quello di prevenire il rischio di ingenerare confusione tra prodotti appartenenti a imprese concorrenti e nella clientela. Sotto questo profilo il licenziamento si palesa giustificato. Al contrario, tale episodio, così come si è sviluppato - secondo le circostanze emerse in istruttoria - non è di per sé sufficiente a giustificare l'immediatezza del recesso. Al ricorrente è stato contestato di aver "tranquillamente sic visitato la clientela Siciliana" (mostrando i pannelli recanti l'etichetta errata), evocando tale espressione una certa noncuranza del ricorrente, il quale avrebbe deciso di agire in spregio alle indicazioni impartite dall'A.D. In realtà, dall'istruttoria è emerso che il ricorrente si sia attivato per contenere il danno, Il teste (...), sul punto, ha dichiarato: "(...) Sul cap. 8): "Non so cosa il ricorrente abbia detto alla Direzione di (...). Posso dire che, in esito a quanto accaduto, (...) mi disse di distruggere i pannelli con i relativi campioni e così ho fatto". Sul cap. 9): "Sì, è vero. Ne sono a conoscenza perché quando sono stati aperti i pannelli, c'eravamo (...) ed io ed appena io ho aperto i pannelli, (...) ha esclamato che quelli non erano i suoi campioni e che non si sarebbero potuti fare vedere ai clienti. Io gli risposi che, visto che oramai lui era venuto in Sicilia e che erano già stati fissati vari appuntamenti con dei clienti, l'unica soluzione era che andare a visitare i clienti senza fare vedere loro i campioni anche perché tanto avevamo uncatalogo e, spesso, neanche si fanno vedere i campioni". Sul cap. 10): "Sì, è vero. Ne sono a conoscenza perché ero presente anche io con (...) presso il cliente (...)". Sul cap. 11): "In merito al capitolo, posso dire che, qualche giorno dopo la visita di cui sopra presso il cliente (...), che, come riferito, si è svolta unicamente facendo vedere al cliente il catalogo, venni contattato dalla Sig.ra (...) che mi disse che un cliente era interessato ai prodotti ma che lei voleva vedere materialmente i campioni. Io le spiegai il problema dei pannelli e le dissi che io le avrei portato il pannello con il campione in questione ma che lei non avrebbe potuto esporlo. Così feci: portai il pannello al cliente (...) e lo misi nell'ufficio privato della (...) (...)". Il teste (...), dal canto suo, ha riferito: "(...) Sul cap. 21): "I clienti (...) e (...) sono miei clienti e confermo di averli portati, insieme a (...) alla mia macchina per fare toccare loro i campioni. Preciso che i clienti detti non si sono nemmeno accorti del marchio presente sul pannello, perché io, sempre, per mia abitudine, carico i pannelli in macchina in modo verticale e non li scarico dalla macchina perché, essendo caricati in quel modo, il cliente può visionare il prodotto ugualmente e, essendo i pannelli posti in maniera verticale, non si può vedere nessun logo sugli stessi". Sul cap. 22): "Ricordo che (...), in macchina, mi disse di non fare vedere il marchio (...); non ricordo se ha usato il termine "distruggere"; sicuramente disse di non fare vedere i campioni e di farli scomparire; l'unico obiettivo che avevamo era quello di vendere prodotti del marchio (...) e, quindi, non c'era in nessuno di noi l'idea di tenere i pannelli con il marchio (...)". A (...): "Non ricordo adesso quando (...) me lo disse. Non mi ricordo se (...) è uscito in visita prima con me o prima con (...)". Il sig. (...), invece, ha dichiarato: "(...) Sul cap. 8): "Sì, è vero. Ne sono a conoscenza perché, anche se non ero presente il giorno in cui (...) visitò la (...), successivamente, andando a visitare la (...), vidi la cartella che era stata lasciata lì". Sul cap. 9): "Sì, è vero; non solo la (...), ma anche altri clienti che io fornisco mi confermarono verbalmente che il Dirigente della (...) aveva proposto prodotti (...) su pannelli (...)". A (...): "Al momento ricordo come nominativi di clienti che mi segnalarono l'accaduto la (...) e la (...) di (...); non ricordo, al momento gli altri nominativi (...)". Il teste (...) ha riferito circostanze apprese de relato, ad eccezione del fatto di aver visto la cartella contenente i pannelli presso la (...). Sulla base di una lettura complessiva delle deposizioni, si può ragionevolmente desumere come è probabile che un'esposizione dei pannelli (quanto meno presso la (...)) recanti il logo errato vi sia stata, seppur fuori dal controllo (ma sempre sotto la responsabilità) del ricorrente, senza che però questi abbia agito direttamente. L'esposizione dei pannelli è imputabile a negligenza del ricorrente (giacché questi avrebbe dovuto sincerarsi dell'impossibilità della loro circolazione), ma non di gravità tale da integrare la fattispecie di giusta causa. Sulla base delle superiori considerazioni, spetta al ricorrente l'indennità di mancato preavviso (ma non l'indennità supplementare - cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-03-2014, n. 6110), nella misura da questi indicata e non contestata di Euro 94.519,00 al lordo delle ritenute di legge, su cui decorrono gli interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei sino al saldo, sulle somme via via rivalutate. Sul carattere ingiurioso del licenziamento Come è noto, il carattere ingiurioso del licenziamento, che, in quanto lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, dà luogo al risarcimento del danno, non si identifica con la mancanza di giustificatezza dello stesso, bensì con le particolari forme o modalità offensive del recesso del datore di lavoro, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio. (Cass. civ. Sez. lavoro, 22/03/2010, n. 6845). Oggetto dell'accertamento dell'ingiuriosità o vessatorietà del recesso non è quindi l'illegittimità del licenziamento, ma le sue modalità, con la conseguenza che l'eventuale danno (lesione dell'integrità psico- fisica) diventa conseguenza (non della perdita del posto di lavoro e della retribuzione, bensì) dello stesso comportamento (ingiurioso, persecutorio, vessatorio) con cui è stato attuato. La Corte di Cassazione ha poi in più occasioni affermato che il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del danno, ricorre soltanto in presenza di particolari forme o modalità offensive o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio (Cass. n. 5885 del 2014, n. 17329 del 2012, n. 21279 del 2010, n. 6845 del 2010; n. 15469 del 2008; Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-11-2015, n. 23686). La gravità dell'addebito, rivelatosi poi infondato, non è di per sé sufficiente, in assenza di elementi ulteriori e correlati alle modalità con le quali lo stesso è stato contestato o a diverse concorrenti circostanze (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-06-2016, n. 12204). Tanto premesso a livello di ricostruzione giuridica, il licenziamento intimato non può certamente ritenersi ingiurioso. La motivazione addotta non è qualificabile come pretestuosa, bensì basata su fatti acclarati e rispondente a un interesse sostanziale e non aeriforme dell'azienda. La sospensione cautelare rientra tra le prerogative del datore di lavoro e non è stata esercitata con modalità offensive. Quanto alla richiesta di dimissioni da parte dell'(...), seppur formulata con termini esorbitanti la continenza verbale, essa è stata avanzata privatamente, sicché non pare ne sia scaturito alcun nocumento per il ricorrente. Sull'indennità di trasferta Dalla enumerazione delle trasferte effettuata in ricorso, si evince come il ricorrente fosse destinato a svolgere abitualmente le proprie mansioni fuori dalla sede aziendale, sicché l'eventuale compenso corrisposto per compensare tale disagio è da considerarsi inerente strutturalmente alla prestazione professionale, sicché l'eventuale compenso dovrebbe entrare a far parte della retribuzione ordinaria, (Cass. n. 28162 del 2005,e sull'inclusione nel trattamento di fine rapporto 4873/2013; Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-04-2015, n. 8293; Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 22/01/2015) 23-04-2015, n. 8293), diversamente da quanto accade per l'indennità di trasferta strictu sensu. Infatti, l'art. 10 invocato prevede proprio che 2. Gli importi erogati a titolo di spese non documentabili non fanno parte della retribuzione ad alcun effetto del presente contratto, ivi compreso il trattamento di fine rapporto. Ciò posto, sulla base delle allegazioni contenute nella memoria difensiva a pag. 10, non oggetto di specifica contestazione, non risulta che il ricorrente, pur non avendo percepito un compenso specificamente destinato a compensare il descritto disagio, abbia ricevuto (fino all'anno 2014) un trattamento peggiorativo rispetto a quello che avrebbe ricevuto sulla base dell'applicazione sic et simpliciter dell'art. 10. Quanto al periodo successivo, è pacifico che la contrattazione collettiva per i dirigenti industriali, applicabile nel caso di specie - a far data dal rinnovo del 30 dicembre 2014, con efficacia decorrente dal 1 gennaio 2015 - recasse una nuova formulazione dell'art. 10 invocato da parte ricorrente; secondo la nuova clausola, il regime indennitario per le trasferte dei dirigenti opererebbe "salvo il caso di eventuali intese aziendali o individuali". E' altresì pacifico che il contratto individuale stipulato a suo tempo prevedesse l'erogazione di un trattamento onnicomprensivo, assorbente altre eventuali indennità. Alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso non merita accoglimento in parte qua. Sulle spese di lite In ragione dell'esito complessivo del giudizio, le spese di lite sono compensate per due terzi, mentre per il restante terzo seguono la soccombenza. RG n. 780/2020 Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022, in vigore dal 23/10/20228. In particolare si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle dette tariffe, al loro valore minimo/medio per lo studio della controversia, per la fase introduttiva e per la fase decisoria (per controversie di valore compreso tra Euro 52000,00 e Euro 260.000,00), e si determina in Euro 12000,00 il compenso complessivo. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall'art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, non modificato in parte qua), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa: 1) Condanna (...) SPA, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore di (...), dell'importo di Euro 94.519,00 per la causale indicata in parte motiva, oltre interessi e rivalutazione come per legge; 2) Rigetta le altre domande avanzate in ricorso; 3) Dichiara compensate le spese per due terzi; 4) Condanna (...) SPA, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento di due terzi delle spese di lite, liquidate in Euro 607,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compensi, oltre rimb. forf., IVA e CPA. Così deciso in Modena il 14 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Andrea Marangoni ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 730/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in B. R. n. 9 43121 P. I., rappresentata e difesa dagli Avv.ti LO.IR., MI.WA., GA.FA.; RICORRENTE/I contro MINISTERO DELL'ISTRUZIONE (C.F. (...) ), domiciliato in VIA (...) MODENA, rappresentato e difeso dalla dott.ssa FI.MA.; RESISTENTE/I IN FATTO ED IN DIRITTO Con ricorso depositato in data 27/07/2021, (...), docente abilitata per la classe concorsuale B022 - Laboratori di tecnologie e tecniche delle comunicazioni multimediali (in precedenza denominata C380), con ultima sede di servizio presso l'Istituto di Istruzione Superiore "(...)" di Modena, inserita nelle graduatorie d'istituto, ossia nelle graduatorie utilizzabili soltanto per gli incarichi a tempo determinato, premettendo di aver stipulato ben 8 contratti al 31.08 a tempo determinato in assenza - a suo dire - di ragioni sostitutive e, dunque, in relazione a posti vacanti e disponibili, nonché di aver stipulato altri contratti al 30.06 presso il medesimo istituto, ha chiesto di: "ACCERTARE E DICHIARARE il diritto della ricorrente al riconoscimento delle progressioni economiche connesse all'anzianità di servizio maturate durante il periodo di precariato; DICHIARARE il diritto della ricorrente a vedersi applicata la clausola di salvaguardia prevista dal C.C.N.L. del 1 9 luglio 2011 in favore dei soli docenti assunti con contratto a tempo indeterminato in servizio al primo settembre del 2010, con conseguente riconoscimento del diritto a percepire, con assegno ad personam, l'aumento retributivo relativo al passaggio dal gradone contrattuale "0 2" al gradone contrattuale "3 8 anni" fino al conseguimento della fascia retributiva "9 14 anni". PER L'EFFETTO CONDANNARE il Ministero dell'Istruzione a pagare, in favore della ricorrente, LA SOMMA DI Euro 12.366,77 o la diversa somma, maggiore o minore, dovuta a titolo di differenze retributive così come quantificate al punto 6 dei motivi in diritto del ricorso e calcolate con il prospetto analitico allegato, oltre ad interessi legali, dalla data di maturazione dei singoli crediti al saldo ex art. 429 del c.p.c. ovvero a titolo di maggior danno ex art. 1224 del c.c.. accertare e dichiarare che controparte ha posto in essere, nei confronti del ricorrente, una abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre il termine di 36 mesi per ragioni non temporanee e non imprevedibili né tantomeno per esigenze sostitutive di personale temporaneamente assente, con conseguente condanna del Ministero dell'Istruzione al risarcimento danno secondo i criteri forfettari indicati nel ricorso". Si è costituito il MIUR, deducendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. Istruita con i documenti prodotti dalle parti, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza, celebrata con trattazione scritta. SULL'ABUSIVA REITERAZIONE Prima di analizzare la fattispecie concreta oggetto di causa, occorre preliminarmente richiamare il quadro normativo di riferimento e svolgere una ricognizione della giurisprudenza intervenuta in materia di conseguenze connesse al precariato in ambito scolastico. Sotto il primo profilo, va precisato che la disciplina di reclutamento del personale docente, dettata dalla L. n. 124 del 1999, costituisce lex specialis rispetto alla disciplina sopravvenuta del D.Lgs. n. 368 del 2001, anche per quanto concerne le modalità di reclutamento del personale, in forza delle previsioni dell'articolo 70 del D.Lgs. n. 165 del 2001. La L. n. 124 del 1999 , per l'accesso in ruolo del personale docente, pur mantenendo il previgente sistema del doppio canale, in virtù del quale l'accesso ai ruoli doveva avvenire per il 50% dei posti mediante concorsi per titoli ed esame e per il restante 50% attingendo dalla graduatoria del concorso per soli titoli, ha trasformato le graduatorie dei concorsi per soli titoli in graduatorie permanenti, e ha modificato il regime delle supplenze prevedendone, all'art. 4, tre tipologie: a) supplenze annuali (di cui al comma1 e con scadenza del termine al 31 agosto), cosiddette su organico di diritto, per posti disponibili e vacanti entro la data del 31 dicembre che rimarranno scoperti per l'intero anno; b) supplenze temporanee (di cui al comma 2 e con scadenza del termine al 30 giugno), cosiddette su organico di fatto, per posti non vacanti ma di fatto disponibili per varie ragioni; c) supplenze temporanee (di cui al comma 3 e con durata variabile) conferite per ogni altra necessità, quali la sostituzione di personale assente ovvero per coprire posti resisi disponibili dopo la data del 31 dicembre, e comunque destinate a terminare una volta che venga meno l'esigenza ad esse sottesa. In tale contesto normativo, sono poi intervenute le significative modifiche della L. n. 107 del 13 luglio 2015, che, oltre a prevedere un piano straordinario di assunzioni del solo personale docente, ha previsto la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento, ribadito la cadenza triennale dei concorsi e l'efficacia egualmente triennale delle graduatorie concorsuali, ed ha inserito un limite alla reiterazione delle supplenze che, ove relative a contratti a tempo determinato per la copertura dei posti vacanti e disponibili, non possono superare il limite di 36 mesi anche se non continuativi. I medesimi principi relativi al reclutamento e al regime delle supplenze valgono anche per i l personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (c.d. ATA) in forza della L. n. 297 del 1994 e del richiamo effettuato dal comma 11 dell'art. 4 della L. n. 124 del 1999. Ebbene, su tale quadro normativo sono intervenute nel tempo numerose pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. Si consideri, innanzitutto, la sentenza resa dalla CGE in data 26/11/2014, M. e altri, nell'ambito delle cause riunite C-22/13, C-61/13, C-62/13 e C-418/13, ove, per quanto di interesse, è stato deciso che: "La clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall'altro, non prevede nessun'altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato". Alla luce di tale decisione la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 187 del 2016, ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dell'art. 4, commi 1 e 11, della L. 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino". Il Giudice delle leggi ha, tuttavia, ravvisato - per quanto riguarda i docenti - nelle previsioni sopravvenute della L. n. 107 del 2015 una misura rispondente ai requisiti richiesti dalla Corte di Giustizia, individuandole nell'introduzione di procedure privilegiate di assunzione idonee ad attribuire al personale interessato serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo, da intendersi pertanto come misura risarcitoria per equivalente satisfattiva del danno in ipotesi patito. Quanto al personale ATA, invece, non essendo stato previsto alcun piano straordinario di assunzione, la Consulta ha ritenuto che debba trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento del danno, come del resto previsto anche dall'art. 1, comma 132 della L. n. 107 del 2015. Nelle more del sopra citato giudizio di costituzionalità, sono intervenute anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 5072/2016, hanno stabilito che: "In materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti peril licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito". La Suprema Corte è nuovamente intervenuta sul tema con la sentenza n. 22552 del 7/11/2016, oltre che con le successive sentenze nn. 22553, 22554, 22555, 22556, 22557 di fatto fondate sui medesimi principi, e nell'espletamento del suo ruolo di giudice della nomofilachia, ha dettato i seguenti principi di diritto, qui richiamati anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.: "118. A. La disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel D.Lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, essendone stata disposta la salvezza dall'art. 70, comma 8, del D.Lgs. n. 165 del 2001, che ad essa attribuisce un connotato di specialità. 119. B. Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4 commi 1 e 11 della L. 3 maggio 1999, n. 124 e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 4 commi 1 e 11 della L. 3 maggio 1999, n. 124, prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi. 120. C. Ai sensi dell'art. 36 (originario comma 2, ora comma 5) del D.Lgs. n. 165 del 2001, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. 121. D. Nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 4 comma 1 della L. 3 maggio 1999, n. 124, realizzatesi prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, con il personale docente, per la copertura di cattedre a posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente taliper l'intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l'abuso ed a "cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione" la misura della stabilizzazione prevista nella citata L. n. 107 del 2015, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto, relativamente al personale docente, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell'art. 1 della L. n. 107 del 2015. 122. E. Nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi dal 10.07.2001 e prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l'abuso ed a "cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione" la stabilizzazione acquisita dai docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo, attraverso l'operare dei pregressi strumenti selettivi- concorsuali. 123. F. Nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, deve affermarsi, in continuità con i principi affermati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016, che l'avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall'immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l'onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza. 124. G. Nelle predette ipotesi di reiterazione di contratti a termine stipulati ai sensi dell' art. 4 c. 1 L. n. 124 del 1999, avveratasi a far data da 10.07.2001, ai docenti ed al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario che non sia stato stabilizzato e che non abbia (comedianzi precisato) alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella già richiamata sentenza delle SSUU di questa Corte n. 5072 del 2016. 