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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE II SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott.ssa Martina Fusco, in funzione di giudice unico, pronuncia ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2926 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, vertente TRA (...), elett.te dom. presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E (...), in persona del legale rapp.tep.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO Oggetto: impugnativa delibera assembleare RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La presente decisione è adottata ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c. e, quindi, è possibile prescindere dalle indicazioni contenute nell'art. 132 c.p.c. Infatti, l'art. 281-sexies c.p.c., consente al giudice di pronunciare la sentenza in udienza al termine della discussione dando lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, senza dover premettere le indicazioni richieste dal secondo comma dell'art. 132 c.p.c., perché esse si ricavano dal verbale dell'udienza di discussione sottoscritto dal giudice stesso. Pertanto, non è affetta da nullità la sentenza, resa nella forma predetta, che non contenga le indicazioni riguardanti il giudice e le parti, le eventuali conclusioni del P.M. e la concisa esposizione dei fatti e dei motivi della decisione (Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2006, n. 22409). Ancora, in tale sentenza è superflua l'esposizione dello svolgimento del processo e delle conclusioni delle parti, quando questi siano ricostruibili dal verbale dell'udienza di discussione e da quelli che lo precedono (Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7268; Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2011, n. 27002). Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) impugnava la delibera assembleare del 13/02/2015 approvata dall'assemblea del (...), cui l'attore non aveva partecipato. A sostegno della propria domanda, in particolare, deduceva quale primo motivo di impugnazione, l'inadempimento dell'amministratore di condominio alla richiesta di consegna della documentazione richiesta; quale secondo motivo di impugnazione, allegava numerosi vizi della delibera impugnata - di approvazione del bilancio consuntivo. In particolare: - erronea applicazione dell'aliquota per la determinazione della rivalsa da addebitare, a titolo di contributo iscrizione Gestione Separata - Inps, per il compenso dell'amministratore; - erronea determinazione del compenso amministratore; - erronea rendicontazione della quota per la manutenzione ascensore Scala A; - erronea rendicontazione della quota per la pulizia Scala A e per la pulizia Piazzale; - erronea rendicontazione della quota dovuta per la verifica biennale dell'ascensore Scala A. Concludeva, quindi, chiedendo la declaratoria di nullità della delibera impugnata, con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il (...) convenuto, il quale, in persona del proprio amministratore e l.r.p.t, contestava tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ed in particolare rimarcava la legittimità di tutto gli addebiti rendicontati in bilancio; specificava, inoltre, che tutta la documentazione richiesta era stata in effetti consegnata all'attore. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Veniva espletata l'istruttoria ritenuta rilevante, ed in particolare veniva disposta CTU volta alla verifica della regolarità delle rendicontazioni effettuate in sede di bilancio approvato. Depositata la perizia, la causa veniva ritenuta matura per la decisione. L'udienza del 23/05/2024, disposta per la discussione ex art 281 sexies c.p.c., veniva sostituita dal deposito di note di trattazione scritta; nessuna delle parti costituite proponeva opposizione alla suddetta modalità di trattazione nel termine stabilito dalla legge e, anzi, entrambe depositavano note, in cui concludevano riportandosi a tutte le difese in atti. Il giudizio viene pertanto deciso con la presente pronuncia, allegata al provvedimento ex art 127 ter c.p.c.. Preliminarmente, non può dubitarsi della legittimazione attiva dell'attore; ed infatti, l'art. 63 co 4 delle disp. att. del codice civile stabilisce, nel caso di vendita di un immobile facente parte di condominio, la solidarietà dell'alienante e dell'acquirente rispetto ai debiti di natura condominiale relativi all'annualità in corso e a quella precedente alla data della vendita. Permane, pertanto, l'interesse dell'attore alla pronuncia in esame. Nel merito, la domanda va rigettata per le ragioni che qui si diranno. Quanto alla mancata consegna di documenti, va rilevato in primo luogo che per la costante giurisprudenza di legittimità "se ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall'amministratore del condominio l'esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo e senza avere neppure l'onere di specificare le ragioni della richiesta finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti, è altresì certo che l'esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all'attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza" (tra le altre, in questi termini, Cass. Civ. Sez. VI-2, 28/07/2020, n. 15996; Cass. Civ. Sez. 2, 21/09/2011 n. 19210; Cass. civ. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159). In sostanza, se è vero che in capo all'amministratore grava l'onere di esibizione dei documenti contabili, è anche vero che le richieste del singolo condomino non posso costituire violazione del principio di leale collaborazione tra le parti, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento dell'attività dell'amministratore. Ebbene nel caso in esame, deve rilevarsi che l'amministratore, tenuto conto della puntuale richiesta da parte del (...) ha prontamente provveduto a rilasciare allo stesso copia della documentazione richiesta, necessaria alla verifica di quanto oggetto del bilancio consuntivo ad approvarsi. Irrilevanti, e contrarie al principio di buona fede, appaiono le ulteriori doglianze mosse dalla parte attrice, a fronte della consegna della documentazione. Quanto, infatti, al registro dell'anagrafe condominiale, l'amministratore ha prontamente provveduto alla consegna dell'elenco dei nominativi dei condomini e a fronte di ciò, l'attore non ha esplicitato le ragioni per cui la documentazione in effetti consegnata, non sarebbe stata idonea. Parimenti è a dirsi quanto al contratto di manutenzione ascensore: la documentazione consegnata, appare idonea, prima facie, alla verifica della rispondenza dei costi con la contabilizzazione operata in consuntivo, ragion per cui non si ravvisa l'incidenza della mancata consegna del contratto sulla validità della delibera assembleare. Ancora, infine, medesimo ragionamento è possibile operare in ordine alla mancata consegna della movimentazione del conto corrente condominiale in quanto dalla documentazione consegnata dall'amministratore è possibile rinvenire il complesso di rapporti dare-avere di cui il condominio era titolare all'epoca. Per altro, tutte le suddette conclusioni sono consolidate proprio dal comportamento dell'attore che, nell'avviare il presente procedimento, ha pedissequamente sottoposto a critica l'operato dell'amministratore proprio sulla base della documentazione dallo stesso pervenuta. Alla luce di ciò, deve senza dubbio ritenersi che la perduranza della richiesta da parte del (...), anche a seguito della consegna da parte dell'amministratore della documentazione, da cui emergono i dati necessari per una consapevole partecipazione all'assemblea di approvazione del consuntivo, rappresenti un ostacolo all'attività dell'amministratore, e una violazione del principio di correttezza, anche alla luce del rapporto di collaborazione verosimilmente richiesto nell'ambito dei rapporti condominiali. Venendo al merito, la questione è stata correttamente rimessa all'accertamento del consulente tecnico d'ufficio, cui è stato, in particolare, demandato, di verificare la rispondenza tra la documentazione contabile in atti e le risultanze del bilancio consuntivo approvato e oggetto di impugnativa. Quanto al primo punto contestato, è stato chiesto al consulente di accertare la regolarità della rivalsa esposta nel compenso amministratore rispetto alla deliberazione assembleare di conferimento dell'incarico. Il CTU sul punto ha in primo luogo premesso che "i professionisti che esercitano un'attività per la quale non è prevista un'apposita cassa di previdenza sono tenuti all'iscrizione alla gestione separata dell'Inps. La gestione separata è un regime contributivo che prevede il pagamento di un contributo annuo, calcolato in percentuale sul reddito imponibile del professionista (...) i soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata, hanno la facoltà di addebitare in fattura al proprio committente una maggiorazione del 4% del compenso concordato, fermo restando che resta a suo carico l'obbligo del pagamento dei contributi Inps. Addebitando la rivalsa il professionista, in pratica, fa concorrere alla propria contribuzione previdenziale il soggetto committente, chiamato a versare il 4% del compenso, a titolo di rivalsa del contributo previdenziale Inps." Venendo al caso in esame, la consulente ha chiarito che dal consuntivo comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014, risulta un compenso all'amministratore del (...) per complessivi Euro 2.017,39 calcolando la rivalsa al 6% (Euro114,19) e quindi in violazione dell'indicazione normativa del 4%, articolo 1, comma 212, della Legge n. 622/1996: ne discende che il compenso base, senza rivalsa, è pari ad Euro 1.903,20. Calcolando, al contrario, la rivalsa al 4%, la stessa sarebbe pari Euro 76,13: la differenza totale ammonta, quindi, ad Euro38,06, di cui, a credito del condominio (...), Euro 1,48 (Millesimi 34,70 su 997,739). In ordine a tale conclusione, deve in primo luogo anticiparsi, come più in avanti si avrà modo di argomentare approfonditamente, che trattasi dell'unico punto rispetto al quale la CTU ha, in effetti, rilevato una incongruenza. Può, però, ritenersi, che tale incongruenza, per la sua entità minima, non può in alcun modo incidere sulla validità della delibera assembleare impugnata. Sul punto vale specificare che secondo la maggioritaria giurisprudenza di legittimità, "il condomino che intenda impugnare una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale." Cass. civ. ordinanza n. 6128 del 09/03/2017. Per la scarsa entità della differenza sostanziale riscontrata (pari ad Euro 1.48), deve escludersi che il credito derivante possa comportare un apprezzabile mutamento della posizione patrimoniale dell'attore, con conseguente rigetto del relativo punto. Come anticipato, tutti gli altri punti della delibera impugnati, sono stati considerati validi dall'analisi del CTU. Quanto al secondo punto oggetto di contestazione, l'incongruenza degli importi fatturati nel registro di contabilità e nel consuntivo in ordine al compenso dell'amministratore, il CTU ha chiarito che "che il principio di competenza economica è una prassi amministrativa che consiste nel considerare, nel conto economico di un bilancio d'esercizio, solo i costi e i ricavi che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire". Ciò posto, dal bilancio comparato dal 01/01/2014 al 31/12/2014 emerge un costo per compenso amministratore per Euro 2.017,39, che fa correttamente riferimento alle spese di competenza dell'esercizio: la somma non indicata nel registro di contabilità (in cui si fa riferimento solo alla somma di Euro 1.849,27) non è ivi annotata poiché nella compilazione del registro, si fa riferimento al principio di cassa, per cui mancano gli esborsi in effetti non ancora perfezionatisi. "Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale, invece, sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori. È corretto, pertanto, riportare tra i debiti verso fornitori l'importo di Euro 168,12 (ovvero Euro 2.017,39 - Euro 1.849,77). Gli importi sono stati correttamente ripartiti." Con riferimento al terzo punto oggetto di contestazione, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano tutti i giustificativi relativi alla voce "Manutenzione ordinaria Scala A" - per la cui indicazione specifica si rimanda al corpo della relazione peritale. Pertanto, l'importo di Euro 446,20 risulta correttamente giustificato e correttamente imputato. Parimenti, con riferimento al quarto punto oggetto di contestazione, inerente la spesa di pulizia della scala "A" e del piazzale, la consulente ha chiarito che dalla documentazione in atti risultano le seguenti fatture: - fattura n. 391 del 05/12/2014 relativa al servizio di pulizia per Euro 317,20; - fattura n. 25 del 02/01/2015 relativa al servizio di pulizia del mese di dicembre 2014 per Euro 317,20. Anche nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate in ragione dell'applicazione del principio di cassa, in quanto tali uscite non erano state ancora effettuate; le voci sono però presenti nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale. Pertanto, anche tale importo risulta correttamente ripartito tra i condomini. Infine, con riferimento al quinto punto oggetto di contestazione, con riferimento alle spese di verifica biennale ascensore scala "A", il consulente ha chiarito che nella documentazione in atti risulta la fattura n. 5221 del 07/10/2014 della (...) s.p.a. di complessivi Euro 294,91 e relativa alla verifica periodica dell'impianto ascensore Scala A e (...). Dal bilancio comparato risulta che l'amministratore ha imputato tale costo di competenza dell'anno 2014 per il 50% alla: tabella B "Scala e Ascensore Scala A per Euro 152,25 e alla tabella B "Scala e Ascensore Scala B per Euro 152,25. Anche in questo caso, l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità la voce di costo contestata in ragione dell'applicazione del principio di cassa. Pertanto, anche il suddetto importo, è stato correttamente ripartito. Delle conclusioni cui è giunto il CTU nella propria relazione peritale non si ha alcun motivo di dubitare. Ed infatti, ferma la coerenza tra le premesse metodologiche e le conclusioni stesse, non può non sottolinearsi il chiaro riferimento a tutta la documentazione depositata in atti e, soprattutto, ai principi generali in materia di tenuta della contabilità applicabili al caso in esame. In particolare, in risposta alle contestazioni sollevate da parte attrice in sede di osservazioni, la dott. (...) ha rilevato che "l'art. 1130 bis c.c. dispone anche che nel registro di contabilità devono essere annotate le voci di entrate e di uscita (principio di cassa), per cui se ne deduce che al rendiconto condominiale si applica il criterio misto di cassa (per la tenuta del registro di contabilità) e di competenza (per la redazione del riepilogo finanziario). In tal senso Trib. Roma sentenze nn. 246/2019 e 1918/2019. Nel caso di specie l'amministratore di condominio non ha riportato nel registro di contabilità le voci di costo contestate poiché per il principio di cassa tali uscite non sono state ancora effettuate. Nel riepilogo finanziario/Stato Patrimoniale sono stati correttamente inseriti i costi di competenza dell'esercizio ma che alla data del riepilogo non risultano ancora pagati nella voce debiti v/fornitori." Proprio in applicazione dell'art. 1130 bis del Codice civile - a norma del quale "Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti" -, pertanto, si impone, nell'ambito dei rapporti condominiali, l'utilizzo del criterio di cassa per la compilazione del registro di contabilità, senza, però, che l'applicazione del suddetto principio, possa incidere sulla ripartizione di tutte le spese di competenza dell'annualità in corso, laddove di tali spese vi sia idoneo giustificativo, pur non essendo stato già operato l'esborso pecuniario relativo. La domanda va, per tutte le ragioni anzidette, integralmente rigettata. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo ai sensi del DM 147/2022, secondo il valore della controversia, prendendo come riferimento i parametri minimi, stante l'assenza di questioni in fatto e in diritto di particolare complessità. Parimenti in capo all'attore soccombente vengono definitivamente poste le spese di CTU, come liquidate in separato decreto del 14/01/2021. P.Q.M. Il Tribunale di Nocera Inferiore, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: a) rigetta la domanda; b) condanna parte attrice al pagamento, in favore di parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre Iva e Cpa, come per legge, e rimb. spese forf. (nella misura del 15% del compenso); c) pone definitivamente in capo a parte attrice le spese di CTU, come liquidate in separato decreto. Depositato telematicamente in data 31 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI NOCERA INFERIORE SEZIONE CIVILE PRIMA nella persona del Giudice designato dott.ssa Jone Galasso, ha emesso la seguente SENTENZA assunta in decisione ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. nella causa civile di primo grado iscritta al n. 4225 del ruolo generale per l'anno 2016, TRA Parte_1, rappresentato e difeso dall'Avv. AL.MA.; PARTE OPPONENTE E CP_1, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. RA.RO.; PARTE OPPOSTA CONCLUSIONI: come da atti delle parti. FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, parte attrice ha convenuto in giudizio la controparte al fine di vedere revocato il decreto ingiuntivo n. 659/2016 del Tribunale di Nocera Inferiore. Si costituiva in giudizio la parte convenuta, la quale chiedeva il rigetto dell'avversa domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto. Ciò premesso in punto di fatto, la domanda deve essere dichiarata improcedibile. Il Giudicante ritiene che non possa dirsi realizzata la condizione di procedibilità prevista dal legislatore all'art. 5 del D.Lgs. 28 del 2010. Il procedimento di mediazione obbligatoria trova la sua ratio nello scopo deflattivo del contenzioso perseguito dal legislatore (in tal senso, Cassazione civile sez. III, - 27/03/2019, n. 8473: "(il legislatore) ha imposto quindi alle parti (o meglio, alla parte che intende agire in giudizio) questo impegno preliminare mediante il quale fida di poter evitare (alle parti, e allo Stato più in generale) un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria"). Se tale è lo scopo del legislatore, l'esperimento del tentativo di mediazione non può che essere effettivo, in termini di risoluzione sostanziale della controversia che dà origine all'instaurando o instaurato giudizio. Nondimeno, la mediazione potrà registrare esito negativo ma non può ridursi a mero onere processuale che scandisce l'accesso alla tutela giurisdizionale. Tali considerazioni vanno estese anche all'ipotesi in cui la mediazione sia stata prevista dal Giudice. In tale senso, chi intende agire, cioè l'attore deve promuovere la procedura di mediazione, nei casi in cui essa sia obbligatoria oppure nelle ipotesi di mediazione delegata dal giudice, a tal punto che, in caso di sua inattività, la domanda promossa nel giudizio verrà dichiarata improcedibile. Affinché la condizione di procedibilità sia soddisfatta però non é sufficiente depositare l'istanza di mediazione, bensì occorre che l'attore sia presente al primo incontro dinanzi al mediatore, a prescindere dalla presenza del chiamato con ciò tutelando l'attore da atteggiamenti inerti di controparte (Tribunale di Forlì 02.02.2021; in tema anche Corte d'Appello di Firenze n. 65/2020 e Cass. n. 4300/2021). Diversamente, a chi resiste nel giudizio, cioè al convenuto non é posto l'onere (ha solo la facoltà) di attivare la mediazione, né deve presenziare fisicamente, a meno che non abbia, a sua volta, formulato una domanda in riconvenzionale. In occasione del "primo incontro", il mediatore fornirà alle parti le informazioni preliminari riguardo la procedura, i possibili vantaggi rispetto alla soluzione giudiziale, i rischi di un eventuale dissenso, dopodiché superato il momento "filtro", egli esperirà il tentativo di mediazione offrendo ai comparenti un'ipotesi di accordo amichevole che tenga conto di tutti gli interessi manifestati dalle parti stesse, le quali saranno libere di accettarlo o meno. La soluzione prospettata appare in linea rispettivamente: 1) con l'intenzione del legislatore di deflazionare il contenzioso cui gli strumenti di A.D.R. tendono, evitando cioè che chi agisce in giudizio (l'attore) attribuisca all'istituto della mediazione nulla più che un mero adempimento formale, quasi fosse un ornamento del processo; tale sua convinzione resterebbe qualora rischiasse semplicemente la sanzione dell'art. 8, co. 4-bis, cit.; 2) con la giurisprudenza costituzionale citata anche da Cass., n. 19596/20, in base alla quale le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri sono legittime purché entro certi limiti. Richiedere che l'attore sia presente personalmente al "primo" incontro destinato anche ad essere "ultimo" qualora non compaia la controparte, appare ragionevole e costituisce un sacrificio esigibile, tenuto conto che detto modesto impegno preliminare ha lo scopo di evitare: "un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria" (cfr. Cass., n. 8473/19, cit.). Ciò posto, nel caso di specie, la parte opponente non ha partecipato alla mediazione e pertanto deve ritenersi che non vi è prova del rituale esperimento di tale incombente. Infatti, non rileva che la parte abbia fatto pervenire al mediatore tramite il suo legale la comunicazione di non voler partecipare a tale procedura, in quanto l'incombente può dirsi ritualmente esperito solo quando la parte vi abbia partecipato (personalmente o a mezzo di procuratore munito di procura speciale). Pertanto, la domanda va dichiarata improcedibile. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo facendo applicazione delle tariffe previste dal D.M. 55/2014 per le cause dello scaglione di riferimento. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Nocera Inferiore, sezione Prima, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, così provvede: 1) dichiara improcedibile l'opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 659/2016; 2) condanna parte opponente a corrispondere a parte opposta la somma di Euro. 2.800,00 a titolo di compensi professionali oltre ad accessori di legge. Così deciso in data 22 maggio 2024

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE (artt. 544 e ss. c.p.p.) Il Tribunale in composizione collegiale, composto dai magistrati - Dott.ssa Cinzia Apicella - Presidente estensore - Dott. Federico Noschese - Giudice - Dott. Giuseppe Palumbo - Giudice alla pubblica udienza del 27.03.2024, con l'intervento del P.M., rappresentato dal Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Michele Migliardi - e con l'assistenza del Cancelliere, M.V. ha pronunciato e pubblicato la seguente SENTENZA nei confronti di: Si.Fr. nato a Si. (S.) il (...), ivi domiciliato alla via P. n.65, libero presente Difeso di fiducia dagli avv.to G.M. del Foro di Nocera Inferiore IMPUTATO A)del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 1 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, distraeva il patrimonio della predetta società tramite assegni circolari e versamenti di denaro effettuati in suo favore dal c/c della Mg. s.r.l. nel periodo ricompreso tra il 27/07/2015 e il 07/02/2017 per un totale di Euro 70.000,00 e prelievi in contanti effettuati nello stesso periodo per un totale di Euro 39.800,00. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) ) B) del delitto p. e p. ex artt. 219 co. 2 n. 1 e 223 in relazione all'art. 216 n. 2 L. n. 267 del 1942, perché in qualità di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in. Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018, con lo scopo di procurare a sé un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, sottraeva i libri e le scritture contabili della predetta società rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Con l'aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta. In Nocera Inferiore il 23.03.2018 modifica imputazione udienza del 23.11.2023) P.O. Dr. Gi.Fr., Curatore Fallimentare con studio in Nocera Inferiore alla Via (...). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso ai sensi dell'art. 429 c.p.p. in data 24.02.2022, era disposto il giudizio in sede collegiale nei confronti di Si.Fr. per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale distruttiva e documentale meglio descritti in rubrica. Alla prima udienza del 27.04.2022, rilevata l'errata indicazione nel decreto che dispone il giudizio dell'avv.to N.A. quale difensore di fiducia dell'imputato, veniva acquisita la nomina del difensore dell'imputato, avv.to N.P.; in conseguenza, il Collegio disponeva la notifica del decreto e verbale alla P.O. e rinviava l'udienza, onerando il PM alla citazione del teste. Alla successiva udienza del 19.10.2022, veniva depositato atto di rinuncia del precedente difensore e nomina di nuovo difensore di fiducia dell'imputato, Avv. A.P., la quale chiedeva termine a difesa, termine accolto dal Tribunale e pertanto si rinviava ad altra udienza del 26.04.2023, onerando il PM alla citazione del Curatore Fallimentare Dr. G.F. In tale udienza veniva depositata ulteriore nomina di difensore di fiducia da parte dell'imputato, peraltro assente, in favore dell'avv.to G.M. e di seguito, verificata la regolarità della costituzione delle parti, si dichiarava aperto il dibattimento, invitando le Parti a formulare le proprie istanze istruttorie. L'Accusa produceva sentenza dichiarativa di fallimento della Società Mg. s.r.l. in Liquidazione datata 23.03.2018, nonché chiedeva di produrre all'esito della escussione del curatore fallimentare la relazione ex art. 33 L.F.con relativa integrazione, mentre la Difesa produceva un verbale di deposito di documentazione a firma del cancelliere della Sezione Fallimentare del Tribunale di Nocera Inferiore. All'esito veniva escusso il curatore fallimentare dr. G.F., unico teste di lista dell'Accusa, e all'esito veniva acquisita la relazione da lui redatta ex art. 33 legge fall.; di seguito si rinviava all'udienza del 23.11.2023 per l'eventuale esame dell'imputato se fosse comparso e per la discussione. Nell'udienza del 23.11.2023, tuttavia il P.M. chiedeva la correzione della data di commissione del reato, indicando al posto del 23.08.2013 la data corretta di emissione della sentenza di fallimento datata 23.03.2013 e pertanto si rinviava il processo per la discussione all'udienza successiva del 07.02.2024, udienza che subiva tuttavia ulteriore rinvio al 27.03.2024, attesa l'adesione del difensore all'astensione indetta dall'Unione Camere Penali. Nell'odierna udienza, presente l'imputato, questi rendeva spontanee dichiarazioni ed all'esito, dichiarato chiuso il dibattimento e utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo dibattimentale, le Parti formulavano le conclusioni come riportate in epigrafe. All'esito della camera di consiglio, il Tribunale decideva con separato dispositivo, pubblicato in udienza mediante lettura. Si.Fr., nella qualità di amministratore unico e poi di liquidatore della società "Mg. s.r.l. in Liquidazione", dichiarata fallita con sentenza n. 18/2018 del 23.08.2018 con sede sociale in Si. via P. n. 65 ed avente oggetto sociale attività di acquisto, vendita, permuta e locazione di terreni agricoli ed immobili, nonché installazione, manutenzione e riparazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico, è imputato del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale di cui comma 1 con le modalità di cui alle imputazioni riportata in rubrica. Il procedimento trae origine dai rilievi formulati dal curatore fallimentare, dr. G.F., di cui è stata acquisita la relazione ex art. 33 L.Fall, nel corso nella procedura concorsuale seguita alla dichiarazione di fallimento della citata società con sentenza n. 18/2018 emessa il 23.03.2018 dal Tribunale di Nocera Inferiore ed acquisita agli atti. Infatti, dalla relazione redatta dal curatore dr. F. ai sensi dell'art. 33 Legge fall. è emerso che la società fallita ovvero la "Mg. S.r.l. in Liquidazione" è stata costituita in data 20.11.2009 in Sarno con un capitale sociale deliberato di Euro 10.000, mentre quello versato effettivamente risultava pari ad Euro 2.500; detto capitale all'atto della dichiarazione di fallimento risultava ripartito in quote di Euro 9.800 (Euro 2.450 effettivamente versate) detenuta dal socio L.G. e la quota di Euro 200 (Euro50 effettivamente versate) detenuta dalla società "G.A. s.r.l.", a seguito del pignoramento di quota societaria dell'odierno imputato S.P.F., il quale oltre che socio era anche amministratore unico della società decotta. Il curatore nella relazione dava anche atto che dal fascicolo della CCIAA di Salerno non risultavano bilanci presentati dalla società fallita e che in data 29.02.2016 la società Mg. Srl veniva posta in scioglimento anticipato, con la nomina del liquidatore nella persona del Si.Fr.. Questi, si era anche presentato presso il suo studio in data 8.05.2018 per l'audizione prevista dalla normativa e di cui è stato anche redatto apposito verbale. Da tale escussione del Si. era emerso che le cause che avevano causato il dissesto della suddetta società erano da attribuirsi - secondo il liquidatore - alla scarsità di attività lavorativa, riconducibile alle difficoltà da parte dei clienti ad ottenere i finanziamenti per l'installazione di nuovi impianti soprattutto fotovoltaici. Il curatore nella propria relazione dava atto del deposito presso la Cancelleria del Tribunale di Nocera Inferiore di parte della documentazione contabile e fiscale relativa alla società Mg. srl ma che la stessa non risultava esaustiva, non consentendo di ricostruire le posizioni sia creditorie che debitorie della fallita, mancando peraltro l'elenco dei creditori ed anche dei debitori nonché tutti i Bilanci di esercizio ed i registri Iva ed il Libro Giornale. Il curatore si era anche recato in data 30.03.2018 presso la sede legale della società fallita, ove alcun elemento riconducibile alla società era stato rinvenuto ed anzi presso il locale ove era indicata la sede sociale risultante, aveva riscontrato P esistenza di altra attività commerciale con insegna di altra società ovvero la "I.M.G. S.r.l.s.", ove peraltro, al momento del sopralluogo, si trovava svolgere attività proprio il liquidatore della fallita ovvero l'odierno imputato Si.Fr.. A riprova di ciò, lo stesso dr. F. aveva effettuato un acquisto al fine di acquisire uno scontrino fiscale della società ivi operante e poi anche la visura camerale di tale diversa società. Sempre dalla relazione ex art. 33 legge fallimentare poi emergeva che dalle ispezioni ipotecarie, il curatore aveva rilevato che la fallita aveva alienato in data 29.07.2015 alla "A2M" ( società consortile a responsabilità limitata) una consistenza immobiliare sita nel Comune di Nocera Inferiore alla via A. n. 233, mentre dal Pubblico Registro Automobilistico non risultavano beni mobili registrati intestati alla fallita né sussistevano segnalazioni dalla C.R. e C.A.I.. A seguito delle richieste di informativa sia all'Agenzia delle Entrate che alla Guardia di Finanza di Scafati, erano emersi invece rapporti di natura finanziaria con la B.M.P., documentazione che, a seguito di integrazione della citata relazione ex art. 33, una volta acquisita, attestava movimentazioni non anomale fino a giugno 2015 ma, a decorrere dal luglio 2015, emergeva che da un saldo negativo del conto societario, si giungeva ad un saldo positivo di circa 108.000 Euro, derivante dal versamento di assegni circolari per un valore di Euro 145.000, incassati per l'alienazione di un immobile ( per il quale poi il curatore ha avanzato azione revocatoria). A seguito dello scioglimento anticipato e della messa in liquidazione della società avvenuto ad inizio 2016 e fino al giugno 2017 si notava la variazione sul conto della società fallita che da un saldo positivo di Euro 145,000 passata in meno di un armo e mezzo ad un saldo di nuovo negativo di Euro 200,00. Pertanto, nel periodo compreso tra luglio 2015 e febbraio 2017, veniva rilevate movimentazioni bancarie anomale in uscita a titolo di prelevamenti continui per Euro 39.800, poi con emissione di assegni circolari per Euro 40.000 e anche con bonifici per Euro 31.400 circa, tutti disposti sempre a favore del Si.Fr. quale liquidatore. Invece dalle movimentazioni bancarie in entrata, si rilevavano versamenti in contanti per Euro 26.560, versamenti con assegni circolari per l'alienazione dell'immobile per Euro 140.000 e versamenti di altri assegni circolari per Euro 14.000 circa. In sintesi, si evincono uscite di oltre Euro 70.000 dal conto corrente della fallita in favore del sig. Si. mediante assegni circolari e bonifici bancari (questi ultimi per circa 31.400 Euro), nonché ulteriori prelievi in contanti effettuati dal conto corrente della società per una somma complessiva di Euro 145.000,00. Va anche aggiunto che dalla relazione ex art. 33 L F. emergeva che dalla consultazione del cassetto fiscale della fallita come depositario delle scritture contabili il Dott. A.M., il quale aveva trasmesso le dichiarazioni fiscali per gli anni fra il 2009 ed il 2016, ad eccezione dell'anno 2013 per il quale non risultava depositata alcuna dichiarazione fiscale; mentre nell'anno 2017 risultava presentata solo la dichiarazione IVA con un credito IVA pari ad Euro 12.300, disconosciuto dalla Agenzia delle Entrate e successivamente ripresentato comunque dalla fallita. L'attivo fallimentare rinvenuto dal curatore consisteva in due immobili, composte da n. 2 posti auto scoperti siti in N. I. mentre risultava al passivo fallimentare l'insinuazione di n. 2 domande da parte dell'avv. Cuomo e della Si. S.p.A.; inoltre risultava anche una posizione debitoria della fallita nei confronti della sig.ra V.A., quale creditore istante il fallimento, per la somma di Euro 56.291,00 derivante da una sentenza di condanna. In sede di dibattimento il curatore dr. F. ha confermato sostanzialmente il contenuto della sua relazione ex art. 33 L F. precisando che la declaratoria di fallimento della società risaliva al mese di marzo 2018 e nell'ambito dell'attività svolta, è stata acquisita prima dalla Guardia di Finanza l'informativa in ordine ai rapporti finanziari riconducibili alla fallita ed al legale rappresentante ed anche quale liquidatore della società (poi identificato in S.) e successivamente la copia degli estratti di conto corrente bancario della società ad opera della filiale di Si. della B.M.P., da cui sono stati riscontrati movimenti in uscita a titolo di prelievi in contanti senza giustificazione per circa 39.000,00 Euro, assegni circolari emessi per 40.000,00 Euro, nonché bonifici per 31.400,00 Euro tutti in favore sempre del Si. ovvero del liquidatore, peraltro unico che poteva gestire e movimentare il conto corrente. In ordine poi alla documentazione depositata presso la Sezione Fallimentare dall'imputato, il dr. F. specificava che la Curatela non aveva potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria della fallita in quanto era stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e né tantomeno dei debitori: in particolare mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché, oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e dei debitori, non risultavano mai stati depositati presso il Registro delle imprese i Bilanci di Esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il teste poi, su domanda della Difesa, precisava che il fallimento veniva introdotto da V.A., quale dipendente della società, sulla base di un decreto ingiuntivo ottenuto per mancata riscossione di emolumenti lavorativi per l'importo di circa 50.000 Euro e che vi erano stati altri interventi di insinuazione ed il passivo fallimentare ammontava a circa 100.000 Euro, di cui circa la metà nei confronti della suddetta dipendente ed altri debiti tributari per cui si insinuava al passivo anche la Agenzia Entrate nonché vi erano anche poche migliaia di euro nei confronti di qualche fornitore della fallita. Nella relazione ex art. 33 L.F. risultavano solo due soggetti insinuati in quanto, alla data di deposito della stessa, solo due creditori erano insinuati al passivo, ma successivamente se ne sono insinuati altri come indicato nella relazione integrativa. Inoltre, da verifiche svolte, è emerso poi che la fallita aveva posizioni creditorie di insinuazione al passivo in altre procedure concorsuali che sono state però tutte chiuse per assenza di attivo e che tale posizione creditoria non poteva essere vantata dal liquidatore in quanto tale, ma dalla società fallita giacché il Si. non avrebbe mai potuto riscuotere il credito personalmente; in ordine poi a tali procedure creditorie, precisava il curatore, non vi erano state più notizie, per cui è stata fatta anche un'azione revocatoria autorizzata dal Giudice delegato che è stata respinta in sede civile per mancanza del presupposto di fraudolenza nell'atto di compravendita impugnato. A seguito delle domande poste dal Presidente del Collegio, il teste specificava che il Si.Fr., prima di divenire liquidatore della società ne era il legale rappresentante e successivamente, nel 2015 la società veniva posta in stato di scioglimento e messa in liquidazione; che quindi dal 2015 alla data di dichiarazione di fallimento nel 2018, l'imputato risultava liquidatore della società. Inoltre riferiva che l'oggetto sociale della fallita riguardava inizialmente la costruzione, vendita e pennuta di terreni e immobili per poi però specializzarsi nella realizzazione e l'installazione di impianti di energia elettrica e fotovoltaico e che l'imputato, in sede di audizione, aveva attribuito la causa scatenante del fallimento all'eccessiva difficoltà da parte dei potenziali clienti ad avere fonti di finanziamento per sopportare gli esborsi per gli impianti. Il curatore dichiarava altresì che effettivamente all'atto della liquidazione veniva posta in vendita una consistenza immobiliare, oggetto poi di revocatoria, anche se solo dopo sono state riscontrate ulteriori consistenze immobiliari in capo alla fallita, ovvero due posti auto siti ih N. I. però alienati in fase di liquidazione per circa Euro 35.000,00. In ordine poi alle attività svolte sul conto corrente della società fallita, il teste chiariva che nel 2015 quando la società ha incassato la somma di Euro 145.000,00 per la vendita del bene immobiliare la somma è confluita sul c/c della società, conto gestito solo dal liquidatore in quanto non vi erano altri soggetti deputati ad operarvi: tale somma è stata poi oggetto di continui movimenti bancari fino a svuotate il c/c della società nel