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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI NOLA PRIMA SEZIONE nella persona del Giudice dott. Vittorio Todisco, ha pronunciato la seguente SENTENZA ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., nella causa civile di I Grado iscritta al n.r.g. 367/2018 pendente tra: (...), con il patrocinio dell'Avv. (...); ATTORE (...), con il patrocinio dell'Avv. (...); CONVENUTO (...); TERZI CHIAMATI IN CAUSA - CONTUMACI Oggetto: Mandato CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da atti di causa e da note depositate per l'udienza del 22.02.2024, tenuta con le modalità previste dall'art. 127-ter c.p.c.. RAGIONI DELLA DECISIONE 1 - Con atto di citazione notificato in data 16.01.2018, (...) conveniva in giudizio il (...), al fine di ottenere la condanna del medesimo al pagamento in suo favore di Euro 7.495,35. A sostegno della propria pretesa, l'attore sosteneva di essere stato nominato amministratore del citato condominio sin dall'anno 2009 e di aver esercitato tale incarico fino al 25.09.2023; esponeva di non aver percepito il compenso professionale, nel periodo compreso tra il 01.01.2010 e il 25.09.2013, per complessivi Euro 5.002,50 e di aver anticipato spese per Euro 2.492,85, negli anni 2012 e 2013. 1.1 - Con comparsa depositata in data 05.04.2018, si costituiva in giudizio il condominio (...), eccependo la prescrizione dei crediti vantati dalla controparte; lamentava, inoltre, l'inadempimento del mandato da parte dell'amministratore di condominio, per non essersi attivato nel richiedere gli oneri dovuti dai condomini (...) e (...) evidenziava la mancanza di prove dell'avversa domanda. Chiedeva, inoltre, di essere autorizzato alla chiamata in causa di (...) e (...), quali eredi dei condomini morosi (...) per essere dagli stessi manlevato in caso di condanna. 1.2 - Il Giudice autorizzava la chiamata in causa e, verificata la regolare citazione dei terzi, ne dichiarava la contumacia, poiché gli stessi non provvedevano alla costituzione in giudizio. Assegnati i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., veniva inizialmente ammessa la prova orale richiesta dalle parti, con ordinanza del 25.02.2020; a seguito della revoca di tale provvedimento, la causa veniva ritenuta matura per la decisione e rinviata per la precisazione delle conclusioni. Con provvedimento del 06.12.2022, regolarmente comunicato alle parti, il Giudice fissava l'udienza del 22.02.2024 per la discussione ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.. 2 - In via del tutto preliminare, è necessario dare atto della procedibilità della domanda, atteso che l'atto di citazione è stato notificato in data 16.01.2018 e parte attrice ha provveduto alla costituzione in giudizio in data 18.01.2018, nel rispetto del termine di dieci giorni di cui all'art. 165 c.p.c.. 2.1 - La procedibilità è confermata, ai sensi dell'art. 3 del decreto 132/2014, convertito con legge 162/2014, dalla comunicazione a parte convenuta dell'invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, effettuata in data 05.03.2018 (cfr. documentazione allegata alla memoria di cui all'art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. da parte attrice). 2.2 - Sempre in via preliminare, si rileva che manca, in atti, la produzione cartacea di parte attrice. Invero, dal verbale del 27.01.2022 risulta che essa è stata ritirata, ai sensi dell'art. 169 c.p.c., e non risulta nuovamente depositata in data successiva. Sul punto, si osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il Giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato, ex art. 169 c.p.c., il proprio fascicolo, senza che poi risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest'ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti (cfr. Cassazione civile sez. VI, 26/01/2022, n. 2264). Infatti, si ritiene che, in virtù del principio dispositivo delle prove, il mancato reperimento nel fascicolo di parte, al momento della decisione, di alcuni documenti ritualmente prodotti, deve presumersi espressione, in assenza della denuncia di altri eventi, di un atto volontario della parte stessa, che è libera di ritirare il proprio fascicolo e di omettere la restituzione di esso o di alcuni dei documenti ivi contenuti (Cassazione civile sez. VI, 26/04/2017, n. 10224). Nel caso di specie, parte attrice ha ritirato il proprio fascicolo e non ha provveduto a depositarlo nuovamente, entro l'udienza di precisazione delle conclusioni e discussione, ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.; pertanto, la decisione deve essere assunta allo stato degli atti. 3 - Nel merito, al fine di esaminare la domanda formulata da parte attrice, è necessaria una breve premessa concernente il ruolo dell'amministratore di condominio. 3.1 - Sul punto, si rileva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'amministratore di condominio agisce in virtù di un contratto di mandato stipulato con i condomini, che si presume oneroso (cfr. Cassazione civile sez. un., 29/10/2004, n. 20957; Cassazione civile sez. II, 21/06/2023, n. 17713). Il rapporto giuridico intercorrente tra l'amministratore e i condomini, pertanto, è disciplinato dagli artt. 1703 e seguenti c.c., che devono essere coordinati con le specifiche disposizioni dettate dal codice civile in materia di condominio, agli artt. 1117 e seguenti c.c.. 3.2 - L'amministratore, dunque, in qualità di mandatario del condominio ha diritto a percepire un compenso dai condomini; del resto, si ritiene che, al fine della costituzione di un valido rapporto di amministrazione condominiale, ai sensi dell'art. 1129 c.c., il requisito formale della nomina sussista soltanto in presenza di un documento, approvato dall'assemblea, che rechi, anche mediante richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso, l'elemento essenziale della analitica specificazione dell'importo dovuto a titolo di compenso, specificazione che non può invece ritenersi implicita nella delibera assembleare di approvazione del rendiconto (cfr. Cassazione civile sez. VI, 22/04/2022, n. 12927). Pertanto, nel momento in cui viene deliberata la nomina dell'amministratore di condominio, viene stipulato un contratto di mandato oneroso con il medesimo, da cui scaturisce il diritto al compenso in favore del mandatario. Tale diritto può essere riconosciuto dall'assemblea condominiale, al momento dell'approvazione del rendiconto; invero, secondo la Suprema Corte, le specifiche norme dettate in materia di condominio prevedono che l'assemblea sia esclusivamente competente alla previsione e ratifica delle spese condominiali, sicché in mancanza di un rendiconto approvato il credito dell'amministratore non può ritenersi né liquido né esigibile (cfr. Cassazione civile sez. II, 21/06/2023, n. 17713). Tuttavia, anche in mancanza dell'approvazione del rendiconto, che costituisce un mero riconoscimento del debito (cfr. Cassazione civile sez. II, 09/05/2011, n. 10153), l'amministratore può ottenere la corresponsione del compenso, provando in giudizio di aver svolto la propria attività. Infatti, l'obbligo del condominio di pagare il compenso all'amministratore discende direttamente dal contratto di mandato stipulato con l'amministratore; non si può consentire ai condomini di sottrarsi all'adempimento di tale obbligazione, attraverso la mancata approvazione del rendiconto presentato dall'amministratore (cfr. Tribunale Pisa sez. I, 11/10/2023, n. 1249). 3.3. - Con riferimento alle spese anticipate dall'amministratore di condominio, invece, occorre considerare che egli ha diritto al rimborso di tali somme, ai sensi dell'art. 1720 c.c., in virtù del contratto di mandato con rappresentanza che intercorre con i condomini. Ai fini della ripetizione, è posto a carico dell'amministratore l'onere di provare gli esborsi effettuati nell'interesse del condominio, che integrano un fatto costitutivo della sua pretesa (art. 2697 c.c.). Sul punto, bisogna tener presente che egli non gode, salvo quanto previsto dagli artt. 1130 e 1135 c.c. in tema di lavori urgenti, di un generale potere di spesa, spettando all'assemblea condominiale il compito generale non solo di approvare il conto consuntivo, ma anche di valutare l'opportunità delle spese sostenute dall'amministratore (cfr. Cassazione civile sez. II, 20/08/2014, n. 18084; Cassazione civile sez. II, 27/06/2011, n. 14197); pertanto, solo un rendiconto validamente approvato dall'assemblea dei condomini e non successivamente impugnato rende incontestabile la registrazione tra i debiti di bilancio della voce relativa alle somme eventualmente indicate a titolo di restituzione delle anticipazioni eseguite dall'amministratore del condominio. In questa prospettiva, l'amministratore può provare il proprio credito attraverso la produzione della delibera di approvazione del rendiconto; tale credito, quindi, non può considerarsi liquido né esigibile senza un preventivo controllo da parte dell'assemblea. Pertanto, ove manchi l'approvazione del rendiconto, che costituisce riconoscimento del debito, l'amministratore deve provare in giudizio gli esborsi effettuati nell'interesse del condominio, attraverso gli ordinari strumenti processuali, mentre i condomini devono dimostrare di avere adempiuto all'obbligo di tenere indenne l'amministratore di ogni diminuzione patrimoniale in proposito subita (cfr. Cassazione civile sez. VI, 17/08/2017, n. 20137; Cassazione civile sez. II, 26/02/2019, n. 5611; Corte appello Napoli sez. II, 23/10/2019, n. 5148; Cassazione civile sez. VI, 22/04/2022, n. 12931). 4 - Alla luce delle premesse effettuate, è possibile esaminare, in primo luogo, l'eccezione di prescrizione del credito dell'amministratore di condominio, sollevata da parte convenuta. Essa è infondata. 4.1 - Invero, si rileva che, poiché il credito per la restituzione delle somme anticipate nell'interesse del condominio dall'amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini, non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., non trattandosi di obbligazione periodica; né tale carattere riveste l'obbligazione relativa al compenso dovuto all'amministratore, atteso che la durata annuale dell'incarico, comportando la cessazione ex lege del rapporto, determina l'obbligo dell'amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno (cfr. Cassazione civile sez. II, 04/10/2005, n. 19348). I crediti in questione, quindi, sono sottoposti all'ordinario termine di prescrizione decennale, poiché scaturiscono dal contratto di mandato stipulato tra le parti. Nel caso di specie, si controverte su compensi e anticipazioni dovuti successivamente al 01.01.2010; dal momento che la presente azione giudiziaria è stata intrapresa nel 2018, il termine di prescrizione non può considerarsi scaduto. L'eccezione, pertanto, non può essere accolta. 5 - Procedendo ad esaminare la domanda finalizzata alla corresponsione del compenso, se ne deve affermare la fondatezza. 5.1 - Al riguardo, si osserva che l'attore ha allegato alla memoria di cui all'art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. una copia della delibera assembleare del 12.04.2005, con cui veniva nominato amministratore del condominio convenuto, con la previsione di un compenso parti a Euro 112,00 mensili. Tale copia è stata disconosciuta da parte convenuta, ai sensi dell'art. 2719 c.c.; siffatto disconoscimento, tuttavia, non è idoneo a privare tale documento della sua efficacia probatoria, poiché del tutto generico. Invero, il disconoscimento della copia fotostatica non si riassume nell'enunciazione di una formula generica ed omnicomprensiva dovendo, invece, essere specifico, esplicito ed univoco, quindi idoneo a chiarire i profili di contestazione della difformità tra copia e originale; esso, inoltre, non obbliga alla verificazione come in caso di scrittura privata, di tal che il giudice può ritenere provata aliunde la conformità tra originale e copia (cfr. Cassazione civile sez. trib., 10/02/2021, n. 3227). Peraltro, parte convenuta non contesta l'effettivo espletamento dell'incarico di amministratore di condominio da parte di (...), né la quantificazione del compenso spettante al medesimo. Pertanto, anche in virtù del principio di non contestazione (art. 1515 c.p.c.), a prescindere dalla produzione in giudizio delle delibere di approvazione dei rendiconti, si deve ritenere che l'attore abbia espletato l'incarico di amministratore del condominio in questione e, pertanto, che egli abbia maturato il diritto a percepire il corrispettivo pattuito. 5.2 - D'altra parte, a fronte dell'allegazione dell'inadempimento da parte dell'attore, grava a carico del (...) l'onere di provare l'avvenuto adempimento (cfr. Cassazione civile sez. un., 30/10/2001, n. 13533). Tuttavia, parte convenuta non ha prodotto alcuna prova idonea a dimostrare la corresponsione del compenso in favore dell'amministratore, limitandosi ad eccepire l'inadempimento posto in essere dal medesimo, che avrebbe omesso di procedere all'attivazione delle procedure di recupero crediti nei confronti di due condomini morosi. Sul punto, si rileva, da un lato, che, effettivamente, ai sensi dell'art. 1129 c.c., l'amministratore di condominio è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito è esigibile; dall'altro lato, tuttavia, si osserva che il solo inadempimento dell'obbligo in questione, allegato dal condominio, non è idoneo a incidere sul diritto dell'amministratore al proprio compenso, non essendo lamentati ulteriori profili di inadempimento del mandato ricevuto. In altri termini, a fronte del corretto espletamento dell'incarico, l'allegazione del citato inadempimento non appare sufficientemente grave da comportare la riduzione del compenso dovuto all'amministratore. Pertanto, la domanda deve essere accolta, con riferimento al profilo in questione. Considerato che il compenso pattuito era pari a Euro 112,00 mensili e che l'attore ha chiesto la corresponsione dello stesso per il periodo compreso tra 01.01.2010 e il 25.09.2013, il (...) convenuto deve essere condannato a corrispondere Euro 5.002,50 in favore di parte attrice, a titolo di compenso per il mandato espletato, come risulta dal conteggio proposto all'interno dell'atto di citazione. 6 - Con riferimento, invece, alle spese che parte attrice assume di aver anticipato nell'interesse del condominio, la domanda deve essere rigettata. 6.1 - Infatti, non avendo prodotto la delibera di approvazione dei rendiconti relativi agli esercizi di riferimento, l'attore avrebbe dovuto dimostrare di aver utilizzato risorse proprie per effettuare spese nell'interesse del condominio. Tale prova non è stata fornita. In effetti, le ricevute allegate dall'attore alla memoria di cui all'art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. riguardano svariati pagamenti effettuati tramite bollettini postali oppure in contanti, per cui non è possibile stabilire se tali pagamenti siano stati compiuti tramite risorse condominiali oppure mediante anticipazioni dell'amministratore; peraltro, tale prova non può neppure desumersi dalla contabilità relativa agli esercizi in questione, giacché la stessa non è stata prodotta in giudizio. La domanda, dunque, non è fondata. 7 - In definitiva, il (...) convenuto deve essere condannato al pagamento, in favore di parte attrice, della somma di Euro 5.002,50 a titolo di compenso per il mandato espletato. Non può essere accolta la domanda di manleva formulata dal CP_1 nei confronti (...) (...) e (...), quali condomini morosi. Il contratto di mandato, in effetti, è stipulato dai condomini nel loro complesso, per cui il condominio risponde delle obbligazioni assunte nella sua interezza; non a caso, l'eventuale morosità di un condomino consente al creditore di attivare lo strumento previsto dall'art. 63 comma 2 disp. att. c.c., chiedendo l'adempimento anche al condomino in regola con i pagamenti. Il (...), invece, non può chiamare in garanzia il singolo condomino moroso, ma, al massimo, può esperire nei confronti dello stesso le procedure di cui all'art. 63 comma 1 disp. att. c.c., al fine chiedere il pagamento degli oneri dovuti. Tale domanda non è stata formulata nel presente giudizio e, in ogni caso, non risulta provato che i condomini chiamati in giudizio abbiano omesso il pagamento degli oneri condominiali, né l'ammontare esatto delle somme eventualmente dovute dagli stessi. La domanda di manleva, pertanto, non può essere accolta. 8 - Le spese di lite seguono la soccombenza e, quindi, sono poste a carico di parte convenuta, in favore del procuratore antistatario di parte attrice; esse sono liquidate come in dispositivo, in applicazione della tabella II, fascia II del D M. 55/2014, come modificato dal D M. 147/22, con riduzione del 50%, ai sensi dell'art. 4 comma I del citato D.M., in considerazione dell'assenza di questioni di particolare complessità. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Nola, Prima Sezione Civile, nella persona del Giudice dott. Vittorio Todisco, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. accoglie, per quanto di ragione, la domanda formulata da (...) e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento, in favore del medesimo, di Euro 5.002,50; 2. rigetta la domanda formulata dal (...) nei confronti di (...) e (...); 3. condanna il (...) al pagamento, in favore del procuratore antistatario di parte attrice, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 270,00 per spese vive ed Euro 1.276,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario del 15% sull'importo dei compensi, C.P.A. e I.V.A., come per legge; Nola, 18 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di NOLA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Valeria Napolitano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 7101/2020 promossa da: (...) LIQUIDAZIONE, in persona del legale rapp.te p.t., con il patrocinio dell'avv.to (...) (...) contro (...) in persona del legale rapp.te p.t., con il patrocinio dell'avv.to (...) (...) CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 21/12/2023. FATTO E DIRITTO In via preliminare, si dà atto che la presente sentenza sarà redatta in base alle disposizioni contenute negli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. come modificati dalla l. 69/2009 e pertanto, in relazione al dettagliato svolgimento del processo ed alle deduzioni difensive delle parti, si rinvia al contenuto degli atti di causa e dei verbali d'udienza che qui si hanno per noti. Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) in liquidazione (d'ora in poi, per brevità solo (...)) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo nr. 1402/2020 con il quale le veniva ingiunto il pagamento, in favore della (...) dell'importo di Euro 13.009,05, oltre interessi, spese ed onorari. La (...), a sostegno della sua opposizione, disconosceva la debenza della somma ingiunta ed eccepiva l'improcedibilità della domanda monitoria in quanto non risultavano rispettati i termini per il preventivo esperimento della procedura di conciliazione. Provvedeva a costituirsi in giudizio la (...) la quale resisteva all'opposizione e ne chiedeva il rigetto con conferma del decreto ingiuntivo in esame. Così instauratosi il contraddittorio e concessa la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, la causa veniva reputata matura per la decisione senza necessità di alcuna attività istruttoria e, dopo un rinvio dovuto al carico di ruolo, veniva riservata in decisione all'udienza del 21/12/2023 previa assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Così brevemente riassunti i termini della controversia, ritiene il Tribunale che l'opposizione sia infondata e vada rigettata per le ragioni che seguono. Va innanzitutto rammentato che l'opposizione a decreto ingiuntivo determina l'insorgere di un giudizio a cognizione piena avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore con il ricorso monitorio; nel giudizio così instauratosi, dunque, parte opposta seppure formalmente convenuta riveste la posizione sostanziale di attrice, ricadendo sulla stessa il relativo onere probatorio concernente tutti i fatti costitutivi del diritto vantato. Difatti nel processo civile, in base alla norma di cui all'art. 2697 c.c., chi agisce in giudizio ha l'onere di provare la sua domanda e chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda ha, a sua volta, l'onere di provare i fatti su cui tale eccezione si fonda. Inoltre, va rammentato che nel nostro sistema giuridico vige il c.d. principio di non contestazione, codificato dall'art. 115, comma I, c.p.c. secondo cui "Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita"; ebbene, in base a tale principio la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare che "l'onere di specifica contestazione impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda. Ne deriva che i suddetti fatti, qualora non siano contestati in maniera specifica e circostanziata dal convenuto stesso, devono considerarsi incontroversi e non richiedenti una specifica dimostrazione con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, pertanto, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. Solo nell'ipotesi in cui il convenuto abbia contestato in modo circostanziato e specifico i fatti dedotti dall'attore, quest'ultimo avrà l'onere di provarli, restando così assicurato il principio del contraddittorio" (Tribunale Nola sez. I, 15/05/2019, n.1102 su www.dejure.it). Inoltre, con specifico riferimento al giudizio monitorio, la giurisprudenza di merito ha sostenuto che "La mancata presa di posizione specifica ex art. 115 c.p.c. sui fatti costitutivi del diritto preteso, oggetto del procedimento monitorio, comporta, di per sé, una linea di difesa incompatibile con la negazione o modifica della pretesa, rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsiasi controllo probatorio. Pertanto, tenendo pur sempre presente che il grado di specificità della contestazione deve essere valutato in concreto in relazione alle singole controversie - potendo variare a seconda del livello di conoscenza del fatto da parte del soggetto nei cui confronti è allegato e a seconda della precisione del fatto allegato dalla controparte - una contestazione generica non può che produrre l'effetto, proprio per la sua genericità, di determinare, come nel caso in esame, una "relevatio ab onere probandi" e di rendere i fatti allegati del tutto pacifici" (Trib. Milano sez. VII, 22/10/2018, n.10657). Venendo al caso in esame, parte opposta a sostegno della propria pretesa creditoria depositava delle fatture che presentavano nel dettaglio il traffico computato a debito della (...), nonché gli estratti delle relative scritture contabili, con attestazione notarile di conformità agli originali e di regolare tenuta delle stesse. Come noto, in materia di responsabilità contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c., al creditore spetta unicamente la prova dell'esistenza di un'obbligazione inadempiuta, mentre è il debitore a dover provare il fatto impeditivo o estintivo della pretesa creditoria. Sul punto la Corte di Cassazione ha avuto modo di rilevare che "In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l'adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche quando sia dedotto l'inesatto adempimento dell'obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell'esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione" (Cass. civ. 826/2015). Pertanto, alla luce delle posizioni rivestite dalle parti nel giudizio de quo, l'opponente in quanto convenuta in senso sostanziale avrebbe dovuto dare prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi da lei ritenuti in grado di aver inciso sul diritto di credito vantato dalla società opposta e da questa adeguatamente provato. Ma l'onere probatorio incombente sull'opponente non può reputarsi assolto. Difatti, la (...) si limitava a contestare genericamente l'importo delle fatture in esame, senza nulla dedurre in merito al complessivo rapporto intercorso tra le parti, potendosi di conseguenza reputare operante in merito il principio di non contestazione ex art 115, comma 1, c.p.c.; inoltre, come correttamente evidenziato dall'opposta, il ricorso monitorio era pienamente procedibile in quanto, come sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, "In tema di controversie tra le società erogatrici dei servizi di telecomunicazioni e gli utenti, non è soggetto all'obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione colui che intenda richiedere un provvedimento monitorio, "essendo il preventivo tentativo di conciliazione strutturalmente incompatibile con i procedimenti privi di contraddittorio o a contraddittorio differito" (...)" (Cass. civ. 8240/2020). D'altronde, la (...) non coltivava le eccezioni sollevate in citazione, non provvedendo a depositare alcuna memoria istruttoria e sostanzialmente disinteressandosi della prosecuzione del giudizio. Pertanto, alla luce delle osservazioni di cui sopra, l'opposizione non può che essere rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, a norma del DM 147/22, in considerazione del valore della causa e dell'attività difensiva concretamente svolta dalle parti. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta dalla (...) in liquidazione avverso il decreto ingiuntivo nr. 1402/2020, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa: - Rigetta l'opposizione e conferma il decreto ingiuntivo nr. 1402/2020; - Dichiara esecutivo il decreto ingiuntivo nr. 1402/2020; - Condanna l'opponente a rimborsare all'opposta le spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 5.077,00 oltre rimborso spese forfettarie in ragione del 15%, IVA e CPA come per legge. Nola, 14 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI NOLA I SEZIONE CIVILE in persona del Presidente Istruttore dr. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 8590 R.G. dell'anno 2017, avente ad oggetto solo danni a cose appello avverso sentenza n. 2273/2017 del Giudice di (...) di (...) (...) (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) (...) (...) domiciliat (...)via (...) di (...) n. 119, 80047 (...) (...) ; -Appellante E (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) (...) (...), domiciliaa in via (...) 23 Napoli -appellato Nonché nei confronti di (...) dom.to come in atti -appellato contumace Conclusioni: come da note di trattazione scritta depositate per l'udienza cartolare del 7.11.2023 Ragioni di fatto e di diritto della decisione La presente motivazione è redatta sinteticamente e senza svolgimento del processo come per legge. (...) di appello proposto da (...) censura la sentenza n 2273/2017 con la quale il Giudice di (...) di (...) all'esito del giudizio R.G. 9293/16, ha accolto la domanda proposta dalla società (...) condannando in solido il (...) appellante ed il sig. (...) al risarcimento dei danni a cosa subiti dall'attore, oltre che al pagamento delle spese di lite. In particolare, il giudizio di primo grado è stato introdotto dalla ditta appellata sul presupposto che, in data (...), alle ore 8.20 circa, in (...) (...), il conducente dell'autobus turistico (...) tg (...) (...) di proprietà attorea, nell'imboccare via F. (...), con direzione via (...) in prossimità del civico n. 12, fosse stato colpito alla propria parte superiore da uno striscione reclamizzante la festa patronale di (...) in (...) risultato allocato ad un'altezza non regolamentare, così come rilevato nel rapporto di intervento del 17.04.2015 dalla (...) di (...) che aveva altresì provveduto ad elevare verbale nei confronti del sig. (...) autore materiale dell'apposizione, per violazione degli artt. 1 e 12 del (...) per gli impianti pubblicitari del (...) (...) si duole sostanzialmente della qualificazione della domanda da parte del giudice a quoche ha ricondotto la dichiarata responsabilità della p.a. (...) convenuta nell'alveo delle previsioni di cui all'art. 2051 c.c. anziché dell'ar. 2043 c.c., oltre che del mancato riconoscimento del diritto di manleva del (...) nei confronti di (...) Nonostante la regolare notifica non si è costituito neppure in grado di appello il predetto (...) ne va pertanto dichiarata la contumacia. Si è invece regolarmente costituito in giudizio il danneggiato, il quale ha eccepito l'infondatezza in fatto e in diritto dell'avverso atto di appello, chiedendone l'integrale rigetto. Acquisito il fascicolo di primo grado, la causa, pervenuta a questo giudice a seguito di scardinamento, all'udienza cartolare del 7 novembre 2023, è stata trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. Preliminarmente, verificata la tempestività e la procedibilità dell'appello, proposto nei termini ex art. 327 c.p.c. e sorretto da motivi compiutamente illustrati e specificati nel rispetto delle norme di cui agli artt. 342 c.p.c. e 164 c.p.c., va dichiarato infondato il primo motivo di gravame, con cui l'Ente ha lamentato che la fattispecie in esame non sarebbe riconducibile nell'alveo della previsione di cui all'art. 2051 c.c. in ragione della notevole estensione della res, deducendo altresì che non sussisterebbe la prova necessaria a suffragare una domanda proposta ai sensi dell'art. 2043 c.c. Notoriamente, un orientamento giurisprudenziale dominante fino a qualche anno fa privilegiava l'applicabilità dell'art. 2043 c.c. nei casi in cui il danno fosse comunque ricollegabile ad una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, costituenti al c.d. "insidia trabocchetto" (ex pluribus Cass. Civ. 22592/2004, 10654/2004, 6515/2004, 11250/2002, 16179/2001, 3991/99). Da detta impostazione deriva l'obbligo, per il danneggiato, di provare non solo il fatto dannoso, ma altresì "l'insidia", ovvero di provare che l'evento dannoso risultasse eziologicamente ricollegabile ad una situazione caratterizzata, dal punto di vista obiettivo, dalla non visibilità, e, da un punto di vista oggettivo, dalla imprevedibilità e dalla inevitabilità, vale a dire dalla impossibilità di avvistare in tempo il pericolo per poterlo evitare; di contra, quanto agli oneri probatori gravanti sulla parte convenuta, la giurisprudenza chiedeva al preteso responsabile la prova del caso fortuito o della condotta concorrente del danneggiato, attenuando il giudizio di severità allorquando si fosse in presenza di fattori estranei al normale dinamismo del bene da cui era derivato il pregiudizio, idonei ad incidere sulla eziologia del danno. Il filone giurisprudenziale storicamente maggioritario di cui si è detto tendeva ad escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. in caso di bene di uso generale e diretto da parte di terzi, quali ad esempio le strade, la cui elevata estensione sarebbe stata ostativa (o quanto meno avrebbe reso eccessivamente oneroso) un continuo ed efficace controllo, tale da impedire l'insorgere di ogni situazione di pericolo per l'utente (cfr. tra le tante Cass. sez un. n.10893 del 2001; Cass. sez un. n.8588 del 1997; Cass. n.16179 del 2001). La successiva evoluzione giurisprudenziale, ad oggi maggioritaria e condivisa da questo giudicante, è giunta ad elaborare il principio secondo cui dalla proprietà, pubblica o privata, di un bene, discende non solo l'obbligo del proprietario di provvedere alla relativa manutenzione, ma anche quello di custodia, con conseguente applicabilità dell'ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c. anche alle fattispecie in cui il bene da cui sia originato l'evento dannoso risulti adibito all'uso diretto da parte della collettività e si presenti di notevole estensione. Da questa interpretazione estensiva deriva la configurabilità di ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2051 c.c. non solo allorquando la res in custodia si presenti pericolosa per intrinseca dinamicità, ma anche quando il danno sia cagionato da cosa "inerte", che "in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante" (Cass. Civ., sez. III, 4 novembre 2003, n. 16257. Nell'esame del caso concreto, è fuor di dubbio che in astratto sia configurabile un'ipotesi di responsabilità ex art. 2051 c.c., ovvero di responsabilità oggettiva, che presuppone la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, senza che assuma rilievo in sé la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito. Ne consegue l'inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo sul convenuto la prova del caso fortuito (Cass. civ. Sez. III, sentenza n. 21684 del 2005), e tenendosi comunque in conto l'incidenza oggettiva del comportamento del danneggiato, in una prospettiva in cui, quanto più la pericolosità della cosa è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico (Cass. n. 17903 del 4.7.2019; cfr. anche Cass., 3, n. 23919 del 22/10/2013; Cass., 3, n. 287 del 13/1/2015; Cass., 3, n. 9546 del 22/4/2010; Cass., 3, n. 15375 del 13/7/2011; Cass., 3, n. 16542 del 28/9/2012). Ed infatti la ponderazione dell'incidenza causale della condotta imprudente di un terzo o dello stesso danneggiato assume rilievo proprio perché l'obbligo di custodia deve trovare un temperamento nel "principio di autoresponsabilità", in forza del quale ciascun consociato dovrà sopportare le conseguenze della mancata adozione delle cautele necessarie ad individuare la situazione di pericolo e ad evitare il danno. Tanto premesso, e ribadita la applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 2051 c.c., va confermata la sentenza di primo grado nella parte in cui il giudice a quo ha giustamente affermato che parte attrice ha provato che i fatti di causa si sono svolti secondo le modalità descritte in citazione, nonché dimostrato il nesso causale tra gli stessi fatti ed i danni lamentati. Dunque, il (...) per liberarsi dalla presunzione di responsabilità posta a proprio carico, avrebbe dovuto provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua propria soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale; tale fattore, che sarebbe potuto consistere anche nel fatto di un terzo o dello stesso danneggiato, avrebbe dovuto presentare i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità del fatto medesimo (cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 2005, n. 20359). Nel caso di specie, correttamente il giudice di pace ha ritenuto insussistente la concorsualità nella produzione dell'evento da parte del danneggiato, valorizzando l'assenza di segnaletica che inibisse il transito lungo la strada teatro del sinistro al pullman. Altrettanto correttamente, il primo giudicante ha tenuto conto dell'incidenza del fatto del terzo (...) che, fermi i doveri di vigilanza e controllo del (...) sul proprio territorio, è risultato autore del fatto illecito. Del resto anche recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe ... se uno dei detti condebitori abbia esercitato l'azione di regresso nei confronti degli altri, atteso che solo nel giudizio di regresso può discutersi della gravità delle rispettive colpe e delle conseguenze da esse derivanti. (Cassazione civile, (...) III, sentenza n. 5475 del 22 febbraio 2023). Nel caso di specie, dunque, operata dal giudice una graduazione delle rispettive responsabilità del (...) e del (...) ritenute concorrenti nella misura del 50% ciascuno, ne è conseguita la condanna in solido al risarcimento del danno nei confronti dell'appellato danneggiato. Ora, per effetto della condanna in solido in parola, coerentemente, l'operata graduazione delle responsabilità, pur non rilevando nei confronti del danneggiato, sicuramente resta elemento fondamentale nei rapporti interni tra condebitori, potendo la parte che effettua il pagamento del dovuto chiedere ed ottenere di essere tenuta indenne (totalmente o pro quota) dalle conseguenze della soccombenza (ovvero, chiedendo di essere manlevata ove la relativa facoltà abbia fonte negoziale o potendo proporre domanda di regresso ex art. 2055 c.c., quando il diritto trovi fonte nella legge). Il rilievo non è sfuggito all'appellante, che, con il secondo motivo di appello, ha lamentato che il giudice di pace avesse rigettato perché infondata la domanda di manleva (rectius: regresso) proposta dal (...) nei confronti di (...) Il tribunale rileva che, se è vero che il GdP non ha adeguatamente motivato sul punto, in ogni caso la domanda in esame avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile (fermo poi che il giudice di appello ben può e deve integrare la motivazione della sentenza di prime cure, che pur conferma). In effetti, allorquando l'Ente, convenuto in primo grado, ha chiesto di essere manlevato dalle possibili conseguenze pregiudizievoli del giudizio da un altro dei convenuti citati, ha spiegato domanda riconvenzionale cd. trasversale, che, in quanto tale, è assoggettata alle forme e ai termini previsti dal codice di procedura civile per la proposizione della domanda riconvenzionale "in senso stretto": infatti, essa deve essere formulata con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata nei termini di cui all'art. 166 cpc (nella formulazione pre-cartabia). Invece, nel caso in esame, il (...) di (...) risulta essersi costituito in primo grado solo alla prima udienza (8 novembre 2016), e pertanto è incorso nelle decadenze e nelle preclusioni di legge. Ne consegue il rigetto anche del secondo motivo di appello, sia pure sulla scorta di differente motivazione, con la precisazione che, come la Suprema Corte ha opportunamente affermato , "in tema di impugnazioni, la sentenza d'appello, anche se confermativa, si sostituisce totalmente alla sentenza di primo grado, onde il giudice d'appello ben può in dispositivo confermare la decisione impugnata ed in motivazione enunciare, a sostegno di tale statuizione, ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza d'appello" (Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 15185 del 10.10.2003. Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza dell'appellante nei confronti dell'appellato costituito e si liquidano come da dispositivo in base ai criteri minimi di cui al D.M. 2014/55. Ricorrono altresì i presupposti di di cui all'art. 13 comma 1 quater del DPR 115/2002, inserito dall'art. 1 comma 17 L. 228/2012, per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando: -Rigetta l'appello, confermando la gravata sentenza; -condanna l'appellante al pagamento in favore dell'indicato appellato delle spese processuali, liquidate in euro 1700,00 per competenze, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali come per legge, se dovute. -dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 comma 1 quater del DPR 115/2002, inserito dall'art. 1 comma 17 L. 228/2012, per il versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il reclamo, a norma del comma 1 bis dell'art. 13.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Nola PRIMA SEZIONE CIVILE Il Giudice, dott.ssa Dora Tagliafierro, ha pronunziato la seguente SENTENZA causa iscritta al n. 7611 /2015 R.G. TRA Al.Ma., c.f.: (...), elettivamente domiciliato alla VIA (...) SAN VITALIANO presso lo studio dell'Avv. SA.CI., c.f.:(...), dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura in atti - OPPONENTE E Al., c.f.: (...), parte elettivamente domiciliata in CRSO (...), MARIGLIANO, presso lo studio dell'Avv. RI.NI., c.f.: (...), dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura in atti - OPPOSTA Oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità a quanto disposto dal nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, omettendo lo svolgimento del processo. In via preliminare, occorre osservare che l'opposizione a decreto ingiuntivo, che si pone come fase ulteriore del procedimento già iniziato con il deposito del ricorso per ingiunzione, dà luogo ad un giudizio di cognizione - che si svolge secondo il rito ordinario in contraddittorio fra le parti - avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione e nel quale le parti, pur apparentemente invertite, conservano la loro posizione sostanziale, rimanendo così soggette ai rispettivi oneri probatori. In effetti, a seguito dell'opposizione, il giudizio, da sommario che era, si trasforma in giudizio a cognizione piena. In sostanza, il giudice dell'opposizione non si limita ad esaminare se l'ingiunzione sia stata emessa legittimamente, ma procede all'esame del merito della controversia con poteri di cognizione piena, sulla base sia dei documenti prodotti nella fase monitoria che dei mezzi istruttori eventualmente ammessi ed assunti nel corso del giudizio. Pertanto, il creditore (al quale compete la posizione sostanziale di attore, per aver richiesto l'emissione del decreto) ha, nella presente fase, l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto vantato (cfr., in proposito, Cass. 4.12.1997, n. 12311; Cass. 14.4.1999, n. 3671; Cass. 25.5.1999, n. 5055; Cass. 7.9.1977 n. 3902; Cass. 11.7.1983 n. 4689; Cass. 9.4.1975 n. 1304; Cass. 8.5.1976 n. 1629) ed il debitore gli eventuali fatti estintivi del diritto costituiti dall'avvenuto adempimento ovvero la prova del fatto modificativo o impeditivo del proprio adempimento (cfr. Cassazione, SSUU, 06.04/30.10.2001 n.13533; Cassazione civile SSUU, 7 luglio 1993, n. 7448). Nel merito, deve essere accolta l'opposizione spiegata da Al.Ma. nei confronti di Al. e revocato il decreto ingiuntivo opposto rideterminandosi i rapporti di dare avere tra le parti come di seguito precisato. Dalla documentazione allegata al monitorio è incontestatamente emerso e provato che l'opponente ebbe a conferire alla ditta Ac. di Ar. l'appalto meglio descritto in atti e che lo stesso ebbe andamento irregolare di tal che le parti ebbero a sottoscrivere transazione con la quale: all'art.5 la ditta A. -dopo aver riconosciuto i difetti e vizi contestati (come da art.3)- si impegnava ad effettuare le lavorazioni ivi specificamente indicate nei punti 1 e 2 efferenti essenzialmente il bagno adiacente la cucina; all'art. 6 "la ditta ancora si impegna ed obbliga ad eseguire tutti i lavori di ristrutturazione ancora da farsi così come indicati nel computo metrico. Si impegna ed obbliga, altresì, come promesso e senza alcun costo aggiuntivo, ad eseguire tutti i lavori di sistemazione della facciata (...) nonché quelli di sistemazione delle ringhiere dei due balconi"; all'art.9 "il signor Ma.Al. rinuncia a qualsiasi tipo di azione o rivendicazione giudiziaria nei confronti della ditta Ac. in quanto, con la revisione al ribasso del prezzo dell'appalto, lo stesso dichiara di essere debitamente risarcito"; art. 11 "la validità ed efficacia tra le parti de presente atto (...) resta risolutivamente condizionata al preciso e puntuale adempimento degli accordi transattivi, nonché alla esecuzione a regola d'arte dei residui lavori di ristrutturazione". Il contratto risulta chiaro sia nel delineare le opere che avrebbero dovuto essere eseguite dalla opposta (art.5 e 6) sia nel condizionare la rinunzia all'azione per i vizi, ritenendo satisfattivo il ribasso praticato, al puntuale adempimento dell'accordo transattivo, di tal che deve essere rigettata l'eccezione sollevata sul punto dalla opposta (che aveva ritenuto rinunziata tout court l'azione). Dovrà pure rigettarsi l'eccezione di decadenza sollevata al riguardo. Sul punto, con riferimento alla corretta individuazione del dies a quo, dovrà ricordarsi che ancora di recente la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall'art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera (nella specie, dalla data del deposito della relazione del consulente, nominato in sede di accertamento tecnico preventivo), non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. L'accertamento del momento nel quale detta conoscenza sia stata acquisita, involgendo un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto. (Cass. civ., Sez. 2, Ordinanza n. 777 del 16/01/2020). Calando i suddetti principi nel caso di specie, il dies a quo di decorrenza deve farsi coincidere con quello di redazione dell'elaborato di parte sottoscritto dal perito incaricato dalla consulente (12.11.2015) di tal che la denunzia contenuta nella opposizione iscritta a ruolo il 10.12.20015 non può che ritenersi tempestiva. Con riferimento alla sussistenza dei vizi, poi, fornisce pieno riscontro l'elaborato peritale, il quale, logico, coerente e corretto dal punto di vista tecnico, non può che essere condiviso e fatto proprio da questo giudicante (ad esclusione delle valutazioni di carattere giuridico impropriamente operate dal consulente e cui dovranno sostituirsi e sovrapporsi quelle operate dal magistrato nel presente provvedimento, in ordine al contenuto delle pattuizioni ed all'effettivo adempimento delle stesse, essendo demandato al CTU la valutazione in ordine alla esecuzione a regola d'arte o meno delle lavorazioni come specificato nell'incarico conferito). Dall'elaborato emerge chiaramente che sia le opere di cui all'art.5 che le opere di cui all'art.6 della scrittura privata posta a fondamento dell'opposto decreto ingiuntivo, non risultano eseguite a regola d'arte e che, per la eliminazione dei vizi risulta necessario un importo complessivo di Euro.11.719,58 (di cui Euro.10.654,17 oltre IVA al 10%). Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha statuito che in tema di danno patrimoniale il risarcimento si estende, in linea di principio, anche agli oneri accessori e consequenziali, con l'effetto che la liquidazione determinata in base alle spese da affrontare comprende anche l'iva, anche se la riparazione non sia ancora avvenuta (Cass. civ., Sez. 2, Ordinanza n. 22580 del 19/07/2022). Tale importo, dovrà, pertanto, essere decurtato da quello dovuto sulla scorta del decreto ingiuntivo quale residuo corrispettivo per l'appalto espletato, corrispondente ad Euro.8.250,00 residuando una debitoria in capo alla impresa opposta di Euro.3.469,59 da corrispondere a titolo risarcitorio in favore dell'opponente, oltre interessi dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo. Operata la compensazione giudiziale e revocato il decreto ingiuntivo, pertanto, valutate all'attualità oltre interessi al saggio legale, dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo. Compensa per 1/3 tra le parti le spese di giudizio che, per la restante parte seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 10 marzo 2014, in relazione all'attività concretamente esercitata dal difensore costituito rapportata anche al tenore delle difese svolte e tenuto conto delle fasi effettivamente espletate. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Nola, PRIMA SEZIONE civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, assorbita e disattesa ogni contraria istanze, così provvede: 1) accoglie l'opposizione spiegata da Al.Ma. nei confronti di Al. e per l'effetto revoca l'opposto decreto ingiuntivo; 2) Condanna Al., a rifondere in favore Al.Ma. la somma di Euro 3.469,59 oltre interessi al saggio legale dalla pubblicazione al soddisfo; 3) Compensa per 1/3 tra le parti le spese di giudizio e condanna Al., a rifondere in favore Al.Ma. i restanti 2/3, che liquidano già ridotti nella predetta misura in Euro 97,02 per esborsi, Euro 1.000,00 per compensi, oltre rimborso spese generali nella misura di legge, IVA e CPA nelle aliquote previste, se dovute come per legge. Così deciso in Nola il 15 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA SEZIONE PENALE Il Tribunale di Nola - collegio A Dott.ssa Simona Capasse - Presidente Dott.ssa Alessandra Zingales - Giudice Dott. Arnaldo Merda - Giudice est. alla pubblica udienza del 31 ottobre 2023 ha pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Te.Gi., nato a N. il (...) residente in B. alla via E. D. F., n. 14 (domicilio dichiarato per le notifiche ai sensi dell'art. 161 c.p.p.. come da nomina fiduciaria del 23 gennaio 2023, in atti) libero - già presente difeso di fiducia dall'avv. An.CO. del foro di Napoli (come da nomina fiduciaria del 23 gennaio 2023, in atti) IMPUTATO 1. Del reato p. e p. dall'art. 572 co. 1 e 2 c.p., perché attraverso continue, perduranti e reiterate vessazioni di ordine psicologico e fisico (minacce, percosse, ingiurie, etc.) ripetutamente poste in essere nel corso del tempo maltrattava la moglie convivente La.Ro. minacciandola ripetutamente dicendole, ti uccido, ti ammazzo, colpendola con schiaffi e pugni, tirandole i capelli, facendole continue richieste di denaro dicendole che se non le dava i soldi la ammazzava e puntandole un coltello addosso facendola vivere in uno stato di prostrazione morale. Con l'aggravante di aver agito in presenza di minore di anni diciotto e in particolare dei figli. In Marigliano sino ad ottobre 2020 2. Del reato p. e p. dall'art. 81 c.p. art. 629 c.p., perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in più occasioni, con violenza e minaccia consistita nel dire a La.Ro. che se non le dava i soldi la ammazzava, in una occasione puntandole un coltello addosso costringendo questa a consegnargli delle somme di denaro pari a 10 e 50 curo si procurava un ingiusto profitto con altrui danno. In Marigliano sino ad ottobre 2020 3. Del reato p. e p. dall'art. 56 c.p. 629 c.p., perché, con violenza e minaccia consistita nel dire a La.Ro. di dargli la metà dei soldi del reddito di cittadinanza a fronte del rifiuto di questa dandogli uno schiaffo e spingendola a terra, dicendole dammi i soldi o altrimenti ti ammazzo compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno. In Marigliano il 28.10.2020 PARTE CIVILE La.Ro., rappresentata dal procuratore speciale avv. Fr.SC. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in sede in data 29 marzo 2022, Te.Gi. veniva tratto a giudizio per rispondere dei reati in epigrafe indicati. All'udienza del 23 giugno 2022. il Tribunale, accertata la regolare costituzione delle parti e disposto procedersi in assenza dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva i mezzi di prova orali e documentali richiesti dalle parti. All'esito, il processo veniva rinviato per l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale. All'udienza del 10 novembre 2022, con il consenso delle parti si acquisivano l'annotazione di p.g. redatta da personale in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Marigliano in data 29 ottobre 2020 e il verbale dì sommarie informazioni rese da Q.S. presso la Stazione dei Carabinieri di Napoli - Borgoloreto in data 23 marzo 2021. con rinuncia all'escussione dei testi di lista del PM. App. V.D.S., App. G.I. e Q.S.. Il Tribunale, allora, revocava l'ordinanza ammissiva delle relative testimonianze e rinviava il processo in prosieguo. All'udienza del 6 dicembre 2022, si procedeva all'escussione del teste. D.P.F.. Con il consenso delle parti si acquisiva l'annotazione di p.g. redatta da personale in servizio presso la Compagnia dei Carabinieri di Castello di Cisterna in data 11 novembre 2020. con rinuncia all'escussione dei testi di lista del PM. App. P.C. e Brig. G.D.F.. Il Tribunale, allora, revocava l'ordinanza ammissiva delle relative testimonianze e rinviava il processo in prosieguo. All'udienza del 14 marzo 2023. il processo veniva rinviato, stante l'assenza ingiustificata della teste. La.Ro. (di cui veniva disposta la citazione con l'ammenda di Euro 250,00). All'udienza del 16 maggio 2023. il Tribunale prendeva atto della diversa composizione del Collegio e procedeva alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Le parti si riportavano alle richieste di prova già formulate, che venivano accolte nei medesimi termini e prestavano il consenso all'utilizzabilità degli atti già assunti. Si procedeva, poi, all'escussione della teste, La.Ro., e all'esame dell'imputato. All'udienza del 19 ottobre 2023. il Tribunale prendeva atto della diversa composizione del Collegio e procedeva alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. Le parti si riportavano alle richieste di prova già formulate, che venivano accolte nei medesimi termini e prestavano il consenso all'utilizzabilità degli atti già assunti. Si procedeva, poi. all'escussione dei testi della difesa. L.F. e T.I.. A quel punto, la difesa rinunciava all'escussione del proprio residuo teste di lista. G.A., e il Tribunale, nulla osservando le altre parti, revocava l'ordinanza ammissiva della relativa testimonianza. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo. All'odierna udienza, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti processuali contenuti nel fascicolo dibattimentale, dava la parola alle parti, che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, e. all'esito della camera di consiglio, pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. MOTIVI DELLA DECISIONE Osserva il Collegio che alla luce delle risultanze dell'istruttoria svolta e degli atti ritualmente acquisiti al fascicolo del dibattimento, non sia stata raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto in rubrica. Te.Gi. è chiamato a rispondere dei reati p. e p. dagli artt. 572 e 629 c.p. per aver tenuto condotte maltrattanti ed estorsive nei confronti della compagna, La.Ro.. Quest'ultima, escussa in di battimento, ha riferito di aver intrattenuto fino all'anno 2020 una relazione sentimentale con l'odierno imputato nel corso della quale nascevano tre figli. R., M. e S.. Durante la convivenza, il Te. aveva sempre mostrato disinteresse per gli altri componenti della sua famiglia e aveva sempre preteso da lei che gli consegnasse parte del denaro da lei conseguito a titolo di sussidio statale o a lei donalo dalla madre, in quanto aveva il vizio del gioco e dell'alcol. Al fine di indurla a consegnare le predette somme, era giunto in più di un'occasione fino al punto di minacciarla di morte, brandendo un coltello, e di picchiarla (per lo più tirandole i capelli, spintonandola e schiaffeggiandola), anche in presenza della madre e dei figli minori. Per tale ragione, la La. nell'anno 2018 aveva anche deciso di abbandonare per qualche mese la casa familiare per rifugiarsi insieme ai bambini presso l'abitazione della madre. Tuttavia, in quel frangente aveva deciso di perdonarlo nella speranza che lo stesso potesse desistere dai suoi atteggiamenti violenti e vessatori. Ciò. purtroppo, non era accaduto; anzi, la situazione era peggiorata a partire dell'anno 2019, ovvero da quando la donna aveva iniziato a percepire il reddito di cittadinanza, tanto che a seguito di un episodio verificatosi nel mese di ottobre del 2020. nel corso della quale l'uomo l'aveva per l'ennesima volta minacciata di morte, la stessa aveva deciso di allertare le forze dell'ordine e di denunciarlo. La La. ha, poi, precisato di essersi recata un'unica volta in Ospedale per farsi refertare le lesioni cagionatele dall'odierno imputato. Ciò era accaduto a seguito di un episodio verificatosi nel maggio dell'anno 2018 o dell'anno 2019, in occasione del quale il Te. le aveva lanciato dei piatti addosso, provocandole delle ferite che avevano richiesto l'applicazione di punti di sutura. Tuttavia, in quel frangente, la donna, su invito del cognato dell'odierno imputato, non aveva riferito che si era trattata di un'aggressione perpetrata ai suoi danni dal Te.. A fronte, poi. delle contestazioni mosse dalla difesa, la persona offesa ha provato a giustificare le contraddizioni emerse con quanto dalla stessa riferito in sede di denuncia e di sommarie informazioni. Ed invero, in ordine al momento incili sarebbero iniziate le condotte violente del Te. ("i rapporti con il mio compagno da circa otto anni non sono mai stati idilliaci, con discussioni quasi giornaliere per futili motivi, ma se devo essere onesta non sono mai state violente, ma classiche discussioni che avvengono tra conviventi" - "da quando percepisco il reddito di cittadinanza, da circa 15 mesi, le discussioni si sono trasformate in vere e proprie violenze"), la La. ha chiarito che in realtà a partire dall'anno 2019. ovvero da quando la stessa aveva iniziato a percepire il reddito di cittadinanza, la situazione era semplicemente peggiorata, in quanto anche prima l'odierno imputato era solito aggredirla verbalmente e fisicamente. Quanto, invece, alla circostanza relativa alle asserite violenze perpetrate dal Te. nei confronti dei figli minori, la donna ha negato di aver riferito tali fatti per la prima volta in occasione della sua escussione dibattimentale, ribadendo con forza di averli raccontati, dapprima, alla madre e, poi. alle forze dell'ordine. In ordine, infine, alle condizioni di vita dei figli minori, la persona offesa ha spiegato che nel settembre del 2022 gli stessi venivano collocati in una casa-famiglia in quanto la persona che doveva occuparsi di loro in sua assenza li aveva abbandonati in strada senza avvisarla. Pur precisando di aver provato a riunirsi con loro presso la predetta struttura - ma ciò non gli era stato consentito atteso il suo stato di gravidanza - e di aver sempre fatto di tutto per ottenerne l'affidamento, la La. ha ammesso di non avere contatti con loro da quasi un anno. Tuttavia, anche in questo caso, la donna ha tentato di giustificarsi, chiarendo che fossero i responsabili della casa-famiglia a non consentirglielo. L'esistenza di dissidi tra la persona offesa e l'odierno imputato ha trovato riscontro nelle dichiarazioni rese dalla madre di lei. D.P.F.. Quest'ultima, infatti, ha riconosciuto che si verificavano, anche in sua presenza, frequenti litigi in quanto il Te. si disinteressava della famiglia e. non avendo un'occupazione lavorativa stabile, pretendeva che la figlia gli consegnasse il denaro in suo possesso. In particolare, la D.P. ha riferito che nell'anno 2019 era stata contattata dalla La., la quale le aveva confidato di temere che l'odierno imputato volesse picchiarla in quanto la stessa si era rifiutata di consegnargli i soldi dalla stessa percepiti a titolo di reddito di cittadinanza. Recatasi presso l'abitazione della figlia, aveva trovato i minori che piangevano e il Te., che, in evidente stato di agitazione, urlava e alzava le mani nei confronti della L.. Analogamente, in un'altra occasione, l'odierno imputato si era recato presso la sua abitazione, ove si trovava la persona offesa con i suoi figli, e all'esito dell'ennesimo litigio si era scagliato contro di lei. tirandole i capelli e schiaffeggiandola. La D.P. ha. quindi, concluso nel senso che la figlia fosse divenuta succube del Te.. non riuscendo a reagire alle sue condotte violente e vessatorie. L'odierno imputato, dal canto suo. ha negato gli addebiti a lui mossi, chiarendo di aver sempre svolto una stabile attività lavorativa presso un autolavaggio e di avere, quindi, sempre guadagnato il denaro necessario per provvedere, unitamente ai sussidi statali, al mantenimento del proprio nucleo familiare. Lo stesso ha. poi, dichiarato di essersi trasferito in Germania nell'anno 2022 per ragioni di lavoro, di avere continuato a mantenere contatti con i propri figli, con cui effettuava videochiamate ogni quattordici giorni, e di aver intrapreso un percorso psicologico finalizzato a ottenerne l'affidamento. Quanto ai rapporti intercorsi con la La. durante la convivenza, il Te. ha ammesso che si verificavano frequenti litigi, ma ha spiegato che ciò era dovuto al fatto che la compagna non si occupasse a sufficienza della sua famiglia, provvedendo quasi esclusivamente ai suoi bisogni. L'odierno imputato ha. inoltre, negato di aver mai tenuto condotte violente nei confronti della La. e dei suoi figli e di aver mai preteso somme di denaro dalla propria compagna, essendo economicamente autosufficiente e potendo anche contare sull'aiuto della propria famiglia. Di analogo tenore le dichiarazioni rese dalla madre. L.F., e dalla sorella. T.I., dell'odierno imputato. La prima, infatti, oltre a confermare il propalato del figlio, ha chiarito che il motivo della separazione tra quest'ultimo e la La. era riconducibile al comportamento instabile della donna, la quale, oltre a non occuparsi dei bisogni del compagno e dei figli, alla fine della convivenza aveva anche inizialo a intrattenere relazioni con altri uomini. La La., infatti, ha precisato di non aver mai assistito a litigi tra i due. anche durante il lungo periodo in cui gli stessi avevano vissuto presso la sua abitazione, e di dover essere intervenuta in tante occasioni per dare un aiuto materiale ed economico al figlio. Tali circostanze sono state confermate anche dalla sorella dell'odierno imputato, la quale ha riferito di avere constatalo più volte, dopo che il fratello si era separato dalla La. e si era recato in Germania, che la donna non si interessava in alcun modo dei figli minori, i quali erano lasciati a loro stessi, sporchi e denutriti. Al line di ricostruire i fatti in contestazione sono state acquisite le dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni da Q.S., il quale, dopo aver premesso di essere proprietario dell'abitazione, sita in M. alla via V., n. 12. all'interno della quale viveva la La., unitamente al proprio compagno e ai suoi tre figli, riferiva esclusivamente di aver avuto nel novembre del 2020 una conversazione telefonica con la persona offesa, nel corso della quale, a fronte delle rimostranze dallo stesso mosse in quanto la donna non aveva ancora versato per quella mensilità il canone di locazione, quest'ultima gli confidava che stesse avendo dei problemi con l'ex compagno dal momento che lo stesso qualche settimana prima l'aveva minacciata con un coltello, chiedendole dei soldi, in quanto lo stesso non aveva un'occupazione stabile (cfr. documentazione, in atti). Sono state, poi, acquisite le annotazioni di servizio relative a due interventi effettuati dalla p.g. operante. Ed invero, in data 29 ottobre 2020. alle ore 11.45. agenti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Marigliano si portavano in via V., n. 12, presso l'abitazione del nucleo familiare T.-L. su segnalazione della madre della persona offesa. D.T.F.. Giunti sul posto, gli operanti di p.g. rinvenivano la La. in compagnia dei tre figli minori. Quest'ultima lamentava di essere stata percossa nel corso della mattina dal compagno, il quale, a dire della stessa, pur lavorando in un autolavaggio, sito in S. V. nei pressi del bar "Ce.", pretendeva parte del reddito di cittadinanza dalla stessa percepito. Entrati in casa, i militari notavano che l'abitazione fosse in disordine, ma constatavano che ciò non fosse riconducibile ai fatti narrati dalla donna. Quest'ultima. che riferiva di subire da tempo aggressioni fisiche dall'odierno imputato, da lei mai denunciate, e di essere impaurita per la propria incolumità e per quella dei figli, non presentava segni evidenti di percosse e rifiutava l'intervento del servizio sanitario di urgenza ed emergenza (cfr. documentazione, in atti). Successivamente, in data 11 novembre 2020, alle ore 19.50, agenti in servizio presso la Compagnia dei Carabinieri di Castello di Cisterna si portavano nuovamente presso l'abitazione del nucleo familiare T.-L. in quanto era stato segnalato da un vicino che fosse in corso una lite tra l'odierno imputato e la persona offesa. Tuttavia, giunti sul posto, i militari rinvenivano sia il Te. che il La., i quali negavano quanto comunicato alla centrale operativa e riferivano che essendo presenti in casa tre minori poteva succedere che gli stessi fossero costretti ad alzare la voce. Inoltre, su espressa domanda la persona offesa negava di essere mai stata vittima di maltrattamenti fisici da parte de) compagno. Infine, gli operanti di p.g. intervenuti avevano modo di notare che la donna non presentasse evidenti segni di percosse (cfr. documentazione, in atti). Sono stati, infine, acquisiti un'annotazione di p.g. e un verbale di consegna dai quali è emerso che in data 1 7 settembre 2022. alle ore 18.30 circa, il Comando di Polizia Locale del Comune di Marigliano veniva allertato del fatto che vi fossero tre minori in stato di abbandono che vagavano per la città. Gli agenti R.A. e D.A., allora, si mettevano alla ricerca degli stessi e li rinvenivano seduti su uno scalino di un negozio di bomboniere, atteso che la commerciante aveva fornito ai bambini dei confetti per convincerli a fermarsi. In quel frangente, i tre minori riferivano spontaneamente di essere stati fino a poco tempo prima in compagnia di una badante di nome Gaia, la quale si era nel frattempo allontanata, che la madre si chiamava R. e che la stessa era uscita, insieme al compagno con cui conviveva e con il figlio dalla stessa appena avuto con lui. Inoltre, i bambini, identificati in T.R., T.M. e T.S., riferivano di aver mangiato con la badante una fettina di carne, ma che la stessa era pazza e li aveva abbandonati. Gli agenti, allora, tentavano, dapprima, di contattare i genitori dei minori, ma senza esito, e, poi, decidevano di svolgere ulteriori accertamenti per comprendere le condizioni di vita dei bambini, i quali apparivano sporchi e denutriti, nonché affamati e assetati. Gli stessi, infatti, avevano le unghie sporche, i vestiti sudici e chiedevano continuamente di avere qualcosa da bere e da mangiare. In particolare, la piccola S. si mostrava particolarmente bisognevole di affetto e di cure; la stessa, infatti, si aggrappava ai vestiti del personale in servizio e chiedeva continuamente attenzioni. Portatisi presso l'abitazione degli stessi, gli agenti apprendevano dai vicini che la La. abbandonava spesso i propri figli, i quali in quei frangenti girovagano per la strada. Gli stessi aggiungevano che la casa era in precarie condizioni igieniche e che la madre non si occupava di loro, tanto che erano stati i vicini stessi a iscriverli a scuola e a pagare la retta della mensa. Il vicinato riferiva di aver già sollecitato tale problematica agli assistenti sociali del Comune di Marigliano, attese le condizioni di abbandono e di solitudine dei minori, ma che non erano stati assunti provvedimenti. Atteso ciò, dopo aver sondato la disponibilità di familiari del ramo paterno all'accoglienza dei bambini, si decideva di affidarli in via d'urgenza alla madre del Te. (cfr. documentazione, in atti). Così ricostruita l'istruttoria dibattimentale, occorre preliminarmente ricordare che la legge non prevede nessuna incompatibilità, per la persona offesa, ad assumere l'ufficio di testimone, atteso che le cause di incompatibilità sono dettate solo per quelle ipotesi tipiche e tassative in cui la fonte di prova sia portatrice di un rilevante interesse a mentire, tale da non potersi rivestire di quella presunzione di terzietà e di fides propria del testimone. Questa presunzione non viene meno per il solo fatto di essere rimasti vittime di un reato e, per l'effetto, di essere interessati alla punizione del suo autore. Infatti, l'intenzione di vedere sottoposto ai rigori della legge penale l'autore del reato non solo non è incompatibile con la genuinità della testimonianza (o delle sommarie informazioni), dovendosi, altrimenti, sempre escludere l'affidabilità e l'attendibilità della persona offesa, ma anzi, può denotare una particolare motivazione a dire il vero, giacché questo può talvolta essere l'unico modo per perseguire l'intento di giustizia. Se, dunque, deve ammettersi che la vittima possa e, anzi, debba testimoniare (o rendere informazioni), le sue parole, tuttavia, vanno sottoposte con particolare prudenza alle generali regole di valutazione della testimonianza, che ne verificano la veridicità attraverso la rilevazione dell'indizio della menzogna, evincibile dall'eventuale presenza di intrinseche contraddizioni, di illogicità o di contrasti con eventuali altri dati probatori. Si è, pertanto, affermato il principio per cui le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza doversi applicare le regole previste dall'art. 192, co. 3 e 4, c.p.p., ovvero senza doversi ricercare altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, ma, a tale scopo, è necessaria una precisa verifica positiva della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto. In particolare, la valutazione va condotta, sotto il profilo soggettivo, apprezzando le qualità personali, morali, intellettive e sensitive del dichiarante e. sotto il profilo oggettivo, verificando l'analiticità, l'intima coerenza e la reiterazione costante ed uniforme delle sue dichiarazioni. Può essere, tuttavia, opportuno procedere comunque al riscontro delle dichiarazioni con altri elementi, ove la persona offesa si sia anche costituita parte civile, in quanto in tali casi lo specifico interesse economico di cui è portatrice potrebbe contaminare l'attendibilità delle sue dichiarazioni (Cass., Sez. V, 13 febbraio 2020, n. 12920; Cass., Sez. V. 26 marzo 2019, n. 21135; Cass., Sez. Un.. 19 luglio 2012, n. 41461; Cass.. Sez, I. 24 giugno 2010, n. 29372; Cass., Sez. VI. 3 giugno 2004. n. 33162). Ciò non significa che il giudice debba assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il dichiarante riferisca scientemente il falso, salvo che, ovviamente, si ravvisino chiari e specifici elementi atti a rendere fondato un tale sospetto. In altri termini, il giudice deve limitarsi a verificare l'intrinseca attendibilità della testimonianza, partendo, però, dal presupposto che, fino a prova contraria, il dichiarante riferisce fatti obiettivamente veri o da lui ragionevolmente ritenuti tali. Ciò con l'avvertenza che l'espressione "fino a prova contraria" non va intesa nel senso della necessità di dimostrare in maniera incontrovertibile il mendacio oppure il vizio di percezione o di ricordo del dichiarante, essendo sufficiente la rilevazione di elementi positivi atti a rendere obiettivamente plausibile una di queste ipotesi (cfr. Cass., Sez. VI. 27 marzo 2014, n. 27185). Facendo applicazione dei principi di diritto appena illustrati, la deposizione della persona offesa, la quale non appare costante nella progressione narrativa, ha evidenziato alcuni profili di contraddittorietà logica che inducono a dubitare seriamente dell'attendibilità dei relativi contenuti. Per tale ragione, non appare possibile ricostruire in termini di certezza processuale quanto accaduto durante il rapporto di convivenza intercorso tra il Te. e la La., essendo la stessa ricostruzione dei fatti offerta da quest'ultima non del tutto credibile, attese le palese contraddizioni in cui è incorsa la donna, la quale ha ricostruito l'intero dipanarsi degli eventi in modo controverso, arricchendo nel tempo di nuovi e contrastanti dettagli il proprio narrato (si pensi al dato delle violenze fisiche presumibilmente perpetrate ai danni dei figli minori e dalla stessa riferite solo in occasione della sua escussione dibattimentale). La persona offesa ha reso dichiarazioni incostanti e altalenanti, si è mostrata eccessivamente generica e non è stata in grado di ricostruire nel dettaglio i singoli episodi di vessazione subiti. Nonostante le numerose sollecitazioni ricevute non è stata capace di fornire una spiegazione logica alle contraddizioni emerse nel corso della sua escussione dibattimentale. Non può nemmeno trascurarsi che le dichiarazioni della La. non solo non trovano dei puntuali riscontri negli altri elementi di prova, ma, anzi, appaiono smentite da questi ultimi. Ed invero, in disparte l'altrettanto impreciso e generico propalato della madre, gli stessi operanti di p.g. intervenuti l'11 novembre 2020 (e, quindi, in data successiva alla denuncia) presso l'abitazione del nucleo familiare T.