125. H. Nelle ipotesi di reiterazione di contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su "organico di fatto" e per le supplenze temporanee non è in sé configurabile alcun abuso ai sensi dell'Accordo Quadro allegato alla Direttiva, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima". Applicando le considerazioni che precedono nel caso di specie deve rilevarsi che: - è incontestato fra le parti e risulta dalla analitica indicazione della tipologia delle supplenze riportata in ricorso che, nell'arco temporale compreso fra il 10 luglio 2001 e l'ultimo contratto concluso dalle parti, in base al sistema del cosiddetto doppio canale, parte ricorrente è stata destinataria di supplenza su organico di diritto, con scadenza al 31 agosto, per un periodo complessivamente superiore a 36 mesi ed è stata inoltre impiegata in via continuativa presso lo stesso Istituto scolastico e per la stessa classe di concorso per periodi anch'essi superiori a 36 mesi, potendosi in ciò ravvisare - anche per le ipotesi di supplenza sino al 30 giugno - un ricorso abusivo al contrattazione a termine da parte del Ministero; - la ricorrente non è stato successivamente stabilizzata; - ella avrà quindi diritto al risarcimento del danno, secondo i criteri di cui all'art. 32 L. n. 183 del 2010, da parametrarsi all'ultima retribuzione globale di fatto goduta alla data dell'ultimo contratto a termine illegittimamente reiterato, alla luce del dato testuale dell'art. 32 citato e dell'art. 8 della L. n. 604 del 1966, in considerazione dell'anzianità di servizio, da considerarsi nella fattispecie de qua come complessiva durata di tale abusiva reiterazione (solo questo periodo, infatti, deve considerarsi come produttivo di danno risarcibile); - nel caso di specie la reiterazione abusiva ha avuto luogo, sino alla data della presente pronuncia, per circa 124, sicché, alla luce dei criteri sopra richiamati, si stima equo individuare l'indennità risarcitoria nella misura pari a 2,5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, attribuendo una mensilità risarcitoria ogni 12 mesi di abusiva reiterazione (oltre il trentaseiesimo mese), considerato il limite minimo di 2,5 mensilità, per un totale di 10 mensilità. Il Ministero resistente va dunque condannato al pagamento in favore del ricorrente del suddetto importo, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria ex art. 22, comma 36 L. n. 724 del 1994 dalla data del recesso fino al saldo. SULLA PROGRESSIONE ECONOMICA Passando alla disamina della domanda di riconoscimento delle differenze stipendiali maturate in ragione della anzianità maturata nel corso della prestazione dell'attività lavorativa a tempo determinato alle dipendenze del Ministero convenuto si precisa quanto segue: osserva innanzitutto il giudicante che parte ricorrente ha addotto a fondamento della volta al riconoscimento della c.d.d progressione stipendiale, anche in questo caso, la violazione del principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 dell'Accordo Quadro sul contratto di lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE. Orbene, qualora si verifichi una reiterazione di rapporti di lavoro a tempo determinato si realizza di fatto un contesto identico sotto il profilo dello sviluppo della professionalità, rispetto a quello dei docenti di pari anzianità e titolari di un rapporto a tempo indeterminato, sicché la mancata attribuzione di questi costituisce una disparità di trattamento non legittimata da ragioni obiettive, né giustificabile, ed integra quindi violazione della disciplina sopra richiamata. Inoltre, in base alla disciplina contrattuale del comparto scuola, al personale scolastico è attribuito un trattamento economico differenziato per posizioni stipendiali e il passaggio tra una posizione stipendiale e l'altra può essere acquisito al termine dei periodi previsti dalla tabella allegata al CCNL comparto scuola, sulla base dell'accertato utile assolvimento di tutti gli obblighi inerenti alla funzione, tra cui, in particolare, lo svolgimento continuativo dell'attività lavorativa. Quanto sinora esposto è stato di recente affermato dalla Corte di cassazione nella Sentenza n. 22558 del 07/11/2016 secondo la quale "La clausola 4dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai CCNL succedutisi nel tempo. Vanno, conseguentemente, disapplicate le disposizioni dei richiamati CCNL che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato". Nel caso di specie, nessuna prova è stata data della sussistenza di siffatte ragioni giustificatrici (tali non sono quelle menzionate nella memoria difensiva, che riferiscono di una ontologica diversità tra rapporto a tempo determinato ed indeterminato, ovvero su una non provata eterogeneità del servizio prestato su supplenze non annuali), il che rende insuscettibile di modifiche l'approdo interpretativo ormai diffusamente raggiunto, confermando il diritto di parte attrice alla piena parità di trattamento. In tal senso la prevalente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano sez. lav., 08/07/2019, n. 1688; Trib. Roma sez. lav., 22/10/2019, n. 9093). Deve escludersi che la discriminazione possa essere negata per la circostanza che nel settore scolastico, al momento della definitiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il periodo di servizio pregresso venga riconosciuto ai fini della anzianità di servizio. La trasformazione del rapporto, infatti, oltre a essere solo eventuale, non è idonea a compensare la diversità di trattamento economico riferibile al periodo antecedente, giacché il riconoscimento dell'anzianità pre-ruolo ai fini dell'aumento retributivo opera solo dopo l'immissione definitiva nell'organico e non comporta alcun recupero delle differenze retributive pregresse. Invero l'anzianità maturata nel corso di rapporti a termine riceve una certa valorizzazione soltanto dopo l'immissione in ruolo e solo con efficacia ex nunc dal momento della conferma in ruolo. Il Ministero, cioè, corrisponde soltanto eventuali arretrati maturati da tale momento fino alla ricostruzione di carriera. Al momento dell'immissione in ruolo il dipendente viene inquadrato nella prima fascia stipendiale. Successivamente al superamento positivo del periodo di prova, a domanda dell'interessato, il MIUR prende in considerazione i servizi eventualmente prestati da costui anteriormente all'immissione in ruolo nel corso di rapporti di lavoro a termine e, in un apposito decreto di ricostruzione della carriera, li trasforma in anzianità di servizio aggiuntiva rispetto a quella maturata e maturanda in ruolo quindi ridetermina la corretta fascia stipendiale spettante al momento della conferma in ruolo e ne trae tutte le conseguenze in termini di evoluzione successiva della retribuzione, compreso il pagamento di eventuali arretrati che risultino dovuti per il periodo dalla conferma in ruolo al decreto. Quanto alla norma del CCNL del 4 agosto del 2011 che ha previsto, per i soli lavoratori già in servizio a tempo indeterminato, inseriti "nella preesistente fascia stipendiale "0-2 anni", il diritto a percepire "ad personam", al compimento del periodo di permanenza nella predetta fascia, il valore retributivo della preesistente fascia stipendiale "3-8 anni", fino al conseguimento della fascia retributiva "9-14 anni", essa, stabilendo un'evidente e non giustificata discriminazione ai danni dei lavoratori assunti con contratto a termine, va disapplicata nella parte in cui limita l'applicazione del beneficio in questione ai lavoratori assunti a tempo indeterminato in virtù della efficacia diretta, in tale parte, della clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva n. 70 del 1999, clausola, questa, che come chiarito dalla Corte di Giustizia, può fondare la pretesa di lavoratori impiegati con contratti a termine di beneficiare delle progressioni retributive riconosciute ai lavoratori di ruolo. In tal senso la recente pronuncia della Cass. n. 2924/2020: "In tema di riconoscimento dei servizi preruolo del personale scolastico, l'art. 2 del c.c.n.l. del 4 agosto 2011, nella parte in cui limita il mantenimento del maggior valore stipendiale in godimento "ad personam", fino al conseguimento della nuova successiva fascia retributiva, ai soli assunti a tempo indeterminato, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, con conseguente disapplicazione della norma contrattuale da parte del giudice e riconoscimento della medesima misura transitoria di salvaguardia anche al lavoratore a termine, poi immesso nei ruoli dell'amministrazione". Orbene, parte ricorrente ha dimostrato lo svolgimento di supplenze negli anni scolastici 2005/2006 e seguenti, maturando un'anzianità di servizio che giustifica il passaggio alla seconda fascia stipendiale 3-8 anni e il riconoscimento delle relative differenze retributive. Deve dunque ritenersi che il differente trattamento stipendiale tra personale a termine e in ruolo in tanto potrebbe trovare applicazione solo in quanto si fondi su circostanze connesse alle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali solo potrebbero legittimare la differenza di trattamento. Le conclusioni raggiunte impongono, pertanto, l'accoglimento della domanda ed il riconoscimento, ai fini economici, del diritto della parte ricorrente agli emolumenti relativi in corrispondenza delle supplenze eseguite, in modo continuativo e reiterato per più annualità con contratti a tempo determinato, in regime di parità di trattamento rispetto al personale di ruolo della Scuola, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato, sino all'effettiva immissione in ruolo, con l'applicazione della clausola di salvaguardia di cui al CCNL 4 Agosto 2011. In accoglimento della domanda il Ministero convenuto va, quindi, condannato al pagamento in favore di parte ricorrente delle differenze retributive tra quanto corrisposto per il servizio prestato e quanto spettante in base alla posizione stipendiale acquisita in ragione dell'anzianità di servizio che sarebbe maturata con l'attività lavorativa precedentemente svolta; oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo, nei limiti dell'eccepita prescrizione quinquennale, a ritroso dal primo atto interruttivo in atti (notifica della diffida del 14.2.2017) ovvero dal 14.2.2012 sino all'anno scolastico 2020/2021, pari all'importo di Euro 12.366,77, corrispondente all'importo calcolato da parte ricorrente (determinato sulla base di premesse logico-giuridiche corrette). Infatti, nell'impiego pubblico contrattualizzato, la domanda con la quale il dipendente assunto a tempo determinato, invocando il principio di non discriminazione nelle condizioni di impiego, rivendica il medesimo trattamento retributivo previsto per l'assunto a tempo indeterminato soggiace al termine quinquennale di prescrizione previsto dall'art. 2948 nn. 4 e 5 c.c., il quale decorre, anche in caso di illegittimità del termine apposto ai contratti, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza, e per quelli che si maturano alla cessazione del rapporto a partire da tale momento. ( Cass., sez. lav., 28 maggio 2020, n. 10219). Il MIUR va, quindi, condannato al pagamento in favore di parte ricorrente delle differenze retributive, nei limiti suindicati, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria ex art. 22, comma 36 L. n. 724 del 1994 dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo. Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022, in vigore dal 23/10/20228. In particolare si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle dette tariffe, al loro valore minimo per lo studio della controversia, per la fase introduttiva e per la fase decisoria (per controversie di valore compreso tra Euro 5.200,00 e Euro 26.000,00), e si determina in Euro 2800,00 il compenso complessivo. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall'art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, non modificato in parte qua), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa: 1. Accerta l'abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato stipulati dalle parti e, per l'effetto, 2. Condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, a pagare al ricorrente un'indennità risarcitoria pari a 10 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e l'eventuale ulteriore somma spettante a titolo di differenza tra questi ultimi e l'eventuale maggior importo della rivalutazione monetaria dalla maturazione delle singole differenze mensili al saldo; 3. Accerta e dichiara il diritto di (...) al riconoscimento della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, in relazione ai servizi non di ruolo prestati in ciascun anno, con applicazione della clausola di salvaguardia di cui al CCNL del 4 agosto del 2011 e, per l'effetto 4. Condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito a corrispondere a favore del ricorrente le differenze retributive dovute sulla base del calcolo dell'anzianità di servizio che sarebbe maturata in costanza dei rapporti di lavoro a termine allo stesso modo di quella riconosciuta, in relazione ai medesimi periodi, al corrispondente personale di ruolo, nei limiti della prescrizione quinquennale e, dunque, quelle maturate dal 14.2.2012, al termine dell'anno scolastico 2020/2021, quantificate nell'importo di Euro 12.366,77, oltre interessi legali o, se maggiore, rivalutazione monetaria, ai sensi dell'art. 22 comma 36 L. n. 724 del 1994, relativo ai crediti dei pubblici dipendenti, dalla data di maturazione di ciascun incremento retributivo fino al saldo; 5. Condanna il Ministero dell'Istruzione e del Merito, in persona del Ministro pro-tempore, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2800,00, oltre rimb. forf. IVA e CPA, da distrarsi ex art. 93 c.p.c. Così deciso in Modena il 14 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA SEZIONE PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Susanna Zavaglia ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 639/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) con il patrocinio dell'avv. elettivamente domiciliato presso il difensore ATTORE contro (...) (C.F. (...) con il patrocinio dell'avv. (...) elettivamente domiciliata presso il difensore CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato ex art. 143 c.p.c. in data 12/2/2019, (...) evocava in giudizio la ex convivente more uxorio (...) al fine di ottenere lo scioglimento della comunione ordinaria sugli immobili in comproprietà, consistenti in un appartamento aduso civile abitazione ed una autorimessa pertinenziale facenti parte del fabbricato denominato '(...) sito in Comune di Vignola alla via (...) Chiedeva altresì che venisse accertato l'arricchimento senza giusta causa della convenuta in danno dell'attore, e di conseguenza condannata la prima ad indennizzarlo della diminuzione patrimoniale subita, pari alla metà del valore degli immobili, oltre alle ulteriori spese di acquisto, per un importo totale di Euro. 141.535,86, maggiorata di interessi, ovvero per la diversa somma liquidata secondo equità. In via subordinata, chiedeva l'assegnazione dei beni con diritto della convenuta al percepimento del conguaglio in denaro, previa compensazione dei crediti dal medesimo vantati, ovvero ordinarsi la vendita e ripartire la somma ricavata in base alle rispettive quote eh comproprietà. Assumeva l'attore che le parti, nella prospettiva di iniziare una convivenza more uxorio, in data 04.06.2010, acquistavano dalla società (...) S.r.l. la piena comproprietà indivisa dei beni sopracitati, nella misura del 50% ciascuno, al prezzo di Euro 270.000,00, e che il prezzo veniva corrisposto dal (...) utilizzando esclusivamente proprie sostanze, tra cui il denaro liquidato dall'assicurazione per la morte del padre in seguito ad un incidente stradale. La convenuta (...) non si costituiva e veniva dichiarata contumace. Veniva espletata CTU sulla divisibilità del bene e in data 13.1.2020 depositata la relazione. In seguito, il 2.03.2021, si costituiva la convenuta, eccependo, invia pregiudiziale di rito, la nullità della notifica dell'atto di citazione, nonché il mancato rispetto del termine per comparire. Nel merito, nulla opponeva in ordine alla domanda di divisione dell'immobile con conguaglio in denaro ovvero alla vendita del bene; chiedeva, tuttavia, il rigetto della richiesta di arricchimento senza giusta causa ed eccepiva in compensazione il proprio credito per l'occupazione continuativa e non autorizzata dell'immobile da parte dell'attore dall'anno 2014. Le eccezioni di rito sollevate dalla convenuta venivano rigettate dal giudice con ordinanza del 10.06.2021. Con note scritte depositate telematicamente le parti precisavano le conclusioni e, all'udienza del 11.10.2022, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Ciò premesso, in ordine alle eccezioni di parte convenuta sulla nullità della notifica dell'atto di citazione ci si riporta integralmente alle motivazioni di cui all'ordinanza del 10.6.2021, da intendersi qui integralmente richiamata. Nel merito, va anzitutto esaminata la domanda di parte attrice di condanna della convenuta al pagamento dell'indennizzo per essersi arricchita senza causa, tramite l'acquisto della quota del 50% della proprietà indivisa dell'appartamento ad uso civile abitazione e dell'autorimessa pertinenziale facenti parte del fabbricato denominato (...) sito in Comune di Vignola alla via (...) con pagamento integrale del prezzo e delle spese di trasferimento da parte dell'attore. Assume infatti l'attore che l'esborso sostenuto esuli dal mero adempimento delle obbligazioni naturali nascenti dal rapporto di convivenza, poiché supera i limiti di proporzionalità e adeguatezza in riferimento alle sue condizioni economiche e patrimoniali (operaio con reddito modesto). Sul punto deve richiamarsi la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui "un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. n. 3713 del 13/03/2003; Cass. n. 14732 del 07/06/2018; Cass. n. 11303 del 12/06/2020), A monte vi è da considerare che "L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicchè non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto} di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale, E', pertanto, possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza" (Cass. n. 11330 del l5/05/2009)" (così da ultimo Cassazione civile sez. VI, 01/07/2021, n. 18721). Dunque, perché trovi applicazione la disposizione di cui all'art. 2041 c.c., occorre accertare che la spesa sia stata sostenuta senza spirito di liberalità, in vista di un progetto di vita comune, e che, effettuando l'esborso, il convivente non aveva intenzione di adempiere ad alcuna obbligazione naturale. Venendo all'esame del caso di specie sulla base dei suesposti principi, da un lato, è lo stesso (...) ad affermare che la cointestazione del bene, costituito da un piccolo appartamento (114 mq. commerciali) e autorimessa, era stata voluta dalle parti in vista della convivenza al suo interno, e quindi nell'ambito di un progetto di vita comune che poi si è effettivamente concretizzato (e che, a dire della convenuta, era già in essere dal 2004), anche se per pochi anni; dall'altro, la spesa non può ritenersi travalicasse i limiti di proporzionalità e adeguatezza, tenuto conto che il (...) aveva la disponibilità del denaro, ottenuto tramite la liquidazione di polizza assicurativa a seguito del decesso del padre in un sinistro (doc. 8 att.), e dunque non ha dovuto contrarre un mutuo che intaccasse per il futuro i propri redditi, e che egli ha comunque acquisito la metà indivisa del bene, di cui pertanto non ha beneficiato la sola convivente. Si osserva peraltro che l'attore non ha prodotto alcuna documentazione attestante le proprie capacità reddituali e patrimoniali e il tenore di vita goduto durante il periodo di convivenza, né ha fornito alcun parametro da cui possa desumersi la sproporzione dell'esborso sostenuto rispetto alle sue reali condizioni economiche, cosi omettendo di fornire la prova dei presupposti per l'operatività dell'art. 2041 c.c.. Ne consegue che il complessivo esborso è sussumibile nel perimetro delle obbligazioni naturali, e dunque irripetibile, in quanto effettuato affectionis vel benevolentiae causa, quale adempimento del dovere morale e sociale di mantenimento dell'ex convivente le cui condizioni economiche e reddituali erano tali da non consentirle di conseguire il diritto di proprietà pro quota degli immobili. La domanda dell'attore ex art. 2041 c.c. va dunque rigettata. Va invece accolta la domanda di scioglimento della comunione sugli immobili, cui la convenuta ha aderito. Dalla c.t.u. emerge che la consistenza immobiliare non è facilmente divisibile in quanto "trattasi di un appartamento che per caratteristiche proprie, dovute alla conformazione ed alla distribuzione della porzione al piano secondo, non si presta a una razionale divisione anche se si volesse intervenire con costi elevati, tenuto anche conto che la destinazione della porzione al piano terzo, ancorché dotata di autonomo accesso dal vano scale comune, non è abitativa e pertanto non recuperabile in tal senso") sul punto le parti nulla hanno obiettato. Le irregolarità edilizie presenti nell'immobile rilevate dal CTU sono state sanate in corso di giudizio (cfr. produzioni dell'attore del 24.2.2021 ). L'attore ha domandato ex art. 720 c.c. l'assegnazione del bene, all'interno del quale tuttora risiede) la domanda può essere accolta, non avendo la convenuta formulato analoga istanza. Il valore complessivo di mercato del bene è stato stimato dal CTU in Euro 170.000,00, con valutazione da condividersi integralmente in quanto effettuata sulla base di una accurata indagine di mercato presso professionisti operanti nel settore; le parti, d'altro canto, non hanno formulato osservazioni in ordine alla stima del bene. L'attore deve pertanto essere condannato a corrispondere alla convenuta il conguaglio di Euro 85.000. La domanda di rilascio del bene formulata dall'attore è ridondata, essendo pacifico che la convenuta si è allontanata dall'abitazione già dal 2014. D'altro canto, la domanda di quest'ultima di accertamento del proprio diritto di credito per l'occupazione continuativa non autorizzata da parte del (...) della complessiva unità immobiliare dal 2014 è inammissibile in questo giudizio, essendo stata formulata tardivamente oltre lo scadere dei termini di preclusione. Le spese di lite, ivi comprese quelle di CTU, devono essere integralmente compensate in ragione della natura divisoria e dell'esito complessivo del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale di Modena in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel giudizio promosso da (...) nei confronti di (...) ogni diversa domanda, deduzione ed eccezione disattesa: -rigetta la domanda dell'attore di condanna della convenuta al pagamento di un indennizzo in ragione dell'arricchimento senza giusta causa; -dispone lo scioglimento della comunione esistente tra le parti sugli immobili siti in V., in (...) individuati al Catasto Fabbricati del Comune di V. al Foglio n.(...) Particella n.(...)- subb. 21, via per (...) cat. (...), cl. (...), vani 4, R.C. Euro 309,87, - 11, via (...) p. S1, cat. (...), cl. (...), mq 20, R.C. Euro 41,32; -assegna la proprietà esclusiva degli immobili predetti a (...) con obbligo di quest'ultimo di corrispondere a titolo di conguaglio in denaro in favore di (...) la somma di Euro 85.000,00. -compensa integralmente le spese di lite, ivi comprese quelle di CTU liquidate come da separato decreto. Così deciso in Modena il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I grado iscritta al N. 1037/2021 R.G. promossa da (...) (C.F.: (...)), nata a P. (B.) il (...) e residente in S. (M.), Viale (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Paola Genito; RICORRENTE contro ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Roma, via (...), elettivamente domiciliato in Modena, Viale (...) presso la Sede Provinciale dell'INPS, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Is.Pa. e Or.Ma.; RESISTENTE Avente ad oggetto: assegno sociale ex art. 3, comma 6, L. n. 335 del 1995 RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 442 c.p.c. del 22.11.2021, (...) chiedeva accertarsi l'illegittimità del rigetto della domanda di assegno sociale presentata in data 20.06.2018 (e riproposta il successivo 17.07.2020), conseguentemente condannarsi l'INPS a corrispondere i ratei della prestazione prevista dall'art. 3, comma 6, L. n. 335 del 1995, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda amministrativa, quantificati nella complessiva somma di Euro. 19.705,59 (o, in via subordinata, i ratei a decorrere dal mese di agosto 2020, pari a complessivi Euro. 7.361,78), oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo; in via ulteriore gradata, instava per il ristoro dei danni patiti a seguito del mancato riconoscimento della prestazione richiesta. 2. L'INPS, tempestivamente costituitosi in giudizio, contestava le domande attoree e instava per il rigetto del ricorso. L'ente deduceva che: a) la domanda di assegno sociale era stata respinta perché nell'accordo di separazione personale, redatto in data 27.04.2018 dinanzi all'Ufficiale di stato civile del Comune di Sassuolo, i coniugi non avevano previsto l'assegno di mantenimento in favore della ricorrente; b) dalla consultazione degli archivi anagrafici emergeva che (...) e l'ex marito (...) convivevano nella stessa abitazione, in S., viale M. S. n. 25; c) l'attrice non forniva alcuna prova dello stato di bisogno. 