luglio 2017 con un saldo negativo di 200,00 Euro, peraltro le finalità di tali movimenti non sono mai state accertate, in quanto il Si. in sede di audizione dinanzi a lui non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione. La situazione descritta in definitiva, secondo il curatore, anche per la poca documentazione prodotta, non ha consentito una corretta ricostruzione degli affari della società, giacché si era potuto rilevare documentalmente solo l'esistenza di alcuni crediti non incassati e la vendita di beni immobiliari, i cui ricavi erano stati sottratti al patrimonio societario in epoca di poco precedente il fallimento. Infine, va rilevato che nell'ultima udienza, l'imputato ha reso spontanee dichiarazioni in cui lo stesso sostanzialmente ha ammesso di avere prelevato di volta in volta la somma di Euro 145.00,00 dai c/c della società fallita, ritenendo che la stessa fosse di sua spettanza giacché "provento" della vendita un immobile di sua proprietà e che dunque non incorresse in alcun illecito. La breve esposizione che precede, consente al Collegio di pervenire ad una conclusione certa in ordine ai fatti oggetto dell'imputazione ed alla certa attribuzione all'odierno imputato, così come desumibile dalla attività istruttoria espletata sulla base delle indagini effettuate dagli organi inquirenti: il curatore ha evidenziato, in base alla documentazione acquisita nel corso della procedura fallimentare, i dati probatori che hanno individuato in capo al Si., quale liquidatore, ima condotta "distrattiva" di somme della società fallita nonché, dalla documentazione contabile prodotta dallo stesso imputato, la estrema difficoltà nel procedere ad una effettiva ricostruzione del patrimonio aziendale e del volume di affari della fallita e ciò a causa proprio della incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie. Alla luce di tali verifiche e dalla documentazione in atti, emergono in capo al Si. concreti e certi profili di responsabilità penale in qualità di liquidatore, derivanti dal fatto che dal conto corrente intestato alla società fallita sono uscite somme in favore dello stesso senza una apparente e ragionevole motivazione, anche in considerazione delle esposizioni debitorie, peraltro inadempiute, ed oggetto di ammissione al passivo fallimentare della procedura in esame e dunque la suddetta condotta va a configurare l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione da parte del liquidatore della società cosi come contestata al capo A) all'imputato. A sostegno di tale valutazione, si pone la documentazione probatoria prodotta dal P.M., contenente la sentenza dichiarativa di fallimento e la relazione ex art. 33 l. fall. con relativa integrazione, che ha trovato ampia conferma nella deposizione resa dal curatore dr. G.F. dinanzi al Collegio all'udienza del 26.04.2023. Sul punto va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità a cui questo Collegio si riporta, in tema di responsabilità del liquidatore per la condotta di bancarotta fraudolenta : "la "vendita, da parte del liquidatore della società poi fallita, di beni sociali, con modalità tali da configurarsi quale operazione priva, ex ante, di qualunque grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, con la consapevolezza da parte dell'autore di diminuire il patrimonio per scopi estranei al mandato liquidatorio, costituisce condotta dissipativa integrante il suddetto reato, (cfr. Cass. Penale Sez. V, sentenza n. 34812 del 20.05.2019). Nella vicenda in esame assume dunque particolare rilievo la circostanza evidenziata dal curatore in ordine alle attività svolte sul conto corrente a decorrere dall'anno 2015, allorquando la società ha venduto una consistenza immobiliare, incassando la somma di Euro 145.000,00, somma che è confluita sul conto corrente della società gestito peraltro dal solo liquidatore ovvero dal S.. In particolare, fino a luglio 2017, il conto corrente è stato oggetto di continue movimentazioni ( in sostanza prelievi), sino a presentare un saldo negativo mediante il compimento di diverse operazioni bancarie, le cui finalità non sono mai state accertate, in quanto il Si. non ha mai fornito alcuna significativa giustificazione né al curatore né in concreto dinnanzi a questo Collegio in sede di dichiarazioni spontanee giacché l'affermazione di ritenere la somma in questione come "di esclusiva pertinenza" perché provento di un " proprio" bene immobile, appare non credibile e peraltro in contrasto con le esposizioni debitorie della società dal Si. gestita, debiti di cui lo stesso imputato irragionevolmente ha smentito l'esistenza sempre in sede di dichiarazioni spontanee ( " ragion per cui non ritenevo di fare danni ad alcuno e non è stato fatto danno ad alcuno...... Perché tutte le persone che hanno avuto rapporti con la Mg. , la società, sono stati soddisfatti..." cfr. verbale del 27.03.2024) Va in ogni caso osservato che tali operazioni di " svuotamento" del c/c societario da parte dell'imputato, risultano essere assolutamente anomale ed, in ogni caso, hanno ridotto sensibilmente la consistenza patrimoniale della società e le garanzie dovute verso i creditori. In materia di bancarotta patrimoniale la giurisprudenza di legittimità ha anche evidenziato che: "Una volta accertato che il fallito ha avuto nella sua diponibilità determinati beni, nel caso in cui non renda conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificare la destinazione, si deve dedurre che essi Si. stati dolosamente distratti, in quanto il fallito ha l'obbligo di dimostrare la destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio" (cfr. ex multis Cass, penale - sentenza n. 12833 del 11.11.1999 e Cassazione Penale - sentenza n. 13118 del 18.12.2010). Dagli atti processuali sussiste in capo all'imputato anche la condotta di cui al capo B). Infatti anche in relazione al mancato deposito regolare da parte del Si. delle scritture contabili e dei libri sociali obbligatori, il curatore ha evidenziato che la documentazione contabile e fiscale prodotta dall'imputato non è risultata esaustiva per la mancanza delle scritture obbligatorie per legge ed in tal modo non ha potuto ricostruire la situazione creditoria e debitoria, in quanto è stata riscontrata solo una situazione contabile relativa all'anno 2014, senza l'indicazione di un elenco dei creditori e debitori; in particolare, mancava la situazione contabile aggiornata alla data del fallimento del 2018, nonché oltre ai suddetti elenchi analitici dei creditori e debitori, non sono mai stati depositati presso il Registro delle imprese i bilanci di esercizio, i registri Iva ed i libri giornali. Il quadro probatorio descritto risulta sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi richiesti per la configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale contestato dal P.M., il quale si configura allorquando la mancanza delle scritture contabili obbligatorie non dipenda da un'omissione dell'imprenditore, che non abbia provveduto ad istituire i libri e le scritture prescritte dalla legge, ma abbia anche con condotta attiva operato per distruggere, sottrarre o falsificare le scritture esistenti, allo scopo preciso di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. In sintesi, affinché possa configurarsi il reato di bancarotta fraudolenta documentale è necessario l'elemento soggettivo del dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori e tale elemento nel caso di specie risulta provato dalle attività istruttorie espletate. In virtù di tanto risulta dimostrata la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, giacché è incontestabile che si sia verificata una non trascurabile e duratura omissione nella redazione delle scritture contabili obbligatorie finalizzata ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita atteso che anche la data del deposito dell'ultimo bilancio presso la Camera di Commercio risale all'anno 2014. Tale dato a contrario risulta provare la presenza fino a tale data di scritture contabili obbligatorie occultate o distrutte subito dopo tale data. Va osservato che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale " l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, Si. stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Fattispecie in cui per la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa era stato necessario fare capo a fonti di documentazione esterne, nonché ad appunti del fallito, costituenti di fatto una contabilità "in nero", che avrebbero dovuto restare celati al fine di coprire il sistema di evasione di imposta e il drenaggio di risorse finanziarie verso conti correnti personali). ( cfr. Cass Sez. V -, Sentenza n. 1925 del 26/09/2018 ). Appare evidente che in relazione proprio alla condotta di cui al capo A) il dolo specifico emerge in re ipsa: l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 216 n. 2) l. fall. richiede che lo scopo perseguito dall'agente sia finalizzato specificamente a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Dagli esiti istruttori appare evidente che l'odierno imputato ha consapevolmente tenuto in modo incompleto ed irregolare le scritture contabili, in modo tale da rendere impossibile ricostruire con chiarezza l'entità del volume di affari della società fallita proprio per occultare la distrazione fraudolenta dei beni del fallimento come formulata nell'imputazione di cui al capo A). Passando alla pena, il Collegio ritiene, ai sensi dei criteri valutativi ai dell'art. 133 c.p. appaia congrua la pena anni due e mesi due di reclusione ( pena base anni tre, ridotta perle circostanze ex art. 62 bis c.p. ad anni due, aumentata per l'art. 219 L.Fall alla pena sopra indicata), pena superiore di poco rispetto al minimo edittale per la gravità delle condotte in relazione alla attività di impresa in concreto desumibile dagli atti dibattimentali. Si ritiene che possano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, atteso che l'imputato, pur non avendo inteso rendere interrogatorio, ha cercato, mediante dichiarazioni spontanee, di chiarire le concrete attività societarie e le cause della decozione. Sul punto va osservato che la meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche, la cui la ragion d'essere è anche quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto dell'autore dello stesso, non può mai essere data per scontata o per presunta. ( ex multis Cass penale Sez. I sentenza n.29679 del 13.06.2011). Va riconosciuta poi la continuazione ex art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942 come contestata trattandosi di più condotte di bancarotta fraudolenta. Sul punto ormai per acclarata giurisprudenza di legittimità: "nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219 comma 2, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p." (cfr. S.U. Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 ). Va altresì applicata ex lege ai sensi dell'art. 216 comma 3 L. Fall. all'imputato la pena accessoria della inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa che si quantifica come congrua, sulla base delle modalità esecutive dei reati in contestazione, in base alla pena detentiva inflitta nella durata di anni tre, di poco superiore alla pena inflitta. P.Q.M. Letti gli artt. 533- 535 c.p.p. dichiara Si.Fr. colpevole dei reati a lui ascritti ai capi A) e B) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ritenuto l'aumento per l'art. 219 comma 2 R.D. n. 267 del 1942, lo condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 216 comma 3 L.Fall. dichiara l'inabilitazione dell'imputato all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni tre. Letto l'art. 545 bis c.p.p. avvisa l'imputato della possibilità di accedere, previa manifestazione del consenso, alle pene sostitutive previste dall'art. 20 bis c.p. diverse dalla pena pecuniaria. Preso atto della mancata espressione del consenso alla possibile sostituzione della pena detentiva inflitta con pena sostitutiva diversa da quella pecuniaria, conferma il dispositivo di condanna. Motivazione riservata a giorni 60. Così deciso in Nocera Inferiore il 27 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE IL GIUDICE dott.ssa Paola Montone nell'udienza del 03.04.2024 ha emesso la seguente SENTENZA nel procedimento penale a carico di: Pa.Ma. nato a S. il (...) e residente a B. in via F. n. 69 Sottoposto per questa causa alla misura di sicurezza della libertà vigilata con obblighi, detenuto in regime di arresti domiciliari per altra causa, rinunciante a comparire. Difeso d'ufficio dall'Avv. Ca.Ma. IMPUTATO (vedi allegato) IMPUTATO: 1) del reato p. e p. dall'art. 612 bis c.p. perché, mediante ripetuti atti di molestia e minacce gravi ai danni della persona offesa, Vi.Se.; in particolare, molestandola e minacciandola nei pressi dell'esercizio commerciale "La." - attività gestita dalla persona offesa e sita in B., via F. n. 69 - ogniqualvolta il P. incontrava la Vi. dinanzi il suo negozio; proferendo nei riguardi della donna le seguenti espressioni: "devi morire; devi fate una brutta fine; devi fate un incidente; siete dei pazzi"; nella specie: - in data 2.12.2023 dopo aver salutato la Vi. dinanzi il negozio di quest'ultima la minacciava di morte se non fosse rientrata all'interno del proprio magazzino, dicendole: "troia, zoccola, tutta colpa ma se sono in cura... entra dentro se no impicco te e il tuo cane"; - infine, in data 8.12.23 minacciava la persona offesa con frasi del tipo: "ti avevo avvisato che ti uccidevo, mi hai messo le trappole e i droni in casa, ti avevo avvisata, non finisce qua" nonché la aggrediva con violenti pugni, ovvero con la condotta descritta al capo seguente; così cagionando alla persona offesa, Vi.Se., un perdurante e grave stato di ansia e di paura, nonché il fondato timore per la propria incolumità e per quella dei prossimi congiunti. In Baronissi, dall'anno 2021 all'8.12.2023. 2) del reato p. e p. dagli artt. 582, 585 - in rel. all'art. 576 n. 5.1. c.p. -perché, aggredendo la persona offesa, Vi.Se., con pugni al volto e alla testa, nonché scaraventandola contro la porta del negozio gestito da quest'ultima, le cagionava lesioni personali consistite in "contusioni multiple cuoio capelluto; tumefazioni ed escoriazioni labiali con FLC labbro superiore; contusione mano e polso dx; riduzione visus occhio", con prognosi di giorni n. 25 (venticinque), come da certificazione sanitaria in atti del 8.12.23. Con l'aggravante di cui all' art. 585 in rel. all'art. 576 n. 5. 1. c.p. per avere commesso il fatto nella qualità di autore del reato di cui all'art. 612 bis c.p., come da capo che precede, nei confronti della stessa persona offesa. In Baronissi, 1'8.12.23. ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO svolgimento del processo A. Con decreto di giudizio immediato emesso dal G.i.p. in sede in data 16.01.2024, Pa.En. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Giudice affinché rispondesse dei reati come in epigrafe contestati. Alla prima udienza del 06.03.2024, veniva conferito in via preliminare incarico peritale al dottor Sa.Sa., con concessione del termine di giorni 22 per l'espletamento dell'indagine medica, in ordine all'accertamento della capacità di intendere e di volere del giudicabile al momento dei fatti, della capacità processuale e della pericolosità sociale, con differimento della trattazione all'udienza del 03.04.2024 in prosieguo. All'odierna udienza, verificata l'integrità del contraddittorio, interveniva la costituzione della parte civile da parte della persona offesa, Vi.Se., e, preso atto del deposito in data 2.4.2024 dell'elaborato del perito si procedeva all'audizione dibattimentale dello stesso. Seguiva richiesta del difensore della parte civile di escussione del proprio consulente di parte, dottor Lu.Ba., e di acquisizione della consulenza da questi redatta, rispetto alla quale il Tribunale pronunciava ordinanza di rigetto, sia in ragione del rilievo del mancato rispetto delle formalità procedurali disciplinate dell'articolo 230 c.p.p., con precipuo riferimento all'attività dei consulenti tecnici, non risultando in alcun modo dalla relazione peritale l'avvenuta formulazione di osservazioni, riserve o richieste da parte del dottor Lu.Ba., del quale si riscontrava la mera presenza in occasione dell'accesso del 23.03.2024 presso la struttura sanitaria "La." e sia in considerazione del dato per il quale il consulente di parte non risultava indicato quale testimone in apposita Usta e né erano ravvisabili i presupposti di cui all'articolo 507 c.p.p. in termini di integrazione di perizia, attesa la chiarezza e la completezza dell'elaborato peritale agli atti sotto ogni profilo logico e tecnico, come da ordinanza a verbale. Indi, rilevata una causa di improcedibilità ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., le parti prestavano il consenso all'acquisizione della documentazione relativa all'attività di indagine prodotta dal P.M. (comunicazione di notizia di reato avente numero di protocollo 09/22/23 del 9.12.2023 ed annotazione di polizia giudiziaria inerente all'intervento effettuato in B. alla via F., 69, alle ore 11:40 circa dell'8 dicembre 2023, a seguito di aggressione subita da Vi.Se. redatti dalla Legione Carabinieri Campania, Stazione di Baronissi, verbale di visualizzazione immagini con pen drive, relazione di servizio inerente l'intervento eseguito il giorno 2 dicembre 2023 in ordine a lite fra due persone avvenuta a Baronissi alle ore 18:00 circa in via G. F. nei pressi dell'esercizio "La.", verbali di sommarie informazioni rese da D.M., D.C.M., D.A., D.C.G. e C.N. in data 8.12.2023 innanzi alla Legione Carabinieri Campania - Stazione di Baronissi -, verbale di ricezione di denuncia orale sporta da Vi.Se. il 8.12.2023 sempre innanzi alla Stazione di Baronissi, verbale di accettazione e delle prestazioni sanitarie, avente numero di ingresso 20230112142, rilasciato dall'Azienda O.U.O. nei confronti di Vi.Se. in data 8.12.2023, verbali di interrogatorio del 15.12.2023 e del 08.01.2024, ordinanza sindacale del 8.12.2023 di immediato ricovero del signor M.E.P., convalida della proposta medica di trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera di persona affetta da malattia mentale redatta in data 8.12.2023 da personale medico dell'A.S., dipartimento di Salute mentale, unità operativa di salute mentale, nonché cartella clinica n. 21/20 dell'Unità operativa di salute mentale "DS 67" Mercato San Severino) e il Tribunale, dispostane l'acquisizione, ritenuta superflua ogni ulteriore attività istruttoria, invitava le parti a concludere, conclusioni sinteticamente riprodotte in epigrafe. All'esito veniva resa la presente decisione, dando pubblica lettura del dispositivo di sentenza, con riserva della redazione dei motivi nel termine di quindici giorni dalla lettura del dispositivo. la ricostruzione del fatto B. L'attività info-investigativa espletata nell'immediatezza del fatto, per il tramite del contributo dichiarativo della persona offesa e dei testimoni oculari dell'aggressione subita da Vi.Se. in data 8.12.2023, unitamente alla documentazione medico-sanitaria non soltanto relativa alla persona offesa ma anche al giudicabile, con precipuo riferimento a quella prodotta dal Pubblico Ministero ma anche dalla Difesa stessa dell'imputato - rilasciata a costui dall'azienda O.U.S. - e di tutti gli atti relativi alla fase delle indagini ed all'applicazione della misura di sicurezza in corso di esecuzione, ha consentito di accertare, in punto di fatto, quanto di seguito compendiato. 1. Alla stregua della comunicazione di notizia di reato agli atti, prot. n. (...), acquisita al fascicolo per il dibattimento con il consenso delle parti e redatta dalla Legione Carabinieri Campania - Stazione di Baronissi -, risulta come in data 08 dicembre 2023 i militari in servizio presso la citata Stazione, verso le ore 11:40, intervenivano in Via F. n. 69 a B., in conseguenza di una segnalazione in ordine ad un'aggressione in atto nei confronti di una commerciante. Ivi giunti, riscontravano la presenza di numerose persone ed, entrati nell'esercizio commerciale corrente al civico 69, rinvenivano la proprietaria, Vi.Se., con il volto tumefatto e sanguinante che riferiva di essere stata aggredita dall'odierno imputato. La stessa sporgeva denuncia querela in forma orale alle ore 15:22 dello stesso giorno, allegando documentazione sanitaria. I militari intervenuti assumevano sommarie informazioni dai testimoni presenti al fatto. Dagli allegati alla predetta comunicazione di notizia di reato, in particolare dalle certificazioni mediche compiegate alla querela, venivano evidenziate contusioni multiple al cuoio capelluto, tumefazioni ed escoriazioni labiali con FLC labbro superiore, contusione mano e polso dx, riduzione visus occhio (come da verbale di accettazione e delle prestazioni sanitarie redatto dal P.O. di Mercato San Severino in data 08.12.2023). 2. Dalla lettura della querela è emersa la lucida rappresentazione delle circostanze fattuali accorse alla persona offesa, con precipuo riferimento all'aggressione subita la mattinata del giorno 8.12.2023, allorquando, nel mentre si trovava presso il proprio negozio di vendita al dettaglio di abbigliamento, intenta a fumare una sigaretta sull'uscio della porta di entrata, veniva colpita innumerevoli volte prima al capo e poi al volto, per poi essere sbattuta con veemenza contro la porta in ferro del suo stesso negozio. Dopo aver gridato con forza aiuto, sopraggiungevano delle persone, che riuscivano a fermare l'aggressore e ad allontanarlo dalla sua persona ed in quel momento Vi.Se. riconosceva il suo aggressore in P.M.. Poco dopo tempo sopraggiungevano le forze dell'ordine, cui la denunciante spiegava l'accaduto, per poi portare via il P. e nel frattempo ella veniva soccorsa dal personale del 118, che la trasportava presso il Pronto Soccorso dell'ospedale di Mercato San Severino, ove le venivano diagnosticate contusioni multiple al cuoio capelluto, tumefazioni ed escoriazioni labiali al labbro superiore, contusione al polso ed alla mano destra, nonché riduzione del visus dell'occhio destro, con una prognosi di giorni venticinque. Aggiungeva la Vi. di non aver visto l'imputato passare perché era intenta a guardare il telefono e di conoscerlo, in quanto abitava all'ultimo piano del condominio dove aveva il negozio, unitamente all'abitazione dei propri nonni. Raccontava come in diverse occasioni si era presentato presso il proprio negozio per chiedere delle sigarette o delle caramelle, richieste che erano state accordate dalla donna fino all'incirca a due anni prima, allorquando aveva iniziato con una certa frequenza a minacciarla, con espressioni del tipo "devi morire, devi fare una brutta fine; devi fare un incidente; siete dei pazzi", anche a volte in presenza di alcuni passanti. Ricordava, in particolare, quanto accaduto il precedente 2 dicembre, quando intorno alle ore 18:00, il P., nel rientrare a casa, la salutava nel mentre era fuori dal suo negozio e dopo che la donna aveva risposto cordialmente, il giudicabile ritornava indietro minacciandola di morte se non fosse rientrata all'interno del negozio, dicendole "troia, zoccola, tutta colpa tua se sono in cura, entra dentro se no impicco te e il tuo cane". La persona offesa rientrava immediatamente dentro ed allertava i Carabinieri, i quali sopraggiungevano poco dopo quando il P. era già rientrato all'interno della sua abitazione, che difatti, a riprova dell'assunto di parte, redigevano apposita relazione di servizio, agli atti, comprovante il narrato descrittivo della donna. Precisava di non aver sporto in precedenza denuncia per un sentimento di dispiacere nutrito nei confronti del padre del giudicabile, una brava persona, alla quale la donna non voleva arrecare ulteriori preoccupazioni. Riferiva, infine, di non aver visto il P. prima dell'episodio dell'aggressione dal sabato precedente e che già in precedenza aveva paura di lui ma che nell'attualità temeva per la propria incolumità. 3. La querelante ha descritto in maniera coerente e chiara la reiterazione delle condotte persecutorie poste in essere dal P. nel periodo indicato dalla V.. La credibilità soggettiva della dichiarante e l'attendibilità intrinseca del suo racconto sono poi corroborate, sebbene già di per sé chiare, coerenti ed esaurienti, dalle propalazioni di M.D. che, ascoltata a sommarie informazioni il 08.12.2023, riferiva che il P., durante l'aggressione, proferiva le seguenti parole "...ti avevo avvisato che ti uccidevo...ti avevo avvisata... ", così come D.C.G., conoscente della donna, avvalorava di aver udito profferire minacce da parte del P. "mi hai messo la bomba, adesso ti uccido"ed un altro testimone oculare, D.C.M., che, oltre ad assistere all'aggressione della giovane avvenuta con un violento pugno al volto, strattonamento di capelli e spinta verso la porta di ingresso, udiva il P. esprimersi con un linguaggio sconnesso e dirle mi hai messo la bomba in casa, adesso ti uccido, troia (cfr. rispettivi verbali di sommarie informazioni del 08.12.2023, agli atti). In sede di sommarie informazioni rese dai signori D.M., D.C.M., D.A., D.C.G. e C.N. in data 08.12.2023, tutti innanzi alla Legione Carabinieri Campania - Stazione di Baronissi -, emerge come costoro confermavano l'aggressione subita dalla Vi.Se., perpetrata con violenti pugni al volto e riconoscevano l'aggressore in Pa.Ma.. In particolare, poi, la signora D.M., amica della Vi., con la quale poco prima della subita aggressione avevano consumato insieme la colazione, oltre a ricostruire la dinamica dei fatti in maniera perfettamente collimante con quella descritta dalla persona offesa e da tutti gli atri testimoni presenti al fatto, aggiungeva che, mentre la colpiva, il P. le diceva "ti avevo avvisato che ti uccidevo.. .mi hai messo le trappole in casa... ", tenendo la vittima per i capelli con una violenza tale da strapparle una ciocca di capelli che gli rimaneva tra le mani e continuando ad inveire contro di lei, anche dopo essere stato allontanato dalla donna, dicendole "ti devo ammazzare..ti avevo avvisata..non finisce qua..mi hai messo delle trappole e dei droni che girano intorno casa..." (vedasi verbale di sommarie informazioni, agli atti del fascicolo). 4. Le immagini e i contributi video presenti nel verbale di visualizzazione immagini con acclusa pen drive, allegati alla comunicazione di notizia di reato agli atti, prot. n. (...), ritraggono in modo chiaro gli accadimenti, con indicazione della data e dell'orario, e offrono, ad abundantiam, la conferma dei fatti come denunciati dalla querelante e raccontati dai testimoni ascoltati a sommarie informazioni. C. Ora i fatti, così come sinteticamente riportati in relazione agli specifici episodi in addebito, appaiono integrativi delle fattispecie delittuose contestate, essendo rimasta provata, in riferimento alle condotte pregresse rispetto all'episodio violento occorso nel dicembre 2023 l'assunzione di un contegno minatorio posto in essere dal P. nei confronti di Vi.Se., con frequenza assidua, allorquando costui occasionalmente si trovava a passere innanzi al suo negozio. Lo stesso, per le sue caratteristiche estrinseche, di certo integra i connotati di una condotta all'evidenza molesta, reiterata nel tempo, caratterizzata da minacce di morte, palesatesi da ultimo anche in data 8.12.2023, ove il comportamento illecito del P. culminava in un'aggressione fisica immotivata e di inusitata violenza, tanto che il giudicabile veniva sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio in ragione dello stato di profonda agitazione e di aggressività in cui versava, oggetto di proroga, e durato nel complesso per ben ventotto giorni. Acclarata, inoltre, anche alla luce delle emergenze degli operati riconoscimenti diretti dei testimoni oculari, oltre che della stessa persona offesa, l'attribuibilità diretta e personale al P. delle condotte di reato di minaccia e lesione dallo stesso poste in essere nei confronti della Vi., assurgente a carattere di molestia anche in precedenza all'episodio lesivo del 8.12.2023, tanto da ingenerare nella donna un timore, all'evidenza fondato, per la propria incolumità personale, nonché il profilo della consapevolezza del rispettivo contegno, peraltro confermato dallo stesso P. in sede di interrogatorio, il quale, pur sconfessando il proferimento di minacce, ammetteva gli addebiti, rappresentando di aver sferrato due cazzotti e di aver sbagliato (vedasi verbale di interrogatorio di persona sottoposta ad indagini del 8.1.2024). E evidente, pertanto, come, in ragione dell'operata ricostruzione dei fatti, non scalfita da elementi probatori di segno contrario, ma al contrario confermata dalla documentazione medico sanitaria versata agli atti - che si pone quale ulteriore indice di riprova dell'attendibilità oggettiva del contenuto dichiarativo complessivamente raccolto nella fase investigativa in relazione ai fatti occorsi, attesa l'assenza di incongruenze o di altri vizi logici che hanno caratterizzato la descrizione operata, dato questo da valutarsi congiuntamente alla credibilità soggettiva dei verbalizzanti, in quanto la qualifica di pubblico ufficiale dagli stessi rivestita all'epoca dei fatti lascia presupporre mancanza di interesse privatistico in posizione di antagonismo rispetto a quello del giudicabile, sussistono pertanto tutti gli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi dei reati ascritti al P., con conseguente non ravvisabilità di cause proscioglitive nel merito della vicenda, prevalenti rispetto alla declaratoria di difetto di imputabilità, da qui a breve oggetto di disamina cfr. Cassazione penale, sezione VI, sentenza n. 38579 del 30/09/2008 Cc. (dep. 10/10/2008) Rv. 241514 - 01 II giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, a norma dell'art. 425 cod. proc. pen., solo dopo aver accertato la configurabilità, in termini materiali e di colpevolezza, del reato attribuito all'imputato stesso. (Nella specie, la Corte ha annullato la sentenza di merito che si era limitata a dare atto della mancanza di "evidenti cause di proscioglimento nel merito"). le risultanze dell'accertamento peritale D. Ciò premesso, la svolta indagine peritale ha evidenziato che i comportamenti incriminati sono espressivi della patologia da cui il P. risulta affetto. Difatti, importa preliminarmente evidenziare come dalla perizia psichiatrica versata agli atti e depositata il 2.4.2024 in risposta ai quesiti formulati da questa A.G., congniamente motivata sul piano tecnico - argomentativo, oltre che largamente condivisibile perché coerente anche con le premesse e gli esiti diagnostici formulati nonché con l'esame obiettivo generale, oltre che analiticamente motivata anche con opportuni riferimenti alla documentazione agli atti, risulta l'affezione del P. da un'accertata condizione psicopatologica ascrivibile ad una "schizofrenia cronica con esacerbazione acuta", con dispercezioni uditive, visive ed anche di natura sensoriale in genere, in assenza di consapevolezza della malattia, incoerenza e disorganizzazione nell'eloquio, nonché scarso orientamento nel tempo, unitamente a gravi alterazioni del pensiero (Idee paranoidee) e gravi alterazioni del comportamento, in uno ad un grave decadimento del livello funzionale globale, tale da far propendere primariamente per un'esclusione della capacità di intendere, così come confermato anche in dibattimento del perito ( "Quindi, alla luce di tutti questi elementi, mi sento di dire che, al momento dei fatti, il Pa.Ma. era assolutamente incapace di intendere e di volere''- pagine 6 e 7 del verbale stenotipico del 3.4.2024). In conseguenza della descrizione della storia clinica del paziente, della diagnosi della patologia, principiata come sindrome ansiosa depressiva post reattiva, a seguito di un evento traumatico quale l'incidente stradale che aveva visto coinvolto il P. nell'annualità 2013, della riscontrata alterazione del comportamento, e, dunque, della gravità della sintomatologia, tanto da richiedere la sottoposizione ad un trattamento sanitario obbligatorio, della durata ordinaria massima di sette giornib prorogabili, e nel caso di specie pari a 28 giorni ("Questo significa che i colleghi che poi alla fine hanno emesso una diagnosi di schizofrenia cronica paranoidea, immagino che abbiano visto, al di là di quello che sta scritto nelle cartelle, una condizione estremamente grave, tanto da prorogare per ulteriori quattro volte il TSO, che in genere dura una settimana"- pagina 6 del verbale stenotìpico) e da necessitare nell'attualità la somministrazione di Clozapina (utilizzato nelle forme di farmaco-resistenza: è un farmaco che si utilizza nelle forme resistenti ai comuni neurolettici, questo già determina un elemento di gravità - pagina 8 del verbale stenotipico), è stata esclusa totalmente la capacità di volere al momento del fatto, in quanto affetto il P. da una condizione psichiatrica e psicopatologica grave e cronica con episodi di riacutizzazione - vedasi consulenza tecnica d'ufficio. Evidenziando dipoi la sussistenza di condizioni tali da poter essere capace di stare in giudizio e di partecipare coscientemente al processo, quanto al giudizio di pericolosità sociale del P., essa risulta allo stato attenuta, in ragione del buon compenso clinico-sintomatologico e comportamentale, sebbene viene rimarcata la necessità di una prosecuzione della misura in corso, perché sia in grado di contenere la pericolosità del P. ma anche al fine di consentire una migliore stabilizzazione del quadro clinico farmacologico, anche in ragione del non amplissimo arco temporale decorrente dalla verificazione del fatto di reato ("Sì, l'ho fatto intendere, insomma!" alla domanda del Tribunale 'Questo le voleva chiedere il Tribunale: ritiene che sostanzialmente la misura alla quale attualmente il P. è sottoposto, riesca a contenere e a tenere sotto controllo la sua pericolosità?"', "Sì.. .anzi io proporrei un prosieguo delle osservazioni cliniche, e una migliore stabilizzazione del quadro clinico-farmacologico" alla domanda del Tribunale "Quindi, ritiene di sì""Esatto, il fatto è successo a dicembre ci sono stati 28 giorni di TSO presso l'ospedale, quindi non sono neanche tre mesi, è un tempo breve, troppo breve per poter valutare una possibile variazione rispetto alla misura attuale"; "Sì, sì, perché... la clinica La... .che è una clinica che è presente sul territorio da decenni, insomma, insieme a Villa Chiarugi fa la storia della psichiatria in Campania, è dotata di personale medico 24 ore su 24, il personale infermieristico è in organico (...) alla domanda del Tribunale 'Però, ritiene che sia allo stato adeguata e sufficiente, rispetto al comportamento del P.?" - pagina 9 del verbale stenotipico). Il perito, poi, sia nel corso della sua audizione che nel corpo dell'elaborato ha evidenziato la necessità dell'inserimento del P. in un programma terapeutico riabilitativo personalizzato, da elaborarsi dal Centro di salute mentale territorialmente competente, al fine di consentire un graduale reinserimento del P. nel tessuto sociale e familiare di appartenenza, corrispondente, peraltro, ai desiderata dell'imputato stesso. E. Quanto precede induce alla conclusione, conforme al disposto di cui all' art. 88 c.p., che l'imputato debba essere prosciolto dalle imputazioni a lui ascritte per aver agito in condizioni di vizio totale di mente, tale da escluderne la imputabilità. Infine, va disposta l'applicazione, in via definitiva, nei suoi confronti della misura di sicurezza della libertà vigilata in essere, già integrata con la prescrizione ulteriore di residenza presso una struttura sanitaria, che non può non essere individuata in quella che ha attualmente ha in cura il P., ovvero la "Quiete" di Pellezzano, in conformità alle indicazioni del perito, alle quali si riportava il P.M. in sede di rassegna delle proprie conclusioni, che chiedeva il permanersi della medesima misura in corso, per una durata che viene individuata pari ad anni due. Ciò in considerazione della significativa gravità della sintomatologia e della diagnosi stessa - a più riprese rimarcata dal perito nel corso della sua audizione -, necessitante all'evidenza di una prosecuzione del trattamento farmacologico in corso, al fine di poter stabilizzare il quadro-clinico, prevedendo comunque periodiche verifiche a cura dei sanitari che avranno in cura il P., in uno al mantenimento di contatti, per il tramite degli operatori, con il Dipartimento delle Attività Territoriali U.O. Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale dell'A.S. e con l'U.O. Ser.D. dell'A. di S., per quanto ritenuto necessario per l'attuazione del programma, così contemperando anche la necessità di accertamento con cadenza periodica e di monitoraggio della pericolosità sociale, necessario nel corso della sottoposizione alla misura della libertà vigilata con prescrizioni. In particolare, proprio la prescrizione di residenza agevolerà la cura dell'interessato, completando le esigenze di tutela della collettività e di salvaguardia della salute del singolo, soddisfando adeguatamente le esigenze contenitive emerse a carico dello stesso nell'attualità, che nel suo recente passato non ha mostrato affatto adesività alla terapia continuativa volontaria, giungendo perfino ad interromperla, con riacutizzazione della sua patologia, culminata poi nella commissione dei fatti di reato in addebito. Le esigenze di attenuazione della pericolosità sociale che non possono non essere garantite se non per il tramite della misura in esecuzione, vieppiù se si considera il pregresso fallimento di precedenti progetti terapeutici - abilitativo, in particolare, per volontaria interruzione della terapia iniziata nel 2020 e poi sospesa dal mese di maggio 2021 fino al mese di dicembre 2023. La restituzione immediata del giudicabile all'ambiente familiare, invero, comporterà il rischio in concreto che il P. non segua con scrupolo o addirittura non aderisca affatto al piano di trattamento farmacologico necessario a scongiurare le manifestazioni della sua pericolosità sociale associata al persistente quadro psicopatologico grave e cronico, così frustrando i positivi risultati allo stato raggiunti in ordine al mantenimento di un programma terapeutico, che, attesa l'evidente particolare gravità delle condizioni di salute del P., può essere mantenuto con efficacia, al momento, solo nel contesto della struttura di cura specializzata in cui si trova. F. Quanto alla scelta della misura, poi, in conformità alle indicazioni peritali, importa evidenziare come la giurisprudenza di legittimità ha precisato come "l'obbligo di risiedere presso la struttura comunitaria non è assimilabile ex se ad un ricovero obbligatorio con la sostanziale applicazione di una misura detentiva" (così in motivazione Cass. pen. Sez. Sez. 1, sentenza 22 maggio 2015 n. 33904, PM in proc. Pepe, Rv. 264604); ancora più recentemente e da ultimo Sez. 1 - , Sentenza n. 35224 del 09/10/2020 Cc. (dep. 10/12/2020) Rv. 280197 - 01, alla stregua della quale si è rimarcato in diritto come "nell'ipotesi di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, il giudice può imporre la prescri- zione della residenza temporanea in una comunità terapeutica, a condizione che la natura e le modalità di esecuzione della stessa non snaturino il carattere non detentivo della misura di sicurezza in atto. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la ricorrenza di una condizione detentiva incompatibile con la natura della libertà vigilata applicata al ricorrente, affetto da disturbo schizo-affettivo e da discontrollo degli impulsi, nei cui confronti era stata disposta la prescrizione della residenza in struttura psichiatrica con autorizzatone a compiere tutti gli spostamenti, anche esterni, la cui concreta individuazione era rimessa alla valutazione degli operatori della struttura, idonei a salvaguardare gli spazi di libera autodeterminazione del medesimo), di guisa da poter fondatamente confermare come la modulazione della misura di sicurezza, così come da prescrizioni articolate in dispositivo, sia pienamente rispondente anche alle esigenze personali di graduale reinserimento del P. nel tessuto socio - familiare di appartenenza, che devono essere contemperate rispetto all'esigenza di tutela della collettività a fronte di una condizione di estrema fragilità psichica. G. Il tenore proscioglitivo della presente statuizione giudiziale esclude qualsiasi pronuncia in ordine alla condanna dell'imputato alle spese processuali, con conseguente rigetto dell'istanza del Difensore di parte civile, che si rimetteva al Tribunale per il riconoscimento delle spese del processo. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica; - letti ed applicati gli articoli 129 c.p.p. e 85 c.p. assolve Pa.Ma. dai reati a lui ascritti in rubrica perché non imputabile al momento dei fatti per vizio totale di mente; - rigetta la richiesta di condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali avanzata dalla costituita parte civile; - letti gli articoli 205, comma I, e 228 c.p. dichiara l'imputato socialmente pericoloso ed applica, in via definitiva, la misura di sicurezza della libertà vigilata con obbligo di residenza presso la struttura casa di cura "La.", sita in P. (S.), per la durata di anni due, imponendogli le seguenti prescrizioni: 1) di mantenere il domicilio presso la predetta struttura terapeutica specialistica e di non modificarlo senza previa autorizzazione dell'AG procedente, nella cui giurisdizione dovrà svolgersi la misura; 2) di non lasciare la struttura terapeutica se non previa autorizzazione giudiziale e per le finalità ritenute congrue alla terapia in atto dai responsabili, autorizzando tutti gli spostamenti dalla comunità terapeutica idonei a salvaguardare spazi, anche ridotti, di libera autodeterminazione del soggetto, eventualmente anche in esterno, che saranno individuati dagli operatori e dai sanitari incaricati della cura del P. ed inseriti in un programma che verrà tempestivamente trasmesso all'autorità procedente e gestiti sotto il controllo e la supervisione degli organi cui è affidata la vigilanza; 3) di non lasciare il territorio del Comune di domicilio senza dare avviso alla Forza di Polizia che lo controlla; 4) di mantenere i contatti, per quanto ritenuto necessario per l'attuazione del programma terapeutico, con il servizio psichiatrico pubblico competente per territorio, secondo la frequenza indicata dai relativi operatori e di seguire le indicazioni terapeutiche dei medesimi operatori; 5) di sottoporsi scrupolosamente alle terapie e alle indicazioni trattamentali impartitegli dai responsabili del suo trattamento, osservandone il regolamento interno; 6) di mantenere contatti, per il tramite degli operatori, con il Dipartimento delle Attività Territoriali U.O. Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale dell'A.S. e con l'U.O. Ser.D. dell'A. di S., per quanto ritenuto necessario per l'attuazione del programma, secondo le indicazioni da questi impartite di concerto con le aree specialistiche dell'A.S. territorialmente competente e la casa di cura; 7) di astenersi dall'uso di sostanze stupefacenti e dall'abuso di sostanze alcoliche, mantenendo una buona condotta, di non associarsi a persone pregiudicate, di non portare con sé armi o strumenti atti ad offendere, né guidare alcun veicolo a motore; Demanda al responsabile della struttura di relazionare periodicamente - con cadenza trimestrale - all'A.G. procedente in merito alle condizioni di salute del soggetto ed alla sua condotta nonché in ordine alla possibilità di un ricovero presso altra struttura sanitaria ovvero di un suo reinserimento nel contesto di appartenenza. Dispone la trasmissione di copia del presente provvedimento al Dipartimento delle Attività Territoriali U.O. Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale dell'A.S.. Delega per i controlli l'autorità di PS competente per territorio. Così deciso in Nocera Inferiore il 3 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE SEZIONE PENALE Il Tribunale di Nocera Inferiore - Sezione Penale - in composizione monocratica e nella persona del Giudice dott. Vincenzo D'ARCO, alla pubblica udienza del 3 APRILE 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa Antonietta Canale (V.P.O.) e con l'assistenza del Cancelliere dott.ssa Assunta Crispo, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA Nei confronti di: So.Al., nato a M. So. S. (S.) il (...), res.te in C. So. G. (S.) in via E. L. n. 52 LIBERO ASSENTE; Difeso di fiducia dall'avv. Mi.Sa.. IMPUTATO a) reato p. e p. dall'alt 612 bis comma 1, 2 e 3 c.p. perché, con reiterate condotte di violenza e molestia, di seguito indicate, cagionava alla fidanzata non convivente Fa.Ma. (minore di anni 18), un perdurante e grave stato di ansia e paura, ingenerandole un fondato timore per la propria incolumità al punto da costringerla, altresì, ad alterare le abitudini di vita. In particolare e tra l'altro: - strappava, in varie occasioni, il telefono dalle mani della p.o. al fine di controllare le chat, proferendo al suo indirizzo frasi del seguente tenore: "sei una zoccola, sei una puttana! - dall'inizio dell'anno 2020, inviava a mezzo whatsapp alla donna messaggi del seguente tenore: "adesso ti picchio, te la faccio pagare", minacciandola di ripercussioni se non avesse fatto ciò che voleva lui; - in data 16.6.2020, per impedire alla p.o. di partecipare a una festa, tramite whatsapp, la minacciava che l'avrebbe picchiata, e mentre erano nell'abitazione di lui la colpiva violentemente al volto con un oggetto, facendole saltare alcuni denti e la rottura del labbro, cagionandole lesioni; - in data 23.6.2020, mentre la persona offesa gli contestava le lesioni patite, proferiva al suo indirizzo la frase del seguente tenore: "tu lo sai il perché". Con l'aggravante di aver commesso il fatto ai danni di minore di anni 18, con la quale era legato da relazione sentimentale. In Castel San Giorgio (SA), dall'anno 2020 con condotta perdurante. b) reato p. e p. dagli artt. 61 n. 11 quinquies, 582, 585 comma 1 in relazione all'art. 576 comma 1 n. 1 e n. 5 perché, al fine di commettere il reato di cui al sub a), con le condotte ivi descritte, colpiva violentemente con un lume il volto di Fa.Ma., cagionandole lesioni personali giudicate guaribili in gg. 7, consistite in "trauma facciale", come da referto n. 18682 rilasciato in data 17.6.2020 dal pronto soccorso dell'ospedale di Nocera Inferiore. Con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di eseguirne un altro, dall'autore del delitto p. e p. dall'alt 612 bis c.p. nei confronti della stessa p.o., minore di anni 18. In Castel San Giorgio (SA), in data 16.6.2020, Con la costituzione di parte civile di: - Fa.Ma., nata a So. il (...); - Fa.An., nato a C. So. G. (S.) il (...); - At.El., nata a R. (S.) il (...); tutti assistiti dall'avv. Bo.Ca., presente, munito di procura speciale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso all'esito dell'udienza preliminare del 6.7.2021, So.Al. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere dei reati meglio specificati in fatto nella sopra trascritta imputazione. All'udienza del 8.6.2022, dopo aver dichiarato nel contraddittorio delle parti l'assenza dell'imputato (regolarmente raggiunto dalla notifica del decreto introduttivo del giudizio e non comparso), in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 19.10.2022, quindi - per la medesima ragione - all'udienza del 29.3.2023, con sospensione del termine di prescrizione dei reati pari a complessivi giorni 120. All'udienza del 29.3.2023, in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all'imputazione; si procedeva all'esame dei testi Fa.An., Fa.Ro. e At.El.; all'esito il processo veniva rinviato per il prosieguo dell'attività istruttoria all'udienza del 13.9.2023. All'udienza del 13.9.2023, in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 11.10.2023, con sospensione del termine di prescrizione dei reati pari a giorni 28. All'udienza del 11.10.2023, veniva escusso il teste Es.Do.; le parti concordavano l'acquisizione - ai sensi dell'art. 493 comma 3 c.p.p. - dei verbali di denuncia orale e di sommarie informazioni a firma di Fa.Ma., con riserva di formulare domande integrative; all'esito, il processo veniva rinviato ai fini della discussione all'udienza del 14.2.2024. All'udienza del 14.2.2024, in accoglimento di un'istanza di rinvio per legittimo impedimento (dovuto ad un concomitante impegno professionale) avanzata dalla difesa dell'imputato il processo veniva differito all'udienza del 28.2.2024, con sospensione integrale del termine di prescrizione dei reati (pari a giorni 14). All'udienza del 28.2.2024, in accoglimento di un'istanza di rinvio avanzata dalla parte civile il processo veniva differito all'udienza del 3.4.2024. All'udienza del 3.4.2024, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti concludevano come in epigrafe. Al termine della conseguente camera di consiglio si dava lettura del dispositivo della presente sentenza, riservando il deposito dei motivi della decisione entro il termine ordinario. MOTIVI DELLA DECISIONE Sono contestati all'imputato i reati di cui agli arti 612 bis e 582-585 c.p., per aver posto in essere nei confronti di Fa.Ma., a lui precedentemente legata da una relazione affettiva, una pluralità di condotte persecutorie di molestia e di violenza, che - secondo l'editto accusatorio - avrebbero cagionato nella vittima un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerando nella stessa un fondato timore per la propria incolumità, costringendola altresì a modificare le proprie abitudini di vita. Ritiene questo Giudice che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di So.Al. in ordine ad entrambi i reati in contestazione. Dalle risultanze dibattimentali emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame. Nel corso dell'anno 2016, Fa.Ma. - all'epoca dei fatti minore di anni 18 - intraprendeva una relazione sentimentale con So.Al., suo compagno di classe; dopo qualche tempo, tuttavia, a causa degli atteggiamenti oltremodo possessivi dell'imputato la relazione iniziava a incrinarsi. In particolare, a causa della sua morbosa gelosia, il So. soleva esercitare uno stretto controllo sulla Fa., impedendole di uscire di casa (ovvero di farlo solo a determinate condizioni, e in compagnia di determinate persone), decidendo cosa la ragazza dovesse indossare, controllando altresì le conversazioni che la persona offesa intratteneva a mezzo del proprio telefono cellulare, minacciandola - talora afferrandola per i polsi, strattonandola, e dandole altresì dei violenti pizzichi - quando la ragazza non ottemperava alle sue indicazioni ("Se non fai questo ti spezzo le cosce, tu non sei buona e tutte queste affermazioni"). I rapporti tra i due peggioravano in concomitanza con l'inizio dell'emergenza sanitaria da Covid-19, allorquando la Fa. - trasferitasi presso l'abitazione della sorella sita in R. - veniva costretta dal So. a fare ritorno a casa, nel Comune di Castel San Giorgio. La situazione precipitava definitivamente in data 16.6.2020, allorquando la Fa. - a seguito di una accesa discussione, determinato dal mancato invito del So. ad una festa organizzata da un'amica della persona offesa - si recava presso l'abitazione dell'imputato per un chiarimento; giunta sul posto, palesava al So. la volontà di interrompere la relazione ma, mentre era seduta sul letto, veniva colpita violentemente al volto da una lampada, subendo una ferita lacero contusa del labbro, e l'avulsione di ben tre denti (cfr. documentazione fotografica e certificazione sanitaria del 16-17.6.2020 in atti). Nel corso dell'udienza del 11.10.2023, la persona offesa - dopo aver riferito di aver sempre taciuto ai propri familiari delle condotte violente del So. - ha evidenziato di aver casualmente incontrato l'imputato successivamente all'aggressione: in tale occasione, a fronte delle rimostranze della donna, legate alle lesioni subite, l'imputato avrebbe risposto dicendole "tu sai il perché"; ha poi dichiarato di aver intrapreso, a causa delle condotte di cui era rimasta vittima, un percorso di supporto psicologico; infine, ha riferito di non aver avuto più contatti con il So. successivamente ai fatti. I comportamenti persecutori appena descritti, protrattisi dunque fino al giugno del 2020, avevano determinato precise conseguenze sull'equilibrio psico-fisico della Fa., che aveva iniziato seriamente a temere per la propria incolumità. Così brevemente ripercorse le risultanze fattuali della vicenda, può ritenersi acclarata la penale responsabilità di So.Al. in ordine a tutti i reati in contestazione. La persona offesa Fa.Ma. - della cui credibilità non è dato in alcun modo dubitare - ha infatti esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa, riferendo dettagliatamente le circostanze di cui al capo di imputazione. A tale riguardo, come è noto, secondo l'insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere) la testimonianza della persona offesa - anche se costituita parte civile - ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, sussistenti nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità. Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, invero, da sottoporre ad un'indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi, ben possono assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell'imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901). Va inoltre rammentato che, ancora secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Pen. sez. 4, sentenza del 10.10.2006, n. 35984). Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, deve anzitutto rilevarsi come le dichiarazioni accusatorie di Fa.Ma. si manifestino pienamente attendibili per diversi ordini di ragioni. In primo luogo esse palesano una adeguata credibilità intrinseca, fornendo una versione dei fatti lineare e connotata da un ordinato sviluppo logico, caratterizzato da una successione non irrazionale degli accadimenti e da un soddisfacente tasso di uniformità, non registrandosi, invece, alcuna illogicità patente o contraddizione. Invero le dichiarazioni della donna, pur dando atto delle percezioni soggettive della medesima, riferiscono in modo oggettivo gli eventi narrati e dimensionano senza deformazioni tali accadimenti, fedelmente differenziando gli episodi a seconda del comportamento di volta in volta avuto dal So. in occasione di ciascun contatto con la stessa. Del resto, ad avviso della giurisprudenza di legittimità (cui lo scrivente presta convinta adesione), l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all'interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 5313 del 16.9.2014 ud. (dep. 4.2.2015), Rv. 262665). Non può peraltro sottacersi la circostanza per cui l'imputato, nell'esercizio di una sua pur legittima facoltà, abbia deciso di non comparire in dibattimento, di fatto privandosi consapevolmente della possibilità di fornire una versione alternativa della vicenda. Dal punto di vista estrinseco, poi, le dichiarazioni della persona offesa non fungono da unica prova dei fatti contestati, ma costituiscono soltanto una delle componenti distinte e congruenti che avvalorano la tesi dell'accusa, e che verranno di qui a breve partitamente analizzate. Il teste Fa.An., padre della persona offesa, ha riferito di non aver accettato di buon grado l'inizio della relazione sentimentale tra la figlia e il So. (soggetto a lui noto per essere abbastanza violento, nonché assuntore di sostanze stupefacenti), e di aver dunque tentato di dissuaderla; tuttavia, non avrebbe mai impedito alla figlia di frequentarlo, temendo in tal modo di peggiorare le cose. Ha quindi raccontato dell'episodio del 16.6.2020 allorquando, mentre si trovava a casa della figlia B., riceveva una telefonata da parte del fratello dell'imputato, il quale lo invitava a raggiungerli al più presto in quanto M. aveva avuto "un incidente" con A.; giunto sul posto unitamente alla moglie e alla figlia R., notava che M., che quasi non si reggeva in piedi, aveva il viso avvolto da un asciugamano insanguinato; si recavano quindi presso il pronto soccorso: nel corso del tragitto, la figlia avrebbe iniziato a ricostruire la dinamica dell'evento, riferendo di essere stata colpita violentemente con un oggetto da A.. Ha poi riferito di aver letto personalmente un messaggio di testo inviato dall'imputato alla figlia nell'immediatezza dei fatti, all'interno del quale il So. le avrebbe detto "te la faccio pagare"; ha infine precisato che, insieme alla moglie, più di una volta, nel corso della relazione sentimentale, aveva notato lividi sul corpo della figlia, e che la stessa aveva sempre minimizzato, sostenendo di esserseli causati accidentalmente: solo successivamente all'episodio del 16.6.2020, M. avrebbe "confessato" le condotte violente di cui da anni era vittima. Il teste Fa.Ro., sorella di M., dopo aver narrato (in termini esattamente sovrapponibili al padre) l'episodio del 16.6.2020, ha dato conto dei comportamenti oppressivi tenuti dal So. nei confronti della sorella ("io ho parlato con mia sorella tante volte, ... era visibilmente stanca di tutta questa situazione. Mia sorella era priva di potersi truccare, ... lui le vietava di indossare degli abiti, ... non poteva fare nulla non poteva uscire, lui le ha anche vietato di uscire con la stessa famiglia, noi, io con le mie sorelle, con il fratello. Non poteva fare nulla"), delle pressioni a lei rivolte per indurla a rientrare nel Comune di Roccapiemonte durante la pandemia ("lui l'ha pressata dicendo che doveva ritornare a casa perché era l'unica coppia che non potevano vedersi, ... lui le ha detto esplicitamente o ritorni a casa o vediamo un poco che dobbiamo fare"), e della reticenza della sorella nel riferire delle violenze subite nel corso della relazione. La madre At.El., anch'ella escussa nel corso dell'udienza del 29.3.2023, ha dichiarato che - successivamente all'aggressione del 16.6.2020 - la figlia si sarebbe rifiutata di uscire per diversi giorni, sia a causa delle sue precarie condizioni fisiche, sia per il timore di incontrare nuovamente il S.; ha riferito dell'incontro casuale con l'imputato avvenuto qualche giorno dopo l'aggressione, allorquando il So. avrebbe riferito alla figlia, che intanto le stava mostrando le lesioni che aveva subito, la frase "tu lo sai il perché"; ha evidenziato, anch'ella, la reticenza della figlia nel rappresentare la reale ragione per cui sul suo corpo vi erano talora dei lividi, soggiungendo che solo successivamente all'episodio del 16.6.2020 M. le avrebbe raccontato tutta la verità; ha poi dichiarato la figlia è tuttora in cura presso una psicologa; infine, ha dato conto del contegno della figlia successivamente ai fatti ("quando è iniziata successivamente ma dopo tanto tempo ad uscire, ... lei tornava a casa sempre in compagnia, e usciva sempre in compagnia"). Sostanzialmente neutre, infine, le dichiarazioni rese dall'operante Es.Do., il quale ha riferito di essersi limitato a ricevere la denuncia, e a prendere visione di alcune foto raffiguranti la persona offesa subito dopo l'aggressione, nonché di ulteriore documentazione consegnatagli dal padre Fa.An., relativa ad una conversazione estrapolata dal cellulare della figlia. Così brevemente sunteggiate le risultanze istruttorie, può ritenersi che le circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio descrivano in modo chiaro il tipico andamento di crescente ossessività e di inarrestabile escalation violenta ed intrusiva, all'interno del normale andamento della vita altrui, con effetti di grave danno all'equilibrio psichico ed alle normali abitudini di vita della vittima, peculiare della dinamica mentale patologica e persecutoria denominata stalking, sanzionata dall'art. 612 bis c.p., che punisce "chiunque con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (...)". La norma, introdotta dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (pubblicato in G.U. n.45 del 24.02.2009 ed entrato in vigore il 25.02.2009), è sicuramente in astratto applicabile, ratione temporis, al caso di specie. Tale figura normativa è stata, a ben vedere, costruita dal Legislatore alla stregua del reato abituale, per la cui configurazione è necessario che l'agente ponga in essere una serie di condotte a danno della vittima, senza che la perpetrazione di un singolo episodio possa bastare a varcare la soglia della rilevanza penale richiesta dall'art. 612 bis c.p. In carenza di reiterazione, ben potranno le singole condotte - in presenza delle necessarie condizioni - integrare, ad esempio i singoli delitti di minacce, di molestie o di violenza privata; tuttavia, laddove l'insieme di tali ripetuti contegni sia tale da determinare nella vittima uno degli eventi psicologici descritti dalla norma, le condotte incriminate travalicano il disvalore penale insito nelle singole fattispecie delittuose prima menzionate, per transitare ed essere sussunte nell'unico contenitore del più grave delitto di atti persecutori. Il quid pluris che caratterizza il reato in esame, rispetto alle minacce ed alle molestie, è in sintesi costituito da due elementi: a) la reiterazione delle condotte, sicché l'illecito può ascriversi nel novero dei reati abituali, sebbene (secondo la dominante giurisprudenza, ribadita in sede di legittimità) il delitto in parola possa essere integrato anche da due sole condotte di minaccia o di molestia (purché legate causalmente alla determinazione nella vittima di uno degli eventi descritti dalla norma), come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice (si veda, tra le altre, Cass. Pen. Sez. 3, sentenza n. 45648 del 23.5.2013 Ud., Rv. 257287); b) la produzione di un grave e perdurante stato di ansia o di paura o di un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva, ovvero una alterazione non voluta delle proprie abitudini di vita. Si tratta, quindi, di un delitto di danno e di evento che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idoneo ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è neppure essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Quanto alla prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, essa deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. Completa la breve analisi del delitto, la specificazione della tipologia dolosa, inquadrabile nel dolo generico, ovvero nella consapevolezza del reo di determinare nella vittima gli sgradevoli turbamenti interiori ed esistenziali che il reato richiede: vale a dire, come è chiaro, che il dolo deve comprendere anche la rappresentazione dell'evento come conseguenza delle reiterate condotte tenute dal reo. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, le condotte poste in essere da So.Al. nel caso che ci occupa, hanno - per numero, convergenza, tasso di reiterazione e continuità - sicuramente integrato la tipicità della fattispecie contestata: le modalità aggressive e la ricorrente esasperazione dei toni da parte dell'imputato nelle occasioni di incontro con la persona offesa, le condotte violente, le minacce evocative di scenari di perdurante assillo, tese al controllo della vita della persona offesa in ogni suo aspetto, rispondono invero esattamente ad una logica molestatrice. Si ravvisano dunque tutti gli estremi materiali necessari per integrare la fattispecie in considerazione, in quanto: a) le descritte condotte persecutorie (articolatesi nelle varie modalità delle reiterate minacce di vario genere, delle condotte violente, del compimento di gravi episodi intrusivi quali la visione delle conversazioni intrattenute via cellulare della persona offesa con soggetti terzi etc.) si sono protratte, con modalità sempre più allarmanti, per un arco temporale significativo, pari a circa quattro anni; b) tali condotte hanno avuto un rilevante effetto sulla sfera esistenziale e sulle condizioni psicologiche di Fa.Ma., avendo ingenerato in costei uno stato d'animo di ansia e paura, ed avendo inciso sul normale espletamento delle sue ordinarie abitudini di vita e sulla libera espressione della sua sfera esistenziale (inducendo la vittima, sostanzialmente, ad ottemperare ai desiderata del So. per non subire ritorsioni, e a non uscire di casa - se non in compagnia - nel periodo successivo all'episodio del 16.6.2020). Ricorre dunque anche l'evento del reato: su questo versante, è appena il caso di ricordare che secondo la giurisprudenza di legittimità, quanto allo stato d'ansia o di paura, non occorre una diagnosi medico psicologica, perché la prova di esso può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 24135 del 9.5.2012, Rv. 253764). Si consideri, peraltro, che il temporaneo ed episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore (circostanza verificatasi nel caso che ci occupa) non interrompe l'abitualità del reato, né inficia la continuità delle condotte, sussistendo l'oggettiva e complessiva idoneità delle stesse a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in una delle forme descritte dall'art. 612 bis c.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 17240 del 20.1.2020, Rv. 279111). Neppure può dubitarsi della sussistenza dell'elemento soggettivo della fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p.: esso, come ormai chiarito dalla Suprema Corte, in modo del tutto coerente con la connotazione "abituale" del reato, è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte che lo strutturano nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice. Esso deve assumere il carattere dell'unitarietà, nel senso che deve esprimere un'intenzione criminosa travalicante i singoli atti che compongono la condotta tipica, ma (secondo una linea interpretativa già assestatasi in relazione a figure di reato abituale storicamente più risalenti, come quella di cui all'art. 572 c.p.) può senz'altro realizzarsi in modo graduale, senza dunque la necessità che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 18999 del 19.2.2014, Rv. 260411). Tanto si è verificato nella fattispecie, ove la reiterazione delle condotte del So. non può non aver generato l'acquisizione progressiva di una rappresentazione e volontà cumulativa, inglobante le azioni già poste in essere e quelle ancora da compiere nella tensione verso la produzione dell'evento perturbatore della sfera morale della vittima. Deve, dunque, ritenersi integrata la fattispecie di cui all'alt 612 bis c.p., contestata all'imputato in rubrica. Sussistono, del pari, gli estremi del reato di lesioni contestato al capo b) della rubrica, ricorrendone tutti gli elementi costitutivi: in particolare, sul piano oggettivo, vi è prova della causazione, da parte dell'agente, di un'alterazione patologica dell'organismo di Fa.Ma. (cfr. documentazione sanitaria e fotografica in atti) e, sul piano soggettivo, della coscienza e volontà di colpire con violenza fisica. In definitiva, So.Al. va ritenuto penalmente responsabile - al di là di ogni ragionevole dubbio - di entrambi i reati a lui ascritti in rubrica. Trascorrendo quindi al trattamento sanzionatorio, possono riconoscersi all'imputato, in considerazione del sensibile mutamento del suo atteggiamento nei riguardi della persona offesa (come da quest'ultima riferito), connotato dalla cessazione delle condotte persecutorie successivamente al giugno del 2020 (sintomo di una rivisitazione critica della propria condotta), le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p.: nel giudizio di comparazione imposto dall'art. 69 c.p., tali attenuanti vanno ritenute equivalenti rispetto alle contestate aggravanti di cui all'art. 612 bis comma 2 e 3, 61 n. 11 quinquies c.p. (in ragione della relazione sentimentale precedentemente occorsa tra l'imputato e la persona offesa, e della minore età di costei al momento dei fatti), nonché delle aggravanti di cui all'art. 576 comma 1 n. 1 e n. 5, conseguenti alla declaratoria di penale responsabilità dell'imputato per il delitto di cui al capo a) dell'imputazione. Le violazioni commesse costituiscono chiara espressione, per prossimità temporale e per il fine complessivamente perseguito dall'agente, di un unitario disegno criminoso: vanno dunque unificate ex art. 81 cpv. del codice penale. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima dunque equa la pena finale di anni 2 e mesi 6 di reclusione, così calcolata: - pena base (calcolata in relazione al più grave reato di cui all'art. 612 bis c.p., previa elisione del rilievo delle ritenute aggravanti ex art. 612 bis comma 2 e 3 c.p., all'esito del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche): anni 2 di reclusione; - aumentata ex art. 81 cpv. c.p. ad anni 2 e mesi 6 di reclusione (mesi 6 di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 582 c.p.). Alla dichiarazione di responsabilità dell'imputato segue poi, per legge, la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali. Non sussistono, in ragione dell'entità della pena irrogata, i presupposti di legge per la concessione all'imputato del beneficio della sospensione condizionale della pena, né risultano essere state avanzate dalla difesa richieste di pena sostitutiva. Ai sensi degli artt. 538 ss. c.p.p., So.Al. viene inoltre condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civile costituite, da liquidarsi in separata sede (non essendo possibile allo stato quantificare con esattezza il danno subito, ragione per cui non si ritiene opportuno, del pari, concedere la chiesta provvisionale), nonché alla refusione, in favore delle predette partì civili, delle spese di costituzione e rappresentanza, liquidate in base al seguente computo analitico, parametrato secondo importi che risultano congruenti con l'attività defensionale concretamente esplicata e con lo spessore giuridico delle questioni affrontate, in relazione ai criteri dettati dal D.M. n. 55 del 2014, non ritenendosi di applicare alcun aumento ai sensi dell'art. 12 comma 2, non avendo comportato l'assistenza di più parti (tutte aventi la medesima posizione processuale) lo studio di questioni di fatto e di diritto ulteriori e diverse: Fase di studio della controversia Euro 237,00 Fase introduttiva del giudizio Euro 284,00 Fase istruttoria Euro 567,00 Fase decisionale Euro 709,00 Totale Euro 1.797,00 Spetta comunque il rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara So.Al. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e per l'effetto, riconosciute al medesimo le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con le contestate e ritenute aggravanti, unificati i fatti ex art. 81 cpv. c.p., lo condanna alla pena di anni 2 (due) e mesi 6 (sei) di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna So.Al. al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Fa.Ma., Fa.An. e At.El., da liquidarsi in separata sede. Rigetta la richiesta di provvisionale. Condanna So.Al. alla refusione, in favore delle predette parti civili, delle spese di costituzione e rappresentanza, che liquida in complessivi Euro 1.797,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge. Così deciso in Nocera Inferiore il 3 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica udienza dell'11 aprile 2024, con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giancarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. Massimo Vigilante, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udieriza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: - Ab.Sa. n. a S. il (...), ivi residente alla Via Z. n. 32, libero assente; difeso di fiducia dall'Avv. Gi.Lo., assente, sostituito ex art. 97 co. 4 c.p.p. dall'Avv. An.Ai., presente; IMPUTATO Vedi foglio allegato. IMPUTATO 1) del reato p. e p. dall'art. 44 lett. c del D.P.R. n. 380 del 2001, perché nelle qualità sopra descritta, in difformità dei Permessi di Costruire n. 3278 e 6342 e della S.C.I.A. n. 5506 ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, eseguiva le seguenti opere abusive: Cambio di destinazione d'uso da sottotetto ad abitazione avente dimensioni pari a m. 1,45x6,81. 2) del reato p. e p. dagli artt. 64 e 71 D.P.R. n. 380 del 2001, per aver realizzato i lavori sopra indicati senza la previa redazione di un progetto e senza la direzione da parte di un professionista abilitato ed iscritto nel relativo albo nell'ambito delle rispettive competenze; 3) del reato p. e p. dagli artt. 65 e 72 D.P.R. n. 380 del 2001, per avere iniziato i lavori sopra indicati senza averne fatto previa denuncia al competente Sportello Unico istituito presso il Comune; 4) del reato p. e p. dagli artt. 93 e 95 D.P.R. n. 380 del 2001 per aver eseguito i lavori sopra indicati, in zona sismica senza farne preventivo avviso scritto allo Sportello Unico del Comune, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso quest'ultimo Ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-costruttivi prescritti per dette zone; 5) del' reato p. e p. dagli artt. 146 - 181 D.Lgs. n. 42 del 2004, già art. 163 D.Lgs. n. 490 del 1999, in relazione all'art. 44 lett. C) D.P.R. n. 380 del 2001, per aver eseguito i lavori indicati al punto 1) in zona sottoposta a vincolo idro geografico, senza la prescritta autorizzazione; 6) del reato p. e p. dall'art. 734 c.p. per aver alterato, con i lavori di cui al punto 1), le bellezze naturali di località soggetta alla speciale protezione dell'autorità. In Angri, via (...), in data 24.03.2021. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato, emesso dal G.i.p. in sede in data 10.11.2022, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, Ab.Sa. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui alla formale imputazione, da intendersi qui richiamata. Nella prima udienza del 12.10.2023, dichiarata l'assenza dell'imputato, ritualmente avvisato e non comparso senza cause note di impedimento, il procedimento era differito per omessa notifica del decreto introduttivo alla persona offesa. All'assise dell'11.01.2024 si procedeva all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle prove richieste dalle parti; di seguito veniva escusso il teste Es.An., previa acquisizione concordata ex art. 493 co. 3 c.p.p. della relazione tecnica a sua firma; il P.M. depositava altresì documentazione e rinunciava all'audizione del teste Mi.Pa.. Nell'udienza conclusiva del 11.04.2024 il Tribunale, dichiarata conclusa l'istruttoria e utilizzabili gli atti ai fini della decisione, invitava le parti alla discussione; all'esito, veniva pronunciata la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo e delle contestuali motivazioni in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I risultati dell'istruttoria dibattimentale consegnano al Tribunale un quadro e sostanzialmente incontroverso dei fatti da cui originano le odierne imputazioni. L'abuso edilizio oggetto di contestazione è stato puntualmente descritto nella relazione tecnica del Geom. Es.An., acquisita su accordo delle parti all'udienza dell'11.01.2024, e trova riscontro nella documentazione allegata. Il teste, unico escusso, ha chiarito poi in dibattimento alcuni aspetti cruciali della vicenda, nessun elemento contrario è stato introdotto in giudizio dalla Difesa. Da qui la ricostruzione, pacifica, dei seguenti tratti fattuali. Il procedimento trae abbrivio da un sopralluogo eseguito, in data 24.03.2021, dal Geom. E. - tecnico del Comune di Angri - che, in collaborazione con l'agente di Polizia Locale Mi.Pa., si recava ad ispezionare l'immobile sito in Ab., alla Via Z. n. 32, censito in catasto al foglio n. (...), p.lla n. (...), sub (...). La costruzione apparteneva ad Ab.Sa., così come accertato tramite visura immobiliare, e ricadeva in zona A2 del P.U.C. adottato in data 25.07.2018. Gli operanti appuravano che in data 13/11/2014, con protocollo n.(...), veniva rilasciato ad Ab.Sa. il permesso di costruire n.3278 per il recupero abitativo del sottotetto esistente. In data 16/03/2018, con protocollo n. (...), Ab.Sa. conseguiva il permesso di costruire n.(...), in variante al permesso di costruire n. 3278, e riguardante l'eliminazione di abbaini originariamente assentiti ed arretramento della muratura perimetrale del sottotetto lato ovest a mt 5,00 dalla strada. In data 15/12/2019, con protocollo n. (...) S.C.I.A. n. 5506, l'Ab. presentava una S.C.I.A. riguardante la traslazione verticale ovest del sottotetto in conformità all'art. 20 delle Norme d'attuazione del P.U.C., che consentono di conservare l'allineamento del fronte edificato esistente. Durante il sopralluogo del 24.03.2023, si appurava invece che rispetto ai permessi di costruire n. (...) e (...), e rispetto alla S.C.I.A. n. 5506 era stata realizzata una diversa distribuzione di spazi interni, ed un cambio di destinazione d'uso da sottotetto ad abitazione nella parte prospiciente via Z. lato ovest; nello specifico le dimensioni relative alla parte di cambio di destinazione d'uso erano pari a mt 1,45 x 6,81. Al momento dell'accesso non vi erano lavori in corso e tutte le opere contestate erano complete ed in uso al proprietario, unitamente al suo nucleo familiare. Nel corso della testimonianza dibattimentale, il Geom. E. ha precisato che, il cambio di destinazione d'uso di parte del sottotetto, così come eseguito dall'Ab. in assenza di titolo, era assentibile e conforme alla disciplina urbanistica; tanto è vero che in seguito l'imputato conseguiva permesso a costruire in sanatoria (cfr. verbale stenotipico dell'11.01.2024: AVVOCATO DIF. GALLO - Geometra le risulta se sia stata presentata istanza di sanatoria, se siano state presentate pratiche al Comune di sanatoria o comunque di... TESTE Ab. E. - Sì. È stato sana... in questo momento non c'ho la sanatoria, non c'ho il procedimento di sanatoria, ma è stato sanato perché era un... una piccola parte, era un cambio di destinazione. Una piccola parte. È stata sanata dalla parte. AVVOCATO DIF. GALLO - Quindi avrebbero ricevuto permesso a costruire in sanatoria? TESTE Ab. E. - Sì, sì, sì. Diversa distribuzione di spazi interni, un piccolo cambio di destinazione d'uso. ... GIUDICE - Okay. Senta, e il permesso a costruire poteva... laddove richiesto poteva essere rilasciato per la tipologia di opere che furono eseguite? TESTE Ab. E. - Sì, sì. Perché è zona B, è zona edificabile la parte... GIUDICE - È zona edificabile TESTE Ab. E. - Sì. GIUDICE - Quindi la contestazione non riguardava la contrarietà alla regolamentazione urbanistica, ma solo l'omesso permesso per costruire... TESTE Ab. E. - Sì. GIUDICE - ...che è stato conseguito in via postuma. TESTE Ab. E. - Sì.). Il teste ha poi aggiunto che sulla zona non insisteva alcun vincolo tra quelli previsti dal D.Lgs. n. 42 del 2004 (GIUDICE - Perfetto. C'era un vincolo idrogeografìco? TESTE Ab. E. - Né idrogeologico, né vincolo di... perché è al centro proprio di Angri, è il centro... GIUDICE - Nessun vincolo... TESTE Ab. E. - No. GIUDICE - Quindi nessun vincolo ...