-L. avevano modo di apprendere dalla stessa persona offesa che questa non fosse mai stata vittima di maltrattamenti e che in quel frangente non vi fosse alcuna lite in atto tra i due. Allo stesso modo, le dichiarazioni rese dalla La. in ordine alla condizione dei figli hanno trovato una evidente smentita in quanto appreso dal personale del Comando di Polizia Locale del Comune di Marigliano a seguito de! rinvenimento dei tre minori in stato di abbandono. A dispetto di quanto dalla stessa riferito, infatti, gli agenti apprendevano dai vicini che la La. abbandonasse spesso i propri figli a loro stessi, tenendo la casa in precarie condizioni igieniche, tanto che era il vicinato (attesa l'assenza del padre, che nel frattempo si era trasferito in Germania per lavoro) che si occupava di loro, provvedendo persino a iscriverli a scuola e a pagare la relativa retta mensile. Dal canto suo. il Te. ha fornito una ricostruzione alternativa dei fatti per cui è processo, riscontrata, oltre che dalle dichiarazioni rese dalla madre e dalla sorella, dall'ulteriore documentazione prodotta, che attesta il percorso psicologico seguito dall'odierno imputato e, come detto, lo stato di abbandono in cui versavano i figli durante la sua assenza. Ciò detto, l'intrinseca inattendibilità della testimonianza della L.. nonché la totale assenza di riscontri alla stessa, impediscono pure di fare ricorso all'orientamento giurisprudenziale, che ammette a certe condizioni una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa. Va. pertanto, osservato che non vi sono elementi fattuali di carattere obiettivo o anche soltanto logico tali da postulare la maggiore attendibilità delle prove a carico del Te. rispetto alla versione difensiva dei fatti dallo stesso prospettata, a giudizio del Tribunale almeno altrettanto credibile rispetto alla ricostruzione fornita della L.. In conclusione, le dichiarazioni della vittima non possono assolutamente essere poste a fondamento della decisione. Ne consegue che dagli elementi sopra illustrati e analizzati non emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato per il reato a lui ascritto al capo 1) della rubrica. Il delitto previsto dall'art. 572 c.p. punisce i maltrattamenti contro i familiari o i conviventi, al fine di tutelare l'integrità della famiglia, intesa come il nucleo fondamentale della società umana, in seno al quale l'individuo, per la prima volta, esprime la sua personalità e adempie i propri doveri inderogabili di solidarietà verso l'altro, segnando, in questo modo, il suo passaggio dallo stato di natura a quello sociale. In particolare, si tutela l'interesse della persona, che, nei rapporti di forza caratterizzanti, al pari delle altre formazioni sociali, anche la famiglia, venga a trovarsi in una posizione di disparità rispetto all'altro familiare, cui fanno da contraltare obblighi di assistenza morale e materiale, di mantenimento o di educazione in capo a quest'ultimo. Si tratta di un reato proprio, potendo esso essere commesso soltanto da un soggetto legato alla vittima da un rapporto familiare (o di autorità, nei casi previsti dall'art. 572 c.p.). Sulla base di un'interpretazione conforme all'art. 2 Cost., la norma incriminatrice spiega la sua efficacia nei confronti non solo della famiglia fondata sul matrimonio, ma anche di quella che si fonda sull'unione civile o della c.d. famiglia di fatto. Invero, dall'espresso riferimento alla convivenza si ricava l'applicabilità dell'art. 572 c.p. a qualsiasi consorzio umano nell'ambito del quale la convivenza, sia essa scaturita da una relazione sentimentale o da una mera consuetudine di vita, abbia dato luogo a rapporti di assistenza e di solidarietà. Si è, così, stabilito che il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di una persona legata al reo da una relazione sentimentale, che abbia comportato un'assidua frequentazione della sua abitazione, trattandosi di un rapporto abituale tale da fare sorgere dei sentimenti di umana solidarietà e doveri di assistenza morale e materiale (cfr. Cass., Sez. V, 17 marzo 2010. n. 24688). Al contempo, si è precisato che la cessazione della convivenza more uxorio non esclude la configurabilità del delitto in esame, quando il reo e la vittima restino comunque legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione (cfr. Cass.. Sez. II. 5 luglio 2016. n. 39331). Quest'ultima è la manifestazione fenomenologica di un progetto di vita fondato sulla reciproca solidarietà e assistenza, sicché la permanenza degli obblighi nei confronti del figlio fa sì che la coppia sia chiamata a relazionarsi ai fini del loro adempimento, su basi di collaborazione e di reciproco rispetto, a prescindere dalla cessazione della convivenza (cfr. Cass., Sez. VI, 20 aprile 2017, n. 25498). La condotta di maltrattamento punita dall'art. 572 c.p. va intesa come un qualsiasi comportamento diretto a provocare nella vittima una sofferenza fisica o morale, con effetti di prostrazione e di avvilimento. Va sottolineato che lo stato di sofferenza e di umiliazione della vittima non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori, ben potendo derivare anche da un clima generalmente instaurato dall'autore del reato, in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi, a prescindere dall'entità numerica degli stessi (Cass.. Sez. VI, 21 dicembre 2009. n. 8592). Più precisamente, si è chiarito che "il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, ingiurie, lesioni e minacce privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali ... il reato in esame può essere integrato sia mediante la commissione di condotte costituenti autonome ipotesi delittuose, come tipicamente avviene nel caso in cui la persona offesa subisca lesioni personali, ma anche a seguito di condotte genericamente vessatorie, purché queste siano in grado di realizzare quello stato di umiliazione ed abituale prostrazione della vittima che tipicamente contraddistingue la nozione stessa di maltrattamenti in famiglia. In tal senso, è stato ribadito anche recentemente che il delitto di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche mediante il compimento di atti che di per sé non costituiscono reato, posto che il termine maltrattare non evoca la necessità del compimento di singole condotte riconducibili a fattispecie tipiche ulteriori rispetto a quella di cui all'art. 572 c.p." (Cass., Sez. VI. 30 giugno 2021. n. 29190). Trattandosi di un reato abituale, la rilevanza penale della condotta presuppone la sua reiterazione nel tempo, in misura tale da determinare un regime di vita improntato alla sofferenza e alla subordinazione, pur non essendo affatto necessaria la quotidianità della condotta. In particolare, il requisito dell'abitualità di cui all'art. 572 c.p. richiede "il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato arco temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e accordo con il soggetto passivo" (Cass., Sez. III. 22 novembre 2017. n. 6724). Per affermare la responsabilità penale, è, da ultimo, necessario accertare che il reo abbia avuto la consapevolezza e la volontà di sottoporre in maniera continuativa la vittima a sofferenze fisiche o morali. li dolo del delitto di maltrattamenti è unitario e programmatico, nel senso che esso funge da elemento unificatore della pluralità di atti lesivi della personalità della vittima, e si concretizza nell'inclinazione della volontà a una condotta oppressiva e prevaricatori a. che si va via via realizzando nella reiterazione dei maltrattamenti, nel senso che il colpevole pone in essere le singole sopraffazioni nella consapevolezza di persistere in un'attività illecita compiuta già altre volte e complessivamente finalizzata ad avvilire la personalità della vittima, a nulla rilevando, data la natura abituale del reato, che, nel lasso di tempo preso in considerazione, siano ravvisabili nella condotta del soggetto agente periodi di normalità e di intesa con il soggetto passivo, né che il soggetto attivo sia animato dal line specifico di maltrattare la vittima (cfr. Cass., Sez. VI, 22 settembre 2005, n. 39927). Tali elementi non ricorrono nel caso di specie. In primo luogo, si osserva che l'imputato e la vittima all'epoca dei fatti erano legati da rapporto di convivenza, nonché di filiazione, sicché di certo sussisteva un rapporto familiare rilevante per l'applicazione dell'art. 572 c.p., essendo irrilevante la sopravvenuta cessazione della convivenza. Tuttavia, in conseguenza dell''impossibilità di porre a fondamento della decisione le dichiarazioni della vittima, per le ragioni già illustrate, nel caso di specie si ravvisa un ragionevole dubbio sul l'insussistenza di maltrattamenti reiterati nel tempo, non potendosi ritenere provate, oltre ogni ragionevole dubbio, le condotte contestate al capo 1 ) della rubrica. Anche a volere prescindere - e non si può - da tali assorbenti considerazioni, occorre richiamare un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo il quale dei fatti lesivi dell'integrità fisica o morale dei coniugi, che sì verificano, in modo circoscritto nel tempo, durante i litigi scaturiti da una crisi coniugale, fanno venire meno l'abitualità delle condotte in direzione di una precisa volontà di determinare una sopraffazione sistematica e. quindi, una situazione di vita intollerabile per l'altro (cfr. Cass.. Sez. VI, 21 gennaio 2015. n. 12065). Va richiamato pure il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, il quale ha stabilito, che nel delitto di maltrattamenti in famiglia, deve escludersi che la compromissione del bene giuridico protetto si verifichi in presenza di semplici fatti che ledono o mettono in pericolo l'incolumità personale, la libertà o l'onore di una persona della famiglia; è infatti necessario, per la configurabilità del reato, che tali fatti siano la componente di una più ampia e unitaria condotta abituale, idonea a imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile, caratterizzato da uno stato di soggezione e di inferiorità psicologica della vittima (cfr. Cass., Sez. VI. 4 giugno 2015. n. 30903). Nel caso di specie, anche a volere aderire alla prospettazione della persona offesa, si riscontrerebbero, comunque, unicamente degli episodi di tensione familiare, che. esaminando attentamente le dichiarazioni della vittima, non appaiono avere ingenerato nella donna nessuno stato di soggezione, d'inferiorità psicologica o di mortificazione. Le considerazioni svolte in tema di genericità e inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dalla La. impediscono di ritenere provate oltre ogni ragionevole dubbio anche le condotte estorsive ascritte al Te. ai capi 2) e 3) della rubrica, non trovando le stesse alcun ulteriore riscontro nel materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione. Gli elementi di valutazione che precedono postulano, quindi, ad avviso di questo giudicante, la pronunzia di una sentenza assolutoria nei confronti dell'imputato con la formula "perché il fatto non sussiste". Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Letto l'art. 530, co. 2, c.p.p., assolve Te.Gi. dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. Letto l'art. 544, co. 3 c.p.p.. fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Nola il 31 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA SEZIONE PENALE Il Tribunale di Nola - collegio A Dott.ssa Agnese Di Iorio - Presidente Dott.ssa Alessandra Zingales - Giudice Dott. Arnaldo Merola - Giudice est. alla pubblica udienza del 14 dicembre 2023 ha pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Er.Al., nato a P. d'A. il (...), residente in C. di N. alla via S., n. 51 detenuto per questa causa -presente difeso di fiducia dall'avv. Fr.MA. del foro di Napoli e dell'avv. En.FE. del foro di Napoli IMPUTATO a) del reato p. e p. dagli artt. 56, 629 co. 1 e 2, in relazione all'artt. 628 co. 3 n. 3 bis c.p., 89 c.p. perché, al fine di trarne profitto, con violenza consistita nello stringere le mani intorno alla gola della donna e nel colpirla successivamente con una coltellata al fianco destro, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la madre Ma.Ma. a consegnargli la somma di 20 Euro, non riuscendovi per circostanze indipendenti dalla sua volontà (ferma opposizione della persona offesa). Con le aggravanti di aver commesso il fatto con un'arma (coltello a farfalla) ed in un luogo di privata dimora. Con l'attenuante del vizio parziale di mente. In Casalnuovo di Napoli, il 17 giugno 2023 b) del reato p. e p. dagli artt. 582 - 585, in relazione all'art. 577 c.p., 89 c.p. perché cagionava alla madre Ma.Ma. lesioni personali (ferita da arma bianca al fianco destro a limite della radice della coscia), giudicate guaribili in giorni 20, con la condotta descritta sub a). Con le aggravanti di aver commesso il tatto nei confronti della madre e con un'arma (coltello a farfalla). Con l'attenuante del vizio parziale di mente. In Casalnuovo di Napoli, il 17 giugno 2023 c) del reato p. e p. dagli artt. 81 1 co., 337 c.p., 89 c.p. perché, con un'unica azione, usava minaccia, consistita nel puntare verso l'Isp. Lo.Gi., l'Ass. C.C. Da.Lo. e l'Ass. Pl.Fr., in divisa e qualificatisi come appartenenti alla Polizia di Stato, una replica di una pistola Bruni PX4 priva del tappo rosso affermando al contempo di essere pronto a fare fuoco, per opporsi ai predetti pubblici ufficiali mentre compivano un atto dell'ufficio, consistito nell'effettuare una perquisizione domiciliare di iniziativa posta in essere nella flagranza di reato per ricercare il coltello utilizzato dall'indagato per realizzare i delitti descritti sub a) e b). Con l'attenuante del vizio parziale di mente. In Casalnuovo di Napoli, il 18 giugno 2023 d) del reato p. e p. dall'art. 572 c.p., 89 c.p., perché con reiterate condotte di violenza e di minaccia, maltrattava i genitori Ma.Ma. ed Er.Sa., sottoponendoli ad un regime di vita umiliante e vessatorio. Con l'attenuante del vizio parziale di mente. In Casalnuovo di Napoli, fra il gennaio e 1'aprile 2023 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato emesso dal GIP presso il Tribunale di Nola in data 22 settembre 2023, Er.Al. veniva tratto a giudizio innanzi a questo Tribunale in composizione collegiale per rispondere dei reati in epigrafe indicati. Alla prima udienza del 2 novembre 2023, il Tribunale, accertata la regolare costituzione delle parli, dichiarava l'apertura del dibattimento e ammetteva le prove orali e documentali richieste dalle parti. Si procedeva, poi, all'escussione del teste, Ass. C. Le.Da.. A quel punto, il PM rinunciava all'escussione del proprio teste di lista. Isp. Gi.Lo., avendo svolto i medesimi accertamenti del teste escusso, e il Tribunale, nulla osservando la difesa, revocava l'ordinanza ammissiva della relativa testimonianza. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo. All'udienza del 14 dicembre 2023, si procedeva all'escussione della teste, Ma.Ma. (di cui veniva acquisito con il consenso delle parti il verbale di sommarie informazioni rese in data 18 giugno 2023 presso la clinica "Vi."). A quel punto, l'imputato rendeva dichiarazioni spontanee. All'esito, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti processuali contenuti nel fascicolo dibattimentale e dava la parola alle parti che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate, sulla base delle quali pronunciava la presente sentenza, dando lettura del dispositivo in udienza. In quel frangente, il Tribunale non dava gli avvisi di cui all'art. 545-bis c.p.p., non ritenendo sussistenti per l'imputato, per le ragioni di cui si dirà in motivazione, le condizioni per sostituire la pena detentiva inflitta con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 L. n. 689 del 1981. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene questo Collegio che, alla luce degli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento e dell'attività istruttoria espletata, vada affermata la penale responsabilità dell'Er. in ordine ai reati a lui ascritti in rubrica. Il presente procedimento trae origine dall'arresto in flagranza dell'imputato per i reati di estorsione, resistenza e lesioni; arresto convalidato e seguito dall'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. In particolare, in data 18 giugno 2023, intorno alle ore 2:20, agenti in servizio presso il Commissariato di P.S. di Acerra, su indicazione della Centrale Operativa, si recavano presso il pronto soccorso della clinica "Vi.", ove era stato segnalato l'accesso di una persona con ferita da taglio e punta. Ivi giunti, gli operanti di p.g. identificavano la persona offesa in Ma.Ma., la quale, escussa a sommarie informazioni, riferiva di essere stata accoltellata dal figlio convivente, Er.Al., affetto da problemi psichiatrici e in cura presso il Dipartimento di salute mentale di Casoria (cfr. verbale di arresto in flagranza redatto da personale del Commissariato di P.S. di Acerra in data 18 giugno 2023, ritualmente acquisito agli atti). In particolare, la donna raccontava che nel corso della serata, alle ore 21.30 circa, il figlio aveva, dapprima, preteso che ella gli acquistasse un cane di razza "pitbull" e, poi, la somma di denaro di 20.00 Euro. A fronte del suo rifiuto, l'odierno imputato la aveva spinta contro una parete della cucina e con la mano destra le aveva stretto la gola fino a farla quasi soffocare. Il tentativo di divincolarsi dalla presa del figlio aveva provocato un'ulteriore reazione dello stesso, il quale, invece di desistere, aveva estratto dalla lasca dei pantaloni un coltello cromato con il quale l'aveva pugnalata con un singolo fendente al fianco destro. Alla vista del sangue, l'odierno imputato aveva pulito con cura le macchie sul pavimento, a suo dire per "coprire le tracce", e, prima di offrirsi di allertare il servizio sanitario di urgenza ed emergenza ("118"), le aveva intimato di riferire al personale medico di essere caduta accidentalmente in casa. Dopo alcune ore, non riuscendo a bloccare l'emorragia in corso e in ragione del forte dolore, l'Er. chiamava finalmente il "118" (cfr. verbale di sommarie informazioni rese da Ma.Ma. in data 18 giugno 2023 presso la clinica "Vi.", acquisito ritualmente agli atti con il consenso delle parti). Alle ore 1.50 circa, la Ma. giungeva presso il pronto soccorso della clinica "Vi." con una "ferita da punta e taglio nella regione inguinale dx" e veniva ricoverata per ricevere le cure del caso (cfr. verbale di arresto in flagranza redatto da personale del Commissariato di P.S. di Acerra in data 18 giugno 2023, ritualmente acquisito agli atti). La vittima riferiva, altresì, che al momento dell'aggressione in casa non vi erano altre persone e che tali comportamenti violenti del figlio non erano nuovi, in quanto già in altre occasione lo aveva denunciato per maltrattamenti in famiglia, venendo sistematicamente picchiata e minacciata (cfr. verbale di sommarie informazioni rese da Ma.Ma. in data 18 giugno 2023 presso la clinica "Vi.", acquisito ritualmente agli atti con il consenso delle parti). Gli agenti, allora, alle ore 4.15 circa, si recavano presso l'abitazione della Ma. per rintracciare l'Er., che veniva definito dalla madre un soggetto estremamente pericoloso e armato. Dal momento che, nonostante gli insistenti solleciti, la porta della casa non veniva aperta, gli operanti di p.g., dopo essersi qualificati ad alta voce quali appartenenti alla Polizia, accedevano all'interno dell'appartamento con le chiavi a loro consegnate dalla vittima. Varcato l'uscio, l'Er., già noto agli agenti per ragioni di servizio, puntava all'indirizzo del personale in divisa una pistola in metallo, replica di una pistola "BRUNI PX4" e sprovvista di tappo roso, minacciando di fare fuoco. Solo l'esperienza e la professionalità degli operanti scongiuravano conseguenze nefaste; ed invero, dopo una breve trattativa, gli agenti riuscivano ad avvicinare l'odierno imputato e, non senza difficoltà, a bloccarlo, dopo aver ingaggiato con lui una breve colluttazione. A seguito della perquisizione personale eseguita sull'odierno imputato, venivano rinvenuti nel marsupio che lo stesso portava a tracolla due coltelli, di cui uno a scatto e uno a farfalla; quest'ultimo veniva indicato dall'Er. quale l'arma utilizzata per infliggere il fendente alla madre. Veniva, altresi, eseguita una perquisizione locale dell'appartamento e nella stanza dell'odierno imputato venivano rinvenute quattro pistole in metallo, tutte repliche di modelli originali e prive di tappo rosso, oltre che un porta-placca delle G.P.G. (cfr. verbale di arresto in flagranza redatto da personale del Commissariato di P.S. di Acerra in data 18 giugno 2023, ritualmente acquisito agli atti). A quel punto, gli operanti ponevano il materiale sotto sequestro e traevano in arresto l'Er. (cfr. verbale di sequestro e verbale di arresto in flagranza, in atti), il quale nel corso dell'udienza di convalida si avvaleva della facoltà di non rispondere. I fatti così ricostruiti hanno trovato conferma nelle dichiarazioni rese nel corso della istruttoria dibattimentale dall'Ass. C. Le.Da. e da Ma.Ma.. Il primo, infatti, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare trattandosi di pubblico ufficiale chiamato a deporre in ordine a circostanze apprese nel corso della propria attività di ufficio, ha riferito di essere intervenuto, unitamente all'Ass. F.P., in data 18 giugno 2023. presso il pronto soccorso della clinica "Vi." in quanto era stata segnalata la presenza di una persona ferita con arma da taglio. Dopo aver ricevuto dalla persona offesa, identificata in Ma.Ma., il racconto dell'accaduto, si era recato, unitamente ai col leghi, presso l'abitazione della vittima e qui aveva fatto accesso all'appartamento, utilizzando le chiavi fornite dalla Ma.. Tuttavia, appena gli agenti avevano varcato l'uscio dell'abitazione, si erano trovati di fronte l'imputato, già noto per ragioni di servizio, che puntava al loro indirizzo una pistola, sprovvista di tappo rosso, e li minacciava di fare fuoco. A quel punto gli operanti, non sapendo se si trattasse o meno di una pistola giocattolo, avevano intimato all'imputato di riporre l'arma e di non fare sciocchezze. Ne era nata una breve colluttazione, all'esito della quale gli stessi, dopo aver accerchiato l'Er. e averlo, con non poche difficoltà, sopraffatto fisicamente, erano riusciti a bloccarlo e a disarmarlo. Di seguito, avevano proceduto a eseguire una perquisizione personale e, nel marsupio che l'imputato portava addosso, erano stati rinvenuti due coltelli, uno a scatto e uno a farfalla. Avevano proceduto, poi, alla perquisizione locale dell'appartamento e nella stanza dell'imputato avevano rinvenuto altre quattro pistole, prive di tappo rosso, e un porta-placca da guardia giurata. La Ma., allo stesso modo, ha confermato il contenuto delle dichiarazioni rese nell'immediatezza dei fatti. In particolare, la donna ha riferito in premessa che il figlio era seguito dal Dipartimento mentale di Casoria in quanto era affetto da disturbi mentali e che nel corso della settimana precedente, a causa principalmente dell'insonnia, si era mostrato molto nervoso, cercando sistematicamente una scusa per litigare con lei. Ed invero, nella serata del 17 giugno 2023, l'Er. era rientrato in casa in evidente stato di agitazione e dopo avere discusso con la madre in merito al suo desiderio di adottare un altro cane, aveva preteso che la donna gli consegnasse la somma di 20.00 Euro, da utilizzare, evidentemente, per acquistare sostanze alcoliche. A fronte del rifiuto opposto dalla Ma., l'imputato l'aveva, dapprima, presa per la gola e, poi, le aveva inflitto una coltellata all'altezza dell'inguine. La persona offesa ha precisato che non si era trattato del primo episodio in cui il figlio era rientrato nervoso a casa, cercando un pretesto per litigare con lei. Ciò, a parere della donna, era dovuto ai disturbi mentali da cui era affetto l'Er., in ragione dei quali lo stesso assumeva quotidianamente psicofarmaci da almeno due anni e percepiva una pensione di invalidità dell'importo mensile di 700.00 Euro. Al riguardo, la persona offesa ha chiarito che l'odierno imputato negli ultimi due-tre anni era solito aggredirla, sia pure non con cadenza giornaliera, ma non si era mai verificato un episodio altrettanto grave. In tali frangenti, il figlio si era più volte spinto fino al punto di usare violenza fisica nei suoi confronti tanto da generarle un profondo stato di soggezione e timore. La Ma., visibilmente provata, ha, infine, ammesso di aver tollerato le sempre più frequenti condotte vessatorie dell'Er. solo per proteggere il figlio, dal momento che la stessa sapeva che tali atteggiamenti violenti fossero unicamente riconducibili ai disturbi mentali dell'odierno imputato e, quindi, sperava che quest'ultimo, seguendo le terapie prescritte, potesse desistervi. A riscontro di quanto riferito dalla persona offesa in ordine all'episodio verificatosi nel corso della serata del 17 agosto 2023, è stato acquisito il verbale di pronto soccorso rilasciato dalla clinica "Vi." che attesta che la Ma., a seguito dell'aggressione del figlio, avesse riportato una lesione consistente in una ''ferita da arma bianca affianco destro a limite della radice della coscia" e giudicata guaribile in venti giorni (cfr. verbale di pronto soccorso rilasciato dalla clinica "Vi." in data 18 giugno 2023 alle ore 12.05, acquisito ritualmente agli atti). Dal canto suo, l'imputato ha dichiarato spontaneamente di essersi pentito della condotta tenuta e di essere pronto a seguire un percorso terapeutico. Così ricostruite le emergenze processuali, ritiene questo Tribunale che sia emersa, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato in ordine ai reati a lui ascritti. Tale decisione si fonda sulla valutazione complessiva degli elementi probatori acquisiti e in particolare sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, Ma.Ma., che hanno positivamente superato il vaglio di attendibilità intrinseca ed estrinseca, essendo risultate assolutamente genuine, lineari e coerenti, oltre a essere riscontrate dalla documentazione prodotta agli atti (verbale di arresto in flagranza e referto medico). Va in merito ricordato che è assolutamente consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui la testimonianza della persona offesa ben può costituire una fonte di convincimento, ancorché esclusiva, per il giudice, anche se, per essere posta a fondamento di un giudizio di colpevolezza, essa deve essere sottoposta ad un rigoroso vaglio critico della sua attendibilità, sia intrinseca che estrinseca, al fine di escludere che sia l'effetto di mire deviatrici (in tal senso, cfr. Cass., Sez. I, 24 settembre 1997, n. 8606). In sostanza, alla persona offesa è riconosciuta la capacità di testimoniare a condizione che la sua deposizione, non immune da sospetto per essere la stessa portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quelli dell'imputato, sia ritenuta veridica, dovendosi a tal fine far ricorso all'utilizzazione ed all'analisi di qualsiasi elemento di riscontro o di controllo ricavabile dal processo (Cass., Sez. V, 3 novembre 1992, n. 839; Cass., Sez. II, 24 settembre 2015, n. 43278). È, però, anche opportuno precisare che, non configurando il dettato normativo alcuna pregiudiziale di natura ontologica alla utilizzabilità della stessa deposizione quale prova ex se esaustiva per la affermazione della responsabilità penale, eventuali riscontri estrinseci, se acquisiti, non devono necessariamente presentare le connotazioni che si richiedono per la verifica della chiamata in correità (e cioè, in sintesi, la convergenza con altri elementi di natura indiziaria e la portata individualizzante o specifica del riscontro, che deve riguardare, nel caso di chiamata, sia la persona dell'incolpato, che le imputazioni a lui ascritte). D'altronde, risulta assolutamente plausibile la circostanza che la Ma. nell'ultimo periodo abbia tollerato le condotte tenute dall'odierno imputato, determinandosi a non denunciare i suoi comportamenti, nel comprensibile tentativo di preservare il suo rapporto con il figlio, circostanza che, unitamente alla scelta di non costituirsi parte civile, ancor più fa propendere per l'assenza di qualunque intento calunniatorio nei suoi confronti e che rafforza la sincerità del propalato della persona offesa. Peraltro, l'imputato, a fronte delle suesposte risultanze probatorie, non ha fornito una diversa ricostruzione dei fatti e un'alternativa chiave di lettura al materiale probatorio raccolto, rispetto a quella fornita dalla prospettazione accusatoria, allo stato l'unica ipotizzabile. Il diritto dell'imputato di difendersi tacendo, in altri termini, non può tradursi in una limitazione legale della sfera del libero convincimento del giudice, che può legittimamente esercitarsi, com'è stato autorevolmente sostenuto, anche in merito al significato attribuibile al silenzio serbato dall'imputato "...su circostanze su cui questi, potendo fornire indicazioni di dati che potrebbero scagionarlo e contribuire all'accertamento della verità, si rifiuti di farlo. In tal caso non può dirsi che il silenzio - garantito all'imputato come oggetto di un suo diritto processuale - venga utilizzato, in contrasto con tale garanzia, coma tacita confessione di colpevolezza, giacché il convincimento di reità del giudice viene a formarsi non sulla valorizzazione confessoria del silenzio, bensì sulla valorizzazione in senso probatorio di elementi già idonei a suffragare un giudizio di colpevolezza, in ordine ai quali il silenzio del soggetto viene ad assumere valore di mero riscontro obiettivo'' (cfr. Cass. pen., sez. V, 21.12,1988, P.). Sulla base, allora, delle indicate risultanze istruttorie, risulta al di là di ogni ragionevole dubbio provata, innanzitutto, la penale responsabilità dell'Er. per il delitto di maltrattamenti in famiglia a lui ascritto al capo d) della rubrica. Al riguardo, si evidenzia, infatti, che la Ma., rimasta da sola a gestire il figlio dopo la separazione dal marito, ha dato conto di un clima familiare di assoluta esasperazione e disperazione. Ella ha riferito che l'odierno imputato, dipendente dall'assunzione di sostanze alcoliche e affetto da disturbi mentali, avanzava continuamente le più disparate richieste e, nelle ipotesi in cui non venivano accondiscese, la ingiuriava, la minacciava e in molti casi la aggrediva fisicamente. Tutto ciò considerato, quindi, ritiene questo Tribunale che sussistono certamente i requisiti per l'integrazione del contestato reato di maltrattamenti in famiglia. Tale delitto sussiste, infatti, quando l'agente sottoponga il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo che i singoli atti vessatori, delittuosi o meno (cfr. sul punto Cass. Pen., Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13422), siano uniti tanto da un legame di abitualità, quanto dalla coscienza e volontà dell'agente di porre in essere in modo continuativo tali atti. Ne discende che, ai fini della sussistenza del delitto in parola, occorre dimostrare che tutti i comportamenti accertati siano tra loro connessi e cementati in maniera inscindibile dalla volontà unitaria. Come chiarito, i comportamenti posti in essere dall'Er. si verificavano in modo abituale, ragion per cui si possono senza dubbio ritenere sussistenti i requisiti per l'integrazione del reato contestato. È, infatti, sufficiente, ai fini della configurazione del delitto di cui all'art. 572 c.p., che i più atti fisicamente o moralmente violenti, delittuosi o meno, siano realizzali anche in momenti successivi, purché risultino collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un'unica intenzione criminosa di ledere l'integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze. I fatti e le condotte che costituiscono maltrattamenti nel senso sopra indicato, infatti, sono atti, sia commissivi che omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo (cfr. Cass., Sez. VI, 27 aprile 1995, n. 4636; Cass., Sez. VI, 12 settembre 1996, n. 8396). Ed infatti l'elemento caratterizzante della condotta di maltrattamento è dato dalla abitualità o reiterazione nel tempo di tali atti: tale requisito non richiede che ci si trovi al cospetto di un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto, ed essendo invece sufficiente che i singoli episodi siano unificati da un dolo unitario che abbraccia e fonde le diverse azioni, consistente nell'inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatoria, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte. Secondo il consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, oltretutto, tale delitto sussiste quando l'agente sottoponga il soggetto passivo ad una serie di sofferenze fisiche e morali in modo che i singoli atti vessatori siano uniti tanto da un legame di abitualità, quanto dalla coscienza e volontà dell'agente di porre in essere in modo continuativo tali atti. Il reato di maltrattamenti è, infatti, un "reato a condotta plurima", in quanto è tutta la condotta dell'imputato che deve essere considerata come caratterizzata da una serie o insiemi di azioni o omissioni finalizzate e da un comportamento assunto a sistema e distinto dal nesso di abitualità tra i vari fatti, con esclusione assoluta della mera occasionalilà e del dolo d'impeto, isolato e frammentario. Nel caso concreto, la molteplicità e continuatività dei comportamenti aggressivi riferiti dalla persona offesa nel corso dell'ultimo periodo di convivenza con l'imputato, unita al quotidiano regime di soggezione che era stato instaurato dall'Er. nelle mura domestiche, non possono che far ritenere integrati gli elementi oggettivi del reato contestato ai danni della madre. Sul piano dell'elemento soggettivo, sussiste altresì il dolo generico richiesto dalla norma, inteso come consapevolezza e volontà di infliggere una serie di sofferenze alla vittima mediante una pluralità di atti vessatori. L'abitualità dei comportamenti aggressivi e il loro ripetersi in un arco temporale non trascurabile denotano senza dubbio una consapevolezza nell'agente sulle sofferenze inflitte alla persona offesa, la quale era assolutamente succube delle violenze sia morali che fisiche e si era rassegnata a subirle. Va, infatti, ricordato che nel reato abituale il dolo non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 19 marzo 2014, n. 15146). Inoltre, lo stato di nervosismo e di risentimento, a cui la stessa persona offesa ha fatto riferimento, non esclude l'elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia, costituendo, al contrario, uno dei possibili moventi dell'ipotesi delittuosa. Ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.p., infatti, il movente non esclude il dolo, alla cui nozione è estraneo, ma lo evidenzia, rilevando la comunanza del nesso psicologico fra i ripetuti e numerosi atti lesivi, di tal che risulta del tutto ininfluente ai lini del perfezionamento di tale fattispecie la circostanza che l'imputato abbia tenuto l'insistente e ininterrotto comportamento lesivo sotto la spinta dell'alterazione dell'alcool (cfr. in tal senso Cass. pen., Sez. III, 11 febbraio 2016, n. 14742). Su tali basi, va, quindi, affermata la penale responsabilità dell'Er. in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia a lui ascritto al capo d) della rubrica. Quanto, poi, alla condotta estorsiva di cui al capo a), ritiene questo Collegio che risulta pacificamente provato che l'odierno imputato in occasione dell'episodio intervenuto nella serata del 17 giugno 2018 abbia posto in essere una condotta minatoria e violenta diretta a coartare la volontà della madre e finalizzata alla consegna di una somma di denaro. In tale circostanza, stando a quanto dichiarato nell'immediatezza dalla Ma. e confermato dalle dichiarazioni rese dalla stessa nel corso della sua escussione dibattimentale e dalla documentazione acquisita (verbale di arresto e verbale di pronto soccorso), l'azione perpetrata dall'Er. integra tutti gli elementi costitutivi del delitto di estorsione, sia pure nella sua forma tentata, che richiede la coartazione della vittima a fare od omettere qualcosa mediante violenza o minaccia esercitate dall'agente al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Ed invero, la condotta violenta dell'odierno imputato, consistita nel prendere per la gola la madre e nell'infliggerla una coltellata all'altezza dell'inguine, per il suo tenore, per la sua gravità e per le conseguenze apportate in termini di lesioni cagionate alla stessa, appare chiaramente idonea e diretta in modo non equivoco a costringere la stessa a consegnargli il denaro richiesto, non riuscendo l'Er. nel suo intento per cause indipendenti dalla sua volontà, ovvero il fermo rifiuto opposto dalla persona offesa. Non può, invece, la suddetta azione illecita, a parere di questo Collegio, sussumersi nell'alveo del reato tentato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all'art. 393 c.p.p., atteso che le due fattispecie, pur caratterizzate da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all'elemento psicologico; in un caso, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nell'altro, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia (cfr. Cass., Sez. Un., 16 luglio 2020. n. 29541). Ai fini dell'integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall'agente deve, peraltro, corrispondere esattamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l'agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (cfr. Cass., Sez.. V, 24 novembre 2014, n. 2819; Cass., Sez. II, 28 giugno 2016, n. 46288). Pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale (cfr. Cass., Sez. V, 16 maggio 2014, n. 23923; Cass., Sez. II, 28 giugno 2016, n. 46288), poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (cfr. Cass., Sez. II, 8 maggio 2017, n. 24478). Detta verifica, come pure è stato già osservato, è preliminare: "i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e di estorsione si distinguono in relazione al profilo della tutelabilità dinanzi all'autorità giudiziaria del preteso diritto cui l'azione del reo era diretta, giacché tale requisito - che il giudice è preliminarmente chiamato a verificare - deve ricorrere per la confìgurabilità del primo, mentre, se manca, determina la qualificazione del fatto alla stregua del secondo" (Cass., Sez. II, 10 novembre 2016, n. 52525 ). In applicazione del principio, è già stata, ad esempio, ritenuta la configurabilità del delitto di estorsione, e non dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poiché in tal caso egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa contra ius (Cass., Sez. II, 9 marzo 2015, n. 9931; Cass., Sez. II, 12 maggio 2017, n. 26235). Ai fini della distinzione tra i reati di cui agli artt. 393 e 629 c.p. assume, pertanto, decisivo rilievo l'esistenza o meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata: "nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, a nulla rilevando che il diritto stesso sussista o non sussista, purché l'agente, in buona fede e ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare: nell'estorsione, invece, l'agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facoltà di agire in astratto legittima, ma tende all'ottenimento dell'evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli" (Cass., Sez. Un., 16 luglio 2020, n. 29541 ). Ebbene, nel caso di specie, la circostanza dedotta dalla difesa, secondo cui la richiesta di denaro proveniente dall'Er. fosse legata alla restituzione di somme a lui spettanti, non è stata in alcun modo provata, risultando così inidonea a giustificare la riqualificazione giuridica dei fatti contestati all'odierno imputato, atteso che, stando al narrato della Ma., la stessa non aveva ad oggetto alcuna pretesa giuridicamente azionabile, in quanto l'odierno imputato era perfettamente consapevole di non vantare alcun diritto sulla somma reclamata, essendo la stessa nella disponibilità esclusiva della madre. Vero è che l'Er. percepiva una pensione mensile dell'importo di 700,00 curo; tuttavia, la madre ha chiarito che tale importo era sempre a disposizione dell'odierno imputato, il quale lo impiegava per acquistare tutto quello di cui aveva bisogno, senza, quindi, bisogno di rivolgere a lei richieste di denaro. Sono da ritenersi sussistenti, inoltre, anche le circostanze aggravanti contestate di cui all'art. 628, co. 3. n. 1), c.p., avendo l'imputato commesso il fatto avvalendosi di un'arma (ovvero il coltello a farfalla rinvenuto nella sua disponibilità), e all'art. 628, co. 3. n. 3-bis). c.p., essendo stata la condotta estorsiva perpetrata tra le mura domestiche e, quindi, in uno dei luoghi di cui all'art. 624-bis c.p. Al riguardo, questo Collegio ritiene di condividere il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "la circostanza aggravante prevista dall'art. 628, terzo comma, n. 3-bis cod. pen., la cui ragione giustificatrice è la particolare odiosità del crimine che la persona offesa subisce nel luogo dove maggiormente dovrebbe sentirsi al sicuro, è applicabile anche quando l'autore del reato sia convivente con la vittima" (Cass., Sez. II, 7 ottobre 2020, n. 28756 - fattispecie di estorsione aggravata commessa ai danni dei genitori nell'abitazione in cui l'imputato conviveva). Ed invero, con la circostanza aggravante in parola il legislatore ha inteso tutelare maggiormente tutti i fatti commessi all'interno della privala dimora della parte offesa e ciò indipendentemente dalle modalità di ingresso dell'autore del fatto nei luoghi indicati e dalla relazione possibile tra lo stesso autore, la vittima e i medesimi luoghi (cfr. Cass., Sez. II. 14 luglio 2016, n. 30959). Nessun rilievo assumono, pertanto, le circostanze delle modalità di accesso all'interno dell'abitazione ovvero dei rapporti tra autore e vittima poiché è proprio il riferimento oggettivo ad assumere particolare valenza nella volontà del legislatore di tutelare in maniera rafforzata l'inviolabilità dell'abitazione destinata a residenza e di ogni altro luogo di privata dimora; conseguentemente la circostanza di fatto che l'Er. abitasse con la madre è irrilevante ai fini della sussistenza dell'aggravante. Tale conclusione si ricava anche dal tenore letterale della norma. L'art. 628. co. 3. n. 3-bis), c.p. prevede, infatti, un aggravamento di pena "se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 624 bis", mentre l'art. 624-bis c.p. prevede il fatto di chi commette il fatto "mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa"; si noti la differenza terminologica usata, dove nel primo caso ciò che viene in rilievo è la commissione del fatto "nei luoghi", mentre nel secondo il fatto avviene "mediante introduzione", il che sta a significare che ciò che si è inteso punire con l'aggravante in esame è proprio la particolare odiosità del crimine che la persona offesa subisce nella propria abitazione o altro luogo di privata dimora, luogo dove maggiormente dovrebbe sentirsi tutelato e al sicuro. In merito ai fatti verificatisi nella serata del 1 7 giugno 2013, stando a quanto denunciato dalla Ma. - che, peraltro, ha trovato riscontro nel referto medico rilasciato dal personale sanitario della clinica "Vi." che prestava alla stessa le cure del caso - è emerso che in quella circostanza l'odierno imputalo infliggeva una coltellata la madre, la quale riportava a seguito dell'aggressione subita una lesione consistente in una "ferita da arma bianca al fianco destro a limite della radice della coscia" e giudicata guaribile in venti giorni (cfr. verbale di pronto soccorso rilasciato dalla clinica "Vi." in data 18 giugno 2023 alle ore 12.05, acquisito ritualmente agli atti). Ebbene, la condotta posta in essere dall'Er. in occasione di tale episodio integra lutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 582 c.p., essendo stato provato che l'odierno imputato abbia volontariamente cagionato alla madre, attraverso le sue azioni violente, delle lesioni personali lievi, riscontrate anche dal referto medico acquisito agli atti e perfettamente compatibili con la dinamica degli eventi, così come emersa dalle risultanze probatorie. Al riguardo va, infatti, chiarito che le suddette lesioni ben possono integrare il reato in questione, atteso che ai fini del perfezionamento del delitto in esame, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, il concetto di malattia deve essere inteso come comprensivo di qualsivoglia alterazione, anatomica o funzionale, dell'organismo, ancorché lieve e circoscritta, che comporti un processo di reintegrazione, sia pure di breve durata, della salute della vittima. Ancora, sono da ritenersi, per questo Collegio, configurabili e, dunque, correttamente contestate sia, per le ragioni già viste, la circostanza aggravante dell'uso dell'arma che quella di cui all'art. 585 c.p. - in relazione all'art. 577. co. 1. n. 1), c.p. - essendo state le lesioni commesse nei confronti della madre (da considerarsi ascendente). Quanto, poi, al reato di cui al capo c) della rubrica, va evidenziato come l'ipotesi accusatoria abbia trovato pacifico conforto nelle risultanze istruttorie e per tale ragione va senza dubbio affermata la penale responsabilità dell'odierno imputato anche per il reato di cui all'art. 337 c.p. Ed invero, risulta dimostrata pacificamente la realizzazione da parte dell'Er. di una condotta di minaccia e violenza nei confronti degli agenti interventi, concretizzatasi nell'opporsi all'Isp. Gi.Lo.. all'Ass. C. Le.Da. e all'Ass. F.P., nel momento dell'esecuzione di una perquisizione domiciliare urgente finalizzata al rinvenimento del coltello impiegato in occasione dell'aggressione perpetrata ai danni della persona offesa. Invero, la ricostruzione della dinamica risulta chiara e lineare sulla base del verbale di arresto in flagranza e delle dichiarazioni rese da uno degli agenti coinvolti, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, in considerazione della qualifica ricoperta e della precisione e coerenza della sua deposizione. Dall'istruttoria dibattimentale, infatti, è emerso che gli operanti di p.g., intorno alle ore 4.15 circa, dopo essersi qualificati ad alta voce quali appartenenti alla Polizia di Stato, accedevano all'interno dell'appartamento della Ma.. Varcato l'uscio, l'Er. puntava all'indirizzo del personale in divisa una pistola in metallo, replica di una pistola "BRUNI PX4" e sprovvista di tappo rosso, minacciando di fare fuoco. A quel punto gli operanti, non sapendo se si trattasse o meno di una arma giocattolo, intimavano all'imputato di riporre la pistola e di non fare sciocchezze. Ne nasceva una breve colluttazione, all'esito della quale gli stessi, dopo aver accerchiato l'Er. e averlo, con non poche difficoltà, sopraffatto fisicamente, riuscivano a bloccarlo e a disarmarlo. Tanto premesso, non potendo dubitarsi della finalità di opposizione al compimento degli atti degli agenti perseguita dall'imputato con le proprie condotte violente e ostative, risultano, pertanto, integrati tutti gli estremi del reato di cui all'art. 337 c.p. In punto di diritto, invero, si osserva che il reato di resistenza a un pubblico ufficiale si configura nell'ipotesi in cui il soggetto ponga in essere una condotta aggressiva, violenta o minacciosa tale da coartare la libertà del pubblico ufficiale mentre compie un atto del proprio ufficio o che sia idoneo ad ostacolare l'esplicazione della propria funzione. La norma in esame mira a salvaguardare la libertà di determinazione e di azione della P.A., attuata attraverso la tutela anche fisica dei soggetti pubblici. Invero, nel caso di specie, è stato posto in essere da parte dell'Er. un comportamento aggressivo e ostativo al compimento di un atto d'ufficio, ovvero l'esecuzione di una perquisizione domiciliare urgente finalizzata al rinvenimento del coltello impiegato in occasione dell'aggressione perpetrata ai danni della persona offesa, nonché di minaccia all'incolumità fisica dei pubblici ufficiali intervenuti. Quanto al profilo psicologico, poi, la fattispecie richiede la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per opporsi al compimento dell'atto e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un rappresentante dell'autorità che sta adempiendo a un dovere del proprio ufficio (Cass., Sez. VI, n. 17701/2004); elementi, questi, entrambi presenti nel caso in esame, essendo gli agenti in divisa ed essendosi gli stessi qualificati come appartenenti alla Polizia di Stato. In ordine alla responsabilità dell'Er. va, infine, evidenziato che le modalità delle condotte dallo stesso tenute non lasciano dubbi in ordine alla piena consapevolezza delle sue azioni. Ed invero, secondo gli esiti della perizia psichiatrica disposta in sede di incidente probatorio, l'odierno imputato è risultato capace di intendere e di volere al momento del compimento dei fatti, anche se in quel momento la sua capacità era grandemente scemata. Ed invero, all'esito degli accertamenti svolti e alla luce della documentazione esaminata, il perito nominato dal GIP, dott. V.S. (dirigente medico specialista in psichiatria), ha ritenuto di poter affermare che l'Er. fosse affetto da ''disabilità intellettiva e disturbi della condotta in soggetto con pregresse crisi convulsive'' e in merito ai questi relativi all'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'odierno imputato, della capacità di stare in giudizio dello stesso e della sua eventuale pericolosità sociale, ha concluso nel senso che la sua capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, pur essendo sussistente, era da intendersi grandemente scemata. Quanto, poi, alla capacità di stare in giudizio, il dott. S. ha evidenziato che l'Er. avesse manifestato un adeguato giudizio di realtà unitamente a una sufficiente conservazione delle capacità noetiche, mnesiche e attentive; ragione per la quale ha ritenuto lo stesso capace di esercitare in moto attivo e consapevole il proprio diritto alla difesa e, quindi, in grado di stare coscientemente in giudizio. In relazione, infine, all'ultimo quesito, il perito ha concluso nel senso della pericolosità sociale dell'Er., individuando la misura di sicurezza maggiormente idonea a contemperare le esigenze di difesa sociale con quella di cura dell'odierno imputato in quella della libertà vigilata con l'obbligo/impegno di aderire e partecipare al programma terapeutico-riabilitativo ritenuto opportuno dalla Unità operativa di Salute mentale territorialmente competente (cfr. relazione peritale, in atti). Sentito in sede di incidente probatorio, il dott. S. ha confermato integralmente quanto evidenziato nell'elaborato peritale, chiarendo che la detenzione in carcere potesse essere deleteria per l'Er., potendo la stessa determinare un deterioramento delle abilità intellettive dallo stesso ancora possedute, e suggerendo, pertanto, il ricovero dell'odierno imputato in una struttura che gli garantisse la possibilità di seguire uno specifico percorso terapeutico-riabilitativo. Tanto premesso in ordine alla responsabilità penale dell'Er. per i fatti in contestazione, occorre determinare il trattamento sanzionatorio da applicare nei suoi confronti. Innanzitutto, i più reali dei quali l'imputato è stato ritenuto responsabile possono essere riuniti sotto il vincolo della continuazione, in considerazione della contiguità temporale delle condotte, che appaiono espressive di un medesimo programma delinquenziale. Inoltre, appaiono sussistere nel caso di specie ragioni di meritevolezza tali da consentire il riconoscimento all'imputato delle circostanze attenuanti generiche (in misura prevalente alla sola contestata aggravante di cui all'art. 628, co. 1. n. 1), c.p., essendo, invece, quella di cui all'art. 628, co. 1. n. 3-bis), c.p. sottratta al bilanciamento), dovendosi all'uopo valutare il corretto e collaborativo comportamento tenuto dallo stesso, con conseguente evidente vantaggio in termini di economia processuale. Si ritiene, inoltre, concedibile all'Er., sempre in misura prevalente alla sola contestata aggravante di cui all'art. 628, co. 1, n. 1), c.p., la circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all'art. 89 c.p., in quanto, sulla base delle risultanze della perizia disposta, al momento del fatto la sua capacità di intendere e di volere era certamente scemata a causa dei disturbi dai quali lo stesso è affetto. Ed invero, il vizio parziale di mente, attenendo alla sfera dell'imputabilità, è una circostanza inerente alla persona del colpevole ed è, quindi, soggetta al giudizio di bilanciamento (cfr. Cass., Sez. I, 27 ottobre 2010, n. 40812; Cass., Sez. III, 7 dicembre 1992, n. 2205). Quanto alla commisurazione della pena, valutati tutti i criteri di cui agli artt. 133 e 133-bis c.p., avuto riguardo specialmente alle modalità dei fatti e alla gravità degli stessi, si ritiene congruo condannare Er.Al. alla pena finale di anni tre di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, così determinata: pena base per il più grave reato di cui al capo a) della rubrica anni due e mesi quattro di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa (tenuto conto della cornice edittale di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 629, co. 2, c.p.); ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena di anni due di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa; ridotta ulteriormente per il riconoscimento della diminuente di cui all'art. 89 c.p. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa; aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo b) della rubrica alla pena di anni due di reclusione ed Euro 1.600.00 di multa; aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo c) della rubrica alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; aumentata per la continuazione con il reato di cui al capo d) della rubrica alla pena inflitta. Al riguardo, va, poi, evidenziato che la personalità deviante e trasgressiva dell'Er., ai sensi dell'art. 53 L. n. 689 del 1981, costituisce fondato motivo ostativo alla sostituzione della pena detentiva inflitta nei suoi confronti. Lo stesso, infatti, si è mostrato incapace di autocontrollarsi e i disturbi da cui risulta affetto, come accertati dal perito, possono costituire fattore di spinta a sottrarsi all'esecuzione della misura e alla reiterazione delle condotte violente già poste in essere, tenuto conto anche delle modalità aggressive delle condotte tenute, di per sé indicative della incapacità di contenere i propri istinti aggressivi. Ne consegue che, a parere di questo Collegio, non risultano sussistere i presupposti per ritenere l'odierno imputato capace di assicurare l'adempimento di prescrizioni connesse a un trattamento sanzionatorio diverso da quello tradizionale. Alla condanna nel merito segue per legge quella al pagamento delle spese processuali e a quelle di presofferta custodia cautelare. Inoltre, sulla scorta di quanto evidenziato e in linea con quanto indicato nella relazione peritale, al fine di contenere la pericolosità sociale dell'odierno imputato, si dispone l'applicazione - all'esito dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 212 c.p. - nei confronti di Er.Al. della misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno. Al riguardo, si prescrive, inoltre, che l'imputato, per il tempo di applicazione della misura di sicurezza, sia preso in carico dal Dipartimento di salute mentale A. territorialmente competente per la sottoposizione a specifico e idoneo programma psicofarmacologico, onerando la struttura sanitaria del monitoraggio continuativo del paziente circa la assunzione dei farmici prescritti nonché della costante verifica del compenso clinico e dell'efficacia delle terapie praticate, dando comunicazione all'A.G. procedente circa il puntuale svolgimento del programma terapeutico. Ai sensi dell'art. 240 c.p., si dispone, infine, la confisca e la distruzione del materiale in sequestro, atteso che la libera disponibilità da parte dell'odierno imputato dello stesso, in quanto strettamente pertinente ai delitti commessi, consentirebbe di aggravare e/o protrarre le conseguenze dei suddetti reati, nonché di agevolare la commissione di altri delitti della medesima specie. Alla luce dei carichi di lavoro, si fissa in giorni quaranta il termine per il deposito della motivazione e si dichiarano sospesi in tale periodo i termini di custodia cautelare. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Er.Al. colpevole dei reati a lui ascritti e, tenuto conto delle contestate aggravanti e riconosciute la circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. nonché le circostanze attenuanti generiche in misura prevalente limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 628, co. 3, n. 1) c.p., ritenuti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 2.000.00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle di presofferta custodia cautelare. Letti gli artt. 199 e ss., 228 e ss. c.p., applica a Er.Al. la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno all'esito dell'esecuzione della pena. Prescrive che l'imputato, per il tempo di applicazione della misura di sicurezza, sia preso in carico dal Dipartimento di salute mentale A. territorialmente competente per la sottoposizione a specifico e idoneo programma psicofarmologico, onerando la struttura sanitaria del monitoraggio continuativo del paziente circa la assunzione dei farmaci prescritti nonché della costante verifica del compenso clinico e dell'efficacia delle terapie praticate, anche di concerto con il SER.T. territorialmente competente, dando comunicazione all'A.G. procedente circa il puntuale svolgimento del programma terapeutico. Letto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Letto l'art. 544. co. 3 c.p.p., fissa in giorni 40 il termine per il deposito della motivazione e dichiara sospesi in tale periodo i termini di custodia cautelare. Così deciso in Nola il 14 dicembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Sezione penale Il giudice, dott.ssa Giusi Piscitelli; alla pubblica udienza del 20.11.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: An.An., nato a N. lo (...), ivi residente in via M. S. n.48, difeso di fiducia dall'avv.to Ro.Ar., Libero-assente IMPUTATO Del delitto p. e p. dall'art. 387 bis c.p. perché, in violazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, emessa dal GIP presso il Tribunale di Napoli in data 11.07.2018, ove si disponeva l'allontanamento dalla casa familiare ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentali da Sa.Ri. nonché l'obbligo di mantenersi ad una distanza adeguata dalla suddetta Sa. (P.P. 16193/18 PM e n. 16371/18 gip) violava i predetti obblighi circolando alla guida dell'autovettura Toyota IQ targata (...) nella quale si trovava Si.Ri. in qualità di passeggera. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto di citazione emesso dal PM - sede in data 22.9.2022, l'imputato An.An., tratto in arresto dalla P.G. il 18.09.2022, convalidato dal Gip di Nola il 20.09.2022, era citato a compatire per la celebrazione del giudizio direttissimo dinanzi al Giudice Monocratico del Tribunale di Nola per rispondere del reato a lui ascritto in epigrafe. Alla prima udienza del 3.10.2022 la causa veniva rinviata per la rinnovazione della notifica del decreto di citazione all'imputato e al suo difensore. Alla successiva udienza del 20.2.2023, attesa la regolarità della notifica, veniva dichiarata l'assenza dell'imputato e il difensore anticipava la volontà del suo assistito di definire il giudizio con rito alternativo, chiedendo la concessione di un termine per munirsi di procura speciale. 11 Giudice, in accoglimento della predetta richiesta, rinviava la causa con la sospensione dei termini di prescrizione del reato. All'udienza del 3.4.2023 il difensore dell'imputato depositava sentenza del Tribunale di Napoli, nella persona della Dott.ssa D.L., resa nel procedimento RG dib. n. 8016/2018 nonchè relazione di consulenza tecnica d'ufficio espletata nel procedimento RG dib. n. 16845/17 che aveva riscontrato un vizio parziale di mente dell'imputato, e chiedeva espletarsi perizia per l'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato all'epoca di commissione dei fatti per cui è processo. Il Giudice rigettava la richiesta attesa l' utilizzabilità della consulenza depositata in atti e, su richiesta della difesa, veniva disposto rinvio del giudizio. Alla successiva udienza del 26.6.2023, assente il difensore di fiducia, il processo veniva rinviato per la mancanza dell'autorizzazione, nella procura speciale rilasciata dall'imputato, di formulare richiesta di definizione del processo con rito alternativo da parte dei sostituti delegati. All'udienza del 20.11.2023, il difensore, munito di procura speciale, chiedeva la definizione del giudizio con rito abbreviato. Il Giudice, ammesso il rito richiesto, invitate le parti a rassegnare le proprie conclusioni in epigrafe riportate, si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale dava lettura del dispositivo in pubblica udienza cui fa seguito la presente motivazione. L'imputato An.An. è accusato di aver tenuto una condotta sussumibile nell'alveo applicativo dell'art. 387 bis c.p., che prevede e punisce, tra l'altro, la violazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di cui all'art. 282 ter c.p.p., da parte del soggetto che vi è legalmente sottoposto. Orbene, alla luce degli elementi emersi in dibattimento, deve ritenersi raggiunta, al di là di ogni ragionevole dubbio, la piena prova della penale responsabilità dell'imputato in relazione al fatto di reato allo stesso ascritto. In particolare, l'accertamento della penale responsabilità di An.An. emerge da tutti gli atti di indagine, pienamente utilizzabili in giudizio in conseguenza della scelta dell'imputato di definire il procedimento nelle forme del rito abbreviato e, dunque, sulla base degli atti contenuti nel fascicolo della pubblica accusa ed, in particolare, dal verbale di arresto obbligatorio in flagranza di reato redatto dagli agenti di PG Mar. Ca. F.N., App. Sc. Q.S. D.B. e App. Sc. A.V.. Ciò posto, questi i fatti emersi dal compendio probatorio in atti. Il giorno 18.9.2022, la pattuglia dei CC di San Vitaliano, nel corso di un servizio di perlustrazione, su richiesta della C.O. di Castello di Cisterna, si recava nel comune di S., alla via A. S., poiché il personale della polizia penitenziaria dell'istituto penitenziario per i minori di A., impegnato nel servizio di traduzione del minore Sa.Sa. dal predetto istituto alla comunità "Ol." sita in S., aveva segnalato che un veicolo Toyota di colore grigio li stesse seguendo lungo il tragitto, destando sospetti. Giunta sul posto intorno alle ore 9:00 circa, la pattuglia dei CC intercettava nella via A. S. in S. sia l'auto in uso alla polizia penitenziaria sia la segnalata vettura modello Toyota di colore grigio, targata (...), che era condotta da un soggetto - identificato dai medesimi agenti nell'immediatezza in An.An., odierno imputato - con a bordo al lato passeggero la signora Si.Ri., parimenti identificata al momento del controllo del veicolo segnalato. Gli operatori chiedevano al conducente ed al passeggero il motivo della loro presenza sul posto e gli stessi ammettevano di aver seguito il veicolo della polizia penitenziaria su cui era trasportato il loro figlio, Sa.Sa., per dargli un ultimo saluto prima che fosse trasferito nella comunità "Ol.". Dagli ulteriori accertamenti effettuati sul posto dai medesimi agenti emergeva, tuttavia, che il conducente del veeicolo, ovvero An.An., era sottoposto alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da Si.Ri., con obbligo di mantenere dalla medesima un'adeguata distanza e di non comunicare con la stessa in alcun modo e con nessun mezzo, in forza di ordinanza resa dal GIP presso il Tribunale di Napoli, Dott. Vi.Ca., nel procedimento RGNR 16193/18 e RG GIP 16371/18, in quanto indagato dei reati di tentato furto, tapina e lesioni in danno della stessa. Alla luce di ciò, attesa la flagranza del reato, gli agenti procedevano all'arresto dell'imputato, che veniva convalidato dal GIP presso il Tribunale di Nola, Dott.ssa C., in data 20.9.2022. Ciò premesso, è evidente la rilevanza che assumono, ai fini del riconoscimento del fatto di reato ascritto all'imputato, le dichiarazioni rese dagli agenti di PG che hanno proceduto all'arresto dello stesso e trasposte nel relative verbale contenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero. Orbene, sul punto, questo Giudice ritiene non vi siano motivi di dubitare dell'attendibilità del contenuto delle dichiarazioni rese dagli agenti di PG e contenute nel suddetto verbale di arresto, considerato che gli agenti hanno ricostruito con precisione e senza alcuna contraddizione o incongruenza ogni singola fase cui hanno partecipato, e considerato, altresì, la qualifica rivestita di pubblici ufficiali, che lascia presupporre mancanza di qualsivoglia interesse privato all'esito del processo. In punto di diritto, può affermarsi che la condotta realizzata dall'imputato integra sicuramente gli estremi del reato di cui all'art. 387 bis c.p., sussistendone i presupposti oggettivi c soggettivi. Ed infatti, come risulta dagli atti contenuti nel fascicolo della pubblica accusa, alla data del controllo da parte degli operatori di PG (18.9.2022) l'imputato An.An. era effettivamente gravato dalla misura cautelare disposta con ordinanza del GIP Napoli in data 11.7.2018. Specificatamente, con la suddetta ordinanza, versata in atti, il GIP ha disposto, nei confronti dell'imputato e per le motivazioni di cui al provvedimento giudiziale, l'allontanamento dalla casa familiare con il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, Si.Ri., nonché di mantenere una adeguata distanza dalla persona offesa e di non comunicare con essa in alcun modo e nessun mezzo. E' evidente, pertanto, sul piano oggettivo, la violazione di detta misura da parte dell'imputato, sorpreso dagli agenti di PG alla guida della Toyota di colore grigio targata (...), con a bordo, al lato passeggero, la persona offesa Si.Ri.. Sussiste, altresì, il dolo generico richiesto dalla norma incriminatrice e consistente nella consapevolezza di violare la misura cautelare, essendo l'agente perfettamente a conoscenza del provvedimento restrittivo a cui era sottoposto, come risulta dal verbale di notifica ed esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura in data 22.8.2018. Ciò posto, integrato il fatto contestato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, devono tuttavia ritenersi sussistenti i presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. Tale norma, introdotta dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, entrato in vigore in data 2.4.2015, disciplina la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La ratio della norma è quella di attuare un vero e proprio intervento di depenalizzazione in concreto, giustificato da esigenze di economia processuale nonché, soprattutto, dal principio di sussidiarietà della pena e di proporzionalità tra pena ed offesa. Quest'ultimo, poggiando sull'assunto per cui la sanzione penale deve configurarsi come extrema ratio, postula che la pena sia necessariamente proporzionale all'entità dell'offesa, e ne giustifica l'esenzione a fronte di un danno o di una messa in pericolo del bene protetto che, per le modalità della condotta, risulti di scarsa ed irrilevante intensità. Secondo quanto previsto dall'art. 131 bis, 1 comma, c.p., nella formulazione novellata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (in vigore dal 30.12.2022), applicabile retroattivamente ex art. 2 c.p.. in quanto più favorevole, per i "reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale"". La norma prevede poi, al secondo comma, una serie di casi nei quali l'offesa non può comunque essere ritenuta di particolare tenuità, che dunque esulano dall'ambito applicativo del primo comma: "quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie, o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona". Il terzo comma, invece, definisce la nozione di comportamento abituale, statuendo che il requisito dell'abitualità è integrato "nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate". Il quarto comma statuisce che: "ai fini della determinazione della pena detentiva prevista dal primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69" e che "la disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante". Quanto alle statuizioni civili, il nuovo articolo 651 bis c.p.p., rubricato "efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno", stabilisce quanto segue: "la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato omero sia intervenuto nel processo penale. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 442, salvo che vi si opponga la parte civile non abbia accettato il rito abbreviato". Venendo al caso per cui è processo, ad opinione di questo Giudice, possono desumersi dagli atti molteplici indici favorevolmente valutabili ai fini del giudizio di particolare tenuità del fatto. Innanzitutto, si osserva che la sanzione per il reato contestato è contenuta nei limiti di legge, in quanto trattasi di reato punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni; in secondo luogo, l'indice - criterio della 'particolare tenuità dell'offesa" pienamente integrato considerate le modalità della condotta che denotano una offesa di particolare tenuità ed un esiguo danno prodotto. Al riguardo, si osserva, in punto di offensività, che l'art. 387 bis c.p.c. contempla una fattispecie delittuosa plurioffensiva, in quanto il bene giuridico protetto va individuato sia nella corretta esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria sia nella tutela della vittima, sotto il profilo fisico, psichico ed economico. La ratio della norma corrisponde alla necessità di apprestare una maggior tutela alle vittime di reati di violenza di genere, allorché vengano applicate misure cautelari non custodiali (artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.) o la misura precautelare di cui all'art. 384-bis c.p.p. che sono fondate esclusivamente sulla spontanea osservanza da parte del sottoposto ed hanno, quindi, una minore efficacia in termini di prevenzione e reiterazione della condotta criminosa. Ciò posto, depongono nel senso del riconoscimento di un'offensività attenuata rispetto ai beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice, le modalità della condotta posta in essere dall'imputato in violazione della misura cautelare che, da un'attenta valutazione, non appare in alcun modo diretta a ledere o mettere in pericolo la persona offesa. Ed infatti, come risulta dal verbale di arresto redatto dagli operatori di P.G., l'imputato veniva sorpreso alla guida della sua vettura con a bordo la persona offesa Si.Ri., in spregio al divieto di avvicinamento e all'obbligo di mantenere da essa un'adeguata distanza, in quanto diretto insieme alla stessa a dare un "ultimo" saluto al figlio che veniva trasportato dalla polizia penitenziaria dall'IPM di Airola alla comunità "Ol." di S.; è evidente, altresì, che la persona offesa si trovasse a bordo della vettura condotta dall'imputato per sua spontanea iniziativa, e non in quanto costretta o coartata da quest'ultimo. Pertanto, le concrete modalità della condotta inducono a ritenere che il fatto, pur sussumibile nell'ambito applicativo dell'art. 387 c.p., non sia in concreto bisognoso di pena, e ciò in applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità della sanzione penale. P.Q.M. Letti gli artt. 131-bis c.p. e 530 c.p.p. assolve An.An. dal reato ascrittogli per la particolare tenuità del fatto. Motivi in giorni 90. Così deciso in Nola il 20 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Sezione penale Il giudice, dott.ssa Giusi Piscitelli; alla pubblica udienza del 30.10.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: El.Ha., nato a S. il (...), residente in S. G. V., alla Via N. T. M., n. 2516 difeso d'ufficio dall'avv. Lucia Carillo; libero-assente IMPUTATO del reato di cui agli att. 110, 582, 585 c.p. perché in concorso con altre due persone rimaste non identificate, colpiva Ah.Gu. con schiaffi e calci e con un casco da moto cosi cagionandogli lesioni personali consistite in "frattura del femore sinistro" con prognosi di giorni 60. In San Giuseppe Vesuviano il 04.06.2017 Con la recidiva semplice nel quinquennio - Parte civile: Ah.Gu., nato in S. (B.) il (...), rappresentata dall'avv. An.De. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto che dispone il giudizio emesso dal GUP in data 23.9.2019, l'imputato era rinviato a giudizio dinanzi a questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto in rubrica. In seguito a diversi rinvii per la rinnovazione della notifica nei confronti dell'imputato , all'udienza dell'8.3.2021 era dichiarata l'assenza di El.Ha., regolarmente citato e non comparso senza addure alcun legittimo impedimento; in assenza di questioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove richieste dalle parti; si procedeva all'escussione , con l'ausilio dell'interprete della p.o. Ah.Gu.. All'udienza del 27.10.2021, con il consenso delle parti, erano acquisiti i verbali di individuazione fotografica di Ud.As. (del 20.11.2017), Ka.Ah., Mo.Ka. ed altresì acquisita l'annotazione di PG con esito delega, su cui riferiva anche il teste di PG Lu.So.. In data 23.5.25022 era escusso il teste Ud.As. ed in data 10.7.2023 il teste Ka.Ah.; altresì erano acquisita la denuncia querela sporta da Mo.Ka. in data 7.6.2017. All'udienza del 30.10.2023, fissata per l'esame dell'imputato, il Giudice, invitava le parti a rassegnare le conclusioni, in epigrafe riportate; quindi si ritirava in camera di consiglio ed all'esito dava lettura del dispositivo riservando il termine più lungo per le motivazioni. Alla luce delle emergenze istruttorie deve essere pronunciata sentenza di condanna nei confronti dell'imputato in ordine al reato di lesioni personali a lui a scritto. Fonti di prova nel presente procedimento sono la deposizione tesa dalla p.o., Gu.Ah. e le dichiarazioni rese da Ah.Ka. e Ud.As., confortate dal referto medico acquisito da cui emerge quanto segue. In data 6 giugno 2017 in San Giuseppe Vesuviano mentre Gu.Ah. stava tornando dalla Wester Union, dopo aveva inviato del danaro alla famiglia in Bangladesh, era avvicinato ed aggredito da tre uomini, due italiani ed un soggetto di nazionalità marocchina, quest'ultimo di nome Ha.. Era Ha. a colpirlo con un casco prima alla testa e poi al fianco sinistro facendolo cadere a terra privo di conoscenza. In seguito all'aggressione la vittima era portata in ambulanza presso l'ospedale di Nola ove gli veniva diagnosticata frattura di parte non specificata del femore guaribile in 30 gg.; la p.o. era ricoverata in data 5.6.2017 e dimessa in data 24.6.2017 ( cfr. referto del 4.6.2017 ore 23.19 e cartella clinica). La p.o. in dibattimento descriveva l'uomo che lo aveva colpito con il casco con le seguenti fattezze fisiche: "lui è grosso, alto e capelli lunghi". Precisava che egli non conosceva il soggetto da cui era stato aggredito e che avesse saputo da suo conoscente, di nazionalità marocchina, tale Ha., titolare di un negozio ubicato accanto alla Wester Union, che si chiamasse Ha.. Ciò gli era stato riferito dopo il suo ritorno dall'ospedale, quindi circa 20 giorno dopo l'aggressione. All'aggressione della p.o. avevano assistito inermi i suoi connazionali, Ah.Ka., Ma.Sa., Ud.As., che riconoscevano l'aggressore nel corso dell'individuazione fotografica. Il narrato della p.o. era confermato e riscontrato dai testi Ud.As. e Ah.Ka.. Ud.As., escusso in dibattimento, riferiva che in data 4 giugno 2017 verso la sera tardi, alle ore 22:15 circa, si trovava al Bar Co., di Piazza Garibaldi di San Giuseppe Vesuviano, in compagnia di Sh.Ah. ed ivi aveva assistito all'aggressione di G. per mano di Ha., soggetto a lui già noto per aver picchiato il giorno stesso altri connazionali. Ha. si era avvicinato, con altri due ragazzi di cui uno di origine italiana, a G. colpendolo con un casco alla schiena e facendolo cadere a tetra, mentre gli altri Io incitavano a picchiare la vittima. Erano presenti anche altre persone tra cui Ka.Ah.. Il teste riferiva che l'aggressione fosse avvenuta senza alcun motivo e che lo stesso gruppo avesse già aggredito altri connazionali del Bangladesh nei giorni precedenti. Ah.Ka. confermava di aver assistito all'aggressione referendo che, allorquando il suo amico G. era stato aggredito era molto vicino a lui; individuava come responsabile dell'aggressione Ha., soggetto di nazionalità marocchina e di aver saputo come si chiamasse chiedendo ad alcuni conoscenti di nazionalità marocchina se conoscessero l'autore dell'aggressione. Orbene, nel corso delle indagini i testi oculari, quindi sia Ud.As. sia Ka.Ah., in sede di individuazione fotografica, dopo aver descritto l'aggressore di G. (riferendo che avesse circa 20 anni), lo riconoscevano senza ombra di dubbio nel soggetto raffigurato nell'effige n.3 del fascicolo fotografico, corrispondente all'odierno imputato. Presso la stazione dei Carabinieri della Stazione di San Giuseppe Vesuviano in data 20 novembre 2017, anche Gu.Ah. procedeva a individuazione fotografica indicando, nel soggetto raffigurato nell'effige n.3, l'uomo che lo aveva aggredito. Invero in dibattimento alla p.o. veniva mostrato l'album fotografico - a distanza di tre anni che indicava nel soggetto raffigurato nell'effige n.5 l'autore delle lesioni. La p.o. tuttavia precisava che non aveva visto bene il suo aggressore e che lo avesse riconosciuto in foto in quanto i suoi amici, che invece avevano visto bene l'aggressore, che avevano raccontato che l'autore dell'aggressione fosse effigiato nella foto n. 3. Tale circostanza appare verosimile atteso che la p.o. Ah.Gu. procedeva all'individuazione fotografica sempre in data 20.11.2017 ma cronologicamente dopo U. e K.. Ciò posto in fatto, ritiene il Tribunale che non vi siano dubbi, sulla scorta del materiale probatorio, in ordine alla ascrivibilità all'odierno imputato del reato di lesioni ai danni della costituita parte civile. Preliminarmente nessun dubbio residua in ordine alla imputabilità dalla condotta criminosa in capo all'odierno imputato, atteso che l'aggressione perpetrata ai danni della p.o. si svolgeva in presenza di due testimoni oculari che El.Ha. nell'autore dell'aggressione. Orbene, l'imputato mediante violenza fisica cagionava alla p.o. lesioni con da cui è derivata una malattia, in particolare lesioni consistite "frattura di parte non specificata del femore guaribile in 30 gg", con ricovero della p.o. dal 5.6.2017 al 24.6.2017 ( cfr. referto del 4.6.2017 ore 23.19 e cartella clinica). In data 16.6.2017 A. era sottoposto ad intervento chirurgico e solo in data 24.6.2017 era dimesso con prognosi ulteriore di giorni 30. Per malattia deve intendersi qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche, come nel caso in esame, localizzata o circoscritta, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, che comunque hanno comportato un processo di reintegrazione sia pur di breve durata. Sul punto questo giudice aderisce infatti all'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale "il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, anche di modesta entità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adattamento a nuove condizioni di vita, oppure la morte" (cfr Cass. Pen. Sez. V n. 714/1999). Pertanto va affermata la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di lesioni a lui ascritto. Atteso che, come si evince dalla documentazione medica, l'incapacità di attendere le ordinarie occupazioni aveva durata superiore a 40 giorni, ricorre l'aggravante contestata di cui all'art. 583 c.1 c.p., da cui consegue la procedibilità d'ufficio. Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche in considerazione del comportamento processuale. Va esclusa la recidiva contestata in considerazione della risalenza nel tempo dei precedenti penali, per reato peraltro di indole diversa. Alla luce dei criteri fissati dall'art. 133 c.p., considerando da un lato la gravità del reato desunta dalle modalità dell'azione nonché dal grado di colpevolezza, e dall'altro la capacità a delinquere del colpevole nonché dalla condotta contemporanea e susseguente al reato, questo Giudice stima equa la pena finale anni due di reclusione, così determinata: pena base anni tre di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p., ad anni due di reclusione, oltre alle spese processuali. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno patito dalla costituita parte civile come da nota scritta depositata in sede di conclusioni, ritiene questo Giudice che sussistano i presupposti per il risarcimento invocato, avendo la costituita parte subito un danno economicamente valutabile - certamente in termini morali - causalmente collegato alla condotta criminosa dell'imputato, la cui liquidazione va tuttavia rimessa alla competente sede civilistica per il suo ammontare complessivo. L'imputato va condannato al ristoro delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile che si liquidano come da dispositivo. A tal riguardo, in forza dell'art.110 T.U. Spese Giustizia, trattandosi di imputato non ammesso al patrocinio a spese dello Stato e di persona offesa costituitasi parte civile ammessa al patrocinio, in caso di accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio determina che il pagamento sia posto direttamente in favore dello Stato, diretto creditore dell'imputato, e non della parte civile ammessa al beneficio. E, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, l'importo che l'imputato deve corrispondere in favore dello Stato deve essere necessariamente coincidente con l'importo che lo Stato deve poi corrispondere al difensore della parte civile ammessa al patrocinio atteso il rapporto di specialità tra l'art.110 T.U. - questa norma speciale - e l'art. 541 c.p.p., norma generale (cfr. Cass. pen. sez. VI, 14 dicembre 2011 n.46537). Ciò in quanto, in ragione dell'ammissione al beneficio, non residua alcun rapporto diretto tra l'imputato soccombente e la parte civile, perché l'unico rapporto di quest'ultima - e del suo difensore - è solo con lo Stato. Va altresì accolta, come indicato in dispositivo, la richiesta di assegnazione alla parte civile di provvisionale immediatamente esecutiva da imputarsi sulla liquidazione definitiva del danno essendo certamente derivato dal reato un danno non patrimoniale. I notevoli carichi che gravano questo tribunale giustificano il più lungo termine previsto per il deposito della motivazione. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara El.Ha. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica, esclusa l'aggravante di cui all'art. 585 c.p. nonché la recidiva contestata, concesse le circostante attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 538 e 539 ss. c.p.p. condanna l'imputato al risarcimento dei danni derivati alla parte civile costituita da liquidarsi in separato giudizio ed altresì al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva dell'importo di Euro 1000,00 in favore della costituita parte civile. Letto l'art. 541 c.p.p. ed art.110 comma 3 D.P.R. n. 115 del 2002 condanna l'imputato al pagamento delle spese di costituzione della parte civile, disponendone il pagamento diretto in favore dello Stato, in qualità di anticipatario, che liquida, come da separato decreto, in complessivi Euro 1100,00, oltre rimborso spese, CPA e IVA come per legge. Motivi giorni 90. Così deciso in Nola il 30 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Sezione Penale Il giudice Dott.ssa Giusi Piscitelli; alla pubblica udienza del 30.10.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Mi.Sa., nato ad O. 1'(...) e detenuto per altro procedimento presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere, difeso di fiducia dall'avv. Carlo De Stavola. DETENUTO PER ALTRO- RINUNCIANTE IMPUTATO a) per il reato di cui agli artt. 56-628 c.p. e art. 628, perché, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenta consistita nel colpire Pr.Fe. con diversi pugni al volto, poneva in essere atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi del borsello da quest'ultimo indossato (evento non verificatosi per il rifiuto opposto dalla p.o) e si impossessava di una banconota di Euro 5, sottraendola alla p.o. che la deteneva. In Ottaviano il 12.07.2018 b) per il reato di cui agli artt. 61 n. 2 c.p. e 582 c.p. perché al fine di eseguire il reato di cui sub a)mediante la condotta descritta sub a) cagionava a Pr.Fe. lesioni personali giudicate guaribili in tre giorni, consistite in contusione al zigomo sinistro e fronte. In Ottaviano il 12.07.2018 Con la recidiva reiterata specifica. MOTIVAZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO L'imputato è stato rimesso al giudizio di questo Tribunale con decreto emesso dal G.U.P. in sede in data 7.6.2021. Dopo diversi rinvii, il processo era assegnato alla scrivente e trattato all'udienza dell'11.9.2023 in cui, veniva dichiarato aperto il dibattimento e venivano ammesse alle prove così come richieste dalle parti; con il consenso delle patti era acquisita la querela sporta dalla p.o., Pr.Fe. nonché il verbale di individuazione fotografica; altresì era escussa la p.o. Pr.Fe.. In data 30.10.2023 eniva dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e quindi le parti procedevano alla discussione, formulando le rispettive conclusioni di cui in epigrafe. A parere di questo Giudice è stata raggiunta la prova della responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato di rapina nonché di lesioni personali a lui contestato. Gli elementi a suo carico sono costituiti dalla denuncia sporta dalla p.o. Pr.Fe. in data 12.7.2018 presso la Stazione dei CC. di Ottaviano che di seguito si riporta per maggiore chiarezza espositiva: " 11 giorno 12/07/2018 alle ore 21:46, in Ottaviano presso gli uffici di STAZ.CC OTTAVIANO, avanti al sottoscritto Mar. L.M. appartenente a: "Stazione Carabinieri Ottaviano", è presente la persona in oggetto indicata, la quale denuncia quanto segue:----/ "Oggi verso le ore 19.30 circa mentre mi accingevo a prelevare la mia autovettura Peugeot 206, che avevo parcheggiato quaranta minuti prima in piazza Durelli del comune di Ottaviano, venivo raggiunto da un giovane che non conoscevo bene di persona, ma che avevo visto qualche volta di rado in zona, anni fa e so chiamarsi Mi.Sa. con il soprannome di "Sciaqquetta". Quest'ultimo mi chiedeva, con fare agitato, del denaro perché a suo dire ne aveva bisogno per rifornire di carburante la sua auto. Al mio diniego lo stesso si agitava ulteriormente insistendo con tono minaccioso sulla richiesta del denaro, lo continuavo a ripetergli che non avevo del denaro con me ed entravo nell'abitacolo dell'autovettura chiudendo lo sportello. Il giovane irato ancora di più, colpiva con calci e pugni la portiera continuando nella sua richiesta di denaro. Io spaventato dall'atteggiamento violento e minatorio dello stesso, cercavo dall'interno di chiudere a chiave la serratura delle portiere, senza riuscirci perché nel frattempo il giovane repentinamente -giva lo sportello e si scagliava violentemente contro di me sferrando diversi pugni sul mio viso. 'Il-' giovane usava così tanta violenza che rimanevo stordito per diverso tempo. Nel frattempo cercavo di calmare il soggetto che in preda alla rabbia afferrava gli occhiali che indossavo e li distruggeva gettandoli in terra. Lo stesso, non contento cercava di asportarmi il borsello, che indossavo a tracollo, tirandolo verso, di sé con forza e terrorizzato dalla reazione del giovane, cercando di calmare il soggetto, prelevavo dal borsello il mio portafogli per fargli constatare che avevo appena cinque Euro. Lo stesso afferrava la predetta somma e contrariato, presumibilmente per l'irrisoria somma da me posseduta imprecando nei miei confronti si allontanava a piedi in direzione del campo da tennis, A tal che scappavo a bordo della mia autovettura e chiamavo mia madre raccontando quanto accaduto. Raggiungevo la stessa e insieme mi recavo presso il pronto soccorso della clinica "Trusso" sita in Ottaviano per essere sottoposto alle cure mediche. I sanitari dopo aver prestato le cure del caso mi consegnavano il referto, che vi consegno, con la diagnosi "contusione zigomo sinistro e frontale " e prognosi di tre giorni s.c. A.D.R. Il soggetto che mi ha rapinato dall'apparente età di circa 30 anni, era alto circa mt. 1,651,70 di corporatura robusta con capelli corti di colore castano scuro, occhi di colore castano e indossava una canotto di colore nero e pantaloncini scuri.". Lo stesso giorno Pr.Fe., dopo avere raccontato i fatti in sede di denuncia, riconosceva senza ombra di dubbio in fotografica l'imputato quale autore della rapina subita alle ore 19.30 circa del 12.7.2018. Orbene, nel corso del dibattimento. Pr.Fe. dichiarava di voler rimettere la querela poi, a fronte delle domande a precisazione formulate dalla difesa, dapprima ridimensionava i fatti denunciati, affermando che egli stesso avesse consegnato la somma di danaro, poi confermando le dichiarazioni predibattimentali. Il teste ricordava che il Mi. si fosse avvicinato a lui in modo aggressivo dopo che il Pr. avesse suonato il clacson per far spostare una macchina che impediva il passaggio. Il Mi. avvicinatosi aveva allora dato un pugno alla macchina del Pr. dicendo "Tu vedi un po' dove te ne devi andare, già mi hai cagato il cacchio"; poi mentre il Pr. era in macchina, con ancora lo sportello aperto, lo aveva strattonandolo per i vestiti e tirandogli il borsello; a quel punto il Pr., conoscendo il Mi. come una persona del posto con problematiche, legate all'uso di droghe, aveva aperto il borsello facendogli notare che aveva solo cinque Euro ( pag. 5 "in quel frangente, io, comune vada, ho aperto il borsello, ho fatto notare che aveva solo cinque Euro e ho detto "senti, io ho questi"). Sul punto, dopo aver detto che non ricordava se ci fosse stata una richiesta di danaro, affermava che quindi era stato lui a consegnare al Mi. la banconota. In seguito a contestazione il Pr. tuttavia, confermava integralmente quanto riferito in denuncia, affermando che il Mi. gli avesse chiesto soldi, in particolare cinque Euro per la benzina, e che nel corso dell'aggressione era stato colpito allo zigomo con pugni. Asseriva, come peraltro affermato in denuncia, che egli aveva aperto il portafoglio e prelevato la cinque Euro per mostrarla al Mi. al fine di fargli comprendere che non avesse altro nel portafoglio; a quel punto il Mi. aveva preso dalle sue mani la banconota. Quanto alla individuazione del responsabile della rapina il Pr.Fe. in sede di querela descriveva con precisione le fattezze fisiche del rapinatore riportate sia in denuncia sia nel verbale di individuazione fotografica, affermando si chiamasse Mi.Sa. e che fosse un soggetto a lui noto. Nel fascicolo fotografico mostrato al Pisco erano presenti n.12 fotografie di soggetti aventi parametri analoghi per quanto concerne l'altezza, la corporatura, le caratteristiche fisico somatiche, tra cui il Pr. riconosceva il Mi. nella effige n. 12 come l'autore della tapina. Pertanto non lascia dubbi il riconoscimento effettuato da costui, che costituisce elemento granitico di accusa a carico del Mi.. Tali essendo i fatti, e non essendo stata fornita di essi una diversa e/o alternativa ricostruzione degli eventi, che per altro non emerge dagli atti, deve pervenirsi ad una pronuncia di condanna nei confronti di Mi.Sa. in ordine ai reati a lui ascritti. È dunque chiara, sulla base della dichiarazione rese in sede di querela nonché delle precisazioni fornite in dibattimento la dinamica della rapina ed anche la riferibilità della stessa al Mi.. Nell'istruttoria dibattimentale è emerso che il Mi. dapprima rivolgeva una richiesta di danaro alla p.o. ed, a fronte del rifiuto della vittima, la quale faceva presente di non avere soldi con sé, l'aggrediva con inaudita violenza colpendola con pugni al volto, rompendo gli occhiali che indossava; quindi cercava di impossessarsi del borsello che il Pr. indossava a tracolla, tirandolo con forza a sé, mentre continuava a chiedere soldi; a quel punto la vittima, apriva il portafoglio per far constatare all'aggressore che avesse con sé soltanto la somma di cinque Euro; il Mi. afferrava la somma ed andava via. Sulla scorta di tali considerazioni questo Tribunale ritiene provata la responsabilità penale di Mi.Sa. in ordine al reato di rapina a lui ascritto in rubrica in quanto, l'imputato al fine di procurare a sé un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona, consistita nel colpire Pr.Fe. con pugni al volto, si impossessava della somma di Euro 5 sottraendola alla p.o.. Orbene, nel caso di specie il Mi. tentava dapprima di impossessarsi dell'intero borsello, poi allorquando la persona offesa mostrava l'irrisorio contenuto del portafoglio contenuto nel borsello- soli 5 Euro- si impossessava della sola banconota in possesso del P.. Diversamente dall'addebito, si ritiene non sia configurabile un ulteriore reato di tentata rapina, avente ad oggetto il borsello, in concorso con il reato di rapina, avente ad oggetto la somma di Euro 5, in quanto la condotta posta in essere dal Mi.Sa. era volta ad impossessarsi del danaro contenuto nel borsello costituito, come poi emergeva, dalla sola somma di Euro cinque contenuta nel portafoglio presente all'interno del borsello. Si ritiene che sia dal punto di vista materiale che soggettivo la condotta del Mi. non possa essere disgiunta in due fattispecie di reato attesa l'unicità del fatto materiale. Pur volendo accedere all'iniziale versione della persona offesa secondo cui era stato egli stesso a "consegnare" all'aggressore la banconota da cinque Euro, in considerazione della consolidata giurisprudenza di legittimità, il fatto deve pur sempre qualificarsi come rapina in quanto la violenza con cui il Pr. era aggredito fisicamente annullava completamente la liberta del volere sicché solo apparentemente si trattava di "consegna" della somma, ma nella sua essenza si trattava di uno spossessamento ( cfr. Sez. U, Sentenza n. 8 del 00/00/1954 Ud. (dep. 26/06/1954)Rv. 097417 - 01) per configurare il delitto di estorsione an fiche quello di rapina, quando il reato sia realizzato mediante la "consegna" di una cosa mobile, non è sufficiente la consegna come tale, in qualsiasi modo avvenuta, ma è necessario che essa si ricolleghi ad un atto di volontà del soggetto passivo, diretto alla scelta, che, pur in condizioni di libertà psichica grandemente menomata ma non del tutto abolita, gli è consentita tra il danno minacciato e la consegna della cosa. Si verte, invece, nel caso della rapina quando, sotto l'Azione della molenda o della minaccia, è completamente annullata la libertà del volere del soggetto passivo, sì che ne deriva un atto del tutto privo di volontà che solo apparentemente costituisce una "consegna", ma, nella sua assenna, è un atto di impossessamento della cosa da parte dell'aggressore"). Nel caso di specie, sussiste certamente l'elemento soggettivo richiesto atteso l'imputato poneva in essere l'aggressione violenta al fine di procurarsi un ingiusto profitto. Sussiste altresì il reato di lesioni aggravate contestate al capo 2) della rubrica, in quanto l'imputato mediante violenza fisica cagionava alla p.o. lesioni con da cui è derivata una malattia, in particolare lesioni consistite "contusione zigomatica sinistra e frontale" con prognosi di giorni tre ( cfr. referto del 12.7.2018 ore 20.01 Casa di cura Trusso). Per malattia deve intendersi qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche, come nel caso in esame, localizzata o circoscritta, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, che comunque hanno comportato un processo di reintegrazione sia pur di breve durata. Sul punto questo giudice aderisce infatti all'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale "il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito esseri fiale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, anche di modesta entità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l'adunamento a nuove condizioni di vita, oppure la morte" (cfr Cass. Pen. Sez. V n. 714/1999). Pertanto va affermata la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di lesioni a lui ascritto, perseguibile d'ufficio attesa l'aggravante contestata del nesso teleologico ( 61 n.2 c.p.). Nonostante la gravità dell'aggressione, considerato l'esiguo importo provento della rapina, ritiene il Tribunale siano concedibili sia le circostanze attenuanti generiche sia l'attenuante del danno di speciale tenuità di cui all'art. 62 comma 1 n.4 c.p. I reati contestati sono avvinti dal vincolo della continuazione. Va infine esclusa la recidiva contestata attesa la risalenza nel tempo dei precedenti da cui è gravato l'imputato. Tenuto conto che la pena edittale minima applicabile ratione temporis ( di anni quattro di reclusione ed Euro 516 a 2065 di multa), valutati tutti i criteri cui agli artt. 133 e 133 bis c.p., è parso congruo condannare l'imputato alla pena finali di anni due e mesi due di reclusione (p.b. pena base anni quattro, ridotta ex 62 bis c.p. ad anni due e mesi otto di reclusione, ulteriormente ridotta ex art. 62 c. 1 n.4 c.p. ad anni due di reclusione, aumentati ex art. 82 di mesi due di reclusione fino alla pena inflitta). Alla condanna nel merito segue, per legge, quella al pagamento delle spese processuali.A norma dell'art. 544 co. 3 c.p.p. è stato fissato il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione della sentenza. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Mi.Sa. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, esclusa la recidiva contestata, riconosciute le attenuanti generiche nonché l'attenuante di cui all'art. 62 n.4 c.p., riunificati i reati dal vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivi in giorni 90. Così deciso in Nola il 30 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Sezione penale Il Giudice, Dott.ssa Giusi Piscitelli, alla pubblica udienza del 23.10.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Be.Pa. nato a N. (N.) il (...), ivi domiciliato ex art. 161 c.p.p. alla Via G. I. n. 8, difeso di fiducia dall'avv.to Lu.Ru. del Foro di Nola. Libero- assente. Di.Lo. nato a N. (N.) il (...), domiciliato ex art. 161 c.p.p. presso lo studio del difensore di fiducia, difeso di fiducia dagli avv.ti Ra.Pa. e Wa.Ma. del Foto di Nola.) MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con decreto emesso dal P.M. in sede in data 11.09.2017 l'imputato Be.Pa. veniva tratto a giudizio dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere, in concorso con Di.Lo. (giudicato separatamente), dei reati di cui alla rubrica. Dichiarata - all'udienza del 16.12.2019 - l'assenza dell'imputato Be.Pa. (in quanto libero, regolarmente citato e non comparso senza addurre legittimo impedimento) e disposto lo stralcio della sua posizione nell'ambito del procedimento n. 341/2018 R.G. Trib., incardinato anche nei confronti di Di.Lo., il processo era rinviato all'udienza del 20.04.2020, stante l'assenza dei testi del P.M. Na.Or. e Ca.Vi.. Con decreto di rinvio di ufficio di udienza del 18.04.2020, in ossequio a quanto disposto dall'art. 83 D.L. 17 marzo 2020, n. 18, rubricato "Nuove misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare", l'udienza del 20.04.2020 veniva rinviata dapprima al 25.1l.2020 e successivamente, in ossequio al decreto adottato dal Presidente della Sezione Penale con decorrenza dal 16.11.2020 che consentiva di rinviare i procedimenti non urgenti, al 16.06.2021. Alla predetta udienza, datosi atto dell'avvenuta nomina del difensore di fiducia da parte dell'imputato (dopo che all'udienza del 16.12.2019 il precedente difensore di fiducia aveva rinunciato al mandato difensivo cd all'imputato era stato nominato un difensore d'ufficio), in assenza di questioni preliminari, il Giudice dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove dichiarative così come articolate dalle parti, in quanto pertinenti e rilevanti, disponendo, altresì, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento, su richiesta del P.M., dei referti medici attestanti le lesioni di cui al capo d'imputazione, nonché della querela sporta da Na.Or. ai fini della verifica della procedibilità dell'azione penale per i reati di cui all'imputazione. Venivano, quindi, escussi i testi, del P.M., Na.Or., Pi.Ma., Ca.Vi., Pe.An. e Brig. Ma.Lo. e veniva disposta l'acquisizione, all'esito delle rispettive testimonianze e ai soli fini della procedibilità, delle querele sporte da Pi.Ma. e da Ca.Vi.. Il P.M. chiedeva di escutere, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., il Brig. Di.An., in servizio presso la Stazione CC di Nola, onde riferire sull'acquisizione delle immagini del sistema di videosorveglianza installato presso il bar Ca. ove si sono svolti i fatti di cui al capo di imputazione ed il Giudice autorizzava la richiesta All'udienza dell'08.11.2021 veniva escusso il teste Si.An. e dopo alcuni rinvii disposti alle udienze del 29.11.2021 e del 22.12.2021 per l'assenza del teste del P.M., Ca.An., del 07.03.2022 per l'assenza della scrivente dettata da motivi di salute, del 03.10.2022 e del 27.02.2023, per l'assenza di quest'ultimo teste, all'udienza del 29.04.2023, presente il teste Ca.An., con il consenso delle parti era acquisito il verbale di s.i.t. rese da quest'ultimo presso la Stazione CC di Nola in data 01.01.2017, con domande a chiarimento. Il P.M. reiterava la richiesta - già avanzata all'udienza del 16.06.2021 - di escutere, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., il Brig. Di.An., in servizio presso la Stazione CC di Nola, onde riferire sull'acquisizione delle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza installato presso il bar dove si erano svolti i fatti per cui vi è processo ed il Giudice, ritenendo l'assunzione di tale mezzo di prova assolutamente necessaria, disponeva la citazione del Brig. Di.An. a cura della cancelleria. All'udienza del 25.09.2023, con il consenso delle parti venivano acquisiti il DVD contenente le immagini del sistema di videosorveglianza installato presso l'esercizio commerciale "bar C.", i verbali di acquisizione e di visione di immagini del 02.01.2017 e l'allegato fascicolo fotografico, con domande a chiarimento per il teste redattore dei predetti verbali - citato ex art. 507 c.p.p.. Quindi, il Giudice, avendo la Difesa chiesto un rinvio per la discussione, in accoglimento, rinviava il processo all'udienza del 23.10.2023, con sospensione dei termini di prescrizione. A tale udienza, il Giudice, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento, dava la parola alle parti, che rassegnavano le conclusioni in epigrafe riportate. Seguiva in camera di consiglio la fase deliberativa, il cui esito veniva reso noto mediante lettura del dispositivo in pubblica udienza. Si evidenzia che il termine di prescrizione è rimasto sospeso dal 20.04.2020 all'11.05.2020 per emergenza pandemica da Covid-19 e dal 25.09.2023 al 23.10.2023 essendo stato il procedimento sospeso su richiesta del difensore dell'imputato. Osserva questo Giudice che dal materiale probatorio acquisito legittimamente al fascicolo del dibattimento sia emersa, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati a lui ascritti. Giova sul punto evidenziare che gli elementi di prova portati al vaglio di questo Giudice sono costituiti dai resoconti offerti dai testi del P.M., Na.Or., Pi.Ma., Ca.Vi., Pe.An., Brig. Ma.Lo., Si.An., Ca.An. e dal teste di P.G., Brig. Di.An., escusso ex art. 507 c.p.p.. Le risultanze istruttorie si compongono, altresì, dei referti medici attestanti le lesioni di cui al capo di imputazione sub a), nonché del verbale di s.i.t. rese dal teste Ca.An. presso la Stazione CC di Nola in data 01.01.2017, del DVD contenente le immagini del sistema di videosorveglianza installato presso l'esercizio commerciale "bar Ca.", dei verbali di acquisizione e di visione di immagini del 02.01.2017 e l'allegato fascicolo fotografico, acquisiti con il consenso delle parti. La vicenda storica oggetto del presente giudizio, sulla base delle risultanze istruttorie emerse, può essere sintetizzata come segue. La persona offesa Na.Or., escussa all'udienza del 14.06.2021, riferiva che in data 01.01.2017, il giorno di Capodanno, si trovava, unitamente ai propri amici Ca.Vi. e P.M., all'interno del bar Ca., sito in N., per fare colazione e, mentre era in attesa del proprio turno dinanzi al bancone, nasceva un battibecco per questioni di precedenza con un ragazzo, che era in compagnia di un amico. Il teste specificava di non conoscere né personalmente né di vista né di nome i due ragazzi. La persona offesa raccontava, poi, di aver ricevuto da parte del predetto ragazzo un pugno sul labbro, cui seguiva una lacerazione, e che, dopo di ciò, erano intervenute alcune persone a dividerli ed il proprietario del bar a soccorrerlo con del ghiaccio. Dopo circa dieci minuti, mentre il N. ed i suoi amici stavano uscendo dal bar attraverso la porta scorrevole dello stesso e si trovavano nella tendostruttura del medesimo bar, venivano aggrediti da numerosi ragazzi - che il teste non aveva avuto il tempo di guardare in volto - che, armati di mazze, colpivano le tre persone offese. Ricordava, in particolare, di aver ricevuto una botta in testa con una mazza, che gli aveva provocato un'emorragia e la perdita di conoscenza, e che, successivamente, erano sopraggiunti i Carabinieri, che lo avevano trasportato in ospedale, dove aveva trascorso la notte e dove gli venivano diagnosticate le lesioni di cui all'imputazione sub a). Confermava quanto dichiarato ai Carabinieri della Compagnia di Nola in data 01.01.2017, e cioè di non conoscere gli aggressori, ma di ricordare che colui che brandiva la mazza da baseball aveva una corporatura esile ed era alto. Specificava, ancora, che, a causa della botta ricevuta, versava in uno stato di frastornamento. Su contestazione della Difesa, confermava, infine, quanto dichiarato in sede di s.i.t. rese in data 01.01.2017, e cioè di aver ricevuto, durante l'alterco consumatosi dinanzi al bancone del bar, uno schiaffo al volto, al quale non aveva reagito. La persona offesa. Pi.Ma., escussa nel corso della medesima udienza, confermava che in data 01.01.2017 alle ore 07.30 circa stava facendo la fila per la colazione, unitamente ai propri amici Ca.Vi. e Na.Or., presso il bar Ca., che, essendo il giorno di Capodanno, era affollato. Mentre erano dinanzi al bancone. Na.Or. aveva una discussione con Be.Pa. - che il teste escusso conosceva soltanto di nome - ed un altro ragazzo. Su contestazione del P.M., dichiarava di ricordare e confermare quanto denunciato in data 02.01.2017, e cioè che il Be., per questioni di precedenza, aveva sferrato un pugno al proprio amico. Na.Or., rispetto al quale la persona offesa escussa era lontana circa dieci metri. Quindi, dopo che alcuni avventori del bar si erano intromessi per dividerli, Be.Pa. ed i suoi amici uscivano fuori dal bar. Dopo circa cinque/dieci minuti, circa dieci ragazzi - che il teste non conosceva ma che erano insieme al Be. - entravano incappucciati insieme a Be.Pa., armati di mazze da baseball. Specificava, più dettagliatamente, che costoro avevano il viso scoperto e di aver riconosciuto, ancorché mcappucciato, Di.Lo., che ricordava per essere basso di statura. Riferiva, in particolare, di essere stato frustrato dietro la schiena con la mazza da baseball davanti al bancone da Di.Lo. - che il P. conosceva soltanto di nome, essendo di Nola, e che sapeva essere soprannominato "il Ritratto" - e di essersi, per questo, recato in ospedale. Su contestazione del P.M., dichiarava di ricordare e confermare quanto riferito in sede di s.i.t. rese in data 01.01.2017 presso la Compagnia CC di Nola, e cioè di esser certo che due delle persone che avevano aggredito sé stesso ed i propri amici erano Di.Lo., che abitava in N. ed era figlio di tale "(...)", e Be.Pa., che abitava a S. P. Be., il quale ultimo brandiva una mazza da baseball, con la quale aveva colpito dapprima il proprio amico Na.Or. e successivamente sé stesso. E, sempre su contestazione del P.M., dichiarava di ricordare e confermate che, mentre si apprestavano ad uscire dal locale per andare via, giunti nella veranda esterna coperta, vedeva Di.Lo. dare una spinta a Na.Or. e, mentre quest'ultimo istintivamente si girava verso Di.Lo., un individuo avente il capo coperto dal giubbotto lo colpiva alla testa; e che, subito dopo, cominciava un tafferuglio, nel corso del quale il teste escusso, essendo Na.Or. rovinato su di lui per effetto del pugno sferratogli dall'odierno imputato, finiva scaraventato all'interno del locale. A domanda della Difesa, chiariva che il Be. in particolare non era armato con una mazza da baseball e descriveva l'imputato come un ragazzo di media altezza dalla corporatura robusta. La persona offesa, Ca.Vi., escussa alla medesima udienza, confermava anch'ella che la mattina del 01.01.2017 si trovava in Nola presso il Bar Ca. per fare colazione in compagnia di Na.Or. e P.M.. Riferiva che, mentre erano in fila, nasceva un battibecco con due/tre ragazzi - che il teste escusso non conosceva - per questioni di precedenza. Specificava di non conoscere da prima il Be., ma di averlo individuato nei filmati mostratigli dai Carabinieri come colui che aveva sferrato un pugno al proprio amico Na.Or.. Riferiva, quindi, che dopo circa cinque minuti, rientravano delle persone incappucciate, armate di mazze da baseball, e iniziavano a colpire lui ed i suoi due amici. Na.Or., che rovinava al suolo, e P.M., per poi uscire dal bar. Su contestazione del P.M., dichiarava di ricordare e confermare quanto riferito in sede di querela sporta presso la Stazione CC di Nola in data 02.01.2017, e cioè di aver visto il Be. lasciare il locale e, dopo circa cinque minuti, mentre lui, il N. e il P. si apprestavano ad uscire dal locale, giunti nella sala esterna coperta, vedeva entrare delle persone, tra cui Be.Pa., Di.Lo. (quest'ultimo già presente alla precedente discussione) ed altre quattro e più persone che facevano gruppo con questi ultimi, che, direttisi con il capo coperto dal cappuccio del giubbotto e con in mano la mazza da baseball verso di loro, senza profferire alcuna frase iniziavano a colpirli. E, sempre su contestazione del P.M., dichiarava di ricordare e confermare quanto chiarito in sede di integrazione di querela in data 02.01.2017 presso la Stazione CC di Nola, e cioè che, nel mentre egli stesso e le altre due persone offese stavano andando via, e cioè prima dell'aggressione, si trovava nella veranda del locale preceduto dal N. e seguito dal P. e, nel farsi strada tra le persone, aveva superato il N.; quindi si era girato, essendo stato il N. fermato da alcune persone, ed aveva visto una persona armata di bastone colpire Na.Or. e, nella confusione creatasi, lui ed i suoi amici venivano aggrediti e malmenati. Aggiungeva che, dopo aver superato il N., aveva ricevuto delle botte da dietro e, girandosi, non aveva avuto modo di individuare chi fosse stato. Una volta rigiratosi, vedeva tutti dirigersi, correndo, verso l'esterno. Affermava, ancora, che prima che gli aggressori uscissero dal bar per la prima volta, uno di loro aveva colpito Na.Or., ma che non sapesse chi fosse, né era in grado di riferire se coloro che erano rientrati per aggredirli la seconda volta fossero le stesse persone, né se tra queste ci fosse il Be. ovvero se quest'ultimo fosse incappucciato. Riferiva che l'aggressione al N. era avvenuta vicino al bancone e che, mentre interveniva per dividerli, veniva colpito alle spalle. Su contestazione della Difesa, confermava quanto riferito in sede di querela in data 02.01.2017, e cioè che ad essere armati di mazze da baseball erano solamente quelli con il capo coperto e che questi quattro erano posizionati a mo' di gruppo. Il teste del P.M., Pe.An., premesso di essere il cugino di P.M. e di conoscere Na.Or. per il fatto d'essere quest'ultimo amico del primo e Ca.Vi. per il fatto d'essere un proprio compaesano, riferiva che in data 01.01.2017 si trovava anch'egli in Nola presso il Bar Ca.. Raccontava di aver visto da lontano che si era creato un po' di confusione e di aver visto Na.Or. sanguinare dalle labbra. Raccontava, ancora, di aver visto che dei ragazzi incappucciati - che non conosceva - si erano diretti verso un'autovettura, avevano prelevato delle mazze da baseball ed erano rientrati per colpire sia Na.Or. che P.M.. Dichiarava, a domanda del Pubblico Ministero, di non aver riconosciuto nessuno di questi soggetti e di non conoscere né Be.Pa. né Di.Lo.; tuttavia, specificava che si trattava delle stesse persone coinvolte nella prima zuffa, dal momento che indossavano gli stessi vestiti. Il teste del P.M., Brig. Ma.Lo., dichiarava che, su disposizione della Centrale Operativa, in data 01.01.2017 si era recato in Nola presso il bar Ca. per una segnalazione di aggressione/rissa in atto. Riferiva che, giunto in loco, all'interno del bar c'era un'enorme confusione e che tre ragazzi, cioè le odierne persone offese, si erano avvicinate ai militari, riferendo di essere stati aggrediti all'interno del bar da alcuni individui che, all'atto dell'intervento dei Carabinieri, si erano già allontanati. Il teste del P.M., Si.An., escusso all'udienza dell'08.11.2021, premesso di conoscere Na.Or. per essere quest'ultimo il suo barbiere da circa due anni, riferiva che in data 01.01.2017, dopo aver trascorso la notte del Capodanno presso Villa Minieri, aveva incontrato P.M. e Na.Or. presso il Bar Ca., sito in N. alla Via V. 7 B.. Raccontava di aver assistito ad una lite tra Na.Or. ed un ragazzo - che il teste escusso non conosceva - che colpiva il primo con un pugno, mentre questi ultimi si