3. Sul merito 3.1. L'assegno sociale è stato introdotto dall'art. 3, comma 6, L. n. 335 del 1995. Tale norma recita: "Con effetto dal 1 gennaio 1996, in luogo della pensione sociale e delle relative maggiorazioni, ai cittadini italiani, residenti in Italia, che abbiano compiuto 65 anni e si trovino nelle condizioni reddituali di cui al presente comma è corrisposto un assegno di base non reversibile fino ad un ammontare annuo netto da imposta pari, per il 1996, a L. 6.240.000, denominato "assegno sociale". Se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino a concorrenza dell'importo predetto, se non coniugato, ovvero fino al doppio del predetto importo, se coniugato, ivi computando il reddito del coniuge comprensivo dell'eventuale assegno sociale di cui il medesimo sia titolare. I successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sospensione dell'assegno sociale. Il reddito è costituito dall'ammontare dei redditi coniugali, conseguibili nell'anno solare di riferimento". Il D.L. n. 112 del 2008, all'art. 20, comma 10, ha stabilito che "A decorrere dal 1 gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della L. 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale". Dunque, la prestazione in esame può essere riconosciuta in presenza dei seguenti requisiti: a) 65 anni e 7 mesi di età; b) stato di bisogno economico; c) cittadinanza italiana; d) per i cittadini stranieri comunitari: iscrizione all'anagrafe del comune di residenza; e) per i cittadini extracomunitari: titolarità del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; f) residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno dieci anni nel territorio nazionale. Il richiedente l'assegno sociale è onerato della prova della sussistenza dei requisiti di legge, secondo il generale criterio di riparto degli oneri probatori ex art. 2697 cod. civ. (cfr. Cass. n. 23477/2010). 3.2. La controversia si inscrive all'interno di una cornice fattuale da ritenersi pacifica poiché non oggetto di specifica contestazione tra le parti. Non è controverso, infatti, che la ricorrente (cittadina italiana di età superiore ai 67 anni, residente in I.) ha presentato domanda di assegno sociale tramite il patronato ACLI in data 20.06.2018 (ripresentata il successivo 17.07.2020 ), rigettata dall'INPS con la seguente motivazione: "la documentazione prodotta: "estratto per il riassunto del registro degli atti di matrimonio" non si evidenzia la richiesta esplicita di assegno di mantenimento. Si desume che la sig.ra sia autosufficiente. (nota della D.C.A.I. prot. INPS (...) del (...))" (cfr. Provv. del 8 ottobre 2018 ); diniego ribadito dal Comitato provinciale in sede di riesame (cfr. delibera di reiezione del ricorso amministrativo del 07.12.2020 ). La seconda domanda del 17.07.2020 è stata respinta dal Comitato provinciale perché "dall'accordo di separazione del 27.04.2018 si deve desumere l'autosufficienza economica dell'interessata non avendo ella richiesto assegno di mantenimento all'ex coniuge" (cfr. delibera di reiezione del ricorso amministrativo del 27.10.2020 ). Dunque, l'ente previdenziale ha negato la spettanza dell'assegno sociale alla ricorrente sostenendo che ella non versasse in stato di bisogno per non aver richiesto al coniuge alcun assegno di mantenimento, anche minimo, in sede di separazione consensuale (cfr. accordo redatto dinanzi all'Ufficiale dello stato civile del Comune di Sassuolo in data 27.04.2018 ). L'esegesi del dettato normativo fornita dall'Istituto si pone in contrasto con il consolidato insegnamento del giudice di legittimità. Difatti, la Suprema Corte ha chiarito che "Il diritto alla corresponsione dell'assegno sociale ex art. 3, comma 6, della L. n. 335 del 1995, prevede come unico requisito lo stato di bisogno effettivo del titolare, desunto dall'assenza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti in misura inferiore al limite massimo stabilito dalla legge, restando irrilevanti eventuali altri indici di autosufficienza economica o redditi potenziali, quali quelli derivanti dall'assegno di mantenimento che il titolare abbia omesso di richiedere al coniuge separato, e senza che tale mancata richiesta possa essere equiparata all'assenza di uno stato di bisogno" (Cass. n. 14513/2020, Cass. n. 24954/2021). 3.3. Si rileva, in ogni caso, come parte attrice non abbia fornito la prova, su di essa incombente, della sussistenza dello stato di bisogno - e di non autosufficienza economica - al momento della presentazione delle domande amministrative. L'assegno sociale rappresenta una prestazione di base avente natura assistenziale ed in quanto tale è volta ad assicurare "i mezzi necessari per vivere" (ai sensi dell'art. 38, comma 1 Cost.) alle persone anziane che hanno superato una prefissata soglia di età, e che non dispongono di tutela previdenziale per fronteggiare l'evento della vecchiaia. Il relativo diritto si fonda sullo stato di bisogno del titolare che viene desunto dalla mancanza di redditi o dall'insufficienza di quelli percepiti. L'assegno viene infatti corrisposto, per intero o ad integrazione, a coloro che siano privi di reddito o godano di un reddito inferiore al limite fissato dalla legge (raddoppiato in ipotesi di coniugio). La L. n. 335 del 1995 attribuisce rilievo allo stato di bisogno e al raggiungimento del requisito reddituale. Ebbene, la ricorrente non ha dimostrato la condizione patrimoniale ed economica esistente al momento della domanda amministrativa. Essa si è limitata a produrre una semplice autocertificazione, priva di rilevanza probatoria perché non suffragata da adeguati riscontri documentali. Alle domande amministrative del 2018 e del 2020 non è stata allegata la documentazione attestante lo stato di bisogno socio-economico. A fronte di tale carenza probatoria, devono ritenersi legittime le determinazioni amministrative di rigetto della domanda di assegno sociale. Neppure in giudizio è stato provato lo stato di non autosufficienza economica del periodo 2018 - 2020. La documentazione prodotta è di formazione successiva alla presentazione delle domande all'INPS (cfr. attestazione ISEE, certificazione di disagio sociale, contratto di locazione ACER ). Il prospetto riepilogativo della CU 2021 è relativo alla posizione della defunta Tino Filomena; tale documento non menziona la ricorrente. Ciò non esclude che (...) possa presentare una nuova domanda amministrativa allegando i documenti comprovanti l'attuale situazione reddituale e lo stato di bisogno maturato medio tempore. 3.4. Sulla scorta delle superiori considerazioni, devono essere rigettate tutte le domande di parte ricorrente. La correttezza dell'agire amministrativo conduce al rigetto della domanda subordinata di risarcimento danni. 4. Sulle spese di lite 4.1. Con la sentenza n. 77/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92, comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le spese di lite ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Secondo la Corte, devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni" tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell'art. 92 co. 2 c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che "l'assoluta novità della questione trattata" e il "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell'area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo. 4.2. Gli sviluppi giurisprudenziali, la particolarità della vicenda esaminata e l'attuale situazione economica della ricorrente giustificano la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione respinta: 1) RIGETTA il ricorso; 2) DICHIARA integralmente compensate le spese di lite; 3) FISSA termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. Così deciso in Modena il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I grado iscritta al N. 477/2020 R.G. promossa da (...), nato in (...) l'(...), residente in (...) (M.), via (...) n. 21 (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Gi.Ba.; RICORRENTE contro (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. (...), con sede legale in (...) (M.), via per (...) F. n. 52/54 (P. IVA: (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. An.Ma.; RESISTENTE Avente ad oggetto: mobbing/straining - danno non patrimoniale - dimissioni per giusta causa RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 414 c.p.c. del 28.05.2020, (...) esponeva che: - in data 09.03.2014 veniva assunto alle dipendenze di (...) S.r.l., con qualifica di operaio di II livello e mansioni di carteggiatore; - nel 2006 veniva inquadrato nel III livello (e nel 2013 nel IV livello), con compiti di coordinamento di una "piccola squadra di colleghi"; - nel 2015 gli veniva affidata la gestione del reparto carteggiatura e il coordinamento di 6/7 dipendenti; - in data 01.04.2015 la datrice di lavoro gli riconosceva la qualifica di magazziniere, mansioni espletate a decorrere dal mese di settembre 2016; - nel marzo del 2017 veniva riconosciuta "la mansione di "coordinatore di reparto" sulla base dell'accordo individuale del 27/02/2017 andando a prevedere una indennità di mansioni per Euro 150,00 lordi al mese, proprio a pagamento e riconoscimento per il ruolo di coordinatore di mansioni"; - nel febbraio del 2018 la convenuta trasferiva la propria sede; "accettava la proposta di tornare a fare il magazziniere sino alla fine del trasloco"; - nel 2018 aderiva al sindacato (...) e da quel momento "diveniva oggetto di un progressivo atteggiamento mobbizzante in ragione del proprio impegno sindacale"; - veniva assegnato a mansioni di semplice operaio e preparatore di collettori, attività che aveva svolto nel 2004 e che non corrispondeva all'inquadramento formale di "coordinatore di reparto"; - dopo aver denunciato il demansionamento all'azienda, tramite il sindacato e il legale di fiducia, veniva assoggettato al controllo di terzi e gli venivano negati i permessi, concessi invece agli altri dipendenti; - nel giugno 2018 tornava ad essere inquadrato come operaio e la resistente non rinnovava l'Acc. del 27 febbraio 2017; - il 18.12.2018 veniva formulata una contestazione disciplinare infondata, per un diverbio avuto con il collega (...), provvedimento ritirato dopo le giustificazioni rese all'azienda; - nei primi mesi del 2019 iniziava a soffrire di disturbi di ansia e depressione, malesseri riconducibili alle condizioni di lavoro; - rientrato al lavoro dopo un periodo di malattia (da maggio ad agosto 2019), gli veniva impedito di lavorare nonostante l'idoneità al lavoro con prescrizioni del medico competente; - la datrice di lavoro lo collocava in aspettativa non retribuita per sei mesi, a decorrere dal 13.09.2019; - il 22.10.2019 il legale rappresentante della convenuta (P.M.) rivolgeva minacce nei suoi confronti e del sindacalista S.; quest'ultimo chiamava i Carabinieri che giungevano sul posto per calmare il sig. P.; - la convenuta proponeva il rientro al lavoro con le mansioni di carrellista, previo espletamento del corso di formazione; - in attesa di espletare la formazione veniva adibito al banco polmone dei collettori; - decorsi quindici giorni, sollecitava la frequentazione del corso ma veniva aggredito dal direttore del personale ((...)) e dal sig. (...); avvertiva una crisi di panico e si recava al Pronto Soccorso; - rassegnava le dimissioni per giusta causa; l'azienda tratteneva dal T.F.R. la somma di Euro. 5.009,56 per il mancato rispetto del termine di preavviso; - i comportamenti mobbizzanti e vessatori della datrice di lavoro procuravano un "disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso misti", danno stimato nella misura del 15%. Ciò premesso in fatto, il ricorrente chiedeva: 1) accertarsi l'illegittimità della condotta di mobbing posta in essere dalla convenuta nel corso del rapporto di lavoro (da qualificarsi in via subordinata come straining o "semplice demansionamento illegittimo"), conseguentemente condannarsi (...) a risarcire il danno non patrimoniale (biologico e morale), quantificato nella complessiva somma di Euro. 41.773,00; 2) accertarsi la legittimità delle dimissioni per giusta causa e, per l'effetto, condannarsi la convenuta a restituire la trattenuta effettuata nell'ultima busta paga, pari a Euro. 5.009,56. 2. (...) S.r.l., tempestivamente costituitasi in giudizio, eccepiva la nullità del ricorso per indeterminatezza dei fatti e degli elementi di diritto ex art. 414, nn. 3,4,5 c.p.c.; nel merito, contestava la domanda attorea nell'an e nel quantum. Essa deduceva che: - il ricorrente veniva assunto come operaio di II livello e mansioni di addetto carteggiatura, inquadrato nel IV livello a decorrere dal 2013; - l'1.04.2015 le parti convenivano di mutare le mansioni da carteggiatore a magazziniere; - a seguito della sottoscrizione dell'Acc. del 27 febbraio 2017 veniva assegnata al lavoratore, limitatamente al periodo 01.03.2017 - 31.12.2017, la mansione di "coordinatore di reparto", con riconoscimento dell'indennità di mansione pari ad Euro. 150,00 lordi mensili, per garantire le "esigenze logistiche connesse all'avviamento degli impianti di carteggiatura e verniciatura, delocalizzati presso il nuovo stabilimento sito in Via della (...)"; - una volta esauritasi la delocalizzazione degli impianti, il dipendente ritornava a svolgere il montaggio/smontaggio dei componenti e delibera, compresa la preparazione dei collettori; - il ricorrente non aveva mai comunicato la propria iscrizione al sindacato (...); - la contestazione disciplinare di dicembre 2018 era stata formulata in quanto l'attore si era rifiutato di eseguire le direttive del superiore; - (...) si assentava per malattia dal 13.05.2019 al 29.08.2019; prima della ripresa dell'attività lavorativa veniva sottoposto a visita di idoneità; il medico aziendale rilasciava certificato di idoneità con prescrizioni: "evitare di sollevare il braccio dx oltre la spalla, con sollevare carichi maggiori di 5Kg col braccio dx. Da rivedere tra 6 mesi"; - con comunicazione aziendale del 13.09.2019, il lavoratore veniva collocato in aspettativa non retribuita per il tempo indicato dal medico competente (sei mesi), "non essendo presente nel processo produttivo aziendale attività che garantisse il sollevamento di pesi inferiori a 5kg"; - in data 25.10.2019 il medico competente dichiarava il ricorrente "idoneo alla guida del carrello elevatore previa adeguata formazione"; - il 07.11.2019 la Collegiale medica confermava l'idoneità del lavoratore alle mansioni, sempre con il divieto di sollevare pesi superiori a 5 Kg; - all'esito dell'accertamento ex art. 41, comma 9, D.Lgs. n. 81 del 2008, l'azienda adibiva il ricorrente alla mascheratura dei collettori e proponeva allo stesso lavoratore di eseguire il montaggio degli scivoli aerodinamici, tuttavia "(...) rifiutava l'adempimento lamentando dolore alla mano nell'utilizzo del servo-mezzo dedicato (ovvero l'avviatore elettrico)"; - la mattina del 22.10.2019 l'attore si presentava in azienda accompagnato dal signor (...) (delegato (...)); "entrati dall'ingresso aziendale a piano terra, non rispettavano quanto richiesto dalla incaricata alla reception, ovvero di attendere di essere annunciati, come da regolamento aziendale: i signori (...) e (...) si recavano direttamente al primo piano dove erano (e sono) ubicati gli uffici amministrativi, provvedendo ad entrare direttamente nell'ufficio personale del Signor (...), in quel momento era al telefono con clienti. Il Signor (...) li invitava così a scendere ed aspettarlo in reception, in quanto impegnato in quel momento. I signori (...) e (...) replicavano che si trovavano "in luogo pubblico" e che non se ne sarebbero andati"; - il ricorrente non aveva mai ricoperto ruoli direttivi, svolgendo mansioni riconducibili al livello di inquadramento. 3. Sulla nullità del ricorso L'eccezione non è fondata. Per pacifica giurisprudenza l'atto introduttivo del giudizio è nullo allorché il petitum e la causa petendi siano del tutto omessi oppure risultino assolutamente incerti e non possano essere individuati attraverso un esame complessivo dell'atto (ex multis Cass. n. 18783/2009). Dalla disamina complessiva del ricorso si ricavano sia le ragioni della domanda (demansionamento, condotta mobbizzante), sia le voci rivendicate a titolo di risarcimento danni (danno biologico e danno morale). Le carenze evidenziate nella memoria difensiva non si traducono in un vizio genetico dell'atto, in quanto attengono al diverso tema della prova dei fatti costitutivi della pretesa azionata in giudizio, onere incombente su parte attrice. 4. Sul merito 4.1. (...) è stato assunto dalla (...) S.r.l. in data 09.03.2004, come operaio di II livello e mansioni di carteggiatore (cfr. contratto di assunzione e buste paga ); a far data dall'1.01.2013 è stato riconosciuto il passaggio dal III al IV livello (cfr. Acc. dell'1 gennaio 2013 ), mentre il 31.03.2015 le parti hanno concordato la variazione di mansione, da "operaio carteggiatore" a "operaio magazziniere", con decorrenza 01.04.2015. Con "accordo individuale" del 27.02.2017, (...) ha riconosciuto al ricorrente un'indennità di mansione di Euro. 150,00 lordi mensili, limitatamente al periodo 01.03.2017 - 31.12.2017, quale corrispettivo per il ruolo di coordinatore di reparto. 4.2. Parte ricorrente si duole della condotta mobbizzante e demansionante posta in essere dalla resistente a decorrere dal 2018, integrante - in tesi attorea - una arbitraria reazione della datrice di lavoro all'adesione al sindacato (...) e all'attività sindacale svolta in azienda. Nel ricorso si prospetta una progressiva emarginazione dal contesto lavorativo e la svalutazione delle competenze maturate nel percorso professionale, con perdita delle mansioni di "coordinatore di reparto", oltre a comportamenti vessatori quali il rifiuto di permessi, l'attivazione di procedimenti disciplinari infondati e la forzata inerzia lavorativa. Da qui il manifestarsi di gravi disturbi psicologici, sfociati in una sindrome ansioso-depressiva di carattere permanente, stimata nella misura del 15%. 4.3. Come noto, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi. L'elemento qualificante va ricercato non nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria (cfr. Corte d'Appello Roma Sez. II Sent., 27/11/2018; Cass. n. 12437/2018; Cass. n. 26684/2017). L'inconfigurabilità della fattispecie di mobbing non osta all'affermazione di una responsabilità risarcitoria del datore di lavoro ove risulti provata la più lieve ipotesi del cd. straining, in presenza di elementi i quali per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale evidenzino la creazione, ad opera del datore di lavoro medesimo, di condizioni lavorative stressogene, tali da provocare nel prestatore una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato. Anche recentemente la Cassazione ha ribadito che "È configurabile il mobbing lavorativo ove ricorrano una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima e ciò a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento. È configurabile lo straining, invece, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie" (Cass. n. 16580/2022). Entrambe le fattispecie sono tutelabili in virtù di quanto disposto dall'art. 2087 cod. civ., che, quale norma aperta, rappresenta strumento sanzionatorio idoneo a punire tutte quelle condotte del datore di lavoro atte a ledere la salute, la personalità e la dignità del lavoratore. 4.4. Nel caso di specie difetta la prova della condotta illecita di (...) e dei pregiudizi psichici patiti dal ricorrente. Quest'ultimo non ha provato di aver rivestito il ruolo di "coordinatore di reparto" prima dell'Acc. del 27 febbraio 2017, né vi è prova dell'adibizione a mansioni diverse da quelle previste dalla declaratoria del IV livello. La deposizione del teste (...) (ex dipendente della convenuta) è eccessivamente generica, poiché non è stato chiarito in quale periodo il ricorrente abbia ricoperto il ruolo di responsabile. Peraltro, dalle evidenze processuali si ricava che l'incarico di "coordinatore di reparto" è stato conferito per un periodo limitato, per far fronte a temporanee esigenze aziendali, correlate al trasferimento degli impianti presso il nuovo stabilimento di via della (...). La natura temporanea dell'indennità di mansione emerge chiaramente dall'Acc. del 27 febbraio 2017: "Il presente accordo avrà validità dal 01/03/2017 al 31/12/2017 e non potrà essere automaticamente rinnovato se non con un nuovo accordo scritto". Le buste paga recano sia la qualifica di "coordinat. di repar" (da marzo 2017 a maggio 2018), sia l'emolumento di 150 Euro mensili a titolo di indennità di mansione (da marzo a dicembre 2017). Inoltre, i testi (...) (impiegata della convenuta ) e (...) (responsabile di produzione della convenuta ) hanno confermato la temporaneità dell'incarico di coordinatore, al termine del quale il ricorrente è ritornato a svolgere le precedenti mansioni (cfr. anche interrogatorio formale del ricorrente ). Anche il teste (...) (coordinatore provinciale del sindacato (...)) ha riferito che "si trattava di un incarico temporaneo, a scadenza (scadenza indicata in busta paga). A.: durante un colloquio il sig. (...) ha confermato che non aveva più bisogno che il ricorrente facesse il coordinatore di reparto. (...): io non ho mai visto il ricorrente al lavoro." Attesa la natura temporanea del ruolo di coordinatore, correlato ad esigenze organizzative e produttive della datrice di lavoro, deve escludersi la sussistenza del demansionamento e della denunciata dequalificazione professionale. Non vi sono riscontri della correlazione causale tra adesione al sindacato e mancato rinnovo dell'incarico di coordinatore, rinnovo comunque condizionato ad un apposito accordo delle parti. A tale riguardo si evidenzia come non vi sia prova documentale dell'iscrizione del ricorrente al (...); non è stata prodotta la delega rilasciata al sindacato, né risulta dagli atti di causa la consegna/trasmissione di tale documento alla resistente, ai fini dell'addebito in busta paga della trattenuta mensile. Parimenti indimostrata la circostanza dello svolgimento di attività sindacale all'interno dell'azienda da parte dell'attore, in veste di delegato (...). Allo stesso modo, nessuna evidenza comprova il rifiuto della convenuta di ricevere l'iscrizione del lavoratori (...), non essendo stati prodotti documenti attestanti le richieste di iscrizioni, le ingiunzioni del sindacato e la vertenza su tale specifico aspetto delle relazioni sindacali. Da qui l'impossibilità di valorizzare le testimonianze di (...) e (...). Il secondo teste ha riferito circostanze apprese dallo stesso attore; trattasi di dichiarazione de relato actoris, priva di qualsiasi valenza probatoria, come statuito dalla giurisprudenza di legittimità: "In tema di prova testimoniale, i testimoni "de relato actoris" sono quelli che depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto delladichiarazione di una parte e non sul fatto oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa" (Cass. n. 569/2015). Resta da aggiungere che le suddette deposizioni contrastano con quelle rese dal teste (...): "l'azienda non era a conoscenza dell'iscrizione del ricorrente al sindacato SI-COBAS. In azienda non era arrivata alcuna documentazione attestante l'adesione al sindacato." Non si ravvisano, dunque, riscontri probatori della volontà ritorsiva della datrice di lavoro, quale ingiusta e arbitraria reazione dell'adesione al sindacato. 