(voci sovrapposte) TESTE Ab. E. - Il vincolo... c'è il vincolo diciamo per i calcoli strutturali, ma è tutta la Regione Campania che... GIUDICE - Va bene, okay. Semplifichiamo geometra. Rispetto all'area su cui sono state eseguite le opere, non c'era nessun vincolo di quelli previsti dal D.Lgs. n. 42 del 2004? TESTE Ab. E. - No.). Si trattava ad ogni modo di zona sismica, con classificazione S9. Ha affermato inóltre che le opere non presentavano parti in cemento armato o a rete metallica, ma solo in legno, e questo imponeva il deposito dei calcoli strutturali al Genio Civile (GIUDICE - L'opera presentava parti in cemento armato, in struttura metallica? TESTE Ab. E. - No. Di fatto il tetto era un tetto in legno, però anche per i tetti in legno va presentato al Genio Civile il calcolo strutturale. Anche del legno. GIUDICE - Okay. Quindi... TESTE Ab. E. - Legno, ferro e cemento armato. GIUDICE - Anche per il legno... TESTE Ab. E. - Sì, sì, sì. GIUDICE - ...presso il Genio Civile deve essere presentato il calcolo strutturale.). Infine, ha specificato che l'intervento era di modeste dimensioni e si sviluppava tutto all'interno dell'immobile principale, legittimo, senza impatto sul prospetto esterno. 2. Lo scenario fattuale così ricostruito deve ora confrontarsi con le plurime imputazioni contenute nell'editto accusatorio. Si premette che nessun dubbio si nutre sulla riferibilità delle opere all'Ab., proprietario dell'immobile e committente dei lavori, come implicitamente desumibile dagli atti di assenso richiesti nel corso degli anni e in precedenza citati. Procedendo nell'ordine delle contestazioni elevate dal P.M., in merito al Capo 1), deve preliminarmente escludersi la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 44 lett. C) D.P.R. n. 380 del 2001, attesa l'inesistenza del vincolo paesaggistico ipotizzato dall'Accusa. Sul punto, il teste E. è stato netto escludendo la sussistenza di qualsivoglia vincolo tra quelli previsti dal D.Lgs. n. 42 del 2004 sull'area. Ciò comporta la necessaria riqualificazione - ex art. 521 c.p.p. - della condotta nella diversa fattispecie di cui all'art. 44 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001, che invece può dirsi pienamente integrata. Il cambio di destinazione d'uso da sottotetto ad abitazione è stato eseguito in difformità ai permessi di costruire n. 3278 e 3642 e alla S.C.I.A. n. 5506; pertanto, pur essendo l'intervento astrattamente assentibile, necessitava di apposito titolo non previamente richiesto dall'Ab.. In tema, si richiamano i consolidati insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il cambio di destinazione d'uso assume penale rilevanza nell'ottica incriminatrice dell'art. 44 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001, richiedendo il previo rilascio del permesso a costruire, quando determini un mutamento tra categorie urbanistiche diverse nell'ambito di quelle funzionali previste dall'art. 23 ter D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 6060/2017; Sez. 3, sentenzan. 12904/2016). Si è inoltre chiarito che "IN materia edilizia, ai fini della configurabilità del reato di cui all 'art. 44 D.P.R. n. 380 del 2001, nel caso di interventi eseguiti in difetto o in difformità del permesso di costruire, costituisce "mutamento d'uso urbanisticamente rilevante" ogni forma di utilizzo di un immobile o di una singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata da opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell'unità ad una diversa categoria funzionale fra quelle elencate dall'art. 23-ter, comma primo, del citato decreto" (cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 52398/2018). Con specifico riguardo al sottotetto, si è precisato che "la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti urbanistici aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee" (cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 17359/2007). Nel caso di specie non vi è dubbio che il cambio di destinazione del sottotetto sia avvenuto tra categorie funzionali differenti, essendosi passati da un mero spazio tecnico ad una parte di struttura autonomamente abitabile, e questo determina la configurazione della contravvenzione di cui all'art. 44 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001. 3. L'Ab. deve invece essere assolto dai reati a lui ascritti ai Capi 2) e 3) per insussistenza dei fatti. Le fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 64-71 e 65-72 D.P.R. n. 380 del 2001, previste del Capo II del testo unico, trovano espressa applicazione per le sole opere che presentino parti in conglomerato cementizio, armato, normale e precompresso e a struttura metallica, poiché solo in relazione a tali tipologie di intervento scattano gli obblighi di progettazione e direzione dei lavori previsti dall'art. 64 e di denuncia ex art. 65. Il teste dell'Accusa E. ha escluso l'esecuzione di opere implicanti parti in cemento o a struttura metallica per la realizzazione del cambio di destinazione al vaglio, e dunque la tipicità dei reati ascritti ai Capi 2) e 3) non può venire in rilievo, non gravando a carico dei coimputati gli obblighi penalmente sanzionati dagli artt. 71 e 72 D.P.R. n. 380 del 2001, almeno per le opere specificamente indicate nell'editto accusatorio. 4. Fondata è invece la contestazione del Capo 4), relativa al reato di cui agli artt. 93 e 95 D.P.R. n. 380 del 2001. Sul punto, è sufficiente osservare che le costruzioni nelle zone sismiche sono disciplinate dal capo IV del D.P.R. n. 380 del 2001 e le relative disposizioni non distinguono tra opere in conglomerato cementizio armato o non armato o a struttura metallica, richiedendo l'adempimento delle prescrizioni indipendentemente dal materiale utilizzato per la realizzazione dell'opera, considerato il maggiore rigore richiesto nel controllo delle costruzioni realizzate nelle zone esposte al rischio sismico. L'art. 93 del testo unico, invocato dal P.M. quale presupposto violato per la sanzione di cui all'art. 95, prescrive che nelle zone sismiche, di cui all'art. 83 D.P.R. n. 380 del 2001, chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni è tenuto a dame preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmettere al competente ufficio tecnico della regione copia della domanda e del progetto che ad esso deve essere allegato. Ne deriva che, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, "ad eccezione dei soli interventi di semplice manutenzione ordinaria, qualsiasi intervento edilizio in zona sismica, comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio armato, deve essere (a) previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire i preventivi controlli, (b) necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo, (c) il progetto deve essere redatto da un professionista abilitato ed allegato alla denuncia di esecuzione dei lavori, (d) questi ultimi devono essere parimenti diretti da un professionista abilitato conseguendone, in difetto, la violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 95 e ciascuna violazione, risolvendosi nell'inosservanza di specifiche prescrizioni, costituisce un titolo autonomo di reato" (cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 34604/2010; Sez. 3, sentenza n. 48005/2014). Pertanto, posto che l'area comunale di Angri è zona a rischio sismico, con classificazione S9, come spiegato dal Geom. E., anche il cambio di destinazione in questione avrebbe dovuto essere preceduto dalla denuncia all'ufficio competente, nonché dalla presentazione di un progetto tecnico redatto da tecnico abilitato, e i relativi lavori avrebbero dovuto essere diretti da un professionista parimenti abilitato; adempimenti questi tutti omessi dall'odierno imputato, che nessuna comunicazione preventiva ha effettuato al Genio Civile per la realizzazione del mutamento di destinazione del sottotetto. 5. L'esclusione di vincoli previsti dal D.Lgs. n. 42 del 2004, chiarita dal teste dell'Accusa, determina l'insussistenza anche del reato di cui agli artt. 146-181 D.Lgs. n. 42 del 2004 contestato al Capo 5). Non è emersa l'esistenza del vincolo idrogeografico indicato nel capo d'imputazione, ed allora nessuna autorizzazione ex art. 146 D.Lgs. n. 42 del 2004 era dovuta per la realizzazione del cambio di destinazione in questione. Ne consegue l'assoluzione perché il fatto tipico incriminato dalla fattispecie non sussiste. Stesso esito decisionale si impone per la contestazione della contravvenzione ex art. 734 c.p., di cui al Capo 6). La disposizione incrimina la distruzione o alterazione, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'Autorità. Il primo presupposto, nel caso di specie, è integrato dall'esistenza di un vincolo paesaggistico sull'area in cui sono state eseguite le opere abusive - ai sensi dell'alt. 142 lett. c) D.Lgs. n. 42 del 2004 - costituente zona agricola di rispetto ad un torrente. Sotto il profilo strutturale, si ricorda che il reato di cui all'art. 734 c.p. è una fattispecie di danno, a forma libera, e a consumazione istantanea. La giurisprudenza, in proposito, ha evidenziato che "per la realizzazione del reato previsto dall'art. 734 cod. pen., non è necessaria l'irreparabile distruzione o alterazione della bellezza naturale di un determinato luogo soggetto a vincolo paesaggistico, essendo sufficiente che, a causa delle nuove opere edilizie, siano in qualsiasi modo alterate o turbate le visioni di bellezza estetica e panoramica offerte dalla natura" (cfr. Cass. pen., Sez. 3, sentenza n. 10030 del 15.01.2015). Nel caso di specie, alcuna alterazione alla bellezza estetica e panoramica dell'area si è verificata, atteso che il mutamento di destinazione d'uso, tra l'altro parziale e di modeste dimensioni, si è sviluppato tutto all'interno dell'immobile dell'Ab., legittimo, e senza modificazioni della sagoma o della visione prospettica. Da qui l'assoluzione perché il fatto di reato ex art. 734 c.p. non sussiste. 6. Il ridimensionamento delle accuse a ai soli reati ascritti ai Capi 1) e 4), con riqualificazione della fattispecie ex art. 44 lett. C) D.P.R. n. 380 del 2001 in quella più lieve prevista dalla lettera B) della medesima disposizione, consente di apprezzare una particolare tenuità dei fatti complessivamente considerato, per i quali può trovare applicazione la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. È noto che con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, il legislatore ha introdotto nel codice penale l'art. 131- bis, inserendovi "una generale causa di esclusione della punibilità che sì raccorda con l'altrettanto generale presupposto dell'offensività della condotta, requisito indispensabile per la sanzionabìlità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge''' (cfr. Corte cost., sent. n. 120 del 2019). La disposizione individua una "soglia massima di gravità" correlata, dopo la riforma del D.Lgs. n. 150 del 2022 ad una pena edittale non superiore nel minimo a due anni di reclusione, sola o congiunta a pena pecuniaria, stabilendo, per i titoli di reato che non eccedono tale soglia, una "linea di demarcazione trasversale", che esclude la punibilità delle condotte aventi in concreto un tasso di offensività marcatamente ridotto (cfr. Corte cost., sent. n. 120 del 2019; Corte cost., sent. n. 30 del 2021). Il fondamento dell'istituto si individua nell'intento del legislatore di sottrarre dall'area di punibilità condotte astrattamente integranti gli estremi di reato, che tuttavia non appaiono in concreto meritevoli di una risposta punitiva, in coerenza con l'idea di extrema ratio della sanzione penale, realizzando così anche effetti deflattivi del contenzioso processuale. In tal senso, è utile richiamare quanto osservato dalla Corte di Cassazione, secondo cui lo scopo primario dell'art. 131 bis c.p. è "quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo" (cfr. Cass., SS.UU., sentenza n. 13681/2016, Tushaj). Ne consegue che il fatto non è punibile non perché inoffensivo, ma perché il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo, ove ricorrano le condizioni indicate nella richiamata disposizione normativa. L'ambito applicativo è infatti delimitato dai seguenti presupposti. In primo luogo, la norma prescrive la sua applicabilità ai reati sanzionati con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, soli o congiunti alla pena pecuniaria. A tale riguardo, ai fini della determinazione della pena detentiva, il comma 5 dell'art. 131 bis c.p. sancisce che "non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p". In secondo luogo, per espressa previsione legislativa (art. 131 bis comma 6 c.p.) l'istituto de quo trova applicazione anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante. In terzo luogo, l'art. 131 bis c.p. presuppone la coesistenza di due "indici-criteri": la "particolare tenuità dell'offesa" e la " non abitualità del comportamento". Più precisamente il requisito della "particolare tenuità dell 'offesa" si articola ulteriormente in due indici-requisiti consistenti nella "modalità della condotta" e "nell 'esiguità del danno o del pericolo", valutati in relazione all'art. 133 comma 1 c.p. (cui viene fatto espresso rinvio). In proposito, il legislatore ha provveduto ad individuare in modo espresso (art. 131 bis commi 2 e 3 c.p.) le ipotesi in cui l'offesa a priori non può mai essere ritenuta di particolare tenuità, predisponendo un elenco di situazioni ostative, elenco ampliato dal D.Lgs. n. 150 del 2022 per bilanciare l'estensione dell'ambito di operatività edittale della causa di non punibilità: "L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L'offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede: 1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337e 341 bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell'esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall'articolo 343; 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis, 391 bis, 423, 423 bis, 558 bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583 bis, 593 ter, 600 bis, 600 ter, primo comma, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 undecies, 612 bis, 612 ter, 613 bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648 bis, 648 ter; 4) per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 19, quinto comma, della L. 22 maggio 1978, n. 194, dall'articolo 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 ". Per ciò che attiene, invece, al requisito della "non abitualità del comportamento'" l'art. 131 bis comma 4 c.p. specifica che "il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate". Non possono beneficiare della causa di non punibilità in esame (oltre a coloro i quali sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza ex artt. 102 c.p. e ss.) i soggetti recidivi specifici e reiterati ex art. 99 c.p., ma anche i soggetti che abbiano riportato condanne definitive per contravvenzioni e delitti colposi e, cioè, per quei reati in relazione ai quali non possa muoversi una formale contestazione di recidiva ex art. 99 c.p., essendo quest'ultima limitata, come è noto, ai soli delitti non colposi. In relazione al requisito della non abitualità del comportamento, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ciò che esclude l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. è in sostanza la serialità del comportamento stesso, essendo al riguardo fuorviante "riferirsi esclusivamente alle categorie tradizionali, come quelle della condanna e della recidiva ", aggiungendo che la preclusione deve intendersi piuttosto sussistente al cospetto della commissione da parte del soggetto agente di almeno due reati della stessa indole diversi da quello oggetto del procedimento in relazione al quale si pone la questione dell'applicazione dell'art. 131 bis c.p. Né all'applicabilità dell'art. 131 bis c.p. osta la sussistenza di una pluralità di reati avvinti dal vincolo della continuazione, non potendosi equiparare tout court tale situazione con la reiterazione o l'abitualità delle condotte delittuose, così come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 18891/2022, ove sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: - "La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sé ostativa alla confìgurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis cod. pen., salve le ipotesi in cui il giudice la ritenga idonea, in concreto, ad integrare una o più delle condizioni tassativamente previste dalla suddetta disposizione per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale"; - "In presenza di più reati unificati nel vincolo della continuazione, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che, salve le condizioni ostative previste dall'art. 131-bis cod. pen., tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti". Nella materia specifica che viene in rilievo nel presente procedimento, la giurisprudenza ha poi affermato la compatibilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.c.on le contravvenzioni edilizie (cfr. Cass. pen., sent. n. 1497/2017; sent. n. 47039/2015), reputando la struttura permanente o continuata degli illeciti, di per sé non automaticamente espressiva di abitualità delle condotte, e precisando che la tenuità dell'offesa deve essere valutata in relazione: - alla consistenza dell'intervento abusivo, data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive; - alla destinazione dell'immobile; - all'incidenza sul carico urbanistico; - all'eventuale contrasto insanabile con strumenti urbanistici; - al mancato rispetto di vincoli diversi (idrogeologici, paesaggistici, ambientali); - all'eventuale collegamento dell'opera con interventi abusivi precedenti; - alla totale assenza o al grado di difformità dal titolo abilitativo; - all'inosservanza di espressi provvedimenti autoritativi emessi dalla p.a.; - alle modalità di esecuzione dell'intervento; - alla contestuale violazione di più disposizioni, anche finalizzate alla tutela di interessi diversi (norme a tutela delle costruzioni in zone sismiche, del paesaggio o dell'ambiente, della fruizione delle aree demaniali). L'applicazione di tali criteri alla vicenda in esame porta ad una valutazione di particolare tenuità della condotta illecita ascrivibile all'Ab., una volta ridimensionata la portata delle accuse ai soli reati contestati ai Capi 1) e 4), e considerato il comportamento post-factum dell'imputato, il quale si è attivato per ottenere un titolo edilizio in sanatoria, rilasciato dall'ente comunale. L'intervento abusivo, come chiarito anche dal teste E., era di modeste dimensioni (mt 1,45 x 6,81) e si sviluppava tutto all'interno dell'immobile principale che, nella realizzazione del cambio di destinazione, non ha subito modifiche strutturali, e questo attenua di molto l'incidenza sul carico urbanistico. Si è trattato, inoltre, di una mera difformità da titoli abilitativi richiesti dall'imputato e rilasciati in suo favore e la parte difforme, di per sé, sarebbe stata assentita laddove richiesto, in quanto conforme alla pianificazione urbanistica dell'area. La zona in cui ricadeva l'immobile non era poi sottoposta a particolari vincoli paesaggistici, idrogeologici e ambientali. Il mutamento di destinazione non ha previsto la costruzione di parti in cemento armato o in struttura metallica, di difficile rimozione e suscettibili di aggravare il carico urbanistico complessivo. Sul versante soggettivo, l'imputato è incensurato e nessun elemento suggerisce un'abitualità a delinquere nella medesima direzione offensiva. Inoltre, come anticipato, nella pesatura dell'offensività del fatto, deve tenersi conto anche del comportamento susseguente al reato, stando a quanto sancito dalle Sezioni Unite n. 18891/2022 ("Entro tale prospettiva, dunque, le condotte successive al reato ben possono integrare nel caso concreto un elemento suscettibile di essere preso in considerazione nell'ambito del giudizio di particolare tenuità dell'offesa, rilevando ai fini dell'apprezzamento della entità del danno, ovvero come possibile spia dell'intensità dell'elemento soggettivo ") e a quanto poi recepito dal legislatore, che, con il D.Lgs. n. 150 del 2022, ha espressamente inserito tra i criteri di valutazione della particolare tenuità del fatto previsti dal comma primo dell'art. 131 bis c.p. la "considerazione della condotta susseguente al reato". Pertanto, occorre apprezzare positivamente, in un complessivo giudizio di concreto disvalore dei fatti, la circostanza che l'odierno imputato abbia provveduto alla celere sanatoria ex post dell'abuso, conseguendo il permesso a costruire non previamente richiesto (cfr. dichiarazioni del Geom. E. all'udienza dell' 11.01.2024). Da qui la necessaria assoluzione dell'Ab. dai reati a lui ascritti ai Capi 1), riqualificato nella fattispecie ex art. 44 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001, e 4), reati chiaramente espressivi di un medesimo disegno criminoso ex art. 81 comma 2 c.p., divisato allo scopo di realizzare il cambio di destinazione, e non punibili per particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. dell'offesa recata agli interessi protetti dalle disposizioni incriminatrici violate. Stante l'esito complessivamente assolutorio del giudizio si dispone, ai sensi dell'art. 323 c.p.p., il dissequestro e la restituzione al proprietario delle opere in eventuale vincolo reale penale. Si revoca infine il decreto penale di condanna già emesso dal G.i.p. in sede nei confronti dell'imputato. P.Q.M. Letto l'art. 521, 530 c.p.p. - 131 bis c.p., ASSOLVE Ab.Sa. dai reati a lui ascritti ai Capi 1), riqualificato nella fattispecie ex art. 44 lett. B) D.P.R. n. 380 del 2001, e 4). perché non punibili per particolare tenuità dei fatti. Letto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE Ab.Sa. dai reati a lui ascritti ai Capi 2), 3), 5) e 6) perché i fatti non sussistono. Dispone il dissequestro e la restituzione al proprietario delle opere in eventuale vincolo reale penale. Revoca il decreto penale di condanna emesso dal G.i.p. in sede nei confronti dell'imputato. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore l'11 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica udienza dell' 11 aprile 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giancarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. M.V., ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: Ma.An. n. a Sa. il (...), ivi residente in Via Sa. V. n. 177, libero presente; difeso di fiducia dall'Avv. Ug.D'A., presente; IMPUTATO Vedi foglio allegato. IMPUTATO Del reato di cui all'art. 388 co. 4 c.p. perché, quale legale rappresentante dell'omonima impresa individuale con sede in Sarno alla Via (...), nominato custode di una guetta di marca F. di colore rossa, portata 12 quintali! dal valore di Euro 2.500.00 bene pignorato nell'ambito della procura esecutiva promossa dall'impresa Sa.Al. con sede in N. I., sottraeva il predetto cespite pignorato, non reperito ai fini della vendita dal funzionario dall'Ufficiale giudiziario, al quale veniva precluso l'accesso all'azienda e che redigeva il verbale di mancata consegna. In Sarno il 26.04.2017 Con la costituzione della Parte Civile: Sa.Al., n. a N. I. il (...), rappresentato e assistito dall'Avv. Ma.Fo., sostituito per delega dall'Avv. An.Ci. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato, emesso dal G.i.p. in sede in data 01.10.2018 a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, Ma.An. era tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato in epigrafe indicato. Nella prima udienza del 14.02.2019, presente l'imputato, ritualmente avvisato, si costituiva Parte Civile la persona offesa Sa.Al.; non essendovi questioni preliminari, la trattazione veniva rinviata come da protocollo d'intesa con il locale ordine forense. La seduta del 18.07.2019 era rinviata in ottemperanza del D.P. del Tribunale di Nocera Inferiore n. 63 del 2019, che sospendeva la celebrazione dei procedimenti non urgenti nel periodo preferiale estivo. All'assise del 05.12.2019 la trattazione era rinviata per adesione del difensore all'astensione indetta dall'Unione Nazionale Camere Penali Italiane, con sospensione dei termini di prescrizione per gg 181. L'udienza del 04.06.2020 era differita in ottemperanza del D.P. del Tribunale di Nocera Inferiore del 6 maggio 2020, attuativo dell'alt. 83 D.L. n. 18 del 2020, recante misure urgenti per il contrasto all'emergenza pandemica da Covid-19. Nella sessione del 28.01.2021 si procedeva all'apertura del dibattimento e all'ammissione dei mezzi di prova richiesti dalle parti; acquisite le prove documentali, la prosecuzione dell'istruttoria era rimandata per assenza dei testi. All'assise del 15.07.2021 veniva escusso il teste dell'Accusa C.G.; le parti concordavano, ex art. 493 comma 3 c.p.p., l'acquisizione della querela sporta dalla persona offesa rinunciando alla sua escussione diretta. La sessione del 24.02.2022 era differita per anomala composizione del Tribunale monocratico. Nella seduta del 21.07.2022 aveva luogo l'esame dell'imputato e l'escussione della teste della Difesa C.A.; si acquisiva documentazione fotografica. All'assise del 10.11.2022 veniva sentito il teste A.G.. La seduta del 19.01.2023 veniva differita per assenza della teste S.M.T., e così anche quelle fissate per il 18.05.2023, 07.09.2023 e 07.12.2023. All'udienza del 25.01.2024 la Difesa rinunciava alla teste Sa., chiedendo di sentire, in sostituzione, A.A., teste di lista cui aveva precedentemente rinunciato. Nulla osservando in contrario le altre parti, il Tribunale ne autorizzava la citazione. A.A. veniva escusso all'assise del 15.02.2024. Nell'ultima udienza dell' 11.04.2024 si dichiarava conclusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili tutti gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento; seguiva la discussione e le parti rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe. Il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo e delle contestuali motivazioni in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE L'editto accusatorio ascrive a Ma.An. il reato di cui all'art. 388 co. 4 c.p. "perché, quale legale rappresentante dell'omonima impresa individuale, con sede in Sa. alla Via Sa. V. n. 129, nominato custode di una gruetta di marca F. di colore rosso, portata 12 quintali, dal valore di Euro 2.500,00, bene pignorato nell'ambito della procedura esecutiva promossa dall'impresa Sa.Al. con sede in N. I., sottraeva il predetto cespite pignorato, non reperito ai fini della vendita dall'ufficiale giudiziario, al quale veniva precluso l'accesso all'azienda e che redigeva il verbale di mancata consegna. In Sarno, il 26.04.2017'. I risultati probatori conseguiti all'esito dell'istruzione dibattimentale non consentono di affermare la responsabilità dell'imputato per quanto ascrittogli, residuando un quadro probatorio incerto su alcuni aspetti decisivi della contestazione; in particolare, risulta contraddittoria e insufficiente la prova della condotta tipica della fattispecie ascritta. Si ricorda, preliminarmente, che la fattispecie di cui all'art. 388, commi 3 e 4 c.p., è stata modificata dal D.Lgs. n. 21 del 2018. La riforma ha determinato uno slittamento dei commi 3 e 4 ai commi 5 e 6 della disposizione incriminatrice, ma nulla ha inciso sulla struttura della figura criminosa né sul trattamento sanzionatorio, ravvisandosi una chiara continuità normativa. Gli attuali quinto e sesto comma dell'art. 388 c.p. corrispondono, dunque a quelli, introdotti dalla L. n. 689 del 1981. Tale legge, allo stesso tempo, ha sostituito l'originario art. 334 c.p. lasciando a tale disposizione la disciplina della sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall'autorità amministrativa e riservando all'art. 388 commi 5 e 6 c.p. la disciplina del fatto commesso su cose sottoposte a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o amministrativo. La ratio di tale opzione legislativa può essere individuata nella prevalente dimensione privatistica delle offese provocate dai fatti illeciti inseriti nell'art. 388 c.p. e tale lettura sembra trovare conferme nella introdotta procedibilità a querela di parte. Accanto al bene superindividuale dell'amministrazione della giustizia la norma tutela l'interesse processuale del privato a favore del quale era stato disposto il pignoramento ovvero il sequestro giudiziario o conservativo; da qui, ne consegue anche la legittimazione del creditore procedente a costituirsi parte civile nel giudizio penale, ravvisandosi voci di danno patrimoniale e non patrimoniale che non sono interamente coperte dal credito insoddisfatto. La fattispecie di cui ai commi 5 e 6 rappresenta poi un reato proprio, che presuppone quale soggetto attivo il proprietario del bene sottoposto a vincolo. La nozione di "proprietario" - calata nel contesto della disposizione incriminatrice penale - assume una connotazione più ampia di quella civilistica, ricomprendendo anche i soggetti che, pur non formalmente titolari del bene, ne abbiamo in concreto poteri gestori e di disposizione. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui "è da considerare proprietario-custode dei beni pignorati anche colui che 'vanti sui medesimi concreti poteri dispositivi e di gestione pur non essendo formalmente definibile come debitore dei soggetti procedenti in executivis" (cfr. Cass., pen., Sez. 6, sent. n. 32832 del 09.04.2009, con riferimento al legale rappresentante di una società di persone cui erano stati affidati in custodia i beni pignorati; nei medesimi termini si è espressa Sez. 6, sent. n. 1658 del 05.11.2013). Ancora, si è affermato che "ai fini della configurabilità del reato di sottrazione di cose pignorate o sottoposte a sequestro, la nozione di proprietario è più ampia di quella assunta in sede civilistica, includendo necessariamente la posizione del soggetto nei cui confronti è stato eseguito il pignoramento e che abbia interesse a non subirne gli effetti pregiudizievoli. (Fattispecie relativa a bene pignorato al socio di una società debitrice, che aveva acquistato il bene in regime di leasing) (cfr. Cass., pen., Sez. 6, sent. n. 932 del 13.01.2012). Sotto il profilo esecutivo, la fattispecie in esame prevede modalità alternative di consumazione, incriminando la condotta di sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione o deterioramento di cosa propria sottoposta a pignoramento ovvero a sequestro giudiziario o conservativo. Tutte le condotte indicate condividono un denominatore comune di offensività, assumendo rilevanza penale nel momento in cui abbiamo concretamente ostacolato o ritardato lo svolgimento della procedura esecutiva coatta. La fattispecie risulta poi aggravata - ai sensi del comma sesto dell'art. 388 c.p. - quando il fatto sia commesso da un soggetto nominato custode, poiché vengono in rilievo interessi pubblicistici, connessi ai doveri di custodia giudiziaria, che inaspriscono il giudizio di disvalore. Sotto il profilo soggettivo, infine, la fattispecie di cui ai commi cinque e sei dell'art. 388 c.p. si presenta a dolo generico, essendo sufficiente la coscienza e volontà di eludere il vincolo apposto sul bene. Così tracciato il perimetro oggettivo e soggettivo dell'incriminazione entro cui deve muoversi la cognizione del Tribunale, stando al tenore dell'imputazione formulata dal P.M., si reputano di certo provato il presupposto fattuale della fattispecie. Il substrato della condotta delittuosa contestata è infatti incontroverso, emergendo nitidamente dalle prove documentali acquisite, relative al procedimento esecutivo civile, e dalle dichiarazioni compendiate nella querela sporta dalla persona offesa Sa.Al. in data 24.07.2017, acquisita su accordo delle parti ex art. 493 co. 3 c.p.p.. Il Sa., titolare dell'omonima ditta individuale, con sede in N. I. alla Via P. n. 102, vantava un credito per Euro 1.600,00 nei confronti del Ma.An., titolare dell'omonima azienda agricola, con sede in Sa. alla Via Sa. V. n. 129. Il credito, derivante da una triplice fornitura di gasolio, era assistito da tre cambiali (rispettivamente di Euro 500,00 a scadenza il 16.06.2014, di Euro 600,00 a scadenza il 01.07.2014, di Euro 500,00 a scadenza il 17.07.2014), non pagate dal M.. Il Sa., in data 02.12.2014, notificava atto di precetto all'imputato e, in data 10.03.2015, l'ufficiale giudiziario del Tribunale di Nocera Inferiore sottoponeva a pignoramento mobiliare una gruetta, marca "F.", di colore rosso, portata 12 quintali, valutata del valore di Euro 2.500,00. Nel verbale di pignoramento mobiliare, redatto il 10.03.2015, il bene veniva staggito in Sa. in Via Sa. V. n. 177, e veniva nominato custode Ma.An., presente durante le operazioni. Il creditore formulava istanza di vendita al Tribunale civile di Nocera Inferiore, nell'ambito della procedura R.G.E. n. 412/2015, e il giudice dell'esecuzione fissava il primo esperimento di vendita del cespite per il 26.04.2017, alle ore 11:30. L'atto veniva notificato all'imputato in data 03.04.2017, con consegna al fratello Ma.An., qualificatosi come convivente, presso l'abitazione sita in Sa. alla Via Sa. V. n. 177. In data 26.04.2017, l'ufficiale giudiziario, accompagnato dall'avvocato M.C., per la parte creditrice, si recava al suddetto indirizzo, alle ore 11:30, e trovava il domicilio chiuso; redigeva così verbale di mancata consegna del bene pignorato, verbalizzando testualmente: "dopo aver atteso congruo termine, avendo reperito nessuno per il custode, non avendo ricevuto esibizione del bene, rimetto gli atti alla cancelleria". Su queste basi, non potendosi trarre alcuna informazione utile dalla testimonianza dell'Assistente Giudiziario C.G., il P.M. ha costruito la sua accusa per il delitto di cui all'art. 388 commi 5 e 6 c.p. La prospettazione accusatoria, focalizzata sulla presunta sottrazione del bene pignorato alla procedura esecutiva, appare debole, potendosi richiamare quanto osservato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il mero allontanamento del proprietario, alla cui custodia sono state affidate le cose sequestrate o pignorate, dal luogo ove esse sono custodite nel giorno fissato per la consegna del compendio vincolato non integra il delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, di cui all'art. 388, commi terzo e quarto, c.p." (Cass, pen., Sez. 6, sentenza n. 5232/2020; in senso conforme, Cass, pen., Sez. 6, sentenza n. 14334/2001: "in tema di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice concernente la sottrazione di cose pignorate o sottoposte a sequestro, il semplice allontanamento del proprietario, alla cui custodia le cose sequestrate o pignorate sono state affidate, dal luogo ove i beni sono custoditi nel giorno in cui è stata fissata la consegna del compendio pignorato non integra il delitto previsto dall'art. 388, commi 3 e 4, c.p., potendosi, invece, configurare altre ipotesi di reato relative all'inosservanza dei doveri del custode"-, fattispecie in cui la Corte ha osservato che l'assenza del proprietario-custode al momento dell'accesso nel luogo di custodia dei beni avrebbe potuto configurare il diverso delitto previsto dal quinto comma dell'art. 388 c.p., qualora fosse stato accertato il doloso rifiuto, omissione o ritardo in atto di ufficio connesso alla funzione di custode). Ne deriva che la semplice assenza del Ma.An. dal luogo ove la gruetta avrebbe dovuto essere custodita, nel giorno e nell'ora fissati per il primo esperimento di vendita, non inferisce necessariamente verso l'avvenuta sottrazione del bene staggito, non essendosi neppure accertato se lo stesso fosse presente in loco o altrimenti disperso in occasione dell'accesso del 26.04.2017. Nel verbale di mancata consegna l'ufficiale giudiziario ha dato solo atto dell'assenza del debitore e del domicilio chiuso. In realtà, il fatto che la gruetta non si trovasse presso l'indirizzo di Sa., Via Sa. V. n. 177, è stato riferito dallo stesso imputato nel corso del suo esame, nonché confermata dai testi della Difesa C.A. e A.A.: tutti hanno dichiarato che il bene era custodito presso il deposito del luogo ove il Ma. domiciliava di fatto, in Sa. alla Via Sa. S.; luogo in cui si trovava anche la sua azienda agricola. Tale circostanza, emersa dalle prove a discarico, apre a nuovi scenari di responsabilità dell'imputato, sotto il profilo della condotta di "sottrazione" ex art. 388 comma 5 c.p., integrata, secondo parte della giurisprudenza anche dalla semplice amotio del bene (cfr. Cass, pen., Sez. 6, sentenza n. 1658/2014), o sotto quello della violazione ai doveri di custodia previsti dal comma settimo dell'art. 388 c.p.. Si tratta di tesi sostenibili in astratto, ma in concreto non si ravvisano comunque gli estremi per affermare la colpevolezza del Ma., potendosi sin da subito escludere una fraudolenta macchinazione. Non può ignorarsi che è stato l'imputato, in uno ai testi dallo stesso citati, ad indicare un diverso luogo di custodia della gruetta, ammettendo di fatto la trasgressione a quello fissato nel verbale di pignoramento mobiliare del 10.03.2015. Quella del Ma. non può intendersi tuttavia come un'ammissione di responsabilità, per violazione del comma quinto o settimo dell'art. 388 c.p., ma va contestualizzata in un più ampio tentativo di dare ima diversa spiegazione alla vicenda fattuale; tentativo che le emerge probatorie a carico non riescono a smentire al di là di ogni ragionevole dubbio. Il Ma. ha sostenuto di aver mantenuto la sola residenza anagrafica alla Via Sa. V. n. 177 di Sa., essendosi trasferito sin dal 2013-2014 in Via Sa. Sa., ove si trovava anche la sua azienda agricola e, dunque, il deposito con all'interno la gruetta staggita. Ha inoltre aggiunto che, anche al momento del pignoramento immobiliare, l'ufficiale giudiziario si era dovuto recare al domicilio di fatto, nonostante la verbalizzazione del solo luogo di residenza, e che, ricevuta dal fratello notizia dell'esperimento di vendita fissato per le ore 11:30 del 26.04.2017, ivi aveva atteso l'arrivo dell'ausiliario. Ha infine ribadito che il bene staggito era sempre rimasto presso l'azienda di Via Sa. Sa., e questo sino all'attualità. Tanto è stato confermato anche dalla moglie C.A. e dal vicino A.A., teste, almeno in apparenza, neutrale. L'ufficiale giudiziario A.G., esecutore del pignoramento immobiliare del 10.03.2015, si è limitato a confermare quanto annotato nel verbale, in cui si dava atto di essersi recato in Sa. alla Via Sa. V. n. 177; non ricordava tuttavia lo stato dei luoghi e non ha potuto escludere la materiale collocazione del bene staggito in una diversa località. Lo scenario che si profila innanzi al Tribunale appare allora incerto e contraddittorio: da un lato non può ignorarsi quanto annotato nel verbale di pignoramento del 10.03.2015, trattandosi di circostanze incorporate in un atto pubblico di fede privilegiata; dall'altra non possono parcellizzarsi le dichiarazioni del Ma. e degli altri due testi a discarico, ritenendo veritiera solo la parte sfavorevole all'imputato. Se l'unica prova che il bene staggito sia stato spostato dal luogo di custodia si ricava dalle stesse, merita considerazione, quanto meno alternativa, anche la tesi che la gruetta sia sempre rimasta in Via Sa. S.. Ulteriormente, ciò che preclude ad una rassicurante dimostrazione di una fraudolenta sottrazione della res alla procedura esecutiva o di una dolosa violazione dei doveri di custodia è l'unicità del tentativo di ablazione: agli atti vi è la prova di un unico esperimento di vendita, fallito nella mattinata del 26.04.2017, e non è noto se in seguito il creditore abbia tentato nuovamente di ottenere la consegna del bene pignorato. Una reiterata irreperibilità del Ma. sarebbe stata di certo pregnante, divenendo dimostrativa della volontà di sottrarre il bene dall'esecuzione forzata, o di contravvenire ai propri doveri di custode, ma la sola mancata presenza ad un unico appuntamento fissato per l'incanto non può dirsi sufficiente, abilitando piuttosto la spiegazione contraria di un malinteso sul luogo in cui attendere l'arrivo dell'ufficiale giudiziario. Del resto, nel verbale di mancata consegna del 26.04.2017, non si fa menzione di alcun tentativo di rintraccio del Ma., anche informale, e questo rende non inverosimile quanto sostenuto dall'imputato a sua discolpa, vista anche la presenza del bene pignorato in Via Sa. S. sino all'attualità delle deposizioni dibattimentali. Da qui la necessaria assoluzione del Ma. dal reato ex art. 388 commi 5 e 6 c.p. ascrittogli, ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p., per insufficienza e contraddittorietà della prova che il fatto sussiste. Per le ragioni espresse, analogo esito assolutorio si imporrebbe vagliando il compendio istruttorio sotto la diversa lente d'incriminazione di cui all'art. 388 comma 7 c.p. Nulla è pertanto dovuto sulle statuizioni civili. Si revoca infine il decreto penale di condanna già emesso dal G.i.p. in sede nei confronti dell'imputato. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE Ma.An. dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Revoca il decreto penale di condanna emesso nei confronti dell'imputato. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore l'11 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE IL GIUDICE dott.ssa Paola Montone nell'udienza del 10.4.2024 ha emesso la seguente SENTENZA con redazione contestuale dei motivi nel procedimento penale a carico di Ba.Sa. nato a P. il (...) ed ivi residente alla via A. n. 24, elettivamente domiciliato presso il Difensore di fiducia; Libero, assente. Difeso di fiducia dall'Avv. Gu.Gu. IMPUTATO in ordine al reato p. e p. dall'art. 612 bis co. 1 e 2 c.p. perché, con reiterate condotte di violenza e molestia di seguito indicate, cagionava alla ex coniuge, Ti.Do., un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ingenerandole un fondato timore per la propria incolumità e costringendola, altresì, a modificare le proprie abitudini di vita. In particolare e tra l'altro molestava con molteplici telefonate la po, ingiuriandola con frasi dal seguente tenore: "puttana! Troia! Zoccola, fatti scopare dai tuoi amici!; in data 23.5.2018, si recava in Roma presso l'abitazione dei genitori della p.o. e, dopo essersi introdotto in casa con la forza, percuoteva la donna colpendola con calci e pugni al(l)a testa, al(l)e spalle ed alla schiena; in data 25.10.2018, attraverso molteplici telefonate ingiuriava la p.o. con frasi del tipo "sei una troia" Sei una puttana!" minacciandola altresì di mort(e) o comunque di mah ingiusti; in data 4.3.2019 percuoteva la p.o. afferrandola per i capelli e colpendola con schiaffi al viso. In Pagani (SA), dal 2018 con condotta perdurante ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO - lo svolgimento del processo A. Con decreto che dispone il giudizio emesso dal G.u.p. in sede in data 14.12.2020, Ba.Sa. veniva tratto a giudizio davanti ad altro G.M. di questo Tribunale, affinché rispondesse del reato, così come contestatogli in epigrafe. Alla prima udienza del 01.04.2021 il Giudice, constatata la regolarità del contraddittorio - essendo stato l'imputato regolarmente avvisato a mezzo Ufficiale Giudiziario in data 05.01.2021 -, preso atto della costituzione di parte civile della persona offesa, Ti.Do. - in assenza di prospettazioni di questioni di natura preliminare, rinviava la sessione processuale per l'assenza dei testi di lista del Pubblico Ministero. Il consesso del 16.09.2021 veniva differito in ragione della diversa composizione dell'ufficio giudicante, mentre quello del 17.02.2022 veniva rinviato dietro istanza congiunta delle parti di sospensione del dibattimento ai fini conciliativi della questione civilistica. All'udienza del 16.06.2022 il Giudice, dopo aver rilevato una causa di incompatibilità alla trattazione del procedimento, rimetteva gli atti al Presidente di Sezione per le proprie valutazioni, fissando in prosieguo l'udienza del 8.9.2022. Ivi, il Tribunale dopo aver preso atto del deposito da parte della Difesa di Parte Civile di procura speciale al fine della dichiarazione remissiva della querela e rilevata la natura necessariamente processuale della remissione, conformemente a quanto statuito dall'articolo 612 bis c.p., dava altresì atto dell'avvenuto accoglimento da parte del Presidente della Sezione Penale in data 05.07.2022 della dichiarazione di astensione, con designazione del magistrato competente alla trattazione nella persona della scrivente, rinviando all'udienza del 22.02.2023. All'udienza del 22.02.2023 - la prima innanzi a questo G.M. - il Difensore di parte civile -produceva la prova dell'avvenuta notifica in favore della Ti.Do., assente ingiustificata, e, pertanto, il Giudice onerava la cancelleria di una nuova citazione della stessa, previa irrogazione di sanzione pecuniaria da versare a favore della cassa delle ammende. La sessione pocessuale del 28.6.2023 veniva differita stante l'adesione del V.P.O. di udienza all'astensione dalle udienze proclamata per i giorni 27 - 28 - 29 e 30 giugno 2023. All'udienza del 18.10.2023 il G.o.p. designato in sostituzione del Giudice Titolare - in congedo straordinario per malattia - onerava il Pubblico Ministero della citazione della persona offesa e la Difesa dell'imputato della produzione di procura speciale, ai fini dell'accettazione della remissione di querela. All'udienza del 28.02.2024, la causa veniva differita in ragione di un impedimento a comparire della persona offesa, come attestato dalla certificazione medica allegata agli atti, depositata dal proprio Difensore. All'odierna udienza, preso atto della trasmissione all'ufficio della procura della repubblica un sede del verbale di rimessione di querela e di quello di accettazione remissione di querela da parte della Legione Carabinieri Campania - Tenenza di Pagani - datate 29.02.2023 2024 n.d.r., acquisiti ai sensi dell'articolo 511, comma IV, c.p.p. il verbale di ricezione di denuncia orale del 23.05.2018 e la sua successiva integrazione del 25.05.2018 entrambe sporte dalla persona offesa innanzi alla Questura di Roma - Commissariato di P.S. Esposizione - nonché il verbale della denuncia orale sporta dalla persona offesa nella data del 04.03.2019 innanzi alla Stazione CC di Pagani, tutte contenenti espressa istanza punitiva, il Giudice, rilevata una causa di improcedibilità ex articolo 129 c.p.p., invitava le parti a concludere, conclusioni sinteticamente riportate in epigrafe. Indi, all'esito della camera di consiglio, si dava pubblica lettura del dispositivo, con redazione contestuale dei motivi. B. Alla luce della documentazione agli atti, questo giudicante rileva che può emettersi sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, causa prevista dall'articolo 152 c.p., trattandosi di delitto punibile a querela della persona offesa ai sensi di quanto previsto dall'articolo 612 bis comma IV c.p. Invero, importa evidenziare, in via preliminare, come il titolo di reato al vaglio, così come contestato, consente la remissione, trattandosi di fattispecie incriminatrice che prevede la procedibilità ad istanza di parte, sussistente in concreto, atteso che le denunce - querele acquisite, compresa anche la citata integrazione, sono tutte corredate da apposita istanza punitiva. In particolare, dalla formulazione del capo imputativo, sub specie dalla descrizione fattuale delle condotte, non è dato evincere che la fattispecie di atti persecutori in addebito sia stata perpetrata mediate minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma c.p., modalità che sole sarebbero state ostative alla operatività della remissione, in forza del regime di procedibilità severo introdotto con D.L. n. 93 del 2013 convertito nella L. n. 119 del 2013. Ai fini dell'irrevocabilità della querela, infatti, è necessario il duplice configurarsi di due requisiti congiunti, ovverosia non soltanto la commissione del fatto con minacce reiterate ma che le stesse siano state perpetrate con le modalità di cui al secondo comma dell'articolo 612 c.p., cioè in caso di minaccia grave ovvero fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339 (con armi o da persona travisata o da più persone riunite o con scritto anonimo o in modo simbolico o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte) e non rilevando, all'uopo, il legame con la persona offesa rappresentato dall'esistenza di un preesistente rapporto di coniugio, costituente, invece, solo circostanza aggravatrice della fattispecie criminosa. Ora, già dalla piana lettura dell'editto accusatorio emerge la contestazione concernente l'adozione di condotte reiterate di violenza e di molestia, nonché il riferimento all'avvenuta minaccia di morte o comunque di mali ingiusti non accompagnata, però, dalle descritte modalità reiterate e dalle caratteristiche realizzative di cui all'articolo 612 c.p., di guisa che può trovare applicazione la possibilità di revoca della querela da parte della persona offesa dal reato. Tanto precisato, sussistono, dunque, i presupposti dell'invocata causa estintiva, atteso che il titolo del reato per cui è processo - trattandosi, per le sovraesposte considerazioni, di reato perse-guibile a querela, revocabile dalla parte - lo consente, da ciò conseguendone l'accoglibilità della richiesta congiunta delle parti, non essendo emerse ragioni di proscioglimento nel merito che abbiano connotati di evidenza, tali da consentire la declaratoria di una sentenza assolutoria ai sensi del secondo comma dell'articolo 129 c.p.p.. C. Quanto alle modalità remissive nel presente procedimento, la persona offesa Ti.Do., unica denunciante risultante dagli atti, con verbale di remissione, datato 29.02.2023 2024 n.d.r., ha rimesso la querela (rectius le querele - compiegate in copia agli atti - sporte in data 23.05.2018 con integrazione del 25.05.2018 innanzi alla Questura di Roma - Commissariato di P.S. Esposizione - e in data 04.03.2019) innanzi alla Legione Carabinieri Campania - Tenenza di Pagani - nei confronti dell'imputato presso la Legione Carabinieri Campania - Tenenza di Pagani, mentre l'imputato ha accettato la remissione di querela, sempre presso la Legione Carabinieri Campania - Tenenza di Pagani -, come da appositi verbali versati agli atti, determinando in questo modo la possibilità che si producano gli effetti previsti dall'art. 152, comma 1, c.p. Sussistono, dipoi, anche i requisiti formali per la validità della dichiarazione remissoria e della successiva accettazione, in quanto provenienti dai soggetti legittimati - rispettivamente la persona offesa e l'imputato -, previo accertamento della identità dei sottoscrittori, come da verbali in atti. In ordine, poi, alla validità dell'operata remissione di querela nelle forme di cui al compendiato verbale di remissione di querela, importa evidenziare come, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, risulta essere idonea, ai fini estintivi del reato, la remissione di querela operata dinanzi agli ufficiali di P.g. e raccolta in apposito verbale, atteso che, alla stregua di un'interpretazione sistematica, può ritenersi applicabile la disciplina prevista dal combinato disposto di cui agli articoli 152 c.p. e 340 c.p.p., contemplanti la predetta modalità, riconducibile al novero della cosiddetta remissione di querela "processuale" vedasi Cassazione penale, sezione V -, sentenza n. 3034 del 17/12/2020 Ud. (dep. 25/01/2021) Rv. 280258 - 02 ed il correlato principio di diritto per cui In tema di atti persecutori, è idonea ad estinguere il reato non solo la remissione di querela ricevuta dall' autorità giudiziaria, ma anche quella effettuata davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l'art. 612-bis, comma quarto, cod. pen., facendo riferimento alla remissione "processuale", evoca la disciplina risultante dal combinato disposto dagli artt. 152 cod. pen. e 340 cod. proc. pen., che prevede la possibilità effettuare la remissione anche con tali modalità. Le spese del procedimento, in mancanza di diverso accordo inter partes, secondo la regola principale fissata dal legislatore nell'ultimo comma dell'art. 340 c.p.p., come modificato dalla L. n. 205 del 1999, vanno poste a carico del querelato. D. Da ultimo, ai sensi degli articoli 544, primo comma e 545, secondo comma, c.p.p. viene redatta motivazione contestuale, che viene esposta in forma riassuntiva. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica; - letti ed applicati gli articoli 129 c.p.p., 152 c.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di Ba.Sa., in relazione al reato a lui ascritto in rubrica essendo lo stesso estinto per remissione di querela. - letto ed applicato l'articolo 340, comma 4, c.p.p., pone a carico del querelato le spese del procedimento. Motivazione contestuale, ex articolo 544, primo comma e 545, secondo comma, c.p.p.. Così deciso in Nocera Inferiore il 10 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica udienza del 4 aprile 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giuncarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. Massimo Vigilante, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: Br.Gi. n. a P. il (...), residente in S. alla M. d'U. n. 102, isolato 13, detenuto in carcere per altra causa, già presente, rinunciante a comparire all'ultima udienza; difeso di fiducia dall'Avv. Ge.De., assente, sostituito ex art. 97 co. 4 c.p.p. dall'Avv. Lu.Pa.; IMPUTATO Ve di foglio allegato. IMPUTATO Del delitto p. e p. dall'art. 385 c.p. perché, essendo in stato di detenzione presso la propria abitazione, sita in Via M. D. 102, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, a seguito dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore in data 14.08.2023, nell'ambito del procedimento n.3269/2020/21 R.G.N.R. 2347/2023/21 R.G. GIP, se ne allontanava, trattenendosi al di fuori di essa; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In data 11.10.2023 Br.Gi. veniva presentato innanzi a questo Tribunale per la convalida dell'arresto in flagranza e per il contestuale giudizio direttissimo in ordine al reato a lui ascritto in rubrica. Convalidato l'arresto ed instauratosi il giudizio direttissimo, la Difesa chiedeva concedersi un termine per valutare l'accesso ad un eventuale rito alternativo ai sensi dell'art. 558 comma 7 c.p.p.. Nella sessione del 21.12.2023 l'imputato presente, conferiva procura speciale al sostituto processuale del difensore di fiducia, e chiedeva personalmente di accedere al giudizio abbreviato; il Tribunale, in accoglimento dell'istanza, disponeva la trasformazione del rito nelle forme di cui agli arti. 438 e ss c.p.p. e acquisiva il fascicolo del P.M.. All'udienza del 29.02.2024 la trattazione era differita per legittimo impedimento del difensore, con sospensione dei termini di prescrizione per 21 gg. La seduta del 21.03.2024 veniva rinviata per adesione del difensore all'astensione proclamata dall'Unione Camere Penali, con sospensione dei termini di prescrizione per giorni 14. Nell'ultima udienza del 04.04.2024 aveva luogo la discussione: le parti rassegnavano le conclusioni in epigrafe trascritte e il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza, con riserva del deposito delle motivazioni in giorni 30, atteso il carico di ruolo. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Premessa in rito. Preliminarmente, quanto al rito prescelto, si ricorda che il giudizio abbreviato viene comunemente definito un procedimento a "prova contratta" in cui le parti, abdicando all'istruzione dibattimentale, accettano che la regiudicanda sia definita allo stato degli atti. E un "patteggiamento sul rito" e la scelta processuale implica l'accettazione delle risultanze delle indagini confluite nel fascicolo del P.M., con facoltà di utilizzazione di tutti gli atti acquisiti in tale fase, fermo restando il potere del giudice, quale garante della legalità del procedimento probatorio (cfr. Cass, pen., SS.UU., sentenza n. 16/2000, T.), di negare l'utilizzabilità degli atti probatori assunti contra legem, ovvero affetti da inutilizzabilità patologica, che ne preclude l'utilizzazione in modo assoluto in tutte le fasi del procedimento, non solo nel processo. Piuttosto, nel giudizio abbreviato il negozio introduttivo attribuisce agli atti di indagine preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie. È utile poi ricordare che l'accesso al rito premiale, con le modalità di cui al comma primo dell'art. 438 c.p.p., rappresenta un diritto dell'imputato il cui esercizio dipende esclusivamente dalla sua volontà, ferma restando per il giudice la sola facoltà officiosa di cui all'art. 441 comma 5 c.p.p.. Diversamente, qualora la scelta del giudizio abbreviato sia condizionata all'assunzione di prove, il giudice è chiamato ad una valutazione di rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione e di compatibilità della stessa con le esigenze di economia sottese al rito contratto. Nell'odierno procedimento la richiesta è stata formulata nell'interesse dell'imputato senza condizionamenti probatori, e dunque l'ammissione al rito costituisce esplicazione di un diritto non negabile, vista la tempestività dell'istanza. 2. La ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione. La valutazione degli atti contenuti nel fascicolo del P.M., consentita dalla scelta del rito a prova contratta, consente al Tribunale una chiara cognizione dei fatti in contestazione, sostanzialmente autoevidenti. Ciò anche in forza dei contributi offerti dall'imputato il quale, nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, ha sostanzialmente ammesso gli addebiti. Dal verbale di arresto in flagranza redatto dai CC della Tenenza di Scafati in data 10.10.2023, dalla documentazione ad esso allegata, e dalla relazione orale dell'operante Vice Brig. G.V. all'udienza di convalida, si ricava una dinamica fattuale nitida e incontroversa, vista anche l'assenza di elementi contrari, non introdotti in giudizio dall'imputato e non emergenti ex actis. Nessun dubbio si nutre sull'affidabilità di quanto riportato negli atti redatti dalla P.G., non essendovi motivi per sospettare intenzioni calunniose o strumentali da parte degli operanti, che hanno conosciuto dei fatti solo in ragione delle funzioni istituzionali esercitate e in assenza di interessi personali. La precisione nella descrizione degli accadimenti ne avvalora il giudizio di intrinseca attendibilità. Tra l'altro, la semplicità della vicenda ne agevola l'interpretazione, non lasciando spazi per recondite spiegazioni all'evidenza dei fatti. Pertanto, si può ritenere pacificamente dimostrata la seguente dinamica fattuale. Nel pomeriggio del 10.10.2023, i CC della Tenenza di Scafati, nel corso di servizio di pattuglia - in abiti civili e con autovettura con targa di copertura - alle ore 17.30 circa, transitavano in via B. e notavano giungere a piedi, nel senso opposto di marcia, un soggetto di sesso maschile che subito riconoscevano in Br.Gi., noto agli operanti in quanto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, giusto provvedimento nr. 3269/2023 R.G.N.R. e nr. 2347/2023 R.G. G.I.P. emesso dal Tribunale - Ufficio G.I.P. - di Nocera Inferiore (SA) in data 14.08.2023. Il B., che sopraggiungeva a piedi nella direzione opposta ai militari, alla loro vista, chinava la testa e cercava di non farsi riconoscere, abbassando il cappellino tipo basket, di colore nero, che indossava sul capo, sino a coprire il volto; al contempo, cercava a passo svelto di guadagnare la fuga ed eludere il controllo. Gli operanti, scesi immediatamente dall'autovettura, si avvicinavano all'imputato e, dopo essersi qualificati esibendo il distintivo di ordinanza, gli intimavano di fermarsi chiedendo spiegazioni circa la sua presenza in loco. Il B. non forniva alcuna valida motivazione, limitandosi ad asserire si stava recando dalla compagna I.G. per farsi dare 10,00 euro. Veniva quindi invitato a salire a bordo dell'autovettura dei CC e condotto presso gli uffici per gli adempimenti di rito. Tenuto conto del comportamento dell'imputato, che aveva cercato di eludere il controllo, della notevole distanza ove era stato trovato rispetto alla sua abitazione, dalla pericolosità sociale desunta dai precedenti di polizia a carico, la P.G. procedeva all'arresto facoltativo del Br.Gi. per il delitto di cui all'alt. 385 c.p. L'arresto veniva in seguito convalidato da questo Tribunale con ordinanza dell'11.10.2023. 3. La configurabilità del reato ascritto. L'editto accusatorio contesta Br.Gi. il reato di cui all'art. 385 c.p., "perché, essendo in stato di detenzione presso la propria abitazione, sita in Via M. D. 102, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, a seguito dell 'ordinanza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore in data 14.08.2023, nell'ambito del procedimento n. 3269/2020/21 R.G.N.R. e n. 2347/2023 R.G. Gip, se ne allontanava, trattenendosi al di fuori di essa. In Scafati, il 10.10.2023". Le emergenze appena riassunte riscontrano pienamente l'imputazione elevata dal P.M., non sussistendo alcun ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato. La fattispecie incriminatrice di cui all'art. 385 c.p. punisce, con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade. La disposizione risulta espressamente applicabile anche ai casi in cui l'allontanamento dal luogo di restrizione riguardi soggetti che si trovino in stato di arresto nella propria abitazione, così come sancito dalla clausola di equivalenza prevista dal comma 3 dell'art. 385 c.p.. Sotto il profilo della condotta tipica, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che "integra il reato di evasione qualsiasi allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiate" (cfr. Cass, pen., Sez. 6, sentenza n. 11679 del 21/03/2012). In particolare, agli effetti dell'art. 385 c.p., "deve intendersi, per abitazione, il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante, al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell 'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della alcatorietà (cfr. Cass, pen., Sez. 6, sentenza n. 4830 del 21/10/2014). Nel caso di specie, il B. - legalmente ristretto in regime di arresti domiciliari presso la sua abitazione sita in S. alla Via M. D. n. 102, isolato 13, in forza della misura cautelare disposta con ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Nocera Inferiore, emessa in data 14.08.2023 nell'ambito del p.p. n. 3269/2023 R.G.N.R.- n. 2347/2023 R.G. G.i.p. - si è allontanato senza alcun valido motivo dal luogo di custodia. I provvedimenti acquisiti al fascicolo processuale dimostrano infatti l'efficacia del titolo custodiale extramurario, emesso circa due mesi prima della riscontrata evasione, nonché la mancanza di qualsivoglia autorizzazione dell'A.G. all'allontanamento dal domicilio coatto. Al presupposto statico del delitto contestato segue l'inequivocabile dimostrazione della componente dinamica, ovvero della condotta evasiva, essendosi accertato che, alle ore 17:30 circa del 10.10.2023 il B. si trovava al di fuori della propria abitazione, senza che ricorresse alcuna condizione esimente, non potendosi di certo ritenere tale l'asserzione di essersi recato dalla fidanzata per chiedere del denaro per acquisti personali. A nulla rilevano pertanto le dichiarazioni confessorie dell'imputato rese nel corso dell'udienza di convalida dell'arresto, apparendo le stesse strumentali e poco convivente, oltre prive di qualsiasi riscontro probatorio, e non legittimanti la condotta evasiva neppure se date per vere. La trasgressione alla misura detentiva non appare in alcun modo giustificata, non sussistendo esimenti che elidano l'antigiuridicità della condotta. Evidente è anche la sussistenza dall'elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice, apparendo chiaro che l'imputato si sia consapevolmente allontanato dal luogo di restrizione domiciliare nonostante il titolo custodiale in vigore, e che si sia volontariamente sottratto al regime detentivo. Non a caso, alla vista dei CC, l'imputato ha provato a camuffarsi il volto e a non farsi riconoscere. Inoltre, la confessione del B. dimostra come fosse più che consapevole della restrizione alla libertà personale a suo carico. Si ravvisa pertanto il dolo generico presupposto dall'art. 385 c.p., non rilevando i motivi per i quali l'agente si sia allontanato dal luogo di restrizione domiciliare; motivi che, nel caso di specie, non assumono alcun rilievo esimente neppure sul versante psicologico, anche nella remota ipotesi che fosse vera la tesi del B. di essere uscito per recarsi dalla fidanzata a chiedere del denaro. Chiara in proposito è la giurisprudenza di legittimità secondo cui, "nel reato di evasione dagli arresti domiciliari il dolo è generico e consiste nella consapevole violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente" (cfr. Cass, pen., Sez. 6, Sentenza n. 10425 del 06/03/2012). Le motivazioni della condotta al vaglio entrano poi nella valutazione di gravità, contribuendo ad escludere l'operatività della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. di cui difettano tutti gli indici-criteri ed indici-requisiti. Al riconoscimento ostano, in particolare, le modalità del fatto, che non appare di minima offensività; occorre infatti considerare che il B., è stato trovato a distanza notevole dalla sua abitazione, pari ad oltre 1 Km secondo i CC, su una strada pubblica ed intento ad allontanarsi ulteriormente. Alla vista dei militari, ha provato ad eludere il controllo, ovvero ad approfondire ulteriormente l'offesa al bene giuridico consumatasi all'istante dell'evasione, protrattasi a quanto pare per un lasso di tempo considerevole. Inoltre, nell'ambito degli indici-criteri dell'art. 131 bis c.p., deve rimarcarsi la non occasionalità del comportamento, visto che in data 06.10.2023 e 28.02.2023, l'imputato è stato deferito per analoghi delitti di evasione, non venendo trovato dai CC nella sua abitazione, e ciò a seguito di svariati tentativi di citofonata alla porta, privi di risposta. 4. II trattamento sanzionatorio. Affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto ascritto, si impone un'adeguata dosimetria del trattamento sanzionatorio, nell'ottica delle finalità rieducative e risocializzanti della pena. Preliminarmente, si ritiene di non poter riconoscere al B. le attenuanti generiche, non ravvisandosi alcun elemento suscettibile di positivo apprezzamento da parte del Tribunale: la violazione al titolo custodiale non è stata occasionale, viste le segnalazioni precedenti, né animata da motivi di alcun valore. Non può poi valorizzarsi oltremodo l'assenza di ima biografia criminale strutturata poiché, pur essendo l'imputato allo stato incensurato, come da casellario giudiziale in atti, lo stesso è sottoposto a plurimi procedimenti in corso per gravi reati; parimenti non può essere enfatizzata la confessione in giudizio, resa a fronte di un quadro di flagranza incontestabile. Merita, piuttosto, considerazione negativa il comportamento tenuto alla vista dei CC, e il tentativo di dileguarsi, protraendo così i tempi dell'evasione. Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., tenuto conto in particolare dell'entità dell'allontanamento, non limitato alle vicinanze dell'abitazione, delle modalità e della presumibile durata dello stesso, ma anche dell'intensità del dolo, attestante una certa pervicacia delinquenziale nel medesimo senso offensivo, della capacità a delinquere, desunta dai futili motivi alla base dell'evasione e dell'indole criminale manifestata, il Tribunale stima equa la pena finale mesi otto di reclusione determinata applicando al minimo edittale di anni uno di reclusione la riduzione di 1/3 per la scelta del rito abbreviato. Alla condanna segue per legge il pagamento delle spese processuali. All'imputato può essere concessa la sospensione condizionale della pena, non avendone egli beneficiato in passato e potendosi formulare un giudizio prognostico favorevole circa la futura astensione dalla commissione di ulteriori delitti. P.Q.M. Letti gli artt. 438-533-535 c.p.p., DICHIARA Br.Gi. colpevole del reato a lui ascritto e, applicata la diminuzione prevista per la scelta del rito, lo condanna alla pena finale di mesi otto (8) di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 163 e ss. c.p., sospende la pena inflitta a Br.Gi. a termini e condizioni di legge. Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p., indica in giorni 30 il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Nocera Inferiore il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore -I Collegio, nelle persone dei Giudici: Dott.ssa Cinzia Apicella, - Presidente; Dott. Giuseppe Palumbo, - Giudice; Dott. Federico Noschese, - Giudice estensore; alla pubblica udienza del 3 aprile 2024, con l'intervento del Pubblico Ministero Dott. Marco Fiorillo e con l'assistenza del Cancelliere, Dott. Massimo Vigilante, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: Ce.Pa., n. a N. I. il (...), ivi residente alla Via A. B. n. 62, libero assente; difeso di fiducia dagli Avv.ti Ma.Ma. e An.Ro., entrambi presenti; IMPUTATO Vedi foglio allegato. IN ORDINE AL SEGUENTE REATO delitto p. e p. dall' artt. 314 c.p. perché, avendo, per ragioni del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità il dispositivo fax, perché incaricato di pubblico servizio, collaboratore coordinato continuativo, per fini personali e non istituzionali, disattentendo il regolamento interno scolastico, attraverso il dispositivo fax scolastico e linea telefonica per inviare un contratto, falsamente compilato, all'operatore telefonico "W." SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio, emesso dal G.U.P. in data 17.06.2020, Ce.Pa. era tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato ascritto in epigrafe. Nella prima udienza dell'11.11.2020 il procedimento era differito per la necessità di regolarizzare la notifica del decreto introduttivo all'imputato e alla persona offesa. Nella sessione del 10.03.2021, dichiarata l'assenza dell'imputato, ritualmente avvisato a mani proprie e non comparso senza cause note di impedimento, ed integratosi il contraddittorio, Il Tribunale rigettava l'eccezione preliminare della Difesa, che chiedeva riqualificarsi la contestazione in peculato d'uso e dichiararsi l'intervenuta prescrizione, non ravvisando i presupposti per l'immediata emissione di sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p.. Nella seduta del 14.07.2021 si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano i mezzi di prova; di seguito, veniva escusso il teste dell'Accusa Ma.Gi.. All'assise del 09.02.2022, rinnovata l'istruttoria per la mutata composizione del Collegio, e data lettura dei verbali di prova assunti in diversa composizione, senza richieste delle parti di nuova audizione delle fonti orali già esaminate, veniva sentito il teste Ma.Gi.. Il P.M., dopo le prime domande, rinunciava al suo esame, e la Difesa al suo controesame. Nella seduta dell'08.06.2022 rinnovata l'istruttoria per la mutata composizione del Collegio, e data lettura dei verbali di prova assunti in diversa composizione, senza richieste delle parti di nuova audizione delle fonti orali già esaminate, veniva escusso il teste Me.Ra., acquisendo la documentazione menzionata durante la testimonianza. Il Tribunale rigettava poi l'opposizione della Difesa circa l'acquisizione dei supporti DVD contenenti registrazioni fonetiche tra privati, ricordando la natura documentale della prova. All'assise del 14.12.2022 il processo era rinviato per assenza dei testi della Difesa. Nella sessione del 07.06.2023 veniva escusso il teste Ro.Lu.; la Difesa dava seguito all'anticipata rinuncia al teste Ru.Vi., non dando prova della sua citazione per la seconda udienza consecutiva. La seduta del 29.11.2023 veniva rinviata per esigenze di ruolo. All'udienza del 07.02.2024 si differiva la trattazione per adesione dei difensori all'astensione indetta dall'Unione Camere Penali Italiane (con sospensione dei termini di prescrizione per giorni 55). Nell'ultima udienza del 03.04.2024 si dichiarava conclusa l'istruttoria e si dava lettura mediante indicazione ex art. 511 comma 5 c.p.p. degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento. Aveva luogo la discussione e le parti rassegnavano le rispettive conclusioni, così come trascritte in epigrafe. Il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza, con riserva di deposito delle motivazioni nel termine di giorni trenta, atteso il carico di ruolo. MOTIVI DELLA DECISIONE 1.I risultati acquisiti all'esito dell'istruzione dibattimentale consegnano al Tribunale un quadro chiaro e sostanzialmente incontroverso della vicenda, quanto meno nell'ambito ristretto dell'imputazione per cui si procede. Gli elementi a carico dell'odierno imputato, plurimi, gravi, precisi e tra loro concordanti ex art. 192 comma 2 c.p.p., dimostrano al di là di ogni ragionevole dubbio contrario la responsabilità per il fatto storico ascritto, ferma restante la necessità di dare ad esso una diversa qualificazione giuridica, rispetto a quanto ipotizzato dal P.M., come si vedrà in seguito. All'univocità dell'impianto accusatorio si contrappone la mancanza di dati a discarico, non introdotti in giudizio dal C., che neppure ha mai negato gli addebiti, e non emergenti ex actis dall'audizione dell'unico teste di cui la Difesa ha chiesto l'escussione non sono emersi elementi che facciano dubitare della attribuibilità della condotta delittuosa all'imputato e per il resto la strategia difensiva, fallito il tentativo di ottenere una riqualificazione della fattispecie contestata in peculato d'uso, da dichiararsi estinta ex art. 129 c.p.p. in limine litis, si è esaurita in sterili opposizioni agli atti d'indagine. Quest'ultimi, illustrati nel loro contenuto dal Isp. Me.Ra. - escusso all'udienza dell'08.06.2022 - conducono con sufficiente precisione all'accertamento delle condotte illecite commesse dal Ce.Pa., e l'affidabilità degli esiti istruttori è avvalorata dall'oggettività documentale degli snodi investigativi e dalla irripetibilità degli atti maggiormente salienti. Premessa la marginalità delle testimonianze degli operatori di P.G. Ma.Gi. e Ma.Gi., che non hanno reso contributi utili, la ricostruzione dei fatti ben può seguire il percorso tracciato dall'Isp. M., teste della cui credibilità soggettiva non vi è motivo di sospettare - trattandosi di un pubblico ufficiale che ha conosciuto della vicenda nell'espletamento delle sue funzioni istituzionali, in assenza di rapporti personali o interessi ultronei al giudizio - e risultato intrinsecamente attendibile nella narrazione degli sviluppi investigativi, visto anche l'ausilio dei documenti consultati e acquisiti al fascicolo del dibattimento. Il presente procedimento - incardinato per il delitto di cui all'art. 314 c.p. - nasce da una serie di segnalazioni di illeciti di altra natura: in particolare, nell'anno 2012, tale D.L., denunciava (in tre occasioni, risalenti al 16.02.2012,20.02.2012 e 14.04.2012) che ignoti avevano stipulato a suo falso nome dei contratti di telefonia mobile con le compagnie Vodafone, W. e H3G. Esibiva pertanto la documentazione contrattuale, di cui disconosceva la firma, e consegnava un videofonino (palmare touch-screen marca Samsung Galaxy Yung IMEI n. (...); cfr. verbale di acquisizione cose pertinenti al reato del 22.02.2012), fornito dalla Vodafone in corrispettivo di un abbonamento di fatto mai realmente sottoscritto dal denunciante. Il D. riceveva poi varie fatture emesse dalle compagnie telefoniche citate (cfr. documentazione acquisita all'udienza dell'08.06.2022) nonché delle schede sim rilasciate dalla W. (n. 4 schede sim, recanti nn. (...), (...), (...) e (...); cfr. verbale di acquisizione cose pertinenti al reato del 22.02.2012) e parimenti disconosceva tutti i rapporti sottostanti. La P.G. acquisiva allora i moduli contrattuali detenuti in copia dalla W., ed appurava l'esistenza di una autocertificazione ex artt. 45 - 46 D.P.R. n. 445 del 2000, in cui il sedicente D.L. chiedeva che la consegna delle schede sim avvenisse ad un indirizzo diverso dalla sede della società amministrata - L.D. Impianti, con sede in S. alla Via P. n. 71 - ovvero presso la residenza anagrafica di N. I., Via B. n. 71 (cfr. documentazione prodotta dal P.M. all'udienza dell'08.06.2022). Veniva eseguita una perquisizione domiciliare presso l'indirizzo indicato, e ivi si constatava la presenza del Ce.Pa. e del suo nucleo familiare (la moglie e la figlia); presenza che corrispondeva alle risultanze dell'ufficio Anagrafe e che superava il mancato aggiornamento della scheda della carta d'identità, riportante la precedente residenza in N. S., alla Via B. n. 62 (cfr. verbale stenotipico dell'08.06.2022: P.M. - Tra gli altri luoghi nell'immobile di Via B. n. 71? TESTE M. - Esatto. P.M. - Che risultava nella disponibilità di chi? TESTE M. - Di Ce.Pa.. ...P.M. - Quindi è risultato che a Via B., N. 71 fosse residente chi? TESTE M. - Fosse residente la moglie e la figlia formalmente, anche se poi al momento della perquisizione lui dichiarava di abitare lì, perché di fatto dalla scheda della carta di identità in realtà lui risultava residente in Via B. n. 62, solo che nell'anno 2012 l'abitazione di Via B., n. 62, originariamente occupata dalla madre del signor C. era stata di fatto venduta ad un Avvocato, io non ricordo il nome di questo Avvocato, da noi è stato sentito l'Avvocato e lui ha dichiarato in maniera spontanea che effettivamente ... ... P.M. - Glielo posso mostrare in visione, per vedere se è quello che avete acquisito? Avvocato, è l'allegato 17 della produzione documentale. Ci può dire che residenza risulta? PRESIDENTE - Risponda al microfono, perché non abbiamo sentito. Diamo atto che il teste riconosce... TESTE M.