trovavano all'interno del bar davanti al bancone ed il teste escusso nella veranda a circa due metri dai due litiganti, e, dopo circa cinque minuti, mentre il teste stava andando via e le persone offese erano ancora all'interno del bar, di aver visto tre persone, che, incappucciate ed armate di mazze, venendo dall'esterno del bar, si dirigevano verso Na.Or., colpendo sia quest'ultimo, sia P.M., intervenuto per dividerli, che Ca.Vi.. Ricordava, ancora, che un avventore del bar era riuscito a sottrarre ad una delle tre persone incappucciate la mazza da baseball, mentre gli altri due si avventavano diretti su Na.Or., come se l'avessero già individuato. TI teste del P.M., Ca.An., in sede di sommarie informazioni testimoniali - il cui verbale è stato acquisito con il consenso delle parti - rese presso la Stazione CC di Nola in data 01.01.2017, premesso di rivestire la qualifica di cassiere presso il Bar Ca., del quale titolare è la di lui madre, raccontava che in data 01.01.2017 alle ore 07.15 circa si trovava dietro la cassa del suddetto bar. Mentre nel bar c'erano parecchi avventori, notava due gruppi di ragazzi, a lui sconosciuti, discutere animatamente e vi si avvicinava, invitandoli a calmarsi per poi ritornare alla propria postazione. Decideva, quindi, di allertare dapprima la Polizia, impossibilitata ad intervenire, e, successivamente, i Carabinieri della Stazione di Nola, che, subito dopo, giungevano sul posto. Frattanto, uno dei due gruppi composto da circa cinque/sei ragazzi, dopo essere momentaneamente uscito dal bar, vi faceva rientro, armato di mazze da baseball, e, dopo aver colpito sul corpo due giovani che rovinavano a terra, gli aggressori si allontanavano dal bar. Riferiva, infine, che il locale era dotato di un sistema di videosorveglianza e che si sarebbe riservato di consegnare il supporto magnetico contenente le immagini relative all'episodio. Il teste di P.G., escusso ex art. 507 c.p.p., chiariva, a domanda della Difesa, che dalle immagini a colori estratte dal sistema di videosorveglianza installato presso il "Bar C.", erano ben visibili i soggetti coinvolti nella vicenda, così come era ben visibile dalla visione del DVD il momento in cui l'odierno imputato, Be.Pa. - che il teste di P.G. già conosceva - aveva sferrato il pugno alla persona offesa all'interno del bar durante la prima fase dell'aggressione. Riferiva di aver riconosciuto il Be. anche dalle immagini ritraenti la seconda fase dell'aggressione - svoltasi nella veranda coperta - allorquando dei soggetti con viso travisato ed armati di mazze da baseball avevano aggredito le odierne persone offese. Specificava, al riguardo, di aver riconosciuto il Be. perché non aveva il viso travisato e che, in questa seconda fase, aveva sferrato un altro pugno a Na.Or.. A fronte di tale prospettazione accusatoria, l'imputato non ha reso dichiarazioni utilizzabili in questa sede, né ha scelto di rendere esame dibattimentale. Dunque, tale essendo il contenuto degli atti utilizzabili ai fini della decisione, a parere di questo Giudice, l'ipotesi accusatoria relativa ai reati di cui agli artt. 582, 585 c.p. (lesioni aggravate) e all'art. 4 della L. n. 110 del 1975 (porto di armi od oggetti atti ad offendere) ha trovato pacifico conforto nelle sintetizzate risultanze istruttorie e per tale ragione va senza dubbio affermata la penale responsabilità dell'odierno imputato per i reati a lui ascritti in rubrica. Difatti, quanto alle lesioni cagionate alle persone offese Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi. dall'odierno imputato, in concorso con Di.Lo. ed altre persone rimaste ignote, con l'utilizzo anche di mazze da baseball, i fatti appaiono inconfutabilmente emersi, sia in base alle dichiarazioni delle persone offese, sia in base alle dichiarazioni degli ulteriori testi. Le persone offese hanno ricostruito con coerenza, logicità e sufficiente precisione il nucleo essenziale della vicenda, ovvero il litigio tra Be.Pa. e Na.Or. dovuto a questioni di precedenza e poi l'intervento a supporto del primo di una pluralità di ragazzi che si erano lasciati andare a un brutale pestaggio, armati di mazze da baseball, senza che le imprecisioni e contraddizioni su aspetti di contorno e dettaglio, imputabili al tempo trascorso ed al verosimile stato di frastornamento di Na.Or. al momento del fatto, possano incidere sull'attendibilità della ricostruzione degli elementi portanti dell'accusa. Tanto più che dell'aggressione a Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi. da parte di più persone vi è solido riscontro oggettivo di carattere estrinseco, rappresentato dai resoconti offerti dai testimoni oculari (Pe.An., Si.An. e Ca.An.), dall'entità e natura delle lesioni riportate dalle persone offese e certificate dai sanitari del Pronto Soccorso (cfr. referti medici in atti), nonché dalle immagini del sistema di videosorveglianza installato all'interno del bar ove si svolsero i fatti, contenute nel DVD in atti, i cui frame salienti sono confluiti nel fascicolo fotografico in atti, acquisito con il consenso delle parti. Come riportato dal teste di P.G. escusso ex art. 507 c.p.p. all'interno del verbale di visione immagini del 02.01.2017, acquisito con il consenso delle parti, dalla visone del file contenente le immagini relative al sistema di sorveglianza interna del bar, si vedono due individui di sesso maschile identificati in Na.Or. e Be.Pa., vicino al bancone in attesa di essere serviti. Successivamente alle ore 07:30:06, si vede l'individuo con la barba identificato in Be.Pa. sferrare un pugno a Na.Or.. Dalle immagini si nota che le persone presenti nel locale, nel vedere l'episodio occorso, intervengono al fine di placare gli animi per evitare che la lite possa degenerare ulteriormente. Successivamente, dalla visione delle immagini, si vedono le persone offese trattenersi all'interno del bar per consumare la colazione. Alle successive ore 07:39:50, da un'altra telecamera che riprende la veranda esterna e l'ingresso del bar si vedono entrare nuovamente all'interno del bar il Be.Pa., seguito da altri quattro/cinque individui di cui alcuni coperti da berretto e cappuccio, i quali impugnano tra le mani delle aste in legno. Dopo aver individuato nuovamente il Na.Or., all'improvviso uno dei soggetti che indossa in cappuccio (07:39:57) colpisce alla testa con una mazza il N. e successivamente alle ore 07:39:58 il Be.Pa. sferra un altro pugno a Na.Or.. Al che, i numerosi avventori del bar intervengono al fine evitare il coinvolgimento di altri soggetti, facendo desistere il gruppo dal continuare l'aggressione nei confronti del Na.Or.. Quanto alla specifica ascrivibilità del fatto all'imputato Be.Pa., la genuinità e attendibilità del riconoscimento deriva dall'identificazione dello stesso ad opera prima della persona offesa Pi.Ma. nel corso dei fatti e, successivamente, del teste di P.G. - della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, stante il carattere preciso e chiaro del narrato, confortato dai dati documentali, nonché la veste di pubblico ufficiale del dichiarante, che lascia indurre disinteresse alla vicenda per cui vi è processo - il quale dichiarava in dibattimento di aver con certezza riconosciuto, dalla visione delle immagini del sistema di videosorveglianza installato all'interno del bar ove si svolsero i fatti, l'odierno imputato, Be.Pa., già noto al teste di P.G., nel soggetto che aveva sferrato il pugno alla persona offesa. Na.Or., all'interno del bar durante la prima fase dell'aggressione. Dichiarava di aver riconosciuto il Be. anche dalla visione delle immagini ritraenti la seconda fase dell'aggressione - svoltasi nella veranda coperta - allorquando dei soggetti con viso travisato ed armati di mazze da baseball avevano aggredito le odierne persone offese, specificando, al riguardo, di esser stato in grado di riconoscere il Be. perché, diversamente dagli altri, non aveva il viso travisato e che, in questa seconda fase, aveva sferrato un altro pugno a Na.Or.. B. P. deve quindi essere dichiarato colpevole del reato di lesioni personali dolose ai danni di Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi., aggravato dall'aver compiuto il fatto in più persone riunite, non solo per la simultanea presenza di almeno due soggetti nel luogo e al momento di realizzazione delle condotte violente, ma anche perché, a causa della pluralità degù aggressori e della loro simultanea presenza, si sono prodotti nelle vittime. Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi., effetti fisici e psicologici tali da eliminarne o ridurne la forza di reazione. Le mazze da baseball utilizzate per colpire le persone offese sono da considerarsi pacificamente un'arma impropria, il cui porto ingiustificato costituisce reato ai sensi dell'art. 4 L. n. 110 del 1975. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, "Gli oggetti indicati specificamente nella prima parte dell'art. 4, comma secondo, della L. 18 aprile 1975, n. 110 sono da ritenere del tutto equiparabili alle armi improprie, per cui il loro porto costituisce reato alla sola condizione che avvenga "senza giustificato motivo", mentre per gli altri oggetti, non indicati in dettaglio, cui si riferisce l'ultima parte della citata disposizione normativa occorre anche l'ulteriore condizione che essi appaiano "chiaramente utilizzabili, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona". E poiché fra gli oggetti costituenti la prima di dette categorie figurano anche le "mazze", ne deriva che anche il porto di una mazza da baseball va considerato idoneo a costituire reato se, indipendentemente dalla concreta prospettabilità di una sua utilizzazione per l'offesa alla persona, non abbia un giustificato motivo. (Sez. 1, Sentenza n. 32269 del 03/07/2003 Ud. (dep. 31/07/2003 ) Rv. 225116 - 01 e, negli stessi termini più recentemente Sez. 7, Ordinanza n. 34774 del 15/01/2015 Cc. (dep. 10/08/2015 ) Rv. 264771 - 01, secondo cui "Il porto senza giustificato motivo, fuori dalla propria abitazione, di una mazza da baseball (da ritenersi arma impropria ai sensi dell'art. 4, comma secondo, L. 18 aprile 1975, n. 110) costituisce reato anche qualora non emergano circostanze di tempo e di luogo indicative della sua chiara utilizzabilità per l'offesa alla persona, in quanto tale ulteriore condizione è prevista, dal citato secondo comma dell'art. 4, solo per il porto degli altri strumenti atti ad offendere, non indicati nel dettaglio."). Né la circostanza che l'arma in questione non sia stata utilizzata dal Be. può condurre ad escludere la responsabilità dello stesso con riferimento ai reati ascrittigli. L'utilizzo dell'arma per procurare le lesioni alle persone offese costituisce innanzitutto una aggravante del reato di lesioni, ai sensi dell'art. 585 c.p.. Dal momento che tale aggravante non rientra tra quelle contemplate dall'art. 118 c.p. (circostanze strettamente personali, in quanto attinenti ai motivi del delinquere, all'intensità del dolo, al grado della colpa o comunque inerenti la persona del colpevole), la stessa, ai sensi dell'art. 59, comma 2, c.p., deve essere valutata a carico di tutti gli agenti, se da questi conosciuta (ovvero ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore). La Corte di Cassazione, facendo applicazione dei suindicati principi, ha chiarito che "In tema di lesioni personali, l'aggravante di cui all'art. 585 cod. pen., dell'essere il fatto commesso con l'uso delle armi, ha natura oggettiva e, pertanto, si comunica anche ai concorrenti, non venendo in rilievo le circostanze soggettive indicate nell'art. 118 cod. pen. (Fattispecie relativa a lesioni procurate con un coltello ed una catena)". (Sez. 5-, Sentenza n. 50947 del 13/09/2019 Ud. (dep. 17/12/2019 ) Rv. 278047 - 01). Ebbene, nel caso di specie, è indubbio che tale circostanza debba valutarsi con riferimento anche all'azione dell'odierno imputato, il quale, in accordo con Di.Lo. e con altre persone rimaste ignote e in reciproca adesione al rispettivo intento criminoso, colpiva Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi., mentre alcuni degli aggressori utilizzavano le mazze da baseball in questione. Allo stesso modo, Be.Pa. deve essere dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 4 della L. n. 110 del 1975 ascrittogli al capo b) dell'imputazione. Invero, "ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti". (Sez. 6, Sentenza n. 36818 del 22/05/2012 Ud. (dep. 25/09/2012 ) Rv. 253347 - 01 Come chiarito dalla Suprema Corte, "la disciplina del concorso di persone nel reato esige in ciascuno degli agenti l'elemento psichico del reato che si commette e la coscienza della partecipazione altrui, ma non il compimento, da parte di ognuno, dell'attività materiale in cui si estrinseca l'azione; sicché il concorso nella detenzione e o nel porto di armi non richiede affatto che ciascuno dei partecipanti sia in materiale contatto con la cosa". (Sez. 1, Sentenza n. 8389 del 07/07/1992 Ud. (dep. 24/07/1992 ) Rv. 191453 - 01), per cui "risponde di concorso in porto illegale di armi colui che aderisce ad un'impresa criminosa comportante l'impiego, nel luogo programmato, di un'arma di cui il compartecipe abbia l'esclusiva disponibilità. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto insussistente il denunciato vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata, che aveva ritenuto la responsabilità dell'imputato solo per detto reato, assolvendolo da quello di concorso in detenzione)". (Sez. 1-, Sentenza n. 40702 del 21/12/2017 Ud. (dep. 13/09/2018) Rv. 274364 - 01). Orbene, nel caso di specie, non v'è dubbio che Be.Pa. abbia aderito, unitamente agli altri aggressori, al proposito criminoso di portare con sé l'arma, poi usata soltanto da alcuni di essi per colpire le persone offese. L'azione delittuosa contestata all'imputato ha, infatti, assunto i connotati di una vera e propria spedizione punitiva nei confronti di Na.Or., Pi.Ma. e Ca.Vi. e, in quanto tale, pienamente concordata in tutti i suoi elementi dagli aggressori, i quali, insieme, portando con sé le mazze da baseball, hanno poi aggredito le persone offese. Può escludersi, altresì, per le osservazioni finora svolte, che venga in considerazione, nel caso in esame, un'ipotesi di "concorso anomalo" ex art. 116 c.p. La preordinazione di tutta l'azione e la condivisione dell'intento punitivo nei confronti delle persone offese escludono, infatti, che possa trattarsi di un'ipotesi in cui il reato commesso da Be.Pa. sia diverso e più grave da quello voluto dagli altri concorrenti, tanto più che l'odierno imputato ha tenuto condotte attive anche nella seconda fase dell'aggressione e, secondo l'insegnamento di Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 3384 del 28/02/1995 Ud. (dep. 28/03/1995 ) Rv. 200579 - 01, che si condivide, "In tema di concorso di persone nel reato, una volta dimostrato, anche "per facta concludentia", l'intervenuto accordo fra più soggetti in ordine all'attuazione di una determinata azione criminosa, comprensiva anche dei suoi già preventivati, prevedibili sviluppi, la responsabilità di tutti i medesimi soggetti a titolo di concorso pieno anche per l'effettivo verificarsi di tali sviluppi non può essere esclusa dalla circostanza che questi ultimi siano stati dovuti all'iniziativa assunta, nel corso dell'azione, da taluno soltanto dei compartecipi, sulla base di un apprezzamento della contingente situazione di fatto eventualmente non condiviso dagli altri, senza che, peraltro, tale mancata condivisione si sia in alcun modo, nel contesto, manifestata e sempre che, naturalmente, la situazione cui il summenzionato, soggettivo apprezzamento si riferisce rientri nel novero di quelle già astrattamente prefigurate, in sede di accordo criminoso, come suscettibili di dar luogo alla condotta produttrice dell'evento più grave poi, di fatto, realizzato. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto correttamente configurato il concorso ordinario e non quello anomalo di cui all'art. 116 cod. pen,, in un caso in cui, nel corso dell'esecuzione di una rapina a mano armata, uno dei compartecipi, a fronte di un apparente tentativo di reazione della vittima, aveva fatto uso dell'arma nei confronti di quest'ultima, tentando di ucciderla)". Tanto premesso in ordine alla responsabilità di Be.Pa., passando alla determinazione del trattamento sanzionatorio, deve senz'altro riconoscersi la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati ascritti all'imputato ai capi a) e b) dell'imputazione, dal momento che, essendo state tutte le violazioni realizzate nel medesimo contesto spazio-temporale, possono valutarsi come sorrette da un unico momento volitivo e ideativo da parte del soggetto agente. Non sussistono a parere di questo Giudice le condizioni per riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, stante l'assenza di alcun comportamento positivamente valutabile. Dunque, in applicazione dei parametri di cui all'art. 133 c.p., appare equo irrogare a Be.Pa. la pena di anni uno e mesi sette di reclusione, così determinata: pena base per il reato più grave di cui al capo a) commesso nei confronti di Na.Or., quantificata in anni 1 di reclusione, aumentata di complessivi mesi 6 di reclusione per le condotte descritte nel medesimo capo e realizzate ai danni di Pi.Ma. (mesi 3) e Ca.Vi. (mesi 3), aumentata di un ulteriore mese di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo b). Consegue per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. Non è possibile concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, non ricorrendo i presupposti previsti dagli artt. 163 ss. c.p. In particolare, si osserva che l'imputato ha già beneficiato in passato della sospensione condizionale della pena e la pena allora applicata cumulata con quella da infliggere supera i limiti stabiliti dall'art. 163 c.p.. Di più, la violenza del pestaggio di carattere meramente vendicativo di cui si è reso autore non consente di formulare una prognosi favorevole circa l'astensione da future condotte delittuose. Alla luce dei carichi di lavoro si è reputato opportuno fissare in giorni novanta il termine per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Be.Pa. colpevole dei reati a lui ascritti in rubrica e, riunificati i reati nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di anni uno e mesi sette di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivi in giorni 90. Così deciso in Nola il 23 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA Sezione penale Il Tribunale di Nola, Collegio "C", nelle persone dei magistrati: Giusi Piscitelli - Presidente estensore Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi - Giudice a latere Antonia Ardolino - G.O.P. alla pubblica udienza del 26.10.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Gi.An., nato a N. il (...), ivi residente alla via Fr.lli L. n. 35, difeso di fiducia dall'Avv. Di.Pe. del foto di Napoli, elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. presso quest'ultimo in Napoli "Fuorigrotta, P.co (...) Libero- non comparso SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con decreto emesso in data 17.5.2022 all'esito dell'udienza preliminare, il GUP presso il Tribunale di Nola, nella persona del Dott. Ma.Au., disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato Gi.An., fissando l'udienza del 6.10.2022 per la comparizione del predetto dinanzi al Tribunale di Nola, in composizione collegiale, per rispondere dei reati a lui ascritti dalla pubblica accusa, come da capo di imputazione riportato nell'epigrafe del presente provvedimento. Alla prima udienza del 6.10.2022 il Tribunale, accertata la regolare notifica del decreto introduttivo del giudizio, dichiarava l'assenza dell'imputato, non comparso senza addurre un legittimo impedimento ed, in assenza di questioni preliminari, veniva dichiarata l'apertura del dibattimento e le parti, nell'ordine di legge, formulavano le rispettive richieste istruttorie. Il Tribunale ammetteva le prove richieste in quanto ammissibili e rilevanti, veniva prodotto dalla difesa copia del verbale dell'udienza dell'8.2.2010 del Tribunale di Napoli nel procedimento penale RG dib 5308/09 a carico di Gi.An. per le lesioni occorse a Zi.An. e la causa veniva rinviata all'udienza del 7.12.2022. A tale udienza, in conseguenza della mutata composizione del Collegio giudicante, si procedeva preliminarmente alla rinnovazione dibattimentale e le parti si riportavano alle richieste istruttorie già formulate, prestando il consenso all'utilizzabilità delle prove già assunte dinanzi al precedente Collegio. Il Tribunale, pertanto, dichiarava utilizzabili mediante lettura gli atti già acquisiti al fascicolo del dibattimento e si procedeva con l'istruttoria dibattimentale. La difesa dell'imputato depositava, altresì, varia documentazione indicata in verbale. In tale sede, veniva sentito il curatore fallimentare, Dott. Sa.Ca. ed, all'esito, veniva acquisita la relazione dallo stesso redatta ai sensi dell'art. 33 L.F. con relativi allegati, nonché la sentenza dichiarativa di fallimento della società Om. s.r.l. del Tribunale di Nola. Con il consenso delle parti, veniva acquisita l'annotazione di servizio a firma del Mar. Di.Di., con ammissione di domande allo stesso a precisazione e chiarimento. Alla successiva udienza del 2.3.2023, il Tribunale procedeva nuovamente alla rinnovazione della dichiarazione di apertura del dibattimento stante il mutamento della composizione del collegio giudicante e, previo consenso delle parti, dichiarava utilizzabili le prove già assunte e si procedeva successivamente all'esame dell'imputato Gi.An.. Veniva acquisita varia documentazione prodotta dalla difesa a cui l'imputato aveva fatto riferimento nel corso dell'esame, tra cui la ricevuta di Ma.Vi. e copia della disposizione di bonifico disposto in favore di Zi.An.. Veniva, altresì, prodotto dalla pubblica accusa certificato attestante il decesso di Gu.Vi., socio e amministratore unico della società fallita. Si procedeva all'escussione dei primi due testi della U. presentata dalla difesa dell'imputato, ovvero di Ma.Pe. e di Di.Em.. All'udienza del 25.5.2023 veniva sentito il teste della difesa Ca.Ci.. L' udienza del 20.9.2023 veniva rinviata stante l'incompatibilità del Presidente del mutato Collegio, Ma.Au., che aveva svolto le pregresse funzioni di GUP nel presente procedimento. Alla successiva udienza del 26.10.2023, dopo la rinuncia agli altri testi di lista della difesa, il Tribunale rigettava la richiesta già pervenuta a mezzo pec e riformulata in udienza, con la quale si richiedeva di escutere, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., il sig. An.Ca., a cui l'imputato ed i testi della difesa avevano fatto riferimento durante il loro esame, non ritenendo necessaria tale prova ai fini della decisione. Veniva prodotto dalla difesa il verbale di consegna delle scritture contabili e dei libri sociali obbligatori della Om. s.r.l. in data 22.12.2010 a Gu.Vi.. Si dichiarava, pertanto, la chiusura dell'istruttoria dibattimentale e, invitate le parti a rassegnate le proprie conclusioni in epigrafe riportate, il Tribunale si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale dava lettura del dispositivo della sentenza di assoluzione ai sensi del capoverso dell'art. 530 c.p.p. di Gi.An. da tutti i fatti di reato allo stesso ascritti per non averli commessi, riservandosi il deposito delle motivazioni nel termine di giorni novanta. L'imputato Gi.An. è chiamato a rispondere, nella qualità di amministratore unico della società Om. s.r.l. (già Of. di Gi.An., in sigla Om. s.r.l.) dalla data di costituzione della stessa e sino al 22.10.2010 e, successivamente, di amministratore di fatto della medesima società dal 22.10.2010 alla data del fallimento (27.12.2019), dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale di cui al capo a) dell'imputazione (artt. 110 c.p., 216, comma 1, nn. 1 e 2, 219, comma 1 e comma 2, n. 1 e 223 L.F.) nonché, sempre nella medesima qualità, della bancarotta fraudolenta cd "impropria" concretizzatasi nel compimento di operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento della società, di cui al capo b) dell'imputazione (artt. 223, comma 2, n. 2 e 219, commi 1 e 2 L.F.). Osserva il collegio che l'istruttoria dibattimentale non ha fornito, al di là di ogni ragionevole dubbio, la prova che l'imputato abbia commesso, nella qualità contestatagli dalla pubblica accusa, i fatti di bancarotta allo stesso ascritti. Orbene, giova premettere che la vicenda portata al vaglio di questo Tribunale origina dal fallimento della società denominata "O. s.r.l.", P.IVA (...), con sede legale in V. (N.), alla via G. L. n. 75, dichiarato con la sentenza del Tribunale di Nola n. 111/2019 pronunciata in data 16.12.2019, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il successivo 27.12.2019. Come risulta dalla visura storica acquisita agli atti del giudizio, la società fallita era stata costituita in data 25.09.2003 con atto a rogito del notaio C.L. rep. n. (...), iscritto nel registro delle imprese, sezione ordinaria, in data 10.10.2003, originariamente operante in via F.lli L. n.35 prevalente nel campo del commercio di autoveicoli, nuovi ed usati, nonché motoveicoli, autocarri, rimorchi e semirimorchi, come da denuncia di inizio attività presentata presso il comune di Napoli il 4.7.2005. Con atto a rogito del notaio C.L. in data 26.7.2007, iscritto il (...), rep. (...) l'oggetto sociale dell'impresa è stato ampliato ricomprendendovi, anche, attività di consulenza automobilistica, autocarrozzeria, effettuazione di collaudi su cisterne e carrozzerie industriali, lavaggio autocarri etc. La sede legale della società, fino al mese di gennaio 2008, era in N., alla via F.lli L. n.35; successivamente è stata trasferita in N., alla via M. P. n. 2 ed, infine, con verbale di assemblea redatto in data 22.12.2010 a rogito del notaio V.P., è stato deliberato il trasferimento della sede in V. (N.), alla via G. L. n.75. L'imputato Gi.An. ha ricoperto la carica di amministratore unico della società fino al 22.12.2010. Ed infatti, con scrittura privata autenticata dal notaio V.P. in C. di N. in data 22.12.2010, Gi.An. ha ceduto l'intera partecipazione sociale posseduta nella società Om. s.r.l. al sig. Gu.Vi., nato a N. il (...), a fronte di un corrispettivo pari ad Euro 10.000,00 corrispondente al valore nominale della quota ceduta. In conseguenza della suddetta cessione, il Sig. Gi.An. è fuoriuscito dalla compagine societaria ed il Sig. Gu.Vi. è divenuto l'unico socio ed il nuovo amministratore della società Om. s.r.l.; qualità del resto da costui rivestita anche al momento della dichiarazione del fallimento, coma da visura in atti. Successivamente alla cessione, con atto a rogito del notaio C.L. in data 17.1.2012 , iscritto il 2.2.2012, rep. n. (...), è stato disposto il mutamento della denominazione della società Of. di Gi.An. s.r.l., in sigla Om. s.r.l, in Om. s.r.l. La società suindicata Om. s.r.l., nella persona del suo amministratore unico Gu.Vi., è stata dichiarata fallita con sentenza n. 111/2019 del Tribunale di Nola su ricorso presentato da Zi.An., ex dipendente della società a far data dall'8.3.2006 addetto alla revisione dei veicoli, in forza della sentenza n. 9311/2016 del Tribunale di Napoli- sezione lavoro, depositata in data 4.1.2017, che ha condannato la società al pagamento della somma di Euro 547.885,87 oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno biologico patito in conseguenza di un grave infortunio sul lavoro allo stesso occorso in data 15.1.2007 ( allorquando l'amministrazione della società faceva ancora capo a Gi.An. ). Oltre a Zi.An., nella procedura fallimentare è intervenuta, presentando domanda di insinuazione al passivo, anche l'Agenzia delle Entrate- Riscossione per un credito di circa 32.000,00 euro per debiti erariali a vario titolo dovuti dalla società fallita. Ciò premesso, nella relazione ex art. 33 L.F., depositata alla prima udienza dibattimentale del 7.12.2022, il curatore fallimentare, Dott. Sa.Ca., dopo aver illustrato la storia della società fallita, esposta in precedenza nei tratti essenziali, ha evidenziato le criticità dallo stesso riscontrate. In particolare, il curatore ha posto all'attenzione dell'autorità giudiziaria la circostanza che non fossero stati depositati in Tribunale, né consegnati alla curatela né rivenuti presso la sede legale della società i libri sociali obbligatori e le scritture contabili della stessa ossia: libro giornale, libro degli inventari, libro dei verbali di assemblea, libro dei cespiti ammortizzabili, registro IVA, fatture di vendite, acquisti, corrispettivi e riepilogativi IVA. Il medesimo curatore evidenziava che, in sede di interrogatorio, l'amministratore Gu.Vi. nulla gli avesse saputo riferire al riguardo, ammettendo di non essere neanche a conoscenza della qualifica rivestita di amministratore e socio unico della società fallita, di aver lavorato saltuariamente per detta società firmando i soli passaggi di proprietà delle autovetture a fronte dei quali riceveva in cambio poche centinaia di euro, e che la società fosse gestita da sempre da Gi.An., nonché di non aver mai avuto rapporto con clienti e fornitori né con i dipendenti della società. Il curatore fallimentare rilevava, altresì, che l'ultimo bilancio di esercizio risultava essere quello chiuso al 31.12.2009, depositato il 6.10.2010; che da detto documento si evinceva che, alla data del 31.12.2009, non vi fosse alcuna appostazione di un fondo rischi per l'incidente del 2007 occorso al dipendente Zi.An., che avrebbe invece dovuto stanziarsi in base al principio contabile di trasparenza verso i terzi. Evidenziava, ancora, che la società non presentasse dichiarazioni IRES/IRAP/IVA da diversi anni e che l'ultima dichiarazione dei redditi presentata fosse datata 20.09.2010 e relativa all'anno di imposta 2009, con ricavi per Euro 583.562,00 e una perdita di Euro 35.445,00. Ancora, rilevava che l' Om. s.r.l. alla data del fallimento risultava intestataria di n. 51 veicoli, dettagliatamente indicati nella relazione (e riportati nel capo di imputazione formulato dal PM), mai rivenuti presso la sede sociale. All'udienza del 7.12.2022, il curatore, durante l'esame condotto dalla pubblica accusa, ha confermato tutte le circostanze già evidenziate nella relazione ex art. 33 L.F., precisando ulteriormente quanto gli fosse stato riferito dal Sig. Gu.Vi., socio unico e amministratore della società alla data della dichiarazione di fallimento, ossia che lo stesso non fosse a conoscenza della qualifica rivestita, di non sapere nulla della società e di aver soltanto apposto le sottoscrizioni ai passaggi di proprietà delle auto in cambio di poche centinaia di euro. Evidenziava che, a suo avviso, la decisione del G. di fuoriuscire dalla compagine societaria concretizzatasi con la cessione delle quote sociali a Gu.Vi. avvenuta nel mese di dicembre 2010, fosse legata all'infortunio occorso al dipendente Zi.An. presso la sede di lavoro; in particolare, precisava che, a causa di una esplosione di una cisterna utilizzata per il trasporto di GPL avvenuta durante l'espletamento della revisione della stessa, il dipendente aveva riportato delle gravissime ustioni di secondo e terzo grado su tutto il corpo. Il curatore sottolineava che, in conseguenza di detto infortunio avvenuto nel mese di gennaio 2007, il G. avrebbe dovuto inserire nel bilancio di esercizio un fondo rischi a copertura delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito dal dipendente. In riferimento ai debiti erariali, pari a circa 32mila euro, nei confronti della agenzia delle entrate, evidenziava che trattavasi di somme dovute per omesso versamento di imposte a vario titolo (IVA, IRES, IRAP) nonché contributi INPS anni 2009, 2010, sorti prima del dicembre 2010 e, dunque, nell'arco temporale in cui la carica di amministratore fosse formalmente ricoperta da Gi.An.. Quanto ai veicoli di cui la società fallita è risultata intestataria, precisava che essi non fossero stati rinvenuti presso la sede e che molto probabilmente trattavasi di veicoli ceduti nel tempo dalla società senza effettuare passaggi di proprietà. Dagli accertamenti effettuati sui suddetti veicoli nella Banca Dati dell'Aci ( vedasi annotazione a firma del Maresciallo della Guardia di finanza, dott. D.M.D., acquisita con il consenso delle parti all' udienza del 7.12.2022) e dalle precisazioni dallo stesso agente di PG rese in dibattimento alla medesima udienza del 7.12.2022, è risultato che dei 51 veicoli oggetto dell'asserita distrazione, 5 veicoli alla data del fallimento etano stati in precedenza già ceduti dalla Om. e, dunque, non rientravano nell'attivo fallimentare. In disparte tale precisazione, il teste riferiva che di tutti i veicoli di cui la società fallita risultava ancora intestataria alla data del fallimento e non rivenuti, soltanto 3 fossero stati acquistati nel periodo in cui l'imputato Gi.An. rivestiva la qualifica di socio e amministratore unico della società mentre, tutti gli altri veicoli indicati nel capo di imputazione risultavano acquistati dalla fallita quando il legale rappresentante della società fosse già V.G.. All'udienza del 2.3.2023, l'imputato G. si è sottoposto ad esame. L'imputato ha riferito che, dopo l'incidente occorso al dipendente Z., avvenuto nel mese di gennaio 2007, avesse continuato comunque a corrispondergli lo stipendio nonostante lo stesso non andasse al lavoro. Portava all'attenzione del Tribunale di avete avuto buoni rapporti con lui, che andava spesso a prenderlo presso la sua abitazione "per non farlo stare da solo", che aveva contribuito a pagargli le spese mediche, di avergli fatto un cospicuo regalo di nozze con bonifico di Euro 3.400,00 versato alla Ma.Vi. ( allegato in atti ) e che gli avesse proposto, quale forma di risarcimento del danno patito in conseguenza dell'infortunio, la corresponsione di un vitalizio pari a 1.500,00 al mese, ma che detta proposta non era stata accettata dallo Z.. L'imputato precisava che i rapporti con lo stesso si etano raffreddati, in conseguenza della sua costituzione come parte civile nel procedimento penale avviato contro di lui per lesioni colpose. Evidenziava che, in conseguenza dell'esplosione della cisterna che aveva coinvolto il dipendente, l'intera area era stata sottoposta a sequestro, rendendo la società inadempiente nei confronti di molti clienti che avevano alla stessa affidato i propri mezzi per la revisione e i collaudi. Il G. evidenziava che, nell'anno 2010, la sua intenzione era quella di chiudere la società perché non riusciva più a sostenerne le spese e non di cederla a terzi, e che non aveva motivo di pensate a ritorsioni o azioni da parte dello Z. poiché all'epoca intercorrevano tra gli stessi buoni rapporti. L'imputato riferiva che, tuttavia, una persona conosciuta che si occupava di attività di vendita auto, tale C.A., gli avesse manifestato l' intenzione di voler acquistare la sua società con attività già avviata anziché costituirne una nuova e che, all'atto della stipula del contratto di cessione delle quote societarie dinanzi al Notaio, An.Ca. si era presentato con un'altra persona, tale Gu.Vi., che formalmente avrebbe dovuto acquistare le quote e assumere la carica di amministratore della società. Precisava che, soltanto in quell'occasione avesse conosciuto Gu.Vi. ma che, in sostanza, la vendita delle quote fosse stata convenuta in favore di An.Ca.. L'imputato specificava che la tenuta delle scritture contabili e il deposito dei bilanci d'esercizio fossero stati regolari nel periodo in cui avesse amministrato la società poi fallita. Portava all'attenzione del Tribunale di aver sottoscritto un accordo transattivo con Zi.An. nel 2017, con il quale quest'ultimo - a fronte dell'azione revocatoria intrapresa contro un atto di disposizione patrimoniale del G. - rinunciava ad intraprendere l' azione esecutiva immobiliare nei confronti di detto bene a fronte della corresponsione di un acconto sul maggior danno dovuto allo stesso. L'imputato precisava di non ricordare i tre veicoli acquistati dalla società nell'anno 2010 quando ricopriva la carica di amministratore, ancora formalmente intestati alla stessa al momento del fallimento e non rivenuti presso la sede sociale. Su domanda del PM, il G. affermava che le scritture contabili erano tenute dal suo commercialista P.G., di essersi recato insieme ad An.Ca. e a Gu.Vi. presso il suo ufficio a ritirarli e che di detta consegna fosse stato redatto anche un verbale ( cfr. doc. in atti). Su domanda del Tribunale, l'imputato precisava che, successivamente alla cessione delle quote societarie, aveva aperto in autonomia un'agenzia di pratiche auto e di non aver avuto più alcun contatto con la società O.s.r.l., poi divenuta Om. s.r.l. Alla medesima udienza del 2.3.2023 veniva sentito quale teste della difesa P.M., ex dipendente della società fallita. Il teste precisava di aver lavorato con Gi.An. da molto tempo, sin dal 2002 e per Om. s.r.l. fino ad agosto/settembre dell'anno 2007. Riferiva di essere a conoscenza del grave incidente avvenuto in azienda nel gennaio 2007 che aveva coinvolto Zi.An., Specificava che, per l'O. s.r.l,, lavorava all' ufficio tecnico, in particolare organizzava i collaudi, i lavori in officina, gli allestimenti e che la società all'epoca non si occupava principalmente dell' attività di vendita di veicoli, che quest'ultimo non era il suo campo di azione. Il teste riferiva di conoscete An.Ca., che era un elettrauto che svolgeva il suo lavoro nelle vicinanze della sede dell'O.., e di sapere che avesse iniziato un'attività di vendita di autoveicoli. Riferiva dei problemi che l'azienda avesse affrontato dopo l'esplosione, a cui era seguito il sequestro della stessa e di tutti i beni ivi presenti, rendendo inadempiente la società nei confronti di molti clienti, tra cui la ditta "R.", in quanto una delle sue cisterne, che si trovava per la revisione presso la sede della società, era stata sequestrata. Il teste precisava di non essere stato licenziato ma di essersi dimesso spontaneamente per le difficoltà in cui si trovasse l'azienda, e di essere ritornato a lavorare per Gi.An. qualche tempo dopo ma per un' altra società che si occupava di pratiche auto, autoscuola, con sede in N., alla via C. Om. n. 2 e che questa nuova società era amministrata dapprima dalla figlia dell'imputato e poi dallo stesso Gi.An.. P. riferiva anche di aver visto qualche volta Gu.Vi. ma che, a suo dire, questi non era una persona che potesse gestire quel tipo di società. Di.Em. riferiva di lavorare inizialmente per una società denominata "A. s.r.l.", che si occupava di pratiche auto, e curava le formalità relative ai passaggi di proprietà delle vetture, poi divenuta Om. s.r.l. presso cui veniva assunta nel 2008. La teste esponeva che, nel corso della sua attività lavorativa, avesse avuto contatti sia con Gu.Vi. che con C.A., che spesso si recavano in agenzia per i passaggi di proprietà delle vetture. Ammetteva però di non ricordare nello specifico il periodo temporale, riferendosi a tre/ quattro anni prima del Covid e precisava che, fino a quando fosse stata dipendente di questa società, G. e C. fossero venuti spesso insieme per le pratiche auto. Riferiva che la società presso la quale originariamente lavorava ovvero A. s.r.l era così denominata perchè la madre del G. si chiamava A.; che lei era solita interloquire con la moglie di Gi.An., ossia C.A., nonché con Io stesso Gi.An., e che detta società è diventata poi Om. ma non ricordava di preciso il momento temporale di riferimento. Nell'anno 2008 era stata assunta da Om. a via B. L. che si occupava di pratiche auto e revisioni. All'udienza del 25.05.2023 veniva sentito Ca.Ci., il quale riferiva di conoscere l'imputato e di aver lavorato con lui dall'anno 2004 per circa cinque/sei anni ( quindi presumibilmente fino al 2010). Confermava che, dopo l'incidente occorso a Zi.An., la società aveva avuto diversi problemi e si appoggiava per le revisioni ad altre agenzie, tra cui una a C., e che G. avesse comunque continuato i rapporti con il lavoratore infortunato, sostenendolo anche economicamente, per poi fuoriuscite dalla società dedicandosi solo all'autoscuola e all' agenzia di pratiche auto. Il teste esponeva che nell'anno 2010 avesse smesso di lavorare con Gi.An. per questioni personali ed essere andato altrove, riprendendo poi nel 2014 a svolgere l'attività di pratiche auto presso la società della nipote, Gi.An., denominata "MYA". Riferiva che, in. questa agenzia si recava spesso Gu.Vi. per sottoscrivere i passaggi di proprietà di veicoli intestati alla sua società Om. s.r.l. e che sovente avesse visto il G. accompagnato da una persona che si chiamava An.Ca.. Per la società Om. era spesso presente An.Ca., che il teste riferiva essere un elettrauto che svolgeva la sua attività lavorativa nelle zone dove prima era ubicata la sede della società Om. s.r.l. Riferiva che il G. aveva aperto un' agenzia di pratiche auto dopo aver lasciato la vecchia società. Così ricostruiti gli elementi di prova emersi in dibattimento, questo Collegio ritiene di esaminare partitamente le condotte di bancarotta contestate all'imputato dalla costituzione della società alla cessione delle quote societarie (avvenuta il 22.12.2020), e quelle realizzate nel periodo successivo e fino alla data del fallimento, essendo diversa la qualifica dallo stesso rivestita e contestatagli dalla pubblica accusa. 