4.5. Si rileva, altresì, come l'istruttoria dibattimentale non abbia fornito elementi a sostegno delle ulteriori allegazioni attoree. Non vi è prova delle richieste di permesso (scritte o orali) avanzate nel corso del rapporto di lavoro, né del controllo pervasivo e abusivo esercitato dalla datrice di lavoro (le cui modalità non sono neppure specificate in ricorso). Il capitolo di prova n. 14 è inammissibile per genericità, in quanto formulato in violazione dell'art. 244 c.p.c.; difettano i riferimenti temporali dei permessi richiesti e rifiutati, i nomi dei lavoratori a cui è stato riconosciuto il permesso e delle persone deputate alla sorveglianza. Inoltre, nessuna evidenza comprova che (...) sia stato sottoposto a reiterate vessazioni, continue umiliazioni e pressioni da parte dei responsabili della convenuta. Dalle deposizioni testimoniali non emerge l'impiego di frasi ingiuriose e lesive della onorabilità, personale e professionale, del lavoratore. Nel corso del rapporto è stata irrogata una sanzione di natura conservativa (multa di un'ora), per l'asserita insubordinazione del 10.12.2018 (cfr. contestazione disciplinare del 18.12.2018), multa annullata con Provv. del 21 gennaio 2019. A fronte del contegno inadempiente del dipendente, la datrice di lavoro ha esercitato legittimamente il proprio potere disciplinare, ai sensi dell'art. 2106 cod. civ. Deve escludersi che un'unica sanzione, di modesta entità, possa configurare la fattispecie di mobbing, tenuto conto che la convenuta ha revocato il provvedimento sanzionatorio; quest'ultima circostanza esclude in radice l'esistenza della volontà ritorsiva e persecutoria, anche in considerazione dello spirito conciliante che emerge dall'atto di annullamento, contenente l'invito al lavoratore di "collaborare maggiormente" e di tenere "un comportamento più consono, in modo tale che, episodi, quali quello contestato, non si ripetano più". Il mancato rinnovo dell'incarico di coordinatore ha incrinato i rapporti tra le parti, generando conflitti interpersonali tra il ricorrente e P.M., come dimostrano le rivendicazioni di mansioni superiori formulate dal lavoratore con le missive del 2018 e 2019. Tuttavia, nessuna evidenza comprova l'esistenza di un contesto lavorativo ostile e la persistente e duratura aggressione a danno del ricorrente, tale da determinare una situazione di disagio e malessere lavorativo. Né, infine, possono trarsi elementi dalla sospensione del 13.09.2019 (con decorrenza 16.09.2019), perché giustificata dalla esigenza di individuare mansioni compatibili con le limitazioni previste dal certificato del medico competente del 05.09.2019 ("evitare di sollevare il braccio dx oltre la spalla, con sollevare carichi maggiori di 5Kg col braccio dx. Da rivedere tra 6 mesi"). A seguito di ricorso ex art. 41, T.U. n. 81/2008, il Collegio Medico Unico dell'AUSL di Modena ha confermato il giudizio del medico aziendale, dichiarando (...) idoneo alla mansione di addetto alla finizione pezzi con le seguenti limitazioni-prescrizioni: "Uso di scarpe leggere, a pianta larga, con suola ammortizzata e soletta interna morbida. Non adibire a lavoro notturno. Evitare mansioni da svolgersi col braccio destro oltre la spalla, non movimentare carichi superiori a 5 Kg col braccio destro" (cfr. giudizio del 07.11.2019 ). Ebbene, i testi hanno riferito che la resistente ha verificato, insieme al responsabile della sicurezza, la presenza di mansioni compatibili con le prescrizioni mediche, dopodiché il ricorrente è stato riammesso in servizio come addetto alla mascheratura dei collettori, attività che prevede il sollevamento di pesi inferiori a 5 Kg. In tal senso le univoche e convergenti deposizioni dei testi (...) e (...). Anche il ricorrente ha confermato, in sede di interrogatorio formale, l'adibizione alla mascheratura dei collettori, attività già espletata in precedenza. In data 25.10.2019 il medico aziendale ha comunicato alla datrice di lavoro l'idoneità del ricorrente alla "guida del carrello elevatore previa adeguata formazione". Il teste (...) ha precisato che l'azienda si è attivata per reperire corsi formativi per le mansioni di autista di carrelli elevatori. La convenuta ha ripristinato il rapporto di lavoro all'inizio del mese di novembre dopo aver riscontrato posizioni lavorative compatibili con la salute di (...), versando comunque la retribuzione ad eccezione di un breve periodo, come documentato dalle buste paga (circa 88 ore: cfr. busta paga settembre 2019 ). L'esigenza di preservare la salute del lavoratore, la tempestività delle verifiche compiute e la breve durata della sospensione (con versamento della relativa retribuzione) configurano come legittima la condotta della datrice di lavoro, priva di quei connotati di vessatorietà denunciati in ricorso. E' ragionevole una breve sospensione della prestazione lavorativa per il tempo necessario a verificare la sussistenza di adeguate mansioni lavorative, posto che il datore di lavoro è tenuto a tutelare l'incolumità fisica del lavoratore, ex art. 2087 cod. civ., nonché adottare ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare le esigenze produttive con l'interesse del lavoratore al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica. L'art. 42 del T.U. 81/2008, nel prevedere che il lavoratore divenuto inabile alle mansioni specifiche possa essere assegnato anche a mansioni equivalenti o inferiori, nell'inciso "ove possibile" contempera il conflitto tra diritto alla salute ed al lavoro e quello al libero esercizio dell'impresa, ponendo a carico del datore di lavoro l'obbligo di ricercare - anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto - le soluzioni che, nell'ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, inoltre, dell'onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l'attuazione di detti diritti. L'impossibilità del reimpiego del lavoratore è condizione necessaria per legittimare l'esercizio del potere datoriale, pertanto è onere del datore di lavoro, che quel potere si appresta ad esercitare, provare che ne ricorrano i presupposti. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha statuito che "Il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 c.c., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l'onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l'esaurimento dell'attività produttiva" (Cass. n. 37716/2022); ancora: "in tema di idoneità al lavoro con prescrizioni, l'art. 42 del D.Lgs. n. 81 del 2008 non contiene alcuna previsione limitativa del licenziamento in quanto collega l'obbligo di mantenimento in servizio del lavoratore all'obiettiva possibilità di reperire mansioni che gli consentano di espletare la prestazione senza pregiudizio per la sua salute, anche se con compromissione della professionalità qualora vi sia accettazione di un demansionamento" (Cass. n. 2008/2017). 4.6. Le superiori considerazioni portano al rigetto della domanda risarcitoria, difettando la prova della condotta illecita. Privo di riscontri anche il danno-evento (patologia ansioso-depressiva). Si rileva, infatti, che i documenti richiamati in ricorso sono stati prodotti tardivamente (da n. 12 a n. 30) - il giorno prima dell'udienza di discussione (in data 21.04.2021). Parte attrice non fornito la prova del fatto non imputabile e dei problemi tecnici riscontrati al momento del deposito dell'atto introduttivo del giudizio. Da qui l'inutilizzabilità della documentazione medica versata in atti, in quanto la decadenza in cui è incorsa la parte non può essere sanata dall'esercizio dei poteri d'ufficio ex art. 421 c.p.c. Cass. n. 23605/2020 ha statuito che "Nel rito del lavoro, l'attivazione dei poteri istruttori d'ufficio del giudice non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l'art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale - quale caratteristica precipua del rito speciale - consente l'esercizio dei poteri ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverte; ne consegue che tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini del convenuto tardivamente costituito, in totale assenza di fatti quantomeno indiziari, che consentano al giudicante un'attività di integrazione degli elementi delibatori già ritualmente acquisiti." Dalla carenza di allegazione (valutata unitamente alla mancata prova della condotta mobbizzante) consegue l'inammissibilità della C.T.U. medico-legale, non potendo la parte aggirare l'onere di fornire la prova che essa è tenuta ad offrire e che non può pretendere di ricercare mediante l'attività del giudice. Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, "la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (Cass. n. 30218/2017; Cass. n. 9979/2018). 4.7. Stante l'assenza della giusta causa di recesso, deve essere rigettata anche la domanda di restituzione della somma di Euro. 5.009,56, trattenuta dalla convenuta per il mancato rispetto del termine di preavviso. 5. Sulle spese di lite 5.1. Con la sentenza n. 77/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92, comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le spese di lite ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Secondo la Corte, devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni" tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell'art. 92 co. 2 c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che "l'assoluta novità della questione trattata" e il "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell'area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo. La Consulta ha chiarito che la condizione soggettiva di "lavoratore" non comporta alcun esonero dall'obbligo di rifusione delle spese processuali in caso di soccombenza totale nelle controversie promosse nei confronti del datore di lavoro; tuttavia ove "il lavoratore, per la tutela di suoi diritti, debba talora promuovere un giudizio senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro (cosiddetto contenzioso a controprova), costituisce elemento valutabile dal giudice della controversia al fine di riscontrare, o no, una situazione di assoluta incertezza in ordine a questioni di fatto in ipotesi riconducibili alle "gravi ed eccezionali ragioni" che consentono al giudice la compensazione delle spese di lite". 5.2. La particolarità della vicenda esaminata e le difficoltà probatorie connesse alla dimostrazione in giudizio del mobbing/straining giustificano la compensazione parziale delle spese di lite, nella misura del 50%. La restante quota del 50% deve essere posta a carico del ricorrente in ragione della soccombenza ex art. 91 c.p.c., da liquidarsi secondo i parametri del D.M. n. 147 del 2022. P.Q.M. Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione respinta: 1) RIGETTA il ricorso; 2) CONDANNA (...) al pagamento del 50% delle spese di lite in favore della resistente, che liquida nella complessiva somma di Euro. 2.500,00 - già ridotta del 50% -, oltre rimborso spese generali nella misura di legge, I.V.A. (se dovuta), e C.P.A.; 3) DICHIARA compensate le spese di lite nella misura del 50%; 4) FISSA termine di sessanta giorni per il deposito della motivazione. Così deciso in Modena il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa di I grado iscritta al N. 931/2020 R.G. promossa da (...) (C.F.: (...)), residente in (...) (M.), via M. n. 25, rappresentata e difesa dall'Avv. Gi.Ba.; RICORRENTE contro (...) S.R.L. (P. IVA: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. P.Z., con sede in (...) (M.), via Q. P. n. 69, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Pa.Ma. e Ma.Gi.; RESISTENTE Avente ad oggetto: licenziamento - insubordinazione - recidiva - eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con ricorso ex art. 414 c.p.c. del 21.10.2020, (...) chiedeva annullarsi il licenziamento intimatole con lettera del 06.07.2020 - per insussistenza dell'insubordinazione contestata o perché sproporzionato - e, per l'effetto, condannarsi la convenuta a reintegrarla nel posto di lavoro e a corrispondere l'indennità risarcitoria ex art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 23 del 2015, commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, dal giorno del licenziamento sino a quello di effettiva reintegrazione, nel limite massimo di dodici mensilità (dedotto l'aliunde perceptum e l'aliunde percipiendum), oltre alla regolarizzazione previdenziale e assistenziale (o, in via gradata, dichiararsi estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e riconoscersi l'indennità ex art. 3, comma 1, non assoggetta a contribuzione previdenziale, pari a 36 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto); sempre in via principale, la ricorrente instava per la declaratoria di illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate in data 24.09.2019 e 16.06.2020, conseguentemente condannarsi la convenuta a restituire la quota di retribuzione trattenuta in buste paga. La ricorrente esponeva che: a) il 16.04.2008 veniva assunta a tempo determinato da (...) S.r.l., con mansioni di operaia di livello I/3, rapporto trasformato a tempo indeterminato in data 26.06.2009; b) il medico aziendale confermava l'idoneità al lavoro con la prescrizione di evitare sollevamento e/o movimentazione di pesi maggiori a 10 Kg per tre mesi; giudizio confermato dal Collegio Medico Unico, con estensione a sei mesi del divieto di sollevamento dei pesi; c) fino alla fine del 2020 le era precluso il sollevamento di oggetti di peso superiore ai 10 Kg; d) nel 2017 il Centro di Salute Mentale diagnosticava un disturbo depressivo associato ad attacchi di panico; e) il 16.06.2020 il collega (...) operava sulla macchina MP5; posto che la macchina a lei assegnata (PB5) implicava lo spostamento di materiali di circa 30,72 Kg, chiedeva al collega di scambiare i macchinari su cui operare; f) poco dopo si avvicinava (...), il quale la rimproverava ad alta voce, lamentandosi duramente "con lei per il fatto che questa non stesse lavorando sulla macchina PB5 come invece egli aveva disposto assegnando il Sig. (...) alla macchina MP5"; g) era legittimo, ex art. 1460 cod. civ., il rifiuto di eseguire l'ordine datoriale, "perché esso si poneva in netto contrato con la limitazione che sia il medico di fabbrica che il Collegio Medico Unico avevano posto alle mansioni della lavoratrice"; h) la convenuta aveva violato l'obbligo di buona fede ex art. 1375 cod. civ.; i) non erano fondate le contestazioni disciplinari poste a fondamento delle sanzioni conservative del 24.09.2019 e del 16.06.2020; l) la datrice di lavoro aveva più di 15 dipendenti. 2. (...) S.r.l., tempestivamente costituitasi in giudizio, contestava le eccezioni/deduzioni attoree e ribadiva la legittimità del licenziamento del 26.06.2020. Essa deduceva che: a) l'organico aziendale era inferiore alle 15 unità; b) la ricorrente aveva un atteggiamento scostante e non collaborativo con i colleghi di lavoro, rifiutando le istruzioni dei superiori e lasciandosi andare a crisi isteriche, urla e imprecazioni; c) le operazioni svolte dalle macchine presenti in azienda non comportavano il sollevamento di pesi ed erano "perfettamente in linea con le prescrizioni cui occorreva attenersi per la sig.ra (...)"; d) l'operatore non doveva trascinare un pallet di circa 38 Kg, in quanto per tale operazione veniva impiegato un transpallett; e) la sanzione del 24.09.2019 veniva applicata perché la ricorrente rifiutava di pulire il pavimento tra le macchine KEB300 e PM30/2, cominciando ad urlare e imprecare; f) il 27.05.2020 la lavoratrice abbandonava il posto di lavoro, lasciando il tavolo pieno di prodotti e taniche rovesciate per terra; g) il 16.06.2020 la sig.ra (...) veniva "adibita per disposizione aziendale alla macchina PB5, per propria autonoma decisione e senza interpellare nessuno, iniziò invece a lavorare ad altre macchine; richiamata al rispetto delle istruzioni ricevute non vi diede corso e continuò a lavorare sulla macchina da lei arbitrariamente scelta; dopo di che arrivò ad abbandonare il lavoro"; h) tale condotta, valutata unitamente alle precedenti infrazioni disciplinari, giustificava il provvedimento espulsivo. 3. Sulla legittimità del licenziamento 3.1. (...) è stata assunta da (...) in data 16.04.2008, come operaia di livello I/3, con mansioni di addetta ai lavori di preparazione (cfr. contratto di assunzione ). Nel 2020 il medico competente ha rilasciato un giudizio di idoneità con prescrizioni: "Evitare sollevamento e/o movimentazione > 10KG per 3 mesi. Limitare attività che richiedono eccessivo impegno fisico. No lavoro notturno" (cfr. certificato del 20.04.2020 ). A seguito di ricorso ex art. 41, T.U. n. 81/2008, il Collegio Medico Unico dell'(...) di (...) ha dichiarato la lavoratrice idonea parzialmente alla mansione di addetta alla produzione con le seguenti prescrizioni: "per mesi 6 non MMC > 10 kg; limitare attività che richiedono eccessivo impegno psicofisico (es non adibire a più di 3 macchine contemporaneamente). Non utilizzare scaletta durante la composizione dei pallet; non adibire a lavoro notturno" (cfr. giudizio del 24.06.2020). Con lettera di addebito del 16.06.2020, (...) ha contestato alla ricorrente le seguenti infrazioni disciplinari: a) insubordinazione e rifiuto di adempiere alla disposizione aziendale di lavorare alla macchina PB5, con successiva interruzione della prestazione lavorativa; b) uso indebito del cellulare durante l'orario di lavoro. Tali condotte sono state poste a fondamento del licenziamento per giusta causa del 26.06.2020, da valutarsi anche quale recidiva, stanti i pregressi atti di insubordinazione sanzionati con due giorni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (cfr. Provv. del 24 settembre 2019 e del 16.06.2020 ). 3.2. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, che questo giudice condivide, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale, dall'altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all'art. 1455 cod. civ., cosicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ex art. 3, L. n. 604 del 1966 o addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto ex art. 2119 cod. civ. Per tutte Cass. n. 26679/2017: "Per giustificare la giusta causa di licenziamento, la condotta del lavoratore deve quindi risultare idonea a incidere sulla fiducia del datore di lavoro e a far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli interessi aziendali" (Cass. n. 23697/2017, Cass. n. 24014/2017). Ai fini della valutazione della sussistenza del fatto contestato alla base del licenziamento disciplinare per giusta causa, questo deve configurarsi come fatto grave e idoneo a ledere l'affidamento del datore di lavoro in ordine alla futura correttezza della prestazione, non solo in sé considerato, ma altresì apprezzato in una valutazione globale dello svolgimento del rapporto di lavoro, in ossequio al principio di proporzionalità tra fatto e sanzione, e tenuto conto anche della recidiva. La Suprema Corte ha statuito che: "nel caso di giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, ed in particolare dell'elemento fiduciario; la valutazione relativa alla sussistenza del conseguente impedimento alla prosecuzione del rapporto deve essere operata con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto" (cfr. Cass. n. 1475/2004, Cass. n. 12197/1999, Cass. n. 3270/1998). Dunque per valutare la legittimità del licenziamento è necessario accertare se: 1) la specifica mancanza risulti oggettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente, senza che possa assumere rilievo l'assenza o la modesta entità del danno patrimoniale subito dal datore; 2) l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulti giustificata solamente in presenza d'un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali o, comunque, di un comportamento tale che non consenta la prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. n. 4060/2011, Cass. n. 22321/2013). Se anche la disciplina collettiva prevede un determinato comportamento come giusta causa o giustificato motivo soggettivo di recesso, deve comunque essere verificata l'effettiva gravità della condotta addebitata al lavoratore (Cass. n. 11846/2009), poiché è pur sempre necessario che essa sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (Cass. n. 4435/2004). L'art. 5 della L. n. 604 del 1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo. E', dunque, la parte datoriale a dover dimostrare il fatto ascritto al dipendente, sia con riferimento all'elemento materiale che con riferimento a quello psicologico (Cass. n. 7830/2018, Cass. n. 17108/2016). 3.3. Parte attrice deduce l'illegittimità dell'ordine datoriale di adibizione alla macchina PB5, in quanto implicante l'esecuzione di operazioni incompatibili con il suo stato di salute; da qui il rifiuto di rendere la prestazione lavorativa ai sensi degli artt. 1375 e 1460 cod. civ. La convenuta, viceversa, afferma che le lavorazioni della macchina PB5 non comportano il sollevamento di pesi eccessivi e superiori ai 10 Kg. Essa evidenzia, inoltre, come la ricorrente abbia disatteso reiteratamente le direttive aziendali, comportamento integrante grave insubordinazione. 3.4. Come noto, il dipendente deve conformare la propria condotta ai principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., offrendo la prestazione lavorativa e dando concreta esecuzione alle direttive datoriali. La Suprema Corte ha chiarito che "In tema di licenziamento per giusta causa, il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro è idoneo, ove non improntato a buona fede, a far venir meno la fiducia nel futuro adempimento e a giustificare pertanto il recesso, in quanto l'inottemperanza ai provvedimenti datoriali, pur illegittimi, deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c., secondo il quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto non risulti contrario alla buona fede, avuto riguardo alle circostanze concrete" (Cass. n. 12777/2019). Il 16 giugno 2020 (...), adibita alla macchina PB5 per espressa disposizione datoriale, ha disatteso le direttive ricevute decidendo, in autonomia, di operare sulla diversa macchina MP5; successivamente, dopo essere stata invitata dal legale rappresentante della convenuta (dott. P.Z.) a proseguire le lavorazioni sulla macchina assegnata, essa ha continuato a lavorare sulla PB5, abbandonando il posto di lavoro per circa trenta minuti. Dopodiché la stessa lavoratrice ha iniziato ad utilizzare il telefono cellulare, fotografando le macchine operatrici presenti in azienda. Tale ricostruzione dei fatti è da considerarsi pacifica, in quanto non espressamente contestata dall'attrice, la quale ha avanzato solamente l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. Anche il teste (...) (responsabile di produzione della convenuta) ha confermato l'insubordinazione della ricorrente, così come contestata nell'addebito disciplinare del 16.06.2020: "Cap. 23,24: confermo le circostanze. La ricorrente era stata adibita alla macchina PB5 ma lei si è messa a lavorare su altre macchine. (...) le ha detto di tornare a lavorare sulla PB5. Cap. 25,64: confermo le circostanze. La ricorrente ha continuato a lavorare sulla macchina da lei scelta, senza rispettare l'invito di (...). Ha poi abbandonato il posto di lavoro e ha iniziato a scattare delle foto". 