- Via A. B., N. 71 e riconosco l'atto che ha esibito il Pubblico Ministero come quello che abbiamo acquisito nel corso delle indagini.). Dall'analisi dei contratti trasmessi dalla W. per l'attivazione degli abbonamenti si rilevavano un indirizzo e-mail e un numero di cellulare (n. (...)) intestato a Ce.Pa., indicato come recapito di riferimento del contraente; nel corso della perquisizione, eseguita il 06.06.2012 (cfr. verbale acquisito al fascicolo del dibattimento) si appurava che il telefonino relativo al numero indicato era in uso all'imputato. Ulteriormente, si constatava che i moduli dei contratti siglati con la W. erano stati tramessi a mezzo fax, in data 10.02.2012, utilizzando il numero del Liceo Scientifico Sensale di Nocera Inferiore (n. (...)), presso cui il C. lavorava in qualità di A.T.A., con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Nel margine della documentazione contrattuale era anche leggibile il rapporto di trasmissione del fax, e il medesimo veniva rinvenuto presso l'abitazione del C., unitamente ad altri rapporti di trasmissione fax, derivanti dall'utilizzo del medesimo apparecchio dell'istituto verso il numero ricevente della W. (...), risalenti al 03.10.2011, 01.10.2011, 03.10.2011 (cfr. verbale stenotipico dell'08.06.2022: TESTE M. - La trasmissione alla società W., della richiesta e quindi del contratto sottoscritto, è avvenuta attraverso un fax che è risultato essere intestato al Liceo Scientifico Sensale di Nocera Inferiore. P.M. - Come l'avete accertata questa circostanza? TESTE M. - L'abbiamo accertata, perché siamo andati, abbiamo fatto un accertamento anagrafico al numero di telefono, una normalissima operazione di P.G. PRESIDENTE - E risultava il numero di fax del Liceo Sensale? TESTE M. - Esatto. P.M. - Senta, ma nel margine alto della documentazione che vi è stata esibita c 'era il rapporto di trasmissione del fax? TESTE M. - Sì, anche perché poi lo stesso rapporto di trasmissione fax, che è stato fornito da W. in sede di acquisizione documentale, è stato ritrovato anche in seguito alla perquisizione domiciliare effettuata presso l'abitazione di Ce.Pa.. PRESIDENTE -E' stato trovato lì? TESTE M. - Sì, è stato trovato anche nella disponibilità di Ce.Pa. ed è stato sequestrato e fornito come ulteriore elemento di riscontro oltre che di prova sostanziale a seguito della perquisizione disposta dal P.M. con decreto.', cfr. verbale di perquisizione domiciliare e sequestro del 06.06.2012; cfr. documentazione afferente al contratto siglato dal sedicente D.L. visionata dal teste nel corso della testimonianza ed acquisita al fascicolo del dibattimento nella sessione dell'08.06.2023). Gli inquirenti eseguivano pertanto delle indagini presso l'istituto scolastico ed appuravano l'inquadramento del C. tra il personale amministrativo (con contratto di collaborazione coordinata e continuativa c.d. "co.co.co."), nonché la sua presenza in ufficio nel giorno e nell'ora dell'invio del fax contenente l'accettazione della proposta contrattuale della W. a firma del sedicente D.L., acquisendo copia dei registri di presenza (cfr. documentazione prodotta dal P.M. all'udienza dell'08.06.2022). Nel prosieguo delle investigazioni il D. disconosceva tutti gli abbonamenti siglati a suo falso nome, e la P.G., oltre alle copie cartacee inoltrate dalla W., acquisiva la registrazione dei contratti conclusi mediante conversazione telefonica con le altre compagnie. 2. Le emergenze istruttorie appena riassunte devono ora confrontarsi con l'imputazione formulata dal P.M., che ha accusato Ce.Pa. del delitto p. e p. dall'art. 314 c.p. "perché, avendo, per ragioni del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità del dispositivo fax, perché incaricato di pubblico servizio, collaboratore coordinato continuativo, per fini personali e non istituzionali, disattendendo il regolamento interno scolastico, attraverso il dispositivo fax scolastico e linea telefonica per inviare un contratto, falsamente compilato, all'operatore telefonico "W.". Commesso in Sarno, il 10.02.2012". La contestazione, così strutturata, tradisce già in astratto una debole configurabilità del reato ascritto che, all'esito dell'istruzione dibattimentale, deve essere riqualificato nella fattispecie di cui all'art. 323 c.p., maggiormente rispondente alle caratteristiche del fatto accertato. La giurisprudenza di legittimità, da tempo, ha tracciato il confine tra le figure incriminatrici del peculato, del peculato d'uso e dell'abuso d'ufficio (cfr. Cass., SS.UU., sentenza n. 19054/2013). Nella sua originaria formulazione, la condotta di peculato si articolava in due forme, l'appropriazione e la distrazione. Con la riforma introdotta dalla L. 26 aprile 1990, n. 86, si è formalmente soppressa l'ipotesi della distrazione a profitto proprio o di altri, è stato abrogato il delitto (di cui all'art. 315 c.p.) di malversazione a danno di privati (rifluito nella modificata fattispecie di peculato), ed è stato introdotto, al comma secondo dell'art. 314 c.p., il peculato d'uso, costituente autonoma fattispecie (cfr. Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 14040/2015: "la figura delittuosa del peculato d'uso, contenuta nel comma 2 dell'art. 314 c.p., delinea una condotta del tutto autonoma e strutturalmente diversa da quella racchiusa nel 1 comma in quanto l'uso momentaneo, seguito dall'immediata restituzione della cosa, non integra un'autentica appropriazione, che si realizza solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa. Nel peculato d'uso lo scopo perseguito dall'agente costituisce un elemento specializzante che impedisce di inquadrare il fatto nell'alveo del peculato vero e proprio. L'uso momentaneo non significa istantaneo ma temporaneo, ossia protratto per un tempo limitato, così da comportare la sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale ma tale da non compromettere seriamente la funzionalità della P.A. Ai fini della sussistenza del peculato d'uso si ritiene essenziale il rapporto di funzionalità della cosa sottratta, rispetto alla natura dell'uso momentaneo per cui si fa ricorso all'appropriazione. In termini pratici si è ritenuto che l'uso costante, reiterato e protratto nel tempo di un'autovettura, da parte del pubblico funzionario, integra la più grave ipotesi di peculato per appropriazione "). La fattispecie di cui all'art. 314 c.p., in entrambe le sue declinazioni, è notoriamente e plurioffensiva, essendo posta a tutela del buon andamento dell'attività della pubblica amministrazione e del patrimonio della stessa o di terzi; plurioffensività ritenuta generalmente alternativa, con la conseguenza che l'eventuale mancanza di danno patrimoniale non esclude la sussistenza del reato, in presenza delle lesione dell'altro interesse, protetto dalla norma, del buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Cass., SS.UU., sentenza n. 38691/2009). È altresì pacifico che la nozione del previo rapporto del pubblico agente con la res deve essere interpreta in senso più ampio del possesso civilistico ricomprendendovi, oltre alla detenzione materiale, anche la (mera) disponibilità giuridica della cosa. Oggetto materiale del delitto di peculato è il denaro o altra cosa mobile, dovendosi intendere con quest'ultima espressione ogni entità oggettiva materiale, fungibile o infungibile, idonea ad essere trasportata da un luogo all'altro. La condotta tipica si sostanzia invece nella "appropriazione", comportamento di chi fa propria una cosa altrui, mutandone il possesso, con il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo e corrispondenti a quelli riferibili al proprietario. Essa si articola in due momenti: il primo, negativo (c.d. "espropriazione"), di indebita alterazione dell'originaria destinazione del bene; il secondo, positivo (c.d. "impropriazione"), di strumentalizzazione della res a vantaggio di soggetto diverso dal titolare del diritto preminente (cfr. Cass., SS.UU., sentenza n. 19054/2013). Se chiara è la nozione tipica di "appropriazione", ambigua è la rilevanza da attribuire alla condotta di "distrazione", espunta con la riforma del 1990 dall'alveo incriminatrice dell'art. 314 c.p.. Secondo il formante pretorio, con la novella, la distrazione può refluire nell'ambito dell'abuso d'ufficio, ma non in via pedissequa ed automatica: qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate ai soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d'ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell'agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei all'amministrazione. Il peculato d'uso replica strutturalmente lo schema del furto d'uso, essendo connotato dalla finalità dell'agente, quale elemento specializzante rispetto al peculato ordinario, in quanto l'uso momentaneo, seguito dall'immediata restituzione della cosa, non integra un'autentica appropriazione, realizzandosi, quest'ultima, solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa. Si tratta di un abuso del possesso che non si traduce stabile inversione in dominio; l'elemento qualificante e sufficiente è dato piuttosto dalla violazione del titolo dei possesso, che l'agente compie distraendo il bene dalla sua destinazione pubblicistica e piegandolo verso fini personali. In questi termini, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciatesi con sentenza n. 19054/2013, hanno ritenuto integrante il peculato d'uso nella condotta di utilizzo del telefono d'ufficio per ragioni private da parte del pubblico ufficiale, precisando che non sono oggetto di appropriazione definitiva né il bene materiale né l'energia elettrica, necessaria ad attivare le onde elettromagnetiche, né il costo che la pubblica amministrazione sopporta per l'utilizzo indebito del bene, trattandosi di una conseguenza della condotta dell'agente infedele, il quale non ha il previo possesso delle somme corrispondenti all'onere economico che la pubblica amministrazione sostiene per effetto della sua condotta. Parimenti, nel ricondurre il caso alla disposizione di cui all'art. 314 comma 2 c.p., ne hanno escluso la sussunzione nello schema di cui all'art. 323 c.p., "figura formalmente sussidiaria in relazione ai reati più gravi (in ragione della espressa clausola di riserva contenuta nell'Incipit dell'art. 323 cod. pen.), è comunque da considerarsi, rispetto al peculato d'uso, punito con identica pena edittale, e contraddistinto dell'elemento specifico dell'appropriazione temporanea di una res, figura di carattere residuale e non concorrente, in quanto avente genericamente ad oggetto il conseguimento di un ingiusto vantaggio patrimoniale derivante dalla violazione di norme di legge o di regolamento posta in essere dal pubblico agente nello svolgimento delle funzioni o del servizio". Nella diversa ipotesi, analoga a quella per cui si procede, dell'indebito impiego del fax in dotazione all'ufficio per scopi personali, i giudici di legittimità hanno invece ravvisato la configurabilità dell'abuso d'ufficio (cfr. Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 22800/2016): "premesso che in tema di peculato l'appropriazione si realizza con l'inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente uti dominus nei confronti della cosa posseduta in ragione dell'ufficio, che conseguentemente viene estromessa totalmente dal patrimonio dell'avente diritto, nel caso in esame non è ravvisabile il peculato, mancando la definitiva perdita del bene da parte della pubblica amministrazione, in quanto sia sul piano oggettivo che soggettivo è emerso che l'imputato ha solo fatto un uso indebito del fax dell'ufficio, distogliendolo temporaneamente dalla sua destinazione originaria per fini personali. ... Chiarito, altresì, che nel caso in esame l'imputato utilizzava in modo programmaticamente momentaneo il fax dell'ufficio per scopi privati e che l'abuso del possesso del bene della pubblica amministrazione non si è tradotto nella stabile inversione in dominio, in quanto, dopo l'uso arbitrario, il bene è stato restituito alla sua destinazione pubblicistica originaria, nella fattispecie non solo va esclusa la configurabilità del peculato ma anche del peculato d'uso per mancanza di concreta offensività del fatto. Per la rilevanza penale del fatto occorre sempre che l'uso indebito produca un apprezzabile danno al patrimonio della p. a. o di terzi o una concreta lesione della funzionalità dell'ufficio, non ravvisabili nella fattispecie in ragione della minima entità del danno cagionato, neppure quantificato. Tuttavia, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la condotta non è penalmente irrilevante, residuando l'abuso d'ufficio quale cornice legale nella quale sussumerla. Infatti, come già precisato da questa Corte, mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell'appropriazione di danaro o altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio - onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell'appropriazione -, nell'abuso di ufficio - di carattere sussidiario - la condotta si identifica con l'abuso funzionale, cioè con l'esercizio delle potestà e con l'uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l'esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno" (cfr. Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 20094/2011). Si è, altresì, affermato che "integra il delitto di abuso d'ufficio la condotta del pubblico dipendente di indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell'avente diritto" (cfr. Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 14978/2009). Pertanto, stando alle coordinate ermeneutiche appena richiamate, qualora il comportamento infedele del pubblico ufficiale, comportante un utilizzo delle risorse messe a sua disposizione dall'ufficio per finalità estranee a quelle istituzionali, non determini un effettivo pregiudizio ad uno dei due beni giuridici alternativamente tutelati dall'art. 314 c.p., primo e secondo comma, la condotta, pur inoffensiva nell'ottica del peculato lo rimane in quella diversa e sussidiaria dell'abuso d'ufficio, norma che presidia uno stadio diverso e più arretrato degli interessi al buon andamento e all'imparzialità della pubblica amministrazione. 3. Proprio nella fattispecie ex art. 323 c.p. deve riqualificarsi la condotta delittuosa ascritta all'odierno imputato. Limitando necessariamente la cognizione all'episodio contestato, avvenuto in data 10.02.2012, e non agli utilizzi che il C. può aver fatto in epoca antecedente, di cui parimenti è emersa prova nel corso dell'istruttoria, appare dimostrato, con sufficiente certezza, che l'imputato, nella fattispecie al vaglio, abbia indebitamente impiegato il fax dell'istituto scolastico ove lavorava per finalità private, tra l'altro di per sé illecite, avendo trasmesso - con lo strumento in dotazione all'ufficio - alla compagnia telefonica W. i moduli contrattuali da lui sottoscritti sostituendosi al D.L., al fine di beneficiare fraudolentemente dei servizi di abbonamento. La prova che sia stato il C. ad utilizzare il fax nella giornata del 10.02.2012 emerge, con chiarezza, dalla convergenza di plurimi indizi, gravi e precisi: il fax alla società W. è stato inviato da un apparecchio del Liceo Scientifico Statale N. Sensale, di Nocera Inferiore, presso cui l'imputato lavorava, in qualità di personale A.T.A. (Ausiliario Tecnico e Amministrativo), con contratto di collaborazione coordinata e continuativa; il C., come desumibile implicitamente anche dalle dichiarazioni del teste della Difesa Ro.Lu., che ha riferito di un lavoro di segreteria dell'imputato, aveva l'accesso al fax, sebbene in via non esclusiva, e, stando al registro di presenze, risultava in servizio nella giornata del 10.02.2012; dalla documentazione acquisita all'udienza dell'08.06.2022 si rileva l'inoltro, in data 13.02.2012, di un'autocertificazione, a mezzo del medesimo fax, con sui il sedicente D.L. chiedeva la consegna delle schede W. ordinate e dei terminali abbinati in Nocera Inferiore, alla Via B. n. 71, ove si trovava l'abitazione familiare del C., prospettando una residenza anagrafica diversa da quella dell'apparente firmatario dei contratti; nel corso della perquisizione domiciliare del 06.06.2012, presso la suddetta abitazione, in cui dimorava effettivamente l'imputato, venivano rinvenuti ulteriori trasmissioni, a mezzo del medesimo fax dell'istituto scolastico, di analoghe autocertificazioni volte a dirottare la consegna dei prodotti telefonici acquistati. Alla concordanza degli elementi indiziari appena richiamati si contrappone infine la completa mancanza di spiegazioni alternative, non introdotte in giudizio neppure come mere allegazioni da parte dell'imputato. Quest'ultimo, per le mansioni esercitate all'interno dell'istituto scolastico, rivestiva la qualità di incaricato di pubblico servizio, che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto a tutto il personale A.T.A., in considerazione dello svolgimento, ai sensi dell'art. 358 comma 2 c.p., di un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima (Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 5543/2000). Il ruolo assunto dal C. e, soprattutto, le funzioni espletate come dipendente amministrativo del Liceo Scientifico Statale N. Sensale di Nocera Inferiore - a prescindere dalla formula contrattuale di assunzione come co.co.co. - lo rendevano soggetto attivo legittimato al reato di cui all'art. 323 c.p.; reato che, per le ragioni in precedenza esposte, si è configurato attraverso la distrazione del fax dell'ufficio a scopi privati, allorché l'imputato lo ha utilizzato per inoltrare alla compagnia telefonica W. i moduli contrattuali falsificati a nome del D.L.. L'utilizzo del fax è stato reiterato, ad onta della contestazione del solo episodio del 10.02.2012, ma, anche focalizzando l'attenzione su quest'ultima condotta, il delitto può ritenersi sufficientemente integrato, essendosi manifestata l'offesa tipica all'interesse presidiato dall'art. 323 c.p.: è ragionevole affermare che l'impiego del fax per finalità non istituzionali abbia sottratto la risorsa alla disponibilità dell'amministrazione scolastica, e degli altri dipendenti che condividevano lo strumento con il C., quanto meno per il tempo necessario alla trasmissione dei documenti illeciti di suo interesse, privando al contempo l'istituto della possibilità di ricevere eventuali comunicazioni destinate all'ufficio. La sottrazione del fax, piegato per il tempo necessario all'espletamento dell'incombenza a scopi personale, ha cagionato una lesione al buon andamento dell'amministrazione scolastica, di entità minima, ma sufficiente ad integrare la tipicità della fattispecie. Non vi è dubbio poi che la condotta sia avvenuta in violazione di legge e dei regolamenti che disciplinano l'impiego delle risorse pubbliche da parte dei dipendenti, non essendo autorizzato l'uso ai fini privati, tra l'altro palesemente illeciti, nel caso di specie. Analogamente chiaro è il dolo intenzionale richiesto dall'abuso di ufficio, avendo il C. approfittato dell'apparecchio messo a disposizione dall'istituto scolastico per i propri affari illeciti, beneficiando di un bene strumentale ai suoi propositi criminosi e di cui non aveva la disponibilità se non per ragioni d'ufficio, così da conseguire un vantaggio in proprio, economicamente valutabile per il risparmio della spesa derivante dal mancato acquisto di un fax personale, indispensabile per la trasmissione dei documenti decettivi, o comunque dei costi energetici per la sua attivazione, e la cui ingiustizia è rafforzata dall'intento di rendere più difficoltosa la sua individuazione come autore delle truffe ai danni delle compagnie telefoniche e delle sostituzioni di persona a danno dei sedicenti contraenti, vista la formale provenienza dei moduli contrattuali sottoscritti da un ufficio pubblico in cui vi erano molteplici dipendenti. Chiarita la configurabilità del delitto di cui all'art. 323 c.p., occorre rilevarne l'estinzione per intervenuta prescrizione, essendo spirato il termine massimo - dilatato in forza degli atti interruttivi ai sensi dell'art. 161 c.p. - pari ad anni sette e mesi. Dovendosi attenere alla data di consumazione del 10.02.2012, in corrispondenza all'imputazione elevata dal P.M., che può essere riqualificata solo in punto di diritto, il termine prescrizionale massimo è elasso in data 10.08.2019; e ciò a patto che vi siano stati atti interruttivi ex art. 160 c.p. anteriori alla richiesta di rinvio a giudizio del 23.04.2019, altrimenti, sarebbe anteriormente decorso il termine di prescrizione ordinaria, pari ad anni sei, dal 10.02.2012 al 10.02.2018. L'esito decisionale in ogni caso non cambia, non essendosi manifestate cause di sospensione della prescrizione ex art. 159 c.p. da tenere in conto. Le motivazioni in precedenza esposte escludono, logicamente, una più favorevole pronuncia assolutoria di merito, capace di prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato ex art. 129 comma 2 c.p.p., apparendo predominante l'accertamento della sussistenza oggettiva del reato ex art. 323 c.p. e della sua riferibilità soggettiva all'odierno imputato. Si ravvisano altresì indizi di commissione di ulteriori delitti ex artt. 640 - 494 c.p., coevi all'abuso d'ufficio del 10.02.2012, per i quali tuttavia non si reputa necessaria la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di fatti già acquisiti nel compendio investigativo conosciuto dall'organo inquirente, e per cui, alla data odierna, sarebbe comunque spirato il termine di prescrizione. Atteso il proscioglimento dell'imputato si dispone, al passaggio in giudicato della presente sentenza, il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di tutti gli oggetti caduti in sequestro, così come elencati nei tre verbali redatti dal Commissariato di P.S. di Samo in data 06.06.2012, da intendersi qui richiamati, non essendovi beni suscettibili di confisca obbligatoria a seguito della dichiarazione della prescrizione, salvo che per le copie contraffatte dei documenti d'identità di C.A. e F.A., trattandosi di documenti intrinsecamente illeciti e suscettibili di utilizzi delittuosi laddove restituiti all'imputato. Infine, deve ordinarsi il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto del palmare touch-screen marca Samsung Galaxy Yung IMEI n. (...) e delle schede sim rilasciate dalla W. (n. 4 schede sim, recanti nn. (...), (...), (...) e (...)) così come indicate nel verbale di acquisizione cose pertinenti al reato del 22.02.2012. P.Q.M. Letti gli artt. 129 - 521 - 531 c.p.p., DICHIARA Non doversi procedere nei confronti di Ce.Pa. in ordine al reato a lui ascritto, riqualificata l'originaria imputazione nella fattispecie di cui all'art. 323 c.p., perché estinto per intervenuta prescrizione. Ordina la confisca e la distruzione delle copie dei documenti d'identità di C.A. e F.A., oggetto di sequestro in data 06.06.2012, se non in vincolo reale per altro titolo. Dispone, al passaggio in giudicato della presente sentenza, il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto di tutti i residui oggetti in vincolo reale, così come elencati nei tre verbali di sequestro redatti dal Commissariato di P.S. di Samo in data 06.06.2012, se non in vincolo reale per altro titolo. Dispone il dissequestro e la restituzione agli aventi diritto del palmare touch-screen marca Samsung Galaxy Yung IMEI n. (...) e delle schede sim rilasciate dalla W. (n. 4 schede sim, recanti nn. (...),(...),(...) e (...)) così come indicate nel verbale di acquisizione cose pertinenti al reato del 22.02.2012. Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p., riserva il deposito delle motivazioni in giorni 30. Così deciso in Nocera Inferiore il 3 aprile 2024. Depositata in Cancelleria l'8 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica udienza del 4 aprile 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giancarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. Massimo Vigilante, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: An.Vi. n. a M. S. S. il (...), ivi residente in Via M. n. 10/a, libero assente; difeso di fiducia dall' Avv. Sa.Ia., presente; IMPUTATO Vedi foglio allegato. Con la costituzione della Parte Civile: Ca.Ge., n. l'(...) a Nocera Inferiore, rappresentato e assistito dall'Avv. Ca.Gu., presente; IMPUTATO a) del delitto p. e p. dagli art. 582 - 585 c.p., perché, aggrediva la persona offesa, Ca.Ge., dapprima verbalmente e poi, brandendo un bastone la colpiva al volto, alla spalla dx e gamba sx, con prognosi di 7 giorni. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con armi. In Mercato San Severino il 19/10/2018. b) del delitto p. e p. dall'art. 635 c.p., perché, con violenza, nella circostanza di cui al precedente capo, danneggiava l'autovettura esposta al pubblico della persona offesa, Ca.Ge., provocando la rottura del finestrino posteriore sx. In Mercato San Severino il 19/10/2018. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato, emesso dal G.i.p. in sede in data 15.10.2019, An.Vi. veniva tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui alla formale imputazione, da intendersi qui richiamata. Alla prima udienza del 14.06.2019 la trattazione era rinviata per difetto di notifica del decreto introduttivo del giudizio all'imputato. Nella sessione del 10.01.2020, dichiarata l'assenza dell'imputato, ritualmente avvisato a mani proprie e non comparso senza cause note di impedimento, si costituiva Parte Civile Ca.Ge.. Il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento e, ammesse le prove richieste dalle parti, tra cui i referti del P.S. dell'Ospedale di Mercato San Severino, rinviava per l'audizione della persona offesa. All'assise del 02.07.2020 la trattazione era rinviata per assenza dei testi. Per lo stesso motivo veniva differita la seduta prevista per il 25.02.2021. La sessione del 16.09.2021 era differita per anomala composizione del Tribunale monocratico. All'assise del 17.02.2022 il processo era rinviato per assenza della persona offesa. Analogo motivo comportava il differimento della sessione del 21.07.2022, in cui si disponeva l'accompagnamento coattivo della persona offesa. All'udienza del 02.03.2023 veniva finalmente escusso Ca.Ge., e si acquisiva la documentazione fotografica prodotta dalle parti. Il P.M. chiedeva la correzione della data di commissione dei delitti ascritti indicando il 19.10.2017. Nella seduta del 22.06.2023, assente l'imputato che non si sottoponeva all'esame richiesto dalle parti, la Difesa rinunciava all'audizione del teste D.R.M.. All'assise del 30.11.2023 veniva escusso il teste della Difesa A.M., figlia dell'imputato, previamente avvisata ai sensi dell'art. 199 c.p.p.. La seduta del 14.03.2024 veniva rinviata per adesione del difensore all'astensione proclamata dall'Unione Camere Penali, con sospensione dei termini di prescrizione per giorni 21. Nell'ultima udienza del 04.04.2024, acquisita la documentazione sanitaria prodotta dalla Difesa, si dava lettura, mediante indicazione ex art. 511 co. 5 c.p.p., degli atti confluiti nel fascicolo del dibattimento; seguiva la discussione e le parti rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe. Il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo e delle contestuali motivazioni in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L'editto accusatorio ascrive ad An.Vi. i delitti p. e p. dagli artt. 582 - 585 - 635 c.p., perché, in data 19.10.2017, avrebbe aggredito Ca.Ge., dapprima verbalmente e poi, brandendo un bastone, colpendolo al volto, alla spalla destra e alla gamba sinistra, così da cagionargli lesioni con prognosi di guarigione in gg 7; inoltre, con violenza, avrebbe danneggiato l'autovettura esposta al pubblico della persona offesa, provocando la rottura del finestrino posteriore sinistro. I risultati dell'istruzione dibattimentale non consentono di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio contrario, la responsabilità dell'imputato per quanto ascrittogli, stagliandosi innanzi al Tribunale un quadro probatorio contraddittorio e scarsamente affidabile. L'unico teste a carico indicato dall'Accusa è stato Ca.Ge., e la valutazione della sua deposizione, secondo i noti e più rigorosi criteri che si impongono per le dichiarazioni della persona offesa, non conduce ad esiti rassicuranti. Si ricorda, in proposito, il consolidato insegnamento secondo cui "le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone" (cfr., tra le tante, Cass. pen., Sez. 4, sent. n. 1666 del 14.01.2015). È altrettanto pacifico che alle dichiarazioni rese dalla persona offesa non debbano applicarsi i criteri valutativi di cui all'art. 192 comma 3 c.p.p., potendosi il giudice limitare ad un controllo, sebbene più stringente, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del narrato (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. 3, sent. n. 4358 del 03.02.2016). Tuttavia, deve essere rimarcato che "la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all' art. 192, commi 3 e 4, c.p.p., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi" (cfr. Cass. pen., Sez. 5, sentenza n. 12920/2020). Nel caso di specie, sono emersi plurimi interessi capaci di inquinare la posizione del Ca., nonché circostanze che legittimano il sospetto sulla sua credibilità soggettiva, a cominciare dalla ripetuta assenza dal processo, al punto che, nonostante la sua costituzione come Parte Civile, si è dovuto ricorrere all'accompagnamento coattivo per avere la sua deposizione. Tale atteggiamento si salda con la i tempi della querela, presentata non nell'immediatezza dei fatti, ma appena prima della scadenza del termine di tre mesi fissato dall'art. 124 c.p. (i fatti sarebbero avvenuti il 19.10.2017, e la querela è stata presentata solo in data 19.01.2018). Ad acuire le perplessità sono le giustificazioni date dal Ca. per spiegare il ritardo: AVVOCATO DIF. IANNONE - Quindi praticamente a distanza di tre mesi, come mai questo lasso di tempo? TESTE Ca.Ge. - Semplicemente c 'erano tutte le condizioni per denunciare ancora e quindi... ho riflettuto abbastanza perché non volevo assolutamente... volevo far lasciare la cosa così come andava, però poi mi sono risentito e quindi l'ho fatto (cfr. verbale stenotipico del 02.03.2023). E' difficile credere ad un risentimento maturato nell'arco di tre mesi quando, a detta della vittima, la prima reazione, sarebbe stata quella di lasciar correre, soprattutto poiché, nell'arco temporale successivo al 19.10.2017 non vi sono stati ulteriori litigi con l'A. (AVVOCATO DIF. IANNONE - È successo qualche altra... GIUDICE - ...lei ha più avuto litigi, problemi con il signor An.Vi.? TESTE Ca.Ge. - No, no, no.). Troppo romantica è poi l'asserzione di aver cercato una riappacificazione incrociando "lo sguardo" dell'imputato, senza tuttavia mai tentare un'interlocuzione, nonostante i rapporti di conoscenza pregressa, anche con le figlie (TESTE Ca.Ge. - No, però comunque io cercavo di... ecco, ho deciso tra me e me di far calmare un attimo primo le acque in modo tale per incontrarlo e cercare di venire ad un capo pacificamente, tranquillamente, visto i rapporti che c 'erano prima, senza nessun problema, però mi fuggiva sempre, era sempre... Infatti, poi, dopo un periodo di tempo lui non è venuto più ad accudire questi gattini. GIUDICE - Che significa le fuggiva sempre? TESTE Ca.Ge. - Che, quando, anche con la macchina, ci siamo incrociati, non mi guardava, non... GIUDICE - E lei ha provato a contattarlo direttamente, in altro modo? TESTE Ca.Ge. - No, le dico la verità, no, no. GIUDICE-No. TESTE Ca.Ge. - No, cercavo, diciamo, un appiglio, anche visivo, in modo tale che si poteva intraprendere una discussione amicale. GIUDICE - Quindi, non trovando questo appiglio, poi, ha presentato la querela tre mesi dopo.). Più credibile è la prima parte della risposta, collegata al sopraggiungere di condizioni favorevoli alla querela che il propalante non ha spiegato e che inducono a dubitare della genuinità del ricorso all'A.G.. Il Ca. ha poi taciuto di controversie economiche con la seconda figlia dell'imputato, A.M., che vantava crediti per prestazioni professionali nei confronti della società F. da lui amministrata; crediti da cui era sorta una controversia civile, conclusasi con una transazione (cfr. verbale stenotipico del 30.11.2023). Ancora più ambigua, e ai limiti dell'illogico, è la negazione di qualsivoglia movente da parte dell'imputato, il quale, stando alla versione del Ca., lo avrebbe aggredito all'improvviso senza alcuna ragione nonostante rapporti cordiali intrattenuti per anni (cfr. verbale stenotipico del 02.03.2023: GIUDICE - Senta, e durante questi colloqui che lei ha avuto con il signor A. prima del fatto, di cosa avete parlato? TESTE Ca.Ge. - Ma in generale di tutto, cose... come quando una persona si saluta cordialmente, amichevolmente e si parla di varie cose, di tante cose. GIUDICE - Senta, e lei non si è sorpreso che da questi rapporti amichevoli un giorno, all'improvviso, lei viene aggredito? TESTE Ca.Ge. - Appunto, perciò mi sono... dopo tanto tempo ho esposto denuncia e non subito. GIUDICE- Ma lei ha chiesto spiegazioni al signor An.Vi.? TESTE Ca.Ge. - No. GIUDICE - Non le ha chieste. TESTE Ca.Ge.- No.). Compulsato dalle domande, la vittima ha provato a dare una spiegazione al comportamento dell'A., cadendo pero in un'ulteriore incoerenza: ha affermato che il motivo poteva essere legato al fatto che la prima figlia dell'imputato, di professione insegnante, aveva interrotto il rapporto lavorativo con la società da lui amministrata; questo però stride platealmente con la genesi della scelta che, secondo il Ca., sarebbe stata presa autonomamente dalla A. e senza ritorsioni da parte sua; anzi, i rapporti a suo dire erano rimasti "eccellenti" (cfr. verbale stenotipico del 02.03.2023: GIUDICE - Mai. Senta, e lei si è chiesto il motivo di questa aggressione? TESTE G, Ca. - Nel mio cuore sì. GIUDICE - E quale risposta si è dato? TESTE Ca.Ge. - All'epoca, quando la figlia lavorava con me, poi, lei ha deciso di lasciarmi, cioè dal punto di vista lavorativo, me ne sono un po' risentito perché dicevo: "Non so per quale motivo stai facendo una cosa del genere", però lei, in modo confidenziale, mi ha esposto che aveva purtroppo avuto dei problemi con il marito, causa di divorzio, e quindi non se la sentiva più ad affrontare una vita scolastica. Allora mi sono... io ho detto così: "Ma queste cose non vanno con quella, c 'è un percorso che ci siamo prefissati che dobbiamo portare a termine, non mi puoi lasciare così", però devo dare atto che mi ha dato un mese di tempo per riorganizzarmi e per restituirla. E, non lo so, penso che questo sia stato il cavillo che ha fatto... però è una mia... GIUDICE - Però, mi scusi, mi faccia capire, la signora A. sceglie lei di andare via dalla sua struttura. TESTE Ca.Ge. - Chiedo scusa, la signora A.? GIUDICE - È stata lei a scegliere di andarsene dal suo ente. TESTE Ca.Ge. - Sì, dopo che è terminato l'anno scolastico, dopo che è terminato tutto. GIUDICE - E perché il padre avrebbe dovuto prendersela con lei? TESTE Ca.Ge. - Non glielo so dire. GIUDICE - Non lo sa dire. Lei non sa il motivo per cui è stato aggredito. Ma lei che rapporti aveva con la figlia del signor A.? TESTE Ca.Ge. - Eccellenti. GIUDICE - Eccellenti. Mai avuto un diverbio? Nulla' TESTE Ca.Ge. - Mai, anzi mi aiutava... GIUDICE - Senta, ma la figlia del signor A. percepiva uno stipendio da lei? TESTE Ca.Ge. - Certo. GIUDICE - Lei ha sempre pagato lo stipendio? TESTE Ca.Ge.- Sì.). Per questo, sorprende ancor di più che il Ca. non abbia provato, dopo l'accaduto, a chiedere spiegazioni alla figlia dell'A., apparendo anomala l'asserita riserva nella sua sfera emotiva (GIUDICE - Aveva il numero di cellulare di questa persona, della figlia di An.Vi.? TESTE Ca.Ge. - Certo, perché avevamo rapporti lavorativi. GIUDICE - Ha pensato di chiamarla ver chiederle spiegazioni di quello che era successo? TESTE Ca.Ge. - Nel mio cuore sì, GIUDICE - E perché... ha chiamato, poi? TESTE Ca.Ge. -No.). Anche il racconto della dinamica aggressiva non è scevro da contraddizioni e incoerenze: il Ca. ha dichiarato che l'A., dopo averlo ingiuriato con vari epiteti ("stronzo di merda, ubriaco, ludopatico"), si era avvicinato alla sua vettura e lo aveva colpito con uno schiaffo al volto quando si trovava ancora all'interno dell'abitacolo; dopo essere sceso a chiedere spiegazioni, l'imputato aveva afferrato un bastone che aveva nella sua auto, e lo aveva colpito alla spalla destra e alla gamba sinistra, danneggiando infine il finestrino posteriore del veicolo. È importante notare che, in prima battuta, la vittima ha riferito di essere stato colpito in parti opposte a quelle descritte in querela, e solo a seguito di contestazione del P.M. ha ricomposto il contrasto: TESTE Ca.Ge. - Sì, mi ha detto ubriaco, pezzo di merda, "Sei un alcolizzato", "Sei un fallito", "Tu non sei... sei un ludopatico", comunque, a quel punto, ho abbassato il finestrino, ma senza nessun motivo, senza nessuna... ho abbassato il finestrino della macchina per capire, per capire, perché ce l'avevo un po' sospeso, per capire meglio e, a un certo punto, mi ha colpito al volto. Dopodiché io sono sceso per cercare di riuscire un attimo a capire e con una mazza di scopa, che lui c 'aveva all'interno della macchina, prima mi ha fatto... cioè prima mi ha colpito al piede destro, così, poi, alla spalla sinistra, per ripararmi così dall'aggressione. P.M. - L'ha colpita da qualche altra parte del suo corpo? TESTE Ca.Ge. - Come dicevo prima, al volto, mentre stavo in macchina, alla gamba destra e alla spalla sinistra, qua, ma semplicemente ver difendermi, nient'altro... P.M. - Un attimo, va bene che c'è un referto, lei dopo è andato in ospedale, giusto? TESTE Ca.Ge. - Sì, dopodiché... cioè dopo... P.M. - Un attimo, le volevo fare questa contestazione così ci precisa. TESTE Ca.Ge. - Certo. P.M. - ...perché lei, quando ha presentato questa querela, ha detto: "In particolare, l'A. mi colpiva al volto, alla spalla destra e alla gamba sinistra", è così? TESTE Ca.Ge.