1.1- Orbene, quanto ai fatti di bancarotta distrattiva e documentale di cui al capo 1) dell'imputazione nel periodo antecedente il 22.10.2010, risulta certo ed incontestata la circostanza che Gi.An. rivestisse, e non solo formalmente, la qualifica di amministratore unico della Om. s.r.l. ( divenuta poi Om. s.r.l. ), occupandosi della gestione della società in maniera significativa e continuativa, assumendo le decisioni più rilevanti in relazione al perseguimento dell'oggetto sociale, rapportandosi con i dipendenti ed i clienti dell'azienda. Non è emerso, tuttavia, che l'imputato, nella predetta qualità, abbia commesso i fatti distrattivi allo stesso ascritti. Per quanto riguarda la prima delle condotte contestate ovvero la bancarotta documentale, secondo l'impianto accusatorio Gi.An. avrebbe sottratto i libri e le scritture contabili della società allo scopo di recare pregiudizio ai creditori ovvero di procurarsi un ingiusto profitto. Al riguardo, nel corso dell'esame l'imputato ha dichiarato che, nel periodo in cui lo stesso rivestiva la carica di amministratore della società poi fallita, le scritture ed i libri contabili erano regolarmente tenuti presso lo studio del commercialista indicato nella persona del dott. P.G. e che, successivamente alla cessione delle quote societarie avvenuta il 22.12.2010, tali documenti erano stati consegnati al nuovo rappresentante legale della società, ovvero a Gu.Vi.. La predetta dichiarazione dell'imputato trova un riscontro nella documentazione versata in atti dalla difesa all'udienza del 26.10.2023 e, precisamente, nel verbale di consegna in data 22.12.2010, che risulta sottoscritto da Gu.Vi. e corredato anche dal documento di identità di quest'ultimo. Da detto verbale risulta che il G. abbia effettivamente ritirato presso lo studio del Dott. P.G. tutte le scritture contabili della società ivi dettagliatamente indicate e riferite al periodo temporale in cui l'imputato avesse la rappresentanza della società poi fallita ossia: - n. 8 libri delle fatture emesse riferiti agli anni 2003 e fino ad ottobre 2010; - n. 8 libri delle fatture degli acquisti riferiti agli anni dal 2003 fino a ottobre 2010; - n. 7 libri degli inventari riferiti agli anni dal 2003 al 2009; - n. 8 libri giornale scritturati dal 2003 al settembre 2010; - n. 2 libri verbali delle assemblee scritturati fino a dicembre 2010; - n. 1 cartella contenente dichiarazioni IVA; - n. 1 cartella contenente dichiarazione dei redditi della società O.; - n. 1 cartella contenente deposito dei bilanci presso la camera di commercio; - n.1 cartella contenente mod. F24 diritti camerali e tassa libri sociali; - vari faldoni contenenti fatture degli acquisti e fatture emesse fino alla data di ottobre 2010. Ciò, pertanto, dimostra la regolare tenuta dei libri sociali obbligatori e delle scritture contabili da parte del G. per tutto il periodo in cui lo stesso ha ricoperto la carica di amministratore della società ed il regolare passaggio di consegna di detti documenti al nuovo legale rappresentante a decorrere dal mese di dicembre 2010. Ad abundantiam, si osserva che, ai sensi di legge ( art. 2220 c.c.) , "le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione. Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti" o, comunque, l'obbligo di conservare le scritture contabili sussiste anche oltre il termine decennale contenuto nell'art. 2220 c.c. solo quando sono in corso accertamenti da parte dell'amministrazione finanziaria in relazione a tale periodo e fino a quando gli accertamenti non sono divenuti definiti (Cass. Ordinanza n. 16752/2020). Orbene, è evidente che l'obbligo di conservazione delle scritture contabili relative agli anni 2003 - 2010, ovvero al periodo in cui il G. ha rivestito la qualifica di amministratore unico, era comunque venuto meno per decorrenza del termine decennale (ed in mancanza di prova di accertamenti in corso da parte dell'amministrazione finanziaria ) alla data della dichiarazione di fallimento ( anno 2019 ). Inoltre, un ulteriore elemento da cui emerge la "regolarità contabile" della società nel periodo in cui la carica di amministratore era ricoperta dall'imputato e che questo Collegio ritiene di valorizzate, è la circostanza che l'ultimo bilancio di esercizio risulta depositato il 6.10.2010 e l'ultima dichiarazione dei redditi presentata fosse datata 20.09.2010, come indicato nella relazione ex art. 33 L.F. e confermato dal curatore all'udienza del 7.12.2022. Le "omissioni" censurabili, pertanto, risultano tutte successive alla cessione delle quote societarie in favore di Gu.Vi. avvenuta il 22.12.2010. Quanto, invece, ai fatti di bancarotta distrattiva relativi ai 51 veicoli di cui la società fallita Om. s.r.l. è risultata intestataria alla data del fallimento e non rinvenuti presso la sede sociale, si evidenzia che dalla piattaforma probatoria in atti è emerso che quasi tutti i predetti veicoli siano stati acquistati dalla società fallita nel periodo in cui la carica di amministratore era già ricoperta dal Gu.Vi. (vedasi, in particolare, annotazione a firma del maresciallo della Guardia di Finanza, dott. D.M. datata 22.2.2022, acquisita con il consenso delle parti all'udienza del 7.12.2022 e le precisazioni rese sul punto dal medesimo agente nel corso della sua escussione). Soltanto 3 dei 51 veicoli indicati nel capo di imputazione risulterebbero invece acquistati dalla Om. s.r.l. nell'anno 2010 ossia nel periodo in cui la carica di amministratore era rivestita dal Gi.An. e, precisamente: 1) modello IVECO 120E18 tg (...) acquisito il 23.09.2010 ; 2) modello IVECO 120E18 L 51 tg (...) acquistato il 6.8.2010; 3) modello Fiat 80E18 tg (...) acquistato il 18.5.2010. Tuttavia, in relazione ai predetti 3 veicoli, si evidenzia la lacunosità degli accertamenti svolti nella fase delle indagini, basati esclusivamente sulle risultanze formali della banca dati dell'Aci, e la incompletezza dell'istruttoria dibattimentale in relazione alle tre cessioni: non è stata infatti accertata la provenienza di detti veicoli, né risulta chi abbia effettivamente acquistato tali mezzi. Sotto altro aspetto, non risulta neppure provato l'elemento soggettivo del dolo distrattivo, trattandosi, tra l'altro, di veicoli acquistati ben dieci anni prima della dichiarazione di fallimento e in momento in cui la società, come da bilancio di esercizio 2010, versava in buone condizioni economiche. 1.2.- Quanto, invece, ai fatti di bancarotta contestati all'imputato nella qualità di amministratore di fatto della società Om. s.r.l., poi divenuta Om. s.r.l., successivamente al 22.1=.2010 e fino alla dichiarazione di fallimento, questo Collegio osserva che non può ritenersi provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la qualifica ascrittagli dalla pubblica accusa. Sul punto, giova evidenziare che, secondo il granitico orientamento della giurisprudenza anche di legittimità, la nozione di "amministratore di fatto" presuppone l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, da non ricondursi, necessariamente, all'esercizio di tutti i poteri tipici dell'organo di gestione, bensì ad una apprezzabile attività di gestione, che sia effettuata in modo non occasionale o non episodico. La prova della posizione di amministratore di fatto esige l'accertamento di elementi che evidenzino l'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualunque fase della sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell'attività sociale, ad esempio i rapporti con i dipendenti, i clienti o i fornitori, ovvero in ogni settore gestionale dell'attività dell'ente, sia quest'ultimo produttivo, amministrativo, aziendale, contrattuale o disciplinare. Ciò premesso, nel caso in esame il curatore ha spiegato che nella relazione ex art. 33 L. Fall, l'amministrazione di fatto della fallita è stata ascritta a Gi.An. in base alle dichiarazioni tese dal Gu.Vi. in sede di interrogatorio, il cui verbale è allegato in atti, che ha riferito di non sapere nulla della società e che tutto fosse gestito dal G.. Tuttavia, la dichiarazione eteroaccusatoria resa dal G., non confermata in dibattimento atteso il sopravvenuto decesso dello stesso, non risulta in alcun modo riscontrata, in quanto nessun indice del compimento di atti gestori da parte dell'imputato per la società fallita successivamente alla cessione delle quote in favore del Gu.Vi. è emerso dall'istruttoria dibattimentale. Dal materiale in atti è certo che è il Gu.Vi. ad aver ricoperto il molo di amministratore di diritto della società a far data dal 22.10.2010 e fino alla dichiarazione di fallimento; i testi escussi hanno riferito che fosse il Gu.Vi. a recarsi presso le varie agenzie di pratiche auto per la sottoscrizione dei passaggi di proprietà dei veicoli in nome e per conto della Om. s.r.l. Anzi, dall'escussione dei testi ( v. in particolare, quanto riferito da Di.Em. e Ca.Ci. ) è emerso che il Gu.Vi. era solito accompagnarsi con altro soggetto, tal An.Ca., che "portava il G. a firmare i passaggi di proprietà" presso le varie agenzie; ad An.Ca., del testo, aveva fatto riferimento il medesimo imputato nel corso del suo esame, dichiarando che in realtà la cessione della sua partecipazione sociale era solo formalmente avvenuta in favore di Gu.Vi. mentre il reale acquirente - che si sarebbe di fatto occupato della gestione della società ceduta - sarebbe stato An.Ca.. Tutti i testi confermano che successivamente al 2010 il G. era fuoriuscito dalla compagine societaria aprendo un'altra società che si occupava di pratiche auto. I testi Ca.Ci. e Di.Em. non riferiscono di aver avuto contatti con Gi.An. successivamente al dicembre 2010 o comunque di aver visto Gi.An. direttamente occuparsi di questioni legate alla predetta società. Il teste P.M., dopo aver riferito di aver lavorato per la Om. s.r.l. fino al 2007, evidenziava di essere ritornato a lavorare per Gi.An. qualche tempo ma per un' altra società che si occupava di pratiche auto, autoscuola. Riferiva, su domanda del Tribunale, che questa nuova società era amministrata dapprima dalla figlia di G. e poi dallo stesso Gi.An., indicando quale sede via C. Om. n, 2 a N., che risulta diversa dalla sede della Om. s.r.l, ubicata in V. (N.), alla via G. L. n. 75 a far data dal 27.12.2010. Non è possibile, pertanto, ritenere che la nuova società del G. fosse la medesima dalla quale era fuoriuscito nel 2010 e dichiarata poi fallita nel 2019. Le prove dichiarative, pertanto, pur convergendo in ordine alla circostanza ( del resto confermata dallo stesso imputato ) che il G., dopo la cessione delle quote della società in favore di Gu.Vi., avesse continuato a lavorare occupandosi di pratiche auto, confermano l'estraneità dello stesso alla gestione della "vecchia" Om. s.r.l. divenuta poi Om. s.r.l. Alla luce di ciò, in assenza di qualsiasi prova in ordine alla posizione ricoperta dal Gi.An. successivamente alla cessione delle quote societarie della Om. s.r.l. poi divenuta Om. s.r.l., quest'ultimo va dunque assolto dai fatti di bancarotta contestati al capo a) per non aver commesso il fatto. 2.- Nel secondo capo di imputazione, viene contestato al G. il reato di bancarotta fraudolenta cd "impropria" in quanto, con dolo o per effetto di operazioni dolose, avrebbe cagionato il fallimento della società attraverso il compimento di atti di mala gestio consistiti: a) nell'aver omesso di costituire nel bilancio di esercizio dell'anno 2017 ed in violazione del principio contabile OIC3 e di quello di trasparenza verso terzi, un fondo rischi ed oneri per cause in corso, in conseguenza della sentenza del Tribunale di Napoli pronunciata sul ricorso presentato dal dipendente Zi.An. per il risarcimento dei danni patiti a seguito dell'infortunio sul lavoro; b) nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali che aveva generato un debito della società pari ad Euro 32.616,66. 2.- a) Ciò posto, quanto alla prima delle condotte contestate, è pacifico che, a fronte della pronuncia della sentenza di primo grado di condanna della società al pagamento di somme a favore della controparte, dovesse appostarsi nel bilancio un fondo rischi ed oneri di corrispondente importo. Orbene, la sentenza di condanna della Om. s.r.l. in favore di Zi.An. è stata adottata nel 2016 e, dunque, in un momento temporale in cui Gi.An., per le motivazioni già indicate in precedenza, non ricopriva all'interno della società poi fallita alcuna qualifica, né di diritto né in fatto. L'omessa costituzione del fondo rischi ed oneri per cause in corso nel bilancio 2017 ( relativo all'anno 2016) non può pertanto essere addebitata al G.. Né, diversamente da quanto affermato dal curatore fallimentare durante la sua escussione ( e, si precisa, anche di quanto contestato dalla pubblica accusa nel capo di imputazione), 1' operazione contabile di appostamento della perdita nel fondo rischi avrebbe dovuto conseguire sin dall'incidente verificatosi nel 2007 perché è solo con la sentenza che si determina il prevedibile quantum dovuto dalla società. Pertanto, nel periodo in cui G. rivestiva la qualifica di amministratore della società, quando ancora lo Z. non aveva intrapreso alcuna azione giudiziaria, non poteva di fatto procedersi ad alcuna operazione contabile di appostamento della perdita nel fondo rischi dato che ad essa non poteva conseguire alcun effettivo prevedibile accantonamento di denaro. 2.- b) Quanto alla seconda delle condotte contestate, questo Tribunale non disconosce l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale le operazioni dolose di cui all'art. 223, comma 2, n. 2, legge fall, possono consistere anche nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario e degli enti previdenziali (Cass. n. 36913/2021). Tuttavia, va osservato che, come risulta dalla relazione ex art. 33 l.f., il debito della società nei confronti dell'amministrazione finanziaria per gli anni compresi tra il 2003, nel quale è stata costituita la società, e il 2010 ammonta a circa 32.616,66 euro, dovuto come specificato dal curatore all'udienza del 7.12.2022, a titolo di omesso versamento di imposte IVA, IRES, IRAP nonché contributi INPS anni 2009, 2010. Ciò premesso, deve evidenziarsi che dall'anzidetto riepilogo emerge che le predette somme sono di non particolare rilevanza posto che i debiti, per altro non figuranti per ogni annualità ( dal 2003 al 2008 non vi sarebbero debenze), sono relativi a somme di modesta entità. Le anzidette circostanze, ad avviso del Collegio, escludono che la condotta dell'imputato sia stata caratterizzata da fraudolenza e che quest'ultimo avesse previsto l'evento fallimento quale conseguenza del mancato adempimento, peraltro non sistematico, delle obbligazioni verso l'erario. Alla luce di ciò, l'imputato va assolto da tutti, i fatti di bancarotta contestatigli per non averli commessi. Il carico di lavoro di cui è gravato il Tribunale impone la previsione di un termine di 90 giorni per la stesura delle motivazioni della presente sentenza. P.Q.M. Letto l'art. 530 comma 2 c.p.p. assolve Gi.An. dai reati a lui ascritti, in rubrica per non aver commesso il fatto. Motivi in giorni 90. Così deciso in Nola il 26 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI NOLA GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA Sezione Penale Il giudice Dott.ssa Giusi Piscitelli; alla pubblica udienza del 30.10.2023 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Sc.At., nato a N. (N.), il (...), residente in M. del C. (A.) alla via M. m. 35, difeso di fiducia dagli avv.ti Pe.Au. e An.Ve.: Libero-Assente IMPUTATO del delitto p. e p. dall'art. 643 c.p. perché, per procurare a sé ad altri un profitto, abusando dello stato d'infermità di Sc.Ra., in ragione della sua età e del suo stato di salute (certificato dal Ministero del Tesero - Commissione Medica Periferica per le Invalidità Civile), lo induceva a compiere atti che comportavano effetti giuridici dannosi per il predetto, e precisamente lo induceva a farsi sottoscrivere l'assegno postale nr (...) determinando un danno economico pari ad Euro 11.500,00. In Nola (NA) 1124.6.2019 Con la recidiva reiterata SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto emesso in data 23.3.2021 il GUP in sede rinviava a giudizio l'imputato Sc.At. innanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, affinché rispondesse del reato a lui ascritto in rubrica. All'udienza del 6.12.2021, dichiarata l'assenza dell'imputato. In data 23.5.2022 dichiarato aperto il dibattimento erano ammesse le prove così come richieste e si procedeva all'escussione del teste Es.Gi., in servizio presso il Commissariato di PS di Nola; altresì' era acquista documentazione tra cui documentazione bancaria ( relativa al conto intestato a Sc.Ra., copia assegno e specimen relativi al conto banco posta) nonché documentazione medica prodotta da Sc.Ra.. In data 22.5.2023 erano escussi i testi Sc.Lu. e Sc.Ra., di cui era acquisita con il consenso delle parti la denuncia querela sporta in data 3.7.2019 con successiva integrazione dell'11.7.2019 In data 30.10.2023 il Giudice dichiarava chiuso il dibattimento ed avevano luogo le discussioni delle parti. Infine, all'esito della camera di consiglio, il Giudice deliberava la presente decisione, resa pubblica mediante lettura. MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito dell'istruttoria dibattimentale risulta provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità di Sc.At. per il reato a lui ascritto in rubrica. La genesi del presente procedimento trae origine dalla denuncia querela sposta da Sc.Ra., nipote della persona offesa Sc.Ra.. Fonti di prova sono la denuncia sporta in data 3.7.2019 - con successiva integrazione-nonché la deposizione resa da Sc.Ra. riscontrata dalla deposizione resa dal teste Sc.Lu. nonché dalla documentazione in atti da cui è emerso quanto segue. Sin d'ora di evidenzia la piena credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi in quanto dotate di precisione, coerenza e concordanza. Sc.Ra., sordomuto dalla nascita, era titolare di un conto corrente a lui intestato su cui confluiva la pensione di invalidità. Giova premettere che sia la denuncia querela sia la deposizione resa da Sc.Ra. nel corso del giudizio sono state rese con l'assistenza di Sc.Lu., nipote della p.o. nonché fratello dell'imputato Sc.At., in quanto Sc.Ra. utilizza un linguaggio dei segni convenzionalmente noto soltanto ai familiari più stretti e non potendo dunque avvalersi di un esperto della lingua dei segni che non avrebbe capito il linguaggio utilizzato da costui. Di seguito si riporta quanto emerso dalla denuncia sporto in data 3.7.2019 da Sc.Ra.. Sc.Ra. doveva andare presso l'Ufficio Postale di Nola per chiudere il conto corrente e consegnare il blocchetto degli assegni. Nell'occasione Sc.At., suo nipote, si offrì di accompagnarlo. In data 27 giugno 2019 Ra. effettuava un estratto conto constatando che in data 17.6.2019 erano sti prelevati Euro 11.500,00 tramite assegno postale n. (...). Visto l'ammanco realizzava che il prelievo era stato effettuato da Sc.At. in occasione della restituzione del blocchetto degli assegni. Chiamato il nipote At. gli riferiva che gli aveva sottratto Euro 11.500,00 e li doveva restituire pertanto il giorno stesso alle ore 14.30 circa, ad un appuntamento fissato con lo zio Ra. nel bar di fronte all'A., restituiva una parte della somma parti ad Euro 4.000,00 in contanti, dicendogli che il giorno dopo gli avrebbe restituito i restanti 7.500,00 Euro. A fronte della mancata restituzione della somma, Ra. si confidava con il nipote Sc.Lu. il quale, contattava in presenza di L., il fratello At. chiedendogli di restituire il resto dei soldi; At. riferiva che l'assegno lo aveva fatto lo zio Ra. mettendo come beneficiano Sc.At. e quindi non doveva restituire niente allo zio; Lu. rispondeva che se non li avesse restituiti lo zio lo avrebbe querelato, il fratello At. rispondeva testuali parole "fate quello che volete perché lo zio è diventato scemo" e chiudeva la telefonata. Ad integrazione di quanto denunciato il giorno 11.7.2019 anno 2019, Sc.Ra. ulteriormente precisava tramite l'assistenza di Sc.Lu. che dunque parla in prima persona "Premesso quanto già denunciato precedentemente in data 03.07.2019 presso i Vostri Uffici, vorrei riferivi che sono venuto in possesso della copia dell'assegno n. (...) di Euro 11500,00 emesso a favore di Sc.At. a firma di mio zio Sc.Ra. : detta copia del titolo l'ho mostrata a mio zio, che mi ha fatto capire di non aver mai apposto la firma di quietanza. Inoltre vi riferisco che in data 24 giugno 2019 mio fio si è recato all'Ufficio postale centrale insieme a mio fratello Sc.At., in quanto la direttrice dell'Ufficio Postale chiedeva che fosse firmata una dichiarazione di regolarità di emissione dell'assegno in parola a favore di Sc.At.. In detta sede , mio zio che effettivamente firmava la dichiarazione pensava, perché indotto in errore da mio fratello , che stesse firmando la riconsegna del blocchetto degli assegni, atteso che effettivamente in detta sede e circostanza consegnava il blocchetto degli assegni ,completo e mancante del solo assegno n. (...) di Euro 11500,00 emesso a favore di Sc.At., A.D.R. Vorrei ribadire che mio fio non conosce l'alfabeto dei segni , è analfabeta ed è sordomuto dalla nasata, tuttavia riesce a farsi capire con una mediazione tra segni e suoni. A.D.R.: Il blocchetto degli assegni era nelle mani di mio fratello, perché mio fio gli aveva fatto capire che voleva riconsegnarlo alle Poste, in quanto non gli necessitava, poiché per i prelievi utilizzava il bancomat. A.D.R. Non ho altro da dichiarare o modificare; - A.D.R.: Vi consegno la copia del titolo in questione e la copia della dichiarazione di regolarità dell'emissione del titolo.". In dibattimento Sc.Ra., confermando quanto riferito in sede di denuncia asseriva che non voleva dare la somma di Euro 11.500 al nipote At. e che avesse apposto la firma soltanto perché tratto in inganno dallo stesso in ordine alla disposizione patrimoniale. Tanto che si era accordo dell'ammanco solo quando, pochi giorni dopo essersi recato all'ufficio Postale con il nipote, egli aveva controllato il saldo del conto rendendosi conto che era stato prosciugato. Il teste Sc.Lu. confermava il narrato della persona offesa asserendo che lo zio Ra. si fosse presentato da lui arrabbiato perché gli era stata sottratta una somma di Euro 11.500 sul conto corrente credendo lui il responsabile. At. infatti interpellato dallo zio aveva dato la colpa al fratello. Per quanto riferito dal Sc.Ra. al nipote, la somma era sparita dopo che egli era recato in posta accompagnato dal nipote A.. In quella occasione, pensando di dover chiudere il conto e consegnate il blocchetto di assegni, egli aveva firmato delle carte. Solo dopo si era reso conto che sul conto mancava la somma di Euro 11.500. Orbene, Lu. allora chiamava il fratello At., in presenza dello zio Ra., per comprendere cosa fosse accaduto. At. asseriva che lo zio gli avesse prestato consapevolmente la somma, di 11.500 Euro, perché doveva fate dei lavori e che li avrebbe restituiti. Il teste asseriva di aver creduto alla versione dello zio Ra. in quanto già altre volte egli aveva erogato prestiti ad At. e non vi era stati problemi, per cui se lo zio stavolta lamentava un ammanco era certamente perché non aveva inteso erogare alcun prestito. Credendo invece alle parole dello zio Ra., Sc.Lu. aveva accompagnato lo zio presso l'ufficio postale per verificare in che modo l'imputato avesse prelevato la somma; ivi la direttrice, comunicando che era stato emesso un assegno, riferiva che, prima di mettere all'incasso il titolo, avesse anche chiesto a Sc.Ra. se riconoscesse o meno la firma ivi apposta, ricevendo risposto affermativa da Sc.Ra.. Nonostante ciò, il teste Sc.Lu. riferiva che lo zio più di una volta gli avesse ribadito che, pur avendo messo la firma, egli non aveva compreso il significato della disposizione patrimoniale che aveva compiuto. Invero, nella documentazione in atti trovava conferma la circostanza che fosse stato emesso l'assegno n. (...) dell'importo di Euro 11.500,00 datato 17.6.2019 in favore dell'imputato Sc.At., con firma emissione compatibile con quella della p.o. Sc.Ra. e che, in data 24.6.2019, Sc.At. avesse anche confermato per iscritto al direttore dell'ufficio postale l'emissione dell'assegno ( cfr. copia assegno e dichiarazione di regolarità dell'emissione del titolo). Altresì emergeva quanto alla condizione soggettiva della p.o. Sc.Ra. che egli era invalido civile per sordomutismo ( cfr. pratica di invalidità ed accertamento seduta del 3.7.96). Tale il fatto, così come ricostruito alla luce delle dichiarazioni della p.o. Sc.Ra. nonché del teste Sc.Lu. appaiono ampiamente credibili perché intrinsecamente coerenti, costanti nel tempo (come è dato evincere dalla assenza di contestazioni) e, soprattutto, perché suffragate dalla documentazione, prevalentemente bancaria, acquisita in dibattimento, appare opportuno inquadrare gli elementi di struttura del reato di circonvenzione di incapace, oggetto degli addebiti, al fine di verificare se, nel caso concreto, ne ricorrano gli estremi. Preliminarmente è utile osservare come la fattispecie disciplinata dall'art. 643 del codice penale rientri tra i delitti "a soggetto passivo qualificato" (o "qualificati dal soggetto passivo"), nei quali l'interesse tutelato fa capo soltanto a determinate categorie di soggetti: come noto, in questi casi la norma penale richiede, ai fini dell'integrazione della fattispecie tipica, una particolare qualità o qualifica, naturalistica o giuridica, della persona offesa. Ebbene, l'art. 643 c.p. menziona espressamente tre categorie di soggetti passivi, connotati da altrettanti specifici status", minori, infermi di mente e deficienti psichici. Quindi La fattispecie incriminatrice de qua vertitur richiede, in primo luogo, che il soggetto passivo sia una persona minore ovvero affetta da infermità o deficienza psichica. 20 Il Limitandoci d enuclearne la definizione, per "deficienza psichica" generalmente si intende una stato di minorazione della sfera intellettiva, volitiva o affettiva produttivo di un effetto deviante dal pensiero critico (come detto, non necessariamente fondato su cause patologiche od ambientali), che influisce sulla realizzazione dell'azione. Dunque, sinteticamente, una (generica) situazione di "minorata difesa psichica", suscettibile di esplicare un effetto turbatore della funzione volitiva, tale da favorire la realizzazione dell'azione criminosa da parte dell'agente, rendendo più agevole l'altrui opera di suggestione. All'interno del concetto vengono fatte rientrare le situazioni più disparate, inglobando finanche condizioni psichiche di minore portata o meramente transitorie (come vedremo a breve, tale circostanza si rivelerà molto utile ai fini della nostra indagine). Si è parlato, specialmente in giurisprudenza, di idee deliranti di gelosia o di persecuzione, emarginazione ambientale, rusticitas, infermità fisiche, crisi di astinenza del tossicodipendente, sordomutismo, debolezze caratteriali, forme depressive e manifestazioni emozionali collegate alla vecchiaia, e, in generale di ogni altra analoga situazione che si presti agli abusi, purché idonea ad escludere la capacità del circonvenuto di avere cura dei propri interessi. Nel caso in esame, la parte offesa, Sc.Ra., può essere certamente considerata affetta da deficit psichico in quanto sordomuta dalla nascita. Questa condizione soggettiva è sufficientemente provata, oltre che dalla documentazione medica in atti, da ulteriori riscontri emersi in dibattimento. A supporto, si evidenzia la testimonianza resa dal nipote Sc.Lu. il quale dichiara in dibattimento che Sc.Ra., pur essendo in grado di attendere alle spese quotidiane, avesse bisogno di essere accudito dai nipoti, soprattutto quando doveva comunicare con terzi in quanto soltanto i familiari riuscivano a comprendere cosa dicesse. Tale situazione assume particolare rilevanza nei cd. delitti di cooperazione con la vittima - come è quello in esame - presupponenti un rapporto interattivo tra "incube" e "succube": la resistenza della vittima inferma, infatti, può risultare ancor più scemata nei confronti di persone con le quali vi sia un legame di fiducia, come quello che caratterizzava Sc.Ra. e l'imputato Sc.At.. Nucleo essenziale della fattispecie criminosa è, poi, il compimento di un atto '''che importi qualsiasi effetto giuridico ... dannoso" per la vittima o per terze persone. Nonostante non ci sia unanimità di vedute sul punto, tali effetti giuridici devono - ad avviso di chi scrive - causare alla vittima del reato un danno di natura patrimoniale, poiché la sistematica del codice include l'art. 643 c.p. nella categoria dei delitti contro il patrimonio. Fatta questa premessa, l'analisi delle movimentazioni bancarie del conto corrente correlato intestato alla p.o. - acquisite agli atti del procedimento - mostra con chiara evidenza che Sc.Ra. ha subito un pregiudizio patrimoniale di rilevante entità: infatti, l'estratto conto, che in data 17.6.2019 era addebitata sul conto la somma di Euro 11.500,00 per pagamento dell'assegno n. (...), in favore di A.S.; somma che costruiva l'importo complessivo dei risparmi posseduti dallo Sc.Ra.. Altro requisito di struttura del reato in contestazione è, poi, l'induzione del soggetto passivo a compiere gli atti di disposizione che si rivelino pregiudizievoli. Tale attività induttiva "può essere desunta in via presuntiva quando la persona offesa sia affetta da una malattia che la privi gravemente della capacità di discernimento, di volizione e di autodeterminazione ... potendo l'induzione consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività - come una semplice richiesta - cui la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi, e che la porti quindi a compiere atti privi di alcuna causale, che essa in condizioni normali non avrebbe compiuto, e che siano a lei pregiudizievoli e favorevoli all'agente" (Cass. n. 18583 del 7.4.2009, RV. 244546, imp. Padovani, relativa ad una ipotesi in cui la vittima, affetta da demenza senile, aveva firmato all'imputata una serie di assegni e reso la stessa beneficiaria di una polizza sulla vita). Quindi, la prova della condotta induttiva può essere tratta "anche da elementi indiziari e prove logiche, avendo riguardo alla natura dell'atto, all'oggettivo pregiudizio da esso derivante e ad ogni altro accadimento connesso al suo compimento" (Cass. n.6078 del 9.1.2009, RV. 243449. imp. T.). Facendo applicazione dei suddetti principi al caso sottoposto al vaglio del Tribunale, la natura dell'atto dispositivo compiuto da S., indotto dall'imputato, dimostra chiaramente, per le ragioni analiticamente esposte, come non trovino in alcun modo giustificazione in un interesse dello Sc.Ra. pertanto può affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si tratta di atto che la P.O. - se non fosse stata in una condizione di minorazione psichica - non avrebbe mai compiuto, considerato che la somma costituivano gli unici risparmi che lo stesso avesse sul conto nonché considerata la sua età e la condotta di vita. Per quanto riguarda il dolo, esso implica - come coscienza e volontà del fatto tipico - la consapevolezza da parte dell'agente della condizione di minorità, infermità o deficienza psichica del soggetto passivo, nonché l'intenzione di strumentalizzarla. Pertanto, non è possibile ritenere che l'odierno imputato non fosse in grado di sapere e di rendersi conto dello stato psichico dello zio. In altre parole, la situazione di deficienza psichica della vittima era oggettiva e riconoscibile da parte di tutti, in modo che chiunque ne avrebbe potuto abusare per i propri fini illeciti (ex multis, Cass., 45327 del 10.11.2011, RV. 251219, imp. S.). E' inoltre giurisprudenza consolidata che la prova del dolo può essere anche di natura presuntiva, poiché "lo stato anomalo del soggetto passivo può essere legittimamente desunta dalla evidenza di esborsi immotivati, dalla donazione di beni di cospicuo valore e dalla stessa arrendevolezza dimostrata dal circonvenuto" (Cass. n.6782 del 14.12.1977, RV. 139201, imp. H.). L'ulteriore elemento psicologico richiesto dalla norma - ovvero il dolo specifico, che si ravvisa nella finalità di procurare a sé o ad altri un profitto - è anch'esso inequivocabilmente dimostrato dal tenore dell'operazione finanziaria che non trovava diversa giustificazione. L'imputato non forniva alcuna versione dei fatti, tuttavia dalla deposizione resa dai testi emergeva che avesse corrisposto in contanti la somma di Euro 4000,00 a titolo di restituzione del maltolto, tatto che appare significativo in ordine al fatto che la somma non fosse stata erogata spontaneamente da Sc.Ra.. Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche in considerazione del comportamento processuale. Va esclusa la recidiva contestata ( recidiva reiterata) atteso che l'imputato è gravato da un solo precedente penale, per cui sussiste al più recidiva semplice di cui all'art. 99 comma 2 c.p.; tuttavia si ritiene che può essere esclusa l'applicazione della recidiva potendosi ritenere la commissione dell'ulteriore reato come occasionale ricaduta del reo. Invero, la circostanza dell'esistenza di precedenti penali, da sola considerata, non può in alcun modo condurre, da parte del giudice, ad una applicazione automatica dell'istituto della recidiva richiedendosi, viceversa, una "relazione qualificata" tra tali precedenti e il nuovo delitto non colposo commesso. E infatti la valutazione deve essere compiuta in concreto, alla luce delle peculiarità del caso di specie, tenendo in considerazione tutta una serie di indici descrittivi della fattispecie tra i quali rientrano, a titolo di esempio, la natura e la tipologia dei reati commessi, il lasso temporale intercorrente tra gli stessi, l'offensività delle diverse condotte, ecc. La valutazione di tali elementi può condurre, infatti, anche all'accertamento di una occasionalità della ricaduta del reo, che non integra in alcun modo una rafforzata propensione a delinquere, unica circostanza che può legittimamente comportare l'applicazione di un aumento sanzionatorio per la ritenuta recidiva. Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, tenendo conto dei criteri previsti dall'art. 133 c.p., si stima equo irrogare la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione: pena base anni due di reclusione, ridotta ex art. 62 bis c.p. alla pena inflitta. Non può essere concessa la sospensione condizionale della pena avendone beneficiato già una volta a fronte della condanna ad anni uno di reclusione per cui la concessione della sospensione condizionale della pena per la seconda volta non rispetterebbe i limiti di cui all'art. 164 c.p. Consegue di diritto la condanna al pagamento delle spese processuali. La complessità delle questioni trattate giustifica la concessione del più lungo termine indicato in dispositivo per il deposito dei motivi. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Sc.At. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica, e esclusa la recidiva contestata, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni uno e mesi 4 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivi in 90 giorni. Così deciso in Nola il 30 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI NOLA Il Tribunale di Nola in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Mariangela Luzzi con l'intervento del Pubblico Ministero rappresentato dalla dott.ssa Elvira Longobardi (VPO) e con l'assistenza del Cancelliere dott.ssa Gl.Gi. ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: An.Sm. nata a N. il (...), residente in V. alla via R. n.339; libera assente avv.ti An.Ab. e Pi.Au. di fiducia, entrambi presenti; IMPUTATA (come da foglio allegato che costituisce parte integrante della presente intestazione) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta del 29.10.2021 An.Sm. veniva chiamata in giudizio per il reato in contestazione. Il 10.6.2022 era dichiarata l'assenza dell'imputata, non comparsa senza addurre alcun legittimo impedimento anche se regolarmente avvisata; la difesa chiedeva di definire il processo nelle forme del cosiddetto patteggiamento nei termini indicati a verbale; il giudice rigettava la richiesta per i motivi indicati nell'ordinanza allegata al verbale manuale e si asteneva dalla trattazione del processo, rimettendo gli atti al presidente coordinatore. Il 22.6.2022 si dava lettura del provvedimento presidenziale con cui si assegnava il presente processo al sottoscritto magistrato, sostituto tabellare del giudice astenuto. Il 28.6.2022 il processo era rinviato per l'adesione della difesa all'astensione indetta dall'Unione Camere penali. Il 6.12.2022 aperto il dibattimento e ammesse le richieste di prova delle parti, era escusso il teste dell'accusa Ca.So., all'esito del cui esame le parti davano il consenso all'acquisizione dei verbale di constatazione allegato in atti; il processo era rinviato per l'esame del teste della difesa. Il 2.5.2023 rinnovate le formalità dell'apertura del dibattimento per la modifica della persona fisica del giudicante, in congedo per maternità, era escusso il consulente della difesa Gi.Ga.; il processo era rinviato per la discussione. Il 9.1.2024, rinnovate le formalità dell'apertura del dibattimento per la modifica della persona fisica del giudicante, essendo rientrato in servizio il magistrato titolare del fascicolo, le parti rassegnavano le conclusioni (in particolare, il pubblico ministero chiedeva l'assoluzione dal reato per la mancanza dell'elemento psicologico; la difesa chiedeva l'assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato); e il giudice, riservata la decisione al termine delle altre istruttorie, all'esito della camera di consiglio, pronunciava la sentenza, dando lettura in udienza del dispositivo e indicando in quindici giorni il termine per il deposito della motivazione, avuto riguardo al carico complessivo di lavoro dell'ufficio che non permetteva la redazione contestuale dei motivi. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce dell'attività istruttoria espletata e della documentazione regolarmente acquisita al fascicolo del dibattimento, l'imputata deve essere assolta dal reato ascrittole non essendo stato provata la sussistenza dell'elemento psicologico della fattispecie incriminatrice. Dall'esame del teste qualificato So. nonché dal verbale di constatazione in atti è emerso che il 20.1.2020 i finanzieri della Compagnia della Guardia di Finanza di Casalnuovo di Napoli iniziarono una verifica a carico della Gt. s.r.l. in liquidazione, società avente ad oggetto l'attività di trasporto di merci su strada, con sede legale in So. G. V., la cui legale rappresentante fino al 7.8.2019 era stata An.Sm. (cui aveva fatto seguito Nunzio Ambrosio). La disamina sotto il profilo fiscale degli atti economici posti in essere dalia verificata furono condotti alla presenza sia della So. che dell'Ambrosio e riguardò diversi anni di imposta, tra i quali il 2018. Da tali accertamenti, in particolare con riferimento all'anno indicato, i finanzieri appurarono che, benché la società controllata avesse ottemperato agli obblighi dichiarativi ai fini dell'IVA e delle imposte dirette, vi era un contrasto tra i dati esposti nella dichiarazione IVA e quelli ricavati dalla disamina dei Registri IVA. Nei modello IVA 2019 infatti non risultavano indicati dati di rilevanza fiscale fatta eccezione per i righi VF23 e VL2, nei quali erano stati espositi rispettivamente acquisti e credito IVA pari a 1 Euro. Dai registri IVA tuttavia risultavano vendite contabilizzate per Euro 8.329029,53 con IVA a debito pari a 1.832.067,45 e acquisti contabilizzati pari a 5.433587,98 con IVA a credito di 1.198.944,75, con conseguente IVA da versare pari a 633.122,70. Poiché per l'anno 2018 risultava un versamento dell'IVA a saldo dell'importo di 150.000,00 Euro da parte della società verificata, i finanzieri stimarono l'IVA evasa nell'ammontare di 483.122,00. L'imputata quindi fu deferita all'autorità giudiziaria per il reato in contestazione. A fronte di questo quadro fattuale, la difesa -tramite il suo consulente (dottore commercialista Gi.Ga.)- non ha messo in discussione la materialità del fatto (ovvero l'errata presentazione della dichiarazione IVA) ma ha contestato la natura infedele della dichiarazione in oggetto, dal momento che detta infedeltà non conseguirebbe dall'indicazione di elementi passivi fittizi (cfr. pag. 12 della relazione tecnica di parte in atti) e tenuto conto del fatto che "i dati errati riportati nella dichiarazione annuale IVA erano conoscibili, piuttosto già conosciuti dal Fisco". La fondatezza della tesi difensiva sarebbe confermata dalla condotta collaborativa tenuta dall'imputata all'atto della verifica oltre che dalla corretta tenuta dell'impianto contabile e dalla produzione e deposito da parte della So. ai finanzieri delle comunicazioni LIFE, U. SC e del bilancio. Tratteggiate dunque in tal modo le risultanze istruttorie, ai fini della verifica della sussistenza della fattispecie incriminatrice, e in particolare dell'elemento oggettivo del reato, occorre osservare preliminarmente che l'art. 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rubricato "dichiarazione infedele"), nella versione scaturita dalle modifiche operate dal D.L. n. 124 del 2019, convertito dalla L. n. 157 del 2019 (modifiche destinate a non incidere nella vicenda in esame), sanziona la condotta di chi, fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a Euro centomila; b) rammentare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a Euro due milioni. Ebbene, posto che nell'accertamento dei reati tributari e, in particolare, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, "il giudice può fare ricorso legittimamente ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di finanza per la determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa e può fare altresì ricorso all'accertamento induttivo dell'imponibile, secondo il disposto dell'art. 39 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 600, quando non sia stata tenuta o sia stata tenuta irregolarmente la contabilità imposta dalla legge" (Cassazione penale, sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 28053; sez. 3, 18 dicembre 2007, n. 5786), si deve senza dubbio ritenere, sulla scorta dei dati verificati dai finanzieri - e non contestati dalla difesa dell'imputata- che nel caso di specie si sia verificata la appena illustrata condizione della doppia soglia di punibilità. Si evidenzia inoltre che per pacifica giurisprudenza di legittimità l'indicazione di elementi attivi per importi inferiori a quelli effettivi non richiede alcun carattere ingannatorio, essendo sufficiente che sia stata posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (cfr.: Cass., sez. 3, n. 8969/2019). Secondo la Suprema Corte infatti: " la mancata compilazione delle voci della dichiarazione riguardanti elementi essenziali ai fini della determinazione complessiva del reddito e dei conseguenti importi dovuti a titolo di imposte non può essere qualificata come una condotta neutra, contribuendo al contrario a delineare la infedeltà della dichiarazione fiscale, essendo di fatto assimilabile a una dichiarazione negativa l'omessa compilazione delle singole voci concernenti il valore del reddito imponibile e dell'Iva. Del resto, il verbo utilizzato dalla fattispecie incriminatrice, "indica", lascia aperta la possibilità che la dichiarazione contenga sia elementi numerici positivi, sia attestazioni incomplete, che siano cioè contraddistinte da omesse specificazioni di elementi determinanti ai fini della determinazione dell'imposta, per cui in tal senso anche non inserire alcun dato numerico in corrispondenza di una voce essenziale equivale a "indicare" un elemento, sia pure in negativo" (cfr.: Cass., sez. 3, n. 18532/2023). Non si può pervenire alle medesime conclusioni invece con riferimento all'elemento psicologico, integrato dal dolo specifico di evasione. Come ha chiarito recentemente la Corte di Cassazione (cfr.: Cass., sez. 3, n. 44170/2023 con riferimento alla fattispecie di cui all'alt. 5 D.Lgs. n. 74 del 2000) il dolo in questione non può essere identificato con la pura e semplice consapevolezza dell'obbligo dichiarativo violato e dell'entità dell'imposta non dichiarata. Tale operazione interpretativa infatti finirebbe -a parere dei giudici di legittimità- per trasformare il dolo specifico di evasione nella generica volontà di non dichiarare al fisco l'imposta dovuta, con l'inaccettabile conseguenza di assorbire tutti i reati in materia dichiarativa negli indistinti illeciti amministrativi di cui agli artt. 1 e 5 D.Lgs. n. 441 del 1997. Per l'integrazione del requisito soggettivo della fattispecie incriminatrice dunque è richiesto un quid pluris rispetto alla mera consapevolezza dell'entità dell'imposta evasa e questo dato può essere desunto, a titolo esemplificativo, dal mancato pagamento postumo dell'imposta evasa, dalla reiterazione dell'omissione per più armi di seguito, dal disinteresse rispetto alle richieste e verifiche tributarie. Facendo dunque applicazione degli esposti principi ermeneutici, nella fattispecie, non si può addivenire oltre ogni ragionevole dubbio alla conclusione della sussistenza del requisito in parola, dovendosi al contrario ritenere che la dimostrazione della puntuale contabilità tenuta dalla società verificata, il tempestivo versamento per quanto parziale dell'IVA per l'anno oggetto di verifica (per un ammontare di Euro 150.000,00) nonché l'assolvimento dei vari obblighi di comunicazione oltre che la condotta pienamente collaborativa dell'imputata nel corso del controllo siano tutti elementi che inducono quanto meno a dubitare dell'effettività del dolo di evadere. Le considerazioni esposte, pertanto, impongono una sentenza assolutoria ai sensi dell'art. 530, cpv., c.p.p. dell'imputata dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Letto l'art. 530 cpv., c.p.p., assolve An.Sm. dal reato a lei ascritto perché il fatto non costituisce reato. Letto l'art. 544 c.p.p. indica in quindici giorni il termine per il deposito della motivazioni. Così deciso in Nola il 9 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI NOLA Il Tribunale di Nola in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Mariangela Luzzi con l'intervento del Pubblico Ministero rappresentato dalla dott.ssa Elvira Longobardi (VPO) e con l'assistenza del Cancelliere dott.ssa Gl.Gi. ha pronunciato la seguente SENTENZA nei confronti di: Al.Al., nato a N. il (...), ivi residente alla via D. n.8 (domicilio eletto in data 29.5.2021) libero assente avv. Ca.Na. d'ufficio, assente sostituito ex art. 102, c.p.p., dall'avv. An.Gi.; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola in data 1.9.2022, Al.Al. era chiamato in giudizio per il reato di cui all'imputazione. Il 28.2.2023, il processo era rinviato per la nuova notifica del decreto di citazione all'imputato non essendovi la prova della conoscenza da parte dello stesso dell'atto introduttivo del processo. Il 4.7.2023, dichiarata preliminarmente l'assenza dell'imputato -non comparso senza addurre alcun legittimo impedimento anche se regolarmente avvisato-, dato atto del decreto n. 37 del 2023 del presidente del tribunale adottato per gestire l'assenza per congedo di maternità del magistrato titolare del fascicolo, era aperto il dibattimento e ammesse le richieste di prova avanzate dalle parti; era altresì escusso il teste dell'accusa Fr.Le.; il processo era rinviato per l'esame dell'imputato e la discussione. Il 9.1.2024 rinnovate le formalità di apertura del dibattimento essendo intervenuta la modifica della persona fisica dell'organo giudicante, le parti si riportavano alle loro precedenti richieste istruttorie e prestavano il consenso all'utilizzabilità dell'attività istruttoria svolta dinanzi a diverso magistrato; le parti dunque rassegnavano le loro conclusioni (in particolare, il pubblico ministero chiedeva la condanna dell'imputato alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 1.00,00 di multa; la difesa chiedeva l'assoluzione ex art. 530, cpv., c.p.p.; in via gradata assoluzione ai sensi dell'art. 131 bis c.p.; in subordine, minimo della pena e benefici di legge), e il giudice, all'esito della camera di consiglio, rendeva pubblica la decisione, dando lettura del dispositivo della sentenza, indicando in giorni quindici il termine per il deposito dei relativi motivi, avuto riguardo al carico complessivo di lavoro dell'ufficio che non permetteva la motivazione contestuale. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce dell'attività istruttorie espletata e degli atti regolarmente acquisiti al fascicolo del dibattimento, l'imputato deve essere dichiarato responsabile del reato ascritto, essendo stata provata oltre ogni ragionevole dubbio la condotta in contestazione. Dall'esame del maresciallo Fr.Le., in servizio all'epoca dei fatti presso il Gruppo P.I. della Guardia di Finanza di Napoli, è emerso che, il 29.5.2021, il personale del predetto Grrippo, indi'ambito di uno specifico servizio volto alla repressione del contrabbando di. tabacchi lavorati esteri e nazionali, sorpresero Al.Al. mentre, in V. alla via P., deteneva per la vendita ad occasionali clienti tabacchi di lavorazione estera sprovvisti di contrassegno di Stato. In particolare, l'imputato -già sanzionato il 9.12.2019, il 16.6.2020 e il 24.6.2020 con verbali di contestazione immediata di violazione amministrativa definitivi- fu trovato nel possesso di 10 pacchetti di sigarette di diverse marche, prive del prescritto contrassegno di Stato, per un peso complessivo di 0,200 Kg. La ricostruzione dei fatti esposti, così come emersa dall'esame del teste di polizia giudiziaria e dal verbale di perquisizione e sequestro in atti, appare attendibile, non essendo venuti in luce elementi per cui dubitare di quanto verbalizzato dai testi dell'accusa, avuto riguardo anche alla loro qualifica di pubblico ufficiale, che induce a ritenere i medesimi ben consapevoli degli obblighi previsti nello svolgimento degli atti del loro ufficio. Non sono venuti in rilievo del resto motivi in capo agli operanti tali da fare ritenere che questi ultimi possano avere avuto un qualche interesse a rendere dichiarazioni sfavorevoli nei confronti dell'imputato. Nessun dubbio poi si può nutrire in merito all'attribuibilità al prevenuto del TLE di contrabbando in contestazione, considerato che l'imputato è stato fermato mentre si trovava in una. pubblica via nel possesso del TLE poi sequestrato e non risulta avere fornito alcuna plausibile giustificazione al possesso dei. pacchetti di sigarette in contestazione. Per quanto attiene alla qualificazione giuridica della condotta accertata, dunque, ricorre senz'altro il delitto ascritto in imputazione, essendo stata provata oltre ogni ragionevole dubbio la natura di contrabbando del TLE rinvenuto, stante la destinazione dello stesso per i mercati esteri e la mancata apposizione del sigillo dei M. di S., nonché l'assenza di qualsivoglia, documentazione giustificativa del relativo possesso da parte dell'imputato. Risulta in particolare integrata l'ipotesi di cui all'art. 291 bis, co.2, D.P.R. n. 73 del 1943 (che ha ad oggetto le condotte, tra esse anche alternative, della immissione, vendita, trasporto, acquisto, detenzione nel territorio; dello Stato di un quantitativo fino a dieci chilogrammi convenzionali di tabacchi lavorati esteri sottratti al pagamento dei diritti di confine, per la quale il legislatore ha previsto una sanzione solo pecuniaria, pari a Euro 5,00 per ogni grammo di TLE), essendo stato accertato che l'imputato deteneva per la vendita 0,200 kg di TLE. Pur trattandosi di una fattispecie che, essendo sanzionata con la sola pena pecuniaria, rientra tra quelle trasformate in illecito amministrativo dal D.Lgs. n. 8 del 2016, nel caso che ci occupa, non può addivenirsi a una sentenza di assoluzione per intervenuta depenalizzazione in quanto all'imputato è stata contestata la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale nel contrabbando doganale di tabacchi, in presenza della quale, ai sensi dell'art. 296, co.2, D.P.R. n. 43 del 1973, la sanzione prevista per il contrabbando è, oltre a quella pecuniaria della multa, anche quella detentiva della reclusione fino a un anno. Non può trovare applicazione al caso di specie infatti l'indirizzo interpretativo della Suprema Corte, secondo cui anche in presenza di recidiva del contrabbando il reato è depenalizzato. Senza volere mettere in discussione il predetto orientamento (secondo il quale, qualora la fattispecie principale sia. depenalizzata deve ritenersi necessariamente depenalizzata anche l'ipotesi per la quale sia prevista la sanzione detentiva in caso di recidiva, cfr.: "In tema di reati contravvenzionali puniti con la pena detentiva, in caso di recidiva, allorché per la fattispecie principale si prevede come sanzione una pena esclusivamente pecuniaria, rientrante tra le ipotesi di illecito per le quali è prevista la depenalizzazione, deve ritenersi depenalizzata anche l'ipotesi per la quale dalla stessa norma sia prevista la sanzione detentiva in caso di recidiva", cfr.: Cass., Sez. 6, n. 10630 del 03/06/1992 - dep. 03/11/1992, Giudice ed altri, Rv. 19215201), si osserva infatti che, il legislatore con l'art. 5 del D.Lgs. n. 8 del 2016 ha innovato in materia di recidiva, espressamente prevedendo che: "Oliando i reali trasformati in illeciti amministrativi ai sensi del presente decreto prevedono ipotesi aggravate fondate sulla recidiva ed escluse dalla depenalizzazione, per recidiva è da intendersi la reiterazione dell'illecito depenalizzato". Sulla scorta di tale intervento normativo, dunque, come riconosciuto anche dalla costante giurisprudenza, "la nozione di recidiva oggi ricorre non più solo in caso di accertamento giudiziale irrevocabile di un reato della stessa specie, ma anche quando risulti una precedente violazione amministrativa definitivamente accertata" (Cass., Sez. 4, n. 48779 del 21/09/2016 - dep. 17/11/2016). L'operatività della norma in commento trova come unico ostacolo il dato temporale: secondo l'interpretazione fornita dalla Suprema Corte, alla luce anche dell'art. 7 CEDU, infatti, detta disposizione si applica solo ai fatti commessi dopo dell'entrata in vigore del citato decreto. Orbene, giacché nel caso di cui si discute le violazioni accertate in via definitiva risultano commesse negli anni 2019 e 2020, quindi in data successiva all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 8 del 2016, deve riconoscersi la piena operatività nei confronti del prevenuto della norma in questione. Ciò posto, per quanto attiene al trattamento sanzionatorio, non si valutano riconoscibili le circostanze, attenuanti generiche non essendo venuto in rilievo alcun elemento suscettibile di una valutazione favorevole per l'imputato, già più volte sanzionato per la medesima condotta, il che anzi: giustifica l'applicazione della pena in un'entità superiore al minimo edittale ed esclude una valutazione di particolare tenuità del fatto. Alla stregua delle considerazioni svolte, pertanto, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p., tenuto conto della pena pecuniaria prescritta dal D.P.R. n. 43 del 1973 che fa stretto riferimento al peso in grammi del TLE detenuto (Euro 5,00 x ogni grammo), l'imputato deve essere condannato alla pena che si stima equa di mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa (5,00 x 200 grammi), oltre al pagamento delle spese processuali. L' entità della pena e l'incensuratezza dell'imputato inducono a ritenere sussistenti i presupposti per riconoscere in favore dell'A. il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 163 c.p., alla luce dei già menzionati precedenti. P.Q.M. Letti gli artt. 533-535 c.p.p. dichiara Al.Al. responsabile del reato a lui ascritto e, per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa. Letto l'art. 163 c.p. ordina in favore dell'imputato la sospensione della pena ai termini e alle condizioni di legge. Letto l'art. 303 D.P.R. n. 43 del 1973 ordina la confisca e distruzione del tabacco lavorato estero in sequestro. Letto l'art. 544 c.p.p. indica in quindici giorni il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Nola il 9 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Nola PRIMA SEZIONE CIVILE Il Giudice, dott. Andrea Francesco Fabbri, ha pronunziato la seguente SENTENZA ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., nella causa iscritta al n. 4220/2022 R.Gen.Aff.Cont. avente ad oggetto "mandato" TRA Io.Na., rappresentata e difesa, in virtù di procura in calce all'atto di opposizione, dagli avv.ti Ni.Di. e Fa.Ca., ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Sant'Anastasia ( Na) alla Via (...) -opponente E Vi. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in forza di procura in calce all'atto di costituzione, dagli avv.ti Ma.La. e Vi.Mo., ed elettivamente domiciliata in Somma Vesuviana (Na), alla Via (...); -opposta Dandone pubblica lettura all'udienza del 16.01.2024 MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con il presente giudizio Io.Na. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 642/2022, n.r.g 607/2022, emesso e depositato dal Tribunale di Nola il 30.3.2022, e notificato il 12.5.2022, mediante il quale, ad istanza della odierna società opposta, le è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 6.100,00, oltre interessi, nonché spese della procedura monitoria liquidate in Euro 145,50 per spese ed Euro 400,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, CPA e IVA come per legge. A sostegno della propria domanda, Io.Na. premetteva che si era rivolta alla società d'intermediazione immobiliare Vi. al fine di acquistare l'appartamento sito in S. V. (N.) alla Via C. n. 1. Dopo aver accettato l'incarico, la mediatrice predisponeva una proposta di acquisto nella quale la venditrice, oltre a dichiarare che per la suddetta unità veniva presentata apposita domanda di condono - protocollata al n. 22026 del 10.12.2004 -, si impegnava altresì a corrispondere le ulteriori somme dovute per la sanatoria. Successivamente, l'opponente, dopo aver versato un acconto di Euro 1.000,00 alla società incaricata, apprendeva che, al contrario di quanto dichiarato in sede di proposta, l'appartamento in questione non solo risultava abusivo ma anche del tutto assente della tratteggiata istanza di condono, atteso che la domanda di sanatoria si riferiva esclusivamente all'unità abitativa posta al primo piano, mentre il bene de quo è ubicato al secondo piano. Tale circostanza, quindi, induceva la Sig.ra Na. a rinunciare all'acquisto immobiliare. Al riguardo, la stessa ha eccepito la nullità della clausola contrattuale relativa al compenso di mediazione e alla penale, asserendo che, considerato l'eccessivo importo richiesto sia a titolo di provvigione che a titolo di penale, tale clausola sia vessatoria oltre che nulla in quanto non regolarmente approvata per iscritto dalla parte. Sulla base di tali argomentazioni la Na. concludeva, in via preliminare, per l'improcedibilità del decreto ingiuntivo n. 642/2022 per mancato esperimento del procedimento di negoziazione assistita, e, nel merito, chiedeva di così provvedere: 1) accogliere la presente opposizione e, conseguentemente, revocare il decreto ingiuntivo n. 642/2022, nrg 607/2022, emesso dal Tribunale di Nola il 30.3.2022, e notificato il 12.5.2022 e, per l'effetto, dichiarare l'inammissibilità e l'infondatezza della pretesa creditoria; 2) in via riconvenzionale, condannare la società convenuta alla ripetizione dell'importo di Euro. 1.000,00 versato dall'attrice a titolo di deposito, oltre interessi al saggio commerciale ex art. 1284 c.c.; 3) condannare l'opposta al pagamento delle spese e del compenso di causa, con attribuzione ai procuratori anticipatari. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva nel presente giudizio la società Vi. s.r.l., la quale resisteva alle avverse pretese e concludeva, previa immediata concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 642/2022, per il totale rigetto dell'opposizione con contestuale conferma del decreto ingiuntivo opposto e, per l'effetto, per il rigetto della domanda riconvenzionale avanzata da parte opponente, con vittoria di spese, diritti e onorari. Espletata la fase istruttoria, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, la rinviava per discussione ex art. 281 sexies c.p.c. all'udienza del 16.01.2024. L'opposizione è fondata. Come precisato da Cass. 20132/2022: "secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l'esecuzione specifica del negozio, nelle forme di cui all'art. 2932 c.c., per la risoluzione ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30083 del 19/11/2019)". Va pertanto verificato se l'affare concluso sia inquadrabile in una delle predette ipotesi, se sia cioè utilmente esperibile il rimedio di cui all'art. 2932 c.c. o quello risolutorio con conseguente risarcimento del danno. Posto che la stipula successiva di un atto di compravendita avente ad oggetto il bene in questione non può influire sul presente giudizio in quanto il rogito notarile stipulato tra soggetti terzi non ha efficacia di giudicato né fornisce sicura garanzia di validità dell'atto, il giudizio in ordine alla trasferibilità del bene va condotto in via autonoma ed alla stregua delle disposizioni di legge vigenti. Vero è che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, il preliminare non è soggetto alla comminatoria di nullità di cui all'attuale art. 46 D.P.R. n. 380 del 2001, ciò in quanto il titolo edilizio può essere rilasciato nelle more della stipula del definitivo. E' pur vero, d'altro canto, che se le parti si accordano, sin dalla stipula del preliminare, per il trasferimento di un immobile che anche al momento previsto per la stipula del definitivo sia privo di concessione edilizia (o di concessione in sanatoria) il preliminare stesso nasce viziato, sub specie di nullità, in quanto deduce un'obbligazione giuridicamente impossibile o illecita, in quanto contraria alla norma imperativa di cui all'art. 46 citato. E' volontà delle parti che si manifesta in sede di redazione del preliminare a fungere da criterio discretivo: se le parti hanno inteso stipulare un preliminare in un momento in cui il titolo edilizio non esisteva, dando tuttavia per presupposto il suo rilascio nelle more del definitivo il preliminare stesso è valido e deve ritenersi sospensivamente condizionato al rilascio della concessione in sanatoria; viceversa, qualora la volontà delle parti sia volta, sin dall'origine, alla realizzazione del risultato vietato dalla legge, il preliminare stesso deve ritenersi nullo (non in applicazione della nullità testuale dell'art. 46 ma perché l'oggetto del preliminare è giuridicamente impossibile o illecito, in relazione al risultato vietato dall'art. 46). Diversa ancora è l'ipotesi in cui il promittente venditore abbia garantito la legittimità urbanistica del bene, assumendo pertanto l'obbligazione di trasferire un immobile regolare sotto il profilo urbanistico. In tal caso l'impossibilità di addivenire alla stipula del definitivo, che sarebbe comunque nullo se stipulato, varrebbe a qualificare la condotta del promittente venditore in termini di inadempimento all'obbligazione, assunta con il preliminare, di offrire in sede di stipula del definitivo un bene dotato di titolo edilizio. La soluzione alle problematiche connesse all'indagine sul preliminare di immobile abusivo, come si vede, non è unica ma estremamente complessa e diversificata da caso a caso, in quanto riflette tutta una serie di varianti legate alla concreta estrinsecazione della volontà delle parti, che va indagata ed interpretata. E gli esiti di tale operazione avranno inevitabili ripercussioni sul giudizio circa la sussistenza o meno del diritto del mediatore alla provvigione. In applicazione delle coordinate ermeneutiche sopra delineate (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30083 del 19/11/2019), infatti, in caso di preliminare nullo o condizionato al rilascio della concessione in sanatoria non sorge alcun diritto alla provvigione (almeno sino al rilascio del permesso), mentre sorgerà in caso di contratto risolubile. Nel caso di nullità è lo stesso concetto di conclusione dell'affare ad escludere (si veda peraltro la relazione al Codice sub art. 1755: "è ovvio poi che la nullità del contratto principale fa venir meno il diritto alla provvigione"), mentre l'ipotesi della condizione è espressamente normata dall'art. 1756 c.c., che fa sorgere il diritto alla provvigione solo al momento della verificazione dell'evento dedotto in condizione; per quanto riguarda la risoluzione essa riguarda un profilo attinente al rapporto e non all'atto-affare (recte: contratto), che sicuramente è concluso, anche se rimasto inadempiuto. Tanto premesso, è fondamentale interpretare la volontà delle parti al fine di chiarire in che termini è emersa l'inesistenza del titolo abilitativo in sede di redazione del preliminare e che ruolo ha assunto all'interno dell'intera vicenda nel suo complesso (composta da preliminare-definitivo). Sono due le parti del contratto che contemplano l'irregolarità urbanistica del bene. Vi è infatti la dichiarazione del promissario acquirente di essere edotto circa la sussistenza di un'istanza di condono pendente, in relazione alla quale si obbliga al pagamento degli oneri economici. La parte decisiva del testo, tuttavia, è rappresentata dall'art. 4 lett d). Tale disposizione testualmente recita che "l'immobile dovrà essere in regola con la normativa edilizia urbanistica vigente e liberamente vendibile". Tale locuzione vale ad escludere che le parti si siano impegnate alla realizzazione di un risultato vietato, interpretazione peraltro da evitarsi anche alla luce del criterio conservativo di cui all'art. 1367 c.c.. Resta da indagare se trattasi di condizione o di obbligazione posta a carico del promittente venditore e non condizionante l'efficacia del preliminare (o di entrambe le cose). La soluzione nel primo dei sensi indicati è suffragata da due ordini di considerazioni. Innanzitutto la clausola in esame, al secondo periodo, recita: "Il venditore siimpegna, prima della data fissata per il rogito, a fornire il titolo di provenienza, i dati catastali dell'immobile e la planimetria catastale". Come si vede, l'impegno, e quindi l'obbligo, è riferito non alla fornitura del titolo edilizio ma a quello di provenienza, ai dati catastali ed alla planimetria. E' proprio la diversa terminologia utilizzata, all'interno della stessa disposizione contrattuale, per definire le condizioni per addivenire alla stipula del definitivo, consistenti nel fatto che il bene "dovrà essere in regola con la normativa edilizia" e quelle per valutare la correttezza dell'obbligazione ("impegno") assunta dalla promittente venditrice a far inferire che la prima parte del regolamento in esame riguarda una condizione sospensiva apposta al preliminare. A nulla rileva, poi, che tale condizione corrisponda anche, ad un'obbligazione, ciò in quanto è ammessa la deduzione in condizione dell'adempimento di una parte, essendo pacificamente permesso all'autonomia privata di incidere sull'atto anche per fatti attinenti al rapporto, per il tramite di una condizione di adempimento. Anche l'art. 1370 c.c. induce ad interpretare in tal senso: l'art. 4 lett d), infatti, è una clausola inserita in un modulo prestampato e va interpretata contro l'autore della clausola, in tal caso il mediatore. Orbene, appurato che il rilascio della concessione in sanatoria rappresentava una condizione sospensiva apposta al preliminare, poiché solo in tal caso si può dire che il bene è in regola con le disposizioni urbanistiche, va accertato se agli atti vi sia contezza del rilascio di tale titolo. Ebbene, non vi è alcuna prova del rilascio del permesso in sanatoria; è peraltro indubitabile che l'onere probatorio gravava su parte opposta, la quale doveva dimostrare che l'affare si era concluso e che si era realizzata la condizione sospensiva, recisamente contestata da parte opponente. La condizione sospensiva costituita dal rilascio del titolo abilitativo non si è verificata e pertanto, ai sensi dell'art. 1757 c.c., non è sorto alcun diritto alla provvigione. L'opposizione va pertanto accolta, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto. Non può essere accolta la domanda riconvenzionale avanzata da parte opponente in quanto il deposito di Euro 1000,00 non si fondava su un anticipo del compenso spettante al mediatore (parte in causa), il cui titolo, come detto, non sussiste, ma quale deposito da imputare a prezzo della futura compravendita, da richiedere, eventualmente e qualora ne ricorrano le condizioni, ad un soggetto estraneo al presente giudizio (promittente venditore), che pertanto difetta di legittimazione passiva. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, ogni ulteriore istanza disattesa, così definitivamente provvede: - Accoglie l'opposizione; - Revoca il decreto ingiuntivo opposto; - Dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale; - Condanna Vi. srls al pagamento, in favore di Io.Na., delle spese di lite che si liquidano in Euro 5077,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso spese forfettario come per legge ed Euro 145,50 per esborsi Così deciso in Nola il 17 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.

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