3.5. L'eccezione inadimplenti non est adimplendum ex art. 1460 cod. civ. non è fondata. L'art. 1460 cod. civ. dispone che "nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede." Nei contratti a prestazioni corrispettive una parte può rendersi totalmente inadempiente e invocare l'art. 1460 cod. civ. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte. Il rifiuto della prestazione lavorativa costituisce una legittima forma di autotutela a fronte di un inadempimento datoriale che comprometta i beni personali del lavoratore (vita e salute) (cfr. Cass. n. 24459/2016, Cass. n. 831/2016, Cass. n. 10553/2013). Quindi il lavoratore non può rifiutarsi di eseguire la prestazione richiestagli, essendo egli tenuto a osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartite dall'imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., "e potendo egli invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro, o che sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo" (Cass. n. 836/2018, Cass. n. 12696/2012). Nella specie non vi è prova che le mansioni affidate alla ricorrente fossero incompatibili con le prescrizioni del medico competente e del Collegio Medico Unico. Non vi sono riscontri - documentali o testimoniali - dello svolgimento di compiti pregiudizievoli per la salute. Le fotografie versate in atti non costituiscono, di per sé, prova dell'inadempienza datoriale. Tanto più che i testimoni hanno riferito che le taniche sistemate sui pallet avevano un peso irrisorio (di circa 160/250 grammi) e che per gli spostamenti dei pallet la ricorrente utilizzava un transpallet con ruote. In tal senso le deposizioni dei testi (...) e (...). Tali dichiarazioni, precise e univoche, non smentite da evidenze di segno contrario, sono corroborate dalla ripresa video delle operazioni di carico/scarico svolte all'interno del capannone della convenuta. La registrazione comprova che le taniche movimentate dall'operatore hanno un peso unitario di pochi etti e che i pallet vengono spostati con un mezzo dotato di ruote, così come riferito dai testimoni. Difettando l'inadempimento di parte datoriale, è da ritenersi ingiustificato il rifiuto della prestazione lavorativa ex art. 1460 cod. civ. Parte attrice ha quindi disatteso le legittime direttive datoriali, rendendosi inadempiente alle proprie obbligazioni contrattuali. 3.6. E' anche provata la recidiva, come ritualmente contestata dalla resistente. Per pacifica giurisprudenza la recidiva impropria costituisce "un mero criterio, quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l'infrazione disciplinare commessa" (Cass. n. 1909/2018); "la contestazione di precedenti provvedimenti sanzionatori del datore di lavoro non richiede che gli stessi siano divenuti definitivi (ossia che siano stati confermati con sentenza passata in giudicato)" (Cass. n. 17685/2018). Il teste (...) ha confermato le infrazioni disciplinari dei giorni 04.09.2019 e 27.05.2020, sanzionate entrambe con la sospensione di un giorno. Anche in tali giornate la ricorrente ha disatteso le direttive aziendali in ordine alle attività da svolgere nel corso della giornata lavorativa, abbandonando il posto di lavoro e lasciandosi andare a reazioni scomposte (cfr. deposizione (...)). 3.7. Il provvedimento espulsivo è legittimo in quanto la ricorrente ha rifiutato reiteratamente di adempiere alla prestazione nei tempi e secondo le modalità indicate dalla datrice di lavoro, abbandonando il luogo di lavoro senza una valida ragione. (...) non poteva sospendere unilateralmente la prestazione lavorativa, non essendo stata adibita a mansioni pregiudizievoli per la sua salute. I fatti contestati dalla convenuta, così come accertati in giudizio, sono sussumibili nella fattispecie dell'insubordinazione, reiterata per tre volte. La condotta posta in essere è grave ed idonea a ledere irrimediabilmente l'affidamento del datore di lavoro in ordine alla futura correttezza della prestazione lavorativa. Come testé riferito, la sussistenza della giusta causa va accertata sia in relazione alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore - desumibile dalla loro portata oggettiva e soggettiva, dalle circostanze nelle quali sono stati commessi, nonché dall'intensità dell'elemento intenzionale - sia alla proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta. Le inadempienze poste a fondamento del licenziamento, valutate unitamente alla recidiva contestata, sono di tale gravità da ledere il vincolo fiduciario. (...) ha posto in essere una pluralità di atti di insubordinazione, tutti identici, disattendendo ripetutamente le direttive aziendali. I richiami e le sanzioni conservative applicate da (...) non ha sortito alcun effetto dissuasivo. La lavoratrice, infatti, ha perpetuato il proprio comportamento oppositivo, rifiutandosi di eseguire gli ordini dei superiori. L'attrice ha manifestato un atteggiamento di forte contrasto nei confronti del proprio datore di lavoro, avversione destinata a proseguire in futuro. Il numero rilevante di infrazioni e la volontà manifestata dalla lavoratrice di non adempiere alle indicazioni datoriali, interrompendo la prestazione lavorativa prima della verifica giudiziale della legittimità della propria condotta, fanno ritenere proporzionata la sanzione espulsiva essendosi compromesso in modo irreversibile il vincolo fiduciario con la convenuta. 3.8. Per le ragioni esposte devono rigettarsi tutte le domande della ricorrente. 4. Sulle spese di lite 4.1. Con la sentenza n. 77/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 92, comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le spese di lite ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Secondo la Corte, devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni" tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell'art. 92 co. 2 c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che "l'assoluta novità della questione trattata" e il "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti" assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell'area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo. La Consulta ha chiarito che la condizione soggettiva di "lavoratore" non comporta alcun esonero dall'obbligo di rifusione delle spese processuali in caso di soccombenza totale nelle controversie promosse nei confronti del datore di lavoro; tuttavia ove "il lavoratore, per la tutela di suoi diritti, debba talora promuovere ungiudizio senza poter conoscere elementi di fatto, rilevanti e decisivi, che sono nella disponibilità del solo datore di lavoro (cosiddetto contenzioso a controprova), costituisce elemento valutabile dal giudice della controversia al fine di riscontrare, o no, una situazione di assoluta incertezza in ordine a questioni di fatto in ipotesi riconducibili alle "gravi ed eccezionali ragioni" che consentono al giudice la compensazione delle spese di lite". 4.2. La particolarità della vicenda esaminata, le condizioni di salute della ricorrente e la controvertibilità delle questioni esaminate giustificano la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Modena, in persona del Giudice del Lavoro dott. Vincenzo Conte, definitivamente decidendo, ogni contraria istanza, domanda ed eccezione respinta: 1) RIGETTA il ricorso; 2) DICHIARA integralmente compensate le spese di lite; 3) FISSA termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. Così deciso in Modena il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI MODENA Seconda Sezione Civile Il g.o., Luca Primiceri, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 8946/2018 promossa da (...) (C.F. (...)) in proprio e aule titolare di (...) rappresentata e difesa dagli Avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. (...) in Sassuolo (MO), Via (...) ATTRICE contro (...) SPA (P. IVA (...)) rappresentata e difesa dall'Avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Modena, (...) CONVENUTA Avente ad oggetto: inadempimento contrattuale Conclusioni delle parti: le parti all'udienza del 03.06.2022, tenutasi in modalità cartolare, chiedono e concludono come note scritte; lette le conclusioni delle parti; esaminati gli atti e i documenti di causa; Ragioni di fatto e di diritto della decisione (...), in proprio e quale titolare di (...), citava in giudizio (...) Spa per ivi sentire accertare e dichiarare la risoluzione del contratto sottoscritto in data 19.03.208, ai sensi degli artt. 1183 e 1454 c.c., ed in via subordinata ai sensi dell'art 1455 c.c. per grave inadempimento ed in via ulteriormente subordinata determinare il minore prezzo eventualmente dovuto in considerazione delle prestazioni che risultino eseguite. Si costituiva in giudizio (...) Spa, la quale in via preliminare chiedeva dichiararsi la improcedibilità dell'azione per mancato esperimento della negoziazione assistita, in via principale anche riconvenzionale accertare la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza della causa petendi, nonché accertare il grave inadempimento della attrice per il mancato versamento del prezzo, rigettare la domanda attorea in quanto infondata in fato e diritto e condannare la convenuta al pagamento del residuo del prezzo non corrisposto o della diversa somma risultante in corso di causa. Valutato il complesso delle risultanze acquisite, nello specifico della documentazione prodotta e della CTU espletata, ritiene il decidente che la domanda attorea di risoluzione del contratto non meriti accoglimento. Anzitutto, la eccezione di improcedibilità della domanda attorea per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita sollevata dalla convenuta, non trova accoglimento, atteso che la domanda è finalizzata alla risoluzione contrattuale senza alcuna richiesta di somme di denaro. No trova, altresì, accoglimento la domanda di nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza della causa petendi, atteso che l'insieme delle indicazioni contenute in esso e dei documenti allegati evidenziano i fatti costituenti la ragione della domanda di (...) (vedasi Cass. Civ. n. 8077/2012), finalizzata appunto alla risoluzione del contratto per inadempimento di (...). Nel merito, è pacifico che la parti in data 19.03.2018 sottoscrivevano un contratto in base al quale (...) si impegnava a realizzare un sito web e-commerce con posizionamento (...) al prezzo di Euro 17.522,00= da versarsi in 36 rate da Euro 477,00=, oltre all'acconto di Euro 350,00= e che parte attrice versava 3 rate per un totale di Euro 1.781,00=, oltre all'acconto. Orbene, da una attenta analisi della documentazione prodotta e dall'elaborato peritale del CTU, che risulta adeguatamente motivato e sufficiente ai fini decisionali, non si ravvisa un grave inadempimento di (...), tale da giustificare la risoluzione contrattuale ai sensi dell'art. 1454 c.c. o dell'art. 1455 c.c. Emerge, però, un inadempimento di scarsa importanza, sia di parte attrice che non ha corrisposto completamente il prezzo, sia di (...) che ha realizzato la "demo" del sito, che presentava determinati vizi. Risulta documentalmente come (...) comunque abbia dato avvio alle lavorazioni per la realizzazione del sito, per il quale, giova sottolineare, non era previsto un termine entro il quale definirlo. E' documentale, infatti, che (...) in data 08.06.208 inviava la "demo" del sito su cui apportava le variazioni richieste (docc. nn. 11 e 13 comparsa di costituzione e risposta) ed in data 24.10.2018, successivamente all'importazione dei contenuti dal vecchio sito, inviava il link per vedere il nuovo sito. Sennonché, il CTU riscontrava la presenza di determinati vizi la cui tipologia, però, ad avviso dello scrivente, tenuto conto delle considerazioni dell'elaborato peritale, non era talmente grave da giustificare la risoluzione del contratto. Al riguardo, il CTU nelle conclusioni del suo elaborato è molto chiaro nel ritenere che "in generale, queste anomalie sono da ritenersi fisiologiche ed inevitabili durante il corso dello sviluppo del progetto..."; ed aggiunge: "alcune anomalie potevano essere perfezionabili con una maggiore collaborazione fra fornitore e cliente". Ad avviso dello scrivente, pertanto, l'alterazione del sinallagma contrattuale è dipeso da entrambe le parti, ovvero dall'attrice che non ha collaborato col fornitore al fine di realizzare al meglio il sito e dalla convenuta che, seppure inviava la demo del sito ed il link, cagionava i vizi, indicati dal CTU nella sua relazione e che qui si intendono integralmente trascritti. Ne discende che la domanda attorea di risoluzione contrattuale non può trovare accoglimento, in mancanza dei requisiti necessari, proprio alla luce di quanto precisato dal CTU per il quale tali anomalie potevano essere risolvibili in una settimana. Per i motivi suindicati non viene accolta nemmeno la richiesta di parte convenuta di ottenere il pagamento integrale del prezzo stabilito, posto che la "demo" del sito inviata non costituisce la versione definitiva e soprattutto funzionante del sito, in quanto il link viene inviato soprattutto per permettere al cliente di formulare osservazioni e/o richiedere modifiche. Ne discende, per quanto sopra espresso, di potere accogliere la domanda subordinata, sostanzialmente spiegata da entrambe le parti, di riduzione del prezzo, che pare equo determinare in una somma corrispondente complessivamente ad Euro 2.258,00= pari cioè al numero di 4 rate compreso l'acconto di Euro 350,00=, dal quale vanno detratte le somme già corrisposte dall'attrice. Con riferimento alle spese di giudizio tenuto conto della posizione delle parti, nonché della motivazione della sentenza e dell'accoglimento delle domande subordinate di riduzione del prezzo, esse sono compensate integralmente tra le parti, ponendo le spese di CTU a carico delle stesse nella misura del 50% ciascuna. PQM Il Tribunale di Modena, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa civile iscritta al n. 8946/2018 R.G., disattesa ogni altra e diversa domanda: - rigetta la domanda attorea di risoluzione contrattuale; - dichiara che i vizi riscontrati diminuiscono il valore del contratto e per l'effetto condanna l'attrice a corrispondere a (...) Spa la somma complessiva di Euro 2.258,00=, oltre interessi dalla domanda al saldo, da cui detrarre le somme già corrisposte, ai sensi di cui in motivazione; - compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio; - pone le spese di CTU a carico delle parti nella misura del 50% ciascuna. Modena, 9 gennaio 2023 Depositata in Cancelleria il 1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Andrea Marangoni ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 938/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in Piazza (...) 41121 Modena, rappresentato e difeso dall'avv. CA.MO.; RICORRENTE/I contro (...) SRL (C.F. (...)), (...) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE (C.F. (...)), (...) S.R.L. (C.F. (...)) elettivamente domiciliate in VIA (...) MILANO, rappresentate e difese dagli Avv.ti JU.BA. e PR.MA.; RESISTENTE/I INPS (C.F. (...)), domiciliato in MODENA, VIALE (...), rappresentato e difeso dagli Avv.ti BA.IS. e MA.OR.; CHIAMATO IN FATTO ED IN DIRITTO Con ricorso depositato in data 25/10/2021, (...), dipendente della (...) Spa dal 1 ottobre 1982, società quest'ultima in concordato preventivo, omologato il 1 luglio 2021, a seguito di domanda presentata in data 13 febbraio 2020, iscritta il 06.10.2020, procedura in seno alla quale, sulla base di un Accordo Quadro tra (...) Spa e (...)-it Srl, insieme alle OO.SS. ((...), (...) e la (...)), presso la sede della Regione Emilia-Romagna, alla presenza dell'Assessore Dott. (...), è stato previsto che la costituenda (...)-(...) avrebbe acquisito "il ramo d'azienda individuato nelle divisioni e funzioni descritte nell'Allegato 1 della predetta lettera di avvio della procedura e, ai fini dell'autonomia funzionale del predetto ramo, dei n. 110 dipendenti addetti alle aree produttive, commerciali e amministrative strettamente funzionali al ramo ceduto", premettendo di aver sottoscritto in data 3 marzo 2021 un "Verbale di conciliazione", con cui egli avrebbe, tra l'altro, rinunziato al diritto a transitare ex art. 2112 c.c. presso la costituenda (...) Srl e accettato il futuro licenziamento da parte di (...) Spa e la temporanea messa in (...) per 12 mesi a 0 ore al termine della fruizione di (...) con Causale "Covid-19 nazionale", a fronte della corresponsione della somma complessiva lorda pari ad Euro.9.500,00 a titolo di incentivo all'esodo (cfr. art. 3.6 Verbale di conciliazione), nonché di Euro.500,00 a titolo transattivo (cfr. art. 5.3 Verbale di conciliazione), eccependo l'invalidità del suddetto verbale in ragione dell'assenza di assistenza sindacale effettiva nonché ritenendo la sussistenza del suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro presso la cessionaria (...) Srl ex art. 2112 c.c., ha chiesto di: "1. accertare e dichiarare l'invalidità del Verbale di conciliazione del 3 marzo 2021 e l'oppugnabilità di tutte le rinunzie e transazioni ivi contenute; per l'effetto 2. accertare e dichiarare la prosecuzione ex art. 2112 c.c. del rapporto di lavoro del sig. (...) presso (...) Srl, quale cessionaria del ramo d'azienda trasferito da (...) Spa, a far tempo dal 26 marzo 2021, o dalla diversa data che sarà accerta in corso di causa; conseguentemente 3. condannare (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla reintegrazione/riammissione in servizio del ricorrente, con le stesse mansioni precedentemente svolte ed alle medesime condizioni contrattuali vigenti presso la cedente al momento del trasferimento; 4. condannare, altresì, (...) Srl, in solido con (...) Spa in Liquidazione ed in solido col (...) Spa n. 4/2020 Trib. Modena, nonché con la (...) Srl quale aggiudicataria del ramo d'azienda, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, a risarcire il danno in favore del ricorrente nella misura delle retribuzioni maturate e non corrisposte a far tempo dal giorno 26 marzo 2021, o dalla diversa data accertata in corso di causa, sino all'effettivo ripristino del rapporto, sulla base della retribuzione mensile globale di fatto pari ad Euro.3.759,22, ovvero nella misura minore o maggiore che sarà ritenuta di giustizia, il tutto oltre interessi e rivalutazione; 5. condannare, infine, (...) Srl, in solido con (...) Spa in liquidazione ed in solido col (...) Spa n. 4/2020 Trib. Modena, nonché con la (...) Srl quale aggiudicataria del ramo d'azienda, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, alla regolarizzazione previdenziale ed assicurativa del ricorrente ". Si sono costituite (...) S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, (...) S.R.L., (...) S.R.L., deducendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. In particolare, ha asserito la validità dell'accordo, indipendentemente dalla sottoscrizione in sede protetta, in ragione della natura potestativa del diritto oggetto di rinuncia da parte del ricorrente, nonché - in ogni caso - sostenendo l'effettività dell'assistenza sindacale prestata al medesimo; infine, ha eccepito l'insussistenza del diritto al risarcimento e alla regolarizzazione della propria posizione previdenziale. Istruita con i documenti prodotti dalle parti e con l'assunzione di prove testimoniali, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza, celebrata con il rito della trattazione scritta. Come è noto, ai sensi dell'art. 2113 c.c. "Le rinunzie 1236 e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza 2964, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima 197 disp. att.. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile". Secondo le resistenti, il verbale impugnato sarebbe da ritenersi valido ed efficace indipendentemente dall'osservanza delle guarentigie sindacali, giacché le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro non rientrerebbero nel perimetro dell'art. 2113 cod. civ.. Senonché, l'oggetto dell'accordo e dell'odierna domanda concerne non tanto la cessazione del rapporto quanto la rinuncia del ricorrente al diritto a transitare presso la cessionaria, consacrato dall'art. 2112 c.c., certamente di matrice inderogabile; è infatti pacifico che il ricorrente rientrasse nell'alveo del ramo d'azienda ceduto, con conseguente piena operatività del dettato di cui all'art. 2113 c.c., cit.. Secondo un orientamento ormai consolidato "In materia di atti abdicativi di diritti del lavoratore subordinato, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale, non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura" (Cass., n. 24024/2013; Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 09/06/2021, n. 16154). Al di là della tralatizia affermazione di principio della giurisprudenza di legittimità, non ha ancora assunto un significato univoco la nozione di "assistenza sindacale" e all'ampiezza del ruolo dispiegato dal sindacato (cfr., per la diversità di opinioni in proposito, (...) 827/92 che sottolinea la funzione di garante esterno del sindacato; (...) 5274/87 che evidenzia la necessità di un apposito mandato del lavoratore; (...) 