- Sì. GIUDICE - Lei prima ha detto il contrario, spalla sinistra e gamba destra. Il Pubblico Ministero ha detto... TESTE Ca.Ge. - Allora mi sono imbrogliato, chiedo scusa. Poco convincente è l'affermazione di aver richiesto l'ausilio delle FF.OO., del cui intervento non vi è alcun riscontro, e di cui, stranamente, il Ca. non ricordava l'eventuale arrivo (AVVOCATO DIF. IANNONE - Va bene, okay. Quando lei ha chiamato i Carabinieri, i Carabinieri sono intervenuti? Sono venuti, poi, sul posto? TESTE Ca.Ge. - Allora, non ricordo bene perché, poi, preso da tutte queste cose, però, se non erro, è passata una volante, è passata una pattuglia, però non ricordo bene perché poi... AVVOCATO DIF. IANNONE -E da dove è passata questa pattuglia? TESTE Ca.Ge. - Chiedo scusa, non ricordo bene perché semplicemente, poi... ero talmente afflitto, talmente amareggiato che mi sono prima un po' calmato dentro la mia struttura e, poi, sono andato in ospedale, quindi le direi una bugia se le dovessi dire...). Appare alquanto singolare che la vittima, a suo dire mai destinataria di precedenti aggressioni, non abbia atteso l'arrivo dei CC dopo averli chiamati, e che non ricordasse neppure se fossero davvero intervenuti. 2. La versione della persona offesa si scontra apertamente con quella di A.M., figlia dell'imputato, escussa all'udienza del 30.11.2023. Pur nella consapevolezza della parzialità della teste, interessata a difendere il padre dalle accuse e non legata da rapporti particolarmente amichevoli al Ca., deve costatarsi la maggiore logicità della sua deposizione, a cominciare dal motivo dei dissapori tra le parti. A.M. ha infatti raccontato che il padre accudiva una colonia di felini in prossimità dell'istituto scolastico gestito dal Ca., che mal sopportava la presenza di questi gatti. Per questo, già in passato vi erano state delle discussioni, tracimate nella lite del 19.10.2017, quando il querelante giusto sul posto a bordo della sua vettura, ad alta velocità, aveva frenato bruscamente, per poi scendere dall'auto e minacciare l'imputato di uccidere i gatti se non se ne fosse andato (cfr. verbale stenotipico del 30.11.2023: TESTE M. A. - Colonie feline, sì, dei gatti, sì. E in quella zona, proprio dal 2013... ancora oggi sì reca in quella zona, mio padre va a dar da mangiare a questi gattini. Spesso lo accompagno, lo accompagnavo già all'epoca e lo accompagno anche adesso perché ha dei problemi di salute, quindi, proprio quella sera, io mi trovavo... ero presente... AVVOCATO DIF. IANNONE - Dov'erano? Dov'era la zona e che ore erano? TESTE M. A. - Allora, la zona era Via V. Alfano 49. AVVOCATO DIF. IANNONE-Dove? TESTE M. A.-Mercato San Severino. AVVOCATO DIF. IANNONE - Sì, ma dove? TESTE M. A. - Nel cortile del... diciamo, quelli ci sono una serie di palazzi tutti collegati tra di loro, c'era un cortile retrostante il palazzo e, all'interno di questo cortile c'è la sede anche ella scuola, della F. Srl, quella dove... lui era il legale rappresentante all'epoca, non so attualmente quali sono i rapporti. Ci trovavamo lì in quella sera e, all'improvviso, vediamo arrivare, sfrecciare questa Mercedes classe A del, non so se erra di proprietà, comunque era condotta dal signor G.C.. Arrivato ad alta velocità, poi ha frenato di botto proprio dove ci trovavamo noi, è sceso dalla macchina e ha cominciato a imprecare contro mio padre. Diciamo che già era successo antecedentemente, poi, in quell'occasione, ha tenuto a dire: "Ma quando la finisci a te e sti gatti? Una volta di queste te li ammazzo, ti butto fuori" e mio padre ha detto: "Ma che vuoi? Sti poveri gattini...", allora lui ha cominciato ad alterarsi, anche perché ho visto che barcollava, emanava anche un odore di alcol perché purtroppo lui era, all'epoca, non sono attualmente adesso, però faceva uso di stupefacenti, di alcol, e quindi non era stabile, era agitato: "Ma che vuoi? Che cosa non vuoi?", comunque l'ha spinto, l'ha strattonato, si è avvicinato a mio padre e mio padre ha tentato di difendersi e l'ha respinto verso l'autovettura del signor C.. Pure io ho detto: "Rino, ma la vuoi smettere", perché purtroppo io lo conosco, quindi non potevo fare a meno di intromettermi e, poi lui si è calmato e... cioè si è calmato, se n'è... si è messo in macchina e se n'è andato senza proferire parola). Secondo la versione dell'A., era stato il Ca., visibilmente ubriaco, ad aggredire per primo il padre, minacciandolo e strattonandolo per le spalle; l'imputato si era solo difeso, spingendo via la vittima, che era andata a sbattere contro la sua vettura. Ad ogni modo, la teste ha escluso categoricamente che il padre avesse con sé un bastone (P.M - Lei dice che l'aggressione è partita da C.. TESTE M. A. - Sì. P.M. - Ma suo padre ha reagito? Cioè è rimasto inerte? TESTE M. A. - No, assolutamente, si è difeso e ha spinto il Ca. verso... P.M. - Aveva anche una mazza di scopa, un tipo bastone con sé? TESTE M. A.-No. P.M. -No? È sicura di questo? TESTE M. A.-No, mi ricordo perfettamente, certo. P.M. - Suo padre si è difeso, quindi ha aggredito il signor Ca.Ge.? TESTE M. A. - Aggredito no, semplicemente ha respinto le... ... TESTE M. A. - Le ripeto, quella era una colluttazione, il signor Ca. ha strattonato con le spalle, così, agitando e, poi, mio padre si è difeso e l'ha spinto andando verso... e lui è andato a finire sulla sua macchina, perché la macchina era proprio a ridosso, lui si è fermato proprio lì dove stavamo con i gattini che davano da mangiare nelle ciotole.). 3. Sottoponendo la testimonianza dell'A.M. ad analogo giudizio critico non può escludersi la tendenza a dirottare il racconto in senso favorevole al padre, anche con alcune enfatizzazioni, come quella del tentativo di investimento a scopo di intimidazione da parte del Ca., e supposizioni, come l'indisposizione del querelante per la sua presenza sulla scena del delitto. Ciò che rileva, tuttavia, è l'introduzione di una versione alternativa a quella della persona offesa che ne indebolisce ulteriormente l'attendibilità, già pesantemente viziata intrinsecamente per le ragioni esposte in precedenza. Solo una deposizione della vittima solida, precisa e coerente avrebbe permesso di smentire l'opposta ricostruzione degli accadimenti illustrata dalla teste della Difesa che, nel confronto dialettico, sconta minori vizi di illogicità. Lo stesso Ca., nel corso della sua testimonianza, ha ammesso la presenza dei gatti sul posto, glissandone l'importanza nell'assetto conflittuale con l'imputato, e questo porta a credere che il motivo della lite fosse proprio connesso alla colonia di felini che l'A. accudiva e che la vittima non sopportava. Probabilmente, arrivando sul posto, il Ca. si è innervosito più del solito per la presenza dei gatti e, dal rimprovero all'A. è nata la lite alla base delle imputazioni. La dinamica aggressiva resta ad ogni modo controversa, scontrandosi opposte versioni che non consentono di dare maggiore credibilità all'una piuttosto che all'altra. Questo anche perché la debolezza dimostrativa della deposizione della persona offesa non è colmata da prove oggettive di sicura affidabilità: i referti ospedalieri della sera del 19.10.2017 attestano le lesioni che la vittima si sarebbe procurata durante lo scontro, ma nulla dicono rispetto alla loro eziologia. Le fotografie riproducenti i danni all'autovettura del Ca. sono prive di data, e nulla esclude che possano essere state scattate per un evento intervenuto successivamente, visto che tra la data degli avvenimenti e la querela, cui sono state allegate le foto, sono intercorsi tre mesi. La tesi che siano state scattate nell'immediatezza dei fatti contrasta con l'affermazione della vittima di aver voluto inizialmente lasciar correre la questione, non spiegandosi altrimenti la precostituzione di una prova fotografica; la tesi che siano state scattate in concomitanza alla querela stride con l'id quod plerumque accidit, apparendo anomalo che il Ca. abbia potuto circolare per tre mesi con il finestrino dell'autovettura rotto. Nell'uno o nell'altro senso le prove documentali non consentono di superare le perplessità suscitate dai contributi offerti dalla persona offesa, la cui attendibilità, già di per sé dubbia sotto il profilo intrinsecò, risulta ancor di più debilitata dalle propalazioni del teste della Difesa. Da qui la presa d'atto di un quadro istruttorio fortemente contraddittorio e precario, inidoneo a fondare una condanna dell'odierno imputato, con il rigore richiesto per superare la regola valutativa di cui all'art. 530 comma 2 c.p.p.. Deve piuttosto giungersi ad una pronuncia assolutoria per contraddittorietà e insufficienza della prova che i fatti di reato a lui ascritti sussistono. Visto l'esito del giudizio, nulla è dovuto sulle domande azionate dalla Parte Civile. Si revoca infine il decreto penale di condanna già emesso dal G.i.p. in sede nei confronti dell'imputato. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE An.Vi. dai reati a lui ascritti perché i fatti non sussistono. Revoca il decreto penale di condanna già emesso dal G.i.p. in sede nei confronti dell'imputato. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica , udienza del 4 aprile 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giancarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. M.V., ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: Pe.Al. n. a N. I. il (...), residente a S. del M. A. alla Via C. n. 19, detenuto in carcere per altra causa, già presente, rinunciante a comparire, all'odierna udienza: difeso di fiducia dall'Avv. Bo.Ca., presente; IMPUTATO Vedi foglio allegato. IMPUTATO del delitto p. e p. ex art. 73 co. V D.P.R. n. 309 del 1990 c.p., perché senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 D.P.R. n. 309 del 1990 e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990 - ad evidenti fini di spaccio per modalità di trattamento e conservazione della sostanza - deteneva 1,4 grammi lordi di sostanza stupefacente del tipo crack. Con la recidiva specifica. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta a giudizio, emesso dal P.M. in sede in data 28.05.2019, Pe.Al. veniva tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato di cui alla formale contestazione, qui da intendersi richiamata. La prima udienza del 18.10.2019 veniva rinviata per difetto di notifica del decreto introduttivo del giudizio all'imputato. L'udienza del 03.04.2020 era rinviata in ottemperanza del D.L. n. 11 del 2020 e dei successivi D.L. n. 18 del 2020 e D.L. n. 23 del 2020 - recanti misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza pandemica da COVID 19 - che disponevano il differimento d'ufficio di tutti i procedimenti non urgenti, con sospensione dei termini di prescrizione dal 09.03.2020 all'11.05.2020, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 5292/2021 (64 gg di sospensione). All'assise del 19.11.2020 si registrava il persistente difetto di vocatio in indicium dell'imputato, e così anche nelle sessioni del 13.05.2021, 02.12.2021,26.05.2022,12.01.2023 e 01.06.2023. Nella seduta del 19.10.2023, presente per procura speciale l'imputato, avvisato, detenuto in carcere per altra causa e rinunciante a comparire, il difensore anticipava richiesta di rito alternativo e chiedeva concedersi un rinvio; il processo veniva differito al 25.01.2024 con sospensione integrale dei termini di prescrizione (98 gg di sospensione). In tale assise l'imputato, presente personalmente, chiedeva la definizione del processo nella forma del rito abbreviato ex artt. 438 s.s. c.p.p., condizionato all'acquisizione di documenti. Il Tribunale ammetteva l'istanza e, acquisito il fascicolo del P.M., disponeva la trasformazione del rito. L'imputato faceva spontanee dichiarazioni. Nell'ultima udienza del 04.04.2024, acquisita la documentazione cui la Difesa aveva condizionato la richiesta di rito abbreviato, aveva luogo la discussione: le parti rassegnavano le conclusioni trascritte in epigrafe e il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo e delle contestuali motivazioni in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Premessa in rito. In punto di diritto, quanto al rito prescelto, si ricorda che il giudizio abbreviato viene comunemente definito un procedimento a "prova contratta" ove le parti hanno scelto che il giudizio si formi allo stato degli atti (Cass, pen., Sez. II, 8.10.2004, Calabrese). La scelta processuale implica l'accettazione delle risultanze delle indagini confluite nel fascicolo del P.M., con facoltà di utilizzazione di tutti gli atti acquisiti in tale fase, fermo restando il potere del giudice, quale garante della legalità del procedimento probatorio (cfr. Cass, pen., SS. UU. 30.6.2000, T.), di negare l'utilizzabilità degli atti probatori assunti contra legem, affetti da inutilizzabilità patologica che ne preclude l'utilizzazione in modo assoluto in tutte le fasi del procedimento, non solo nel processo. Peraltro, occorre ribadire che nel giudizio abbreviato il negozio introduttivo attribuisce agli atti di indagine preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie. E utile poi ricordare che l'accesso al rito premiale, con le modalità di cui al comma primo dell'art. 438 c.p.p., rappresenta un diritto dell'imputato il cui esercizio dipende esclusivamente dalla sua volontà, ferma restando per il giudice la sola facoltà officiosa di cui all'art. 441 comma 5 c.p.p.. Diversamente, qualora la scelta del giudizio abbreviato sia condizionata all'assunzione di prove, il giudice è chiamato ad una valutazione di rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione e di compatibilità della stessa con le esigenze di economia sottese al rito contratto. Nell'odierno procedimento, la richiesta è stata formulata sotto la condizione di acquisizione di mera documentazione, comprovante la tesi della tossicodipendenza del Pe., e dunque in piena compatibilità con le esigenze acceleratorie del rito. Tanto premesso, il Tribunale rileva l'utilizzabilità ai fini della decisione degli gli atti presenti nel fascicolo processuale ed in quello del P.M.. 2. La valutazione del quadro investigativo. I risultati delle indagini da porre a base della decisione sono compendiati nella C.N.R. prot. (...) dei CC della Tenenza di Pagani, che fa seguito all'annotazione di P.G. del 17.10.2018 e al verbale di perquisizione e sequestro ex art. 103 D.P.R. n. 309 del 1990 redatto in pari data. A questo si aggiungono gli esiti degli accertamenti tecnici eseguiti sulla sostanza caduta in sequestro da parte del L.A.S.S. del Comando Provinciale dei CC di Salerno. I dati ricavabili da tali fonti sono chiari nella raffigurazione della situazione statica percepita dalla P.G. nel corso delle indagini; meno nel prospettare la proiezione futura della condotta, ovvero la destinazione allo spaccio della droga rinvenuta in possesso del Pe., e ciò anche per gli elementi a discarico acquisiti nel corso del giudizio. Il procedimento trae abbrivio da un controllo eseguito dai CC della Tenenza di Pagani alle ore 14:10 circa del 17.10.2018, quando vedevano Pe.Al., già noto per precedenti specifici, in Via C. A. Via A. di P.. I militari si insospettivano perché vedevano che un individuo, non identificato, si avvicinava al Pe., nei prassi del bar "S.L.", e dopo uno "strano movimento" (cfr. testualmente annotazione dei CC della Tenenza di Pagani del 17.10.2018), si allontanava. Gli operanti decidevano allora di fermare l'imputato e di procedere ad una perquisizione personale e domiciliare; si recavano allora presso il domicilio del Pe., sito in S. del M. A., alla Via C. n. 19. Alle ore 14:30 circa si dava inizio alle operazioni di perquisizione che si concludevano con esito positivo: occultati nell'infisso della porta-finestra d'accesso al balcone della cucina venivano trovati 1,4 gr di sostanza stupefacente del tipo "crack", sigillati con carta cellophane. All'interno di ima delle camere dell'abitazione e, precisamente, l'ultima in fondo al corridoio, veniva trovato un bilancino di precisione senza marca, carta cellophane già ritagliata, e delle forbici. Inoltre, a seguito di perquisizione personale, veniva rinvenuto denaro contante per Euro 165,00. La sostanza ritrovata veniva sottoposta ad un ulteriori accertamenti a cura del L.A.S.S. del Comando Provinciale dei CC di Salerno, che ne attestava l'esatta composizione qualitativa e quantitativa: in particolare, si trattava di gr. 1,0668 di cocaina, con percentuale di principio attivo pari all'85,77%, equivalente ad una percentuale di principio attivo puro pari a gr. 0,9150, da cui era possibile ricavare circa 6 singole dosi medie droganti (cfr. relazione tecnica del 10.11.2018). All'udienza del 25.01.2024 l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni, asserendo che la droga rinvenuta dai CC fosse destinata ad un consumo esclusivamente personale. A sostegno dell'affermazione, la Difesa produceva il decreto di citazione diretta a giudizio innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, nell'ambito del p.p. n. 2038/19 R.G.N.R., di Pe.Al. per guida sotto l'effetto di stupefacenti ex art. 187 commi 1 e 1 bis C.d.S., e segnatamente cocaina, commesso in data 07.04.2019. 3. La decisione. Le emergenze istruttorie appena riassunte esauriscono la piattaforma a carico del Pe.Al., e rivelano l'insufficienza della costruzione indiziaria che, stando alla regola di giudizio di cui all'art. 530 comma 2 c.p.p., non riesce a condurre ad una prova solida della destinazione allo spaccio della sostanza rinvenuta nella disponibilità dell'imputato. Si ricorda in proposito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "la destinazione della droga al fine di spaccio può essere dimostrata in base ad elementi oggettivi univoci e significativi, quali: il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizzava per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga" (cfr. Cass, pen., Sez. 4, sentenza n. 36755/2004). Precisamente, la valutazione prognostica circa il fine di cessione dello stupefacente deve essere effettuata avendo riguardo alla quantità, qualità e composizione della sostanza, alle condizioni personali e alla capacità contributiva del soggetto, alle modalità di confezionamento e suddivisione in dosi, al ritrovamento di strumenti per la pesatura e preparazione delle stesse, all'eventuale rinvenimento di somme e banconote di piccolo taglio che costituiscono, presuntivamente, il profitto del reato (cfr. Cass. pen. Sez. 3, sentenza n. 37629/2015; Cass, pen., Sez. 4, sentenza n. 41978/2016). Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, deve reputarsi che gli elementi raccolti non riescono a fondare una solida prova logica della finalità di spaccio, non apparendo irragionevole il dubbio di una destinazione al consumo esclusivamente personale. All'acciarato presupposto statico della detenzione della droga - detenuta in casa dal Pe. e da lui stesso rivendicata come propria - non si affianca la dimostrazione della componente prognostica, ovvero dello scopo di cessione a terzi, da cui dipende la rilevanza penale della condotta. Il quantitativo di sostanza rinvenuta - pari ad appena 1,0668 gr di cocaina - non è logicamente incompatibile con la futura destinazione ad un consumo solo personale, posto che dalla quantità complessiva di droga potevano ricavarsi solo 6 dosi, e le indagini non hanno consegnato dati ulteriori per smentire tale alternativa ipotesi. Le modalità di confezionamento offrono un dato equivoco, poiché la P.G. ha menzionato solo l'avvolgimento della droga nel cellophane, ma non vi sono elementi per sostenere che a tale preparazione abbia proceduto l'imputato, al fine di agevolare la cessione a terzi; ben potrebbe il Pe. aver acquistato lo stupefacente già così suddiviso. L'occultamento nell'infisso della porta-finestra d'accesso al balcone della cucina non è indizio preciso, potendosi spiegare anche come comportamento finalizzato ad evitare il sequestro della sostanza ed eventuali segnalazioni ex art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990, nonché conseguenze peggiori visti i precedenti dell'imputato per narcotraffico. Gli indici maggiormente indizianti della finalità di spaccio, secondo la prospettazione accusatoria, si ricavano dal rinvenimento degli strumenti per il confezionamento delle dosi (bilancino di precisione, cellophane e forbici) nonché di denaro contante sulla persona dell'imputato. Tuttavia, tali elementi, se analizzati nel dettaglio, perdono forza dimostrativa poiché poco precisi, stando almeno a quanto descritto dalla P.G. negli atti investigativi, e non perfettamente convergenti verso il traguardo probatorio: pur essendo il bilancino, le forbici e il cellophane strumenti tipicamente impiegati per la preparazione delle dosi, non sono stati rinvenuti sugli stessi tracce di stupefacente; inoltre, è singolare che siano stati trovati non nella medesima stanza ove era occultata la droga ma in ima diversa e di cui non è certo l'utilizzo esclusivo da parte dell'imputato. Del denaro contante non è stato poi indicato il taglio delle banconote, ed allora non può apprezzarsi la sua possibile derivazione da pregresse cessioni di stupefacente; non a caso, i CC hanno scelto di non sottoporre a sequestro la somma. Lo "strano" movimento del Pe. che ha insospettito i militari non è stato descritto, se non con un'aggettivazione frutto di valutazioni soggettive non verificabili da parte del Tribunale. Il Pe. ha a suo carico precedenti condanne per delitti ex art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, ma per fatti molto risalenti nel tempo, relativi, al più tardi, a gennaio 2008, ovvero ad oltre dieci prima dell'episodio per cui si procede. All'imprecisione dei suddetti indizi, che non militano inequivocabilmente verso il traguardo probatorio dell'Accusa, si contrappone un dato ponderale molto esiguo e di certo compatibile con la finalità di un consumo solo personale. Tale destinazione prognostica è avvalorata dalle dichiarazioni dell'imputato, nonché dalla dimostrazione della sua dipendenza da sostanze (del tipo cocaina o suoi derivati) analoghe a quella rinvenuta in suo possesso in data 17.10.2018. Non può pertanto escludersi, con il rigore richiesto da una pronuncia di condanna, la ragionevole alternativa che il quantitativo di stupefacente specificamente rinvenuto nell'occasione del 17.10.2018 fosse destinato all'assunzione in proprio da parte del Pe., piuttosto che alla cessione a terzi. Ed infatti, non deve confondersi la prova, indiziaria, della dedizione dell'imputato ad attività di narcotraffico con la prova, imprescindibile, della destinazione allo spaccio anche della specifica quantità di droga per cui si procede; prova, quest'ultima, che non può dirsi raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio contrario. Dall'insufficienza e contraddittorietà della dimostrazione della proiezione finalistica allo spaccio della detenzione addebitabile al Pe., che non resiste all'alternativa obiezione di una possibile destinazione al consumo esclusivamente personale, deriva, ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p., l'assoluzione dell'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. A prescindere dall'esito assolutorio del giudizio, la natura intrinsecamente delittuosa della sostanza rinvenuta comporta la necessità di disporne la confisca e la distruzione, ai sensi degli artt. 240 cpv. c.p. e 87 D.P.R. n. 309 del 1990, delegando la P.G. operante, se a tanto non si sia già provveduto. Non essendosi giunti ad una pronuncia di condanna per il delitto contestato deve invece disporsi, al passaggio in giudicato, il dissequestro e la restituzione all'avente diritto dei presunti mezzi esecutivi dello stesso, ovvero del bilancino di precisione, cellophane e forbici, così come descritti nel verbale di sequestro del 17.10.2018. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE Pe.Al. dal reato a lui ascritto in rubrica perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Letti gli artt. 240 c.p., 87 D.P.R. n. 309 del 1990, ordina la confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro, se a tanto non si sia già provveduto, delegando per l'esecuzione la P.G. operante. Dispone, passaggio in giudicato, il dissequestro e la restituzione all'avente diritto del bilancino di precisione, del cellophane e delle forbici indicati nel verbale di sequestro del 17.10.2018. Dispone la trasmissione degli atti alla Prefettura per le determinazioni di competenza ai sensi dell'art. 75 D.P.R. n. 309 del 1990. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - in composizione monocratica - e nella persona del Giudice dott. Federico Noschese, alla pubblica udienza del 4 aprile 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero Dott.ssa Giancarla D'Urso (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere Dott. Massimo Vigilante, ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura in udienza, la seguente SENTENZA Nei confronti di: Sa.Al. n. a N. I. il (...), residente in S. alla Via A. F. n. 12, libero assente: difeso di fiducia dall'Avv. An.De., sostituita per delega orale ex art. 102 c.p.p. dall'Avv. Lu.Sa.; IMPUTATO Vedi foglio allegato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio, emesso dal G.U.P. in sede in data 22.04.2021, Sa.Al. era tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato di cui alla formale imputazione, da intendersi qui richiamata. Alla prima udienza dell'11.11.2021 il processo era rinviato per difetto di notifica del decreto introduttivo del giudizio all'imputato. Analogo motivo comportava il differimento della sessione prevista per il 05.05.2022. Nella seduta del 01.12.2022, dichiarata l'assenza dell'imputato, si dichiarava aperto il dibattimento e si ammettevano le prove così come richieste dalle parti; seguiva l'audizione della persona offesa, Qu.Gi., e il P.M. depositava documentazione. Assente l'imputato che non si sottoponeva all'esame richiesto dalle parti, il Tribunale disponeva, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., l'audizione dell'Isp. Capo Ma.Ro., ritenendo indispensabile un approfondimento istruttorio. Le successive sessioni del 04.05.2023 e 12.10.2023 erano rinviate per assenza dei testi. All'assise dell'11.01.2024 veniva escussa Ma.Ro., e si acquisiva ulteriore documentazione. Nell'ultima udienza del 04.04.2024, data lettura mediante indicazione degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 511 c.p.p., aveva luogo la discussione; le parti rassegnavano le conclusioni epigrafate e il Tribunale, all'esito della deliberazione in camera di consiglio, pronunciava la seguente sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo e delle contestuali motivazioni in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. L'editto accusatorio ascrive a Sa.Al. il reato di cui all'art. 640 co. 2 e 61 n. 5 c.p. "perché, con artifizi e raggiri consistiti nell'offrire falsamente in "vendita una autovettura FIAT GRANDE PUNTO di colore grigio della quale si sconosce il numero di targa, mediante l'inserzione di un annuncio sul sito web denominato "subito.it", induceva in errore Qu.Gi., acquirente telematico del bene in precedenza indicato, in modo da procurare a se stesso un ingiusto profitto di natura pecuniaria, rappresentato da una somma di danaro pari ad Euro 1.200,00, accreditata dalla persona offesa a mezzo vaglia postale avente Nr.(...), intestato e riscosso presso l'Ufficio Postale di Scafati (57/304) da Sa.Al., con pari danno per Qu.Gi. il quale, dopo il pagamento, non ha mai ricevuto il bene, come pattuito, mentre il venditore ha fatto perdere definitivamente le proprie tracce. Con l'aggravante per aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la privata difesa, in quanto il fatto è stato commesso attraverso contatti telematici e a distanza che non permettono alla persona offesa di controllare la disponibilità del bene e la sua stessa esistenza. In Scafati, in data 21.06.2018". La piattaforma probatorio poggia principalmente sulle dichiarazioni della persona offesa Qu.Gi., unico teste di lista del P.M., della cui genuinità non vi è motivo di dubitare, non essendo emersi rapporti sottesi con l'imputato né interessi ambigui da cui trarre sospetti calunniatori. La persona offesa si è limitata a raccontare la truffa subita, senza enfatizzazioni, e con sufficiente grado di precisione, salve alcune contraddizioni che saranno di seguito evidenziate e che attengono per lo più all'individuazione del responsabile, piuttosto che alla dinamica obiettiva dei fatti; dinamica che, stanti anche i riscontri documentali, può così sintetizzarsi. Qu.Gi. ha raccontato di aver presentato una querela in data 22.06.2018 ritenendo di essere stato vittima di una truffa. In particolare, una decina di giorni prima, il Qu. notava sul sito di e-commerce "subito.it" un annuncio per la vendita di una autovettura Fiat Punto di colore grigio e, utilizzando il numero di telefono cellulare presente nell'annuncio (+(...)), contattava l'inserzionista; questi diceva di chiamarsi Sa.Al., e al termine delle trattative, le parti si accordavano per la cessione del veicolo al prezzo di Euro 1.500,00. Concordavano anche le modalità del pagamento, che sarebbe dovuto avvenire mediante vaglia postale veloce. Il 20.06.2018 il Qu. si recava presso l'ufficio postale di B., Via U. 1, e compilava una richiesta di emissione vaglia postale inserendo i dati fornitigli dal venditore: il beneficiario veniva indicato in Sa.Al., residente in S. alla Via S. P. n. 12 (cfr. documentazione acquisita all'udienza del 01.12.2022). In seguito, la vittima comunicava al promittente venditore il numero di riferimento del vaglia ((...)) e la parola chiave per l'incasso (F.), a mezzo WhatsApp. Il giorno seguente, l'alienante contattava il Qu. dicendogli che la spedizione dell'auto non poteva essere effettuata poiché erano sorti dei problemi alla dogana e che per risolverli, sarebbe stato necessario il pagamento di ulteriori 500,00 euro. Il querelante a quel punto si insospettiva, e si recava presso l'ufficio postale per provare a bloccare il pagamento del vaglia che, tuttavia, risultava già incassato; di tanto il Qu. si sorprendeva, sostenendo, nel corso della testimonianza in dibattimento e diversamente da quanto affermato in querela, che il nome del beneficiario era errato e di non aver inviato al venditore la parola chiave per riscuotere il vaglia; pertanto, si recava presso l'ufficio postale di Scafati per chiedere spiegazioni (cfr. verbale stenotipico del 01.12.2022: TESTE Qu.Gi. - Mi contattò. Dopo fatto, effettuato questo bonifico. P.M. - Senta, ma una cosa, prima di andare oltre. Questa autovettura... TESTE Qu.Gi. - Non è mai arrivata. P.M. - Non è mai arrivata. TESTE Qu.Gi. - Mai. P.M. - Come avevate cioè vi eravate accordati? Come le doveva essere trasportata, portata? TESTE Qu.Gi. - Tramite dogana, non so; doveva passare la Dogana. E lui disse a me: "vedi che ho avuto un problema che non ho soldi, c'è da pagare la dogana, altri 500 Euro", Praticamente voleva... TESTE Qu.Gi. - Sì, io quello l'avevo già pagato. P.M. - Perfetto, mmh. TESTE Qu.Gi. - Allora quando mi disse: "vedi che ci vogliono altri 500 Euro", io dissi: "No, allora c'è qualcosa che non va". Corsi subito in Posta a dire: "per piacere, bloccatemi questo bonifico", cioè lo volevo bloccare. P.M. - Sì. TESTE Qu.Gi. - Andò sul sito e disse: "vedi che il bonifico è già, cioè già è andato, già l'hanno riscosso". "Come l'hanno riscosso? E come hanno fatto a riscuoterlo?". Dissi: "Com'è, la parola chiave è diversa sotto". Io gli feci una foto e gliela mandai con la parola chiave "Coperta". Mi spieghi a me come ha fatto a incassare quell'assegno con la parola chiave che manca? Cioè la lettera invece della "o" è la "a"? Se lei ci fa caso sopra sta scritto "S." e sotto stampato, che lo feci fare io appositamente, proprio ancora non era una truffa, di mettere la "a". Come ha fatto a incassarlo quello? P.M. - "Sa.Al." invece di "A." vuole dire lei? TESTE Qu.Gi. - Esatto. ... GIUDICE - Mi spiega un po' meglio questa faccenda del nome che lei ha detto come errato? Cioè lei ha fatto una richiesta di emissione di vaglia postale di Euro 1500 nei confronti di... TESTE Qu.Gi. - Sì. GIUDICE - In favore di Sa.Al.. Poi ha detto di aver mandato la foto via Whatsapp? TESTE Qu.Gi. - Via Whatsapp, esatto GIUDICE - Della... TESTE Qu.Gi. - E lui disse a me: "Fammi vedere, pagato? Non hai pagato? Ti posso portare la macchina?". GIUDICE - Okay. Fa questa foto... TESTE Qu.Gi. - Io dissi - scusate! - dissi a quello dell'Ufficio Postale, dissi: "Senti, io gli devo mandare una foto tramite Whatsapp, non far vedere la parola chiave" sennò a che serve! Lui disse: "no, metti, mettiamo un bigliettino qua e gliela mandiamo". GIUDICE - Ma senza... TESTE Qu.Gi. - Copriamo la parola chiave. GIUDICE - Okay, ma senza parola chiave poteva essere incassato il vaglia? TESTE Qu.Gi. - No. GIUDICE - E a lei chi disse che era stato incassato? TESTE Qu.Gi. - Io corsi qua, venni qua dopo due o tre giorni; venni all'Ufficio Postale e dichiarai, dissi... Andai alla Posta prima, dissi, andai dal Direttore e dissi: "Senti, mi spiegate"... GIUDICE - Quindi lei venne all'Ufficio Postale di Scafati? TESTE Qu.Gi. - Esatto. "Mi spiegate come ha incassato questa persona?". GIUDICE - E cosa le venne detto? TESTE Qu.Gi. - Mi disse a me, disse: "No, non lo so neanche io" e disse poi queste "è un cliente nostro ", Quindi quelli se ne sono andati con il nome di sopra, secondo me, non gliene è fregato niente se stava la parola chiave giusta o no, e ha incassato. GIUDICE -Ho capito. TESTE Qu.Gi. - O è un complice, non lo so"). Nelle more l'auto non veniva consegnata e il venditore non rispondeva più alle telefonate del Q., rimuovendo anche l'annuncio sul sito "subito.it". Da qui la comprensione della vittima di essere stata truffata, e la decisione di sporgere querela. 2. La teste Ma.Ro. - escussa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. all'udienza dell'11.01.2024 - ha riferito delle indagini espletate a seguito della querela della persona offesa, di fatto limitate alla sola acquisizione della documentazione inoltrata dalle P.I. S.p.a. in ordine all'incasso del vaglia in questione. Il titolo risultava emesso in favore di Sa.Al., n. a Nocera Inferiore il 26.11.1982 e residenti in S. alla Via A. F. n. 12; tuttavia, a seguito di accertamenti anagrafici, non risultava alcuna persona a nome Sa.Al. o A. residente a S.. Si verificava allora la titolarità del numero di telefono pubblicato sull'annuncio ed utilizzato per la contrattazione con il Q., ma risultava essere di nazionalità francese e non era possibile risalire all'intestazione (cfr. verbale stenotipico dell'11.01.2024: TESTE R. M. - ...sul sito S. un'autovettura, per pagare questa vettura aveva sottoscritto un vaglia veloce il cui beneficiario era l'odierno indagato... imputato. Fumo acquisiti presso le P., appunto, la richiesta di emissione del vaglia veloce e il pagamento in rimborso dove vengono riportati, appunto, i dati del S., non... P.M. - Sono proprio i dati del Sa.Al., giusto? TESTE R. M. - Guardi, allora, io... P.M. - È stato eseguito (incomprensibile per sovrapposizione di voci). TESTER. M. - ...leggo che il vaglia è stato emesso, appunto, a Sa.Al., nato a N. I. il (...) dell'82 e residente a S. alla Via A. F. 12. Ad onor della verità, però, acquisito il certificato di residenza, non risultava, in realtà, residente a Scafati nessuna persona a nome di A. o A.S.. Quindi non c'era... quantomeno la residenza non corrispondeva. Fu fatto anche l'acquisizione... una ricerca sul numero di telefono perché vi erano state delle interlocuzioni telefoniche tra la Persona Offesa e il falso venditore, ma il numero dì telefono risultava essere francese, quindi non riuscimmo... P.M. - Non intestato a S.... TESTE R. M. - No, no.). La teste ha aggiunto che per incassare il vaglia, di regola, era necessario essere in possesso della parola chiave ed esibire un documento di riconoscimento; non era tuttavia in grado di affermare se presso l'ufficio postale di riscossione il beneficiario avesse esibito la carta di identità, non essendo vene copia agli atti, potendo sul punto fare affidamento solo sull'annotazione della nota di trasmissione fatta dalle poste (GIUDICE - Per il ritiro del vaglia è necessario esibire anche un documento di identità? TESTE R. M. - Sì, sì, assolutamente. GIUDICE - Non basta quindi solo la parola chiave? TESTE R. M. - No, anzi normalmente alle P. è fatto obbligo all'impiegato postale di identificare la persona che si presenta e verificare quantomeno, per quello che gli è possibile, la validità del documento. GIUDICE - E, nel caso di specie, è stato identificato chi ha ritirato il vaglia? TESTER. M.-Si, sì, sì. GIUDICE - E chi era? TESTER. M. -Allora... Allora, questo è l'emittente... Sa.Al., Via S. P. 12, 84018, Scafati, questo è il beneficiario... no chiedo scusa... GIUDICE - A.? TESTE R. M. - Però il beneficiario questo è, riferimento numero vaglia, parola chiave, importo... Allora, pagamento e rimborso... io non vedo qua un riferimento... Io non vedo un riferimento ad un documento di identità, vedo soltanto che la richiesta di emissione vaglia è stato sottoscritto dall'operatore con la dicitura: "Il mittente deve comunicare al beneficiario il numero di riferimento, l'importo e la parola chiave" quello che dicevo prima. L'identificazione, non vedo riportato il documento con cui è stato identificato questo... la persona, però sicuramente è stato consegnato a Quintiliano... No, questo... a Sa.Al., Via S. P. n. 2, S., S., questo è quello che ha scritto l'operatore delle P.. GIUDICE - Che ha scritto l'operatore postale. GIUDICE - Però, Ispettore, quello che le stavo chiedendo io: abbiamo traccia dalle vostre indagini che, nel momento in cui è stato riscosso il vaglia, è stato esibito un documentod'identità e indicato? TESTE R. M. - Qui non lo riporta. GIUDICE -Non lo riporta. TESTE R. M. - Almeno per quello che io leggo. GIUDICE - Ho capito. TESTE R. M. - Vediamo nella lettera di... Ah sì, allora è stato esibito... Allora, nella lettera di accompagnamento dei nostri... c'è scritto che fu esibita una carta d'identità emessa dal Comune di Scafati con un numero AT 1732320, rilasciata il 28/8 del 2014 con la scadenza del 26/11/2024, sì, c'era... ha esibito questo documento, ai loro atti risulta questo documento. GIUDICE - Avete fatto accertamenti sull'autenticità di questo documento? TESTE R. M.