5592/86 che pone l'accento sulla generale opera di "promozione" della dignità del lavoratore da parte del sindacato cui deve affiancarsi però un apposito mandato a transigere). In linea generale, può affermarsi che, "Con riferimento alla conciliazione in sede sindacale ex art. 411, terzo comma, cod. proc. civ., al fine di verificare che l'accordo sia raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale occorre valutare se, in base alle concrete modalità di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella fattispecie conciliativa" (nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto valida la conciliazione che, in base ad una specifica e dettagliata proposta formulata dal lavoratore, era stata perfezionata dinanzi ad un sindacalista indicato dallo stesso lavoratore - Cass. n. 4730/02)". Tanto premesso in diritto, osserva questo Giudice come, nel caso di specie, sulla base degli elementi complessivamente raccolti in istruttoria, non possa ritenersi provato che al lavoratore sia stata prestata effettiva assistenza nel percorso di approdo alla sottoscrizione del verbale, secondo le coordinate ermeneutiche sopra declinate. Nello specifico: - il verbale è stato sottoscritto fuori dai locali del sindacato e in assenza del rappresentante sindacale; - il ricorrente aveva revocato la delega all'organizzazione sindacale il cui rappresentante ha partecipato alla stipula del verbale; - la firma del rappresentante sindacale non è stata contestuale a quella del lavoratore; - parte resistente ha sostenuto che il ricorrente, "piuttosto che rientrare al lavoro ad una retribuzione decurtata come quella di tutti i suoi colleghi, ha preferito, vista anche la vicinanza alla pensione, utilizzare l'ammortizzatore sociale disponibile, integrato dall'incentivo messo a disposizione dalla Società"; - in realtà, è pacifico che il giorno 2 Marzo 2021 il Sig. (...) abbia inviato al Dott. (...) (al tempo Direttore delle Risorse Umane del gruppo (...)) una e-mail in cui ha chiesto: 1) l'"ammontare netto del mio stipendio al netto dell'accordo sottoscritto di cui sopra 2) l'ammontare netto mensile della (...) con il mio lordo 3) l'appartenenza secondo (...) all'elenco dei 110 o dei 69 4) a seconda della risposta al punto 3) l'ammontare dell'incentivo all'esodo" precisando che, in assenza di tali informazioni, non sarebbe stato in grado di sottoscrivere il verbale; - contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, queste informazioni non sono state fornite al ricorrente né dal (...), né dalla sua collaboratrice (...) (Cfr. dichiarazioni da questi rese in sede testimoniale); se ciò è vero, viene meno l'impalcatura argomentativa della resistente, giacché difficilmente il ricorrente avrebbe potuto determinare consapevolmente il "trade off" tra passaggio a (...) con retribuzione ridotta e incentivo all'esodo, non essendo a conoscenza di questi elementi; - l'esatto importo dell'incentivo all'esodo è stato conosciuto dai lavoratori all'atto della firma (Cfr. deposizione (...), (...)) - le condizioni dell'accordo quadro e degli accordi individuali sono state discusse in fieri collettivamente la spiegazione è avvenuta da parte di rappresentanti sindacali non di fiducia del ricorrente (cfr. teste (...), (...), (...), (...)); Non può ritenersi sufficiente al fine di integrare l'effettività dell'assistenza il fatto che i contenuti dell'accordo quadro fossero stati discussi collettivamente (anche dal ricorrente) e che i vari modelli di verbali fossero stati allegati al testo del suddetto accordo quadro, né - tanto meno - che gli importi dell'incentivo all'esodo fossero anch'essi indicati medesimo accordo, giacché altrimenti verrebbe meno la stessa ratio del supporto sindacale. La carenza di assistenza determina l'inefficacia del congegno giuridico di cui all'art. 2113 c.c., con conseguente neutralizzazione dell'irretrattabilità delle condizioni enucleate dal verbale impugnato. Ora, essendo pacifico che il ricorrente appartenesse al ramo d'azienda oggetto di cessione a (...), questi avrebbe avuto titolo - in mancanza della rinuncia cristallizzata nel verbale - alla prosecuzione del rapporto con la suddetta società, diritto che proprio in questa sede viene rivendicato. Va perciò accertato e dichiarato il diritto di (...) alla prosecuzione del rapporto di lavoro, già in essere con (...) Spa, alle dipendenze di (...) Srll. ex artt. 2112 c.c. e 47 L. n. 428 del 1990 a decorrere dalla data del trasferimento 26 marzo 2021, alle condizioni di cui all'Acc. quadro del 1 marzo 2021 e dell'Acc. sindacale del 29 novembre 2021 (art. 47 L. n. 428 del 1990) in atti, della cui legittimità non è fatta questione nell'odierno giudizio. Dall'accertamento di cui sopra discende la condanna di (...) Srl. a riammettere il lavoratore in servizio e a corrispondergli le retribuzioni maturate dalla prima offerta della prestazione lavorativa (6 maggio 2021), quantificate non nella misura retribuzione globale di fatto - nozione legale propria della disciplina di cui all'art. 18 stat. lav.- bensì sulla base della retribuzione che egli avrebbe percepito nel medesimo periodo alle dipendenze della cessionaria (...) Srl (ovvero la retribuzione goduta in precedenza in relazione alla qualifica posseduta, al netto delle riduzioni fissate dai suddetti accordi conclusi in seno alla procedura di concordato preventivo); sulle suddette somme decorrono gli interessi legali dalla maturazione dei singoli ratei sino al saldo, sulle somme via via rivalutate. Al riconoscimento delle suddette differenze retributive segue la relativa regolarizzazione contributiva. Visto l'esito complessivo del giudizio, le spese di lite seguono la soccombenza nei rapporti con (...), mentre sono compensate nei rapporti con le altre parti. Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022, in vigore dal 23/10/20228. In particolare si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle dette tariffe, al loro valore minimo per lo studio della controversia, per la fase introduttiva, per la fase istruttoria e per la fase decisoria (per controversie di valore indeterminabile - complessità bassa), e si determina in Euro 7000,00 il compenso complessivo, giusta l'aumento per la pluralità di parti aventi la stessa posizione processuale. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall'art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, non modificato in parte qua), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. 1) Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa: 2) dichiara la nullità del Verbale di conciliazione del 3 marzo 2021; 3) dichiara la prosecuzione ex art. 2112 c.c. del rapporto di lavoro del sig. (...) presso (...) Srl, quale cessionaria del ramo d'azienda trasferito da (...) Spa, a far tempo dal 26 marzo 2021; 4) condanna (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla riammissione in servizio (...), con le stesse mansioni precedentemente svolte ed alle condizioni di cui all'Acc. quadro del 1 marzo 2021 e dell'Acc. sindacale del 29 novembre 2021 (art. 47 L. n. 428 del 1990); 5) condanna (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a (...) le retribuzioni maturate dalla prima offerta della prestazione lavorativa (6 maggio 2021), quantificate nella la retribuzione che egli avrebbe percepito nel medesimo periodo alle dipendenze della cessionaria (...) Srl, come indicato in parte motiva, oltre interessi e rivalutazione come per legge; 6) condanna (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla regolarizzazione previdenziale ed assicurativa del ricorrente, mediante versamento della contribuzione previdenziale di legge sulle somme di cui al capo 5); 7) condanna (...) Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 296 per esborsi ed Euro 7000 per compensi, oltre rimb. forf., IVA e CPA. Così deciso in Modena il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MODENA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Andrea Marangoni ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 548/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), elettivamente domiciliato in via E. E. 18 41124 M. I., rappresentato e difeso dall'avv. FI.FA. RICORRENTE/I contro (...) S.R.L. (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in VIA (...) 41100 MODENA, rappresentata e difesa dall'Avv. BA.FR.; RESISTENTE/I IN FATTO ED IN DIRITTO Con ricorso depositato in data 21/06/2020, il ricorrente indicato in epigrafe, già dipendente dal 3.06.2019 al 4.03.2020 della (...) S.R.L con contratto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, qualifica di operaio 5 livello CCNL (...) e le mansioni di addetto alla macellazione, premettendo di essere stato licenziato in data 24.2.2020, a seguito della contestazione d'addebito del 28.1.2020 riportata in nota, ha impugnato il suddetto licenziamento irrogatogli, chiedendo di: "Accertare e dichiarare che il licenziamento, intimato al ricorrente con lettera di licenziamento 24.2.2020 (Doc. 5 in atti), è illegittimo/annullabile e, comunque, ingiustificato/annullabile in quanto non sorretto da una giusta causa o da un giustificato motivo, stante in ogni caso la manifesta insussistenza della giusta causa e del fatto materiale e, ogni caso, stante l'irrilevanza disciplinare del fatto materiale, su cui è radicato il licenziamento. Conseguentemente, condannarsi (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla reintegrazione del ricorrente nel posto e nel luogo di lavoro ed al pagamento di un indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione sino ad un massimo di dodici mensilità, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione del diritto al saldo, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione. In via subordinata, accertata e dichiarata per le ragioni di cui in premessa, a norma dell'art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23 del 2015, in conseguenza della pronuncia della Corte Costituzionale n. 194 del 2018, l'illegittimità del licenziamento per cui è causa, per l'effetto, condannare (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento, a favore del ricorrente, di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità, in relazione all'anzianità di servizio del ricorrente e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di maturazione del diritto al saldo". In particolare, ha dedotto che: - nella data in cui sarebbe avvenuto il fatto, si sarebbe intrattenuto a parlare con il superiore gerarchico (...) per chiedere alcuni giorni di ferie per raggiungere la coniuge a Palermo, in quanto ella sarebbe stata ivi ricoverata in quei giorni in ospedale, dove peraltro risiederebbe un figlio della coppia; - avrebbe ricevuto il biasimo del sig. (...), al quale si sarebbe aggiunto nella conversazione il responsabile di stabilimento sig. (...); - dovendo spostarsi momentaneamente dalla catena di macellazione, non avrebbe avuto la forza di mantenere sollevato il peso del cestello dei coltelli di macellazione in sua dotazione e lo avrebbe appoggiato a terra; - si sarebbe allontanato per l'umiliazione di non aver ottenuto le ferie per raggiungere la moglie ricoverata in ospedale. Si è costituita la (...) S.R.L, deducendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. Istruita con i documenti prodotti dalle parti e con l'assunzione di prove testimoniali, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza, celebrata col rito della trattazione scritta. Si osserva altresì, in punto di diritto, che, come è noto, l'onere di provare la legittimità del licenziamento cade a carico del datore di lavoro, potendo il lavoratore limitarsi ad impugnare il recesso contestando l'addebito disciplinare posto a fondamento dello stesso (Cass. civ. Sez. lavoro, 14/07/2016, n. 14375). Tale principio è senza dubbio estensibile alla materia delle sanzioni disciplinari c.d. conservative, nel senso che, in caso di una loro impugnazione da parte del lavoratore, spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza dei relativi presupposti di fatto, oggettivi e soggettivi. L'onere della prova riguarda altresì il profilo della proporzionalità della sanzione, anche nel caso in cui il lavoratore si difenda escludendo in radice la sussistenza degli addebiti e la sua sanzionabilità (cfr. Cass. civ. n. 11153/2001; in termini Cass. civ. n. 7671/1983) La Suprema Corte ha, altresì, precisato che "Il datore di lavoro ha l'onere di provare i presupposti giustificativi delle sanzioni disciplinari, con riferimento, in linea di principio, anche al profilo della proporzionalità della sanzione, pur quando questa non sia di particolare entità, poiché non esiste una correlazione necessaria ed immediata tra l'esistenza di inadempimenti del lavoratore e l'irrogabilità delle sanzioni disciplinari, data la natura e la funzione particolare di quest'ultime, che non trovano il loro fondamento nelle regole generali dei rapporti contrattuali, non sono assimilabili alle penali di cui all'art. 1382 cod. civ., e non hanno una funzione risarcitoria, ma, grazie ad una portata afflittiva innanzitutto sul piano morale, hanno essenzialmente la funzione di diffidare dal compimento di ulteriori violazioni (salva la funzione di assicurare una diretta tutela degli interessi del datore di lavoro, nel solo caso delle sanzioni estintive del rapporto)" (Cass. civ. n. 11153 cit.). Quanto alla sanzione espulsiva, l'art. 3, co. 1, D.Lgs. n. 23 del 2015, nella sua versione applicabile ratione temporis, prevede: " 1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità. 2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all'articolo 2, comma 3. 3. Al licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1 non trova applicazione l'articolo 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni ". La norma, dunque, conserva, per il licenziamento disciplinare, la reintegrazione ma la rende tutela eccezionale, in quanto limitata all'ipotesi in cui sia " direttamente" accertata "l'insussistenza del fatto materiale contestato". Espressamente il legislatore chiarisce, invece, che resta estranea, a tale ipotesi, "ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento". Occorre dunque interrogarsi se, nella fattispecie, sia stata " direttamente" acquisita al processo la prova dell'"insussistenza del fatto materiale contestato". In parte qua, la norma non appare di agevole ed immediata interpretazione perché sembra porre questione circa la distribuzione dell'onere della prova della insussistenza del fatto ed il contenuto della prova stessa. Osserva il Tribunale che la disposizione, sia pure nella sua non felice formulazione, non modifica affatto l'impianto normativo preesistente in punto di principi che, da un lato, disciplinano l'oggetto e l'efficacia della " prova" e, dall'altro, ne stabiliscono il riparto. Resta, cioè, fermo, in primo luogo, il principio stabilito dall'art. 5 L. n. 604 del 1966 che pone a carico del datore di lavoro la prova della sussistenza della giusta causa e del giustificato motivo di recesso, con la conseguenza che il difetto di prova della sussistenza del fatto contestato cade in suo danno e conduce all'accertamento giudiziale di illegittimità del recesso. Ciò che la norma introduce è un differente grado di tutela, questo, sicuramente, conseguenza anche di una precisa scelta processuale del lavoratore. Se quest'ultimo, infatti, intende beneficiare della maggiore tutela, dovrà premurarsi di offrire elementi di prova che dimostrino l'insussistenza del fatto addebitato. Chiaro è lo sbocco processuale nel caso in cui è acquisita in giudizio la prova piena della sussistenza del fatto contestato, comportando tale evenienza il rigetto della domanda del lavoratore. Più problematici risultano, invece, i casi in cui o non risulta la prova né della sussistenza né della insussistenza del fatto contestato - in quanto gli elementi acquisiti siano equivoci e/o contraddittori - ovvero la prova dell'una o dell'altra situazione consegua ad un procedimento logico, deduttivo. Nella prima ipotesi - che può sinteticamente ricondursi a quella della prova insufficiente - in applicazione della regola di riparto dell' art. 5 L. n. 604 del 1966, il lavoratore riceverà la tutela indennitaria. In siffatta ipotesi, il datore di lavoro sopporta il rischio della mancata dimostrazione di una valida causa di licenziamento: non si tratta di "presunzione" di insussistenza di una giusta causa ovvero di indiretta dimostrazione dell'insussistenza del fatto ma di applicazione della regola, in subiecta materia, della distribuzione dell'onere probatorio. Può darsi, infatti, che la valida causa di licenziamento sussista ma il datore non sia riuscito a dimostrarla: in tal caso il licenziamento va comunque dichiarato illegittimo, con la minore tutela per il lavoratore, ovvero quella risarcitoria. In ciò si sostanzia ed esaurisce la "novità" della previsione normativa. L'insussistenza del fatto non può, cioè, derivare quale effetto dell'assenza di prova positiva del fatto contestato (e dunque indirettamente ) ma deve conseguire - direttamente - dalla prova ( diretta e/o indiretta che sia) che la condotta non sussiste. La norma non modifica, invece, il piano differente che attiene all'oggetto ed efficacia della prova. Diversamente ragionando, interpretando cioè l'avverbio "direttamente" come necessità di una prova " diretta" che abbia cioè ad oggetto "direttamente" il fatto da dimostrare, con esclusione della tutela reintegratoria se la dimostrazione dell'insussistenza del fatto sia "indiretta", cioè dedotta da altri fatti noti, la norma si presterebbe a dubbi di ragionevolezza e di costituzionalità. Non può infatti affermarsi che una prova indiretta offra minore certezze di quella diretta. Ciò che rileva, infatti, non è il procedimento attraverso il quale il "fatto storico" sia acquisito al processo (in modo diretto od indirettamente attraverso una deduzione logica) ma il grado di certezza dell'esistenza di quel "fatto". Il comma 2 dell'art. 3 impone la prova "piena" dell'insussistenza, comunque acquisita, mentre la prova contraddittoria e/o equivoca, che pure cade a carico di parte datoriale e rende il licenziamento ingiustificato, conduce, ai sensi del comma 1, al riconoscimento di una tutela meramente economica (cfr. Tribunale Napoli Sez. lavoro, Sent., 27/06/2017, est. M.). Deve altresì sottolinearsi come, secondo la giurisprudenza di legittimità, i tema di licenziamento disciplinare, l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ai fini della pronuncia reintegratoria di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 08/05/2019, n. 12174). Tanto premesso in diritto, osserva questo Giudice come, all'esito dell'istruttoria, possa dirsi acclarata la sussistenza del fatto sostanzialmente come raffigurata nella lettera di contestazione (Cfr. dichiarazioni testi (...), (...), (...)). Nello specifico, i testi hanno confermato che il ricorrente, all'esito di una discussione col sig. (...), abbia aggredito il sig. (...) colpendolo con dei pugni sul petto e abbia gettato il cestello contenente i coltelli, dovendo essere accompagnato all'uscita dagli addetti alla sicurezza, non riuscendo a tornare in sé. Tale assunto esclude in radice la possibilità di addivenire a una pronuncia sulla reintegra. Il fatto è di rilievo disciplinare e di gravità tale da giustificare il licenziamento senza preavviso (indipendentemente dal tono di voce usato dal ricorrente nella discussione con B.), considerata la ridotta anzianità del ricorrente, tale da escludere l'esistenza di un rapporto fiduciario consolidato nel tempo, l'esercizio di violenza fisica e l'insussistenza della tesi alternativa prospettata dal ricorrente (secondo cui la lite sarebbe scaturita da una sua richiesta di ferie e non da una lamentela per la mancata possibilità di effettuare straordinario - circostanza non confermata dai testi escussi), che sarebbe stato suo onere provare, per attenuare l'intensità dell'elemento soggettivo sulla base della eccepita provocazione. Si consideri altresì, ad abundantiam, come il CCNL applicabile preveda la sanzione espulsiva in caso di passaggio alle vie di fatto in stabilimento o grave insubordinazione verso i superiori, fattispecie entrambe sussistenti nel caso di specie. Il ricorso non merita dunque accoglimento. Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall'art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 147 del 13/08/2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022, in vigore dal 23/10/20228. In particolare si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle dette tariffe, al loro valore minimo per lo studio della controversia, per la fase introduttiva, per la fase istruttoria e per la fase decisoria (per controversie di valore compreso tra Euro 5200 e Euro 26000), e si determina in Euro 2689,00 il compenso complessivo. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall'art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, non modificato in parte qua), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa: 1) rigetta il ricorso; 2) condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2689,00, oltre rimb. forf., IVA e CPA. Così deciso in Modena il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • Tribunale Ordinario di Modena SEZIONE PRIMA CIVILE in persona del dott. Eugenio Bolondi, in funzione di Giudice Unico, pronuncia la seguente SENTENZA nella causa di primo grado iscritta al n. 3502 del Ruolo Generale degli affari contenziosi per l'anno 2020 promossa da Tizia (C.F. (...)) e Caia (C.F. (...)), rappresentate e difese dall'Avvocato ... OPPONENTI contro Mevia (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avvocato ... OPPOSTA OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo n. 591/2020 del 25.2.2020 CONCLUSIONI DELLE PARTI: la parte opponente come in memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1 c.p.c., la parte opposta come in comparsa di costituzione e risposta. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. L'opposta, madre delle opponenti, ha ottenuto da questo Tribunale il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 591/2020 del 25.2.2020, dell'importo di euro 4.789,66, oltre interessi legali e spese della procedura monitoria, per il rimborso di spese (tributarie e funerarie) affrontate in relazione alla successione di Cornelio, rispettivamente padre e marito delle odierne contendenti, deceduto il 5.6.2015 senza lasciare testamento. 2. Tizia e Caia hanno proposto tempestiva opposizione evidenziando di aver accettato l'eredità del padre con beneficio di inventario e di essere, di conseguenza, responsabili nei limiti di un eventuale attivo loro derivante dalla successione, al momento inesistente, non essendo stata effettuata alcuna divisione dell'asse. 3. Mevia si è costituita chiedendo rigettarsi l'opposizione avversaria, ritenuta infondata. L'opposta ha eccepito di aver azionato non un credito vantato da terzo nei confronti del de cuius, quanto da una coerede nei confronti di altre due in rivalsa di quanto anticipato dalla prima; più in generale, a dire della stessa, il beneficio di inventario "non consente all'erede di "congelare" i debiti dell'eredità sino al momento in cui egli avrà ottenuto, in divisione, una "fetta" dell'eredità corrispondente alla quota a lui spettante" (pagina 3 della comparsa di costituzione). 4. Con ordinanza del 18.12.2020 è stata sospesa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. 5. La causa, di natura documentale, è stata quindi trattenuta in decisione all'udienza del 21.4.2022. Le parti hanno depositato gli scritti conclusivi. E' pacifico che la moglie Mevia e i tre figli X, Y e Z. abbiano accettato in modo puro e semplice l'eredità di Cornelio, mentre le altre due figlie Tizia e Caia con beneficio di inventario. Quest'ultima modalità di accettazione ha, come noto, tra le varie funzioni anche quella di mettere al riparo il patrimonio dell'accettante da possibili conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'eredità, sì che egli o ne ricaverà un qualche attivo o, in caso di passività superiori, nulla. Questo, in definitiva, il senso ultimo della previsione di cui all'art. 490, secondo comma, n. 2 c.c. per cui l'erede beneficiato non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati "oltre il valore dei beni a lui pervenuti". Alla medesima regola soggiacciono necessariamente anche i cosiddetti pesi ereditari, ossia quelle obbligazioni che sorgono in capo all'erede a seguito della morte del de cuius, poiché, a ritenere diversamente, verrebbe frustrata la predetta chiara ratio dell'accettazione beneficiata. L'impiego, da parte del citato art. 490 c.c., della inequivocabile locuzione "pervenuti" sta poi a significare che l'erede beneficiato risponde non solo nei limiti dei beni ereditari e con gli stessi ma anche, e soprattutto, una volta che li abbia acquisiti. E' questo il punto nevralgico della controversia in esame, essendo pacifico che le odierne opponenti non abbiano ancora ricevuto alcuna parte dell'asse, pendendo procedimento di divisione (nel cui ambito avrebbe dovuto essere veicolata la pretesa di cui invece qui si discute). In conclusione, l'opposizione è fondata poiché il credito dell'opposta non è esigibile (e, invero, nemmeno certo). Il decreto ingiuntivo, di conseguenza, deve essere revocato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico dell'opposta ex art. 91, primo comma, c.p.c. Le stesse sono quantificate ai sensi del d.m. 55/2014 in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge e costi vivi documentati di causa, considerando la presente controversia di valore ricompreso nello scaglione da euro 5.200,00 a euro 26.000,00, ritenendo svolte tutte le quattro fasi e liquidando valori prossimi a quelli medi tariffari per quelle di studio, introduttiva e decisionale e minimi per quella istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Modena, in composizione monocratica, definitivamente decidendo la causa N.R.G. 3502/2020, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa e respinta: accoglie l'opposizione spiegata da Tizia e Caia per l'effetto; revoca il decreto ingiuntivo di questo Tribunale n. 591/2020 del 25.2.2020; condanna Mevia a rifondere le spese di lite a Tizia e Caia, liquidate in euro 4.000,00, oltre 15% per spese generali, 4% per CPA, 22% per IVA, oltre costi vivi di causa documentati. Così deciso in Modena in data 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MODENA SEZIONE III CIVILE in composizione monocratica, nella persona della dr.ssa Roberta Vaccaro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili di primo grado riunite, RG n. 1227 e 7935 dell'anno 2019, trattenute in decisione (allo spirare dei termini ex art. 190 c.p.c., non soggetti, nella specie, a sospensione feriale) in data 4.10.2022; TRA - (...) S.R.L. , Cod.Fisc./P.I. (...), in persona del legale rappresentante p.t., nonché (...), C.F. (...) , in proprio, rappresentati e difesi dagli avv.ti Ro.Lo. e Gi.Du., per procura in calce all'atto di citazione, collazionata telematicamente, presso il cui studio in Mirandola, Piazza (...), sono elettivamente domiciliati; ATTORI-OPPONENTI in RG 1227/2019 - (...), C.F. (...) , e (...), C.F. (...) , rappresentati e difesi dall'avv. Ro.Lo., per procura in calce all'atto di citazione, collazionata telematicamente, presso il cui studio in Mirandola, Piazza (...), sono elettivamente domiciliati; ATTORI-OPPONENTI in RG 7935/2019 E - Agenzia delle Entrate-Riscossione, Agente della Riscossione - Provincia di Modena (C.F. e P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura in calce (rectius collazionata telematicamente) alla comparsa costitutiva, dall'Avv. Va.Fe., presso il cui studio, in Bologna alla via (...), è elettivamente domiciliata; CONVENUTA-OPPOSTA NONCHE' - (...) - (...) SPA (in forma abbreviata (...) - (...)), Società con socio unico, codice fiscale (...), partita IVA (...), in persona del suo legale rappresentante p.t., quale mandataria e gestore, in Raggruppamento Temporaneo di Imprese, del Fondo (...) in favore delle PMI di cui alla L. n. 662 del 1996, rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Pe., presso il cui studio in Roma via (...) è elettivamente domiciliata (cfr. indirizzo pec), giusta procura in calce (collazionata telematicamente) alla comparsa costitutiva; TERZA CHIAMATA IN CAUSA Oggetto: opposizione ex artt. 615 co. 1 e 617 co. 1 c.p.c. a cartelle di pagamento; FATTO La causa iscritta al n. 1227/2019 R.G. è stata introdotta dalla società (...) S.r.l., unitamente a (...), con atto di citazione spedito per la notifica a mezzo posta in data 8.02.2019 (non allegata ricevuta di ritorno) e regolarmente ricevuto dalla convenuta-opposta Agenzia delle Entrate - Riscossione, Provincia di Modena (costituitasi in giudizio) ed ha ad oggetto l'opposizione (preventiva) ex artt. 615 co. 1 e 617 co. 1 c.p.c: a) alla cartella esattoriale n. (...), 'pervenuta' alla suddetta società il 21.1.2019, intimante (solo a quest'ultima) il pagamento della somma di Euro 19.770,64 (di cui Euro 19.189,08 a titolo di revoca di contributo pubblico e relativi accessori ed Euro 575,68 per spese di procedura) in forza del ruolo n. (...) (avente ad oggetto "comunicazione di surroga (...) a seguito di escussione di garanzia sulla operazione n. (...)" e ".. n. (...)" - doc. n. A); b) ed all'intimazione di pagamento n. (...), "pervenuta" alla suddetta società il 22.1.2019, della somma di Euro 10.257,90 (di cui Euro 9173,34 a titolo di revoca del contributo pubblico e relativi accessori ed Euro 1084,56 per spese di procedura), richiamante la cartella esattoriale n. (...) (dell'importo di Euro 8.286,76 di cui Euro 8.007,88 a titolo di revoca di contributo pubblico concesso e relativi accessori) già oggetto di precedenti opposizioni esecutive avanti all'intestato Tribunale (rubricate al n. 851/2018 R.G., merito n. 6812/2018 R.G. e n. 2422/2018 R.G.), emessa sulla base del Ruolo n. (...) (avente ad oggetto "comunicazione di surroga (...) a seguito di escussione di garanzia sulla op. n. (...)"). Con la suddetta opposizione, gli opponenti hanno contestato, quanto alla cartella esattoriale n. (...), l'inesistenza del diritto del creditore opposto di agire in executivis, in quanto: a) "tale pretesa revoca" del contributo, "oltre ad essere descritta con il richiamo a due operazioni di cui non si comprende il riferimento, è carente di titolo" (non assumendo rilievo, a tal fine, la condanna restitutoria di cui al D.I. n. 8419 del 2016 reso dal Tribunale di Napoli in favore della società finanziatrice e confermata, in sede di rigetto dell'opposizione a D.I., con sentenza n. 10296/2018 del suddetto Tribunale, avente ad oggetto la riconsegna dei macchinari concessi in leasing, ma non l'obbligazione di pagamento per canoni insoluti); b) duplicherebbe la condanna nei confronti della società opponente, sull'assunto secondo il quale "per il credito apoditticamente vantato, non è neppure affatto chiara la portata dell'effetto della surroga di (...) S.p.A. (così come laconicamente esposto nell'atto impugnato) quale gestore del Fondo di (...). In altre parole, se l'istituto si sia surrogato nel solo creditoper canoni ed accessori o per il prezzo di riscatto dei macchinari che, peraltro, dovrebbero essere restituiti sulla base della sentenza citata"; in ogni caso, la società opponente "ove tenut(a), in ipotesi, ad ottemperare sia la condanna contenuta nella predetta statuizione (anticipando sin da ora che tale provvedimento sarà oggetto di appello) sia ad ottemperare quanto intimato nella cartella impugnata dovrebbe: - restituire i macchinari (decreto ingiuntivo e sentenza); - restituire l'importo di cui alla cartella". In relazione, poi, tanto alla suddetta cartella esattoriale n. (...), 'pervenuta' il 21.1.2019 (in forza del ruolo n. (...)), quanto alla intimazione di pagamento n. (...), 'pervenuta' il 22.1.2019 (richiamante la cartella esattoriale n. (...)), gli opponenti hanno eccepito la nullità dei suddetti atti e relative notifiche a mezzo pec siccome sprovviste "di dichiarazione di conformità" all'originale e sprovvisti di firma digitale. Sulla base di tali premesse, gli opponenti hanno concluso chiedendo: "in via preliminare: sospendere la cartella di pagamento n. (...), nonché l'intimazione di pagamento n. (...) emesse da Agenzia delle Entrate - Riscossione, con sede in (41123) (...), via E. O., 698, in persona del legale rappresentante pro tempore, su incarico di (...) - (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, pervenute rispettivamente in data 21.1.2019 e 22.1.2019, ed ogni atto ad essa connesso e/oprodromico, per i motivi esposti in narrativa, nonché sospendere il procedimento; nel merito: dichiarare nulla e, comunque, privare di qualsiasi efficacia la cartella di pagamento n. (...) nonché l'intimazione di pagamento n. (...) emesse da Agenzia delle Entrate - Riscossione, .. su incarico di (...) - (...) S.p.A., ... pervenute rispettivamente in data 21.1.2019 e 22.1.2019, ed ogni atto ad essa connesso e/o prodromico per i motivi esposti in narrativa; Con vittoria di spese e competenze di causa". Con successivo atto di citazione in opposizione ex art. 615 co. 1 c.p.c. spedito per la notifica a mezzo posta in data 13.11.2019 (non allegata ricevuta di ritorno) e regolarmente ricevuto dalla convenuta-opposta Agenzia delle Entrate - Riscossione, Provincia di Modena (costituitasi in giudizio), iscritto al RG 7935/2019, (...) e (...) (quest'ultimo già attore-opponente nella causa anteriormente introdotta al RG 1227/2019) hanno proposto opposizione ex art. 615 co. 1 c.p.c.: - avverso la cartella n. (...), per il pagamento di complessivi Euro 19.770,64 (di cui Euro 19.189,08 per revoca contributo pubblico e relativi accessori - entrate coattive anno 2016- ruolo n.(...) ed Euro 575,68 per spese di procedura + 5,88 diritti di notifica) pervenuta in data 11.10.2019 a (...) , quale coobbligato in solido (doc. A); - ed avverso la cartella n. (...), pervenuta il 29.10.2019 a (...) , quale coobbligato in solido (doc. B), per i medesimi titoli ed importi (Euro 19.770,64, di cui Euro 19.189,08 per revoca contributo pubblico e relativi accessori - entrate coattive anno 2016- ruolo n.(...) ed Euro 575,68 per spese di procedura + 5,88 diritti di notifica) Le cartelle opposte hanno ad oggetto il medesimo credito intimato in pagamento alla società debitrice (...) s.r.l. con la cartella n.(...) soprarichiamata (opposta nel giudizio RG 1227/2019), e dunque il medesimo ruolo esattoriale sotteso n. (...) reso esecutivo in data 29.10.2018 (avente ad oggetto "comunicazione di surroga (...) a seguito di escussione di garanzia sulla operazione n. (...)", per Euro 11770,24 per sorte capitale + interessi e "n. (...)" per Euro 7.365,63 per sorte capitale + intessi). Identici sono, altresì, i motivi di opposizione all'esecuzione ex art. 615 co. 1 c.p.c. (in punto di insussistenza del diritto a procedere esecutivamente e duplicazione delle condanne) già avanzati nel giudizio RG 1227/2019 dalla società debitrice principale (...) s.r.l. e da (...), reiterati da quest'ultimo e (...), destinatari rispettivamente delle cartelle (...) (quanto a (...), doc. A) e n. (...) (quanto a (...), doc. B), in qualità di garanti/fideiussori della società debitrice (...) s.r.l. (cfr. fideiussioni di cui ai doc. 14, 15 e 16 allegate alla memoria depositata il 10.11.2020 dalla terza chiamata in causa, quale memoria integrativa per la causa RG 7935/2019 frattanto riunita). Si è costituita (tempestivamente) in entrambi i giudizi la convenuta-opposta, Agenzia delle Entrate - Riscossione, chiedendo, preliminarmente il rigetto dell'istanza di sospensione e la riunione dei numerosi giudizi di opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. pendenti avanti all'intestato Tribunale tra le medesime parti, per identità di petitum , in parte, e continenza e/o connessione per altra parte; nel merito, eccepita la propria carenza di legittimazione passiva rispetto ai motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c. ed ottenuta l'autorizzazione alla chiamata in causa di (...) - (...) S.p.A. quale "ente impositore", ha concluso per il rigetto delle due opposizioni con vittoria delle spese di lite, da distrarsi a favore del difensore, dichiaratosi antistatarioai sensi dell'art. 93 c.p.c. (cfr. dichiarazione ex art. 93 c.p.c. in comparsa conclusionale). Indi, rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva dei titoli opposti dai competenti GI (dott. (...) in RG 1227/2019 e dott.ssa (...) in RG 7935/2019), autorizzata la chiamata in causa del terzo e disposta con Provv. presidenziale del 22 gennaio 2020 la riunione dei due giudizi (non anche degli altri giudizi iscritti nel 2017 e 2018, in fase decisionale), si è costituita in giudizio la (...) - (...) S.p.a. (di seguito per brevità (...)), la quale ha contestato in fatto ed in diritto le avverse opposizioni, chiedendo "in via preliminare, rigettare l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva degli atti impugnati; - nel merito, rigettare integralmente le domande contenute nell'atto di opposizione in quanto infondate in fatto e diritto e comunque non provate" con vittoria di spese di lite. A fronte del deposito, da parte di (...), della documentazione relativa ai titoli sottesi al ruolo azionato con le cartelle opposte, gli opponenti (cfr. memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. depositata l'11.01.2021) hanno 'preso atto' che: a) il contestato credito deriverebbe dalla avvenuta erogazione, a seguito di escussione della garanzia rilasciata dal Fondo ex L. n. 662 del 1996, a favore di (...) S.p.a della somma di Euro 7.365,63 per l'operazione n. (...) e della somma di Euro 11.770,24 per l'operazione n. (...) ; b) le operazioni indicate sono ricostruite e documentate in "finanziamento n. (...) di Euro 36.857,90 (relativo ai contratti di leasing n. (...) del 19.4.2011 e (...) del 29.4.2011); - finanziamento n. (...) di Euro 27.930,65 (relativo ai contratti di leasing n. (...) e (...) del 23.6.2011) per entrambi i quali i signori (...) e (...) rilasciavano fideiussione a garanzia". Muovendo, dunque, dalla documentazione ex adverso prodotta e non contestata, gli opponenti con (unica) memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. hanno precisato il motivo di opposizione ex art. 615 co. 1 c.p.c. in precedenza formulato, assumendo che: - "l'importo escusso sarebbe conseguenza della risoluzione dei rapporti di locazione finanziaria da parte della garantita società di leasing CFLeF nei confronti dell'utilizzatrice (...) S.r.l. per asserito - e recisamente contestato con giudizio sub iudice innanzi alla Corte d'Appello di Napoli- inadempimento da parte di quest'ultima, odierna opponente, a cui ha fatto seguito il decreto ingiuntivo richiesto da (...) S.p.A. in AS concesso dal Tribunale di Napoli n. 8419/2016 R.G., n. 3438/2016 (doc. n. 1 fascicolo procedimento n. 7935/2019 R.G.), ingiunzione con cui si intimava a (...) S.r.l. "di consegnare alla parte ricorrente per le causali di cui al ricorso, immediatamente, i beni di cui al ricorso"; - "tale decreto è stato opposto, con la chiamata in causa pure di (...) S.p.A. e la sentenza di I grado (che conferma il provvedimento monitorio) è oggetto di appello innanzi alla Corte di Napoli"; - in ogni caso, "nessuna obbligazione di pagamento - fatte salve le spese di lite, che, in questa sede, non rilevano, è stata posta a carico dell'odierna opponente" ed "il contratto di leasing (allegato A) è chiaro, in quanto prevede espressamente, "in ogni caso di risoluzione anticipata del contratto", l'utilizzatore dovrà corrispondere quanto dovuto per canoni scaduti "dedotto l'eventuale ricavato dalla vendita" (art. 19), in conformità con quanto normativamente previsto dall'art. 1526 c.c."(cfr. pag. 3 della memoria ex art. 183 comma 6 n.1 cit.). Con la conseguenza che -nella prospettazione degli opponenti come precisata nella memoria ex art. 183 comma 6 c. 1 c.p.c. (e richiamata in comparsa conclusionale)- non sussisterebbe alcun credito certo, liquido ed esigibile nei confronti della concedente e, in surroga, di (...), dal momento che "al più ciò che dovrebbe essere corrisposto da (...) S.r.l. è soltanto ed eventualmente la differenza fra quanto pagato (di cui controparte non ha minimamente tenuto conto) - che, peraltro, si ritiene per l'intero - e quanto asseritamente dovuto per ratei non corrisposti, dedotto il prezzo della vendita dei macchinari, non certo l'intero prezzo pattuito e nel caso (in parte) garantito a (...) S.p.a. da (...) S.p.A., quale gestore del Fondo di (...)". Indi, all'udienza del 14.07.2022 (frattanto mutato il GI) le cause riunite in epigrafe, istruite documentalmente (con rigetto dell'istanza di ctu contabile avanzata da parte opponente, ritenuta irrilevante dal GI "in ragione del petitum e causa petendi" come cristallizzati in citazione), sono state trattenute in decisione sulle conclusioni delle parti innanzi trascritte e con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.. DIRITTO 1- In limine, sulla carenza di legittimazione attiva di (...) nel giudizio RG 1227/2019 Preliminarmente deve dichiararsi (come accennato dal precedente GI in sede di rigetto dell'istanza ex art. 615 co. 1 c.p.c.) la carenza di legitimatio ad causam ed interesse ex art. 100 c.p.c. a ricorrere in capo all'opponente (...) nel giudizio RG 1227/2019, avente ad oggetto l'opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi in relazione a cartelle di pagamento ed intimazioni di pagamento indirizzate alla sola società (...) s.r.l. e da quest'ultima opposte unitamente al sig. (...) (in proprio), invero non destinatario degli atti pre-esecutivi in questione (a differenza della cartella indirizzata allo stesso, quale coobbligato in solido, ed opposta nel giudizio riunito RG 7935/2019). Si rammenta, al riguardo, che il difetto di legitimatio ad causam (allo stesso modo del difetto di titolarità passiva del rapporto), per vero già ventilato dal precedente GI nell'ordinanza di rigetto dell'istanza ex art. 615 co. 1 c.p.c., può essere rilevato anche d'ufficio in ogni grado e stato del giudizio, anche in sede di legittimità (cfr. Cass., Sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951 e Cass. 4 aprile 2012, n. 5375). Sempre in via preliminare, non può non affermarsi, nella specie, la legittimazione passiva della Agenzia delle Entrate-Riscossione per le censure ex art. 617 co. 1 c.p.c. sopra articolate e la legittimazione passiva della terza (tempestivamente) chiamata in causa (...), titolare dei crediti in contestazione, per i motivi di opposizione ex art. 615 co. 1 c.p.c. Giova, sul punto, rammentare, infatti, che nelle opposizioni a cartella di pagamento, ad eccezione di quelle vertenti su crediti previdenziali, esulanti dalla fattispecie in esame (cfr. Cass. S.U. 8 marzo 2022, n. 7514), è il concessionario della gestione del servizio di riscossione "unico legittimato passivo necessario", quale soggetto titolare dell'azione esecutiva (onerato, semmai, ai sensi dell'art. 39 del D.Lgs. n. 112 del 1999 di chiamare in causa l'ente creditore, laddove siano in discussione anche questioni attinenti al merito del credito o comunque che non riguardino esclusivamente la regolarità degli atti esecutivi, rispondendo, in mancanza di tempestiva chiamata in causa, delle conseguenze della lite). 2- Sui motivi di opposizione avverso l'intimazione di pagamento n. (...) Risulta sanata, all'evidenza, dal principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156 co. 3 c.p.c. (assorbito ogni ulteriore rilievo nel merito), la censura ex art. 617 co. 1 c.p.c. avverso l'intimazione di pagamento n. (...), venendo in rilievo un mero atto di sollecito di pagamento della cartella esattoriale n. (...) (relativa al ruolo n. (...) , avente ad oggetto "comunicazione di surroga (...) a seguito di escussione di garanzia sulla operazione n. (...)"), già opposta dalla medesima società debitrice, sia con opposizione preventiva ex artt. 615 e 617 co. 1 c.p.c. (giudizio RG 2422/2018 avanti all'intestato Tribunale, definito con sentenza di rigetto n. 695/2022 del Tribunale di Modena resa il 30.05.2022) sia con opposizione ex artt. 615 co. 2 e 617 co. 2 c.p.c. (rigettata l'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. dell'esecuzione avanti al G.) coltivata nel giudizio di merito RG 5861/2018 e parimenti rigettata (con la medesima citata sentenza, a seguito di riunione dei relativi giudizi). Di tal ché, nella pendenza dell'opposizione preventiva all'esecuzione (giudizio RG 2422/2018) avverso il titolo e correlata cartella di pagamento (equivalente a precetto) ed in assenza di provvedimenti cautelari favorevoli alla parte (tutte rigettate le relative istanze ex art. 615 co. 1 e 624/618 c.p.c.), la locupletazione dei giudizi oppositivi "a valle", come segnalata, e, finanche, nella specie, avverso un atto (quale l'intimazione di pagamento o mero sollecito) privo di valenza autonomamente lesiva, lungi dall'integrare una legittima reazione alla condotta "abusiva" dell'agente della riscossione, come sostenuto dagli opponenti, appare, al contrario, frutto di scelte defensionali, queste ultime, invero, a limite della abusività processuale. Per pacifica giurisprudenza, invero, non esiste "un interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria" e per ciò "la parte che intende far valere la nullità processuale deve (...) indicare quale attività processuale le sia stata preclusa per effetto della denunciata nullità"; ed allora "la disciplina dell'art. 617 c.p.c. (cioè di quella opposizione preordinata a far valere errores in procedendo ovvero nel quomodo dell'azione esecutiva) è da coordinare con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli (Cass., Sez. VI-3, ordinanza n. 25900 del 15/12/2016) per cui "l'opponente non può limitarsi a lamentare l'esistenza dell'irregolarità formale in sé considerata, senza dedurre che essa abbia davvero determinato un pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo" (Cass. 12/02/2019 n. 3967). L'opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso la citata 'intimazione di pagamento' (preclusa ogni valutazione nel merito della cartella e ruolo sottesi, già sub iudice) è, dunque, destituita di ogni fondamento (assorbito ogni ulteriore rilievo circa l'interesse a ricorrere sul punto, a fronte della pendenza - alla data dell'introduzione del presente giudizio- avanti all'intestato Tribunale di numerosi giudizi oppositivi - anche di merito ex art. 616 c.p.c.- aventi ad oggetto la cartella esattoriale sottesa alla suddetta intimazione; giudizi, poi riuniti, RG 1560/2017, 2422/2018,5861/2018, 6812/2018 e 702/2020, definiti con sentenza del Tribunale di Modena n.695/2022 del 30.05.2022). 3. Sui motivi di opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso le tre cartelle opposte. Parimenti va disattesa la censura ex art. 617 co.1 c.p.c. (peraltro, tardiva quanto alla cartella n. (...)) che fa leva sulla asserita nullità delle cartelle opposte (n. (...) quanto alla società debitrice e nn. (...) e (...) quanto ai coobligati in solido, rispettivamente, (...) e (...)) e/o delle relative notifiche a mezzo pec per mancanza "di dichiarazione di conformità" all'originale delle cartelle , allegate in copia pdf e sprovviste di firma digitale. In primo luogo, infatti, come ribadito da ultimo dalla Suprema Corte con l'ordinanza n. 39513 del 13 dicembre 2021 (nel solco della sentenza delle S.U. n. 10266 del 27.04.2018) , si osserva, in senso contrario a quanto dedotto dagli opponenti, che "la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell'atto originario (il c.d. "atto nativo digitale"), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. "copia informatica"), come è avvenuto pacificamente nel caso di specie, dove il concessionario della riscossione ha provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) - ... Va esclusa, allora, la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico"; "nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall'agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale" (di tal chè "la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l'invalidità dell'atto, quando non è in dubbio la riferibilità dello stesso all'Autorità da cui promana, dal momento che l'autografia della sottoscrizione costituisce elemento essenziale dell'atto amministrativo nei soli casi in cui sia prevista dalla legge, mentre, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973, la cartella deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell'esattore, ma soltanto la sua intestazione"). Dal ché consegue la validità della notifica delle cartelle in contestazione, pacificamente ricevute dai destinatari (odierni opponenti) e nel loro contenuto integrale (immodificabile in pdf) rispondente al modello ministeriale (cfr. art. 20 comma l bis del codice dell'amministrazione digitale secondo cui l'idoneità del documento informativo a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità). Inoltre, ad abundantiam, anche qualora in ipotesi viziata la notifica delle cartelle suddette, non è seriamente dubitabile che, nella fattispecie in esame, detto vizio risulterebbe comunque sanato ex art. 156 co. 3 c.p.c. dall'avvenuto raggiungimento dello scopo cui l'atto era preordinato, come comprovato dalla contestuale proposizione dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. (cfr. infra) nel merito del credito azionato con le suddette cartelle. 