-No.). Ad ogni modo, alcun accertamento veniva compiuto sulla carta d'identità indicata dall'ufficio postale e nessuna indagine veniva espletata sull'annuncio pubblicato sul sito "subito.it". 3. La ricostruzione fattuale appena riassunta rientra nello schema tipico del delitto di cui all'art. 640 c.p.. È noto che, strutturalmente, la truffa si articola in una serie causale che richiede la manifestazione di raggiri e artifizi idonei ad indurre in errore della vittima, determinando la stessa a compiere un atto di disposizione patrimoniale foriero di un profitto ingiusto per l'agente cui consegue un danno ingiusto per il truffato. Quale reato a forma vincolata, nel primo segmento di tipicità postula la realizzazione di una condotta decettiva casualmente idonea a cagionare lo stato di errore della vittima. Si ricorda che per artifizio si intende la simulazione o dissimulazione della realtà esterna atta ad indurre in errore una persona per effetto della percezione di una falsa apparenza; per raggiro si intende invece ogni attività simulatrice che cade sulla psiche del soggetto passivo, condizionandolo mediante parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero. La condotta del truffatore può dunque materializzarsi nell'una o nell'altra forma o, mediante la combinazione di entrambe le modalità fraudolente. La definizione astratta delle condotte tipiche si è progressivamente trasformata in ima tipizzazione causale dell'illecito, spostando il baricentro della fattispecie incriminatrice dalla causa, ovvero dall'attività del decipiens, al suo effetto, rappresentato dalla necessaria induzione in errore del soggetto passivo. Ecco allora che assumono rilevanza penale anche comportamenti, finanche omissivi, non tipicamente riconducibili alla nozione di raggiri o artifizi, che scolora in un giudizio di idoneità in concreto a produrre l'effetto decettivo della vittima. Ciò che conta davvero è la sussistenza di una relazione causale tra l'attività decettiva dell'agente e l'effettiva induzione in errore del deceptus, a prescindere dalle concrete modalità di manifestazione della prima (cfr. Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 28703/2013, che ha ritenuto sussistente gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti ponga in essere raggiri o artifizi diretti a tacere o dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciute, avrebbero indotto l'altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto). Nella peculiare variante della c.d. "truffa contrattuale" l'elemento oggettivo del reato è integrato dalla condotta dell'agente che, con raggiri e artifizi al momento della conclusione del contratto, trae in inganno la controparte inducendola a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato, o che avrebbe prestato a condizioni diverse da quelle pattuite con la frode (cfr. Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 49932/2012). Il delitto colpisce al cuore l'autonomia negoziale nella sua duplice accezione di "libertà dal contratto" (inducendo la vittima a stipulare un accordo in realtà non voluto affatto), e di "libertà nel contratto" (facendo accettare alla stessa condizioni diverse da quelle a cui avrebbe voluto contrarre). Il fenomeno della truffa contrattuale ha trovato poi nuove e più agili modalità di espressione nelle negoziazioni in rete, posto che la fisiologica distanza tra le parti determina l'impossibilità per la vittima di interloquire fisicamente con il reo (il quale può facilmente celarsi dietro identità virtuali fittizie) nonché di ispezionare l'oggetto del contratto, verificandone finanche l'esistenza, prima ancora che la conformità quantitativa e qualitativa all'offerta. Nel caso di specie, l'inganno si è manifestato nella fase iniziale di captazione del consenso negoziale, cui è seguito il mancato adempimento alla prestazione promessa. La messa in vendita di un bene per via telematica, attraverso un sito di e-commerce grandemente diffuso e conosciuto dagli utenti come serio, (quale risulta essere il sito "subito.it"), costituisce sicuramente un mezzo per indurre in errore i potenziali acquirenti sull'intenzione truffaldina del soggetto che offre in vendita beni senza alcuna volontà di consegnarli, e tale connotazione fraudolenta della condotta fa sì che la stessa trascenda il mero inadempimento civile assumendo rilevanza penale nell'ottica incriminatrice ex art. 640 c.p.. Gli artifizi e raggiri si ricavano, in particolare, dal comportamento complessivo dell'alienante, così come ricostruito dall'istruttoria dibattimentale, tenuto conto della particolare modalità secondo cui si svolge questa tipologia di compravendita tramite internet, che si perfeziona senza che le parti possano avere contatti diretti e senza che alle stesse siano conoscibili le rispettive ed effettive generalità, e che è caratterizzata dal fatto che il compratore deve pagare anticipatamente il bene confidando poi nella successiva spedizione dell'articolo; circostanze che pongono l'acquirente in una particolare condizione di debolezza e asimmetria contrattuale, essendo essenzialmente costretto a sperare nel rispetto dell'impegno da parte del venditore. Nella dinamica al vaglio, il comportamento del sedicente venditore si è arricchito di ulteriori raggiri e artifizi che hanno accresciuto la carica decettiva della condotta, e la conseguente induzione in errore del soggetto passivo: alla pubblicazione dell'annuncio su un sito di e-commerce di notoria affidabilità si è affiancata la pubblicazione di foto dell'articolo falsamente offerto in vendita, così da simularne la reale esistenza, nonché l'allegazione di dettagli sulla trattativa, così da indurre il Q. a confidare maggiormente della sua serietà, pur non potendo avere contatti diretti, ne ispezionare de visti il bene acquistato. Anche dopo il pagamento, per celare il proprio inadempimento, il sedicente venditore ha proseguito nella condotta decettiva, adducendo problematiche doganali per giustificare la mancata consegna dell'autovettura, sino poi a sparire del tutto, facendo perdere le proprie tracce. Acclarata l'obiettiva sussistenza del reato oggetto di imputazione, i risultati dell'istruttoria dibattimentale non consentono di attribuirò soggettivamente all'odierno imputato, che deve essere mandato assolto ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p. per mancanza e insufficienza della prova di aver commesso il fatto. L'individuazione del Sa.Al. quale autore della condotta criminosa è debole, fondando su elementi approssimativi e contraddittori. Alcun valore può attribuirsi alla presentazione del truffatore come Sa.Al., apparendo anzi anomalo che un soggetto che intenda commettere una frode, a distanza e in via telematica, fornisca le proprie effettive generalità, così da essere facilmente identificato. Non può non notarsi poi il contrasto emergente tra i dati del beneficiario riportati nella richiesta di vaglia compilata dal Q., nella ricevuta di pagamento compilata dal sedicente riscossore, e nella nota di trasmissione delle P.I.: nel primo documento, si fa riferimento a Sa.Al., residente in S. alla Via S. P. n. 12; nel secondo a Sa.Al., residente al medesimo indirizzo; nel terzo, a Sa.Al., residente a S. in Via Antonio Ferrara n. 12. L'equivocità del dato è poi acuita dall'affermazione del teste di P.G. M., secondo cui, dagli accertamenti anagrafici, non è risultato risiedere alcun Sa.Al. o A.. Ciò porta a dubitare anche dell'autenticità della carta d'identità indicata nella nota di trasmissione delle P.I. S.p.a., documento di cui non è stata acquisita copia e rispetto al quale la P.G. non ha svolto approfondimenti per capire se risultasse realmente esistente, smarrito, o rubato. Inoltre, che al momento della riscossione del vaglia si sia verificata un'anomalia è corroborato dalle dichiarazioni del Q., il quale ha affermato di non aver trasmesso al venditore la parola chiave, non spiegandosi come potesse essere avvenuta la riscossione, al punto da recarsi personalmente presso l'ufficio postale di Scafati. Tali incertezze non sono superabili attingendo da altri elementi che, anzi, corroborano l'oscurità del quadro: il numero di telefono utilizzato per la contrattazione telefonica era di nazionalità francese e non era intestato al S.; nessuna indagine è stata effettuata sull'annuncio pubblicato sul sito "subito, it'' e sul relativo inserzionista, così da poter eventualmente risalire ad altre operazioni di vendita simulata ed incrociarne i dati. In definitiva, innanzi al Tribunale si staglia un quadro incerto e lacunoso che non consente di affermare con certezza che sia stato proprio Sa.Al., e non un terzo ignoto sotto suo falso nome, a porre in essere le azioni truffaldine per cui si procede. L'attribuzione di responsabilità all'odierno imputato si basa su dati investigativi precari, non sufficientemente esplorati, e che neppure collimano tra loro, al punto da edificare una solida prova indiziaria ex art. 192 comma 2 c.p.p.. Da qui la necessaria assoluzione, secondo la regola di giudizio prevista dall'art. 530 comma 2 c.p.p., per mancanza o comunque insufficienza della prova di aver commesso il fatto di reato, non potendosi ascrivere soggettivamente lo stesso all'odierno imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. P.Q.M. Letto l'art. 530 c.p.p., ASSOLVE Sa.Al. dal reato a lui ascritto in rubrica per non aver commesso il fatto. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Unica Il Giudice monocratico del Tribunale, dott. Giuseppe Palumbo, alla pubblica udienza del 04.04.2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: La.Re., nato a S. il (...), libero, già presente, non comparso. Difeso di fiducia dall'Avv. Pa.St. del Foro di Torre Annunziata; IMPUTATO Vd. Foglio allegato. A) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" nr. 176/2011, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 26 dicembre 2012. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Lo stesso riferiva verbalmente che si trattava di in un autocarro bianco e la targa non era sicuro se era (...) - non era sicuro che la lettera F o E e la Y o la X", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 23 febbraio 2012 B) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 176/2011, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 26 dicembre 2012. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Lo stesso riferiva verbalmente che si trattava di in un autocarro bianco e la targa non era sicuro se era (...) - non era sicuro che la lettera G o C e la V o la U" dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 31 marzo 2012 C) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" nr. 44/2013, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 01 aprile 2013. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI''del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "L'utente riferiva inoltre che la vettura poteva avere tale targa (...) O BH O BW". dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 02 maggio 2013 D) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 106/2013, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 30 settembre 2013. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Lo stesso riferiva oralmente che la causa del proprio sbandamento era da attribuire al conducente di autoveicolo di colore scuro la cui targa poteva essere (...) o HG o KS", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 08 dicembre 2013 E) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 120/2013, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 06 novembre 2013. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI"del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Riferiva oralmente la targa del camion che poteva essere CT 311 ST o SH o 811", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 16 dicembre 2013 F) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della, condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 9/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 13 gennaio 2014. In particolare, alla voce "LOCALIZZAZIONE" del suddetto modello cancellava l'originale data 13/01/2014 e la sostituiva con la data 08/02/2014, nonché alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI''del suddetto modello, cancellava l'originale numero di targa (...) e lo sostituiva con il numero (...). Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 11 febbraio 2014 G) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 29/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 22 febbraio 2014. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "L'utente riferiva oralmente in fase successiva alle dichiarazioni che la vettura che lo precedeva poteva avere la seguente targa (...) o CG o 598 o CS" dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 06 marzo 2014 H) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 29/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 22 febbraio 2014. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "L'utente riferiva oralmente in fase successiva alle dichiarazioni che la vettura che lo precedeva poteva avere la seguente targa (...) o (...)", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 18 marzo 2014 I) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 29/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 22 febbraio 2014. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "L'utente riferiva oralmente in fase successiva alle dichiarazioni che la vettura che lo precedeva poteva avere la seguente targa (...) o DL o 235", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 19 marzo 2014 J) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 30/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 27 febbraio 2014. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI2 del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Oralmente riferiva che l'oggetto era stato sollevato da una vettura targata (...) o EK o ZE o 628", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 21 marzo 2014 K) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 476 comma 1 e comma 2 c.p. perché, in qualità di pubblico ufficiale, nell'esercizio delle sue funzioni, quale Ispettore Capo della Polizia Stradale, in servizio presso la sottosezione di Angri, nonché quale esecutore materiale della condotta di falsificazione, formava in parte un atto falso e/o alterava un atto vero, nella spece il "MODELLO PER ANNOTAZIONE DI INCIDENTI STRADALI" n. 30/2014, redatto dagli ausiliari della viabilità, in data 27 febbraio 2014. In particolare, alla voce "OSSERVAZIONI DEGLI AUSILIARI" del suddetto modello, aggiungeva a penna la seguente dicitura: "Oralmente riferiva che l'oggetto era stato sollevato da un furgone targato (...) o VG o VC o 287", dichiarazione mai effettivamente resa dal conducente del veicolo coinvolto nel sinistro. Con l'aggravante di aver commesso la falsità nella parte di un atto che faceva fede fino a querela di falso. Commesso in Angri (SA) in epoca anteriore e prossima al 21 marzo 2014 FATTO E DIRITTO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in sede il 18.3.15 La.Re. era tratto a processo per rispondere dei reati in epigrafe. Differita la prima udienza del 19.6.15 per difetto di contraddittorio, alla seguente del 14.4.16 si disponeva procedersi nell'assenza dell'imputato, in quanto libero, ritualmente avvisato e non comparso in carenza di cause note di impedimento ed il processo era procrastinato, per diversa composizione giudicante, al 7.4.17, allorquando era oggetto di mero rinvio, per analoga ragione. All'assise del 25.1.18 era disposto rinvio a cagione del legittimo impedimento dell'imputato per motivi di salute. Nella sessione del 12.7.18, il processo era ancora differito per legittimo impedimento a comparire dell'imputato occasionato da ragioni di salute. Nondimeno, le successive sedute del 21.2.19 e 19.9.19 erano nuovamente procrastinate in forza del legittimo impedimento a comparire dell'imputato motivato da documentate ragioni di salute. L'assise del 28.2.20 era rinviata con decreto adottato de plano, d'ufficio e fuori udienza, emesso in forza del D.L. n. 18 del 1920, occasionato dall'emergenza epidemiologica da COVID-19. Nel proseguo del 1.10.20 il processo era ancora differito per legittimo impedimento a comparire dell'imputato occasionato da ragioni di salute. Nell'udienza del 21.5.21, a fronte di nuova richiesta di rinvio del processo per legittimo impedimento dell'imputato per ragioni di salute, il Tribunale disponeva verificarsi ad horas le condizioni impeditive disponendo visita medica domiciliare che esitava nell'assenza di impedimenti di carattere sanitario che impedissero l'abbandono del domicilio; pertanto, rigettata la richiesta di rinvio dell'imputato per impedimento a comparire per ragioni di salute, nonché la concomitante istanza del proprio Difensore di fiducia per impedimento a comparire cagionato da concomitanti impegni professionali, il processo era differito, su richiesta consensuale di tutte le parti, con sospensione integrale della prescrizione, al 27.5.21. In questa sede, comparso il L., se ne revocava la dichiarazione di assenza; seduta stante, il Tribunale dichiarava l'apertura del dibattimento ed, ammesse le prove richieste dalle parti, l'istruttoria muoveva dalla testimonianza di R.A.. Differite le sessioni del 25.11.21, stante l'adesione del VPO d'udienza all'astensione indetta dall'associazione nazionale di categoria, nonché la seguente del 28.4.22 per anomala composizione giudicante, nelle seguenti del 20.12.22 e del 23.3.23 il processo era oggetto di mero rinvio stante il legittimo impedimento a comparire dell'imputato per motivi di salute. Nell'assise del 15.6.23 l'istruttoria incedeva con l'assunzione delle testimonianze di I.S., L.L., C.E. e D.C.V.. Nel proseguo del 26.10.23, il Difensore dell'imputato avanzava una richiesta di immediato proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. per estinzione dei reati di falso in quanto l'aggravante della fidefacenza risulterebbe esclusa dall'indisponibilità dei documenti in originale su cui sarebbe ricaduta la condotta dell'imputato. Il P.M. confermava l'assenza di documentazione in originale su cui sarebbe stata eseguita la condotta di falso. Infine, all'udienza odierna, il Tribunale, ravvisata una causa di immediato proscioglimento dell'imputato, invitate le parti ad interloquire e concludere sul punto, pronunziava sentenza con motivazione contestuale. L'odierno imputato è chiamato a rispondere di una serie omologa di fattispecie di falso in atto pubblico fidefacente relativo a delle annotazioni che avrebbe apposto su "modelli di annotazione di incidenti stradali". Eppure, l'istruttoria dibattimentale ha costantemente denunciato, per ciascuna delle ipotesi criminose al vaglio, che l'interpolazione illecita fosse apposta non sui modelli in originale e per come formati dagli ausiliari del traffico, bensì sulle relative copie fotostatiche che, beninteso, risultano assolutamente priva di qualsivoglia attestazione di conformità all'originale. In più occasione, anche d'ufficio, è stata sollecitata la produzione dei corrispondenti modelli in originale in cui apprezzare le interpolazioni autografe ascritte al Lagaresi ma, in altrettante volte, l'ufficio del P.M. ha sempre dichiarato di non disporre di atti diversi da quelli già acquisiti al fascicolo per il dibattimento. Peraltro, la circostanza pare coerente con le dichiarazioni del teste R., ufficiale di p.g. impegnato nelle indagini a carico del L. per i fatti in esame, per cui le annotazioni illecite del L. furono riscontrate solo sulle copie. A questo punto, con ragione più liquida ed assorbente l'esame di ogni ulteriore profilo del merito della vicenda deve ritenersi che i fatti ascritti all'imputato siano carenti del presupposto della tipicità. In particolare, va quivi premesso l'insegnamento ormai tradizionale e constante raggiunto dal diritto vivente in subiecta materia, e di recente rinverdito dalla Suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, nei seguenti termini: " In talune decisioni, inoltre, si pone in rilievo l'esigenza che "la formazione della fotocopia sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l'esistenza di un originale conforme" (Sez. 5, n. 7385 del 14/12/2007, dep. 2008, F., cit.), richiedendosi comunque la presenza di connotazioni ulteriori rispetto all'esibizione della fotocopia di un atto inesistente, in sé ritenuta inidonea per la configurabilità del reato. Ne discende che la formazione ad opera del privato di una falsa fotocopia di un documento originale inesistente, presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che confermi la sua originalità o la sua estrazione da un originale esistente, non integra alcuna ipotesi di falso documentale, anche nell'eventualità in cui la stessa abbia, in astratto e per la sua verosimiglianza, attitudine a trarre in inganno i terzi, potendo il suo uso essere, in tal caso, sanzionato eventualmente a titolo di truffa. L'offesa al bene tutelato, dunque, ricorre soltanto nell'ipotesi in cui la falsificazione riguardi un documento provvisto di contenuto giuridicamente rilevante, dotato cioè della specifica funzione probatoria assegnatagli dall'ordinamento, e la riproduzione sia fatta passare come prova di un atto originale che non esiste, del quale intende attestare artificiosamente l'esistenza e i connessi effetti probatori, non potendo quella funzione essere riconosciuta ex se alla mera riproduzione di un documento originale, atteso che la copia fotostatica, se presentata come tale e priva di qualsiasi attestazione che ne confermi l'autenticità, non può mai integrare il reato di falso, anche nel caso di inesistenza dell'originale, essendo per sua natura priva di valenza probatoria (Sez. 5, n. 3273 del 26/10/2018, dep. 2019, B., Rv. 274628)" (Cass. SSUU, Sentenza n. 35814 del 2019). Adattando le predette coordinate ermeneutiche al caso di specie, è agevole verificare che le annotazioni in esame siano ricadute esclusivamente su modelli in fotocopia, priva di qualsivoglia attestazione di conformità all'originale. Tanto basta per ritenere che tutte le fattispecie in contestazione all'imputato siano carenti di tipicità quanto all'oggetto della contraffazione. Conclusivamente, La.Re. deve essere assolto da tutti i reati a lui ascritti perché il fatto non susssite. Al tenore della pronuncia consegue il dissequestro e la restituzione all'avente diritto di tutta la documentazione in vincolo, da eseguirsi, a cura della p.g. operante, al momento del passaggio in giudicato e purché non staggita per altro titolo. P.Q.M. Letto l'art. 129 c.p.p. assolve La.Re. da tutti i reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. Dissequestro e restituzione all'avente diritto di tutta la documentazione in vincolo, da eseguirsi, a cura della p.g. operante, al momento del passaggio in giudicato e purché non staggita per altro titolo. Motivi contestuali. Così deciso in Nocera Inferiore il 4 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sezione Penale Il Tribunale di Nocera Inferiore - Sezione Penale - in composizione monocratica e nella persona del Giudice dott. Vincenzo D'ARCO, alla pubblica udienza del 3 APRILE 2024 con l'intervento del Pubblico Ministero dott.ssa Antonietta Canale (V.P.O) e con l'assistenza del Cancelliere dott.ssa A.C., ha pronunziato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA Nei confronti di: 1. Vi.Vi., nato a C. de' T. (S.) il (...), res.te in M. S. S. (S.) in via B. n. 2 - fraz. C. LIBERO PRESENTE; 2. La.Do., nato a C. de' T. (S.) il (...), ivi res.te in via S. n. 15 LIBERO PRESENTE; Entrambi difesi di fiducia dall'avv. Fr.Di., presente. IMPUTATI dei delitti p. e p. dagli arti 110, 612 comma 1, 582 - 585 comma 2 n. 2 c.p. perché, in concorso tra loro, dapprima minacciavano di sparare Va.Ba., di dare fuoco all'auto del predetto e di bucarne le ruote, e successivamente lo aggredivano con l'uso di una mazza di ferro, così cagionandogli lesioni personali consistite in "trauma contusivo rachide cervicale, emitorace mano sx e dx", giudicate guaribili in giorni 10. Con l'aggravante di aver commesso il fatto con l'utilizzo di uno strumento atto ad offendere. In Cava de' Tirreni (SA), il 26.11.2019. Con la costituzione di parte civile di Va.Ba., nato a N. S. (S.) il (...), assistito dall'avv. Be.Ru., presente, munita di procura speciale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta emesso in data 3.6.2020, Vi.Vi. e La.Do. venivano tratti a giudizio innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere dei reati a loro ascritti in rubrica, meglio specificati in fatto nella sopra trascritta imputazione. All'udienza del 27.1.2021, a causa di un difetto di notifica nei confronti degli imputati si disponeva rinvio fino all'udienza del 15.6.2022. All'udienza del 15.6.2022, dopo aver dichiarato nel contraddittorio delle parti l'assenza di entrambi gli imputati, si prendeva atto della costituzione di parte civile di Va.Ba., assistito dall'avv. Be.Ru., munita di procura speciale; quindi, a causa dell'assenza del teste di lista del Pubblico Ministero il processo veniva differito fino all'udienza del 7.6.2023. All'udienza del 7.6.2023, in mancanza di questioni preliminari veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e venivano ammesse le prove orali e documentali così come richieste dalle parti in quanto ammissibili, rilevanti e pertinenti rispetto all'imputazione; si procedeva all'esame della persona offesa; all'esito, il processo veniva rinviato per il prosieguo dell'attività istruttoria all'udienza del 29.11.2023. All'udienza del 29.11.2023, la difesa rinunciava all'esame dei propri testi di lista, le altre parti nulla osservavano, il Giudice ne revocava l'ordinanza ammissiva, rinviando il processo ai fini della discussione all'udienza del 3.4.2024. All'udienza del 3.4.2024, gli imputati si sottoponevano ad esame; quindi, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione ex art. 511 comma 1 c.p.p., le parti concludevano come in epigrafe; al termine della conseguente camera di consiglio si dava lettura del dispositivo della presente sentenza, riservando il deposito dei motivi della decisione entro il termine ordinario. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene questo Giudice che gli esiti dell'istruttoria dibattimentale conducano ad affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di Vi.Vi. e La.Do. in ordine ad entrambi i reati a loro ascritti in rubrica. Dalle risultanze dibattimentali, in particolare dall'esame dei soggetti escussi nonché dall'analisi della documentazione sanitaria in atti, emerge la seguente ricostruzione della vicenda in esame. In data 26.11.2019, alle ore 8.45 circa, mentre si apprestava ad uscire di casa per svolgere alcune commissioni, Va.Ba. si imbatteva in Vi.Vi., proprietario di un terreno adiacente; la persona offesa, assumendo che l'imputato avesse posizionato la sera precedente alcune pietre lungo la strada, occultandole con dei rami di ulivo, chiedeva ragione di tale contegno: il Vi., evidentemente contrariato, invitava suo cognato La.Do., pure presente sui luoghi, a fornirgli una mazza di ferro appoggiata al muro del casale, utilizzando la quale attingeva più volte il Vi. al collo, ai fianchi e alle mani; nel contempo, sia il Vi. che il L. minacciavano di morte la persona offesa che, a fatica, riusciva a sfuggire all'aggressione riparando presso la sua abitazione, decidendo di allertare i Carabinieri, e quindi di recarsi presso il pronto soccorso dell'ospedale di Cava de' Tirreni, ove gli venivano diagnosticate le lesioni di cui all'imputazione. Così brevemente sunteggiati gli estremi fattuali della vicenda, dall'istruttoria dibattimentale è emerso come la fattispecie per cui è processo si inserisca nel contesto di una più generale situazione di litigiosità tra vicini di casa. La persona offesa Va.Ba. - della cui credibilità non è dato in alcun modo dubitare, avendo esposto in maniera coerente e precisa i fatti per cui è causa - nel corso dell'udienza del 7.6.2023 ha riferito dettagliatamente le circostanze di cui all'imputazione, evidenziando la repentinità dell'aggressione posta in essere da Vi.Vi. e precisando il ruolo assunto da La.Do. nella vicenda, illustrando le frasi minatorie rivolte al suo indirizzo da entrambi gli imputati. Tanto premesso in punto di fatto, secondo il noto insegnamento della Suprema Corte (che questo Giudice ritiene di condividere) la testimonianza della persona offesa - anche se costituita parte civile - ben può porsi a fondamento della pronuncia di colpevolezza se dotata dei requisiti, sussistenti nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità. Le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, invero, da sottoporre ad un'indagine accurata circa i profili di attendibilità oggettivi e soggettivi, ben possono assurgere a fonte di prova sufficiente ad affermare la colpevolezza dell'imputato, non applicandosi in automatico il criterio di valutazione di cui all'art. 192 c.p.p. (cfr. Cass. Pen. Sez. 4, sentenza n. 16860 del 13.11.2003, Rv. 227901). Va inoltre rammentato che, ancora secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il Giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza di siffatti elementi, quindi, il Giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve, perciò, limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità tra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza (cfr. Cass. Pen. sez. 4, sentenza del 10.10.2006, n. 35984). Facendo applicazione del condivisibile insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le dichiarazioni rese dalla persona offesa di un reato che sia anche imputata di altro reato commesso in danno dell'offensore (circostanza emerse nel corso del dibattimento, cfr. verbale di querela del 28.11.2019 e comunicazione notizia di reato del 29.1.2020 in atti), da considerare quindi collegato ai sensi dell'art. 371 comma 2 lett. b) c.p.p., vanno valutate secondo la regola dettata dall'alt 192 comma 3 c.p.p., ovvero adeguatamente corroborando tali dichiarazioni con idonei elementi di riscontro, occorre evidenziare che le dichiarazioni rese dal Vi. non fungono da unica prova dei fatti contestati, avendo trovato adeguato riscontro - sotto il profilo delle conseguenze fisiche patite dallo stesso - nelle risultanze delle certificazioni mediche acquisite agli atti del dibattimento, dalle quali si evince come egli abbia riportato delle lesioni compatibili (per estensione, intensità e collocazione) con le modalità della riferita aggressione. Le circostanze narrate dalla persona offesa non risultano affatto scalfite, ad avviso dello scrivente, dalla versione alternativa della vicenda veicolata in dibattimento dagli imputati nel corso dell'udienza del 3.4.2024: le dichiarazioni rese da costoro, di marca squisitamente minimizzante e difensiva, appiano - pur volendo prescindere dall'evidente interesse di cui sono portatori all'interno del presente procedimento - evidentemente inattendibili, essendosi gli imputati limitati a negare ogni addebito, non riuscendo ad offrire alcuna valida spiegazione alternativa in merito alle risultanze della certificazione medica acquisita agli atti del dibattimento. Appaiono dunque anzitutto integrati gli estremi del reato di lesioni contestato in rubrica, sussistendone tutti gli elementi costitutivi: in particolare, sul piano oggettivo, vi è prova della causazione, da parte degli agenti, in concorso tra loro (Vi.Vi. colpendo materialmente la persona offesa, La.Do. offrendogli supporto morale e materiale, avendo fornito allo stesso la mazza in ferro con la quale veniva perpetrata l'aggressione), di un'alterazione patologica dell'organismo di Va.Ba. e, sul piano soggettivo, della coscienza e volontà di colpire con violenza fisica. Può ravvisarsi la contestata aggravante di cui all'art. 585 comma 2 n. 2 c.p., essendo stata raggiunta la prova dell'utilizzo di un'arma impropria da parte degli imputati, costituita dalla mazza in ferro che La.Do. forniva a Vi.Vi.; sono infatti da ritenere armi, sia pure improprie, ex art. 4 L. n. 110 del 1975, gli strumenti - ancorché non da punta o da taglio - che, in particolari circostanze di tempo e di luogo, possono essere usati per l'offesa alla persona: ne consegue che anche un bastone, se usato in un contesto aggressivo, diventa uno strumento atto ad offendere e costituisce, pertanto, arma ai fini dell'applicazione dell'aggravante prevista dall'art. 585 comma 2 c.p. (cfr. Cass. Pen Sez. 5, sentenza n. 11872 del 5.10.2000, Rv. 218572; Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 8640 del 20.1.2016). Dalle risultanze dibattimentali sopra illustrate non vi è poi dubbio circa il riconoscimento in capo ad entrambi gli imputati della sussistenza del reato di minaccia, avendo la persona offesa attribuito sia al Vi. che al L. la paternità delle frasi minatorie rivolte al suo indirizzo, dovendosi evidenziare che la frase ("ti sparo!") che gli imputati hanno volontariamente e consapevolmente rivolto all'indirizzo della persona offesa ha avuto una valenza sicuramente intimidatoria, idonea a limitare la sua libertà di autodeterminazione mediante la prospettazione di un male futuro ed ingiusto; né, per costante giurisprudenza della Suprema Corte, assume rilievo la circostanza che il risultato intimidatorio si sia o meno realmente concretizzato a carico della vittima, giacché il delitto di minaccia è reato formale di pericolo e, come tale, postula solo la potenzialità del fatto ad incutere timore e ad incidere sulla sfera della libertà psichica del soggetto passivo. Appaiono quindi integrati gli estremi del reato di minaccia in contestazione, sussistendone tutti gli elementi costitutivi, tanto sul piano oggettivo, quanto su quello soggettivo (dolo generico, consistente nella cosciente volontà di minacciare un male ingiusto). La predetta minaccia, invero, ha cagionato un notevole turbamento psichico nel soggetto passivo, tenuto conto di tutte le peculiarità oggettive e soggettive che hanno accompagnato i fatti, ivi inclusa la circostanza per cui la prospettazione orale sia stata accompagnata da un'azione materiale violenta rivolta contro il Vi.. Il tenore delle espressioni verbali proferite e il contesto della pronuncia costituiscono, infatti, i criteri che insieme debbono orientare il Giudice nel suo prudente apprezzamento: nel caso che ci occupa, la peculiarità della complessiva vicenda fattuale induce senz'altro a ritenere che la condotta posta in essere dagli imputati abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa. Trascorrendo quindi al trattamento sanzionatorio, le violazioni commesse dagli imputati costituiscono chiara espressione, per prossimità temporale e per il fine complessivamente perseguito, di un unitario disegno criminoso: vanno dunque unificate ex art. 81 cpv. del codice penale. Possono riconoscersi ad entrambi gli imputati - sia in considerazione del loro status di incensurati (elemento che induce a ricondurre le condotte di cui all'imputazione nell'alveo dell'occasionalità), sia allo scopo di adeguare il trattamento sanzionatorio alle peculiarità del caso concreto - le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., in regime di equivalenza con la contestata e ritenuta aggravante. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima dunque equa la pena finale di mesi 8 di reclusione per ciascuno degli imputati, così calcolata: - pena base (calcolata in relazione al più grave reato di cui all'art. 582 c.p., previa elisione del rilievo della ritenuta aggravante ex art. 585 c.p., all'esito del giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche): mesi 7 di reclusione; - aumentata ex art. 81 cpv. c.p. a mesi 8 di reclusione (mesi 1 di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 612 c.p.). Alla dichiarazione di responsabilità degli imputati segue poi, per legge, la condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali, ciascuno per la parte cui ha dato causa. Sussistono i presupposti di legge per la concessione ad entrambi gli imputati del beneficio della sospensione condizionale della, anche alla luce dell'effetto deterrente spiegato dalla presente pronuncia, elemento che autorizza la prognosi circa la capacità dei medesimi di astenersi dalla commissione di ulteriori reati. Ai sensi degli artt. 538 ss. c.p.p., Vi.Vi. e La.Do. vengono inoltre condannati al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede (non essendo possibile allo stato quantificare con esattezza il danno subito, ragion per cui non appare opportuno, allo stesso modo, concedere la chiesta provvisionale), nonché alla refusione, in favore dell'Erario (la parte civile risulta invero ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato) delle spese di costituzione e rappresentanza, liquidate in base al seguente computo analitico, parametrato secondo importi che risultano congruenti con l'attività defensionale concretamente esplicata e con lo spessore giuridico delle questioni affrontate, in relazione ai criteri dettati dal D.M. n. 55 del 2014: Fase di studio della controversia Euro 300,00 Fase introduttiva del giudizio Euro 180,00 Fase istruttoria e/o dibattimentale Euro 360,00 Fase decisionale Euro 667,00 Totale Euro1.507,00 Spetta comunque il rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Vi.Vi. e La.Do. colpevoli dei reati a loro ascritti in rubrica e per l'effetto, riconosciute ai medesimi le circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con la contestata e ritenuta aggravante, operato l'aumento per la continuazione, li condanna alla pena di mesi 8 (otto) di reclusione ciascuno, oltre che al pagamento delle spese processuali, ciascuno per la parte cui ha dato causa. Letti gli artt. 163 e ss. c.p., sospende la pena inflitta a Vi.Vi. e La.Do. a termini e condizioni di legge. Letti gli artt. 538 ss. c.p.p., condanna Vi.Vi. e La.Do. al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita Va.Ba., da liquidarsi in separata sede. Rigetta la richiesta di provvisionale. Condanna Vi.Vi. e La.Do. alla refusione, in favore dell'Erario, delle spese di costituzione e rappresentanza, che liquida in complessivi Euro 1.507,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% sull'importo dei compensi professionali, oltre IVA e CPA sull'imponibile, come per legge. Così deciso in Nocera Inferiore il 3 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 4 aprile 2024.

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