4- Sui motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c.. Passando, quindi, alla disamina dei motivi di opposizione all'esecuzione ex art. 615 co. 1 c.p.c. in relazione alle cartelle esattoriali nn. (...) (in RG 1227/2019, nei confronti società (...) s.r.l.) e nn. (...) e (...) (rispettivamente nei confronti di (...) e (...) in RG 7935/2019), risulta pacifico e documentato che dette cartelle si fondano sul ruolo esattoriale n. (...) avente ad oggetto "comunicazione di surroga (...) a seguito di escussione di garanzia sulle operazioni n. (...)" e "n. (...)". Sul punto, appare doverosa la preliminare ricostruzione del quadro normativo di riferimento e dei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità sul punto. La L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 100 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) ha previsto il finanziamento pubblico di un Fondo di (...) presso il (...) Spa "allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese". Come si evince dal Decreto del Ministero delle Attività Produttive del D.M. 20 giugno 2005, art. 2 (in G.U. n. 152 del 2/7/2005), che ha rideterminato le caratteristiche degli interventi del Fondo di (...) per le piccole e medie imprese: a) la "garanzia diretta è concessa" alle banche ed agli intermediari finanziari iscritti negli albi ivi indicati (comma 1); b) "la garanzia è esplicita, incondizionata ed irrevocabile ed è concessa nella misura massima variabile, ai sensi della normativa vigente, tra il 60% e l'80% di ciascuna operazione finanziaria ...); c) "la garanzia è inoltre diretta, nel senso che si rivolge ad una singola esposizione" (comma 3); d) "In caso di inadempimento delle piccole e medie imprese, i soggetti richiedenti possono rivalersi sul Fondo per gli importi da esso garantiti, anzichè continuare a perseguire il debitore principale; "ai sensi dell'art. 1203 c.c., nell'effettuare il pagamento, il Fondo acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate". Nello svolgimento delle procedure di recupero del credito per conto del Fondo di gestione si applica, così come previsto dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123, art. 9, comma 5, la procedura esattoriale di cui al D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 67, come sostituita dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 17 (comma 5: "Per le restituzioni di cui al comma 4 i crediti nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del presente decreto legislativo sono preferiti a ogni altro titolo di prelazione da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'art. 2751-bis c.c. e fatti salvi i diritti preesistenti dei terzi. Al recupero dei crediti si provvede con l'iscrizione al ruolo, ai sensi del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 67, comma 2, delle somme oggetto di restituzione, nonchè delle somme a titolo di rivalutazione e interessi e delle relative sanzioni"). Dall'anzidetto complesso assetto normativo, come da ultimo ribadito dalla S.C., ord. 05/01/2022, n. 261, si evince che: - la garanzia diretta è concessa dal Fondo di (...) alla banca o al soggetto finanziatore in misura percentuale rispetto all'importo da questi complessivamente finanziato, e non alle (...) che ricevono l'erogazione del finanziamento, rispetto alle quali il Fondo non assume la posizione di coobbligato solidale ex art. 1292 e s.s. c.c.; - in caso di inadempimento delle (...) , il soggetto finanziatore può rivalersi sul Fondo per gli importi da esso garantiti, anzichè continuare a perseguire il debitore principale, ed il Fondo,nell'effettuare il pagamento, acquisisce il diritto a rivalersi sulle (...) inadempienti per le somme daesso pagate in surroga legale, ex art. 1203 c.c.; - i crediti del Fondo di (...) nascenti dai finanziamenti erogati ai sensi del D.Lgs. n. 123 del 1998 e delle disposizioni ivi richiamate sono assistiti da privilegio sin dalla nascita. La S.C. ha, altresì, chiarito che: "Il credito del Fondo di (...) per le piccole e medie imprese (PMI), fondato sul rapporto di garanzia, non originando da una erogazione diretta da parte dell'amministrazione di somme di denaro in favore del beneficiario, ma dal pagamento (a seguito della escussione della garanzia) all'istituto di credito che aveva erogato il finanziamento bancario, in caso di inadempimento all'obbligo di restituzione delle somme alla banca, non necessita di un formale provvedimento di revoca che faccia venire meno il titolo in virtù del quale il beneficiario aveva fruito del finanziamento." (Cass. n. 6508 del 9/3/2020). Quanto al riconoscimento del privilegio è stato puntualizzato che "il privilegio previsto dal D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, assiste anche il credito del gestore del Fondo di (...) per le piccole e medie imprese che abbia subito l'escussione della garanzia da parte dell'istituto di credito finanziatore a seguito dell'inadempimento della società beneficiaria del finanziamento, in quanto la norma si riferisce non solo a patologie attinenti alla fase genetica dell'erogazione pubblica, ma si estende anche a quella successiva di gestione del rapporto di credito insorto per effetto della concessione." (Cass. n. 3025 del 9/2/2021) e che detto credito "ha natura privilegiata ai sensi del D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, ... per la nozione "ampia" del termine "finanziamenti", comprendente anche i "crediti di firma"" (Cass. n. 8882 del 13/05/2020), oltre che "perchè le diverse forme di intervento pubblico in favore delle attività produttive risultano espressione di un disegno unitario e occorre comunque recuperare la provvista per ulteriori e futuri interventi di sostegno della produzione." (Cass. n. 2664 del 30/1/2019; Cass. n. 8600 del 26/03/2021). Quanto poi alla corretta lettura della norma di cui all'art. 2, comma 4, D.M. 20 giugno 2005, la S.C., sempre nella citata sentenza n. 14915/2019, ha chiarito che la stessa debba essere interpretata e ricostruita alla luce, e in sintonia, con la normativa primaria che viene a completare, atteso che "questa disposizione, se richiama la norma elencativa delle ipotesi di surroga legale, qualifica la posizione del garante, che ha pagato, in termini di semplice "rivalsa" (ovvero di "regresso", si può anche dire), così facendo generico riferimento alla posizione del garante che ha pagato e che, in quanto tale, ha comunque diritto di recuperare dal debitore finale quanto per lui pagato (posto appunto che è su quest'ultimo - non già sul garante solvens - che non può non ricadere il depauperamento patrimoniale conseguente alla rilevata sussistenza di un "debito"" ). In tal senso, il più recente art. 8 bis comma 3 del D.L. n. 3 del 2015, conv. in L. n. 33 del 2015 ("Potenziamento del Fondo Centrale di (...) per le piccole e medie imprese"), ha espressamente previsto che "Il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di (...) di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della L. 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di prelazione spettanti a terzi. La costituzione e l'efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti. Al recupero del predetto credito si procede mediante iscrizione a ruolo, ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e successive modificazioni". Tale norma, come ormai chiarito dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, ha quindi risolto e superato il contrasto interpretativo inerente sia l'applicabilità alla fattispecie in esame della procedura di riscossione forzata mediante iscrizione a ruolo, sia la natura del credito di regresso acquisito ex lege dall'Ente Gestore del Fondo che ha liquidato la perdita subita dal creditore principale: risulta infatti espressamente riconosciuta la natura privilegiata di tale credito, tale da prevalere "su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile". Corollari applicativi del quadro normativo e giurisprudenziale sopra delineato, ai fini che ci occupano, sono: 1) la natura pubblicistica del credito restitutorio in esame, garantito dal privilegio speciale di cui al D.Lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5 (meramente ricognitiva di disciplina già vigente, non innovativa, la previsione di cui all'art. 8-bis citato); 2) l'insorgenza del credito del Fondo di (...) per le piccole e medie imprese (PMI), fondato sul rapporto di garanzia, non da una erogazione diretta di somme di denaro in favore del debitore (finanziato), ma dal pagamento (a seguito della escussione della garanzia o contro-garanzia) all'istituto di credito o società convenzionata che aveva erogato il finanziamento, in caso di inadempimento all'obbligo di restituzione delle somme (è, dunque, l'istituto finanziatore unico soggetto legittimato a chiedere l'attivazione del Fondo, mentre l'impresa debitrice rimane del tutto estranea al rapporto tra il Fondo e l'istituto finanziatore). Così chiarito il quadro normativo di riferimento, i motivi di opposizione all'esecuzione si incentrano sull'asserita insussistenza dell'an debeatur (non circostanziate censure sul quantum): a) da un lato, per illegittima risoluzione dei contratti di leasing da cui origina l'escussione della garanzia pubblica in oggetto (ed illegittimo rifiuto, da parte della società concedente, al riscatto dei beni concessi in leasing); b) dall'altro lato, per asserita incertezza ed inesigibilità del credito, come azionato, al più dovuto nella sola misura, non determinabile allo stato, pari a "la differenza fra quanto pagato ...e quanto asseritamente dovuto per ratei non corrisposti, dedotto il prezzo della vendita dei macchinari" (con conseguente rischio di duplicazione delle pretese creditorie a carico della società debitrice e coobligati in solido). Orbene, alla stregua delle allegazioni degli opponenti, della documentazione allegata e di quanto partitamente riportato nella sentenza del Tribunale di Napoli n.10296/18, in atti, risulta processualmente provato che: -(...) - (...) spa, quale gestore del Fondo di (...) istituito ai sensi dell'art. 2, comma 100, lettera a) della L. 23 dicembre 1996, n. 662, ha ammesso all'intervento agevolativo-garanzia pubblica quindici operazioni di finanziamento concesse da (...) spa (poi incorporata in (...) spa) alla (...) S.r.l. per l'acquisto, in leasing, di macchinari per ufficio e auto; - segnatamente il Comitato di Gestione del Fondo di (...) ha ammesso all'intervento agevolativo ed alla relativa garanzia, tra gli altri: 1) con Delib. del 10 giugno 2011 (doc. 2) l'operazione n. (...) di Euro 36.857,90 relativa ai contratti di leasing n. (...) del 19.04.2011 (doc. 3) e n. (...) del 29.04.2011 (doc. 4); 2) con Delib. del 21 luglio 2011 (doc. 5) l'operazione n. (...) di Euro 27.930,65 relativo ai contratti di locazione finanziaria n. (...) e (...) del 23.06.2011 (doc. 6); - a seguito del mancato pagamento da parte dell'utilizzatrice, (...) S.r.l , dei canoni di locazione alle scadenze pattuite (cfr. analitica ricognizione delle esposizioni debitorie per i i singoli contratti indicati nel ricorso per D.I. poi seguito dal D.I. n. 3438 del 2016 reso dal Tribunale di Napoli il 17.05.2016), la concedente ha comunicato alla prima la risoluzione di tali contratti, avvalendosi di clausola risolutiva espressa ed ha, successivamente, da un lato, escusso la garanzia pubblica relativamente ai suindicati contratti (docc. 7-8 allegati alla comparsa costitutiva di (...)); dall'altro lato, agito in via monitoria per ottenere la riconsegna dei beni concessi in leasing (cfr. D.I. n. 3438 del 2016 reso dal Tribunale di Napoli il 17.05.2016); - escussa la garanzia in relazione a ciascuna operazione, il Consiglio di gestione del Fondo di (...) ha deliberato: in data 28.09.2015 la liquidazione della perdita di Euro 7.365,63 in relazione all'operazione n. (...) (doc. 9); in data 23.07.2015 la liquidazione della perdita di Euro 11.770,24 in relazione all'operazione n. (...) (doc. 10); - a seguito dell'erogazione del relativo contributo in favore della banca finanziatrice, (...) ha effettuato la comunicazione di surroga ai sensi dell'art. 1203 c.c. e dell'art. 2, comma 4, del D.M. 20 giugno 2005, con contestuale intimazione di pagamento (docc. 12-13) e successivamente, stante il mancato pagamento, ha avviato la procedura di iscrizione a ruolo esattoriale, in forza dell'art. 9, comma 5, del D.Lgs. n. 123 del 1998 per la riscossione coattiva degli importi dovuti. Nel frattempo, opposto dalla (...) s.r.l. il suddetto D.I., intimante la (sola) riconsegna dei beni concessi in leasing, con sentenza n.10296/18 del 27.11.2028 (allegata all'atto di citazione), il Giudice partenopeo ha rigettato l'opposizione, ivi comprese, dunque, le eccezioni sollevatedall'opponente (circa l'illegittimità della risoluzione per inadempimento dei contratti di locazione finanziaria dedotti con ricorso per D.I., nonché circa l'asserita illegittimità e contrarietà a buona fede e correttezza del rifiuto opposto dalla concedente all'esercizio del diritto di riscatto da parte di quest'ultima, reiterato in sede di opposizione). Nella parte motiva della citata sentenza, si legge che depositati "tutti i contratti sui quali la società opposta fonda la propria domanda nonché gli estratti conto e lettere di risoluzione ... la società opponente non ha dimostrato di aver pagato nemmeno uno dei canoni per il cui mancato versamento la concedente ha dichiarato di ritenere risolti i contratti", "ed in particolare non ha provato di aver pagato alcuna delle rate dichiarate insolute nel ricorso monitorio", con conseguente legittimità della risoluzione di diritto e definitivo venir meno della facoltà di esercitare l'opzione di acquisto o 'riscatto' dei beni concessi in leasing (postulante, ai sensi dell'art. 17 di ciascun contratto, la "non inadempienza" della società utilizzatrice, acclarata, invece, nel suddetto giudizio). Il Giudice partenopeo ha, altresì, rigettato, in detto giudizio, la domanda proposta dall'odierna opponente contro la terza chiamata in causa (...) (chiamata in causa, da parte opponente, sul pacifico assunto che si fosse surrogata al creditore concedente per aver pagato, quale gestore del fondo di (...) per le p.m.i., alla concedente "l'importo di diverse rate insolute dei contratti di leasing per cui è causa"), chiarendo che quest'ultima si era surrogata nel solo credito 'rimborsato' alla società concedente in leasing e non anche nell'intera posizione contrattuale nascente dai contratti di leasingdedotti con il ricorso monitorio (e prodotti in detto giudizio), che è invece era rimasta in capo alla concedente. Da quanto sopra consegue, all'evidenza, l'inammissibilità, nella presente sede, delle eccezioni e contestazioni avanzate dagli opponenti in punto di illegittimità della risoluzione dei suddetti contratti di leasing, per il duplice rilievo che dette eccezioni: - da un lato, non sono suscettibili di essere opposte all'odierna creditrice (...) (carente di legittimazione passiva sul punto, come sopra chiarito dal giudice partenopeo); - dall'altro lato, sollevate nei confronti della società concedente (unica legittimata passiva in parte qua), sono state rigettate dal Giudice competente funzionalmente (nulla è riportato sull'esito o lo stato del giudizio di appello, sede naturale ed esclusiva dell'eventuale revisione della decisione di primo grado). Inoltre, contrariamente a quanto assunto dagli opponenti, risulta sufficientemente individuato e documentato nel presente giudizio il credito restitutorio intimato con le cartelle opposte, scaturente dall'avvenuta escussione da parte della società finanziatrice delle garanzie per le operazioni indicate nell'estratto di ruolo n. (...) e segnatamente: 1) operazione n. (...) , di cui risultano analiticamente allegati e documentati i rapporti sottostanti e condizioni economiche: importo del finanziamento Euro 36.857,90 per "acquisto macchine uso ufficio e auto" di cui ai contratti di leasing nn. (...) e (...) (doc. 3 e 4); banca richiedente- concessionaria in leasing; importo massimo garantito Euro18.428,95 (pari al 50% del finanziamento) e copertura dell'insolvenza nella misura del 50% (cfr. doc. 2 delibera di ammissione alla garanzia e relative condizioni); liquidazione della perdita ed erogazione dell'importo di Euro 7.365,63 (pari al 50% dell'insolvenza riconosciuta, entro i limiti della garanzia, in Euro 14.731,26), a fronte del credito complessivo-"ammontare esposizione" allegato dalla società concedente di Euro 30.608,04, per canoni insoluti + interessi e spese + residuo importo per sorte capitale in relazione ai contratti di leasing nn. (...) e (...) garantiti dall'operazione (cfr. doc. 7 e doc. 9); 2) operazione n.(...), di cui risultano analiticamente allegati e documentati i rapporti sottostanti e condizioni economiche: importo del finanziamento Euro 27.930,65 per acquisto "macchinari" di cui ai contratti di leasing (...) e (...) (doc. 6 e 7); credito di Euro 24.647,08 allegato dalla società concedente per canoni insoluti, interessi e spese + residuo importo per sorte capitale in relazione ai suddetti contratti di leasing (doc 8); importo massimo garantito (pari al 50% del finanziamento) e copertura dell'insolvenza nella misura del 50% (cfr. doc. 5 delibera di ammissione alla garanzia e relative condizioni per l'importo garantito); liquidazione della perdita ed erogazione dell'importo di Euro 11.770,24 (pari al 50% dell'insolvenza allegata, nei limiti dell'importo garantito, in relazione ai contratti di leasing garantiti dalla suddetta operazione; cfr. doc. 8, 10 e 11). In relazione, poi, alla esigibilità del credito in questione, il tenore delle condizioni contrattuali allegate dagli stessi opponenti con la memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. (cfr. art. 19) è chiaro nel prevedere, in caso di risoluzione anticipata del contratto, oltre al diritto della banca concedente di trattenere i canoni riscossi, "l'obbligo dell'utilizzatore" di procedere alla restituzione dei beni e di corrispondere immediatamente tutto quanto dovuto per canoni scaduti e non pagati, interessi convenzionali di mora, spese, commissioni ..." alla data di risoluzione nonché "a titolo di indennità di risoluzione" i restanti canoni a scadere, attualizzati al tasso individuato...alla data di risoluzione del contratto, "dedotto l'eventuale ricavato della vendita del bene" (deduzione a valere, dunque, solo il relazione alla 'indennità di risoluzione' e sempreché risultino riconsegnati i beni). Così sufficientemente provati il/i titolo/i ed il quantum del credito intimato con le cartelle di pagamento opposte, nonché la sua esigibilità, nessuna prova di fatti impeditivi/estintivi di detto credito,nei soli limiti dell'importo azionato (Euro 19.135,87, oltre interessi e spese), come rimborsato alla società concedente in leasing e richiesto in surroga ex artt. 1203 c.c. e 9 D.Lgs. n. 123 del 1998 agli odierni opponenti, risulta fornita da questi ultimi, sui quali gravava il relativo onere (cfr. sul punto, principi generali espressi dalla nota sentenza della Cassazione a Sez. Un.n. 13533 del 2001). Con la precisazione che, non essendo (...) subentrata nella posizione contrattuale della società concedente in leasing, ma solo, per surrogazione legale ex art. 1203 c.c., nella titolarità del limitato credito di cui sopra, esula dall'oggetto del presente giudizio l'accertamento della sussistenza di qualsivoglia ulteriore pretesa creditoria, indennitaria, risarcitoria e/o restitutoria, nascente dalla risoluzione dei suddetti contratti di leasing. Nessuna pregiudizialità necessaria ex art. 295 c.p.c. si ravvisa, dunque, tra l'odierno giudizio oppositivo ed il giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n.10296/18 sopra richiamata (giudizio, peraltro, solo "accennato" dagli opponenti, senza indicazione del numero di RG né dello stato). Corollario di quanto sopra è il rigetto delle opposizioni come proposte nei giudizi riuniti in epigrafe 5.Sulle spese di lite Le spese di lite, liquidate in dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 ratione temporis applicabile (ante novella ex D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022, in vigore dal 23 ottobre 2022 ; già scaduti i termini ex art. 190 c.p.c. a detta data) seguono la soccombenza, valutata la complessiva attività difensiva espletata nei due giudizi riuniti e con esclusione della fase istruttoria (solo documentale). L'esito del giudizio comporta ipso facto il rigetto della domanda avanzata dagli opponenti (nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. ed in comparsa conclusionale) di condanna della parte opposta ex art. 96 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale, nella composizione in epigrafe, assorbite e/o rigettate le ulteriori domande ed eccezioni, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) DICHIARA la carenza di legittimazione attiva di (...) nel giudizio oppositivo RG 1227/2019; 2) RIGETTA le opposizioni all'esecuzione ed agli atti esecutivi dei giudizi riuniti in epigrafe, come proposte, avverso le cartelle esattoriali n. (...) nei confronti della società (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., nn. (...) nei confronti di (...) e n. (...) nei confronti di (...), accertando la sussistenza del credito, come intimato, in forza del ruolo esattoriale n. (...); 3) RIGETTA ed in parte dichiara inammissibile l'opposizione ex art. 617 c.p.c. all'intimazione di pagamento n. (...), come proposta; 4) CONDANNA gli opponenti (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., (...) e (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore della parte opposta e della terza chiamata in causa, liquidate rispettivamente: in Euro 3.500,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge, in favore della parte opposta Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante p.t., da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario, avv. Va.Fe.; ed Euro 3300,00 oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge in favore di (...) - (...) SPA, in persona del legale rappresentante p.t. Così deciso in Modena il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2023.

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